20131204nazionale

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CON LE MONDE DIPLOMATIQUE + EURO 1,50 Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, Aut. GIPA/C/RM/23/2013

ANNO XLIII . N. 287 . MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

EURO 1,50

LETTA E NAPOLITANO NELLE SALE DEL QUIRINALE

UE/ITALIA

Roma come Atene, l’Europa smarrita Roberto Romano

C’

Mal Trattati

È scontro Italia-Ue sul debito pubblico. Il vice presidente della Commissione Olli Rehn attacca la legge di stabilità e insiste su spending review e privatizzazioni. Napolitano alza la voce: «Il rigore di Bruxelles ha provocato recessione e disoccupazione». E Letta rincara la dose: «Così finisce l’Europa» PAGINE 2,3 DEMOCRACK

BIANI

Renzi versione gazebo Uno spintone a Letta I

l rottamatore ubiquo a Porta a Porta e in un teatro romano: «Letta faccia le cose che servono a italiani o alle prossime elezioni Grillo e Berlusconi ci fanno un bel panino e ci portano via». Pronta la sua segreteria (12 persone, metà donne), forse è pronto anche il suo futuro governo. Al premier propone «un patto alla tedesca» per il 2014: legge elettorale, riforme del lavoro, tagli ai costi della politica, Europa. Altrimenti si vota. Civati è della partita. Cuperlo, per ora, no: «Sono minacce come quelle che fa Berlusconi. Vuole aiutare il governo o farlo cadere?» DANIELA PREZIOSI |PAGINA 6

LEGGE ELETTORALE

Condannate il Porcellum La Consulta non lo salva ma può rinviare il verdetto Grasso: vada alla Camera FABOZZI |PAGINA 6

è qualcosa di «epico» nei sostenitori dell’austerità. Parlare di ripresa economica è sicuramente fuori luogo, ma chiedere ulteriori sacrifici a un paese che ha iniziato un percorso di deflazione, la cosa peggiore che si possa immaginare durante una recessione economica, suona come una marcia funebre. Naturalmente abbiamo la difesa della Legge di Stabilità. Letta afferma: «Rehn non può permettersi scetticismo su Italia». Il Presidente della Repubblica Napolitano si spinge oltre: «L’Europa cambi rotta». Non mancano le persone «misurate». Saccomanni con il suo stile inglese comunica che dall’Ue non c’è nessuna richiesta di misure correttive. Poi abbiamo l’assemblea condominiale. Brunetta si scaglia contro il ministro Sacomanni: «Non è l’uomo della provvidenza; si dimetta». Fa un po’ specie leggere queste dichiarazioni. Tanto orgoglio fa quasi tenerezza. Non si capisce se difendono se stessi, oppure un qualche ruolo dell’Italia in Europa. C’è il fantasma Grecia. Alla fine, i nodi della politica economica europea, con tutti i suoi effetti, lasciano un cadavere per strada: la politica. Da una parte registriamo le «denunce» del Presidente della Repubblica sulle politiche europee, dall’altra si disegnano equilibri politici che, per quanto ben assortiti, non possono reggere in ragione di vincoli economici che sono insopportabili per qualsiasi paese. Se possibile, in questa parodia della politica italiana, tutti hanno dato il meglio di se stessi: si può dire e sostenere tutto e il contrario di tutto. In altri termini la politica italiana non viene fuori molto bene. Non è in gioco, però, solo il governo Letta o la politica che potrebbe intervenire dopo l’elezione di Renzi a segretario del Pd. Il personaggio è quello che è. In realtà si gioca una partita molto più grande: il semestre europeo italiano. Il richiamo del Commissario Rehn sembra più che altro un monito alla prossima presidenza europea italiana. In Europa, come all’interno della stessa Commissione, la discussione sull’efficacia delle politiche europee è meno segreta di quanto non si voglia far credere. In qualche misura, nel segreto di alcune stanze, i governi di destra e di centro-sinistra hanno avviato una discussione sull’utilità del six pact e del fiscal compact. Il richiamo all’Italia su privatizzazioni, riduzione del debito pubblico, il taglio della spesa pubblica è un avvertimento ai Paesi europei: non pensate di allentare i vincoli europei via presidenza europea italiana. La Commissione Europea teme che l’Italia possa dare voce a tutti quei paesi che si trovano nella stessa situazione. In altri termini l’Italia, con il concorso di altri Paesi come la Francia, la Spagna ed altri ancora, avrebbe la forza politica ed economica per ridiscutere i termini degli accordi pattuiti tra il 2011 e il 2012. CONTINUA |PAGINA 3

PRATO

Buona la prima 2013. Tutte le nostre copertine in un libro digitale e di carta. Il lavoro di un anno che abbiamo fatto per voi L’INIZIATIVA Piccinini e Bartocci pagina 15

Condannati al silenzio

REPORTAGE

Quelle braccia italiane nelle Rosarno d’Australia

Annamaria Rivera

N

iente di edificante c’è in questa cupa tragedia. Niente che possa permetterci di dire «eppure…». Eppure si ribellano, per esempio, come poté dirsi degli schiavi di Rosarno a gennaio del 2010. Eppure hanno il coraggio d’incrociare le braccia e sfidare il caporalato, come dicemmo dei duemila braccianti immigrati che alcuni mesi dopo occuparono sedici «rotonde» tra Caserta e Napoli. No, gli operai cinesi arsi vivi, intrappolati come topi fra pareti di cartone e pavimenti d’amianto, non erano che forza-lavoro bruta, nuda vita a disposizione del capitale globalizzato. CONTINUA |PAGINA 14

ELEONORA MARTINI l PAGINA 7

FRANK ZAPPA 20 ANNI DOPO

Il genio della musica che osava andare oltre GUIDO FESTINESE l PAGINA 12


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il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

MAL TRATTATI

Unione europea •

È scontro Italia-Ue: il vice presidente della Commissione boccia la manovra. L’alzata di scudi di Napolitano e Letta

Il commissario liquidatore Per Olli Rehn la legge di stabilità vìola il rigore imposto da Bruxelles: «Non riduce il debito». Il premier attacca: «Europa a rischio, o fa un passo avanti, o si avviterà». Il Colle: la ripresa va aiutata Giorgio Salvetti

I

l presidente del Consiglio ieri ha dovuto rispondere all’ennesima bacchettata dell’Europa. Sono anni che il governo italiano ha un solo obiettivo: fare i compiti impartiti dall’asse Berlino-Bruxelles. È stato questo l’unico vero programma scritto nero su bianco nella famosa letterina all’Italia della commissione Ue che decretò la fine dell’ultimo governo Berlusconi. Da allora le larghe intese, prima con Monti e poi con Letta, hanno avuto come missione fondante la messa in atto dell’austerity che sull’altare dei conti in ordine sacrifica welfare e lavoro. Per questo si è battuto il capo dello stato che ha dettato questa linea ai governi da lui fortemente voluti e sostenuti negli ultimi tre anni. Eppure l’austerità per l’Europa non è mai abbastanza. Ieri dalle pagine de la Repubblica il commissario Ue agli affari economici Olli Rehn – che si è ufficialmente candidato alla presidenza europea - ha nuovamente bocciato l’Italia: «Deve rispettare un certo ritmo di riduzione del debito e non lo sta facendo». Rehn, inoltre, si è detto scettico dei risultati promessi con le privatizzazioni e la spending review. Ciò detto, Napolitano e Letta non hanno proprio potuto fare a meno di mostrare agli italiani che, almeno a parole, sanno anche alzare la testa. Il presidente della Repubblica, in visita in Croazia,

