"Le fate sono finite" | Bruna Putzulu

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BRUNA PUTZULU

Le fate sono finite Nuove forme di potere femminile


Indice Donne e mele. Proverbi e leggende

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Prima premessa Seconda premessa

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Del potere

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La mela di Magritte. Gli stereotipi di genere Mela merito. Donne e autostima La mela Royal. Il rapporto con il potere La mela verde. Nuove regole di genere

Delle regole del gioco La mela rossa. Carisma e potere Biancaneve e la mela avvelenata Carisma e cattiveria Fare melina. Carisma e manipolazione La mela di Newton. Carisma e leggerezza Pink lady. Carisma e fiducia Come le mele sugli alberi Carisma e indifferenza

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La mela della discordia. Sindrome dell’ape regina Le mele marce. Appartenenza ed esclusione La mela acida. In politica? Il tiro alla “passera”

Dalle chiacchiere ai fatti Mela rido. Strategie comportamentali Fare melassa. Persuadere per ottenere consenso

Delle prove della vita Mela morsicata. O madre o manager Melatonina. Le donne, lo stress e il business La mela d’oro. Il tempo per la visibilità Melancholia. Donne, psiche e cervello Il tempo delle mele. Su e giù dai quarant’anni Mela compro. Donne e denaro L’altra metà della mela. Donne e amori Come una mela bacata. Soddisfatti, non perfetti

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Indice

Delle lobby (femminili)

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"I tuoi occhi sono la fonte nelle cui acque serene si specchia il mio cielo"

A mio padre A mio marito Ai miei figli



“La Donna, nel paradiso terrestre, ha morso il frutto dell'albero della conoscenza dieci minuti prima dell'uomo: da allora ha sempre conservato quei dieci minuti di vantaggio� Jean Baptiste Alphonse Karr



Donne e mele

Avallon L’isola delle mele è l’isola mitica dove Artù fu curato da sua sorella Morgana, dopo la battaglia di Camlon.

Leggenda celtica Il dio Lug porta in dono al gran re Cormac un ramo dell’Altro Mondo: è un ramo adorno di tre mele ed è l’insegna della regalità.

Donne e mele

Proverbi e leggende

Sardegna "Sa femina esti cummenti sa méla, affora bella, e aintru punta". (La donna è come la mela, fuori bella e dentro bacata).

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Colazione assonnata e veloce. Due bambini, un marito e una moglie quasi sorridente. Non è la solita pubblicità di una nota azienda di biscotti, ma una qualsiasi mattina in una casa italiana qualsiasi: la mia. Le case vere non sempre hanno pavimenti lucidi, fiori freschi e bambini che sorridono al mattino. Normalmente echeggiano frasi dai toni nevrotico-drammatici tipo il latte non mi va, oppure ho sonno e le scarpe blu non le voglio. E ancora, corri, su svegliati! O a scuola farai tardi. E i compiti? Oddio mamma non li ho mica finiti! Posso farli adesso? «Ma scusa i miei calzini» urla dal piano di sopra la mia dolce metà «chi li ha appaiati in colori diversi?» E mio figlio prosegue, sovrapponendosi con vigore: «E poi mamma sai, la maestra ci ha chiesto una foto di famiglia con tutti in primo piano che ci ritragga all’aria aperta felici e sereni…» «Per quando?» ribatto. «Per oggi mamma!» «Ma sono le 8.10, dove la trovo io la foto adesso? Per giunta all’aria aperta e pure sereni… impossibile!» Queste maestre sono proprio fuori dal mondo, penso. Nel frattempo squilla il cellulare. Bene, anzi male. Mio figlio più piccolo insiste, appiccicato alla mia gamba sinistra continua a urlare: «Le scarpe blu no. Voglio le rosse, quelle con Batman, e il latte non lo bevo, mi fa vomitare!» Ah ecco, magnifico. Trilla anche WhatsApp. È la tata. Scrive: “Ciao Cara… ho la febbre e oggi non potrò andare a prendere i bimbi da scuola” (segue uno smile con baci e uno con la lacrimuccia… sigh). Vedremo come fare più tardi – rifletto - per ora sarebbe già un successo farceli arrivare quasi in orario, a scuola.

