Reseta (parte II)

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r i u s o

Il riuso sembra essere diventato una forma di design attuale e, allo stesso tempo, radicata nel tempo se si pensa alla “creatività” dei nostri nonni e antenati. Con il concetto contemporaneo di “design del riuso” si ritorna, in un certo senso, alle origini, al passato, alla semplicità. Il riuso esiste nel design da più di cinquant’anni anche se non aveva inizialmente la valenza ambientale che gli attribuiamo adesso. Si trattava più che altro della ricerca di “contaminazioni” tra settori diversi. Erano specialisti in questo i fratelli Achille e Piergiacomo Castiglioni: nelle loro mani un sedile da trattore si trasformava in uno sgabello e un faro di automobile diventava una piantana. Di design del riuso come pratica sostenibile si parla da circa quindici anni, da quando il designer Enzo Mari propose “Ecolo”, una guida per tagliare bottiglie di plastica e flaconi ed ottenerne vasi per i fiori. Il “riuso creativo” diventa design nel momento in cui percorre un iter di analisi e sintesi che è proprio delle discipline progettuali. Solo un’approfondita analisi degli aspetti sensoriali, tattili, visivi, dimensionali, cromatici, simbolici e funzionali dell’oggetto da riusare potrà portare ad un vero progetto di design del riuso. Si tratta quindi di “risemantizzare” l’oggetto e non, banalmente, di riproporlo in un differente contesto funzionale. Le tende di Michelle Brand sono una chiara dimostrazione di questo processo: lei utilizza solo i fondi delle bottiglie di plastica, una porzione che, una volta ritagliata, mostra un’insospettabile geometria floreale che, se isolata dal contesto, diventa un prezioso elemento modulare da comporre in grandi formazioni evanescenti.


Il design del riuso può diventare un settore strutturato capace di raccogliere i materiali dismessi a scala industriale e di ridistribuire beni e oggetti alla società offrendo nuovi spazi di lavoro ai giovani progettisti. Esistono già in Italia, senza differenze tra nord e sud, molte piccole realtà produttive di tipo artigianale che hanno fatto del design del riuso la loro mission. Interessanti attività sono quelle di associazioni come la romana “Occhio del Riciclone” che si è concentrata sugli aspetti formativi e didattici del riuso promuovendo laboratori per tutte le età.

Lampada Toio di Achille e Pier Giacomo Castiglioni per Flos Progetto di Achille e Pier Giacomo Castiglioni, elaborato nel 1962 per Flos, la lampada Toio si distingue per essere un apparecchio illuminante ricavato da elementi ready-made: la fonte di illuminazione è costituita da un vero fanale d’automobile da 300 watt, tenuto su da uno stelo ricavato da una canna da pesca a sua volta incastrato in una base in lamiera di acciaio ripiegata che con il suo peso da stabilità all’insieme. Il cavo di aimentazione corre dal faro passando per gli anelli passanti dello stelo fino al trasformatore lasciato a vista; delle alette metalliche poste sulla base permetto l’avvolgimento della porzione di cavo in eccesso. L’interesse per i fratelli Castiglioni sul riuso dei prodotti industriali e la sperimentazione si manifesta in questo progetto attraverso la combinazione di elementi così diversi, ma straordinariamente dialoganti tra loro, che dona alla lampada Toio un aspetto inconfondibile che l’ha resa uno dei progetti più famosi del lighting design italiano.