prima ha difeso il governo - «possiamo essere soddisfatti e orgogliosi dello sforzo fatto per risanare la finanza pubblica» - poi ha criticato l’Europa colpevole di avere «imposto politiche di contenimento del debito che hanno prodotto un effetto recessivo e crescente disoccupazione soprattutto giovanile». Ancora più dure le parole di Letta: «La ripresa va aiutata, non soffocata. Al commissario dico che i nostri conti sono in ordine, la nostra politica economica è equilibrata. Il Commissario deve essere garante dei trattati e non può permettersi di esprimere il concetto di scetticismo, altrimenti potrebbe trovarsi un parlamento europeo pieno di euroscettici». E poi quasi un avvertimento: «Sono europeista convinto, ma voglio mettere in guardia rispetto al rischio che l’Europa non è scontata, non è data per sempre e secondo me è profondamente a rischio. O nel 2014 farà un passo in avanti o si avviterà indietro». Stando a queste dichiarazioni sembrerebbe scoppiato uno scontro senza precedenti. Ma è in realtà è più simile a una scaramuccia. Difficile infatti immaginare che basti un’intervista per incrinare l’asse portante tra Roma e Bruxelles rappresentato dal governo Letta. Il primo a gettare acqua sul fuoco è stato il ministro dell’economia Fabrizio Saccomanni. Da New York ha addirittura definito l’intervista di Rehn una «non-notizia» perché ribadirebbe «solo il parere espresso

dalla Ue 15 giorni fa». Poi si è affrettato a rassicurare: «Non c’è stata nessuna richiesta di misure correttive». Forza Italia non si è lasciata scappare l’occasione di attaccare la sua ex-maggioranza di governo. Brunetta ha chiesto ancora una volta le dimissioni di Saccomani e ha invitato Letta ad accettare le critiche di Rehn: «I giudizi dell’Ue o valgono sempre o non valgono mai. Se valevano quando la Commissione europea bacchettava Berlusconi, devono valere anche oggi che la Commissione bacchetta Letta-Saccomanni». Bersani, invece, ha provato a far ricadere proprio su Berlusconi la responsabilità del giudizio negativo del Commissario: «Olli Rehn, stando ai patti che sono stati sottoscritti da Berlusconi e Tremonti, non ha mica torto. Il problema è che quei patti sono un disastro. Adesso ci vuole flessibilità. Se no Olli Rehn e compagnia ci chiedono il suicidio e al suicidio nessuno è tenuto». E qui si misura la situazione paradossale di un governo nato per soddisfare l’Europa e figlio del patto con Berlusconi, per onorare il quale ha prodotto come unico risultato l’abolizione (ancora incompleta) dell’Imu, e ora subisce contemporaneamente le critiche degli ex alleati e dell’Ue. Una morsa micidiale che mostra l’inconcludenza delle piccole intese di Letta e strangola gli italiani alle prese con una crisi economica e politica senza fine.

WELFARE · La Corte dei Conti: «Servono indilazionabili misure di risanamento»

L’Inps salvato dai precari senza pensione

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opo l’Ocse anche la Corte dei Conti denuncia l’iniquità del Welfare italiano. A ripianare le ingenti perdite dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) sono le lavoratrici e i lavoratori «parasubordinati», le partite Iva, tutti coloro che sono impiegati a tempo e in maniera intermittente. Questa è una delle principali conclusioni dell’esame del bilancio 2012 dell’Inps contenuto nel report reso noto ieri dalla magistratura contabile. Per contenere la gravosa perdita causata dall’incorporazione dell’Enpals e dell’Inpdap, l’Inps si avvale del «massiccio saldo positivo di esercizio dei "parasubordinati" e quello delle prestazioni temporanee, i cui netti patrimoniali consentono ancora la copertura di quelli negativi delle altre principali gestioni e il mantenimento di un attivo nel bilancio generale, esposto peraltro ad un rapido azzeramento». In altre parole, per la Corte dei conti, in un contesto come quello italiano in cui i pensionati continueranno a crescere, anche il capitale garantito dai lavoratori autonomi e dai precari non basterà a «ripianare lo squilibrio» tra le gestioni in deficit. La conseguenza sarà «la dilatazione dei saldi negativi e dell’indebitamento, aggravati dal fondo dei dipenden-

ti pubblici, in progressivo e crescente dissesto». La Corte avverte inoltre che i lavoratori indipendenti (appunto: precari, partite Iva, intermittenti) saranno penalizzati maggiormente dal metodo contributivo. Il loro trattamento pensionistico, sempre che riescano a totalizzarlo, rischia di essere molto lontano da quello riservato a chi è andato, o andrà, in pensione con il metodo retributivo. La Corte chiede «un costante monitoraggio degli effetti delle riforme del lavoro e della previdenza sulla spesa pensionistica e una crescente attenzione al profilo di adeguatezza delle prestazioni collegate al metodo contributivo e degli eccessivi divari nei trattamenti connessi a quello retributivo, unitamente all’urgenza di rilanciare la previdenza complementare». Una tesi molto simile a quella sostenuta dall’Ocse. Resta tuttavia il mistero su come i lavoratori indipendenti, ad esempio le partite Iva che versano i contributi nella gestione separata dell’Inps con un reddito medio mensile pari a 753 euro possano finanziarsi un fondo privato. Per loro si prepara un futuro senza pensione. L’Inps, conclude la Corte, ha bisogno di «indilazionabili misure di risanamento». ro. ci.

Welfare / PIÙ DETRAZIONI E MAGGIOR PESO AL PATRIMONIO

Cambia l’Isee: meno autocertificati per stanare «furbetti» ed evasori ROMA

A

pprofittando dello scalpore suscitato la settimana scorsa dalla storia degli studenti universitari in Ferrari che si dichiaravano poveri per accedere alle borse di studio, il premier Enrico Letta ieri ha presentato il nuovo Isee. L’Isee è quell’indicatore che misura e certifica il nostro reddito (stipendi, pensioni, patrimoni, conti e risparmio) per la finalità dell’accesso al welfare e ad altre possibili detrazioni (come ad esempio l’affitto). Un sistema che però ha fatto acqua da tutte le parti, finora, visto che in buona parte si basava sulle autodichiarazioni e che – come è emerso ieri – ad esempio l’80% delle famiglie dichiara di non avere conti nè libretti di risparmio aperti presso le banche, dato smentito da Bankitalia. Il nuovo Isee, ha spiegato Enrico Letta, modifica alcuni requisiti, per poter arginare l’evasione, e per includere nel welfare soprattutto chi ha più bisogno. Il premier ha spiegato che il nuovo Isee «serve ad affrontare lo scandalo dei finti poveri» e pone «il tema di un diretto rapporto tra la situazione reale e l’accesso a welfare e diritti». «Abbiamo visto lo scandalo di chi andava all’università in Ferrari – ha continuato – vicende che feriscono i tanti che hanno bisogno». Prima di passare ad analizzare alcune misure relative al nuovo indice, va detto subito che, sul piano più generale, si è ridotta l’area della autocertificazione per prediligere quella della compilazione da parte degli enti pre-

posti all’erogazione di prestazioni: in particolare, sarà la pubblica amministrazione a compilare i documenti relativi all’accesso al welfare e ai servizi Inps. Inoltre, sarà possibile incrociare diverse banche dati, sia fiscali che contributive, in modo da non farsi più sfuggire evasioni macro-

