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bridging the gap between technology & business
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. Stefano Paleari: la “nuova” università nell’era del digitale . Tom Peters: alla ricerca dell’eccellenza . L’avanzata della Mobile Economy in Italia . Istat: innovazione ed export le carte vincenti delle nostre imprese
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editoriale
Attività illecite nel PIL Ringrazieremo la mafia? di
umberto bertelè presidente advisory board ict4executive autore di “strategia”
@umbertobertele
Ci aspetta un futuro in cui dovremo ringraziare la mafia se - potenziando le sue attività di vendita di droga - provoca una variazione positiva (anche se piccola) del PIL, che rassicura il mercato finanziario e spinge verso il basso lo spread? O potremmo vedere un primo ministro che implora la polizia e i magistrati di ritardare qualche importante operazione, volta a sradicare i traffici illegali, per evitare ricadute negative sul PIL in una congiuntura particolarmente critica? O il lancio di una campagna pubblica a favore della prostituzione, per i suoi effetti benefici sull’occupazione? Sto ovviamente scherzando, ma la notizia che a partire da quest’anno anche le attività illecite - nella fattispecie droga, prostituzione e contrabbando - entreranno a far parte del computo del PIL nella UE, a fianco di voci più “serie” quali gli investimenti in R&D (prima qualificati invece come spese correnti), è di quelle che inducono a riflessioni. Stupisce - e un po’ rattrista - che l’UE debba ricorrere a una modifica delle regole contabili per imbellettare la sua immagine agli occhi del mondo, anche se i funzionari di Bruxelles si affannano a dichiarare che stiamo finalmente dando applicazione completa a quanto deciso nel lontano 1995. I Paesi cosiddetti periferici saranno ufficialmente meno indebitati, dal momento che verrà gonfiato il denominatore del rapporto debito/PIL. La pressione fiscale apparirà per la stessa ragione più accettabile, anche nel nostro Paese: ove peraltro risulterà minore il divario nei redditi fra nord e sud. Più basso risulterà come detto il tasso ufficiale di disoccupazione. Non è che io non concordi concettualmente con i nuovi criteri. Il confine fra attività lecite e illecite è quanto mai sfumato (fuzzy se usiamo il bel termine inglese) e ampia è l’interazione fra le due tipologie di attività: sono le attività illecite che ad esempio fanno sì che i consumi in certe aree del nostro Paese raggiungano livelli assolutamente inspiegabili guardando alle sole attività lecite censite; sono le attività illecite che spesso alimentano in misura significativa il mercato dei capitali e contribuiscono a finanziare attività viceversa lecite. Il confine è sfumato anche perché, se si ragiona in termini etici, diverse attività classificate come lecite non apparirebbero più tali guardando al modo in cui vengono gestite. Quello che mi lascia perplesso è il grado di ulteriore arbitrarietà che si introduce nelle misurazioni del PIL e delle sue variazioni: una perplessità tutt’altro che accademica, se si pensa all’impatto che le tali misurazioni hanno sul mercato finanziario e sullo stesso impianto della finanza pubblica. Il problema di misurare correttamente attività che per loro natura non permettono una verifica diretta si era già presentato in modo prepotente a metà degli anni ’80, quando - su spinta del governo Craxi - il nero entrò a far parte del PIL, catapultandolo alla più alta posizione mai raggiunta (prima e dopo) nel ranking mondiale; con l’introduzione ora delle attività illegali - che peraltro non è chiaro se almeno in parte fossero già contemplate all’interno del nero - si aggiunge un nuovo elemento di incertezza. La forte arbitrarietà nella valutazione porrà all’Italia un’alternativa politica di grande rilevanza: se attribuire un valore elevato (probabilmente realistico) alle attività illecite, con il vantaggio di migliorare i parametri economico-finanziari ma con il rischio di trovarsi in una posizione top in una futura black list; se viceversa sottostimarle per ragioni di immagine, perdendo ulteriori posizioni rispetto alla media dei Paesi UE che possono avvalersi - con i nuovi criteri contabili - di investimenti in R&D percentualmente più consistenti. www.ict4executive.it
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cover story
La “nuova” università dopo secoli di storia
di Stefano Paleari, Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo
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management
Al MIP il primo master in digital learning di Gianluca Spina, Presidente MIP Politecnico di Milano
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L’eccellenza è fatta di leader, persone e “piccole cose” di Tom Peters, scrittore, consulente ed economista
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osservatorio
Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Vincenzo Pompa Amministratore Delegato Postecom Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
Le imprese italiane e la crisi: export e innovazione le carte vincenti
di Daniele Lazzarin
A ciascuno la propria e personale multicanalità
di Andrea Boaretto, Politecnico di Milano
La Mobile Economy vale 25 miliardi. Ed è solo l’inizio
Andrea Rangone, Politecnico di Milano
La sostenibilità aziendale come vantaggio competitivo
di Vittorio Chiesa e Francesco Utizi, Politecnico di Milano
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speciale “mobile”
«Il Mobile ormai è decisivo per gestire il rapporto con il consumatore» Andrew Bud, Chairman del MEF,
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speciale “erp”
Una nuova generazione di sistemi ERP: Collaborative Business Application
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interviste
A2A: così abbiamo digitalizzato l’intero ciclo di fatturazione
di Daniele Lazzarin
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reportage
CIO in cerca di nuove competenze per l’innovazione del Data Center
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speciale “CLOUD”
Nel viaggio verso il Cloud dall’offerta un aiuto decisivo
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rubrica | ricerche e studi
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rubrica | nomine
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rubrica | who’s who cio
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cov e r s tory
di
stefano paleari
rettore università degli studi di bergamo
La “nuova” Università dopo secoli di storia La rivoluzione digitale bussa anche alle porte degli atenei, mettendo in discussione modalità di insegnamento rimaste sostanzialmente immutate dal Medioevo. Con le università telematiche e i Massive Open Online Courses, che raccolgono un numero crescente di studenti, si aprono nuovi scenari per la formazione ma anche per la ricerca, in cui l’integrazione fra il modello tradizionale e quello a distanza appare inevitabile
La rivoluzione digitale ha cambiato profondamente molti aspetti della società in cui viviamo. Si assiste ad una contrazione dello spazio e del tempo, mentre frammenti della nostra vita vengono trasformati in stringhe composte da 0 o 1. La fotografia, ad esempio, è sempre più appannaggio del digitale, principalmente per la convenienza economica e la praticità d’uso rispetto alla tradizionale pellicola. È facile pensare ad altri dualismi, come il vinile e gli MP3, dove il primo regala un’esperienza sonora senza paragoni, poiché le valvole sporcano e scaldano il suono, rendendolo così vivo e dinamico. L’MP3, di contro, offre un’esperienza sonora inferiore, pulita e fredda, ma pratica ed economica. Risulta chiaro quindi che quando lo tsunami del digitale colpisce un settore, il risultato è spesso disruptive e l’analogico diventa al più una nicchia di mercato. La rivoluzione digitale ha bussato da qualche tempo anche alle porte dell’Università. Attraver| 6 |
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so l’educazione a distanza, ossia la modalità di insegnamento che consiste nel formare studenti che non sono tutti presenti nello stesso luogo fisico, si cerca di offrire l’accesso all’apprendimento laddove l’insegnante e il discente non condividono lo stesso spazio o lo stesso tempo. È possibile che il metodo di insegnamento tradizionale, le cui modalità sono rimaste praticamente quelle di fine XI secolo, diventi via via una nicchia? Di fronte a questa potenziale trasformazione sorge una serie di interrogativi riguardo al modo in cui il digitale si sta affacciando al mondo dell’educazione. È perciò necessario che oggi le università riflettano su qual è il loro ruolo nell’insegnamento: evolveranno, verranno spazzate via? Dove si raggiungerà un nuovo equilibrio? Con gli stessi attori o con nuovi? L’educazione a distanza è stata nel passato un settore marginale, che oggi ritrova maggiore
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forza e competitività grazie alle tecnologie disponibili ed addirittura rischia di stravolgere l’università tradizionale. È opportuno dunque definire quelli che sono i maggiori fenomeni attraverso cui la rivoluzione digitale sta bussando alle porte del mondo dell’educazione, ossia le università telematiche e i MOOCs, facendo chiarezza riguardo ai loro tratti distintivi ed al loro impatto sulla società attuale. In estrema sintesi, le università telematiche sono università a tutti gli effetti in cui lo studente paga una tassa di iscrizione e, al termine del percorso, ottiene un attestato equipollente alle università “tradizionali”. Esse si possono considerare come l’evoluzione di quelle che una volta erano le cosiddette “università per corrispondenza”, le cui origini risalgono al 1858, quando la University of London, per prima, introdusse una laurea di questo tipo. Analogamente, MOOCs è l’acronimo di “Massive Open Online Courses”. I MOOCs sono corsi offerti liberamente su piattaforme online: “Massive” perché in genere hanno grandi gruppi come target; “Open” perché si può assistere a questi corsi liberamente; “Online”, sia nel senso
che possono essere consultati da tutti ovunque, purché si disponga di una semplice connessione internet, sia che essi sono gratuiti (o accessibili a prezzi molto bassi rispetto a un corso universitario tradizionale).
Henricus de Alemannia con i suoi studenti nell’Università degli Studi di Bologna nella seconda metà del XIV sec. Autore: Laurentius de Voltolina
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cover story | La “ nu ova” U ni v e r s i tà d opo s e co l i di st o ria
Chi è Stefano Paleari Nato a Milano il 24 gennaio 1965, Stefano Paleari si laurea con Lode in Ingegneria Nucleare presso il Politecnico di Milano nel 1990. Nel 1996 diviene Ricercatore in Ingegneria Gestionale presso l’Università degli Studi di Bergamo. Nel 1998 è Professore Associato in Economia ed Organizzazione Aziendale presso il Politecnico di Milano. Dal 2001 è Professore Ordinario di Analisi dei Sistemi Finanziari presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Bergamo. Dall’ottobre 2009 è Rettore dell’Università degli Studi di Bergamo. Dall’aprile 2011 è membro della Giunta e Segretario Generale della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI). Nel settembre 2013 viene eletto Presidente della CRUI. Dall’aprile 2013 è membro del board dell’EUA - European University Association.
Gli atenei telematici Gli atenei telematici sono istituti di istruzione universitaria abilitati a rilasciare titoli accademici a distanza, grazie alle nuove tecnologie telematiche. Non sono una novità in senso assoluto, ma piuttosto l’evoluzione di quelle che erano le università per corrispondenza. Hanno ritrovato un nuovo vantaggio competitivo grazie alle attuali tecnologie disponibili. La Tabella 1 riporta la crescita degli atenei telematici italiani inesistenti, fino a pochi anni fa. Gli studenti iscritti sono cresciuti tra gli anni accademici 2007/08 e la crescita 2011/12 ad un tasso medio del 32%, mentre le tasse di iscrizione sono incrementate mediamente del 44%. Ad oggi, si tratta di un fenomeno dai numeri contenuti, ma che si evolve a tassi di crescita importanti e interessa oltre 40 mila studenti (il 2,5% del totale degli studenti universitari). Analizzando i dati inerenti le università affiliate alla European University Association (EUA), la situazione italiana sembra allontanarsi rispetto alle altre nazioni europee. In Tabella 2 si può osservare infatti come il fenomeno sia cresciuto e gestito in maniera differente dalle
diverse nazioni: le università telematiche europee sono mega atenei, sotto il controllo pubblico. Solitamente ve n’è solo una per nazione, all’interno della quale è spesso la più grande. In Italia, invece, le università telematiche sono undici, private e di piccole dimensioni. Le università telematiche sono probabilmente, al momento, un’opportunità per accrescere il numero di persone che altrimenti non avrebbero deciso l’accesso all’educazione universitaria. I MOOCs I MOOCs (Massive Open Online Courses) sono un fenomeno del nuovo, nato negli Stati Uniti d’America e concretizzatosi proprio grazie alle università tradizionali, che, nonostante la novità, ha riscosso molto successo. Il loro impatto su scala mondiale risale in qualche modo all’autunno 2011 quando la Stanford University ha erogato gratuitamente un corso post laurea di intelligenza artificiale al quale si sono iscritti circa 160.000 studenti provenienti da 190 paesi. Gli utenti hanno superato il milione dopo solo quattro mesi: una partenza stupefacente, più rapida di quella di Facebook o di Twitter.
Tabella 1: crescita delle università telematiche italiane 2003/04
2007/08
2008/09
2009/10
2010/11
2011/12
Δ% 07/08 – 11/12
CAGR % 07/08 – 11/12
Numero
0
11
11
11
11
11
-
-
Studenti Bachelor & Master
0
13.123
17.974
26.155
39.055
40.017
205
32
Fees studenti Bachelor & Master (mln €)
0
19,5
26,7
45,9
71,9
84,9
335
44
Fees medie per studente Bachelor & Master (€)
0
1.488
1.486
1.757
1.841
2.122
43
9
Atenei telematici
Fonte: rielaborazione propria di dati MIUR
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cov e r st o ry | L a “n uova” U n iv e rsità do p o se c o l i di st or ia
Alcuni tra i principali provider sono elencati nella Tabella 4 ed è evidente come questo fenomeno sia del tutto recente e, ancora, molto Americandriven. Ciò che rende i MOOCs diversi degli atenei online è che alcune delle università, soprattutto tra le più prestigiose, in tutto il mondo offrono gratuitamente i propri corsi online, anche in una logica “preparatoria e complementare” (si pensi al Politecnico di Milano che ne fa uso per preparare l’ingresso degli studenti alle lauree triennali e alle magistrali). Queste decidono di proporre alcuni corsi online sui provider principalmente per aumentare o mantenere il proprio status. Le piattaforme offrono i loro corsi gratuitamente, si paga qualora lo studente avesse bisogno di un certificato riconosciuto da un’istituzione universitaria. Il prezzo è comunque modesto e deriva dalla possibilità di catturare significative economie di scala. Questi volumi (Coursera ha più di 7,1 milioni di iscritti) sono gestibili soprattutto grazie anche all’interazione che si innesta tra studenti. Creando uno spazio virtuale apposito, non è più indispensabile il rapporto personale con il docente; gli studenti fanno domande e rispondono ai quesiti mediamente in molto meno di un’ora in un forum creato ad hoc. I MOOCs potrebbero essere forieri di opportunità sia dal punto di vista dell’insegnamento, sia da quello della ricerca, anche della ricerca che si occupa dei meccanismi di apprendimento. I MOOCs provider, grazie alla grande quantità di iscritti ed all’uso intensivo dell’Information Technology, genereranno molti dati che potrebbero rivoluzionare la conoscenza delle dinamiche di apprendimento. Il terreno principale di scontro/incontro tra MOOCs e università è quello dell’insegnamento, e per capire le opportunità che possono arrivare da questa novità è appropriato capire qual è il valore aggiunto di un’università nell’ambito educativo che un corso online non può fornire.
Tabella 2: confronto tra università telematiche italiane ed europee
Status Numero Dimensione
Italia
Altri stati europei
Private
Pubbliche
11
1 per nazione (2 solo nel caso della Spagna)
Piccole
Mega Atenei
Per fare questo è necessario rispondere alla domanda sul ruolo che svolge l’università. Sarebbe davvero riduttivo immaginare un modello in cui la mente degli studenti debba essere solo “riempita”. Viene in mente la frase dello scrittore Michel Eyquem de Montaigne che diceva “mieux vaut une tête bien faite qu’une tête bien pleine”. La società verso cui viaggiamo è per natura in continuo mutamento e l’educazione deve fornire strumenti eccezionali in questa società “liquida”, per dirla come il sociologo Zygmunt Bauman. Sempre Bauman ci illumina con una metafora assai efficace: «I missili intelligenti, a differenza dei loro cugini balistici più anziani, imparano durante il tragitto. Pertanto all’inizio devono essere muniti dell’abilità di imparare, e di imparare in fretta». Questo obiettivo viene raggiunto in un contesto, che possiamo semplificare con “campus life” e che non si può riprodurre solo attraverso uno spazio virtuale. Per “campus life” si intende quell’insieme di esperienze di vita che formano lo studente e lo preparano non solo alla carriera lavorativa, intesa come bagaglio culturale basato sul metodo e sulle nozioni, ma anche alll’acquisizione di una visione più ampia della conoscenza, che rende l’istruzione un valore in sé. L’università tradizionale è un’esperienza non sostituibile da un corso online anche per la possibilità di lavorare in gruppo, sviluppare nuovi contatti e ascoltare i giudizi o le opinioni dei docenti e dei compagni di studio oltre che la declinazione territoriale della vita del campus.
Tabella 3: le università telematiche affiliate ad EUA Numero di studenti
% sul totale nazionale degli studenti
T.C. Anadolu Üniversitesi*
1.041.180
41%
Spagna
Universidad Nacional de Educacion a Distancia (UNED)
260.079
15%
Inghilterra
The Open University
250.000
18%
Nazione
Ateneo Telematico EUA
Turchia
Germania
University of Hagen
80.984
6%
Spagna
Universitat Oberta de Catalunya
60.876
4%
Grecia
Hellenic Open University (HOU)
31.192
8%
Netherlands
Open Universiteit Nederland
25.938
9%
Portogallo
Universidade Aberta
8.703
* telematica e tradizionale
4% Fonte: rielaborazione propria di dati EUA
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le università tradizionali a creare al loro interno appositi spazi virtuali per favorire e moderare tali discussioni senza nulla togliere ovviamente ad altre forme di interazione libere e di autogoverno per lo studente. opportunità e minacce del digitale
Questo non significa che l’università debba porsi in posizione di terzietà o, peggio, di alternanza. Non è mai in difesa che si raccolgono le sfide delle nuove tecnologie. I MOOCs possono anche rivelarsi un’opportunità per quello che riguarda l’attività in aula, svolgendo una funzione complementare. Talvolta le lezioni hanno luogo in aule sovraffollate e caotiche. Non credete forse che una lezione simile sia molto peggio di un’educazione a distanza? Quindi i corsi online potrebbero preparare lo studente all’attività in aula, e grazie a loro i professori potranno indirizzare la propria attività didattica, che sarà basata sugli interessi particolari o su domande di approfondimento da parte degli allievi o, meglio ancora, sul lavoro di gruppo. Oltre a questo, le università tradizionali potrebbero adottare, come è nei MOOCs, il sistema di interazione tra studenti, ovvero una piattaforma ottimizzata per lo scambio di conoscenza, informazioni e idee. Spesso, infatti, capita che gli studenti si ritrovino a far la stessa cosa su una piattaforma non idonea, ossia non ottimizzata ai fini accademici (i.e. Facebook). A tal proposito, dopo aver valutato il costo/opportunità, è forse bene che siano
La nuova tecnologia ha portato alla ribalta l’educazione a distanza: da un lato ha dato nuova linfa alle università per corrispondenza che, diventate on-line, si sono moltiplicate; dall’altra ha permesso anche agli atenei tradizionali di avviare iniziative che hanno portato alla nascita e alla diffusione dei MOOCs. Questi portano con sé molteplici minacce, ma anche molte opportunità per rinnovare un sistema che paradossalmente, pur creando innovazione, non si è ancora affacciato al digitale. La prima opportunità è quella di attenuare le disuguaglianze di accesso all’alta educazione: tutti coloro che hanno accesso ad internet possono avvicinarsi all’Higher Education e al Life Long learning, un ulteriore passo nell’ampliamento del range di talenti che vengono scoperti e valorizzati. È molto importante poter fornire educazione universitaria a persone che mai nella loro vita avrebbero potuto accedere a quel livello di istruzione: quindi questi nuovi strumenti non rappresentano un’alternativa ad iscriversi all’università, ma un’alternativa al non iscriversi all’università. L’integrazione Università tradizionale-MOOCs sarà un’evoluzione necessaria? Io penso di sì, basta ricordarsi che “in medio stat virtus”. E poi, prendendo spunto da Plutarco, Montaigne scrisse: «Insegnare non significa riempire un vaso, ma accendere un fuoco». I MOOCs potrebbero aiutarci a “riempire” in modo da poter lasciare all’università tradizionale la funzione di “accendere”.
Tabella 4: i principali provider di MOOC s
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Provider
Status
Coursera
Commercial
US
2011
iversity
Non-profit
Germania
2013
edX
Non-profit
US
2012
Canvas Network
Commercial
US
2008
OpenLearning
Commercial
Australia
2012
Udacity
Commercial
US
2011
Academic Earth
Non-profit
US
2009
FutureLearn
Non-profit
UK
2012
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Nazione
Anno di fondazione
m a n ag e m e nt
di
Gianluca Spina
presidente MIP-politecnico di milano
Al Mip il primo master in digital learning Viaggi di lavoro, agende sempre meno prevedibili, impegni familiari difficili da conciliare con l’attività lavorativa rendono oggi molto complesso frequentare un MBA in modalità tradizionale. Per questo il MIP, la Business School del Politecnico di Milano, ha sviluppato Flex EMBA, un innovativo formato che porta il concetto di Smart Working all’interno di un percorso di formazione Executive
Nel mondo della formazione universitaria si sta verificando un profondo cambiamento, rappresentato dall’aumento esponenziale delle opportunità offerte agli studenti di frequentare corsi in modalità digital learning. Innanzitutto, si assiste alla proliferazione dei cosiddetti MOOCs, acronimo di Massive Online Open Courses, accessibili tramite web cresciuti negli ultimi anni in maniera esponenziale, dai circa 100 corsi proposti nel 2012 a quasi 700 nel 2013, con una media di 2 nuovi MOOCs offerti ogni giorno per un totale di più di 1.200 corsi annunciati, tra nuovi e vecchi drop out. Questo profondo cambiamento si spiega innanzitutto con l’incredibile progresso veicolato dalle tecnologie digitali hanno fatto registrare, permettendo oggi agli studenti di apprendere, interagire e collaborare con una facilità d’uso e una completezza dell’esperienza formativa mai visti prima. Nella formazione post-laurea e post-esperienza il fenomeno dei MOOCs e dei corsi erogati intera| 12 |
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mente in modalità digital learning sta invece facendo registrare una diffusione più lenta. Questo si spiega con il fatto che, nel caso dei percorsi MBA ed Executive MBA, diventa fondamentale per gli allievi acquisire competenze soft (legate ad esempio alle capacità di negoziazione, leadership, gestione dei team) e sviluppare network di relazioni interpersonali. Si tratta di forme di conoscenza tacita che difficilmente possono essere trasferite attraverso un percorso di formazione completamente online. Le business school di tutto il mondo stanno però incrementando l’offerta di Master che utilizzano in larga misura le più moderne tecnologie di digital learning, affiancando il loro uso a momenti di interazione face-to-face, pensati per trasferire agli allievi le forme di conoscenza tacita sopra citate. Il Financial Times Ranking 2013 degli Online MBA, ad esempio, contiene 66 programmi in formato digital learning con queste caratteristiche. Questa crescita nell’offerta di percorsi MBA ed
m a n ag e m e n t | a l mip il p rimo ma st e r in dig ita l l e a rn i ng
Executive MBA in modalità prevalentemente digital learning è dovuta alla sempre più pressante richiesta di flessibilità manifestata dagli allievi interessati a frequentare questo tipo di Master. Viaggi di lavoro sempre più frequenti, agende via via meno prevedibili, impegni familiari difficili da conciliare con l’attività lavorativa, rendono oggi molto complesso frequentare un MBA in modalità tradizionale, faceto-face. Si tratta infatti di percorsi di formazione impegnativi, con una durata spesso superiore a un anno e mezzo, che rappresentano un impegno molto vincolante per chi intende frequentarli con assiduità e costanza, soprattutto se poi continua a mantenere, allo stesso tempo, importanti responsabilità in impresa. Il MIP, la Business School del Politecnico di Milano, ha deciso di dare una risposta a queste esigenze, che sempre di più si manifestano anche sul mercato italiano, sviluppando un innovativo formato Executive MBA, il Flex EMBA, che consente di acquisire le medesime competenze, di costruire lo stesso network di relazioni e di ottenere lo stesso diploma dei formati Executive MBA tradizionali, beneficiando però della massima flessibilità e compatibilità assicurate dalle più moderne tecnologie digitali. Il Flex EMBA, che partirà nell’autunno 2014, permette agli allievi di scegliere da dove seguire le lezioni, come fruire i contenuti, quando frequentare i corsi, costruendosi così un’esperienza formativa altamente personalizzata. Per la prima volta in Italia, in un percorso Executive l’esperienza formativa si adatterà all’agenda di lavoro degli allievi e ai loro impegni familiari e non viceversa. Tutto questo grazie a una rivoluzionaria piattaforma di digital learning, sviluppata su tecnologia Microsoft, che consente di studiare, apprendere e collaborare sfruttando gli stessi strumenti che quotidianamente siamo abituati a utilizzare in ufficio e a casa. Un breakthrough nel campo delle tecnologie per il digital learning, che porta l’esperienza formativa all’interno dell’ambiente digitale in cui ogni allievo vive e lavora, con una semplicità e immediatezza d’uso mai sperimentati fino ad oggi. Di fatto, il Flex EMBA porta il concetto di Smart Working all’interno di un percorso di formazione Executive. La piattaforma permette di accedere a contenuti video pre-registrati, di partecipare attivamente a video-sessioni di discussione e workgroup moderati dal docente, di interagire con gli altri allievi e di lavorare insieme a loro su progetti e assignment, di accedere a contenuti multimediali addizionali, di interagire one-to-one con i docenti. Tutto questo da qualsiasi luogo e utilizzando un qualsiasi terminale digitale (ad esempio laptop, tablet, smartphone, smart TV).
Il Flex EMBA si articola in 8 Corsi Core, tenuti in italiano, che gli allievi potranno seguire attraverso la piattaforma. A questi corsi si aggiungono dei momenti di interazione face-to-face, per un totale di 5 giorni distribuiti durante il percorso e organizzati presso la sede di Milano del MIP e progettati per sviluppare le soft skills, le capacità di negoziazione, di public speaking e di leadership degli allievi, oltre a permettere loro di costruire un solido network di relazioni inter-personali. Completano il Flex EMBA due Corsi Elective , da seguire in modalità face-toface al termine dei Corsi Core, scelti tra i corsi frequentati dagli altri allievi MBA del MIP, rafforzando in questo modo ulteriormente il loro network di relazioni. Al termine del percorso, è previsto un project work in cui mettere in pratica nella risoluzione di un problema concreto le competenze acquisite durante il Flex EMBA, in modo del tutto analogo agli Executive MBA tradizionali. Il Flex EMBA rappresenta una grande innovazione nel campo della formazione MBA anche perché si consente agli studenti di scegliere quando frequentare i corsi che compongono la loro esperienza formativa. La durata minima è infatti di 18 mesi, ma è possibile distribuire il proprio impegno in modo personalizzato e funzionale alle proprie esigenze, su un periodo di 3 anni. Inoltre, ogni Corso Core viene erogato due volte all’anno, consentendo così agli allievi di scegliere il momento più opportuno per frequentarlo. Il Flex EMBA è anche particolarmente adatto a soddisfare le esigenze delle imprese che intendono formare e far crescere i propri dipendenti ad alto potenziale, senza tuttavia allontanarli per molte ore dal luogo di lavoro. È un formato molto adatto anche a quelle imprese che hanno dipendenti sparsi per il mondo, i quali possono beneficiare di un aggiornamento e allineamento delle proprie competenze manageriali.
