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DANZA E REGIA VIDEO

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ROBERTA FONTANA

ROBERTA FONTANA

Danza e video

I TRUCCHI PER COMUNICARE AL MEGLIO IL PROPRIO RACCONTO COREOGRAFICO

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di Valentina Minguzzi

Nell'immagine: Leila Cavalli

La docente terrà il corso "La

regia cinematografica per la

danza" a Ravenna a partire dal 27 novembre. Per maggiori informazioni vedi dentro l'inserto Dance Academy® e sul sito idadance.com

La danza, l’arte della performance dal vivo, legata alla coreografia e al tempo stesso espressione viva di improvvisazione, da sempre figlia della maestosità del teatro, dell’ebrezza da palcoscenico, ha dovuto ripensare e ridefinire i suoi spazi: la pandemia, di cui tutti siamo consapevoli e protagonisti, ha portato infatti a enormi stravolgimenti anche nelle modalità di fruizione della danza. La chiusura dei teatri e dei grandi eventi, l’impossibilità delle persone di usufruire di spazi comuni, ha reso necessario lo sviluppo di nuovi dialoghi tra forme comunicative apparentemente distanti come ad esempio la danza e la produzione video. A fronte di questi cambiamenti, un confronto con un’esperta del settore ci è sembrato naturale. Leila Cavalli, diplomata in produzione e script supervising alla Civica Scuola di Cinema di Milano nel ’95 ha unito questi due mondi.

Leila, parlaci un po’ del tuo percorso, cosa ti ha portato alla danza e soprattutto alla regia nella danza?

In realtà la danza ha sempre fatto parte della mia vita, anche se in modalità non canoniche. Danza e produzione video sono presenti nella mia vita da sempre, con lo sviluppo di percorsi paralleli, destinati a incrociarsi. Sono cresciuta nella scuola di teatro di famiglia, in più, mia mamma, da piccola, mi portava sempre in giro per l’Italia e l’Europa per stage di danza contemporanea. In realtà non ho mai frequentato una scuola di danza, ma in questo modo è nato un rapporto libero con essa, privo di vincoli. Poi a Cesena ho incontrato Sara (Tisselli) e il mio rapporto è ripreso attraverso l’acrobatica e il BodyFlying, discipline che amo, che mi hanno donato tanto e che insegnano tanto anche nella vita. Per ciò che riguarda il cinema, io mi sono diplomata alla Civica Scuola di Cinema di Milano. Ho avuto la fortuna di incontrare, nel mio percorso, insegnanti eccezionali, con i quali ho potuto vivere concretamente il mondo della produzione cinematografica (in 3 anni di scuola abbiamo preso parte a una cinquantina di produzioni). Ho avuto modo di continuare con la formazione, specializzandomi alla New York Film Academy e attraverso seminari con grandi professionisti, cominciando poi il lavoro in produzione, sia nella regia, sia come assistente che come montatrice. Per indole famigliare tutto ciò che apprendevo lo trasformavo in materiale per insegnare cinema nelle scuole, assecondando anche la mia passione per i cartoni animati.

Ora come descriveresti il tuo lavoro, anche dopo questi due anni di pandemia?

Con la pandemia ho approfondito la possibilità di unire la danza alla realizzazione di video professionali, cercando la modalità più efficace per comunicare un racconto di danza attraverso il video, cercando di ragionare e di riflettere sulla coreografia in maniera cinematografica. Dal momento che passi attraverso un mezzo, devi per forza far

passare il racconto da quel linguaggio: far vedere i dettagli, dal passo al gesto tecnico, così da restituire la coreografia che il coreografo pensava di raccontare. Diventa qui fondamentale il rapporto tra coreografo e produzione, poiché è impossibile raccontare una storia, senza la comprensione reale e a 360° del creatore di tale storia.

Siamo invasi dalla tecnologia, ma ancora per molti è complicato raccontare e raccontarsi attraverso i video. Secondo te qual è la difficoltà principale di questo linguaggio?

La difficoltà principale è che si usa un mezzo senza conoscerne il linguaggio: ricreare energia differita, usare il linguaggio del cinema, dove diventa fondamentale il movimento, il cambiamento delle inquadrature. Se non si sa guardare, non si può raccontare. Per imparare a guardare, bisogna prendere tempo e procedere a piccoli passi, in modo da imparare a cogliere le sfumature, a comprendere la coreografia e il suo racconto. Il linguaggio per immagini in movimento non è immediato, per questo è fondamentale imparare a esprimerlo. Si tratta di un linguaggio diverso da quello utilizzato nella vita quotidiana. In questo caso è necessaria la fantasia.

Il nuovo corso IDA porterà a unire due linguaggi, quello del corpo in movimento e quello del video, un compito non facile. Quali saranno le caratteristiche principali del corso partendo da questo presupposto?