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I progetti più interessanti di Michelle Brand infatti riguardano direttamente il riciclo di alcuni materiali “poveri” come ad esempio il PET. Quanti di noi si soffermano ad ammirare le portentose architetture delle più comuni bottiglie di plastica? Probabilmente nessuno. Eppure c’è uno studio accuratamente rivolto allo spreco di materiale: un ricamo di calcoli strutturali circa la resistenza per forma (la quale consente uno spessore davvero ridotto), l’attenzione alle tecnologie ed ai processi produttivi, l’applicazione di criteri ergonomici e salva-spazio. Insomma una banalissima bottiglia d’acqua porta con sé un intero mondo completamente ignorato dalla maggior parte dei suoi utilizzatori, agli occhi dei quali infine sfuggono le graziose geometrie, celate nei più diffusi artefatti. Micelle queste geometrie le raccoglie, le ritaglia, le combina, per disvelarle nuovamente, sotto vesti diverse, trasfigurandoli in eleganti ed emozionanti elementi di interior design. Il fondo della bottiglia si trasforma così in una nuova matrice, un nuovo materiale: diviene il modulo di un poetico separé, o di una tenda che gioca con la rifrazione del sole, o di una meravigliosa cascata di fiori e riflessi luminosi di un paralume. La Brand estende la vita dei prodotti di massa, conferendo loro un secondo uso, ma soprattutto ne amplifica l’estetica, rendendola evidente ed utilizzando proprio questa come punto di forza dei suoi lavori. La giovane designer Micelle supporta la filosofia del cosiddetto “slow design”, ovvero la direzione opposta al veloce, frenetico consumismo della società contemporanea.


“Questo lo conserviamo... potrebbe servire!”. Era la filosofia delle nostre nonne, quelle che non buttavano mai via niente perché magari, un giorno, quella cosa sarebbe potuta tornare utile. Così vecchi lenzuoli troppo lisi diventavano strofinacci, il maglione logoro si scuciva e con la lana si faceva una sciarpa, anche il nastro dei regali si recuperava per cucire all’uncinetto un resistente sottopentola. Ogni cassetto era una miniera di ciarpame, ma al momento giusto c’era sempre l’oggetto adatto da riutilizzare. Le nostre nonne lo facevano perché erano cresciute in tempi difficili, quando non era semplice avere cose nuove e ogni oggetto andava trattato con cura e parsimonia perché durasse più possibile e, anche quando fosse cessato il suo primo uso, potesse essere sempre usato per farne qualcos’altro. Oggi ci ritroviamo a rivalutare questa filosofia per motivi esattamente opposti: abbiamo una così grande disponibilità di oggetti nuovi, monouso e a basso costo, che non riutilizziamo più nulla, trovandoci giorno dopo giorno sommersi da montagne di rifiuti. L’emergenza legata al loro smaltimento ci mette davanti ad una questione vitale: occorre un radicale cambiamento di prospettiva, iniziando a progettare secondo i criteri dell’eco-design. Secondo i principi della progettazione sostenibile bisogna minimizzare la presenza di sostanze tossiche nei prodotti, incorporare materiali riciclabili/riciclati, ridurre la quantità e le tipologie di materiali utilizzati, impiegare materiali compatibili tra loro in fase di riciclo, ridurre la quantità di scarti di lavorazione, minimizzare il packaging, usare un sistema di imballo riutilizzabile, aumentare l’efficienza energetica dei prodotti a funzionamento elettrico, facilitare l’accesso alle parti per la loro sostituzione o manutenzione, consentire il recupero dei componenti per il riciclo.