Flex EMBA si articola in 8 corsi online a cui si aggiungono momenti di interazione face-to-face
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m a n ag e m e nt
di
Tom Peters
scrittore, consulente ed economista
L’eccellenza è fatta di leader, persone e “piccole cose” Trent’anni dopo il suo libro “In Search of Excellence”, pietra miliare del management moderno, il celebre autore americano aggiorna la sua visione del concetto di eccellenza. «I leader fanno le persone, e il profitto è il risultato dello sviluppo delle persone: sono queste che determinano l’esperienza del cliente, per cui la gestione di un Brand coincide con la gestione del Talento»
Scopo di questo mio intervento non è raccontare nuove cose ma ricordarvi gli insegnamenti di vostra madre quando avevate 9 anni e tutto quello che avete dimenticato. Qualche anno fa ho addirittura scritto un libro dal titolo “In Search Of Excellence”. Penso che l’eccellenza sia una delle parole più importanti in assoluto. Questa parola si usa per innumerevoli cose, ma si tende a non farlo quando si parla di business. Invece a mio parere ogni tipo di organizzazione dovrebbe prefiggersi di raggiungere l’eccellenza: dalla squadra che gioca i Mondiali di calcio all’ufficio del commercialista. Negli anni passati abbiamo assistito a diverse rivoluzioni tecnologiche, ma oggi qual è la nuova combinazione di fattori che comportano cambiamento ed evoluzione? Pensiamo per esempio alla notizia che Foxconn installerà un milione di robot in Cina. Trent’anni fa i robot facevano cose estremamente sofisticate, per il resto c’erano le perso| 14 |
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ne. Quando l’automatizzazione arrivò nell’ufficio di mio padre, 40 anni fa, la conseguenza fu la perdita di un paio dei posti più sottopagati. Oggi è il contrario. Nel contenzioso legale in corso tra Apple e Samsung ci sono 500 avvocati da ciascuna parte che esaminano tutti i documenti, ma questo lavoro oggi si può comprare come servizio da specialisti di analytics come iDiscovery. Cosa significa questo? Disoccupazione anche per i migliori laureati. È questo il gioco a cui stiamo giocando. Ma io continuo a pensare che, a prescindere dalla grandezza dell’organizzazione di cui siete parte, il vostro primo dovere è aiutare chi dipende da voi a stare meglio. E che tutto gira intorno alle Persone, ai Clienti, e al Valore. Cinque anni fa fui invitato a tenere un seminario in Siberia. I siberiani non erano dell’idea di prendere parte a un’economia di tipo globale. Così spiegai loro che l’impresa, intesa nel senso migliore possibile, è una forza emozionale, vitale, innova-
m a nage m e n t | l’ e c c e l l e n z a è fat ta di l e a de r, p e rso n e e “p ic c o l e c ose”
Chi è Tom Peters Nel mondo del business, Tom Peters è un’autorità ben al di là di quella “industria del management” di cui pure è considerato il fondatore, insieme a Peter Drucker. E pur avendo oltre 70 anni (è del 1942) è tuttora un instancabile divulgatore: dal 1978 ha fatto oltre 2500 interventi pubblici, parlando a quasi tre milioni di persone. Dopo aver iniziato la carriera come consulente (è stato in McKinsey dal 1974 al 1981), Peters si è poi dedicato a molti temi - leadership, qualità, customer service, gestione risorse umane, innovazione, marketing, design – con altrettanti libri, ma il suo capolavoro è “In Search of Excellence” del 1982, scritto con Robert Waterman. Un libro che è considerato uno dei più importanti contributi di sempre alle moderne metodologie di management, anche per essere stato il primo ad aver utilizzato sistematicamente una serie di casi aziendali reali a sostegno delle sue tesi. Le strategie basate sulle teorie e sui numeri, spiega Peters, non servono a niente se si trascurano le fasi di esecuzione («9 fallimenti su 10 sono dovuti a errori nell’implementazione di un piano»), e le basi dell’eccellenza di un’organizzazione sono persone, clienti, valori e cultura: «Tutti elementi da presidiare continuamente, perché soggetti a rapidi e sostanziali slittamenti se trascurati anche per un momento». L’opera più recente, “The little BIG things” (Piccole grandi cose), è nata come una raccolta dei “consigli per il successo” (Success Tips) del frequentatissimo blog di Peters, e racconta molti casi di piccole aziende e iniziative a sostegno della tesi che l’eccellenza è il frutto di tanti componenti e contributi, ciascuno dei quali può essere continuamente migliorato e approfondito.
tiva, gioiosa, creativa e imprenditoriale, in grado di raccogliere tutto il potenziale umano e mettere la ricerca dell’eccellenza a servizio degli altri. Voi potreste obiettare: «Questo è troppo!». Ma io vi rispondo: perché non dovrebbe essere così? Come potete non aspirare a far parte di un’organizzazione? A meno che non siate nati molto ricchi, probabilmente spenderete la maggior parte della vostra vita a lavorare. Molti di voi non si alzano dalla scrivania Ma adesso parliamo di leadership, che secondo me bisogna esercitare sul campo. Hewlett-Packard utilizza il termine MBWA (Managing By Wondering Around). Starbucks è un’altra azienda il cui Amministratore Delegato dichiara di visitare almeno 25 store della sua catena ogni settimana. Dice che nonostante sia una grande azienda, «in fin dei conti,
si tratta di una persona che vende un caffè a un cliente: se non vedo questo nella pratica, non capisco quello che sto facendo». Ma la maggior parte di voi non si alza dalla sua scrivania! Il leader deve quindi girare, e anche saper ascoltare: ne parlo nel mio ultimo libro. Una parola semplice, accurata, è il modo migliore per dimostrare rispetto. E qui si manifesta un problema. Gli psicologi sostengono che l’elemento principale della nostra vita è la brama – la necessità disperata di voler contare qualcosa. Così, i dipendenti che non si sentono importanti danno difficilmente dei contributi produttivi. Una ricerca dimostra che il personale abbandona i manager, e non le aziende. Sono i manager che creano disaffezione, quindi sono la cosa che conta di più nel business. Intendo dire che un buon manager dovrebbe innanzitutto saper gestire i dipendenti in modo corretto. Abbiamo tanti esempi di manager formati in modo eccellente. I leader “fanno” le persone. www.ict4executive.it
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management | l’e cce l l e nz a è fat ta d i l e ad e r , p e rso n e e “p ic c o l e c o se ” Ogni leader deve consacrare la sua vita professionale allo sviluppo delle persone. È questa la cosa per cui viene pagato
venire ancora prima la persona che si prende cura dei clienti. Generalmente detesto i mission statement, ma uno dei migliori che ho mai letto è quello dichiarato da WPP, la multinazionale inglese che si occupa di pubblicità e PR. Dice: «Our mission is to develop and manage talent, to apply that talent throughout the world for the benefit of clients; to do so in partnership, to do so with profit». Io mi ritengo un capitalista perché credo nel profitto. Più è alto, meglio è. Ma la verità è che non ha senso puntare al profitto come obiettivo: il profitto è il risultato dello sviluppo delle persone.
Nessuno costringe una persona a diventare leader, è lui o lei che decide di consacrare il resto della sua vita professionale allo sviluppo delle persone. È questa la cosa per cui un leader viene pagato. Ogni manager determina lo sviluppo delle persone, ovunque. Il profitto È il risultato dello sviluppo delle persone Dopo tanti anni di esperienza lavorativa mi sono chiesto: «Cosa faccio per vivere?». La risposta è: Powerpoint. Così, ho deciso di mettere tutto quello che so all’interno di un Powerpoint che presto sarà disponibile sul mio sito. Conterà 4.096 slide e statisticamente una di queste sarà la vostra preferita. La mia dice questo: «Il business deve arricchire le persone, migliorando le loro vite o perlomeno non peggiorandole». Se quello a cui puntate è il profitto più alto possibile, cosa fate? Formate la migliore squadra possibile. Dovete trattare i vostri impiegati come se fossero clienti. Tutti dicono che il cliente viene prima di tutto. Io dico che se volete che il cliente venga prima di tutto, allora dovete far | 16 |
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A mio parere, la gestione di un Brand coincide con la gestione del Talento. La prima cosa che dovete fare in modo corretto sono le assunzioni. Fate entrare dalla vostra porta le persone giuste. Siete ossessionati dalle assunzioni? Se non lo siete, dovreste esserlo. Punto numero due: valutare le persone. Questo farà la differenza sul mercato. Punto numero tre: Training. Un top manager dovrebbe essere anche il responsabile aziendale per la formazione. Nell’esercito, il training è una necessità strategica. Nel business tutti pensano che sia una perdita di tempo: grave errore. Il prossimo punto è: Promozione. Dovreste prenderla sul serio fino a diventarne ossessionati. E poi c’è l’Innovazione. Per quel che riguarda l’innovazione, in tutti questi anni ho imparato una cosa, che riassumo così: WTTMSW, Whoever Tries The Most Stuff Wins. Quando qualcuno mi dice che sono un bravo relatore, rispondo che ho tenuto migliaia di discorsi. Michael Bloomberg, uno degli uomini più ricchi del pianeta, disse una volta: «Certo che facciamo errori, ma vi rimediamo rifacendo meglio le stesse cose. È come se fosse una continua prova, fino a quando qualcosa non diventa perfetto». Secondo punto riguardo all’innovazione: si crede che ci si uniformi alle persone con le quali si socializza nella propria vita. Dunque, se passate del tempo con gente noiosa, diventerete noiosi. Se passerete del tempo con gente stimolante, diventerete più interessanti. Recentemente ho letto che i genitori non possono fare altro per i loro figli se non decidere con chi fargli passare il tempo. Quello che voglio dire è che ogni singola decisione che prendete è una decisione strategica in termini d’innovazione. Un’interessante ricerca condotta da Bain dimostra che la maggior parte dei clienti ritiene di qualità superiore solo l’8% dei servizi ricevuti. Le stesse aziende oggetto della ricerca che invece descrivono come superiori i propri servizi si aggirano intorno all’80%. La differenza, ancora una volta, la fanno le persone.
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Vi voglio raccontare una storia. Una volta stavo prendendo un volo da Washington a New York. Vidi 5 o 6 persone su sedie a rotelle che aspettavano di essere imbarcate. Il pilota dell’aereo, prima di salire a bordo, chiese al primo ragazzo sulla sedia a rotelle se poteva accompagnarlo lui stesso sull’aereo. Questa storia mi fa venire ancora gli occhi lucidi. Non avevo mai visto nulla di simile, è un esempio di cosa vuol dire avere le persone migliori all’interno della propria azienda. Queste persone sono quelle che offrono vere “esperienze” ai clienti. C’è bisogno di un “responsabile per le esperienze” e di un “responsabile per le promesse” all’interno di ogni azienda per creare valore. A maggior ragione, nell’era dei social media, ogni vostro impiegato gioca la parte di ambasciatore nei confronti dei clienti. Le promesse fatte ai clienti oggi costituiscono una profonda relazione sociale. IBM ha abbracciato questo concetto di business sociale dieci anni fa. la crescita economica dipende dalle donne Il mio ultimo libro si chiama LBTs, Little Big Things. Il punto è che tutti parlano di grandi idee, ma si può fare così tanto a partire dalle piccole idee! Pensate a Wal-Mart. In azienda avranno di certo dei laureati di Harvard, ma un giorno è stato un impiegato a suggerire di ingrandire i carrelli della spesa, un cambiamento che ha fatto schizzare i profitti alle stelle. Non è stata necessaria una società di consulenza strategica per escogitare una cosa del genere: è una semplice, logica e soprattutto piccola idea che ha fatto guadagnare diversi milioni a Wal-Mart. Un altro esempio: nel 2011, il Presidente del Brasile ha annunciato il “secolo delle donne”. L’Economist ha scritto: «Dimenticate Cina, India e Internet: la crescita economica dipende dalle donne». Volete qualche numero a riguardo? Il mercato dei prodotti rivolti a un pubblico solo femminile è grande due volte Cina e India messe insieme. 28mila miliardi di dollari. Le donne si sono anche rivelate leader migliori. Se, in azienda avete più donne che ricoprono posizioni di rilievo, guadagnerete di più. Non vi
sto suggerendo di licenziare uomini per assumere donne. Vi sto semplicemente dicendo che le cose cambieranno in futuro, e sempre di più le donne acquisiranno importanza all’interno delle aziende. Ci sono due storie che preferisco in assoluto sulle “little big things”. La prima parla di Joe, che vive in una piccola città del New Jersey e possiede il “Red Carpet store”. Ogni volta che vedete un tappeto rosso, quello è fatto da Joe. La seconda storia parla di àncore per le navi. I migliori specialisti al mondo le costruiscono in una piccola città australiana. Queste persone hanno un contratto con il Governo degli Stati Uniti! Questo è il tipo di persona di cui sono follemente innamorato. Insomma, capite che non è necessario essere grandi per essere i migliori. E se sarete i migliori, giocherete in un mercato ben poco affollato. Concludo con una buona notizia: ogni essere umano è imprenditore, dai pescatori fino a Steve Jobs. E le opportunità che abbiamo sono infinite. Non rimarremo mai senza la possibilità di creare nuovi sistemi e nuovi prodotti. Per finire, ecco tre numeri che citavo già nel 2009, ora sono un po’ cambiati ma la sostanza resta: 14.000, 20.000 e 30. 14.000 è il numero di persone che allora lavorava per eBay. 20.000 i dipendenti di Amazon, e 30 quelli che lavoravano per Craigslist, che però generava molto più traffico di eBay e Amazon! Negli Stati Uniti a questo proposito diciamo “there is more than one way to skin a cat”, intendendo che esistono diversi modi di fare la stessa cosa: succede molto raramente, ma a volte qualcuno trova il modo di fare in dieci le stesse cose che finora richiedevano 10mila persone. Come disse Michelangelo, «il vero rischio non è porsi obiettivi troppo alti e non raggiungerli, ma porseli troppo bassi e raggiungerli».
Estratto dall’intervento che Tom Peters ha tenuto in occasione del World Business Forum 2013 di Milano.
«In Wal-Mart avranno di certo dei laureati di Harvard, ma è stato un impiegato a suggerire di ingrandire i carrelli della spesa: è una semplice, logica e soprattutto piccola idea che ha fatto guadagnare diversi milioni» www.ict4executive.it
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Os s e r vato rio di
DANIELE LAZZARIN
Le imprese italiane e la crisi: export e innovazione le carte vincenti Un rapporto Istat ha analizzato gli impatti delle recessioni 2009-11 e 2011-13 sul settore manifatturiero e le reazioni delle aziende, evidenziando i comportamenti vincenti nel singolo comparto e le strategie di successo, accomunate da forte presenza all’estero, relazioni, investimenti sui prodotti e formazione. Se n’è parlato in una tavola rotonda al MIP-Politecnico di Milano
«Questo rapporto dell’Istat è particolarmente interessante perché non si concentra sulle PMI o sui distretti, ma sulle differenze di competitività tra i settori e all’interno di essi: grazie all’uso integrato di dati aggregati e dati molto specifici si evidenzia che i comportamenti delle singole imprese contano, e che nello stesso settore e territorio si può vincere e si può perdere». Così Gianluca Spina, Presidente del MIP-Politecnico di Milano, ha introdotto la presentazione del “Rapporto 2014 sulla competitività dei settori produttivi” da parte di Roberto Monducci, Direttore del Dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche di Istat, in un incontro organizzato appunto dal MIP presso il Politecnico di Milano dal titolo “Chi vince e chi perde: l’industria italiana oltre la crisi”. Il rapporto, che nell’incontro del MIP dopo la presentazione è stato commentato in una tavola rotonda da quattro docenti del Politecnico di Milano (vedi i riquadri in queste pagine), è alla sua seconda | 18 |
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edizione: per la prima volta l’Istituto Nazionale di Statistica mette a disposizione di tutti sul web una scheda per ogni settore con oltre 70 indicatori e grafici relativi a struttura, strategie e performance delle imprese del comparto. «L’obiettivo è studiare le dinamiche competitive e le strategie adottate per affrontare la crisi nel triennio 2011-2013, caratterizzato da una forte e persistente caduta della domanda interna e da un rallentamento di quella estera nel 2013 – ha spiegato Monducci –. Le imprese più orientate all’export hanno potuto sfruttare la più vivace domanda internazionale, in un contesto ciclico comunque di forte difficoltà nei Paesi europei, che sono i principali mercati per il manifatturiero italiano». Il rapporto approfondisce in particolare tre temi: le tendenze dell’output industriale italiano nel contesto europeo; gli effetti della crisi del 2011-2013 sui singoli settori e imprese; e le strategie di risposta alla recessione nella visione delle stesse imprese italiane, appositamente intervistate.
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Per quanto riguarda il primo aspetto, l’attuale fase recessiva in Italia si sta rivelando particolarmente lunga e intensa, anche se in attenuazione negli ultimi mesi del 2013. A differenza delle precedenti, la crisi ha avuto un andamento a “W” con due cadute, nel 2008-09 e nel 2011-13, e un calo complessivo dell’output industriale più pronunciato rispetto a molti altri Paesi dell’Unione Europea. La Germania infatti ha recuperato quasi pienamente i livelli produttivi precedenti alla crisi (ma è l’unico Paese ad averlo fatto), mentre Italia e Spagna hanno perso rispettivamente quasi un quarto e un terzo del prodotto industriale, e Francia e Regno Unito mostrano andamenti intermedi.
Domanda interna/export, divario enorme La crisi del 2011-2013 in particolare mostra in Italia un’impressionante divaricazione tra il fatturato industriale nazionale e quello all’estero: «Il primo è crollato di circa il 17%, scendendo anche sotto il minimo della prima recessione, mentre quello estero ha fatto segnare una lieve crescita (circa il 3%), con un divario che è cresciuto di un punto al mese - osserva Monducci -. La Spagna è l’unico grande Paese ad aver mostrato un andamento del genere, che per entrambi i Paesi si riconduce alla debolezza della domanda interna e riguarda in particolare i beni intermedi e di consumo, mentre le vendite dei beni
Marco Giorgino: «Il modello di funding va rivoluzionato» «Nel rapporto si parla poco di finanza – sottolinea Marco Giorgino, Ordinario di Finanza Aziendale e Risk Management del Politecnico di Milano –. Mi stupisce positivamente che tra i fattori di successo non si citi l’accesso al credito, che forse è un alibi rispetto all’incapacità di affrontare la crisi agendo sulle leve industriali, sulla competitività. La ristrutturazione del debito come fattore di reazione alla crisi risulta minoritario, ma emerge una tensione finanziaria crescente in tutti i settori. Mediamente l’indebitamento resta alto, ma è molto alta anche la frazione di utili che viene distribuita in dividendi. Questo rapporto è un’altra conferma che è il momento di ripensare radicalmente il modello di funding delle imprese italiane, riducendo il ricorso alle banche e usando strumenti nuovi, come i “minibond” di cui si parla molto. La Banca può convertirsi in erogatore di servizi tout-court, anche non finanziari: per esempio è uno dei pochi soggetti che può aiutare una PMI ad andare all’estero».
Andrea Rangone: «Digitale e startup trainano la trasformazione» «In un’economia matura come la nostra, forse la dicotomia recessione-sviluppo è superata – così commenta il rapporto Istat sulla competitività Andrea Rangone, Ordinario di strategia d’impresa digital business del Politecnico di Milano –. Siamo in una fase di profonda trasformazione strutturale, che ha due driver principali: l’innovazione digitale e le startup. In questo scenario è limitativo guardare un settore nel suo insieme e dire che cresce o che cala. Diciamo per esempio che il settore media è in recessione, eppure ci sono imprese al suo interno che crescono del 15% medio annuo. Il fatto è che ogni settore ha una parte che cresce e guida la trasformazione, trainata da nuove realtà che cavalcano l’innovazione digitale, e una che cala perché non innova o è troppo consolidata. Per fare un esempio, il 95% dell’occupazione creata negli ultimi anni in USA è creato da nuove aziende: e non sto parlando solo di startup nell’industria digitale».
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osservatori o | LE I M PR E S E I TAL I ANE E L A CR I S I : E XP O RT E IN N OVA Z IO N E L E C A RT E V IN C E N T I
Fabio Sdogati: «Cresce chi va lontano» «È un rapporto realistico, metodologicamente condivisibile, con conclusioni omogenee rispetto a ricerche del MIP e del Politecnico di Milano. Si dimostra che la competitività è dentro la singola azienda, e sono molto interessanti i fattori che favoriscono l’entrata nel gruppo delle vincenti: cito l’esempio dell’auto, che reagisce al calo del 25% del fatturato con 600 milioni di investimenti». Questo il parere di Fabio Sdogati, Ordinario di Economia Internazionale, Politecnico di Milano e Direttore Divisione Executive Education, MIP: «La sintesi è che perdono i settori “vecchi”, mentre cresce chi va lontano: la politica dell’austerità ha ucciso la domanda interna, per cui dobbiamo affidarci alla domanda dei Paesi emergenti e all’internazionalizzazione delle imprese, che comprende l’esportazione».
Massimo Colombo: «Innovazione con partner e persone» «Un ottimo rapporto, anche se un po’ deprimente – così Massimo G. Colombo, Ordinario di Economia dell’innovazione del Politecnico di Milano, commenta il rapporto Istat sulla competitività –. È importante evidenziare cosa ha fatto quel 30% di imprese che è riuscita a crescere ugualmente: ha fatto innovazione a tutto tondo, facendo leva sui partner perché non aveva abbastanza risorse, e sulle persone. Sono molti anche gli spunti per ulteriori approfondimenti, per esempio sarebbe interessante capire se mostrano andamenti differenziali alcune categorie di imprese, come quelle che erano già all’estero prima del 2009, le imprese familiari, le PMI. In tutto il mondo le nuove imprese generano occupazione e aumento di produttività, ma in Europa e in Italia fanno fatica a crescere: questa è la patologia».
d’investimento mostrano dinamiche più omogenee con le altre grandi economie europee». L’alimentare traina il Made in Italy Passando agli effetti della crisi sui singoli settori e imprese, tra gennaio-ottobre 2010 e lo stesso periodo del 2013, il 51% delle imprese industriali ha aumentato il fatturato totale, ma solo il 39% è cresciuto sul mercato interno, mentre ben il 61% lo ha fatto sul mercato estero. Nel dettaglio, emergono come vincenti alcuni tra i settori tipici del “made in Italy”: innanzitutto l’industria alimentare, e poi articoli in pelle, bevande, produzione di macchinari e infrastrutture. Tra i peggiori ci sono abbigliamento, industrie del legno, e soprattutto produzione di mobili. Tra 2010 e 2013 quattro comparti hanno visto calare il fatturato estero (produzione di mobili, legno, stampa e abbigliamento), mentre solo l’industria alimentare è riuscita a crescere in Italia. Un’ulteriore conferma, quindi, della “forbice” tra il mercato domestico e quelli esteri, che ha ovviamente aumentato la propensione all’export. L’Istat ha diviso le im| 20 |
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prese industriali di oltre 20 addetti in quattro classi (fatturato all’estero sotto il 25% del totale, 25-50% del totale, 50-75%, e oltre il 75%), concludendo che nel periodo il 21% delle aziende è “salito” di classe, e solo il 5% è sceso. Quindi le ha classificate rispetto alle crescite o ai cali in Italia e all’estero. Le imprese “vincenti” (aumento del fatturato sia interno sia estero) risultano 4.600 (18,1% del totale), quelle “crescenti all’estero” (aumento del fatturato estero e calo di quello interno) sono 8.500 (33%), quelle “crescenti in Italia” (aumento del fatturato interno e calo di quello estero) sono 3.400 (13,3%), e quelle “in ripiegamento” (calo del fatturato interno ed estero) risultano 9.100 (35,6% del totale). «Abbiamo valutato caratteristiche strutturali, risultati economici, leve competitive (innovazione, investimenti in formazione, intensità delle relazioni con altre imprese), e orientamenti strategici (ampliamento della gamma dei prodotti, espansione su nuovi mercati, ridimensionamento, delocalizzazione), ricavando che a livello di singola impresa la probabilità di entrare nel gruppo delle “vincenti” aumenta al crescere dell’intensità delle relazioni con altre imprese o istituzioni, dell’attività innovativa, e
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degli investimenti in formazione». In ottica di settori invece le strategie che aumentano le probabilità di buone performance sono l’investimento in capitale umano, l’alto grado di connettività produttiva e l’innovazione di prodotto e processo, fattore quest’ultimo fortemente abilitante per l’espansione all’estero, «insieme alla delocalizzazione “costruttiva”, cioè usata come driver per attivare l’export, e non come modo di “scappare” dall’Italia».
to delle politiche di commercializzazione, ricerca di relazioni produttive con altre imprese, insourcing e concentrazione dell’attività nei segmenti di mercato più redditizi o dinamici. I settori più interessati a ridurre i costi sono stati autoveicoli e coke/raffinazione, mentre alla differenziazione dei prodotti hanno fatto ricorso per lo più le imprese dell’elettronica, e alla riduzione di prezzi e margini i settori più esposti sul mercato interno, quali stampa e metallurgia. Le strategie esterne sono state soprattutto di rafforzamento delle pratiche di commercializzazione, specie nei comparti bevande, elettronica-elettromedicale, metallurgia e macchinari, e di attivazione di nuove relazioni (joint venture, consorzi, ecc.) da parte di settori quali raffinazione e autoveicoli.
Le aziende positive sulla tenuta alla crisi Infine l’Istat nel dicembre 2013 ha chiesto direttamente a un campione rappresentativo di imprese manifatturiere quali strategie abbiano attuato per affrontare la crisi del 2011-2013. Le risposte, sottolinea Monducci, indicano un’alta capacità di tenuta alla recessione, e il sostanziale mantenimento della configurazione produttiva, con diminuzione netta dell’occupazione complessiva, che però ha riguardato soprattutto la forza lavoro meno qualificata.
In sintesi quindi, conclude Roberto Monducci, si può affermare che da una parte effetti settoriali significativi, e spesso dominanti, interagiscono con dinamiche individuali delle imprese fortemente eterogenee, ma associate a profili strategici definiti, «e dall’altra le relazioni con altre imprese, l’innovazione, l’investimento nelle persone e l’ampliamento della gamma dei prodotti sono le leve competitive determinanti per la tenuta e l’espansione delle vendite interne e/o estere».
