Le mille e una rotta
NATALE TRA I CAMMELLI IN MAROCCO, LA LIBIA INEDITA DEL COLONNELLO, IN BARCA TRA I GHIACCI. CONSIGLI PREZIOSI PER CHI PENSA DI TRASCORRERE LE PROSSIME VACANZE CON LA VALIGIA IN MANO
dicembre 2004
Supplemento al numero odierno de il manifesto
bcpt associati_Perugia
vivere umbria
finanziamenti europei per la tua regione
Comunità Europea
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Ministero dell’Economia e delle Finanze
Regione Umbria
IN QUESTO NUMERO
il manifesto
I novelli esploratori
UMBERTO NOBILE (1885-1978) Aeronauta ed esploratore italiano. Dopo aver sorvolato con Amundsen il Polo Nord a bordo del dirigibile Norge (1926), da lui stesso costruito, ritentò due anni dopo l’impresa con l’Italia. Durante il ritorno, una violenta tempesta distrusse il dirigibile. Nobile fu salvato insieme a pochi superstiti. Critico verso il regime fascista, fu costretto all’esilio dal 1932 al 1945.
CARLO LANIA
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IN VIAGGIO NELLA CRISI di Antonio Sciotto IN TRENO TRA LE FRONTIERE DI CASA di Luciano Del Sette LA CASA DEI CAMMELLI di Gianfranco Capitta IL BEL SUOL DI UN MARE DESERTO di Luciano Del Sette A ZONZO TRA I GHIACCI DEL POLO di Laura Genga IL MARE QUESTO SCONOSCIUTO di Cinzia Gubbini LA CLOWN DEI DISEREDATI di Geraldina Colotti LE PROMESSE DEL TAGIKISTAN di Alberto Canali
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eno male che c’è il turismo, una vera ricchezza per il nostro Paese». Quante volte lo avete sentito dire? Un’infinità, sicuramente, e ogni volta era vero. Oggi purtroppo, anche questa certezza non c’è più, o almeno non è più granitica come una volta. Complici molti fattori, dalla crisi economica alle paure indotte dalla guerra, nell’Italia di Silvio Berlusconi anche l’industria del turismo è entrata pesantemente in crisi. Ne sanno qualcosa le centinaia di lavoratori del settore, costretti tutti i giorni a fare i conti con la paura di perdere il posto di lavoro o l’incertezza di avere l’ultimo stipendio. Lavoratori ad esempio come quelli della Parmatour, società del gruppo Tanzi messa in crisi anch’essa dal crack Parmalat. O tanti altri co-
me loro, costretti magari ad occupare un villaggio turistico per farsi pagare il salario. Perché vi raccontiamo questo? Non certo per rattristarvi le feste, anzi. L’inserto che avete tra le mani vorrebbe come al solito suggerivi qualche valido (e spensierato) consiglio su come trascorrere le vacanze di Natale, nel caso non ci aveste ancora pensato, ma ci è sembrato giusto anche proporvi un viaggio diverso alla scoperta, per una volta, di come vive e lavora il vostro tour
operator preferito. Per poi proseguire verso altre mete. Come, ad esempio, le acque della Norvegia dove, in barca e accompagnati da un famoso navigatore, è possibile spostarsi per dieci giorni tra i ghiacci ammirando le meraviglie delle isole Svalbard. O, se vi piacciono climi più caldi, partire alla volta della Libia, ex «stato canaglia» recentemente sdoganato dall’Unione europea. Un’ultima cosa. Abbiamo deciso di illustrare questo inserto con le immagini e le imprese di alcuni grandi esploratori del passato. L’augurio che rivolgiamo a tutti è che il loro spirito possa in qualche modo essere contagioso, riuscendo a trasformare anche il viaggio più piccolo in una piacevole avventura.
direttore responsabile Sandro Medici direttori Mariuccia Ciotta, Gabriele Polo direttore editoriale Francesco Paternò supplemento a cura di Carlo Lania progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia Tel. 06.68308613 studio@ab-c.it immagine di copertina di Laura Federici Illustrazioni a cura di ab&c grafica e multimedia concessionaria esclusiva di pubblicità Poster Pubblicità srl Via Tomacelli, 146 00186 Roma Tel. 06.68896911 Fax 06.68308332 stampa Sigraf srl via Vailate 14 Calvenzano [BG] chiuso in redazione: 6 dicembre 2004
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turisti cercano sempre l’avventura, le novità. Ebbene, questa volta vogliamo proporvi un viaggio a ritroso. Dimenticate per un attimo di proiettarvi verso le spiagge dorate del Mar Rosso, non pensate ancora alle rovine inca del continente americano o alle distese ghiacciate del Kamchatka. Avete mai pensato di saperne di più dei vostri tour operator? Vi siete mai chiesti come vivano quelli che compilano i biglietti nelle agenzie di viaggio, o gli animatori che rendono più allegro il villaggio mare ultima moda? Per loro, quest’anno la parola d’ordine non sarà divertimento, bensì crisi. O, se preferite termini più à la page, “declino”. Come gli operai di molte industrie italiane, che devono vedersela con i licenziamenti a raffica, le delocalizzazioni all’estero, la precarietà mangiasalario, anche gli addetti al turismo vivranno un Natale 2004 poco felice. Sotto l’albero, la paura di perdere il posto di lavoro, la lotta per chiedere il pagamento degli ultimi stipendi, l’ansia di non avere il rinnovo del contratto per la prossima stagione. “Sì - ci conferma Gabriele Guglielmi, che per la Filcams Cgil segue molte vertenze del settore quest’anno la crisi del turismo è proprio esplosa. E per due ordini di motivi: sullo sfondo ci sono ovviamente le difficoltà economiche del paese, ma una grande parte di responsabilità è da attribuire ai crack finanziari che hanno colpito diversi operatori di viaggi e vacanze, vedi il caso Parmalat”. Ma i lavoratori non si arrendono, e anzi reagiscono con la fantasia e la creatività che caratterizza chi è impiegato in questo tipo di attività. “Basti pensare - racconta il sindacalista - agli addetti della Parmatour, società del gruppo Tanzi: dato che il commissario assegnato dopo il crack non si inten-
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(a cura di Geraldina Colotti) Parole in viaggio tra vita e scrittura, vagabonde o corsare tra il grido e il silenzio, l’attesa e il sogno, occhi asciutti di un pianto che si tramuta in riso. Parole tra il respiro e l’affanno che precede l’attacco o l’amore. Parole in gabbia, girovaghe in un rettangolo di sospiri. Parole pronunciate Schiena contro schiena nel romanzo a due voci di Giulia Morello, pubblicato da Le Lettere con prefazione della cantante DolceNera. Le voci sono quelle di Silvia, adolescente sensibile e inquieta, appena arrestata per spaccio di droga, e di sua madre Lucia che, a distanza, cerca di capire cosa sia diventata la figlia, cosa sia diventata lei stessa. Due donne, l’urgenza di scrivere lettere che forse non si spediranno mai. Un doppio viaggio all’interno di sé,
ANTONIO SCIOTTO
deva di turismo, non si sono persi d’animo e hanno avviato una vera e propria autogestione dell’azienda, facendola sopravvivere fino a oggi. Adesso sarebbe utile individuare in tempi brevi un compratore, perché le professionalità e il lavoro non mancano di certo”. Parmatour a parte, su cui torneremo più tardi, un altro grosso gruppo colpito dalla crisi è la Cit: anche in questo caso, più che del declino della domanda, si deve parlare della cattiva gestione dell’impresa, che oggi attraversa una pesantissima crisi finanziaria. Vecchia costola delle Ferrovie dello Stato, dopo la privatizzazione la Cit è passata nelle mani dell’industriale varesino degli elettrodomestici Gianvittorio Gandolfi. Proprio a causa dell’impossibilità di far fronte ai pagamenti, la Cit si è vista bloccare i codici da parte della Iata, che ha l’esclusiva sulla distribuzione dei biglietti aerei. In buona sostanza, non è più autorizzata a emettere i ticket. Da qui, la perdita di diversi implant, appalti per conto di aziende e istituzioni: era la Cit, ad esempio, ad occuparsi della organizzazione dei viaggi per il Senato e diversi ministeri. E’ il caso, ad esempio, dei 230
In viaggiio
dentro la crisi
MA COME VIVE UN TOUR OPERATOR? QUEST’ANNO LA PAROLA D’ORDINE, PER LUI, PURTROPPO È UNA SOLA: CRISI
lavoratori del villaggio Torre del Faro e dell’Hotel Porto Greco, a Scanzano Jonico, nel materano. Baristi, camerieri, receptionist a termine, cui si devono aggiungere animatori e altre figure cococò, per un totale di 400 addetti. Salario medio: 750-900 euro. Ad averceli, almeno questi: “E’ da mesi che non vedono lo stipendio - denuncia Manuela Taratufolo, della Fillcams di Matera - A settembre, con un sit in davanti al villaggio, abbiamo ottenuto luglio. E occupando gli uffici dal 19 al 25 novembre, siamo riusciti ad avere agosto. I lavoratori sono in arretrato, dunque, di settembre e ottobre, della tredicesima e quattordicesima 2004, del tfr 2003 e 2004. Intorno ai 4 mila euro ciascuno, certo non pochi per chi lavora solo alcuni mesi l’anno”. L’amministratore delegato della Cit, in prefettura a Matera, ha promesso che il saldo arriverà entro il 21 dicembre. Forse il governo applicherà il decreto di salvataggio già varato per Volare: i 500 dipendenti italiani (e i mille stagionali) attendono notizie. E alla Parmatour, intanto, che succede? Ottocento dipendenti diretti, un altro migliaio in alta stagione, se la passano altrettanto male: “Per duecento di loro - spiega Romeo Savoia, della Filcams di Milano - è già previsto un anno di cassa integrazione, mentre gli altri faticano il doppio, dato che il lavoro non manca. Il commissario straordinario Bondi ci ha assicurato che sono arrivate una decina di domande interessanti per venderla in blocco: è quello che ci auguriamo, non vogliamo uno spezzatino”. Una prelibatezza che i lavoratori Parmatour sperano di vedere solo sulle tavole di Natale.