Mi preme fare un percorso personalizzato, la mente creativa deve essere una, per cui cercherò di capire, nel più breve tempo possibile, chi sono i partecipanti e vedere come lavorano con il telefonino, in modo da permettergli di arrivare il prima possibile a far scattare il “meccanismo creativo”. Non è un processo scontato, dipende dal talento innato e dalle capacità personali, per questo il corso sarà a numero chiuso: voglio capire il background di ogni singolo partecipante, aiutarlo in questo processo un passo alla volta. Gireremo tante piccole cose, solo così sarà possibile sviluppare le singole capacità necessarie nella creazione dei “racconti di danza in video”, solo così potrò capire quello che loro “vedono”, capire quello che loro davvero vorrebbero mostrare in base a ragionamenti e sensazioni; solo così potremo arrivare insieme a capire cosa funziona nel racconto e cosa andrebbe tagliato o reso in altro modo.

Come concretizzare il proprio pensiero prima di premere REC?

Per concretizzare il proprio pensiero è ovviamente fondamentale imparare a guardare l’inquadratura e capire cosa voglio raccontare, così da essere davvero consapevole di quello che sto facendo. Questo passaggio richiede tempo, poi, come dico io, quando scatterà quel “meccanismo creativo” allora tutto il processo sarà automatico. Per questo motivo, come anticipato poco fa, faremo tanti piccoli video. Si tratto di un percorso di grandissima scoperta e grande entusiasmo perché l’evoluzione sarà visibile proprio da subito, da un video all’altro. Nozioni piccole, fondamentali, facilmente assimiliabili.

Imparare a guardare un’inquadratura significa imparare a tenere presente almeno 15 cose. Il mio intento non è lavorare subito su tutti questi 15 punti in contemporanea, ma lavorare per gradi, un passo alla volta: la prima parte sarà caratterizzata dal lavoro sui piani sequenza, senza editing, così da capire tutto, dalla A alla Z. Poi ci sarà il lavoro sui movimenti di macchina: panoramica e movimenti, perché se non si cambia inquadratura, il racconto muore. Il video è un linguaggio basato sul movimento e il cambio di piano. Durante la pandemia molti si sono cimentati nella realizzazione di video per documentare le coreografie iscritte a concorsi online, purtroppo però la documentazione fa fatica ad arrivare allo spettatore, perché nella maggior parte dei casi si tratta di video statici: scuole di danza hanno parlato attraverso un linguaggio di un mezzo non loro, che ha reso il racconto più debole. Il mio obiettivo è dar loro questo mezzo, la costruzione di video nella danza, attraverso il quale comunicare al meglio il loro racconto.

Editing: cosa significa per te e come può facilitare il lavoro nella costruzione dei video?

Il montaggio è fondamentale dal punto di vista di questo linguaggio: passare da un’inquadratura all’altra, nella coreografia, significa capire come unire i pezzi, come sottolineare i dettagli da mettere in evidenza. Ciò non è mai immediato.

In Italia trovi che questo percorso sia adeguatamente compreso e valorizzato?

No, come tanti aspetti riguardanti le arti, purtroppo in Italia c’è una profonda ignoranza, poiché non si creano spazi conoscitivi e di approfondimento per capire questo linguaggio. Una delle cose belle del lockdown è stata proprio il risveglio dell’interesse nei confronti di tanti aspetti legati a danza, video e altre forme di arte, che credo ci abbiano salvato la vita: le persone hanno avuto bisogno di fruire dell’arte. Danza e musica hanno invaso internet e salvato molti cuori. Credo sia diventato evidente a tutti quanto sia necessaria una formazione dedicata, anche per gli insegnanti, poiché i problemi di comunicazione in DAD sono stati tanti e costanti, diventa oggi necessario imparare a parlare e comunicare anche davanti alle telecamere. Negli anni 2000 c’era più apprensione legata al mezzo televisivo in quanto mezzo di comunicazione di massa, questa apprensione è poi scemata con l’avvento di internet: gli insegnanti si sono messi a imparare come navigare, ma non hanno dato molta importanza alla modalità comunicativa del mezzo (la televisione, che non prevedeva partecipazione attiva dello spettatore, aveva suscitato tantissimi dubbi e paure).

Nuovi linguaggi, nuove sfide educative: da cosa è necessario partire nella realizzazione dei video?

Educazione e formazione. Per poter parlare tutte le lingue, è necessario conoscerle nelle strutture di base, ciò è valido anche nel linguaggio video: se non lo parli, fai fatica a costruire un racconto efficace. Per partire è necessaria una buona dose di curiosità. Andare alla scoperta in maniera qualificante, divertente, serena di questo linguaggio. Oggi gli strumenti sono tanti, sono a disposizione di tutti e utilizzabili fin da subito, ma il linguaggio di internet e dei video è talmente lontano da insegnanti e genitori, che loro non si interessano o, anche volendo, non riescono a stare al passo dei nativi digitali. Di contro i nativi digitali non hanno gli elementi per comprenderlo, ma sono tecnologicamente veloci e utilizzano questi mezzi senza la necessaria consapevolezza. Tutto ciò sarebbe invece fondamentale nell’educazione dei giovani. Purtroppo non esistono corsi per insegnanti su come restituire consapevolezza ai giovani, in più gli adulti sono troppo lenti in questo percorso di apprendimento, per questo non sanno come comunicare in video con gli allievi. L’Italia in questo processo è indietro: non credo sia demonizzando i mezzi di comunicazione che si arrivi a un dialogo sano con i giovani, ma credo sia vincente la valorizzazione dei punti di forza. Educare e formare anche nel mondo scolastico potrebbe essere la ricetta giusta per recuperare il ritardo.

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