Prima premessa

Prima premessa

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Le fate sono finite

Suonano alla porta. È il vicino di casa: «Avete dimenticato per caso le luci dell’auto accese ieri notte?» Già... E ora come li catapultiamo a scuola questi due? Mio marito nel frattempo trova i calzini, uno blu e uno nero, e scende dal piano di sopra, serafico e sbarbato di fresco, ma mezzo vestito (ancora?) e con calma - estrema calma sentenzia: «Non ho più camicie stirate... che faccio?» «Oddio» sbotto io. «Guarda tesoro che le fate sono finite!» Mi guarda sbalordito, poi ride e un po’ sarcastico ribatte: «Molto bella questa! Potresti anche scrivere un libro, sono sicuro che avrebbe successo!» Detto fatto. Le fate sono finite: titolo inconsueto, così fiabesco e allo stesso tempo cinico. Ma come, le fate non possono essere finite, sono creature perfette e meravigliose. Oggi questa idea di donna-fata, invece, sembra essere tramontata. Perché? Proviamo a scoprire le ragioni. Le donne sono sempre state associate al concetto di dovere. Dover obbedire, da bimbe. Dover capire, da donne. Dover soffrire, da madri. Dover attendere il proprio turno, da professioniste. Pazienza, diligenza, zelo. Questo è il recinto dove germogliano le fate. Creature perfette e divine, ma tristi e prigioniere di un modello ristretto. Sempre alla ricerca dei loro limiti e delle possibilità di fare meglio il loro lavoro di fate. Una vita alla rincorsa di una perfezione impossibile e inutile. Tentiamo dunque a stabilire un varco, un ponte magico di donne che si ribellano a questo stereotipo e finalmente scelgono. Di non essere delle fate. Di non essere perfette. Di non essere necessariamente come gli altri le immaginano. E soprattutto libere di sostituire al dovere... il proprio potere. Sarà dunque un viaggio alla scoperta del Potere delle Donne, quello che noi condurremo con chiunque avrà voglia di seguirci. Un viaggio inevitabilmente dedicato alle donne, attraverso cui riflettere sui cambiamenti necessari per intendere l’universo femminile in un modo nuovo, al passo con i tempi. Lo faremo con l’aiuto del frutto

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delle donne per eccellenza, la mela, e attraverso un gioco di metafore e rimandi semantici ci lasceremo guidare nel meraviglioso universo rosa che cambia. Con le sue contraddizioni, con le sue nuove e vecchie regole: un mondo che assume nuove forme, anche sfruttando vecchi modelli per giungere a nuovi paradigmi. Perché no? La lotta vetero-femminista lascia il passo a regole che prendono in ostaggio vecchi stereotipi e li trasformano, per portarli a nostro vantaggio, ragionando, soprattutto grazie al pensiero “laterale”, su ciò che può essere una nuova via femminile al potere. Sarebbe tuttavia un vero peccato tagliare fuori gli uomini dai destinatari di questo libro: è senza ombra di dubbio un viaggio dedicato anche a loro. Agli uomini che delle donne hanno cura e di cui hanno a cuore le sorti: compagne, amiche o madri che siano. E, in particolare, figlie. Comprendere come siano cambiate le logiche femminili e le aspettative di integrazione fra generi può aiutare tutti a risolvere questa annosa battaglia. A superare quei sentimenti di rivalsa, di frustrazione e di paura che spesso frenano le donne nella loro corsa al potere e ostacolano gli uomini nella conquista della felicità e dell’equilibrio di vita con l’altro genere. Felicità che sarebbe meglio chiamare serenità, nelle relazioni professionali ma, prima ancora, in quelle di coppia. Dis-relazioni che sono alimentate dalla paura del confronto, dalla sensazione di aver “saltato l’argine”: l’uomo forte non esiste. Gli uomini oggi si sentono oppressi da un ruolo che sfugge, si liquefa e, spesso, nelle relazioni familiari, lascia in bocca il sapore amaro della sconfitta. Matrimoni che si sbriciolano. Padri separati che diventano il fronte vulnerabile della coppia in frantumi. È anche per questo che vorrei dedicare questo libro agli uomini, a coloro che vogliono sentirsi liberi di interpretare nuovi ruoli, fuori da un modello di machismo indebolito, di fatto, dagli eventi. E una dedica speciale è pensata in primis ai padri, che sono i veri grandi artefici della possibilità di affermazione del ruolo femminile nella società del domani. I padri di figlie femmine, come il mio. Quelli che sognavano il fiocco azzurro con il quale andare presto a pescare o vedere la partita di calcio, e si sono ritrovati tra le braccia

