SERGIO CALIFANO
Spartito doppio Adagio da Lisbona
Mi amava, perchÊ l’amore ama solo le cose imperfette Fernando Pessoa
Il tetto della nostra casa sul mare di tanti anni fa, quella casa meravigliosa che sembrava costruita nell’aria, in mezzo al nulla, è crollato, come vedi da questa foto, proprio dal lato dove c’era la nostra camera che guardava verso la scogliera. Tutto intorno c’è quello stesso silenzio meraviglioso che c’era allora, come quando ci siamo stati insieme, e mi piace pensare che forse adesso è diventata un rifugio sicuro per gli uccelli che ci vanno per fare la cova, e che d’inverno la pioggia abbia ripulito le tracce del passato. Tutto è sempre diverso, resta immutabile soltanto nella nostra memoria. Ci sono tornata questa estate perché desideravo che una persona che era con me vedesse quei posti e quella casa che adesso cade a pezzi, prima che fosse troppo tardi anche per la memoria. Ho cercato di informarmi e in paese ho chiesto un po’ in giro per sapere cosa fosse successo, e intanto mi chiedevo cosa fosse rimasto degli anni passati: il proprietario, ricordi? sì, il contadino… beh, è morto da un paio di anni, mi è dispiaciuto perché era un brav’uomo cordiale, era rimasto vedovo e gli eredi legittimi di quella casa senza più tetto e senza più colore sono un piccolo esercito litigioso tra fratelli e nipoti che pare non si siano 7
mai amati troppo, a ciascuno dei quali spetterebbe forse qualche migliaio di euro. Non si sono messi d’accordo, forse per indolenza o per antico astio reciproco, e quindi anziché affidarsi agli avvocati per la divisione di quella eredità hanno preferito lasciare andare tutto in rovina. Casa e terreno circostante. Dappertutto ci sono rovi rinsecchiti dal vento e dall’incuria. Nel momento stesso in cui ho fatto questo scatto avevo il cuore addolorato e sapevo che dovevo mandare la foto a te. Certo, a te. A chi altri, sennò? L’ho fatta l’ultimo giorno che sono stata qui, l’ho scattata di mattina, quando la testa e il cuore sono storditi e addolorati e lontani dal corpo, quando ti ritrovi a sbrigare meccanicamente tutte le faccende di una partenza, ma sei altrove. Perché se la mente vola devi lasciarla andare libera. Me lo hai insegnato proprio tu come si fa. E allora ho lasciato le valigie sul letto, aperte e ancora da completare, e sono uscita di fretta, l’ingresso lasciato appena socchiuso, perché all’improvviso ho pensato che stavo dimenticando in quel posto le cose che sono state davvero importanti per me. E così sono andata in giro, e con una frenesia insolita ho ritrovato e raccolto alla rinfusa le emozioni di quando quattro anni fa siamo stati lì insieme, ripromettendo a me stessa che poi con calma li avrei catalogati e messi in ordine nei cassetti della memoria durante l’inverno. 8
Ho ritrovato gli odori, le risate, i tuffi, le fiamme di notte dei falò sulla spiaggia, le mie lacrime di rabbia quando facevi lo scemo con qualcuna, ma anche e soprattutto ho provato per un istante bellissimo la sensazione di tachicardia felice e folle che mi prendeva quando la mattina percorrevo la strada da casa e arrivavo nella piazza sperando che tu fossi lì al bar ad aspettarmi leggendo il giornale. E c’eri, eri lì. Ho raccolto tutto un po’ alla rinfusa e ho pensato in inverno poi metto tutto in ordine nella testa. Dopo sono arrivata in quella piazzetta che sai, quella che avevamo deciso che fosse la nostra piazzetta, e lentamente sono scesa, con un caldo che non dava tregua, per il viale ormai già quasi completamente senza foglie che è lì tranquillo, in fiduciosa attesa di primavera mentre di tanto in tanto un soffio di vento pietoso mi ridava energia. Mi sono fermata al marciapiede di fronte a quel bar con i tavolini e le sedie rossi che ricorderai certamente, quello dove da sempre preparano un tea assolutamente scadente, quello dove ci fermammo per un caffè e invece prendemmo appunto una tazza di tea, che mi sembrò delizioso. Ci sembrò delizioso. E sono rimasta lì immobile per un tempo che non ti saprei dire, un tempo cristallizzato nei ricordi di quel silenzio totale, e con la magia che soltanto la mente può realizzare ho riportato in vita figure, voci e suoni lontani, 9
