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Executive BRIDGING THE GAP BETWEEN TECHNOLOGY & BUSINESS
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. Francesco Sacco: perché l’Italia ha bisogno di un’Agenda Digitale . Charlene Li: utilizzare con successo i Social Network . Intervista a Roberto Nicastro, DG UniCredit: il ruolo delle banche nella crisi dell’eurozona . Il Digital Marketing di Danone . L’outsourcing strategico della logistica
Nouriel Roubini • Parag Khanna Philip Kotler • B. J. Fogg • Andy Cohen Trish Gorman • Rosabeth Moss Kanter Claudio Fernández - Aráoz Bernardo Hernández
Leadership in azione
6-7 Novembre 2012 MiCo - Milano Congressi Milano
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editoriale
Nel segno dell’incertezza di
umberto bertelè presidente advisory board ict4executive
Dopo le grandi paure allo scatenarsi della crisi e le grandi speranze del periodo successivo, l’incertezza appare essere divenuta il tratto dominante nell’economia e nella politica, a livello interno e a livello internazionale. L’incertezza, che ha la manifestazione forse più evidente nella forte volatilità dei mercati finanziari, è in larga misura figlia degli squilibri formatisi nel tempo, tamponati ricorrendo alla finanza - con un enorme aumento dell’indebitamento degli stati e dei privati - invece che corretti agendo sulle cause reali. I paesi ricchi (tra cui l’Italia) non hanno voluto ad esempio prendere atto dell’esigenza di rivedere stili di vita e modelli di welfare a fronte dell’entrata in scena di paesi quali la Cina o l’India: con un comportamento simile a quello dei vecchi nobili di fine ‘800, al crescere della borghesia. E, in assenza di correttivi reali, ha assunto una natura quasi strutturale lo squilibrio negli scambi commerciali fra paesi esportatori netti come la Germania e la Cina e paesi importatori netti come l’Italia, con la generazione di squilibri finanziari continuamente nuovi. L’incertezza, nel contempo, è figlia dei dubbi su quale sia una possibile cura per correggere gli squilibri e delle conseguenti esitazioni e oscillazioni nelle politiche pubbliche. Non ci sono risposte condivise, né a livello accademico né politico, a domande del tipo: è possibile uscire dalla crisi attraverso logiche di pareggio di bilancio, che notoriamente comportano (almeno a breve) effetti recessivi? Riuscirà l’euro a sopravvivere agli squilibri crescenti fra paesi, quando proprio la volontà di mantenere una moneta comune impedisce a quelli in difficoltà manovre di riaggiustamento classiche come la svalutazione della moneta? L’incertezza, come la storia insegna, è nemica della crescita. Se il futuro è incerto, non ci indebita per effettuare nuovi investimenti e non si investe nemmeno quando si ha la liquidità necessaria a disposizione: è noto ad esempio che le imprese non finanziarie quotate statunitensi, che in questi anni hanno avuto andamenti medi più brillanti del complesso dell’economia, dispongono di una liquidità inutilizzata ormai pari al PIL italiano. Se il futuro è incerto si prestano con molta più esitazione i soldi, e l’esitazione si trasforma in credit crunch se - come accaduto con Basilea 3 e con le imposizioni dell’Authority bancaria europea - il consiglio alla prudenza nel prestare soldi diventa obbligo di legge. L’incertezza non deve però indurre al torpore, nell’attesa che qualche evento messianico rimetta in moto l’economia mondiale. Né devono indurre al torpore la congiuntura economica negativa (siamo di nuovo in recessione), la disoccupazione che aumenta (è stata superata la soglia del 9 per cento) e la forte scarsità di risorse finanziarie. Quando i soldi sono pochi occorre concentrarsi, a livello sia privato sia pubblico, su quei miglioramenti - a priori tantissimi - che richiedono soprattutto intelligenza e determinazione: intelligenza per individuare ad esempio nuovi mercati e nuovi bisogni, come molte nostre imprese hanno saputo fare negli ultimi anni (spesso superando i risultati pre-crisi); determinazione nel rompere gli schemi e gli assetti di potere, che quasi sempre rappresentano il vero ostacolo all’innovazione nella Pubblica Amministrazione.
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cover story
Does Digital Agenda matter? di Francesco Sacco, Università dell’Insubria e Managing Director di EntER/Università Bocconi
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interviste
Il ruolo delle banche nella crisi dell’Eurozona
Il marketing di Danone verso Web e Mobile
Advisory Board Umberto Bertelè Presidente Advisory Board Giampio Bracchi Politecnico di Milano Carlo Alberto Carnevale Maffè Università Bocconi Maurizio Dècina Politecnico di Milano Giuliano Noci Politecnico di Milano Paolo Pasini SDA Bocconi Andrea Rangone Politecnico di Milano Francesco Sacco Università dell’Insubria - SDA Bocconi Gianluca Spina Dean - MIP Federico Barilli Direttore Confindustria Digitale Stefano Pileri Presidente Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici Enzo Bertolini CIO Ferrero Group Nunzio Calì Deputy CIO Fiat Group Automobiles e CIO Fiat Group Purchasing Gianluigi Castelli Executive Vice President ICT ENI Pierluigi Curcuruto COO Intesa Sanpaolo Milo Gusmeroli Vicedirettore Generale Banca Popolare di Sondrio Massimo Milanta Amministratore Delegato UniCredit Global Information Services Alessandro Musumeci Direttore Centrale Sistemi Informativi Ferrovie dello Stato Filippo Passerini President, Global Business Services and CIO Procter & Gamble Mauro Viacava CIO Barilla Holding Nader Sabbaghian Amministratore Delegato BravoSolution Raffaello Balocco Segretario Advisory Board
Umberto Bertelè intervista Roberto Nicastro, DG di UniCredit e Membro Comitato Presidenza dell’ABI Chiara Ugozzoli, Global Digital e CRM Director Danone Dairy
La strategia per rilanciare Stefanel nel mondo
Internet delle Cose, futuro prossimo
Giuseppe Stefanel, Presidente Gruppo Stefanel Marco Brini, Amministratore Delegato Minteos
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management
Utilizzare con successo i Social Network per il business di Charlene Li, Founder di Altimeter Group e scrittrice
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Fare impresa in tempi di incertezza
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osservatorio
L’outsourcing strategico della Logistica
di Alessandro Perego e Damiano Frosi, Politecnico di Milano
Acta riaccende la polemica sulla libertà di Internet
di Francesca Boschetti e Marco Rapini, Studio Legale Rapini e Seyssel
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speciale “procurement”
SEA innova la gestione degli acquisti con il Vendor Rating
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speciale “sanità”
La via dell’innovazione in Sanità passa per l’ICT
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speciale “big data”
Extreme Information Management Regina Casonato, Managing VP Gartner
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speciale “dematerializzazione”
Verso la fattura elettronica... e oltre
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rubrica | ricerche e studi
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rubrica | nomine
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Cov e r s tory
di
Francesco M. Sacco
Università dell’Insubria e managing director di EntER/Università Bocconi
Does digital agenda matter? Per la prima volta l’Italia si sta davvero animando sul tema dell’economia digitale, la cui importanza per la crescita del Paese non è mai stata così chiara come in questo momento di recessione. Perdere il treno vuol dire dovere affrontare la competizione da parte di chi, invece, l’opportunità l’ha colta. Ci attende un’impresa difficile e non priva di pericoli, anche perchè il nostro Paese, essendo molto indietro, dovrà fare molto di più degli altri in meno tempo
Ci sono dei temi che fioriscono periodicamente e, come i frutti di stagione, sfioriscono senza lasciare traccia. E altri che quando si presentano, cambiano il paesaggio. L’Agenda Digitale sembra appartenere a quest’ultima specie. Ma è davvero così? Cosa è successo in Italia Fino a poco più di un anno fa il termine “Agenda Digitale” era associato a vecchi gadget di un’epoca elettronica in via di superamento. Almeno, in Italia. Poi, dopo un appello lanciato dalle pagine del Corriere della Sera, al quale ICT4Executive ha sin dall’inizio dato grande risalto, grazie al contributo di qualche migliaio tra manager, professori, uomini di spettacolo ma anche tanta gente comune, il termine “Agenda Digitale” ha acquistato improvvisamente un’enorme popolarità all’interno del mondo politico e delle imprese con tutt’altra connotazione: un’Agenda Digitale è la strategia per digitalizzare | 6 |
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un’economia, che sia locale o nazionale. Non senza equivoci e resistenze, il nuovo concetto è stato sorprendentemente metabolizzato rapidamente. Sin dal primo momento si sono mosse le aziende, coagulandosi intorno all’Associazione ProSpera ed elaborando il progetto Digit@lia. Poi la politica nazionale, con una prima proposta avanzata dall’ex ministro Gentiloni del PD seguita dall’On. Rao dell’UDC. Subito dopo la politica regionale, con la Regione Lombardia a fare da apripista, approvando già a novembre la sua Agenda Digitale, seguita da Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Trentino e altre ancora, creando un fronte tanto ampio quanto eterogeneo di “Agende Digitali regionali”. Sulla scia, a breve giro, si è materializzata qua e là una costellazione di Agende Digitali comunali, purtroppo più ricche di idee e buone intenzioni che di fondi per realizzarle. Quindi, il Governo. Già nel suo discorso di insediamento al Senato, il neo-nominato presidente Monti
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affermava che «occorre […] operare per raggiungere gli obiettivi fissati in sede europea con l’Agenda Digitale». E conseguentemente, appena chiusa la fase più calda dell’emergenza del debito sovrano, ha istituito una cabina di regia per l’Agenda Digitale coinvolgendo quattro ministri, un viceministro e un sottosegretario: in totale 6 ministeri e 54 persone. Nel frattempo, si è mosso anche l’associazionismo. Il Digital Advisory Group (DAG), che coinvolge le maggiori imprese dell’ecosistema Digitale italiano, da poco formato, ha presentato un insieme di proposte organiche in vari ambiti, dal Venture Capital all’eLearning fino all’eGovernment. Poi si sono fatti avanti gli Stati Generali dell’Innovazione, Confindustria Digitale e ancora ProSpera che ha lanciato dalle pagine del Corriere della Sera un concorso nazionale di idee per una “Agenda Digitale per l’Italia delle nuove generazioni”. Infine, si è mosso il Parlamento, dove è stato presentato un ddl con primi firmatari Gentiloni (Pd) e Rao (Udc) mentre sta per esserne presentato un altro a nome del PDL. Per farla breve, un attivismo inusitato. Ma è giustificato? Per rispondere occorre fare un po’ di storia.
Historia magistra vitae Quando in Italia si è affacciata la discussione sull’Agenda Digitale, a Bruxelles la “Digital Agenda for Europe” era la prima delle sette iniziative “faro” che componevano Europe 2020, la nuova strategia per fare tornare a crescere ed essere competitiva l’Unione Europea. Lanciata dalla nuova Commissione Europea poco dopo l’insediamento nel 2010, le è stato assegnato un obiettivo molto ambizioso: riuscire a realizzare in Europa una “fiorente economia Digitale” entro il 2020 per ridare smalto all’economia del Vecchio Continente. In altre parole, è un programma molto ampio che ha lo scopo di generare «vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili», che devono innescare un ciclo virtuoso di crescita, posti di lavoro, competitività e sostenibilità. La seconda Commissione Barroso ci ha scommesso tanto. Così tanto che il vecchio incarico ricoperto da Viviane Reding, Information Society and Media, è stato ribattezzato semplicemente “Digital Agenda” e affidato a un commissario come Neelie Kroes, di grande esperienza, essendo al secondo mandato, e
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cover story | D oe s digi tal ag e nda m at t e r ?
figura 1 - Uso regolare di Internet e dell’e-commerce nelle regioni europee e italiane (regioni NUTS 2) 100% Altri paesi UE Italia
Uso regolare di Internet
60%
Fonte: elaborazione su dati Eurostat 2010
Retta di correlazione
80%
Media UE
40%
20% 0% Negli ultimi anni in Europa si sono accentuate le differenze fra le regioni più avanzate e quelle più arretrate
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10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
Uso dell’e-commerce
di notevole peso, ricoprendo anche il ruolo di vicepresidente. In concreto, la Digital Agenda è un programma composto da 101 azioni divise in sette pilastri, di cui 23 nelle mani degli stati nazionali. Ma non è meramente una collezione di azioni o iniziative per la digitalizzazione della UE: è la visione di una via attraverso la quale l’Europa, e ogni stato membro, può darsi un ruolo e un futuro nel XXI secolo. Se le intenzioni con cui è nata la Digital Agenda europea sono indiscutibilmente buone, va detto però che il passato su cui si è andata a innestare non è propriamente definibile come esemplare. Sull’onda delle grandi attese della New Economy, la Commissione Europea aveva già lanciato nel dicembre del 1999 la eEurope Initiative con l’obiettivo di “accelerare la transizione dell’Europa verso una knowledge based economy” e ottenerne i benefici in termini di “maggiore crescita, più lavoro e un accesso migliore per tutti i cittadini ai nuovi servizi dell’Information age”. Pochi mesi dopo, al summit di Lisbona del marzo 2000, i capi di stato della UE avevano lanciato una nuova strategia, ben più ampia, per rendere l’Europa più dinamica e competitiva, poi divenuta nota come “Strategia di Lisbona”, coprendo un ampio ventaglio di ambiti di intervento in cui l’ICT aveva un ruolo non centrale ma spesso complementare. La Strategia di Lisbona puntava a creare nella UE un’economia più “verde”, a sviluppare lo sforzo comune in ricerca e innovazione, migliorando allo stesso tempo le competenze della sua forza lavoro ma anche il business environment, con meno burocrazia e un migliore accesso al credito. All’interno di questa cornice era stata lanciata la prima fase della eEurope Initiative, battezzata eEurope www.ict4executive.it
2002, con un articolato piano di azione focalizzato su tre obiettivi: • connessioni ad Internet più a buon mercato, più veloci e più sicure; • investire nelle persone e svilupparne le competenze; • stimolare l’utilizzo di Internet. Dopo avere riportato risultati piuttosto modesti, il programma eEurope 2002 era stato riformulato in eEurope 2005, lanciato a giugno del 2002 con il Consiglio Europeo di Siviglia, seppure in un clima sempre più tiepido verso l’ICT in seguito allo sboom della New Economy. Strutturato in modo più articolato, eEurope 2005 si prefiggeva di lavorare su entrambi i fattori dell’economia di Internet. Da una parte, puntava a creare condizioni più favorevoli per lo sviluppo delle infrastrutture per Internet – la “supply side” – nella convinzione che la diffusione del broadband stimolasse l’uso di applicazioni e servizi più avanzati su Internet – la “demand side” – e che insieme potessero sviluppare la Società dell’Informazione. Se però eEurope 2005 ampliava notevolmente il suo raggio di azione, non poneva rimedio invece al suo problema genetico: l’intero programma eEurope non era dotato di veri fondi da investire, se non simbolici, ma era piuttosto un policy framework all’interno del quale altri programmi di spesa, come i Fondi Strutturali, il Sesto Programma Quadro o il eTEN potevano essere meglio focalizzati. Inoltre, avendo un ruolo di coordinamento e stimolo delle politiche nazionali, non poteva obbligare in alcun modo i Paesi riluttanti a sviluppare azioni coerenti con
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i suoi obiettivi. Con l’insediamento della nuova Commissione e la chiusura di eEurope 2005, l’obiettivo viene riorientato verso la crescita e l’occupazione, come accadde per l’intera Strategia di Lisbona, lanciando “i2010 - A European information society for growth and employment”. I suoi tre obiettivi principali, espressi sempre in forma di linee guida, diventano ancora più ambiziosi rispetto al passato e più centrati sull’ICT, puntando a creare una “società dell’informazione europea” con 3 linee di azione: • realizzando un mercato unico europeo per l’economia digitale, per sfruttarne le economie di scala collegate ai suoi 500 milioni di consumatori; • intensificando la ricerca e l’innovazione nell’ICT, considerata un fattore decisivo per la crescita e la competitività; • promuovendo l’inclusione e la qualità della vita all’interno della società dell’informazione. Nonostante questo sforzo di riorientamento, il bilancio di i2010, come dell’intera Strategia di Lisbona, è stato negativo: «Anche se dei progressi sono stati fatti, va detto chiaramente che l’Agenda di Lisbona […] è stato un fallimento», come già nel 2009 scriveva Fredrik Reinfeldt, primo ministro della Svezia, insieme alla Finlandia i soli due Paesi ad avere raggiunto gli obiettivi prefissati. A 14 anni dalle sue prime mosse, l’Europa non è riuscita a creare né un mercato unico digitale né dei campioni continentali da opporre ai giganti di Internet americani. Da questo fallimento nasce l’Agenda Digitale Europea, per porre rimedio a una situazione in cui i progressi fatti hanno piuttosto accentuato le differenze tra i migliori e i peggiori, che sono più marcate ma più vere quando le si vede ad un certo livello di dettaglio (Figura 1), che non creato opportunità. E il nostro Paese ne esce in una posizione preoccupante. Il fenomeno si è ulteriormente esteso, sino a creare quella che il Financial Times ha definito una Great Patent Bubble: una crescita impetuosa dei valori di Borsa di società, dai nomi spesso ignoti al grande pubblico, specializzate nello sfruttare le potenzialità della proprietà intellettuale per creare non tanto prodotti innovativi, ma brevetti-trappola con cui estorcere danaro a chi vi incappa. Quindi… Da questa analisi, appare chiaro che l’Agenda Digitale Europea è una sorta di ultima chiamata per l’economia digitale europea. È purtroppo anche vero che è invece la prima volta che l’Italia si anima davvero su questo tema. Ma la sua importanza non è mai stata così chiara come in questo momento. Ne ha già parlato Andrea Rangone del Politecnico di Milano in queste pagine. Ne hanno scritto anche McKinsey, Boston
Consulting Group e Arthur D. Little, ognuno coprendo aspetti diversi. Ma la questione rimane la stessa: l’economia digitale sta diventando un’economia reale. Già oggi potrebbe sedere al tavolo del G8 portando con sé quel che manca a tutti: la crescita economica. Pochi sottolineano però che perdere questo treno non vuole dire avere un’opportunità in meno ma dovere affrontare un problema in più: la competizione da parte di chi invece l’opportunità l’ha colta. Ed è una competizione senza confini. Da questo punto di vista, non è tanto rilevante domandarsi se l’Agenda Digitale è importante, ma come renderlo evidente a chi non lo vuole intendere. E l’esperienza dei fallimenti europei deve indurci ad essere molto attenti in proposito. In particolare, adesso, quando ancora non ci sono i primi prodotti della cabina di regia, ci sono tre pericoli che occorre scongiurare. Il primo è di visione. L’attivismo italiano è promettente ma occorre ricordare che l’immaterialità del mondo di Internet crea uno strano effetto ottico: chiunque ci guardi dentro, come in uno specchio, vede prima di tutto il riflesso della propria immagine, la sua esperienza e il suo punto di vista. Non è tanto un problema che riguarda gli addetti ai lavori, che questo pericolo lo conoscono e sono in parte immunizzati. È piuttosto un problema di tutti gli altri che però in questo frangente sono molti di più e molto più importanti. La Strategia di Lisbona ha mancato il suo obiettivo principale perché era il frutto di un compromesso tra visioni diverse del futuro, non inconciliabili ma neanche convergenti: un’economia della conoscenza ma sostenibile, con crescita e lavoro ma anche coesione, dinamica ma rispettosa dell’ambiente. Purtroppo, la storia insegna che le grandi svolte necessitano più di focalizzazione che di compromessi, soprattutto se si hanno grandi ambizioni. Le semplificazioni eccessive, i dettagli trascurati, la mancanza di visione d’insieme e la scarsa contestualizzazione sono il vero pericolo. Questo chiama i manager del settore ICT a un nuovo ruolo. Non più soltanto tecnici ma “visionari”, capaci di “vedere” il futuro ma anche di condividerlo. Il secondo problema è di ambizione. Ambizioni elevate, come quelle richieste dalle circostanze, richie-
A 14 anni dalle sue prime mosse, l’Europa non è riuscita a creare né un mercato unico digitale né dei campioni continentali da opporre ai giganti di Internet americani. L’Agenda Digitale Europea nasce da questo fallimento: è chiaro che si tratta di una sorta di ultima chiamata www.ict4executive.it
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figura 2 - Distribuzione delle aziende italiane (unità locali) per dimensione del comune di localizzazione 17,9%
18,0% 16,0% 13,4%
14,0% 12,0%
9,5%
9,1% 7,5%
8,0% 3,6% 3,8% 3,6% 3,3%
4,0%
2,6%
3,9%
oltre 500.000
80.001-100.000
65.001-80.000
50.001-65.000
40.001-50.000
30.001-40.000
20.001-30.000
15.001-20.000
10.001-15.000
5.001-10.000
4.001-10.000
3.001-4.000
2.001-3.000
100.001-250.000
Le imprese italiane non solo sono più piccole, ma anche più disperse. Ciò rende più complesso il passaggio al digitale, che deve toccare ogni angolo del Paese
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4,9% 3,7%
1,3% 1.001-2.000
0,4%
501-1.000
0,0%
5,9%
5,7%
6,0%
2,0%
Fonte: elaborazione su dati Istat
10,0%
Fino a 500
% del totale nazionale delle aziende (unità locali)
20,0%
Comuni per dimensione della popolazione residente
dono un’applicazione almeno all’altezza. Nel passato della UE l’utilizzo della “peer pressure” con obiettivi volontari – una carota senza bastone – è stato un comodo espediente per affrontare governanti recalcitranti ma non è riuscito ad indurre cambiamenti su larga scala tali da creare quella massa critica capace di innescare la crescita della società dell’informazione. Il risultato non è stato “comunque” un passo avanti ma, ad essere obiettivi, un nulla di fatto. Mutatis mutandis, nel nostro contesto nazionale il rischio è che se non ci saranno dei netti switch-off verso il Digitale nell’essenza “reale” della nostra economia, non ci sarà “qualche” cambiamento, ma “nessun” cambiamento. Ed è un pericolo serio. Lunghe liste di azioni o di progetti non possono colmare un vuoto di sostanza. Bisogna davvero volere qualcosa per averla. Sembra ovvio, ma lo è di più se si pensa che l’Italia ha un’Agenda Digitale nazionale ma è in competizione con tutti gli altri Paesi, che hanno anch’essi una propria Agenda e guardano alla stessa torta da spartire. L’esperienza insegna che il nostro è un Paese in cui «è meglio un male sperimentato che un bene ignoto», come scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Cambiare è faticoso e anche quando, in generale, fosse necessario, in particolare, potrebbe essere più rischioso che promettente. È un calcolo egoistico che è naturale per i singoli ma che non deve valere nel complesso del nostro sistema. Infine, è un problema di dettaglio. Guardando l’Italia da vicino, il nostro compito è più difficile. Non solo perché partiamo in svantaggio, come la Figura 1 mostra crudamente, ma perché abbiamo un’articolazione www.ict4executive.it
più complessa dei nostri competitor globali. Se ci focalizziamo soltanto sulle imprese, queste sono più piccole della media delle grandi economie, ed è un dato noto, ma anche più periferizzate per localizzazione (Figura 2), ed è un problema raramente sottolineato. Se ci deve essere un cambiamento vero, senza lasciare indietro pezzi importanti della nostra economia, deve toccare ogni angolo, anche quelli più remoti, non solo al Sud ma anche al Nord. Occorre pensare tutto alla giusta scala di dettaglio, che purtroppo è molto “micro”. Piani di copertura o di intervento pensati solo per i grandi centri o per aree facilmente raggiungibili non potranno davvero incidere sullo status quo. Se si pensa, inoltre, che essendo molto indietro, per colmare il divario dovremmo fare molto di più degli altri in meno tempo, è chiaro ancora di più che l’impresa è molto difficile. La soluzione dell’Agenda Digitale italiana, pertanto, non può solo calare dall’alto ma deve anche maturare dal basso. È lo scenario più difficile perché non si può approcciare per decreto. Serve allora un patto trasversale all’intera società italiana per mobilitare tutte le risorse disponibili, tra le imprese, nel settore pubblico, nell’associazionismo, nel terzo settore. Paradossalmente, «se tutto deve rimanere com’è, è necessario che tutto cambi». Per tutti gli italiani ciò vuol dire che se vogliamo mantenere il nostro benessere, sempre più relativo ma comunque incontestabile, sono necessari grandi cambiamenti. Per chi lavora nell’ICT, invece, è una richiesta ancora più difficile da ottemperare: se non si sarà all’altezza delle necessità di questo momento, non ci saranno nuove opportunità per rimediarvi.
S S E R VAT O R I . N E T
ict & management
Start-up Boosting
MISSIONE
Giocare un ruolo sempre più attivo nello stimolare la nascita e lo sviluppo di nuove avventure imprenditoriali basate sull’innovazione: è questo l’obiettivo che gli Osservatori ICT & Management si pongono nella convinzione che ciò rappresenti un ingrediente fondamentale per il rilancio della nostra economia. Per questo motivo nasce il progetto Start-up Boosting che, attraverso il succedersi di una serie di Call for Ideas collegate ai diversi Osservatori, intende identificare le idee di business e i progetti imprenditoriali più innovativi, che saranno supportati e seguiti nel loro sviluppo dalla School of Management del Politecnico di Milano. CHI PUÒ PARTECIPARE
AMBITI DELLE CALL 4 IDEAS
Alla Call 4 Ideas possono partecipare: • persone fisiche (singole o in gruppo) in possesso di un’idea di business fortemente innovativa; • aziende in fase di start-up e con elevato potenziale di crescita; • imprese anche già avviate che abbiano sviluppato innovative idee di business.
MOBILE APPS FA C E B O O K E C O S Y S T E M E-COMMERCE B2C
I migliori progetti imprenditoriali basati su Facebook Ecosystem saranno premiati a SMAU Milano
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COSA OFFRE
I candidati che supereranno il processo di valutazione: • saranno supportati – dal team degli Osservatori – nella messa a punto del progetto imprenditoriale, con l’obiettivo di accelerarne lo sviluppo e il raggiungimento degli obiettivi di business; • avranno la possibilità di frequentare gratuitamente un percorso di alta formazione presso il MIP – la Business School del Politecnico di Milano – finalizzato ad accrescere le competenze e l’empowerment del gruppo imprenditoriale; • saranno supportati del team degli Osservatori nella ricerca dei capitali di rischio necessari.
ICT SECURITY D I G I TA L M E D I A & T V N F C & M O B I L E PAY M E N T ICT IN SANITÀ CLOUD COMPUTING & ICT AS A SERVICE FAT T U R A Z I O N E E L E T T R O N I C A E D E M AT E R I A L I Z Z A Z I O N E
MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
• La partecipazione è gratuita. • Per iscriversi compilare il Form di registrazione sul sito www.startupboosting.com che include una breve descrizione del progetto imprenditoriale, in cui vengono messi in evidenza: prodotti/servizi innovativi erogati, mercato target, principali concorrenti, fatturato previsto e investimenti stimati (anche solo in modo approssimato). • Ogni mese vengono valutate le proposte pervenute.