Prima premessa

Bruna Putzulu

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Le fate sono finite

un bebè rosa confetto. E ancora non immaginano come quel batuffolo inerme potrà cambiar loro la vita. Ma responsabilmente e affettuosamente si interrogano, per poter meglio comprendere come loro potranno cambiarla alle loro figlie: attraverso nuove regole educative, nuovi modelli, nuove relazioni. Così, grazie alle proprie personali conquiste di libertà dagli stereotipi, potranno trasferire loro un modello vincente. Libertà di pensiero, libertà dai condizionamenti e dalle proprie paure di padri. La paura di un padre verso una figlia femmina è spesso l’incapacità di poter costituire un modello. Io sono un uomo e il mio ego può essere proiettato solo su un essere del mio stesso genere. Uomo=bambino maschio. Niente di più sbagliato. Le donne che hanno maggior successo nella vita hanno tutte alle spalle un grande padre. La stessa regola non sempre vale per gli uomini. Un padre libero e anticonformista che le ha nutrite, sin dall’infanzia, con una ricetta semplice quanto inconsueta nella nostra società: ha insegnato loro a credere in se stesse, con i fatti, prima ancora che con le parole. Un padre che ha fatto capire loro che nascere femmine è una gran fortuna e che tutto è possibile poiché alla portata delle proprie capacità: basta crederci. Per questo dedico questo libro a mio padre, che di tale convinzione ha fatto sempre il suo credo. A partire dai primi insegnamenti sino a tutto il mio percorso di vita. Incoraggiandomi a esplorare nel tempo molti degli spazi ritenuti strettamente maschili, come quello della guida o del tiro sportivo, di alcuni aspetti avanzati della tecnologia e della scienza. Porte aperte per una crescita completa e indipendente, verso realizzazioni professionali di crescita in ambiti professionali che mi hanno garantito chance di impiego e di realizzazione, anche economica, a lungo periodo. E nei ricordi ne riaffiora uno, non unico, ma fra tutti molto esemplificativo. Dovevo avere circa cinque anni e un bellissimo vestito di pizzo sangallo bianco. Una festa e le giostre nel paese, dove fu montata su sterrato una pista di go kart. Senza pensarci due volte mio padre mi invitò a salire sul mezzo per provare a guidarlo, esattamente come facevano gli altri bambini (maschi ovviamente). Ho ancora nitido il

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ricordo delle mie emozioni del momento: terrore e curiosità si rincorrevano. «Non ce la farò mai» dissi «io sono una femmina». Lui afferrò una macchina per il volante, me per le braccia e mi mise seduta, e senza grandi giri di parole disse: «Non bisogna essere maschi o femmine. Questo è il volante, così si svolta a destra, così a sinistra. L’acceleratore lo usi con il piede destro e il freno con quello sinistro. Hai mani e piedi esattamente come il tuo compagno. Si tratta di imparare e non c’è nessuna cosa che non si può fare. Ora vai!» Uscii da quel giro in go kart adrenalinica, con il vestito di pizzo candido divenuto color terra, in parte terrorizzata da quelle velocissime macchine che mi correvano dietro, ma con una grande lezione: quella di non pormi limiti, di non pensare mai più nella mia vita di non poter fare qualcosa solo perché ero nata femmina, ma di confrontarmi ogni giorno con le mie ambizioni, a prescindere dalle regole sociali, dagli stereotipi, dai condizionamenti e soprattutto da ciò che gli altri si aspettavano da me. Ormai mi era chiaro che non ero solo una signorina graziosa e con un vestito nuovo di candido sangallo.

