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Società e eventi
Sabato 15 Gennaio 2022 Il Galletto
Mugello
Massimo Biagioni: le origini letterarie e i valori che lo hanno ispirato Massimo Biagioni, nato a Borgo San Lorenzo il 15 aprile del 1955, è un giornalista pubblicista, scrittore ed è il direttore regionale di Confesercenti Toscana. È particolarmente legato alla sua terra, il Mugello e da anni s’impegna a ricostruirne i fatti salienti della storia e della Resistenza. Ripercorriamo insieme il suo percorso letterario e i valori che lo hanno ispirato. La maggior parte della sua produzione è dedicata alla Resistenza in Mugello. Com’è nato questo interesse storico? “Ho sempre vissuto e lavorato in ambienti politici richiamati alla sinistra, respirando valori che si rifacevano a quel mondo, ma una grande importanza ha avuto soprattutto il mio rapporto con Beppe Iandelli, all’epoca un capo partigiano: è stato lui a fornirmi molto materiale per uno dei miei libri sul tema, Scarpe rotte eppur bisogna andar, comprese le fotocopie degli atti del diario storico di Luciano Lavacchini. La decisione di procedere a pubblicare quel libro, pochi anni dopo un mio lavoro su Pietro Caiani, è seguita alla pubblicazione nel 2003 del dibattuto saggio di Giampaolo Pansa “Il sangue dei vinti”, un testo che racconta le uccisioni compiute dai partigiani dopo la Liberazione. È stato in quel periodo, complice anche un lungo riposo forzato a causa di una malattia, che mi sono dedicato allo studio di quel periodo e alla scrittura di quello che poi è divenuto,
appunto, Scarpe rotte. La passione per quel periodo non mi ha mai abbandonato: oggi sto lavorando a una seconda edizione del libro, che vorrei ampliare con storie che ho scoperto successivamente grazie alle ricerche per altri libri, come Achtung! Banditen!, che mi fu “commissionato” dall’Amministrazione Comunale di Pontassieve per trattare l’episodio dell’eccidio di Pievecchia. Ho cercato di costruire i miei libri in modo rigoroso, tratteggiando un “reticolato” storico dettagliato sul quale poi raccontare le vicende specifiche del Mugello o dei singoli personaggi, perché le vicende locali non sarebbero altrimenti comprensibili senza prima conoscere bene il contesto storico nel quale si sono svolte”. Il suo lavoro, probabilmente quello di respiro più nazionale, è stato “Nada la ragazza di Bube”, perché costituisce una sorta di controcanto al capolavoro di Cassola. Com’è stato il rapporto con Nada Giorgi? “È stato un rapporto bellissimo. Un amico di Pelago mi comunicò che Nada Giorgi, l’ispiratrice della Mara del romanzo di Cassola che io stesso menzionavo nel libro “Scarpe rotte”, era viva e fece in modo, tramite la figlia, che potessi conoscerla. Nada covava dentro di sé una gran voglia di raccontare la sua verità e un grande sdegno verso Cassola, che si era ispirato alle vicende reali per scrivere e romanzare il suo “La ragazza di Bube”. Cassola aveva fatto quello
che fa un romanziere: si era ispirato a una storia vera, ma l’aveva anche modificata secondo la sua fantasia e la sua sensibilità. In particolare Nada, che in quel romanzo però giustamente riconosceva sé stessa, non riusciva a perdonare allo scrittore di aver inventato un “flirt” di Mara con un ragazzo di Poggibonsi, Stefano. Il romanzo di Cassola, e in seguito il film di Comencini, hanno avuto un impatto potentissimo sulle loro vite: Cassola si fece promotore di una richiesta di grazia per Renato Ciandri, ma la straordinaria forza della comunicazione finì per travalicare la verità storica e “Bube e Mara” hanno sostituito nella mentalità collettiva Baffo e Nada. È stato per questo che, insieme all’editore, abbiamo deciso d’intitolare il libro “Nada, la ragazza di Bube”, per ricollegarci alla scia del successo di Cassola e raccontare, in un altro modo, la stessa storia. Le chiacchierate con Nada sono state interminabili, finalmente aveva modo di raccontare la sua storia, le ingiustizie, l’abbandono da parte dei compagni di partito di Renato, che aveva sempre confidato negli ideali del Partito Comunista che però lo ha lasciato solo. Nada raccontava con enorme pathos, era lucida e appassionata, raccontava la vicenda come se la rivedesse di fronte agli occhi, mi ha fornito tutto il materiale per raccontare la vicenda, ha partecipato assieme a me a quasi tutte le presentazioni del libro:
in particolare c’è stato un episodio particolarmente bello, quando l’associazione dei Carabinieri di Montevarchi ha voluto organizzare una serata per pacificare, simbolicamente, l’Arma con la moglie di Renato Ciandri, a distanza di tanti anni”. In mezzo ai suoi libri sulla Resistenza, spicca uno degli ultimi titoli: perché raccontare la storia del Teen Club? “L’idea è nata nel corso del primo lockdown, quando, portando fuori il cane, incontravo ogni mattina Ferdinando Ferrini, lo storico ex dj Topo. Gli ho proposto spesso di raccogliere in un libro i suoi innumerevoli aneddoti sul vecchio Teen Club, mi sono offerto di aiutarlo... è andata a finire che in pratica l’ho scritto io con la sua collaborazione e con l’aiuto di Sandra Cocchi, la figlia dell’allora proprietario Angiolino, che ha condiviso con me i suoi ricordi e il materiale fotografico che possedeva: era una bambina quando, nel loro appartamento sopra la sala da ballo, passavano le grandi attrazioni del Teen Club: Pippo Franco, i Pooh... Di comune accordo abbiamo deciso di terminare il libro col 1986, anno in cui ha lasciato il Teen Club, in parte perché non sarebbe stato possibile ricostruire tutte le gestioni successive, ma soprattutto perché era divenuto ormai un mondo diverso, era terminata la grande epoca d’oro delle discoteche e del Teen Club con esse”.
Crede che i valori che abbiano ispirato la Resistenza, dignità, orgoglio, volontà di riscatto, esistano ancora nella società di oggi? “Sì che esistono. Purtroppo questo argomento è inficiato da un problema di fondo della nostra società: non abbiamo mai espresso come collettività un giudizio, una considerazione collettiva e unitaria su quegli anni. Non abbiamo mai sepolto il fascismo, e i rigurgiti ai quali assistiamo oggi derivano dal fatto che non abbiamo una lettura condivisa: già subito dopo la guerra, in Parlamento nacque il Movimento Sociale Italiano con una chiara impostazione postfascista. La mancanza di una base comune sulla quale impostare il futuro non ci ha
mai fatto avere un giudizio condiviso per ricostruire i valori della neonata Repubblica: giustizia sociale, opportunità di crescita per tutti, possibilità di raggiungere traguardi con studio impegno e abnegazione, difesa della libertà e di un sistema di elezioni democratiche che dovrebbero facilitare l’emersione delle persone in quanto individui: erano questi i valori dei partigiani che hanno contribuito alla fuoriuscita dalla guerra. I valori del movimento partigiano hanno costituito una rivendicazione della dignità italiana: la volontà di non essere soltanto liberati dagli italiani, ma di liberarsi da soli. Questi valori esistono e sono forti ancora oggi, specialmente tra i giovani”. Margherita Di Pisa