Tra le politiche interne alle aziende prevalgono riduzione dei costi di produzione, miglioramento qualitativo e ampliamento della gamma prodotti, e contenimento di prezzi e margini. Tra le strategie “esterne” si è puntato soprattutto su rafforzamen-
Settori industriali: chi sale e chi scende Fonte: ISTAT
15 Alimentari
10 5
Tessile
Prodotti in metallo
Carta
Bevande
0
Coke
Variazione fatturato interno
Computer, -5 elettronica, ottica, ecc. Stampa
Legno
Farmaceutica
-10
Chimica Autoveicoli
-15
Apparecchiature elettroniche
-20 -25 Abbigliamento
Pelle
Gomma e plastica
Macchinari e apparecchiature NCA
Altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi
Altri mezzi di trasporto
-30 Mobili
-35 -10
-5
0
5
10
15
20
25
30
Variazione fatturato estero Variazione percentuale mediana del fatturato delle imprese per settore di attività economica tra il 2010 e il 2013 (gennaio-ottobre). L’ampiezza delle bolle è commisurata al peso del settore in termini di valore aggiunto
Fatturato totale in aumento Fatturato totale in diminuzione Fatturato totale invariato (var. in valore assoluto ≤ 1%) www.ict4executive.it
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Os s e r vato rio
di
Andrea Boaretto
Head of Marketing Projects School of Management Politecnico di Milano
A ciascuno la propria e personale multicanalità I concetti di “canale” e di “media” sono superati. ll Marketing deve mettersi nei panni dei consumatori, capire i loro bisogni, conoscere in dettaglio le frustrazioni che provano per raggiungere il loro obiettivo, comprendere quali sono i percorsi più naturali tra i “punti di contatto”. Occorre cioè conoscere i consumatori nella nuova dimensione di “Dynamic Personas”, a cui interessano cose diverse in momenti, luoghi e situazioni personali diverse
Ormai la parola “multicanalità” è entrata nel gergo comune, ma in realtà c’è gran confusione circa il vero significato e le potenzialità per le imprese. Alcuni la confondono con multimedialità, altri con cross-medialità o cross-canalità fino ad arrivare alla transmedialità, altri ancora si sono inventati il termine “omnicanalità” per evidenziarne un presunto superamento. Nel fare un po’ di ordine partiamo da un dato di fatto: i concetti di “media” e di “canali” devono essere rivisti: il termine più corretto è “punto di contatto (touchpoint)” per il semplice fatto che il consumatore non ragiona per numero di media a cui essere esposto o numero di canali con cui vuole entrare in contatto con le marche, ma interagisce naturalmente con più punti di contatto nel processo di acquisto e relazione con la marca a 360 gradi, negando di fatto l’esistenza stessa di canali, che non considera più tali (ovvero veicoli attraverso cui acquistare un prodotto o informarsi), ma come un | 24 |
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insieme integrato di interazioni multidimensionali che devono soddisfare bisogni specifici, ma al tempo stesso intrecciati e complessi. Inoltre, se mettiamo il “cappello” di uomini di marketing o di impresa, inconsciamente quando pensiamo alla “multicanalità” con molta probabilità associamo il fatto di aggiungere più canali nell’architettura dei punti di contatto di vendita, di comunicazione e di promozione. Al tempo stesso siamo sempre stati abituati a considerare alcuni canali come pivotali, ovvero principali, per cui gli altri lavorano in spirito di servizio per far convergere il traffico di consumatori (si pensi a tal proposito al ruolo dei negozi per un retailer), o a considerare alcuni canali come dominanti e gli altri come collaterali (si pensi agli spot televisivi, elemento centrale di una campagna pubblicitaria, e al sito Web e alle Mobile Application come espansioni e declinazioni della creatività dello spot).
o s se rvat o rio | A c ia sc un o l a p ro p ria e p e rso n a l e mult ic a n a lità
Per comprendere fino in fondo la multicanalità non dobbiamo fare altro che metterci nei panni dei consumatori, capire i loro bisogni, conoscere in dettaglio le frustrazioni che provano nel passare da un punto di contatto all’altro per raggiungere il loro obiettivo (che non coincide con l’acquisto di un prodotto ma con il soddisfacimento di un bisogno profondo), nonché comprendere quali sono i percorsi più naturali che essi fanno tra i punti di contatto per raggiungere tale obiettivo. In due parole occorre conoscere il consumatore come “Dynamic Personas” e analizzare il suo “Customer Journey”. Dynamic Personas supera e nega il concetto di target, spesso visto come statico, rigido, una sorta di bersaglio chiaramente identificato con variabili socio-demografiche e stili di vita rigidi, spesso difficilmente incrociabili con pattern di acquisto e stili di consumo. “Persona” significa guardare il consumatore appunto come un individuo con un nome, cognome, attitudini, motivazioni, frustrazioni, obiettivi da raggiungere, profilo tecnologico e di multica-
nalità. L’Osservatorio Multicanalità, realizzato da School of Management del Politecnico di Milano, Nielsen e Connexia, ci aiuta nell’identificare nuove personas (si veda lo schema nella pagina seguente) superando logiche di profilazione tradizionali ma basandosi su cinque variabili chiave: ruolo di Internet nel processo di acquisto, interazioni con i pari, interazioni con le marche, attitudine e pratica di eCommerce, ruolo dei device Mobile nel processo di acquisto. “Dynamic” significa capire che anche se ho identificato i tratti salienti della persona, occorre inserire una variabile chiave che è il “contesto”, ovvero la combinazione di tempi, luoghi e motivazioni, che fa cambiare in maniera forte e connotata le tipologie di contenuti fruiti sui media, nonché i pattern attenzionali e motivazionali dell’individuo stesso. In sintesi io posso essere sempre Mario Rossi, urbano, middle-affluency e con un elevato profilo multicanale (i.e Hyper Reloaded) ma avrò comportamenti motivazionali e attenzionali diversi verso contenuti editoriali e di marca a seconda del fatto che io sia su un mezzo pubblico per raggiungere il Si osservano anche comportamenti estremi di multicanalità: la second screen experience è effettuata dal 16% degli spettatori tv italiani in prime time
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osservatori o | A ci a s cu no l a pr opr i a e pe r s ona l e mult ic a n a l ità
posto di lavoro o la sera a casa sul divano, anche a parità di device (i.e. lo smartphone) e tipologia di contenuti fruiti (i.e. social networking). Il Customer Journey non è il processo di acquisto, ma il percorso che naturalmente ogni Persona effettua per raggiungere il suo obiettivo. Tale percorso è tanto più “isterico” e complesso quanto più il bisogno è sofisticato ed il profilo della Persona si avvicina a quello dell’Hyper Reloaded: in questo ultimo caso si osservano anche comportamenti estremi di multicanalità come l’utilizzo di più canali simultaneamente in più fasi del percorso, sia informative (si pensi alla pratica di multitasking mediale o di second screen experience, effettuata dal 16% degli spettatori tv italiani in prime time) sia di acquisto (si pensi al fenomeno dello showrooming, per cui il 36% degli Internet user italiani dichiara di usare lo smartphone nei negozi fisici). L’utilizzo simultaneo di più canali porta alcuni manager e consulenti a parlare di “omni-canalità”, nell’ipotesi che tutti i consumatori vogliano usare tutti i canali a disposizione e con l’auspicio, quindi un po’ velleitario, di “tracciare” i propri consumatori su tutti i canali e non solo su alcuni. Tuttavia non si può parlare in generale di una strategia multicanale come l’aggiunta di più canali all’attuale sistema delle interazioni (approccio noto come “multiple-channel”) né di voler utilizzare tutti i canali simultaneamente (approccio “ominicanale” di cui sopra): occorre capire che ad ogni Dynamic Persona interessano cose diverse in momenti, luoghi e situazioni personali diverse, e
quindi non si può generalizzare un approccio univoco di multicanalità, ma occorre progettare un sistema liquido e dinamico di interazioni multicanale e contestuali. Inoltre occorre prestare attenzione a non cadere nella trappola del “tanto è bello” (ovvero che per forza servono tanti canali): più ricerche evidenziano come, a fronte di diverse scelte, esiste anche un costo di processamento mentale nella selezione dell’alternativa migliore. Ciò non è molto diverso dal processo di scelta di marche e prodotti: tantissime marche significa complessità e confusione nella scelta e ciò provoca frustrazione… se a marche sostituiamo “punti di contatto”, il gioco è fatto. Di conseguenza occorre adottare un approccio nuovo verso la vera multicanalità, in cui ogni punto di contatto svolga il ruolo che il consumatore percepisce come naturale nel suo customer journey ma al tempo stesso sia coerente con gli obiettivi di business dell’impresa. La chiave di volta è semplice: le imprese devono far coincidere il più possibile obiettivi di business con obiettivi personali dei consumatori sempre più smart, lungo i molteplici canali, in maniera dinamica e non irrigidendo il sistema dei punti di contatto con percorsi pre-impostati e frustranti.
I profili dei consumatori multicanale italiani Touchpoint tradizionali (+)
Fonte: Osservatorio Multicanalità 2013, base: Internet user italiani
Newbie
social shopper
5 milioni (-6% vs 2012)
8,4 milioni (-21% vs 2012)
Bassa interazione con le aziende Bassa interazione con altri utenti Forti barriere all’eCommerce Marginale ruolo dei device mobili nel processo d’acquisto Stile di acquisto orientato al prezzo basso
Alta interazione con le aziende Partecipano attivamente a discussioni con altri utenti Medio/alta propensione all’eCommerce Marginale ruolo dei device mobili nel processo d’acquisto Stile di acquisto orientato al Value for Money
Touchpoint digitali (–)
Touchpoint digitali (+)
8,4 milioni (+9% vs 2012)
9,7 milioni (+28% vs 2012)
Bassa interazione con le aziende Leggono le opinioni di altri utenti Media propensione all’eCommerce Marginale ruolo del device Mobile nel processo d’acquisto Stile di acquisto orientato alla Convenience
Medio-Alta interazione con le aziende Partecipano attivamente a discussioni con altri utenti Alta propensione all’eCommerce Impatto rilevante del Mobile sul processo d’acquisto Stile di acquisto orientato alla Smart Choice
old style surfer
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Touchpoint tradizionali (–) www.ict4executive.it
hyper reloaded
Os s e r vato rio di
Daniele Lazzarin
andrea rangone school of management Politecnico di Milano
La Mobile Economy vale 25 miliardi. Ed è solo l’inizio In Italia l’ecosistema di mercati legati a device, App e reti mobili rappresenta l’1,6% del PIL, ma nel 2016 arriverà a 40 miliardi (2,5% del PIL), trainato dagli ambiti Commerce e Payment (7 e 6 miliardi). Andrea Rangone: «Non c’è fase del ciclo di vita della relazione con i clienti o processo interno aziendale che non sia migliorabile dal Mobile». Le conclusioni dell’Osservatorio Mobile & App Economy del Politecnico di Milano
L’uso dei device e delle reti mobili in Italia ha generato ormai un vero e proprio ecosistema, un insieme di mercati che si può definire “Mobile Economy” e che nel 2013 ha raggiunto il valore di 25,4 miliardi di euro, ovvero l’1,6% del PIL. Cifre già impressionanti, ma in continua rapida crescita, visto che tra soli tre anni arriveremo a oltre 40 miliardi, e cioè il 2,5% del PIL. È questo il principale responso della prima edizione dell’Osservatorio Mobile & App Economy, in cui i ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano hanno voluto appunto tracciare una visione sistemica e complessiva e definire una quantificazione economica di tutto ciò che in Italia ha a che fare con il Mobile. «Il circolo virtuoso del Mobile è ormai avviato, molti dati ce lo confermano – spiega Andrea Rangone, Coordinatore Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano –: in Italia ci sono oltre 37 milioni di smartphone, 7,5 milioni di tablet e 6 milioni di “oggetti intelligenti” connessi a reti mo| 28 |
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bili, oltre 2,5 milioni di Mobile App sono disponibili nei vari “store”, le reti a banda larga di nuova generazione LTE copriranno a fine anno il 60% della popolazione». Inoltre il 35% delle grandi aziende e il 25% delle PMI hanno introdotto almeno una soluzione software per mobile, mentre 600 startup operanti in ambito Mobile sono state finanziate a livello internazionale nel 2013. «Non c’è una fase del ciclo di vita della relazione tra azienda e cliente, e tra Pubblica Amministrazione e cittadini, che non sia supportabile e migliorabile tramite App e dispositivi Mobile, e lo stesso vale per i processi interni chiave di imprese pubbliche e private». 21 miliardi di consumi diretti e 4 miliardi di investimenti Dei 25,4 miliardi di euro quantificati dall’Osservatorio per il 2013, circa l’83% (21,2 miliardi)
o s s e r vat o rio | L a mo b il e e c o n o my va l e 2 5 mil ia rdi. E d è so l o l’ in i zio
proviene dai consumi diretti di consumatori e imprese, che secondo i ricercatori del Politecnico di Milano comprendono servizi tradizionali di telefonia mobile, vendita di mobile device, connettività dati mobile, mobile content a pagamento, Mobile Commerce (acquisto prodotti e servizi non digitali) e Mobile Payment. Il restante 17% (4,2 miliardi) rappresenta gli investimenti di aziende pubbliche e private: dall’evoluzione delle reti mobili in chiave broadband/LTE da parte degli operatori, allo sviluppo di Mobile App per uso interno o rivolte ai clienti, dalle soluzioni di Internet of Things alle attività di Mobile Marketing. Approfondendo l’ambito dei consumi, oltre la metà del valore (56%) è ancora rappresentato dai servizi “tradizionali” delle Telco (voce e sms), che sono però in forte contrazione (-20% rispetto al 2012). Seguono i ricavi dalla vendita di device mobili (incidenza poco oltre il 20%, crescita 13%) e la Connettività Dati (incidenza del 13%, crescita 8%), mentre valgono solo pochi punti percentuali le vendite di Contenuti e di beni e servizi (in crescita però del 30%) e ancora meno i mercati Mobile Commerce e Mobile Payment.
Quanto agli investimenti, quelli nello sviluppo di reti mobili a banda larga superano i 2 miliardi, e quelli per lo sviluppo di App e siti Mobile a supporto di processi interni o della relazione con il cliente salgono del 23%: quasi il 90% riguarda soluzioni enterprise, e in particolare App per la forza vendita o per i top manager. Inoltre cresce dell’11% l’ambito Internet for Things, trascinato dall’area Smart Car, e addirittura del 73% la spesa in Comunicazione e Marketing Mobile, oltre due terzi della quale è legata all’Advertising. Lo scenario tra tre anni Da qui al 2016, però, le cose cambieranno profondamente. I consumi secondo l’Osservatorio cresceranno del 61%, e gli investimenti del 39%, portando il valore della Mobile Economy italiana a 40 miliardi, corrispondenti al 2,5% del PIL. In ambito consumi, i servizi tradizionali caleranno ancora stabilizzandosi intorno al 30% del totale, mentre il 17% e l’11% verranno rispettivamente dalla vendita di device mobili e dalla connettività dati (in crescita media annua dell’11% e del 10%), ma l’incremento più forte si registrerà per gli am-
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I contenuti fruiti tramite Mobile raddoppieranno nei prossimi 3 anni, con un ruolo sempre maggiore giocato da Giochi e Video
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osservatori o | La m ob i l e e conom y val e 25 m i l i a rdi. E d è so l o l’ in iz io
zioni gestite tramite dispositivi Mobile (smartphone e tablet) utilizzati come lettori di carte di credito e bancomat, che tra tre anni potrebbero valere circa 2 miliardi di euro.
Nel 2013 in Italia le aziende pubbliche e private hanno investito nel Mobile, complessivamente, 4,2 miliardi: dall’evoluzione delle reti mobili allo sviluppo di App, dalle soluzioni Internet of Things a quelle di Mobile Marketing
Completa l’analisi dei consumi l’ambito dei Contenuti fruiti tramite Mobile, che andranno vicini al raddoppio nei prossimi 3 anni, con un ruolo sempre maggiore giocato da Giochi e Video. «Nel 2013 i consumi di contenuti tramite smartphone sono cresciuti del 35%, toccando circa 850 milioni, e ci aspettiamo che quest’anno arrivi al miliardo di euro», ha detto Marta Valsecchi, Responsabile della Ricerca. In buon incremento risulta la componente “pay” (spesa degli utenti in suonerie, sms, video in streaming, ecc.), ma ancora meglio è andato il Mobile Advertising (investimenti pubblicitari), che ha superato i 200 milioni. Nel primo caso si registra per esempio la crescita del 63% delle App, ma in genere la dinamica è minore delle attese perché rimane molto basso rispetto ad altri Paesi l’uso della carta di credito: «Il cambio di marcia per questo mercato può essere il pagamento mediante credito telefonico», sottolinea Valsecchi. Da segnalare in quest’ottica come “apripista” l’iniziativa di Wind per gli acquisti su Google Play, annunciata qualche mese fa. Quanto al Mobile Advertising, i ricercatori del
biti Mobile Commerce e Mobile Payment. Il Mobile Commerce secondo l’Osservatorio salirà dagli attuali 1,2 miliardi a oltre 7 miliardi di euro nel 2016, e la sua incidenza sull’eCommerce complessivo italiano dal 12% a oltre il 40%. Il Mobile Payment registrerà l’esplosione dei mercati Mobile Proximity Payment (i pagamenti in prossimità tramite smartphone), di cui oggi esistono solo poche sperimentazioni, ma che nel 2016 potrebbe valere circa 4 miliardi di euro, e Mobile POS, ovvero le transa-
i mercati mobile & app economy: il peso dei consumi nel 2013 e nel 2016
Vendite Device Mobili
Connettività Dati Mobile
11% 17%
Mobile Content Mobile Commerce
4% 21%
56%
29%
21% 13%
18% 4%
6%
2016
2013 Totale consumi 2013: 21,3 Miliardi di E Totale consumi 2016: 34,3 Miliardi di E
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Mobile Payment
Fonte: Politecnico di Milano
Servizi tradizionali telefonia mobile
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«Il circolo virtuoso del Mobile è ormai avviato: in Italia ci sono oltre 37 milioni di smartphone, 7,5 milioni di tablet, 6 milioni di “oggetti intelligenti” e oltre 2,5 milioni di App. Il 35% delle grandi aziende e il 25% delle PMI ha introdotto almeno una soluzione di Mobility»
Politecnico si aspettano un raddoppio degli investimenti delle aziende tra il 2013 e il 2016, trainati in particolare dalla Pubblicità, ma anche dalla nascita dei servizi di Mobile Couponing, e dallo sviluppo di soluzioni software Mobile a supporto sia dei processi interni che della relazione con il cliente. Internet of Things, +80% in tre anni Sempre nel campo degli investimenti, infine, i ricercatori dell’Osservatorio evidenziano anche le potenzialità delle soluzioni Internet of Things: alcuni ambiti già avviati, in particolare le auto connesse (Smart Car), assicurano a questo mercato la possibilità di crescere dell’80% in tre anni, raggiungendo nel 2016 il valore di 1,6 miliardi di euro,
ma altri più innovativi (la diffusione dei “wearable device” e del relativo ecosistema di App, lo sviluppo di soluzioni in ambiente cittadino e sanitario, ecc.), già protagonisti di alcune interessanti sperimentazioni internazionali, potrebbero aprire prospettive molto più ampie. «A tutti questi effetti diretti della Mobile & App Economy sul PIL si potrebbero aggiungere diversi altri benefici indiretti – conclude Marta Valsecchi -: tra questi c’è per esempio l’aumento di produttività dei Mobile worker, stimabile nel 2013 nell’ordine di grandezza dei 10 miliardi di euro sulla forza lavoro italiana, e poi l’impatto positivo dell’uso dei canali informativi Mobile sulle vendite “tradizionali”, e l’effetto benefico del Mobile nell’allargare la base di utenti Internet, e quindi nel ridurre il “digital divide” italiano».
i mercati mobile & app economy: il peso degli investimenti nel 2013 e nel 2016
Investimenti per sviluppo App e Mobile site Investimenti per sviluppo soluzioni Internet of Things
20% Investimenti su reti mobili
38%
16% 54% 22% 15%
Comunicazione e Marketing su Mobile
8%
2016
2013 Totale investimenti 2013: 4,2 Miliardi di E Totale investimenti 2016: 5,8 Miliardi di E www.ict4executive.it
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Fonte: Politecnico di Milano
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Speciale “mobile”
Andrew Bud Chairman del MEF, ceo di iproov ed ex cto di omnitel
«Il Mobile ormai è decisivo per gestire il rapporto con il consumatore» Andrew Bud, Chairman del MEF (la principale associazione mondiale di operatori del Mobile Content e Commerce), e già Head of Mobile di Olivetti e CTO di Omnitel, ci spiega il suo punto di vista sui trend del settore: «Cresce il ruolo del Mobile come strumento di relazione, ma anche di pagamento, soprattutto in termini di peer-to-peer, e di identificazione. Il punto più critico resta la trasparenza nell’uso dei dati personali»
Il MEF è la principale associazione mondiale per gli operatori dei mercati Mobile Content e Commerce, e comprende 200 tra produttori di device, sviluppatori, media agency, venture capital, produttori di sistemi di transaction management, analisti e consulenti. Le sue principali attività sono i premi Meffys e l’evento MEF Global Forum, che si tiene in novembre a San Francisco. Andrew Bud, Founder e Chairman di the Global Board del MEF, nonché Founder e CEO of iProov, startup inglese specializzata in tecnologie cloud-based di riconoscimento facciale per la Mobile user identification, è quindi un ottimo interlocutore per capire i più recenti trend del mondo Mobile: il suo curriculum comprende anche la fondazione di diverse startup Mobile, e una lunga esperienza in Italia come Head of Mobile di Olivetti (1988-96) e CTO di Omnitel. L’abbiamo intervistato, chiedendogli innanzitutto quali sono i principali trend che vede nei servizi Mobile nei prossimi 12 mesi. «Ci sono così tante innovazioni in corso nel mondo Mobile che è difficile indicare quali si realizzeranno pri| 32 |
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ma – ci spiega Bud –. Alcuni trend però si stanno definendo nettamente: i crescenti ruoli del Mobile come strumento di pagamento, veicolo di contenuti audio e video su reti sempre più veloci, e base per identificare l’utente in molti contesti, e le opportunità legate alla sua centralità nelle vite delle persone sui social media. Inoltre mi aspetto l’avvento anche in Europa dell’enorme industria cinese del Mobile content e commerce. Ma la tendenza forse più importante è la raggiunta consapevolezza di tutti i settori consumer che il Mobile non è più un gadget, ma un componente decisivo della strategia di relazione con i clienti nel senso più lato». È ormai chiaro a tutti che il Mobile offre grandi opportunità, ma quali sono le criticità principali? Accanto alle opportunità per servire meglio il cliente ci sono anche molti rischi di contrariarlo fortemente. L’industria ha sofferto e imparato la lezione, anche se mi sembra che Apple e Google per esempio abbiano mostrato per certi versi di ignorarla nella gestione dei
Speciale “mobile” loro App store: speriamo imparino anche loro velocemente. Oggi il Mobile è un enorme collettore e utilizzatore di dati personali. Ciò è positivo, perché permette ai provider di offrire servizi nuovi e migliori. Ma se i consumatori si sentono ingannati, le ripercussioni possono essere gravi. La fiducia del consumatore è un asset molto volatile. L’indagine MEF Consumer Trust dimostra che la percentuale di consumatori inquieti e all’erta sulle modalità di raccolta, condivisione e uso dei loro dati cresce continuamente, e ora è del 40% nel mondo. In Europa abbiamo ottime leggi di protezione dei dati, ma non sempre sono fatte rispettare. I consumatori devono essere informati in modo appropriato e trasparente su quali dati vengono raccolti e cosa se ne farà, e il loro consenso dev’essere registrato. Se ciò viene fatto, la fiducia del consumatore è assicurata. Quali trend vede in particolare nel mondo del Mobile Payment & Commerce? Il Mobile esprime il meglio di sè quando rende la vita più semplice alle persone. I pagamenti NFC continuano a crescere, ma il mercato è deluso perché la tecnologia NFC per ora non è riuscita a mantenere le sue promesse. Penso che sia perché, quando è usata come sostituto del contante nelle piccole transazioni, non fa la differenza per il consumatore. Dove invece vedo un forte impatto del Mobile è nell’abilitazione dei pagamenti da persona a persona (peer to peer). Questo è già un trend molto concreto in Paesi in via di sviluppo come Filippine e Kenya, ma sta crescendo anche nei Paesi avanzati, per esempio per pagare “alla romana” nelle cene in compagnia, o rimpiazzare gli assegni nel pagamento di un servizio personale. Il successo di servizi come Pingit di Barclays Bank nel Regno Unito è stato notevole, e ora sono in corso progetti che riguardano interi Paesi. L’uso del Mobile come terminale di pagamento ha reso finalmente conveniente per i piccoli esercenti accettare pagamenti non cash, specialmente carte di credito. Forse però il trend più interessante è l’emergere di un nuovo tipo di servizi: l’emissione e sottoscrizione di user identity. L’identificazione dell’utente è cruciale per molti tipi di transazioni, non solo bancarie e finanziarie. Se può essere garantita, dà al consumatore più libertà e una migliore user experience. Molti operatori Mobile, startup e realtà di settori diversi si stanno muovendo in questo campo. Sempre nel Mobile Payment & Commerce, se dovesse scegliere tra “Over the Top”, Telco e Banche, su chi scommetterebbe? È la domanda che si fanno tutti. Molti pensano che non saranno le Telco, almeno nei Paesi con infrastrutture sviluppate. I pagamenti sono tradizionalmente una cosa da banche, ma i vincoli e le conformità normative e regolamentari che riguardano le banche non sono molto attrattive per le Telco. È vero che diversi
OTT si stanno mettendo in luce, e i più grandi, come Paypal e Amazon, sono destinati ad avere un ruolo di primo piano. Ma è difficile che un OTT possa creare vantaggi competitivi sostenibili in un mercato indifferenziato e competitivo come i pagamenti, dove oltretutto esistono “incumbent” fortissimi. Tutto dipenderà dalla capacità di banche e gestori dei sistemi di pagamento di innovare velocemente. Quali sono le sfide che si trova ad affrontare il MEF? Oggi il MEF deve dare risposte uniche a tre chiare esigenze che emergono dal mercato, ciascuna delle quali richiede di superare un confine. Il primo è quello tra fornitori tradizionali di servizi mobile e nuovi entranti. Come ho detto, oggi il Mobile è un componente decisivo della strategia di CRM di qualsiasi azienda che si rivolge ai consumatori, e molte di queste non conoscono bene la materia. Hanno bisogno del supporto di esperti del mondo Mobile, e il MEF può aiutarle. Il secondo è un confine geografico. Ogni grande vendor che operi nel Mobile ha bisogno di raggiungere una dimensione globale, ma espandersi in nuovi territori è difficile, richiede competenze e relazioni. In questo senso il MEF sta dimostrando la sua utilità come supporto per cercare contatti e visibilità e conoscere nuovi mercati, e in particolare il MEF Global Forum gioca un ruolo importante. Il terzo è un confine dimensionale tra le aziende. C’è un’esplosione d’interesse delle grandi corporation per piccole realtà fortemente innovative. Di solito le grandi aziende cercano altri tipi di partner, ma stanno rivedendo il loro atteggiamento perché capiscono che allearsi con realtà molto dinamiche è l’unico modo per cambiare abbastanza in fretta da restare competitivi in settori in profonda trasformazione. E il MEF può essere un catalizzatore per stringere simili partnership.
«Un’enorme ammirazione per l’industria Mobile italiana» Andrew Bud esprime “enorme ammirazione” per l’industria Mobile italiana. «È diventata leader mondiale nel Mobile content e commerce, e mantiene un ruolo preponderante nel mercato globale. È avanti rispetto ad altre, e s’è adattata alle condizioni di mercato in molte regioni con un’intraprendenza che l’ha portata a raggiungere una dimensione importante. Ho una particolare predilezione per l’Italia: gli anni che ho passato in Olivetti sono tra i più importanti della mia carriera. Ho lavorato con professionisti, imprenditori italiani, tecnici di grande competenza e serietà e questo mi ispira un profondo rispetto per loro. La flessibilità, adattabilità e approccio creativo alla soluzione dei problemi sono molto superiori a quelle che ho trovato oltreoceano. Ma sono i risvolti umani del lavorare e del fare business in Italia che sono insuperabili. Poi il fatto che mia moglie e i miei 4 figli siano cittadini italiani influenza di certo il mio parere…».
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Speciale “mobile”
BlackBerry, ritorno alle origini
«Tanti l’hanno dimenticato, ma quest’azienda nasce proponendo soluzioni, non come produttore di smartphone. Vogliamo tornare alle origini, sganciarci dal dispositivo e focalizzarci sull’offerta di soluzioni e servizi per le aziende, non solo quelle grandi». Così Diego Ghidini, Director Business Sales, racconta la strategia della “nuova” BlackBerry, che poggia sui pilastri che, negli anni in cui l’azienda era all’apice del suo successo, le hanno permesso di conquistare il mercato della mail in mobilità, anzi di crearlo: la sicurezza della soluzione, l’infrastruttura mondiale, l’esperienza nella gestione dei sistemi Mobile. BlackBerry ha spostato il focus dai terminali alle soluzioni di Enterprise Mobility Management. Quali passi concreti hanno segnato questa svolta? Oggi purtroppo la maggior parte delle persone associa BlackBerry al terminale, ma se in passato siamo riusciti a rivoluzionare il mercato della mail in mobilità attraverso un dispositivo è per il software e l’infrastruttura che c’è dietro: pochi lo sanno, ma in realtà è il nostro asset più importante. Gestiamo la più grande VPN al mondo, un’infrastruttura che mai nessuno ha replicato, utilizzata da milioni di clienti: ecco perché siamo ancora imbattuti sul fronte della sicurezza. La rifocalizzazione che l’azienda ha realizzato in questo ultimo periodo si basa su questo asset e guarda al mercato delle aziende, mentre negli anni passati l’attenzione era più concentrata sulla parte consumer, ovvero sui terminali non gestiti. Lo abbiamo dimostrato con i fatti e con il lancio dei
p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...