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Occorre ripensare da capo il nostro rapporto con le cose, immaginandone una nuova vita quando avranno cessato il loro utilizzo "ufficiale”: occorre allora vedere nella "spazzatura” non un problema ma una risorsa, nell’inutilità nuove opportunità di creazione. D’altra parte per tutto ciò che esiste sulla terra, vale il principio di conservazione per cui "nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma”. Volendolo prendere alla lettera, nel caso del design del riuso, possiamo immaginare un flusso infinito di oggetti che si trasformano sempre in qualcos’altro senza diventare mai rifiuti, in una sorta di metempsicosi ininterrotta operata dagli individui che utilizzano e riutilizzano le cose sfruttando una buona dose di immaginazione. In questo testo dunque si vuole approfondire il "pensiero creativo”, quello che secondo lo psicologo Edward De Bono permette "di considerare le cose non soltanto per quello che sono, ma anche per quello che potrebbero essere”. Non verranno analizzati i metodi di eco-design ma qualcosa di più semplice ed immediato: esempi di riuso intelligente che chiunque (non solo designer professionisti) può mettere in atto. Si tratta di cercare un rapporto nuovo con gli oggetti, imparando a separarli dalla loro funzione principale e ad osservarli per le loro potenzialità materiche, formali, tattili, percettive. Questo è sfidare il senso comune del valore degli oggetti, è raccontare la storia che un oggetto vuole narrare, è mostrare la fragilità della materia, è cogliere l’armonia e l’abilità costruttiva di un particolare, è cercare la bellezza in luoghi inaspettati. È così che un giorno un vecchio copertone è diventato un’altalena. La lattina d’alluminio, un materiale preziosissimo perché la bauxite da cui si estrae comincia a scarseggiare e soprattutto perché per produrre oggetti nuovi dall’alluminio riciclato si risparmia il 95% dell’energia elettrica che servirebbe per produrli dalla materia prima. Lasciata in discarica, invece, la lattina impiega 500 anni per degradarsi… va da sé che il riciclaggio dell’alluminio deve essere per noi un imperativo categorico, un dovere morale a cui non possiamo sottrarci.


(in)coerente prende forma in un progetto legato al mondo dell’accessorio: una collezione di collane esclusive, insolite, cariche di emozioni. Una calibrata mescolanza di tecniche e materiali che dona unicità ad ogni creazione, inevitabilmente carica di una spiccata personalità. Design della contraddizione: materie grezze, povere e di facile reperibilità costituiscono corpi che si lasciano vestire, avvolgere, svelare da abiti che sono involucri raffinati, ricchi, frutto di minuziose ricerche e abile creatività. La preziosità dei materiali tessili quali ricami, pizzi e tulli, insieme all’alta qualità dei pellami, sono elementi caratterizzante e distintivi di questi accessori: rimanenze industriali d’eccellenza esclusivamente Made in Italy e reperti vintage frutto di ricerche appassionate. Aspetti retrò, disegnature del passato rilette in chiave contemporanea, accostamenti preziosi e cromie a volte discordanti, segni e difetti inconfondibilmente handmade, per ritrovare una familiarità che trae valore anche dalle sue imperfezioni.

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Gli oggetti più comuni della tecnologia diventano oggetti fashion. Arriva dal Portogallo un'idea assolutamente originale per riutilizzare in modo nuovo i pulsanti delle vecchie tastiere dei pc. Il designer portoghese Joao Sabino ha disegnato e realizzato una borsa che con ogni probabilità è destinata a rivoluzionare il mondo degli accessori moda. Innanzitutto per il suo spirito "ecologico", ovvero, la capacità di dare nuovo valore ad oggetti apparentemente inutili una volta che terminano la loro funzione sulle comuni tastiere. In secondo luogo, la capacità di personalizzazione cui la borse si presta. Con Keybag, un nome che racchiude il concept del progetto, Joao Sabino ha ideato un accessorio prezioso: una borsa realizzata con 393 pulsanti provenienti da tastiere di computer applicati ad un "contenitore" realizzato con plastica e fibre di nylon. La borsa è stata interamente realizzata a mano e ogni pezzo è unico perché su ogni borsa i tasti sono stati disposti in modo diverso. La borsa può così essere facilmente personalizzabile con messaggi che possono essere richiesti su ordinazione. Keybag si propone come un accessorio femminile e glamour, ma anche un elogio al riciclo creativo del cosiddetto "rifiuto elettronico". Più grande di una pochette, meno della maxi-bag, Keybag è una borsa innovativa. La Keybag è stata presentata in tutto il mondo alle principali esposizioni di moda, da Lisbona a Milano, passando per le passerelle di Parigi. E da oggetto fashion, è diventata oggetto d'arte.