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commovente e rabbioso, che conduce il lettore in un purgatorio chiamato Cpa, Centro di prima accoglienza per minori in stato di arresto. Una struttura di gabbie e divieti gestita, però, da personale civile come la stessa autrice. Non è proprio galera, ma non è libertà. Le ragazze attendono lì la convocazione del magistrato che deciderà se tradurle in carcere o rimetterle in libertà. Libertà… In quel tempo sospeso si snodano i pensieri di Silvia e quelli della madre, che a vent’anni ha creduto di cambiare il mondo e a trentanove è in un guscio di lavoro e rimpianti. Chiusa nei suoi dubbi che non vuole consegnare agli educatori, Silvia cerca di evadere aggrappandosi alle parole. Sfoglia il dizionario: Anima, Bisogno, Cielo, Diverso, Eclissi, Farfalla, Grido… Ce ne sono di stupende, ma “coperte di
Esploratore inglese. Su incarico della Società Geografica di Londra prese parte, con Speke, alla spedizione alle sorgenti del Nilo, durante la quale scoprì (febbraio 1858) il lago Tanganica. Lasciò dettagliate relazioni dei suoi numerosi viaggi (Pilgrimage to Al-Medina and Meccah, 1855; First Footsteps in East Africa, 1856; Abeokuta and the Cameroons, 1863; ecc.).
eglio l’intercity dell’eurostar. Un’ora e mezza in più di viaggio, ma vuoi mettere i sei posti dello scompartimento, contro le lunghe file dei sedili open space? Vuoi mettere il silenzio dello scompartimento quando chiudi la porta, contro i bombardamenti dei cellulari e delle voci melliflue (registrate e non) che escono in continuazione dagli altoparlanti? E poi i finestrini: grandi, con un’apertura in alto per far entrare una boccata d’aria non condizionata. I finestrini attraverso i quali puoi vedere paesi e paesaggi, scoprire particolari altre volte sfuggiti, dare libertà ai pensieri stimolati dalla pace dello scompartimento. Meglio l’intercity dell’eurostar, se vuoi che un viaggio, per esempio da Roma a Milano, sia davvero tale. Perché l’intercity conosce anche la lentezza e ti permette di guardare, mentre l’eurostar dissolve ogni immagine o quasi in una strisciata che fa somigliare il mondo esterno a un quadro astratto. L’importante è compiere il viaggio con la luce del giorno e con l’ovvia accortezza di chiedere un posto finestrino. Stazione Termini, Roma, ore 8 e 47, binario 6, arrivo previsto a Milano 14 e 50, 12 fermate intermedie ad attraversare Lazio, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e un pezzetto di Lombardia. Sali, occupi il tuo posto, disponi giornali, libro, bagagli come se volessi delimitare un territorio temporaneamente tuo. Una piccola scossa, il treno si avvia. Le uscite (o le entrate) dalle stazioni si somi-
PREGI DELL’INTERCITY. VIAGGIO ROMA A MILANO VISSUTO ATTRAVERSO STAZIONI CHE SONO PRELIBATEZZE PER IL PALATO
In treno
tra le frontiere di casa
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ragnatele proprio come alcune persone”. Suoni che seducono, “urlano verità, ma perdono d’intensità leggendone il significato”. La loro forza è “l’impulso al moto non la definizione”. Vesna la zingara conosce il significato delle parole ma non sa scrivere il suo nome. Forse lo imparerà in una delle sue soste nel carcere minorile… Silvia ascolta il canto della zingara, segue il ritmo delle note, la guarda danzare insieme alle altre detenute. Sembra un canto di nostalgia e di amore. Amore… Parola semplice, di cinque lettere, piccola ma immensa, tanto da “includere il senso di tutta l’umanità”. Amare sembra facile, difficile è spiegare, raccontare...
LUCIANO DEL SETTE
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RICHARD FRANCIS BURTON (1821-1890)
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gliano tutte: uffici e depositi con alle spalle o davanti condornìni consumati da un’eterna povertà: facciate sporche, finestre cui sono appesi panni e antenne televisive. Fino a Orte nulla di speciale, il tempo può scorrere leggendo il giornale. Ma da Orte in poi gli occhi devono guardare oltre il vetro. Perché il Lazio dissolve nell’Umbria e l’Umbria nella Toscana. Spettacolo reso ancor più piacevole da lunghi tratti dove i cellulari tacciono per assenza di segnale. I vagoni dondolano tra spazi verdi con sfondi di colline pettinate a vitigni, scorrono regalandoti in lontananza la visione di paesi in cima a un’altura, oppure sfilano a poco più di un passo da poderi e borghi. Un rumore sordo e improvviso si accompagna al buio totale. La prima di tante gallerie come passaggi frequenti dalla notte al giorno. Rallenta, il treno. E devi alzare lo sguardo per incontrare la rocca di tufo su cui è aggrappata Orvieto. Anche dal basso, è l’imponenza del duomo la prima cosa che noti. La stazione è ai piedi della rocca. Sono strane creature urbane, le stazioni. Sembrano costruite e disegnate quasi per impedirti di immaginare cosa si nasconda oltre l’uscita e, così, invitarti a scendere e a scoprire. Di essere entrato in Toscana, nel Senese, hai la certezza non appena la presenza dei cipressi si fa costante, elemento principe della terra che contempli dal finestrino insieme alle grandi distese di vigne, all’ordine delle architetture rurali, dei poderi, delle case nobiliari: un ordine che qualcuno ha definito persino lezioso, ma che non può non incantare. Si dice, della Toscana, che rappresenti la prima operazione di marketing turistico compiuta quando ancora il turismo non esisteva. Otto secoli fa. Forse, con più propensione al sentimento, si può invece dire che l’unicità di questa regione sia nata da un rapporto d’amore speciale che tutta la sua gente, di qualunque ceto e mestiere, ha avuto e continua ad avere con lei. Chiusi, porta d’ingresso a una Chianciano Terme in lenta decadenza da quando i “fanghi” e la “cura delle acque” la mutua non li passa più; universo dove alberghi e pensioni sembrano in maggior numero rispetto alle case, ammantati di una malinconia congenita, scandita dai passi lenti di una clientela anziana. Arezzo e poi Firenze. Qui l’intercity
sosta un quarto d’ora. C’è il tempo per scendere e fumarsi una sigaretta, e in quei pochi minuti contemplare il viavai ininterrotto di turisti che scendono dai treni, corrono, guardano i tabelloni degli orari, chiedono informazioni. Turisti, a decine di migliaia tutto l’anno. Benedizione economica ma, non sono pochi i fiorentini ad affermarlo convinti, popolo che rende la città invivibile. Il passaggio per Prato, regno delle stoffe, degli indumenti riciclati, di una delle prime e più grandi comunità cinesi in Italia, l’arrivo a Bologna. Un’ora di distanza da Firenze, due mondi contrapposti. Bellissima, la città di San Petronio. Eppure una manciata di turisti, perché qui non interessano. Qui si va di commercio, di fabbriche sperse nella Bassa, di proventi che arrivano dal popolo universitario. Strana città, Bologna. Ci avverti calore, cordialità, simpatia. Ma se ti capita di viverci da “straniero” ti accorgi di quanto sia difficile concretizzare tutto ciò in un rapporto che meriti tale nome. Resti sospeso sul filo di un accento dal quale ti aspetteresti di più. Tortellini, mortadella, prosciutto, parmigiano. Cioè Modena, Reggio Emilia, Parma, Fidenza. Sul cartello di ciascuna stazione potresti scriverci il nome della specialità che ha reso celebre il posto, tanto i passeggeri saprebbero di essere arrivati. La Bassa dal finestrino. Sembra un paradosso, ma se la guardi con il sole ti infonde persino un po’di tristezza. Se l’attraversi con la nebbia, non puoi far altro che constatare come tutto ciò che si è detto a proposito di questa ovatta padana abbia pieno diritto a non venir tacciato di retorica. La nebbia: sommerge i casoni agricoli, trasforma in fantasmi gli uomini e le donne in bicicletta lungo i sentieri di campagna, si miscela con il sole creando una luce irreale, fa scomparire tutto per restituirlo d’improvviso secondo i suoi capricci. La nebbia che ti culla e ti induce al sonno. Dal quale ti scuote il capotreno, il terzo: accento lombardo dopo quello fiorentino ed emiliano. Stazione centrale di Milano, grattacielo Pirelli, metropolitana, campanello della casa di un amico. Dallo schermo del televisore, acceso durante la cena per vedere un TG, ecco Roma. Sei ore soltanto di distanza, ma incredibilmente lontana.
le mille e una rotta • il manifesto [5]
per avere tutte le informazioni sui cd, gli artisti, i concerti, e molto altro consultate musica.ilmanifesto.it
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DANIELE SEPE “Nia Maro”euro 8,00
RICCARDO TESI & BANDITALIANA
Nella lingua dell'Esperanto Nia Maro vuol dire Mare Nostro. E il viaggio "in seconda classe" di Daniele Sepe prosegue con tappe musicali che vanno dalla Francia anarchica di G.Brassens all'Egitto di inizio '900 di Selim Al-Masry. Con le divagazioni artistiche proprie del suo genio. Un disco per attraversare questo freddo inverno. E questi tempi bui.
“LUNE” euro 8,00
ALTRI IN CATALOGO “Anime candide”euro 8,00 “Lavorare stanca” euro 8,00 “Jurnateri” euro 8,00 “L’uscita dei gladiatori” euro 8,00 “Conosci Victor Jara?” euro 8,00 “Viaggi fuori dai paraggi” euro 8,00
NANDO CITARELLA E I TAMBURI DEL VESUVIO
Dopo la vittoria al Festival di Mantova, Banditaliana presenta il nuovo album Lune. Composizioni originali che profumano di Mediterraneo, a cavallo fra canzone d'autore , tradizione toscana e jazz. Tra gli ospiti presenti Ginevra di Marco e Francesco Magnelli (ex CSI e PGR); il mandolinista francese P.Vaillant ed il dj Ominostanco nel remix di Maggio e Tevakh.
BABA SISSOKO “DJELIYA”euro 8,00
n o v i t à
“10 E 25 ...’AFACCIAMIASOTTOIPIEDIVOSTRI” euro 15,50 [cd doppio] Attore, musicista, cantante, studioso, Nando Citarella festeggia i suoi venticinque anni di carriera artistica con questo cd realizzato insieme ai Tamburi del Vesuvio con i quali collabora da ben dieci anni. Si parte da Napoli e si viaggia per tutto il mondo, unendo la cultura partenopea a quelle che di volta in volta s'incontrano in questo lungo itinerario. Il Vesuvio come "ombelico del mondo".
TÊTES DE BOIS “PACE E MALE”euro 15,50 [cd doppio]
“Djeliya” è il nuovo cd di Baba Sissoko, il polistrumentista nativo del Mali, già collaboratore di Sting, Youssou N’Dour, Art Ensemble Of Chicago, Fela Kuti, Santana, Khaled, Ruben Gonzales, Dee Dee Bridgewater. In questo lavoro Sissoko compone, arrangia, canta e suona tutto da solo, evocando melodie e i ritmi tradizionali della sua terra d’origine (Bambara, Peul, Mandinga e Sonrai).