GIOCO ONLINE
MOBILE BUSINESS
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di
Il ruolo delle banche nella crisi dell’eurozona
umberto bertelè
School of Management Politecnico di Milano
A due mesi di distanza dall’aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro, concluso con successo, il Direttore Generale della più grande banca italiana parla del futuro dell’euro dopo gli interventi della BCE, del ruolo delle banche in questa fase di crisi di liquidità, dei progetti di innovazione organizzativa. E si dice convinto che il peggio sia passato, almeno sul fronte dell’accesso al credito per le imprese
Umberto Bertelè: Sono tantissimi i temi che mi piacerebbe trattare in questo nostro colloquio, che avviene a poco più di due mesi dal felice (ma tutt’altro che scontato a priori) esito del rilevante aumento di capitale richiesto da Unicredit ai suoi azionisti per non dovere ridurre drasticamente gli impieghi a fronte dei nuovi vincoli patrimoniali (oggetto di diffuse contestazioni) imposti dall’EBA-European Banking Authority. Partirei dai temi più generali - sostenibilità dell’area “euro”, credit crunch, tenuta delle nostre imprese industriali e di servizi, erosione dello stock di investimenti esteri in Italia - per passare poi a qualche considerazione sulla “cura dimagrante” che le banche dovranno sicuramente fare per recuperare profittabilità (a partire dalla riduzione drastica delle dimensioni e del numero delle filiali, etc.) e sul ruolo che in questa ristrutturazione potrà essere giocato dall’ICT. | 12 |
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Roberto Nicastro: L’elemento di scenario che ha più caratterizzato gli ultimi 6-12 mesi è stato a mio avviso la crescente consapevolezza che nelle economie avanzate - Stati Uniti, Giappone ed Europa - si è vissuti per molti anni al di sopra dei propri mezzi, facendo ricorso al debito e rinviando sine die i problemi strutturali. I governi, e in generale il mondo pubblico, sono ovunque indebitati. Il mondo privato è un po’ più differenziato; in Paesi come l’Italia, sono soprattutto le imprese a essere indebitate, mentre lo sono in misura molto più ridotta le famiglie; negli Stati Uniti o nel Regno Unito si verifica il contrario. Il problema debito è ancora più grave negli Stati Uniti e in Giappone che in Europa. Il secondo nodo arrivato al pettine, questo invece tutto “europeo”, è stato quello della disomogeneità delle politiche fiscali in un’area caratterizzata dalla presenza di una moneta unica come l’”eurozona”: si è poi generato un grave problema di credibilità di alcuni Paesi, incluso il nostro, e una conseguente situazione di fortissima instabilità.
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Intervista a
Roberto Nicastro direttore generale unicredit Membro Comitato Presidenza dell’ABI
Chi è Roberto Nicastro Nato a Trento il 9 dicembre 1964, è laureato in Economia Aziendale con Claudio Demattè presso l’università Bocconi. Prima di entrare in UniCredit, è stato investment banker a Londra con Salomon Brothers e successivamente consulente strategico a Milano con McKinsey. Entra nel gruppo UniCredit nel maggio 1997 in qualità di Responsabile della Pianificazione e delle Partecipazioni del Credito Italiano. Nell’ottobre 2000 è nominato Responsabile della Divisione New Europe di UniCredit con il compito di sviluppare una posizione leader nell’Europa centrale ed orientale che viene conseguita attraverso le acquisizioni di Bank Pekao (Polonia), Zagrebacka Banka (Croazia-Bosnia), Bulbank (Bulgaria), KocBank (50%, Turchia), Zivnostenska Banka (Repubblica Ceca), Demir Bank (Romania), Polnobanka (Slovacchia). Nel 2003 è nominato Responsabile della Divisione Retail del gruppo e Amministratore Delegato di UniCredit Banca. Nel luglio 2007 è nominato Deputy CEO del gruppo UniCredit. Nell’aprile 2009, a seguito della definizione del nuovo modello di governance del gruppo, basato sulle Strategic Business Areas (“SBA“) gli viene affidata la responsabilità della SBA Retail con responsabilità sulle reti di agenzie retail (famiglie e piccole imprese) in Italia, Germania, Austria e Polonia; nonché sull’asset gathering e l’household financing. UB: La criticità delle politiche fiscali era già stata preannunciata da diverse persone quando fu creato l’euro… RN: Sì, ma il mercato ha creduto per tanto tempo che il credito dell’emittente Grecia fosse lo stesso di quello dell’Olanda. Poi, quando ci si è resi conto che in caso di estreme conseguenze non c’è un prestatore comune di ultima istanza, il sistema è entrato in fibrillazione. Come abbiamo visto, il fiscal compact - l’impegno cioè all’allineamento delle politiche fiscali - rappresenta un tema a forte contenuto politico e non solo finanziario. Perché diventa critico il tema del rispetto dell’impegno e di chi lo debba verificare ed eventualmente sanzionare: se la Grecia decidesse ad esempio di arretrare a 55 anni l’età per andare in pensione, potrebbe il ministro delle finanze di un altro Paese far annullare una decisione di natura squisitamente politica, limitando la sovranità del parlamento greco?
Dal 1 Novembre 2010 è stato nominato Direttore Generale con responsabilità sulle Strategic Business Area Family & SME, Private Banking and Central Eastern Europe. Membro dei consigli di amministrazione di UniCredit Bank Austria, Bank Pekao (Polonia), e di UniCredit Bank Russia. Dal 2009 è Chairman della EFMA, la European Financial Management Association di Parigi. Membro del Comitato Esecutivo, ABI e presidente del Comitato Comunicazione, ABI. È inoltre componente dell’advisory board della SDA Bocconi e di Alma School, Bologna.
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UB: Ma il sistema riuscirà a stare in piedi? È possibile la convivenza nella stessa area monetaria di paesi che - per indebitarsi - pagano tassi così diversi? È possibile che non si ingenerino spirali completamente negative, che spingano i paesi con maggiori difficoltà a politiche di austerità crescente che portino a continue riduzioni del PIL (e quindi della possibilità di ripagare i debiti)? Perché un paese come il Regno Unito, che ha fondamentali simili a quelli dell’Italia (o forse anche peggiori), paga tassi di interesse sul debito pubblico così più bassi solamente per il fatto che la sterlina non è agganciata all’euro? RN: Per poter avere tassi allineati, è necessario che ci sia un debitore unico, e per avere un debitore unico (o più debitori solidali) sono necessarie regole che garantiscano tutti. È importante tener presente, quando si pensa a un possibile dissolvimento dell’euro, i costi di uno scenario alternativo: • il costo immediato del disordine, nel momento del dissolvimento o dell’uscita di alcuni Paesi dalla moneta unica, in assenza di regole concordate preventivamente; • il costo strutturale della frammentazione, del mercato unico conseguente alla disunione monetaria, in un contesto mondiale di crescita di grandi paesi (Cina, India, Brasile, etc) e il costo della frammentazione politica: se in futuro sempre di più le grandi decisioni mondiali saranno concentrate in poche voci, un’Europa disunita non sarà più una di queste. Il caso del Regno Unito è indicativo della discrasia dei mercati: il denaro costa poco perché si pensa che nel breve il Paese può battere moneta; ma nessuno crede che la sterlina sia forte, proprio per il rischio inflazione che ne consegue. È interessante notare a tale propo-
Unicredit UniCredit è uno dei principali gruppi finanziari Europei con una forte presenza in 22 paesi e una rete internazionale complessiva distribuita in circa 50 mercati, oltre 9.500 sportelli e 160.000 dipendenti al 30 settembre 2011. UniCredit opera attraverso la più estesa rete di banche nell’area dell’ Europa centro-orientale con quasi 3.900 filiali e sportelli. Il Gruppo è attivo nei seguenti paesi: Austria, Azerbaijan, BosniaHerzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Germania, Italia, Kazakistan, Kirghistan, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Turchia, Ucraina e Ungheria.
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sito che nella crisi dell’euro l’unica cosa che non si è indebolita è l’euro stesso. La quotazione non scende. C’è una razionalità di fondo del mercato, che crede che l’euro non salterà: dietro la visione virtuosa (ma un po’ inflessibile) della Germania, c’è un euro meno soggetto a pressioni inflazionistiche nel tempo di quanto possa essere il dollaro. UB: Cosa sta succedendo ora? RN: In primo luogo sono cambiati quattro governi nei paesi chiave, e questo è un passaggio importante: sono governi più market friendly, e anche l’Italia gode di una evidentissima maggiore credibilità. Si è iniziato ad affrontare il tema dell’unificazione fiscale, ma è evidente che sarà un percorso lungo. Inoltre, si è data una prima soluzione ai problemi di liquidità attraverso gli interventi di metà dicembre e febbraio della BCE, che non ha erogato soldi nuovi ma ha consolidato debiti esistenti. Le banche - anche italiane - già andavano ad attingere denaro in BCE: ma con prospettiva di emergenza, molto instabile, una settimana o un mese, che non consentiva loro di costruire una politica creditizia. Grazie alla BCE è stato possibile rinnovare la Moratoria, iniziativa unica in Europa. Le banche UB: Ho la sensazione che la crisi abbia aggravato un problema che però già esisteva. RN: In effetti vi è in Italia da molto tempo uno squilibrio, nello stato patrimoniale delle banche, fra gli impieghi nell’economia e la raccolta. Abbiamo quasi 2000 miliardi di euro di impieghi all’economia reale - sommando famiglie, PMI, grandi imprese e amministrazioni pubbliche - e 1.600 di raccolta (in prevalenza dalle famiglie con i conti correnti e con le obbligazioni bancarie). Esiste cioè un gap di quasi 400 miliardi di euro. In passato questo gap era stato finanziato attraverso le emissioni sui mercati istituzionali, ma - in parallelo alla crisi dei BTP scoppiata nel 2011 - il rischio Paese Italia ha causato l’impossibilità di rifinanziare all’ingrosso le obbligazioni in scadenza. Inoltre è purtroppo ricominciato l’export di capitali da parte delle famiglie italiane. In sintesi, da una lato la fonte primaria di raccolta è stata molto tirata e dall’altro quella istituzionale si è inaridita, costringendo le banche a rivolgersi alla BCE, già da inizio autunno 2011. UB: In prospettiva, come si risolve questo problema? RN: Vedo due vie, in parte complementari: • attraverso un (auspicabile) pieno ripristino della fiducia nel sistema Italia, che consenta di ricominciare a emettere obbligazioni sull’estero; • incentivando il risparmio italiano a finanziare e supportare di più l’economia: oggi oltre due terzi della
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«Le banche sono accusate di generare il credit crunch, ma non è così. La banca è solo un intermediario, non siede sul deposito di Paperone, se non ha approvvigionamenti non può erogare finanziamenti. E ha la responsabilità verso i depositanti, quindi è suo dovere selezionare a chi dare credito» ricchezza delle famiglie italiane è in attività immobiliari. Le famiglie italiane, infatti, sono tra le più ricche dei paesi avanzati. Ma c’è un’anomalia: esse investono poco in titoli di stato, capitale delle imprese e depositi bancari. UB: Le delusioni sono state tante. Gli investitori hanno perso cifre impressionanti, talora a seguito di quotazioni truffaldine. RN: Sì, in realtà, depositi bancari e titoli di stato sono stati investimenti sicuri. Mentre la ricapitalizzazione delle imprese è più che altro compito degli imprenditori medesimi. Questo dovere è tanto più critico a fronte della scarsità di risorse. Un finanziamento dato ad un progetto claudicante non solo mette a repentaglio il risparmio che c’è dietro il finanziamento ma rischia di togliere liquidità ad altri progetti meritevoli. Le banche sono accusate di generare il credit crunch, ma non è così. La banca è solo un intermediario, non siede sul deposito di Paperone, se non ha approvvigionamenti non può erogare finanziamenti. Va peraltro ricordato anche che la banca ha la responsabilità verso i depositanti e quindi è suo dovere selezionare a chi dare credito. UB: Cosa si può fare per incentivare l’afflusso di capitale italiano alle imprese italiane senza andare contro le regolamentazioni europee? RN: Le banche devono essere più allineate alla media europea dal punto di vista della leva finanziaria concedibile, chiedendo una maggiore capitalizzazione delle imprese finanziate. Poi c’è un tema di fiscalità: la “preferenza per il mattone” è stata favorita dal fatto che l’immobiliare ha sempre avuto un regime fiscale privilegiato. Oggi con l’IMU qualcosa si è mosso, ma vedremo se in misura sufficiente a ri-orientare gli investimenti. UB: Al di là dei (pur importantissimi) problemi di liquidità, le banche appaiono attraversare un momento particolarmente critico per la loro stessa sopravvivenza. RN: Per le banche si sono sommati due elementi di complessità. Uno endogeno: la fortissima crisi di liquidità. L’altro esogeno: la decisione dell’EBA di imporre tempi strettissimi per il rafforzamento dei parametri patrimoniali. Come si è reagito e quali problemi riman-
gono? Sul fronte della liquidità gli interventi della BCE hanno (come detto) ripristinato tranquillità. Sul fronte del capitale al momento siamo stati noi gli unici o quasi in Europa a prendere il toro per le corna, deliberando un aumento di capitale nelle peggiori condizioni possibili, in un mercato cui non piacevano i titoli bancari e i titoli italiani. È stato complicato, per l’accoglienza iniziale. Ma siamo estremamente contenti del risultato, 99.8%. Non poteva andare meglio. E va sottolineato che per UniCredit l’esercizio è stato fortemente agevolato dal fatto che, se pure l’Italia è il Paese principale, quasi due terzi del business sono all’estero. I problemi a questo punto sono risolti? Sul tema del capitale, per quello che ci riguarda, sì. Ma restano delicati punti di attenzione a livello di sistema, e fra questi una normativa che appare eccessivamente penalizzante nei confronti dell’Italia per l’extracapitale che essa richiede - rispetto a Basilea 2 - per il finanziamento alle PMI. Basilea 2 è stata criticatissima, ma in fondo ha retto per quanto riguardava il finanziamento alle PMI; non ha retto invece sul trading, sulle cartolarizzazioni e sul mismatch fra attivo e passivo. Sul tema ABI, Confindustria e Rete Impresa italia stanno giustamente facendo lobbying, in sintonia con il governo italiano, per neutralizzare l’impatto Basilea 3 sulle piccole imprese. Nel nostro Paese, il combinato disposto dall’eccezionale crisi economica e dei 250 provvedimenti normativi sulle banche degli ultimi 5 anni ha generato condizioni strutturali di bassa redditività per le banche. Ma senza utili sufficienti non solo si deluderanno milioni di risparmiatori che hanno investito in azioni bancarie, si impedirà altresì il nuovo credito. Infatti, secondo le regole di Basilea nuovo credito richiede nuovo patrimonio che può essere generato solo da utili/autofinanziamento o da investitori attratti dalla redditività delle banche. Le imprese “viste dalle banche” UB: Qual è la situazione delle imprese “vista dalle banche”? Io sento tantissime segnalazioni di imprese, soprattutto medio-piccole, cui vengono revocati i fidi. RN: Dal punto di vista delle erogazioni, credo che il peggio sia passato. Mi sembra che due delle tre cause www.ict4executive.it
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«Il modo di utilizzare la banca sta cambiando e il cliente ha sempre meno bisogno di quella transazionalità fisica che richiedeva sportelli aperti ovunque. Si sta quindi migrando su modalità online per le transazioni semplici, offrendo invece una maggiore qualità della consulenza per quelle complesse. Il numero degli sportelli rimarrà invariato, ma verranno tutti smagriti. La nuova frontiera è quella di efficientare e remotizzare le operazioni più complesse» di riduzione del credito si siano allentate: tutte le banche hanno più liquidità, per l’intervento della BCE; noi abbiamo anche più capitale, perché ci siamo mossi celermente, ma anche le banche che sono tuttora nel limbo troveranno auspicabilmente regolatori consapevoli del trade - off capitale - credit crunch. Mi aspetto che nell’arco di alcuni mesi ci sia una netta normalizzazione. Dal punto di vista dello stato di salute dell’economia e della solvibilità delle imprese, esiste oggi una netta dicotomia fra le imprese che vanno all’estero e quelle che operano solamente sul mercato domestico. Parallelamente conta la dimensione: il “quasi obbligo” di andare all’estero fa emergere alcuni limiti del modello molecolare. La soluzione passa attraverso le fusioni o attraverso forme aggregative (quali le reti) che le simulino, permettendo di operare con piattaforme distributive comuni - ad esempio servendosi di un agente unico per vendere nei mercati (cinese, indiano, brasiliano, etc.) che offrono le maggiori nuove opportunità di crescita del fatturato - pur mantenendo la competizione in Italia. Superare l’individualismo italiano è un tema culturale di grande rilevanza, su cui si fa ancora troppo poco. UB: Vedete una fuga delle multinazionali dall’Italia, come diversi recenti episodi potrebbero far pensare? RN: In realtà non stiamo vedendo una massiccia fuoriuscita. La domanda è piuttosto perché da decenni il flusso d’ingresso è ridottissimo, anemico? Il nostro Paese è percepito purtroppo come business unfriendly, principalmente per l’eccesso di burocrazia e per i vincoli sul mercato del lavoro e questo spesso svantaggia anche gli imprenditori italiani: ben vengano a tal fine le liberalizzazioni. Mantenere impianti o laboratori di R&D in Italia può rispondere a due logiche: avvalersi degli skill esistenti (spesso unici, è un vantaggio!) e/o servire il mercato italiano o più in generale europeo. Con un mercato italiano strutturalmente circoscritto - e (almeno) congiunturalmente in calo - la speranza di permanenza di insediamenti di imprese multinazionali nel nostro Paese o di localizzazioni di nuovi è fortemente legata all’uso dell’Italia come base di accesso all’Europa: uso che diventerebbe più difficile, con le conseguenze immaginabili, se crollasse l’edificio comunitario. UB: E per quanto concerne le banche, la cura dimagrante sarà forte? RN: Crisi, mutamento delle abitudini dei consumatori | 16 |
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e continue evoluzioni regolamentari hanno un fortissimo impatto. Parecchi servizi in Italia vengono prestati sottocosto. Anche le banche hanno le loro numerose “tratte dei pendolari”, ovvero servizi o segmenti di clientela per i quali i costi di produzione superano (spesso abbondantemente) i ricavi. Per gli istituti di credito italiani, prodotti come i mutui sono oggi erogati a costi e rischi (di rifinanziamento) visibilmente superiori ai tassi applicati; analogo discorso si può fare per la distribuzione dei titoli di Stato. I milioni di clienti che non utilizzano la banca per via elettronica generano costi spesso pari a diverse volte i ricavi generati; in molti piccoli Comuni i ricavi bancari non coprono i costi operativi degli sportelli. Per far fronte a ciò sono necessari due elementi: una regolamentazione equilibrata e grandissima determinazione nel perseguire il recupero di efficienza da parte delle banche. Noi abbiamo un piano che prevede una forte diminuzione degli organici, pari oggi a 5.200 persone in Italia, 7mila nel mondo. Stiamo facendo operazioni di efficientamento sulle strutture centrali, ma allo stesso tempo abbiamo la consapevolezza che il modo di utilizzare la banca sta cambiando e che il cliente ha sempre meno bisogno di quella transazionalità fisica che richiedeva sportelli aperti ovunque. Si sta quindi migrando su modalità online per le transazioni semplici, offrendo invece una maggiore qualità della consulenza per quelle complesse. Il numero degli sportelli rimarrà invariato, ma verranno tutti smagriti: meno metri quadri, ma più uffici per i clienti magari al piano di sopra anzichè fronte strada. È l’ICT che sta consentendo questo. In Germania abbiamo avviato un progetto pilota che prevede, per la consulenza di alto livello da parte di specialisti, il massiccio utilizzo della videocomunicazione a distanza. Questo consente ad esempio, se un cliente vuole un mutuo specializzato e non abita in centro a Monaco di Baviera ma in una valle, di metterlo in comunicazione diretta - dalla sede locale - con lo specialista, che magari può addirittura operare dalla propria abitazione. Anche in Turchia abbiamo dei test analoghi in atto. In sintesi sta evolvendo il nostro approccio strategico all’innovazione, sinora concentrata sulle operazioni più semplici, quali la consultazione online dell’estratto conto, oppure su quelle complesse ma rivolte a una utenza sofisticata, quali il trading online (Fineco). La nuova frontiera è quella di efficientare e remotizzare le operazioni più complesse, ove la fiducia nella persona e nel brand è determinante: in quest’ottica si inserisce il test pilota in Germania.
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EVENT
L’ESPERIENZA DIVENTA MULTICANALE Strategie e strumenti per la creazione di valore KEYNOTE SPEAKER
Prof. Giuliano Noci
Ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano
PARTNER
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08 Marzo 2011 10:00 – 13:00
Spazio Chiossetto Via Chiossetto 20, Milano
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GIULIANO NOCI è ordinario di Marketing presso il Politecnico di Milano. Dal 2007, è opinionista del TG1, TG2, SkyTg24 e Radio24. L’ultimo suo libro si intitola “Open Marketing: costruire con il cliente un’esperienza multicanale” e si propone di evidenziare i principali cambiamenti indotti nel processo di marketing dalla crescente pervasività delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e dalla sempre maggiore rilevanza giocata dal cosiddetto fenomeno del Web 2.0.
AGENDA
ICT4Event, in collaborazione con Oracle, è lieta di invitarla alla tavola rotonda “L’esperienza diventa multicanale: strategie e strumenti per la creazione di valore” che si rivolge ad un numero selezionato di Responsabili Marketing delle maggiori imprese italiane. La tavola rotonda, presieduta dal Prof. Giuliano Noci della School of Management del Politecnico di Milano, si focalizzerà sui temi del Customer Experience Management e della Multicanalità, la cui valenza strategica si sta sempre più affermando all’interno di qualsiasi impresa, grazie all’evoluzione delle esigenze dei clienti, alla diffusione sempre maggiore di dispositivi mobili Smartphone, Tablet PC, Pad, ecc. - e alla possibilità per l’impresa di sfruttare soluzioni basate sui paradigmi del Web 2.0, che consentono una partecipazione attiva dei propri clienti nel processo di co-creazione del valore.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI
Progettazione della strategia di comunicazione multicanale verso un target selezionato da un database di oltre 400.000 contatti.
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L’esperienza diventa multicanale: strategie e strumenti per la creazione di valore Prof. Giuliano Noci, School of Management Politecnico di Milano
11.15_
Dibattito e confronto con i partecipanti
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Fine dei lavori e light lunch
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Ideazione e realizzazione di contenuti a valore (presentazioni, realizzazione di casi di studio, ecc.) grazie ad una partnership con i migliori docenti universitari ed analisti delle differenti tematiche.
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I N TE R V IS TA di
manuela gianni
Chiara Ugozzoli Global Digital e CRM director Danone Dairy
Il Marketing di Danone verso Web e Mobile A colloquio con la manager italiana che dal 2007 guida a livello mondiale la transizione del Marketing della multinazionale francese verso la nuova frontiera del Digital. Numerose le iniziative di successo già avviate, prima su Internet, poi sul Mobile e ora anche sui Social Media
Appassionata di Internet sin dagli albori, Chiara Ugozzoli è la responsabile mondiale di Danone per il Digital Marketing dei prodotti freschi, marchi noti come Activia, Danacol, Actimel e Danette. Una figura che, prima di lei, in Danone non esisteva neppure: nel 2007, infatti, Chiara è stata incaricata dalla multinazionale di esplorare le opportunità del mondo del Web, allora appena emergente. Una sfida professionale che la giovane manager ha accettato con entusiasmo, pur consapevole di dover lasciare una strada certa, quella di una carriera nel Marketing tradizionale di un’importante multinazionale, per intraprenderne una ancora da tracciare. Nel suo nuovo ruolo, ha avviato numerose iniziative di successo che hanno portato Danone a sbarcare prima sul Web, poi sul Mobile e ora anche sui Social Media. Laureata in economia nel Regno Unito, Chiara Ugozzoli è originaria di Parma ma oggi vive tra Milano e Parigi. | 18 |
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Da Parma alla sede centrale di Danone a Parigi. Come è andata? Ho iniziato a studiare Economia a Parma, poi dopo l’Erasmus ho deciso di finire l’università in Inghilterra. Dopo la laurea ho lavorato a Londra, poi nel ‘99 sono entrata in Danone. Per circa 8 anni ho ricoperto diverse posizioni nel Marketing tradizionale, sia a livello locale sia internazionale, occupandomi principalmente di brand management e comunicazione per diversi marchi, fino a quando, nel 2007, mi è stato chiesto di aiutare l’azienda a comprendere le opportunità offerte dalla Rete per la comunicazione di marca: una sfida professionale importante, che a quell’epoca poteva sembrare un azzardo, perché in Danone questa figura non esisteva ancora. Si è trattato di un cambio culturale importante, sia per me sia per l’azienda, che ha portato i brand verso la comunicazione integrata. Oggi Danone sta spingendo perché siano sempre di più le persone che intraprendono questo percorso professionale.
IN T E RV ISTA | Il Ma rke t i n g di Da n o n e v e rso W e b e m o b ile
Danone
In cosa consiste, nel quotidiano, il suo lavoro? Il mio lavoro consiste nel pianificare e gestire la transizione della comunicazione delle marche verso nuove modalità in cui il digital riveste un ruolo importante. Una volta analizzate le strategie delle marche, che sono definite a livelli superiori, il mio compito è capire che ruolo può giocare il digitale nello specifico contesto e proporre progetti che rendono le strategie più efficaci. Il lavoro è dunque trasversale ai diversi brand e coinvolge diverse funzioni, anche se il Marketing è la funzione con cui mi relaziono maggiormente. Mi occupo anche di progetti che coinvolgono tutta l’organizzazione, di più ampio respiro, ad esempio dell’evoluzione delle infrastrutture tecnologiche, della definizione dei nuovi profili professionali e dei processi necessari per far decollare il digitale, lavorando con partner esterni e internamente all’azienda per portare un cambiamento ormai necessario. Tra i miei compiti rientrano anche gli allineamenti strategici con i grandi player on line, da Google a Facebook a Apple. Inoltre, coordino le attività digitali dei diversi Paesi, con l’obiettivo di far circolare le iniziative interessanti che vengono pensate a livello centrale e locale. Di solito Danone sviluppa iniziative a livello locale, sperimenta, soprattutto sul digital e, una volta analizzati i risultati, si decide se replicare. L’importanza dei mezzi di comunicazione innovativi è percepita dal top management? Il Digital Marketing è nell’agenda del top management da un paio di anni. Da qualche mese è stata creata una funzione a livello corporate, un team di quattro persone che io coordino. Nei diversi Paesi, stanno nascendo team di digital marketing e anche i sistemi informativi si stanno strutturando per interfacciarsi meglio con i team digital.
Con 17 miliardi di euro di fatturato e 100mila dipendenti nel 2010, Danone è una delle più importanti aziende alimentari del mondo. Opera con quattro divisioni: i prodotti lattieri freschi (fra cui i marchi Activia, Danacol, Danette, Danito), le acque in bottiglia (fra cui Evian), la Nutrizione Infantile (Milupa)e la Nutrizione Clinica (Nutricia). Danone S.p.A. è operativa in Italia dal 1966 con oltre 320 dipendenti – di cui poco più di 90 nello stabilimento di Casale Cremasco – e un fatturato, nel 2010, di poco meno di 500 milioni di euro. Nel mercato italiano dello yogurt Danone è leader con una quota di mercato di circa il 35% a valore.
Il Programma Activia diventa un’App Nel 2009 Danone ha avviato le prime iniziative di marketing sul canale Mobile accanto a quelle Web, portando sul cellulare alcune delle iniziative effettuate su web nel “Programma Activia” A luglio 2011 è stata lanciata l’App per iPhone che propone i contenuti del “Programma Activia” in mobilità e offre anche servizi unici per il canale mobile. Si tratta di un bell’esempio di applicazione di Marketing che mira a creare engagement con il cliente. La App fornisce semplici e utili consigli per condurre una vita sana e leggera, permette la visione di video-esercizi e mette a disposizione dell’utente un vero e proprio personal trainer, oltre ad un’ampia lista di ricette per portare in tavola piatti saporiti ed equilibrati. Altre funzionalità prevedono la creazione di una lista della spesa personalizzata e di impostare dei remind per i consigli del Programma Activia. L’applicazione è scaricabile gratuitamente dall’App Store di Apple, e si è aggiudicata lo scorso ottobre il premio Smau-Politecnico di Milano per la migliore App sviluppata in Italia, grazie alla ricchezza delle attività proposte, semplici ed efficaci, e all’ottimo livello di usabilità e creatività. L’obiettivo principale di Danone è stato quello di creare un nuovo punto di contatto tra azienda e consumatori per offrire un servizio ancora più completo per quanto riguarda il Programma Activia, e che permettesse di continuare l’esperienza di prodotto anche in mobilità. I risultati ottenuti in termini di download sono stati molto positivi, tanto che Danone sta lavorando per una ulteriore evoluzione dell’applicativo per integrare nuove funzionalità.