scopiche come ad esempio quella della studentessa con la borsa di studio e la Ferrari. Ancora, avrà più peso sul reddito la parte patrimoniale, ma aumentano le detrazioni e le franchigie concesse a chi ha più familiari a carico, inclusi quelli non autosufficienti. Ai fini del calcolo sarà considerato il valore degli immobili rivalutato ai fini Imu (invece che Ici) mentre sarà ridotta la franchigia della componente mobiliare. La riforma prevede la ridefinizione del reddito disponibile (includerà anche somme fiscalmente esenti come ad esempio

le pensioni di invalidità), la valorizzazione maggiore della componente patrimoniale, ma tiene anche conto delle caratteristiche dei nuclei familiari con carichi particolarmente gravosi, come l’avere tre o più figli o persone con disabilità a carico. Rispetto agli immobili, si considera patrimonio solo il valore della casa che eccede quello del mutuo ancora in essere, mentre viene riservato un trattamento particolare alla prima casa. La franchigia sul patrimonio mobiliare è invece ridotta a 6 mila euro, con un aumento di 2 mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino a un massimo di 10 mila euro. Questa soglia è incrementata di 1.000 euro per ogni figlio successivo al secondo. Maggiori detrazioni anche per chi è in affitto e per i cassaintegrati: in quest’ultimo caso, l’Isee si può aggiornare in tempo reale se le variazioni di reddito superano il 25%. Vengono sottratti dalla nozione di reddito gli assegni di mantenimento, i redditi da lavoro dipendente (quota del 20% fino a un massimo di 3.000 euro), pensioni (quota del 20% fino a 1.000 euro), il costo dell'abitazione (oggi possono essere portati in detrazione fino a 5.165, la riforma innalza la soglia a 7 mila euro all’anno), le spese effettuate da persone con disabilità o non autosufficienti. Vengono infine aumentate le franchigie per ogni figlio successivo al secondo (500 euro per la deduzione dell’affitto, 2.500 euro per la deduzione sulla prima casa, 1.000 euro per il patrimonio immobiliare). an. sci.


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MAL TRATTATI

Ocse •

Il livello di «competitività» nel calcolo, nelle scienze e nella lettura, è sotto la media: il «Programma di valutazione internazionale degli studenti» rimanda l’Italia

Roberto Ciccarelli

AL CENTRO, OLLI REHN /FOTO REUTERS. ACCANTO, ESAMI DI MATURITÀ /FOTO EIDON

Q

uando in Italia si è iniziato a parlare dei test Pisa qualcuno deve avere pensato all'amata torre pendente, meta turistica nell'omonima città toscana. Nelle scuole dei 65 paesi Ocse non è più così da dieci anni, perché Pisa è il minaccioso acronimo del «Programma di valutazione internazionale degli studenti», il Programme for International Student Assessment. Nella neolingua di chi gestisce le politiche neoliberali dell'istruzione a livello internazionale, questo acronimo allude a uno studio triennale che valuta il livello acquisito dai liceali quindicenni nel campo della matematica, delle scienze e della capacità di lettura e comprensione di un testo. Su questa base vengono redatte le classifiche in base alle quali la governance misura il livello di «performatività» del sistema scolastico nell'economia globale della conoscenza. I test, si legge sul sito indire. it, servono a «preparare la vita dei giovani che escono dalla scuola». In futuro serviranno a distribuire le risorse statali decrescenti alle scuole e alle regioni «virtuose» che praticano un'etica imprenditoriale e un modello competitivo dell’esistenza. I dati Ocse presentati ieri al ministero della pubblica istruzione sono il risultato della valutazione di 510mila studenti di 65 paesi che hanno compilato i questionari nel 2012. In Italia le prove, che qui da noi si chiamano Invalsi, hanno coinvolto 38.142 studenti di 1186 scuole che hanno affrontato il test di due ore. I risultati medi nei tre

Roberto Romano

del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, a livello dei paesi migliori in testa alla classifica: Svizzera, Olanda o Finlandia. La Sicilia, invece, occupa una posizione inferiore a quella della Repubblica Slovacca, sempre che questi paragoni tra una regione e uno stato abbiano un senso. Questa disparità tra il NordEst e il Sud si aggrava tra studenti italiani e quelli stranieri. Il punteggio di questi ultimi è inferiore di 48 punti rispetto agli italiani, 34 punti in più rispetto alla media Ocse. Questa differenza viene addebitata alle «disparità di status socioeconomico» e alle barriere linguistiche nell'appren-

Adriana Pollice

litica. Sia all’altezza della situazione. La Commissione ha voluto avvertire i naviganti della ciurma europea: non pensate di usare l’Italia per ridiscutere i patti europei. Forse è il momento di fare qualcosa di «sinistra».

Arrivano i poliziotti urticanti edremo presto anche in Italia gli agenti in divisa antisommossa spruzzare peperoncino in faccia ai manifestanti come è successo ai New York per Occupy Wall Street? Ancora no. Ma intanto è stato dato il via a una sperimentazione che darà in dotazione a poliziotti e carabinieri lo spray urticante a base di Oleoresin Caspiscum (Oc). I primi a poter disporre di questa «arma di autodifesa» saranno gli agenti della Polfer Stazioni e delle volanti di Milano e i carabinieri dei reparti operativi di Roma e Napoli, ma per ora non i reparti mobili. La vendita ai comuni cittadini del contestatissimo spray è stata permessa dal Viminale, in accordo con il ministero della Salute, nel maggio del 2011 a precise condizioni: il principio attivo non deve superare il 10 per cento e il getto non può superare i tre metri. Le forze dell’ordine useranno lo stesso prodotto. E sarebbe difficile immaginare che quello che è permesso a tutti sia impedito a polizia e carabinieri. In realtà c’è il rischio che proprio la natura non particolarmente offensiva dell’aggeggio favorisca un abuso soprattutto nelle mani di chi per dovere è tenuto a usarlo. Nel febbra-

settori di riferimento sono inferiori alla media Ocse. Per la matematica l’Italia si colloca tra il 30˚ e il 35˚ posto, in lettura tra il 26˚ e il 34˚, in scienze tra il 28˚ e il 35˚. Risultati mediocri che segnano tuttavia un miglioramento di 19 punti in matematica (494 contro i 466 del 2003), di 18 punti in scienze (494 contro 475 nel 2006), tre nella prova di lettura (490 contro i 487 del 2000). Il miglioramento si è dunque registrato in matematica, in particolare nell'interpretazione dei risultati ma non nella «formulazione di situazioni in modo matematico». Gli studenti che vanno meglio sono quelli di Trento,

dimento. Sulla matematica, l'Ocse misura anche una frattura di genere tra le «performance» dei ragazzi e quelle delle ragazze (18 punti contro una media di 11). Le studentesse sembrano essere più portate nella lettura: 39 punti in più rispetto ai maschi. Al di là dei numeri, e dei campi scelti per «misurare» il «capitale umano» dei singoli studenti, è interessante annotare le cause che sarebbero alla base di tali disparità. E su questo emerge la natura disciplinare della valutazione Pisa, oltre che i suoi intimi convincimenti antropologici. Causa di tutti i mali sarebbe infatti la mancanza di disciplina

Disoccupati campani a Roma, il blitz finisce al commissariato

VIMINALE · Spray al peperoncino, sperimentazione al via

V

È partita la gara dei quiz

Progetto Bros/ TENSIONE NELLA SEDE DEL PD

DALLA PRIMA Non ho idea se Letta e Napolitano avessero in mente lo scenario appena descritto quando hanno reagito, ma la difesa del proprio operato e il richiamo all’Europa dovrebbero prima chiarirli a se stessi. Infatti, tutta la crescita del debito pubblico europeo di questi ultimi 5 anni è debito privato (cattivo) mutualizzato dagli stati. Provate a vedere la crescita del debito pubblico tedesco e di quello italiano. Il debito pubblico tedesco è cresciuto del 30%, quello dell’Italia del 13%, nonostante una contrazione del Pil maggiore che nella media europea. Quindi, la politica italiana faccia po-