I T.Blac k ber ry.com
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Senza dimenticare gli smartphone, negli ultimi mesi la società si è focalizzata sul mercato business dell’Enterprise Mobility Management, puntando su completezza della soluzione, sicurezza ed esperienza
Diego Ghidini Director Business Sales BlackBerry
nuovi prodotti. Pensiamo a eBBM, la versione business della nostra la piattaforma di instant messaging, che è diffusa in tutto il mondo. Oggi, infatti, anche nelle aziende più disciplinate dal punto di vista della sicurezza e dei sistemi informativi buona parte della comunicazione passa dalle chat. Ma soprattutto lo dimostra la nuova versione del BlackBerry Enterprise Server (BES), la piattaforma di Enterprise Mobility Management: fino all’inizio dell’anno scorso la soluzione supportava solo BlackBerry, mentre oggi può gestire tutti i terminali, con le stesse caratteristiche di sicurezza: è un cambiamento epocale. Negli ultimi anni il mercato del Mobile Management è cresciuto rapidamente. Quali sono i punti di forza della soluzione BlackBerry Enterprise Server rispetto alle piattaforme concorrenti? È un sistema molto sicuro, rodato e consolidato perché nato da 14 anni di esperienza, facile da gestire e immediato nel deployment. Va detto che quello dell’MDM è un mercato che BlackBerry ha contribuito a creare: se avessimo gestito sin dall’inizio anche i terminali di altri vendor non avremmo lasciato questo
Speciale “mobile”
«L’infrastruttura mondiale, utilizzata da milioni di clienti, è il nostro asset più importante: ecco perché siamo ancora imbattuti sul fronte della sicurezza»
spazio, dove si sono inserite molte start up. I sistemi iOS e Android nascono per il mondo consumer, non sono predisposti alla gestione come i BlackBerry. Così, quando le aziende hanno permesso ai dipendenti di portare i terminali da casa (Bring You Own Device) si sono trovate nella necessità di affiancare una seconda piattaforma di gestione in parallelo al BES. Abbiamo creato un’opportunità: se non fosse stato così molte aziende oggi non esisterebbero. Ma la cosa positiva è che i nostri clienti hanno potuto sperimentare le differenze. Il sistema BES si è aperto ma è anche molto evoluto rispetto al passato. Fino a qualche tempo fa il software gestiva solo i terminali, con funzioni semplici come la cancellazione dei dati da remoto, il reset della password. Poi il proliferare delle app sugli smartphone ha creato nuove necessità e la gestione si è estesa al mondo applicativo: è possibile ad esempio impostare policy per stabilire quali utenti possono utilizzare determinate applicazioni, o che tipo di accesso dati è possibile dare al dipendente. Da un punto di vista di pianificazione e controllo, la situazione è più complessa. Le policy per gestire la parte hardware in genere non cambiano spesso. Il tema delle applicazioni invece è fluido, perché, ad esempio, se ne sviluppano di nuove, o cambiano i nuovi gruppi di lavoro che le usano. Il Mobile Application Management è un’attività complessa, consuma tempo, che si traduce in costi. Un recente report di Strategy Analytics (“Enterprise Mobility Management: A review of Total Cost of Ownership”) ha rilevato come il BES 10 sia la soluzione più vantaggiosa nell’Enterprise Mobility Management sulla base di un TCO di cinque anni. Il rapporto sottolinea come la natura “all inclusive” dell’offerta BlackBerry fornisca un vantaggio di costo tangibile. Avete un parco installato del BES molto ampio. Ci sono offerte particolari per incentivare queste aziende a provare la nuova versione? Abbiamo accompagnato il lancio del BES 10 con un’offerta commerciale interessante, per favorire la migrazione: la possibilità di fare un upgrade del-
le licenze acquistate a suo tempo a costo zero per portarle sulla nuova piattaforma. E questo vale anche per le licenze delle piattaforme concorrenti, per dare la possibilità di toccare con mano la versatilità della nostra soluzione. Va detto che uno dei mercati più interessanti per noi è quello che definiamo “regulated”, ovvero le organizzazioni che hanno esigenze stringenti di privacy e dove la sicurezza è fondamentale: sono enti governativi e militari, ma naturalmente non possiamo fare nomi. La sicurezza, insieme al costo, è una delle priorità più importanti quando si sceglie un partner multi-piattaforma per il Mobility management. Torniamo sul punto della sicurezza e sul ruolo dell’infrastruttura globale di BlackBerry… L’affare Snowden dimostra quanto sia delicato questo aspetto. La nostra infrastruttura globale è interessante per chiunque debba proteggere dati sensibili o protetti da privacy. Non a caso, abbiamo fatto un investimento strategico in una società che si occupa di IT in ambito medicale, NantHealth. Oggi prendono piede modelli di assistenza dei pazienti a casa o attraverso connessioni fra ospedali, per abbattere i costi. Vengono trasmessi dati sensibili e la nostra infrastruttura mondiale viene in aiuto. Un altro esempio sono le case automobilistiche: le auto di fascia alta sono equipaggiate con una SIM che riceve da remoto aggiornamenti del firmware della centralina elettronica o del sistema di infotainment. Anche qui si tratta di dati sensibili. Abbandonerete il mercato degli smartphone? No, non abbiamo dimenticato i terminali, e siamo sempre interpellati quando un direttore dei Sistemi Informativi decide di rinnovare il parco terminali perché siamo l’unico produttore che riesce a garantire una soluzione end to end, che parte dal device e arriva al sistema di gestione. Diversamente, l’azienda è costretta a gestire molti partner: chi produce il telefono, chi il sistema operativo mobile, chi MDM, chi fornisce il supporto e servizi. | 35 |
Speciale “mobile”
La Mobile Economy punta sull’esperienza del mondo bancario
La Mobile Economy, il nuovo mondo nato intorno a smartphone e tablet, compagni di vita irrinunciabili per ciascuno di noi, sta scompaginando rapidamente interi settori e creando altrettanto rapidamente nuovi business e servizi. È l’effetto disruptive dell’innovazione, che ha come principale forza motrice proprio la Mobility e che spinge ogni azienda a ripensare il proprio ruolo e spesso a stringere alleanze con sbocchi fino a poco tempo fa impensabili. Non c’è settore che non sia stato interessato, ma quello dei pagamenti è certamente fra i più coinvolti da questo trend. L’eCommerce ne è l’espressione più nota, ma non sono da meno le transazioni tramite cellulare, il cui utilizzo è destinato a esplodere anche in Italia. Un paio d’anni fa, banche, circuiti e società di telecomunicazioni hanno avviato tavoli di confronto per unire le forze e collaborare, e da fine aprile è ufficialmente partito su scala nazionale il primo servizio di pagamento da smartphone con tecnologia NFC. Un punto di partenza, più che di arrivo: ci si aspetta, infatti, che a questo facciano seguito molte altre soluzioni innovative, basate sempre su cellulari di ultima generazione. Contaminazione di competenze Nell’ecosistema del Mobile Payment SIA svolge un ruolo chiave. La società ha progettato e realizzato una piattaforma tecnologica aperta e interoperabile che connette tutti gli attori coinvolti, ed è da anni impegnata ad interpretare il cambiamento in atto, con otto progetti pilota avviati, supportando l’inno-
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Dalla collaborazione fra realtà differenti operanti nel mondo consumer stanno nascendo i servizi del futuro, basati sullo smartphone Velocità, sicurezza e semplicità sono le parole chiave per il successo
Carlo Maiocchi Direttore della Divisione Corporate di SIA
vazione nel mondo dei pagamenti con l’obiettivo di semplificare la complessità. «Dal nostro punto di osservazione - dice Carlo Maiocchi, Direttore della Divisione Corporate di SIAnotiamo che le aziende attive nel mondo consumer si stanno spostando verso nuovi ambiti di business, per poter interagire con i clienti nel modo più completo possibile. Grazie a una forte contaminazione di competenze provenienti dal mondo bancario, in tema di pagamenti si stanno creando interessanti collaborazioni virtuose che mettono insieme la capacità di relazionarsi one-to-one con l’utente finale in modo efficace con le esigenze di affidabilità e sicurezza dei pagamenti». Alleanze fra telco, banche e circuiti sono alla base di nuovi servizi di pagamento da smartphone, un altro significativo esempio è l’ingresso di colossi del ramo petrolifero nel mondo delle carte e del couponing. In questo nuovo scenario, un fattore chiave, secondo Maiocchi, è la velocità. «Oggi è possibile testare rapidamente le reazioni di un consumatore, capire se la strada intrapresa è quella giusta, riposizionare una
Speciale “mobile”
campagna di marketing su un determinato target. Il marketing è virale, e attraverso i social il consumatore più o meno consapevolmente può dare uno stimolo notevole alla velocità di propagazione di un’idea. Le nuove iniziative possono nascere e morire molto rapidamente: la capacità di comprendere i bisogni è uno dei driver fondamentali». Altri aspetti determinanti per il successo di una soluzione sono la sicurezza e la semplicità, alla base di una user experience funzionale e appealing. «Quando non puoi guardare negli occhi il tuo interlocutore è assolutamente necessario garantire affidabilità e senso di protezione - puntualizza Maiocchi - caratteristiche proprie della cultura interbancaria e che fanno parte del DNA di SIA da sempre. Il nostro impegno è quello di mettere a disposizione idee, tecnologie, competenze e relazioni, sedendoci allo stesso tavolo con i clienti, siano essi banche, aziende o enti pubblici. Vogliamo continuare ad avere un ruolo primario come facilitatore per costruire soluzioni efficaci e legittimate dal mercato. E’ la sfida su cui stiamo lavorando ormai da molto tempo». I pagamenti NFC sono un caso di successo, frutto di anni di lavoro. «La nostra iniziativa è diventata un esempio a livello europeo - continua il manager. Stiamo ricevendo diverse richieste dall’estero che vogliono imitare l’esperienza italiana. Per creare l’ecosistema con le principali banche e telco c’è voluto un po’, ma ora il modello sta facendo da apripista in Europa. E l’Italia sarà la base per lo sviluppo di altre soluzioni innovative». L’evoluzione dei pagamenti contactless è il Digital Wallet, una applicazione da scaricare sul cellulare. Si tratta di un portafoglio virtuale che può contenere tutte le carte di plastica che oggi abbiamo nel portafoglio, da quelle per i pagamenti fino a quelle fedeltà. «Il Wallet sullo smartphone è il primo punto di contatto con un’azienda, una sorta di personal assistant che deve essere utile e sicuro. È un ottimo esempio di cosa vuol dire economia digitale mettendo la persona al centro di un universo in cui è sempre raggiungibile. La diffusione di ogni servizio sarà sempre più legata al livello di sicurezza percepito. E per fidelizzare i clienti servono esperienze d’uso positive, quelle che vengono chiamate “one click”: leader come Amazon lo confermano». Un mondo di servizi Un settore in grande sviluppo è quello del mobile ticketing, ovvero l’utilizzo del telefono per acquistare titoli di viaggio del trasporto pubblico locale. Com-
prare il biglietto dell’autobus con il cellulare è già possibile in diverse città italiane, anche se le modalità e le tecnologie utilizzate sono differenti: manca ancora un quadro legislativo che renda i sistemi interoperabili, ma esistono già iniziative in tal senso. SIA è impegnata nella realizzazione di una piattaforma basata su tecnologia NFC e nel lancio di una sperimentazione che vede coinvolte le aziende di trasporto pubblico TPER (Trasporto Passeggeri EmiliaRomagna), ANM Napoli, START Romagna e Telecom Italia. «E’ un progetto che nasce da subito per garantire la piena interoperabilità a livello di operatori mobili e aziende di trasporto, con l’obiettivo di semplificare l’esperienza quotidiana sia degli utilizzatori più frequenti che di quelli occasionali». Altro tema su cui c’è gran fermento è il couponing: può essere uno sconto di pochi centesimi, un buono pasto o un buono benzina. In questi anni la corsa alla dematerializzazione della carta si è velocizzata e si sono viste le prime esperienze positive. Il futuro prossimo venturo sarà nei Wallet dove si potranno anche virtualizzare le carte fedeltà del mondo retail, alcune delle quali sono già oggi associate a carte di pagamento. Promette di diffondersi rapidamente anche il P2P (Person-to Person), ovvero il trasferimento di denaro fra persone, tendenzialmente utilizzato per importi di basso valore. «La diffusione della tecnologia digitale e la standardizzazione introdotta dalla SEPA ci consentono di sviluppare nuove soluzioni per semplificare le modalità con cui trasferire piccole somme di denaro. La Mobile Economy deve essere sinonimo di semplicità e sicurezza, ma anche di riduzione dei costi associati alla vita di tutti i giorni. Questi tre aspetti sono la chiave per una buona user experience». Smartphone e tablet serviranno anche per avvicinare il cittadino alla Pubblica Amministrazione, ad esempio per pagare la mensa scolastica o un ticket sanitario, ma anche per notificare la scadenza di un tributo, attraverso una molteplicità di canali, cellulare incluso. In questo senso diventa rilevante il tema dell’identità digitale, ovvero quelle soluzioni che consentono il riconoscimento della persona in qualunque parte del mondo per interagire con gli enti della Pubblica Amministrazione. «In questo ambito siamo ancora all’inizio e proprio per questo è importante mettere a fattor comune progetti ed esperienze virtuose di chi ha già affrontato questi temi, per velocizzarne lo sviluppo e mettere il cittadino al centro del rapporto con la PA», conclude Maiocchi. | 37 |
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TIBCO: dai Big Data ai Fast Data
Una sintesi tra le tecnologie di analisi dei dati e quelle d’integrazione offerte dagli enterprise service bus ai fini dell’agilità d’impresa. Questo è ciò che si propone di fare TIBCO Software, nome storico nell’ambito del software d’impresa per l’integrazione delle applicazioni, con il proprio impegno anche nell’ambito delle tecnologie di business intelligence e analitiche, oggetto di molti investimenti da parte della società nel corso degli ultimi tre anni, tra cui c’è l’acquisizione di Jaspersoft, annunciata il 28 aprile scorso. Tecnologie che permettono alle aziende di capire cosa accade nel business e agire velocemente, come ci spiega Maurizio Canton, CTO di TIBCO Software per l’area EMEA. Perché oggi sono così importanti i Big Data? Secondo IDC il mercato delle applicazioni che raccolgono, elaborano e analizzano Big Data è destinato a raggiungere i 32,4 miliardi nel 2017 con una crescita annuale media superiore del 25%, ossia circa sei volte superiore a quella attesa per l’IT in generale. Subito dopo il mobile computing, non c’è altro argomento capace di raccogliere maggiore attenzione nell’ambito dell’IT. Per questo è al centro del nostro interesse, assieme alle discussioni che lo riguardano: cosa sono realmente i Big Data, cosa significano per il business, come se ne possono utilmente sfruttare potenzialità, e così via. I benefici di lungo termine dell’analisi dei Big Data sono chiari: migliorare le capacità dell’azienda di sfruttare i dati a disposizione, identificare trend e le relazioni.
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Analizzare grandi moli di dati storici, combinandoli con i dati in movimento, aumenta le potenzialità decisionali del business. E’ quello che Tibco definisce il “Two-second Advantage”
Maurizio Canton CTO di TIBCO Software
Qual è il rapporto della tecnologia con il business? Gran parte del dibattito sui Big Data è centrato su come le aziende possono usare la grande mole di dati continuamente generati per ottenere più valore nel business. Analizzando i Big Data si possono dare al business migliori informazioni sui clienti, avere viste più complete delle capacità aziendali e della domanda del mercato in modo da migliorare l’azienda e permettere ad essa di fare meglio. Comunque la maggioranza delle aziende esegue questo tipo di analisi in modo batch, quella che TIBCO chiama architettura “too late”. Analizzare i dati dopo che si sono memorizzati nel database producendo dei report che qualcuno si ricorderà di controllare nei prossimi giorni non fornisce nessun valore all’azienda moderna del XXI secolo. Sapere che il cliente è già passato alla concorrenza fornisce solo un valore statistico ma di certo non aiuta il business dell’azienda. Essere in grado, invece, di analizzare i dati storici, costruire dei modelli di comportamento basati per esempio sullo stesso ceto sociale, reddito personale e familiare, sui precedenti acquisti e combinarle con tut-
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«Occorre un’infrastruttura in grado di raccogliere, interpretare e agire su una gran massa di informazioni non strutturate nel più breve tempo possibile»
ti gli eventi che stanno accadendo al momento in cui il cliente è in contatto con l’azienda si traduce con la possibilità di dare un miglior servizio ai clienti, portarli a scegliere i propri marchi e incrementare grandemente la fedeltà. Riuscire a capire come i clienti e i lavoratori impiegati dell’azienda si esprimono e comunicano sui social network offre la possibilità di capire il comportamento dei consumatori e anticiparne le loro esigenze. TIBCO parla di Fast Data, qual è la relazione con i Big Data? Con Fast Data, TIBCO intende la possibilità di utilizzare i dati storici combinandoli con i dati in movimento (real-time)e fornire quei “Two-second Advantage” (dal titolo del libro scritto dal CEO di Tibco Vivek Ranadivé con K.Maney “The two-second advantage; how we succeed by anticipating the future” – Il vantaggio dei due secondi; come abbiamo successo anticipando il futuro -, ndr) che è la missione di TIBCO: le giuste informazioni, un momento prima della concorrenza, hanno più valore che tutte le informazioni del mondo sei mesi dopo… questo è il “Two-second advantage”. Poter fare analisi molto veloci sui dati significa ottenere benefici immediati, consentendo alle aziende di reagire ai cambiamenti della domanda e adattare più rapidamente servizi e prodotti in base alle necessità. Per liberare dai vincoli e sfruttare il potenziale dei Big Data in real time non bastano semplici tool capaci di cercare dati e analizzare le informazioni. Occorre un’infrastruttura dati progettata per essere contemporaneamente scalabile e robusta, quindi in grado di raccogliere, interpretare e agire su una gran massa di informazioni non strutturate nel più breve tempo possibile. Il punto di forza di TIBCO che la differenzia dalle altre aziende impegnate sul fronte dei Big Data è la velocità e la possibilità di agire sulla base di eventi che si stanno analizzando. Riuscire a combinare comportamenti precedenti con quello che sta accadendo quando il cliente è in contatto con l’azienda, riuscendo ad agire in conformità a tutte le informazioni in possesso è fondamentale per fornire un servizio al cliente che nessun’altra azienda può dare. Per questo prefe-
riamo usare il termine di “Fast Data” piuttosto che “Big Data”. Ci fa qualche esempio di applicazione dei Fast Data? “Fast Data” significa guardare ai dati nella loro complessità(storici e in movimento) e riuscire a prendere la giusta decisione e azione basandosi sul loro contesto. Questo abilita l’azienda a monetizzare ogni opportunità che si presenta quando il cliente entra in contatto con essa. Lo ha fatto, tra gli altri, il nostro cliente Schweizerische Bundesbahnen (SBB, ferrovie federali svizzere, ndr) che muove circa 370 milioni di passeggeri e 50 milioni di tonnellate di merci all’anno su una rete di quasi 3200km. A causa dei limiti geografici e di budget, l’azienda era impossibilitata a espandere l’infrastruttura esistente per far fronte alle richieste di maggiore capacità. Le serviva quindi ottenere capacità in modo alternativo, aumentando l’impiego delle risorse esistenti. L’obiettivo è stato raggiunto raccogliendo e analizzando grandi quantità di dati in tempo reale, rendendo quindi il movimento dei treni molto più efficiente. Il sistema riceve fino a 1,7 terabyte di dati ogni giorno da un insieme di fonti - stazioni, passeggeri, treni e dalla stessa rete - consentendo a SSB di reagire in pochi secondi per migliorare la programmazione delle partenze e la puntualità. La chiave è quindi nelle capacità di analisi real time? SBB ha usato la tecnologia TIBCO per ottenere il “Two-Second Advantage” potendo avere le giuste informazioni nel momento in cui servono per poter decidere e agire proattivamente ottenendone vantaggi. Sia SSB sia i viaggiatori sia chi gli affida il trasporto delle merci ottengono vantaggi da un sistema in grado di rilevare conflitti e reinstradare i treni più velocemente, con partenze più frequenti, previsioni di arrivo più accurate, e così via. Il risultato è una maggiore soddisfazione dei clienti, ma anche significativi risparmi operativi. SSB ha stimato risparmi pari a 3-4 milioni di dollari all’anno ottimizzando l’impiego del personale e di 10 milioni di dollari per i consumi di energia. | 39 |
m a n ag e m e nt
di
Andrea Granelli
consulente e scrittore
L’attualità della retorica nel mondo digitale Anche nel business, il digitale è ormai il principale strumento sia di produzione di contenuti sia di supporto alla comunicazione, sempre più articolata e sofisticata. Uno scenario che ripropone, come nel passato, l’importanza dell’arte del dire, in altre parole la retorica, strumento ancor oggi efficacissimo e indispensabile per i manager e per il successo delle imprese
Il digitale non è più solo il luogo della proceduralizzazione, dell’automazione, dell’archiviazione, delle transazioni (commerciali e finanziarie). E neanche il luogo del racconto digitale a tutti i costi (siti web, banner pubblicitari, presenza digitale sui social media, …). Sta divenendo anche il luogo in cui si raccolgono gli indizi per comprendere e pre-figurare i futuri comportamenti dei mercati; oppure l’ambiente in cui prendere decisioni complesse integrando informazioni parziali e talvolta contraddittorie. Ma soprattutto è oramai diventato il luogo principe della comunicazione. La pervasività del digitale e il suo essere il principale strumento sia di produzione di contenuti sia di supporto alla comunicazione è oramai un fatto assodato: “con” e “nel” digitale si comunica per convincere (i propri partner, azionisti, …), per motivare (i propri collaboratori), per sedurre (i propri clienti), (a noi stessi) per trovare nuove correlazioni fra fatti noti e intuire nuovi fenomeni. | 40 |
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Queste articolate e sofisticate forme di comunicazione non possono nascere da una banale ”digitalizzazione” delle comunicazioni tradizionali. Sempre più frequentemente, infatti, il digitale diventa occasione per un vero e proprio ripensamento dello stesso atto comunicativo, delle sue forme e dei suoi obiettivi. Già il famoso Cluetrain Manifesto – il noto pamphlet scritto nel 1999 da un gruppo di esperti di Internet – affermava in maniera chiara come oramai le regole del gioco della comunicazione fra aziende e clienti fossero cambiate in modo radicale. Un ripensamento dei flussi comunicativi per cogliere le opportunità di queste nuove tecnologie forza, quindi, a rivedere anche gli strumenti e le tecniche che producono i contenuti e le modalità con cui questi strumenti e tecniche devono essere impiegate. Va quindi ripensata l’arte del dire – in altre parole la retorica – usando la lente del digitale. Per altro McLuhan, noto sociologo canadese, ci ha sempre ricordato che “Il mezzo è il messaggio”: il mezzo (di-
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gitale) condiziona fortemente i contenuti che veicola ed esso stesso diviene messaggio. Mandare un SMS, una mail, produrre e pubblicare un filmato su YouTube o scrivere “I like” su Facebook, sono atti comunicativi dove già la scelta di un certo ambiente rispetto a un altro veicola un’informazione; inoltre l’ambiente scelto comporta una specifica articolazione del messaggio, forzando regole sintattiche e semantiche e imponendo stili comunicativi e netiquette. La retorica è la più importante e potente tecnologia della mente. Il saperla padroneggiare permette ai più esperti – come nel caso del software – di avere capacità performative infinitamente superiori alla media. Nel mondo del software – notava Nathan Myhrvold, ex capo scienziato di Microsoft – gli sviluppatori eccezionali sono più produttivi di quelli “normali” secondo un fattore non di 10 o 100 o 1000, ma di 10.000. Le scienze umane – di cui la retorica è parte integrale e originaria – sono le fondamenta su cui poggiare le competenze specialistiche (economiche, tecniche, …) e il framework che consente di usarle al meglio e soprattutto in contesti differenti da dove sono state apprese. In particolare la retorica è a fondamento dell’atto stesso del pensare, poiché fornisce una conoscenza non solo linguistica ma anche logica, una capacità di analisi dei problemi e una tecnica di svolgimento della disputa filosofica (la quaestio) in cui la strategia argomentativa è parte decisiva. Non è dunque in questione solo un tema di produttività cognitiva o di abilità espressiva: c’è molto di più; con la retorica entrano in gioco l’efficacia, la creatività, l’astuzia, il saper convincere e spingere all’azione, il motivare “senza leve” (com-movere), l’intuire prima degli altri, il riuscire a districarsi anche in situazioni complesse… È da questo potere quasi magico dell’atto comunicativo che deriva la famosa frase di Gorgia da Lentini – italiano e uno dei padri della retorica – sulla parola, considerata “pharmacón” e cioè una sorta di droga: “La parola è un potente sovrano, poiché con un cor-
po piccolissimo e del tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente divine. Infatti essa ha la virtù di troncare la paura, di rimuovere il dolore, d’infondere gioia, d’intensificare la compassione”. In particolare su questo argomento è appena uscito – per i tipi di Egea – un mio libro scritto insieme a Flavia Trupia. Il titolo è “Retorica e business. Intuire, ragionare e sedurre nell’era digitale”. Il libro affronta molti dei temi accennati in questo articolo. Inoltre – sempre più frequentemente – il digitale ci “scappa di mano” senza che ce ne rendiamo conto. Il diluvio della posta elettronica, le interruzioni continue a causa degli avvertimenti digitali (SMS, tweet, chat, social media) che ci impediscono di concentrarci, la sempre peggiore qualità delle informazioni che troviamo sulla Rete “a distanza di click…”. E spesso il problema non dipende dalla qualità delle soluzioni digitali acquistate ma dalle pratiche di utilizzo, non accuratamente progettate e – soprattutto – non sufficientemente monitorate. Non basta dunque una semplice alfabetizzazione; ciò che serve è una vera e propria educazione al digitale che crei non tanto una conoscenza dell’ABC dei suoi strumenti, ma una vera e propria digital awareness & proficiency capace di farci comprendere l’ambiente digitale e rendere possibile un suo utilizzo efficace e soprattutto secondo i nostri bisogni. Dobbiamo dunque essere in grado di afferrare:
Secondo gli autori del saggio, le soft skill sono sempre più indispensabili per competere in un mondo incerto, cangiante, information intensive e dominato dalla tecnica.
• i criteri “obiettivi” di scelta di un certo tipo di soluzione tecnologica, con particolare attenzione agli impatti e agli effetti “collaterali”;
Il termine “retorica” è spesso usato con accezione negativa. Ma è da qui che dipendono l’efficacia, la creatività, l’astuzia, il saper convincere e spingere all’azione, il motivare, l’intuire prima degli altri, il riuscire a districarsi anche in situazioni complesse www.ict4executive.it
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management | L’at t u al i tà d e ll a r e t or i ca ne l mo n do dig ita l e
Nuove competenze in azienda: le soft skill del XXI secolo La più importante cosa da fare oggi è probabilmente ridare una (nuova) centralità - all’interno dei saperi “produttivi” del XXI secolo - alle scienze umane e soprattutto alle arti liberali, allontanate dai curricula studiorum di manager e ingegneri in quanto “non servono a guadagnare del denaro”. Nel mondo le cose si stanno muovendo, e in fretta. Si stanno per esempio diffondendo i corsi di Rhetorical Criticism, inteso come il processo capace di investigare e spiegare la creazione dei simboli associati a una vasta gamma di oggetti e prodotti culturali (non solo discorsi, ma oggetti, edifici, film,...). L’obiettivo è dunque quello di comprendere come questi oggetti riescano a educare, informare, intrattenere, emozionare e, appunto, persuadere l’audience per cui sono stati concepiti, facendo leva su una nozione specifica di retorica. Come scrive Sonja K. Foss, “la retorica è l’uso umano dei simboli per comunicare”. Inoltre alcune università hanno attivato in tempi recenti moduli formativi di retorica propedeutici e obbligatori. Per esempio l’insegnamento di Eloquentia Perfecta alla Fordham University di New York. Altre realtà accademiche hanno addirittura creato programmi congiunti: interessantissimo è, per esempio, il programma di Harvard e MIT di Boston sulla negoziazione (The MIT-Harvard Public Disputes Program) che affronta uno dei tre tipi di discorso retorico - quello giudiziario - e le sue componenti più dialettiche. Le soft skill sono dunque sempre più indispensabili per competere in un mondo incerto, cangiante, information intensive e dominato dalla tecnica. Un recente rapporto McKinsey (Education to Employment) ha messo in luce che tre delle quattro competenze più richieste sono soft: Work ethic, Teamwork, Oral communications; e le soft skills si alimentano di scienze umane.
• le precondizioni di utilizzo del digitale (culturali, organizzative, normative...); • gli elementi per costruire Business Case realistici (evitando di sovrastimare i ricavi e sottostimare costi, rischi e tempi attuativi); • le implicazioni organizzative, psicologiche e linguistiche e cioè cosa deve essere cambiato per usare al meglio le soluzioni tecnologiche adottate; • i lati oscuri e gli aspetti più problematici del digitale, da cui ci si deve tenere lontani. Il tema non è più demandabile solo ai tecnici. I leader del XXI secolo dovranno saper padroneggiare le tecnologie ICT e muoversi a loro agio nell’ambiente digitale. Questa – da alcuni già chiamata eLeadership – sarà una competenza chiave poiché la competitività di un’azienda dipenderà sempre di più anche da come il digitale verrà utilizzato internamente e nei confronti dei clienti. La società McKinsey, in una ricerca del 2013, osservava: “we want to emphasize the importance, for many business leaders, of making the mind-set shift required to embrace the importance of digital capital fully”. Ma per creare consapevolezza e proficiency sul | 42 |
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digitale non basta la conoscenza tecnica del suo ambiente e delle sue dinamiche. Vanno infatti affiancate e rafforzate alcune specifiche competenze che potremmo chiamare le soft skill del XXI secolo: • organizzare e gestire il tempo (proprio e dei collaboratori) – uno dei fattori produttivi più preziosi del manager, sempre più “divorato” da un uso inconsapevole degli strumenti digitali; • costruire, manutenere e (ri)utilizzare la propria conoscenza, che va molto di là del knowledge management aziendale; • saper leggere e comprendere (sense making) gli indizi e segnali deboli che ci circondano per anticipare i fenomeni e coglierne le implicazioni prima dei concorrenti (o dei nuovi entranti); • padroneggiare gli elementi base della retorica – l’arte del ragionare (e del dire) – per intuire, motivare, negoziare, gestire conflitti, persuadere, anche all’interno dell’ambiente digitale. Solo in questo modo i manager potranno cogliere a pieno le straordinarie opportunità offerte dalla rivoluzione digitale senza cadere nelle sue trappole o farsi ingannare dalle sue sirene.