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INTERVI STA | Il Mar k e t i ng d i Danone v e r s o W e b e m o b i l e
Quanto del budget pubblicitario viene destinato ai new media? I primi progetti Web sono partiti nel 2008 e negli due ultimi anni i budget sono cresciuti in modo molto significativo, arrivando in alcuni Paesi al 15%. Ma gli investimenti sono un indicatore povero: quello che conta è l’obiettivo, che per Danone è quello di creare una relazione duratura con i consumatori, costruire equity di marca al di là della pubblicità del prodotto. Stiamo infatti sempre di più spostando porzioni crescenti di budget verso la creazione di contenuti e servizi per il digitale. Che tipo di iniziative avete avviato con l’obiettivo di creare una relazione di lungo termine con i vostri clienti attraverso il Web? I nostri prodotti offrono benefici legati alla salute: l’idea è di abbinare un servizio a un prodotto, perché sappiamo che il Web, dopo il medico, è il primo luogo utilizzato dai consumatori per informarsi. Per Danacol, ad esempio, abbiamo puntato non solo sull’efficacia del prodotto nel ridurre il colesterolo, ma anche sul fornire ai clienti un aiuto nel quotidiano per tenerlo sotto controllo, con consigli per uno stile di vista sano: contenuti autorevoli, menu personalizzati, ricette ed esercizi. Il Programma Activia, partito in Italia nel 2009 e in altri paesi più recentemente, è analogo e ha avuto un ottimo riscontro. Il programma si rivolge a donne con un’età compresa tra i 30 e 45 anni, una fascia che oggi rappresenta una parte importante dell’utenza Web.
L’Osservatorio Mobile Marketing & Service della School of Management del Politecnico di Milano Giunto al suo quinto anno di attività, l’Osservatorio ha nel tempo ampliato l’analisi degli scenari applicativi, monitorando le evoluzioni degli strumenti soprattutto in ottica multicanale, e identificando i trend in atto con particolare attenzione a tutti gli strumenti più innovativi (applicazioni, qr-code, ecc.) e ai nuovi device fruibili in mobilità (e-book reader, tablet, navigatori ecc.). La ricerca ha realizzato alcune stime quantitative su specifici segmenti del mercato, identificando i possibili trend di crescita, e ha valutato i benefici derivanti dall’implementazione di alcune iniziative di Mobile Marketing & Service. È stato inoltre analizzato il processo di adozione degli strumenti parte delle Aziende Utenti finali e si è valutata la conoscenza, il livello di utilizzo e le competenze in questo ambito da parte dei player della filiera dei servizi a supporto della Comunicazione aziendale: Centri Media, Agenzie Creative, Concessionarie, Digital Agency, Editori, Telco, Produttori di device, ecc.).
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Come affrontate il dirompente fenomeno dei Social Network? Siamo partiti nel 2010 è abbiamo subito avuto un successo un po’ inaspettato, una risposta molto calorosa da parte dei clienti, soprattutto per il brand Activia, che rappresenta un esempio di relazione con la marca molto significativo. Le pagine Facebook che oggi raccolgono più fan sono quelle di Danette in Francia, che ne ha oltre 800mila e di Oikos, uno yogurt greco che negli USA è stato pubblicizzato durante il SuperBowl, che ne conta 380mila. Il mondo dei Social Media è stato visto da Danone anche come un’opportunità per il crowd sourcing: in Italia abbiamo ad esempio lanciato un’iniziativa su Facebook coinvolgendo gli utenti nella scelta dei nuovi gusti degli yogurt Activia da lanciare sul mercato; Danette in Francia ha fatto la stessa cosa. Si è trattato di iniziative di grande successo, che hanno avuto anche un concreto riscontro nel punto vendita: in Italia ad esempio i gusti scelti dagli utenti di Facebook sono risultati tra i lanci di maggior successo di Activia. Un risultato che ci ha dato fiducia a continuare su questa strada per l’innovazione di prodotto. Un’altra iniziativa che ha avuto successo negli Stati Uniti è il Social Couponing, ovvero offerte speciali in esclusiva per gli utenti Facebook. Ora ci stiamo aprendo a Twitter: in Italia, in Spagna e in alcuni altri paesi ci sono già account attivi, ad esempio per Actimel. Qual è il ruolo del Mobile nelle iniziative di Digital marketing? L’Italia ha fatto da pioniere con l’applicazione Activia per iPhone, che lo scorso ottobre ha vinto il primo premio al Mob App Award, organizzato da SmauPolitecnico di Milano. In seguito sono state lanciate App anche in Francia e in altri Paesi. Il passo che vogliamo fare ora è legare il Mobile agli acquisti instore, ad esempio attraverso il Couponing. In Italia non è semplice ma in Giappone, dove si paga direttamente con il cellulare, è certamente un’opportunità. Lei è anche responsabile delle iniziative di CRM e community management. Di cosa si tratta? Il fine ultimo di tutte le attività che facciamo online è la creazione di un CRM digitale, un Data base segmentato che ci consente di poter offrire ai clienti servizi e contenuti personalizzati. Il brand che vogliamo attivare attraverso iniziative di CRM è quello Danone. Un esempio è il sito ViviDanone, con contenuti per imparare a mangiare sano nella vita di tutti i giorni, come le ricette, un canale Youtube, Twitter e prossimamente anche servizi Mobile. Un’altra iniziativa è Gananones in Spagna, che ha invece un’ottica di loyalty: si tratta infatti di una raccolta punti a premi digitale.
m a n ag e m e nt
di
Utilizzare con successo i Social Network per il business
Charlene Li
founder di Altimeter Group e scrittrice
Attraverso i Social Media, largamente utilizzati dalle aziende ma spesso fuori controllo, si generano preziose relazioni con clienti, utenti e partner: non più messaggi, ma conversazioni. Serve però un nuovo approccio più umano e meno corporate, che permetta di creare con gli utenti un rapporto continuativo, autentico e trasparente, che rappresenti davvero un asset strategico
Le “tecnologie sociali” sono oggi largamente utilizzate, ma il sistema appare fuori controllo. La sfida è quella di mantenere la posizione di comando e contemporaneamente cederlo. Per le aziende, infatti, è impossibile monitorare interamente il flusso di conversazioni Internet. È importante perciò che le società limitino il loro bisogno di controllare tutto. Nel 2006 la Dell fu la prima azienda a postare sul proprio blog un video. Si vedeva uno dei suoi portatili che aveva preso fuoco, senza motivo apparente, in un ufficio giapponese. Il filmato raccolse moltissimi commenti, inaugurando così una nuova era d’interazione con i clienti. Pochissime società al momento sono in grado di fare una cosa del genere. Il messaggio portava la firma di Michael Dell e spiegava come il blog fosse improntato agli stessi valori che caratterizzano l’azienda nel suo complesso: un rapporto chiaro e sincero coi propri clienti. | 22 |
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Questo episodio risale a ben sei anni fa, prima della nascita delle pagine Facebook e prima dell’esistenza di Twitter, ma Dell aveva già capito l’importanza di costruire un nuovo, unico rapporto coi propri consumatori. Al giorno d’oggi i social media permettono di generare relazioni tra una società e il cliente/partner/ utente. Gli strumenti Social cambiano in continuazione: da Facebook a Twitter, a Foursquare ma ciò che rimane sono le relazioni. Per svilupparle con successo, le aziende devono modificare la propria strategia. Tutte le società vogliono ascoltare e imparare, monitorare e seguire i clienti, avere un dialogo o supportarli nelle loro attività. E questo è possibile attraverso le tecnologie Social. Ciascun cliente ha un determinato livello di coinvolgimento con i Social: c’è chi osserva, condivide, commenta, crea contenuti e, al vertice, chi li gestisce. La condivisione è, infatti, la base del rap-
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porto tra cliente e azienda, nonché la base della leadership: significa avere molti follower e richiede la fiducia e l’umiltà di delegare alcune cose perché non si può controllare tutto. È necessario essere autentici e trasparenti, aperti nella condivisione delle informazioni e nella presa delle decisioni. C’è bisogno quindi di un nuovo approccio: non si parla più di messaggi, ma di conversazioni, bisogna agire in maniera più umana e meno corporate, per creare un rapporto continuativo e non occasionale. In questo modo è possibile sostenere tale rapporto e utilizzarlo come asset strategico. Imparare dai clienti L’abilità di ascoltare la voce e i bisogni del cliente è il risultato di un Social Media monitoring che in seguito può trasformarsi in un migliore servizio per il cliente. Ad esempio, in futuro i negozi potranno riconoscere e localizzare clienti con gusti particolari e seguirli con sconti e promozioni. La condivisione è alla base di ogni dialogo, che non è semplicemente parlare con il cliente ma la costruzione di contenuti che il cliente spera di ricevere. Il dialogo deve essere continuo e il consumatore non deve pensare che ci sia un tentativo di manipolazione.
Chi è Charlene Li Fondatrice di Altimeter Group, Charlene Li è considerata una delle 50 persone più influenti della Silicon Valley e ha oltre 44.000 follower su Twitter. È autrice del bestseller Groundswell: Winning in a World Transformed by Social Technologies e del recente Open Leadership: How Social Technology Can Transform the Way You Lead. In precedenza è stata Vice President e Principal Analyst in Forrester Research, dove era entrata nel 1999, dopo cinque anni trascorsi nell’editoria con il San Jose Mercury News e la Community Newspaper Company. È stata anche consulente di Monitor Group a Boston e Amsterdam. Laureata alla Harvard Business School, ha inoltre ricevuto da Harvard College una laurea magna cum laude. È possibile seguirla sul suo blog, The Altimeter.
Si può invogliare il cliente all’acquisto, come nell’esempio del sapone P&G, dove attraverso una mail, l’azienda è riuscita a ricevere migliaia di opinioni su come doveva essere il packaging del sapone, il gusto, la qualità ecc., Un altro esempio d’innovazione è sicuramente la case history di Fiat Mio, che i clienti hanno proget-
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management | ut i l i z z ar e con s u cce s s o i s oci al N e t wo rk p e r il b u sin e ss
tato insieme ai designer. Ora la Fiat sta addirittura coinvolgendo i clienti nelle azioni di marketing per questa vettura. Bisogna dunque definire una strategia di coinvolgimento. Il primo passo è ascoltare e imparare dall’utente. A ciò può far seguito una strategia di condivisione, ma prima ci deve essere un’organizzazione del dialogo stesso. Bisogna scegliere, ad esempio, se il dialogo deve essere centralizzato o diffuso a tutti i dipendenti. Bisogna fare attenzione al valore delle relazioni ed essere pronti ad accettare sia gli aspetti positivi sia quelli negativi. La tecnologia è secondaria. La conversazione tra corporate e utente/cliente non è più una scelta ma un obbligo. Bisogna lasciare il comando per prendere il controllo. Questo imperativo dovrebbe essere alla base delle nuove strategie di business e del rapporto con i clienti. In realtà, le aziende non si sono evolute in
tal senso mentre i clienti sono cresciuti molto con le tecnologie. È quindi necessario avere leader nei diversi comparti e non solo a livello di management, dando importanza non alla tecnologia ma al rapporto che essa crea. Se s’ignorano i Social Media è come se si ignorassero i clienti. Il modo migliore per affrontare i Social Media è pensare al valore dei rapporti; naturalmente si puà sbagliare, ma l’importante è saper reagire al fallimento.
Estratto dall’intervento di Charlene Li in occasione del World Business Forum 2011. Il World Business Forum riunisce annualmente i maggiori esperti mondiali di management e i leader del nostro tempo per riflettere sui temi strategici per il futuro del business. La nona edizione italiana si terrà il 6 e 7 novembre 2012 a Milano: Nouriel Roubini e Parag Khanna tra gli speaker più attesi. Tutti i dettagli su www.wbfmilano.com
Fare business nell’era dei Social Network: i trend e le previsioni per il 2012
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1 - I clienti premieranno sempre più le aziende trasparenti
2 - Le aziende devono conoscere più a fondo i clienti
Le aziende dovranno imparare ad agire con la massima trasparenza se vorranno sviluppare un rapporto coi consumatori autentico e di lunga durata, anche se in alcuni casi questo potrebbe richiedere una certa dose di coraggio. Un esempio calzante è la disavventura capitata a FedEx negli Stati Uniti. Un consumatore ha sorpreso un fattorino lanciare (e così danneggiare) il pacco contenente il monitor a lui destinato oltre il cancello del suo giardino invece che citofonargli per effettuare la consegna. Un comportamento chiaramente inaccettabile che è stato ripreso dalla telecamera di sicurezza e postato su Youtube, totalizzando ad oggi più di 8 milioni di visualizzazioni. L’azienda ha prontamente replicato sul proprio sito Web scusandosi coi consumatori e informando di aver preso i dovuti provvedimenti. Il messaggio sembrava sincero, ma perché la trasparenza fosse totale mancava qualcosa: il link al video su Youtube. Ciononostante non si può che apprezzare il comportamento di FedEx, soprattutto se si considera che la reazione di molte grandi aziende sarebbe stata quella di non fare assolutamente niente e aspettare sperando che il video venisse dimenticato.
Ai consumatori non basta più che le aziende capiscano i loro bisogni e tengano in considerazione le loro lamentele; chiedono di essere riconosciuti come individui in ogni momento e luogo in cui avviene un’interazione. Le imprese paradossalmente sanno molto di noi, ma non ci conoscono per niente. Per esempio, ai fini di marketing una donna può essere classificata come una madre lavoratrice, laureata, fascia d’età 35/45 anni, lettrice di certe testate, e che interagisce di frequente (con “like”, “follow” e “tweet”) con le aziende su siti come Facebook e Twitter. Ciononostante, quando questa donna entra in un negozio o visita il sito di una marca che acquista spesso si vede proporre le stesse offerte e promozioni riservate a chiunque altro. Per la maggior parte delle aziende si tratta di un target di mercato senza un volto. Serve invece un rapporto simile a quello che ci lega ai commercianti dei piccoli negozi di quartiere. Un rapporto che ha qualcosa di ben più profondo, creato nel tempo e che permette di conoscersi a fondo. Il problema è che questo tipo di relazione è chiaramente difficile da mantenere quando si parla di aziende con milioni di clienti. All’ovvio problema di scala si aggiungono notevoli difficoltà tecniche
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nel collegare un grosso quantitativo di informazioni non strutturate a dei dati transazionali. In molti supermercati americani è oggi possibile effettuare un “check-in” su Facebook o FourSquare, ma il negozio non è in grado di riconoscere il cliente fino a che non inserisce il proprio codice personale o passa la carta fedeltà in cassa, quando è chiaramente troppo tardi, dato che le decisioni d’acquisto sono già state prese. I coupon e le offerte personalizzate consegnate a quel punto rimarranno molto probabilmente inutilizzate, non sono veicolate in maniera efficace. Sarebbe molto più sensato che le insegne si dotassero della capacità di riconoscere il cliente non appena questo varca la soglia del negozio, proponendogli offerte speciali pensate su misura per lui. Grazie all’integrazione con la pagina Facebook, per esempio, potrebbero addirittura essere in grado di sapere che un cliente sta per organizzare una festa, consigliando gli articoli più indicati. E ancora, sfruttando la tecnologia GPS e gli smartphone si potrebbe “guidare” il cliente all’interno del punto vendita per localizzare i prodotti tra reparti e scaffali. Alcuni si riferiscono a queste pratiche chiamandole Social CRM o indicandole come l’evoluzione del tema dei Big Data, temi molto caldi di questi tempi. Di fatto sono spazi ancora in definizione ma estremamente promettenti, anche se il livello di integrazione dei dati richiesto fa intendere che saranno necessari ancora alcuni anni per un utilizzo diffuso. Inevitabilmente, lo sviluppo di queste pratiche imporrà una seria riflessione sulla privacy dei consumatori e su ciò che è da considerarsi privato e personale. Come si può sapere se si sta diventando troppo invasivi? In linea generale, i consumatori non avranno problemi a condividere informazioni anche private fino a che ne possono ricavare un servizio che appare loro vantaggioso, ma non tutti hanno lo stesso livello di accettazione. Facebook ha spinto sempre più in là la linea che divide informazioni che sono considerate private e informazioni che possono invece essere condivise e rese pubbliche. Alcuni anni fa nessuno avrebbe pensato di comunicare i propri interessi, la propria posizione e le proprie attività su Internet in maniera tanto diffusa. 3 - Una cultura aziendale orientata alla condivisione Il 2012 vedrà alcune aziende guadagnare un vantaggio competitivo sui concorrenti grazie ad una cultura collaborativa diffusa a tutti i livelli. Molte aziende inizieranno a prendere sul serio la tematica del Social Business, dato che è ormai evidente il contributo che gli strumenti Social possono dare nel supportare una cultura aziendale capace di adattarsi velocemente ai cambiamenti, capace di creare innovazione e stimolare
la collaborazione. Una cosa è avere una mera presenza aziendale su Facebook o Twitter con pagine e profili dedicati gestita da un team specifico, tutt’altra è quando tutti i dipendenti sono connessi tra loro e con l’esterno grazie ai Social Media. La cultura aziendale è spesso sottovalutata, ma – come del resto hanno scritto riconosciuti leader come Jack Welch di General Electrics e Howard Schultz di Starbucks – è da considerarsi come l’elemento fondante che crea e sostiene una grande organizzazione. Le aziende che abbracciano una strategia di totale apertura e incoraggiano una cultura della condivisione si posizioneranno molto meglio nel lungo periodo. Per farlo dovranno lavorare su due fronti: da un lato mettere in connessione i propri più grandi sostenitori – i dipendenti – con i consumatori, dall’altro connetterli l’un l’altro internamente. • Connettere i dipendenti con l’esterno Anche le aziende più avanzate dal punto di vista dei Social dedicano poche persone a lavorare sui Social Media. Ovviamente metterne di più ha un costo e può esporre a dei rischi: sorpassare gli sforzi di comunicazione integrata compiuti in passato non è cosa banale per quelle realtà abituate a lavorare in maniera tradizionale, ma potrebbe rivelarsi la strategia vincente. D’altronde i dipendenti già interagiscono ogni giorno con l’esterno in modalità diverse e sono stati formati dall’azienda per farlo nella maniera più opportuna. Certo, le cose possono andare storte a volte, impossibile evitarlo, ma se a ciò si associa una strategia di totale trasparenza verso l’esterno i danni non saranno mai irrimediabili. • Connettere i dipendenti all’interno dell’organizzazione Gli Enterprise Social Network sono in sostanza software pensati per connettere i dipendenti tra di loro in azienda in ottica Social. Sono sempre di più le aziende che decidono di implementarli e la spinta arriva spesso dal Top Management. La ragione è che iniziano ad intuire una possibilità di trasformare le proprie organizzazioni, facendo cadere le barriere tra diverse divisioni, diminuendo le distanze tra i vertici e il resto del personale, individuando rapidamente un esperto, identificando le innovazioni piccole e grandi ecc.
Le aziende che abbracciano una strategia di totale apertura e incoraggiano una cultura della condivisione si posizioneranno nel lungo periodo molto meglio dei concorrenti che non lo fanno www.ict4executive.it
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I N TE R V IS TA di
manuela gianni
Giuseppe Stefanel
la strategia per rilanciare Stefanel nel mondo
Presidente Gruppo Stefanel
Un rinnovato concept per i negozi, un partner per conquistare il mercato cinese, un progetto di comunicazione digitale che punta sui social network e un nuovo sito di eCommerce. Giuseppe Stefanel, l’imprenditore trevigiano che negli Anni 80 aprì il primo negozio con il nome di famiglia, racconta la storia dell’azienda italiana e la nuova strategia per il rilancio internazionale del brand, che conta oggi 460 store monomarca nel mondo
Da un maglificio nel trevigiano a una multinazionale che porta la moda italiana in tutto il mondo. Quella di Stefanel è una tipica storia made in Italy, la storia di una “multinazionale tascabile” che negli Anni 80 ha raggiunto il massimo fulgore, assumendo le dimensioni di un grande Gruppo, affiancando alla produzione di maglieria sportswear, jeans e pret-à-porter. Poi la diversificazione in altri settori, con una serie di acquisizioni, e negli ultimi anni, le difficoltà finanziarie, gli accordi di rinegoziazione dei debiti con le banche e un piano industriale di rilancio che punta fortemente sull’estero. Con Giuseppe Stefanel, che nel 1980 aprì il primo negozio con il nome di famiglia ed è oggi presidente della società, ripercorriamo le tappe della storia del brand fino agli annunci più recenti. Quali sono state le tappe più significative del percorso di diversificazione del Gruppo e qual è l’attuale posizionamento delle varie attività? Mio padre Carlo fondò nel 1959 il Maglificio Piave, | 26 |
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azienda in cui entrai nel 1970 con l’idea di trasformarne progressivamente il modello di business. L’occasione si presentò nel 1980 quando decisi di aprire a Siena il primo negozio Stefanel, nome di famiglia che volevo trasformare in brand. La scelta si rivelò vincente e infatti due anni dopo sbarcavamo con il primo store a Parigi iniziando l’importante sviluppo internazionale del gruppo. Oggi siamo nelle best locations dei più importanti Paesi nel mondo con circa 500 store. Il gruppo ha naturalmente vissuto tante tappe importanti come la quotazione in Borsa nel 1987, l’acquisizione di Interfashion nel 1990 e quella del retailer aeroportuale Nuance nel 2002. Abbiamo completato il turnaround di Nuance in meno di un decennio e nel 2011 l’abbiamo ceduto. Oggi il Gruppo opera attraverso due business unit, Stefanel e Interfashion che disegna, produce e distribuisce a livello internazionale due brand: HIGH (di proprietà del Gruppo) e I’m Isola Marras (in licenza). Stefanel è un fashion brand globale con uno spirito italiano, che disegna prodotti dallo
IN T E RV ISTA | l a s t rat e g ia p e r ril a n c ia re St e fa n e l n e l mo ndo
stile contemporaneo con un focus particolare sulla maglieria, la quale rappresenta l’essenza del DNA di Stefanel. Alla base di un impegno forte sulla qualità e l’artigianalità risiede un grande orgoglio per l’heritage della mia famiglia e importanti competenze tecniche. I risultati finanziari del Gruppo resi noti a settembre mostrano ricavi in crescita, utile positivo e indebitamento in calo (grazie alla plusvalenza originata dalla cessione della partecipazione detenuta in Noel International S.A.), ma EBIT ancora negativo. Come valuta questi primi risultati, in relazione al recente accordo con le banche per la ristrutturazione del debito e ai progetti per superare le difficoltà economiche e finanziarie di questi ultimi anni? Siamo sulla strada giusta per il risanamento, ma la crisi mondiale ha ovviamente rallentato il passo del nostro piano industriale. Per arrivare al break even occorreranno un paio d’anni, tenendo conto delle incertezze che gravano a livello globale. Una parte importante nel progetto di risanamento è data dall’impegno che stiamo mettendo nel restyling della nostra rete distributiva. Nell’arco degli ultimi due anni sono stati investiti circa 20 milioni di euro nel rifacimento del format dei negozi (abbiamo rinnovato oltre 100 negozi) e proseguiremo anche quest’anno per concludere il
piano. I segnali positivi che ci danno gli store rinnovati ci convincono sempre più che la strada è quella giusta. All’interno di una rete che ha realizzato una crescita delle vendite like-for-like nei negozi a gestione diretta del 10% nei primi 9 mesi del 2011, i negozi con il nuovo format registrano performance nettamente superiori rispetto agli altri. Uno dei passaggi chiave nel processo di riposizionamento del brand Stefanel sono i nuovi concept store. Nei primi 9 mesi del 2011 avete effettuato 26 nuove aperture e 74 chiusure. Qual è la strategia per i punti vendita? Stefanel è presente nel mondo con diverse formule che variano a seconda dei Paesi. Abbiamo sia negozi a gestione diretta che in franchising o gestiti in partnership, ma anche corner nei più prestigiosi department store del mondo. La nostra strategia prevede certamente qualche apertura anche nel breve termine, ma in questa fase mira principalmente a consolidare e migliorare ulteriormente la performance dei negozi esistenti. Anche per questo proseguirà il piano di restyling dei negozi avviato due anni fa e finalizzato a estendere a tutti i principali store del gruppo il nuovo concept. Il format è stato progettato dallo studio londinese Sybarite e grazie al design moder-
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INTERVI STA | la st r at e g i a pe r r i l anci ar e S t e fan e l n e l mo n do
I brand del Gruppo Stefanel Stefanel crea abbigliamento ed accessori per donne sicure della propria eleganza e offre alle sue clienti una retail experience profonda, rassicurante e moderna. I prezzi sono nel segmento medio-alto. Nel 2008, dopo la chiusura della licenza Marithé + FranÇois Girbaud, è stato lanciato il marchio High, creato dalla designer britannica Claire Campbell. Design, qualità e utilità sono i principi guida: le collezioni sono classiche ma contemporanee, una “everyday couture” dal tocco umano, eleganti, funzionali ma sofisticati, abiti modellati a mano di elevato comfort e qualità, nella fusione tra casual e chic. I’m Isola Marras invece è la seconda linea del famoso designer sardo Antonio Marras, che l’ha creata pensando ad un progetto per esprimere e diffondere lo spirito e l’essenza tipici della maison declinandoli nell’easy-daily-wear. È una linea giovane, completa nell’offerta, un abbigliamento veramente quotidiano dove il jeans gioca un ruolo importante.
no, elegante ma allo stesso tempo essenziale, si rivela perfettamente in linea con la nuova immagine di Stefanel. Passato e futuro, contemporaneità e tradizione si fondono insieme dando vita ad un’architettura d’interni concepita per far risaltare in particolar modo la collezione maglieria e trasmettere i valori che contraddistinguono il brand: sensualità, positività e armonia. Nel 1982 ha aperto i battenti il negozio di Parigi, primo punto vendita Stefanel all’estero, cui hanno fatto seguito decine di punti vendita nel mondo, per arrivare oggi a circa 500 store in oltre 30 paesi. Pochi mesi fa avete siglato un accordo che intensificherà la vostra presenza in Cina. Qual è il peso dell’estero sulle vendite e cosa vi aspettate in futuro, vista anche la pesante crisi dei consumi nel nostro Paese? La rete Stefanel consiste in circa 460 negozi monomarca, più o meno metà in Italia e metà nel resto del mondo, questi ultimi prevalentemente in Europa. I ricavi realizzati all’estero sono circa il 50% del totale e il mercato estero più importante è la Germania. Per il futuro riteniamo che il mercato cinese abbia enormi potenzialità: è quindi fondamentale esserci, ma è indispensabile trovare il giusto partner locale e noi lo abbiamo individuato in Carnival, società leader in questo mercato, che ci permetterà di rafforzare la nostra strategia di sviluppo nel mercato del Far East.