Il nuovo, doppio cd dei Têtes de Bois. Nuove canzoni originali, rumori, disturbi, umori, sudori e pensieri leggeri. Parole e suoni catturati. Luoghi quotidiani e di transito. Segnali assorbiti, inquieti, sollecitazioni. Compagni di viaggio: Paolo Rossi, Daniele Silvestri, Antonello Salis, Mauro Pagani, Gianni Mura, Davide Cassani, Arnoldo Foà, Marco Paolini
ROOF “SOTTOEFFETTO”euro 8,00 Per contrastare l'effetto di omologazione e avidità che lentamente inibisce i sentimenti e la fantasia degli esseri umani, The Roof indicano la loro via d'uscita. SOTTOEFFETTO è un sorprendente debutto discografico che dal roots reggae-dub si muove nell'elettronica, jazz, funk, rock. Ospiti Adrian Sherwood, Ghetto Priest, Scott Henderson.
ALTRI TITOLI IN CATALOGO “Ferré, l’amore e la rivolta” euro 8,00
ENZO AVITABILE &I BOTTARI “Salvamm’o munno” euro 8,00
ASSALTI FRONTALI “HIC SUNT LEONES”euro 8,00 HSL, hic sunt leones, qui ci sono leoni, zona fuori controllo. Non entrare se non sai da che parte stare! Militant A torna insieme ai Brutopop con il quinto cd di Assalti Frontali. Peodotto in un garage della periferia di Roma, mixato nei Paesi Baschi da Kaki Arkarazo.HSL segna un nuovo approdo ribelle nella mappa musicale italiana.
Avitabile fonde il suo sound con la tradizione dei Bottari, che risale al XIII Sec. Cantato in dialetto napoletano, racconta di popoli sofferenti nel dramma della guerra, dai villaggi africani a quelli di Palestina. Ospiti del cd Khaled, Amina, Hugh Masekela, Baba Sissoko, Manu Dibango. Parte degli introiti del cd vanno ad Amnesty International per la causa dei bambini-soldato.
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RADIODERVISH “in search of Simurgh”euro 10,00 Un progetto speciale con la produzione artistica di Saro Cosentino, ispirato ad un classico della letteratura mistica sufi Il verbo degli uccelli di Farid Attar (XII secolo). Una suite orientale che racconta un viaggio metaforico fra un’umanità composita popolata da principesse e re, da schiavi dal petto d’argento e da fanciulle dal volto di luna, da arcangeli e da sufi erranti. ALTRI TITOLI IN CATALOGO “Centro del mundo” euro 15,50
c a t a l o g o GIORGIO LI CALZI “TECH-SET”euro 8,00
BEN ALLISON “Peace Pipe”euro 8,00 Peace Pipe è l’ambizioso progetto di Ben Allison, apprezzato contrabbassita della nuova scena jazz newyorkese. Accompagnato dai suoi Medicine Wheel, l’artista sviluppa raffinati percorsi in cui le sue musiche s’incontrano con le suggestioni della world grazie anche al prezioso lavoro di Mamadou Diabate, musicista del Mali virtuso di “kora”.
SERVILLO-GIROTTO-MANGALAVITE
“L’amico di Cordoba”euro 8,00
TECH-SET è punto d'incontro tra jazz ed elettronica, campionamenti, ambienti sonori, strumenti acustici, del trombettista Giorgio Li Calzi. Il cd è impreziosito dalla presenza di ospiti come l'ex Kraftwerk Wolfgang Flür, il compositore chitarrista brasiliano Lenine, il cantante libanese Ghazi Makhoul e il Quartetto d'archi di Torino.
YO YO MUNDI “54”euro 8,00
Dopo anni di collaborazioni sui palchi, Peppe Servillo, Javier Girotto e Natàlio Mangalavite presentano un progetto ispirato al tango di Piazzolla, a Jobim, al jazz e alla canzone d’autore italiana. L’amico di Cordoba unisce l’anima sudamericana con quella mediterranea, in cui la latinità dei protagonisti è il filo conduttore di una fusione di stili e di emozioni.
ART ENSEMBLE OF CHICAGO “Reunion” euro 8,00
e ZEZI “diavule a quàtto” euro 8,00
Registrato in presa diretta, propone canzoni e trame sonore che si intrecciano con le storie del romanzo 54 di Wu Ming, dando voce e vita a molti dei suoi straordinari protagonisti, un lavoro artigianale e dai forti contenuti politici e storici. Collaborano alle voci Marco Baliani, Giuseppe Cederna, Fabrizio Pagella e Francesco Di Bella dei 24Grana. ALTRI TITOLI IN CATALOGO “Sciopero” euro 8,00
a l t r i CANIO LOGUERCIO “Indifferentemente” euro 8,00 ROBERTO CIOTTI “Behind the door” euro 8,00 AA.VV. “Frank you, thank!”VOL.2 euro 8,00 SCRAPS ORCHESTRA “il diavolo di mezzogiorno” euro 8,00 MAURIZIO GRANDINETTI “Equivoci” euro 8,00 LALLI “All’improvviso nella mia stanza” euro 8,00 I cd sono in vendita presso le librerie La Feltrinelli, RicordiMediastores, il libraccio e Melbookstore. Per informazioni su altri
diàvule a quàtto è il nuovo album degli e Zézi, gruppo operaio di Pomigliano D'Arco. Esuberante e vitale, e Zézi pescano nelle invasate ritmiche della tammurriata, con veementi critiche sul precariato lavorativo giovanile, le morti bianche e molto altro. Ospiti Daniele Sepe, Luca Zulù, Papa J. All'interno un libretto di tavole tratte da "Kufia, cento disegni per la Palestina"
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AA.VV. “Danni collaterali” euro 5,00 ENZO FAVATA “Made in Sardinia” euro 8,00 FRANCESCO BRUNO “Huacapù” euro 8,00 MARIA PIA DE VITO “tumulti” euro 8,00 ENRICO DEL GAUDIO “AAAUUUMMMHHH” euro 8,00 ANDREA ALBERTI “Nubia” euro 8,00 punti vendita e per acquisti con carta di credito telefonare ai numeri: 06/68719332 622. Per ricevere i cd aggiungere al prezzo
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Registrato a Roma nel gennaio 2003 per il loro 35mo anniversario, è un concerto storico, il primo col quartetto R. MITCHELL, M. FAVORS, D. MOYE e JOSEPH JARMAN, che torna nel gruppo dopo dieci anni di lontananza. L’ospite speciale BABA SISSOKO chiude il cerchio con cui l’Africa più generosa si unisce all'Art Ensemble
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CIRCOLO GIANNI BOSIO “Vent’anni e più di...” euro 15,50 CD DOPPIO
AA.VV. “Prima della pioggia” euro 8,00 AGRICANTUS-FRANCESCO BRUNO “Jamila” euro 3,50 CASA DEL VENTO “Genova chiama” euro 3,50 AA.VV. “Corpo di guerra” euro 8,00 GINEVRA DI MARCO “Smodato temperante” euro 8,00 2,00 euro di spese postali (fino a tre cd) e versare l’importo sul c.c.p. n. 708016 intestato a il manifesto coop. ed. - via
AIRES TANGO “Origenes” euro 8,00 LE CARTOLE “La Pinguina Innamorata” euro 8,00
DRAMMATEATRO “Uragano concert/azione” euro 8,00
AA.VV “Sahrawi, voci distanti dal mare” euro 12,00 AK 47 “Fuori dal centro” euro 6,00
AA.VV “Legalisation” euro 6,00 Tomacelli, 146 - 00186 Roma, specificando la causale. Distributore per i negozi di dischi Goodfellas tel. 06/2148651 - 21700139
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L’Ospite e l’Arlecchina di Annio Gioacchino Stasi (Ibiskos editrice, tel. 0571994144) è un romanzo poetico e ambizioso che induce il lettore a correre o a vagare per sentieri di immagini e suoni. La storia è l’intreccio di tante storie infinitesime e infinite: la resistenza e l’esilio di un popolo che non vuole morire, le oscillazioni funamboliche di un medico che cerca di tradurre i linguaggi della follia, la partita a scacchi tra il Re e la Regina, l’Ospite e l’Arlecchina. L’Ospite è un viandante appesantito da uno strano fardello di storie, storie di “uomini senza dimora, che spingono le donne a rischiare”. Lei, l’Arlecchina, per giocare con l’Ospite ha “estratto dalle mura le pagine di un libro non scritto. Era di un uomo che non riuscì mai a scrivere del suo oggetto d’amore perché si perse nel silenzio”. Saprà farlo ora l’Ospite, senza volere nulla in cambio, senza pudore o punti d’approdo? Saprà farlo il lettore, saprà farlo l’autore?
La casa uelle piccole costruzioni chiare, austere e di antica eleganza, si erano rivelate una buona scelta. Innanzitutto per evitare, per una volta, l’orgia gastronomico-parentale di panettoni e struggimenti destinati a finire nell’insofferenza; ma soprattutto per dare una giusta dose di nuova ossigenazione al cervello. Il Marocco ha di mezzo il mare rispetto all’Europa, e Gibilterra è stata una porta mitologica fin dall’antichità . E perfino l’Islam non sembrava tanto bruciante allora (solo due mesi dopo sono saltati i ristoranti di Casablanca per stranieri). Ma lì tra le palmette e i muri chiari della maison, c’era soprattutto il silenzio. Magico, e assoluto. Una esperienza bellissima, dove l’aspetto fisico e quello interiore facevano a gara di sensazioni. Quel silenzio veniva solo interrotto ogni tanto, più spesso all’alba che di notte, o all’improvviso nel pomeriggio, dagli animali che alla casa danno il nome, i cammelli: appunto “la maison des chameaux”. Una presenza che si avvertiva lentamente, lasciandosi alle spalle la statale, alle porte di Essaouira, e inoltrandosi sulla pista di sabbia che in pochi chilometri chiudeva dietro la macchina il sipario della relativa “civiltà”. Aumentava il silenzio, in maniera palpabile, e ugualmente il buio, rotto solo dai fari dell’auto. Chi era arrivato fino lì per evitare il film stagionale dei Vanzina, c’era riuscito. Per fortuna comunque una lampadina tascabile c’era nel bagaglio, perché le indicazioni, per quanto accurate, erano difficili da seguire dopo il tramonto. E del resto era uno dei caratteri (e forse l’attrazione inconfessata) di maggior peso nelle istruzioni arrivate via mail. Nella casa dei cammelli, non c’è energia elettrica, se ne fa a meno. La poca spremuta gelosamente dai pannelli solari, serve solo ad alimentare il computer e il frigorifero, eventualmente per ricaricare il telefonino (perché ovviamente c’è un sito, anzi due, per dialogare col mondo: www.maisonduchameau.com, oppure passionmaroc.com). Per il resto si entra nel passato, almeno nell’epoca precedente ad Alessandro Volta. Ovvero alla norma-
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ATMOSFERE SOFFUSE E PROFUMATE, TANTA CORTESIA E NIENTE ENERGIA ELETTRICA. CRONACA DI UN NATALE ALTERNATIVO, TRASCORSO IN UN’AFFASCINANTE MAISON IN MAROCCO
JAMES COOK (1728-1779) Navigatore inglese. Intraprese tre spedizioni di esplorazione del Pacifico e dei mari australi, visitando la Polinesia e scoprendo lo stretto e le isole che da lui presero nome. Fondò la potenza inglese nel Pacifico e per i suoi accurati rilievi precorse l’etnografia. Morì alle Hawaii, assassinato dagli indigeni.