Speciale “ERP”
Una nuova generazione di sistemi erp: Collaborative Business Application Lo sviluppo e il rinnovamento dei gestionali rappresenta una grande priorità per le aziende italiane, perché i sistemi concepiti 20 anni fa mostrano i loro limiti. Le esigenze delle imprese sono cambiate: accesso in mobilità, integrazione con altri sistemi, flessibilità nella configurazione dei processi e la disponibilità di strumenti di collaborazione e comunicazione sono al centro delle richieste
I sistemi ERP hanno iniziato a diffondersi nelle imprese alla fine degli Anni 80. Ai tempi il tema in voga era quello dell’integrazione nativa, ovvero della creazione di un’unica base dati condivisa, ed era chiaro già allora che questi sistemi rappresentano un asset indispensabile, il nocciolo duro per lo sviluppo di tutte le applicazioni indispensabili per il business. Ancora oggi, lo sviluppo e il rinnovamento dei gestionali rappresenta una grande priorità per le aziende italiane, perché i sistemi concepiti 20 anni fa mostrano i loro limiti. Una survey realizzata dalla School of Management del Politecnico di Milano alla fine del 2013 su un campione di 200 CIO di grandi imprese italiane mostra che nel 35% dei casi questa è indicata come una delle tre principali priorità su cui investire. Analizzando in dettaglio lo spaccato settoriale emerge che l’industria è il settore nel quale l’evoluzione dei sistemi gestionali rappresenta la maggiore priorità: è indicata da un’azienda su due come la principale esigenza | 44 |
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nell’ambito ICT. Seguono i settori utility e energy (37%) poi media e Telco e come fanalino di coda il finance, settore in cui questi sistemi sono generalmente poco diffusi. In questo contesto, qual è il ruolo del Cloud? In altre parole, il Software as a Service può permettere il superamento dei limiti dell’attuale offerta di soluzioni gestionali ed essere quindi elemento abilitante per l’evoluzione? Certamente sì, soprattutto se si considerano le principali forze che agiscono oggi sul sistema informativo, frutto della cosiddetta Consumerization: la collaborazione, ovvero i modelli di utilizzo del software mutuati dal mondo dei Social Network, e la Mobility, il nuovo scenario che si è aperto con il dilagare di smartphone e tablet. Già nel 2012, circa la metà delle aziende italiane mostrava interesse verso i moduli ERP fruiti in Cloud: un terzo ne aveva pianificato l’implementazione e il 14% già li aveva introdotti.
Speciale “ERP” «È necessario liberare il sistema informativo, andare verso la flessibilità - ha affermato Stefano Mainetti del Politecnico di Milano in un intervento su questo tema - . Una persona motivata che trova più funzionale fruire dell’informazione giusta, nel momento giusto e con la modalità di interazione giusta ovviamente riesce a lavorare in modo più produttivo». “Liberare” il sistema gestionale significa diverse cose: introdurre nuove aree funzionali, essere vicino alle esigenze dell’utente, supportare un approccio graduale all’introduzione, offrire flessibilità e capacità di riconfigurarsi in base ai processi di business. A conferma di questo, Mainetti ha mostrato i risultati di un’indagine relativa alle priorità delle aziende medio grandi italiane nella scelta di un sistema a supporto dei processi di business: la prima è l’accesso in mobilità, indicata dal 63%, seguita dalla predisposizione all’integrazione con altri sistemi, rilevante per il 46% del campione. «L’ERP è il nocciolo duro – ha spiegato Mainetti – e va integrato con il CRM, il sistema di PLM, il sistema di sales force management: si tratta dei tre ambiti verticali orientati alla gestione della conoscenza, ma oggi solo poche aziende sono riuscite a integrarli completamente». L’elenco delle priorità prosegue con la flessibilità nella configurazione dei processi e la disponibilità di strumenti di collaborazione e comunicazione. L’obiettivo di questa nuova tipologia di sistemi, che Mainetti definisce Collaborative Business Application, deve essere quello di risolvere i problemi che maggiormente si presentano oggi all’interno dell’azienda: scarsa comunicazione e condivisione tra le diverse unità organizzative, perdite di tempo nel ricercare o trovare
informazioni esistenti, difficile monitoraggio dello stato di avanzamento dei processi. Come si deve agire? Bisogna tenere a mente, innanzitutto, che l’approccio non può essere uniforme, ma specifico per ogni processo aziendale, perché le esigenze sono differenti. Vanno poi valutate le tecnologie di supporto. Ci sono tre grandi ambiti, che nascono separati: gli strumenti di produttività individuale, il sistema gestionale e i tool di supporto alla collaborazione. L’integrazione di questi ambiti, che in realtà è già cominciata da tempo, dà vita al modello del Collaborative Business Application. Per fare un esempio dell’impatto di questo nuovo modello, possiamo considerare il processo commerciale. Innanzitutto servono i dati strutturati, come l’anagrafica del cliente o lo storico dell’ordine, che sono nel sistema gestionale e non devono essere duplicati. Ma serve anche un workflow, per monitorare lo stato di avanzamento della proposta, ed è importante che non sia troppo rigido. E poi necessario il tracking di tutta la storia degli scambi informativi col cliente per la modifica delle specifiche, e in questo caso può servire un’informazione che è contenuta in una mail. Per preparare l’offerta, si usano i tool di produttività e sono di supporto gli strumenti di Collaborazione: avere due ambienti separati non permette di gestire ad esempio il versioning, il live editing o il co-editing dei documenti. E infine le discussioni, che avvengono con le video conferenze o le chat, ed è utile che ne rimanga traccia. In questo esempio appare evidente come sia possibile integrare quella parte di processo che viene persa se l’ERP è isolato.
il supporto informativo ai processi di business
Produttività individuale
Supporto alla collaborazione
Fonte: Politecnico di Milano
“Collaborative Business Application”
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Speciale “ERP”
GLS sceglie Sage ERP X3 per le sedi proprietarie e la rete in franchising
General Logistics System è un corriere espresso internazionale presente sul mercato italiano dal 1977. 136 sedi, 10 centri di smistamento, 4000 mezzi di distribuzione, 120.000 clienti e più di 14 milioni di pacchi movimentati al mese, sono i numeri che rendono GLS una delle principali realtà operanti in questo settore. Con Achille Poretta, Director IT, parliamo di come si declina l’innovazione per GLS. Il corriere espresso ritira la spedizione alla sera, di notte la trasporta e al mattino successivo la consegna. Per questo tipo di attività in che ambiti si parla di innovazione? Alti standard qualitativi, sicurezza, velocità, tracciabilità delle merci, fanno di GLS un leader di mercato in Italia e in Europa. Una tale posizione si occupa solo con attenzione ed investimento costante in innovazione, soprattutto tecnologica. Abbiamo un dipartimento di R&D e un’offerta di servizi complementari che si aggiungono al trasporto di merci e vengono incontro alle nuove esigenze dei nostri clienti, sia aziende che persone. Da cosa è nata l’esigenza di un nuovo ERP? Quando si è deciso di concentrare gli skill interni sullo sviluppo delle applicazioni “core”, cessando la produzione “in casa” degli applicativi contabili, si è cercato un ERP che ci consentisse di mantenere sia un alto livello di standardizzazione, sia la necessaria flessibilità operativa. Questa esigenza ci ha portato a decidere di inserire un nuovo software gestionale: Sage ERP X3.
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Il corriere espresso internazionale ha installato il gestionale in un sistema centralizzato e lo fornisce ai propri affiliati come servizio. una soluzione che consente di mantenere un alto livello di standardizzazione, garantendo al contempo la necessaria flessibilità operativa
Achille Poretta Director IT General Logistics System
Quale modello di utilizzo avete di Sage ERP X3? L’installazione è su un sistema centralizzato e forniamo ai franchisee l’ERP come servizio. La tecnologia SAFE X3 su cui si basa la soluzione permette ai franchisee di usare Sage ERP X3 senza averlo installato presso di loro, ma nella logica del «servizio utilizzato»: salvaguardiamo la peculiarità di ogni franchisee gestendo le attività con standard uniformi. Privacy, sicurezza e qualità sono garantite. GLS Italy in questo modo fornisce un servizio, unifica il modello di accounting e mantiene il controllo centralizzato del sistema. Dopo pochissimo tempo due terzi dei franchisee lo stanno utilizzando. Quali motivi vi hanno portato scelta di Sage ERP X3? Ci sono motivazioni legate al prodotto tout-court, altre legate alla scelta di Formula come fornitore. Sage ERP X3 è una soluzione ricca di funzionalità che rispondono alle nostre necessità. La sua flessibilità è molto importante in quanto deve essere utilizzato al meglio dai franchisee, realtà eterogenee per fatturato, geografia ed organizzazione, mantenendo però da parte nostra il governo centrale. È robusto, internazionale ma nel contempo molto italiano. Formula ci ha dato la garanzia di un presidio italiano e locale forte.
Speciale “ERP”
Un nuovo ERP a misura di manufacturing
La aziende del settore manifatturiero sono molto cambiate rispetto al passato e molto devono fare su base continuativa per mantenersi competitive. Gli ERP di qualche anno fa, realizzati con la logica ”one size fits all” difficilmente potevano soddisfare le esigenze di ogni settore d’industria, con il risultato di rendere necessarie modifiche ai pacchetti base, con costi aggiuntivi, tempi d’implementazione e di aggiornamento prolungati. In alcune aziende le piattaforme ERP sono state talmente elaborate da rendere rischiosa l’aggiunta di nuove funzionalità utili al business per il timore che compromettessero l’intero sistema, con danni per l’operatività delle applicazioni principali su cui si regge il funzionamento dell’impresa. Nel mercato attuale, in cui le parole d’ordine sono velocità e agilità, questo non è accettabile. La soluzione sta nell’adozione di architetture “loosely-coupled” ossia collegate tra loro in modo meno rigido, ancor più vantaggiose quando si adotta il Cloud Computing. Gli ambienti ERP ibridi loosely-coupled permettono di aggiornare un’applicazione senza coinvolgere le altre; provare nuovo software senza rischi decidendo di metterlo in produzione in Cloud o sui propri server. In questo modo, l’azienda può avere l’ERP e il sistema finanziario on-premise, co-operanti con applicazioni in Cloud, per esempio per i sistemi di rendicontazione e gestione delle spese. L’architettura loosely-coupled garantisce la comunicazione tra le applicazioni evitando che gli utenti avvertano differenze tra ciò che è Cloud e ciò che è on premise. La semplicità d’uso del software è anch’esso un
Per garantire velocità e agilità, secondo Infor le soluzioni software devono offrire una user experience fortemente orientata al mondo del Social e al Mobile, apertura al Cloud e facilità di integrazione
fattore funzionale all’efficienza delle aziende manifatturiere. Un ERP che si utilizza in modo simile alle comuni applicazioni consumer consente un apprendimento più veloce e facilita l’adozione di nuovi modi di collaborare. Se da una parte una chat di gruppo può essere preferibile a una lunga sequenza di e-mail, dall’altra l’uso di tool “social” applicati al business permette di avere più visibilità su ordini di acquisto/ vendita, richieste di manutenzione, contatti clienti e fatture. Questo grazie agli alert che il sistema invia ogni volta che un’attività d’interesse cambia di stato. Dai news feed è possibile passare in tempo reale, per esempio, dalla richiesta di una verifica su fatture alle componenti dell’ERP che consentono di risolvere il problema. L’informazione resta nel contesto che l’ha prodotta. Ogni attività va a collocarsi in una sequenza di un ciclo Follow-Share-Act (segui, condividi e agisci) in cui gli utenti controllano le attività, scelgono di condividere specifici dettagli e quindi collaborano per raggiungere i risultati richiesti. Questi trend sono alla base della soluzioni di Infor, multinazionale specializzata nel software enterprise che ha 70mila clienti nel mondo, tra cui molte medie aziende italiane, in settori altamente specializzati quali il machine building o la meccanica fine, che hanno filiali all’estero e modelli organizzativi complessi. Già da due anni le suite verticali di Infor sono state profondamente innovate introducendo una user experience, fortemente orientata al mondo del Social e al Mobile, oltre a essere predisposte per il Cloud e integrabili con altre applicazioni.
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Speciale “ERP”
Passepartout, il cloud sostiene il modello di crescita interna
Passepartout ha recentemente festeggiato a San Marino, dove ha sede, i 25 anni di attività. Traguardo raggiunto con un fatturato in crescita del 5% nel 2013, circa 27000 clienti di cui 21mila PMI, oltre 3000 commercialisti e più di 3000 Horeca (hotel, ristoranti, centri benessere) e negozi, 250 partner in tutta Italia (una cinquantina i più attivi) e 137 dipendenti. La software house ha annunciato recentemente novità importanti sia per l’evoluzione dei prodotti sia nelle scelte strategiche e commerciali, per sostenere un modello di business da sempre basato sulla crescita interna. Ne abbiamo parlato con Barbara Reffi, Amministratore Delegato di Passepartout. «Siamo prima di tutto un’azienda “tecnica”, il nostro punto di forza è la ricerca e sviluppo, e tutto ciò che è nelle nostre soluzioni è realizzato interamente da noi: anche il database è proprietario. Questa scelta ci ha consentito di rimanere indipendenti sia dal punto di vista tecnologico che commerciale, e ci ha premiato in termini di fedeltà dei clienti». Un’altra scelta è stata di puntare sempre sulle piccole e medie aziende: «Questo ci ha permesso di non dipendere in tempi di crisi dalle sorti di pochi grandi clienti: in quest’ottica abbiamo voluto diversificare, puntando anche su soluzioni verticali soprattutto nel Retail, con un prodotto che si distingue sul mercato perché è integrato con il gestionale, e quindi unifica la gestione del backend amministrativo e del front end dell’hotel o negozio». Per reggere in uno scenario di mercato come questo, Passepartout sta evolvendo i suoi principali prodotti Passepartout Mexal (PMI), e Businesspass (commercialisti), e dal punto di vista commerciale punterà più decisamente su microimprese e commercialisti. «Il primo è un target
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La software house compie 25 anni puntando più decisamente su microimprese e commercialisti con l’offerta in software-as-a-service, che presto comprenderà anche un pacchetto-base venduto direttamente via web
Barbara Reffi AD Passepartout
che finora abbiamo coperto marginalmente ma che non possiamo più trascurare, perché sta erodendo il segmento delle piccole imprese, colpito da migliaia di fallimenti, e si sta arricchendo con la nascita di molte startup». L’idea quindi è di fare ancora più leva sull’offerta Cloud, lanciata un anno fa e basata sull’erogazione in software-as-a-service dalla server farm di Passepartout di Mexal e Businesspass, nonché prossimamente di un pacchetto base che sarà venduto via web. «Il bilancio dell’offerta Cloud è molto positivo, sono prodotti nati per essere fruiti via web con i classici vantaggi che vanno dall’eliminazione degli investimenti hardware, software e IT all’automatizzazione di sicurezza e upgrade». Quanto al pacchetto base da vendere online, l’obiettivo sono soprattutto le microimprese. «I nostri tecnici ci stanno lavorando, è quasi finito il portale di e-commerce e stiamo definendo con le banche il pagamento con carta di credito». L’idea di questo prodotto, conclude Reffi, è nata dall’analisi delle disdette: «Spesso i clienti rinunciano al software perché fanno gestire le fatture dal commercialista, o perché vogliono un software di basso costo solo per fare bolle e fatture. Per indirizzare tali esigenze il pacchetto deve costare poco, e quindi va venduto online e direttamente: non ci sono margini per i partner».
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SAP: l’erp che integra Mobile e in-memory ora è “a portata di Pmi”
«Oggi la grande sfida per un fornitore ERP in ambito piccole e medie aziende (PMI) – spiega Massimiliano Ortalli, General Business & Ecosystem Director di SAP Italia – è soddisfare le esigenze di queste realtà in termini sia di usabilità e facilità d’adozione, sia di fruizione dei benefici dell’integrazione di tecnologie come Mobile, Inmemory e Cloud appunto nei sistemi ERP». Le PMI chiedono soluzioni gestionali rapide da implementare, che le supportino nei loro progetti di internazionalizzazione, e la fruizione in tempo reale e in mobilità di tutte le funzionalità tipiche di un ERP. «Per questo abbiamo messo a punto soluzioni preconfigurate integrate, disponibili su scala internazionale, e ispirate a concetti di massima fruibilità e velocità d’implementazione e accesso». Parlando di mobilità per esempio, continua Ortalli, «non intendo solo il classico report su Mobile, ma la possibilità di interagire con l’ERP per emettere ordini o approvare workflow». Quest’esigenza però nelle PMI si sposa con quella di ambienti non complessi, e in questo senso opera SAP Fiori. «È un’interfaccia online del sistema, basata su standard html5, e quindi accessibile da pc e da qualsiasi piattaforma e device mobile: offriamo 100 applicazioni che interagiscono con il back-end supportando processi di ogni area funzionale, dai più semplici come l’approvazione di workflow, ai più strutturati come l’emissione di ordini, l’estrazione di report, l’approvazione di acquisti». Il fatto di lavorare direttamente sul transazionale online, senza repliche esterne dei dati, fa di Fiori un ambiente semplice e interessante per la PMI, con tempi d’adozione e fruizione veloci e basso TCO. Un’altra tecnologia
oggi la sfida per un fornitore erp che si rivolge alle piccole e medie aziende è soddisfare le loro esigenze di usabilità, facilità d’adozione e fruizione di tecnologie avanzate direttamente nel gestionale
Massimiliano Ortalli General Business & Ecosystem Director SAP Italia
fortemente innovativa ora “a portata di PMI” è Hana, la piattaforma in-memory di SAP. «Sia SAP Business All-inOne che SAP Business One, i nostri ERP per le PMI, sono disponibili su Hana, e quasi la metà dei nuovi clienti su Business One scelgono Hana come piattaforma. Il grande beneficio è la possibilità di avere a disposizione online tutta la base dati transazionale, consolidando in un unico sistema sia il mondo analitico che il transazionale». Questa semplificazione dell’ambiente applicativo è importante per la grande impresa ma è vitale per la PMI, che spesso ha bisogno delle stesse funzioni e tecnologie ma non ha gli stessi budget. In tale ottica rientra anche l’offerta di soluzioni Cloud (di cui parliamo diffusamente a pagina 67): «Per esempio il cliente può dotarsi di ERP on premise e di un applicativo CRM in Cloud, ma nativamente integrato appunto con il sistema transazionale». Questo, conclude Ortalli, è cruciale per le PMI, che considerano la velocità d’adozione e la riduzione dei costi di gestione come punti d’estrema attenzione, «ed evidentemente siamo riusciti a coglierli, visto che nel mercato PMI in Italia nel primo trimestre 2014 abbiamo aumentato del 24% il fatturato, quasi totalmente realizzato tramite il nostro canale VAR dedicato alla PMI, che conta 40 partner dedicati a All-in-One, e 60 a Business One».
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I N TE R V IS TA di
daniele lazzarin
A2a: così abbiamo digitalizzato l’intero ciclo di fatturazione La società ha dematerializzato le bollette per milioni di clienti, dalla generazione in formato pdf all’archiviazione sostitutiva, con importanti benefici di riduzione di costi, miglioramento del servizio al cliente, e controllo totale dei flussi di documenti. «E ora ci stiamo preparando all’imminente scadenza di fatturazione elettronica alla PA»
Oggi il tema della dematerializzazione dei documenti è in primo piano per l’imminente obbligo di fatturazione digitale verso la PA centrale, ma ci sono realtà che da tempo hanno digitalizzato il processo di bollettazione verso milioni di clienti. Un esempio è A2A, multiutility tra le più grandi (6,5 miliardi di euro il fatturato 2012) e diversificate in Italia, dove è il secondo produttore d’energia, nonché protagonista nei settori ambientale, gas e teleriscaldamento. «Proprio l’eterogeneità del gruppo, fatto di oltre 30 società con business e sistemi informativi molto diversi, ha introdotto complessità nel progetto: definire per ogni società come procedere in funzione delle sue esigenze di dematerializzazione è stata la maggior criticità», ci spiega Stefano Perfetti, Responsabile IT Corporate, Marketing e Vendite di A2A. La spinta iniziale è nata da due obiettivi: ridurre i costi di processo (archiviazione, stampa, spedizione, ecc.), e dare più qualità al servizio al cliente, permettendogli l’accesso da web all’archivio delle sue fatture. Ma il volume d’attività è stato deci| 50 |
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sivo. «Processiamo 40-60mila bollette al giorno, e la conservazione cartacea richiedeva ormai archivi fisici enormi, con tutte le complessità e costi del caso – precisa Sirio Antonellini, responsabile e PM progetti di dematerializzazione e document management di A2A – . Il progetto è stato iniziato nel 2006 da Aem Milano, poi con la nascita di A2A s’è esteso a tutto il gruppo». Due importanti scelte iniziali sono state la cadenza quotidiana dell’invio in conservazione e la digitalizzazione della singola bolletta, invece della “distinta meccanografica”, un tabulato riassuntivo che era il requisito minimo di legge. «Il giorno come unità di misura è un buon compromesso tra ciò che prevede la legge (15 giorni, ndr), e le necessità di quadratura del business». La seconda scelta, continua Antonellini, nasce dalla decisione di inviare al cliente la bolletta in pdf e di lasciarla disponibile sul portale web: il pdf va creato comunque, ed è logico usarlo anche per la conservazione. «Inoltre il Garante dell’energia e del gas impone severi requisiti di trasparenza e chiarezza
I NTE R V I S TA | A2a : e c c o c o me a b b ia mo dig ita l iz z at o l’ in t e ro c ic l o di b o l l e t ta z ione
dei dati in bolletta: la distinta meccanografica non ha questi requisiti, la singola bolletta in pdf sì». Il processo di fatturazione digitale inizia dai sistemi fatturanti: «Il principale è SAP, ma nel gruppo ne abbiamo almeno 13, sia custom che di mercato». Il loro output (a volte dopo alcuni passaggi intermedi) è un pdf accompagnato da un tracciato dati che contiene i metadati associati alla bolletta/fattura: quelli imposti dalla legge per la conservazione sostitutiva, e altri, utili per esempio per facilitare la ricerca degli utenti. Tutti i pdf vengono poi processati da alcuni server HSM di firma digitale massiva, dove sono installate le firme delle persone A2A titolari dei dati contenuti nelle fatture, nonché quella del responsabile della conservazione sostitutiva, che si appone solo sul lotto documenti che raccoglie tutte le fatture del giorno, insieme alla marca temporale. Poi i metadati del documento e del lotto sono inviati al sistema di conservazione sostitutiva (Legal Archive di Ifin Sistemi), mentre il pdf è archiviato nel sistema Documentum, in uno spazio disco non riscrivibile su una macchina Centera EMC. «Il progetto è partito dalle bollette, poi s’è esteso ad altri tipi di documenti con volumi minori ma di grandi dimensioni singole, dai registri contabili alle fatture passive, e ora si sta ampliando anche all’ambito commerciale - a cominciare dai contratti, sia attivi sia passivi -, e alla corrispondenza PEC». Ogni anno il gruppo A2A gestisce digitalmente circa 15 milioni di documenti attivi, più di 120mila fatture passive, 200mila contratti attivi e circa 3.000 passivi (approvvigionamenti), e qualche centinaio di registri. Il processo di conservazione è affidato a Ifin Sistemi, che dal 2013 ne ha assunto anche la responsabilità legale. In precedenza, sottolinea Perfetti, il processo era affidato a terzi nell’ambito di un contratto di manutenzione applicativa, e ad A2A restava solo la responsabilità della correttezza del processo, a cui però non corrispondeva una reale possibilità di controllo come impone la legge: «È impensabile che un amministratore delegato o un direttore generale possa verificare cose come la leggibilità del documento a 5 anni dall’emissione: perciò abbiamo delegato la responsabilità a chi si occupa direttamente del processo». Infine l’imminente obbligo di fatturazione elettronica alla PA. Anche A2A emette bollette verso enti pubblici centrali: il numero di questi clienti è esiguo, spiega Antonellini, «ma ci stiamo comunque preparando per il 6 giugno, anche perchè nel 2015 l’obbligo s’estenderà anche alla PA locale». A2A sta lavorando su tre fronti. «Uno è l’adeguamento dei sistemi fatturanti, con etichettatura dei clienti PA, inserimento dei nuovi dati imposti da Sogei, e così via: lo stiamo gestendo con le software house produttrici dei sistemi». Il secondo è la capacità di generare la fattura nel formato xml richiesto da Sogei. «Questo è un aspetto complesso, che stiamo gestendo internamente con
Stefano Perfetti Responsabile IT Corporate, Marketing e Vendite di A2A
Sirio Antonellini responsabile e PM progetti di dematerializzazione e document management di A2A
modifiche ai sistemi fatturanti ove possibile, o adottando sistemi di “traduzione” dove non lo è: oltretutto la legge sulla fatturazione elettronica prevede un tracciato dati abbastanza semplice, mentre la normativa del mercato energia e gas impone vincoli più rigidi, per cui un punto delicato è stato conciliare queste esigenze contrastanti». Il terzo riguarda la trasmissione della fattura al SdI (Sistema d’Interscambio) di Sogei. «Per questo abbiamo fatto leva sul rapporto con Ifin Sistemi, acquisendo il loro prodotto Invoice Channel, pensato proprio per interagire con il SdI per l’invio fatture e la gestione dei flussi di notifiche». Oltre ai forti risparmi e al miglior servizio al cliente, conclude Perfetti, un grande vantaggio è il controllo di quadratura sui flussi: con volumi in gioco così importanti e una mappa applicativa così complessa è cruciale essere sicuri che gli output attesi siano stati tutti prodotti, gestiti e archiviati correttamente. «In passato più volte abbiamo dovuto intervenire su reclami di clienti, soprattutto business, recuperando in fretta documenti che non erano stati gestiti bene. Oggi tali casi sono totalmente scomparsi: sappiamo esattamente ciò che è stato gestito e archiviato e possiamo fornirne evidenza al business molto velocemente». www.ict4executive.it
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PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT
La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa.
GLI OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION
Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: Agenda Digitale, Business Intelligence, Canale ICT, Cloud & ICT as a Service, eCommerce B2c, eGovernment, eProcurement nella Pubblica Amministrazione, Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Gestione dei Processi Collaborativi di Progettazione, Digital Business-Innovation Academy, Gioco Online, HR Innovation Practice, ICT & PMI, ICT Accessibile e Disabilità, ICT in Sanità, ICT nel Real Estate, Innovazione Digitale nel Retail, ICT nelle Utility, Internet of Things, Intranet Banche, Mobile Banking, Mobile & App Economy, Mobile Enterprise, Mobile Marketing & Service, Mobile Payment & Commerce, Multicanalità, New Media & New Internet, Smart Working, Startup, Supply Chain Finance.
OSSERVATORIO FATTURAZIONE ELETTRONICA E DEMATERIALIZZAZIONE
6 GIUGNO 2014
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2014 Il 6 giugno 2014 la Fatturazione Elettronica verso la PA diventa obbligo. È una data che segnerà un cambiamento radicale, tra quanto c’era prima e quanto ci sarà dopo: un’innovazione attesa da tempo (la legge risale al dicembre 2007), che coinvolgerà, progressivamente, tutte le PA e molte imprese del nostro Paese. Affrontare la Fatturazione Elettronica in modo serio e consapevole rappresenta – per tutti gli attori che saranno coinvolti – un’importante opportunità da cogliere con consapevolezza. Sarà questo uno dei temi principali che saranno affrontati e discussi in occasione del Convegno, durante il quale verranno presentati i risultati della nuova Ricerca. Con la convinzione che l'innovazione digitale sia una strada obbligata per consentire al nostro Paese di recuperare competitività, guarderemo alla Fatturazione Elettronica non tanto come un obbligo cui ottemperare, ma piuttosto come un’onda da cavalcare: "fare bene” Fatturazione Elettronica inquadrandola all’interno di un contesto più ampio, quello della dematerializzazione dei documenti e della digitalizzazione dei processi.