SCUOLA · Secondo i test Pisa: meglio in matematica, ma restiamo in bassa classifica

io 2012 è stato proprio il capo della polizia Antonio Manganelli, in audizione davanti alla commissione affari costituzionali della Camera, a ribadire l’intenzione di dotare gli agenti del peperoncino. Un’ipotesi però finora rallentata dalle commissioni del ministero della salute che «frequentemente concludono che il capsicum fa male». Gli effetti di questo gas urticante infatti da sempre sono controversi. Il segretario del sindacato di polizia Siulp, Felice Romano, conferma che in passato dal ministero della salute ci sono state resistenze: «Qualche giorno fa al dipartimento di pubblica sicurezza ci hanno detto che queste riserve si erano sciolte e che si sarebbe andati avanti con la sperimentazione. Noi prima di usare lo spray abbiamo chiesto di avere la documentazione con il parere favorevole della commissione del ministero della salute che al momento non abbiamo ancora avuto, inoltre chiediamo che i cittadini siano debitamente informati. Questo per cautelare sia i cittadini sia gli agenti che avranno a disposizione questo strumento e perché l’uso dello spray non venga interpretato come un atto di ostilità gratuita». G. Sa.

D

oveva essere un incontro tecnico al ministero del Lavoro per sbloccare i fondi già disponibili ed è finita con una sessantina di persone portate in commissariato, cinque contusi e un nulla di fatto. Ieri mattina circa 700 persone si erano messe in viaggio da Napoli per raggiungere Roma: l’incontro tra rappresentanti del governo, regione Campania, provincia e comune di Napoli avrebbe dovuto stabilire le modalità di impiego di circa 7,5 milioni di euro che la regione rifiuta di utilizzare per stabilizzare i precari del Progetto Bros. Si tratta di 3.741 disoccupati formati per lavorare nel ciclo dei rifiuti, della raccolta differenziata e della bonifica delle coste grazie a protocolli sottoscritti dagli enti locali e da ministri sia di centrodestra che di centrosinistra dal 2005 al 2009. Corsi e contratti a progetto per scarsi 500 euro al mese non hanno mai portato a una stabilizzazione. Poi nel 2010 l’amministrazione del governatore Stefano Caldoro ha deciso di rifiutare qualsiasi interlocuzione lasciandoli per strada a manifestare. «Eravamo già in viaggio in pullman quando ci hanno detto informalmente che per la seconda volta il tavolo era saltato - spiegano i Bros -. Al ministero nessuno ha voluto scendere a parlare con noi. Un gruppo ha deciso di chiedere spiegazione al Pd, che esprime il premier e molti esponenti di governo». Così intorno alle 14, mentre gli Edn - Euro disoccupati napoletani - occupavano simbolicamente la fontana di Trevi, un contingente di precari dei Banchi nuovi e Mda di Acerra, più i collettivi Iskra e Zero81, è arrivato alla sede democrat: «Volevamo sapere i motivi dello stop e magari, tramite loro, avere una nuova data e invece, mentre stavamo discutendo, alcuni funzionari, attivisti e le guardie giurate ci sono saltati

addosso. Consiglia ha settant’anni ed è rimasta contusa insieme ad altri due compagni. La situazione si era calmata e stavamo parlando di nuovo quando è arrivata la celere. Con i manganelli prima ci hanno spinto in un angolo e poi caricati con la forza nei cellulari». Circa in quaranta fotosegnalati a cui dovrebbe seguire la denuncia. Il Pd ha replicato via twitter: «Non esistono buone ragioni per la violenza. Condanniamo con forza l’aggressione e pretendiamo rispetto per chi ci lavora». Un paio i contusi tra chi era nella sede di via Sant’Andrea delle Fratte. Altrettanto netta le replica dei manifestanti: «I signori molto poco democratici hanno tolto la maschera e alle nostre legittime richieste hanno dato una risposta di destra». Molti aderenti al progetto lottano per il lavoro dalla metà degli anni ’90. Lungo il percorso hanno accumulato un tale carico di denunce e condanne da scalare le classifiche come nemico pubblico numero uno. Addirittura sono stati accusati di estorsione ai danni dell’assessorato regionale al lavoro. Hanno collezionato condanne al 416 bis, avvisi verbali, multe di oltre 2mila euro per occupazione di binari. Una repressione mascherata da ordine pubblico. Da un anno il loro progetto non riparte perché il piano presentato dal comune alla regione, titolare del finanziamento ministeriale, è stato rifiutato da Palazzo Santa Lucia. L’ente vuole sostenere il proprio piano lavoro, che per ora non ha lasciato alcun segno nella regione maglia nera per la disoccupazione, un piano che non offre reali risposte a disoccupati di lunga durata. Così fa ostruzione, i mesi passano e il rischio è che il fondo sparisca alla prossima crisi di bilancio. Dopo le denunce le porte del ministero si sono aperte: il tavolo verrà riconvocato entro Natale, gli assessori al lavoro sono stati invitati a sedersi con una bozza di accordo.

scolastica. Il 48% degli studenti si è assentato uno o più giorni nell'arco delle due settimane precedenti al test Invalsi. Questa sarebbe la prova della loro «indisciplina» alle regole stabilite a livello internazionale. Per l’Ocse chi non si presenta a lezione «costa» 32 punti. Chi si assenta per più di un giorno fa perdere alla sua scuola 52 punti nella gara per l’«eccellenza». Per non parlare dei bocciati, di cui l'Italia sembra detenere un altro primato: il 17% contro una media del 12%. Chi sono i responsabili che azzoppano il paese nella gara? I ragazzi meridionali (i campani sono i più indisciplinati), gli immigrati, le ragazze. Non rientrano nel ristretto club dei «top performers». Peggio di loro hanno fatto solo i ragazzi argentini, giordani e turchi. L'Ocse registra inoltre un'anomalia tutta italiana. Unico paese su 65, l'Italia ha tagliato 10 miliardi di euro all'anno all'istruzione e alla ricerca pubblica dal 2008 a oggi. Ma la tendenza viene individuata già dal 2001, da

Spesa per l’istruzione tagliata dell’8% dal 2001, ma le politiche neoliberali insistono sull’aziendalizzazione quando la spesa per studente dai 6 ai 15 anni è diminuità dell'8%. Peggio hanno fatto solo Islanda e Messico. L'Ocse tuttavia non addebita i risultati mediocri registrati dagli italiani nelle sue classifiche a questi tagli. Come Singapore, ad esempio, l'Italia spende 85 mila dollari a studente, ma ottiene 485 punti in matematica, mentre la virtuosa città-stato ottiene 573 punti. L'«inefficienza» è dovuta all'inesistente «potere decisionale dei dirigenti sulla spesa per il personale». Alla ministra dell'istruzione Carrozza, la quale ritiene che i risultati Pisa devono «essere da stimolo per migliorare le performance dei nostri studenti», l'Ocse suggerisce di continuare nell'aziendalizzazione della scuola magari licenziando i docenti, per migliorare la «produttività» della scuola nei prossimi tre anni.