le realtà di centinaia di milioni di persone oggi. Anzi, per gli europei, muoversi tra le candele ha sempre un che di romantico. Per non parlare di quando la notte, dalla propria stanza austera ma accogliente si esce nel cortile per andare in bagno: ombre e colori sotto le fiammelle diventano un sogno ad occhi aperti, e alzando gli occhi si vede finalmente il cielo, quello che non a caso si chiama anche da noi “blu notte”. Meraviglioso e rassicurante. Atmosfera soffusa quindi, e saporite e profumate tajines che cambiando ogni giorno le verdure che le compongono, assicurano una bella varietà di aspetto e sapore lungo una linea alimentare piuttosto coerente, con il morbido pane caldo, e il tè alla menta, servito in abbondanza ma sempre con cura. C’è un rituale severo nella maison des chameaux, un codice di cortesia e discrezione, che sembra rompersi solo quando al mattino gli ultimi arrivati provano il brivido di una passeggiata in groppa al cammello. Qualche risata, una certa eccitazione, ma in genere mancano gli eccessi di spirito che trasformerebbero un’esperienza del genere in una commedia pecoreccia. Infatti sono scarsi gli italiani, il circolo dei visitatori è soprattutto francese. Forse per la storica pratica delle colonie, sono sempre vestiti come si conviene, sapientemente pronti a esporsi al sole del giorno e a ripararsi dal freddo della sera. Per lo più intellettuali, che quando partono, dopo che ci hai mangiato e parlato insieme, scopri che quel signore più anziano tutto color coloniale era amico di Sartre, e che ha rischiato di brutto ai tempi
della guerra d’Algeria, e suo figlio è un regista importante della scena francese. E l’altro è un diplomatico, ma con una lunga esperienza in campo culturale, sa le cose giuste, conosce perfino le persone giuste. Parlando del festival d’Avignone che non perde mai, cita due nomi di italiani che confessa di amare e stimare: Pippo Delbono e Giovanna Marini. Non controlla un moto di disappunto quando gli sussuri che li conosci bene anche tu. Eppure è proprio lui il re mago degli europei che hanno scelto solo i cammelli in mezzo al presepe. Arriva alla vigilia di natale quando tu ti sei già abituato (o rassegnato) ad accompagnare la cena col tè. Ma lui sulla jeep, oltre a una bella famiglia allargata, ha delle ampie provviste di bordeaux e di champagne. E ne offre generosamente a tutti gli ospiti per il brindisi di bon noël. E anche per quello di santo Stefano. Se le è dovute portare da solo le bottiglie, in macchina, perché al telefono, per confermare l’arrivo, gli aveva risposto Omar, opponendogli il netto e cortese rifiuto ad acquistare alcolici e tanto meno tenerli in fresco nella sua cucina. Il francese non si è perso d’animo e ci ha pensato da solo, come per le pappe del nipotino. In realtà l’alcol si trova se si vuole, senza grande fatica. Anche nella bellissima Essaouira, candida nelle mura anche se era rinomata dall’antichità romana perché produceva la porpora delle toghe imperiali. Dopo che hai passeggiato nel suq dei turisti, che hai ritrovato e ammirato gli scorci delle mura dove dove Orson Welles girò Othello, dopo che hai mangiato sul mare il pesce arrostito davanti a te, basta spingersi nei quartieri dove abitano e acquistano i marocchini, e trovi un bel negozio pieno di birre vini e bollicine. Qualcuno dovrà pur consumarli. Per non parlare della storica e gigantesca piazza di Marrakesch, davvero una delle meraviglie del mondo, nonostante la pressione sempre più incombente di mondanità italiana. Perfino in una certa bancarella di quelle dove la sera si mangia ogni meraviglia, chiedendo in un certo modo la coca cola, ti danno la boccetta americana piena di un discreto vino rosso made in Maroc. La tolleranza è anche questa. Anche se, passata l’ebbrezza e le riserve dell’intellettuale, si torna volentieri al tè alla menta. In fondo sono già uno sballo i colori e le ombre, ambrate dalla luce delle candele. Finché il cammello non rompe, dal recinto, il silenzio della sabbia.
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LUCIANO DEL SETTE
Il Bel Suol di un mare deserto
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brutta, Sheba. Sporca, anonima, sperduta nel sud della Libia. Dal suo aeroporto precario parte il volo che conduce a Tripoli mettendo fine alla solitudine dei deserti e degli altipiani. Brutta, sporca, anonima, sperduta. Va bene così, usi Sheba come pietra di paragone rispetto al mondo appena visto e vissuto. L’aereo arriverà come sempre in ritardo. La notte sarà lunga, ma per accorciarla basta seguire a strada dei pensieri. Hanno nomi strani, i pensieri: Acacus, Messak Mellet, Messak Settafet, erg Ouan Kasa, erg Merzuk, erg Oubari. Ci giochi. Se fossero una sensazione? Lontananza. Un sentimento? Solitudine. Un colore? Argento sfumato d’ocra. Una parola sola? Meraviglia. I ricordi
RICHARD EVELYN BYRD (1888-1957) L’ammiraglio americano Richard Evelyn Byrd sorvolò, per primo, il 29 novembre 1929, il Polo Sud, partendo dalla base di Little America a bordo del suo Floyd Bennet. Scopre i monti Rockefeller, la catena di Edsel Ford e la Terra di Marie Byrd.
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affiorano nitidi, li metti in ordine seguendo la cronologia del viaggio. “Tripoli bel suol d’amore”, intonava la retorica canora del fascismo; “Ma Tripoli cos’è?” si domandava, cantando, Patty Pravo negli anni ’70. Tripoli è prima di tutto una galleria di ritratti di Moammar Gheddafi, disseminati ovunque e in ogni posa: fiera, ieratica, benevola, rassicurante. Sempre e comunque oltre ogni limite della divina esibizione di sé. Poi è museo architettonico del Ventennio. Museo che sa farsi ammirare negli edifici pubblici e privati: razionalismo e liberty, neoclassicismo e barocco coloniale. Di tutto ciò si può avere visione eloquente percorrendo le strade che, a raggiera, partono dalla Piazza Verde (colore ormai stinto della pavimentazione) dominata dal Castello e porta di ingresso alla medina, con il suo bazar un po’dimesso, come è naturale che sia per un luogo che non conosce il brulicare dei turisti. Tripoli è il porto, con i traghetti che vanno e vengono da Malta; qualche via che pretende di esibire vetrine eleganti e i tetti delle case infilzati di antenne satellitari; ristoranti dove le delizie delle cucine africane sono penalizzate dalla mancanza di birra vera che le accompagni, perché qui circola solo quella analcolica e imbevibile. Tripoli può essere anche una sera in cui, all’improvviso, gli altoparlanti fanno sentire la loro voce, qualcuno ti fa segno di toglierti subito dalla strada, una colonna di auto scure avanza lentamente e oltre i finestrini di quella più grande e più lucida intravedi lui, Moammar, che abbozza un cenno di saluto alla gente schierata lungo i marciapiedi. Sfuma, Tripoli. Lasciando il posto a Gath, la porta degli altipiani e degli erg, i deserti libici. La città vecchia ha la consistenza del fango e della paglia che accomunano tanti khsar, villag-
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Pino Bertelli, scrittore e fotografo votato all’”impudicizia estetica”, punta invece la barra controvento nel volume Della fotografia situazionista (La Città del sole), introdotto con polemico affetto dal marxista Ando Gilardi. Nel suo lavoro di ricerca durato dieci anni, Bertelli rilegge le opere di Tina Modotti, August Sander, Walzer Evans… Figure di confine che – scrive - hanno saputo cogliere la verità del Duende, impossibile a declinarsi nella “lingua menzognera del nemico”. Il Duende per Bertelli è “maestro a se stesso”, è l’amore dei rivoluzionari per l’utopia, l’attimo di estasi o di abisso, la passione senza riserve. E’ l’autentico che sbugiarda il simulacro. Il Duende invita a seguirlo “lungo un sentiero rapido e pietroso”, a battersi ovunque ci sia “un uomo che bastoni un