OSSERVATORIO CLOUD & ICT AS A SERVICE
26 GIUGNO 2014
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2014 Durante il Convegno saranno presentati i risultati della nuova Ricerca che ha coinvolto i Responsabili Informativi di Grandi Imprese e PMI con i seguenti obiettivi: quantificare il mercato del Cloud in Italia; monitorare lo stato di diffusione delle soluzioni Cloud; identificare i benefici e analizzare le barriere alla sua adozione; comprendere gli impatti del Cloud sulla filiera ICT; analizzare i modelli architetturali che abilitano il Cloud; tracciare i principali percorsi di adozione per le imprese analizzare gli impatti del Cloud sull’organizzazione della Direzione ICT. Alla presentazione dei risultati della Ricerca seguiranno delle Tavole Rotonde a cui parteciperanno i referenti di alcune delle principali aziende che offrono servizi e soluzioni in ambito Cloud. Il pomeriggio sarà, invece, dedicato alla consegna dei “Cloud Innovation Awards” alle organizzazioni che si sono maggiormente distinte nell'innovare i propri processi o le proprie infrastrutture ICT attraverso progetti di Cloud & ICT as a Service e alla presentazione di casi di studio di aziende utenti che hanno implementato significative soluzioni Cloud.
P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O
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Ifin Sistemi: fatture digitali a impatto zero
È ormai imminente la data del 6 giugno, quando scatterà l’obbligo per i fornitori della PA di emettere fatture solo digitali verso gli enti centrali. Le fasi del processo normato prevedono predisposizione e verifica della fattura, firma digitale, invio, dialogo con il sistema d’interscambio (SdI) gestito da Sogei, e inoltro al sistema di conservazione. Tra i fornitori software che supportano tale processo, Ifin Sistemi si distingue con Invoice Channel, soluzione definita “a impatto zero” per la flessibilità nell’integrarsi con i sistemi gestionali, la semplicità d’uso e l’estensione alla conservazione digitale. Per la predisposizione e verifica, Invoice Channel può connettersi a qualsiasi gestionale, ricevendo file Xml già in “formato Sogei” su cui esegue controlli d’integrità e correttezza, o anche file di altri tipi. «Un grande problema per i fornitori della PA – spiega Antonio Taschin, IT Manager di Ifin Sistemi – è che Sogei richiede informazioni, per esempio sull’ordine o sulla gara, che nelle fatture pdf di solito non ci sono. Modificare ad hoc il sistema fatturante però è oneroso, specie per chi gestisce flussi di fatturazione verso Paesi esteri». Per questo Invoice Channel può ricevere pdf, testi o flussi d’altro tipo, e con la funzione Ifin Translate comporre in automatico un Xml standard Sogei. E se mancano informazioni, tramite l’interfaccia web di Invoice Channel l’utente può compilare a mano le voci corrispondenti, o si può definire un automatismo per il completamento. Per l’apposizione della Firma, Invoice Channel supporta l’uso della firma digitale locale, remota e massiva di qualsiasi Certification Authority accreditata presso AgID, interagendo con i più recenti sistemi di firma HSM e Smart Card e controllando
Le caratteristiche peculiari della soluzione Invoice Channel, che copre tutte le fasi della fatturazione elettronica verso la PA e si distingue per flessibilità d’integrazione con i sistemi gestionali ed estensione nativa alla conservazione sostitutiva
Antonio Taschin IT Manager Ifin Sistemi
la validità del certificato. Nel dialogo con il SdI poi Invoice Channel gestisce invii, ricevute di consegna e notifiche d’accettazione o scarto, e nei 15 giorni fissati dalla legge per la verifica della fattura monitora l’evoluzione dell’iter, notificando esiti e modifiche al produttore del documento. «È importante anche la capacità di supportare diversi canali di comunicazione con Sogei: la nostra soluzione permette l’invio via web services o via ftp. C’è infatti un limite per le dimensioni dei file spedibili via web services: chi deve accludere alla fattura documenti pdf, e inviare quindi grandi file Xml, può farlo via ftp». Quanto alle notifiche, l’utente può vedere sull’interfaccia web di Invoice Channel le fatture di sua competenza, il loro stato e le risposte di Sogei, e fare ricerche mirate, download, e interventi manuali. Oppure può riceverle via email, o direttamente nel sistema fatturante, previo interfacciamento tramite web services. Infine la legge impone di portare le fatture digitali in conservazione: «Qui entra in gioco Legal Archive, soluzione Ifin integrata nativamente con Invoice Channel – conclude Taschin –: è conforme agli standard OAIS, Dublin Core, UNI SiNCRO, e quindi alle regole tecniche emanate in marzo, e garantisce integrità, affidabilità, e reperibilità nel tempo delle fatture digitali».
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Stefano Mainetti School of Management Politecnico di Milano
CIO in cerca di nuove competenze per l’innovazione del Data Center Per ottenere i risultati attesi di performance e contenimento dei costi, l’evoluzione delle infrastrutture e quella delle conoscenze devono andare di pari passo. Un tema, questo, sempre più rilevante nelle agende dei Responsabili ICT, che devono oggi fronteggiare uno scenario sintetizzato nel nuovo acronimo “SMAC”, ovvero Social, Mobile, Analytics, Cloud. Se ne è parlato in un recente incontro organizzato da ICT4Executive in collaborazione con Oracle
Performance, capacità, crescita e innovazione hanno nelle competenze ICT un medesimo comun denominatore, soprattutto in un mercato caratterizzato da processi basati su architetture tradizionali al fianco di una crescente ingegnerizzazione tecnologica. E proprio le competenze, in ottica Modern Data Center, sono state al centro di un recente incontro organizzato da Ict4Executive, in collaborazione con Oracle, che ha riunito attorno a un tavolo quindici Responsabili Ict di grandi aziende, pronti a condividere opinioni e punti di vista su un percorso alla ricerca del giusto equilibrio tra massima rapidità ed elevata efficienza. «Il Chief Information Officer deve poter interpretare le esigenze di business e garantire flessibilità - ha detto aprendo l’incontro Stefano Mainetti, Codirettore dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Mi| 54 |
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lano - e proprio per ottenere il giusto mix di competenze in direzione di quella semplificazione ormai prioritaria per concertarsi sulla vera innovazione, serve un’infrastruttura agile, scalabile e ad alte prestazioni, pronta a recepire Big Data, Mobility e nuovi processi di lavoro». Ridurre la complessità, una priorità per tutti La trasformazione di ruolo passa, infatti, per esigenze variabili e costanti richieste di contenimento dei costi. «Per questo il CIO deve riuscire a ridurre la complessità - ha proseguito Mainetti -. Una strada percorribile è quella di far evolvere l’infrastruttura ponendo l’accento sul Modern Data Center, in un orizzonte di competenze in evoluzione». E se il passo per arrivare a un Modern Data Center automatizzato può sembrare difficile, non bisogna
r e p or tage | CI O i n c e rc a di n uov e comp e t e n z e p e r l’ i n n ova z ion e de l data c e n ter
dimenticare che ormai, sempre di più, il business è dominato da pianificazioni strategiche dinamiche, che richiedono elasticità, aumento di valore e velocità di provisioning.
mation officer, seguendoli in questo cambiamento di ruolo, capendone le esigenze e soddisfacendone le necessità, perché cambiare il mix di competenze è sicuramente impegnativo.
«Altro driver - ha aggiunto Mainetti - è rappresentato dalla possibilità di recuperare competenze anche da attività a basso valore aggiunto: la gestione di un’infrastruttura che si evolve rapidamente rappresenta un costo per l’organizzazione e non consente di liberare risorse per digitalizzare i processi di impresa. Un mezzo per ottimizzarne la capacità è proprio quello di consumare meno risorse operative e dare più spazio ad attività di valore sui processi di business, liberando tempo-uomo. Bisogna, quindi, far maturare gli skill interni, anche se ciò comporta investire in un momento in cui ci sono costi da tagliare, oltre che standardizzare le procedure interne e l’erogazione delle risorse».
Emanuele Ratti System Country Leader di Oracle
Evoluzione infrastrutturale e di conoscenza vanno dunque di pari passo: spazio quindi a competenze manageriali, di innovazione, relazionali e di progetto, con cambiamenti in corso anche per profili architetturali e sistemistici, con una forte attenzione al presidio dei clienti interni.
Milo Gusmeroli vicedirettore generale e CIO di Banca Popolare di Sondrio
«Governare fino all’ultimo bit è una rincorsa che il CIO non può sostenere né a livello di costi né di persone - ha concluso Mainetti -. Bisogna abbandonare la tradizionale visione di maestria artigianale per legarsi a infrastrutture ingegnerizzate che permettano di superare le aree di scopertura». Ed è qui che entra in gioco la capacità dei vendor di diventare specchio delle esigenze dei Chief infor-
Mainetti: «Governare fino all’ultimo bit è una rincorsa che il CIO non può sostenere né a livello di costi né di persone. Bisogna abbandonare la tradizionale visione di maestria artigianale per legarsi a infrastrutture ingegnerizzate» www.ict4executive.it
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reportage | CI O in c e r c a d i nu ov e co m pe t e nz e p e r l’ i n n ova z ion e de l data c e n t e r
Ratti: «L’ingegnerizzazione dei sistemi in direzione della semplificazione unisce obiettivi di efficienza e di standardizzazione. Ciò garantisce accelerazione sulla potenza computazionale per nuovi sviluppi e nuove analisi fino a ieri non possibili»
«Sul mercato osserviamo una crescente affermazione del modello “SMAC”, ovvero Social, Mobile, Analytics, Cloud, dove per analytics si intendono i Big Data - ha esordito Emanuele Ratti, System Country Leader di Oracle -. Ma esistono altri tre pilastri: server, storage database, e middleware security, in cui si registra forte complessità e larga presenza di competitor. Per questo bisogna semplificare la tecnologia e rendere maggiormente efficiente l’IT, liberando così risorse intellettuali. L’ingegnerizzazione dei sistemi in direzione della semplificazione Claudio Pieri CIO di Lotto Sport Italia
La parola ai CIO «Il CIO deve evolvere - ha dato il via al dibattito Fabio Degli Esposti, Direttore ICT di Sea Aeroporti di Milano - a maggior ragione rispetto alle nuove frontiere SMAC. Serve esperienza pragmatica sul campo, a quotidiano confronto con complessità, sicurezza, livelli di servizio, modernità, cambi di paradigma. Certamente bisogna essere capaci di comprendere e applicare le nuove opportunità offerte dalla tecnologia, affrontandole con attenzione e professionalità per una trasformazione di ruolo completa, sempre nell’ottica dei propri rispettivi business». «Il business richiede rapidità e per ottenerla un ruolo di rilievo è sicuramente giocato dai Data Center, anche per gestire il fenomeno dei Big Data, intesi come integrazione con dati non strettamente aziendali - ha evidenziato Tarcisio Zacchetti, ICT Director di Salumificio Beretta -. Serve costante attenzione a come evolve il mercato, in modo da far crescere le competenze per poter risolvere la complessità interna. Una strada che, però, non sempre è percorribile perché, spesso, le risorse sono risicate, senza che vi sia la necessaria ridondanza».
Dario Bonavitacola Responsabile Direzione Infrastrutture Tecnologiche, Servizi e Sicurezza di Gruppo Cedacri
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unisce obiettivi di efficienza e di standardizzazione, ottimizzando attività che non sono più in carico del cliente. Ciò garantisce accelerazione sulla potenza computazionale per nuovi sviluppi e nuove analisi fino a ieri non possibili, offrendo così un elevato recupero di marginalità e una ridefinizione dei ruoli e delle competenze».
«Stiamo guardando dal buco della serratura un problema molto vasto - è intervenuto Claudio Pieri, Cio di Lotto Sport Italia -. Oggi i Data Center non possono non tenere conto del Cloud, principalmente nella sua veste ibrida, e della necessità di equilibrio con complessità, costi e Mobility. I precedenti paradigmi stanno inesorabilmente mutando e così anche i rapporti tra IT e front end aziendale, rispetto al fatto di avere delle risorse interne e delle professiowww.ict4executive.it
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nalità esterne con cui confrontarsi, caratterizzati da diversi livelli di competenza, prospettive di soluzioni ed erogazione dei servizi».
Ernesto Bonfanti Direttore Centrale Ict di Gruppo Fiera Milano
Dario Bonavitacola, Responsabile Direzione Infrastrutture Tecnologiche, Servizi e Sicurezza di Gruppo Cedacri, ha invece spostato l’attenzione sull’innovazione, per cui, in generale, la dicotomia è tra strategia ed esecuzione, con ruoli in cambiamento: «La complessità che si sta generando è dovuta al fatto che le proposte di opportunità sono tante, ma per concretizzarle le inclinazioni devono andare in direzione dell’execution. Ed è proprio a livello di Data Center che si sente maggiore necessità di concretezza, di processi strutturati e di capacità di gestire il cambiamento». Fabio Degli Esposti
Il servizio prima di tutto «Abbiamo preso coscienza di una trasformazione - ha posto l’accento Milo Gusmeroli, vicedirettore generale e CIO di Banca Popolare di Sondrio -, ma prima di tutto bisogna avere chiaro lo scopo a cui mira l’infrastruttura aziendale, che deve essere sì funzionale e performante ma, principalmente, erogare servizi. Anche i nuovi ruoli e il rinnovato capitale intellettuale dell’IT devono diventare risorse di governance e porsi l’erogazione del servizio come obiettivo, con competenze tecniche ma sensibilità verso il cliente. Solo in questo modo si potranno coniugare i nuovi e ineludibili trend digitali con la realtà dei diversi ambiti di attività. Perché la trasformazione è importante ma non bisogna rinnegare la propria storia e concretezza, applicando correttamente l’innovazione al business, per il quale è indifferente se le risorse necessarie sono gestite internamente o provengono dall’esterno». E servizio è anche il concetto attorno a cui ha fatto perno l’intervento di Ernesto Bonfanti, Direttore Centrale ICT di Gruppo Fiera Milano: «La guida di tutto è proprio il servizio da erogare al nostro cliente interno o esterno, in funzione del mi-
Direttore Ict di Sea Aeroporti di Milano
glioramento dei processi della macchina operativa aziendale o di nuovi servizi digitali per il business. Gli aspetti infrastrutturali e tecnologici ne sono una conseguenza, spesso frastagliata e molteplice, che automaticamente chiede chiarezza, semplificazione e competenza». (A.Z.) La versione integrale dell’articolo, con gli interventi di tutti i CIO che hanno partecipato alla tavola rotonda di ICT4Executive è online sul sito www.ict4executive.it www.ict4executive.it
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Speciale “CLOUD”
Nel viaggio verso il Cloud, dall’offerta un aiuto decisivo Per Gartner il 70% dei CIO cambierà nei prossimi 2-3 anni le relazioni di fornitura di servizi IT, e la capacità di seguire i clienti nella trasformazione digitale sarà una carta vincente. «Le imprese italiane cercano nel mercato un riferimento per supportare il disegno del percorso Cloud e supplire a carenze interne», conferma l’Osservatorio Cloud & ICT as a Service
Il cambiamento all’interno delle funzioni IT delle aziende è un’esigenza sempre più inderogabile dettata dall’evoluzione tecnologica e dalle richieste del business. È un momento quindi in cui il bisogno di supporto da parte degli IT service provider è particolarmente sentito. Il 70% dei CIO, secondo un’indagine di Gartner, è alle prese con una importante fase d’evoluzione nei prossimi 2-3 anni, in cui cambieranno profondamente le relazioni di fornitura di servizi e tecnologie. Il risultato sarà uno spostamento dell’utenza verso quelle realtà capaci di adattare prontamente il proprio modello. Social networking, Cloud Computing, analytics, Mobility e Internet of Things spiega Gartner, sono gli aspetti principali sui quali deve avvenire la transizione delle aziende clienti, con l’aiuto dei service provider. I quali, oltre a padroneggiare queste tecnologie, devono saperne individuare le applicazioni più adatte a ciascun cliente. Gartner è convinta che la capacità di seguire i clienti in questa trasformazione digitale sarà una fondamen| 58 |
tale carta vincente nel campo dei servizi IT. I criteri con cui vengono valutati i fornitori sono destinati a cambiare. La convergenza e lo stretto legame tra componenti Social, Cloud e Mobility nel trattamento delle informazioni, deve diventare il punto di partenza per definire la “nuova generazione” dei servizi. La crescita più consistente è attesa in ambito Cloud Computing, e in particolare nelle aree IaaS (Infrastructure as a Service) e BPaaS (Business Process as a Service), rispettivamente con un 44,9% e un 12,4% di incremento nel 2014. Quindi non saranno tanto i costi a fare la differenza nelle strategie di Cloud Computing, quanto la capacità di garantire la flessibilità. Anche se l’intenzione più diffusa è di mantenere ancora per qualche tempo un’infrastruttura di proprietà, il passaggio al Cloud è ormai avviato soprattutto a livello di infrastruttura e relativa scalabilità. Per un provider, questo significa anche dover mostrare competenze su architetture ibride, aspettando comunque ad accantonare le competenze sui sistemi tradizionali.
Speciale “CLOUD” L’erogazione quindi, sottolinea Gartner, verrà presto valutata in base alla scalabilità, alla capacità di garantire una pronta risposta alle esigenze di business, e ai benefici apportati ai processi in termini di KPI, i key performance indicator. Tutti questi concetti trovano piena conferma nell’analisi dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service 2013 della School of Management del Politecnico di Milano: «Il mercato dell’offerta deve sostenere il percorso di cambiamento delle aziende – scrivono i ricercatori del Politecnico – . Data la natura stessa del Cloud e la discontinuità che questo porta nel modo di concepire l’IT aziendale, mai come oggi domanda e offerta sono fortemente accoppiate: è necessario affrontare un percorso comune per passare dalla teoria alla pratica nel ridisegno del Sistema Informativo aziendale». Il dialogo con i CIO coinvolti nella Ricerca dell’Osservatorio – oltre 200 CIO di grandi imprese italiane e oltre 500 Responsabili IT di PMI – avvalora i concetti espressi da Gartner, evidenziando come le imprese italiane stiano cercando nel mercato un punto di riferimento per supportare il disegno del proprio percorso e supplire a carenze interne nella comprensione del quadro tecnologico e nell’indirizzo della propria strategia. Non è un caso che temi come l’immaturità dell’offerta (32%), la difficoltà di formulare business case sulle iniziative (32%) e l’insufficienza di informazioni sull’offering (23%) siano saliti in cima alle principali criticità segnalate dalle imprese. «Questa è un’opportunità, per gli operatori del canale e per quelli della consulenza e della system integration, che assumono oggi un ruolo chiave di indirizzo delle scelte strategiche sull’evoluzione del Sistema Informativo aziendale e nella progettazione del “Cloud Journey”».
Quanto allo scenario reale dei servizi disponibili in Italia, l’Osservatorio rileva un significativo ampliamento del raggio d’azione dell’offerta di Cloud Pubblico, con un salto qualitativo anche per la flessibilità e robustezza delle soluzioni proposte. Iniziano inoltre a evidenziarsi alcune spinte alla concentrazione dell’offerta di soluzioni applicative standard (gestione HR, CRM, e-mail, UC&C) e la commoditizzazione dell’offerta di risorse infrastrutturali. Un processo che viene accelerato dall’ingresso sul mercato di un’offerta completa e credibile a livello di piattaforma (iPaaS in particolare), che in molti casi già supporta l’orchestrazione di servizi e l’integrazione dei dati trasversalmente a stack architetturali di vendor diversi. Questo scenario evidenzia elementi di conflitto rispetto agli interessi dei player tradizionali del mercato IT, che tendono a reagire affiancando soluzioni Cloud che diano continuità rispetto al loro business storico, arricchendo il portafoglio di offerta tramite acquisizioni esterne e proponendosi anche come fornitori di servizi. Si creano così complessi “ecosistemi di partner”, nei quali ciascun attore assume una molteplicità di ruoli e gestisce simultaneamente rapporti di partnership e competizione con altri attori della filiera. Il forte sviluppo del PaaS è il perno anche del percorso d’evoluzione degli attori di canale, il cui passaggio dal reselling tradizionale alla progettualità a valore è in pieno compimento dopo un iniziale periodo di smarrimento. L’offerta di piattaforme applicative as a service è una nuova arma competitiva per vendor tradizionali e dei player minori: per i primi per realizzare suite nativamente integrate, per i secondi per contrastare il rischio di disintermediazione sviluppando soluzioni innovative. Infine, ci sono gli operatori telco, per i quali il Cloud è una leva strategica per valorizzare i propri asset distintivi, legando alla tradizionale offerta di connettività anche servizi applicativi propri o di vendor terzi, erogati dai propri Data Center (syndication). In sintesi, la sfida verso l’offerta di un servizio completo end-to-end sta rendendo sempre più fluido e contendibile il mercato, tra il riposizionamento degli attori tradizionali e l’ingresso di nuovi player innovativi: il percorso di trasformazione della filiera, sottolinea l’Osservatorio, è pienamente in atto.
I fornitori devono sostenere il percorso di cambiamento delle aziende. Data la natura stessa del Cloud e la discontinuità che questo porta nel modo di concepire l’IT aziendale, mai come oggi domanda e offerta sono fortemente accoppiate | 59 |
Speciale “CLOUD”
eProcurement in cloud, l’importanza della certificazione
In un periodo in cui tenere sotto controllo i costi è prioritario per tutte le aziende, i processi di acquisto rivestono un ruolo di grande rilevanza. Per gestire gli approvvigionamenti diventa sempre più importante dotarsi di strumenti online innovativi, che offrono grandi vantaggi e rendono più trasparente tutta l’attività di gestione. Le soluzioni in Cloud in questo ambito sono particolarmente vantaggiose. È noto, infatti, che scegliendo il software as a service i costi di avviamento sono più bassi rispetto a una soluzione custom, oltre a mettere a disposizione una tecnologia sempre aggiornata e che possa facilmente evolvere per rispondere alle nuove esigenze del business. Nell’ambito degli approvvigionamenti, in particolare, le soluzioni possono essere adottate anche progressivamente. In genere le aziende partono da processi relativamente semplici, ad esempio le gare online, per poi arrivare nel tempo a utilizzare servizi più sofisticati, come l’analisi della spesa, il monitoraggio dei risparmi, la gestione dei fornitori e dei contratti post aggiudicazione. Miti da sfatare Sebbene il software as a service si stia confermando come modello vincente, c’è ancora molto scetticismo. Questa condizione, in Europa, e ancor di più in Italia è generata da miti che vanno sfatati, e il primo tra questi è quello relativo alla sicurezza dei dati. Molte aziende, infatti, hanno già scelto di gestire attraverso il Cloud processi anche estremamente sensibili dal punto di vista della riservatezza, come è quello degli acquisti. Dati sull’aggiudicazione di una gara, di un’offerta per un asta, o un elenco fornitori sono informazioni
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Il processo di acquisto è fra i più critici per le aziende. Le certificazioni ISO 20000-1 ed ISO 27001, che poche aziende in Italia hanno finora ottenuto, garantiscono il massimo livello di sicurezza e qualità nel delivery del software as a service a supporto dei processi aziendali
Marco Argilli Client Solutions & Security Director BravoSolution
strategiche per le aziende e avere certezza della riservatezza, disponibilità e integrità dei dati è fondamentale: le soluzioni cloud certificate ISO 27001 costituiscono una garanzia documentata e verificabile. Già oggi realtà quali la Banca D’Italia, il Ministero della difesa in Inghilterra, e l’IRS Internal Revenue Services (l’ente che raccoglie i tributi) in Usa utilizzano le soluzioni di BravoSolution, società specializzata in questo ambito con oltre 600 clienti in tutto il mondo e 14 anni di esperienza nella fornitura di software as a a service. Una conferma di come anche organizzazioni molto sensibili ai temi della sicurezza possano trovare vantaggio nell’uso del Cloud. Per garantire ai clienti la massima affidabilità, BravoSolution ha scelto di investire fortemente non solo per migliorare costantemente la propria offerta tecnologica, ma anche per ottenere certificazioni riconosciute a livello mondiale. Si tratta in particolare della ISO 20000-1, standard che riguarda i processi per l’erogazione dei servizi software e che pochissime aziende italiane possono oggi vantare, che si aggiunge a quella già ottenuta in precedenza, la ISO27001, più focalizzata sulla sicurezza, che attesta che i dati vengono gestiti nel rispetto dei principi di riservatezza, integrità e disponibilità delle informazioni.
Speciale “CLOUD” «La certificazione ISO20000-1 costituisce senza dubbio un elemento distintivo nel mercato dei fornitori di servizi informatici e rappresenta una garanzia reale e verificabile per i clienti che scelgono soluzioni certificate. Garantisce il rispetto di elevati standard qualitativi sia per ciò che concerne la gestione dei processi chiave dell’organizzazione relativi a progettazione, sviluppo ed esercizio delle soluzioni fornite, sia nei rapporti con fornitori e clienti», spiega Marco Argilli, Client Solutions & Security Director di BravoSolution. In altre parole, la certificazione assicura che i processi per l’erogazione dei servizi siano definiti secondo un modello strutturato e in linea con lo standard mondiale, garantito da un audit esterno svolto da parte di un ente di certifcazione accreditato, verificabile sempre e comunque anche dai clienti, che hanno così elementi certi per valutare e misurare efficacia, affidabilità e scalabilità delle soluzioni realizzate. Lo standard contempla circa 20 processi principali. Uno fra questi, per fare un esempio concreto, è quello che governa l’evoluzione della piattaforma, ovvero la definizione della roadmap del software, che prevede, fra l’altro, che periodicamente venga rilasciata una release aggiornata con nuove funzionalità: in un mercato che cambia rapidamente, i clienti hanno così la tranquillità che a fronte dell’evoluzione del business, o magari di vincoli normativi, la piattaforma sia sempre adeguata e conforme. I processi di Service delivery Dal punto di vista del cliente, i processi più importanti riguardano il Service delivery e sono, nello specifico, tre. Il primo è il Capacity management, il processo che garantisce che la piattaforma sia scalabile, pronta cioè a supportare un aumento dei volumi di attività, garantendo lo stesso livello di affidabilità e prestazioni. «Se un cliente che normalmente effettua tre gare a settimana ha improvvisamente l’esigenza di farne trenta, non si osservano decadimenti di prestazioni: i tempi di risposta per gli utenti e la disponibilità del servizio rimangono gli stessi», specifica Argilli. Il secondo processo è quello di Service continuity e availability. L’affidabilità della piattaforma è infatti determinante. «Abbiamo definito dei Service Level Agreement molto stringenti con garanzia di disponibilità garantita pari al 99,8%: non è pensabile che ci sia un malfunzionamento che impatti sulla disponibilità del servizio, per esempio, nel momento in cui si sta per chiudere una negoziazione», commenta il manager. Come accennato, un altro aspetto di cruciale impor-
tanza per un cliente nella scelta del provider riguarda la sicurezza dei dati trattatati. La Certificazione ISO27001, che BravoSolution ha ottenuto a febbraio 2011 e che adesso è stata integrata in un sistema certificato ISO 20000-1 / ISO27001, prevede un processo di valutazione che prende in considerazione ben 133 parametri di controllo relativi agli aspetti infrastrutturali, logico-applicativi ed organizzativi. «È importante sottolineare che la certificazione dei datacenter utilizzati per l’hosting delle soluzioni fornite non costituisce un elemento sufficiente, ma una garanzia parziale in quanto inerente soltanto alla componente della sicurezza fisica. Mentre la sicurezza informatica di una soluzione deve essere garantita a tutti i livelli del contesto specifico in cui opera il cliente, ossia attraverso l’attuazione di misure adeguate non solo a livello fisico, ma anche a livello logico e di processo», afferma il manager. Il livello fisico di sicurezza è quello generalmente offerto da chi fornisce l’hosting e riguarda la protezione del data center con il servizio di sorveglianza, il controllo accessi, i sistemi antincendio e antifumo a norma e, la fornitura di energia elettrica ridondata e via dicendo. Ma ancora più importanti sono le protezioni del software, come i meccanismi di strong authentication, l’encryption dei dati, la protezione da azioni di hacking, etc. C’è poi un ulteriore livello, quello organizzativo, che riguarda la gestione della piattaforma da parte dei diversi team che si occupano delle attività di progettazione, sviluppo, installazione e manutenzione, con una separazione chiara dei compiti e delle responsabilità tra le varie funzioni impegnate su queste attività. «L’integrazione delle due certificazioni offre ai clienti la garanzia misurabile sia della sicurezza delle informazioni, sia dei processi che abbiamo attuato per sviluppare e gestire il servizio, e offre una garanzia per le evoluzioni future. Pensiamo per esempio ai clienti nel settore della PA: se cambia una legge sugli appalti il software si deve immediatamente adeguare. BravoSolution ha un team che a livello locale nei singoli paesi si occupa proprio di monitorare l’evoluzione delle normative e valutare l’impatto sulla piattaforma, in modo da rimanere sempre conforme al regolamento specifico. Questa è una garanzia in particolare per i clienti che gestiscono le gare sopra soglia ad evidenza pubblica. Accertarsi che la soluzione offerta possieda queste certificazioni, idealmente ottenute con un modello integrato, come nel caso delle nostre soluzioni, è senza dubbio un passo fondamentale per scegliere l’eccellenza nella gestione dei processi di acquisto», conclude Argilli.