Day Re: finito il rotolo di carta igienica… comincia a scrivere!

E’ vero, forse, di tutte le possibilità di riciclo quella legata alla carta igienica potrebbe sembrare, a prima vista, non proprio il massimo in termini di savoir faire. Ma anche a questa poco “igienica” possibilità eccoci di fronte ad una trovata per nulla malvagia e alquanto eco-friendly. Una volta terminata l’indispensabile carta da bagno, che farne del rotolo di cartone color marrone che rimane? Ovviamento lo gettiamo nell'apposito bidone della carta o al massimo lo utilizziamo per farci giocare i nostri bambini. I nostri più intrepidi e fedeli lettori lo hanno anche utilizzato per realizzare una mini-serra green e mettere a germogliare i propri semi o per realizzare un originale decorazione fai-da-te per Halloween, ma avete mai pensato di farne il vostro block notes personale? Con “Day Re” ciò diventa possibile perché, una volta che la carta igienica finisce, il rotolo contenuto all'interno è pronto per essere trasformato in un utilissimo notebook con funzionalità di agenda.

Grazie alle linee tracciate e alla grafica disegnata diventa possibile trasformarlo in un ottimo calendario settimanale dove, quotidianamente, potrete scrivere i vostri appunti, farlo diventare il vostro alternativissimo diario e magari anche usarlo per tenere a mente la lista della spesa.

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Matrimonio da spazzatura: a Pisa l'abito nuziale realizzato con oltre 100 rifiuti. Un interessante esempio di matrimonio sostenibile in cui l'abito della sposa è stato confezionato utilizzando, addirittura, cento tipi diversi di rifiuti; migliaia di pezzi provati, modellati, ricamati a mano ed assemblati in circa due mesi di lavoro e di prove indosso alla futura sposa che, al posto del tradizionale abito bianco, ha accolto in una veste assolutamente "green" i propri ospiti. La graziosa sposa si chiama Elena Bertini ed è convolata a giuste e sotenibili nozze con Antonio Lapolla, non a caso rappresentante legale della Rew Trasporti, una delle società del Gruppo Ecolevante che, partendo da Santa Croce sull'Arno , famosa per il distretto conciario che ospita, opera a livello nazionale nello smaltimento e nel recupero di rifiuti industriali ed ha fatto della cultura del riciclo il perno della filosofia aziendale. I novelli coniugi, dunque, hanno sposato anche l'ambiente e la cultura della sostenibilità, una scelta che hanno voluto sottolineare proprio nel giorno più bello della loro vita commissionando, per l'occasione, l'innovativo abito ad Angela Nocentini, artista e docente dell' Accademia delle Belle Arti di Firenze, coadiuvata dal modellista Francesco Campidori. Insieme hanno assemblato, cucito e fatto diventare preziosi, lampadine fulminate, fili elettrici, ritagli di pelle e carta, tessuto non tessuto, plastiche, viti, bulloni, vecchi cd, pezzetti di metallo, perfino fiori secchi ed un vecchio santino.


Carmen Björnald ha ideato la linea di accessori

CeeBee a basso impatto ecologico, di qualità, e allo stesso tempo utile a sostenere famiglie che vivono in zone a basso reddito, creando posti di lavoro. La sua Paper Collection, infatti, si compone di borse, zaini, shoppers, marsupi e cinture realizzati con carta proveniente da pagine di riviste di moda, mappe geografiche, quotidiani, fumetti, spartiti musical. Una volta assemblati i materiali, vengono poi plastificati e intrecciati, così da creare modelli unici e originali. Stessa filosofia anche per la collezione Plastic