gi fortificati, del Vicino Oriente, il disegno urbano di basse case l’una accanto all’altra, il disordine solo apparente di un dedalo che confonde l’estraneo tra passaggi bui e scalinate. In alto, su una collina, il forte, costruzione turca poi occupata dalle truppe italiane nel corso dell’improbabile avventura coloniale iniziata nel 1911 e conclusa una trentina di anni dopo. Da Gath il deserto dista un passo; il deserto con l’altopiano dell’Acacus: centocinquanta chilometri di lunghezza per cinquanta di profondità. Il versante che guarda Gath è invalicabile. Per passare dall’altra parte occorre affrontare il passo di Takarkuri, segnato da una duna gigantesca. Il fuoristrada arretra, prende la rincorsa. Uno, due, tre tentativi prima di vincere. Oltre la duna, la sabbia e la pietra. Sulla pietra le memorie degli uomini di otto/ diecimila anni fa: migliaia di pitture e graffiti lasciati sulle pareti di grotte e rifugi naturali, sulle sponde di fiumi (oued) che, nell’epoca definita Pastorale Antico dagli archeologi, erano colmi d’acqua e scorrevano in mezzo a praterie. In quel Sahara vivevano gazzelle e bufali, rinoceronti e coccodrilli, conigli selvatici e felini. In quel Sahara germogliava e dava frutti una civiltà semplice, ma già in grado di esprimersi creativamente raffigurando pratiche religiose, minuscole guerre tribali, riti quotidiani. Si nascondono, graffiti e pitture. Il prezzo da pagare per scoprirli è arrampicarsi tra pietre e massi fino a raggiungere pochi segni slavati o resti di scene un tempo imponenti. Segni e resti capaci di comunicare emozioni inspiegabili, quasi tu ti trovassi al cospetto delle Tentazioni di Bosch o degli affreschi di Giotto. E invece sono linee semplici, ingenue, primordiali. Uan Amil conserva tracce evidenti di un “ciclo” dove si narrano scontri fra tribù, pacificati da un accordo matrimoniale. Le pitture raffigurano una donna preparata dalle ancelle per la cerimonia delle nozze, i due capi che dialogano, i guerrieri che combattono. Nello oued Teshuinat si in-
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altro uomo”. Bertelli propone-impone un viaggio eretico nella radicalità visuale del linguaggio e del gesto, un’incursione partigiana fra “gli incendiari dell’immaginario”, tra i randagi della disobbedienza e le mujeres libres. Come dire: lasciate la bussola a casa. Nessun’attitudine psico-geografica, al contrario, nella Guida ai viaggi a occhi aperti, di Luciano Del Sette e Alfredo Luis Somoza, Airplane edizioni. Schede aggiornate e precise, disegnano il profilo storico, politico e culturale dei paesi con brevi pennellate e, anche nell’edizione 2005, elencano “tutti i rischi che si possono correre in giro per il mondo”. La scala è di 1 a 10. Se andate a Cuba, il rischio è a 2. Il pericolo concreto è
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rappresentato soprattutto dalle zanzare che attaccano “come stormi di bombardieri”. Quello morale, si annida nello sguardo “foderato di prosciutto” del turista ipernutrito, che non vede i costi dell’embargo pagati dalla popolazione. Come vaccino, può essere utile un giro fra gli ultimi volumi dedicati a Che Guevara. Oltre alla nuova edizione definitiva, riveduta e aggiornata di Paco Ignazio Taibo II, Senza perdere la tenerezza (il Saggiatore), compare nella Rizzoli Bur La vera storia del “Che”, di Jean Cormier (con Hilda Guevara e Alberto Granado). Da Newton & Compton, esce invece Ernesto Che Guevara, dei cubani Adys Cupull e Froilán Gonzáles. Un
TRIPOLI, MA SOPRATTUTTO IL DESERTO. ECCO LA LIBIA DEL COLONNELLO, CUSTODE DI TESORI CREATI DALL’UOMO OTTO-DIECIMILA ANNI FA. GRAFFITI INCISI SULLE PARETI DI GROTTE O LUNGO FIUMI UN TEMPO COLMI D’ACQUA
contrano raffigurazioni di elefanti e giraffe in corsa, scene di caccia con l’arco, un rinoceronte immortalato con efficace minuzia anatomica. Il tempo dei grandi mutamenti geologici ha lasciato archi di pietra, creste di arenaria come castelli, profili di massi in cui puoi leggere nani e giganti, sabbia sottoposta al gioco dei venti e costretta a scavalcare la roccia per stendersi lungo i fianchi delle falesie. Il caldo e l’aridità sembrano negare l’ipotesi di una vita precedente il vuoto che ti accompagna adesso. Ma la tua incredulità viene ammonita dalle piante e dai cespugli di erbe lungo il cammino. Così puoi raccogliere le piccole sfere del citrullus citrullus piene di semi, cibo per asini che ormai non frequentano più il deserto; trovare riparo sotto un’acacia generosa d’ombra; ammirare la forza della calatropis procera, che protegge le sue foglie dall’evaporazione coprendole con una membrana cerosa. Se è vero, come è vero, che le dune sono le onde di quel mare che si chiama Sahara, sfidarle, a volte, può risultare impresa ardua. Lasci l’Acacus per correre incontro al Messak dai due nomi, Mellet (bianco) e Settafet (nero). Il valico è quello del deserto dell’Ouan Kasa. I cordoni di dune sono ostacoli apparentemente insormontabili. Puoi lasciarteli alle spalle solo se imbocchi i giusti corridoi e trovi le piste che conducono alle immense pianure di pietre nere. Il fuoristrada rinnova la sua sfida, ne esce ancora vincitore. Ma per poco. Di lì al “sito della placenta” sono quaranta chilometri che il mezzo compie arrancando lungo un tracciato solamente abbozzato. Notte nel letto asciutto di uno oued. La tenda
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piantata con le spalle alla roccia, il tè accanto al fuoco con i tuareg che guidano il viaggio. Un istante prima di addormentarti, hai la sensazione netta e piacevole che sull’orizzonte del Messak l’unico riferimento sia il nulla. Mattino nello oued del Messak Mellet, sito della placenta. Racconta Giulia Castelli Gattinara nel suo Libia, arte rupestre del Sahara: “In un sito che si trova su una falesia alta circa sette metri sono state scoperte alcune scene… Un bue domestico è scolpito accanto a una figura femminile a gambe aperte e il cui organo genitale è evidenziato da un’incisione ovale. Vicino c’è una capra selvatica dalla cui pancia prosegue un cordone ombelicale che termina in una placenta inserita all’interno di un ovaloide a cupola. Più a destra appare un altro erbivoro, una seconda femmina seduta e un feto animale (non identificato) all’interno di una serie di
COSÌ PARLÒ IL COLONNELLO A raccontarlo, somiglia un po’al vecchio giochino dell’omino nero, vestito di nero, che dorme in una stanza dipinta di nero… È invece reale presenza a Tripoli il Centro internazionale ricerche e studi sul Libro Verde, a pochi passi dalla Piazza Verde, che si occupa a tempo pieno del Libro Verde. La nostra copia porta la data del 1997, ventunesima ristampa. Il Libro Verde di Moammar Gheddafi, tradotto dal Centro in decine di lingue tra cui anche l’italiano, viene venduto in cambio di un pugno di euro. Non siamo più in possesso del Libretto Rosso di Mao, con il quale verrebbe da fare il confronto. E allora ci limiteremo a raccontare che l’opera di Gheddafi si compone di 176 pagine, divise in tre parti: la soluzione del problema della democrazia, “Il potere del popolo”; la soluzione del problema economico, “Il Socialismo”; base sociale della “Terza Teoria Universale”. Ciascuna parte è divisa in capitoli, affiancati da piccoli estratti dal testo. Ecco alcuni esempi: il parlamento è l’assenza del popolo, i parlamenti sono la falsificazione della democrazia, il sistema partitico fa abortire la democrazia. La casa è di chi la occupa, la terra non appartiene a nessuno; esempi sul lavoro dei salariati a favore della collettività, sul lavoro a favore salariato per conto di privati, sul lavoro non pagato. A dir poco perentorio l’esordio di un capitolo della terza parte, intitolato “I negri” ed esaurito in due pagine e mezzo: “I negri domineranno il mondo”. Così parlò, anzi scrisse, Moammar.
ellissi concentriche con una placenta esterna… Non vi è dubbio sulla sua relazione alla fertilità della donna e degli animali”. Se Bosch e Giotto erano paragoni per le pitture dell’Acacus, ora il pensiero va alla Guernica di Picasso. Anzi, viene da chiedersi se Pablo non sia passato da qui in cerca di ispirazione. Da qui e da Mathendusch, esempio di quell’immenso bestiario che è il Messak Settafet: un milione di raffigurazioni animali, mitologiche e no, sparse sulla pietra di oltre mille siti. Mathendusch è un coccodrillo lungo più di due metri, i gatti mammoni che si vestono di arancio con la complicità del sole, le giraffe e i rinoceronti, i buoi dalle corna a tenaglia, la volpe che suona il flauto, i licantropi, il gruppo di sei struzzi visti di profilo. Il miraggio dell’acqua. Nel deserto lo puoi vedere con facilità. Basta il riverbero del sole per disegnare superfici azzurre e ingannatrici che si dissolvono con la vicinanza. Altra cosa è la realtà del deserto dell’Oubari, con i suoi ventuno laghi circondati da palme e abitato, fino al 1987, dal popolo dei Daouda, “i mangiatori di vermi”. Con tale appellativo gli arabi chiamarono gli abitanti dell’Oubari. Non era fatto di vermi, il cibo dei Daouda, ma di Artemia Salina, plancton estratto dalla superficie salata dei laghi e ad alto potere nutritivo. L’origine di questo popolo rimane nel mistero, le sue ultime tracce sono testimonianza di un esodo forzato deciso da Gheddafi. Intorno ai laghi Mandara, Gabraoun, Oum el Ma, le case diroccate disegnano un Far West africano di città morte, con utensili e rifiuti abbandonati a sporcare in molti tratti la bellezza delle dune. Quelle stesse dune che fanno da sfondo al tragitto verso Sheba, un centinaio di chilometri di asfalto appena fuori dal deserto. Nessun altoparlante annuncia l’aereo per Tripoli, ma si parte. Apri gli occhi e subito vorresti richiuderli. Sheba è davvero brutta, sporca, anonima. Sperduta nel sud di una Libia meravigliosa.
