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19 | 2014

bridging the gap between technology & business

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. Andrea Rangone: dalle startup nuova energia per la crescita . Intervista a Oscar Farinetti, fondatore di Eataly . Trish Gorman: identikit dell’innovatore disruptive . BCG: i pionieri del nuovo Made in Italy .



editoriale

Strapotenti e ultraricchi, i capi di Internet vengono sempre più visti come gli odiati banchieri di

umberto bertelè presidente advisory board ict4executive autore di “strategia”

@umbertobertele

Tradizionalmente erano i grandi banchieri che calamitavano l’invidia e l’odio della gente e del mondo politico, per la ricchezza loro e delle loro imprese e per l’enorme potere di cui godevano. Ora hanno seri concorrenti: i capi, fondatori o top manager, delle principali imprese statunitensi (le cosiddette OTT) del mondo Internet - da Apple a Google e da Amazon a Facebook - sino a pochissimo tempo fa oggetto di quasi unanime ammirazione per la loro innovatività e per la capacità di incidere sui modi di vita di centinaia di milioni di persone. È una considerazione del Financial Times, che sta dedicando una forte attenzione a questo significativo cambiamento di umori e agli effetti che esso ha, in Europa soprattutto ma non solo, sugli orientamenti della politica, sulle decisioni delle authority e sulle sentenze delle corti di giustizia. Perché soprattutto in Europa? Perché gli Stati Uniti, loro patria, oltre che usare le OTT (come emerso) per le attività di intelligence, le vedono come un pilastro della loro economia: anche se non manca l’irritazione, per la forte propensione all’elusione fiscale o la scarsa attenzione alla privacy. Perché la Cina ha posto da tempo robusti argini a quella che riteneva un’intrusione statunitense ed è riuscita a far crescere grandi imprese sue: potrebbero essere semmai i successi di Alibaba (che ha fatto del suo capo l’uomo più ricco della Cina), Tencent e Baidu a provocare anche in Cina sentimenti analoghi. L’Europa invece, quasi assente dal mondo Internet, teme fortemente - Germania in testa - che la disruption dilagante in diversi comparti dell’economia, per l’entrata in gioco di business model rivoluzionari resi possibili dalle nuove tecnologie, si estenda e vada a toccare i suoi settori di forza. Perché, specialmente a nord delle Alpi, è forte l’irritazione per il disprezzo delle regole o la disinvoltura nell’aggirarle che le OTT manifestano continuamente: riuscendo legalmente a pagare pochissime tasse, a partire da Apple; sfruttando la propria posizione dominante, come tipicamente Google nel search e Amazon nell’e-commerce; gestendo con disinvoltura il tema della privacy, come tipicamente ancora Google, Facebook o Twitter; sconvolgendo gli assetti esistenti per far nascere nuovi mercati, come nei casi di Uber e Airbnb. È Google al momento il bersaglio più gettonato. In tema di privacy, con la Corte Europea di Giustizia che ha imposto il rispetto del cosiddetto right to be forgotten. In tema di antitrust, ove si trova a fronteggiare un gruppo politicamente potente di imprese (a partire da Axel Springer), appoggiate da ministri del governo tedesco (quello dell’economia ha minacciato il break-up della società e quello della giustizia ha chiesto di rendere pubblico il meccanismo di ranking utilizzato nel suo celebre algoritmo). In tema di rapporto con i giornali, ove è stata obbligata a una sorta di risarcimento annuo dal governo Hollande. Anche Amazon è oggetto di forti attacchi: da parte di Hollande, che vuole salvare le librerie; da parte di Hachette (uno dei leader mondiali dell’editoria), che teme il suo strapotere nell’e-commerce; da parte degli lavoratori tedeschi che operano nelle sue strutture logistiche. E sotto attacco sono anche Uber e Airbnb, con la Catalogna che vuole addirittura mettere al bando la seconda. L’Europa non è da sola invece nel voler combattere un fenomeno che desta sempre più scandalo nell’opinione pubblica, in un momento di grande difficoltà delle finanze pubbliche: l’elusione fiscale legalizzata che permette a multinazionali come Apple e le OTT in generale di creare valore pagando tasse irrisorie. Per la prima volta sono stati sottoscritti importanti accordi in sede Ocse e G-20, ma la loro operatività richiede un non facile allineamento delle regole dei diversi Paesi, anche di quelli (come l’Irlanda) che hanno fatto della fiscalità di favore un fattore determinante di attrattività per gli investimenti.

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cover story

Dalle startup nuova energia per far crescere l’Italia di Andrea Rangone, Politecnico di Milano

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interviste

La semplicità è la chiave del successo di Eataly Oscar Farinetti, Fondatore e Presidente

Italia digitale, adesso serve un’accelerazione

Massimo Arrighetti, Amministratore Delegato SIA

Ferrovie dello Stato, una governance efficace per il Cloud

Alessandro Musumeci, Direttore centrale sistemi informativi

Con la Juventus scende in campo l’innovazione digitale

Massimo Moncalieri e Roberto Cristina, Juventus FC Spa Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Direttore Generale di UniCredit Business Integrated Solutions Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Vincenzo Pompa Amministratore Delegato Postecom Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board

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digital economy & strategy

ICT, è la Borsa che detta le strategie di molte imprese

di Umberto Bertelè, School of Management, Politecnico di Milano

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MANAGEMENT

I quattro paladini del cambiamento nell’organizzazione di Trish Gorman, consulente e scrittrice

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osservatorio

Il Cloud in Italia vale più di un miliardo: «Trend dirompente» Mariano Corso, Politecnico di Milano BCG: ecco i pionieri del “Made in Italy” del nuovo millennio Ignazio Rocco di Torrepadula, Senior Partner

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speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale”

Solo fatture digitali per la PA. È un passaggio cruciale per il Paese

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speciale “retail & ecommerce”

Innovazione digitale nel Retail: un’opportunità da cogliere

di Valentina Pontiggia e Valeria Portale, Politecnico di Milano

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speciale “big data”

Ecco lo tsunami perfetto di dati

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speciale “internet of things”

L’IoT cambia la creazione e la “cattura” del valore

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rubrica | ricerche e studi

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rubrica | nomine

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rubrica | who’s who cio

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cov e r s tory

Intervista ad

Andrea Rangone

Responsabile degli Osservatori Digital Innovation Politecnico di Milano

Dalle startup nuova energia per far crescere l’Italia Per creare posti di lavoro, far emergere i talenti e stimolare l’economia è sempre più necessario favorire la nascita e lo sviluppo di imprese innovative nel Paese, grazie all’impegno di tutti: investitori, mondo politico, università, imprese, media. Andrea Rangone: «Si sta innescando un circolo virtuoso, che mi lascia ben sperare per il prossimo decennio. Iniziamo a vedere risultati positivi in tutte le fasi del ciclo di vita delle startup»

Anno dopo anno, cresce in Italia la cultura dell’imprenditorialità come ricetta anticrisi, e prende forma un ecosistema in grado di aiutare i nostri giovani talenti a dare concretezza alla loro idea di business e a svilupparla. Certo, si potrebbe fare molto di più, ma sono ormai tante le storie che raccontano che è possibile, già oggi, e nonostante tutte le difficoltà: italiani brillanti che hanno saputo creare una startup di successo e realizzare un sogno, quello di farla diventare protagonista di un exit milionaria. È una grande occasione che il nostro Paese deve cogliere per sostenere lo sviluppo economico e creare nuova occupazione. Ne è fortemente convinto Andrea Rangone, Responsabile degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e Consigliere di Italia Startup, da diversi anni impegnato in prima linea nel diffondere la cultura imprenditoriale nel Paese e nel dare supporto concreto a tanti aspiranti imprenditori, in particolare nel mondo hi-tech. | 6 |

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Professor Rangone, perché tanta attenzione verso le startup, in un contesto di crisi economica come quello che sta attraversando il nostro Paese? È ormai noto che nelle economie mature come l’Italia una componente consistente della crescita del Pil e dell’occupazione è legata alla nascita e allo sviluppo delle nuove imprese: c’è ormai un’ampia letteratura che lo conferma. Per questo, se vogliamo invertire il trend è assolutamente necessaria la diffusione di una cultura imprenditoriale e una maggiore sensibilizzazione verso il mondo delle startup. Le grandi imprese italiane e le multinazionali, su cui ci siamo concentrati negli ultimi decenni, oggi stanno disinvestendo dall’Italia, e la nostra PA, con il suo indotto parastatale, è ingessata. La disoccupazione giovanile ha raggiunto il record storico del 40%, ed è chiaro che dare una chance ai giovani diventa un fattore prioritario per tutto il sistema. Sono convinto che ci sia un potenziale incredibile: vedo tanta energia nei giovani, intraprendenza,


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competenze, creatività. Dobbiamo liberare questo potenziale, motivare i talenti a mettersi in gioco. La storia del nostro Paese dimostra chiaramente come è proprio grazie all’imprenditorialità diffusa che siamo riusciti nel secolo scorso a diventare una grande economia mondiale, creando il nostro tessuto economico-produttivo fatto da una miriade di PMI. Sostenere le startup innovative significa anche gettare le basi per un nuovo Made in Italy in grado di diffondere all’estero l’immagine di un’Italia capace di produrre eccellenze. Rispetto agli anni passati, in cui startup e Internet erano diventati quasi sinonimo di miraggio, in particolare dopo lo scoppio della Bolla della new economy tra il 1998 e il 2000, oggi mi sembra di vedere un’inversione di tendenza, la nascita di un nuovo circolo virtuoso, che mi lascia ben sperare per il prossimo decennio. Cosa la fa essere ottimista, in particolare? Vedo diversi elementi positivi, che insieme stanno contribuendo alla nascita di un ecosistema delle startup, un terreno fertile su cui far crescere nuove iniziative. Innanzitutto c’è anche una maggiore sensibilità a livello politico. Con il Decreto Crescita 2.0, in particolare, in questi mesi abbiamo fatto molta strada: i giovani che oggi vogliono mettere in piedi un’impresa innovativa iniziano ad avere un percorso più semplice a livello normativo e burocratico e sono disponibili incentivazioni fiscali per spingere gli investimenti sia dei privati che delle imprese. Il governo ha finalmente chiaro che sostenere le startup e sviluppare nuova imprenditorialità innovativa significa fare politica industriale a tutto tondo e dare impulso all’intero sistema economico. Sappiamo che bisogna fare i conti con importanti vincoli di natura finanziaria, e che è difficile immaginare forti finan-

ziamenti pubblici diretti. Ma è importante almeno proseguire in questa azione tesa a sburocratizzare e defiscalizzare per consentire a questa energia positiva, che si percepisce nel nostro Paese, di scorrere e concretizzarsi. Un altro segnale positivo viene dalle imprese tradizionali. In un periodo di forte trasformazione come quello che stiamo vivendo, avviare percorsi di innovazione è un imperativo e vedo tante importanti realtà italiane che hanno capito l’importanza dell’open innovation e hanno aperto una finestra verso il mondo delle startup hi-tech, ad esempio attraverso la partecipazione a iniziative di scouting o la realizzazione di “call for ideas” che poi premiano le migliori proposte emerse. Negli ultimi mesi è anche molto cresciuta l’offerta formativa sui temi dell’imprenditorialità. Vedo un maggiore orientamento di tutto il sistema educativo, in particolare universitario e post-universitario, verso percorsi formativi – che sono anche percorsi culturali – in grado di fornire ai giovani più strumenti per intraprendere la via imprenditoriale. E vedo una maggiore attenzione dei media verso le start up, un elemento importante che spinge l’innalzamento culturale, dal basso, nel Paese. Infine, ma non per importanza che gli investitori istituzionali, i venture capital, insieme agli incubatori privati e pubblici, stiano facendo un ottimo lavoro. Tutto questo contribuisce a creare un ecosistema, e mi pare che ci siano le condizioni al contorno perché si inneschi un circolo virtuoso. Ma ci vorrà ancora tempo per avere risultati numericamente importanti: purtroppo ancora non si vedono dati significativi e i benchmark internazionali ci posizionano fanalino di coda. Gli investimenti nelle startup in Italia nel 2013 sono stati intorno a 100 milioni di euro per un centinaio di iniziative, secondo l’Osservatorio Startup promosso dalla School of Management del

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Politecnico di Milano e ItaliaStartup realizzato con il supporto istituzionale dal Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Davvero troppo poco, non solo rispetto alla Francia o alla Germania: anche la Spagna investe di più. Nonostante il clima poco favorevole, in questi ultimi anni sono diverse le startup di successo nate dall’intuizione di brillanti giovani imprenditori italiani. Cosa emerge dal vostro Osservatorio? Ci sono oramai diversi esempi che dimostrano chiaramente come anche in Italia si possono creare startup di successo a livello internazionale, in particolare nel mondo del digitale, che è il settore in maggiore crescita. Fa piacere constatare una dinamica positiva in tutte le fasi del ciclo di vita di una startup, dalla sua nascita fino alla maturità e poi all’exit. Iniziano a vedersi finanziamenti significativi verso le “giovani leve” italiane più promettenti: fra le operazioni recenti più significative c’è ad esempio il finanziamento di 5,3 milioni di euro di Comprameglio, da un fondo di private equity inglese e da business angels stranieri, o quello da 10 milioni verso Facilitylive, o ancora Cloud4wi, che ha ottenuto 3 milioni da United Venture (si veda la pagina successiva per una descrizione delle startup). Ci sono poi diverse startup che sono cresciute in modo significativo negli ultimi anni, e ora iniziano a mostrare risultati concreti in termini di fatturato: è il caso di Decysion, che in Italia ha fatturato 5,4 milioni di euro nel 2013, o Beintoo, che è rapidamente arrivata a quota 2,7 milioni. Ma sono solo alcune delle nuove “leve” che stanno ottenendo risultati notevoli. E naturalmente ci sono le aziende che hanno già raggiunto il successo e superato il traguardo dell’exit: JobRapido, nata nel 2006 e ceduta all’editore Daily mail per un valore complessivo di circa 60 milioni di euro, oppure EOS (Ethical Ontology Science), un’altra realtà frutto dell’ingegno italiano, acquisita da Clovis Oncology per 331 milioni di euro.

Fonte: EVCA

Investimenti europei dei Venture Capitalist rispetto al PIL nel 2012

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%GDP

Venture Capital

Italia

0.003%

Francia

0.038%

Germania

0.024%

Spagna

0.008%

Uk

0.027%

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Gli Osservatori del Politecnico di Milano insieme a Italia Startup e con il supporto istituzionale del Ministero dello Sviluppo Economico, un anno fa hanno avviato il progetto “The Italian Startup Ecosystem: Who’s Who”. In cosa consiste e quali sono gli obiettivi? È un’iniziativa che si pone l’obiettivo di presentare sia al sistema politico-economico nazionale sia agli interlocutori internazionali una fotografia continuamente aggiornata dei principali attori dell’ecosistema delle startup nel nostro Paese. È la prima mappatura del settore mai effettuata in Italia e ne è emerso un quadro sorprendente, sicuramente poco noto: sono state recensite oltre 1200 startup innovative in Italia, fra cui oltre 100 quelle hi-tech finanziate. Quasi 100 sono gli incubatori e acceleratori, 32 gli investitori istituzionali (6 pubblici e 26 privati), 40 i parchi scientifici e tecnologici, 65 spazi di coworking e 33 le competizioni dedicate alle startup. Le startup innovative sono per il 50% localizzate al nord, per il 36% al centro e per il 14% al sud. È un punto di partenza, che vuole dare alle startup italiane la possibilità di essere più visibili agli investitori, in una logica di attrazione dei capitali esteri. Il ruolo delle università in questo scenario appare molto importante, in particolare nel mondo hitech. Quali iniziative sta portando avanti il Politecnico di Milano? Le università devono e possono giocare un ruolo fondamentale: le startup non nascono solo nei garage ma anche nelle aule, e il Politecnico sta facendo la sua parte. Abbiamo avviato diverse iniziative. La prima, attiva già da due anni, è lo Start-up Program, il programma culturale del MIP Politecnico di Milano volto a supportare Start-upper, Imprenditori ed executive nello sviluppo di progetti imprenditoriali. È un corso che stimola i partecipanti a mettere a punto il proprio progetto imprenditoriale attraverso strumenti e metodologie ad hoc, contribuendo allo sviluppo e al potenziamento dei “soft skill” rilevanti: innovazione, leadership, negoziazione e gestione dei conflitti, capacità di comunicazione e motivazione, empowerment, ecc... Non si tratta solo di lezioni frontali con i docenti: abbiamo organizzato in questi anni decine di incontri con imprenditori, Venture Capitalist e Business Angels. C’è poi l’attività di Ricerca, attraverso l’Osservatorio Startup che ho citato prima, che si pone l’obiettivo di contribuire ad una migliore comprensione delle dinamiche imprenditoriali e dello scenario delle startup in Italia. Sempre due anni fa è nato, poi, il Polihub, un progetto lanciato dalla fondazione Politecnico di Milano, volto a creare un vero e proprio distretto di startup particolarmente innovative nel campus Bovisa.


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CLOUD4WI

Alcune fra le startup italiane più finanziate BEMYEYE Anno di fondazione: 2011 Fondatori: Gianluca Petrelli, Stefano Falsetto È un servizio innovativo per svolgere, tramite crowdsourcing, attività di monitoraggio da remoto, e in particolare store check, mystery shopping e altre osservazioni dal territorio. «Siamo l’occhio delle aziende sul punto vendita», spiega il fondatore Gianluca Petrelli. Grazie a un network di oltre 20.000 “Eye” (collaboratori che utilizzano un’apposita app), BeMyEye può fornire immagini e dati da ogni località in Italia in pochi giorni e a costi limitati. Il sistema è rapido ed efficiente perché azzera i costi di trasferta. Funziona come le chiamate taxi: invia una notifica push agli “eye” nei dintorni del job, chi lo ritiene prenota il job e si impegna a recarsi entro 60 minuti al negozio, fare check-in e una foto che provi la presenza nel punto vendita, poi compila il questionario allegando le foto richieste e fa upload, così Bemyeye può mostrare al cliente i dati in tempo reale dando la possibilità di un monitoraggio realtime e di intervento in corso d’opera durante l’intervista. Nel 2011 ha ricevuto finanziamenti per 350mila euro da 360 Capital Partners (seed) e 150mila euro da Finlombarda (prestito triennale), e nel 2014 due milioni da 360 Capital Partners, RedSeed Investments e Capital B! (venture).

COMPARAMEGLIO.IT Anno di fondazione: 2011 Fondatori: Robin Diana e Guglielmo Carsana ComparaMeglio.it è un comparatore online che confronta 18 compagnie assicurative, permettendo di scegliere la soluzione più conveniente tra le seguenti categorie: assicurazione auto e moto, RC professionale, assicurazione viaggi, assicurazione casa, assicurazione dentale, assicurazione camper, Mutui per la casa, Prestiti. A breve il pacchetto d’offerta sarà ampliato, l’obiettivo è diventare il “comparatore online di fiducia” per tutti i prodotti della finanza personale. L’azienda ha sede a Roma, e nel 2013 ha ricevuto un investimento di 5,3 milioni di euro da Braveheart Investment Group, Grahame Chilton e Rupert Lowe. Il fatturato 2013 è stato di 1,4 milioni, più che doppio rispetto al 2012.

Anno di fondazione: 2014 Fondatori: Andrea Calcagno, Davide Quadrini Si occupa di servizi wi-fi di nuova generazione ed è nata a Pisa all’inizio del 2014 come spin-out di WiTech (soluzioni wireless per smart city), a sua volta fondata nel 2003 come spin-off dell’Università di Pisa. La piattaforma Cloud4Wi permette agli esercizi commerciali di monetizzare i servizi wi-fi offerti ai propri clienti grazie al wi-fi marketplace, un portale dove si possono trovare offerte speciali, applicazioni, strumenti di marketing e un database che raccoglie e analizza i dati dei clienti. Il marketplace è aperto alle terze parti, favorendo così lo sviluppo di nuovi servizi. Nel marzo scorso ha ottenuto un finanziamento di 4 milioni di dollari da United Ventures, venture capital italiano: fondi che investirà nell’espansione internazionale, e che hanno già portato al trasferimento del quartier generale da Pisa a San Francisco.

new vision Anno di fondazione: 2000 Fondatori: Nicola Meneghello e Dario De Agostini Opera in ambito New Media ed è specializzata in comunicazione aziendale. L’offerta si basa sulla piattaforma 4ME, resa disponibile nel 2011, che permette alle aziende di gestire, pubblicare, condividere e distribuire i loro contenuti digitali, nonché di comunicare in tempo reale via chat o streaming video, sia nella forma di evento che di videoconferenza. 4ME è pensata per organizzare facilmente gli utenti in gruppi e assegnare loro diversi diritti di accesso, con controllo d’accesso centralizzato. Inoltre permette a sviluppatori di terze parti di sfruttare le sue potenzialità tramite semplici web services. New Vision si è aggiudicata il più importante round di venture capital del 2014: 6,3 milioni di euro, provenienti da Innogest Sgr, Centerboard Partners e altri investitori tra cui Gianfilippo Cuneo. Ha sede a Piazzola sul Brenta (Padova) e dà lavoro a più di 50 persone. Nel 2013 ha fatturato 2,8 milioni di euro.

FACILITYLIVE Anno di fondazione: 2010 Fondatori: Gianpiero Lotito e Mariuccia Teroni È una società di software che produce una innovativa piattaforma basata su un motore di ricerca semantica di nuova generazione, brevettata in 42 Paesi (tra cui Unione Europea, USA, Giappone e Israele), e particolarmente indicata per la gestione di informazioni e dati sia strutturati che non strutturati, tipici dei nuovi scenari Big Data. È stata fondata nel 2010 da Gianpiero Lotito, un tecnologo-umanista nato musicista, e Mariuccia Teroni, esperta di tecniche editoriali e trattamento delle informazioni. Tra i clienti ha Accenture e Vodafone. Ha ottenuto finanziamenti per 10 milioni di euro da parte di Business Angel italiani.

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Storie imprenditoriali di successo nel digitale (e non solo) BEINTOO Anno di fondazione: 2011 Fondatori: Walter Ferrara, William Nespoli, Filippo Privitera, Antonio Tomarchio Fatturato 2013: 2,7 milioni di euro (+500%) Fondata da due laureati del Politecnico di Milano e due dell’Università di Catania, basa l’attività su una piattaforma che permette di erogare contenuti pubblicitari altamente geolocalizzati (anche tramite la emergente tecnologia iBeacon) attraverso mobile App (giochi e non). Attraverso la piattaforma gli utenti ricevono offerte in negozi vicini e/o crediti poi trasformati in coupon e sconti. Le Apps partner di Beintoo hanno quasi 80 milioni di utenti attivi mensilmente. La startup è stata fondata a Milano, ma ha sede a New York e una joint venture basata a Shanghai con un partner leader nel mobile gaming sul mercato cinese: iDreamsky. Ha ottenuto nel 2012 due finanziamenti: per 5 milioni di dollari da un fondo italiano e 2 milioni da un fondo londinese.

Bravofly Rumbo Group (Volagratis) Anno di fondazione: 2004 Fondatori: Marco Corradino e Fabio Cannavale Nato con un capitale di 50.000 euro e un algoritmo all’avanguardia Volagratis, è stato il primo sito in grado di comparare le offerte dei voli low. Oggi i siti del Bravofly Rumbo Group sono disponibili in 14 lingue, e permettono a milioni di visitatori di prenotare voli, pacchetti vacanza, hotel, auto a noleggio, crociere ecc. Nel 2014 il gruppo è stato quotato a SIX Swiss Exchange - Borsa di Zurigo, la capitalizzazione al prezzo dell’Ipo era di 574 milioni di euro.

Triboo Media Anno di fondazione: 2005 Fondatore e CEO: Alberto Zilli

Triboo Media è diventata in pochi anni una delle principali aziende italiane indipendenti specializzate nel settore digitale del mercato pubblicitario e possiede fra i suoi asset leonardo.it e HTML.it. È stata quotata sul mercato AIM Italia a marzo del 2014. La capitalizzazione al prezzo dell’Ipo era di 63,6 milioni di euro. | 10 |

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DECisyON ITALIA Anno di fondazione: 2005 Fondatore: Franco Petrucci Fatturato 2013: 5,4 milioni di euro (+53%) Nata a Latina nove anni fa, oggi è una piccola multinazionale (Decisyon, Inc.) con quartier generale a Stamford (Connecticut) e 200 aziende clienti in 11 Paesi, ma il principale centro di sviluppo è rimasto nella cittadina laziale. L’offerta si basa su una piattaforma software di collaborative decision making and execution (CDME). Dopo una prima fase d’attività in Italia, il fondatore Petrucci si è rivolto a Plug-and-Play, un incubatore della Silicon Valley e s’è assicurata un primo round di finanziamenti (2012) da fondi della East Coast per 15 milioni di dollari, e nel 2014 un secondo round per 22 milioni. Decisyon Italia è posseduta al 100% da Decisyon inc.

Dove conviene Anno di fondazione: 2011 Fondatori: Alessandro Palmieri, Stefano Portu Si tratta di un servizio, disponibile come app e come sito, che localizza il consumatore, gli propone offerte, leaflet e volantini dei negozi geolocalizzati attorno alla sua posizione e lo rimanda al punto vendita più vicino in cui l’offerta di interesse è attiva, di cui fornisce indirizzo, orari e contatti. Conta 5 milioni di iscritti, di cui 2,7 milioni hanno scaricato la app, già 5 volte #1 su AppStore. Ha sedi a Cagliari, Bologna e Milano La startup, che ha ricevuto un finanziamento di 3,5 milioni di euro da Principia SGR, ha raggiunto un fatturato nel 2013 di alcuni milioni di euro, in forte crescita rispetto all’anno precedente.

JobRapido Anno di fondazione: 2006 Fondatore: Vito Lomele Acquisita nel 2012 da Daily mail

Job Rapido è un sito che unisce le offerte di lavoro pubblicate su diversi siti web nel mondo e le presenta all’utente, che può ricercarle con un unico click. La start-up nasce a milano per iniziativa di Lomele, ingegnere del Politecnico di Milano, con 200mila euro e una visione da subito internazionale. Nel 2012 viene la minoranza viene acquisita dall’editore inglese Daily mail e nel 2013 il fondatore cede la sua quota: il valore complessivo dell’exit è 60 milioni di euro.

EOS (Ethical Oncology Science) Anno di fondazione: 2006 Fondatori: Silvano Spinelli, Gabriella Camboni, Ennio Cavalletti e Jacques Terrillat La società del settore biopharma ha sviluppato una molecola per una innovativa terapia contro il cancro, la Lucitanib, di cui detiene i diritti. La scoperta ha attirato l’attenzione della multinazionale Clovis Oncology, che nel 2013 ha acquisito l’azienda per la cifra record di 400 milioni di dollari.


Startup Boosting

MISSIONE

Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali in ambito digitale in Italia: è questo l’obiettivo che gli Osservatori Digital Innovation si pongono nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Startup Boosting che intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi nei diversi settori digitali, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo. CHI PUÒ PARTECIPARE

AMBITI DI APPLICAZIONE

Possono partecipare: • persone fisiche (singole o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; • aziende in fase di startup e con elevato potenziale di crescita; • imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.

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COSA OFFRE

I candidati che supereranno il processo di valutazione: • saranno supportati nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; • avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP – la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; • saranno supportati nella ricerca dei capitali di rischio necessari.

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MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE

• La partecipazione è gratuita. • Per iscriversi compilare il Form di registrazione sul sito www.startupboosting.com che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato). • Ogni mese vengono valutate le proposte pervenute.

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I N TE R V IS TA di

manuela gianni

intervista a

Oscar Farinetti

fondatore e presidente eataly

Oscar Farinetti: la semplicità è la chiave del successo di Eataly Una buona idea, un lungo periodo di analisi, una tenacia inguaribile, lo sguardo sempre verso il futuro ma con la capacità di voltare spesso la testa indietro: così Oscar Farinetti ha portato l’enogastronomia italiana nel mondo, aprendo in sette anni 24 store tra Italia, Giappone, Stati Uniti e Medio Oriente. «La cosa più difficile è essere semplici, perché la semplicità nasce dalla complessità»

Il progetto di Eataly per l’Expo 2015 sta catalizzando in questi mesi l’entusiasmo e la creatività di Oscar Farinetti. Quando lo incontriamo, il vulcanico imprenditore arriva nel suo ufficio, nella splendida tenuta Fontanafredda di Alba, con in mano i disegni dello stand, il più grande del Padiglione italiano: 16 ristoranti regionali che saranno gestiti da altrettante eccellenze nostrane. Un’occasione unica per mostrare a tutto il mondo che l’Italia ha una enorme ricchezza, quella su cui Eataly ha costruito il suo grande successo internazionale: le migliaia di imprese artigiane che producono con passione cibi di qualità, «aquiloni che volano nella stratosfera», secondo Farinetti. Ma anche per dimostrare che la tradizione oggi ha bisogno dell’innovazione, e che la contraddizione è solo apparente. La sua passione per gli “alti cibi” è diventata in questi anni un’azienda di successo. Cos’è oggi Eataly? Eataly è un mercante che prende una grande vocazione italiana, che sono i cibi di alta qualità, e la | 12 |

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porta nel mondo, mettendoci sopra la narrazione, che trasforma un prodotto qualunque in un prodotto appetibile da comprare, facile da consumare, che crea benessere e godimento. Eataly fa questo, cercando di conoscere al meglio possibile i propri produttori e narrando le meraviglie della bio diversità italiana, che è un nostro primato: siamo il Paese che offre l’enogastronomia più varia che esista, la più desiderata, la più richiesta. Mancava questo tipo di offerta sia in Italia che nel mondo, ed Eataly e ha colmato il vuoto. L’idea di Eataly si è rivelata vincente, ma spesso non basta avere una buona idea per creare un’impresa. Come l’ha sviluppata e concretizzata? Avere una buona idea è fondamentale, ma è vero che l’idea da sola non basta. Innanzitutto deve essere realizzabile. Mio padre ha sempre cercato di insegnarmi il confine tra il difficile e l’impossibile. Bisogna cercare di fare cose difficili, così gli altri non ci provano, ma non perdere tempo in quelle impossibili.


I NTE R V I S TA | o sc a r fa rin e t t i: l a se mp l ic ità è l a c h iav e de l suc c e sso di E ataly

Chi è Oscar Farinetti Oscar Farinetti, classe 1954, è fondatore e attuale presidente di Eataly. La sua storia imprenditoriale inizia quando, ancora studente universitario, viene incaricato dal padre di occuparsi degli elettrodomestici del supermercato che aveva aperto pochi chilometri fuori da Alba. Da un corner dedicato all’elettronica di consumo nasce così il primo gruppo italiano di elettrodomestici, la catena UniEuro, che arriva ad avere 106 negozi. Nel 2003 Farinetti decide di vendere UniEuro a una multinazionale. Nel frattempo, sempre ad Alba, c’è l’amico Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. Nasce così un sodalizio che dura a tutt’oggi e porta a sviluppare l’idea di Eataly.

E la cosa più difficile è essere semplici, perché la semplicità nasce dalla complessità. Abbiamo condotto un lungo periodo di analisi – durato dal 2004 al 2007 – nel quale abbiamo cercato di capire come si poteva colmare il vuoto di cui parlavo prima, ovvero come si potevano narrare i cibi italiani e l’Italia nel mondo. L’abbiamo realizzato con grande semplicità e questo ha determinato il nostro successo, pur con i mille errori che facciamo ogni giorno. Tutto nasce da questo: un’idea difficile ma realizzabile, un processo di analisi che trasforma la complessità in semplicità, in maniera che il cliente percepisca quello che tu vuoi trasmettere. E poi bisogna lavorare tanto, e se non funziona la prima volta provare e riprovare, senza mai mollare. Con la convinzione che sei sulla strada giusta. Cos’è per lei l’innovazione? La prima cosa che mi viene in mente è che innovare significa cambiare. Bisogna essere curiosi e quindi considerare la prevalenza del dubbio sulle certezze: chi non ha dubbi non innova. Un’altra cosa importante è camminare dritti guardando al futuro, ma voltando spesso la testa indietro, cercando nella storia le cose che aiutano a essere più innovativi. Ad esempio, oggi un’automobile è tanto più innovativa quanto più assomiglia al cavallo, cioè al suo predecessore: non deve costare molto, deve consumare poco e poi deve avere una caratteristica che il cavallo aveva: si autoriproduceva con pochi costi. Le cose innovative sono quelle che prendono il meglio del passato e lo trasmettono nel futuro con i grandi valori del passato.