4ever, costituita da borse e accessori dalle forme e dettagli sofisticati, che nascono da ex sacchetti della spesa raccolti dalle donne e rivenduti a peso grazie ad un’organizzazione Onlus, in grado di riciclare la plastica trasformandola con una pressa di calore. Di accessori d’abbigliamento in materiali naturali o di recupero, realizzati a mano, in Italia o all’estero, si occupa anche Dalaleo. Le sue borse ecologiche realizzate con le linguette delle lattine, infatti, nascono nelle favelas di Salvador de Bahia, in Brasile, dove la raccolta dell’alluminio e la sua vendita alle industrie che lo riciclano è una forma di sostentamento per le famiglie più povere. Le linguette delle lattine vengono staccate e vendute alle lavoranti, le quali seguono la realizzazione del prodotto in ogni sua fase: dalla selezione dei materiali alla lavorazione con battitura, lavaggio, lucidatura e asciugatura, fino all’utilizzo di filo ed uncinetto per dar forma compiuta a ciò che si intende creare.

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Ghost Zip, ovvero una borsa - made in Italy - fatta interamente da una zip. In sostanza, si tratta di una semplice cerniera zip, ma molto lunga, che, una volta chiusa, si trasforma in una pratica e bellissima borsa adatta a tutti gli eventi, anche grazie alle infinite varietà di modelli e colori disponibili.

Riedizioni di Luisa Cevese, ideatrice di un concetto di borsa creata dall’assemblaggio di materiali di scarto di ogni qualità e provenienza. E se al braccio abbiamo una borsa riciclata, al top in fatto di originalità, possiamo abbinarci i bijoux di Yes.life in pietre e perle vintage, e i bracciali in poliestere riciclato di Giovanni Scafuro. Per l’arredamento della casa non c’è che l’imbarazzo della scelta. Il Design si è ormai appropriato anch’esso del concetto di riciclo, ed e’ diventato Trash Luxe, con il risultato di far diventare “di moda” il prodotto costruito con materiale di scarto. La scuola giapponese di design Nendo ha ideato la Cabbage Chair, realizzata con gli scarti dell’industria dell’abbigliamento: una poltrona ecologica che letteralmente sboccia, creata tramite fogli arrotolati verticalmente uno sull’altro che possono venire modellati a piacimento fino a far sbocciare la seduta.

Amy Hunting, designer e illustratrice norvegese ma londinese d’adozione, crea sedie, lampade, librerie con scarti industriali raccolti fuori dalle fabbriche della Danimarca: la collezione si chiama “Patchwork series”, un mosaico di elementi fatti di legno di diversi colori e qualità che hanno dato vita a pezzi d’arredo affascinanti e originali, in un progetto totalmente eco-friendly.


C a b b a g e

C h a i r

b y

N e n d o

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F e t h i

A t a k o l

“Quando viaggio in automobile mi trovo ad osservare ogni cassonetto dei rifiuti cercando oggetti che normalmente vengono abbandonati nelle vicinanze. Mi capita cosĂŹ, molto di frequente, di vedere vecchie sedie, porte, ante di finestre, pezzi di ringhiere, damigiane, che stimolano immediatamente la mia fantasia e subito mi ritrovo a costruire mentalmente oggetti nuovi ritrasformando quelli vecchiâ€?.



f a t e s p a z i o

Una vita sempre piĂš frenetica ci porta a fare esperienze, molte delle quali ci coinvolgono solo a livello superficiale, ma che comportano comunque la tendenza a fare "tesoro" di tutti quegli oggetti che le rappresentano.

Oggetti a volte futili, a volte da contemplare, e con una funzionalitĂ assai ridotta, rubano spazio ad oggetti che realmente rispondono ai nostri bisogni primari e secondari.

La soluzione è guadagnare spazio per poterlo riempire.

Dall'arredamento all'abbigliamento, il tutto si fa smart.


Orikaso :

l'arte di plastica, pieghevole.

Resistente al calore, a tenuta stagna, un pezzo completamente flat, in polipropilene.