IN VIAGGIO NEL DESERTO Cinque tour operator, consorziati nel pool Dar Sahara, hanno aperto alcuni anni fa le piste desertiche della Libia al turismo. Gospel’s travel (Roma) tel. 06/5882098 www.getandgo.it Ruby Travel (Mestre) tel. 041/961124 www.rubytravel.it Drive out (Milano) tel. 02/48519381 www.driveout.it Aviomar (Milano) tel. 02/58394248 www.aviomar.it Rallo Viaggi (Milano) tel. 02/800628722 www.ralloworldwide.it SAHARA LIBICO: IL DESERTO PER TUTTI — 8 giorni in hotel e campo tendato con fuoristrada, partenza da Roma — Dai laghi fra le dune dell’erg di Ubari a quel museo di arte rupestre all’aperto che è l’uadi Mathendush, dall’ambiente maestoso dell’Acacus alle pitture preistoriche nascoste fra le sue rocce. Un itinerario realizzato basandosi su strutture ricettive tra cui un campo tendato fisso. Volo charter per i lunghi trasferimenti. Da 1.535 euro SAHARA LIBICO: TRAVERSATA DEL FEZZAN — 8 giorni in tenda e veicoli fuoristrada — Il cuore del Sahara libico. I laghi fra le dune dell’erg di Ubari, le incisioni rupestri dell’uadi Mathendush, le pitture preistoriche tra le rocce dell’Acacus. L’erg di Ubari, i laghi Mandara. La cittadella di Ghat e il fortino. Le pareti rocciose dell’Acacus erose in forme bizzarre. L’arco di Fozzigiaren. Uan Amil e di In Farden, cavità naturali con pitture raffinate e complesse. Le dune di Uan Kaza. Messak Settafet, grande sito di arte rupestre. Uadi Mathendush e In Galghien, bassorilievi rupestri dell’epoca dei cacciatori. Le dune della ramla dei Dauada, popolazione che per secoli visse in questo ambiente nutrendosi di datteri e di piccole larve. Da 1.344 euro
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cronoatlante, frutto di un lavoro durato dieci anni che ha portato gli autori a viaggiare tra America Latina e Europa per ricostruire, giorno per giorno, i fatti salienti della vita del Comandante. Ecco cosa scriveva nel ’52, mentre viaggiava da clandestino sulla nave San Antonio che da Valparaíso lo portava a Antofagasta: “Distesi sulla battagliola guardavamo il mare immenso, pieno di riflessi bianco-verdi, ognuno pilotando il proprio aeroplano per la stratosferica regione del sogno ad occhi aperti”. Il viaggio del Che si concluse in Bolivia, il 9 ottobre del 1967, lasciando aperti dubbi, interrogativi e insinuazioni su cui si è prodotta molta letteratura. Chi ha ucciso Che Guevara, di Ettore
LAURA GENGA
tra i ghiacci del Polo L’
ultimo tramonto fa capolino a Oslo, verso le 22.30. Quando il viaggio verso il grande Nord ha inizio, il sole, rosso, ha cominciato a rialzarsi sulla linea dell’orizzonte. E’ fine luglio e siamo in volo verso le Svalbard, un arcipelago a cavallo dell’80esimo parallelo nord, stretto tra mar di Groenlandia, mare di Barents e oceano Glaciale Artico ma soprattutto mèta del nostro viaggio in barca. Nonostante siano più vicine al Polo che al Vecchio continente, queste isole sono sotto la sovranità norvegese dal 1920. Paradiso dei cacciatori di balena, foca e orso bianco fino all’Ottocento, regno dell’estrazione del carbone poi, oggi le Svalbard sono sede per basi di ricerca artica di diversi paesi. E stanno diventando anche meta di turismo. Sotto l’aereo solo nuvole. Quando mancano pochi minuti all’atterraggio, improvvisamente, il cielo si apre e lascia vedere la terra, scura, circondata dal mare disseminato di tanti pezzi di ghiaccio: frammenti di banchisa polare alla deriva. Poi si intravede l’aeroporto di Longyearbyen (capoluogo dell’isola di Spizbergen): una sola pista che corre lungo una striscia di terra stretta tra le colline e il mare. Una volta atterrati, bastano dieci minuti per ritirare i bagagli, a questo punto ci ritroviamo con quello che sarà l’equipaggio dela nostra barca. D’ora in poi, infatti, ci muoveremo solo navigando. Siamo in dodici - quattro italiani, due svizzere e sei francesi, il più giovane ha 26 anni, il più anziano 81 - più il capitano, Olivier Pitras, e il suo secondo, Frederic. Si arriva fin qui spinti dal desiderio di vedere i ghiacci perenni e gli orsi polari, o di scoprire una parte di mondo incontaminata, a tratti inesplorata. Ma in questo caso c’è qualcosa in più: la voglia di veleggiare oltre il 70esimo parallelo con Pitras, tra i più rappresentativi conoscitori della navigazione in artico. Pochi velisti possono raccontare di aver superato il mitico passaggio a Nord-Ovest (il passaggio dall’Atlantico al Pacifico per la costa nord del continente americano) aperto da Amunsen
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IN BARCA ALLA SCOPERTA DELLE ISOLE SVALBARD, ARCIPELAGO STRETTO TRA IL MAR DI GROENLANDIA E L’OCEANO GLACIALE ARTICO
strolaghe, gazze marine, gabbiani d’avorio, sterne artiche e pulcinella di mare, nuotano, si tuffano, pescano, si alzano in volo, ci girano intorno, planano e poi si riposano. Più si va avanti più l’Isfjorden si fa largo. In prossimità del mare aperto bisogna ammainare le vele e dare motore: ci sono due sbarramenti di growler, piccoli iceberg. Lo spettacolo è magnifico e surreale. I campi di ghiaccio sono densi, per superarli si deve procedere a velocità moderata, mezzo nodo per il primo e 0,1 nodi per il secondo. I blocchi di ghiaccio sfilano lungo il fianco del Southern star. Capitano al timone e secondo a prua spostano la barca di pochi centimetri a destra, o a sinistra, a volte poggiano addirittura la prua sul ghiaccio: così il peso della barca imprime movimento al blocco, che lascia un po’ di acqua libera. Dopo due ore abbondanti il cutter è libero dal labirinto dei growler. C’è una codificazione cifrata per descrivere il pack, la concentrazione del ghiaccio è espressa in decimi. Gli sbarramenti dell’Isfjorden erano di 7/10, ossia il 70% di ghiaccio e il 30% di acque libere, e di 9/10. A fine giornata iniziano i turni di navigazione che ci accompagneranno per tutta la crociera, ci sono tre squadre, ognuna fa una guardia di 3 ore e 6 di riposo. La prima squadra monta alle 23, la seconda alle 2, l’ultima alle 5. Alle 8 ricomincia il giro. On watch, off wacht. Si va avanti così fino al tardo pomeriggio. Per tutta la notte una fitta nebbia rende difficile mantenere la rotta al timoniere di turno, costretto a fare i conti con un monotono grigio rotto, a tratti, da branchi di foche o stormi di uccelli. Quando la nebbia svanisce lascia intravedere l’ingresso del Magdalenafjorden. E’ una riserva naturale, come la maggior parte di questo arcipelago, si può scendere a terra e passeggiare, ma non bisogna lasciare alcuna traccia del proprio passaggio. Il fondo del fiordo è completamente occupato da un ghiacciaio che finisce dritto in mare. Sembra enorme già da lontano. Ma è solo avvicinandosi, operazione che richiede un’altra ora e mezzo di navigazione, che ci si rende conto delle dimensioni reali e dei colori. Il ghiacciaio sarà alto una trentina di metri, largo 600 ed è turchese. Ogni tanto dal fronte si stacca
qualche frammento, allora si sente un gran boato e si alzano le onde. Spettacoli come questo sono molto frequenti. Si ritrovano lungo tutta la navigazione di Southern star fino al Woodfjorden, il punto più settentrionale del viaggio. Per arrivarci ci sono voluti 4 giorni, ma qui c’è un ghiacciaio marino che ha un fronte di oltre un chilometro. Sulla via del ritorno, invece, c’è tempo per fermarsi mezza giornata a Ny Alesund. Chi ci vive ama definirsi come la comunità più a nord del mondo, in realtà si tratta di un paesino di scienziati, nato dalle basi internazionali di ricerca. Trenta case, un ufficio postale, un ristorante e una palestra. Vicino agli spogliatoi c’è una stanza in cui sono raccolti fiati, fisarmoniche e grancasse, si direbbe la banda più settentrionale del mondo. Di nuovo a bordo si fa rotta su Longyearbyen. E’ il primo giorno di vero brutto tempo. Piove, il vento è fisso a 30 nodi con raffiche a 60 e ci sono onde di almeno 5 metri. Si va avanti così per 8 ore, con 3 mani di terzaroli alla randa e un fazzoletto di fiocco. Ancora un giorno di guardie e siamo in dirittura d’arrivo. La prima cosa che si avvista è l’aeroporto. In dieci giorni di navigazione abbiamo incontrato solo due pescherecci, un postale riadattato a nave da crociera, tre barche a vela e una canoa. Per il resto solo animali, foche, orsi bianchi e uccelli. Ora che la barca è di nuovo ormeggiata in porto, Longyearbyen sembra una metropoli.
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Mo (Andromeda editrice), torna su quei tragici avvenimenti proponendo l’intervista del giornalista Saulo Gomes al generale Gary Prado Salmón comandante della pattuglia che catturò il Che. Una testimonianza resa nel 1994 col vincolo che fosse resa pubblica solo nel dicembre 2004 e che promette di far piena luce sui lati oscuri di quella morte. Il Che fu tradito dai guerriglieri o dai contadini boliviani? Chi materialmente gli sparò nella scuola di Camiri? Ma per chi volesse ritrovare la gioventù di Che Guevara, prima che diventasse rivoluzionario, restano i Diari della motocicletta, oggi editi da Feltrinelli anche in Dvd: un viaggio di 13.000 chilometri (Dall’Argentina
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con la spedizione del 1903-6. Solo tre velieri nella storia sono riusciti nell’impresa, senza assistenza e in una stagione: Williwaw di Willy de Roos, Dove 3 di Winston Bushnell, poi il Cottica con Olivier Pitras. Diecimila miglia separano Vancouver da Brest, una traversata di 125 giorni che Pitras ha superato a vela, insieme ad un solo compagno, nell’estate del 1999 (e raccontato nel libro “La via dei ghiacci, il passaggio a nord-ovest a vela” ed. Fare Vela 2003). Lasciato l’aeroporto, si sale finalmente a bordo di Southern star, un 24 metri di alluminio, con deriva mobile, armato a cutter (come vengono chiamate le barche con un albero e due vele a prua). Tra fiocco, trinchetta e randa ci sono ben 320 metri quadrati di vele. Per chi è abituato ai cabinati di 30-40 piedi al massimo, queste dimensioni fanno impressione. Tutto, scotte, albero, boma, winch compresi, è esageratamente grande. La mattina successiva è dedicata alla cambusa. Tutti i generi alimentari che serviranno per i 10 giorni di crociera vengono comprati nell’unico supermercato di Longyearbyen. Un paese fatto di casette colorate a due piani, con giardino, dove non ci sono macchine davanti alle porte di casa, ma motoslitte. I turisti si riconoscono facilmente: hanno pantaloni pesanti, pile e guanti, chi vive sull’isola, invece, va in giro in maglietta e maniche corte. Per loro è estate. Con 5 gradi di temperatura media pub e caffè trasferiscono sedie e tavolini all’aperto. Tornati a bordo non resta che sentire il meteo. Più che alla direzione e all’intensità dei venti, che variano con una velocità sorprendente per chi è abituato al Mediterraneo, qui si presta attenzione alle perturbazioni e alla presenza dei ghiacci. Per le perturbazioni non c’è da preoccuparsi, il ghiaccio, invece, sembra che incrocerà la prua di Southern star. Alle 14.30 gli ormeggi sono mollati. Usciremo dal fiordo di Longyearbyen e poi faremo rotta verso nord. Dopo averla sognata, comincia la navigazione nei mari del nord, è l’inizio del viaggio. Il cutter procede a velocità moderata, pian piano il paese si allontana, fino a scomparire. Allo stesso ritmo Southern star risale l’Isfjorden, un vasto fiordo delimitato da monti che si gettano in acqua. Passando dalla terra al mare, cambia la prospettiva. Sembra di navigare sul fondo di una valle alpina. Gli unici esseri viventi che si incontrano, però, sono gli uccelli:
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al Cile, dal Perù al Venezuela), in sella alla vecchia Norton 500 e in compagnia dell’amico Alberto Granado. Un percorso di formazione tra i villaggi poverissimi dell’America Latina. Lì il giovane Guevara sentì nascere il bisogno di giustizia che lo colpì come uno schiaffo, mostrandogli l’altra faccia del viaggio. Per chi, invece, preferisse restare in Italia e non perdersi neanche un giorno di tifo, Airplane pubblica anche Tutto il calcio città per città, di Silvio Luglio e Gianluca Ricci, una guida turistico-sportiva per chi tifa con passione la serie A e la serie B. Storia, record e posti per dormire nella città della squadra del cuore.