«Crediamo molto nel progetto eCommerce e abbiamo l’obiettivo di trasformare il sito nello “store” Stefanel più visitato del Gruppo. Le vendite stanno aumentando in modo esponenziale» | 28 |
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È stato da poco inaugurato un nuovo sito di eCommerce nell’ambito di una strategia di comunicazione digitale che coinvolge anche il mondo dei social network. Quali sono le principali caratteristiche del progetto? All’inizio di quest’anno abbiamo lanciato il nostro nuovo sito Web e shop on line www.stefanel.com, risultato di un progetto di comunicazione digitale integrata che dà vita ad un’esperienza circolare fra sito di immagine del Brand, sito istituzionale del Gruppo, e-commerce e social network. Abbiamo visto che le vendite sul canale eCommerce stanno aumentando in modo esponenziale e gli utilizzatori di internet (non solo e-commerce) nella nostra fascia target sono stati - nel 2011 - il 66% circa del totale. Per questo ci siamo convinti che Stefanel non poteva restare indietro. All’interno del nuovo sito si dà grande importanza alla relazione con le persone, supportata da una vera e propria testata on line, contenitore di ispirazioni con argomenti mensili che ospitano blogger, fotografi, architetti, persone che vogliono condividere idee che, attraverso i social network (facebook, twitter e youtube) vengono rilanciate sulla rete. Inoltre, un servizio di Personal Shopper, guida l’utente nella scelta del look ideale attraverso un test interattivo. L’obiettivo del nuovo sito è quello di dialogare con gli utenti e di proporre costantemente nuovi argomenti che stimolino la creatività e l’interattività. Il progetto del nuovo sito è stato affrontato a 360°, non solo e-commerce, ma anche ridisegno completo della piattaforma. Fino ad ora era più una vetrina che un luogo di incontro con i nostri consumatori ma pensiamo che il web sia uno strumento potentissimo anche di comunicazione ed è per questo che abbiamo deciso di dare una svolta importante. Crediamo molto nel progetto a cui abbiamo lavorato con l’entusiasmo che ha sempre contraddistinto ogni nostra iniziativa e abbiamo l’obiettivo di trasformarlo nello “store” Stefanel più visitato del gruppo.
Os s e r vato rio
di
Alessandro Perego
Professore Ordinario di Logistica e Supply Chain Management del Politecnico di Milano e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Contract Logistics
L’outsourcing strategico della logistica L’offerta di logistica conto terzi, o Contract Logistics, in Italia è molto ampia e articolata, ma esistono ancora ampi margini di sviluppo. L’affidamento di parti del processo a operatori diversi è oggi l’approccio dominante, mentre l’outsourcing strategico, che riguarda tutto il processo, è ancora poco utilizzato. Una ricerca della School of Management del Politecnico di Milano fotografa il mercato ed evidenzia gli elementi chiave per il successo
Nato nel 2011 e al suo secondo anno di attività, l’Osservatorio Contract Logistics dalla School of Management del Politecnico di Milano costituisce un tavolo permanente di analisi critica e discussione sul ruolo di spinta all’innovazione che l’ecosistema della Contract Logistics può giocare per la diffusione di pratiche di eccellenza nella gestione della logistica e della supply chain in Italia. In particolare, l’Osservatorio è nato per misurare quantitativamente i principali numeri del settore – attori, fatturato, mercato, concentrazione, grado di terziarizzazione, redditività – ed esaminare il processo che genera innovazione e che “muove” le imprese committenti a prendere consapevolmente decisioni strategiche di outsourcing del processo logistico. i driver delLe decisioni di outsourcing Prima di parlare di outsourcing strategico della logistica è doveroso intendersi sul concetto di | 30 |
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“outsourcing strategico”. Con questo termine, in senso lato, ci si riferisce al percorso di analisi strategica che porta una organizzazione a prendere decisioni di outsourcing di processi aziendali, con implicazioni competitive di medio-lungo periodo. Da questo punto di vista è bene ricordare che la strategia competitiva di un’azienda è “costruita” su competenze in cui si eccelle (le core competence) e competenze che sono comunque co-essenziali per valorizzare le competenze distintive e che, se non presenti internamente, vanno cercate fuori. Diventa quindi tanto più “strategico” dare in outsourcing un’attività quanto più esiste qualche operatore sul mercato in grado di “fare meglio” tale attività e di generare quindi un vantaggio competitivo significativo per l’azienda. Tuttavia, come ben illustrato in figura 1, la possibilità di generare un vantaggio competitivo non è l’unico driver da considerare nelle decisioni di outsourcing. Queste dipendono infatti anche dal grado di rischio
o sse rvat o rio | L’ o ut so urc in g st rat e g ic o de lla l o g istica
di
Damiano Frosi
school of management politecnico di milano
quando l’outsourcing può essere definito “strategico”
(legato soprattutto alla possibile perdita di controllo sul processo): qualora tale rischio risulti elevato, o quantomeno la percezione dei benefici sia minore della percezione del rischio associato all’outsourcing, la scelta consigliata è quella di mantenere “in casa” tali attività. Vi è un interessante corollario. Questa premessa ci permette infatti di sfatare uno dei principali “falsi miti” dell’outsourcing, in base al quale le aziende danno in outsourcing solo le attività che non sono centrali nella definizione o nella realizzazione della propria strategia, dove non si realizza cioè un vantaggio competitivo. È invece del tutto ragionevole dare in outsourcing un processo chiave se vi sono le condizioni interne (non si hanno core competence su quel processo) ed esterne (l’ecosistema dell’offerta è affidabile e competitivo). E la logistica è per molte aziende in diversi settori proprio un processo chiave, fonte di vantaggio competitivo - di costo o di servizio.
Con “Outsourcing strategico della logistica” si intende usualmente descrivere quel processo decisionale che porta ad affidare in outsourcing un processo logistico completo, sia esso la logistica distributiva o la logistica di approvvigionamento (in una certa area geografica o relativamente a un determinato insieme di stabilimenti o centri distributivi). L’outsourcer si prende quindi in carico la gestione dell’intero processo avendo responsabilità sui KPI di processo e conseguentemente prendendosi gradi di libertà nell’organizzazione delle attività operative (trasporti, stoccaggio, picking) e in taluni casi anche nelle principali scelte di assetto della rete. Si considera ad esempio outsourcing strategico l’affidamento ad un unico fornitore della gestione del fine linea produttivo aziendale e del rifornimento dei centri distributivi, in quanto l’outsourcer deve gestire in maniera integrata un insieme di attività logistiche non certamente marginali nella strategia competitiva dell’azienda committente, con la possibilità di applicare le proprie leve di ottimizzazione del processo. Allo stesso modo è outsourcing strategico l’affidamento ad un fornitore dell’intero processo di approvvigionamento di materie prime o di semilavorati: in questo caso l’outsourcer si trova a compiere delle scelte relative alla struttura della rete logistica inbound e si occupa anche di aspetti di previsione e pianificazione (della domanda, delle scorte, ecc.), con riverberi sia strategici sia operativi rilevanti per l’azienda committente. Per converso non sono definibili “Outsourcing strategico della logistica” le scelte di outsourcing di attività logistiche “elementari” - come possono essere considerate l’affidamento a terzi del trasporto su strada o il ricorso a cooperativa per quanto riguarda l’handling di magazzino -, che piuttosto rientrano nella categoria del Commodity Outsourcing. La ricerca ha evidenziato che l’outsourcing strategico della logistica è interessante qualora sussistano tre condizioni di fondo: (i) l’azienda committente non abbia forti “core competence” in ambito logistico, (ii) vi siano operatori terzi che hanno oggettive possibilità di svolgere le attività logistiche con prestazioni di costo, servizio o flessibilità deciwww.ict4executive.it
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osservatori o | L’ou t s ou r ci n g s t r at e gi co d e ll a l o g ist ic a
L’outsourcing strategico prevede che l’outsourcer si prenda in carico la gestione dell’intero processo avendo responsabilità sui KPI e conseguentemente prendendosi gradi di libertà nell’organizzazione delle attività operative (trasporti, stoccaggio, picking) e in taluni casi anche nelle principali scelte di assetto della rete
samente superiori rispetto all’azienda committente, e infine (iii) i costi della relazione - ad esempio i costi di integrazione per la pianificazione strategica e operativa - e i rischi - ad esempio i rischi legati alla condivisione di informazioni e dati sensibili con altri attori - non siano tali da annullare i benefici ottenibili. Alla luce di queste considerazioni, è quindi decisivo – per chi deve prendere le scelte di “make or buy” del processo logistico – avere tutti gli elementi per formulare un giudizio sulla “qualità” dell’offerta di servizi logistici in Italia. Infatti il mercato dei servizi logistici non è “perfetto”, con differenze di prestazioni tra operatori tali da rendere comunque fonte di vantaggio (o svantaggio) competitivo la scelta dell’outsourcer. Da qui discendono due delle domande che hanno guidato la Ricerca 2011 dell’Osservatorio: • Quale la dimensione e la qualità dell’offerta di servizi di Contract Logistics in Italia? • Quale capacità di fornire prestazioni best-inthe-class e di innovare hanno i principali fornitori di servizi di Contract Logistics in Italia?
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L’offerta di logistica conto terzi in Italia (Contract Logistics) L’offerta di logistica conto terzi in Italia è molto ampia, eterogenea e articolata: oltre 114.000 fornitori di servizi legati da complesse relazioni di subfornitura. Il valore del fatturato delle aziende «italiane» di logistica conto terzi (escludendo i trasporti aereo e navale) è stato pari a 71 miliardi di euro nel 2009, con 32 miliardi di euro di scambi interni e quindi 39 miliardi di euro di “mercato” (somma dei contratti verso le sole aziende committenti), pari al 36% del totale dei costi logistici delle aziende italiane. Focalizzandosi però sulla sola offerta di servizi di outsourcing strategico della Logistica (Strategic Contract Logistics), il valore del mercato si riduce (dai 39 miliardi di euro) a circa 7,5 miliardi di euro. Il valore della sola Strategic Contract Logistics risulta quindi pari al 7% del totale dei costi logistici e risulta assai più basso che considerando la Contract Logistics in generale, a evidenza che l’approccio oggi dominante nelle relazioni di outsourcing della logistica è il Commodity Outsourcing, una sorta di “spezzatino” delle attività, con affidamento di parti del processo logistico a operatori diversi. Inoltre stiamo parlando di un mercato decisamente più concentrato rispetto al mercato della Contract Logistics in generale: i primi 100 operatori “fanno” oltre i due terzi del mercato. Si tratta principalmente di Operatori logistici e Spedizionieri, che rappresentano quasi l’85% del mercato della Strategic Contract Logistics, mentre i Corrieri/Corrieri espresso, seppur caratterizzati da un rapporto stretto con i committenti, hanno un peso minoritario (6%) in quanto la loro offerta è ancora fortemente focalizzata sul solo trasporto. Focalizzando l’attenzione sui primi 100 operatori, 72 sono “italiani”, mentre 28 sono filiali di aziende multinazionali. Tuttavia, se si considera il fatturato, il 56% è appannaggio di queste ultime. Sempre in relazione a queste 100 aziende, 48 presentano un fatturato maggiore di 100 milioni di euro, 21 un fatturato maggiore di 200 milioni di euro e solo 6 un fatturato maggiore di 500 milioni di euro. Possiamo quindi dire che la misura del grado di penetrazione attuale della Contract Logistics evidenzia grandi opportunità di crescita. Vi è in primo luogo
o sse rvat o rio | L’ o ut so urc in g st rat e g ic o de lla l o g istica
Potenziale competitivo
Processi critici da mantenere all’interno Processi critici “gestibili” in outsourcing (richiesto elevato controllo)
Attività “commodity” da comprare all’esterno (accettabile basso controllo)
Fonte: rielaborazione da J.B. Quinn e F.G. Hilmer (1994), Strategic Outsourcing, MIT Sloan Management Reviews
figura 1 - Outsourcing strategico: classificazione dei processi nella matrice “grado di rischio vs potenziale competitivo”
Vulnerabilità ai rischi dell’outsourcing
un 64% di mercato potenziale non attualmente raggiunto. Sono qui ricompresi settori in cui la terziarizzazione è poco sviluppata (ad esempio la logistica ospedaliera, o più in generale la logistica a supporto delle aziende di servizi) e settori in cui le scelte di terziarizzazione della logistica sono estremamente variegate (a pari contesto, alcune aziende terziarizzano, altre non terziarizzano). La valutazione di quale componente di questo mercato potenziale possa tradursi in mercato reale dipende dalla comprensione delle motivazioni alla base delle scelte di outsourcing. In secondo luogo, la differenza tra penetrazione dell’outsourcing complessivo (36%) e penetrazione dello Strategic Outsourcing (7%) evidenzia come vi sia – almeno sulla carta – un elevato potenziale di sviluppo dei modelli di Strategic Outsourcing. Le competenze dei fornitori “best-in-the-class” Il successo di una iniziativa di terziarizzazione dipende in primo luogo dalla capacità del fornitore di servizi logistici di offrire prestazioni migliori rispetto a quelle del committente. Sono emersi 6 fattori chiave che possono spiegare la capacità dei principali operatori di logistica conto terzi di offrire prestazioni migliori rispetto alle aziende committenti. • Sfruttamento di economie di scopo. Si tratta di cogliere opportunità di risparmio derivanti dall’erogazione di servizi logistici facendo leva su una base comune di fattori produttivi (risorse ICT, magazzini, know-how, ecc.). Va ad esempio in questa direzione il tentativo di alcuni ope-
ratori di utilizzare lo stesso WMS (Warehouse Management System) in tutti i siti logistici, in modo da condividere le best practice e favorire la mobilità del personale fra i diversi siti. Sempre in questa direzione rientrano le scelte di specializzazione/focalizzazione su specifici settori in modo da sviluppare know-how specifico e ottimizzare i principali processi operativi.
figura 2 - Il valore del mercato della Strategic Contract Logistics e le potenzialità di sviluppo
Mercato potenziale
106 mld E Mercato attuale di Contract Logistics
39 mld E Mercato attuale di Strategic Contract Logistics
7,5 mld E
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osservatori o | L’ou t s ou r ci n g s t r at e gi co d e ll a l o g ist ic a
figura 3 - I fattori chiave per l’offerta di prestazioni best-in-the-class
Sfruttamento delle economie di scopo
Sfruttamento delle economie di scala
Capacità di controllo dei subfornitori nella filiera dei servizi logistici
Livello di sviluppo dei fattori competitivi comune alla maggior parte degli operatori Elevata capacità finanziaria
Livello di sviluppo dei fattori competitivi a cui stanno tendendo alcuni operatori Livello di sviluppo basso
Forti competenze specifiche di logistica operativa
Forti competenze ICT
• Sfruttamento di economie di scala. Ne sono un esempio i poli logistici multi-cliente (si pensi ai poli dell’Editoria, dell’Alimentare fresco, dell’Elettronica di consumo) che hanno come primo effetto positivo l’aumento dei volumi e quindi della saturazione dei mezzi di trasporto in uscita dai depositi. • Forti competenze di ICT, ossia la capacità di sviluppare e gestire soluzioni ICT a supporto dei processi operativi – ad esempio lo sviluppo dei TMS (Transportation Management System) con funzionalità di “control tower” – e di interfaccia cliente-fornitore in modo da favorire la comunicazione fra i sistemi informativi del cliente e del committente. • Forti competenze di logistica operativa, ossia la conoscenza approfondita delle principali attività di logistica fisica e della loro corretta gestione e implementazione (procedure di entrata merce, modalità di allocazione degli articoli, pianificazione dei trasporti, organizzazione del personale, ecc.). • Elevata capacità finanziaria per gli investimenti in logistica, ossia la capacità del fornitore di investire in progetti di terziarizzazione anche in presenza di un ingente sforzo finanziario. Sono un esempio i casi in cui si investe in progetti di automazione del magazzino con tempi di ritorno dall’investimento lunghi, anche molti anni. • Maggiore controllo dei subfornitori nella filiera dei servizi logistici. Il “controllo” sugli attori della filiera della logistica, sia organizzativo sia operativo, rappresenta un fattore chiave per governare il livello di servizio e aumentare l’efficienza nella gestione del processo. | 34 |
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medio
alto
Base: 30 fornitori di servizi logistici
Collaborazione fornitori-committenti: la chiave di volta Come in altri contesti la fiducia fra le parti risulta la condizione principale per favorire l’innovazione. La costruzione di questa fiducia richiede una modifica nell’impostazione della relazione sia lato domanda che lato offerta, ben illustrata da alcuni atteggiamenti tipicamente rinvenibili nelle relazioni più consolidate: • aumentare la visibilità reciproca, sia in merito alle dinamiche del business sia in merito all’evoluzione del processo logistico aziendale (ad esempio una politica di riduzione scorte, se non comunicata in tempo utile al fornitore, può avere effetti devastanti, in particolate a fronte di eventuali investimenti dedicati); • lato committenti, superare un atteggiamento di esclusiva attenzione alla riduzione dei costi e accettare di condividere – sotto la guida degli operatori logistici – investimenti e progetti multi-committente in modo da sfruttare appieno possibili economie di scopo/scala; • lato operatori logistici, condividere con il committente i progetti/casi di successo in modo da favorire una fertilizzazione orizzontale e puntare a rafforzare – e non indebolire! – la cultura logistica delle aziende committenti. In un contesto di fiducia reciproca si riduce la percezione di rischio associata alla terziarizzazione dell’intero processo logistico e nel contempo aumenta la capacità di fare innovazione insieme.
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PROSSIMI EVENTI LA SCHOOL OF MANAGEMENT
La School of Management del Politecnico di Milano, con oltre 240 docenti, e circa 80 fra dottorandi e collaboratori alla ricerca, dal 2003 accoglie le molteplici attività di ricerca, formazione e alta consulenza, nei campi del management, dell’economia e dell’industrial engineering che il Politecnico porta avanti attraverso le sue diverse strutture interne e consortili. Fanno parte della Scuola il Dipartimento di Ingegneria Gestionale, le Lauree e il PhD Program di Ingegneria Gestionale e il MIP, la business school del Politecnico di Milano. La School of Management ha ricevuto nel 2007 l’accreditamento EQUIS.
GLI OSSERVATORI ICT & MANAGEMENT
Gli Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) vogliono offrire una fotografia accurata e continuamente aggiornata sugli impatti che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) hanno in Italia su imprese, pubbliche amministrazioni, filiere, mercati, ecc. Gli Osservatori sono ormai molteplici e affrontano in particolare tutte le tematiche più innovative nell’ambito delle ICT: B2b – eProcurement e eSupply Chain, Business Intelligence, Canale ICT, Cloud & ICT as a Service, eCommerce B2c, eGovernment, Enterprise 2.0, eProcurement nella PA, Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione, Gestione Progettazione e PLM, Gestione Strategica dell’ICT, Gioco Online, HR Innovation Practice, ICT & Business Innovation nel Fashion-Retail, ICT & Commercialisti, ICT & PMI, ICT Accessibile e Disabilità, ICT in Sanità, ICT nel Real Estate, ICT nelle Utility, ICT Strategic Sourcing, Information Security Management, Intelligent Transportation Systems, Internet of Things, Intranet Banche, Mobile & Wireless Business, Mobile Banking, Mobile Internet, Content & Apps, Mobile Marketing & Service, Multicanalità, New Media & New Internet, New Slot & VLT, New Tablet & Business Application, NFC & Mobile Payment, RFId, Social Network, Unified Communication & Collaboration. OSSERVATORIO ICT IN SANITÀ
17 APRILE 2012
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno, realizzato con il contributo dell’ICT Institute e in collaborazione con Senaf/Exposanità, saranno presentati i risultati della quinta Ricerca che, in continuità con il lavoro svolto negli anni precedenti, analizza le tematiche connesse ai budget e agli investimenti ICT, con l’obiettivo di stimare le risorse destinate all’ICT nel settore sanitario, ponendo particolare attenzione agli investimenti in gioco nei diversi ambiti applicativi. In particolare, la Ricerca approfondisce temi di frontiera tra cui il Virtual e Mobile Health e il Cloud Computing, attraverso questionari rivolti ai Responsabili Sistemi Informativi e ai Direttori Generali, Amministrativi e Sanitari delle strutture sanitarie italiane, e a un campione statisticamente significativo di Medici di Medicina Generale e di Cittadini. I risultati della Ricerca saranno seguiti da una Tavola Rotonda, a cui parteciperanno rappresentanti autorevoli delle Istituzioni e delle strutture sanitarie italiane. Nel corso del Convegno sarà consegnato il “Premio Innovazione ICT in Sanità” alle strutture sanitarie, pubbliche e private, che si sono maggiormente distinte per la capacità di utilizzare le tecnologie ICT come leva per migliorare l’efficienza e l’efficacia aziendale. A valle del Convegno si terranno alcune Sessioni Verticali focalizzate su alcuni ambiti specifici, tra cui Cartella Clinica Elettronica, Dematerializzazione, Telemedicina, Servizi Digitali al Cittadino, Business Intelligence e Sistemi di Reporting, ecc.
OSSERVATORIO FATTURAZIONE ELETTRONICA E DEMATERIALIZZAZIONE
24 MAGGIO 2012
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2011
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Durnado Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno verranno presentati i risultati della nuova Ricerca, che si è posta l’obiettivo di affiancare alle “storiche” attività di monitoraggio delle soluzioni di Fatturazione Elettronica, Conservazione Sostitutiva e Integrazione del Ciclo Ordine-Pagamento un’analisi sulle opportunità di Dematerializzazione e Digitalizzazione dei processi in altri contesti. Il Convegno 2012 si strutturerà, quindi, in due parti. La prima, oltre alla fotografia dell’attuale stato di adozione delle soluzioni di Fatturazione Elettronica, Conservazione Sostitutiva e Integrazione del Ciclo Ordine-Pagamento, sarà dedicata a fornire risposte – supportate anche da testimonianze ed evidenze empiriche – alle principali domande di “chi vuol fare” con riferimento a questi progetti. La seconda allargherà lo scope oltre il Ciclo dell’Ordine, andando a presentare le principali opportunità di Dematerializzazione con riferimento per esempio alla digitalizzazione dei processi di supporto alla consegna delle merci e dei processi che prevedono l’impiego della firma autografa con particolare focus sul contesto bancario.
OSSERVATORIO MOBILE INTERNET CONTENT & APPS
GIUGNO 2012
Convegno di presentazione dei risultati della Ricerca 2012
Politecnico di Milano Aula Carlo De Carli Campus Bovisa Via Durando 10, Milano
Durante il Convegno verranno presentati i risultati della Ricerca 2012 dell’Osservatorio Mobile Internet, Content & Apps promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con l'ICT Institute e il MEF – Mobile Entertainment Forum. In un contesto di fortissima crescita del segmento smartphone, di grande fermento nell’offerta di contenuti e applicazioni e di importanti trasformazioni nel settore Telco, la Ricerca 2012 si è posta i seguenti obiettivi: valutare approfonditamente le dinamiche quantitative del mercato Mobile Internet, Content e Application nelle sue diverse articolazioni; inquadrare tali dinamiche nelle evoluzioni strategiche complessive in atto nel settore delle Telecomunicazioni mobili; comprendere il ruolo e le strategie dei diversi attori operanti nella filiera – Media company, Internet company, Mobile content & service provider, Produttori di terminali, Telco, ecc.; analizzare l’approccio degli utenti italiani al Mobile Internet e alle Mobile Application; tratteggiare i principali trend in atto e i possibili scenari evolutivi. L'Evento sarà anche l'occasione per un confronto tra i Vertici delle Telco Mobili italiane sulle sfide che il settore delle Telecomunicazioni sta affrontando.
P E R M A G G I O R I I N F O R M A Z I O N I V I S I TAT E I L S I T O
w w w. o s s e r v a t o r i . n e t
Speciale “logistica”
i retailer italiani ottimizzano i processi di filiera
Oggi più che mai le aziende produttive sono spinte a perseguire maggiori livelli di efficienza. Un’esigenza che trova spesso risposta nell’adozione di un approccio collaborativo, con l’obiettivo di migliorare i processi, ridurre i costi e incrementare la qualità. Ecco perché Tesi Spa, specializzata nello sviluppo di soluzioni informatiche per la gestione dei processi di Supply Chain e Transportation ha investito fortemente in soluzioni estese a livello di filiera: «Proprio in questo contesto - spiega Roberto Graziotin, Business Demand Manager di Tesi - è emersa tra i player della filiera del largo consumo una problematica molto sentita, cioè quella derivante dai lunghi ed onerosi tempi di attesa allo scarico dei veicoli presso i Centri di Distribuzione. A maggior ragione oggi, che la normativa sui trasporti regolamenta e penalizza pesantemente tali attese improduttive, le soste prolungate sui piazzali dei centri distributivi comportano inefficienze economiche e problemi contrattuali difficili da gestire per tutti: retailer, produttori e operatori logistici». La risposta si è concretizzata nella piattaforma web TC1 GDO (Tesi Collaboration One per la Grande Distribuzione Organizzata) alla quale accedono ogni giorno oltre 1000 utenti tramite il servizio in Pay-Per-Use di prenotazione dinamica degli slot di scarico: produttori, operatori logistici e trasportatori possono riservare – via web, sms o call center – la propria finestra di scarico nell’ambito di una fascia oraria pianificata e compatibile con i carichi di lavoro del Ce.Di., tenendo inoltre sotto controllo i KPI più importanti (puntualità, tempi di attesa allo scarico ed altri).
La piattaforma web TC1 GDO è il servizio “pay per use” per la prenotazione dinamica degli slot di scarico dei mezzi, che, tramite canone, permette di ridurre a soli 15 minuti i tempi di attesa allo scarico dei veicoli nei piazzali dei centri distributivi
TC1 GDO deriva dalle competenze di Tesi nelle soluzioni di integrazione e dall’esperienza maturata in 15 anni di lavoro fianco a fianco con le principali realtà italiane del mondo Retail. Tali competenze sono nate con il servizio EDI, area nella quale oggi Tesi è primo Provider italiano nel settore del Largo Consumo, provider ufficiale Euritmo certificato Indicod-ECR e provider certificato Ediel. Si sono quindi sviluppate nel corso degli anni con grande successo attraverso le soluzioni web della Tesi Business Control Tower, suite integrata per la gestione della supply chain, che, grazie ai prodotti di punta Net Mover e Net Supply, conta oggi oltre 200 aziende utilizzatrici.
Sono già diverse le società della GDO che hanno scelto Tesi come partner tecnologico per risolvere la problematica delle lunghe attese nei piazzali dei centri distributivi: a febbraio 2011 per prima si è mossa Carrefour Italia, cui si sono presto aggiunte Gruppo Pam, SMA Finiper e Unes. «I numeri ad un anno dalla partenza del progetto parlano chiaro - commenta Roberto Graziotin di Tesi - : 5 grandi retailer italiani si sono già attivati e 2 stanno per farlo, per un totale di 21 depositi food e non-food, mentre sono oltre 600 le aziende aderenti tra i produttori di beni di Largo Consumo e gli operatori logistici. Ma i dati più importanti sono quelli che confermano il raggiungimento degli obiettivi iniziali: il 98% dei mezzi che arrivano puntuali entrano oggi con un tempo medio di attesa di soli 15 minuti».
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Speciale “procurement”
SEA innova la gestione degli acquisti con il vendor rating
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Prima tra le società di gestione aeroportuale, SEA ha integrato l’Albo Fornitori con un processo telematico di valutazione - preventiva e consuntiva - delle caratteristiche e capacità dei fornitori, basato su funzionalità di “Vendor Rating” sviluppate da BravoSolution
Il Vendor Rating costituisce la “base” per definire un nuovo approccio nella relazione con i propri fornitori, secondo logiche sempre più orientate a rapporti di partnership. Le soluzioni di Vendor Rating consentono infatti di monitorare e misurare sistematicamente, su parametri oggettivi, le performance dei fornitori durante tutto il periodo di collaborazione, sia in relazione ad aspetti “generali” (ad esempio il rispetto di determinate certificazioni ambientali), sia in relazione alla singola fornitura. A Serafino Perego, Direttore Purchasing di SEA, abbiamo chiesto di spiegare come funziona e quali sono i vantaggi della soluzione adottata dall’azienda.
tecnologica ad altre prestazioni – nel nostro caso sviluppata da BravoSolution – ne fa una “leva di miglioramento” su diversi fronti, dalla valutazione del rischio di approvvigionamento al miglioramento del processo/prodotto del fornitore stesso.