Sarete presenti a Milano a Expo 2015: che cosa state preparando? Abbiamo scelto come titolo: “The answer is blowin’in the wind”, la risposta è nei venti. Dimostreremo perché l’Italia è il Paese più “bio diverso” al mondo, perché è l’unica penisola che si estende sottile da Nord a Sud all’interno di un mare buono, quindi con venti buoni. Dimostreremo che l’incontro tra i venti, le brezze marine dei nostri mari con l’area fresca che arriva dalle nostre colline e dalle nostre montagne crea un clima unico al mondo, per cui l’Italia è il Paese che ha più specie vegetali e animali di tutto il pianeta: pensi che ciascuna regione italiana ha più specie vegetali di qualunque stato europeo. È da qui che nasce la biodiversità agroalimentare e, di conseguenza, la biodiversità enogastronomica. Ci sono cucine millenarie più importanti della nostra, come quella giapponese, cinese e indiana, ma la nostra è la più bio diversa, e si è estesa nei comuni e nei villaggi attraverso le storie e le tradizioni. Per esempio a Modena sono convinti che il giusto ripieno del tortellino sia il prosciutto, invece a Bologna (18 km in linea d’aria) sostengono che che sia la mortadella. Inoltre dimostreremo che la supremazia della cucina italiana deriva dal fatto che nasce domestica, a differenza della cucina francese che nasce nei “Restaurant”. La replicabilità in casa dell’alta cucina ristorativa italiana è il nostro punto di forza, e fa sì che Eataly possa esistere. Per i francesi, invece, sarebbe impossibile realizzare un formato simile. Tutto questo si esplicherà in un grande ristorante composto da 16 locali regionali che saranno gestiti www.ict4executive.it

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INTERVI STA | o sca r far i ne t t i : l a s e m pl i ci tà è l a c h iav e de l suc c e sso di E ata ly

dai ristoratori migliori di ogni territorio: una formula molto autentica e molto didattica. Come si coniuga l’innovazione tecnologica con l’enogastronomia d’eccellenza? Credo che dobbiamo essere slow nel narrare le nostre tradizioni, nel raccontare la lentezza che serve per fare il cibo buono, ma dobbiamo essere molto fast - con una contraddizione che è solo apparente - nelle comunicazioni, nelle decisioni, e soprattutto nella conoscenza della nostra azienda, nel far conoscere ai consumatori quello che fanno i produttori. Una pasta è tanto più buona quanto più è essiccata lentamente,

un prosciutto quanto più viene affinato lentamente, il pane quanto più viene lievitato lentamente. Ma gli umani oggi stanno tentando di diventare uccelli, di mettere le ali, perché abbiamo capito la meraviglia dell’online. Dall’“on land” stiamo cercando di andare “on line”. Questa è la meraviglia del futuro e sta succedendo proprio in questo momento: sta per cambiare completamente la natura degli esseri umani. Noi non sappiamo con certezza come saremo tra vent’anni, e come tutti gli uccellini che cominciano a volare, provando andiamo a sbattere: per questo abbiamo bisogno di esperti che ci aiutino a volare, per essere veloci a comunicare da lassù.

La filosofia di Eataly Eataly nasce con l’intento di mettere a disposizione dei clienti il meglio delle produzioni artigianali a prezzi sostenibili riducendo all’osso la catena distributiva. Il marchio riunisce un gruppo di piccole aziende che operano nei diversi comparti del settore enogastronomico, come la pasta di Gragnano, l’acqua delle Alpi Marittime piemontesi, il vino piemontese e veneto, l’olio ligure, e poi carne, salumi e formaggi tradizionali di varie parti d’Italia. L’obiettivo è quello di incrementare la percentuale di persone che si alimentano con consapevolezza. La filosofia che Eataly adotta in questo senso è duplice: da un lato si trova l’offerta dei prodotti, sia sotto forma di distribuzione che sotto forma di opportunità di ristorazione, mentre dall’altro si trova l’offerta relativa alla didattica, articolata in corsi di cucina, degustazioni, incontri con grandi chef, con le grandi cantine o con gli artigiani, eventi gratuiti per i bambini e gli anziani. Slow Food Italia, associazione no profit riconosciuta a livello internazionale che ha tra i propri fini la difesa della biodiversità alimentare e l’educazione al gusto, ha il ruolo di consulente strategico di Eataly.

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Eataly in Italia e nel mondo Il primo punto vendita della catena viene aperto nel 2007 a Torino. Oggi gli store, fra flagstore e piccoli corner, sono 24, nelle principali città italiane, in Giappone (undici punti vendita), Stati Uniti (New York e Chicago), Dubai e Istanbul. Sono in programma aperture in Brasile (San Paolo), in Russia (Mosca e San Pietroburgo), a Londra e Parigi. Alcuni punti vendita sono partecipati da investitori esteri, come ad esempio quello di Chicago, recentemente inaugurato, dove lo store da 8.000 metri quadrati è frutto di un investimento pari a 20 milioni di dollari. Le location sono scelte in genere nell’ottica di recuperare spazi già esistenti: ne sono esempio a Roma l’Air Terminal della stazione Ostiense, struttura realizzata per i Mondiali di calcio del 1990 e non più utilizzata, a Bologna il nuovo Ambasciatori, l’ex mercato ottocentesco abbandonato da molti anni, e a Milano la sede dell’ex Teatro Smeraldo.

Quindi la tecnologia digitale ha un ruolo importante per il successo di Eataly? Siamo determinati, con una tenacia inguaribile, a cercare tutti gli strumenti online più veloci e innovativi possibili per conoscere al meglio lo stato di fatto e per comunicare più rapidamente tra le nostri sedi, tra i produttori e i nostri clienti. Il grande tema è l’analisi: per un’azienda grande, diversificata e presente in tutto il mondo come noi è importante conoscere più velocemente possibile i numeri. Non troppi numeri, ma quelli veri, giusti, pur essendo anche qui difficile essere semplici: per avere i numeri giusti serve un software complesso. Io sono nato nel dopoguerra, sono di una generazione on land: perciò su questi temi ho lasciato campo libero ai miei figli che sono di una generazione già nata con le ali e sono molto più bravi di me. Avete avviato l’anno scorso anche l’eCommerce, con Eatalynet. Qual è l’aspettativa? Crediamo che anche il settore alimentare andrà sicuramente nel mercato online, anche se non avrà i numeri di altri settori come l’abbigliamento. E Eataly, che ha forte competenza in questo campo, deve essere la prima. Dobbiamo essere molto rivolti all’innovazione, e non possiamo farci battere da Amazon o da altri. Avete migliaia di fornitori. Come vi relazionate con loro? Il numero dei nostri fornitori è molto dinamico e variabile, va da 7.000 a 14.000 a seconda dei momenti. Nella maggioranza dei casi sono piccole im-

Una delle location di maggior successo è Eataly New York, che si trova sulla Fifth Avenue, ed è stato inaugurato nell’agosto del 2010 alla presenza del sindaco Bloomberg: oggi impiega quasi 700 dipendenti ed è una delle location più visitate nella Grande Mela. Il fatturato del 2013 è stato di 226 milioni di euro, in crescita del 22% rispetto all’anno precedente. L’amministratore delegato è Francesco Farinetti, figlio del fondatore. Nel 2013 è stata anche annunciata la nascita di Eatalynet, la società che gestisce l’eCommerce di Eataly, partecipata per il 30% dal Venture Capitalist 360 Capital Partners, e per il 10% dall’attuale amministratore delegato. Un altro elemento di innovazione riguarda i pagamenti nei punti vendita: sempre nel 2013 è stato infatti siglato un accordo con MasterCard per l’uso delle carte contactless e altri servizi.

prese artigiane: sono come aquiloni che volano nella stratosfera, nel senso che sono innamorati della qualità dei loro prodotti, e dedicano la grossa parte delle loro attenzioni a produrre qualità, senza usare chimica o conservanti. Questo richiede un impegno enorme, una grande concentrazione sul prodotto, e quindi hanno poco da dedicare alle parte dell’innovazione e della comunicazione online, della gestione. Dobbiamo aiutarli in tal senso. Puntiamo a collegarli attraverso la rete preservando il loro nome, la loro autorevolezza, la loro autonomia, la loro diversità. Non esiste un Paese più bio diverso anche a livello di offerta produttiva. Abbiamo validi fornitori di tecnologia che ci stanno aiutando, come TesiSquare, un’azienda italiana innovativa che sta realizzando con noi due importanti progetti per accorciare la strada tra chi vende e chi consuma. www.ict4executive.it

Aperto a dicembre 2013, Eataly Chicago ha una dimensione di circa 8.000 mq e impiega 660 dipendenti

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DIG ITAL EC ONOMY & STR ATE GY le analisi di

umberto bertelè @umbertobertele

School of Management Politecnico di Milano. Presidente Advisory Board ICT4Executive Autore di “Strategia” (Egea)

ICT, è la borsa che detta le strategie di molte imprese Il mercato finanziario guarda ancora con favore il mondo Internet e quello ICT in generale e premia non solo chi offre prospettive di crescita, ma anche chi sa ristrutturarsi per ridare soldi agli azionisti. Nuovi trend tecnologici, Mobile e Cloud in particolare, causano rapidi rivolgimenti, in un contesto che continua a essere estremamente dinamico e turbolento

La capitalizzazione implicita di ben 231 miliardi di dollari attribuita dal mercato ad Alibaba (la regina dell’e-commerce cinese), alla chiusura il 19 settembre del primo giorno di quotazione, dà un’idea del favore che tuttora circonda il mondo Internet e quello ICT più in generale. E questo nonostante il clima generale - un misto di invidia e rancore - verso i fondatori e i manager delle imprese top - che serpeggia da qualche tempo nella politica e nelle corti di giustizia, di cui ho parlato nell’editoriale. È un favore non uniforme, ma che - in un contesto che continua a essere estremamente dinamico e turbolento - privilegia le imprese con prospettive (o talora

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semplicemente speranze) di crescita e tutte quelle che, per il loro buon andamento o comunque per la capacità di ristrutturarsi se colpite dalla saturazione della domanda e/o dall’entrata in gioco di nuove tecnologie e nuovi (aggressivi) competitori, si mostrano in grado di premiare i loro azionisti con buyback ed erogazioni straordinarie di dividendi. È la prima società al mondo per capitalizzazione Apple (oltre 600 miliardi di dollari), forte da un lato della sua capacità di generare quasi 40 miliardi di utili netti all’anno - con una strategia da manuale di sfruttamento del brand (anche con l’immissione di top manager provenienti dal mondo

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della moda) e di conquista di tutti gli spazi di mercato possibili (molto importante l’espansione in Cina) - e generosa dall’altro a differenza del passato con i suoi azionisti, che sta concludendo la distribuzione di ben 100 miliardi di dollari fra buyback e dividendi. Anche i buyback di Ibm sono rilevanti - 68 miliardi di dollari negli ultimi 4 anni e mezzo - ma la società per poterli fare deve giocare soprattutto sul taglio dei costi: perché i ricavi, a causa del passaggio di molti clienti ai meno remunerativi servizi cloud e della domanda inferiore alle attese ad esempio nei big data, sono soggetti da nove trimestri a una lenta ma continua erosione.


D I GI TA L E C ONOM Y & S TR AT E G Y | IC T, è l a b o rsa c h e de tta l e st rat e g i e di mo lt e i mp re se

Da 11 trimestri sono in discesa i ricavi di HP, colpita su diversi fronti del suo portafoglio composito, ma il titolo è riuscito a crescere in un anno del 75 per cento a fronte di una ristrutturazione profonda che ha comportato il taglio di quasi 50 mila dipendenti. La carta dei costi, accompagnata però da un aumento dei ricavi, è stata giocata anche da Microsoft con l’annuncio del taglio di 18 mila dipendenti (per la maggior parte ex-Nokia) sui 127 mila totali, nel quadro di un impegno più complessivo da parte del suo nuovo CEO - in risposta all’apprezzamento espressogli dal mercato al momento della nomina con un forte aumento del valore del titolo - di procedere a una profonda rifocalizzazione del portafoglio di business per fare di Microsoft stessa una “mobile-first, cloud-first” company. Facebook ha invece superato la soglia dei 200 miliardi di capitalizzazione, con un aumento del valore del titolo del 70 per cento in un anno, con-

vincendo il mercato della sua capacità di crescere - nei ricavi e nei profitti sfruttando il numero elevatissimo di utenti attivi e di saper gestire la transizione al mobile. La felice gestione del passaggio al mobile, particolarmente critico per un sito di search, ha premiato anche Google, che ha superato quota 400 miliardi. Il livello elevato dei multipli P/E per ambedue le società (che non distribuiscono dividendi e non effettuano buyback) - 30 per Google e più di 80 per Facebook a fronte di 16 per Apple e 17 per Microsoft - è d’altra parte rivelatore della fiducia (almeno al momento) loro accordata: nonostante qualche perplessità sull’eterogeneità rispetto al core business di talune acquisizioni di startup o sul prezzo elevato pagato per esse. I prezzi crescenti delle startup, sia quelli espliciti delle acquisizioni che quelli impliciti nelle operazioni di (ri) finanziamento da parte dei fondi di venture capital, sono visti peraltro da più parti come preoccupanti segni pre-

monitori del possibile scoppio di una nuova bolla dopo quella celebre di inizio secolo. uno sguardo al passato: profondi cambiamenti in pochi anni Se invece che soffermarsi sulla situazione attuale, e sui cambiamenti avvenuti nell’ultimo anno, si guarda un po’ più indietro - al 2007 - si scopre che nel giro di soli sette anni sono profondamenti mutati i rapporti di forza fra le imprese operanti nel mondo Internet e nell’ICT in generale. La grande crisi dell’economia iniziata nel 2008, e ancora in atto in varie parti del mondo, ha giocato sicuramente un ruolo. Ma per comprendere quanto accaduto è più importante ricordare che è proprio nel 2007 - con l’introduzione dell’iPhone che l’accesso a Internet in mobilità (dagli smartphone e poi anche dai tablet invece che dai PC) ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio: creando grandi

Capitalizzazione (mld $)

P/E

Ricavi (mld $)

Utile (mld $)

Addetti (migliaia)

Variazione % Titolo 1 anno

Apple

609,51

16,44

178,14

38,56

80

+ 53,34

Exxon Mobil

412,01

12,31

422,33

34,10

75

+ 7,85

Google

401,28

30,27

63,13

13,48

48

+ 32,84

Microsoft

384,64

17,74

86,83

22,07

128

+ 40,10

Berkshire Hathaway

348,18

16,49

188,81

21,14

302

+ 21,18

Johnson & Johnson

302,76

19,84

73,54

15,55

128

+ 19,40

Wells Fargo

277,93

13,14

47,02

21,72

264

+22,93

General Electric

263,00

17,94

146,32

14,84

307

+7,15

Roche

256,80

22,52

49,55

11,47

82

+ 18,78

Novartis

253,07

24,79

56,49

9,31

135

+27,33

Note: (1) Seguono Novartis, distaccate di poco e vicine fra loro: CHINA MOBILE (249,00), WAL-MART(245,62), NESTLE’ (241,78), PETROCHINA (240,83), CHEVRON (235,73), JPMORGAN CHASE (230,64) e PROCTER & GAMBLE (227,90). (2) Per parametrare la crescita del valore dei titoli delle singole società a quella generale delle borse statunitensi si ricordi che l’S&P 500 Index è salito in un anno del 16,78 per cento.

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Fonte: FT (dati relativi al 21 luglio 2014)

Tabella 1: le top-10 imprese mondiali per capitalizzazione


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Fonte: WSJ, July 17, 2014, “Microsoft to Cut Up to 18,000 Jobs” by Shira Ovide

figura 1: gli utili e i ricavi per addetto di alcune fra le principali imprese ICT mondiali Full-time employees

IBM 431.000

Oracle* 120.000

Microsoft** 99.000

Google 48.000

Apple*** 80.000

$38.200

$91.000

$220.800 99.000

$270.500 48.000

$461.200 30.000

Profit per employee Revenue per employee

$231.300

$309.800 $786.400 $1.252.700 $2.128.400 *FY concluso a maggio 2013 **FY concluso a giugno 2013 ***FY concluso a settembre 2013

vincitori e grandi vittime, con tutte le gradazioni intermedie. I grandi vincitori (limitandoci alle imprese di valore superiore ai 100 miliardi) sono: Apple, che ha moltiplicato la sua capitalizzazione quasi per otto nonostante i 100 miliardi erogati agli azionisti; Google, che l’ha quadruplicata; Alibaba e Facebook, che nel 2007 non erano nemmeno quotate; Amazon e Tencent. Le grandi perdenti, vittime del crollo dei cellulari a favore degli smartphone, sono come noto Nokia (che controllava il 40 per cento del mercato mondiale), Motorola e BlackBerry. Anche la crisi dei PC ha provocato danni: consistenti ai due leader mondiali HP e Dell, ora in faticosa ripresa; minori a Microsoft e Intel, che - pur soffrendo la perdita

di una posizione quasi monopolistica hanno saputo intraprendere strategie diverse e cambiamenti nella loro cultura di impresa. Molto differenziato l’andamento dei grandi operatori telecom: con Verizon che ha raddoppiato il suo valore, mentre AT&T, Telefonica e (purtroppo ancor più) Telecom Italia lo hanno visto scendere. Il passaggio al mobile ha cambiato profondamente il modo di fare pubblicità (con un ruolo di protagonisti di Google e Facebook), riducendo le quote destinate agli operatori televisivi e provocando una crisi drammatica della carta stampata. E ha dato la stura alla nascita di una molteplicità di startup, diverse delle quali (da WhatsApp a Uber e Airbnb) responsabili dei fenomeni di

Appartengono al mondo dell’IT ben tre delle prime quattro imprese ai vertici mondiali per capitalizzazione di Borsa: Apple, Google e Microsoft, con numeri impressionanti dei ricavi e dei profitti pro-capite dei loro occupati diretti

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disruption in atto nei settori più diversi dell’economia. Ma nel giro di soli sette anni anche il ciclo di vita dei nuovi device appare avviato alla saturazione, dopo l’impressionante fase di espansione, obbligando le imprese a ripensare le loro strategie. Da manuale (come detto) a tale proposito le mosse del leader Apple, che - a fronte delle prospettive di saturazione, della quasi banalizzazione dei prodotti e della connessa entrata in campo di una marea di nuovi competitori - ha scelto di rafforzare ulteriormente la sua immagine di luxury company e di usare la forza del suo brand per cercare di far decollare due business dove i first mover avevano avuto un successo limitato: il business delle cosiddette wearable technology (con il lancio dell’Apple


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watch), percepite sinora come gadget a dispetto delle fortissime attese sul loro futuro; il business dei pagamenti via smartphone, coinvolgendo partner riottosi nel mondo delle banche e delle carte di credito (che temono una disruption dei margini) e in quello del retail (che non vede significativi vantaggi nell’investire in terminali). Se il mercato consumer è cambiato così profondamente a causa del mobile, il mercato corporate attraversa anch’esso una fase di cambiamento per la crescente diffusione del cloud

computing, accompagnata da un drastico abbassamento del prezzo dei server. Si apre la strada per l’ingresso di nuovi attori - con una offerta fortemente variegata di servizi cloud accanto a quelli più tradizionali come Ibm, HP, Cisco, Oracle, Sap e la stessa Microsoft. È un mercato che si va affollando, nella previsione che la transizione al cloud, in forma integrale o ibrida (mantenendo cioè all’interno alcune operazioni ritenute più critiche), prenda sempre più piede; nella previsione

che si vada verso un tipico modello di sharing economy, in cui le imprese utilizzatrici non debbano più (nel caso integrale) investire nell’acquisto di hardware e software, ma possano fruire in outsourcing dei servizi alternativi con un pagamento “a consumo”; che si vada verso una radicale riorganizzazione dell’IT nelle imprese utilizzatrici stesse, con una profonda revisione del tradizionale ruolo del CIO. Gli incumbent del settore sono costretti (come visto nel caso di Ibm) a offrire ai loro clienti, per non perderli,

Capitalizzazione (mld $)

P/E

Ricavi (mld $)

Utile (mld $)

Addetti (migliaia)

Variazione % Titolo 1 anno

Apple

609,51

16,44

178,14

38,56

80

+ 53,34

Google

401,28

30,27

63,13

13,48

48

+ 32,84

Microsoft

384,64

17,74

86,83

22,07

128

+ 40,10

China Mobile

249,00

13,12

106,17

18,95

197

+ 9,55

Alibaba

231,44

Verizon

205,98

10,56

123,65

15,46

177

+ 1,99

Facebook

200,20

83,64

10,01

2,37

7

+70,24

Samsung

194,03

6,31

217,03

24,30

98

- 12,70

IBM

193,28

12,26

98,27

16,75

431

+0,19

Oracle

185,10

17,40

38,27

10,96

122

+22,67

AT&T

182,34

10,33

130,37

17,93

248

+0,60

Intel

174,13

17,45

53,91

10,30

196

+47,15

Amazon

150,16

n.s.

81,76

0,18

117

+ 4,16

Tencent

148,36

45,37

11,51

3,27

25

+51,06

Comcast

147,02

20,00

67,33

7,51

136

+28,42

Cisco

128,60

16,93

47,14

7,85

74

+2,46

Qualcomm

128,12

18,40

26,28

7,14

31

+9,76

SAP

94,61

21,40

21,74

4,29

67

+3,96

America movil

90,03

17,69

60,25

5,01

172

+30,99

Vodafone

88,28

4,87

62,84

18,27

93

-4,52

NTT Docomo

76,45

17,04

40,93

4,27

24

+18,75

71,13

12,58

68,74

5,71

122

+8,23

Deutsche Telekom

70,38

22,58

78,53

3,03

227

+19,47

HP

69,07

13,97

112,18

5,10

317

+74,61

eBay

65,41

n.s.

17,07

-0,11

34

-2,99

EMC

60,30

24,25

23,58

2,59

64

+10,65

Telefonica

Note: (1) Per parametrare questi valori a quelli delle nostre imprese si ricordi che solo ENI (88,79) entrerebbe in lista, mentre hanno una capitalizzazione inferiore a quella di EMC le altre imprese italiane, e in particolare: INTESA SANPAOLO (51,77), ENEL (50,78) e UNICREDIT (48,39)

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Fonte: FT (dati relativi al 19 settembre 2014)

Tabella 2: Le top-26 imprese mondiali ICT per capitalizzazione


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l’alternativa cloud ai prodotti legacy, con un doppio problema: il calo dei ricavi, almeno nel breve termine, perché all’acquisto e ai fee per la manutenzione si sostituisce il pagamento “a consumo” del servizio; la minor garanzia della fedeltà dei clienti, che una volta intrapresa questa strada possono avere una maggiore propensione a rivolgersi a fornitori alternativi per servizi specifici (ad esempio, parlando di un caso di grande successo, a Salesforce.com per il CRM). È probabilmente Microsoft nell’ambito degli incumbent l’impresa che più si sta impegnando per cavalcare il fenomeno cloud, avendo come grandi avversari - in una furiosa guerra dei prezzi per la conquista della leadership - Amazon (che del cloud è stata antesignana) e Google (stimolata dalla disponibilità di un’enorme infrastruttura cloud interna finalizzata al servizio di search). Ma anche Ibm e Cisco si muovono con decisione nella stessa direzione, affiancati (tra gli altri) da un leader del comparto telecom come Verizon (Telecom Italia segue una strada simile), da società più giovani come (in campi diversi) VMware e Salesforce.com e da startup aggressive operanti in prevalenza con una logica di nicchia. Una situazione quindi in grande evoluzione, ma che per il momento (come detto) non ha provocato significative cadute di valore dei maggiori protagonisti, anche per le capacità di ristrutturarsi messe in mostra da alcuni di essi. Una situazione però che ben difficilmente non attiverà fenomeni di disruption nel futuro, con la perdita di peso di alcuni protagonisti e l’entrata in gioco di nuovi: le forti spinte presenti

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Fonte: FT (dati relativi al 19 settembre 2014)

Tabella 3: Le imprese ICT di nascita o di successo recente Capitalizzazione (mld $) Baidu (2000)

78,86

VMWare (1998)

41,44

Salesforce.com (1999)

35,69

Adobe (1982)

33,78

Twitter (2006)

31,30

Netflix (1997)

27,58

Linkedin (2002)

25,87

Arm (1990)

21,96

Symantec (1982)

16,97

Prezzo di acquisizione (mld $) Whatsapp (2009)

19 (Facebook)

Skype (2003)

8,5 (Microsoft)

Concur (1993)

8,3 (SAP)

Capitalizzazione implicita (mld $) Uber (2009)

18

AIRBNB (2007)

10

Dropbox (2008)

10

Xiaomi (2010)

10

Palantir (2004)

9

Spotify (2006)

8

Pinterest (2010)

5

Note: (1) VMWARE ha come azionista largamente maggioritario EMC. (2) Le acquisizioni di WhatsApp da parte di Facebook e di Concur da parte di SAP sono avvenute nel 2014, mentre l’acquisizione di Skype da parte di Microsoft è del 2011

sul mercato verso M&A volti al consolidamento o verso break-up volti a una maggiore focalizzazione possono essere visti come segnali in tale direzione. Qualche numero Nonostante le incertezze sul loro futuro, a causa del contesto estremamente dinamico in cui operano, il mercato finanziario - anche se con qualche selettività - continua come detto ad avere un forte amore per le imprese ICT. Appartengono al mondo dell’information technology ben tre delle prime quattro imprese ai vertici mondiali per capitalizzazione di borsa (TAB. 1): Apple, Google e Microsoft. Tre imprese diverse per età e per data di raggiungimento del successo, con prodotti

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core differenti ma anche con crescenti sovrapposizioni nei loro portafogli di business e conseguentemente in aspra competizione fra loro. Tre imprese con numeri impressionanti dei ricavi e dei profitti pro-capite dei loro occupati diretti. Molto nutrito è anche il novero delle imprese ICT che le seguono (TAB. 2), con ben quattro con una capitalizzazione superiore a 200 miliardi (fra cui fresca di quotazione Alibaba) e altre sei a 150. È una lista in cui non ho fatto distinzione, data la mancanza di linee di separazione nette, fra chi vende prevalentemente hardware e chi software e servizi, fra chi serve prevalentemente il mercato consumer e chi il corporate, fra gli operatori telecom e le cosiddette OTT-over the top (Verizon è entrata ad esempio come visto nel cloud e Google sta investendo in reti di comunicazione veloci in diverse città statunitensi). È una lista che non vede la presenza di alcuna impresa ICT italiana, ma ove anche togliendo il vincolo del settore di appartenenza - riuscirebbe a entrare solo Eni con i suoi quasi 89 miliardi di dollari di capitalizzazione (Intesa Sanpaolo, Enel e Unicredit seguono a quote comprese fra 52 e 48). Infine (TAB. 3), la lista delle imprese più giovani o comunque di successo recente, graficamente distinte per età di fondazione e tripartite: quelle quotate non comprese fra le grandi, con il loro valore di borsa; quelle oggetto recente di acquisizione; quelle infine non ancora quotate, ma di cui è disponibile la capitalizzazione implicita sulla base della quale sono stati effettuati i conferimenti di capitale più recenti.


PagamentiDigitali.it è il primo progetto editoriale italiano dedicato all’innovazione nel mondo dei pagamenti elettronici. Un punto di osservazione chiaro, autorevole e indipendente sui trend più attuali: contactless, Mobile POS, pagamenti tramite cellulare (remote e proximity), acquisti online (eCommerce ed ePayment), Wallet digitali e Mobile, servizi legati al pagamento (couponing e loyalty), normative italiane ed europee.

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m a n ag e m e nt

di

Trish Gorman

consulente, scrittrice

I quattro paladini del cambiamento nell’organizzazione Un ritratto delle varie tipologie dei “disruptor”, le persone che hanno la capacità di introdurre trasformazioni radicali: “imprenditore”, “thought leader”, “provocatore” e “problem solver”. «Ciascuna tipologia ha la sua importanza, e nessuno può realizzare l’intero processo di disruption da solo, dall’idea alla realizzazione: qualsiasi innovazione è uno sforzo collettivo»

Cos’è un “disruptor”? È una persona che con le sue influenze o azioni contribuisce a cambiare radicalmente un’azienda o organizzazione. Più precisamente un disruptor cerca di influenzare i cambiamenti attraverso la comunicazione, le idee, oppure interviene concretamente, per esempio cercando risorse per un progetto o portando professionisti con nuove competenze in un team. In entrambi i casi parliamo di persone che introducono cambiamenti radicali. Chiunque nell’organizzazione può essere un disruptor, e ce ne sono di vari tipi. È importante capire le differenze tra di loro, perché è importante averle tutte in un team che si occupa di innovazione e cambiamento. È difficile comprendere i processi dietro i cambiamenti di successo. Ognuno ha una sua storia, e guardando al cambiamento finale non si capisce molto di quanto e quale lavoro abbiano compiuto i disruptor. Se parlate con qualcuno che sta lavoran| 22 |

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do a un progetto, il percorso verso l’obiettivo non è quasi mai in linea retta. Chi introduce cambiamenti incontra problemi e difficoltà. Il disruptor è quello che continua per la sua via nonostante gli ostacoli e i feedback che riceve: non si arrende lungo il percorso, ma va avanti. Pensatori e uomini d’azione Ci sono diversi tipi di disruptor: può essere più o meno giovane, o fare lavori manuali o di concetto. Non esiste un percorso formativo, né un settore specifico. Però come accennavo se ne possono individuare quattro grandi tipologie, che sono classificabili in una matrice con due assi (si veda il grafico di pagina 24): quello della motivazione, e quello dell’ampiezza dell’ambito di competenza (scope). Possiamo capire le differenze tra i quattro tipi con questo semplice esempio: davanti alla diffusione dei droni, i piccoli velivoli senza pilota telecoman-


m a nage m e n t | I q uat t ro pa l a di n i de l c a mb i a me n t o n e l l’ o rg a n i z z a z i one

Chi è Trish Gorman Patricia (Trish) Gorman è attualmente consulente, conferenziera e scrittrice: il suo libro più famoso è “What I Didn’t Learn in Business School: How Strategy Works in the Real World”, scritto con Jay Barney ed edito da Harvard Business School. Tra le sue esperienze ci sono i prestigiosi ruoli di Director of Global Strategy Learning presso McKinsey & Company, e Dean del Jack Welch Management Institute, fondato a Washington dal famoso CEO di General Electric e sede di uno dei più famosi MBA degli USA. Ha inoltre collaborato con diverse altre business school, tra cui quella della Columbia University, con la loro School of International and Public Affairs e con la Wharton Graduate School of Business, e per lei Deloitte ha creato il ruolo di Director of Eminence per il suo Services’ Growth Portfolio.

dabili a distanza, cosa pensa ciascuno dei quattro tipi di disruptor? Nella matrice, l’asse della motivazione distingue gli “uomini d’azione” dai “pensatori”. I primi hanno un’alta motivazione, e sono appunto propensi ad agire, a indicare le cose concrete da fare: sono quelli che, ad esempio, quando si parla del futuro, dell’educazione, della cyber security, della sanità, delle scienze naturali, dicono subito le attività e gli interventi da fare per cambiare positivamente queste aree. Quelli che pensano a queste cose in modo più concettuale hanno invece motivazione bassa, ma questo non è negativo: abbiamo bisogno di entrambi questi tipi di disruptor. L’altro asse mostra quanto ampio è l’ambito di competenza (scope). Siete specialisti esperti in un ambito ristretto? In questo caso, pensando ai droni, se lavorate per esempio nei servizi di emergenza rifletterete su come questi apparecchi possono essere usati per portare aiuto alle vittime di un’alluvione o di un terremoto. Se gestite una pizzeria d’asporto, penserete a come possono servire per consegnare le pizze. Se, invece, avete un ambito di competenze più ampio, potreste pensare alle implicazioni legali sull’uso dei droni, o quali potrebbero essere i diversi modelli di flussi di traffico per ottimizzare l’uso dell’energia. Le combinazioni di questi due fattori portano a quattro tipi di disruptor - che io chiamo il “problem solver”, il Thought Leader, il provocatore e l’imprenditore -, che producono rispettivamente soluzioni coraggiose, impegni coraggiosi, visioni coraggiose e idee coraggiose.