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ROALD ENGELBERT AMUNDSEN (1872-1928) Esploratore norvegese. Partecipò alla prima traversata dalla baia di Baffin allo stretto di Bering attraverso il passaggio di nordovest (1903-1906). Nel dicembre 1911 raggiunse per primo il Polo Sud. Nel 1918-1820 percorse per primo il passaggio di nord-est lungo le coste della Siberia. Nel 1926 sorvolò il Polo Nord sul dirigibile Norge pilotato da Nobile. Morì due anni più tardi nel tentativo di recare soccorso ai naufraghi del dirigibile Italia.
taliani popolo di mare? Mica tanto, almeno a giudicare da un’indagine di Confitarma, la Confederazione italiana degli armatori, che in collaborazione con Unicredit ha voluto indagare il rapporto degli italiani con l’elemento che dovrebbe essere il più «naturale», per un popolo che vive in una penisola. E invece scopriamo che gli italiani amano sì il mare (il 67% lo sceglie come meta preferita delle vacanze) ma contemporaneamente, ad esempio, non tutti sanno nuotare (un italiano su quattro non lo sa fare, e comunque uno su tre ha paura dell’acqua alta) né hanno troppa confidenza con la cultura marittima - ad esempio solo il 25% ha visto da vicino una nave da crociera e solo il 37,8% è stato a bordo o ha visto da vicino un peschereccio. «Una passione senza confidenza» è infatti il titolo della ricerca curata dall’Ufficio ricerche e statistiche di Confitarma, che ha intervistato telefonicamente 1000 persone, un campione rappresentativo della popolazione residente nel paese con l’intenzione di far emergere «il vissuto, quindi l’esperienza diretta, e i percorsi dell’immaginario» degli italiani «popolo di navigatori». E partiamo immediatamente con questa tradizionale definizione per scoprire che solo il 14% degli intervistati si riconosce pienamente nella descrizione, il 38% la condivide abbastanza, un altro 32% ci crede poco e il 16% non trova in essa alcun elemento di riconocimento. Il mancato riconoscimento cresce tra le donne (18,3%) e gli anziani (19,6%), coloro che hanno un livello di istru-
UNA RICERCA SVELA CHE, CONTRARIAMENTE A QUANTO SI POTREBBE PENSARE, IL RAPPORTO TRA GLI ITALIANI E L’ACQUA NON È PROPRIO COSÌ TRANQUILLO
Il mare
questo sconosciuto
zione più basso (17,5%) tra chi vive nell’entroterra (18,8%) e nel nord est del paese (21,4%). E sono proprio le donne, gli anziani, e le persone con un titolo di studio più basso le categorie che meno hanno confidenza con l’elemento marino: se il 57% delle persone ha risposto di saper nuotare bene, il 20% «così così» e il 23% ha risposto di non saper nuotare, scopriamo che sono le donne (32,6%) quelle che hanno più difficoltà a galleggiare nell’acqua, con uno scarto quasi triplo rispetto agli uomini (11,8%). Allo stesso tempo, però, tra chi non sa nuotare spicca la componente degli anziani - persone dai 65 anni in su - che nel 45,9% dei casi risponde di non saper nuotare. Tra i giovani, invece, solo il 3,2% dice di non saper nuotare. La percentuale sale tra chi ha un titolo di studio fino alla media inferiore (56,3%). Curiosamente, invece, non ci sono scarti significativi tra chi vive sulla costa e chi vive nell’entroterra, a dimostrare, scrivono i ricercatori «che la diffidenza espressa nel rapporto col mare non è rintracciabile tanto nella distanza fisica dall’elemento, quanto in un registro culturale che sembra ora mutare». I giovani, infatti, sembrano quelli più
affascinati dal mare, dal suo essere un confine che nasconde l’altro da sé: i giovani hanno con il mare un rapporto più diretto. Per l’81,8% dei giovani intervistati il mare è stata la meta delle ultime vacanze (contro il 45,5% degli anziani) e anche nel rispondere agli input proprosti dai ricercatori per cercare di ricostruire l’immaginario che hanno i giovani e gli anziani del mare, è emerso che per i primi il mare esprime innanzitutto il processo di autonomia, la solarità e la passione. Gli anziani, invece, pensano innanzitutto alla luce e al caldo. D’altronde non c’è dubbio che, per gli italiani, il mare è legato a un immaginario dinamico, alla scoperta e contempraneamente all’ignoto, è quindi luogo di confine e di diversità: agli intervistati è stato chiesto di citare personaggi, eventi, riferimenti letterari e cinematografici che potessero collegarsi alle navi e al mare. A prevalere nettamente, tra i personaggi, sono gli esploratori realmente esistiti: primo fra tutti Colombo (69,63%), poi Vespucci (19,7%) e infine Marco Polo (19,7%). Solo in una percentuale residuale sopravvivono figure mitiche come Ulisse (2,9%), Moby Dick (2,1%), capitan Uncino (1,8%). Tra gli eventi legati al mare vince la scoperta dell’America (30,6%) e l’affondamento del Titanic (18,2%). Tra i libri, i film o gli spettacoli vincono i film sul Titanic (51,3%) e l’indimenticabile libro di Hamingway «Il vecchio e il mare» (14,4%). Ultime due note: il mare è simbolo dello svago e del non lavoro, solo il 7,7% del campione pensando al mare vi associa l’idea del lavoro. Ben il 68,4%, senza scarti significativi tra le diverse categorie, vorrebbe un Ministero del mare.
le mille e una rotta • il manifesto [13]
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i definisce una “outsiders”, la docente bolognese Alessandra Farneti, che insegna psicologia dello sviluppo presso la Facoltà di scienze della formazione a Bologna. Grazie a lei, Bologna ospiterà il primo corso di formazione universitaria post-laurea dedicato ai clown girovaghi. “E’ la mia piccola rivoluzione personale”, dice al manifesto. Un percorso inaugurato da Pach Adams, il celebre medicoclown che cerca di alleviare il dolore attraverso il riso. Sulle sue orme, molti clown girovaghi si recano nelle zone di guerra in “missione di pace”, si moltiplicano corsi e viaggi di formazione, organizzati dal Gesundheit Institute, la Clinica della salute del medico americano. Da un viaggio in Russia e in Siberia, con tanto di naso rosso e palloncini colorati, ha preso corpo il volume di Alessandra Farneti “La maschera più piccola del mondo” (Alberto Perdisa editore). La prefazione è di Renzo Canestrari, decano della psicologia italiana. Cosa spinge un’affermata docente universitaria a recarsi in Siberia vestita da clown? Le disillusioni del ‘68, forse un bisogno mai sopito di utopia - per me quella delle prime società paleocristiane. A 55 anni mi sento ancora bambina. L’apparente stupidità del clown mi appare un antidoto alla follia che ci circonda, al mito del denaro, una traccia d’innocenza e ingenuità sommersa.. Per Dario Fo, il clown è un giullare beffardo, per Federico Fellini un Briccone che riflette l’Ombra dell’uomo perbene e lo spaventa, per Jean Starobinski, un contrabbandiere che supera le frontiere proibite. Nelle “missioni di pace” dei clown, invece, l’elemento consolatorio sembra prevalere su quello disturbante e conflittuale. Con quale spirito ha intrapreso il suo viaggio? Durante un seminario, tenuto ai miei studenti da Ginevra Sanguigno, collaboratrice di Pach Adams, la clown mi ha proposto di andare in Russia e in Siberia, dove si era recata anche ai tempi della Guerra fredda. Ho accettato ma, oltre al naso rosso, al costume e ai giocattoli per bambini che l’organizzazione di Adams ci chiedeva di portare, ho messo in valigia tutta la mia diffidenza. Nel corso dei secoli, la maschera del clown ha progressivamente perso gli elementi graffianti del giullare. Oggi, la si riduce spesso a una comicità sempliciotta, portatrice di un messaggio bonificato e rassicurante.Mi chiedevo che senso avesse fare i buffoni nei luoghi in cui la gioia sembra una bestemmia. Era il 2001. Sono partita pensando a un viaggio di ricerca sugli aspetti psicologici della clownerie, invece ho vissuto qualcosa di più.. A Mosca il nostro gruppo - persone spinte dalle più diverse motivazioni personali e provenienti da altre parti del mondo - è stato accolto con entusiasmo dal popolo
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dei diseredati
CON LA RISATA. È LA SFIDA CHE SI È IMPOSTA ALESSANDRA FARNETI, DOCENTE UNIVERSITARIA E CLOWN che dorme fra i cartoni e con ostilità dai nuovi ricchi, che vivono arroccati nei loro privilegi. In Siberia abbiamo visitato luoghi difficili: carceri, orfanotrofi, ospizi ai confini con la Mongolia. Abbiamo incontrato persone che, nonostante la miseria, cercano di mostrare la parte migliore di sé con orgoglio e dignità. I matrimoni misti non sono numerosi, ma i Mongoli - di religione buddista o sciamanica - convivono con i russi - prevalentemente cristiani ortodossi - e condividono le strutture pubbliche senza evidenti contrasti “Quando ve ne andrete, tutto tornerà come prima - dicevano gli interpreti”. Forse. E per questo ammiro Miloud Oukili, il clown del sottosuolo, che - come il pifferaio magico - si porta dietro i bambini che vivono nelle fogne di Bucarest e cerca di motivarli al futuro. Nel volume, lei scrive che le banche o le istituzioni totali non possono dar spazio alla pericolosità del riso. Come siete stati accolti nelle carceri minorili siberiane? Nel maschile è stata dura. C’era già un un teatro pronto per una recita che non avevamo preparato. Istintivamente abbiamo cominciato a “provocare” le guardie carcerarie e l’atmosfera si è distesa. Fra le ragazze, invece, c’era più voglia di ridere. Mi ha colpito l’organizzazione degli ambienti. Camerette misere ma curate, con lo stereo e i poster alle pareti, lasciavano intendere che, almeno all’interno, fossero garantite alcune piccole cose che contano per le adolescenti. Ma poi, quando una di loro mi ha scritto l’indirizzo dei genitori
perché mandassi le foto scattate lì, una guardiana lo ha impedito. Le donne clown - lei scrive - sono sempre più numerose. Perché? Oggi le donne si prendono gioco delle loro parti considerate meno accettabili socialmente, le esibiscono anzi per irridere i modelli dominanti. Nel mestiere del clown che allevia sofferenze c’è, però, anche un aspetto tradizionalmente femminile, quello del prendersi cura. Nel mio corso, le donne sono il 99%, nel viaggio in Siberia ce n’erano molte, alcune anche anziane.