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il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

MADE IN ITALY PRATO · Struggente fiaccolata della comunità cinese. Il pm: «Il macro lotto è come un alveare»

Rogo, identificate le vittime

GOVERNO · Un nuovo reato, torna l’esercito

Un decreto securitario per la Terra dei fuochi zione di un Osservatorio con membri gli stessi cittadini. «Ben venga la repressione, ra stato annunciato due ma ora abbiamo bisogno di una mesi fa e ieri il cdm ha apmappatura delle terre inquinate provato il cosiddetto «rea– ha commentato a caldo don to di combustione» per la Terra Maurizio Patriciello - Ora servodei fuochi, secondo il quale chi no interventi a monte». Il parrobrucerà rifiuti potrà essere arreco di Caivano, che da tempo si stato con un reato specifico ribatte contro le ecomafie, ha schiando fino a 6 anni di carcespronato il governo affinché si INCENDIO FABBRICA TESSILE GESTITA DA CINESI/FOTO ALEANDRO BIAGIANTI A FIANCO, UN ROGO NELLA TERRA DEI FUOCHI/FOTO MAURO PAGNANO re. Svolta repressiva, dunque, approvino leggi in grado di blocper un’attività cricare il fenomeno, no cinese. «Quella sentenza ha fatto assai salati – arrivano regolarmente. microimprenditore che si aggrega in minale di sversasolo toppe giurisprudenza – spiega il legale - fiAnche la Guardia di finanza è al larealtà come in quel capannone – osCarcere per chi non mento e occultatemporanee: no ad allora se venivano riscontrati voro, impegnata sul giro di affari delserva Piero Tony - oppure da solo. È mento di materia«Dobbiamo andaabusi edilizi, la procura indagava anla "Teresa Moda", sui suoi commitun alveare, e con la penuria di risorappicca i roghi. li pericolosi che re a incidere seriache il proprietario dell’immobile. tenti italiani e cinesi, sugli appalti e se che abbiamo qui, con organici tain provincia di Na- Nella legge anche mente sulla tassaDopo non è più accaduto, a meno subappalti, e sui contratti stipulati rati a 30 anni fa, è pressoché impospoli e Caserta è zione delle fabbriche non fosse provato che il propriedall’azienda di confezioni pronto sibile il controllo totale». andata avanti in- 600 milioni per le che e sulla sistetario era a conoscenza degli abusi, e moda. Un’indagine non facile, così La Cgil Toscana fa notare che sodisturbata alme- bonifiche. Ci sarà mazione delle lonon avesse fatto nulla per ripristinacome è da sempre complicato fare no tante le aziende i cui prodotti pasno per venti anni. ro attività. Se si re la legalità». Ipotesi difficile, se i boluce sulle dinamiche del distretto sano anche dalle fabbriche-materasIl ministro Orlannifici con il pagamento degli affitti – del pronto moda: «Ogni cinese è un so dei cinesi attraverso subappalti. una mappatura continua a prodo proprio in durre in nero, e «Sono poche quelle che hanno firdelle aree un’intervista al noi facciamo finta mato l’accordo per la tracciabilità di manifesto lo scordi non vedere il filiera – ricorda Daniele Quiriconi – so mese aveva spiegato di non problema non troverà mai una nella regione ci sono Gucci e Prada». INCHIESTA essere spinto da uno «spirito vera e definitiva soluzione». Brand globali del lusso. Gli unici a securitario», ma che l’emergenSe si sceglie il pugno duro per potersi permettere di sfuggire a una L'acquisto di beni tramite di una società fittizia. Un meccanismo diffuso per abza campana necessitava di chi delinque, non vengono però dinamica che, sul fronte della produbattere l'Iva attraverso l'aumento dei costi di acquisto. La procura di Roma vuole strumenti per poter agire e dastanziati fondi per mettere in sizione di base, è evidenziata in un accertare se questo espediente sia stato utilizzato anche da Total-Erg, una delle re la possibilità agli inquirenti curezza i terreni. Se qualche solrapporto sull’imprenditoria straniepiù importanti compagnie petrolifere. Il sospetto dei pm Paolo Ielo e Mario Palaze forze dell’ordine di avere mado verrà impiegato bisognerà ra della locale Camera di Commerzi è che dietro l'emissione di fatture per la fornitura di greggio da parte di una sono libera. aspettare l’ok di Bruxelles per i cio. Una ricerca di Dario Caserta e cietà delle Bermuda, ritenuta inesistente e riconducibile alla stessa Total-Erg, sia Una strada che però non pia600 milioni del programma opeAnna Marsden che fotografa nitidaandata in porto una frode da 904 milioni di euro. L'ad di Erg Alessandro Garrone, ce ai comitati i quali chiedono rativo di riprogrammazione e di mente il dinamismo e l’incessante Luca Bettonte, manager, firmatario della dichiarazione dei redditi della Erg per il da sempre a gran voce di partire quello di coesione. Con il decreturn over dell’imprenditoria cinese, 2010, ed altre tre persone sono indagati per frode fiscale. L'ipotesi di lavoro dei con le bonifiche, mentre nella to si prevede anche l’impiego a colpi di ditte che nascono e muoiopm è che il petrolio non venisse acquistato direttamente dal produttore, ma da manifestazione dello scorso 16 dell’esercito, così come avvenuno nel giro di due stagioni, quasi una società controllata che a sua volta lo comprava dal produttore al fine di aunovembre avevano proposto, into in altri momenti di crisi nelsempre individuali, e per tanti versi mentarne i costi e di ridimensionare il versamento dell'Iva. sieme a Fiom e Libera, la costitul’emergenza rifiuti della Campamolto difficili da controllare. nia. I militari potrebbero essere chiamati fin da subito a presidiare i terreni a rischio per evitare che continuino gli incendi. Una · DECRETO ILVA Con i soldi sequestrati dalla procura di Milano. Evitato lo scontro con la gip tarantina pratica che ha finito per appestare anche l’aria oltre che le terre. Qui la camorra ha buttato di tutto, perfino scorie nucleari. Sempre secondo la norma d’urgenza varata ieri è prevista entro 150 giorni la perimetrazione l’inchiesta portata avanti daldelle aree agricole interessate. Gianmario Leone la procura milanese per frode «Un’operazione di verità – ha afTARANTO fiscale. Risorse che al momenfermato in conferenza stampa el decreto legge sulle emergenze to si trovano nel Fondo unico la ministra Nunzia De Girolamo ambientali e industriali approvato della giustizia. In caso di even– per individuare quelle aree ieri dal Consiglio dei ministri, oltre tuale proscioglimento, il grupcontaminate impedendogli di alle norme per la Terra dei fuochi, una fetpo Riva non potrà comunque produrre ancora alimenti». Per ta rilevante riguarda le «disposizioni urgenrichiedere indietro le somme il presidente del Consiglio Enriti per la tutela dell’ambiente, del lavoro e sequestrate, in quanto il deco Letta questo è solo l’inizio: per l’esercizio di imprese di interesse stracreto prevede che le somme «Si tratta di una risposta senza tegico nazionale». Più semplicemente, si impiegate per l’attuazione precedenti, forte, netta per recutratta dell’ennesimo intervento dello Stato dell’Aia «non saranno comunperare tempo perduto», ha dinell’intricata vicenda dell’Ilva di Taranto. que restituibili». chiarato da Palazzo Chigi. SoddiAl testo hanno lavorato alacremente nelle Nel testo trova inoltre spasfazione è stata espressa anche ultime settimane i tecnici dei ministeri Amzio la spinosa questione delle da Ermete Realacci, esponente biente e Sviluppo economico, sotto la susanzioni previste dalla legge democratico in commissione pervisione dei commissari Ilva, Enrico 231/2012 e riprese dalla ambiente, che ha ricordato coBondi ed Edo Ronchi. Che da tempo la89/2013, per la non attuaziome siano almeno 15 i clan che L’ILVA DI TARANTO/FOTO ANDREA SABBADINI. mentano l’impossibilità di procedere nel ne delle prescrizioni dell’Aia. hanno lavorato indisturbati. loro compito per via delle lungaggini burodella fabbrica, commissariandola, a fronte Ed è questo il punto più delicato e ambiguo Si è invece ancora lontani, a licratiche e della mancanza di liquidità a della totale inadempienza nell’attuazione del nuovo decreto. Il testo prevede infatti vello legislativo, dal dichiarare il fronte dei tanti interventi da effettuare sudell’Aia. È dunque pressoché scontato che che non ci sarà alcuna sanzione «per atti o nesso tra aumento esponenziagli impianti dell’area a caldo del siderurgiquei soldi non arriveranno mai dal gruppo comportamenti imputabili alla gestione le dei tumori e avvelenamento co, previsti dall’Aia (l’autorizzazione intelombardo. Cosa che il governo sa molto becommissariale dell’Ilva» se saranno rispettadei territori. Tanto che Antonio grata ambientale). ne. Tanto da aggiungere nel testo che «ove te le prescrizioni dei piani ambientale e inGiordano, uno dei medici per Non è un caso dunque, che la questione il titolare dell’impresa o socio di maggiorandustriale, nonché la progressiva attuazione l’ambiente sottolinea la poca atdelle risorse sia al primo punto del nuovo za non metta a disposizione del commissadell’Aia. Inoltre, le sanzioni riferite ad atti tenzione per i rischi oncologici, decreto. Il testo prevede che dopo l’approrio straordinario, in tutto o in parte, le somimputabili alla gestione precedente al comuna svolta fondamentale per le vazione del piano industriale e del piano me necessarie», al commissario straordinamissariamento, ricadranno sulle «persone popolazioni in sofferenza. «Non delle misure e delle attività di tutela amrio saranno trasferite, previa richiesta, le fisiche che abbiano posto in essere gli atti o c’è una riga sul diritto alla salute bientale e sanitaria, «il titolare dell’impresa somme sottoposte a sequestro penale in recomportamenti», sempre i Riva, e non sa– scrive Antonio Musella, coauo il socio di maggioranza» è obbligato a lazione ai procedimenti penali a carico del ranno poste a carico dell’impresa commistore del libro Il paese dei veleni – mettere a disposizione del commissario titolare dell’impresa o del socio di maggiosariata «per tutta la durata del commissarianiente riguardo alla necessità di straordinario le somme necessarie agli inranza, «diversi da quelli per reati ambientamento». Dunque, nel caso l’azienda ritorni potenziare il servizio sanitario terventi di risanamento, entro e non oltre li o connessi all’attuazione dell’Aia». È sicual gruppo lombardo, saranno loro a farsene pubblico, di avviare le indagini 15 giorni dal ricevimento della diffida, «meramente significativo questo passaggio: in carico. Infine, semplificate le procedure di tossicologiche. A chi applaude diante trasferimento su un conto intestato pratica, per evitare un nuovo scontro fronVia (valutazione di impatto ambientale) sulal decreto posso consigliare soall’azienda commissariata». Il titolare deltale con la magistratura tarantina, il goverle modalità di bonifica e di combinazione lo di leggerlo e poi confrontarlo l’impresa o socio di maggioranza, in questo no guarda a Milano, dove la Guardia di Fitra norme urbanistiche in vigore e opere da con le richieste dei movimenti. caso, è sempre il gruppo Riva. A cui però nanza nei mesi scorsi ha sequestrato 1,9 mirealizzare. Il testo, che ora arriverà in Aula, Di quello che chiedevamo non proprio il governo ha sottratto la gestione liardi di euro al gruppo Riva nell’ambito delè già norma. c’è quasi nulla». Francesca Pilla NAPOLI