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Speciale “CLOUD”
EasyCloud: da CBT l’approccio graduale all’IT-as-a-service
Sui vantaggi del Cloud Computing nessuno ha più dubbi, dall’eliminazione degli investimenti hardware all’esternalizzazione dei problemi di gestione e sicurezza, fino alla scalabilità in base delle esigenze del momento. Ma il percorso per arrivare a godere di questi benefici non è semplice, e il mondo dell’offerta sta cercando di semplificare alle aziende l’accesso al Cloud con soluzioni industrializzate ma “componibili”, che consentono anche un approccio graduale. Un ottimo esempio è EasyCloud di CBT, che offre soluzioni su misura di Private, Public e Hybrid Cloud, in grado di soddisfare esigenze specifiche, estese anche a Disaster Recovery e Business Continuity. L’obiettivo è accompagnare aziende di ogni dimensione e settore nella trasformazione strategica dei processi organizzativi tramite il Cloud, permettendo di cedere la complessità per focalizzarsi sul core business. In questo senso EasyCloud permette un’esternalizzazione progressiva di infrastrutture, servizi e applicazioni, supportando tutti i modelli dall’IaaS (Infrastructure-as-a-Service), con fruizione in Cloud di sistemi operativi, server, dischi, connettività, al Paas (Platform-as-a-Service), dove oltre ai componenti precedenti il vendor prende in carico anche middleware e sicurezza, fino al SaaS (Software-as-a-Service), dove l’azienda utente utilizza come servizi anche le applicazioni. La proposta di CBT quindi supporta tutti i principali approcci Cloud. Il Private Cloud con un’infrastruttura dedicata di server e storage (comprensiva di apparati di rete, firewall, ecc…), e un’infrastruttura di backup e Disaster Recovery condivisa. Il Public Cloud, con Virtual Machine e Storage su infrastruttura condivisa, e il massimo livello di segregazione logica (un server è costituito di più moduli,
Un’offerta basata su soluzioni progressive e su misura di IaaS, PaaS e SaaS, in grado di supportare qualsiasi modello di Private, Public e Hybrid Cloud, e che fa leva su un’infrastruttura proprietaria con oltre mille certificazioni dei principali vendor
ciascuno dedicato a un cliente). E infine l’Hybrid Cloud, con progetti personalizzati per una cessione graduale delle infrastrutture, secondo esigenze o timing specifici, in funzione delle complessità applicative, ed eventuali soluzioni di Disaster Recovery o Business Continuity. CBT eroga i servizi EasyCloud tramite un’infrastruttura proprietaria, che conta oltre mille certificazioni dei principali vendor (IBM, HP, Cisco, Oracle, VMware, Trend Micro, Datacore,…): l’architettura ridondata dei due data center, a Roma e a Milano, permette di offrire funzioni avanzate di Disaster Recovery e Business Continuity. Ciò consente grande affidabilità e velocità di risposta, allineamento continuo dei dati e backup, con servizi in linea con le più stringenti normative di sicurezza e continuità.
Chi è CBT CBT (Cosmic Blue Team SpA) è presente da oltre 35 anni nel mercato ICT. Nelle sedi di Roma, Milano, Venezia, Torino, Novara, Bologna, conta su 270 persone, a cui si aggiungono 3.000 addetti complessivi delle cento aziende del canale CBT Network. Nel 2013 l’azienda ha registrato un fatturato di 54 milioni di euro, in crescita del 6% rispetto al 2012. I fronti d’offerta sono tre: EasyCloud nell’area Cloud Computing; EasyWare (progetti di outsourcing); e la parte applicativa incentrata sull’Enterprise Information Management (EIM), che CBT declina in WebRainbow e WebArrow, piattaforme proprietarie erogate anche in modalità as a Service.
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Speciale “CLOUD”
Retelit, una rete veloce e affidabile per il Cloud
Un’infrastruttura di rete veloce e affidabile è la chiave di volta di un servizio Cloud di livello enterprise. Senza un collegamento gestito end-to-end, flessibile e a larga banda, non è pensabile, infatti, che le applicazioni aziendali possano essere erogate da un Data Center esterno secondo i canoni di disponibilità e sicurezza che le aziende, quelle grandi come quelle piccole, si aspettano di avere. Si tratta di un aspetto che può sembrare scontato, ma che in realtà non lo è, in un mercato dove le offerte di infrastrutture IT “as a service” si stanno moltiplicando. Ne parliamo con Giuseppe Sini, Direttore Commerciale di Retelit, uno dei principali operatori italiani di servizi dati e infrastrutture per il mercato delle telecomunicazioni, che su questo sta puntando: la società si propone infatti come “Cloud enabler” per il mercato italiano dei Service Provider ICT. Cosa intendete esattamente quando vi definite un “Cloud enabler”.? Significa che il nostro ruolo è quello di fornire la connettività fra i Data Center e i clienti, e l’housing dei sistemi elaborativi, mettendoli a disposizione degli operatori che vogliono erogare i servizi in modalità Cloud. Oltre ai nostri mercati storici di riferimento, ci rivolgiamo, quindi, al mercato dei fornitori di servizi Cloud e per mettere a punto l’offerta abbiamo fatto importanti investimenti sia nello sviluppo della rete sia nei nostri Data Center principali, che sono a Milano, Bergamo, Roma e Bologna, dove abbiamo ottenuto la certificazione 27001.
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L’operatore italiano di telecomunicazioni, che dispone di oltre 7.600 Km di fibra in Italia, si posiziona come Cloud enabler, fornendo agli operatori ICT l’infrastruttura per offrire applicazioni “as a service” alle imprese, grazie agli importanti investimenti nell’innovazione
Giuseppe Sini Direttore Commerciale Retelit
Si tratta di un mercato che si sta sviluppando solo ora. Finora in Italia sono stati realizzati progetti di private Cloud, con il consolidamento delle infrastrutture IT e la virtualizzazione, ma l’adozione da parte delle aziende del public Cloud è ancora agli inizi: siamo indietro rispetto ad altri Paesi europei. Ma oggi c’è movimento, l’offerta di servizi Cloud è in crescita e le PMI sono quelle che ne avranno i maggiori vantaggi. A chi vi rivolgete, dunque? Il mercato è dominato dai grandi operatori, Telco e OTT, ma accanto a loro si stanno muovendo in questa direzione anche molti system integrator e Service Provider locali, più in generale operatori ICT che hanno il presidio del territorio e forti relazioni con i clienti e desiderano ampliare l’offerta e cogliere l’opportunità. Ci rivolgiamo a loro, perché un servizio in modalità Cloud può essere erogato solo se c’è una rete in fibra ottica gestita end to end: è proprio questo il nostro focus e il nostro punto di forza. Abbiamo fatto forti investimenti per innovare l’infrastruttura: disponiamo di oltre 7.600 chilometri di fibra ottica, dispiegata su strade statali e comunali che raggiungono nume-
Speciale “CLOUD” rosi centri abitati e 8 reti metropolitane, oltre ai Data Center nelle città più importanti. Si tratta dunque di un’evoluzione dell’offerta per Retelit… I risultati positivi che abbiamo ottenuto in questi anni ci hanno permesso di investire nella tecnologia e di allargare il focus dagli operatori TlC verso gli operatori del settore ICT e i Cloud service provider, con grande soddisfazione: l’offerta Cloud enabler per operatori ICT ci ha permesso di incrementare significativamente il parco clienti ed è passata in tre anni a rappresentare quasi il 15% del fatturato. I carrier internazionali che non hanno una rete in Italia e gli operatori nazionali sono ancora i clienti più importanti, oltre a Broadcaster, New Media Company e Over The Top. In generale, la nostra strategia è di puntare su nicchie ad alto valore aggiunto, garantendo una elevata velocità di risposta, perché la nostra è un’organizzazione snella che può garantire forte personalizzazione delle soluzioni di connettività offerte. L’innovazione tecnologica è per voi fondamentale. Cosa prevede il vostro piano di investimenti? Il piano prevede 75 milioni di euro di investimenti in 5 anni, dal 2012 al 2017, e questo ci permette di erogare nuovi servizi e di andare incontro alle esigenze dei clienti, in particolare con le reti Carrier Ethernet di nuova generazione e un backbone a 100 Gbps, senza cambiare il nostro DNA di Infrastructure Service Provider . A livello di trasporto, in particolare, la VPN ottica a 100 Gbps apre un nuova era di servizi in Italia, perché permette massima flessibilità di configurazione, con tempi ridottissimi. E’ ideale per gestire picchi di traffico tipici di connessioni fra Data Center. In altre parole, non serve solo avere una banda larghissima, ma poter gestire traffico discontinuo, con bassa latenza. Quanto alla gestione, oggi si parla di Software Designed Network: significa che dove prima bisognava installare schede hardware, ora basta una configurazione da remoto a livello software, permettendo maggiore facilità e rapidità nell’installazione e nella configurazione dei servizi al Cliente.
vo brand di servizi che proporremo direttamente ai clienti finali. In particolare l’offerta sarà rivolta a tutte le aziende di medio-grandi dimensioni che si trovano in prossimità della nostra rete in fibra ottica. Ne abbiamo individuate 12.000 entro i 100 metri dalla rete alle quali offriremo servizi di connettività ultrabroadband e servizi di cloud storage e back up as a service indirizzando specifiche esigenze di Disaster Recovery e/o Business Continuity. La connettività ultrabroadband a bassa latenza e la prossimità ai nostri Data Center risponderanno a queste esigenze ancora non completamente soddisfatte su quel segmento di mercato enterprise. E per quanto riguarda la presenza internazionale? Come annunciato nel piano industriale, recentemente abbiamo aperto un nuovo POP internazionale a Francoforte che funzionerà da nuovo nodo di accesso per l’offerta di servizi trasmissivi tradizionali, di nuovi servizi Carrier Ethernet e VPN MPLS. Il nuovo nodo è collegato da un anello ad altissima capacità (10 GBit al secondo) ed è situato presso uno dei Data Center più importanti e strategici in Europa, Equinix di Francoforte, attualmente uno dei maggiori punti di interscambio di traffico dati europeo. Durante il 2014 apriremo un nuovo POP analogo a Londra e successivamente, in coerenza con lo sviluppo del business internazionale, altri punti di presenza europei sempre in Data Center sedi di POP di altri operatori internazionali. Questo rende l’offerta di Retelit accessibile a tutti gli operatori presenti in quei Data Center e consente di offrire destinazioni internazionali ai propri clienti italiani.
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Modello ibrido per sap: le Cloud Application ampliano il sistema erp
«Dato il forte presidio del mondo delle enterprise application “on-premise”, dove è leader di mercato, SAP gioca chiaramente un ruolo molto importante anche nel mercato Cloud Application, dove ha scelto ovviamente di fare leva sulla sua grandissima base installata, promuovendo un modello ibrido in cui completare il tradizionale sistema ERP con soluzioni, moduli e funzioni specialistiche in Cloud». Così Fulvio Bergesio, da gennaio LOB (Line Of Business) & Cloud Sales Director di SAP Italia, spiega la strategia di SAP nelle applicazioni Cloud. Strategia rispecchiata anche dalle responsabilità dello stesso Bergesio, che coprono sia le soluzioni SAP in Cloud che quelle on-premise delle aree procurement, HCM, finance e CRM, oltre al prodotto ERP SAP Business ByDesign, disponibile solo in modalità softwareas-a-service. «Moltissime aziende nel mondo hanno un sistema ERP, in molti casi SAP, e noi proponiamo loro di estenderne o ampliarne le funzioni in modo rapido e agile con soluzioni nativamente integrate: molte multinazionali con sedi sparse nel mondo per esempio ci chiedono di mettere in Cloud processi come il talent management, in modo da poterli gestire su scala globale con costi inferiori». Dal punto di vista tecnologico, SAP ha allestito la sua offerta di Cloud application con acquisizioni (le più importanti sono state SuccessFactors e Ariba, specialisti Cloud rispettivamente di HCM e di e-commerce B2B) e sviluppi interni: CRM e moduli di contorno, per esempio in ambito social e travel management, ma anche, sottolinea Bergesio, la piattaforma in-memory SAP
«Molte aziende nel mondo e in Italia hanno un erp on-premise, in molti casi SAP: noi proponiamo di estenderne le funzioni in modo rapido e agile con soluzioni as-a-service, nativamente integrate, di procurement, HCM, finance e CRM», spiega Fulvio Bergesio
Fulvio Bergesio LOB & Cloud Sales Director SAP Italia
Hana. «Hana è fondamentale anche in ambito Cloud, perché oltre a garantire prestazioni superiori dei data center, è anche la base su cui sono state realizzate soluzioni come SAP Hana CloudIntegration che permettono l’interscambio informativo tra soluzioni diverse su piattaforme diverse». La necessità di business di proporre soluzioni Cloud ha avuto forti impatti sulla struttura e sull’organizzazione stessa sia di SAP che dei partner del suo ecosistema, che hanno dovuto adattarsi rapidamente. «L’offerta Cloud impone la rivisitazione di tutti i modelli di vendita, prevendita, consulenza, e richiede anche un certo cambiamento di approccio: in questo senso i partner ci stanno dando una grossa mano soprattutto nella relazione con i responsabili di LOB delle aziende». Il mondo, infatti, è cambiato, conclude Bergesio: l’IT non copre più con il suo budget tutte le iniziative IT aziendali, e sempre più collabora con il business e decide congiuntamente, «per cui i responsabili LOB per noi sono interlocutori sempre più importanti, soprattutto nella fase di prevendita, dove c’è una piena collaborazione tra SAP e partner, mentre le fasi di implementazione e post vendita sono affidate quasi completamente ai partner».
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Speciale “cloud”
La virtualizzazione ora va in rete
In una visione estremamente semplificata, il Cloud Computing non è lontano da un ritorno al passato delle architetture IT rivisitato in chiave moderna. Dove infatti alcuni anni fa i desktop avevano soppiantato i precedenti terminali passivi collegati a un sistema centralizzato, oggi si sta affermando il ritorno di dati e applicazioni verso i server remoti. Decidere se la situazione sia causa o effetto della combinazione dei fattori che caraterizzano le nuove tendenze - in particolare mobility, condivisione e collaborazione - è un fattore secondario. Più importante è infatti riuscire a configurare e gestire i sistemi in modo da assecondare lo scenario attuale. La prima parte di questo cammino è simile a quanto compiuto anche dalle componenti di networking delle infrastrutture, passando dai semplici hub passivi a switch dotati nel tempo di un numero crescente di funzionalità e intelligenza computazionale. Non deve quindi stupire chi intravede ora un analogo passaggio a ritroso anche in questo contesto. «L’obiettivo principale degli studi che ho condotto nel corso degli ultimi anni a Standford, e che in seguito ho sviluppato nella società Nicira, era estendere la virtualizzazione alla componente di rete - spiega Martin Casado, Chief Networking Architect (NSX) di VMware -. Con il graduale passaggio al Cloud Computing, per i data center, questo aspetto è infatti diventato una questione prioritaria». In tanti data center, soprattutto quelli più grandi come Google o Amazon, si è arrivati a un punto dove
p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...
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l’intelligenza degli switch ha portato a un aumento incontrollato dei costi di gestione del networking, difficile da sostenere nelle architetture orientate al cloud. Dopo l’acquisizione di Nicira per vmware è arrivato il momento di portare le funzionalità di rete a livello di applicazioni sui server
Martin Casado Chief Networking Architect (NSX) di VMware
non è più sostenibile gestire una serie di funzionalità, quali sicurezza, bilanciamento di carico, difesa o policy a livello di Rete. La tendenza è quindi spostare queste funzioni a livello di applicazioni, così da rendere la gestione molto più semplice. «In questa visione, l’unico compito che rimane da garantire a livello di Rete è la connettività - prosegue Casado -. Significa avere un’infrastruttura meno costosa, più efficiente, più scalabile e più semplice. Soprattutto, la velocità di innovazione è maggiore perchè le funzionalità a livello hardware richiedono anni per essere aggiornate, mentre a livello software si parla al massimo di mesi». Una visione però, non priva di controindicazioni. Nei casi citati, Google e Amazon ci sono arrivati partendo da configurazioni fortemente personalizzate e non adatte quindi per una commercializzazione su vasta scala. La vera sfida è quindi quella di una soluzione in grado invece di affrontare il mercato. Esattamente quanto Nicira intendeva dimostrare di aver raggiunto. Una dimostrazione con tutte le carte in regola se VMware nel 2012 non ha esitato a investire 1,26 miliardi di dollari per assicurarsi una tecnologia
Speciale “cloud” Ridefinizione dell’infrastruttura IT: la Software-Defined Enterprise Fornire nuovi prodotti e servizi più rapidamente, avvicinarsi ai clienti, aumentare la produttività del personale sempre più mobile: la pressione che l’IT riceve in termini di richiesta di innovazione non è mai stata così forte. Ma l’infrastruttura IT esistente è in grado di garantire questa innovazione? Molto spesso le aziende sono limitate da un’infrastruttura IT troppo rigida e complessa per rispondere prontamente alle esigenze di business. La virtualizzazione dei server ha certamente rappresentato un enorme passo in avanti, riducendo i costi IT e aumentando al contempo efficienza e prestazioni. Ma occorre passare a un livello superiore di innovazione, estendere concetti di virtualizzazione già noti (astrazione, raggruppamento in pool e automazione) a tutte le risorse e i servizi del Data Center: non più solo server, quindi, ma anche le componenti storage e di networking. Solo così i servizi offerti dal Data Center sono convenienti e semplici da distribuire e gestire, esattamente come le macchine virtuali. Per fare ciò VMware ha sviluppato una strategia, denominata Software-Defined Enterprise, in cui tutte le componenti dell’infrastruttura IT vengono virtualizzate,
considerata rivoluzionaria. «In una rete virtualizzata, viene installato un software in ogni server, così da creare una visione del tutto simile a quella tradizionale - sottolinea Casado -. Tutte le impostazioni vengono però gestite a livello di server. Lo scopo è far sì che in qualsiasi data center i costi di gestione risultino drasticamente ridotti, migliorando al tempo stesso l’efficienza». Dopo alcuni anni di messa a punto e integrazione nella propria offerta, ora secondo VMware i tempi sono maturi per avviare la svolta. I primi clienti in ambito finanziario, pubblica amministrazione e sanità hanno già avuto modo di sperimentare con successo la nuova impostazione e l’interesse di altre realtà viene dichiarato in crescita. In misura non molto diversa da quanto accaduto con i server e più di recente con lo storage, tra le ragioni per passare alla virtualizzazione, in generale, la principale è ridurre tempi e costi di realizzazione e messa a punto di una rete. Significa poter configurare e rendere disponibili risorse in pochi istanti e rendere fruibili le applicazioni nel giro di poche, quando prima potevano servire settimane. Inoltre, la manutenzione del software si presenta più a buon mercato rispetto
con l’obiettivo di aiutare l’IT a essere più efficiente e le aziende più agili. Virtualizzare non solo i server, ma anche lo storage e il networking, semplifica e accelera in modo significativo i processi di provisioning iniziale e la gestione ordinaria delle risorse di rete, storage ed elaborazione, utilizzando procedure di automazione interamente basate su policy. L’azienda e il reparto IT raggiungono così livelli completamente nuovi di agilità, efficienza operativa, controllo e libertà di scelta. Non solo, un approccio in cui tutte le componenti del Data Center vengono astratte consente di raggiungere nuovi livelli di utilizzo dell’infrastruttura e di produttività del personale - con una conseguente riduzione della spesa di capitale e dei costi operativi -, di ottenere un livello di disponibilità, sicurezza e conformità finora ineguagliato e di costruire una infrastruttura più semplice e più efficiente, offrendo quella agilità e quella flessibilità necessarie per supportare il business. Alberto Bullani Regional Manager VMware Italia
agli interventi sull’hardware. Ma è la terza prospettiva destinata a fare al differenza. «Attualmente l’80% della spesa in sicurezza, il 40% in media nella spesa IT totale, riguarda i confini della rete aziendale, ma l’80% dei dati si muove all’interno - puntualizza Casado -. Con la network virtualization si può invece arrivare al concetto estremo di isolare completamente un’applicazione su una connessione di rete e impedire quindi che ogni possibile attacco si propaghi, il pericolo maggiore in fatto di sicurezza». La nuova concezione di rete secondo VMware tende quindi a spostare l’intelligenza trasferita negli ultimi anni all’interno degli apparati di rete, per collegarla alle applicazioni a livello di server virtuale. Una prospettiva che definisce un modello di architettura IT destinato a guidare i futuri data center. Nel frattempo, l’azienda pensa già a ulteriori sviluppi. «Importante sarà trovare il giusto punto di equilibrio e perfezionare le relative soluzioni software, tra isolamento delle applicazioni e visibilità - conclude Casado -. La sicurezza a livello di applicazioni, infatti, garantisce l’isolamento ma riduce la visibilità su elementi importanti quali il traffico o il profilo degli utenti, mentre in prossimità del firewall avviene esattamente il contrario». | 69 |
Os s e r vato rio di
Vittorio Chiesa e Francesco Utizi
Energy & strategy group, Politecnico di milano
La sostenibilità aziendale come vantaggio competitivo È ormai evidente come le “green practice” e la sostenibilità ambientale siano collegate alle performance e al successo di un’impresa. Si tratta di una sfida imprenditoriale e organizzativa sempre più importante, che le aziende italiane stanno iniziando ad affrontare. Una Ricerca dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano analizza stato dell’arte e nuovi sentieri di sviluppo
Fino a pochi anni fa era diffusa la convinzione che l’attenzione verso l’impatto ambientale rientrasse nella Responsabilità Sociale dell’impresa, con risvolti puramente giuridici o persino etici e morali, scollegando invece possibili impatti sul modello di business e sulle aspettative del mercato. Oggi, invece, le aziende hanno la consapevolezza che esiste un legame crescente tra le green practices ed il successo. In breve, la sostenibilità cessa di essere meramente ambientale ed allarga i suoi confini al modello di business “sostenibile” dell’impresa. Diversi aspetti stanno portando ad un crescente interesse verso questo tema ed all’incremento costante degli investimenti. Fra questi, la sensibilità delle stesse imprese, l’esigenza di adeguamento all’evoluzione normativa (sempre più frequente e stringente in questi anni), la necessità di aumentare la qualità dei prodotti e la contemporanea riduzione dei costi necessari per la loro produzione, il miglioramento dell’immagine e della reputazione | 70 |
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agli occhi di consumatori, sempre più sensibili all’evoluzione ambientale e, infine, le nuove opportunità di mercato. Il progetto di ricerca “GreenTech” dell’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano vuole definire la rilevanza del tema della sostenibilità ambientale per le aziende in Italia e le conseguenze che questa nuova sfida imprenditoriale sta provocando sui mercati. Più di 80 sono le imprese che hanno preso parte all’indagine, afferenti ad oltre 10 diversi macrosettori. In totale, il campione raccoglie un volume d’affari pari a circa 42.5 miliardi di euro ed impiega un totale di oltre 125.000 addetti. Green practice: una definizione Obiettivo dell’indagine è stato innanzitutto quello di fornire il reale significato del tema “green practices in azienda” che, inteso come quella se-
o s s e r vat o rio | L a so st e n ib il ità a z ie n da l e c o me va n tag g io c o mp e t it i vo
rie di strumenti e assetti organizzativo/gestionali volti a ridurre l’impatto dell’attività dell’impresa sull’ecosistema e ad implementare una strategia orientata alla sostenibilità ambientale, assume declinazioni specifiche ancorché dai contorni ancora sfumati, riconducibili in sostanza a 5 aree di attività: • • • • •
produzione di energia da fonti alternative; recupero di scarti e prodotti; ottimizzazione della logistica; innovazione di prodotto; efficienza nei processi produttivi e/o nelle strutture di staff.
L’evidenza empirica delle analisi condotte ci dice come tra le green practice implementate, la ricerca dell’efficienza (energetica in particolare) nei processi produttivi core e/o nella gestione delle facilities di supporto rappresenti l’obiettivo dei principali progetti implementati o in fase di implementazione dalle aziende italiane, seguita subito dopo dal concetto di “recupero” di scarti e prodotti (o parti di essi) imperfetti o obsoleti. Andando sui numeri e sui risultati, circa l’82% delle aziende intervistate vede il tema della sostenibilità come una opportunità per la ricerca sia dell’efficienza delle strutture produttive e di
staff (circa 82,5%), che di un miglior impiego dei prodotti e dei componenti in un ottica di recupero/riciclo; l’impiego di fonti rinnovabili rimane presente nell’agenda delle aziende anche se con minore commitment. Andando più nel dettaglio, l’efficienza nell’impiego di fattori produttivi e nell’ottimizzazione energetica ed ambientale delle facilities ha una rilevanza predominante nel 59% dei casi (34% efficienza, 25% recupero). In particolare il tema del recupero e del riciclo è il secondo in termini di importanza relativa e viene visto come importante opportunità di cost reduction. Da notare come l’impiego di fonti rinnovabili, anche a causa delle recenti evoluzioni normative che non stimolano l’economicità di investimenti in tal senso, appare come la green practice verso la quale le imprese sono oggi meno sensibili. Il principale driver che muove le scelte delle aziende in questa direzione è relativo a policy e scelte interne dell’azienda, a testimonianza di un interesse e di una consapevolezza crescenti verso il tema della sostenibilità. Tuttavia fattori esterni come l’evoluzione normativa, o l’evoluzione delle dinamiche di mercato o delle mosse dei competitor rimangono di notevole importanza. Il 75% delle aziende intervistate, tra gli obiettivi raggiunti, pone la compliance normativa e/o l’ottenimento di specifiche certificazioni come il
green practice implementate o in corso di implementazione 66%
60%
44% Efficienza strutture
% di imprese
50% 40%
40%
30%
56% Efficienza processi produttivi
20%
62%
Fonte: Energy & strategy group, Politecnico di Milano
70%
40% Recupero prodotti
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Prodotti green
Logistica green
60% Recupero scarti
10% 0% Energia rinnovabile
Efficienza
Recupero
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osservatori o | La s os t e ni bi l i tà az i e ndal e com e va n tag g io c o mp e t it ivo
principale risultato raggiunto. Interessante è anche come l’ottenimento di premi e riconoscimenti specifici e di settore relativi alla sostenibilità ambientale sia un fattore rilevante e citato da circa il 34% delle aziende. Gli obiettivi futuri ed i relativi investimenti continuano ad andare proprio in questa direzione: ovvero le aziende tendono a porsi in maniera sempre più proattiva nei confronti delle tematiche green e della sostenibilità, in modo da trasformare ciò che prima veniva visto come un mero costo fisso, in una opportunità di investimento dal ritorno rilevante. Il tema della ricerca dell’efficienza e del miglioramento dei processi in un’ottica di cost saving è considerato il principale obiettivo futuro delle aziende analizzate. Tuttavia l’incrocio tra sostenibilità e creazione di nuove opportunità di mercato attraverso il lancio di nuovi prodotti con caratteristiche intrinseche ed estrinseche di sostenibilità vede aumentare la sua importanza nel prossimo futuro.