In cosa consiste in sistema di Vendor Rating che avette adottato? Il sistema di valutazione preventiva e consuntiva gestito dalla soluzione di Vendor Rating che abbiamo adottato si esprime attraverso veri e propri “punteggi”, che aiutano a comprendere meglio e in maniera oggettiva, trasparente e tracciabile, le effettive capacità - o criticità - dei fornitori con cui si sta lavorando. Questa visibilità è preziosa per prendere decisioni coerenti con gli obiettivi aziendali, in particolare per quanto riguarda i fornitori più strategici. Poniamo, ad esempio, che le performance di un fornitore cruciale non siano più totalmente soddisfacenti… Fatte le verifiche del caso si potrà impostare, insieme al fornitore, un programma “correttivo” e verificare, tramite il Vendor Rating, se i punteggi relativi ai KPI (Key Performance Indicators) oggetto di valutazione evidenziano nel tempo il miglioramento atteso o meno. Se, dunque, la rilevazione delle performance dei fornitori è un’attività importante per le aziende, il fatto di poterla gestire in maniera strutturata, snella, trasparente e tracciata attraverso una soluzione
Quali sono le differenze con i consueti processi di qualificazione dei fornitori ? Il processo di qualificazione si focalizza sulla fase preliminare all’esecuzione della fornitura, garantendo che l’accesso ad una specifica opportunità di business sia riservato, ad esempio, ad operatori rispondenti a specifici requisiti. Gli Albi Fornitori utilizzati dalle aziende soggette al Codice dei Contratti Pubblici si basano, tipicamente, su questa modalità tipo di “pre-selezione”. Il Vendor Rating integra questo tipo di valutazione ex ante - misurata anch’essa tramite punteggi - con la misurazione sistematica del comportamento del fornitore nel tempo (ex post). Ovvero, facendo un’analogia, non mi fermo alla “fotografia” di inizio rapporto ma “giro un film” che registra l‘evolvere della relazione nel tempo. Si tratta dunque di un’osservazione dinamica, che restituisce informazioni sempre aggiornate sulle prestazioni del fornitore rispetto ai parametri di interesse, che possono essere anche molto specifici. È fondamentale impostare con attenzione questi parametri, definendoli e dando loro i giusti “pesi” in funzione degli obiettivi dell’azienda.
Serafino Perego Direttore Purchasing SEA
Speciale “procurement”
Se, ad esempio, la priorità è garantire processi “green”, sarà opportuno inserire KPI in grado di evidenziare la capacità dei fornitori su questo fronte. Il supporto dei professionisti BravoSolution ci ha aiutato a definire con precisione questa modellizzazione in tempi contenuti. Perché SEA ha scelto di adottare questa nuova modalità di gestione della relazione con i fornitori? Da diversi anni gestiamo per via telematica i processi di gara attraverso il portale “SEApprovvigionamenti”, sempre sviluppato da BravoSolution; più recentemente abbiamo integrato il processo con l’Albo Fornitori Digitale. L’aggiunta di funzionalità di Vendor Rating costituisce un ulteriore progresso verso una gestione del ciclo di acquisto orientata all’efficienza, alla trasparenza e alle pari opportunità per i fornitori. Inoltre, quale azienda di pubblico servizio, diamo particolare valore al mantenimento di elevati standard qualitativi nel servizio offerto ai nostri clienti. L’avvalersi di fornitori “eccellenti” ed affidabili, con i quali instaurare rapporti che vadano oltre la mera esecuzione di un contratto, è uno dei presupposti per garantire questa qualità. E l’unico modo per far emergere i fornitori più meritevoli è quello di valutarne, sistematicamente ed oggettivamente, le prestazioni, attività che la soluzione di Vendor Rating ci permette di svolgere egregiamente. Dunque l’obiettivo è un ciclo di acquisto online totalmente integrato tramite modalità di gestione telematiche, trasparenti e “paper-less”? Esattamente. L’integrazione fra i processi telematici di gara, i nostri sistemi gestionali Sap è già effettiva da anni, attraverso un ciclo unico che informatizza tutte le attività cha vanno dalla formalizzazione dei fabbisogni (richiesta di acquisto), al processo di gara (richiesta di offerta tecnica ed economica, apertura buste, finalizzazione e assegnazione) fino alla restituzione dei dati necessari per formalizzare i contratti. L’integrazione in corso con le funzionalità di Vendor Rating completa il processo.
Quali sono i principali benefici del processo di innovazione nella gestione degli acquisti condotto da SEA in questi anni e quali le aspettative sul fronte Vendor Rating? Sono molteplici. Siamo sicuramente cresciuti in termini di efficienza, in particolare su attività prima svolte manualmente quali, ad esempio, l’allineamento delle offerte dei fornitori. Abbiamo inoltre ridotto in maniera molto significativa, compatibilmente con gli obblighi normativi, l’uso di carta. L’integrazione con il nostro ERP ha inoltre praticamente azzerato la duplicazioni dei dati nei sistemi, con relativi rischi di errore… Inoltre, trasparenza e tracciabilità sono garantite. Lo snellimento dei processi è gradito anche dai fornitori, per i quali il portale “SEApprovvigionamenti” è ormai uno strumento di lavoro quotidiano. E proprio sul fronte dei fornitori ci aspettiamo un grande supporto dal Vendor Rating poiché diventerà lo strumento per condividere e perseguire, insieme, gli obiettivi di continuous improvement che guidano l’operato di SEA.
Il vendor rating offre un’osservazione dinamica, che restituisce informazioni sempre aggiornate sulle prestazioni del fornitore nel tempo, rispetto ai parametri di interesse | 39 |
Speciale “sanità”
La via dell’innovazione in Sanità passa per l’ICT L’adozione di tecnologie digitali appare oggi più che mai una strada vincente per garantire la qualità dei servizi ai pazienti con risorse sempre più limitate. Al di là dei veri e propri investimenti in ICT, risultano fondamentali per il successo il presidio dei progetti di innovazione e i meccanismi di governance adottati
La difficile congiuntura che stiamo vivendo impone scelte importanti anche nel settore della Sanità, pubblica e privata. All’esigenza di mantenere - e anzi migliorare - la qualità dei servizi offerti ai pazienti fa da contraltare la sempre minore disponibilità di risorse, in un contesto in cui i trend demografici e sociali appaiono sempre più complessi da fronteggiare. L’invecchiamento della popolazione richiede, in particolare, un impegno crescente di risorse per garantire la qualità della vita e l’universalità nella cura, mentre l’esigenza di ridurre o mettere sotto controllo la spesa delle PA pone vincoli sempre più stringenti. Le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT) possono essere la risposta e rappresentare, più che un’opportunità, una strada obbligata: come già accaduto in molti altri settori dell’economia, infatti, l’ICT rappresenta per la Sanità una leva chiave per raggiungere contemporaneamente obiettivi di efficacia, efficienza e di miglioramento della qualità. E questo a livello internazionale, europeo, italiano e regionale. | 40 |
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, pone lo sviluppo dell’ICT tra le priorità che guideranno l’innovazione in ambito sanitario almeno fino al 2015, mentre l’Unione Europea ha definito un ambizioso piano eHealth per lo sviluppo della sanità elettronica. In Italia, è in atto una profonda evoluzione del Sistema Sanitario Nazionale, grazie allo sviluppo del Nuovo Sistema Informativo Sanitario, mentre a livello regionale le politiche di sviluppo ICT trovano il loro reale centro propulsivo e fanno da discriminante tra le regioni virtuose e quelle in affanno. In questo discorso fondamentali risultano, al di là dei veri e propri investimenti in ICT, il presidio dei progetti di innovazione portati avanti e i meccanismi di governance adottati per il coordinamento dei diversi attori che compongono il contesto della Sanità italiana. Secondo i ricercatori dell’Osservatorio ICT in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net), occorre perseguire, infatti, l’obiettivo di una governance condivisa e multilivello, in cui
Speciale “sanità”
a ciascun livello del sistema siano incentivati e favoriti i tre approcci seguenti. • Coinvolgimento e ascolto verso il basso: l’innovazione non va calata dall’alto verso il basso, attraverso l’imposizione di standard e la mancanza di ascolto e coinvolgimento nelle decisioni degli attori a livello inferiore (come ad esempio una Regione nei confronti delle strutture sanitarie). L’innovazione poi non può essere “emanata” come un editto e poi abbandonata, ma le iniziative devono essere accompagnate e favorite attraverso linee guida, formazione e incentivi. • Propositività e disponibilità verso l’alto: nei confronti dell’attore di livello superiore (ad esempio le strutture sanitarie nei confronti delle Regioni) gli “autori” dell’innovazione devono saper abbandonare la fisiologica tendenza al “localismo” per proporsi come interlocutori aperti, capaci di portare non solo le legittime istanze, ma anche il proprio patrimonio di esperienza e competenza. • Confronto e collaborazione verso gli attori dello stesso livello: in un sistema di governance distribuita è fondamentale la capacità degli attori, ad un medesimo livello, di confrontarsi e saper astrarre la specificità del proprio contesto per imparare dall’esperienza degli altri. Al tempo stesso, è importante che ognuno sappia rinunciare alla tentazione di voler fare a tutti i costi il pioniere o il “primo della classe”, per collaborare con gli altri e cogliere le molteplici opportunità insite nello sviluppo di innovazioni e servizi condivisi. i principali ambiti di innovazione L’Osservatorio ICT in Sanità, attraverso survey e casi di studio ai CIO e alla Direzione Strategica, nell’ambito della Ricerca 2012 ha individuato alcuni ambiti di innovazione il cui utilizzo integrato consente di disegnare un sistema di Virtual Health in cui le informazioni, le conoscenze e i servizi sono resi meglio accessibili agli operatori sanitari e agli stessi pazienti, consentendo al tempo stesso di ridurre i costi e migliorare la qualità del Sistema Sanitario. Tali ambiti possono essere ricondotti a 7 aree chiave. • Cartella Clinica Elettronica: già da anni è tra i principali ambiti di investimento per gran parte delle strutture sanitarie italiane, per i benefici ottenibili in termini di efficacia ed efficienza dei processi interni. • Cloud Computing: rappresenta per oltre due terzi dei CIO intervistati una grande opportunità per ridurre i costi di gestione interni, gli investimenti e i tempi di adozione. A fronte di questo, le esperienze in atto sono ancora limitate.
• Sistemi per la Dematerializzazione: la veloce ed efficace diffusione di sistemi per la gestione documentale e la conservazione sostitutiva rappresenta una delle “sfide” principali per l’innovazione in Sanità, sia perché in grado di razionalizzare processi e risorse interne sia in quanto prerequisito essenziale per lo sviluppo di altri ambiti di innovazione. • Gestione informatizzata dei farmaci: si tratta di un ambito rilevante per l’impatto in termini di efficienza e controllo dei costi, ma soprattutto per gli aspetti legati alla riduzione del rischio clinico, grazie al contenimento degli errori sia nelle fasi di prescrizione ed allestimento della terapia sia in quelle di preparazione e somministrazione del farmaco. • Servizi digitali al Cittadino: sebbene la Direzione Strategica li ritenga strumenti fondamentali per consentire un maggior coinvolgimento ed empowerment del cittadino, risultano ancora poco sfruttati dalle strutture sanitarie, che ad oggi si orientano prevalentemente su servizi informativi e di accesso ai dati sanitari personali da parte del paziente e meno sui servizi self services (prenotazione/annullamento/pagamento online delle prestazioni) e 2.0. • Mobile Health: tali servizi consentono di eliminare le barriere spazio-temporali e di migliorare radicalmente i processi interni alle strutture, l’accessibilità dei servizi e delle informazioni sanitarie da parte dei cittadini, nonché l’assistenza e la cura in remoto. • Sistemi di Business Intelligence e Clinical Governance: consentono di supportare sia le decisioni relative al controllo di gestione e alla pianificazione delle risorse, sia quelle relative alla gestione clinica, con particolare impatto sulla gestione del rischio. A fianco di questi ambiti, riconosciuti come fondamentali dalla maggior parte dei decisori delle Strutture Sanitarie e che attirano crescenti risorse, ve ne sono altri decisamente più immaturi, tra cui i seguenti. • Fascicolo Sanitario Elettronico: la digitalizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico porterebbe a notevoli risparmi per il sistema, ma la governance dello sviluppo richiede un approccio centralizzato e sistemico che solo poche Regioni sono state in grado di promuovere attraverso grandi progetti regionali. • Soluzioni per la medicina sul territorio e l’Assistenza Domiciliare: con l’invecchiamento demografico e la crescita dell’incidenza delle cronicità questi sistemi sono destinati a svolgere un ruolo fondamentale per abilitare e rendere sostenibili modelli di erogazione della cura basati sull’empowerment del paziente e dei care givers e lo spostamento della cura verso gli operatori del territorio. www.ict4executive.it
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Speciale “sanità”
UN GESTIONALE ad hoc PER le esigenze delle strutture sanitarie
Nelle moderne strutture medico-ospedaliere, pubbliche e private, l’efficienza dei servizi offerti al paziente passa attraverso l’automatizzazione delle procedure di accettazione, refertazione, preventivazione e fatturazione. Per far sì che ogni processo possa essere svolto in un ambiente di utilizzo semplice e intuitivo, lo studio odontoiatrico Sidoti & Tartaglia ha scelto la soluzione Clinical Manager di BRAIN FORCE. «Abbiamo chiesto a BRAIN FORCE di affiancarci nella ricerca di uno strumento in grado gestire le attività cliniche dello studio. La ricerca di un prodotto simile si era infatti rivelata abbastanza ardua - dichiara il dr. Gianluca Tartaglia, titolare con il dr. Ernesto Sidoti dell’omonimo studio odontoiatrico -. Sul mercato è possibile trovare diverse soluzioni gestionali valide dal punto di vista contabile, ma poco o per nulla adatte a fornire supporto alle attività specifiche degli studi medici». Clinical Manager è una soluzione che gira in ambiente Microsoft rivolta alle strutture sanitarie polispecialistiche, in grado di offrire allo staff sanitario le funzionalità necessarie per una gestione completa del paziente, dall’agenda appuntamenti, all’anamnesi, all’esitazione delle prestazioni effettuate. L’ottimizzazione nell’agenda dei medici, nell’uso delle diverse postazioni e nella preparazione preventiva di quanto necessario alle specifiche prestazioni, sono gli efficientamenti che più facilmente si colgono grazie all’uso di Clinical Manager. Un canale di co-
L’ESPERIENZA DELLO studio odontoiatrico Sidoti & Tartaglia, CHE HA sceLTO Clinical Manager di BRAIN FORCE per gestire al meglio le procedure cliniche, dall’agenda degli appuntamenti dei pazienti fino all’esitazione delle prestazioni
Gianluca Tartaglia Studio odontoiatrico Sidoti & Tartaglia
municazione “silenzioso” all’interno di Clinical Manager, inoltre, mantiene costantemente in contatto il medico che opera nella sua postazione, con il frontdesk che dovrà fissare il prossimo appuntamento e che deve dare istruzioni al paziente per il prosieguo della cura. Clinical Manager si avvale anche di una grafica molto intuitiva ed è interamente customizzabile sulle base delle esigenze del cliente. Tutti i processi sono corredati dalle modulistiche necessarie (privacy, consenso informato, preventivi, ecc.) con la possibilità da parte della clinica di aggiungerne di nuove, anche personalizzate. «Abbiamo apprezzato molto le caratteristiche dell’interfaccia grafica - conclude il dr. Gianluca Tartaglia -. La soluzione, ad esempio, ci permette di attribuire un colore diverso a specifiche informazioni permettendoci di lavorare nell’assoluto rispetto della privacy. Lo studio può, ad esempio, decidere di usare in modo convenzionale una serie di colori per identificare alcune specifiche patologie del paziente permettendoci di ottenere in maniera immediata, attraverso un unico colpo d’occhio, tutte le informazioni necessarie. Insomma, una crescita di professionalità tangibile nell’attenzione al paziente».
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Speciale “sanità”
SANITA’ ALL’AVANGUARDIA A PALERMO
L’Azienda Ospedaliera “Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello” di Palermo, grazie al supporto di Fastweb e con l’utilizzo delle soluzioni di Allied Telesis, ha potuto realizzare la nuova infrastruttura di rete LAN e MPLS, risolvendo così tutte le istanze dell’azienda ospedaliera e facilitando gli sviluppi futuri. Sicurezza, affidabilità ed efficienza sono stati i principi ispiratori di tutti gli interventi. É stato possibile uniformare tutta l’infrastruttura di rete, riducendo l’eterogeneità delle tecnologie gestite. Inoltre, è stata ripianificata tutta la gestione della rete e degli utenti, centralizzata sulla console di gestione di utenti e gruppi di Active Directory, nel domain controller Microsoft. In questo modo si è riuscito finalmente ad attribuire un’identità certa ad ogni utente, ed a tracciarne diritti ed attività in maniera assoluta. Oggi l’A.O. “Ospedali Riuniti Villa Sofia – Cervello” di Palermo conta 650 posti letto e rappresenta un centro di riferimento per i reparti di Oculistica, Urologia, Neurologia, Cardiologia e Reumatologia. Prima dell’avvio del progetto, nel 2009, l’architettura di rete geografica dell’A.O. era centrata su tre siti, connessi tramite rete MPLS Fastweb in Fibra Ottica. Nessuna delle reti LAN presso le sedi prevedeva implementazione di VLAN, e tutte le sedi accedevano ad Internet tramite un accesso Fastweb, sito nella sede di Viale Strasburgo. La rivisitazione complessiva delle infrastrutture ICT dell’Azienda si è basata sulla realizzazione di una rete dati (geografica e locale) affidabile e sicura, per supportare l’informatizzazione delle attività sanita-
OSPEDALI RIUNITI VILLA SOFIA – CERVELLO, che ha 650 posti letto, ha RINNOVAto l’INFRASTRUTTURA DI RETE per supportare al meglio l’informatizzazione di tutte le attività, quali pronto soccorso, CUP, laboratorio analisi, diagnostica per immagini ecc.
rie, dal pronto soccorso al CUP, ma anche il laboratorio analisi, la diagnostica per immagini, la medicina nucleare e il reparto immuno-trasfusionale, oltre ai dipartimenti amministrativi. È stata realizzata un’infrastruttura di telefonia full IP (IP Telephony) basata su due centrali ridondate e da due Media Gateway per ognuna delle sedi minori, interconnesse tra loro tramite collegamenti geografici VPN MPLS in Fibra Ottica ridondati per ciascuna sede. Tale infrastruttura conta circa 1600 telefoni IP installati con previsioni di ampliamenti futuro e di potenziamento dei servizi offerti. Per quanto riguarda invece l’architettura di rete, sono state eseguite alcune implementazioni, quali l’attivazione di un core-switch per ciascuna sede e la standardizzazione del parco apparati. L’eterogeneità della situazione di partenza e la crescita progressiva della struttura hanno richiesto una pianificazione rigorosa e l’adozione di soluzioni scalabili e flessibili. La sensibilità dei dati trattati e l’esigenza di assicurare la continuità dei servizi hanno enfatizzato l’importanza della sicurezza e della resilienza.
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Speciale “sanità”
Innovare le infrastrutture ICT in Sanità
L’innovazione delle infrastrutture ICT nel settore della Sanità è stato il tema di un ciclo di incontri organizzato da ICT4Executive in collaborazione con Fujitsu, NetApp e VMware, che ha fatto tappa a Firenze (13 marzo), Verona (15 marzo) e Milano (4 aprile). Ogni evento ha previsto un tavolo di confronto fra utenti, esperti e vendor focalizzato in particolare sulle tematiche del Cloud Computing e delle più innovative soluzioni infrastrutturali, nuovi paradigmi in grado di offrire concrete possibilità di razionalizzazione dei datacenter e opportunità di riorganizzazione e ripensamento del workplace per gli utenti interni. Obiettivo principale è stato quello di favorire il confronto e lo scambio di esperienze con i CIO, gli IT Manager e in generale i decisori del settore della Sanità, affrontando alcuni dei trend più rilevanti nel panorama tecnologico attuale, quali il proliferare dei dispositivi mobili (smartphone e tablet in primis), l’aumento della mole di dati da gestire (il fenomeno dei Big Data), il paradigma imperante del Cloud Computing. Gli impatti sul Sistema Informativo Ospedaliero Dal dibattito è emerso come il Sistema sanitario è un’entità articolata caratterizzata dalla presenza di molteplici attori e flussi informativi. Le aziende ospedaliere, infatti, si relazionano con un numero elevato di interlocutori nello svolgimento delle loro attività (Stato, Regione, ASL, fornitori, cittadini, medici di base….) generando un’importante quantità di dati di complessa gestione. Nello specifico, gli impatti delle nuove soluzioni tecnologiche agiscono su vari livelli del Sistema Informativo Ospedaliero (SIO). Il portafoglio infrastrutturale è il più immediato punto di impatto: pensiamo alla virtualizzazione, alle soluzioni di storage, al paradigma Cloud - l’Infrastructure as a Service o l’intero data center on the cloud – le soluzioni infrastrutturali per il supporto della mobilità e dell’ubiquità di accesso. Anche Il portafoglio applicativo, che comprende | 44 |
Un ciclo di incontri - organizzato da ICT4Executive in collaborazione con Fujitsu, NetApp e VMware - ha messo a confronto esperti e decisori delle aziende ospedaliere, evidenziando le opportunità per “fare efficienza” e liberare così risorse per finanziare altra innovazione
Federico Riboldi Business Program Manager Marketing Fujitsu
Valter Cravero VMWare Italy
Dario Regazzoni Direttore Tecnico NetApp Italia
sistemi amministrativi e applicazioni di base, inizia ad avere impatti rilevanti, così come aumenta l’importanza della gestione del patrimonio informativo, che implica la gestione del documento digitale, soluzioni per l’accessibilità al dato e la verifica dell’affidabilità, per la compliance normativa e naturalmente per garantire la sicurezza e la privacy.
Speciale “sanità”
Un altro trend rilevante che è emerso riguarda la gestione operativa, che subisce evoluzioni interessanti: pensiamo alla richiesta degli utenti di avere ubiquità di accesso e dell’esigenza dei CIO di realizzare soluzioni di gestione centralizzata del workplace, garantendo flessibilità e scalabilità delle risorse. Per garantire un ottimale gestione operativa è necessario al contempo affrontare sfide considerevoli, quali l’evoluzione delle competenze e il presidio interno di risorse esterne. «I nuovi paradigmi –ha evidenziato Paolo Locatelli, Co-Responsabile Scientifico dell’Osservatorio ICT in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano - partendo dalla modernizzazione dell’infrastruttura IT, possono fare efficienza riducendo i costi operativi e liberando risorse. Tali risorse possono finanziare altra innovazione e abilitare l’evoluzione del patrimonio applicativo verso sistemi più completi, supportando così con più efficacia i processi di business nel generare valore». Come ha evidenziato Federico Riboldi, di Fujitsu Technology Solutions: «I sistemi IT della Sanità, come di altri settori, devono e dovranno sempre più affrontare un significativo incremento delle informazioni gestite ed essere in grado di renderle disponibili ovunque ce ne sia bisogno su una molteplicità di dispositivi». Le informazioni devono inoltre essere condivisibili tra i diversi attori coinvolti (pazienti, Operatori Sanitari, Assicurazioni ..), ma al contempo devono essere garantiti adeguati livelli di sicurezza e flessibilità. Secondo Valter Cravero, di VMWare Italy, le postazioni di lavoro desktop attualmente utilizzate in ambito clinico sono troppo complesse e non rispondono alle esigenze di cura: «Spesso si è in presenza di tempi di accesso troppo lunghi, complessità dovuta alla gestione della sicurezza, applicazioni installate localmente che impegnano per intero una postazione di lavoro e mancanza di accessi da remoto: tutto ciò determina una totale dispersione, tra piani, stanze, end point, sedi periferiche e applicazioni». Una soluzione di virtualizzazione consente di ovviare a queste criticità permettendo a medici, infermieri e personale amministrativo di utilizzare postazioni di lavoro distribuite all’interno della struttura grazie ad un’autenticazione che in pochi secondi dà accesso a tutte le applicazioni necessarie per il profilo utente. Così facendo si ottengono importanti vantaggi sul fronte dei tempi di deployment, dei costi, della sicurezza e dell’affidabilità, semplificando al tempo stesso la gestione del Sistema Informativo Dario Regazzoni di NetApp, ha evidenziato come «lo storage rivestirà un’importanza fondamentale nell’evoluzione dei sistemi IT, nel settore della Sa-
nità come negli altri. La richiesta è per una sempre maggiore capacità per depositare grandi quantità di dati non strutturati. L’accesso agli stessi deve essere erogato in maniera indipendente dalla locazione fisica, garantendo al contempo alti standard di sicurezza». I dati accumulati devono però essere correttamente classificati e identificabili, grazie ad un’accurata gestione dei metadata.