Dai disruptor di Twitter a quello di Ikea Più precisamente, ecco una rapida descrizione dei quattro tipi di disruptor. Tipo 1: l’imprenditore. Questi sono leader della sperimentazione, come i membri del piccolo team che Steve Jobs ha creato per sviluppare il computer Macintosh, o i fondatori di Twitter. Assumono impegni coraggiosi, sono quelli che vanno in giro e trovano le risorse più adatte per i loro progetti. Il loro orientamento all’azione può essere potente, ma se il vostro team ha molti “tipo 1”, può essere portato a impegnarsi subito sulla prima buona idea che capita, senza preoccuparsi di trovare la scelta migliore. Tipo 2: il provocatore. Questi sono i “critici esperti”, che capiscono tutte le implicazioni teoriche di un’idea disruptive. Hanno una visione coraggiosa di ciò che è possibile, e giocano molto bene la parte di ”avvocato del diavolo”. I “tipi 2” vanno controbilanciati con persone pronte ad accogliere i loro stimoli e a utilizzarli per rafforzare i concetti che il team decide di mettere in pratica. Tipo 3: il Thought Leader. Questo è simile al tipo 2, perché entrambi si concentrano più sulle idee che sulle azioni concrete. Però ha una prospettiva più ampia su come le idee disruptive possono cambiare il mondo, perché ne vede gli impatti non solo su un settore, ma anche su campi collaterali e apparentemente non collegati. È la fonte di molte idee di alto livello. Se in un team ci sono molti “tipo 3”, quindi, la generazione delle idee non sarà un problema, ma lo sarà la loro www.ict4executive.it

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management | I q u at t r o pal ad i ni d e l cam b i am e n t o n e l l’ o rg a n i z z a z i o n e

“messa a terra”: vanno bilanciati con figure di tipo 1 e 4. Tipo 4: il problem solver. Questi sono disruptor tenaci e appassionati. Hanno forti motivazioni nell’applicare idee e intuizioni nel loro campo particolare. Creano soluzioni coraggiose. Un esempio è Johan Karlsson, project manager della Refugee Housing Unit di Ikea, che ha usato l’esperienza del colosso svedese nell’alleggerire i mobili e renderli facilmente confezionabili per creare prefabbricati confortevoli a energia solare per famiglie di profughi. A ciascuno il suo posto Ci sono poi altre caratteristiche per cui i disruptor si differenziano: c’è chi ha una grande immaginazione e chi invece è più concreto, ci sono gli ottimisti che pensano che il mondo sia pieno di opportunità, di nuove fantastiche possibilità, e chi è scettico, che pensa che le cose non funzionano ma cerca, nello stesso tempo, di convertire le negatività in attività propositive. Un altro fattore è legato alle motivazioni, alla passione che spinge al cambiamento. Siete spinti dal profitto? Oppure vi interessa appartenere a una community? O ancora volete dare un contributo alla società? Sono tutte motivazioni che spingono a produrre cambiamenti e a correre rischi. La passione è quella cosa che ci spinge a superare gli ostacoli. I disruptor possono essere motivati da tante cose, a seconda delle situazioni. La terza questione è qual è la vostra visione del

mondo. Vedete un mondo in cui il cliente va sempre ascoltato per capire le sue richieste ed esigenze, o credete che bisogna far capire al cliente ciò di cui ha bisogno, perché in realtà non sa cosa vuole? Oppure: siete talmente convinti delle strategie da seguire da non avere bisogno dei riscontri degli altri, o pensate che comunque prima di avviare un cambiamento occorra trovare un supporto inattaccabile? Nessuno di questi atteggiamenti è sbagliato a priori: sapere che ci sono differenti modi di vedere il mondo è il primo passo verso quello che chiamo una rivoluzione costruttiva. Una volta che avete individuato chi siete, e qual è la vostra visione del mondo e la vostra motivazione, allora potete capire a che tipo di settore o attività siete più adatti, e quindi potete portare il vostro miglior contributo all’innovazione. Se siete persone dalle ampie vedute, siete spinti dalla voglia di potere, orientati sul cliente, allora la vostra area può essere per esempio il “waste management”. Se siete creativi, motivati più che dal potere dal raggiungimento di uno status, e focalizzati sugli aspetti tecnici, allora un ambito ideale può essere l’open source. Se siete persone concrete, motivate dal divertimento, e focalizzate sui competitor, allora il vostro mondo può essere per esempio quello dei marketplace online, come StubHub. Una questione di equilibrio In un’organizzazione, o un team, di solito sono presenti tipi diversi di potenziali disruptor. Se ave-

alto

Identikit dei quattro tipi di “ disruptor ”

Tipo 1

Tenace Problem Solver Appassionato, visionario Propone soluzioni coraggiose

Leader di progetti sperimentali Fondatore, imprenditore Assume impegni coraggiosi

Tipo 2

Tipo 3

Provocatore Critico esperto Propone visioni coraggiose

Iniziatore Thought Partner Pensa idee coraggiose

basso

MOTIVAZIONE

Tipo 4

ristretto | 24 |

ambito di competenza (scope) www.ict4executive.it

ampio


m a nage m e n t | I q uat t ro pa l a di n i de l c a mb i a me n t o n e l l’ o rg a n i z z a z i one

te nello stesso ambito alcune persone focalizzate sugli aspetti tecnici, altre sul modello complessivo, se c’è chi analizza i concorrenti e chi invece pensa a cercare più clienti, metterli tutti insieme a discutere di cambiamento può essere una bella esperienza di team, nel quale ognuno porta la propria idea e il team leader può farsi un’idea d’insieme delle “capacità di disruption” su cui può contare. I disruptor del “tipo 2” per esempio sono davvero buoni provocatori e hanno spirito critico per capire cosa funziona e cosa no. Se non avete una persona del genere nel vostro team e non potete prenderla dall’esterno in outsourcing, perderete forza nella capacità di creare nuovi processi o modelli di business di successo. Se, invece, avete qualcuno orientato all’azione, tenace nel problem solving, non è necessario che porti a casa miliardi di dollari: la cosa importante è farlo appassionare ai problemi. Cercherà in tutti i modi di risolverli. Spero che voi abbiate questo tipo di persone nel vostro team o siate voi una di queste, in ogni caso dovete rispettare le altre persone con diverse visioni del mondo e motivazioni, e con altri tipi di focus.

perto diversi ruoli disruptive, e, lavorando insieme in appositi team dedicati al cambiamento, hanno fatto la differenza, creato nuovi prodotti e servizi, business model, contatti, network e valori. Attenzione però: nessuno può realizzare l’intero processo di disruption da solo, dall’idea alla realizzazione. Questo forse è il concetto più importante: qualsiasi innovazione è uno sforzo collettivo. Estratto dall’intervento che Trish Gorman ha tenuto in occasione dell’edizione 2014 del World Business Forum di New York

Un’altra difficoltà è creare un modello di lavoro che deve essere fluido, iterativo, interattivo, in cui ognuno interpreta diversi ruoli: potreste avere persone con spirito critico, provocatorio, che nello stesso tempo sono sperimentatori, che seguono un business case o realizzano un progetto. La maggior parte delle storie di successo dei cambiamenti sono state realizzate da persone che hanno rico-

Prodotti, servizi, processi: tutto si può rivoluzionare I disruptor sono i “catalizzatori” del cambiamento nell’organizzazione, dice Trish Gorman, ma quali sono i cambiamenti di cui stiamo parlando? «Si possono cambiare i prodotti. Un esempio è Amazon Kindle. Nell’era digitale abbiamo diversi supporti per leggere i testi, ma il Kindle ha rivoluzionato l’intero mercato dei libri, dalla pubblicazione alla distribuzione. Oppure si possono sovvertire i servizi. Coinstar è un esempio, si basa su chioschi che cambiano la moneta in denaro, buoni spesa o fondi su PayPal. In pratica vi dà i vostri soldi in un altro “formato”. Non è solo cambiare il modo di offrire un servizio, è introdurre un servizio che offre un valore totalmente nuovo». Threadless è un altro esempio citato da Gorman: è un produttore di t-shirt che offre a chiunque la possibilità di suggerire il design o di votare le proposte: «Una specie di “crowdsourced design”, un esempio di business model orientato alle propensioni dei clienti». Anche un processo può essere cambiato, per esempio l’acquisto di un paio di occhiali. «Non parliamo solo di usare le diverse tecnologie per comprare online un paio di occhiali acquistabile anche in negozio, ma pensare a quanto esso rappresenti il nostro modo di essere e comunichi la nostra personalità: pensando a questo, Eyeglasses.com per esempio vi accompagna nella scelta online del vostro paio di occhiali spiegandovi ogni passaggio».

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Sistemi HR, vincente il modello che abbina standard e flessibilità

Oltre il concetto di servizio su misura, oggi sembra essere vincente l’abbinata “standard più flessibilità”. Usare modelli già consolidati in un sistema che preveda un certo livello di adattabilità fa risparmiare tempo e denaro e, grazie all’ambiente 2.0, dà accesso a soluzioni sempre aggiornate, sicure e on demand (pay-as-yougo). «In area HR convince sempre più la disponibilità di modelli preconfigurati e collaudati, in sostanza le best practice da noi selezionate, con un certo grado di adattabilità interna», spiega Nicola Uva, Strategy and Marketing Director ADP Italia, parte del gruppo americano con un giro d’affari di 12 miliardi di dollari e 637.000 aziende clienti in 125 Paesi. Standard e flessibilità, insieme al concetto di integrazione, sono alla base della soluzione OneService di ADP per l’amministrazione e la gestione del personale, adatta ad aziende di qualsiasi dimensione e complessità. Esempi di flessibilità sono la gestione dei dipendenti nei diversi paesi, esigenza crescente nelle aziende italiane. Così, per l’amministrazione quotidiana il sistema tiene conto di leggi e metriche di ciascun paese, ma poi riporta al sistema centrale le informazioni più rilevanti che, rese omogenee, vengono restituite in un report mensile sui costi complessivi del personale, ma anche sul potenziale interno. Così pure nel performance management il sistema è abbastanza flessibile da prevedere diversi criteri di valutazione a seconda delle diverse organizzazioni. La piattaforma, infatti, è in grado di gestire sia le attività amministrative (paghe e contributi, presenze, trasferte, pianificazione e simulazione dei costi del personale), sia i processi legati a sviluppo

Usare modelli consolidati in un sistema adattabile fa risparmiare tempo e denaro e dà accesso a soluzioni sempre aggiornate, sicure e on demand, come OneService di ADP. «In area HR convincono sempre più i modelli preconfigurati e collaudati con un certo grado di adattabilità interna»

nicola uva Strategy and Marketing Director ADP Italia

e carriere (talent management). Il tutto integrato in un sistema “seamless” che, in un colpo d’occhio, mette a disposizione tutte le informazioni su ogni dipendente, dall’anagrafica ai livelli di prestazione. Grazie poi agli HR Analytics, si possono correlare le diverse informazioni, come il rapporto tra assenteismo e produttività e tra performance e formazione. «Avere un solo fornitore che dia il servizio completo, dalla piattaforma di lavoro all’analisi dei dati a supporto delle decisioni, è la direzione ormai scelta dalle imprese», sottolinea Uva. ADP in Italia gestisce con i suoi servizi in outsourcing 1.100 aziende per un totale di 2 milioni di dipendenti e ha un fatturato di circa 90 milioni di euro. Per arrivare in modo più capillare alle imprese con meno di 350 dipendenti, di recente ha adottato una strategia in partnership con consulenti del lavoro e commercialisti che potranno così erogare un’ampia gamma di servizi HR e payroll attraverso la piattaforma applicativa ADP “in the cloud”. «Vogliamo semplificare la vita agli imprenditori, quindi ci siamo rivolti ai loro stessi consulenti con un prodotto agile e completo, che consente di attivare i servizi che occorrono». Finora sono sette gli studi medio-grandi che in un anno hanno già adottato OneService, gestendo 35.000 dipendenti di piccole aziende.

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I N TE R V IS TA di

manuela gianni

intervista a

massimo arrighetti Amministratore delegato Sia

Italia digitale, adesso serve un’accelerazione Nel nostro Paese gli strumenti di pagamento e i servizi finanziari avanzati sono ormai largamente disponibili, ma l’adozione resta ancora troppo lenta. Secondo Massimo Arrighetti, Amministratore Delegato di SIA, «l’innovazione c’è, ma non basta: vanno superate le barriere culturali e le paure di cittadini e imprese, con il contributo di tutti»

Don’t worry, be digital. È questo lo slogan scelto per l’edizione 2014 del SIA EXPO (a Milano il 15 ottobre), un appuntamento imprescindibile per comprendere l’evoluzione nell’ambito dei pagamenti e della finanza attraverso le testimonianze di relatori di primo piano nel panorama economico italiano ed europeo. L’agenda è fittissima, a conferma del fermento che anima il settore: dai pagamenti NFC, ormai decollati anche in Italia, ai wallet, i portafogli dell’era digitale, dalla fatturazione elettronica ai nuovi servizi per la Pubblica Amministrazione, fino alle soluzioni più avanzate per il trading. Un’offerta ampia e diversificata di servizi innovativi oggi a disposizione di cittadini, imprese e PA del nostro Paese, che tuttavia vengono utilizzati ancora troppo poco. È questo il senso del titolo del nono International Finance & Payments Summit, che vuole essere uno stimolo a capire e superare le barriere che ancora frenano la diffusione del digitale, come spiega Massimo Arrighetti, Amministratore Delegato di SIA. | 28 |

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Dottor Arrighetti, il SIA Expo di quest’anno vuole essere uno sprone verso l’innovazione, più che una vetrina di novità. Perché avete scelto come titolo “Don’t worry, be digital”? L’innovazione nel nostro settore è peculiare. Pensiamo ad esempio alla carta di credito: esiste da qualche decennio e non c’è dubbio che sia uno strumento utile e comodo, utilizzato in tutto il mondo. Eppure in Italia ancora oggi la usano in pochi. Anzi, c’è stato un forte dibattito tra i negozianti che hanno contestato l’obbligo di accettare le carte di pagamento. L’innovazione però da sola non basta e questo vale per i sistemi di pagamento come per tutto il mondo del digitale in Italia. Il Paese non è in ritardo perché mancano gli strumenti ma perché non vengono usati. È sorprendente. Le aziende non si muovono, la PA è ferma e i cittadini sono restii a cambiare le proprie abitudini. Credo che dietro questo atteggiamento si nascondano paure non esplicitate, e questo è il motivo per


IN T E RV ISTA | Ita l i a di g i ta l e , a de sso se rv e un ’ ac c e l e ra z i o ne

Chi è Massimo Arrighetti Classe 1957, Massimo Arrighetti dopo essersi laureato in Economia e Commercio presso l’Università Bocconi di Milano inizia la sua carriera professionale nel 1981 in IBM, per poi entrare in McKinsey & Company come Consulente fino ad assumere la responsabilità di Senior Partner, gestendo numerosi progetti strategici per il settore bancario in Italia e all’estero. Diviene anche membro attivo della “Practice” McKinsey bancaria e uno dei fondatori della “Practice” di Information Technology per le istituzioni finanziarie. Nel 1998 Arrighetti passa in Poste Italiane come Direttore di Divisione di Banco Posta, curando personalmente la stesura e la realizzazione del relativo Piano d’Impresa. Viene anche nominato Amministratore Delegato di Poste Vita, nonché Consigliere di Postecom, Eurogiro e Banco Posta Fondi SGR. Nel 2002 entra in Banca Intesa come Responsabile Divisione Rete. Durante la sua gestione, Arrighetti realizza l’integrazione operativa e commerciale delle reti Comit, Cariplo, Banco Ambroveneto e delle tre direzioni centrali. Lancia, inoltre, il nuovo brand unico Banca Intesa, e riorganizza la Divisione Rete e le relative società (Intesa Media Credito, Intesa Leasing e Setefi). Crea, infine, Intesa Vita e Intesa Private Banking. Dal 5 maggio 2010 è Amministratore Delegato di SIA.

cui abbiamo scelto “Don’t worry, be digital”. Una situazione è pericolosa e al tempo stesso problematica: non si può fermare la rivoluzione digitale, mentre il resto del mondo sta andando avanti. Non solo l’Italia perde produttività e competitività, ma se non acceleriamo in tempi rapidi, la domanda interna si rivolgerà sempre più all’esterno, verso prodotti e servizi più economici ed efficienti. Come si possono superare queste barriere? Bisogna diffondere la conoscenza, convincere le persone ad usare certi strumenti, mostrare le novità, provarle e spiegarne la convenienza. E quando tutto ciò non è sufficiente, si ricorre all’obbligo, come di recente è avvenuto con la Sepa che prevede un nuovo standard per i pagamenti in euro applicato in 34 Paesi, oggi finalmente in vigore. Se parliamo di consumatori, la sicurezza è certamente tra i timori da superare: è noto che una banconota ispira più fiducia di una carta di credito. Ecco

perché SIA Expo 2014 ha messo al centro la cybersecurity, un tema su cui il mondo bancario e finanziario è da sempre concentrato. Spesso i media lanciano messaggi allarmistici su carte clonate e frodi, con il risultato di alimentare la diffidenza di chi ancora non usa la moneta elettronica. Si dimentica, però, che il contante va custodito in sicurezza, che gran parte del microcrimine si concentra sul furto di portafogli, che c’è un problema di falsificazione. Se una carta viene clonata, e si tratta comunque di episodi rari, la banca restituisce le spese effettuate indebitamente, mentre nessuno restituisce il cash rubato. E il contante costa: pensiamo alla produzione, al trasporto, ai terminali ATM etc. Esistono studi della Banca d’Italia che dimostrano come a livello sistemico gli strumenti elettronici siano molto più economici del contante. In Italia, quindi, siamo in ritardo non perché non ci sono gli strumenti ma perché purtroppo non vengono utilizzati. Nelle imprese, invece, quello che manca www.ict4executive.it

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INTERVI STA | Italia d i gi tal e , ad e s s o s e r v e u n’ ac c e l e ra z i o n e

«Non sono soltanto le imprese a essere in ritardo. Anche le banche vanno a rilento nella Digital Transformation: dovrebbero sviluppare nuovi servizi per i clienti, secondo un modello che faccia più leva sulla gestione delle informazioni»

è la familiarità dell’imprenditore con l’innovazione: non c’è la capacità di pensare digitale. È un problema culturale. Ma non sono soltanto le imprese a essere in ritardo. Anche le banche vanno a rilento nella Digital Transformation: dovrebbero sviluppare nuovi servizi per i clienti, secondo un modello che faccia più leva sulla gestione delle informazioni. Nonostante le difficoltà, l’impegno di SIA per l’innovazione è costante. Quali sono le principali novità? Continuiamo a lavorare su molti fronti, partendo sempre dalle esigenze dell’utente e cercando di proporre soluzioni semplici, con la sicurezza e l’affidabilità tipica del mondo bancario. La novità più recente riguarda il P2P: abbiamo sviluppato un servizio per pagamenti person to person che tramite un’app dello smartphone permette il trasferimento di denaro selezionando semplicemente il destinatario dalla rubrica telefonica, proprio come quando si manda un messaggio con WhatsApp. Una piccola rivoluzione: il beneficiario è identificato dal numero del cellulare cui è associato il codice Iban del conto. Si inserisce l’importo, la causale, e si conferma l’operazione. La disponibilità dei soldi è in tempo reale. UBI Banca è stata la prima a partire con il nostro

P2P che si basa su un bonifico SEPA, quindi disponibile per tutte le banche operanti nell’Area Unica dei Pagamenti in Euro. È uno dei tanti servizi di SIA EasyPay, la piattaforma per i pagamenti digitali che ospita anche epayment, mobile payments, pagamenti NFC, couponing e mobile ticketing. Quest’ultima, in particolare, consente agli utenti di acquistare e vidimare i biglietti di trasporto tramite smartphone in modalità contactless. Può essere implementata in tutte le città e tra le aziende di trasporto pubblico che l’hanno già adottata figurano TPER Trasporto Passeggeri EmiliaRomagna, ANM Napoli e Start Romagna. Con la stessa logica, abbiamo realizzato la prima infrastruttura in Europa per i Mobile Payments aperta a tutte le banche e telco, che è alla base di diversi lanci commerciali avvenuti nei mesi scorsi in Italia. Un’altra novità assoluta riguarda una soluzione per gli esercenti, frutto della recente acquisizione di Emmecom, una società specializzata in reti di telecomunicazioni fisse, mobili e satellitari con un focus sulla tecnologia machine-to-machine. Si tratta di un hub che gestisce molteplici servizi per i negozi: dalla trasmissione dati al wi-fi, dai collegamenti del terminale POS e del pc, dal sistema di videosorveglianza agli allarmi e tutti quei servizi digitali che tipicamente occorrono a un punto vendita. Un sistema completo

Sia, un gruppo di sette società attivo in 40 paesi SIA è leader europeo nella progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture e servizi tecnologici dedicati alle Istituzioni Finanziarie e Centrali, alle Imprese e alle Pubbliche Amministrazioni, nelle aree dei pagamenti, della monetica, dei servizi di rete e dei mercati dei capitali. Il Gruppo SIA eroga servizi in circa 40 paesi ed opera anche attraverso controllate in Ungheria e Sudafrica. La società ha sedi a Milano e Bruxelles. Nel 2013 SIA ha gestito 2,7 miliardi di pagamenti con carte e 2,2 miliardi di bonifici e incassi, 28,6 miliardi di transazioni di trading e post-trading e trasportato in rete 293,3 terabyte di dati. Il Gruppo si compone di sette società: la capogruppo SIA, le italiane Emmecom (applicazioni innovative di rete per banche e imprese), Pi4Pay (servizi per Payment Institution), RA Computer (soluzioni di tesoreria per banche, imprese e PA) e TSP (servizi di payment collection per aziende e PA), Perago in Sudafrica e SIA Central Europe in Ungheria. Il Gruppo, che conta circa 1.500 dipendenti, ha chiuso il 2013 con ricavi pari a 380,3 milioni di Euro.

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IN T E RV ISTA | Ita l i a di g i ta l e , a de sso se rv e un ’ ac c e l e ra z i o ne

SIA EasyPay, la piattaforma per i pagamenti digitali che ospita anche e-payment, mobile payments, pagamenti NFC, couponing e mobile ticketing, recentemente si è arricchita con un servizio per le transazioni P2P

e semplice che permette anche ai piccoli esercenti di sviluppare servizi innovativi per fidelizzare i clienti, come per esempio l’invio del menu sul cellulare o il pagamento del conto, messaggi promozionali, programmi di intrattenimento, offerte specifiche, e molto altro. Il Fondo Strategico Italiano (FSI) è entrato nell’azionariato di SIA e questo vi ha portato a una maggiore attenzione verso la PA. Come intendete operare? È stata innanzitutto creata una divisione specifica, Public Sector, che stiamo progressivamente popolando. Facendo leva sulla nostra esperienza lato imprese, abbiamo poi esteso il servizio di fatturazione elettronica anche al mondo della Pubblica Amministrazione. Oggi abbiamo un’offerta completa che include da un lato la gestione del ciclo passivo, dall’ordine al pagamento fino alla riconciliazione, dall’altro lato il ciclo attivo, cioè l’emissione di avvisi di pagamento riguardanti tasse, multe e così via, che il cittadino ha la possibilità di pagare utilizzando il canale che preferisce. Ciò permette alla PA di guadagnare efficienza, di avere una rendicontazione omogenea ed integrata di tutti gli incassi in tempo reale, quindi visibilità sui flussi di cassa e con la possibilità di utilizzarli in tempi più brevi, da mesi a giorni. Per noi è una grande scommessa, perché nella Pubblica Amministrazione non è usuale acquistare tecnologia in una logica di servizio, e ciascun ente sviluppa internamente la propria soluzione. In Italia, purtroppo, ogni PA è autonoma nelle scelte, non c’è una regia comune. Il risultato è che convivono tante soluzioni o applicazioni diverse, si spende tanto per avere poco e non riusciamo a ottenere i fondi per l’innovazione

messi a disposizione del Paese dall’Europa. Anche qui, non è un problema di tecnologia ma di innovazione di mentalità e di processo. Nonostante questo, abbiamo raccolto la sfida e stiamo sviluppando servizi utili per tutti. Come ad esempio i ticket sanitari, che in Emilia-Romagna e in Lombardia possono essere pagati anche alle casse del supermercato oltre che dall’home banking. Oppure come i contributi per i celiaci di cui oggi diverse ASL della Regione Lombardia consentono l’utilizzo presso la GDO per ritirare i prodotti dietetici senza glutine. Il cittadino, all’atto del pagamento, presenta alla cassa la Carta Regionale dei Servizi, e digitando uno specifico PIN può usufruire del contributo scalando il valore dei prodotti acquistati direttamente dall’importo associato alla Carta stessa. Questo può essere applicato anche ad altri contributi sociali. A Roma è già possibile pagare multe e tributi comunali, dalla mensa all’asilo nido, ma anche bollette e altro ancora in multicanalità. La PA sta adottando anche MyBank, il servizio che consente ai cittadini di pagare online i servizi scolastici, i ticket sanitari e altre prestazioni erogate dagli uffici pubblici, con un bonifico autorizzato in tempo reale attraverso il proprio home banking, senza la necessità di digitare i dati personali. La nostra proposta è semplice: favorire la standardizzazione. Soluzioni da adottare uguali per tutti, che si tratti di Regioni, Comuni o Ministeri. Senza dimenticare, infine, che ci sono due scadenze importanti in calendario l’anno prossimo: il 31 marzo 2015 scatterà l’obbligo della fatturazione elettronica anche verso le amministrazioni locali, ed entro il 31 dicembre tutta la PA dovrà garantire ai cittadini la possibilità di effettuare pagamenti elettronici. www.ict4executive.it

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Os s e r vato rio di

DANIELE LAZZARIN

Mariano Corso SChool of management POLitecnico di milano

Il cloud vale più di un miliardo di euro: «Trend dirompente» Il mercato complessivo dell’IT-as-a-service nel nostro Paese nel 2014 crescerà del 31%. 320 milioni di euro saranno spesi per servizi di Public Cloud, altri 860 per infrastrutture, architetture applicative e sistemi di gestione dei device alla base dei sistemi informativi aziendali “Cloud Enabling”. I responsi dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service del Politecnico di Milano

Se per anni abbiamo guardato al Cloud Computing come a un cambiamento possibile e auspicabile per le imprese italiane, oggi i dati di mercato dimostrano che finalmente questo auspicio è diventato realtà. Il mercato complessivo del Cloud in Italia nel 2014 infatti crescerà del 31%, ed è stimabile attorno a 1,18 miliardi di euro. Una componente quindi ancora minoritaria del mercato ICT complessivo nel nostro Paese, ma certamente di dimensioni ormai rappresentative, e con trend di sviluppo davvero incoraggianti e ben lontani da quelli di grandissima parte degli altri comparti del settore. È questo il principale responso della ricerca 2014 dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service della School of Management del Politecnico di Milano, giunto alla sua quarta edizione. Il report analizza a tutto tondo l’ecosistema Cloud in termini di stato e dinamiche della domanda (con un’indagine su oltre 530 CIO e responsabili IT di imprese italiane), dell’offerta (con uno studio di 440 servizi | 34 |

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Public Cloud di tipo SaaS, IaaS e PaaS - cioè rispettivamente Software, Infrastructure e Platform as a service, disponibili a livello internazionale), e della filiera italiana che eroga tale offerta, interpellando oltre 20 fra i player più rilevanti del mercato. L’Osservatorio ha inoltre riproposto i “Cloud Innovation Awards”, selezionando tra oltre 50 progetti i casi vincenti, che quest’anno sono Enav, Infocamere, ITCTS Vittorio Emanuele II di Bergamo, Madisoft e RCS Mediagroup. «I numeri di mercato evidenziano come l’opportunità di un cambiamento possibile’ sia diventata a tutti gli effetti un trend dirompente - commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service -. Questo trend inciderà sulle modalità di fruizione delle tecnologie, condizionando fortemente le scelte strategiche e di investimento delle imprese». La portata di questo cambiamento, continua Corso, va ben oltre l’IT: «Insieme a Mobile, Social e Big Data, il


o s s e r vato r i o | Il c l o ud va l e P i ù di un mi l i a rdo di e uro : « t re n d di ro mp e n te»

Cloud può abilitare una rivoluzione organizzativa, cambiando il modo di diffondere le informazioni, prendere decisioni e collaborare dentro e fuori dall’organizzazione, e ridando slancio e produttività alle imprese italiane». I dubbi sono diventati motivazioni Il dato di 1,18 miliardi citato in apertura nasce secondo i ricercatori del Politecnico di Milano da due componenti. Il primo è il mercato “diretto” legato all’acquisto di servizi di Public Cloud, e che è stimato in 320 milioni di euro, con una crescita anno su anno addirittura intorno al 40%. L’altra componente è invece originata dal percorso interno abilitante che le organizzazioni devono affrontare per prepararsi a un modello Cloud evoluto, che richiede un Sistema informativo “ibrido”, capace di integrare l’uso di servizi Cloud e sistemi “On premise”, cioè installati in casa. Tale sistema, chiamato dall’Osservatorio “Cloud Enabling Infrastructure”, richiede un cammino d’evoluzione su tre fronti - l’infrastruttura, l’architettura applicativa, e la gestione dei device - che i ricercatori chiamano “Cloud Journey”. Gli obiettivi finali dei tre fronti sono rispettivamente la realizzazione di Software Defined Data Center, la standardizzazione delle modalità di integrazione e orchestrazione applicativa, l’introduzione di sistemi di Mobile Device Management. E quest’anno il Cloud Journey spingerà le imprese italiane a investire ben 860 milioni di euro, il 28% in più dell’anno scorso.

Dopo che per anni quindi il Cloud, inteso soprattutto come Public Cloud, è stato visto con diffidenza da molte aziende, come una moda passeggera e rischiosa dal punto di vista della sicurezza dei dati più critici e strategici, oggi anche in Italia l’evidenza e i numeri dimostrano il contrario. È ormai diffusa e preponderante la convinzione che il Cloud sia un elemento di profonda trasformazione per il Sistema informativo aziendale. Anzi, come ha spiegato Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service, «molti degli elementi che prima venivano visti come un freno per il Cloud, oggi, ribaltando completamente la prospettiva, sono considerati ottime ragioni per sfruttare questa opportunità: infrastrutture latenti, vincoli e oneri normativi, perdita di controllo, scarsa personalizzazione, ampiezza funzionale, sicurezza e performance». I CIO e Responsabili IT intervistati sostengono a larga maggioranza che il passaggio a un modello Cloud rappresenta un aumento del valore apportato ai processi aziendali, che nel 63% dei casi beneficiano delle tecnologie più avanzate, e nel 31% vengono arricchiti con nuove funzionalità e servizi: solo il 6% parla di limitazione del supporto ai processi. Sempre più sistemi strategici vanno “nella nuvola” Dalla ricerca emerge inoltre che un numero sempre maggiore di applicazioni, anche vicine al “core

il mercato cloud nel belpaese: crescite tra il 28% e il 40% +31%

1180 mln euro 860 mln euro

+28% 901 mln euro

Cloud Enabling Infrastructure Public Cloud

+40%

Fonte: Politecnico di Milano, giugno 2014

672 mln euro

320 mln euro

229 mln euro

2013

2014 (stima) www.ict4executive.it

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osservatori o | I l cl ou d val e Pi ù d i u n m i l i ar d o di e uro : « t re n d di ro mp e n t e »

L’offerta Cloud: tre ruoli principali Oltre alle dinamiche nelle aziende utenti, il report dedica un’ampia parte all’offerta. «La tradizionale struttura di filiera del mercato ICT è messa in profonda discussione dall’avvento del Public Cloud e si sta ridisegnando in cerca di nuovi ruoli e forme di differenziazione - osserva Alessandro Piva, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service -. Abbiamo individuato e approfondito tre ruoli principali nella catena del valore del Cloud: ICT Enabler, Service Provider e Cloud Channel». Più in dettaglio ecco le definizioni dei tre ruoli secondo l’Osservatorio: • ICT Enabler: sviluppano le componenti infrastrutturali hardware e software su cui si appoggia il Cloud, possiedono reti di telecomunicazioni e realizzano fisicamente i data center; • Service Provider: progettano, realizzano ed erogano servizi di Public Cloud, sia applicativo sia infrastrutturale, eventualmente aggregando e complementando soluzioni di terze parti; • Cloud Channel: supportano le aziende nel percorso d’adozione delle soluzioni Cloud, offrendo una gamma di servizi che possono comprendere consulenza, configurazione dei servizi, system integration, gestione dei servizi, supporto utenti.

business” aziendale, si spostano dal tradizionale approccio “On-premise” (installazione “in casa”) al Cloud. Sebbene ancora prevalga l’approccio interno, tra gli ambiti applicativi dove già oggi è stato abbracciato un modello Cloud vi sono Social & Web Analytics (32%), Human Resources (26%), E-mail & Office Automation (23%), Enterprise Social Collaboration/Intranet (15%), Document Management (13%), ma anche eCommerce (15%), Soluzioni verticali per il business (11%) e CRM & Sales (8%). E per l’immediato futuro? Chi decide un cambio di modello per le applicazioni esistenti, sceglie praticamente sempre (96% dei casi) di passare da On-premise a Cloud - solo il 4% fa il percorso in-

verso -, mentre nei casi di nuova informatizzazione (cioè dove in precedenza il processo/attività non era supportato da un’applicazione), la maggioranza (54%) sceglie una soluzione in Cloud. In definitiva, sottolinea Mainetti, per la maggior parte dei CIO italiani non vi sono più dubbi se adottare o meno soluzioni di Public Cloud. Il problema è“come”: con quali modalità e quale percorso. «In quest’ottica, le questioni principali sono due: capire come comporre il proprio Sistema informativo, integrando parti On-premise con parti Cloud, e come far evolvere le competenze interne alla direzione ICT e le modalità con cui questa deve rapportarsi e interagire con le Line of Business».

il “viaggio verso le nuvole” Gli investimenti nella “Cloud Enabling Infrastructure” delle grandi aziende italiane

Campione: 82 grandi imprese

Inserimento soluzioni di Mobile Device Management

46%

Centralizzazione e consolidamento Data Center

33% 29%

Virtualizzazione dell’infrastruttura interna: storage

24%

Sviluppo di portali abilitanti la realizzazione di composite application

18%

Virtualizzazione dell’infrastruttura interna: networking

16%

Sviluppo di uno strato flessibile di integrazione e orchestrazione

15%

Automazione del Data Center Sperimentazione modalità di integrazione dei sistemi tramite iPaaS

6% 0%

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Fonte: Politecnico di Milano, giugno 2014

32%

Virtualizzazione dell’infrastruttura interna: capacità elaborativa

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10%

20%

30%

40%

50%


intervista

Ferrovie, una governance efficace per le applicazioni as a service Nell’ambito di un importante progetto Cloud, la società ha adottato uno strumento di management per monitorare tramite un cruscotto le prestazioni delle applicazioni critiche residenti nei sistemi dei fornitori: al momento sono 8, ma arriveranno a 300

Alessandro Musumeci Direttore centrale sistemi informativi Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane

Per perseguire i propri obiettivi di business, nel 2010 Ferrovie dello Stato Italiane ha assunto un’importante decisione: passare da un’infrastruttura IT tradizionale a un ambiente basato su Cloud, con la cessione in outsourcing a fornitori esterni dei servizi IT. «Non è stata una scelta facile - ricorda Alessandro Musumeci, Direttore centrale sistemi informativi del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane. - I servizi IT sono mission-critical per tutti gli aspetti della nostra attività, come la gestione del traffico, le prenotazioni, l’emissione dei biglietti. C’era la preoccupazione che l’outsourcing potesse comportare una perdita di controllo su strumenti essenziali. Ma oggi la complessità dell’IT è troppo alta per poter fare tutto in casa. Così abbiamo deciso di mantenere la capacità di governance e di delegare a fornitori esterni tutti gli aspetti operativi». Se in precedenza il dipartimento IT del Gruppo si occupava anche dell’acquisto di hardware o di progetti quantificandoli in giorni/uomo, ora è incaricato di acquistare servizi sulla base di service level agreements (SLA), in modalità pay-per-use. «Tale cambiamento è stato il fattore essenziale per liberare risorse da dedicare all’aumento della nostra competitività», aggiunge Musumeci. Ferrovie dello Stato Italiane ha identificato i key performance indicator (KPI) e gli SLA di tutte le sue principali applicazioni e nel 2010 ha esperito una gara d’appalto per conferire in outsourcing i propri servizi IT, nell’ambito di un ambiente basato su Cloud.

