"Favole delle piccole cose" / Monica Palumbo

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MONICA PALUMBO

FAVOLE delle

PICCOLE COSE


I colori sono il linguaggio dell’arte, quella che rende possibile esprimersi con più forza perché è nelle visioni che il nostro immaginario si trova e si perde nell’eternità della fantasia. Una favola non è soltanto una storia da raccontare, ma un vero e proprio modello che fornisce una forma della realtà, veicola valori e regole: «le favole sono vere», scriveva Italo Calvino, «sono il catalogo dei destini che possono darsi a un uomo e a una donna». Favole delle piccole cose di Monica Palumbo, è un prezioso baule in cui le parole accompagnano disegni semplici, in cui i piccoli lettori (ma anche un po’ più grandi) possono riconoscersi per la similarità delle forme. Attraverso le storie, invece, raccolgono un insegnamento, un ricordo e talvolta un percorso da seguire. Come nel divertente Pennarelli litigiosi, in cui la metafora del perenne conflitto tra bianco e nero non è che il pretesto per andare al di là di ogni abusato luogo comune sulle “differenze” sociali e culturali. Perché è nella condivisione, ma soprattutto nella complementarietà – e non nelle rigide trincee della differenza – che la nostra esistenza può trovare una

pace. E poi ci sono le “piccole cose”, come ne L’amico zaino in cui tutto il repertorio simbolico rappresentato dagli oggetti della nostra memoria familiare, da un lato sottolinea l’importanza del ricordo anche nella nostra vita sociale; dall’altro ci invita a riflettere sugli sprechi e il consumismo sfrenato. È una lezione asciutta, e senza fronzoli, sull’importanza del riutilizzo e del riciclo. Ed i colori e la luce tornano ad essere protagonisti nell’ultima favola: In un paesino lontano lontano in cui il racconto è un invito a lasciarsi andare alla bellezza della natura. I piccoli protagonisti: Pitchì e Doddò sono affascinati e incuriositi di fronte al mistero del cielo e delle stelle. Ed è attraverso i loro disegni che cercano di catturarne l’essenza. Il disegno è un mezzo di comunicazione e, come il linguaggio, è capace di andare oltre la semplice rappresentazione. Un messaggio che si fa duplice, anche qui: sottolineando il legame tra natura, arte e rappresentazione. Il libro di Monica Palumbo è un testo sincero per la sua disarmante semplicità, che rimanda per certi aspetti alle celebri Favole al telefono di Gianni Rodari. Non apre


varchi alla finzione perché è uno spazio reale in cui si riesce ad intravedere la fragilità del mondo in cui viviamo. Un mondo in cui sempre più spesso si smarriscono le autentiche domande sulla nostra esistenza. Troppo impegnati a cercare l’effimero e non il necessario, anche noi adulti tendiamo a dimenticare l’essenzialità della vita quotidiana e, dunque, delle piccole cose. “L’arte non mostra il visibile, ma lo rende visibile” scriveva Paul Klee, il cui percorso artistico superava il livello della composizione estetica per rintracciare e trovare legami con la poesia, la filosofia, la religione, la letteratura. Perché le storie, in qualunque modalità espresse, sono “vascelli per varcare confini” per citare Peter Bichsel, un altro grande scrittore-studioso che alla centralità della narrazione nella nostra esistenza ha dedicato gran parte della sua opera. “Mentre racconto delle storie, io non mi occupo della verità ma delle possibilità della verità. Finché ci saranno ancora storie esisteranno ancora delle possibilità”, scriveva Bichsel. Riflettere sul bisogno di storie e

l’importanza di leggere e di raccontare storie ai bambini può senz’altro indurci a comprendere ulteriormente le funzioni e i significati che questi momenti assumono dal punto di vista educativo. Il bisogno di fiabe che i bambini hanno e che tutti noi abbiamo; leggere, raccontare e ascoltare storie sono esperienze così profonde, addirittura irripetibili. Narrare è un verbo-azione, un’azione transitiva: si narra qualcosa e si narra a qualcuno. La narrazione si realizza all’interno di una relazione e contribuisce a crearla. Condividere le stesse storie è un modo per rafforzare l’appartenenza reciproca. Raccontare è mettersi in relazione empatica, rendere possibile provare ciò che prova l’altro. Per questo motivo le favole, in quanto modelli di narrazione, rappresentano spazi di relazione privilegiati con l’infanzia.

Maria Savarese



PENNARELLI LITIGIOSI


In una scatola su uno scaffale, vivevano 12 pastelli colorati, la loro convivenza era trascorsa tranquilla fino al giorno in cui il pastello bianco cominciò a litigare con quello nero. Il bianco diceva che il nero era triste e gli faceva paura e non voleva più stargli vicino, voleva che si trasferisse all’ultimo posto in fondo alla scatola. Il nero, dal canto suo, non comprendeva perché il bianco facesse tutte queste strane affermazioni e diceva la cosa inversa. Sosteneva infatti che ad esser triste fosse il pastello bianco perché pallido ed insignificante.

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“Via tu!”, disse il pastello nero: “Questo è il mio posto, sono anni che vivo qui e i bimbi mi usano sempre per colorare i contorni dei loro non hanno paura di me.

disegni,

Invece guardati, hai la punta bella lunga perché con te non ci fanno proprio nulla!” “Non è vero”, disse il bianco “io servo nelle occasioni speciali, quando i miei padroncini fanno i lavoretti a scuola e usano i cartoncini colorati, così il mio colore bianco come il latte dona lucentezza e allegria ai loro disegnini”.

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Il nero ribatté: “Sì sì, come no… E allora io? I bambini mi utilizzano tutti i giorni, e colorano il cielo di notte e la terra di giorno”. Il bianco agitato aggiunse: “Ma quando mai… per il cielo c’è l’azzurro e per la terra il marrone... È vero amici?”, domandò agli altri compagni di scatola e ciascuno rispose di sì. Allora il pastello nero stava per scoppiare dalla rabbia perché vide gli altri pastelli schierarsi dalla parte del bianco. Ad un certo punto si sentì il pastello rosso che nervosamente disse: “BASTA, non ne possiamo più! Ogni giorno state a litigare per chi è più bello, per chi è più utile, per chi è più lucente, allegro o triste, adesso mi sono seccato!

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“Vi divido, voi due non potrete

mai più star vicini… mai più!”

Gli altri pastelli annuirono, in effetti era proprio vero ciò che diceva il rosso. Il bianco e il nero erano proprio insopportabili con i loro litigi e stavano minando la pace della comunità dei pastelli.

La loro scatola era stretta e quando i due discutevano animatamente gli altri ricevevano dei gran bei scossoni; ogni giorno pareva arrivasse il terremoto.

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Il tempo passò e i litigi aumentarono tanto che si decise che in mezzo al bianco e il nero ci dovessero essere il viola e il giallo. Ma nonostante la separazione i due continuavano a blaterare e a dirsene di tutti i colori. Le zuffe proseguirono per giorni e giorni fino a quando un bimbo aprì la scatola e prese i pastelli litigiosi scegliendo per il suo disegno solo il pastello bianco e quello nero. Il bimbo con la sua manina afferrò i due nemici e li posò sopra un tavolo, accanto a un cartoncino rosso fuoco.

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