Lo stato di adozione di Cloud e Mobile nelle strutture ospedaliere italiane Il Cloud è considerato dal 66% dei CIO italiani un trend rilevante, e ben il 12% lo indica come una rivoluzione nel mondo dell’IT. Questi alcuni dei dati presentati da Paolo Locatelli, Co-Responsabile Scientifico dell’Osservatorio ICT in Sanità della School of Management del Politecnico di Milano nel corso della tavola rotonda. Le aziende sanitarie utilizzano servizi in Cloud principalmente per applicazioni di supporto, che non impattano sui processi primari relativi alla cura e per i quali non è critica l’integrazione con l’attuale sistema informativo (e-mail, calendar, eLearning, gestione del personale) e ad ambiti come il CUP (Centro Unico di Prenotazione), in cui vengono offerti servizi condivisi con altre aziende. In crescita anche l’interesse per soluzioni di gestione documentale “nella nuvola”. Soprattutto in ambito sanitario è di enorme rilievo il tema della privacy, dove vengono trattati in prevalenza dati sensibili e in cui utilizzare un servizio offerto in Cloud da un attore esterno per la memorizzazione dei dati personali espone il paziente a potenziali problemi di violazione. Per quanto riguarda la mobilità, ad oggi, nell’81% delle aziende vengono utilizzati notebook o netbook a supporto delle attività ospedaliere, nel 57% dei casi si tratta invece di dispositivi tablet, mentre la percentuale si abbassa per palmari (21%) e smartphone (12%). Gli ambiti che godono di maggiore diffusione sono la somministrazione della terapia a bordo letto (servizio presente nel 37% delle strutture e in via di implementazione in un’ulteriore 20%) e la sua prescrizione (attiva nel 35% delle strutture e in procinto di essere introdotta nel 24%). Altri ambiti di particolare interesse sono l’accesso degli operatori sanitari ai dati dei pazienti durante le visite, come la consultazione di referti e immagini (presente nel 35% delle strutture), la gestione del diario medico e infermieristico (attivo nel 34% delle strutture), e la rilevazione dei parametri vitali del paziente (effettuata nel 33% delle strutture). | 45 |
ma nagement di
luigi ferro
Fare impresa in tempi di incertezza Executive di business e un filosofo a confronto sul tema della mancanza di certezza, divenuta ormai la cifra del tempo che stiamo vivendo. E che ha anche aspetti positivi, perché agisce come molla per l’iniziativa individuale
“Non viviamo in tempi in cui le cose sono scontate”. Così recitava l’attacco dell’ultimo editoriale del Rocky Mountain news, uno dei tanti quotidiani americani che hanno dovuto chiudere i battenti sotto i colpi di una crisi devastante e dei lettori che migrano sul Web verso l’informazione gratuita. Sulle Montagne Rocciose la certezza è un ricordo del passato e anche da noi non si scherza, tanto che l’argomento diventa oggetto di discussione fra uomini d’azienda e filosofi. Succede a Milano dove Top Source, società di consulenza specializzata nei progetti di trasformazione aziendale, ha organizzato un incontro dal titolo “La certezza in azienda” nel quale Costantino Esposito, ordinario di Storia della filosofia presso l’Università di Bari, ha ricordato come «L’inquietudine della ragione è il modo attraverso il quale costruire qualcosa. È la vera risorsa umana, il capitale iniziale che ci portiamo addosso. L’uomo è stato creato per cominciare, sempre». Un’esortazione a vivere in positivo l’incertezza, a cogliere le sfide, che ricorda il “Stay hungry stay foolish” di Steve Jobs. Non a caso Alberto Daprà, docente di Management e strategia aziendale all’Università Milano-Bicocca, ha ricordato come nei suoi corsi cerchi di trasmettere «l’entusiasmo per l’intrapresa» ricordando come sia importante partire «con la voglia di lasciare il segno». La mancanza di certezza diventa quindi la molla per una forte iniziativa individuale e non una condizione simile a «quella del plancton, battuto da onde di origine, ritmo, direzione e intensità sconosciuti», come da citazione di Bauman ripresa da Leonardo Malgieri,
amministratore delegato di TopSource. La certezza è secondo Esposito non «un’assicurazione sulla vita, ma un punto di partenza di cosa riusciremo a costruire». Per questo il filoso vede la soluzione della crisi «come riaffermazione della soggettività, il trovare in noi le risorse per andare avanti. Ripartire dall’io non vuole dire andare da soli, ma capire cosa succede». Lo sottolinea Stefano Ferrara, direttore generale Santer Replay, secondo il quale è necessario «avere uno sguardo aperto di fronte alla realtà» e lo riprende Malgieri che afferma: «l’esser certo, è piuttosto la postura dell’io, il suo modo di camminare, di porre domande. Non significa che non si possa cadere, che non si possa sbagliare, ma dice chi sei, e il modo in cui fai le cose. Il vero rischio è quello dell’interpretazione, sia dei dati che dei segni: si intravedono le ragioni, ma non ci si muove. Sembra che manchi una energia di coerenza nel senso di rispetto ed adesione alla realtà. Ed in questa situazione il primo sentimento che si fa strada é quasi una negazione della realtà: esistono solo interpretazioni, ma non esistono né dati né fatti». Ma l’azienda a questo punto deve vivere in una sorta di stato da rivoluzione permanente? «Più che di rivoluzione permanente - conclude l’AD di TopSource - parlerei di inquietudine. E al contrario di quanto si ritiene abitualmente, per pigrizia o per inesperienza, è solo un uomo certo che può essere veramente inquieto e finanche godere della propria inquietudine, come un’attesa, una domanda che permette alla certezza di riaccadere sempre, che consenta di costruire il futuro». www.ict4executive.it
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CORSI BREVI ICT & MANAGEMENT
2012
L’Information and Communication Technology (ICT) svolge un ruolo sempre più pervasivo in qualsiasi organizzazione (impresa e Pubblica Amministrazione): da infrastruttura di base, indispensabile a garantire il corretto ed efficiente funzionamento dei processi, sta sempre più diventando una leva di innovazione strategica, potenziale fonte di differenziali competitivi. Non sempre, però, quest’accresciuta rilevanza si traduce in una pari crescita di competenze e consapevolezza da parte di coloro che, all’interno delle imprese utilizzatrici di ICT o all’interno delle imprese fornitrici di soluzioni e servizi professionali, sono chiamati a comprendere criticamente queste tecnologie, per garantirne l’effettivo allineamento al business. Per far fronte a quest’esigenza di formazione e crescita professionale, il MIP, in collaborazione con Cefriel, propone una serie di corsi brevi che si basano su una didattica attiva e partecipativa, dando ampio spazio all’interazione in aula, alla discussione su casi aziendali (best practices in particolare) e a qualificate testimonianze (attingendo ai numerosi Osservatori ICT & Management della School of Management del Politecnico di Milano - www.osservatori.net). Ogni corso prevede interventi da parte di CIO particolarmente significativi nel panorama italiano e internazionale. • ICT PRIVACY 21 Febbraio • CONTRATTI PER L'ACQUISTO DI SERVIZI INFORMATICI 12-13-14 Marzo • STRATEGIA E GOVERNANCE DELL'ICT 29-30 Marzo • ICT COMPLIANCE 17 Aprile • ORGANIZZAZIONE E PROCESSI DELL'ICT 19-20 Aprile • NEW MEDIA & NEW INTERNET 14-15 Maggio • BUSINESS INTELLIGENCE 21-22 Maggio • ICT STRATEGIC SOURCING 24-25 Maggio • CHANGE MANAGEMENT E GESTIONE DELLA CONOSCENZA 11-12 Giugno • KNOWLEDGE & COMMUNITY MANAGEMENT 13 Giugno • TECHNOLOGY-ENABLED BUSINESS MODELS 19-20 Giugno
• FATTURAZIONE ELETTRONICA E CONSERVAZIONE SOSTITUTIVA 25-26 Giugno • MODELLI E STRUMENTI DELL'ENTERPRISE 2.0 12-13 Luglio • NUOVE ARCHITETTURE ICT: L'ADAPTIVE ENTERPRISE 20-21 Settembre • L'INFORMATION SECURITY NELL'ERA DEL MOBILE E DEL CLOUD 27-28 Settembre • DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI DI FILIERA: L'EXTENDED ENTERPRISE 11-12 Ottobre • ICT DIGITAL FORENSICS 22-23 Ottobre • INNOVARE IL BUSINESS CON LE SOLUZIONI WIRELESS: LA MOBILE ENTERPRISE 8-9 Novembre • CANALI DIGITALI E NUOVI PARADIGMI DI MARKETING 29-30 Novembre
In collaborazione con
Per informazioni: www.mip.polimi.it/ict
publiredazionale
Bariumlive! sceglie Business Competence
Bariumlive! è definitivamente sbarcato in Italia e ha scelto come partner in esclusiva la società italiana Business Competence. «Abbiamo avviato questa partnership perché riteniamo che la suite di soluzioni di Bariumlive! sia uno strumento indispensabile per le aziende nostre clienti - commenta Pierguido Iezzi, CEO di Business Competence -. Nell’attuale scenario, le aziende hanno la necessità di ottimizzare e razionalizzare i processi non solo al fine di creare efficienza, efficacia e velocità, ma anche e soprattutto di garantire coerenza e sostenibilità. Sono questi gli indicatori di performance che sempre di più rappresentano le leve per poter generare valore e affrontare un mercato estremamente competitivo». BariumLive! è una suite della società svedese Barium (http://www.bariumlive.com). Grazie alla sua flessibilità e facilità di utilizzo permette di automatizzare, e rendere efficienti ed efficaci la gestione dei processi aziendali dai più semplici a quelli più complessi e invasivi. Una suite studiata per essere software as a service, in cloud, web-based e user friendly. Sviluppata per essere facilmente operativa al fine di supportare le aziende per creare applicazioni di processo taylor made. Bariumlive!, che si tratti di semplici processi di supporto interno o soluzioni per migliorare le operazioni di base e servizi, ha una semplicità di utilizzo unica. Tutti questi elementi la rendono una scelta facile per le organizzazioni che desiderano implementare applicazioni con software intelligenti, veloci e agili, progettati per le esigenze aziendali specifiche. Bariumlive! è inoltre integrabile nella piattaforma SharePoint di Microsoft e dispone di una App per iPhone di Apple per la gestione da mobile.
la società italiana distribuisce in esclusiva la suite della software house svedese, che consente alle aziende di automatizzare la gestione dei processi, dai più semplici a quelli più complessi e invasivi, rendendoli più efficienti ed efficaci
James Sullivan, International Partnerships Manager di Barium, dichiara «Business Competence è il nostro partner ideale. Ha la competenza, esperienza e gli strumenti per implementare rapidamente soluzioni e fornire istantanea efficienza operativa al business sia a livello tecnologico che di processo. Business Competence si prende cura del servizio, mentre voi vi prendete cura del vostro business». Il 2011 per Business Competence è stato ricco di novità. Infatti a marzo è stata annunciato anche lo spin-off di CMIP srl (www.cmipservice.it) specializzata in attività di web business analytics , società che in poco tempo ha avuto forte riconoscimento dal mercato, anche a livello internazionale.
Business Competence Business Competence è una società di Business Consulting, costituita nel 2007 e specializzata nell’attività di consulenza IT. Il valore aggiunto dell’azienda consiste nel porsi come partner a supporto del business dei propri clienti attraverso l’offerta di soluzioni tecnologiche all’avanguardia a garantire una migliore gestione delle risorse aziendali. Per ulteriori informazioni su come può aiutare la tua impresa o per richiedere una dimostrazione, contattare Business Competence : info@businesscompetence.it www.businesscompetence.it www.barium.com
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I N TE R V IS TA di
alessandro longo
marco brini amministratore delegato minteos
Internet delle cose, futuro prossimo Sono già numerosi i progetti attivi che seguono il paradigma dell’Internet of Things, dove gli oggetti diventano intelligenti e comunicano in wireless. Si profila uno scenario affascinante, mentre il mercato sembra pronto a decollare. Ne parliamo con Marco Brini, Amministratore Delegato di Minteos, società italiana specializzata in questo ambito
«Il mercato dell’Internet of Things è sul punto di esplodere. E ora è pronto a entrare nella seconda fase, quella dell’interoperabilità, che lo porterà a maturazione: proprio com’è accaduto all’Internet delle persone. Noi stiamo per fare questo passo…». È un fiume in piena Marco Brini, il 39enne amministratore delegato di Minteos: parole, idee, entusiasmo traboccante. Dal 2005, fanno sistemi machine to machine wireless grazie a una tecnologia creata da loro stessi e caratterizzata da una grande efficienza energetica. «Anche se siamo una piccola azienda, risultiamo tra i principali attori italiani di questo settore, secondo l’Osservatorio Ict della School of Management-Politecnico di Milano. Segno che è un mercato appena partito». Siete piccoli, sì, ma quanto? A leggere la vostra storia stupisce invece il grande numero di progetti. Se ne contano a decine, in Italia, Svizzera, Grecia… In realtà i contratti importanti, dal punto di vista economico, sono pochi. In tutto siamo 15 persone, abbiamo fatturato 350 mila euro nel 2011, con una crescita | 50 |
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del 50 per cento sul 2010. Tra i progetti più importanti ci sono per esempio i sistemi per il monitoraggio delle dighe piccole (chiuse): otto in Valle D’Aosta e una per Enel. E quelli per monitorare e ottimizzare la gestione delle acque reflue nelle fognature (ad Atene, Bergamo). Ma anche i progetti per rilevare e predire gli incendi boschivi (per conto del Comune di Roma). La maggior parte dei nostri committenti sta progettando di espandere i progetti e ci stanno arrivando commesse sempre più importanti. Ma perché il mercato wireless M2m sembra pronto al decollo, proprio adesso? Già, negli ultimi tre anni è cresciuto molto. Possiamo dire che comincia a esserci un mercato. Il punto è che c’è voluta una decina di anni di maturazione tecnologica ed è finita da poco. Alcuni aspetti tecnici dovevano risolversi: la distanza di comunicazione, la durata delle batteria. La tecnologia doveva inoltre confrontarsi con il mercato, rispon-
IN T E RVISTA | i n t e rn e t de l l e c o se , f ut uro p ro ssim o
dere alle esigenze delle diverse aree merceologiche con implementazioni specifiche. È stato importante, in tal senso, riuscire a fare a meno dei fili. È importante non averli nelle installazioni M2m nei vigneti, sulle montagne, nelle fognature, per ovvi motivi di praticabilità. In altre situazioni sarebbe troppo costoso e scomodo: per esempio nei laboratori che monitorano il gas in varie stanze. L’azienda non vuole certo staccare la cablatura e rifarla ogni volta che cambia la stanza dei test. Così, in questi casi, il mercato non ha usato M2m finché la soluzione wireless non è diventata matura. Che cosa le ha permesso di diventare matura? Lo è diventata non appena i sistemi wireless sono stati in grado di funzionare per lunghi periodi senza alimentazione. E questo è possibile grazie a una grande efficienza energetica degli agenti remoti. È importante inoltre riuscire a fare una comunicazione a lunga distanza (alcuni chilometri). Le peculiarità della nostra tecnologia sono appunto queste. Abbiamo sviluppato agenti remoti (sensori) con autonomia da due a dieci anni e con un raggio di comunicazione da 100 metri a tre chilometri. Portano su Internet, in modo georeferenziato, le informazioni rilevate nell’ambiente. Il cliente vi può accedere da remoto, quindi. È un sistema intelligente, inoltre, in grado di fare verifiche, previsioni, di capire se c’è un’anomalia. Come avete raggiunto questo livello di efficienza energetica? Abbiamo speso una 50ina di anni uomo di lavoro e alcuni milioni di euro in ricerca e sviluppo. Abbiamo così creato un sistema operativo distribuito tra gli agenti e sul gateway, che è un elemento di raccolta delle informazioni. Questo sistema operativo permette di avere efficienze prima non possibili, nell’ordine dei micro watt per i sensori e dei milliwatt per il gateway: mille volte di meno rispetto ai sistemi precedenti. Il gateway quindi ha un’autonomia di un anno con la batteria o infinita con un pannello solare grande quanto una mano. Siamo riusciti in questo anche grazie a un protocollo di comunicazione efficiente, che al momento è proprietario, a 443 MHz. Stiamo per estenderlo ad altre frequenze, 169 MHz e 2.4 GHz.
Minteos nasce nel 2005 a Torino, incubata nel Politecnico di Milano. Nel 2008, dopo tre anni di ricerca e sviluppo, lancia la propria tecnologia sul mercato: un sistema wireless M2m ad alta efficienza energetica. Lo stesso anno nasce la EnvEve SA che rileva la tecnologia Minteos e viene ammessa presso il Tecnopolo di Lugano. EnvEve e Minteos cominciano quindi a ottenere un crescente numero di commesse internazionali. L’Amministratore Delegato di Minteos è Marco Brini, laurea in matematica e successivo MBA (Master in Business Administration) a Torino.
I prossimi passi tecnologici? Stiamo per mettere sul mercato la versione due della tecnologia: nella seconda metà dell’anno. Le novità consistono nell’apertura, nell’interoperabilità e nella standardizzazione. L’Internet delle cose seguirà lo stesso percorso evolutivo dell’Internet delle persone: da sistema di isole a una rete interoperabile. Quali saranno i vantaggi? Chi ha già investito in una rete di sensori- per esempio per monitorare il gas- vuole poterla estendere ad altre funzioni. Per esempio, per l’infomobilità. Ma le toccherebbe replicare la rete, finché per il wireless M2m ci sono soltanto protocolli non interoperabili. Noi ci stiamo preparando a un futuro in cui basterà aggiungere alla stessa rete nuovi sensori, anche di diversi vendor. È l’ottica delle smart city. In questa visione, l’azienda prenderà da noi i gateway, che saranno un sistema interoperabile e cloud. Poi potrà prendere sensori nostri o di terze parti. Ogni vendor di sensori eccelle per una specifica applicazione, del resto. E quindi è giusto, per il decollo stesso del mercato, che l’azienda o la pubblica amministrazione possa montare i sensori migliori nei vari casi. E qual è invece il futuro che vedete per la vostra azienda? Cominceremo a creare una rete di partner, tecnologici o commerciali, per le diverse aree merceologiche. È un passo necessario per fare grandi numeri. Stiamo cercando questi partner: al momento ne abbiamo solo quattro, di cui il più importante è in Grecia.
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Speciale “big data” di
Luigi Ferro
Regina Casonato Managing VP Gartner
Extreme Information Management Da anni le informazioni digitali che viaggiano sul Web sono in aumento, ma oggi assistiamo a una decisa accelerazione: è il trend dei Big Data, che non fa solo riferimento a grandi volumi da gestire, ma anche a una maggiore esigenza di velocità e a una complessità crescente, per la grande varietà dei formati. Si profilano nuovi servizi e opportunità, come spiega Regina Casonato di Gartner
Accanto alla Consumerization e al Cloud è fra i trend più in voga del momento. Il Big Data fotografa quella incredibile mole di dati che ogni giorno viene generata sul Web. Viaggiando nella rete non è difficile vedere infografiche e filmati che mostrano cosa succede in sessanta secondi su Internet. Discussioni su Twitter, video su Youtube, accesi dibattiti su Facebook sono la quotidianità della rete che si traduce in informazioni per le aziende che ormai devono monitorare cosa succede e capire i riflessi su brand e prodotti. “I mercati sono conversazioni” diceva il Cluetrain Manifesto e adesso lo sono diventati anche troppo. Però Big Data è un’espressione un po’ giornalistica, troppo di sintesi, che non rende onore alla complessità del tema. È questa l’opinione di Gartner che preferisce parlare di “Extreme Information Management” perché la definizione di Big Data, ormai difficile da contrastare in quanto a diffusione, sintetizza troppo il fenomeno mettendo l’accento solo sui volumi. Invece, secondo la società di ricerca, il tema è un po’ più complesso. | 52 |
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«Crediamo – spiega Regina Casonato, Managing Vice President di Gartner – che sia più appropriato guardare al fenomeno in termini non solo di volumi, ma anche di velocità, varietà e con un’altra dimensione che abbiamo aggiunto, costituita dalla complessità». Prendendo in esame le singole voci, l’aumento dei volumi di dati per le aziende è un fenomeno indiscutibile. Dai social media ai video, il Web pullula di email, video, cifre e opinioni in quantità enormi ai quali bisogna aggiungere quelli che arrivano dalle normali attività di business. Questo genera problemi di storage, ma non solo, perché i dati andrebbero anche analizzati per poterne trarre utili indicazioni. Poi c’è la velocità, un parametro che sta a indicare il flusso dei dati per quanto riguarda la produzione e anche l’elaborazione, ma anche la capacità di accesso. La varietà è un altro aspetto particolarmente importante. Uno dei problemi dell’IT è sempre stato quello di tradurre grandi volumi di informazioni transazionali in decisioni. Oggi però la varietà di questo tipo di informazioni è decisamente aumentata in quantità e
Speciale “big data”
qualità. Dai video alle discussioni nei social media non c’è un unico dato, ma tanti e differenti. Questo fa sì che soluzioni tecnologiche adatte qualche anno fa non lo siano più oggi. Differenti formati di dati portano a una maggiore complessità del problema. Così esistono soluzioni eccellenti per gestire i video che fanno più fatica con altri dati non strutturati oppure quella che si occupa di audio ma se la cava peggio con l’email. Poi, aggiunge Casonato, c’è il problema dell’accesso alle informazioni. Una volta ricevute non tutti possono avere accesso a ogni dato. Le aziende devono dunque stabilire una policy in questo senso, soprattutto se i dati sono sensibili, che definisca nel dettaglio anche i criteri con i quali è possibile accedere ai database. Altro parametro importante è quello della validazione. Il dato non è eterno, ma deperibile, perde il suo valore con il trascorrere del tempo. Deve quindi mantenere una certa qualità e a un certo punto perderà il suo valore e non dovrebbe essere più utilizzato. Queste e altre sono le 12 dimensioni che la società di ricerca utilizza per mettere in discussione la capacità delle strutture IT di gestire le informazioni che piovono da ogni parte. «Inoltre, ci troviamo di fronte a situazioni differenti – osserva il Vice President di Gartner – dove a volte, per esempio, si privilegia qualità e affidabilità del dato rispetto alla velocità». Tutto questo però non è abbastanza per parlare di nuovo mercato. Gartner questa volta non cede alla voglia di fornire dati e cifre. Big Data infatti viene considerata una semplice estensione di tecnologie già da tempo presenti sul mercato. Il volume delle informazioni, e questa è l’unica cifra fornita, dovrebbe crescere del 59% l’anno. «Già oggi alcuni vendor parlano di estensione e la nostra idea è che ci saranno anche nuovi servizi a disposizione delle aziende». Per questo potrebbe venire in soccorso, e quindi trovare nuovi spazi di crescita, il Cloud perché c’è sicuramente spazio per quanto riguarda il processing o il database. «Il Cloud offre alcune risposte» è l’indicazione della società di ricerca, secondo la quale la disponibilità di grandi masse e varietà di informazioni deve essere considerata una grande opportunità. Non che si tratti di un fenomeno completamente nuovo. Da anni le informazioni sono in continuo aumento, ed abbiamo avuto bisogno di sistemi sempre più capaci, ma ciò che succede oggi è che c’è stata una decisa accelerazione dovuta al fatto che lo sviluppo della tecnologia hardware e software ha reso possibile - a costi competitivi - generare, trasmettere, archiviare processare i dati. Inoltre, ora abbiamo nuove tipologie di informazioni (ad esempio i social media, l’Internet of
Things con i contatori intelligenti, o RFID) da tracciare, gestire ed analizzare. Tutto questo apre ampi spazi alla fornitura di servizi soprattutto in un Paese come l’Italia dove la spina dorsale del sistema industriale è fatta di piccole e medie imprese. «Siamo convinti infatti che questa sia un’area che riguarda tutti. La gestione dei dati intesi come opportunità che derivano dall’accesso alle informazioni riguarda anche le imprese di minori dimensioni. Anche perché tramite il Cloud la possibilità di gestire questa situazione dovrebbe essere offerta a un costo competitivo». Sul fronte dei servizi, però, esistono margini di miglioramento. «Stanno emergendo – spiega Casonato – ma non sono ancora completamente formati». Anche perché c’è bisogno di nuove professionalità. Sono i data scientist che hanno capacità di analisi di grandi data set, ma non si possono limitare a fare gli esperti dei numeri. I Big Data, pongono anche problemi nuovi dal punto di vista della compliance e del risk management e anche qui sono necessarie figure nuove «Si tratta di figure ibride che possiedono competenze IT ma devono anche sapersela cavare con gli aspetti legali, oppure avere competenze di business oltre a quelle che riguardano la statistica». Figure come quella di Mo Zhou che, uscita di fresco dall’Mba di Yale, è stata subito assunta da Ibm come racconta il New York Times. Zhou non è un’eccezione, di gente come lei che ha “sempre avuto un amore per i numeri” ce ne sarà sempre più bisogno. Secondo il McKinsey Global Institute, il braccio di ricerca della società di consulenza, per sfruttare il diluvio di dati gli Stati Uniti avranno bisogno fra 140 mila e 190 mila esperti di dati con “deep analytical expertise” e un altro milione e mezzo di manager alfabetizzati per quanto riguarda l’analisi dei dati riqualificati o ingaggiati per l’occasione. Molti anni fa, quando scoppiò la new economy, sempre il New York Times si chiese, guardando molto lontano, chi avrebbe avuto la capacità di dare un’occhiata a tutti quei dati (un numero molto inferiore a quelli di oggi) generati dallo sviluppo del Web. C’è voluto un po’ di tempo ma la risposta sta arrivando.
Big Data Forum 2012 - Milano, 15 maggio Regina Casonato sarà speaker all’evento organizzato da ICT4Executive sul tema dei Big Data, focalizzato in particolare sul contributo che tali soluzioni possono dare alla competitività delle imprese attraverso il miglioramento dei processi decisionali. Per informazioni: sara.serafini@ict4executive.it
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Speciale “big data”
Un “motore” potente per l’analisi predittiva
La gestione dei Big Data, ovvero l’enorme quantità di dati di varie tipologie oggi in possesso di molte aziende, può trasformarsi in un grande flop o in una preziosa occasione per migliorare il business. La differenza la fa un utilizzo sapiente di strumenti ad hoc di Business Intelligence, per modellare e analizzare questi dati, e in particolare di strumenti di analisi predittiva, complessi modelli matematici in grado di setacciare set di dati allo scopo di estrarre conoscenza e, quindi, valore per il business. La creazione di modelli predittivi e la loro esecuzione richiede esperienza, competenza e molto tempo. È per questo motivo che il settore della Business Intelligence ha sviluppato il Predictive Model Markup Language (PMML), un linguaggio standard che aiuta a ridurre il tempo necessario a rendere tali modelli utili alle organizzazioni. Per eseguire questi complessi modelli di analisi predittiva è dunque necessario un “motore” potente. Sybase, leader mondiale nella tecnologia database, ha per questo sviluppato il server di analisi Sybase IQ, studiato appositamente per le soluzioni di Business Intelligence, analisi e data warehouse critiche su ogni tipo di hardware e sistema operativo standard. Sybase IQ fornisce prestazioni, in termini di velocità, da 10 a 100 volte maggiori dei database transazionali convenzionali, grazie alla moderna architettura basata su colonne. È inoltre in grado di supportare l’uso intensivo di query ad hoc ed elevati numeri di utenti simultanei. Sybase IQ è dunque la soluzione ideale per le aziende che desiderano cogliere i vantaggi dell’analisi predittiva del business. Ne sono esempi la rileva-
Sybase IQ è il server di analisi progettato per fornire massime prestazioni alle soluzioni di Business Intelligence, analisi e data warehouse critiche. Ideale per gestire i Big Data allo scopo di ottenere informazioni utili per le decisioni di business
zione in tempo reale delle frodi, le promozioni online istantanee, le applicazioni transazionali che esigono bassa latenza e la reportistica strategica per le direzioni aziendali. Le prestazioni, per queste applicazioni vengono massimizzate quando i modelli vengono importati nel database. Fino ad ora, infatti, è sempre esistito un collo di bottiglia tra l’ambiente con cui l’analista realizza il modello e la soluzione destinata agli utenti. Questo collo di bottiglia è responsabile del ritardo, inaccettabile per alcune decisioni di business, che intercorre tra la creazione di un modello predittivo e la sua adozione in un ambiente data warehouse aziendale. Con l’adozione del linguaggio PMML, Sybase ha rimosso uno degli ostacoli principali. Gli utenti hanno ora a disposizione uno degli strumenti più evoluti sul mercato per l’importazione di modelli in Sybase IQ, riducendo così la complessità e il tempo necessario. Il fattore tempo può essere determinante in quanto l’analisi predittiva ha senso in contesti temporali ben definiti. Come risultato, alcuni modelli diventano irrilevanti proprio per l’impossibilità di essere utilizzati con la dovuta tempestività, facendo perdere all’azienda la possibilità di sfruttare le opportunità di business.
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Speciale “big data”
I Big Data? Una miniera d’oro di informazioni
Se sfruttati con soluzioni tecnologiche adeguate, i dati possono fornire grande valore e permettere alle aziende di ottenere un vantaggio competitivo. Le soluzioni storage di NetApp per i big data sono state sviluppate proprio con questo obiettivo
Analytics Analitiche per set di dati molto grandi
Negli anni ’90 l’obiettivo principale delle aziende era ottenere prestazioni ottimali dall’infrastruttura IT, spesso con costi elevati. Un atteggiamento che è cambiato radicalmente negli anni 2000, quando l’efficienza è diventata la nuova parola d’ordine e si sono affermate tecnologie per la virtualizzazione, la condivisione e il consolidamento dell’infrastruttura. E oggi? Le aziende stanno entrando in una nuova epoca, caratterizzata dalla crescita costante della quantità di dati da memorizzare, situazione che sta mettendo a dura prova le architetture storage. La diffusione di data center consolidati, il passaggio al cloud computing e la diffusione delle tecnologie digitali sono solo alcune delle cause che hanno portato a un incremento esponenziale di quelli che vengono oggi definiti Big Data. La nuova sfida è quindi ottenere il massimo del valore dall’immenso universo digitale di informazioni. Diventano quindi fondamentali il time-to-information, per ottenere il massimo valore dai dati; la compliance, cioè la possibilità di conservare i dati per lunghi periodi di tempo; la capacità di trovare rapidamente i dati per esigenze di reporting o per audit di settore. In questo contesto i Big Data possono diventare una miniera d’oro di informazioni, se supportati da soluzioni storage adeguate. L’elenco di domande a cui le aziende devono trovare risposta è praticamente infinito: è possibile sfruttare grandi volumi di dati in modo più efficace? Quali informazioni possono assicurare risultati ottimali per il business? Come sfruttare i dati per assicurarsi un vantaggio competitivo? NetApp ha studiato una serie di soluzioni storage che aiutano le aziende a trasformare il valore dei Big Data in vantaggio competitivo.