Il capitolato di gara comprendeva la fornitura di un cruscotto per la gestione dei servizi IT. «Un efficace strumento di gestione dei livelli di servizio è essenziale per misurare la conformità dei livelli di servizio erogati rispetto agli SLA e ai KPI pianificati sul contratto. Il sistema di gestione dei livelli di servizio è un software strategico, che ci consentirà di sfruttare a pieno i vantaggi del cloud computing», spiega Musumeci. La gara d’appalto è stata vinta da un gruppo di imprese italiane guidato da Almaviva SpA. Quest’ultima società ha condotto una valutazione di vari strumenti di service level management, che ha portato alla scelta di CA Business Service Insight, attualmente utilizzato per monitorare otto applicazioni critiche fornite nell’ambito di un ambiente Cloud, fra cui la gestione del traffico ferroviario e l’assistenza ai clienti, incluse le prenotazioni. Una parte importante del processo di implementazione ha riguardato l’automazione della raccolta dei dati prestazionali dalle varie applicazioni. La soluzione viene utilizzata per produrre una gamma di report che forniscono informazioni sui tempi di risposta delle varie transazioni riguardanti queste applicazioni. In futuro Ferrovie dello Stato Italiane conta di estendere il monitoraggio a oltre trecento applicazioni, e inoltre intende anche sperimentare l’uso dello strumento su piattaforme mobili come tablet PC e smartphone, per fornire al proprio management l’accesso immediato ai KPI che hanno un impatto sulle entrate del Gruppo. www.ict4executive.it

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advertorial

Ibrido e open source: è il Cloud ideale secondo HP

HP focalizza la propria strategia sul Cloud, guardando in particolare al Vecchio Continente e mettendo in campo nuovi investimenti, soluzioni tecnologiche e competenze. L’obiettivo è di accelerare un mercato che cresce già a doppia cifra, e che ha potenzialità ancora maggiori sfruttando le particolarità del mercato europeo. Da poco, inoltre, l’azienda ha annunciato il nuovo brand Helion, un ombrello sotto cui converge tutta l’attuale offerta Cloud di HP, incluse le nuove soluzioni basate sulla tecnologia OpenStack, i servizi professionali e di assistenza. Ne parliamo con Andrea Monaci, EMEA Marketing Director, HP Cloud. A che punto è dal vostro punto di osservazione l’adozione del Cloud in Italia e in Europa? Ormai la conoscenza del Cloud è elevata e rileviamo un trend positivo in termini di adozione: organizziamo spesso tavole rotonde per confrontarci con i CIO delle aziende, sia italiane che europee, e vediamo un approccio molto più maturo. Basti pensare che nel 2013 il CIO di un’importante azienda italiana alla domanda “quanti progetti hai in Cloud?” ha risposto “1”, mentre nel 2014 “5”. I nostri risultati di business confermano la crescita stimata dagli analisti, che si aggira intorno al 20% a seconda della modalità di Cloud prescelta, in alcuni ambiti anche maggiore. Tuttavia, se paragonata agli altri Paesi europei, l’Italia ha una grande conoscenza teorica, ma ancora ampi spazi di miglioramento forse a causa di una maggiore diffidenza a sperimentare nell’attuale clima economico.

p er u lt er i o r i i n f o rma zioni...

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avanti tutta verso la nuvola, con il nuovo brand Helion e l’iniziativa Cloud28, che punta a sviluppare il mercato europeo Monaci: «HP ha basato il proprio public cloud su Openstack, elemento che ci ha permesso di acquisire un’esperienza profonda nell’utilizzo della piattaforma»

Andrea Monaci EMEA Marketing Director HP Cloud

Quali sono i principali driver di adozione? Per moltissime aziende uno dei principali driver per l’adozione è l’agilità, particolarmente importante in scenari come il testing e lo sviluppo di applicazioni, e dove grazie al Cloud è possibile trasformare parte delle infrastrutture da capex a opex: sono i modelli di Cloud più noti e diffusi, che portano vantaggi immediati. Lo stesso si può dire per il Cloud privato, che è preferito in molte situazioni dove la privacy e la riservatezza dei dati sono critiche - un problema molto più sentito in Europa rispetto agli USA - oppure quando l’azienda necessita di preservare gli attuali investimenti IT. Ma le esigenze dei clienti si estendono oltre il Cloud e comprendono le soluzioni per gestire, controllare e scalare applicazioni in un ambiente ibrido, che racchiude molteplici approcci tecnologici. HP si impegna insieme ai partner a facilitare l’avvio dei progetti: è importante per i clienti iniziare a provare queste soluzioni e sperimentarne in prima persona i vantaggi. Di recente HP ha rivisitato l’offerta di soluzioni e servizi Cloud lanciando il nuovo brand Helion. Qual è l’obiettivo? HP ha deciso di raccogliere sotto un unico brand il proprio portafoglio di offerta Cloud, per evitare che tutto si


advertorial possa chiamare Cloud. Abbiamo raggruppato solo gli elementi specificamente Cloud della nostra offerta, avvicinando alle tecnologie e alle soluzioni le persone che hanno le competenze e le capacità necessarie per aiutare i clienti nell’implementazione e nella migrazione verso il Cloud. HP ha annunciato investimenti per oltre un miliardo di dollari nei prossimi due anni in soluzioni e iniziative di ingegnerizzazione correlate al Cloud, nei servizi professionali e nell’espansione della portata globale di HP Helion, che comprende soluzioni di Cloud privati, OpenStack, software per l’implementazione del Cloud Ibrido, servizi di trasformazione, servizi Cloud per le imprese Virtual Private Cloud, e una ampia rete di partner per il public o managed Cloud che HP considera come una sua estensione verso i clienti. Il punto di partenza per noi è il cliente alla ricerca di un servizio. L’Hybrid Cloud è per noi una priorità, coprendo tutte le sfumature tra il public e il private Cloud e quindi realistico per le multiple esigenze di una azienda perchè permetta di avere una visione d’insieme ed aperta dei vari servizi consumati nel Cloud (siano essi di HP, o meno).

Cloud nella UE. Per questo HP si è impegnata in un’iniziativa per promuovere la sua creazione, Cloud28+ - come i 28 paesi dell’Unione - volta a supportare il coordinamento delle nuvole europee esistenti in una federazione di servizi. Basti pensare che oggi non esiste una “app store” per le imprese in Europa, dove ricercare ed offrire servizi. Una sorta di “Nuvola delle Nuvole,” made in Europe e garantita a livello locale. Questo significa usare datacenter già presenti nei paesi, e quindi a livello locale adottare servizi dare lavoro alle software house, e speriamo quindi sia un concreto contributo alla crescita dei paesi e dell’Unione Europea. L’iniziativa viene sviluppata in diverse fasi. La prima si è occupata della ricerca della tecnologia di base, in collaborazione con l’Innovation Center di HP Italia, e della ricerca di partner. La seconda sarà la proposta e l’implementazione della “Nuvola della Nuvole”. Speriamo che questa iniziativa sia d’interesse sia per l’Unione Europea sia per le aziende di ogni Paese.

HP ha scelto di basare l’offerta Cloud su una piattaforma open source ed è tra i più attivi membri dell’OpenStack Foundation. Perché questa scelta? Il Cloud è figlio di internet e quindi crediamo che seguirà le stesse logiche. E il mondo di internet si caratterizza per un trend assolutamente evidente: il modello open source risulta vincente. Il sistema operativo più usato nel mondo web è Linux, il web server più usato è Apache, il linguaggio di programmazione web più diffuso è il PHP, e cosi via. All’interno del mondo Cloud l’open source per eccellenza è OpenStack, il progetto di open source per l’infrastruttura Cloud in assoluto in maggiore crescita tra tutti i progetti di open source, con 13mila membri e quasi 2mila sviluppatori. Vogliamo contribuire facendo di OpenStack la piattaforma tecnologica del futuro: siamo tra i primi due contributori di codice alla comunità. OpenStack offre i vantaggi di costo del mondo OpenSource, la sua sicurezza e ampia flessibilità, evitando il lock in di un supplier unico, molto evidente nel mondo della virtualizzazione. Inoltre, dispone di un ampio ecosistema di partner che vogliono che OpenStack sia di successo. In più, HP ha basato il proprio public Cloud sul software OpenStack, elemento che ci ha permesso di acquisire un’esperienza profonda nell’utilizzo della piattaforma, dei suoi punti di forza e dei punti dove HP intende migliorarla tramite la comunità. Avete di recente annunciato l’iniziativa europea Cloud28+: in cosa consiste? Siamo convinti che solo una federazione di attori europei sia in grado di accelerare la diffusione del | 39 |



intervista

SAP: «Innovare è semplificare» La complessità in tutte le sue forme sta diventando la sfida più urgente che i decisori aziendali devono affrontare per uscire dalla “comfort zone” e crescere in nuovi mercati. L’AD Luisa Arienti: «Facilitare la gestione dell’ambiente IT è un imperativo per far decollare nuovi modelli di business»

Luisa Arienti amministratore delegato Sap italia

“Innovation through Simplification” è il claim che sintetizza la nuova strategia di SAP ed è anche il leit motif del SAP Forum, l’evento annuale che la società dedica all’innovazione, che si terrà il 30 ottobre a Milano. L’AD Luisa Arienti ci spiega i motivi di questa scelta. Da dove nasce questa urgenza di semplificazione? “No” è diventata la parola più diffusa nelle aziende oggi. Possiamo provare qualcosa di nuovo? No. Possiamo rivedere alcuni processi interni? No. Possiamo uscire dalla “comfort zone” per crescere in nuovi mercati? No. Eppure il desiderio di innovare è forte, anzi l’innovazione è diventata un obbligo se si vuole rimanere in corsa, ma la complessità in tutte le sue forme sta diventando la sfida più urgente che i decisori aziendali devono affrontare. Spesso, infatti, ciò che serve per far decollare nuovi modelli di business rischia di essere soffocato dalla complessità necessaria per svilupparli e gestirli. Innovare è semplificare, vuol dire poter offrire soluzioni in grado di aiutare le imprese e le persone a gestire in modo veloce ed efficace il proprio business, raggiungendo clienti, partner e dipendenti attraverso esperienze più semplici e coinvolgenti. L’innovazione tecnologica oggi sta vivendo un passaggio cruciale, capace di modificare gli scenari in cui le imprese operano. Per questo, la semplificazione dell’ambiente IT è un imperativo per le aziende che vogliono accelerare il proprio ciclo di innovazione. La nostra nuova strategia si sintetizza nel claim “Run Simple”, cioè aiutare aziende clienti a gestire la crescente complessità rendendo

più semplici, agili ed efficienti le architetture dei propri sistemi informativi. Quali sono le soluzioni SAP che rispondono a questa richiesta del mercato? Negli ultimi anni ci siamo trasformati per seguire, e spesso anticipare, i nuovi trend dell’IT - dal Cloud ai Big Data, all’in-memory computing -. Run Simple si traduce, ad esempio, in soluzioni innovative come SAP HANA, un’opportunità per semplificare lo scenario tecnologico aziendale; SAP Fiori, che migliora l’esperienza utente finale grazie a un’interfaccia più semplice e che è offerto gratuitamente nelle nostre soluzioni; SAP Simple Finance per SAP HANA, un insieme di soluzioni progettate per semplificare le funzioni indispensabili, ma complesse dei reparti amministrazione e finanza delle aziende, rendendole disponibili anche in Cloud. Nel 2014 SAP Italia sta crescendo a ritmi sostenuti. Quali sono i fattori di successo? Una combinazione di vari elementi, ma primo tra tutti la possibilità di essere sempre a fianco ai nostri clienti per aiutarli a scegliere tra le nostre di soluzioni - dall’ERP, agli analytics, dalle applicazioni verticali alle soluzioni specifiche per linee di business -, con il vantaggio dell’in-memory e con la possibilità Cloud e onpremise. Nessun altro ha la nostra capacità di rendere semplice questa complessità. Continuiamo a crescere velocemente anche in un periodo così difficile perché aiutiamo a far crescere i nostri clienti. www.ict4executive.it

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Speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale”

Solo fatture digitali per la PA È un passaggio cruciale per il Paese L’obbligo entrato in vigore il 30 giugno riguarda 10 milioni di fatture l’anno per 9000 enti della Pubblica Amministrazione centrale. Si stima che i benefici totali per il Sistema Paese si attesteranno a circa 1,6 miliardi di euro, ma c’è di più: finalmente l’Italia fa un passo concreto verso il digitale, secondo il piano messo a punto dall’ex commissario per l’Agenda Digitale Francesco Caio

Il 6 giugno, dopo una lunga preparazione, è scattato in Italia l’obbligo di Fatturazione Elettronica verso la Pubblica Amministrazione Centrale. A essere coinvolti circa 9000 enti e gli uffici a loro afferenti - si tratta di oltre 16.000 uffici pubblici tra ministeri, scuole, caserme, agenzie fiscali, enti di previdenza e assistenza sociale - che dovranno inviare solamente fatture elettroniche in formato strutturato, firmate digitalmente e conservate in formato elettronico. Per i restenti 1.500 enti della PA centrale e i 10.500 enti locali l’obbligo scatterà invece il 31 marzo 2015. Le fatture destinate ogni anno agli enti coinvolti da questa prima scadenza sono comprese tra i 7,5 e i 10 milioni, quindi questo primo passo interessa poco più del 15% dei 60 milioni di fatture che la PA riceve ogni anno da 2 milioni di fornitori - si tratta del 40% delle imprese attive nel nostro Paese - per un valore complessivo di 135 miliardi di euro. Secondo Alessandro Perego, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e | 42 |

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Dematerializzazione, della School of Management del Politecnico di Milano, «l’avvio della Fatturazione Elettronica verso la PA può essere l’inizio di un processo di ‘maturità digitale’ che si riflette sull’intero Sistema Economico Italiano». Basti pensare che il risparmio che deriva da ogni fattura ricevuta in formato digitale è di circa 17 euro - 14 euro per il minor impiego di manodopera, e 3 euro per la riduzione dei materiali e dello spazio utilizzato - e che il passaggio progressivo a un formato strutturato ha un beneficio potenziale per la Pubblica Amministrazione di circa un miliardo di euro l’anno grazie alla riduzione dei costi legati alle attività svolte, alla migliore accuratezza del processo, alla riduzione degli archivi e all’abbattimento dei tempi di esecuzione dei processi. Di questo miliardo, poi, 200 milioni di euro sono a portata di mano, in quanto legati al risparmio dello spazio fisico, e possono avere ricadute dirette sui conti pubblici; mentre i restanti 800 derivano dall’incremento di produttività ottenibile solo quando si


Speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale” I primi dati sono confortanti: a fine agosto avevano superato quota 400 mila le fatture inviate ed erano 31 mila gli uffici pubblici iscritti all’Indice Pa, un passo necessario per ricevere le fatture elettroniche dalle imprese

Il primo e fondamentale tassello dell’Agenda Digitale italiana

arriverà a pieno regime. E le ricadute positive ovviamente riguarderanno anche i fornitori della PA, per cui i benefici economici saranno di quasi 600 milioni di euro, che sommati a quelli della Pubblica Amministrazione, portano a 1,6 miliardi di euro la stima complessiva dei vantaggi per il Sistema Paese. «Non sarà un percorso facile, ma costituisce un’evoluzione ineludibile che deve rientrare in un disegno di più ampio respiro. Infatti la Fatturazione Elettronica può innescare un’autentica ‘Ri-evoluzione Digitale’: il beneficio principale per imprese e PA non sarà l’aumento della Digitalizzazione nei processi, ma la consapevolezza di come l’innovazione digitale sia oggi uno strumento di crescita continua», ha ribadito Perego. I primi dati sono confortanti: a fine agosto avevano superato quota 400 mila le fatture inviate attraverso il Sistema di Interscambio ed erano 31 mila gli uffici pubblici iscritti all’Indice Pa, un passo necessario per ricevere fatture elettroniche dalle imprese.

L’obbligo di fatturazione elettronica che riguarda le PA centrali è un passo importante per tutto il Paese. Rappresenta infatti il primo tassello, di forte discontinuità, del programma dell’Agenda Digitale che era stato messo a punto dall’ex commissario Francesco Caio. È insomma il primo grande “switch off ” dell’analogico in favore di un modo diverso - digitale - di fare le cose. E non è un caso che Caio e la sua Unità di missione, durante il precedente Governo, abbiano scelto di partire da qui. Certo, c’è prima di tutto un motivo pratico: è il tassello dell’Agenda dove le cose erano in uno stato più avanzato, visto che l’obbligo alla fattura elettronica era già indicato dalla Finanziaria 2008. Si è perso tanto tempo, poi, per arrivare alla svolta del decreto attuativo di aprile 2013. Dopo, si è cominciato a correre per prepararsi alla scadenza di giugno 2014 e l’Unità di Missione si è adoperata - collaborando con l’Agenzia per l’Italia digitale, le amministrazioni e le aziende - perché l’obiettivo venisse centrato senza traumi nè proroghe. C’è però anche un altro motivo per cui la Presidenza del Consiglio ha deciso, con Caio, di considerare la fatturazione uno dei tre tasselli con cui avviare l’Agenda (insieme con l’Anagrafe nazionale della popolazione residente e l’identità digitale, cose che però vedremo in azione l’anno prossimo). E il motivo è che la fatturazione ha una doppia valenza rivoluzionaria: mentre ammoderna le PA, costringendole ad accettare il digitale, dà uno sprone alle aziende per fare lo stesso. E quindi diventare più competitive, abbracciando - dopo questo primo stimolo - il digitale in tutto il proprio sistema di business.

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Speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale”

Opel Italia sfreccia sulla strada dei documenti digitali

Mai più pile di carta e fotocopie. Già cinque anni fa i vantaggi della dematerializzazione dei processi contabili sono apparsi molto chiari ai manager di Opel Italia, distributrice in Italia degli autoveicoli e dei ricambi della casa automobilistica. Una svolta strategica che ha portato la società a essere oggi al passo con le più innovative soluzioni disponibili e a rispondere tempestivamente alle normative vigenti, diventando la più innovativa in questo ambito fra tutte le filiali del Gruppo multinazionale. Con Gabriele Di Rossi, Accounting & Tax Manager General Motors Italia S.r.l., ripercorriamo le tappe di questo percorso di innovazione. Come è cominciato il percorso verso la dematerializzazione? La scelta strategica di dematerializzare i documenti è stata fatta nel “lontano” 2009, inizialmente dematerializzando e portando in conservazione sostitutiva i libri contabili (libro giornale e registri iva). Questo primo progetto ha determinato una vera e propria rivoluzione nelle procedure di stampa e di archiviazione di grandi quantità di carta. Contestualmente è stata fatta l’analisi per attivare la completa dematerializzazione delle fatture, o meglio la fatturazione elettronica che include l’invio ai concessionari e la conservazione a norma. In questo modo i volumi di fogli A4 risparmiati sono diventati notevoli: basti pensare che nel periodo tra il 2010 ed il 2013 le fatture per la vendita auto sono state all’incirca 300.000, a cui si devono aggiungere quelle emesse per la vendita delle parti di ricambio e degli accessori.

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La società, che distribuisce gli autoveicoli e i ricambi della casa tedesca nel nostro Paese, È stata tra le prime filiali del gruppo ad attivare un progetto per eliminare la carta. Oggi i concessionari possono portare direttamente in conservazione sostitutiva le fatture ricevute via mail

Gabriele Di Rossi Accounting & Tax Manager General Motors Italia

Considerato che nel processo di fatturazione rientravano anche dei documenti specifici per l’immatricolazione, ossia i Certificati di Conformità (COC), anche questa tipologia è stata dematerializzata secondo la specifica normativa del Ministero dei Trasporti. Al momento siamo, di fatto, in regime di fatturazione elettronica. I Concessionari possono quindi scegliere se stampare una copia cartacea della fattura o se portare direttamente in conservazione le fatture ricevute dalla Opel; dal lato “emittente” è infatti già tutto attivo. Dalla partenza del progetto, nel 2010, quali sono i vantaggi riscontrati? I vantaggi sono stati innumerevoli, sia organizzativi che ovviamente economici. Basti pensare che le fatture e i COC venivano spediti giornalmente tramite corrieri ai vari concessionari Opel, localizzati sull’intero territorio italiano. Il payback period dell’investimento è stato quantificato in circa 12 mesi, rendendo l’intero progetto estremamente valido dal punto di vista finanziario. Inoltre, dal punto di vista organizzativo sono stati sgravati di lavori ripetitivi sia l’ufficio spedizioni che l’ufficio fatturazione: quest’ultimo doveva anche as-


Speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale”

Adam Rocks, la mini crossover di Opel attualmente in fase di lancio

solvere alle varie richieste di re-invii o di solleciti di invio fatture. Tutto questo è stato praticamente azzerato: i concessionari si trovano direttamente tutti i documenti nella propria casella mail. Ci sono stati aspetti critici? E in che modo il vostro partner Ifin Sistemi vi ha supportato? Criticità in realtà non ce ne sono state. La consulenza e l’assistenza di Ifin Sistemi che ci ha seguito e fornito il progetto è sempre stata efficace e ci ha guidato dall’inizio fino alla messa a regime. La scelta di nominare il Responsabile della Conservazione al nostro interno è stata l’occasione per ricevere da Ifin Sistemi un dettagliato training, nel corso del quale ci è stato spiegato in modo molto pratico e diretto la normativa e come questa debba essere applicata. A questa fase di training è poi seguita la stesura a quattro mani tra Opel e Ifin Sistemi del Manuale della conservazione. Come è stato gestito il cambiamento con le persone coinvolte? I Responsabili dei reparti e dei processi maggiormente interessati dal cambiamento sono stati coinvolti fin dalla fase di analisi: in questo modo, il loro contributo e la loro partecipazione sono stati propositivi sotto molti punti di vista. Del cambiamento hanno visto più i vantaggi e la semplificazione che non gli aspetti negativi. Va detto che tutti si sono impegnati per evidenziare le opportunità e per massimizzare quindi gli obiettivi di una maggiore efficacia da un lato e di cost-saving dall’altro. Quali saranno i passi futuri? Stiamo valutando la possibilità di estendere la dematerializzazione anche ad altre tipologie di documenti, coordinandoci in questo progetto con la casa madre. La nuova normativa sulla conservazione ci porterà a

breve a cambiare il sistema di conservazione, da DocPA a Legal Archive. Su questo Ifin Sistemi ci ha già assicurato che sarà un processo di migrazione automatica e quindi il Responsabile della Conservazione dovrà aggiornare il manuale e le procedure operative. In considerazione inoltre della natura estremamente tecnica di questa figura e della recente evoluzione della normativa, stiamo inoltre valutando la possibilità di affidare il ruolo di Responsabile della Conservazione ad Ifin Sistemi, in quanto ci vorremmo impegnare con tutti i nostri sforzi nel core-business dell’azienda. Qual è lo stato dei progetti di dematerializzazione nelle altre sedi europee o mondiali del Gruppo GM? A livello mondiale siamo stati tra i primi ad attivare un progetto di dematerializzazione ed al tempo stesso di conservazione sostitutiva rispondente a tutti i requisiti della normativa civilistica e fiscale, ed abbiamo avuto modo di presentare il nostro progetto a livello europeo. Ancora una volta la sede italiana di una multinazionale ha svolto quindi il ruolo guida di innovatore.

Ifin Sistemi Fondato nel 1981, il gruppo Ifin è specializzato nella gestione documentale e di stampa, con soluzioni e servizi per acquisire, trattare, convertire, archiviare e conservare sostitutivamente flussi di dati, informazioni e contenuti. Ifin Sistemi propone soluzioni per l’archiviazione documentale, conservazione sostitutiva e fatturazione elettronica, volte a facilitare i processi di gestione documentale all’interno delle aziende, fornendo al cliente consulenza tecnologica, metodologica e normativa.

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CBILL agevola i pagamenti delle bollette in multicanalità

Il processo di cambiamento e di rilancio del nostro Sistema Paese non può ormai prescindere dalla digitalizzazione ed integrazione dei processi. In tale percorso innovativo l’industria finanziaria italiana è da tempo impegnata nell’indagare soluzioni a supporto della modernizzazione della Pubblica Amministrazione, delle imprese e dei cittadini, anche grazie alla riusabilità di infrastrutture già disponibili e ampiamente diffuse nel mercato finanziario. Anche sul fronte dei pagamenti elettronici, l’industria finanziaria ha lanciato un innovativo servizio di consultazione e pagamento delle bollette in modalità multicanale e multibanca: il Servizio CBILL. E l’innovazione consiste soprattutto nell’operatività multibanca in quanto «i servizi di pagamento online offerti fino ad oggi consentono al cliente di una banca di pagare online solo le bollette delle aziende o Pubblica Amministrazione che hanno sottoscritto specifici accordi con il proprio istituto di credito», sottolinea Liliana Fratini Passi – Direttore Generale del Consorzio CBI. «Con il CBILL basterà che le aziende e PA fatturatrici abbiano adottato il servizio, per consentire a chiunque abbia un conto on line di consultare e pagare su tutti i canali messi a disposizione dalla propria banca (computer, tablet, smartphone, ATM)». L’elenco completo degli Istituti Finanziari e delle aziende che hanno già aderito al servizio CBILL è disponibile sul sito www.cbill.it. Tra i grandi fatturatori pubblici e privati, troviamo ENEL Energia, ENEL Servizio Elettrico, l’Azienda USL 8 Arezzo e il Consorzio della Bonifica Renana. Ma questo è solo l’inizio: è prevista a breve l’adesione di altre aziende e Pubbliche Amministrazioni che emettono bollettini di

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aziende e PA possono adottare il nuovo servizio gestito da CBI per consentire a chiunque abbia un conto on line di consultare e pagare bollette e fatture su tutti i canali messi a disposizione dalla propria banca. hanno già aderito ENEL, USL 8 Arezzo e il Consorzio della Bonifica Renana

Liliana Fratini Passi Direttore Generale Consorzio CBI

pagamento a fronte di prestazioni e servizi. Sul fronte degli Istituti finanziari che potranno offrire il servizio CBILL, il Direttore Generale ricorda che «al Consorzio CBI aderiscono circa 600 istituti che rappresentano il 98% del settore bancario italiano per numero di sportelli». «Per milioni di famiglie e imprese italiane - spiega Liliana Fratini Passi - questo significa risparmiare tempo e denaro. Per il Sistema Paese, invece, la totale digitalizzazione delle bollette vuol dire anche contribuire alle politiche di sostenibilità ambientale riducendo ogni anno il consumo di carta di circa 12.600 tonnellate e le emissioni di anidride carbonica derivanti dai processi di produzione e invio delle bollette di circa 21.420 tonnellate». Il Consorzio CBI gestisce il “Servizio CBI”, il “Servizio CBILL” e i servizi di Nodo, definendone le regole e gli standard tecnico-normativi in ambito cooperativo. L’infrastruttura tecnica messa a disposizione dal Consorzio CBI permette l’interconnessione e il colloquio telematico degli Istituti Finanziari Consorziati con la loro clientela per l’erogazione di servizi, in un’ottica di interoperabilità a livello nazionale ed internazionale.


Speciale “Fatturazione elettronica e gestione documentale”

RS Components, gestione documentale flessibile per un business in costante crescita

Presente in Italia dal 1992, RS Components fa parte del gruppo multinazionale Electrocomponents, con filiali in tutto il mondo e quotato alla Borsa di Londra. La società fornisce ad aziende di tutti i settori e tutte le dimensioni prodotti industriali in quantità singole, con velocità di consegna garantita in 24 ore. L’assortimento comprende mezzo milione di prodotti delle migliori marche che è possibile selezionare dal catalogo o attraverso il sito di commercio elettronico. La filiale italiana di RS è cresciuta costantemente: oggi ha 50 mila clienti, 230 dipendenti e 70 milioni di euro di fatturato. Ogni giorno effettua circa 1500-1700 spedizioni, destinate ad aziende di ogni tipologia, dalle grandi realtà, come Eni e Ferrovie dello Stato, fino all’artigiano. «A ciascun ordine inviato corrisponde una singola fattura - spiega Paolo Passerini, Financial Accounting Manager Sud Europa della società -. 15 anni fa l’archivio era gestito manualmente e mi resi conto che la crescita dell’azienda sarebbe sempre stata accompagnata da crescenti necessità di gestione documentale». Da allora, l’attenzione verso le soluzioni di dematerializzazione è sempre stata massima. «Dapprima abbiamo adottato l’archiviazione sostitutiva e successivamente l’invio delle fatture in formato elettronico, secondo formati multicanale: posta ibrida, email, posta elettronica certificata, a seconda delle preferenze del cliente. Abbiamo poi dematerializzato tutti i libri fiscali, fino ad avviare, fra i primi in Italia, la fatturazione elettronica verso la PA secondo le disposizioni del recente decreto legislativo». Il partner che supporta l’azienda in questo percorso di innovazione è DocFlow, che fornisce la propria soluzione

La filiale italiana del gruppo multinazionale, che fornisce prodotti industriali in quantità singole a 50mila clienti, da tempo ha imboccato la via della digitalizzazione dei processi per risolvere tutte le esigenze sia di natura commerciale che fiscale, garantendo un altissimo livello di servizio

Paolo Passerini

Financial Accounting Manager - Sud Europa RS Components

in Cloud. RS Components, come molte multinazionali, non ha un sistema informativo locale e si avvale dei sistemi IT della consociata in Gran Bretagna. Di conseguenza la scelta si è orientata verso servizi personalizzati e flessibili, con il minimo impatto sui sistemi di gruppo. In dettaglio, la soluzione implementata prevede oggi l’archiviazione dei documenti del ciclo attivo emessi dall’ERP SAP, adottato da tutto il Gruppo. DocFlow provvede anche alla postalizzazione automatica dei documenti, alla pubblicazione dei documenti cliente su un Portale extranet dedicato e alla conservazione digitale. «Complessivamente gestiamo un milione di documenti all’anno, fra cui 150mila fatture, 50mila note di credito, 75mila lettere di sollecito - sottolinea Passerini - e si tratta di numeri destinati ad aumentare. La soluzione DocFlow non ha impatti sui sistemi di gruppo, è molto “leggera” e scalabile, e ci consente la flessibilità di cui abbiamo bisogno per crescere e per risolvere tutte le esigenze sia di natura commerciale che fiscale». Un altro vantaggio importante è nella riduzione del consumo di carta: «Le soluzioni che abbiamo implementato ci consentono anche di ridurre l’impatto ambientale: da questo punto di vista, la filiale italiana è una delle prime realtà del Gruppo RS», conclude il manager.