Pochi grammi e meno di un millimetro di spessore, Orikaso è molto più facile da trasportare e utilizzare in qualsiasi situazione ove il peso e lo spazio sono un problema.

Grazie alle proprietà uniche del polipropilene, Orikaso può essere usato più volte senza subire alcun tipo di indebolimento strutturale. E la buona notizia è che è polipropilene riciclabile al 100%.

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Veasyble: Si tratta di un set di oggetti indossabili che con un semplice gesto. Oltre al fatto che si trasformano in gusci d’isolamento.

Com’è fatto: carta accoppiata con polietilene e stoffa.

Gli oggetti: visiera, gorgiera, borsa, maschera Keywords: Isolamento, Ornamento, Rivelazione, Intimità.

Il progetto si basa su tre concetti chiave: isolamento, intimità, ornamento, e consiste in un set di oggetti indossabili che con un semplice gesto possono essere trasformati in gusci d’isolamento per vivere la propria intimità in qualsiasi ambiente.

L’idea nasce da una riflessione sul cambiamento del rapporto con l’ambiente domestico, dovuto agli effetti del crescente nomadismo, e su come questo abbia influenzato la nostra idea d’intimità, configurando nuove esigenze.


Da qui la progettazione di quattro oggetti, schermi per quattro diverse parti del corpo; gli occhi, le orecchie, il volto, l’intero busto, che evidenzino, attraverso la loro forma e colore, la nostra ricerca di un’intimità a più livelli, in ogni momento e in ogni luogo.

Un ornamento da poter indossare. Un gesto per poterlo trasformare. Un nascondiglio per la propria intimità. Un richiamo per la propria esteriorità.

Un esterno evidente, prepotente, che nasconde un interno fragile e personale.

Ogni oggetto è strutturato secondo un preciso modulo, uguale per tutti. La variazione si trova nella scala di realizzazione, diversa in base alla nostra richiesta d’intimità.

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Nanni Strada, ovvero il design che diventa moda, o meglio, la moda intesa come disciplina progettuale, il vestito che diventa architettura. Ma un'architettura assolutamente tarata a corpi che vivono, viaggiano, sognano, amano. Abiti che calzano leggeri, progetti sinuosi per vite vissute con disinvoltura. 1986 "Torchon", meta-progetto Abiti da viaggio. abiti da viaggio stropicciati in lino che resteranno nelle collezioni di Nanni Strada e sulla scena della moda come una presenza costante fino agli anni '90 e oltre. E' l'inizio del meta-progetto sull'abito da viaggio, caratterizzato dalla comprimibilità, della vivibilità e della facilità d'uso e di manutenzione. Il viaggio è usato come metafora di una condizione di vita in movimento costante. L'abito da viaggio è la risposta a questo modo di vivere sempre più transitorio e accelerato. La grande innovazione sta soprattutto nel trattare il capo in fase finale, quando è già stato confezionato, conferendo al tessuto quell'aspetto stropicciato che diventerà, diversi anni dopo, tendenza di moda imitata da molti stilisti e trasversale a tutte le fasce di mercato. Ignorando le tendenze che vogliono l'abito come una sovrastruttura del corpo, Nanni Strada sposta ancora una volta l'attenzione sulla materia e sul colore, contrapponendo alle spalle esagerate degli anni '80 l'abito stropicciato, in tutta la sua vivibilità, libertà e naturalezza. Trasformerà così un difetto del lino, la stropicciabilità, in pregio e in qualità espressiva.

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L'open source è un fenomeno consolidato nel campo dei software e delle applicazioni per il Web.

Anche nella moda, il modello open source ha fatto breccia, creando una larga rete di condivisione.

L'open source garantisce un solido metodo di sviluppo e consente la libera circolazione delle soluzioni adottate.

Stilisti, designer, e amanti delle sperimentazioni si stanno cimentando nel "libero flusso di contenuti", generando un'incisiva risposta nel pubblico, anche con l'organizzazione di particolari eventi.