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L’offerta NetApp si suddivide in tre aree principali, che danno vita all’ “ABC dei Big Data”: Analytics, Bandwith e Content. • Analytics. È l’area dedicata allo sviluppo di analisi efficienti per set di dati particolarmente grandi. In questo modo le aziende possono trasformare i dati in informazioni di elevata qualità, comprendere meglio il business e prendere decisioni più efficaci. • Bandwidth. È l’area dedicata al raggiungimento di migliori prestazioni per le applicazioni a elevata larghezza di banda, tra cui l’high performance computing: analisi complesse ad altissime velocità, lo streaming video ad alte prestazioni per la videosorveglianza, il montaggio e la riproduzione video nel settore dei media e dell’intrattenimento. • Content. È l’area dedicata allo storage scalabile dei dati, sicuro e senza limiti. Le soluzioni dedicate ai contenuti devono poter memorizzare quantità virtualmente illimitate di dati e favorire la ricerca di informazione da parte delle aziende.
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Speciale “big data”
I Big Data raccontati da chi li fa Fra le testimonianze reali di aziende che gestiscono i Big Data ce n’è una particolare. Che probabilmente è il primo cliente di se stesso: Microsoft. Qualche numero per inquadrare la questione: Bing (il motore di ricerca della società di Redmond) analizza oltre 100 petabyte di dati; Microsoft gestisce circa 52.000 server a livello mondiale; la società, tramite Microsoft Advertising e le centinaia di milioni di caselle Hotmail, ha a che fare con dati variegati e in continua crescita. «Essere un provider di tecnologia e farne pesantemente uso è la referenza migliore» ha commentato Pietro Scott Jovane, Amministratore Delegato di Microsoft Italia in occasione del lancio di SQL Server 2012, la piattaforma dati disponibile in Italia dal primo aprile. La questione dei Big Data può essere declinata secondo tre punti di vista: governare l’esplosione dei dati per trasformali in informazioni utili (concetto che va anche sotto il nome di “business insight”), gestire un’ampia varietà di dati (secondo stime Microsoft, l’85% dei dati acquisiti non è strutturato) e abilitare l’analisi dei dati in tempo reale. Tutto questo ha delle ricadute importanti, sia dal
4 mosse per rendere più efficiente lo storage Una efficace governance dei Big Data non può prescindere da un’efficiente gestione dello storage. Infatti la crescita dei dati (siano essi strutturati o destrutturati) pone non pochi problemi sulla strategia da adottare. Strategia che spesso si affronta con la risposta di “comprare più storage”, salvo poi accorgersi che i problemi permangono. Secondo IBM ci sono 4 passi per rendere più efficiente lo storage. Il primo è far sì che i dati siano al posto giusto. Questo significa gestire in automatico la gerarchia delle memorie, in base a opportune policy. Se il dato non viene mai usato rimane nelle librerie a nastro, per poi “scalare” fino ai dischi fissi ad alta velocità o addirittura SSD (Solid State Disk) per accessi veloci. Il secondo è considerare solo i dati che servono. Si deve passare dall’approccio tradizionale al concetto di Real Time Compression (RTC – compressione in tempo | 56 |
L’esperienza di Microsoft, primo cliente di se stesso per la gestione e analisi di centinaia di petabyte di dati punto di vista infrastrutturale/tecnologico che organizzativo. Dal punto di vista tecnologico, è fondamentale far proprio il concetto che i dati non nascono isolati, ma già interconnessi; che i dati possono essere strutturati o destrutturati e che possono essere creati dall’azienda o arrivare da fuori. Sul versante dell’analisi in tempo reale, è da sottolineare il concetto di “in memory”, che, trasferendo i dati del database dal disco alla memoria centrale, consente un incremento di performance prima impensabile. Sul versante organizzativo, la vera domanda per i CIO è capire come i Big Data andranno a influenzare i processi e il flusso delle informazioni. Nelle imprese molto strutturate, dove le Advanced Analytics sono spesso di “proprietà” della singola divisione, i Big Data possono essere un elemento di rottura. Sia perché facilitano una visione orizzontale delle informazioni, sia perché il concetto di analisi in tempo reale andrà a influenzare il lavoro di chi è chiamato a interpretare (con i suoi tempi) le informazioni delle singole divisioni. In un’economia digitale, il dato (o meglio l’informazione) è la moneta di scambio. V.Z.
i consigli di IBM per una corretta strategia di gestione dei sistemi di archiviazione a fronte del continuo aumento dei volumi di dati reale). Non solo, tecnologie di deduplicazione dei dati e thin provisioning possono essere di grande aiuto su questo versante. Il terzo punto è dare più spazio ai dati. Qui entrano in gioco le tecnologie di virtualizzazione sofisticate quali lo storage hypervisor. L’idea è semplice: così come “sposto” macchine virtuali da un ambiente a un altro, senza preoccuparmi dei server fisici e del sistema operativo, alla stessa stregua vado a monitorare lo storage senza preoccuparmi della relativa SAN (Storage Area Network). Il quarto punto è gestire i dati con maggiore produttività. Qui si fa riferimento a opportuni tool di interfaccia uomo-macchina che permettono di monitorare e gestire lo storage da console facili da utilizzare (anche da remoto) e accessibili da dispositivi mobile come iPad o iPhone. V.Z.
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C’è un modo migliore e più veloce per ottenere valore dai grandi volumi di dati aziendali. SAS High Performance Analytics semplifica concretamente l’analisi di grandi moli di dati e risolve problemi complessi di business con tre colpi vincenti: analytics avanzati, velocità e potenza di processo.
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SAS è un marchio registrato di SAS Institute Inc. (NC) USA. Altri marchi o nomi di prodotti citati sono marchi registrati dalle rispettive aziende. S76270US.0911
Os s e r vato rio di
Francesca Boschetti e marco Rapini
Studio Legale Rapini e Seyssel
ACTA riaccende la polemica sulla libertà di internet A gennaio è stato firmato dall’Unione Europea l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement, un accordo plurilaterale per la cooperazione internazionale e l’applicazione più efficace delle norme a tutela e per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, fortemente pregiudicati dalla rivoluzione digitale in corso. E, puntuale, esplode sulla Rete la rivolta di chi vede così compromessa la libertà di espressione
Il 26 gennaio 2012 a Tokyo l’Unione Europea ha firmato l’Anti-Counterfeiting Trade Agreement (“ACTA”), ossia l’Accordo Commerciale Anticontraffazione, tra l’UE e i suoi Stati Membri, l’Australia, il Canada, il Giappone, la Repubblica di Corea, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Svizzera e gli Stati Uniti d’America. L’ACTA dovrà essere firmato e ratificato anche dai 27 Stati membri dell’EU, in quanto contiene misure penali, settore che rientra tra le competenze ripartite tra l’UE e i suoi Stati membri. Per l’entrata in vigore di ACTA è, altresì, necessario il voto di approvazione del Parlamento Europeo, che dovrebbe tenersi verso la fine dell’estate del 2012, previa discussione dell’Accordo in seno alle varie commissioni (commercio internazionale, libertà civile e giustizia e affari interni, affari giuridici). Una volta ottenuta l’approvazione da parte del Parlamento Europeo e terminate le procedure di ratifica interna negli Stati membri, il Consiglio dei Ministri adotterà una decisione finale per concludere l’accordo, decisione che verrà notifi| 58 |
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cata agli altri Stati firmatari e comporterà l’entrata in vigore di ACTA nell’Unione Europea. Tuttavia, alla luce delle contestazioni che sono seguite alla firma di fine gennaio a Tokyo e delle recenti notizie in merito alla sospensione del processo di ratifica dell’Accordo in alcuni Stati membri, la procedura di firma, approvazione, ratifica ed entrata in vigore nella EU dell’ACTA non sembra così lineare come sulla carta. GLI OBIETTIVI DELL’ACCORDO Ma che cosa è l’ACTA? Si tratta di un accordo internazionale plurilaterale che ha quale scopo, come espresso nelle proprie premesse, la cooperazione internazionale e un’applicazione più efficace a livello internazionale delle norme a tutela e per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (compresi i diritti di proprietà industriale), al fine di combattere la “proliferazione di merci contraffatte e usurpative, nonché di servizi che distribuiscono materiale
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contraffatto”, anche in ambito digitale. Tale scopo verrebbe attuato mediante strumenti “efficaci e adeguati di applicazione dei diritti di proprietà intellettuale” che completino l’accordo TRIPs, senza, tuttavia, che dette misure costituiscano un ostacolo ai legittimi scambi, ma con l’intento di stabilire, con particolare riferimento ad Internet, un equilibrio tra i diritti e gli interessi dei titolari di diritti, dei fornitori di servizi e degli utenti, promuovendo la cooperazione tra essi. Come risulta evidente anche dalla notizia circa la sospensione del processo di ratifica di ACTA, in primis, da parte della Polonia e poi della Germania, il dibattito è certamente ancora aperto. Un’ulteriore conferma è giunta dalla dichiarazione resa in data 22 febbraio 2012 dal Commissario De Gucht della Commissione Europea, secondo la quale la Commissione intende sottoporre ACTA alla Corte di Giustizia Europea, al fine di ricevere un parere sulla compatibilità o meno dell’Accordo con i diritti e le libertà fondamentali in ambito EU (il diritto di libertà di espressione e la protezione dei dati personali). Lo scopo principale sarebbe quello di fornire ai Parlamentari Europei e, in ultima analisi, all’opinione pubblica in generale, informazioni precise e dettagliate sull’Accordo, per un dibattito fondato sui fatti e non sulla disinformazione e sui rumor spesso circolati in rete negli ultimi mesi. Nella prospettiva dell’operatore del diritto, ogni riflessione su ACTA, ed in generale sulle misure necessarie a garantire un’efficace tutela dei diritti di proprietà intellettuale in ambito digitale, non può non confermare il fatto che l’Internet service provider, in quanto detentore dei dati sul traffico, è e rimane una figura fondamentale per l’individuazione e la rimozione di comportamenti illeciti nella rete. Da qui l’utilità di trovare forme efficaci di cooperazione con gli ISP, comprese misure davvero enforceble nei confronti di tali soggetti, evidentemente sempre entro i confini della normativa europea ed internazionale vigente.
accompagnare (o meglio, rallentare) ogni tentativo di trovare soluzioni in tale settore, ma vada oltre, nella ricerca di un reale contemperamento dei diversi interessi e diritti in gioco, certamente quello degli utenti della rete, ma anche quelli dei titolari di diritti d’autore e connessi, i cui legittimi interessi sembrano essere quelli maggiormente pregiudicati dalla rivoluzione digitale in corso. Leggendo i commenti che circolano in rete (ma non solo) su ACTA, così come su altre recenti proposte di provvedimenti legislativi, si pensi a SOPA e PIPA negli Stati Uniti o al nostro emendamento “Fava”, si ha, infatti, la sensazione che sia in corso una sorta di “crociata” contro ogni tentativo di dotare il mondo digitale di regole chiare a tutela di tutti i soggetti coinvolti, invocando a tal fine - talvolta in modo strumentale - la difesa di principi, peraltro sacrosanti, come il diritto alla libertà di espressione o la protezione dei dati personali. È chiaro a tutti che la materia è particolarmente delicata proprio perché gli interessi coinvolti sono di diversa natura e tra questi vi è certamente il diritto delle persone fisiche all’accesso ad Internet (e di esprimersi tramite tale mezzo), di recente assurto a principio fondamentale del diritto comunitario. Tuttavia, sarebbe auspicabile che il dibattito su questi temi assumesse toni più pacati, lasciando alle istituzioni competenti il compito di verificare la compatibilità (che deve sussistere) di provvedimenti di legge ai principi e ai diritti fondamentali degli ordinamenti vigenti, principi e diritti che devono essere certamente salvaguardati ma sempre all’interno di regole chiare. In sostanza, il mondo digitale è costituito (e non potrebbe essere in altro modo) non solo dai “liberi utenti della rete” ma anche da operatori economici i cui interessi legittimi devono essere tutelati da strumenti giuridici efficaci e condivisi, e non contrastati “a priori” da slogan stile anni ’70, il cui effetto rischia di ripercorrere le stesse, nefaste, orme di allora.
IL MONDO DIGITALE HA BISOGNO DI REGOLE CHIARE È auspicabile che vi sia un lavoro davvero costruttivo in tal senso che non si fermi alle polemiche circa la limitazione di diritti fondamentali, quali la libertà di espressione, che da un po’ di tempo sembrano
Sul sito www.ict4executive.it, nella sezione “Approfondimenti”, potete leggere la versione estesa dell’articolo che contiene un rapido excursus delle disposizioni di ACTA maggiormente rilevanti.
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Speciale “dematerializzazione”
Verso la fattura elettronica… e oltre Proseguono anche quest’anno le analisi dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano, che ha allargato il proprio orizzonte di riferimento alle opportunità della digitalizzazione dei processi “oltre la fattura”, che coinvolgono cioè documenti e informazioni diversi da quelli del Ciclo dell’Ordine. Il Convegno di presentazione dei risultati della nuova ricerca si terrà a Milano il 24 maggio
I temi della dematerializzazione dei documenti e della digitalizzazione dei processi hanno acquisito, negli ultimi anni, una rilevanza sempre maggiore, in grado di catalizzare l’attenzione di imprese, Enti pubblici e del Legislatore, che a partire dal 2004 ha aperto, per le aziende italiane, la strada verso l’adozione dei diversi paradigmi della Fatturazione Elettronica. Dal 2006, l’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione della School of Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) si propone come un centro di eccellenza in grado di analizzare nel dettaglio un fenomeno che ancora oggi risulta di grandissima attualità e i cui risultati saranno ancora più evidenti in un futuro – auspicabilmente – prossimo. Nato per “gemmazione” dallo storico Osservatorio B2b, l’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione si è posto, fin dalla sua fondazione, degli obiettivi molto chiari: | 60 |
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• comprendere la dimensione del fenomeno della Fatturazione Elettronica in Italia, effettuando “fotografie” sempre più definite del quadro di adozione dei diversi modelli tecnologici ed evidenziando gli elementi peculiari del processo decisionale che porta alla scelta di innovare i propri processi; • quantificare i benefici e la redditività degli investimenti, per aiutare i decisori aziendali a muoversi verso l’adozione di tecnologie in grado di portare concretamente valore alle proprie imprese; • monitorare e analizzare criticamente le evoluzioni del quadro normativo, per fornire indicazioni chiare alle aziende e – talvolta – suggerire spunti migliorativi al Legislatore; • favorire il dialogo tra tutti gli stakeholder interessati alla tematica della Fatturazione Elettronica (imprese, PA, istituzioni, provider tecnologici), con lo scopo di facilitare il percorso verso una più pervasiva adozione.
Speciale “dematerializzazione”
Nella prima edizione sono state gettate le basi di uno dei principali “prodotti” sviluppati dall’Osservatorio, ovvero il modello per la valutazione dei benefici legati all’adozione delle soluzioni di Fatturazione Elettronica. I risultati, validati con la collaborazione di alcune Associazioni di filiera, si sono dimostrati estremamente interessanti: benefici stimati che andavano da una riduzione del costo del ciclo dell’ordine, per una coppia produttore-distributore, pari a 25 euro per ordine o fattura nel settore Farmaceutico a oltre 45 euro nel settore del Materiale Elettrico ai 60 euro nel settore del Largo Consumo. Peraltro, si trattava di numeri che consideravano i soli benefici di efficienza, quelli più “facilmente” stimabili, a cui aggiungere i benefici di miglioramento di efficacia del processo – tempestività, accuratezza ecc. – molto più difficili da stimare, ma non per questo meno importanti. Forte degli interessanti risultati dell’edizione precedente, l’Osservatorio ha continuato il proprio percorso nel 2008, definendo meglio i diversi modelli tecnologico-organizzativi a disposizione delle aziende e, soprattutto, facendo evolvere il modello di analisi dei costi del processo in un articolato modello per la stima della redditività dei progetti di Conservazione Sostitutiva, Fatturazione Elettronica e Integrazione del Ciclo dell’Ordine. Anche in questo caso, i risultati erano estremamente attrattivi: tempi di payback generalmente inferiori all’anno, benefici in grado di rappresentare da qualche decimo di punto percentuale fino a circa un punto percentuale del fatturato in funzione del contesto (settore e tipologia di azienda), NPV sempre positivo nei 10 anni e variabile da alcune decine di migliaia di euro (nei progetti più semplici) fino a diverse decine di milioni di euro (nei casi più ampi e ambiziosi). La storia più recente dell’Osservatorio Fatturazione Elettronica e Dematerializzazione prosegue con un costante allargamento della sua Community di riferimento, composta di provider, esperti e rappresentanti istituzionali – che vengono frequentemente coinvolti in incontri di approfondimento e discussione delle tematiche più rilevanti in relazione allo sviluppo della Fatturazione Elettronica in Italia – e con un sempre più forte contatto con il mondo delle imprese utenti e della Pubblica Amministrazione, per la quale dal 2008 esiste un obbligo normativo in merito alla ricezione di fatture in formato elettronico. L’Osservatorio ha “da sempre” affrontato il tema della Fatturazione Elettronica considerandolo come un tassello di un mosaico più ampio: quello della dematerializzazione dei documenti del ciclo dell’ordine e della digitalizzazione del processo transazionale che
Quest’anno diventa ancora più forte l’esigenza di creare opportunità, strumenti e momenti di comunicazione che stimolino le imprese a “fare”
coinvolge clienti, fornitori e mondo bancario. Tentando in estrema sintesi di riassumere le principali evidenze emerse in questi anni di Ricerca, si possono identificare tre “messaggi chiave”: • la Fatturazione Elettronica è possibile; • la Fatturazione Elettronica conviene; • la Fatturazione Elettronica conviene ancora di più se è un progetto di sistema. Oggi, con l’obiettivo di allargare il proprio orizzonte di riferimento, la Ricerca dedica sforzi crescenti alla comprensione delle opportunità della Digitalizzazione dei processi “oltre la fattura”, proponendosi di analizzare benefici e criticità anche in processi che coinvolgono documenti e informazioni anche molto diversi da quelli riscontrabili nel Ciclo dell’Ordine (es. distinte di versamento/prelievo, contratti bancari, fascicoli assicurativi o doganali). Quest’anno diventa ancora più forte l’esigenza di creare opportunità, strumenti e momenti di comunicazione che stimolino le imprese a “fare”. Alla consolidata collaborazione con SMAU – per l’organizzazione di Laboratori Interattivi sull’intero territorio nazionale, rivolti alle imprese – si affiancano la partecipazione dell’Osservatorio a eventi e momenti di confronto di community interessate al tema della dematerializzazione e della digitalizzazione dei processi, l’organizzazione di workshop di aggiornamento sulle evoluzioni del contesto sia giuridico sia tecnico-normativo nonché lo sviluppo di contributi che diano risposta a quesiti e perplessità delle aziende che vogliano intraprendere un percorso di dematerializzazione. Il coinvolgimento diretto dell’Osservatorio all’interno del Forum Nazionale sulla Fatturazione Elettronica e le collaborazioni continuative con le Istituzioni – tra cui l’Agenzia delle Entrate e il DigitPA – rispondono esattamente alla volontà di scendere in campo e giocare un ruolo attivo nel processo di cambiamento, facilitando e stimolando la diffusione della “cultura digitale” nel nostro Paese. www.ict4executive.it
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Non farti schiacciare dalla carta 16 maggio e 12 settembre 2012 Politecnico di Milano (Campus Bovisa) Via Lambruschini 4B, EdiďŹ cio 26B, Milano
Fattura Cartacea VS Fattura Elettronica Come coniugare l'evoluzione tecnologica con l'evoluzione sociale della digitalizzazione nelle Aziende? METEL in collaborazione con il Politecnico di Milano ha organizzato, anche per il 2012, due corsi aperti a tutte le aziende e senza costi di iscrizione con gli obiettivi di informare le aziende, fare cultura e scoprire come sfruttare le opportunitĂ che la normativa ci presenta. Per tutta la parte legale saremo supportati dalla Dott.ssa Giusella Finocchiaro, avvocato e docente presso l'UniversitĂ di Bologna con la cattedra di diritto di internet, unica cattedra in Italia. Con il Dott. Umberto Zanini, dottore commercialista e revisore contabile impareremo le regole, cosa e come posso portare in conservazione sostitutiva migliorando i processi, evitando di produrre carta risparmiando tempo e denaro. Affronteremo aspetti tecnici e funzionali legati ai processi di dematerializzazione. I due incontri formativi sono organizzati da METEL in collaborazione con il Politecnico di Milano.
Per qualsiasi informazione Metel Srl Via G. Govone 66 - 20155 Milano T. 02.34536118 - F. 02.34934145 - metel@metel.it - www.metel.it linkedin.com/company/metel - facebook.com/Metel.Milano twitter.com/metel_italia - youtube.com/user/MetelTV
Speciale “dematerializzazione”
I vantaggi dell’outsourcing per la documentazione contrattuale
I benefici sui processi derivanti dalla digitalizzazione dei documenti sono stati più volte dimostrati, e per alcune tipologie di essi, come ad esempio i contratti, questo aspetto è ancora più evidente. Per citare un esempio, i contratti di Leasing per la vendita di autovetture hanno una durata di diversi anni, durante i quali possono essere integrati con l’aggiunta di verbali per infrazioni al codice della strada, rinnovi di polizze assicurative, documentazione legata a sinistri, ecc., oppure modificati come ad esempio in caso di subentro o riscatto del bene. Oltre a questo aspetto di mutevolezza nel tempo, la conformità di un contratto è legata a molti fattori come, ad esempio la presenza di più firme in diverse pagine, la spunta per accettazione di clausole e allegati relativi ad adempimenti legali e normativi (antiriciclaggio, anti-mafia). Da ciò si evince che, con una quantità rilevante di contratti, l’attività del back office diventa notevolmente impegnativa, investendo la maggior parte del tempo operativo verso la ricerca e la continua catalogazione dei documenti piuttosto che alla cura del Cliente. ridurre il rischio delle non conformità Ma un ulteriore aspetto, spesso sottovalutato, è il rischio per il management di avere nei contratti delle Non Conformità non rilevate che possono avere, nel tempo, ripercussioni sia legali che normative. Basti pensare all’annullabilità di un contratto per mancanza di una firma, per irregolarità sulle normative legate alla privacy piuttosto che ai regolamenti di Banca Italia o altri istituti (es. Isvap). Senza alcun dubbio
L’archiviazione e catalogazione elettronica dei contratti permette di ridurre l’operatività del back office e dedicare maggiori risorse alla cura del cliente. Ma i maggiori benefici si ottengono gestendo anche il processo di verifica e chiusura delle Non Conformità
la digitalizzazione dei contratti, intesa come semplice archiviazione e catalogazione elettronica, offre dei benefici al back office, ma per il management è necessario indirizzare anche il processo di verifica e chiusura delle Non Conformità. Una soluzione efficace è sicuramente quella di esternalizzare oltre al processo di scansione, anche quello di verifica dei contratti e successiva chiusura delle Non Conformità rilevate. La definizione dei pattern di verifica da applicare ad ogni contratto stabilisce l’elenco dei controlli da effettuare, assegnando a ciascuno di essi un peso, in termini di gravità, in caso di esito negativo del controllo. I diversi aspetti dell’intero set di contratti è così continuamente monitorato mediante cruscotti di riepilogo, permettendo così al management di conoscere, in tempo reale, lo stato delle Non Conformità presenti sui contratti stipulati con i propri Clienti. Ma monitorare le Non Conformità è solo un tassello del mosaico. Il ciclo di gestione della documentazione contrattuale deve obbligatoriamente comprendere la chiusura delle stesse mediante interventi mirati che coinvolgono il personale interno all’azienda, ma spesso anche la controparte del contratto. La chiusura della Non Conformità è sicuramente l’attività più impegnativa da affrontare in tutto il processo, e il suo affidamento in outsourcing ad aziende specializzate, è la chiave vincente, in termini di costi e benefici. Questo approccio consente di sanare le situazioni ormai presenti su contratti già stipulati, ma è anche un valido strumento per migliorare le performance di tutta la catena aziendale coinvolta nella stipula del contratto.
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Speciale “dematerializzazione”
Il Servizio CBI a supporto dell’interazione Imprese-PA-Cittadini
Mentre continuano ad aumentare le aziende che utilizzano i servizi di corporate banking interbancario e di fattura elettronica (oltre 850 mila), tramite gli oltre 650 istituti finanziari consorziati (95% del sistema bancario italiano, Poste Italiane S.p.A. e CartaLis), il Consorzio CBI sta attivando con diverse Pubbliche Amministrazioni Centrali progetti basati sul servizio di Nodo CBI, nato nel 2009 per rispondere alle esigenze della P.A. di dematerializzare i processi interni e semplificare il rapporto con cittadini e imprese. «In particolare - continua Liliana Fratini Passi - il Nodo CBI permette l’accesso diretto alla rete CBI da parte delle P.A.C. per la disposizione di pagamenti ed incassi verso il sistema bancario. Ad oggi sono connessi al Nodo CBI il Ministero dell’Economica e delle Finanze (attraverso il DIPE) per le esigenze derivanti dal Monitoraggio Finanziario delle Grandi Opere Pubbliche, Equitalia per la gestione della tesoreria del Gruppo ed Equitalia Giustizia per il Fondo Unico Di Giustizia (FUG), nonché l’Agenzia del Territorio per i pagamenti da portale da parte degli utenti web dell’Agenzia stessa». Nel rapporto tra banche e pubbliche amministrazioni il CBI può rappresentare un contributo importante di semplicità ed efficienza nella gestione della comunicazione con il sistema bancario e di flessibilità del servizio rispetto alle esigenze specifiche del comparto pubblico. «Non bisogna inoltre dimenticare – prosegue il Direttore Generale - che l’architettura CBI permette già alle aziende utenti di scambiarsi documenti strut-
il Consorzio CBI sta attivando con diverse Pubbliche Amministrazioni Centrali progetti basati sul servizio di Nodo CBI, nato nel 2009 per rispondere alle esigenze della PA di dematerializzare i processi interni e semplificare il rapporto con cittadini e imprese
Liliana Fratini Passi Direttore Generale Consorzio CBI
turati, quali la fattura elettronica, e non strutturati, interoperabili anche con i sistemi già esistenti e in uso presso comunità consolidate». Il CBI si candida anche come importante canale di veicolazione della Fattura Elettronica verso la Pubblica Amministrazione (Business-to-Government). Per il prossimo futuro la Dott.ssa Fratini Passi parla di «implementazione di un nuovo servizio di e-billing (Business-to Consumer), che permetterà agli utenti di Home Banking e/o Corporate Banking degli Istituti Finanziari Consorziati la consultazione e il pagamento di bollette (intese come l’importo dovuto a seguito dell’erogazione di un servizio o a fronte di un obbligo amministrativo) emesse da soggetti bollettatori clienti CBI». Il Servizio e-billing (B2C) sarà disponibile sul mercato entro la fine del 2012.