E

Riccardo Chiari PRATO

A

lla vigilia del primo lutto cittadino nella storia di Prato, nella tragedia di tutti si avverte anche qualche nota stonata. Ci sono l’ambasciatore e il console che vanno a trovare i feriti in ospedale senza che nessuno, dalla Prefettura alla Digos, sia stato avvertito. E già al mattino le associazioni cinesi fanno sapere informalmente che le sette vittime del rogo di via Toscana, cinque uomini e due donne, sono state identificate. In anticipo, anche comprensibile, rispetto agli investigatori, che in seguito ricevono la comunicazione ufficiale. Sono particolari, magari anche piccoli che però portano acqua al mulino dei sostenitori dell’incomunicabilità fra vecchi e nuovi residenti. Pronti a far notare perfino la doppia fiaccolata in ricordo della strage: ieri pomeriggio quella organizzata dalla comunità cinese. Una manifestazione struggente, con un migliaio di partecipanti e ben visibili le foto di sei dei sette morti. Oggi quella dei sindacati, delle rappresen-

Silenziosa visita lampo ai feriti dell’ambasciatore e del console della Repubblica popolare tanze istituzionali, e i tutti i pratesi che vorranno piangere donne e uomini morti mentre lavoravano - e vivevano - nella loro città. I due feriti più gravi, intossicati del fumo dell’incendio, se la caveranno. Ma sono ancora in rianimazione e non hanno potuto parlare con l’ambasciatore Li Ruiyu e il console generale a Firenze, Wang Xinxia, autori di una visita lampo per informarsi direttamente dei medici delle condizioni dei connazionali. Assai più doloroso il riconoscimento di una delle vittime, fatto dal marito grazie a una catenina che la donna portava con sé. Nel mentre muove i primi passi l’inchiesta aperta dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri con le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, sfruttamento di mano d’opera clandestina e violazione delle leggi sulla sicurezza del lavoro. I primi a finire nel registro degli indagati sono la titolare della ditta, e dei tre gestori di fatto della “Teresa Moda”. Tutti figli del celeste impero. A Radio anch’io il procuratore Piero Tony dice di non escludere che nell’inchiesta finisca anche qualche italiano. Ma non risponde alla domanda se possa essere indagato anche il proprietario pratese del capannone dove è avvenuta la tragedia. Il motivo è presto detto: lo rivela al quotidiano locale Il Tirreno l’avvocato Gaetano Mari, che a inizio 2010 ha visto assolvere un suo cliente rinviato a giudizio per concorso negli abusi edilizi commessi dall’inquili-

· Frode fiscale, indagine su Total-Erg

I Riva obbligati al risanamento N


il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

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ITALIA

MANIFESTAZIONE ANTIMAFIA DI LIBERA/FOTO ALEANDRO BIAGIANTI

CALABRIA · Arrestata per voto di scambio la ex prima cittadina di Isola Capo Rizzuto