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I N TE R V IS TA

Con la Juventus scende in campo l’innovazione digitale Non solo calciatori: la società sportiva, quotata in Borsa, ha 140 dipendenti e complessi processi interni, specialmente nella funzione acquisti e nell’area contabile. E per governarli al meglio utilizza un portale per la gestione online di fornitori e contratti, e la gestione documentale. Ne parliamo con Massimiliano Moncalieri, Responsabile Ufficio Acquisti, e Roberto Cristina, Accounting Manager

Quando si parla di “acquisti” delle società calcistiche il pensiero corre subito ai calciatori. Ma non c’è solo il calciomercato, nell’agenda dei manager. Non bisogna dimenticare, infatti, che si tratta di vere e proprie aziende, con complessi processi da gestire, e che gli acquisti riguardano anche tutto ciò che è necessario all’organizzazione: beni, servizi, lavori. E che, di conseguenza, è necessaria una gestione contabile e documentale che movimenta decine di migliaia di fatture ogni anno, oltre che tutta la documentazione accessoria. Attività, queste, svolte con modalità parzialmente ancora cartacee. Juventus FC, una delle più importanti società calcistiche italiane, oltre che in campo si distingue per l’approccio innovativo a questi temi: ha infatti deciso di digitalizzare i processi, introducendo modalità di lavoro più efficienti per riuscire a gestire al meglio il crescente numero di fornitori coinvolti nelle varie attività. Essendo una società quotata in Borsa, la società ha anche particolari esigenze di tracciabilità | 48 |

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e trasparenza dei processi aziendali, soggetti periodicamente ad audit. Utilizzando la tecnologia e la consulenza di BravoSolution, società italiana fra le più competenti al mondo in questo ambito, Juventus ha quindi sviluppato un progetto per razionalizzare la gestione degli acquisti, partendo dall’implementazione di un portale per la gestione dei fornitori e dei contratti, online dall’inizio del 2014. È ora in corso la “fase 2“ del progetto, per dematerializzare i processi di gara e di gestione documentale. L’ obiettivo finale è dunque la gestione paper-less ed integrata dell’intero ciclo source-to-pay. La gestione degli acquisti attraverso il portale Il volume di acquisti di Juventus in un anno è intorno a 70 milioni di euro; i fornitori sono circa 1000, con un turnover di circa 150 all’anno. Le categorie merceologi-


I NTE R V ISTA | C o n l a J uv e n t us sc e n de in c a mp o l’ in n ova z io n e dig ita l e

che sono quelle più comuni, dai computer alle pulizie, a cui si aggiungono alcune peculiarità, come le divise sportive e gli acquisti relativi allo stadio, che è di proprietà della società sportiva. Spiega Massimiliano Moncalieri, Responsabile Ufficio Acquisti Juventus FC: «Dopo un’analisi delle soluzioni sul mercato e una selezione dei fornitori, abbiamo individuato in BravoSolution il partner ideale sia per l’esperienza in progetti analoghi, sia per le peculiarità del software “as a service”, in particolare sul fronte della sicurezza dei dati, garantita dalle certificazioni ISO 27001 e 20000-1. Abbiamo costruito una soluzione “tailor made” che ci consente di svolgere in modo strutturato i processi che prima gestivamo con fogli Excel. La soluzione include un Albo Fornitori, che è stato creato con caratteristiche sicuramente superiori a quelle minime necessarie per le tipiche attività di gestione dei fornitori: questo ci permette oggi di avere una conoscenza a 360 gradi della relazione con i nostri partner». All’atto pratico, ogni fornitore è tenuto ad accreditarsi sul portale, inserendo la propria anagrafica e una serie di informazioni aggiuntive, che devono essere aggiornate in caso di cambiamenti. «Diventa molto più semplice per noi selezionare fornitori con le caratteristiche desiderate e valutarli anche su parametri che vanno al di là del solo prezzo negoziato, quali ad esempio le performance e la compliance contrattuale», spiega Moncalieri. Attraverso il sistema avviene anche lo scambio di ordini e di contratti e viene gestita la documentazione richiesta dalle normative per la sicurezza sul lavoro, quali il DL 81/08. Per Juventus il tema della sicurezza è particolarmente complesso poiché si riferisce a ben quattro diversi luoghi di lavoro, tutti con peculiarità particolari: lo stadio, la sede, il museo, il campo allenamenti. I fornitori devono dunque produrre e sottoscrivere documenti specifici e sono sottoposti a processi di prequalifica diversificati per ogni ambito. Proprio per questa complessità il progetto Albo Fornitori è stato gestito in maniera coordinata tra Direzione Acquisti, Direzione Qualità, Responsabile Sicurezza e Direzione Legale. Ciclo passivo paper-less, in integrazione con l’Albo Fornitori Una volta implementato il portale fornitori, il passo successivo è stato di digitalizzare le attività amministrative a valle del processo. «Da un anno avevamo necessità di informatizzare il flusso del ciclo passivo, che ha casistiche e procedure piuttosto complesse», afferma Roberto Cristina, Accounting Manager di Juventus FC Spa. Anche in questo caso è stata scelta la tecnologia di BravoSolution: «Ci è sembrato naturale integrare la qualifica

del fornitore con la gestione dei documenti», spiega il manager. Si è dunque deciso di avviare anche il progetto di digitalizzazione del ciclo attivo, con l’obiettivo di dematerializzare circa 110mila fatture l’anno, di cui 10 mila passive. Il software risolverà, in particolare, tre criticità che erano emerse da tempo: automatizzare alcune procedure ancora gestite manualmente; velocizzare tutto il processo, ed eliminare il passaggio di fogli di carta fra le scrivanie. Il progetto è attualmente in fase di completamento. In particolare è in fase di creazione un archivio digitale, accessibile online con le opportune credenziali, di tutti i documenti in precedenza custoditi negli archivi cartacei: la società di revisione, i consulenti che certificano i processi, piuttosto che gli Enti preposti ai controlli possono ora reperire tutti i documenti più facilmente. Un altro focus di intervento riguarda il miglioramento del flusso di approvazione delle fatture. «Il ciclo approvativo è gestito tramite il sistema ERP, ma alcune fatture, per esigenze particolari o urgenze, necessitano di un visto manuale: una volta a regime, saremo in grado di apporre una sorta di visto elettronico, eliminando l’esigenza di fare fotocopie». Inoltre, quando viene inviata una richiesta di approvazione, l’ufficio fornitori non dovrà più preoccuparsi di sollecitare i colleghi per ricordare che una fattura è in attesa di autorizzazione: il remind verrà gestito in automatico, fino a conclusione del ciclo approvativo. Analogamente ci sarà un efficientamento delle incombenze correlate ai contratti attivi (per esempio le scadenze pagamenti) grazie a “cruscotti” e sistemi di alert. L’integrazione fra il gestionale per la contabilità già utilizzato in azienda ed il nuovo sistema documentale consentirà di gestire il processo amministrativo senza soluzione di continuità: «Le fatture sono registrate nell’ERP, ma dal sistema sarà possibile richiamare i documenti, ad esempio le fatture in formato digitale e i file collegati contenuti nel gestionale, in un flusso di lavoro continuo», conclude Cristina.

i numeri e i piani della società Nata a Torino nel 1897 e quotata in Borsa dal 2001, la Juventus è fra le più antiche società calcistiche italiane, la più titolata e l’unica ad avere uno stadio di proprietà. Ha ricavi per circa 320 milioni di euro e circa 140 dipendenti, esclusi i calciatori e lo staff tecnico. La società sta affrontando un significativo piano di riqualificazione dell’area circostante lo stadio che farà nascere nei prossimi anni “La città della Juve”, un progetto che si estende su circa 200.000 mq e prevede un grande centro sportivo, la nuova sede e aree pubbliche di svago. www.ict4executive.it

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intervista

La “federazione di competenze” che porta innovazione in aziende, banche e PA Dedagroup ICT Network spiega il suo modello di “innogration”: «Sfruttiamo le sinergie tra le competenze, esperienze, storie e soluzioni diversificate nel Gruppo per mettere insieme in modo originale componenti già esistenti - software, servizi tecnologici, consulenza - a seconda delle nuove esigenze di business dei clienti» Costituito nel 2008, Dedagroup ICT Network è un Gruppo di 14 aziende che forniscono soluzioni software e servizi ICT a banche, finanza, Pubblica Amministrazione e industria. Da un nucleo nato negli anni ’80 in Trentino Alto Adige - tuttora il quartier generale è a Trento -, il Gruppo nel tempo con acquisizioni e crescita interna ha raggiunto una dimensione nazionale (con varie filiali all’estero), arrivando nel 2013 a 200 milioni di euro di fatturato con 1600 persone e 3300 clienti. L’originalità del modello Dedagroup ICT Network, ci spiega l’amministratore delegato Gianni Camisa, sta nella “federazione di competenze”. «La vera innovazione per una realtà come la nostra è mettere insieme in modo originale componenti esistenti - software, servizi tecnologici, consulenza - a seconda delle nuove esigenze dei clienti. Per questo parliamo di “innogration”: sfruttiamo le sinergie tra le competenze, esperienze, storie e soluzioni molto diversificate entro il Gruppo». Un esempio è la capacità di rispondere a esigenze verticali con soluzioni di nicchia, completandole però all’occorrenza con funzioni e servizi di altre realtà del Gruppo. «Per esempio abbiamo una soluzione, Stealth, che incorpora 35 anni di esperienza nel settore moda e lusso, ma che oggi ha dei valori aggiunti frutto della “federazione delle competenze”: può essere fruita tramite i nostri data center, è stata arricchita con componenti di business analytics e in alcune componenti resa mobile». Oggi più che mai l’IT, continua l’amministratore delegato di Dedagroup ICT Network, può andare oltre la

Gianni Camisa Amministratore Delegato Dedagroup ICT Network

velocità e riduzione dei costi, mettendosi al servizio del top management come strumento di cambiamento dei modelli di business. «L’esempio migliore è il Cloud, che può essere spiegato e capito parlando di business e non di tecnologia, e quindi interessa anche all’Amministratore Delegato e al Direttore Marketing: per esempio posso aprire uno stabilimento senza preoccuparmi di avere un nuovo data center o di adattare i sistemi, perché c’è qualcuno che lo fa per me». E in effetti, sottolinea Camisa, il Cloud sta finalmente diventando una realtà, anche nella media impresa italiana più tradizionale, dove entra nei momenti di discontinuità - forte crescita, acquisizioni, espansione all’estero -, perché è un passaggio più culturale che tecnologico. «L’impresa italiana media e grande, che è il nostro target, passa spesso da questi momenti, per cui abbiamo puntato sul Cloud costruendo un data center cresciuto nel tempo in dimensione e avanguardia tecnologica, ottenendo certificazioni da diversi vendor. Abbiamo per esempio una partnership premiante con Cisco, che per la sua strategia Cloud ha preferito puntare su data center dei partner: recentemente siamo stati riconosciuti come Solution Innovation Partner Cisco per l’Italia». In parallelo è stata consolidata l’alleanza con Microsoft, che ha portato al riconoscimento Cloud Provider Italian Partner of the Year 2014. «Integreremo nel nostro data center le applicazioni dei clienti con la piattaforma Cloud OS, verso un concetto davvero ibrido di Cloud che riteniamo vincente per i sistemi mission critical». www.ict4executive.it

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Os s e r vato rio di

DANIELE LAZZARIN

Ignazio Rocco di Torrepadula Senior Partner Boston consulting group

BCG: ecco i pionieri del “Made in Italy” del nuovo millennio In una sorta di “giro d’Italia” ecco alcuni casi d’eccellenza emersi nonostante la crisi, analizzati da Boston Consulting Group. Lima Corporate, Twin-Set, Pianoforte Holding, Salento D’Amare e Torino Internazionale sono tra le realtà che puntano su valori inediti: capitale intellettuale, sforzi collettivi di realtà diverse, “adattività” per cambiare velocemente, e costruzione anche all’estero di interi “sistemi di business”, ben oltre il solo export

L’Italia sta soffrendo la crisi economica ormai da sei anni, ed è uno dei Paesi avanzati che più fa fatica a uscirne. In un panorama di aziende in difficoltà e alta disoccupazione, però, si distingue un confortante numero di realtà che invece prosperano con tassi di crescita impressionanti. Cosa possono insegnare questi casi? In che misura si possono considerare i pionieri di un “nuovo Made in Italy” con fondamentali diversi da quello tradizionale, ormai insufficiente nello scenario globale di oggi? Sono le questioni affrontate da Ignazio Rocco di Torrepadula, Senior Partner di Boston Consulting Group (BCG), in un incontro organizzato dal MIP-Politecnico di Milano dal titolo “Agire subito: le strade possibili”. «Abbiamo fatto un’analisi dei casi di successo italiani in uno scenario difficile. Oggi le cose si stanno riprendendo un po’, ma resta una forte dicotomia tra pochi casi d’eccellenza, basati su approcci innovativi, sull’export, su singoli manager, e la situazione generale». | 52 |

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Per anni abbiamo parlato solo del debito, e per giunta in modo sbagliato. «Il debito italiano totale non è tanto diverso da quello USA e inglese: il fatto è che questi ultimi sono nelle famiglie, quello italiano è nello Stato». Inoltre il vero problema non è il debito: «È la crescita che non riusciamo a trovare più», sottolinea Rocco di Torrepadula, citando dati World Bank secondo cui nel decennio 2003-12 quasi tutti i Paesi avanzati hanno visto crescere il PIL pro capite, tranne pochissime eccezioni, tra le quali solo la Grecia ha fatto peggio dell’Italia. il caso Lima Corporate, da 2 a 127 milioni in 12 anni Eppure anche in questi anni sono emerse tante storie di successo: BCG ha strutturato la sua analisi su singole storie, facendo una sorta di “giro d’Italia” da nord a sud. «Partiamo per esempio da San Daniele del Friuli, sede centrale di Lima Corporate:


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nata settant’anni fa come produttore di strumenti chirurgici, nel tempo si è specializzata nella nicchia delle protesi ortopediche in titanio, in cui oggi è tra i leader mondiali. È un classico esempio di multinazionale tascabile, sta pensando alla quotazione in Borsa e ha aperto una filiale negli USA nel 2011». Lima Corporate è cresciuta da due milioni di fatturato nel 2000 a 127 milioni nel 2012, realizzati con tre stabilimenti tra Italia e San Marino e 17 filiali all’estero. Il pacchetto di maggioranza è detenuto da due private equity di multinazionali estere e italiane (il gruppo francese Axa, la russa Gazprombank e Intesa SanPaolo), mentre la famiglia dei fondatori conserva ancora il 30%.

equity estero, il fondo USA Carlyle, e il restante 30% dai due fondatori, i coniugi Tiziano Sgarbi (Amministratore Delegato) e Simona Barbieri (Direttore Creativo). Il caso di Twin-Set, come accennato, introduce un tema molto importante: la dicotomia tra export e mercato interno. In una recente intervista a La Stampa, a proposito del fatturato realizzato in gran parte in Italia, Sgarbi ha detto: «Quest’azienda si è costruita in Italia e l’Italia è un mercato guida per l’abbigliamento, perché sa riconoscere il prodotto di qualità: francamente quando un’azienda italiana non vende in Italia e dice “ma vendo molto all’estero”, io mi faccio delle domande».

il caso Twin-Set : crescere sul mercato domestico si può I casi descritti, sottolinea Rocco di Torrepadula, non sono isolati: «Avrei potuto citarne altri, come Avio, Brembo, Luxottica, Ansaldo STS, Grom, Comune di Salerno, Autogrill, Fineco, Eataly»

«In Italia ci sono tanti esempi simili, che prosperano intorno a una specifica competenza e, trascinati dalla crescita all’estero, diventano leader mondiali in una nicchia. Molto più difficile invece è crescere nel mercato domestico, e per questo cito come secondo caso “Twin-Set Simona Barbieri”, una realtà di “affordable luxury” del fashion tutta italiana, con sede a Carpi, ma ormai famosa in tutto il mondo», continua il Senior Partner di BCG. «Per l’originalità delle scelte strategiche, Twin-Set ricorda Zara: è un “sistema di business”, un modello a se, basato rispetto ai brand del lusso su un’ampia offerta tutta gestita internamente (abbigliamento, accessori, underwear, beachwear, calzature, ndr), materiali meno costosi, meno pubblicità, lavorazioni diverse, modelle sconosciute e punti vendita mono-marca: un modello nuovissimo che ha permesso una crescita media annua del 33% durante gli anni della crisi, e per di più in un mercato difficile e stagnante». Nel 2012 il fatturato di Twin-Set è salito addirittura del 40%, e del 30% nel 2013, arrivando a 180 milioni di euro, realizzato per il 65% in Italia. Anche qui circa il 70% è detenuto da un private www.ict4executive.it

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osservatori o | BCG: e cc o i pi oni e r i d e l “ M ad e i n I ta ly ” de l n uovo m il l e n n io

«L’export non è sufficiente: in Italia rappresenta il 30% del PIL, mentre il restante 70% è legato al mercato domestico. Inoltre è molto miope dire che il cuore dell’economia italiana è il manifatturiero: in realtà la gran parte, sia privata che pubblica, è fatta di servizi»

Sono il pubblico e i servizi che non crescono Normalmente in effetti, conferma Rocco di Torrepadula, il dibattito sulle eccellenze si concentra sulla forza del nostro export, il più dinamico d’Europa insieme a quello tedesco, di cui ha praticamente eguagliato le performance durante tutto il periodo di crisi. «Purtroppo però l’export non è sufficiente: in Italia rappresenta il 30% del PIL, quota piuttosto alta ma comunque minoritaria. L’economia domestica rappresenta il restante 70% del PIL, con una parte molto importante che è pubblica (sanità, istruzione, giustizia,…), e in Italia non cresce». Inoltre l’attenzione si concentra sul manifatturiero, e invece gran parte dell’economia privata (ma anche pubblica), è fatta di servizi: settori come distribuzione, trasporti, servizi alle imprese, turismo, sono pilastri dell’economia privata italiana. «Quindi dire che il cuore dell’economia italiana è il manifatturiero Made in Italy è molto miope: l’Italia non cresce perché non crescono l’economia pubblica e i servizi privati». La tesi di fondo di BCG è che possiamo salvarci con il Made in Italy, a patto che sia diverso da quello a cui siamo abituati. «Il Made in Italy tra-

dizionale è totalmente orientato al passato: i suoi punti forti sono creatività, innovazione individuale, storia, arte e stile, qualità, e appunto l’export. Tutto ciò ci ha permesso di competere nel mondo per decenni, e di reggere in qualche modo durante questa lunga crisi economica. Ora però per “cambiare marcia”, occorre un “nuovo Made in Italy” che deve partire da questo, puntando soprattutto su altre cose: capitale intellettuale collettivo, capitale umano, infrastrutture fisiche («siamo ancora al sistema autostradale degli anni 50»), infrastrutture sociali, capacità di coesione, investimenti esteri, e presenza diretta all’estero, non solo con filiali ma con aziende e distretti interi». A che punto siamo su queste cose in Italia? «Recentemente a un nostro seminario abbiamo fatto un piccolo sondaggio su 40 leader importanti del nostro Paese, manager di aziende e banche internazionali». Il responso generale, spiega Rocco di Torrepadula, è che sui principali elementi del “nuovo Made in Italy” - migliorare il capitale umano, aumentare la produttività con le tecnologie, valorizzare patrimonio artistico e culturale, perseguire grandi cambiamenti mantenendo la coesione sociale - siamo molto indietro. E addirittura la capacità di perseguire obiettivi di medio e lungo termine in Italia sarebbe totalmente assente.

Il caso Torino: anche nel pubblico si può cooperare Per completare la rassegna, Rocco di Torrepadula di BCG ha citato anche un caso «che mostra forse il grado massimo di difficoltà, quello di coalizzare attori pubblici». Si tratta dell’Ente territoriale Torino Internazionale, che raccoglie le principali forze economiche, culturali e sociali, pubbliche e private, del torinese, e ha fatto di Torino la prima città italiana ad adottare un Piano Strategico, nel 2000. L’obiettivo era di mantenere, vista la crisi del settore manifatturiero, la capacità di produrre ricchezza e innovazione, diversificando il sistema produttivo e rinnovando l’immagine internazionale della città, anche grazie all’organizzazione delle Olimpiadi Invernali nel 2006. L’ente ha poi dato continuità al suo lavoro con altri due piani strategici: quello attuale si chiama “Torino Metropoli 2025”. «E otto anni dopo le Olimpiadi, Torino ha il 50% di visitatori in più rispetto a prima». | 54 |

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il vero punto debole non È il debito: è la crescita crescita annua del PIL per capita (cagr 2003-2012, %) 1,5%

1,47%

% di imprese

1,0%

0,84%

0,71%

0,5%

Media EU28

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Yamamay-Carpisa: un “sistema di business” totalmente nuovo «Noi invece vorremmo essere più ottimisti, mostrando attraverso altri casi che alcuni di questi elementi ci sono già. Un esempio è Pianoforte Holding, nota per i marchi Yamamay (abbigliamento intimo), Carpisa (valigeria), e Yaked (abbigliamento sportivo, la testimonial è Federica Pellegrini, ndr)». Nata a Napoli dall’idea di due giovani imprenditori del luogo, Gianluigi Cimmino e Maurizio Carlino, questa realtà ha registrato 10 anni di fortissima crescita anche durante la crisi, arrivando a quasi 300 milioni di euro di fatturato e oltre mille negozi. «Hanno mostrato grande capacità di compressione dei costi (il 97% della produzione è terziarizzata in Asia), di posizionamento in termini di rapporto qualità/prezzo, e di rapidità di risposta del sistema ideazione-produzione-distribuzione-vendita ai trend del mercato: praticamente producono in tempo reale». Altri punti distintivi sono il modello di franchising per i negozi e l’alta notorietà dei brand, nata da forti investimenti in pubblicità, sponsorizzazioni sportive e testimonial famosi. «Insomma, un intero originale “sistema di business”, che ora stanno cercando di esportare in altri Paesi». Altro caso, molto significativo per la capacità di far lavorare insieme aziende diverse, e anche questo nato al Sud, è il consorzio “Salento D’Amare”, che raccoglie 170 realtà di vari settori economici legati al turismo, ed è riuscito a organizzare un calendario con oltre 100 eventi all’anno.

UK

Spagna

Portogallo

Irlanda

Italia

Grecia

«In Italia il turismo è colpevolmente trascurato. È un settore dove abbiamo un vantaggio competitivo “naturale”, rappresenta il 10% del PIL italiano, e nel mondo è in notevole crescita (3-4% annuo in termini reali). Eppure per esempio il comparto “mare” in Italia è in crisi profonda: il turista moderno vuole andare in bei posti, in cui però ci siano anche eventi, divertimenti e così via. I Paesi esteri offrono grandi “pacchetti” del genere, l’Italia in generale no, tranne rari casi come appunto questo consorzio del Salento, che ha avuto la capacità di coalizzare albergatori e altri operatori, diventando anche un “marchio di qualità”, che spinge i consorziati a investire per mantenere gli standard qualitativi». Questi casi, conclude il Senior Partner di BCG, non sono isolati: «Avrei potuto citarne altri, come Brembo, Luxottica, Avio, Ansaldo STS, Grom, Comune di Salerno, Autogrill, Fineco, Eataly». Sono tutti casi di Made in Italy “del nuovo millennio”, capaci, in modo diverso da caso a caso, di investire sul capitale intellettuale, sullo sforzo collettivo di realtà diverse, sulla “adattività” per cambiare e adeguarsi velocemente, sulla costruzione anche all’estero di interi “sistemi di business”, per andare oltre il semplice export. Spesso la necessità di collaborare però coinvolge anche lo Stato: «Occorre innovare infrastrutture, servizi, promuovere gli investimenti all’estero, andando oltre la classica diffidenza anche cinica del mondo economico italiano verso il pubblico: in alcuni settori, come il turismo, semplicemente non si può crescere senza lo Stato. Non tutto ciò che è Stato è il “male assoluto”». www.ict4executive.it

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La tecnologia come driver del business: la sfida di PRES

Interpretare le esigenze dei clienti a 360 gradi, allargando lo sguardo ben oltre la tecnologia, che è oggi un driver del business: è questo l’approccio che deve avere un system integrator per avere successo, ed è così che PRES, nata a Torino nel 1988, ha costruito la propria crescita. In questi anni la società ha ampliato la sua presenza nazionale, aprendo altre 3 sedi (Milano - di recentissima inaugurazione -, Roma e Ragusa), ottenendo un fatturato in costante crescita e arrivando a dare lavoro, a livello di Gruppo, ad oltre 100 dipendenti, professionisti di altissimo livello. I progetti vengono realizzati grazie alla partnership con alcuni fra i brand più prestigiosi del mercato ICT, fra cui Cisco, NetApp, Check Point, VMware, DataCore, Veeam, Samsung per citarne solo alcuni. Per i clienti con sedi all’estero, inoltre, PRES garantisce copertura internazionale dei progetti attraverso ServiceOne Alliance, un network mondiale di 1300 ingegneri specializzati dislocati in 33 Paesi, risolvendo così il problema di gestire diversi fornitori locali Fra i numerosi clienti che in questi anni si sono affidati a PRES ci sono le più note aziende in ogni ambito: dal Finance al Retail, dal Pharma al Manufacturing, e ancora Carrier, Ospedali, Aziende di servizi e PA. Un aspetto molto importante, fiore all’occhiello della società, è quello della formazione e certificazione dei professionisti dell’ICT, che viene erogata attraverso modernissimi Learning Center che dispongono di aule formazione con le più avanzate dotazioni tecnologiche: PRES è infatti Learning Center ufficiale per molti dei suoi partner. Ad esempio Cisco, Microsoft, Oracle,

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In crescita fatturato e dipendenti per il system integrator, che interpreta la progettazione e realizzazione di servizi e soluzioni ICT con un approccio fortemente consulenziale, apprezzato sempre più dalle aziende e dalla PubblicA amministrazione. Senza dimenticare la formazione

Giovanni De Giovanni Amministratore Delegato Pres

Global Knowledge IBM, HP software e molti altri. Grazie a questa attività continuativa i professionisti della società sono sempre sulla frontiera dell’innovazione, alimentando uno scambio costante di conoscenze fra chi opera sul campo e chi eroga formazione. A Giovanni De Giovanni, Amministratore Delegato della società, abbiamo chiesto di raccontare la propria vision del mercato italiano. Come sono cambiate le esigenze dei clienti, in un contesto economico come quello attuale? Oggi l’esigenza è di realizzare servizi e soluzioni ICT che accelerino il raggiungimento degli obiettivi aziendali e questo significa che ci vengono richieste soluzioni tecnologiche in grado di aumentare la competitività, garantire la sicurezza, razionalizzare i costi, ottimizzare i processi. Siamo sempre più coinvolti nella decisione del nostro cliente in tutti gli aspetti. Tipicamente i nostri interlocutori sono tre e rappresentano le diverse anime dell’azienda: oltre all’IT manager, c’è infatti il business manager, che cerca competitività ed efficienza, e il responsabile finanziario, che è sempre più spesso coinvolto nel processo decisionale. Dobbiamo soddisfarli


advertorial tutti, ed è una sfida stimolante. Un’esigenza forte è quella di trasformare i costi fissi in spesa corrente, perché il contesto economico fa sì che anche le aziende che hanno risorse a disposizione siano timorose. Il nostro impegno è volto a promuovere progetti innovativi, ma non bisogna dimenticare che i clienti devono anche far fronte alla naturale obsolescenza della tecnologia. Quale impatto sta avendo sul vostro business l’avvento del Cloud? Può sembrare un salto quantico, in realtà lo viviamo come un passaggio abbastanza naturale. Siamo da tempo impegnati a fornire sempre di più servizi a valore. Noi interpretiamo le esigenze e proponiamo un percorso graduale, sapendo che il processo riguarda tutta l’azienda, non solo l’IT. I servizi gestiti PRES, che utilizzano tecnologia Cisco Meraki, ad esempio, sono la soluzione ideale per un cliente che vuole assicurarsi semplicità e controllo dei network distribuiti, azzerando sia le spese in conto capitale sia costi e problemi di gestione. Stiamo vivendo una fase di transizione un po’ come quando si è passati dal mainframe al client server, e il mercato italiano sta progressivamente acquisendo consapevolezza. Quello che osserviamo è che i dubbi non riguardano la tecnologia ma altri aspetti. Cosa fare dei sistemi installati? Dove vengono custoditi i dati? Del resto, il cambiamento è sempre difficile, ma resta pienamente valida l’osservazione di Jack Welch, ex CEO di General Electric: «Cambia prima che tu sia costretto a farlo». Altrimenti spendi di più e arrivi tardi. Qual è il vostro approccio allo scouting di nuove tecnologie? I driver sono due: la competenza e la continua ricerca delle migliori soluzioni sul mercato da parte dei nostri ingegneri e tecnici, e il costante dialogo con i nostri clienti. L’innovazione ci affascina molto, ma siamo anche molto cauti e selettivi, perché il nostro primo obiettivo è mantenere gli standard di servizio elevati che i clienti si aspettano. La scelta di un vendor dipende dalla validità della sua soluzione e dal suo approccio al mercato. Avere un nuovo partner per noi è un processo costoso, perché significa investire per formare figure tecniche e commerciali competenti. Cisco ad esempio è un nostro partner storico. Anche quest’anno abbiamo ottenuto il premio Cisco Learning Partner of the Year, nonché l’ambito riconoscimento di Cisco Partner of the Year for Architectural Excellence Enterprise Networks. Invece DataCore e Veeam sono vendor che abbiamo selezionato due anni fa per la loro visione innovativa e per la loro grande capacità di risposta alle nuove esigenze di mercato.

Può fare un paio di esempi di progetti innovativi realizzati di recente? Per l’Università Bicocca abbiamo realizzato un progetto di telepresence su tecnologia Cisco che ha portato alla prima discussione di tesi di laurea a distanza in Italia, con docenti negli Stati Uniti e studenti a Milano: mi piace citarlo perché è un esempio evidente di cambiamento di processo. Un altro esempio significativo, per i notevoli vantaggi che ha portato in termini di risparmio economico e di semplificazione della gestione, è il nuovo sistema di storage e backup virtuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che utilizza tecnologie DataCore e Veeam. In particolare, il progetto di migrazione, gestione e protezione dei dati per la virtualizzazione del data center che abbiamo realizzato per il Ministero è stato premiato da Veeam come Most Significant Project of the Year a livello europeo.

il nuovo Centro Formazione PRES di Milano Garibaldi PRES ha scelto il futuristico quartiere di Milano Garibaldi per aprire il suo nuovo centro formazione di Milano. A cinque minuti dalla Stazione Garibaldi e a due minuti da corso Como, il nuovo Learning Center PRES offre un ambiente high tech nel quartiere più dinamico della città.

Le lavagne touch screen di ultima generazione permettono di dialogare con i dispositivi mobili e di interagire con materiali didattici e contenuti digitali, rendendo l’apprendimento interattivo e coinvolgente. Lo speaker-track porta la TelePresence a un livello superiore, grazie alla regia automatica, che individua e inquadra chi parla, eliminando i rumori di sottofondo.

PRES, Cisco Learning Partner of the Year, da oltre 25 anni forma i professionisti IT. Offre formazione ufficiale e certificata dei più importanti Vendor - Cisco, Oracle, Microsoft, IBM, HP, EMC2, VMware, Citrix, Redhat, Checkpoint e molti altri - ed è testing center accreditato Pearson Vue e Thomson Prometric. Eroga formazione in aula, presso il cliente e in modalità e-Learning.

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Speciale “Retail & eCommerce”

Innovazione digitale nel retail: un’opportunità da cogliere Gli operatori del settore sono chiamati a rispondere tempestivamente ai cambiamenti in corso. Le tecnologie digitali possono essere la soluzione, in particolare quelle che supportano la multicanalità, come spiega in dettaglio la prima ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano

Il mondo del retail sta attraversando un momento di forte cambiamento: da un lato la congiuntura economica negativa ha ridotto i consumi delle famiglie italiane, dall’altro la rivoluzione digitale ha cambiato abitudini e comportamenti dei consumatori, sempre più informati e consapevoli. In questo contesto, i retailer devono rispondere tempestivamente per rimanere competitivi e per cercare di “non perdere il treno” dello sviluppo. Mobile POS, eCommerce, social tool, smart mirror, tag RFid sono tra le molte innovazioni digitali che i retailer possono implementare per “acquisire”, “trattenere” e “intrattenere” i clienti. Se a livello internazionale molti retailer si sono già mossi nella giusta direzione, in Italia c’è ancora confusione. Per fare chiarezza e promuovere un dialogo tra domanda e offerta favorevole all’innovazione è nato l’Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, che il 19 novembre presenterà i primi risultati della Ricerca al Politecnico di Milano. L’Osservatorio nel suo primo anno di attività si è posto l’obietti| 58 |

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vo di analizzare e comprendere le principali innovazioni digitali che impattano sui processi del retailer (interni, verso i fornitori e verso i consumatori ) per condividere best practice e diffondere cultura. Uno dei temi al centro della ricerca 2014 è la multicanalità (o omnicanalità), cioè l’uso congiunto e integrato dei diversi canali – negozi, online, mobile e social – a supporto del processo di interazione azienda-consumatore. La multicanalità da qualche anno desta il forte interesse dei retailer ed è una realtà sempre più affermata e con benefici consolidati (incremento della spesa dei clienti già acquisiti, grazie alle nuove possibilità di acquisto, e acquisizione di nuovi clienti). Nell’Osservatorio eCommerce B2c sono stati studiati i modelli di multicanalità collegati all’eCommerce e tre sono stati individuati come i più efficaci. In primis, il “prenota e ritira”, che nel caso più evoluto permette al cliente di ordinare online qualsiasi prodotto nel catalogo online, al prezzo online, e ritirarlo in qualsiasi punto vendita della rete, dopo un’interazione volta a favorire cross-selling e up-


Speciale “Retail & eCommerce” selling in negozio (tra gli esempi ci sono Marcopoloshop e Unieuro). Nell’ambito Food, Tigros per esempio ha da poco lanciato il servizio Click&Collect che all’estero - in primis Francia e UK, - sta riscuotendo molto successo. Con questa modalità, il cliente effettua la spesa sul sito eCommerce e ritira nel punto vendita prescelto all’orario definito. Per le insegne alimentari questo modello permette di abbattere molti problemi che hanno fin qui frenato l’offerta online, come i costi di consegna a domicilio. Un altro modello è “l’Info Store”, che prevede l’erogazione di informazioni in negozio per poi finalizzare l’acquisto online, e nei migliori esempi anche una fase di supporto al cliente a cui viene mostrato come acquistare sul sito web i prodotti non presenti sul punto vendita (un esempio è Decathlon). Sembra ormai imminente la possibilità di fare l’acquisto online direttamente dal negozio tramite device mobili (ad esempio Tablet in dotazione alla forza vendita o schermi touch a disposizione dei clienti), come già avviene in diversi punti vendita di retailer stranieri (Bloomingdale’s, JC Penney, John Lewis, Marks & Spencer). In una prospettiva di più lungo periodo, è concepibile un cambio profondo del format e del concept dei negozi, di dimensioni sempre più ridotte (come le window shopping wall di Tesco o WalMart) e orientati a creare un’esperienza di acquisto in grado di stupire ed emozionare (esempi: Burberry, Puma). Con questo intento, Lacoste ha appena lanciato un’App per rivoluzionare il modo di provare le scarpe in negozio. L’App consente di indossare virtualmente i prodotti posizionando il piede negli spazi grafici predisposti sul pavimento del negozio e scansionandolo con il proprio smartphone. Inoltre fornisce dettagli sul prodotto e può essere utilizzata per condividere immagini sui social o per acquistare. Il terzo modello è “l’Infomobile”, dove il percorso di acquisto parte sullo Smartphone e prosegue in maniera integrata sul sito Web, salvando la sessione nel passaggio da un device all’altro (ad esempio in alcuni club online), ricevendo suggerimenti di acquisto sui prodotti visti da Smartphone (ad esempio TicketOne) e ritrovando i prodotti inseriti nella wish list (ad esempio yoox.com). Il Mobile rappresenta quindi un’importante opportunità per i retailer, anche se occorre capire le specificità di questo canale per sfruttarne appieno le potenzialità. Dall’analisi dell’Osservatorio Mobile Marketing & Service e dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce sulle soluzioni Mobile sviluppate da oltre 250 retailer è emerso che gli esercenti stanno sviluppando il Mobile più come un’elongazione del canale web che come strumento di ridisegno dell’esperienza di acquisto del consumatore nel punto vendita fisico. La fase del processo d’acquisto più presidiata è infatti la prevendita (come avviene nel mondo web), con funzionalità quali store locator, catalogo prodotti, volantino; più rare le funzionalità che consentono l’interazione all’interno del negozio tramite Mobile. Solo pochi retailer hanno iniziato a

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testare le funzionalità più innovative: nella GDO Food il 9% dei retailer attivi su Mobile ha abilitato un servizio di Mobile Self Scanning; nell’abbigliamento il 15% dei retailer permette di dematerializzare la carta fedeltà e usarla in punto vendita; nelle profumerie, il 33% ha abilitato un servizio di Mobile Couponing, anche se non sviluppato in tutte le potenzialità. In realtà sono molte di più le soluzioni che potrebbero migliorare il coinvolgimento dei consumatori nel punto di vendita fisico: extended packaging o cartellini interattivi, in-store positioning per guidare il consumatore allo scaffale, Mobile Ordering, per anticipare l’ordine prima di entrare in negozio (ad esempio Starbucks in USA, McDonald’s in Francia e Giappone); Mobile Queue, per monitorare il proprio turno di servizio. Ma qualcosa si sta muovendo anche in Italia. E’ notizia dell’estate che Coin in partnership con CheckBonus ha realizzato la prima App per smartphone che usa iBeacon per premiare i propri clienti a ogni ingresso nei negozi convenzionati. I primi dispositivi sono stati introdotti nei quattro department store di Milano, dove gli utenti hanno la possibilità di accumulare punti “bonus” all’interno dell’App e di sbloccare promozioni esclusive, a partire dalla possibilità di ottenere gratuitamente la Coincard. www.ict4executive.it

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Speciale “Retail & eCommerce”

Negozi, online e mobile: il retail ora è davvero “customer-centric”

Lo shopping vive una trasformazione epocale, con due nuovi canali – online e mobile – a fianco al tradizionale negozio. Il consumatore vuole usarli indifferentemente l’uno dall’altro e in modo integrato. Per il settore retail è quindi iniziata l’era “omnichannel”, con tutte le complessità organizzative e tecnologiche del caso. Ne abbiamo parlato con David Concordel, Senior Vice President Global Retail di Fujitsu. «I retailer devono pensare a come “reinventare” la rete di negozi fisici, ma anche creare un’attività online e conciliarla al meglio con quella fisica e con il canale mobile, in piena esplosione». Lo shopping infatti ormai comincia ben prima dell’entrata in negozio. Il cliente cerca online o su mobile le informazioni sul

Ordini e shopping in-store unificati Fujitsu ha reso disponibile in tutto il mondo il suo Point of Service (PoS) omnicanale. L’obiettivo della soluzione, chiamata Fujitsu Market Place, è abbattere le barriere tra ordini e shopping in-store, combinandoli in un’unica transazione, spiega il vendor. «Il cliente può avere uniformità di prezzi, promozioni ed esperienze d’acquisto via online, mobile e in negozio. L’addetto vendite può gestire la transazione con un’unica applicazione, anziché dover passare dal sistema d’evasione ordini per il PoS a quello online. Il rivenditore può ridurre i processi d’acquisto interrotti (“dropped basket”)».