SAVE THE DATE Convegno CBI 2012 e Forum Internazionale sulla Fattura Elettronica Roma, Palazzo Altieri 22-23 novembre 2012 Info disponibili su www.cbi-org.eu
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Speciale “dematerializzazione”
Dalla carta al digitale con l’innovativa soluzione SATA
Nelle interazioni tra aziende (Business to business B2b) o tra aziende e clienti (Business to consumer – B2c) sono innumerevoli i casi in cui sono richiesti la compilazione e lo scambio di moduli in formato cartaceo. Un esempio è quello di Navigando Srl, Tour Operator di Milano specializzato in soggiorni studio (individuali e di gruppo) in vari paesi del mondo, che riceve le prenotazioni da parte dei propri clienti via fax o, in forma scannerizzata, via mail. È costretto così a un lavoro estremamente gravoso, di digitazione manuale di tutti i dati nel proprio sistema informativo, che coinvolge annualmente diverse migliaia di documenti. Un altro caso è quello di Chimar SpA, un’azienda di Soliera che produce e vende imballaggi e offre servizi di logistica integrata a grandi case automobilistiche. Chimar riceve tutti i giorni centinaia di ordini di ricambi da imballare e spedire: ordini che hanno la forma di etichette in formato PDF immagine, apposte sui colli, che sono trascritti nel sistema informativo aziendale da tre persone, dedicate a tempo pieno a questa attività. Due documenti estremamente diversi come le etichette sovracollo e i moduli d’iscrizione a soggiorni all’estero presentano, tuttavia, apparentemente insospettabili elementi in comune. Entrambi, per esempio, sono compilati a mano, su un layout predefinito e scambiati in forma cartacea: tutto questo comporta forti inefficienze nei processi di gestione dei dati (molto diversi) che questi documenti riportano (incremento di tempi, data entry, ecc.). L’utilizzo della semantica, forte nel caso Chimar, ha
La piattaforma “Document Data Extraction” permette di estrarre i dati da diverse tipologie di documenti cartacei, anche compilati a mano, dalle etichette alle fatture fino Ai moduli d’iscrizione delle agenzie di viaggio. Si evita così la digitazione manuale dei dati
consentito il riconoscimento del 90% delle etichette e una conseguente riduzione pari al 100% del tempo impiegato da una persona per le operazioni di digitazione. Nel caso Navigando, il sistema è in fase di start-up, ma i risultati ottenuti processando il primo migliaio di documenti sono estremamente incoraggianti, pur in presenza di scrittura totalmente manuale con campi prevalentemente alfabetici. Entrambi i progetti si sono svolti in collaborazione con l’azienda Kartha (di Carpi, Modena) che ha fornito il sistema documentale in cui archiviare l’immagine normalizzata del documento, già indicizzato automaticamente, con il coinvolgimento di Kelyan e Itacom per l’integrazione dell’output nei rispettivi sistemi gestionali.
Nata per l’estrazione dei contenuti delle fatture la piattaforma DDE (Document Data Extraction) sviluppata da SATA è stata poi estesa alla gestione di altre tipologie di documenti a layout fisso in formato immagine. La piattaforma, attraverso l’applicazione dei motori OCR e ICR di Abbyy e l’utilizzo di un innovativo mix di tecnologie – posizionale, sintattica, semantica – consente di estrarre i contenuti di un documento (trattando anche la scrittura manuale). Nel caso di numeri scritti a mano la qualità dell’interpretazione è generalmente ottima, come confermato dall’ultima elezione regionale in Toscana dove questo prodotto è stato usato per l’acquisizione dei risultati dai seggi.
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r u b r ic a | r ice rche e st u d i a cura di
paola capoferro ronchetta
I nuovi media digitali in crescita del 7% nel 2011 L’incremento non basta però a sostenere il calo dei Media tradizionali. Una ricerca del Politecnico di Milano Mentre i media tradizionali – radio, tv e giornali – hanno perso in un anno il 5% del fatturato (pubblicità e vendite agli utenti), i New media, ovvero Smartphone, tablet, connected tv, applicazioni, social network e video, sono cresciuti a un ritmo del 7%. Ma è una crescita che non compensa ancora la perdita: nel complesso, infatti, il mercato Media segna -1% rispetto all’anno precedente, scendendo a quota 16,7 miliardi di euro, 1,7 miliardi in meno dal picco raggiunto prima della crisi, nel 2008. I dati, relativi al 2011, sono stati presentati nel corso del convegno dell’Osservatorio New Media & New Internet della School of Management del Politecnico di Milano, che ha messo in luce la profonda trasformazione che editori e Media company si trovano ad affrontare. Dalla ricerca, infatti, è emerso come il proliferare di nuovi dispositivi (tablet in primis) e di nuove modalità di interazione e distribuzio-
ne di contenuti (come i Social Network e le applicazioni) stia innescando delle dinamiche che cambiano profondamente il concetto stesso di Internet. Le occasioni di utilizzo della rete si moltiplicano e iniziano a divenire pratica comune anche per quelle fasce della popolazione storicamente meno inclini all’utilizzo del Pc. Si tratta dunque di una sfida complessa, ma anche di una grande opportunità. «Il nuovo concetto di Internet che si sta affermando potrebbe portare al comparto italiano dei Media digitali quelle soddisfazioni che solo in piccola parte sono state generate dal suo predecessore - ha commentato Andrea Rangone, Responsabile degli Osservatori ICT del Politecnico di Milano -. Sarà con questo nuovo volto che l’Italia potrà finalmente entrare a testa alta nell’economia digitale». In particolare, sono in aumento i ricavi generati da contenuti acceduti da Pc (+15%) e da tablet (con una
crescita a tre cifre), anche se in valore assoluto rimangono molto limitati. A febbraio erano già 261 le applicazioni Media disponibili per tablet, tra cui dominano quelle della carta stampata (il 49% fa riferimento a periodici e il 32% a quotidiani) mentre il 12% deriva da editori televisivi e il 7% dal mondo della radio. Positivi anche i ricavi della Pay TV, che cresce del 5% nel 2011 e totalizza ora 3,8 miliardi di euro di ricavi, e quelli legati ai dispositivi smartphone (+5%) grazie alla forte spinta delle componenti più innovative. Se il mondo tradizionale (servizi informativi e di intrattenimento erogati via SMS e MMS, musica e video in streaming, ecc.) cala circa del 3%, crescono infatti di oltre il 70% i ricavi pubblicitari e di vendita legati alle App. Confermano il trend positivo dei New Media anche i ricavi pubblicitari associati alla visualizzazione di video, cresciuti dell’80% nel 2011, e ai Social Network (+130%).
Assinform: ICT in profondo rosso anche nel 2012 (- 2,2%). Per il nostro Paese previsioni negative anche per quest’anno, dopo un 2011 chiuso a -3,6%. Le speranze di invertire il trend sono legate ai piani per l’Agenda Digitale Va male il comparto ICT italiano. Il nuovo rapporto Assinform ha registrato un -3,6% nel 2011 sull’anno precedente (-4,1 la sola IT) e prevede un’ulteriore contrazione del 2,2% per il 2012. La domanda continua a diminuire sia sul fronte delle imprese - che la sostengono per il 90% - sia su quello della spesa pubblica, anche se per quest’ultimo il trend potrebbe invertirsi qualora il Paese riuscisse a cogliere a pieno l’opportunità di attuare l’agenda digitale. L’Italia va male anche in confronto alla situazione internazionale: peggio di noi c’è solo la Spagna, con un mercato IT sceso nel 2011 del -5,3% a fronte di una media Ue del +0,5% che vede la Francia a +0,3%, la Germania a +2,3% e l’Inghilterra a -0,7%. Ma fra le tante criticità e ostacoli l’economia
la dinamica del mercato dei media: tradizionali vs. new mld E 16 14
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12 Fonte: Osservatorio New Media & New Internet, School of Management, Politecnico di Milano, 2012
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digitale comincia a penetrare anche in Italia. A fronte di una sempre maggiore convergenza del settore IT e di quello TLC, Assinform ha proposto una riclassificazione più ampia e diversificata del mercato che va sotto l’etichetta di “Global Digital Market” e che include quei servizi web offerti in modalità digitale grazie a tecnologie di tipo “smart”. Il nuovo mercato così definito vale quasi 70 miliardi di euro - 11 miliardi in più rispetto al perimetro tradizionale - e attenua la tendenza verso il basso con un risultato del -2,2%. Ciò grazie soprattutto al segmento del “software e soluzioni Ict”, che cresce al ritmo annuo di + 1,2% fatturando oltre 5 miliardi, e a quello dei contenuti digitali e della pubblicità on line. Male invece ancora i “Servizi Ict”, che valgono poco più di 40 miliardi di euro e nel 2011 sono scesi del -3,8%. Nello specifico, i segmenti più in crescita del Global Digital Market sono gli ereader (+719%), le Smart tv (+92), i tablet (+125%), i servizi Cloud (+34,6%), l’Internet delle cose (+11,9%), i contenuti digitali e la pubblicità on line (+ 7,1%) e gli accessi a banda larga (+1,1%). Aree dalla crescita promettente che però ancora non riescono per valore a contrastare il generale trend negativo.
RUBRICA | ric e rc h e e studi
La digitalizzazione dei servizi comunali può portare a risparmi per 2,3 miliardi di euro l’anno I risultati dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano La digitalizzazione di servizi comunali di larga diffusione può arrivare a produrre 2,3 miliardi di euro di risparmio annuo per la Pubblica Amministrazione. Ad affermarlo è la School of Management del Politecnico di Milano che ha presentato i risultati della ricerca condotta dall’Osservatorio eGovernment su più di 200 Enti, che ha elaborato i dati raccolti tramite 2.000 interviste a cittadini e imprese e ha studiato 20.000 siti Web di social networking. Oggetto di approfondimento dell’analisi sono stati in particolare i pagamenti multicanale, i certificati anagrafici e l’invio di pratiche allo Sportello Unico delle attività produttive. «I benefici generati dell’eGovernment non possono essere ovviamente ridotti ai soli risparmi potenzialmente
conseguibili dalla Pubblica Amministrazione - dichiara Michele Benedetti, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano -. Tuttavia la misura dei ritorni in termini di tempi e costi derivanti dalla digitalizzazione dei servizi dovrebbe diventare uno dei passi imprescindibili per prendere decisioni d’investimento consapevoli e per cominciare a individuare modelli organizzativi ed economici che rendano sostenibile il percorso d’innovazione della PA». Nello specifico, è stato stimato un risparmio di circa 2 miliardi di euro l’anno per i pagamenti multicanale – grazie a interventi di digitalizzazione che portano alla
Smartphone, mercato in crescita e in profonda trasformazione Vendite in aumento, con Apple e Samsung grandi rivali. Le analisi di Gartner e IDC Il 2011 si è rivelato un nuovo anno record per le vendite di cellulari: il mercato complessivo, secondo IDC, è cresciuto infatti dell’11%, con oltre 1,5 miliardi di terminali venduti, contro i poco meno di 1,4 miliardi del 2010. In particolare hanno brillato gli smartphone, che, con 490 milioni di unità vendute hanno registrato un incremento del 60% su base annua, che segue la crescita record del 75% del 2011. Tra i device manufacturer più penalizzati troviamo Nokia che, pur mantenendo il ruolo di leader nel mercato complessivo dei cellulari, con 417 milioni di pezzi venduti, ha subito una contrazione su base annua pari all’8%, generata dal crollo delle vendite di smartphone, passate dai 100 milioni del 2010 ai 77 del 2011. Mercato quest’ultimo attualmente dominato da Apple e
Samsung, che condividono la leadership sulle vendite con il 19% a testa del mercato. Analizzando l’anno appena trascorso Samsung è stata l’autentica mattatrice, con una crescita del 250%, mentre l’azienda fondata da Steve Jobs deve “accontentarsi” del 128%. Un altro grande colosso che si trova ad affrontare un periodo di difficoltà è Research in Motion (RIM) che con il suo BlackBerry non riesce a tener testa alla vertiginosa crescita di Apple e Samsung, anche a causa dei problemi legati allo sviluppo della piattaforma BlackBerry 10. Infine, per quanto riguarda i sistemi operativi del mercato Smartphone, un quadro preciso relativo alle vendite dell’ultimo trimestre 2011 lo fornisce Gartner: è evidente il rafforzamento della posizione di Android
quale leader del mercato con il 51% di device venduti (a fine 2010 erano il 30%). Al secondo posto troviamo Apple con il 24%, che anche quest’anno guadagna qualche punto percentuale sul totale delle vendite Smartphone. Per Symbian, invece, la situazione si fa sempre più complicata: in un solo anno il numero di device che utilizzano questo SO si è più che dimezzato arrivando ad una quota del 11% contro il 32% dello scorso anno. Essenzialmente stabile RIM, che perde l’1,5%, chiudendo al 13%, mentre Windows, che ha pagato l’anno di transizione da Windows Mobile a Windows Phone 7, vede la sua quota diminuire dal 3,4% al 2,8%, decisivo in questo senso sarà il 2012, primo anno in cui la partnership con Nokia sarà a pieno regime.
riduzione dei costi vivi – cui si associa un potenziale recupero di efficienza con il risparmio di tempo nell’espletamento delle diverse attività cui è associato un valore economico di circa un miliardo di euro. Sono invece 90 milioni di euro quelli risparmiati dalla digitalizzazione dei certificati anagrafici e 250 milioni quelli imputabili allo Sportello Unico delle attività produttive. L’Osservatorio ha anche effettuato un’analisi, in collaborazione con Doxa, sui benefici attesi da 1.000 cittadini italiani sopra i 15 anni sui servizi di pagamento e i certificati anagrafici. È emerso che sia l’eGovernment, inteso come erogazione online di servizi da parte della PA, che la multicanalità, ossia la possibilità di ricorso a canali intermediati di erogazione dei servizi come tabaccherie, banche, poste e i rispettivi siti internet, rappresentino un vero e proprio bisogno emergente per i cittadini.
Dal 2003, grazie ai piani di sviluppo nazionali di eGovernment, sono stati investiti più di 750 milioni di euro per migliorare la fruibilità dei servizi della PA al cittadino e alle imprese e ottenere al contempo un recupero di efficienza. Ma questi investimenti, perlomeno in relazione ai servizi oggetto della Ricerca, solo in alcuni casi sono riusciti a produrre gli effetti desiderati o desiderabili, sia in termini di risparmi per la PA sia in termini di soddisfazione dell’utenza. Emerge però con altrettanta chiarezza che gli sforzi fatti e che tutt’ora si stanno facendo per la digitalizzazione dei servizi potrebbero trovare il giusto riconoscimento attraverso l’ampliamento dell’offerta dei canali, che potrebbero permettere di rientrare dagli investimenti fatti.
In collaborazione con Retecamere, l’Osservatorio eGovernment ha coinvolto 1.001 imprese italiane di tutte le dimensioni per investigare i servizi di pagamento e i servizi riconducibili all’attività degli Sportelli Unici per le attività produttive (SUAP). Oltre l’85% degli intervistati ritiene estremamente importanti tutti i possibili benefici relativi alla sfera della praticità e quelli connessi alla pura multicanalità, intesa come il ricorso ad esempio a sistemi di home banking per le operazioni di pagamento alla PA, che ormai è ampiamente radicata nella maggior parte delle realtà che non si rivolgono a intermediari per l’espletamento dei servizi.
La ricerca ha inoltre sondato per 10 mesi a partire da aprile 2011 il sentiment degli utenti Internet, in collaborazione con BlogMeter. Ne è emerso che l’utenza che discute di eGovernment si concentra soprattutto su social network (29,4%), siti di news (28,4%) e blog (28,3%) e ricerca soprattutto informazioni sulle modalità di utilizzo dei servizi e comprensione della normative (60%). Infine, dal punto di vista degli utenti si evince ancora un’incertezza sul buon esito dei servizi di pagamento e sull’adeguatezza delle infrastrutture tecnologiche, nonchè una percezione non del tutto positiva della Pubblica Amministrazione, che a sua volta rileva ancora una bassa priorità associata a queste attività e la mancanza di competenze e budget.
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r u b r ic a | n om in e Roberto Jarrín CEO, Birra Peroni Roberto Jarrín, 46 anni, è il nuovo Chief Executive Officer di Birra Peroni, azienda italiana che fa parte del Gruppo multinazionale SABMiller, fra i più importanti produttori di birra al mondo presente in più di 75 Paesi nel mondo e che conta oltre 200 marchi in portafoglio ed un organico di 70.000 dipendenti. La produzione annua di Birra Peroni ammonta a oltre 4,8 milioni di ettolitri, dei quali oltre un
milione sono esportati in più di 55 Paesi dal brand Nastro Azzurro per un fatturato di circa 500 milioni di euro. Jarrìn, nato in Brasile e cresciuto in Ecuador, giunge in Birra Peroni dopo importanti esperienze internazionali in USA, Messico, Guatemala, Perù e Venezuela. Laureato con lode in Ingegneria chimica al Florida Technology Institute, inizia la sua carriera in Procter & Gamble, dove lavora per
dieci anni prima nel dipartimento di Ricerca e Sviluppo, poi nella divisione Marketing. Nel 2001 si sposta in Frito Lay presso PepsiCo in Guatemala, dove ricopre il ruolo di direttore Marketing e Organized Trade. Nel 2007 entra nel gruppo SabMiller come Vice President Marketing di Cerveceria Nacional in Ecuador e nel 2009 assume l’incarico di Managing Director e presidente della Cerveceria Nacional CN S.A.
ciale Gioielleria e Orologi del Gruppo Bulgari. Lo scorso gennaio è anche entrato a far parte del board di Antichi Pellettieri. L’azienda mira nell’anno in corso ad un rafforzamen-
to della rete retail in Italia, con una serie di nuovi negozi, ma anche in Europa e negli Stati Uniti, attraverso nuovi accordi con i più prestigiosi department store e con aperture in franchising.
Massimo Macchi Ad, Borbonese
Giovanni Zoppas AD, Marcolin
Giovanni Zoppas è il nuovo Amministratore Delegato di Marcolin, azienda quotata alla Borsa di Milano che si distingue nel settore dell’eyewear di lusso distribuendo marchi come Hogan Eyewear, John Galliano Eyewear, Just Cavalli Eyewear e Tom Ford Eyewear. Zoppas, 53enne di Vittorio Veneto (TV), è laureato alla Bocconi di Milano. Inizia la sua carriera professionale nel 1984 in Andersen Consulting e ricopre successivamente, dal 1993 al 2000,
vari incarichi nel Gruppo Benetton fino a raggiungere la carica di Direttore Amministrazione e Controllo di Gruppo. Dopo un’esperienza quale CFO nell’azienda farmaceutica Glaxosmithkline è dal 2003 al 2006 Direttore Generale di Nordica spa. Nel 2006 entra a far parte di Gruppo Coin quale CFO e COO; nello stesso Gruppo ricopre quindi, quale membro del CDA, le cariche di CFO e Direttore Generale delle Divisioni Coin e Upim.
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Massimo Macchi è il nuovo Amministratore Delegato della Maison Borbonese, marchio di lusso del made in Italy fondata nel 1910. Nata come azienda orafa, negli anni ’70 ha intrapreso la produzione di borse grazie alla collaborazione con l’azienda bolognese Redwall, ancora oggi fulcro produttivo del brand. Macchi ha iniziato la sua carriera nel 1979 lavorando in Procter & Gamble, dove ha brevemente acquisito un’esperienza internazionale. Successivamente ha ricoperto cariche di prestigio in diverse aziende del lusso: oltre che Presidente del Gruppo Mosaicon, è stato - tra gli altri incarichi - VicePresidente del Gruppo Gucci e capo divisione commer-
Fabrizio Fabbri AD, Alstom Power Italia Fabrizio Fabbri è stato nominato Amministratore Delegato di Alstom Power Italia, branca italiana della multinazionale leader nel settore dell’energia. L’azienda - che occupa 3.500 dipendenti in 13 sedi distribuite sul territorio nazionale e ha fatturato nello scorso anno 1,2 miliardi di euro sviluppa e realizza centrali elettriche e componenti
strategici per la produzione di energia (quali turbine, alternatori, sistemi ambientali, caldaie) oltre a fornire tutti i servizi correlati. Fabbri, 46enne di Pistoia laureato in Filosofia all’Università di Firenze, inizia la sua carriera professionale in Eni per poi passare in General Electric con l’acquisizione di Nuovo Pignone da parte della multinazionale
americana. In GE ricopre numerosi incarichi in ambito commerciale a livello italiano e internazionale: Direttore commerciale per la divisione Services GE Oil & Gas dal, Regional Manager South Europe per la divisione Contractual Services e Direttore Commerciale per la divisione Energy Services in Europa Occidentale e Africa NordOccidentale.
RUBRICA | nomine
Andrea Ragnetti Amministratore Delegato, Alitalia Andrea Ragnetti, già direttore generale dal 5 marzo 2012, è stato nominato nuovo Amministratore Delegato di Alitalia. Il manager, nato a Perugia, ha 52anni e tre figlie e vanta una vasta esperienza internazionale, con almeno 25 anni passati all’estero e la conoscenza di quattro lingue (inglese, francese, spagnolo e portoghese). Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche all’Università di Perugia, Ragnetti comincia la sua carriera in Procter &
Gamble. Trascorso qualche anno a Roma, chiede un incarico all’estero e viene così mandato a Lisbona. Dalle rive del Tago passa alla Benckiser a Parigi. Pochi anni dopo, decide di tornare in Italia dove, dopo aver avviato una piccola attività imprenditoriale, approda a Telecom Italia come Chief Marketing Officer. Quando il gruppo viene venduto a Pirelli, si concede una pausa e intraprende con la propria famiglia un tour di sei mesi intorno al mondo.
La tappa successiva è quindi Amsterdam. Ragnetti entra in Philips nel gennaio 2003 in qualità di Chief Marketing Officer e diventa poi membro del Group Management Committee di Philips. Nell’aprile 2005 è nominato Chief Executive Officer di Philips Domestic Appliances and Personal Care e nell’aprile 2006 diventa quindi membro del CdA. Nel 2008, data in cui viene creata la divisione Consumer Lifestyle, ne viene nominato CEO.
Giuseppe Chiellino AD, Ceva Logistics
Massimo Rosi, AD Bluvacanze, Cisalpina Tours e Going Massimo Rosi è stato nominato Amministratore Delegato per Bluvacanze, Cisalpina Tours e Going, aziende recentemente acquisite dal Gruppo Aponte, armatore napoletano che controlla Msc Crociere e le società dei trasporti Snav e Grandi Navi Veloci. Rosi, 47 anni, è nato a Piacenza ed è laureato in ingegneria meccanica al Politecnico di Milano e in economia e gestione aziendale presso la SDA Bocconi. In precedenza ha ricoperto un incarico analogo
in Italiana Pellets, azienda attiva nel settore delle energie rinnovabili, oltre ad importanti ruoli nelle principali aziende del settore TLC come Albacom, Atlanet e British Telecom. Vanta inoltre una decennale esperienza con società di consulenza quali Value Partners e Bain & Company Italia, in cui è stato coinvolto in importanti progetti in termini di riprogettazione di modelli distributivi, commerciali e logistici e nella realizzazione di Due Diligence.
Ceva Logistics, azienda che opera nella logistica nata nel 2007 dalla fusione tra TNT Logistics e EGL Eagle Global Logistics, ha nominato Giuseppe Chiellino Amministratore Aelegato della propria divisione italiana. L’azienda offre servizi di Contract Logistics e Freight Management attraverso un network integrato, una presenza capillare in oltre 170 Paesi e circa 51.000 dipendenti in tutto il mondo. Chiellino è laureato in ingegneria industriale presso l’Università degli studi di Udine; nel 1990 si è specializzato in Business Management all’Isda di Roma e quindi nel 1991 in Lean Production presso l’Isvor di Torino. Ha quindi lavorato per diverse grandi aziende quali Fiat prima di entrare nel 1998 nel gruppo Ceva
in Brasile, ricoprendo varie posizioni manageriali. Nel 2007, Chiellino è stato nominato Managing Director di Ceva in Spagna nell’Aprile 2007, per poi divenire Managing Director di CEVA Logistics per Iberia nell’Agosto 2008. Nel suo nuovo incarico sarà
responsabile di tutte le attività di Contract Logistics e di Freight Management, prendendo il posto di Carlo Rosa, che assume a sua volta il ruolo di Evp Marketing and Business Development per la regione Sud Europa, Medio Oriente e Africa.
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r u b r ic a | who’ s who cio Giovanni Savarese CIO, Moby
Roberto Boselli CIO, Poltrona Frau Group
Roberto Boselli dal 2008 è il CIO in Poltrona Frau Group e a partire dal 2010 ricopre anche il ruolo di Digital Communication Manager. Nato a Milano nel 1971, dopo gli studi in Ingegneria presso il Politecnico di Milano inizia la sua carriera professionale in Consulenza presso Ernst & Young Consultants dove, come Manager, ge-
stisce importanti progetti internazionali sia di Business Process Reengineering sia di implementazione di sistemi ERP. Successivamente entra come CIO in Manuli Automotive, multinazionale operante come fornitore di primo equipaggiamento per le principali case automobilistiche mondiali. Qui affronta progetti di riorganizzazione dei processi
di business dando contemporaneamente il via a una strategia di implementazione di sistemi ERP presso le principali sedi operative nel mondo (Italia, Cina, Spagna e Francia). Nel 2008 entra con il ruolo di CIO in Poltrona Frau Group, azienda nota a livello mondiale nel settore dell’arredamento di alta gamma con marchi di assoluto rilievo quali Poltrona Frau, Cassina, Cappellini e Nemo. Dopo aver perseguito una strategia di semplificazione dei processi e dei sistemi tra le diverse Aziende appartenenti al Gruppo, dal 2009 assume anche l’incarico di coordinare tutti gli sviluppi in ambito Comunicazione Digitale di Gruppo, tra cui la realizzazione della nuova piattaforma web di gruppo, le applicazioni per dispositivi mobili, le pagine social e video e la piattaforma di ecommerce.
soluzioni multimediali, ruolo poi ampliato alla responsabilità del business development per le soluzioni triple play e multimedia per l’Italia e il Sud America. Dal 2007 al 2008 è Direttore Application Delivery EMEA di Alcatel-Lucent, responsabile di progetti internazionali legati a soluzioni innovative multimediali. Dal 2008 al 2010 è direttore Solutions & Marketing di AlcatelLucent in Italia, Israele, Grecia, Malta e Cipro, con il compito di sviluppare le strategie di medio-lungo periodo, sia dal punto di vista tecnologico
dello sviluppo delle soluzioni tecniche, che del supporto alla forza vendita. Prima di approdare in Alcatel - poi Alcatel-Lucent - Marco ha lavorato in Accenture, dove è rimasto dal 1997 al 2005, maturando molteplici esperienze nel settore delle telecomunicazioni sia in ambito nazionale che internazionale. Sposato con 2 figli, Marco è laureato in Informatica all’Università di Roma e ha conseguito un Master in Business Administration presso l’ALMA Graduate School dell’Università di Bologna.
Marco Gaeta CIO, SIRTI Marco Gaeta, classe 1970, ricopre il ruolo di Chief Information Officer di Sirti Spa da luglio 2011 con l’obiettivo di guidare il processo di consolidamento dei sistemi informativi interni attraverso un delicato processo di trasformation e di rilanciare la vendita di servizi ICT di Sirti. In precedenza ha maturato esperienze significative in Alcatel dove è giunto nel 2005. Ha ricoperto ruoli manageriali in diversi ambiti, dapprima come responsabile del business development e dell’implementazione delle
Giovanni Savarese, classe 1979, è il Chief Information Officer di Moby SpA, compagnia che opera nel trasporto marittimo per Sardegna, Corsica ed Elba e che conta circa 1.500 marittimi e 300 addetti agli uffici di terra. È stato nominato dirigente a capo della divisione IT nel gennaio 2011, diventando così il più giovane dirigente nella storia della compagnia. La sua avventura comincia a Piano di Sorrento, terra dalla forte tradizione marinaresca.
Nel 2000, dopo un periodo trascorso all’Accademia Navale di Livorno, si trasferisce all’Isola D’Elba dove gestisce software specialistico a bordo delle navi Moby. Nel 2003 è a Milano e nel 2005 diventa responsabile sviluppo applicazioni. Il software MDS che ha creato con il suo gruppo di lavoro ancora oggi è al top in Europa tra quelli utilizzati dalle compagnie di settore. Oggi gestisce infrastruttura e network, i 2 data center e il gruppo sviluppo applicazioni.
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