I finocchi delle ’ndrine infiltrano l’antimafia Silvio Messinetti CROTONE

«S

venturata la terra che ha bisogno di eroi, beato il popolo che non ha bisogno di eroi» esclamava Galileo. L’abbiamo spesso detto, la lotta alla mafia non si vince con i "professionisti dell’antimafia", parafrasando Sciascia. Siano giudici, politici o persone comuni della tanto osannata "società civile". Ma è un cimento collettivo che deve smuovere le coscienze individuali. Senza personalismi, leader, eroismi, funzionali a far carriera, business o quant’altro. Perché, altrimenti, l’antimafia sminuisce di valore e rischia di essere, diceva lo stesso Sciascia, «strumento di una fazione per il raggiungimento di un potere incontrastato e incontrastabile». Ecco perché la notizia dell’arresto di Carolina Girasole, alla guida di Isola Capo Rizzuto dal 2008 al 2013, annoverata tra i cosiddetti sindaci an-

a finalità sociali, cosa poi avvenuta nel 2010. Il Comune li ha poi assegnati all’associazione Libera Terra Crotone senza però poterne attuare la materiale consegna poiché parte dei fondi risultava occupata da colture agrarie. Don Ciotti non ha voluto saperne di rilevarli, perché «l’associazione non ha mai gestito il raccolto altrui». La giunta comunale a questo punto ha deciso di indire una gara d’appalto per la vendita dei finocchi. Come spesso accade, essendo gli appalti "cosa lo-

tindrangheta, non lascia sbigottiti. Intanto perché le accuse nei suoi confronti andranno provate in un pubblico dibattimento. E poi perché a queste latitudini il tessuto sociale è talmente marcio che ci si può attendere di tutto. «Voto di scambio aggravato dall’articolo 7 per aver favorito la cosca degli Arena» è il capo d’imputazione a suo carico. Girasole paga il cosiddetto appalto dei finocchi. Tutto infatti ha avuto inizio con il sequestro di un vastissimo terreno di proprietà degli Arena, potente cosca isolitana con ramificazioni in Lombardia (capace nel 2009 di far eleggere persino un senatore, quel Nicola di Girolamo del Pdl oggi in carcere), coltivato a finocchi. La Dda di Catanzaro, che ha coordinato l’inchiesta durata tre anni, attraverso le microspie e le intercettazioni ambientali ha potuto ascoltare in diretta le conversazioni e i traffici tra l’allora sindaca, i membri della giunta e la picciotteria. Nonostante il sequestro del terreno coltivato a finocchi, scrivono gli investigatori, «gli Arena hanno continuato a gestire i propri poderi» tramite la società agricola San Giovanni snc, partecipata dai quattro figli di Nicola Arena, il patriarca. Sino a quando la magistratura li ha definitivamente confiscati. C’erano però da smaltire i quintali di finocchi ormai pronti per la raccolta. E il podere è stato affidato al comune, così come il raccolto per essere destinati

Don Ciotti si era rifiutato di venderli. Secondo gli inquirenti la gara fu «aggiustata» per favorire la cosca Arena teria si è persino prodigata per farli ritrovare. Il sindaco si sarebbe rivolto a Ciccio Gentile, uomo degli Arena, per riottenere tutti i computer. Un anonimo con una telefonata ai carabinieri, qualche giorno dopo il furto, ha permesso il ritrovamento della refurtiva. Intanto dalle parti della destra di Isola si stappano bottiglie di spumante. «Un abbraccio virtuale al Procuratore Vincenzo Antonio Lombardo, al sostituto Salvatore Curcio, al Gip Abdigal Mellace ed agli uomini della Guardia di Finanza», si legge sul blog isolacaporizzuto.wordpress.com, il megafono del Pdl che ha trionfato alle elezioni. L’attuale sindaco si chiama Gianluca Bruno ed è un nome noto alle cronache. Era commensale alla cena di ringraziamento officiata dai boss in onore del senatore Di Girolamo. Insomma, una maionese impazzita in cui c’è tutto e il contrario di tutto.

IL CONVEGNO · La Link Campus University affronta il fenomeno criminale italiano

Cosche sempre più «glocal» Carmine Fotia

Carolina Girasole imputata per la vendita dei prodotti di un campo confiscato e assegnato all’associazione Libera

ro", gli Arena si sono riappropriati della raccolta attraverso dei prestanome. Costo 250 mila euro. Una gara «aggiustata», dicono i magistrati. La cosca ha così provveduto a smistare sul mercato il prodotto, ricavandone un milione. In segno di riconoscenza Nicola Arena e il figlio Massimo hanno inviato a Girasole, al suocero e alla mamma quattro cassette di finocchi. Nei dialoghi intercettati dalla Guardia di Finanza, il boss parla aper-

tamente dei favori avuti dalla sindaca: «A questa possiamo chiedere tutto, lì l’abbiamo messa noi». Il gip, nel provvedimento di arresto, è andato oltre la richiesta del pm, accusando la Girasole di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti l’appalto "pilotato" sarebbe stato il pegno da pagare agli Arena come riconoscenza per l’appoggio ricevuto alle elezioni del 2008. Un migliaio di voti, secondo quanto dicono gli stessi nelle intercettazioni. Preferenze che, scrivono i magistrati della Dda, «sono state decisive» per farla diventare sindaco. Voti che gli erano stati chiesti in «maniera esplicita» da Francesco Pugliese, marito della sindaca Girasole. Un sostegno che gli è poi stato restituito «non per un fatto economico, ma in segno di riconoscenza». Così il sindaco antimafia aveva pagato il suo debito chiudendo un occhio e consentendo che gli Arena raccogliessero i prodotti coltivati sui 100 ettari di terreno che gli erano stati confiscati e che erano stati assegnati al comune di Isola. Durante il suo mandato di sindaco Girasole ha subito attentati e intimidazioni. Alla luce dell’indagine denominata Insula, è stato possibile accertare che i danneggiamenti sono stati opera di criminalità comune e non della ‘ndrangheta. Quando al municipio, i ladri hanno portato via i computer e la picciot-

L’

allarme è serio e documentato, e va preso in seria considerazione non solo perché proviene da centri studi specializzati ma soprattutto perché, a leggerlo con occhi politici, ci dice che il nostro paese ha un fortissimo spread che si chiama criminalità organizzata, anzi, per essere più precisi, ‘ndrangheta, considerata in questo momento una delle più potenti, se non la più potente organizzazione criminale del mondo, leader nel traffico della cocaina, con ramificazioni in Europa e, questa la vera novità, un ruolo dominante in centro e in Sudamerica, in particolare in Brasile che in questo momento è il principale hub di smistamento della cocaina. L’occasione è un convegno promosso da Link Campus University, presieduta da Vincenzo Scotti, insieme a Criss (Consortium for Research on Intelligence and Security) e il centro studio Gino Germani, sulla nuova alleanza tra la ‘ndrangheta e i cartelli sudamericani del narcotraffico. Converrà partire da qualche numero per comprendere l’entità del fenomeno: il traffico di cocaina produce circa 500 miliardi di dollari di profitto annui; il complesso dell’economia criminale rappresenta circa il 3% del Pil mondiale, il 10% in Italia. I numeri sono noti, ma la novità sta nell’approccio, nella lettura geopolitica dell’espansione criminale in Italia e nel mondo. «Anni di prevalenza dell’attenzione al terrorismo islamico hanno fatto passare in secondo piano la minaccia globale che sorge dal legame tra politica e criminalità organizzata, che controlla partiti, mezzi di comunicazione di massa, organizza, al pari di alcune organizzazioni terrroristiche, anche azioni filantropiche. Insomma tende a conquistare

lo stato o comunque a infiltrarsi in esso», sostiene il professor Luigi Sergio Germani. In alcuni casi le mafie arrivano persino, con terribile e pirandelliana astuzia, a infiltrarsi nei movimenti antimafia. «L’approccio fondato esclusivamente sull’ordine pubblico», afferma Rosario Aitala, consigliere del presidente del Senato, «è insufficiente poiché le mafie, esercitando il dominio su un territorio, agiscono da soggetto geopolitico, erodendo lo spazio di sovranità degli stati. La pecularietà del modello mafioso italiano sta nel fatto chein Italia la mafia non vuole sostituirsi allo stato ma se ne serve per estendere il proprio potere». Inoltre, mentre altrove le organizzazioni