Condividere per progredire.


Rebrand: Fashion Reloaded, un evento giunto alla sua terza edizione, che si propone come un grande laboratorio open source, dove le persone interessate potranno prendere parte attivamente al processo creativo di moda.

Installazioni, momenti di swapping e workshop per il riciclo e il restyling dei capi che i consumatori sono invitati a portare.

Sto parlando di quegli abiti che ognuno di noi ha nell’ armadio ma non mette piÚ, per vari motivi, che attraverso un nuovo modo di pensare e riprogettare la moda, possono avere una nuova vita, tornando ad essere desiderabili ai nostri occhi.

Il lavoro avviene a livello locale da un gruppo di giovani designer, i cartamodelli e i disegni vengono pubblicati online per un uso non commerciale, in un blog che riporta periodicamente gli eventi e le iniziative della moda sostenibile.

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Issey Miyake , molto più che un designer. Ricordate quei giochi con la carta in cui bisognava ritagliare un vestitino per la bambola, seguendo i bordi disegnati sul foglio di carta? Un notevole vantaggio ritagliarsi il proprio vestitino, seguendo le linee per la taglia, la forma, i colori che si preferiscono. Il tutto possibile grazie ad un innovativo processo, legato all’avveniristica tessitura computerizzata e alla produzione dei capi in un unico rullo di tessuto: questa tecnica è stata firmata A-POC, ovvero “A Piece of Cloth”, connubio creativo di Issey Miyake e Dai Fujiwara (sua ex-assistente/seguace) dal 1998. A-Poc è stato studiato per il riciclaggio dei materiali esistenti. Secondo Miyake, infatti, l’esaurimento delle risorse mondiali ci obbligherà molto presto a ripensare i processi di fabbricazione e di produzione dei beni di largo consumo. In poche parole: Issey Miyake ha creato un filo magico, che intreccia in una nuova dimensione moda e design, introducendo in entrambi i mondi un diverso modo di scegliere e consumare, un modo più giocoso, fantasioso, libero. Quando Issey Miyake ha presentato la sua nuova linea di abbigliamento nel 1999, ha espresso un approccio visionario alla moda e come potrebbe funzionare nel mondo moderno. L'idea era semplicemente: "vestire il corpo umano con un singolo pezzo di stoffa" e creare "vestiti che chiunque potesse indossare".


Il dispositivo delinea la forma finale dei capi che il cliente dovrà tagliare. Tutto ciò richiede solo un paio di forbici per liberare il capo.

L'obiettivo di Miyake è di permettere a chi indossa i suoi vestiti di sentirsi liberi di ricrearli a proprio modo.

Si parla di un rotolo continuo di vestiti, realizzati da un unico rotolo di stoffa.

La filosofia di Miyake è data dalla creazione di abiti ricavati da un unico pezzo di stoffa personalizzabile con un paio di forbici.

Un altro progresso, che si basa su questa innovazione materiale, è che l'abbigliamento finale non richiede alcuna cucitura.

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L’incontro tra il designer Berber Soepboer , specializzato nella progettazione di abiti che si può scegliere di indossare in modi differenti e il graphic designer Michiel Schuurman, ha dato vita ai due progetti tutti da indossare e personalizzare,

Colour-In Dress e Replacement Dresses.

Quello che rende questi progetti davvero apprezzabili, è la possibilità di scegliere, qualcosa che è alla base di un concetto complesso come quello di libertà.

Usando la propria creatività chiunque, con questi abiti è in grado di realizzare modelli unici e personali.

Colour-In Dress consente di colorare a piacere e a mano la fantastica trama grafica in bianco e nero dell’abito, mentre la base di Replacement Dresses prevede ben tre modelli di abiti che possono essere smontati e ricombinati, grazie alla struttura costituita da un numero incredibile di elementi di stoffa tenuti insieme da quelli che sembrano automatici.




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