Prima premessa

Bruna Putzulu

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Seconda premessa

Si fa un gran parlare di donne negli ultimi tempi. Un parlare smisurato, disgregato, che lievita all’interno dei social network e che si attorciglia, senza il più delle volte venire al punto. In Italia e non solo, si sta ridefinendo la mappa del potere femminile. Pensiamo alla recente esperienza del Governo Renzi, costituito da otto donne su sedici, manager nominate ai vertici delle aziende pubbliche, con un segnale esplicito che strizza l’occhio alla parità di genere. La svolta esiste, è in corso. Ma è presto perché rappresenti lo specchio di un cambiamento culturale diffuso e coerente. In realtà, oltre questa dorata vetrina, che pure è importante per compiere il passo, permangono situazioni opache, di non equità nelle condizioni di vita, di accesso al lavoro e alle carriere. Di diritti a essere retribuite (poco o tanto non importa) ma in maniera uguale ed equa per le medesime professioni. Un dato per tutti: la quota delle madri che lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio è cresciuta vertiginosamente nell’ultimo decennio. Dunque, donne e lavoro sfida possibile? Ancora non si è compreso. E non si capisce soprattutto perché resiste ancora questa propensione all’antitesi, contrapposizioni, disgiunzioni. E le somme? E se dopo il tema lavoro consunto e bisunto, ci spostiamo gentilmente sui piani alti della politica e delle istituzioni, ecco che ci si scontra con le oramai famigerate “quote rosa”, di cui si proferisce tanto, ma si realizza poco. Sfido chiunque a trovare nella propria cerchia di conoscenze una donna che ricopra il ruolo di amministratore delegato di un’azienda quotata in Italia. Io ne conosco solo un paio e, per contro, conosco tante donne in gamba. Possiamo affidare solo ai social network il compito di rappresentare e innovare il sistema

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di genere? La questione mi pare essere più complessa e riguarda, nel profondo, l’idea della politica e del potere, e di come il pensiero femminile si pone in relazione a queste dimensioni. Sono tante le donne che si sono ben allineate alle “regole del gioco” (maschili) per ottenere un posto in un consiglio di amministrazione, una candidatura o un seggio. Sono troppe le donne che non si sono volute piegare, e il “sistema” le ha escluse. Ma quale potrebbe essere dunque un’alternativa di via femminile al potere? Si discute di quote rosa, fatte di numeri, di obblighi da rispettare, ma non di come riconoscere le vere competenze femminili e promuoverle. Di come accelerare il femminile al comando. Le donne che hanno faticosamente infranto il soffitto di cristallo o imitano modelli e ragioni maschili o appaiono accessorie e spesso smarrite. Praticamente ininfluenti. E ancora: è positivo che una donna sia Ministro, Presidente di Confindustria, Presidente della Camera se non pensa e agisce diversamente da chi l’ha preceduta? Partiamo da questa domanda per darci delle risposte concrete. Il momento è cruciale, la rivoluzione di genere è compiuta e i nuovi modelli educativi e culturali, oltre che la grave e profonda crisi dell’economia, hanno mutato di fatto le dinamiche di potere tra uomo e donna nella famiglia, nel lavoro, nella società. Con profonde trasformazioni sulle logiche del matrimonio, dei figli, delle ambizioni di entrambi e dei ruoli che gli stessi hanno all’interno dei gruppi sociali. A cominciare dalla famiglia. Nel contempo, la parola “femminismo” è diventata difficile e impronunciabile nella nostra società. Evoca insoddisfazione e rabbia, ed è per questo che spesso sono proprio le donne ad aver paura di parlarne. Questo perché lo stereotipo del femminismo è ancora quello di un movimento aggressivo e popolato da streghe mascoline e dissennate, che hanno come obiettivo la distruzione, senza remore, dell’altro sesso. Questa serie di convenzioni funziona, anche se ancora per poco, poiché in fondo a chi interessa ancora la parità di genere? In un sistema dove le classi di potere si stanno sbriciolando, la parità è difficile anche da comprendere come concetto di “eguale a cosa”? E comunque si scelga di definirla, la “parità” sarà sempre una prospettiva spaventosa per quelle persone,