«Oggi nello shopping ogni consumatore compie diversi percorsi sui tre canali: l’approccio integrato “omnichannel” rende coerente la sua esperienza, personalizzandola il più possibile. E l’ICT è fondamentale per questo»

David Concordel Senior Vice President Global Retail Fujitsu

prodotto, e poi compie diversi percorsi sui diversi canali: «L’approccio omnichannel deve rendere coerente la sua esperienza rispetto a tutti i “punti di contatto” personalizzandola. E l’ICT è cruciale per questo». Come si riflette tutto ciò sugli investimenti in ICT dei retailer? «Erano abituati a prendere diversi “pezzi di tecnologie” e integrarli, ora chiedono qualcosa di completo che già funziona», osserva Concordel. «Così abbiamo creato la soluzione Fujitsu Market Place: si basa sulla tecnologia Enterprise Selling Platform, nata per integrare online, mobile e rete fisica tra loro e con il back-end aziendale». L’idea è permettere di governare situazioni nuove e “omnichannel”, ingestibili con sistemi tradizionali, come il “click & collect” (acquisto online e ritiro in negozio), con eventuali sviluppi, per esempio estensioni delle promozioni online al negozio. «La piattaforma integra diverse aree funzionali come CRM, order management e inventory visibility». Il CRM permette di riconoscere il cliente e proporgli offerte personalizzate. Order management e inventory visibility consentono di migliorare la sua esperienza, per esempio se il prodotto è esaurito: il commesso in negozio, magari con un tablet, accede in real time al sistema, verifica la disponibilità in altri negozi o magazzini, conclude la transazione e dispone la consegna.

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Speciale “Retail & eCommerce”

sistemi di pagamento innovativi per migliorare la relazione con i clienti

Le tecnologie che oggi permettono di pagare senza contante e in mobilità hanno un potenziale rivoluzionario per il punto vendita, esattamente come l’analisi dei big data o l’espansione dell’eCommerce nell’evoluzione della relazione con il cliente. «La nostra esperienza con le aziende del settore ci conferma l’esistenza di un forte interesse verso l’innovazione - spiega Claudio Carli, Marketing & Communication Manager di Ingenico - e verso la sperimentazione di tutto ciò che può ottimizzare le attività, migliorare la conoscenza del clienti, introdurre servizi a valore aggiunto. Ciò si traduce nell’adozione sempre più ampia di soluzioni di self scanning, self checkout, come anche dei pagamenti in mobilità per supportare lo sviluppo dei servizi a domicilio e all’interno del negozio». La flessibilità e la sicurezza dei nuovi sistemi è determinante. «La diffusione del commercio elettronico sta accompagnando lo sviluppo di logiche di contatto multicanale che mirano a fondere l’esperienza online con quella del negozio, per esempio, permettendo di prenotare un prodotto online e poi ritirarlo nel punto vendita». La situazione dei grandi retailer non corrisponde purtroppo a quella dei piccoli esercenti. «Qui riscontriamo ancora poca conoscenza delle nuove tecnologie - continua Carli -, e difficoltà a comprenderle e utilizzarle in modo efficace. C’è insomma molto lavoro da fare a livello di cultura, siamo impegnati a promuovere l’uso di strumenti avanzati anche presso le piccole imprese, e a far capire come l’online possa migliorare il rapporto di fiducia con il cliente, specialmente i giovani». I sistemi di supporto ai pagamenti elettronici sono fondamentali per l’innovazione del mondo retail. Il recente

L’evoluzione del punto vendita e la diffusione di modelli multicanale stanno rapidamente spingendo il mondo retail ad adottare nuovi sistemi di pagamento, che superano il concetto di cassa tradizionale, come mobile pos, self scanning, self checkout

DOCUMENT D’EXECUTION INGENICO_CMJN.ai INFORMATIONS GENERALES

COULEURS UTILISEES

Client: INGENICO Date : 10 DEC 2013 Utilisation: Impression quadri. Ne pas utiliser pour application écran.

C 67/M 54 J 47/N 43

APPROBATION

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Claudio Carli Marketing & Communication Manager Ingenico

obbligo di legge che impone anche ad artigiani e professionisti di accettare i pagamenti con carte ha stimolato la diffusione di soluzioni convenienti, grazie alle offerte messe a punto dai principali istituti bancari italiani. Le soluzioni di mobile POS si integrano con tablet o smartphone di proprietà del merchant e abilitano nuove modalità di vendita. «Agenti che raccolgono ordini a domicilio possono oggi accettare pagamenti riducendo i rischi di ripensamento e attivando immediatamente i servizi - precisa Carli. I terminali mPOS di Ingenico permettono a commessi e personal assistant, che già usano il tablet come strumento di lavoro all’interno del negozio (per verificare ad esempio le disponibilità del magazzino), di accettare pagamenti direttamente sui banchidemo, chiudendo, anche fiscalmente, la transazione». Il commesso che si fa “cassa itinerante” è funzionale per l’evoluzione dei negozi ed è utile anche in quelle realtà occasionali o stagionali (es. banchi di fiere e mercati). «Altro aspetto importante è la digitalizzazione della firma del cliente e quindi la dematerializzazione delle ricevute - continua Carli -. Anche qui si sono fatti molti passi avanti con soluzioni di acquisizione e archiviazione che riducono gli oneri della gestione tradizionale della carta e i costi delle contestazioni».

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Speciale “Retail & eCommerce”

Miroglio potenzia il CRM, migliorando il business e il servizio al cliente

Dietro alle collezioni più fashion firmate Motivi, Caractére, Elena Mirò, Diana Gallesi, Fiorella Rubino, Oltre, Per te by Krizia e Luisa Viola c’è Gruppo Miroglio, presente in 34 Paesi, con 49 società operative e 6 unità produttive, con un fatturato 2013 chiuso a 829 milioni di euro. Oltre 18 milioni i capi prodotti e distribuiti in più di 2mila negozi monomarca (di cui 850 in Italia), 100 outlet, e nei più importanti department store internazionali. Con il passaggio al VoIP, alla fine del 2013 la direzione ha deciso di rivedere tutta la propria architettura di networking, con l’obiettivo di rendere sedi e negozi allineati all’evoluzione omnicanale della comunicazione. Come? Introducendo un CRM avanzato, per potenziare la Business Intelligence e garantire un’interoperabilità legata all’Enterprise Mobility. «Volevamo rendere omogenea la comunicazione interaziendale su tutta la filiera - spiega Luciano Manini, CTO di Gruppo Miroglio - garantendo la qualità dei servizi di connessione e risolvendo una volta per tutte quella polverizzazione di problematiche che nel tempo avevano portato a legarci a diversi provider, diversi contratti e tipologie di banda. Il nostro obiettivo? Razionalizzare la gestione, migliorare i servizi e ottimizzare i costi, aprendoci alle tecnologie wireless per innestare una governance capace di accogliere e di sfruttare tutto il potenziale legato alla mobility e a quella multicanalità che oggi rappresenta un forte driver del business». Le sedi e i negozi possono ora disporre della stessa qualità di banda ma anche delle stesse risorse condivise, indipendentemente dai dispositivi utilizzati. Da un lato si mirava a potenziare gli operatori in sede e dall’altro a

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Il Gruppo fashion ha rivisto tutta l’infrastruttura di networking, introducendo il Wi-Fi in store. Luciano Manini, CTO: «i commessi utilizzano un tablet da 10 pollici che li supporta nella comunicazione con i clienti, offrendo una qualità delle informazioni superiore»

supportare e rendere più efficiente l’attività del personale impegnato nei punti vendita. Affidando il progetto al partner TeleServizi, la revisione ha coinvolto tutte le realtà italiane: 4 edifici dell’headquarter ad Alba e la sede milanese, basati su una rete Mpls, nonché tutto il canale degli store collegato da una rete geografica su cui il provider ha innestato il nuovo sistema Wi-Fi AirDefense, di Motorola Solutions. «Oggi - conclude Manini - i commessi utilizzano un tablet da 10 pollici Android che li supporta nella comunicazione con i clienti. Nei negozi c’è una procedura di vendita assistita, e tablet e smartphone offrono una marcia in più, consentendo a Miroglio di garantire una qualità delle informazioni superiore come, ad esempio, mostrare le preview delle collezioni o consultare la disponibilità di magazzino senza abbandonare il cliente. La mobilità WiFi ci dà maggiore flessibilità nella gestione degli ordini e delle consegne, con una riduzione dei costi».


Speciale “Retail & eCommerce”

Con Prudsys il sito di e-commerce “capisce” l’utente

Sappiamo tutti ormai che acquistare online spesso significa doversi orientare tra molti prodotti, in gran parte poco interessanti, soprattutto quando si tratta di trovare alternative a ciò a che stiamo cercando. Il sistema di personalizzazione dell’esperienza di acquisto prudsys ha oggi un ruolo chiave nell’esperienza di shopping online, e aiuta gli utenti a trovare velocemente ciò che cercano, e non solo. Generando automaticamente suggerimenti di prodotto in base agli acquisti effettuati e ai comportamenti in tempo reale, prudsys Realtime Decisioning Engine (RDE) consente un’esperienza d’acquisto totalmente personalizzata, e l’utente finalmente si sente “compreso” dal sito. Le raccomandazioni di prodotto sono un fattore di influenza chiave nelle decisioni d’acquisto. Prudsys RDE comprende le intenzioni dell’utente e mostra i suggerimenti di prodotto più pertinenti e a più alto impatto sulle vendite. Ciò è possibile perché prudsys RDE interagisce continuamente con il cliente, registra la sua risposta in relazione ai contenuti proposti e la riconduce al comportamento di tutti gli altri utenti, per ottenere raccomandazioni di alta qualità. Fra i clienti principali di prudsys AG in Italia ci sono EPrice, Webster, Patrizia Pepe, Epi, RCS e Unieuro, il cui responsabile e-commerce Alessandro Milia dichiara: «Con prudsys RDE abbiamo ridotto fortemente l’intervento manuale sul sito, aumentando prestazioni e ricavi generati dal cross-selling. Abbiamo infatti osservato un aumento del conversion rate nelle pagine che ospitano raccomandazioni di prodotto generate da prudsys». Fondamentale è inoltre la possibilità di usare i sugge-

ESPERIENZA DI ACQUISTO TOTALMENTE PERSONALIZZATA GRAZIE A BIG DATA ANALYTICS E PROFILAZIONE DI OGNI SINGOLO UTENTE

rimenti su molti canali, uno su tutti la newsletter, che tramite il modulo NL di prudsys può ospitare suggerimenti di prodotto one-to-one, profilando così anche le comunicazioni via mail, spesso ancora troppo generiche. Tra gli ultimi sviluppi di prudsys c’è il modulo prudsys RDE | Scoring, che consente di prevedere in tempo reale comportamenti dell’utente come l’abbandono del carrello. Le altre tecnologie in questo campo quasi sempre operano per recuperare il cliente che ha già abbandonato. Prudsys invece punta a una assoluta novità: prevenire l’abbandono. Con l’analisi del comportamento dell’utente - anche quelli anonimi - prudsys può riconoscere una condizione di rischio, permettendo al commerciante di decidere se e come incentivare il cliente all’acquisto. Prudsys AG è una società tedesca con presenza globale, con un volume di transazioni da raccomandazioni di oltre 8 miliardi di dollari l’anno, considerata determinante nello sviluppo di nuove tecnologie di shopping online. È presente in Italia in collaborazione con Intergic, azienda attiva nella selezione di tecnologie internazionali best of breed per i mondi e-commerce e digital marketing.

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Altea, insieme ai clienti per gestire la complessità del business

C’è un’economia italiana che sorride, ed è quella fatta dalle tante imprese che sanno guardare ai mercati esteri, reagendo al calo della domanda interna con il coraggio di cambiare e una forte propensione all’innovazione, facendo leva sull’eccellenza maturata in passato. Ed è accompagnando queste imprese in controtendenza nel loro percorso di trasformazione che il system integrator ALTEA, nato nel 93 in Piemonte e oggi affermato su tutto il Nord Italia, è cresciuto a doppia cifra negli ultimi 4 anni, raggiungendo nel 2013 un ricavo netto di 21 milioni di euro. Perché è vero che la domanda è in crisi nel suo complesso, «ma all’interno ci sono cluster di eccellenza che stanno crescendo molto nei settori di riferimento, soprattutto le aziende che si rivolgono ai mercati esteri», spiega Andrea Ruscica fondatore e Presidente della società, convinto che la capacità italiana di fare industria all’estero sia la vera chiave per la ripresa del Paese. Avete oltre 950 clienti in Italia. Di cosa hanno bisogno oggi per competere in un mercato sempre più complesso? La complessità non va vista come un ostacolo ma come un’opportunità di crescita. I nostri clienti, aziende di tutte le dimensioni e settori, hanno avviato processi di trasformazione radicale - sia organizzativa sia tecnologica - per far fronte a questo nuovo schema di gioco, dove l’innovazione ricopre un ruolo centrale. Innovare significa proprio saper gestire le enormi complessità emergenti, generate dalla globalizzazione, dalla domanda sempre più parcellizzata e stringente in termini di tempi. L’unico modo per mantenere la qualità dei deliverable sono le

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www.alteanet.it

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Il system integrator cresce da quattro anni a doppia cifra, grazie alla capacità di supportare con soluzioni innovative le migliori aziende italiane nei percorsi di trasformazione, organizzativa e tecnologica, che oggi sono necessari per reagire al calo di domanda interna

Andrea Ruscica Fondatore e Presidente Altea

tecnologie digitali, dalla social collaboration, alle predictive analysis, ai Big Data, solo per citarne alcune. Sono tutte esigenze che abbiamo saputo interpretare con soluzioni ad alto contenuto innovativo, potenziando la nostra offerta in specifici ambiti per offrire un approccio sistematico e strategico, come ad esempio nella gestione della Supply Chain, delle Risorse Umane e delle soluzioni Cloud. Il nostro ideale è riuscire a seguire le aziende rivestendo il ruolo di compagni nei processi di trasformazione, non solo per gli aspetti tecnologici ma anche per quello che riguarda l’organizzazione e le persone. Per fare questo, Altea da sempre ha avuto un approccio interdisciplinare e rapporti stabili con i principali vendor, in particolare SAP, Infor e Microsoft, con i quali condividiamo strategie, approccio al mercato, innovazione. Il Gruppo Altea è composto da diverse aziende, con alcune partnership. Qual è il modello organizzativo? Altea ha un nucleo di aziende controllate (Altea, Alterna e PLM System), il cui bilancio consolidato supera i 40 milioni di euro, con 400 dipendenti. Le tre aziende rappresentano il cuore dell’offerta. Altea opera anche attraverso il suo modello federativo costituito da azien-


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«L’Italia deve ripartire dalla sua capacità di aprire i confini attraverso l’innovazione e i mercati esteri»

de altamente specializzate: Helianthos, per la consulenza organizzativa; Briefing per SAP CRM e SAP Financial; Cyrius2, per le soluzioni SAP in ambito Automotive. Per garantire coerenza di visione strategica e di investimenti, deteniamo quote societarie, fra il 20 e il 30% e io siedo nel CDA. A loro volta, le aziende controllate hanno sviluppato una propria federazione d’aziende. Il nostro progetto è di ampliare il modello e, con lo stesso approccio, stiamo mettendo a punto una strategia d’internazionalizzazione: andremo ad acquisire quote qualificate di aziende per innestarci nel territorio locale. In generale, valutiamo le aziende candidate o per localizzazione geografica, o per competenze specifiche, o per ambiti misti, ovvero per progetti speciali di innovazione. Ne abbiamo realizzato uno, ad esempio, con l’Università del Salento, in ambito BPM. Le persone sono uno dei pilastri della strategia. Come gestite i talenti? Siamo molto attenti alla gestione delle persone. Da un lato ci sono le risorse più senior, che sono cresciute in ALTEA o che abbiamo acquisito dall’esterno, e con loro l’obiettivo è sviluppare un approccio proattivo, sempre più process driven e sempre meno technology-driven: dobbiamo padroneggiare le tecnologie e anche essere capaci di interpretare i processi di business. È un cambio di paradigma faticoso, al quale ALTEA lavora con attenzione e cura. Dall’altra ci sono i giovani laureati, che formiamo attraverso le nostre Academy. Si susseguono in aule da 10 e sono molto apprezzate anche dai clienti che ci chiedono di poter formare giovani anche per la loro organizzazione. I momenti di formazione e di condivisione si svolgono nel nostro Centro Studi “La Terriera”. Un’oasi verde nell’alto Vergante, un ambiente piacevole per incontrarsi, spesso anche con i clienti, in un clima disteso.

affrontata in modo graduale, attraverso modelli ibridi che permettano di valutarne le potenzialità. Consigliamo approcci a scacchiera, a partire da alcuni dipartimenti dell’azienda stando attenti a valutare le difficoltà integrative. Abbiamo anche accolto un’iniziativa del Politecnico di Milano, il Cloud Journey, facendo incontrare i clienti con gli accademici per discutere sul tema dell’analisi degli impatti: il Cloud è un viaggio che si sa come inizia ma non è sempre chiaro come finisce. Come gestite lo scouting di tecnologie innovative e gli accordi con nuovi vendor? La nostra innovazione è prevalentemente vendor driven, ovvero approcciamo il nuovo attraverso la lente dei vendor, che oggi hanno politiche che puntano a coprire i bisogni informatici a 360 gradi, con una serie costante di acquisizioni. Avendo i migliori vendor del mondo come partner, possiamo fare benchmark fra i prodotti per capire punti di forza. Tuttavia, possono esserci tecnologie interessanti anche al di fuori di questi schemi e per questo abbiamo un’area dedicata, quella della Digital Transformation. Sappiamo che per noi, come per i nostri clienti, anche crescere non è così facile o scontato e la Digital Transformation sta offrendo la possibilità di dar forma a nuovi business e di rendere operativi nuovi modelli per il futuro dei nostri clienti. Anche questa recente sfida la affrontiamo come un processo ibrido: culturale, tecnologico, creativo e manageriale.

Villa Erica, l’headquarter di Altea a Baveno (VB)

Qual è il vostro approccio al Cloud e in che modo il software as a service sta cambiando il ruolo di un system integrator? Premesso che stiamo sempre attenti a interpretare le nuove tecnologie senza farne solo degli slogan - perché tante volte nell’IT abbiamo introdotto novità che mestamente abbiamo fatto rientrare - crediamo che il Cloud sia una proposta molto interessante, che debba essere | 65 |


r e p or tag e

Sauro Romani Alliances and Channels Country Leader Oracle Italia

Oracle a confronto con i partner per “seminare” innovazione digitale L’edizione italiana dell’Oracle Partner Advisory Board, con la collaborazione della School of Management del Politecnico di Milano, ha previsto tre incontri con i principali esponenti dell’ecosistema del vendor per sviluppare una visione condivisa e ottimizzare la collaborazione, facendo leva sulle rispettive risorse e competenze

Il mercato ICT sta attraversando una fase di importante trasformazione. I grandi trend – dalla consumerizzazione all’industrializzazione, dal Cloud al Mobile, dal social ai Big Data – hanno un impatto profondo non solo sui processi delle aziende utenti, ma anche sui modelli di business degli operatori dell’offerta e sulle loro relazioni con i clienti e con gli altri attori della filiera ICT. In questo contesto, Oracle ha avviato una serie di tre incontri denominata Oracle Partner Advisory Board, per favorire lo sviluppo di una visione condivisa sulle opportunità e i trend di innovazione digitale nel nostro Paese. «Gli incontri hanno coinvolto alcuni dei principali Executive dei Business Partner strategici di Oracle in Italia, e si sono posti tre principali obiettivi - spiega Sauro Romani, Alliances and Channels Country Leader di Oracle Italia -: rappresentare il punto di vista sui principali trend del mercato ICT italiano e gli interessi in questo contesto da parte della community | 66 |

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dei Partner di Oracle; intensificare la collaborazione tra Oracle e i suoi partner, facendo leva sulle rispettive risorse e competenze; e contribuire allo sviluppo di una più matura strategia di partnership». I contributi di Unicredit e Amadori L’edizione italiana dell’Oracle Partner Advisory Board ha visto la collaborazione della School of Management del Politecnico di Milano e dei suoi Osservatori Digital Innovation - con un team guidato da Stefano Mainetti, co-direttore scientifico dell’Osservatorio Enterprise 2.0 e dell’Osservatorio Cloud & ICT as a Service - che ha portato in dote la profonda conoscenza del mercato ICT italiano e le metodologie consolidate sviluppate appunto dagli Osservatori. Da sottolineare inoltre, aggiunge Romani, il contributo di Roberto Lorini, Direttore Generale Divisione Mercato di Exprivia, che come Chairman dell’Oracle Partner Advisory Board ha rafforzato il ruolo


r e p or tage | Or acl e a c o n f ro n t o c o n i pa rt n e r p e r “se min a re ” in n ova z io n e dig itale

Roberto Lorini Direttore Generale Divisione Mercato Exprivia

centrale dei Partner nel percorso degli incontri. E anche quelli di Massimo Milanta, CIO di UniCredit e Direttore Generale di UniCredit Business Integration Solutions, e Gianluca Giovannetti, Direttore Sistemi Informativi, Organizzazione e attuazione Strategia del Gruppo Amadori, che hanno rappresentato il punto di vista delle realtà utenti, spiegando le trasformazioni in atto nelle loro organizzazioni. quattro ambiti di miglioramento Dalle discussioni nel corso dei tre appuntamenti sono emersi alcuni spunti che, tradotti in azioni concrete, possono effettivamente contribuire a rendere più efficace la relazione tra Vendor e Partner. «L’analisi ha permesso di individuare quattro ambiti di intervento prioritari: obiettivi della relazione, armonizzazione dell’offerta, interfacce tra le organizzazioni, mix di competenze e asset». Nel primo caso occorre evitare gli approcci più tattici che, per

quanto non necessariamente negativi in assoluto, limitano le opportunità potenziali. Gli ambiti di miglioramento in quest’ambito riguardano co-investimento e condivisione del rischio sui temi più innovativi, collaborazione piuttosto che competizione sui clienti, e ruolo del partner al di là della mera esecuzione, soprattutto in un’ottica di relazione di lungo periodo con il cliente. Nel secondo ambito dal dibattito è emerso che la collaborazione deve partire dalla definizione dell’offerta, dalla sua semplificazione, e della strategia di go-to-market, e puntare su azioni congiunte per creare awareness sulle nuove offerte. Nel terzo caso il principale ambito di miglioramento riguarda la definizione delle corrette interfacce tra le due strutture, che spesso richiede di trovare un equilibrio tra la creazione di un “singolo punto di contatto” per i partner entro la struttura del vendor, e la relazione diretta tra partner e strutture commerciali e operative del vendor. Infine riguardo al mix di competenze e asset, i maggiori passi avanti nascono dalla capacità di sfruttare al meglio la complementarietà di risorse. Il partner deve diventare il portatore della conoscenza sul cliente, derivante da un rapporto duraturo e consolidato che ha permesso di comprendere le specificità dei processi, le criticità e le sfide che le imprese utenti devono quotidianamente affrontare. Il vendor porta la conoscenza della propria offerta e delle esperienze internazionali d’adozione delle proprie soluzioni più innovative. Sintetizzando, quindi, in un ambito pre-competitivo le opzioni sono soprattutto due. La prima, spiega

Un nuovo “artigianato del software” Roberto Lorini, Direttore Generale Divisione Mercato di Exprivia, ha ricoperto il ruolo di Chairman dell’Oracle Partner Advisory Board, rafforzando così il ruolo centrale dei Partner nel percorso degli incontri. «Il mercato italiano è in calo, ma siamo di fronte a una rivoluzione di tale portata che è impossibile non trovare spazio per creare valore insieme al cliente - ha detto Lorini -. La forte domanda di specializzazione porta a un nuovo “artigianato del software”, che non vuol dire fare customizzazioni, ma essere in grado di combinare i componenti presenti sul mercato sulla base delle esigenze dei clienti».

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reportage | orac l e a co nf r o nt o co n i par t ne r p e r “se min a re ” in n ova z io n e dig ita l e

Oracle Partner Advisory Board: i protagonisti • Valentino Bravi, CEO Gruppo TAS • Gianni Camisa, Amministratore Delegato Dedagroup • Filippo Caroselli, Senior Managing Director Accenture • Paolo Castellacci, Presidente Computer Gross Italia • Mario Derba, Regional Vice President Oracle Systems Sales, Sud Europa • Riccardo Maiarelli, fondatore e Chief Executive Officer ICOS • Stefano Mantegazza, Senior Vice President NTT DATA Italia • Giovanni Moriani, Presidente Var Group • Andrea Navalesi, Amministratore Delegato Sinergy • Luca Pirovano, Managing Partner Deloitte XBS • Giorgio Racca, CEO TechEdge do Brasil Consultoria em Informatica • Giovanni Ravasio, Country Leader Applications Oracle Italia • Filippo Rizzante, Chief Technology Officer Reply • Sauro Romani, Alliances and Channels Country Leader Oracle Italia • Fabio Spoletini, Country Leader Technology Oracle Italia • Orazio Viele, Direttore Generale Direzione Tecnica, Ricerca e Innovazione Gruppo Engineering • Roberta Viglione, Presidente e Amministratore Delegato Mauden

Romani, è formalizzare i relativi ruoli all’interno della relazione, in cui il partner porta la propria conoscenza approfondita del cliente, mentre il vendor deve essere in grado di prefigurare le opportunità che le tecnologie innovative possono abilitare, rendendo i partner in grado di sfruttare al meglio tali innovazioni per realizzare le soluzioni che hanno individuato. «La seconda è fare più leva sui business case internazionali, che contribuiscono in modo significativo alla comprensione delle opportunità da parte dei clienti e favoriscono la replicabilità in Italia, mettendo a disposizione dei partner le competenze necessarie». All’interno di una relazione più esclusiva tra il vendor e uno specifico partner, gli attori potrebbero invece focalizzarsi sulla specializzazione settoriale. Quando una specifica soluzione può avere un ambito di applicazione oltre il singolo cliente ed esteso a un intero settore, è importante trovare una sinergia tra il partner, che deve rispondere alle esigenze dei clien-

«Per una reale efficacia della collaborazione è necessario uscire da una visione puramente opportunistica, e fare un passo avanti insieme verso la specializzazione dei partner per settore» | 68 |

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ti, e il vendor, che deve supportare l’individuazione delle tecnologie abilitanti. «La tecnologia del Vendor, quando è rappresentata da un sistema già nativamente integrato, costituisce per il Partner una vera opportunità per focalizzarsi esclusivamente sulla soluzione di business, ridurre i rischi di progetto e ottenere un vantaggio competitivo rispetto alla scelta di adottare soluzioni eterogenee». Un passo importante per il mercato Per una reale efficacia della collaborazione, continua Romani, è necessario uscire da una visione puramente opportunistica e fare un passo avanti insieme verso la specializzazione dei partner per settore. In un canale di vendita complesso, questo richiede di costruire una mappatura dei settori “preferiti” dai diversi partner, su cui il vendor si impegna a contribuire con capacità di investimento e forza commerciale. L’esperienza di discussione e confronto svolta all’interno dell’Oracle Partner Advisory Board, conclude Romani, ha permesso di mettere a confronto in maniera propositiva e costruttiva le diverse parti che si trovano oggi a collaborare sul mercato per portare soluzioni innovative alle aziende clienti. «La positività e partecipazione in questi confronti è stata molto alta, con una chiara esposizione dei diversi punti di vista e delle criticità e con molte idee concrete di miglioramento, tanto che l’Oracle Partner Advisory Board è proseguito anche nel 2014. Crediamo che questo possa essere un primo passo importante per rendere più saldo e allineato il mercato dell’offerta ICT italiana, rendendolo sempre più un fattore di traino nel percorso di innovazione digitale delle imprese del nostro Paese».


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La terza edizione del TEDxLecce è dedicata al futuro

Dopo “Innovazione e imprenditorialità” e “Coraggio”, la terza edizione del TEDxLecce sarà dedicata al “Futuro”. Storie di economia, scienza, impresa, food, arte, teatro, impegno sociale, diritti umani e civili, agricoltura, nuove tecnologie e comunicazione si alterneranno sabato 25 ottobre (dalle 15.30 alle 19.30) sul palco del Teatro Politeama Greco di Lecce. L’elenco degli speaker (che avranno a disposizione dai 5 ai 15 minuti) è in continua evoluzione. Questi alcuni nomi già confermati: Alexander Aleinikoff, vice Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati; Lina Ben Mhenni, giovane attivista e blogger tunisina; Tim West, food hacker e fondatore del Future Food Tech; Cesare Cacitti, classe 1999, che a tre anni costruiva mulini a vento, a otto ha scoperto l’elettronica e a tredici aveva già assemblato la sua prima stampante 3D; Maria Letizia Gardoni, presidente di Coldiretti Giovani; Salvo Mizzi, fondatore di Working Capital; Amedeo Balbi, astrofisico e ricercatore all’Università di Roma Tor Vergata; Matteo Ruina, ingegnere e giovane imprenditore; Stefania Druga, fondatore di Hackidemia; l’attore Omar Argentino Galván, uno dei più importanti referenti internazionali sulle tecniche di Improvvisazione teatrale, e molti altri che saranno annunciati nelle prossime settimane. Sul palco anche le esperienze della Singularity University - progetto della californiana Silicon Valley che

Storie di economia, informazione, scienza e impresa, arte e design, impegno sociale, diritti umani e civili: dopo le esperienze degli scorsi anni dedicate all’innovazione e al coraggio, torna la versione salentina dell’evento internazionale per la diffusione delle idee di valore

ogni anno seleziona i migliori studenti da tutto il mondo con l’obiettivo di individuare i progetti e le idee capaci di cambiare il nostro futuro - e del Future Food Institute - nato a Bologna con l’obiettivo di innescare un cambiamento radicale, un impatto positivo a favore del pianeta e del nostro nutrimento. Tra gli ospiti pugliesi il TedxLecce accoglierà l’imprenditore Angelo Petrosillo, la filosofa Alessandra Beccarisi, il giornalista, social media manager e consulente di comunicazione politica Dino Amenduni, il food performer, food hacker e eat-tertainer Nicola Difino, il direttore artistico di Lecce2019 Airan Berg. Come per la passata edizione TEDxLecce sarà arricchito, inoltre, da altri due giorni di workshop, incontri, dibattiti, confronti, lezioni, laboratori per bambini, un makers corner e qualche sorpresa. Dal 24 al 26 ottobre, infatti, XOff coinvolgerà giornalisti, imprenditori, attivisti, blogger, ricercatori, musicisti, docenti universitari, scrittori, designer, amministratori pubblici con una serie di incontri (tutti a ingresso gratuito) disseminati in vari luoghi di Lecce su economia e impresa, politiche giovanili e lavoro, diritti e inclusione sociale, libertà di informazione e censura, Medio Oriente e attivismo digitale, comunicazione politica, scienza, design e molto altro (il programma completo sarà comunicato a inizio ottobre - www.xofflecce.it). TEDxLecce - che nelle prime due edizioni ha ospitato, tra gli altri, Maryam Al Khawaja, Azadeh Moaveni, Brad Templeton, Christophe Deloire, Ernesto Assante e Gino Castaldo, Kerry Kennedy, Renato Soru, Sandra Savaglio, Marco Zamperini, Fabio Novembre, Ennio Capasa - è organizzato dall’Associazione “Diffondere idee di valore”.