Cosa ha trasmesso ai suoi studenti di quel viaggio? Tra Bologna e Reggio, ai miei corsi vengono circa 1.200 ragazzi. In gran parte sono acritici, disillusi, disorientati, tutt’altro che disobbedienti. Se capita, seguono quelli di Comunione e Liberazione, che si danno da fare in ogni direzione. L’università è diventata un esamificio in cui la cultura soccombe. Pochi studenti sanno che nel 1917 in Russia c’è stata la rivoluzione d’Ottobre. Quella attuale è una generazione che si nutre di visuale, eppure ancora pochi professori usano le immagini - il cinema, per esempio - come supporto didattico per parlare di storia. Io quando posso lo faccio. Al ritorno dalla Siberia, avevo in mente quei ragazzi capaci di divertirsi con poco, le disparità sociali che oggi vigono in quei paesi. Ho proposto un analogo viaggio clowneristico nella nostra città per constatare il livello di reattività o diffidenza di fronte alla provocazione buffonesca. Immagini le facce dei colleghi quando mi hanno vista uscire vestita da clown… Zazie nel metro, sguinzagliata dalla penna di Queneau. Risultati? Siamo riusciti a far ridere qualche immigrato, a contagiare un vigile, a irritare qualche carabiniere. In generale non c’è stata chiusura, ma una discreta bonomia. Gli studenti hanno capito che significato può avere oggi quel tipo di maschera e quel tipo di messaggio. Il clown è ancora una chiave particolare di comunicazione. L’autoironia che posso insegnare, è anche autocoscienza. I miei studenti (che in futuro saranno educatori, psicologi…), forse, la diffonderanno nei loro ambienti di lavoro, forse andranno nelle carceri come fa il gruppo dei Barabba’s Clown di Don Chiari. Scriveva Apollinaire: “Nella pianura i saltimbanchi/ si allontanano lungo i giardini/ davanti all’uscio di grigie locande/ attraverso villaggi senza chiese/ i ragazzi camminano davanti/ e altri seguono sognando...”
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Adesso sognate la tranquillità di cime innevate e il silenzio della natura incontaminata? Entrate in atmosfera leggendo il volumetto di Eugenio Pesci La terra parlante (Vivalda). Un viaggio estetico sulla cultura del paesaggio dalle origini ai “non-luoghi alpestri”. Incontrerete così “presenze di pietra e memorie dell’origine”, paesaggi di acqua e di roccia e non-luoghi alpestri, sussurrati dal respiro della terra per gli umani che lo vogliano ancora ascoltare.
MUNGO PARK (1771-1805) Esploratore scozzese. Nel 1795, per conto della Società Africana di Londra, percorse la regione dei fiumi Volta e Senegal e raggiunse il fiume Niger. Park ha descritto la sua avventura in Travels in the Interior Districts of Africa (1797). Su richiesta del governo scozzese, nel 1805 partì con una seconda spedizione alla ricerca della fonte del fiume Niger, senza però riuscire nello scopo. Con i suoi compagni venne attaccato alle rapide di Buissa dove morì annegato.
ALBERTO CANALI
È COMBATTERE L’EMARGINAZIONE
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Durante il viaggio per Catania, un romanzo può aiutare a mettersi in situazione, imparando magari qualche epiteto in siciliano da utilizzare all’uopo. Il romanzo del catanese Ottavio Cappellani, Chi è Lou Sciortino (Neri Pozza) fornisce un nutrito glossario a fine volume, utile prima di tutto per seguire le imprese dei mafiosi descritti nella sua detective story. Una storia veloce e stralunata che racconta con passo satirico l’iniziazione e l’ascesa di Lou Sciortino, mammasantissima un po’ per discendenza un po’ per caso. Tutto comincia nell’emporio di Zu Mimmo, dove si vende di tutto, sotto l’attenta supervisione di una ronzante colonia di mosche, abituata a tacere ogni volta che si produce “la normale ammazzatina…”. Ma questa volta ci sono i carusi venuti da New York…
GERALDINA COLOTTI
La clown
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iniziato il viaggio verso la periferia dell’ex-impero sovietico. Le facce a bordo del nostro volo sono già asiatiche, pochissime donne, zigomi pronunciati, odori altrettanto. L’aereo è moderno ma ci pensano le immagini sfocate che scorrono sotto i finestrini, nella foschia ininterrotta, ad allontanarci dalla realtà. A terra, nella calca attorno all’unica porta d’ingresso all’hangar che costituisce l’aeroporto, la confusione e le grida si sommano agli odori in modo infondo scontato. Siamo a Dushanbe. Percorriamo ampi viali ordinati, le carreggiate sono separate da un giardino troppo recente per essere bello, a dispetto dei vialetti e delle panchine ben sistemate. In giro quasi nessuno, anche se ormai la situazione della sicurezza è tranquilla mentre fino a due anni fa le Nazioni Unite consigliavano il coprifuoco notturno per la popolazione civile. La partenza è fissata per le 8.30. Il programma del nostro primo giorno di visita del Tagikistan è la visita alla centrale idroelettrica di Nurek, la più alta del mondo (300 metri di sbalzo) e la principale della regione, capace di ben nove generatori, alimentati da un bacino esteso per oltre 13 km nella gola di Vakhsh. L’acqua è una delle poche risorse del Tagikistan che controlla circa il 60 % delle acque della regione: non è strano che sia la principale causa delle ostilità con il vicino Uzbekistan, i cui fiumi hanno origine nelle montagne tagiche. L’impianto di Nurek fu costruito dai sovietici intorno ai primi anni settanta e fino a pochi anni fa condotto da tecnici russi. Come molte opere qui, fa parte delle infrastrutture di cui l’URSS dotò i Paesi dell’Asia centrale, garantendo anche una forte ricaduta occupazionale. L’acqua però, insieme alla conformazione montuosa del territorio, fa del Tagikistan anche lo stato più colpito da catastrofi naturali dell’intera regione: frane e allagamenti di interi villaggi sono all’ordine del giorno. Questa dell’acqua è una buona parabola per raccontare la condizione del Paese oggi: bacino di potenzialità economiche, naturali e geopolitiche che potrebbero farne uno degli Stati chiave della regione e che invece sono state all’origine di crisi, quando non di tragedie come la guerra civile che ha martoriato il Paese del 1992 al 1997. Con il disfacimento dell’Unione Sovietica, nel 1991, il PIL
del Tagikistan è crollato di colpo del 60% (soltanto nel 2000 ha recuperato il 150% del valore iniziale) e le tensioni tra i clan delle diverse aree del Paese sono esplose provocando decine di migliaia di morti e oltre mezzo milione di rifugiati. Faticosamente, dal momento dell’accordo di pace patrocinato dai Russi nel 1997, che ha riconosciuto il 30% dei seggi all’opposizione (di ispirazione islamica moderata), la nazione, pur sotto la stessa guida del Presidente Rakhmanov dal 1992, ha intrapreso un lento cammino verso le riforme economiche e la convivenza pacifica (dal 2002 le Nazioni Unite non consigliano più il coprifuoco notturno per la popolazione civile a Dushanbe, la capitale). Da pochi anni, la proprietà privata è stata introdotta in agricoltura (questa, nonostante le terre coltivabili siano appena il 10%
del totale, rappresenta un quarto del PIL e occupa la metà dei sei milioni di cittadini tagichi): con il risultato di favorire soprattutto pochi ricchi (le cui disponibilità hanno origine spesso nei traffici di droga) divenuti rapidamente grandi proprietari delle piantagioni di cotone. L’enorme fabbrica di lavorazione dell’alluminio che visitiamo a Tursunzade, ad ovest della capitale, verso il confine con l’Uzbekistan, riassume i mali dell’industria tagica, essenzialmente estrattifera (alluminio, ferro, oro): tecnologie antiquate e scarsità di competenze. Gli stipendi mensili erogati dallo Stato sono di due dollari e mezzo per un soldato e di 10 dollari per un medico (la soglia della povertà indicata dalle Nazioni Unite è di due dollari e mezzo al giorno!). Il turismo è praticamente inesistente a causa della quasi totale mancanza di infrastrutture. In questo panorama demoralizzante, il PIL è cresciuto però negli ultimi anni del 7/8% e la megainflazione del tempo della guerra civile sembra stabilizzata intorno al 10%. Nessuno di coloro che abbiamo incontrato, ad eccezione dei ventenni privi di memoria storica, ha difficoltà ad ammettere di avere nostalgia del periodo sovietico … La politica interna è dominata dal partito del presidente Rakhmanov (la cui immagine è onnipresente), ma al Partito della Rinascita Islamica, di
DIARIO DI UN VIAGGIO ALLA PERIFERIA DELL’EX IMPERO SOVIETICO, ALLA SCOPERTA DI UN PAESE IN LOTTA CON LA CRISI ECONOMICA
ispirazione nazionalista non integralista, guardano con attenzione le ambasciate dei Paesi occidentali alla ricerca di sponde islamiche moderate. E’ infatti soprattutto sul piano delle relazioni internazionali che il “Paese delle grandi promesse”, come lo definisce la nostra guida diplomatica qui, deve giocarsi la propria partita. E’ al centro di uno scacchiere geopolitico di indubbio interesse: confina con l’Afghanistan del nord, con la Cina e con gli Stan-states cioè con la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) ex-sovietici. Dimenticato dall’Occidente fino al settembre del 2001, improvvisamente acquisisce un ruolo strategico nella recente guerra dell’Afghanistan. Gli oltre 1.500 kilometri di confine meridionale sono presidiati dal 1997 da 23.000 soldati russi a difesa degli interessi nazionali di Mosca in materia di estremismo islamico, protezione territoriale e traffico di droga (per il Tagikistan transita oltre il 70% dell’oppio afgano diretto in Russia e in Occidente). Entro la fine dell’anno la Russia intende ritirare le proprie guardie di confine, lasciando il controllo ai mal pagati e mal addestrati soldati tagichi, aprendo un problema che l’Occidente sta cercando di risolvere con pressioni diplomatiche su Mosca. Per il Tagikistan, ancora un’opportunità che potrebbe trasformarsi in una crisi.
Le promesse del Tagikistan
le mille e una rotta • il manifesto [15]
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