Seconda premessa

Bruna Putzulu

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Le fate sono finite

arroccate in posizioni di immunità, che si preoccupano di perdere i loro privilegi. Questa è la vera minaccia per i ruoli di genere, poiché mette in luce come gli stessi vadano ridefiniti nella loro completezza. Non basta includere nei consigli di amministrazione delle banche o delle società quotate le donne in quanto tali, ovvero rappresentanti di un modello bidimensionale in antitesi e sotto-rappresentato. Sarebbe più semplice se non vi fossero né donne, né uomini, ma eclusivamente professionisti, esperti, saggi, economi – di cui a nessuno interessi a che sesso appartengano – che si mostrino veggenti, innovatori, e attenti alle ricadute sociali delle scelte che realizzano. Difficile ancora è inquadrare in questo senso la logica del potere, dove c’è ancora molta strada da fare. Stiamo parlando del potere politico, non di quello personale ovviamente, ed esiste tra i due una profonda distanza che sembra ancora davvero invalicabile, pur considerando la crisi globale e ciò che può permetterci di superarla. Certo la tentazione è forte: sparare a zero sulle lobby del potere maschile (e maschiliste); dichiarare, nonostante tutto, battaglia veterofemminista; recriminare diritti e prestigio. Ma a che serve? A che sono serviti decenni di lotte, proclami, urla e striscioni nelle piazze? Qualcosa negli anni ‘70 è cambiato, ben poco oggi, finché saranno solo le donne a lamentarsi e a non agire. Lasciamoci alle spalle dunque il cliché del femminismo, fazioso e falsamente alimentato. Occorre ripartire da nuovi modelli di potere e vedere di fare strada a un’altra prospettiva, postmoderna, dove possa avvenire un cammino veloce, perché le donne non aspettano. Non vogliono e non possono più attendere che maturino le mele, in un mondo dove loro sono già pronte per il potere. E non si tratta di rincorrere un modello maschile di successo, che è, di per sé, differente e per giunta obsoleto. Si tratta di fare un salto “di paradigma”, di dare vita a quella nuova sagoma di potere femminile che vada oltre le anarchie e le guerre convenzionali, che descriva nuove relazioni e nuovi livelli, senza necessariamente combattere fantasmi. Una sfida idealmente lineare, che nella realtà si trasforma in un percorso ancora impervio. Chiunque di noi si confronta ogni giorno con relazioni di potere maschile sa bene

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che le cose girano ancora male. Tocchiamo con mano le dinamiche di esclusione, di lobby, di governo del branco. Le donne non sono previste, e se aleggiano nel perimetro vengono messe, più o meno gentilmente, in una posizione subalterna, secondaria, spesso muta. Mai centrale. Già, il caffè chi lo porta? Una fata buona e amorevole, che sembra apparsa apposta, procede al momento giusto e non fiata, sorride e porge con dolce grazia ciò che le viene chiesto. Qualcosa di strano? No. Tutto previsto come da copione. Avete mai visto durante una riunione composta interamente di Board Directors donne, un gentile e aggraziato assistente comparire all’orizzonte con un vassoio di caffè fumante? Neppure nei film, nemmeno Walt Disney con le sue varie principesse è riuscito a farci sognare tanto. Ma noi dominiamo gli stereotipi, anche quelli al contrario, e andiamo oltre. In fondo, perché perseverare? E poi, è veramente ancora così importante il modello della “donna in carriera” con sguardo truce e tailleur rigorosamente grigio? Il potere femminile disegna oramai altre logiche, la realtà è già oltre questi cliché: siamo più rapide, più vigili sulle situazioni, più scaltre e, in una parola, più smart. E poi siamo numericamente in vantaggio e questa non è cosa da poco. È la cosa più scomoda, quella che altera i perimetri di potere maschile e che li sta rovinosamente mandando in frantumi. Per questo occorre convalidare un patto: che questa armata si muova in seno a nuove e sane logiche di lobby femminili, dove gli uomini non stanno fuori, non sono mai perimetrali, ma strumentali, ignari e sonnecchianti, capaci di pensare ancora che le cose non cambiano e non cambieranno mai. Invece sono state già trasformate. E allora, “tremate le streghe son tornate?” No, ma rabbrividite pure tranquillamente, perché le fate sono finite.

Seconda premessa

Bruna Putzulu

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