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Speciale “big data”

Ecco lo tsunami perfetto di dati I Big Data sono uno dei trend più importanti per il destino delle imprese. Lo alimentano quattro fenomeni convergenti: le tecnologie di elaborazione e storage sempre più potenti e meno costose, l’esplosione dei device mobili, la diffusione del social networking e il Cloud Computing. Le conclusioni del report “I big data analytics: definizione e trend in atto” dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence del Politecnico di Milano

I Big Data rappresentano oggi uno dei trend più importanti per il destino delle imprese. Ad alimentarlo sono quattro fenomeni convergenti: le tecnologie di elaborazione e storage sempre più potenti e meno costose, il numero crescente di device mobili nelle mani di ciascuno di noi, la diffusione sempre più massiccia del social networking e il Cloud Computing. A concorrere alla creazione di questo enorme bacino di dati ci sono le rilevazioni dei sensori digitali presenti in sempre più oggetti di uso comune (Machine to Machine), le interazioni e messaggi veicolati attraverso le reti sociali e il web 2.0 (People to People), e le transazioni originate dall’utilizzo di miliardi di dispositivi da parte degli individui (carte di credito, smartphone, tablet, carte fedeltà, ...), dette “People to Machine”. Data scientist, il lavoro del futuro Vista la loro natura intrinseca, i Big Data sono in grado di descrivere fenomeni di massa e sono carat| 70 |

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terizzati da regolarità sorprendenti. Questo vuol dire che attraverso sofisticati algoritmi matematici è possibile trasformare la raccolta di dati in informazione e conoscenza, preziosi per chi lavora nell’ambito di riferimento. Per questo sono state studiate procedure di analisi rapide e scalabili, che via via permettono di raggiungere un grado di accuratezza sempre maggiore. Ad esempio oggi si è in grado di classificare in pochi secondi il sentiment di milioni di post testuali con un’accuratezza del 90-95%, quando tale attività richiederebbe innumerevoli ore se fosse svolta da content analyst umani. Per supportare l’attività di analisi sta emergendo il ruolo dei data scientist - di fatto uno dei job più promettenti del futuro - con una domanda stimata di 1,2 milioni di esperti nell’ambito dei Big Data Analytics per il prossimo decennio. Proprio per questo molte università stanno pensando a percorsi ad hoc e nuovi orientamenti di laurea in quest’area per la formazione


Speciale “big data” di figure professionali con le competenze necessarie per gestire e analizzare correttamente queste enormi moli di dati. UK: l’analisi dei social contro le pandemie Ad essere interessati dal fenomeno Big Data sono pressoché tutti i comparti dell’industria e dei servizi, che stanno prendendo coscienza sempre maggiore di quanto possa essere strategica una corretta gestione dei dati a disposizione delle aziende, di qualsiasi natura essi siano. Per rendere meglio l’idea basta pensare al monitoraggio dei social media, che permette di analizzare le preferenze e il gusto degli utenti e di classificare le opinioni relative a prodotti, servizi, brand, temi e leader politici. Integrando queste informazioni con i dati transazionali, le imprese possono cercare di rendere più efficaci e mirate le proprie azioni di marketing. Ma l’analisi dei dati raccolti dai sensori può fare la differenza anche in campi completamente diversi: ad esempio può consentire di svolgere manutenzioni preventive e di ridurre i guasti imprevisti. È poi indubbio che c’è un fortissimo impatto anche sulla vita degli individui, se si pensa alle innumerevoli applicazioni nell’ambito dei servizi di utilità sociale, come la diagnostica medica che può trarre enormi benefici dall’analisi puntuale dei percorsi sanitari, con risvolti positivi per il cittadino e per i costi del sistema sanitario. Nel Regno Unito, attraverso l’analisi dei tweet e dei post diffusi sui social network, si è riusciti ad anticipare l’evoluzione delle pandemie influenzali, con una precisione del sistema adottato dalle autorità sanitarie inglesi nettamente superiore a quella dei tradizionali meccanismi di previsione basati sulle segnalazioni di medici e unità sanitarie. Ma non finisce qui. Perché dall’analisi dei Big Data si possono anche individuare efficacemente le frodi in ambito creditizio, assicurativo, fiscale, monetario e sanitario. I tre livelli della Social Analytics Come accennato, la Social Network Analysis sta sempre più diventando un tassello fondamentale nella definizione delle strategie aziendali. L’analisi delle interazioni tra utenti, siti web, pagine di interesse, aziende e prodotti consente di individuare segmentazioni più puntuali della customer base, permettendo di cogliere la nascita di nuove tendenze o l’abbandono di prodotti o servizi specifici dell’azienda.

Infatti l’analisi di reti sociali, blog e siti internet consente di raccogliere informazioni prima difficilmente reperibili, e da una loro valutazione puntuale è possibile definire le caratteristiche comportamentali di clienti o prospect, scoprire eventuali criticità nella pianificazione delle azioni promozionali, cogliere nuovi spunti per specifiche iniziative di viral marketing. A questo tipo di analisi si affianca la cosiddetta “sentiment analysis” che studia le reazioni emotive dei consumatori rispetto a specifiche iniziative intraprese dalle aziende: oggi, grazie alla loro diffusione, ambienti come Twitter garantiscono riscontri immediati facendo emergere trend potenzialmente interessanti per le imprese. L’estrema diffusione, poi, di dispositivi mobili sempre connessi genera un traffico sempre più geo-localizzato, che alimenta anche sui social network azioni di marketing sempre più mirate. Per aiutare le aziende nel supportare le decisioni strategiche attraverso l’utilizzo dei social media all’interno della strategia di marketing, gli strumenti di Social Analytics - oggi utilizzati dal 54% delle imprese italiane - sono stati declinati in diversi livelli di analisi: Social Monitoring, Social Listening, e Social Intelligence. Più precisamente, si va dalla pura raccolta di dati del Social Monitoring, alla capacità di creare report, dashboard, liste e classifiche tipica del Social Listening, alla traduzione infine di tutto questo in performance e business analytics con la Social Intelligence.

IDC: in Italia progetti ancora limitati In Europa il 15% delle imprese non sa cosa siano i Big Data, e su un panel di 1.651 aziende italiane, tedesche, francesi, spagnole e inglesi, il 53% ammette di non aver adottato alcuna soluzione per elaborare grandi quantità di informazioni non strutturate. Ad affermarlo è IDC, che recentemente ha presentato i dati di una ricerca condotta nel 2013 a livello europeo. In Italia su 100 aziende intervistate è il 30% ad aver introdotto strumenti di Analytics e Big Data Management. Di queste, però, il 18% fa uso di questi strumenti per progetti pilota e sperimentazioni tecniche limitate, e solo il 6% utilizza Big Data e Analytics in programmi coordinati ai bisogni di business più ricorsivi. Le motivazioni per cui i manager italiani non usano i Big Data in modo adeguato sono legate soprattutto alle scarse competenze (35%), alla mancanza di definizione dei requisiti di business (25%) e al prezzo delle soluzioni (10%). Eppure il 70% delle aziende ritiene che le tecnologie Big Data costituiscano un’opportunità per rendere più efficienti i processi analitici già attivi, il 25% le considera un’opportunità per essere più competitivi grazie a nuove possibilità di correlazioni e analisi delle dinamiche di business, e il 5% un’opportunità per innovare il modello di business e crescere sui nuovi mercati con prodotti e servizi mirati.

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Innovazione a misura di business

AGENDA DIGITALE

DOCUMENT MANAGEMENT FATTURAZIONE ELETTRONICA

OPEN DOCUMENT

ANAGRAFE UNICA

FIRMA GRAFOMETRICA

BIG DATA

CONSERVAZIONE SOSTITUTIVA CLOUD BYOD

IDENTITÀ DIGITALE

Roma, 12 - 13 novembre 2014 www.omat360.it Dal 1990, OMAT è riconosciuta dal mercato come la principale mostra convegno italiana dedicata alla gestione delle informazioni digitali e dei processi aziendali. Area expo, convegni e laboratori studiati per mettere in contatto organizzazioni pubbliche e private con i fornitori più innovativi. Il futuro della tua azienda è nelle tue mani: partecipa a OMAT. Per info: omat@iter.it

OMAT è un progetto ITER - via dei Valtorta 6, 20127 Milano - tel 02.28.31.16.1 - fax 02.28.31.16.66


Speciale “big data”

Fujitsu: il percorso che porta ai big data

Il tema dei Big Data non è, almeno per il momento, nella maggior parte dei casi nel mirino dei responsabili delle Line of Business, ossia dei destinatari naturali delle nuove applicazioni in grado di sondare mercati e Web per individuare nuove opportunità di business. Questa almeno è l’opinione di Donato Ceccomancini, Head of Sales Operation e Consultant di Fujitsu Italia. «In questa fase del ciclo economico le aziende preferiscono rendere più efficienti i processi analytics già in corso – spiega – e i Big Data restano tematica d’interesse tecnico, appannaggio dei reparti IT». Non senza destare interesse per altre potenzialità. Le tecnologie dei Big Data sono d’aiuto anche con applicazione tradizionali per ottenere elaborazioni più veloci di business intelligence o business analytics. «Aiutano a rendere più efficaci i processi decisionali d’impresa, a migliorare il supporto alle vendite o le valutazioni di rischio». Dal punto di vista di un vendor come Fujitsu si tratta insomma di un’evoluzione naturale del mondo IT, «che aiuta le aziende a fare un uso migliore dei loro dati – continua Ceccomancini – e prepararsi a flussi di informazioni in quantità sempre crescenti dall’interno e dall’esterno dell’impresa, strutturate e non». L’utilizzo dei Big Data si configura come un percorso a più fasi. «La prima riguarda la capacità di raccogliere i dati – spiega Ceccomancini – e quasi tutte le aziende sono già attrezzate per farlo, con sistemi di archiviazione e di storage. Segue l’adozione di adeguati strumenti di security e disaster recovery. Poi la meno comune disponibilità di strumenti per ripulire e qualificare i dati da analizzare. Infine l’adozione di sistemi in grado di

«I BiG Data aiutano a rendere piu’ efficaci i processi decisionali d’impresa, a migliorare il supporto alle vendite e le valutazioni di rischio». Per questo è fondamentale supportare le aziende a fare un uso migliore dei loro dati

Donato Ceccomancini Head of Sales Operation e Consultant Fujitsu Italia

parallelizzare i processi di analisi e di soluzioni applicative in grado di prendere decisioni di business in tempi rapidi». Fujitsu è oggi impegnata a coprire le differenti fasi del processo d’adozione grazie a collaborazioni tecnologiche in campo database (Sap, Sofware AG, Oracle), storage flash (Fusion IO, Violin) oltre che con il mondo dell’open source con Hadoop. Chi ha interesse per le soluzioni big data? «C’è molto interesse da parte di banche e multinazionali che vogliono sperimentarne le possibilità prima che l’esplosione di dati trasformi in un collo di bottiglia la gestione esistente», afferma Ceccomancini. I sistemi consentono di misurare realtime il business, analizzano il rischio secondo le norme di Basilea, valutare la clientela nel momento della concessione dei mutui. «Per le banche è un mezzo per riprogettare le filiali facendone un punto di contatto con i clienti, lasciando l’operatività ai sistemi automatici ATM o online». Seguono le aziende telco e retail che hanno interesse a conoscere con sempre maggiore dettaglio i comportamenti dei clienti per proporre servizi personalizzati. Altro settore è infine quello del governement, che può usare la tecnologia per individuare frodi fiscali o migliorare l’efficienza.

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Speciale “big data”

Big Data, in Italia per le grandi aziende è l’anno della svolta

“Big Data” oggi è una delle espressioni più inflazionate quando si parla di ICT in azienda, e non è facile capire in che misura queste tecnologie abbiano già applicazioni concrete, in particolare in Italia. Per avere un punto di vista da “addetto ai lavori” abbiamo parlato di questi temi con Marco Albertoni, Big Data & Analytics Leader di IBM Italia, anche perché IBM ha appena lanciato Watson Analytics, una soluzione di “cognitive computing” per professionisti aziendali che usano alti volumi di dati (marketing, vendite, operation, finanza, ecc.), definita dal vendor “l’annuncio più importante negli ultimi dieci anni in area analytics”. «Quest’anno ha segnato la svolta, quasi tutti i clienti con cui lavoriamo - le maggiori aziende, banche e istituzioni in Italia - stanno aprendo “cantieri” per capire come sfruttare le tecnologie analytics e big data: c’è disponibilità a investire, e curiosità intellettuale». Alcuni, continua Albertoni, hanno idee già chiare e scelgono un ambito preciso per partire, per esempio nella Grande Distribuzione molti stanno facendo progetti pilota di customer e marketing analytics per trasformare la relazione con il cliente attraverso l’analisi dei dati. «Uno dei più grandi retailer italiani ci ha detto “questo è l’anno degli analytics per noi”. Dopo aver investito tantissimo nei sistemi ERP, vogliono sfruttare il patrimonio informativo accumulato, e anche integrare questa base dati con fonti esterne». In altre realtà invece, tipicamente banche e grandi enti pubblici, il perimetro è più ampio: «Si tende a co-

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molte delle maggiori imprese, istituzioni e banche stanno aprendo “cantieri” per sfruttare queste tecnologie, con cinque principali ambiti d’azione. «IBM vuole “democratizzare” le applicazioni più avanzate con la nuova soluzione Watson Analytics»

Marco Albertoni Big Data & Analytics Leader IBM Italia

struire un laboratorio di big data e analytics, e a lanciare due o tre iniziative allo stesso tempo in diversi ambiti, misurandone l’evoluzione e i risultati rispetto alle attese, anche in termini di tecnologie usate e approccio organizzativo». Dal punto di vista applicativo sono cinque gli ambiti particolarmente attivi. «Uno più tradizionale, che incide direttamente sul fatturato, riguarda tutto ciò che ruota intorno al marketing e al CRM. Una seconda area sono le operation, abbiamo casi di controllo della fabbrica in senso lato, e quindi della supply chain, e altri nel settore telco di network analytics, sia da un punto di vista strettamente tecnico, per tenere sotto controllo il funzionamento della rete, sia per applicazioni di marketing, perché analizzando andamenti del traffico e modalità d’uso della rete posso proporre offerte mirate, come piani tariffari e nuovi servizi». La terza area è quella del finance in senso lato: amministrazione, finanza e controllo, con applicazioni dal performance management alla business intelligence tradizionale allo scorecarding. «Infine due tematiche piuttosto specifiche: il “fraud management”, a cui


Speciale “big data” sono interessati enti pubblici e finance, e la gestione del rischio, che pure tocca prima di tutto banche e assicurazioni, con applicazioni di portfolio optimization, bilanciamento delle esposizioni finanziarie e così via». la criticità delle competenze A fronte del grande interesse, però, una forte criticità è la carenza di competenze. «Sono necessarie figure nuove, analisti di business con un background statistico-matematico, o specialisti che sappiano ripensare i data warehouse incorporando la componente di dati destrutturati», spiega Albertoni. Servono quindi iniziative universitarie o post-universitarie che formino competenze tecniche ma anche manageriali: «Anche noi ci stiamo impegnando insieme al Politecnico di Milano con un Centro per l’Innovazione dedicato a Big Data e Business Analytics, che prevede cinque programmi di formazione, dalla laurea Magistrale al PhD, dai corsi post-graduate agli ambiti start-up e corporate». E poi c’è l’impegno delle singole aziende: «Alcuni creano dei centri interni di competenze, sia tecnologiche sia organizzative: un cliente per esempio mi ha spiegato di avere una trentina di persone IT con competenze sui sistemi transazionali, la metà delle quali sarà “riorientata” su skill Analytics e Big Data con un piano di formazione di sei mesi». In questo scenario, evidenzia Albertoni, si sta verificando il passaggio dalla Business Intelligence tradizionale, che descrive il fenomeno, a una “advanced analytics” che comporta due evoluzioni: la capacità di fare previsioni, basata su pattern analysis e simulazioni, e l’automazione del maggior numero possibile di passaggi del processo decisionale, per accorciare i tempi e reagire quasi in real time, gestendo manualmente solo le eccezioni. dalle query al linguaggio naturale Queste due capacità dell’advanced analytics oggi si riescono a sfruttare solo tramite specialisti rari e competenze statistico-matematiche superiori alla media, ma qui entra in gioco Watson Analytics, la soluzione appena annunciata da IBM accennata in apertura, che ha appunto l’obiettivo di “democratizzare” gli strumenti di analytics evoluti rendendoli alla portata di persone di business non specialiste di analisi dei dati. «È pensata per essere facile da usare, con fruibilità immediata anche dal punto di vista visuale di report, scorecard, grafici, anche su device mobili - spiega Albertoni -. E un altro elemento rivoluzionario è che l’interfaccia di dialogo si basa sul linguaggio naturale: se per esempio voglio sapere perché ho venduto tanto in questo mese, non devo mettere a punto una query, basta scrivere direttamente la domanda nel sistema:

“Quali sono i fattori meglio correlati all’andamento delle vendite?”». Oltre alla completa accessibilità in Cloud, conclude Albertoni, sono queste tre caratteristiche che distinguono nettamente Watson Analytics da altre offerte sul mercato: linguaggio naturale, motori di calcolo statistici matematici resi immediati per utenti non professionali, e facile fruibilità delle informazioni prodotte su qualsiasi dispositivo.

Per iniziare a scoprire Watson Analytics basta inquadrare questo QR Code, che conduce a un sito che spiega le principali caratteristiche della nuova soluzione IBM di “cognitive computing”

Dati da sensori e social, cosa c’è di concreto L’aspetto forse più di frontiera del “pianeta Big Data” è lo sfruttamento di dati da fonti non strutturate, come sensori e social network: cosa c’è di concreto in quest’ambito in Italia? «I progetti già in corso riguardano realtà che per qualche motivo hanno reti di sensori avanzati già installate, per esempio le telco, che hanno sonde per il controllo della rete, o le utility che hanno i contatori per la telelettura dei consumi elettrici e del gas - spiega Marco Albertoni, Big Data & Analytics Leader IBM Italia -: le informazioni su andamenti e abitudini di consumo permettono di proporre servizi aggiuntivi o tariffe alternative». Altri progetti sono più sperimentali: «Per esempio alcune grandi industrie stanno valutando sistemi di predictive maintenance degli impianti negli stabilimenti, ma in questo caso non c’è ancora una rete di sensori e bisogna capire bene anche come costruirla». Infine i dati social: «C’è molto interesse ma anche grandi dubbi sul reale valore dei dati che si raccolgono, e sul fatto se sia meglio un approccio estemporaneo, tipo indagine di mercato una volta ogni tanto di cosa pensa la rete di me - magari quando ho appena lanciato un prodotto -, o la creazione di un sistema di “ascolto” continuo». Le valutazioni dell’uso dei dati social, comunque, conclude Albertoni, per ora si concentrano soprattutto sul Mobile, nell’ambito del ripensamento della customer experience in chiave multicanale, per capire come proporre offerte aggiuntive e mirate.

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CALENDARIO WORKSHOP PREMIUM / WEBINAR PREVISTI NEL 2014 PER AREA TEMATICA

(Il calendario è provvisorio, potrebbe subire modifiche - visitare www.osservatori.net per le date aggiornate)

WORKSHOP PREMIUM 18.09.14 | Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione

11.11.14 | Mobile Payment & Commerce

29.09.14 | eCommerce

20.11.14 | Cloud & ICT as a Service

02.10.14 | Mobile Payment & Commerce

03.12.14 | Mobile Marketing

06.10.14 | Compliance - Banche

00.12.14 | eCommerce B2c

09.10.14 | eCommerce

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14.10.14 | CRM - Compliance

19.09.14 | Internet of Things 25.09.14 | Mobile Payment & Commerce 08.10.14 | Compliance

24.10.14 | HR Innovation Practice

WEBINAR

29.10.14 | Mobile Banking 30.10.14 | Mobile Marketing

17.10.14 | Internet of Things

15.09.14 | Cloud Computing

31.10.14 | Big Data

03.11.14 | Compliance

22.09.14 | Compliance - Banche

10.11.14 | Cloud Computing - Compliance

07.11.14 | Smart Working

26.09.14 | HR Innovation Practice

25.11.14 | Compliance


Speciale “internet of things”

L’IoT cambia la creazione e la “cattura” del valore In un mondo connesso dall’Internet of Things si può aggiungere valore a un prodotto, e trarne ricavi, anche dopo averlo venduto al cliente. La tracciabilità dei comportamenti d’uso e l’interazione con centri di controllo e altri prodotti crea opportunità del tutto nuove, dove più che gli skill interni conta la capacità di creare un buon ecosistema di partner, scrive la Harvard Business Review

Man mano che le tecnologie e le applicazioni di Internet of Things (IoT) si diffondono, i loro impatti sui modelli di business in molti settori si fanno sempre più vasti, costringendo le aziende a ripensare radicalmente le loro strategie di creazione del valore, e “cattura” del valore (value capture). Su questo tema recentemente è apparso sul blog della Harvard Business Review un interessante intervento di Gordon Hui, contributor della prestigiosa rivista, e Leader Business Design & Strategy practice di Smart Design, società di consulenza specializzata in design e innovazione con sedi a New York, San Francisco e Londra. La creazione del valore (value creation) implica una serie di attività appunto per aumentare il valore dei prodotti/servizi dell’azienda, e la propensione dei clienti a pagare per esso, ed è il cuore di ogni modello di business, scrive Hui. Nelle tradizionali aziende di prodotto, creare valore significa individuare delle esigenze durevoli delle persone e concretizzarne le soluzioni in prodotti ben progettati e costruiti. Le | 78 |

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funzionalità sono cruciali, e quando l’innovazione funzionale diventa incrementale la competizione si sposta sul prezzo. È tuttora un trend evidente in moltissimi settori consumer. In un mondo connesso però il prodotto non è finito una volta per tutte. Grazie alla possibilità di aggiornare online, nuove funzioni possono essere inviate al prodotto nel tempo. La possibilità di tracciare l’utilizzo permette di “adattare” il prodotto ai comportamenti dei clienti. E ovviamente i prodotti possono essere connessi tra loro e fornire dati preziosi da analizzare per mettere a punto nuovi servizi, prevedere la domanda, ottimizzare i processi, e migliorare la customer experience. Molti prodotti, come i termostati “intelligenti” di Nest (acquisita da Google) o le lampadine “smart” Hue di Philips, dimostrano le nuove possibilità di creazione del valore offerte dall’IoT. Oltre alla value creation, le tecnologie IoT e la condivisione e analisi dei dati in Cloud rivoluziona-


Speciale “internet of things”

no anche la fase successiva, la value capture, cioè la monetizzazione del valore creato per il cliente. L’approccio tradizionale in questo caso prevede semplicemente la definizione del prezzo ottimale per massimizzare il margine. Cosa che richiede l’ottimizzazione del flusso dei prodotti dalla fabbrica al negozio, e il controllo dei punti chiave della catena del valore, riguardo per esempio a elementi come costi delle commodity, brevetti, forza dei brand. In un mondo connesso, però, il business non è ristretto alla vendita fisica di prodotti, il cui importo può addirittura essere superato da altre fonti di fatturato successive: servizi a valore aggiunto, abbonamenti, Mobile App. Hui cita Renee DiResta, Principal del fondo d’investimento O’Reilly AlphaTech Ventures, secondo cui i venture capital oggi sono attratti soprattutto «da modelli di business basati su entrate ricorrenti, e/o che generano una fidelizzazione tale da spingere il cliente agli acquisti successivi al primo». A questo proposito l’IoT aiuta anche ad aumentare le possibilità di fidelizzazione, moltiplicando le opzioni di personalizzazione e contestualizzazione: un effetto ulteriormente amplificato nel caso di una piattaforma che comprenda più prodotti e servizi. Le tre strategie di Porter non si escludono più tra loro Altro aspetto importante del nuovo scenario è che l’enfasi si sposta dalla corsa a creare competenze interne, alla capacità di saper cercare buone partnership. Capire come le altre realtà nel proprio ecosistema “fanno soldi” è fondamentale per il successo nel lungo termine. In altre parole con la diffusione dell’IoT nessuna azienda può pensarsi “da sola”: la catena del valore diventa più complessa e articolata, e occorre pensare sia a come fare soldi, sia a come il proprio prodotto può aiutare altri a generare e raccogliere valore. Hui conclude citando il libro “Competitive Strategy” di Michael Porter, pietra miliare del management. Porter descrive tre strategie generali di generazione del valore – differenziazione, leadeship di costo, e focalizzazione – che rimangono valide ancora oggi per molti settori. «Ma in quelli in cui l’IoT comincia già ad avere un forte impatto, queste strategie non sono più mutuamente esclusive: piuttosto si possono rafforzare l’una con l’altra nella value creation e nella value capture».

smart city in italia, in crescita i progetti multifunzionali L’espressione Smart City è un concetto molto ampio e non solo tecnologico, che spazia dalla mobilità all’efficienza energetica, e dall’eGovernment alla partecipazione attiva dei cittadini, e si pone come obiettivo l’innalzamento degli standard di sostenibilità, vivibilità e dinamismo economico delle città del futuro. Per fare il punto sugli sviluppi in corso e sulle tendenze che ne emergono, l’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano ha effettuato un’analisi su 116 città (51 in Italia, 65 all’estero), e 258 applicazioni Smart City abilitate dalle tecnologie IoT. Una delle principali risultanze è il progressivo spostamento verso progetti nativamente multifunzionali, cioè che condividono − in tutto o in parte − la dotazione tecnologica tra più applicazioni. L’analisi internazionale mostra che più del 30% dei progetti avviati dal 2012 tocca almeno due ambiti applicativi, il 12% almeno tre. La multifunzionalità tocca – con i dovuti distinguo – sia piccoli Comuni che grandi metropoli. Nel primo caso i progetti si concentrano su pochi ambiti applicativi, come nel caso di Integreen a Bolzano, che aggrega informazioni dinamiche su traffico e parametri ambientali raccolte da veicoli sonda, e dati statici di centraline fisse. Le metropoli invece adottano piattaforme che toccano più aree tematiche, come la Smart City Platform di San Francisco che − sfruttando la rete wireless Mesh di sensori sparsi per la città − consentirà la gestione centralizzata e da remoto di sistemi di Illuminazione intelligente, Smart Metering & Smart Grid, Gestione della viabilità, Sicurezza, e ricarica delle batterie per veicoli elettrici. A livello globale le applicazioni IoT per la Gestione della viabilità numericamente predominano: il 65% delle città ha avviato almeno un’iniziativa di questo tipo. Un esempio interessante è il progetto Compass4D di Verona, avviato nel 2013, in cui la comunicazione tra veicoli e sistema semaforico consente di migliorare fluidità e sicurezza della circolazione. Risultano molto diffuse in Italia le applicazioni di Illuminazione intelligente per il telemonitoraggio e telecontrollo dei lampioni (13% delle applicazioni, 30% delle città italiane analizzate) e di raccolta rifiuti per l’identificazione dei cassonetti e il supporto alla tariffazione puntuale (13% delle applicazioni, 28% delle città). Vi sono progetti di Illuminazione intelligente che integrano videosorveglianza e monitoraggio del traffico e dei parametri ambientali (progetto Spiga Smart Street a Milano), o soluzioni per la Sicurezza che uniscono alla tradizionale videosorveglianza il monitoraggio delle folle e la rilevazione automatica degli incidenti (progetto VANAHEIM a Torino). L’Osservatorio nota con soddisfazione che sempre più spesso gli investimenti in progetti Smart City mostrano una “regia comune” cittadina, entro cui le singole applicazioni − avviate anche da attori distinti – possono inserirsi in modo coeso e più aderente ai bisogni e risorse della comunità. Si registra così la nascita di programmi Smart City a Genova, Milano, Napoli e Torino, solo per citarne alcuni.

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Speciale “internet of things”

IoT, la roadmap perché diventi una realtà

Stiamo velocemente entrando nell’era delle “Internet of Things” (IoT). Tutte le proiezioni per i prossimi 5 anni indicano scenari con miliardi di oggetti connessi che toccheranno ogni aspetto delle nostre vite e piloteranno lo sviluppo di microcontrollori, sensori e radio transceiver di prossima generazione. Le opportunità di sviluppo di nuovi prodotti e di ridefinizione dei business model delle aziende sono enormi. E sono altrettanto notevoli gli sforzi tecnologici che l’implementazione dell’infrastruttura delle IoT richiede a software house, vendor IT e operatori Tlc, ma anche a produttori di semiconduttori come Freescale, come ci spiega Gianfranco Cardamone, EMEA Industrial Sales Manager dell’azienda. Quali sono i criteri di sviluppo che oggi l’IoT impone per le vostre soluzioni? Partendo dagli “oggetti connessi”, mai come oggi i criteri di sviluppo sono pilotati dalle richieste di rapporti prezzo/prestazioni eccellenti, piccole dimensioni meccaniche, bassi consumi energetici, alta qualità/affidabilità e sicurezza. Proprio la sicurezza dei dati è uno dei principali rompicapo che dobbiamo affrontare, sia per motivi di privacy (informazioni sullo stile di vita) che di proprietà intellettuale (gli oggetti connessi aprono la porta a potenziali attacchi di hacker). Per rispondere a questo problema, Freescale sta implementando diverse soluzioni nei propri microcontrollori, nella convinzione che la risposta che verrà sia da soluzioni Hardware che dall’interazione tra HW e SW. Per questo sta collaborando con Oracle per utilizzare un sistema operativo sicuro come Java Embedded su microcontrollori di basso costo.

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l’industria sta compiendo importanti sforzi tecnologici per far sì che le applicazioni basate sugli oggetti intelligenti interconnessi prendano forma. Nel campo dei semiconduttori, in particolare, l’attenzione è sulla sicurezza dei dati e sulle prestazioni

Gianfranco Cardamone EMEA Industrial Sales Manager Freescale

L’alta capacità di calcolo richiesta dagli oggetti IoT quali sfide comporta a livello progettuale? Gli oggetti connessi richiedono una capacità di calcolo molto più elevata rispetto ai microcontrollori embedded stand-alone che fanno funzionare le nostre lavatrici, le autovetture, i termostati. La connessione real-time delle IoT richiede che il microcontrollore debba occuparsi del protocollo di comunicazione di grosse moli di dati con un transceiver, in aggiunta al normale lavoro di controllo del funzionamento dell’oggetto. E non è possibile incrementare le frequenze di funzionamento, perchè impatterebbe su consumi e dissipazione termica. Freescale, in alleanza con ARM, ha risposto a tale problema con microcontrollori basati su core ARM 32 Bit Cortex M0+, ovvero architetture a 32 Bit con alta capacità di calcolo che lavorano a frequenze simili a quelle dei tradizionali 8 Bit. A questo punto quali problemi rimangono aperti? Uno importantissimo per esempio riguarda le reti di telecomunicazioni dati (wireless e wired), che saranno fortemente sollecitate dall’aumento esponenziale degli oggetti connessi. È necessario un piano di sviluppo delle infrastrutture, e all’Italia, in particolare, è richiesto un grosso sforzo in questo senso.


Speciale “internet of things”

Innovazione Made in Italy allo Smart Cities Expo World Congress

Dal 18 al 20 novembre 2014 Polo Tecnologico di Pordenone, ISIA Roma Design e ICE – Italian Trade Agency saranno a Barcellona per lo Smart Cities Expo World Congress che vedrà presenti più di 9.000 visitatori, 160 aziende e 300 municipalità da tutto il mondo. I temi trattati al congresso internazionale, che ha come altre sedi dell’evento Kyoto, Montreal e Bogotà, saranno: smart cities, energy, technology, mobilità sostenibile, governance e città sostenibili. Ed è sul tema delle città sostenibili che il team Polo-ISIA-ICE concentrerà la sua partecipazione a questo importante incontro. Oggetto dello stand sarà infatti Transition Town, percorso metodologico transdisciplinare che affronta i temi legati ai nuovi modelli di insediamento urbano, sviluppati attorno al significato di “transizione” quale paradigma con cui leggere alcuni processi chiave nell’era del mercato globale. La partecipazione fieristica vuole avere l’obiettivo di aggregare un polo di talenti italiani nell’imprenditoria, nella ricerca e nel design, e di raccordarlo con altrettanti poli internazionali per arrivare, attraverso una sorta di impollinazione incrociata delle competenze, dell’innovazione e del fare mercato, a una serie di collaborazioni e alleanze che diventino il punto di riferimento internazionale nel fornire soluzioni (progettare, costruire, ristrutturare, fornire materiali attrezzature e beni) per un habitat in grado di fronteggiare la sfida di un pianeta che ha raggiunto i 7 miliardi di abitanti e con risorse invece sempre più limitate. Transition Town non è solo un veicolo dell’innovazione tecnica e progettuale italiana in materia di habitat; si propone anche di mettere in collegamento sistematico aree ad alta intensità di ricerca e

All’evento, che si terrà a Barcellona dal 18 al 20 Novembre, parteciperanno Polo Tecnologico di Pordenone e ISIA Roma Design, assieme all’ICE Italian Trade Agency. talenti italiani nell’imprenditoria, nella ricerca e nel design presenteranno soluzioni per i nuovi modelli di insediamento urbano

innovazione (Giappone, Scandinavia, ecc.) con un sistema produttivo ad alta intensità manifatturiera e applicativa (design) come quello italiano, per generare nuove prospettive e opportunità economiche.