come quel cameriere magro che girava tra i tavolini rossi indossando una giacca di due taglie più grande della sua misura e aveva disegnata sul viso una vita di privazioni. Ricordo che lo guardasti e poi rivolto a me dicesti sottovoce: “Ma pensi che lui da bambino sognasse di vivere girando ad agosto tra i tavolini con un vassoio in mano?”. Poi sono scesa lentamente per la stradina laterale e ho raggiunto le scale della chiesetta, dove c’è ancora una panchina e non chiedermi perché ma contro ogni logica ho sperato che ci fosse qualcuno seduto ad aspettarmi. E sono rimasta anche delusa di non trovarti. Poi ho dato uno sguardo alla vetrina della panetteria dove talvolta ci fermavamo a fare colazione, che è proprio lì accanto: c’erano due pizzette rinsecchite che nessuno aveva mangiato. Invece durante tutta quest’ultima vacanza che adesso sta finendo e che già si avvia lentamente a diventare autunno… Non so, ero qui ma non ero qui. Forse capisci cosa intendo dire. Anzi, sono certa che mi capisci perfettamente. Ma dimmi del tuo periodo attorno a ferragosto che ha sempre nutrito la tua tristezza. I tuoi ferragosto che ami tanto, che ricordo ancora un po’ magici di silenziosa bellezza e di sofferenza, per come me li hai raccontati. Lo so che non rinunceresti per nulla al mondo a sentirti il padrone di una città deserta, a passeggiare in silenzio sorridendo con gli occhi e seguendo quella tu amavi chiamare la logica dell’ombra. Ma raccon10
tami della tua vita assente, della tua vita che non ho vissuto creandomi un disagio impensabile. E abbracciami un poco, dovunque tu sia adesso e chiunque sia la donna che è tra le tue braccia in questo momento, non importa. Ma abbracciami. Un poco o tanto o moltissimo, è la stessa cosa. Scegli tu, per me è uguale. Fammi tornare qualche attimo sul tuo petto che odora di inquietudine che non riesci a mandar via, con il mio viso stanca, col respiro caldo sulla tua maglietta che assorbe qualche lacrima di tensione che si scioglie piano piano, e poi un minimo di riposo… il riposo… Questa sensazione di riposo che mi dai, che mi davi, perché nessuno come te mi conosce e mi comprende, mio sensibile amico amante. Non ci si incontra per caso. Lo so, ho fatto tutto da sola, ho preso il tuo braccio e mi ci sono infilata sotto perché mi eccitava anche l’afrore forte della tua pelle. Ho appoggiato guance e occhi sul tuo petto. Forse ho anche pianto. La fine delle vacanze, ne abbiamo parlato qualche volta, quando eravamo più giovani sapeva sempre di rimpianto, sempre. Bruciava, era una sensazione dolorosa, insopportabile. Adesso invece no. Adesso ho quasi una sensazione di sollievo rasserenante, quasi la percezione di aver fatto qualcosa che ero obbligata a fare, non che volessi davvero fare. E che adesso finalmente si conclude con un sospiro di sollievo. 11
PANTONE
Un colore per ogni volume.Tonalità che suggeriscono percorsi di genere, di storie e atmosfere sempre diverse. Le gradazioni sono sfumature di senso, illusioni di scelta nell’oceano di infinite suggestioni. Prive di immagini di copertina, ai titoli della collana Pantone è affidato il potere evocativo del colore e della parola, fin dove il linguaggio può condurre. Il resto è materia dell’altrove.
La collana è curata da Giovanni Chianelli, giornalista e consulente editoriale, collaboratore di La Repubblica, L’Espresso e varie case editrici.
PANTONE
717
ALBERTO CORBINO
Poesía de la Reína 7476
SALVIO FORMISANO
L’accordatore di destini 7683
ALBERTO CORBINO
Questo è un bel libro 877
FRANCESCO VELONÀ
Buio blu
finito di stampare per conto di Iemme edizioni nel mese di gennaio 2017 presso GFC Stampa Srl - Volla (Na)