(62 imprese), ben 40 dichiarano di riuscire ad allocare il budget non sul generico fronte della sostenibilità, ma per specifici progetti il cui controllo, tuttavia, non ricade su strutture dedicate ma sulla direzione aziendale. Infine, sono 22 le aziende che oltre a risorse economiche specifiche, governano un relativo processo di ripartizione, pianificazione e controllo. Non essendo trasparente a livello di bilanci civilistici la quota di investimento dedicata alle tematiche Green, appare difficile individuare un ammontare che possa fornire un ordine di grandezza complessivo degli investimenti e della spesa del campione. Tuttavia è stato possibile indagare il sentiment complessivo in termini di crescita attesa degli investimenti. In particolare ben il 49% delle aziende intervistate ha aspettative di crescita degli investimenti e di queste, quasi il 70% prevede incrementi superiori al 5%.
Crescono i budget dedicati
Partendo dal modello della catena del valore le aziende hanno indicato uno o più aree per la collocazione delle green practice implementate. All’interno della stessa area poi sono state indicate le singole pratiche di dettaglio. Le green practice applicate da quasi il 60% delle aziende afferiscono all’area Corporate (es.: green mission, sistemi di reporting strutturati, etc.) ed Operation (recupero scarti, energy management, etc.). L’ICT non viene ancora percepito come possibile ambito di applicazione e sviluppo di pratiche green. Nell’ambito Corporate, la definizione della green mission è il punto di partenza per il 66% del-
La sostenibilità ambientale, dunque, appare sempre di più come un elemento strategico in grado di innescare nuove dinamiche competitive e di giocare un ruolo cardine nella competizione. A questo fine le risorse fisiche ed economiche che le aziende assegnano sono sempre più oggetto di controllo e presidio benché con gradi di accuratezza diversi. In particolare solo 18 aziende su 80 dichiarano di non avere un budget specifico dedicato alle tematiche in oggetto (meno del 23%). Tra quelli che dichiarano di avere un budget dedicato
Le aree aziendali coinvolte
GREEN PRACTICE: I risultati raggiunti
% di indicazioni
60%
60%
50% 40% 36%
30%
27%
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10% 0% Certif. e compl. normativa | 72 |
Diminuzione costi
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Premi e riconoscimenti
Difesa quota mercato
Incremento fatturato
Fonte: Energy & strategy group, Politecnico di Milano
70%
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osservatori o | La s os t e ni bi l i tà az i e ndal e com e va n tag g io c o mp e t it ivo
le aziende intervistate, mentre oltre la metà delle aziende ha lavorato/sta lavorando all’implementazione di strumenti di misurazione e controllo sia dell’impatto ambientale di uno o più processi core che della redditività degli investimenti relativi alla sostenibilità ambientale La gestione degli scarti, passando alle Operation, viene vista non solo come necessaria attenzione allo smaltimento, ma anche come opportunità di ottimizzazione dei processi produttivi al fine della loro minimizzazione e di un loro possibile recupero. Il tema del contenimento delle emissioni dei gas serra emerge con particolare importanza non solo grazie al focus che l’Automotive da sempre pone sulla tematica del contenimento delle emissioni (comparto dal peso importante all’interno del nostro campione), ma anche di tutte quelle industrie di processo, sia piccole che di dimensione maggiore, che in anni più o meno recenti si sono trovate a gestire questa criticità e sono state in grado di trasformarla in un fattore critico di successo. La ricerca ha investigato la struttura organizzativa dell’impresa per individuare la presenza o meno di una funzione dedicata al presidio di questo tema per capire il riconoscimento della stessa da parte delle altre funzioni. Il risultato è stupefacente, tanto da far emergere veri e propri sentieri di sviluppo organizzativi. Le imprese italiane sono ancora distanti da un presidio efficace della sostenibilità attraverso strutture stabili e dedicate, tanto che solo nel 40% dei casi osservati è presente in azienda una struttura organizzativa dedicata a queste tematiche.
Ancora poche sono le aziende che hanno sviluppato figure e professionalità specifiche come l’Environmental Manager, il Sustainability Manager o l’Energy Manager. In molti casi, è proprio un evoluzione del ruolo del Responsabile Qualità (QHSE) l’alfiere della sostenibilità. Le aziende più strutturate e sensibili alle tematiche di sostenibilità presentano una struttura organizzativa molto snella e costituita per lo più di 2-3 risorse dedicate. Quasi il 60% delle aziende mantiene la competenza allocata su più soggetti o non presidia il tema con ruoli specifici. Nelle aziende meno strutturate le responsabilità in materia di sostenibilità sono disperse nell’organizzazione senza avere un presidio dedicato. Negli altri casi, la gestione ed il controllo organizzativo sono demandate alle singole funzioni dove tuttavia le tematiche green non rappresentano la “core activity”. È rilevante sottolineare come una parte importante del campione non ha ancora realizzato strutture organizzative dedicate o sistemi di misurazione dedicati alle performance ambientali. In sostanza, all’aumentare del commitment verso i temi della sostenibilità, evolve la struttura organizzativa di pari passo. Tuttavia ben il 42,5% delle imprese appare “stuck in the middle”: ovvero non in grado ancora di dotarsi di quegli strumenti tecnici in grado di anticipare il cambiamento. Visto in valore, in particolare, il gap tra le piccole e medie imprese e quelle più grandi appare ancora estremamente rilevante. Tuttavia proprio le imprese di dimensione maggiore, sono quelle da cui ci si aspetta quel salto organizzativo per governare con efficacia l’innovazione.
Presenza nell’azienda di una struttura dedicata fatta di una o più persone che si occupano della sostenibilità
32%
Non esiste una unità organizzativa ma esiste un budget definito e dedicato alla sostenibilità
10%
Non esiste una divisione né un budget dedicato ma solo una generale e destrutturata voce di spesa a livello azienda/corporate dedicato alla sostenibilità
16%
Assenza di strutture organizzative e di strumenti di misurazione e controllo
20% 0%
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20% % aziende
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Fonte: Energy & strategy group, Politecnico di Milano
sensibilità e strumenti organizzativi adottati
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r u b r ic a | r ice rche e st u d i a cura di
paola capoferro ronchetta
Sanità: crollano gli investimenti per la digitalizzazione Nel 2013 la spesa rispetto all’anno precedente è diminuita del 5%. Sale l’allarme sul settore: non solo servono più investimenti, ma è anche necessario un nuovo modello di cura e assistenza integrato e intelligente. La ricerca 2014 dell’Osservatorio ICT in Sanità Sono ormai diversi anni che la School of Management del Politecnico di Milano evidenzia il rischio che la Sanità pubblica perda rapidamente quella qualità che l’ha caratterizzata negli anni passati. Un trend che potrebbe essere invertito investendo nelle tecnologie digitali, la leva che potrebbe combinare efficienza e sostenibilità economica a servizi di qualità. Ma la spesa complessiva per la digitalizzazione della Sanità italiana anche nel 2013 si è ridotta del 5%, dopo il calo già registrato l’anno precedente, raggiungendo quota 1,17 miliardi di euro: appena l’1,1% della spesa sanitaria pubblica, pari a 19,72 euro per abitante. Una contrazione che riguarda in particolare le strutture sanitarie, dove la spesa tecnologica è crollata dell’11% in un anno. Secondo gli esperti, servono nuovi investimenti, e per difendere il Sistema Sanitario pubblico oggi è necessaria una riforma del modello di cura e assistenza, che dovrebbe essere una priorità del Go-
verno, il vero cuore dell’Agenda digitale italiana. Ma la spesa ICT è ancora bassa e frammentata tra Regioni, Aziende Sanitarie e Comuni, nel Governo non c’è una regia unica per le politiche sanitarie e sociali, l’Agenzia per l’Italia Digitale non ha identificato la Sanità Elettronica come priorità e la roadmap per l’implementazione del Fascicolo Sanitario Elettronico, il cuore dell’azione del Governo sull’eHealth, appare di difficile realizzazione.
nel 2013, l’81% delle aziende ha effettuato una spesa per un valore complessivo di circa 38 milioni di euro, confermato anche per il 2014 -, e le soluzioni ICT per la gestione amministrativa e delle risorse umane - per cui l’82% delle strutture sanitarie ha speso complessivamente circa 38 milioni di euro, con una riduzione prevista per il 2014 pari al 4%.
Gli ambiti di innovazione
Secondo l’Osservatorio ICT in Sanità, gli Shared Services - i servizi sanitari erogati centralmente dalle Regioni (o da centri servizi consortili o centralizzati) e forniti alle strutture sanitarie in modo condiviso - potrebbero garantire importanti risparmi di costo - oltre 150 milioni di euro - per effetto delle economie di scala, grazie a miglioramenti sull’efficienza delle infrastrutture e dei processi, e benefici organizzativi, grazie alla razionalizzazione e riallocazione delle risorse.
La Cartella Clinica Elettronica, con una spesa complessiva di circa 58 milioni di euro, rappresenta il principale ambito su cui le Aziende sanitarie hanno allocato risorse economiche, con una crescita prevista per il 2014 superiore all’8%. Oltre il 70% delle Aziende ha investito sulla CCE, anche se il livello di utilizzo delle funzionalità è ancora parziale, così come la loro diffusione a livello di intera struttura. Seguono i Sistemi di front-end - su cui,
Le opportunità degli Shared Services regionali
budget nei diversi ambiti di innovazione nel 2013 e trend previsti per il 2014 Milioni di E Cartella Clinica Elettronica
58
Sistemi di front-end
38
Gestione amm. e RU
38
Business continuity
36
Gestione informatizzata dei farmaci
30
Integrazione con Fascicolo Sanitario Elettronico
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Gestionali di reparto
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SI e Clinical Governance
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Servizi digitali al cittadino
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Dematerializzazione
14
Medicina sul territorio
10
Cloud computing
8
-9,0%
Mobile health
7
+3,7%
ICT per l’assistenza sociale
4
Cartella Sociale Elettronica
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+8,4 % +0,3% -4,4% -1,2% +3,8%
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Fonte: Politecnico di Milano
+3,0%
RUBRICA | ric e rc h e e st u di
CIO italiani cauti sul cloud, ma spuntano i Chief Digital Officer I responsabili IT del nostro Paese cercano di bilanciare efficienza e innovazione in un budget che continua a contrarsi. Le evidenze dello spaccato italiano della 2014 Gartner CIO Agenda Survey I CIO italiani cercano di bilanciare efficienza e innovazione in un budget IT che continua a contrarsi, seppure di poco, e mostrano rispetto ai colleghi esteri una maggior prudenza verso il public Cloud, e una minor propensione a esternalizzare la gestione dell’IT. Nel frattempo quasi uno su 10 ha a che fare con una figura di “Chief Digital Officer”. Questo in sintesi è il ritratto del CIO italiano che emerge dalla 2014 Gartner CIO Agenda Survey, basata su interviste a 2.339 CIO e decisori in ambito IT di 77 Paesi, di cui 74 italiani. Nel nostro Paese nel 2014 i budget IT si sono contratti di un ulteriore 1,2% medio rispetto al 2013, contro una lievissima crescita (+0,2%) del dato medio mondiale. Solo un CIO italiano su 4 si è visto aumentare il budget rispetto al 2013 (la
media mondiale è del 43%), mentre circa il 31% (contro il 17% a livello globale) ha meno risorse dell’anno scorso. Gartner rileva in molti settori della nostra economia un forte interesse per la digitalizzazione del business, che si concretizza nell’istituzione di una figura di Chief Digital Officer (CDO) nell’8,2% delle organizzazioni italiane: un dato più alto della media mondiale (6,6%). In gran parte dei casi però il CDO italiano ha ambito d’azione ristretto ad alcune funzioni, soprattutto vendite e marketing. Quanto alle priorità d’investimento, i CIO italiani sono in linea con i loro colleghi esteri. Le prime cinque priorità in Italia – BI/Analytics, Infrastructure & Data Center, Mobile, ERP e Cloud Computing – sono le stesse della graduatoria mondiale.
Sul Public Cloud i CIO italiani si dimostrano molto prudenti: solo il 15% delle nostre imprese ha fatto “significativi investimenti” in questo campo (il 55% dei quali su soluzioni SaaS, il 36% in ambito IaaS, il 9% in campo PaaS), contro una media mondiale del 25%. Molto interessanti anche i responsi sull’outsourcing. Al momento in Italia un CIO su quattro (24%) presidia un contesto di sistemi IT largamente o totalmente gestiti da terze parti (contro il 10% a livello globale), mentre il 19% è nella situazione opposta, con gestione largamente o tutta interna (media mondiale: 27%). Importanti iniziative di “re-insourcing” però, spiega Gartner, dimostrano che un’alta percentuale di CIO italiani progetta una significativa riduzione dell’uso di risorse esterne nel tempo.
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RUBRICA | ri cerch e e s t u d i
Le startup nell’Internet of Things si moltiplicano e attirano investimenti Un’analisi degli Osservatori IoT e Startup Digitali del Politecnico di Milano individua 110 realtà innovative a livello mondiale. La maggior parte si rivolge al mondo business e sono in crescita quelle orientate al consumer, in particolare all’ambito Smart Home Il mercato italiano dell’Internet of Things sta crescendo in modo incoraggiante in linea con il fatto che Gartner ha inserito l’IoT tra i “Top Ten Strategic Technologies Trend” per il 2014. Una misura molto significativa dell’innovatività e attrattività del settore è il gran numero di startup specializzate in ambito IoT che stanno nascendo, e che stanno ricevendo finanziamenti da investitori, venture capital e crowdfunding, o addirittura che vengono acquisite dai colossi del settore ICT. Al proposito l’Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano ha condotto un’analisi ad hoc sulle startup innovative legate all’universo IoT, in collaborazione con l’Osservatorio Startup, pure del Politecnico di Milano. I ricercatori hanno individuato 110 startup IoT a livello globale che sono state finanziate da investitori istituzionali: la maggior parte (70%) ha sede negli Stati Uniti, mentre è nato in Europa il 25%, e in particolare il 6% in Italia. Il 57% delle startup censite è rivolta al mercato business (B2b), con l’obiettivo di offrire alle aziende soluzioni hardware, software e servizi, spesso integrate tra loro. Un esempio di rilievo è Streetline, nata negli USA nel 2005, che offre una soluzione di monitoraggio dei parcheggi nelle città, e ha ottenuto in più tranche finanziamenti per circa 40 milioni di dollari. Il 37% delle startup analizzate invece si rivolge al mondo consumer (B2c): nella maggior parte dei casi (come ad esempio SmartThings, Scoutalarm, WigWag) offrono sia componenti hardware (concentratori, sensori), sia veri e propri oggetti intelligenti (ad esempio cinture - Lumoback - o bracciali - embrace+), insieme
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ad applicativi software per la configurazione e visualizzazione dei dati. Infine il restante 6% delle startup analizzate si rivolge al mondo dei programmatori (B2d), mettendo loro a disposizione piattaforme e dispositivi per lo sviluppo di nuove applicazioni IoT. Domina l’ambito smart Home L’ambito IoT più ricco di iniziative è lo Smart Home & Building: il 37% delle startup ha almeno un prodotto impiegabile in tale contesto, e la gamma di funzionalità disponibili è davvero ampia. Si spazia dal monitoraggio dei parametri ambientali (Sensorist, Variable) alla security (August Smart Lock, Lockitron), dal comfort (WigWag, Ube) al risparmio energetico
(Nest Labs, FutureDash), fino alla salute (Bionym, Canary). La maggior parte delle soluzioni si concentra sulla dimensione domestica (Smart Home) di security, risparmio energetico e comfort. La dinamicità delle startup in ambito IoT è tale da attirare spesso l’attenzione di grandi player: emblematiche in questo senso alcune acquisizioni, come quella del produttore di termostati intelligenti Nest Labs da parte di Google, o quella di Xanboo da parte di AT&T che ha portato alla strutturazione di un’offerta dedicata alla sfera domestica, o ancora la partnership tra General Electric e Quirky, con obiettivo di sviluppare e commercializzare più di 30 prodotti co-branded per la Smart Home nei prossimi cinque anni.
2014, anno di svolta per i pagamenti di prossimità Entro il 2016 lo sviluppo dei pagamenti NFC, del commercio elettronico e dell’e-payment faranno triplicare il transato. La ricerca dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce Nell’ultimo anno un italiano su dieci ha acquistato via smartphone un biglietto per l’aereo, il treno o la nave, il numero delle carte di credito contactless è cresciuto da 2 a 6 milioni e i POS abilitati nel nostro Paese hanno raggiunto le 150.000 unità. Inoltre risultano trainanti per lo sviluppo dei pagamenti digitali sia l’eCommerce - che ha raggiunto i 12 miliardi di euro, quasi interamente (al 92%) con pagamenti mediante carte di credito/prepagate o PayPal, con un tasso di crescita del 20% - sia il settore Mobile, che oggi vale 1,2 miliardi di euro suddivisi tra acquisti da smartphone di contenuti digitali (+17%) e di prodotti e servizi (+255%). Questo è lo scenario che emerge dalla più recente ricerca dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano. In termini di “new digital payment” eCommerce, ePayment, Mobile Commerce e Mobile Payment (sia remoto sia di prossimità) e pagamenti elettronici su Mobile
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POS – le transazioni prodotte valgono circa 15 miliardi di euro, soprattutto grazie alla crescita dell’eCommerce. Rispetto al totale il peso dell’ePayment, usato online per ricariche telefoniche, bollette, tasse e multe, oggi è ancora poco meno di 2 miliardi di euro. Per il Mobile Proximity Payment, invece, il 2013 è stato un anno interlocutorio e di sperimentazione. La presenza di 8 milioni di smartphone circolanti già abilitati NFC e la crescita nell’ultimo anno da 27.000 a 150.000 dei POS disponibili fanno prevedere una forte crescita quest’anno, benché le SIM RFID in circolazione siano ancora poche (5.000 a fine 2013). Un valido contributo per sbloccare le residue situazioni di stallo nel settore potrebbe arrivare, secondo l’Osservatorio, dalla creazione dei Mobile Wallet, integrando via via altri servizi che vanno dalla loyalty al couponing, dal ticketing alla digital identity.
Startup Boosting
MISSIONE
Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali in ambito digitale in Italia: è questo l’obiettivo che gli Osservatori Digital Innovation si pongono nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Startup Boosting che intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi nei diversi settori digitali, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo. CHI PUÒ PARTECIPARE
AMBITI DI APPLICAZIONE
Possono partecipare: • persone fisiche (singole o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; • aziende in fase di startup e con elevato potenziale di crescita; • imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.
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COSA OFFRE
I candidati che supereranno il processo di valutazione: • saranno supportati nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; • avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP – la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; • saranno supportati nella ricerca dei capitali di rischio necessari.
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MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
• La partecipazione è gratuita. • Per iscriversi compilare il Form di registrazione sul sito www.startupboosting.com che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato). • Ogni mese vengono valutate le proposte pervenute.
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r u b r ic a | n om in e Francesco Starace Amministratore Delegato Enel
Francesco Starace, classe 1955, è il nuovo Amministratore Delegato di Enel. Dopo la laurea in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano e una breve parentesi nel settore nucleare italiano, cresce nel campo delle costruzioni di centrali elettriche
con incarichi di responsabilità crescente all’interno di società prima del gruppo GE e successivamente di ABB. Il manager capitolino ha poi vissuto per diversi anni negli Stati Uniti, in Arabia Saudita, in Egitto e in Bulgaria. L’approdo in Enel avviene nel 2000 dove dapprima ricopre il ruolo di Responsabile dell’area di Business Power all’interno della divisione Generazione e Energy Management e, quindi, alla fine del 2005 di Responsabile di una divisione di nuova costituzione, la divisione Mercato. Nel 2008 diventa il Presidente della neonata Enel Green Power e, nel settembre 2010, Amministratore Delegato, carica con cui guiderà EGP alla sua Offerta pubblica iniziale (IPO), nel novembre dello stesso anno.
Mauro Moretti Amministratore Delegato, Finmeccanica Mauro Moretti è il nuovo Amministratore Delegato del gruppo dell’aerospazio e difesa. Laureatosi nel 1977 in ingegneria elettrotecnica a Bologna, nello stesso anno è entrato, tramite concorso pubblico, nell’allora Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato. Ha passato quindi 37 dei suoi 61 anni in FS, scalando i vertici del gruppo, fino a diventarne, nel 2006, Amministratore Delegato e risanarne il bilancio, che ave-
va registrato una perdita massima di 2.115 milioni. Prima di arrivare al vertice di FS, ha completato la realizzazione della rete alta velocità come Amministratore Delegato di Rete Ferroviaria Italiana, rimettendo in piedi un progetto che aveva numerose falle e contraddizioni. Con l’avvio dell’Alta velocità fra Roma e Milano ha segnato una svolta decisiva nella gestione ferroviaria, riguadagnando quote di trasporto al treno, dopo anni di declino.
Marco Airoldi Amministratore Delegato, Benetton Group Edizione srl, controllante al 100% di Benetton group, ha reso noto che il nuovo Amministratore Delegato della società è Marco Airoldi. Già Direttore Operativo e poi Generale in Autogrill, dal 1996 al 2000 dopo la privatizzazione, succede a Biagio Chiarolanza. Nato il 23 gennaio 1960, Airoldi si laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Milano e consegue un master in Business Administration alla Bocconi. Dal 2003 è Senior Partner e Managing Director del Boston Consulting Group, | 80 |
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società per la quale è stato referente per la relazione proprio con il Gruppo Benetton. Ora torna praticamente a casa per rilanciare l’azienda sotto il profilo commerciale e reddituale, con un piano che prevede anche una riorganizzazione societaria. In particolare è prevista dal 1° gennaio 2015 una riconfigurazione di Benetton Group, con lo scorporo da quest’ultima delle attività manifatturiere (tessitura, maglieria, filatura, tintoria, confezione) e delle proprietà immobiliari.
RUBRICA | nomine
Francesco Caio Amministratore Delegato Poste Italiane
Francesco Caio arriva al vertice di Poste Italiane nel bel mezzo del processo di privatizzazione della società. A giugno 2013 il premier Enrico Letta lo aveva nominato commissario per l’attuazione dell’Agenda Digitale, ruolo per cui Caio aveva lasciato quello di Amministratore Delegato di Avio, di cui era stato alla guida dal 2011. Ingegnere elettronico, napoletano, la sua carriera inizia alla Olivetti e Sarin (gruppo Stet) per poi approdare in McKinsey Londra dove rimarrà per cinque anni. Dal 1991 diventa assistente di Carlo De Benedetti, che nel 1994 lo incarica di fondare Omnitel. Nel 1996 torna in Olivetti come Amministratore Delegato ma dopo un
paio di mesi di scontri lascia. Subito dopo entra in Merloni, come Amministratore Delegato. Segue un passaggio da Cable & Wireless nel 2003, storica società britannica attiva nel campo delle telecomunicazioni. Lavora come consulente per Londra e per il governo italiano per la realizzazione delle reti a banda larga. Nel suo curriculum ci sono anche le banche d’affari Lehman Brothers e Nomura Italia.
Vi approda nel 1981 come ingegnere di giacimento e successivamente diventa Project Manager per lo sviluppo delle attività nel Mare del Nord, in Libia, in Nigeria e Congo. Nel 1990 viene nominato Responsabile delle attività operative e di giacimento per l’Italia. Ma è soprattutto in Africa che il manager assume incarichi di rilievo crescente: nel ‘94 Managing Director della consociata congolese, e nel 1998 Vice Chairman e Managing Director di Naoc, il braccio nigeriano del “cane a sei zampe”. Poi, dal 2000 al 2001, ricopre la carica di Direttore dell’area geografica Africa, Medio Oriente e Cina. L’anno dopo diventa Responsabile di Italia, Africa e Medioriente, incarico che ricoprirà per tre anni insieme a quello di Consigliere d’amministrazione di diverse consociate Eni dell’area. Il rientro in Italia
avviene nel 2005 per occupare la poltrona di Vicedirettore Generale di Eni – Divisione Exploration & Production (E&P) fino a quando, nel 2008, non assume l’incarico di Chief Operating Officer della divisione. Da quando è diventato capo dell’E&P, Descalzi ha saputo coltivare un rapporto efficace con la comunità finanziaria internazionale attraverso la sua partecipazione a numerosi eventi e congressi globali del settore: nel 2012 è stato il primo europeo ad aver ricevuto il prestigioso premio internazionale Spe/ Aime Charles F. Rand Memorial Gold Medal dalla Society of Petroleum Engineers e dall’American Institute of Mining Engineers (Aime). Attualmente è anche Presidente di Assomineraria e Vicepresidente di Confindustria Energia.
Claudio Descalzi Amministratore Delegato ENI
Claudio Descalzi è il nuovo Amministratore Delegato di Eni, nominato dal governo Renzi. Nato a Milano nel 1955, Descalzi si laurea in Fisica nel 1979 presso il Politecnico di Milano e costruisce tutta la sua carriera all’interno del gruppo di San Donato Milanese.
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r u b r ic a | who’ s who cio
Pierluigi De Marinis Direttore Centrale dei Sistemi Informativi e Impianti Anas Pierluigi De Marinis è il Direttore Centrale dei Sistemi Informativi e Impianti di Anas dal 2006. Laureato in ingegneria, esperto di innovazione e business process reengineering, all’inizio degli Anni ‘90 è stato CIO di Italeferr, società d’ingegneria del Gruppo Ferrovie dello Stato, dove ha progettato e realizzato evoluti sistemi informativi di project management. Alla guida dei sistemi informativi di Anas sta conducendo un piano pluriennale di profonda ristrutturazione dei sistemi e dei processi aziendali nelle aree di staff e di core business. I progetti in corso supportano la transizione di Anas verso un
modello di efficienza operativa che trova nell’IT la leva strategica per il cambiamento. Si va dall’attivazione a gennaio 2007 – in meno di dodici mesi – dei sistemi SAP Finance e HCM, fino alla realizzazione di numerose iniziative nel mondo dei gestori stradali: il governo delle flotte geolocalizzate da parte delle 20 sale operative regionali, un sistema unificato di gestione degli impianti stradali, un sistema di pianificazione e controllo delle attività di manutenzione, l’utilizzo di iPad da parte del personale su strada nell’ambito del workforce management, molteplici App a servizio del pubblico per l’infomobilità.
Marco Moretti è l’ICT Head di GDF SUEZ Energia Italia. In questo ruolo, dal 2009, ha il compito di consolidare le attività italiane del Gruppo, nella produzione elettrica (6 GW di capacità installata, 20 TWh prodotti in 7 impianti), nelle vendite (oltre un milione e trecentomila clienti gas ed energia elettrica) e nella distribuzione (14.000 km di rete gas in 470 concessioni) e stoccaggio gas e GNL. La carriera di Moretti, classe 1969, inizia nel 1994, al termine dell’università, in Arthur Andersen Consulting (oggi Accenture), in cui acquisisce molteplici competenze nel campo dell’energia.
Nello specifico ha gestito diversi progetti di Business Process Reengineering e System Integration presso i più grandi operatori nazionali e internazionali, nelle diverse aree della catena del valore energy: vendita e trading di elettricità e gas (contact center, reti vendita, sistemi di fatturazione ed incassi credito, unbundling, risk management); power generation (real time operation e manutenzione centrali elettriche); distribuzione (manutenzione e asset management rete gas, elettricità, acqua e teleriscaldamento). All’inizio del 2007 diventa responsabile
IT in Energie Investimenti (JV GazDeFrance, oggi GDF SUEZ e CAMFIN) gestendo l’avviamento di Italcogim Energie, diventato il terzo operatore gas con cinque miliardi di metri cubi di gas venduto a 1.000 clienti business e oltre un milione di clienti diffusi.
ICT4EXECUTIVE
hanno collaborato
progetto grafico
è una testata di ICT and Strategy S.r.l.
Paola Capoferro Ronchetta, Daniele Lazzarin, Piero Todorovich, Vincenzo Zaglio
Stefano Mandato
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impaginazione
mara.perego@ict4executive.it - Tel. 02.36.57.88.71
ADM Studio Sas - Cologno Monzese (MI)
Direttore responsabile
immagini
Stampa
Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)
Illustrazioni di Fabio Margarita
AG Printing srl - Peschiera Borromeo (MI)
Marco Moretti ICT Head GDF SUEZ Energia Italia
Via Durando, 39 - 20158 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata.
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