10 idee italiane per le città A Barcellona saranno presenti 10 realtà imprenditoriali (start up o imprese già mature), che rappresentano la vera soluzione italiana per le smart cities, ovvero soluzioni sostenibili, flessibili e pronte, progettate incorporando una agevole logistica di impianto, per permettere alle municipalità di tutto il mondo, grandi o piccole che siano, di adottare e introdurre agevolmente soluzioni high-tech che garantiscano ai propri cittadini servizi e qualità di vita sempre più alta a costi sempre più ridotti. Soluzioni, queste, che rompano gli schemi e le logiche fino a oggi adottate dai grandi player, generalmente orientati a proporre la trasformazione urbana solo in termini di investimenti immobiliari e infrastrutturali record, spesso rigidi di fronte alla mutevolezza delle condizioni sociali, e, di conseguenza, con benefici incerti sul lungo periodo. Un ottimo esempio di come l’ICE – Italian Trade Agency sia riuscito a individuare e aggregare attori in filiera e a mettere a fattor comune competenze che, grazie al supporto fornito, si presentano su palcoscenici internazionali in modo integrato e in rete, capaci così di affrontare sfide globali che singolarmente non avrebbero potuto.

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Speciale “internet of things”

La tua “Boardroom” funziona già come una cabina di pilotaggio?

Nelle “boardroom” di tutto il mondo le cose stanno cambiando grazie all’Internet of Things, l’Internet “delle cose”. Con l’accesso istantaneo agli asset e ai sistemi di business, infatti, il management esecutivo è adesso in grado di prendere le decisioni migliori, basate su informazioni di più alto livello. Come siamo arrivati a questo punto? Non molto tempo fa, il management doveva attendere la fine di un processo di reporting quasi del tutto manuale, e basare le proprie decisioni su informazioni e dati che potevano raggiungere le loro scrivanie dopo mesi. Dal momento in cui il business computing è passato dai datati mainframe degli anni ‘60 ai personal computer connessi in rete, i dati hanno iniziato a muoversi più velocemente e i parametri delle performance sono cambiati. Sfortunatamente, le informazioni sono rimaste legate agli aspetti che potevano essere valutati all’interno dell’azienda. Con il diffondersi della telefonia cellulare e grazie ai moduli che sono stati implementati in qualsiasi tipo di macchina, il machine-to-machine (M2M) ha allargato il raggio dei processi di business al di fuori dell’azienda. Oggi, infatti, la tecnologia Cloud consente a macchine, sensori e altri dispositivi di immagazzinare grandi quantità di dati non elaborati. Come i piloti in una cabina di pilotaggio di un aereo possono ottenere informazioni di alto livello da centinaia di sensori e sistemi su display, così i nuovi

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il machine-to-machine sta cambiando il modo in cui lavoriamo anche perché semplifica lo sviluppo di una Telepresenza Immersiva. L’evoluzione delle teleconferenze video di nuova generazione consente un’interazione molto più efficace rispetto ai sistemi di collaborazione attuali

Alexander Bufalino CMO Telit Wireless Solutions

manager, nella boardroom moderna – la Glass Boardroom –, sono in grado di far leva sulle analisi dei big data per raccogliere parametri di performance di campagne e lanci di prodotto, appena vengono implementati. Inoltre, possono interagire con i loro asset fino alla fine della supply chain, e visualizzare risultati integrati in tempo reale, e previsioni e trend basati sulle analisi dei dati, incluse le performance competitive. Insieme all’accesso immediato da parte dei manager alle analisi dei Big Data basate su Cloud, un altro processo attraverso cui il machine-to-machine sta contribuendo alla creazione della Glass Boardroom e cambiando il modo in cui lavoriamo è la semplificazione dello sviluppo di una Telepresenza Immersiva. L’evoluzione delle teleconferenze video di nuova generazione consente un’interazione molto più efficace rispetto ai sistemi di collaborazione attuali. Telit è stata all’avanguardia nell’evoluzione della boardroom. La nostra offerta è infatti progettata per semplificare la connessione all’Internet delle Cose e, come risultato, aggiungere valore a questa rivoluzione in atto.



PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT

La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS. Dal 2009 è nella classifica del Financial Times delle migliori Business School d’Europa.

GLI OSSERVATORI DIGITAL INNOVATION

Gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: Agenda Digitale, Big Data Analytics & Business Intelligence, Canale ICT, Cloud & ICT as a Service, Cloud per la Pubblica Amministrazione, Collaborative Business Application, Digital Business - Innovation Academy, eCommerce B2c, eGovernment, eProcurement nella Pubblica Amministrazione, Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Gestione Progettazione e PLM, Gioco Online, HR Innovation Practice, ICT & PMI, ICT & Professionisti, ICT Accessibile e Disabilità, ICT nel Real Estate, Innovazione Digitale in Sanità, Innovazione Digitale nel Retail, Innovazione Digitale nel Turismo, Innovazione Digitale nelle Utility, Internet of Things, Intranet Banche, Mobile & App Economy, Mobile Banking, Mobile Enterprise, Mobile Marketing & Service, Mobile Payment & Commerce, Multicanalità, New Media & New Internet, Smart Working, Startup, Supply Chain Finance. OSSERVATORIO ECOMMERCE B2C

21 OTTOBRE 2014

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2014 Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano

La Ricerca 2014, promossa dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, ha coinvolto oltre 250 merchant eCommerce e si è posta i seguenti obiettivi: monitoraggio del mercato italiano attraverso un’analisi puntuale dell’offerta; confronto con lo scenario internazionale nei principali mercati occidentali (Europa e USA), emergenti (Brasile, Cina, Russia, …) ed evoluti (Corea, Giappone, …); analisi dei servizi logistici a supporto dell’eCommerce B2c; studio dei principali modelli logistici a supporto dell’Export; approfondimento sui modelli multicanale adottati dai merchant italiani, con particolare attenzione ai benefici e alle criticità connesse all’utilizzo congiunto e integrato dei diversi canali (online, fisico, mobile e social); stima delle vendite in Italia tramite Smartphone e Tablet e individuazione delle evoluzioni in atto; identificazione delle principali dimensioni dell’innovazione e dei trend in atto nell’eCommerce; comprensione critica delle dinamiche in atto nello scenario internazionale delle startup di eCommerce. La presentazione dei risultati sarà seguita da una Tavola Rotonda a cui parteciperanno alcuni dei principali operatori italiani. Nel pomeriggio è prevista una sessione dedicata all’innovazione con l’intervento di alcune delle startup più interessanti nel panorama nazionale.

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3 DICEMBRE 2014

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2014

Politecnico di Milano Aula Rogers Campus Leonardo Via Ampère 2, Milano

L’evento è rivolto alla Community dei CIO e dei Business Executive e presenterà le evidenze emerse dalle Ricerche e dai Workshop svolti durante l'anno dall'Academy, che hanno visto il contributo di oltre 500 tra CIO e Business Executive delle principali imprese italiane, nonché da un anno di lavoro degli Osservatori Digital Innovation. Saranno inoltre anticipati i risultati della Survey CIO 2014 con particolare focus sulle previsioni del budget ICT per il 2015, le relative priorità di investimento e trasformazione organizzativa, le conseguenti scelte di sourcing e il necessario sviluppo delle competenze per le Direzioni ICT. Faranno seguito la testimonianza di alcuni autorevoli esponenti del panorama economico nazionale e un dibattito a cui prenderanno parte alcuni dei protagonisti della Digital Business-Innovation Academy, i rappresentanti dell'offerta ICT e le Associazioni di utilizzatori.

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10 DICEMBRE 2014

Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2014 Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano

La Ricerca ha coinvolto i Responsabili Informativi e i Responsabili Marketing di Grandi Imprese e PMI con i seguenti obiettivi: monitorare lo stato di diffusione delle soluzioni di Big Data Analytics & Business Intelligence; identificare i benefici e analizzare le barriere all’adozione di tali strumenti; analizzare gli impatti delle soluzioni di Big Data Analytics & Business Intelligence sull’organizzazione della Direzione ICT; identificare i casi di successo; indagare le applicazioni di Social Analytics; comprendere il ruolo svolto dalle startup in questo settore. L’intera giornata sarà dedicata all’incontro fra i decisori ICT e di line of business delle aziende della domanda, i fornitori del mercato ICT, i docenti e i ricercatori della School of Management, e sarà occasione di confronto e analisi della situazione attuale dell’utilizzo dei sistemi di Big Data Analytics & Business Intelligence nel mercato italiano. Il Convegno sarà suddiviso in due momenti: alla presentazione dei risultati della Ricerca seguirà la Tavola Rotonda, a cui hanno partecipato i referenti di alcune delle principali aziende che offrono servizi e soluzioni in ambito Big Data Analytics & Business Intelligence e la presentazione di casi di studio di aziende utenti che hanno adottato tali soluzioni.

P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O

w w w. o s s e r v a t o r i . n e t


rubrica | ricerche e stud i a cura di

paola capoferro ronchetta

Aziende ICT, è caccia alle competenze digitali Dall’Osservatorio realizzato da AgID, Assinform, Assintel e Assinter arrivano dati confortanti sul settore dell’Information & Communication Technology in Italia, con retribuzioni che recuperano potere d’acquisto: impiegati +2,7% e quadri +3,1% Le aziende sono a caccia di figure digital. In Italia quasi un’azienda ICT su due, infatti, non è soddisfatta della preparazione dei neolaureati (48,1%) e per oltre la metà non si trovano manager né professional con le competenze che servono. Crescono, invece, gli stipendi: del 2,7% per gli impiegati e del 3,1% per i quadri, mentre sono in flessione dello 0,2% quelli dei dirigenti. Le aziende sono disposte a pagare di più responsabili commerciali (+9,3%), Key Account Manager (+8,3%) e tecnici ERP (+7,8%). I ruoli strategici più richiesti in questo momento sono l’Account Manager (55,7%), il Project Manager (50%) e l’ICT Consultant (34%) e i più difficili da reperire sono proprio l’Account Manager (35,8%), il Software Developer (22,6%) e il Business Analyst (21,7%). Quasi introvabili anche i Mobile Application Developer per gli Hardware Vendor (60%) e gli ICT Security Manager per le aziende di Digital Solutions (44,4%). Un gap digitale che allarma e che ha

portato alla costituzione del primo Osservatorio delle competenze digitali 2014 secondo lo standard europeo e-CF, che riunisce l’Agenzia per l’Italia Digitale e le associazioni di categoria Assinform, Assintel e Assinter. Unite appunto in una nuova alleanza per dare un supporto comune alla strategia digitale del Paese. Quali sono i principali canali di recruiting? I manager si cercano ancora con il passaparola, ovvero attraverso il network professionale e personale, nel 43,4% dei casi, attraverso gli executive search nel 34% dei casi e con Linkedin per il 29,2%. L’uso di Linkedin sale nella ricerca dei professional (45,3%), accanto al network professionale (49,1%) e al sito aziendale (43,4%). Per i neoassunti, invece, al primo posto c’è il contatto con scuole e università (53,8%), il sito aziendale (51,9%) e le auto-candidature (35,8%). Quanto poi alla mobilità interna, emer-

ge che un’azienda su due non ha sistemi formali di valutazione né di carriera, soprattutto nelle piccole imprese che rappresentano il 95% dell’ICT. Inoltre, la formazione è in continuo calo per problemi di budget in oltre la metà dei casi e, per la difficoltà a trovare corsi in linea con le esigenze aziendali, in un terzo delle aziende. Tuttavia, una su quattro usa il training come leva per trattenere i neoassunti. L’altra leva per la retention è l’ambiente di lavoro, prima in assoluto tra i senior. In lieve crescita, poi, l’utilizzo della retribuzione variabile, prevista per il 66,4% dei dirigenti (incide per il 16,3% della retribuzione fissa), per il 52,6% dei quadri (incide per il 10,6%) e per il 23% per gli impiegati, con una incidenza del 23%. Nella metà dei casi è legata al raggiungimento di obiettivi, mentre per un terzo è discrezionale. Le aziende prevedono anche pacchetti benefit extra contratto (portatili, smartphone, tablet, auto aziendale) soprattutto per manager (70,8%) e professional (61,3%).

Mobile Worker, gli italiani hanno tutto sotto controllo Si sta diffondendo la necessità di utilizzare un unico dispositivo per far fronte a tutte le necessità, personali e professionali, soprattutto per le donne. La ricerca di Nielsen Agli italiani la connessione piace: il 73% dei lavoratori dichiara di essere sempre connesso e reperibile, il 61% si sente più produttivo perché ottimizza i tempi di trasferimento, oltre la metà tiene tutto sotto controllo, lavoro e vita privata, e il 42% recupera in tempo reale le informazioni che gli servono. È quanto emerge dalla ricerca Nielsen commissionata da Microsoft a giugno, con 500 interviste online a lavoratori e 300 studenti. In particolare, poter controllare tutto dal dispositivo mobile è un’esigenza per il 49% degli over 50, mentre arriva al 63% tra gli under 35: non proprio nativi digitali ma abituati a contesti lavorativi altamente digitalizzati. Inoltre, gli investimenti in

tecnologia da parte dell’impresa semplificano la vita lavorativa per il 66% degli intervistati, aumentano l’efficienza per il 60% e aiutano a organizzare meglio il tempo per il 43%. E benché ancora si usino strumenti diversi per funzioni diverse, il 47% vorrebbe un singolo device per far fronte a tutte le necessità, personali e professionali. Soprattutto le donne vorrebbero essere ancora più facilitate nell’uso quotidiano della tecnologia che ormai ci accompagna ovunque (69%). Il personal computer è ancora considerato il numero 1 per inviare e ricevere mail (62%), per cercare informazioni (53%), per leggere e modificare i documenti (54% dei lavoratori e 48% degli

studenti), ma anche per lo shopping online (64%), per gestire commissioni (64%) e prenotare le vacanze (64%). Tuttavia, è ritenuto ingombrante dalla maggioranza (59%) e con batterie ancora troppo poco potenti per usarlo in remoto (63%). Lo smartphone, invece, detiene il primato per chattare (57%) e per i social network (53%). Mentre il tablet è il più usato per leggere i quotidiani online (48%) e per le attività ludiche (43%), ancora legato quindi più alla sfera personale e di divertimento che non al lavoro. Infatti, benché sia di facile uso per il 76% del campione e veloce per il 57%, la stessa maggioranza (60%) ritiene scarsamente utilizzabile il tablet in ambito professionale.

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RUBRICA | ri cerch e e s t u d i

Internet of Things, i modelli d’uso sono quattro L’IoT ha un’applicabilità molto ampia, ma secondo Gartner in realtà gli approcci dei progetti basati su queste tecnologie si possono ricondurre a pochi scenari: “manage”, “monetize”, “operate” ed “extend” Il fenomeno Internet of Things sta crescendo rapidamente, e in questa fase di sviluppo ed espansione iniziale, imprenditori e aziende stanno sperimentando una vasta gamma di applicazioni e modelli di business per trovare i modi migliori di generare vantaggio competitivo e fonti di fatturato. Questo ha generato grande fermento, ma inevitabilmente anche una certa confusione, per cui anche chi è interessato trova difficile approfondire le reali opportunità riferite al proprio settore, zona geografica e area di applicazione. E’ il parere di Gartner, che in un recente documento ha cercato di contribuire alla soluzione di questa criticità, sostenendo che in realtà i “modelli d’uso” delle tecnologie Internet of Things sono solo quattro. Manage. In questo caso l’obiettivo è controllare lo stato di un asset – da macchinari molto complessi come motori di aereo a spazi, come sale riunioni o posti auto - per migliorarne l’utilizzo. Se gli asset sono connessi ed è possibile - tramite sistemi di sensori più o meno complessi - rilevarne l’uso a scadenze regolari, tale uso si può ottimizzare attraverso appositi sistemi per combinare le esigenze dell’asset con le sue disponibilità. Monetize. In questo caso l’obiettivo è imputare il costo di un asset – tipicamente di alto valore unitario - in funzione della misura molto accurata del suo grado di utilizzo. I benefici sono la possibilità di sostituire costi di capitale con costi operativi, una maggiore accuratezza del tracciamento del ciclo di vita del prodotto, e una più efficace manutenzione preventiva.

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Operate. In questo caso si usa un asset per controllare l’ambiente circostante. Questo modello si ispira al concetto di “operational technology,” le tecnologie per controllare macchinari e processi delle linee di produzione e montaggio negli stabilimenti. Queste tecnologie stanno superando l’era dei sistemi proprietari, e si basano sempre di più su architetture e software standard. Un esempio complesso è l’integrazione dei dati provenienti da migliaia di sensori per tenere conto di condizioni meteo, umidità, temperatura e pressione e ottimizzare la fornitura di acqua per i sistemi d’irrigazione. Extend. Questo modello prevede la fornitura di servizi o informazioni digitali come “estensione” di un asset. Una sup-

ply chain fisica termina quando il prodotto viene consegnato. Quando però il prodotto è connesso in rete, può veicolare prodotti o servizi digitali anche dopo l’acquisto, per cui la supply chain si prolunga con una componente appunto digitale. Un esempio semplice è il download – automatico o in abbonamento – di un aggiornamento del firmware di un dispositivo hi-tech (TV, smartphone, automobili, ecc.) per abilitare nuove funzioni o neutralizzare malfunzionamenti. Oppure lo streaming di un film o di un brano musicale sullo schermo di una poltrona di treno o di aereo. Un esempio più complesso è l’invio di alert in caso di forte pericolo di rottura o guasto di un componente in un macchinario complesso (per esempio se i sensori rilevano un surriscaldamento).

PMI italiane, investimenti IT giù ma fiducia in netta risalita Secondo l’European SME Capex Barometer di GE Capital International, condotto in sette Paesi europei, nel 2014 le piccole e medie imprese del nostro Paese hanno investito in media il 20% in meno dell’anno prima. L’indice di ottimismo sulla crescita incrementa di 12 punti, e molto di più tra le realtà oltre 50 dipendenti Nell’intero 2014 le piccole e medie imprese italiane investiranno in IT una cifra del 20% minore rispetto all’anno prima, ma l’ottimismo degli imprenditori sulle prospettive di crescita è in deciso miglioramento. Questo il responso principale dell’edizione di quest’anno dell’European SME Capex Barometer di GE Capital International, una ricerca condotta in sette Paesi europei tra oltre 2.250 imprenditori di PMI tra 2 e 249 dipendenti. Secondo la ricerca, le PMI in Francia, Germania, Italia e Regno Unito nel 2014 intendono investire nell’acquisto di nuove apparecchiature IT un totale di 73 miliardi di euro. Se per Francia e Gran Bretagna però si può parlare di forte incremento rispetto agli investimenti pianificati a inizio 2013 (circa il 15% medio) per Italia e Germania emerge un arretramento, quantificabile per il nostro Paese appunto nell’ordine del

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20%, con gli investimenti previsti nel 2014 di 6,1 miliardi in hardware e 5,6 miliardi in software contro rispettivamente gli 8,6 e i 6 miliardi previsti nel 2013. La graduatoria dei Paesi più propensi agli investimenti IT è guidata dal Regno Unito (21,5 miliardi di euro, in crescita del 16% sul 2013), seguita dalla Francia (18,6 miliardi, in crescita del 41%). In Germania è previsto un calo degli acquisti rispetto all’anno precedente ma più contenuto rispetto a quello nostrano (20,8 miliardi, in calo del 9%). Come anticipato però è in sensibile miglioramento anche in Italia il generale ottimismo degli imprenditori nei confronti delle future prospettive di crescita: il CAPEX Net Confidence Score, lo speciale indice usato dall’indagine per rappresentare tale fiducia, passa dal 6% del 2013 al 18% del 2014 (+12 punti base), e nelle aziende con oltre 50 dipendenti raggiunge un confortante 39%.


RUBRICA | ric e rc h e e st u di

Lo smartphone diventa un personal assistant: è il cognisant computing Secondo Gartner entro il 2017 i dati del singolo consumatore raccolti dai dispositivi hi-tech e salvati nelle “personal cloud” permetteranno di proporre servizi ad hoc in base alle sue esigenze Dopo l’esplosione di smartphone e tablet, il Mobile Computing sta per compiere una nuova evoluzione, in cui le tecnologie saranno in grado di analizzare i dati raccolti dai nostri dispositivi personali, e di “ricavarne” dei servizi ad hoc in base alle personali esigenze di ciascuno. Gartner definisce questa evoluzione “Cognisant Computing”, sostenendo che sarà presto uno dei principali trend dell’informatica consumer, e avrà enormi impatti su tutti i settori connessi alla Mobile Economy, all’ICT, e non solo. Scendendo più in dettaglio, il Cognisant Computing è l’elaborazione, basata su semplici regole, dei dati salvati nella “personal cloud” di ciascuno di noi, per ricavarne servizi come avvisi e allarmi (dalla caduta di valore di un titolo azionario all’entrata di intrusi in casa), pagamenti automatici di tasse e bollette alla scaden-

za, monitoraggi in tempo reale (dai parametri fisiologici e vitali alle prestazioni sportive), offerte commerciali personalizzate. Servizi che potranno venire erogati su qualsiasi dispositivo personale. I produttori e i distributori di beni di largo consumo avranno quindi la possibilità di conoscere a fondo il consumatore nelle sue attività quotidiane, e di confezionare per lui offerte e servizi su misura. Un beneficio di enorme portata, in un mondo in cui il consumatore è sempre più consapevole e informato sui servizi esistenti e sulla reputazione di un brand, e costringe i produttori B2C ad elevare la qualità e la varietà dell’offerta. Il Cognisant Computing diventerà, secondo Gartner, uno dei tre fattori primari per i settori B2C nei prossimi cinque anni, esaltando l’importanza di App, servizi e cloud. Già questi principi

si cominciano a concretizzare in molte applicazioni per cellulari, smartphone e dispositivi “wearable”, che raccolgono e sincronizzano informazioni sull’utente, sulla sua posizione geografica e sulle interazioni sociali. Inoltre entro il 2017 gli smartphone saranno in grado di gestire alcune attività meglio di noi stessi, come richiedere al medico una prescrizione e modificare la prenotazione di un hotel se il volo aereo va in ritardo. Il Cognisant Computing permetterà profilazioni molto precise del cliente in base ai suoi gusti, abitudini e spostamenti. Questo crea enormi opportunità per i produttori B2C, a patto di superare il tradizionale approccio indifferenziato al mercato di massa, e gestire nel modo migliore criticità come la gestione della privacy, la qualità del servizio, e la fiducia e fedeltà del consumatore nel tempo.

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r u b r ic a | n om in e Fabio Spoletini Country Leader Oracle Italia Fabio Spoletini è il nuovo Country Leader di Oracle Italia, ruolo che affianca alla responsabilità di business di Vice President Technology Sales per il mercato italiano. Prende il posto di Pierfrancesco Di Giuseppe, oggi Responsabile di Oracle Consulting nell’area Medio Oriente e Africa. Spoletini diventa Country Leader in un momento di svolta per l’intero mercato dell’Information Technology, in cui la tecnologia è vista dalle aziende sempre più come strumento di competitività e di trasformazione, e il suo compito sarà quindi quello di guidare questo cambiamento da leader di una delle aziende

protagoniste della Digital Transformation. In Oracle dal 1998 - prima a Dublino e poi in Italia - Fabio ha ricoperto negli anni posizioni di responsabilità crescente fino ad assumere il ruolo di Country Leader Technology Sales di Oracle Italia nel 2011, contribuendo significativamente a rendere l’Italia uno dei Paesi di riferimento in Europa. Laureatosi nel 1996 in Economia e Commercio presso l’Università di Bari, Fabio Spoletini ha iniziato il suo percorso professionale con esperienze in Fiat e Unicredit, per poi approdare appunto in Oracle.

Silvano Cassano Amministratore Delegato, Alitalia Silvano Cassano è il nuovo Amministratore Delegato designato per guidare la nuova Alitalia, nata dall’accordo con Etihad. Cassano succederà a Gabriele Del Torchio solo dopo la finalizzazione definitiva della partnership che Alitalia ed Etihad Airways hanno firmato l’8 agosto 2014. Cinquantotto anni, nato in provincia di Ferrara, ha alle spalle 35 anni di esperienza in ruoli dirigenziali ricoperti in diverse compagnie. E’ stato CEO di Grandi Navi Veloci, Amministratore Delegato di Benetton Group, Amministratore Delegato di Fiat Auto Financial & Consumer Services.

Negli ultimi anni è approdato a Dubai, in qualità di consulente di Strategy&, già Booz Allen, società del gruppo Pwc. Nella finalizzazione degli accordi tra Etihad e Alitalia la sua presenza probabilmente ha avuto un ruolo cruciale dato il suo rapporto di stima reciproca con James Hogan, Amministratore di Etihad Airways, che è stato Direttore marketing, capo delle vendite della sezione Operations di Hertz Europa, nello stesso periodo in cui Cassano – che ha cominciato la sua carriera proprio nella società di autonoleggio - era Vicepresident Operations.

Tommaso Norsa CEO, Birra Peroni Tommaso Norsa è il nuovo CEO di Birra Peroni. 50 anni, già CFO dell’Azienda dal 2009, Norsa ha una lunga esperienza nelle varie funzioni finance (Treasury, Finance & Administration, Audit & IT). Laureato in Business Administration presso l’Università Bocconi di Milano, è arrivato in Birra Peroni cinque anni fa dopo più di 20 anni di esperienza nel settore, maturati in cinque differenti Paesi e in diverse

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categorie di FMCG, ricoprendo diversi ruoli manageriali all’interno del Gruppo Unilever: Finance Director (Foods Europe) a Rotterdam, in precedenza Finance Director in Unilever Home & Personal Care France, a Parigi, e Finance Manager Atkinsons in Italia. È il primo CEO italiano dell’era SabMiller, il Gruppo multinazionale - presente in più di 75 Paesi sui sei continenti con una produzione di 218

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milioni di ettolitri – a cui dal 2003 Birra Peroni fa capo. Un segno tangibile di quanto la multinazionale, secondo produttore di birra nel mondo, creda sempre di più nell’italianità della storica azienda del Made in Italy, che annualmente produce 4.6 milioni di ettolitri, dei quali oltre un milione vengono esportati, con marchi tra cui Peroni, Nastro Azzurro, Pilsner Uquell.


RUBRICA | nomine

Michele Lamartina Country Leader CA Technologies Italia CA Technologies – la multinazionale specializzata nel settore del software per la gestione e la sicurezza dell’IT aziendale - ha annunciato la nomina di Michele Lamartina a Country Leader della filiale italiana. Lamartina fa il suo ingresso nella società affiancando al suo ruolo di guida per il mercato italiano anche la responsabilità di Direttore Commerciale della divisione Grandi Clienti. Nella sua duplice posizione riporterà a Pierpaolo Taliento, Vice President e General Manager Southern Europe. Laureatosi in ingegneria all’Università degli Studi di Roma La Sapienza, ha matu-

rato la sua esperienza nel settore IT attraverso un percorso professionale iniziato nel mondo della consulenza in Andersen Consulting - ora Accenture - e successivamente consolidato nel comparto del software all’interno di realtà internazionali quali TXT e-solutions, BroadVision e VMware. Lamartina entra in CA Technologies dopo aver lasciato VMware Italia, dove dal 2007 ha ricoperto posizioni manageriali di crescente responsabilità fino ad assumere il ruolo di Sales Manager Enteprise alla guida del team di vendita impegnato sui clienti strategici.

Fabio Fregi Country Manager della divisione Enterprise PER L’italia Google

Google ha nominato Fabio Fregi come Country Manager della divisione Enterprise per l’Italia, la struttura dell’azienda dedicata all’offerta di soluzioni tecnologiche alle imprese e alla pubblica amministrazione. Fregi arriva in Google Enterprise dopo aver ricoperto il ruolo di Vice President e Amministratore Delegato di CA Italia. 46 anni, laurea in informatica all’Università di Bologna, ha avviato il suo percorso professionale in Oracle, successivamente è passato in Microsoft, dove ha ricoperto incarichi di crescente responsabilità sino a diventare Direttore della divisione Enterprise e Partner Group per l’Italia.

Fregi avrà la responsabilità di guidare la divisione italiana di Google Enterprise, che offre soluzioni per la comunicazione e la collaborazione aziendale (Google Apps e Google Cloud Platform), per la gestione end to end dell’innovazione, appliance hardware/software per l’enterprise search (Google Search Appliance), le popolari applicazioni Google Maps e Google Earth per la geo-localizzazione dei dati, oltre a dispositivi aziendali (come ChromeBook e dispositivi mobili Android), con l’obiettivo di favorire la digitalizzazione delle aziende e delle pubbliche amministrazioni.

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r u b r ic a | who’ s who cio

Massimo Pernigotti Direttore Sistemi Informativi Edison Massimo Pernigotti è il Direttore Sistemi Informativi di Edison Spa, l’azienda che si occupa dell’approvvigionamento, produzione e vendita di energia elettrica, gas e olio grezzo. Nato a Tortona nel 1961, dopo la laurea in Ingegneria Elettrotecnica conseguita con lode presso l’Università degli Studi di Genova nel 1986, dopo una breve esperienza presso i laboratori della SGS Thomson, inizia la sua carriera in Edison (allora Selm – Servizi Elettrici Montedison) nella funzione Sistemi Informativi, prima come Analista di sistemi, poi come Responsabile dello sviluppo applicativo. Nel 1993 viene nominato Responsabile dei Sistemi Informativi Aziendali, passando nel 1998 alla Funzione Ingegneria, dove

ricopre prima la responsabilità di Proposal Manager e poi di Responsabile dei Servizi di Ingegneria. Nel 2002, a seguito dell’acquisizione da parte di Edison di Eurogen (ora Edipower), la più grande delle società messe in vendita da Enel, diventa Chief Information Officer (CIO) di Edipower, contribuendo alla costruzione di un sistema informativo autonomo della nuova azienda. Rientrato in Edison a gennaio 2008 con l’incarico di Chief Information Officer, da gennaio 2010 ne è il Direttore Sistemi Informativi. Nel 1980 ha inoltre conseguito “con menzione” il Diploma del Master in Economia e Direzione Aziendale presso la Scuola di Direzione Aziendale “L. Bocconi” di Milano.

Stefano Ferrari è Deputy Group CIO di Permasteelisa, il gruppo mondiale noto per la progettazione, la gestione di progetti, la produzione e l’installazione di involucri architettonici complessi e sistemi interni. Permasteelisa, appartenente al gruppo Giapponese LIXIL, è presente in più di 30 Paesi, con una rete di oltre 40 aziende e con 11 impianti produttivi. Il Gruppo, con circa 7.000 dipendenti, genera un fatturato annuale aggregato di circa 1,4 miliardi di euro. Ferrari ha iniziato la sua carriera professionale in Electrolux, con ruoli sia in ambito Manutenzione che Sistemi In-

formativi di fabbrica. Nel 1995 entra nel Gruppo SMC, dove diventa Responsabile del team di sviluppo per le soluzioni in ambito E-Business, per poi nel 2000 passare in Arthur Andersen prima e Deloitte successivamente, dove gestisce progetti complessi in ambito Strategy & Operations, sia in Italia che all’estero. Nel 2009 è nominato CIO del Gruppo SAPIO, una delle prime realtà Italiane nel settore Chimico e Farmaceutico, portando l’IT di Gruppo verso un’organizzazione e un’architettura Service ma soprattutto “Customer Oriented”. A fine 2012 assume l’attuale ruolo in Permasteelisa, dove

definisce e guida il processo per il consolidamento Organizzativo, Infrastrutturale e Applicativo tra le diverse realtà del Gruppo, oltre al coordinamento delle iniziative strategiche a supporto del Business e dei processi di integrazione con la casa madre LIXIL.

ICT4EXECUTIVE

hanno collaborato

progetto grafico

è una testata di ICT and Strategy S.r.l.

Paola Capoferro Ronchetta, Daniele Lazzarin, Piero Todorovich, Vincenzo Zaglio

Stefano Mandato

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mara.perego@ict4executive.it - Tel. 02.36.57.88.71

ADM Studio Sas - Cologno Monzese (MI)

Direttore responsabile

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Manuela Gianni (manuela.gianni@ict4executive.it)

Illustrazioni di Fabio Margarita

AG Printing srl - Peschiera Borromeo (MI)

Stefano Farrari Deputy Group CIO Permasteelisa

Via Durando, 39 - 20158 Milano Iscrizione presso il R.O.C. Registro degli Operatori di Comunicazione al n. 16446 Testi e disegni: riproduzione vietata.

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