Mescolando tradizione e modernità, la ’ndrangheta è oggi la più forte e impermeabile organizzazione del mondo criminali non sopravvivono alla morte del capo, in Italia la mafia permane nel tempo e si trasmette attraverso riti di affiliazione che, a prescindere dall’aura tradizionalista, sono un modo assai efficace di proteggere la natura segreta dell’organizzazione. Il vincolo di sangue è particolarmente forte nella ‘ndrangheta, la cui forza sta nella natura più democratica e meno centralizzata del comando rispetto a Cosa Nostra. Le ‘ndrine si rapportano in modo più orizzontale: ognuna di loro ha una propria proiezione, sia a livello nazionale che globale. Il rapporto non viene intermediato dalla Cupola, ma è diretto. Ogni "locale", sia esso in giro per l’Italia che nel mondo, fa sempre riferi-

mento a una delle ‘ndrine della provincia di Reggio Calabria. Insomma, la ‘ndrangheta ha saputo coniugare tradizione e modernità, facendo dei propri "arcaismi", per esempio il legame di sangue e l’obbedienza, un fattore di vantaggio rispetto a mafia e camorra, per cui essa viene ritenuta assai più affidabile dai produttori di cocaina, di cui è la principale spacciatrice su scala mondiale. Il nonno, magari, vive ancora in qualche sparuta casupola dell’Aspromonte, circondato da rispetto e omertà, parla solo il dialetto e non sa usare il computer, ma il nipote è magari un australiano di seconda generazione che parla inglese e calabrese, si è laureato, conosce i segreti della finanza e si muove come un manager nel mondo del traffico di droga. Mai, però, perderà il rapporto con le origini, perché è da lì che viene il suo carisma criminale, la sua affidabilità. Ecco perché, pur essendo globale, la ‘ndrangheta ha bisogno assoluto di essere anche locale. Credo che la modernizzazione della ‘ndrangheta cominci negli anni ’70, con gli appalti per la costruzione del Porto di Gioia Tauro divisi tra le ‘ndrine. Ma oggi c’è un salto di qualità: la ‘ndrangheta è stata la più veloce a diventare glocal, mantenendo però ben saldi i piedi nel proprio territorio, dove piega lo stato ai propri interessi. La mafia è «liquida» perché sa infilarsi in ogni piega della globalizzazione, ma è solidissima è spietata nel controllo del territorio, del quale ha bisogno per esercitare il proprio dominio e controllare le vie dei propri traffici. Come ha bisogno ancor più di ieri del legame con la politica per sviluppare i propri affari. E qui dovrebbe tornare in campo la politica perché, come dice Enzo Scotti, «la criminalità rappresenta il primo e maggiore pericolo per la stabilità e la democrazia».

STATO E ANTI-STATO

Collusione e corruzione, così ci si infiltra Felice Romano

È

ormai accertata l’elevata capacità della criminalità organizzata di infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, riuscendo a instaurare relazioni con la società civile. Essa si alimenta soprattutto di collusione e corruzione. In questo modo risultano intaccati il comportamento civico, la fiducia, le reti di relazione, cioè il capitale sociale di un territorio. Si instaura, insomma, un sistema di intrecci perverso tra società civile e società illegale che si autoalimenta e di cui è difficile valutare la complessiva portata. Secondo le stime ufficiali dell’Istat, nel 2008 il valore prodotto nell’area del sommerso economico era tra un minimo di 255 miliardi e un massimo di 275, pari, rispettivamente al 16.3% e al 17,5% del Pil. Altre stime basate su medie dirette sono quelle fornite da Eurispes, che valuta l’economia criminale in circa l’11,4% del Pil per il 2007 e quelle prodotte da Confesercenti, che ne stima il valore economico in circa il 7% del Pil. Possiamo affermare che i costi delle attività delittuose sono rilevanti per i singoli, per il sistema produttivo e finanziario, per l’intera collettività, e che gli stessi si innalzano se il crimine è organizzato. Le estorsioni, ad esempio, oltre a sottrarre direttamente risorse agli imprenditori assoggettati al racket disincentivano gli investimenti. Inoltre, in una economia infiltrata dalla criminalità organizzata la concorrenza viene distolta in molti modi: per assurdo si può affermare che un commerciante vittima di racket può finire con il considerare il pizzo come il compenso per un servizio di protezione contro la concorrenza nel suo quartiere; il riciclaggio dell’economia legale di proventi criminali impone uno svantaggio competitivo alle imprese che non usufruiscono di questa fonte di risorse a basso costo; i legami corruttivi tra associazioni criminali e pubblica amministrazione condizionano la fornitura di beni e servizi pubblici. Nel complesso possiamo sostenere che viene compromesso lo sviluppo economico ma anche sociale dei territori in cui le mafie si diffondono. In una parola viene compromessa la sicurezza del territorio. Per valutare la minaccia alla sicurezza, vanno altresì considerati anche i costi indiretti che i singoli o le imprese si trovano a sostenere per effetto della presenza delle mafie. Rispetto al passato, costellato da stragi e omicidi efferati, oggi la criminalità organizzata si insinua nelle istituzioni, nelle imprese e nel mercato del lavoro ottenendo un controllo del territorio assai più radicato e anche con il consenso sociale. Ciò ha determinato l’acquisizione di una larga fascia del mercato del lavoro, di quello produttivo (anche in funzione delle difficoltà di quelle che lavorano in concorrenza leale rispetto a quelle entrate nel circuito della ‘ndrangheta che invece hanno come unico fine il riciclaggio del denaro illecito) e quello dell’economia reale, ma anche un ramificato consenso sociale sempre più in crescita atteso che i cittadini e i lavoratori intravedono in queste forme l’unica possibilità di poter ottenere un lavoro e poter vivere la propria vita. Un fatto di estrema gravità che, se non arginato in tempo, corre il rischio di consegnare la società civile in mano alle organizzazioni mafiose. Lo dico con la consapevolezza dell’esperienza vissuta sul campo allorquando le forze di polizia sono andate a sequestrare le imprese nelle quali la ‘ndrangheta e le mafie si erano introdotte. Partendo dall’affermazione latina "pecunia non olet", i cittadini hanno contestato le forze dell’ordine, la magistratura e lo Stato perché in quel momento gli stavano togliendo l’unica possibilità di reddito della loro famiglia. Insomma, siamo correndo il rischio che i cittadini percepiscano lo Stato come l’anti-stato e l’anti-stato come l’unica organizzazione in grado di dare risposte concrete ai bisogni della gente. * segretario generale Siulp


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il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

POLITICA Civati è della partita del rottamatore. Cuperlo no: «Sono minacce come quelle di Berlusconi. Non ho simpatia per Alfano, ma i suoi voti servono alla sopravvivenza del governo»

MAFIA, ALLARME DI ALFANO

«Possibile ripresa dello stragismo»

Daniela Preziosi

U

ltimatum numero due. Un Matteo Renzi sulla soglia dell’ubiquità lo lancia dal Teatro Olimpico, dove in serata tiene la sua ultima iniziativa romana, e contemporaneamente da Porta a Porta, in una puntata registrata nel pomeriggio. Il messaggio è uno, lo stesso di domenica: se il governo non si dà una mossa, salta. «Oggi con Grillo e Berlusconi abbiamo le larghe intese dell’opposizione. E sono bravi a fare opposizione. Quindi o noi, da fulcro del governo, riusciamo a far sì che Letta riesca a fare le cose che servono a italiani o alle prossime elezioni Grillo e Berlusconi ci fanno un bel panino e ci portano via». Fra i fedelissimi di Renzi c’è chi giura che non è un bluff. Che Renzi ha spiegato a Letta che il governo non può galleggiare. Che lui, Renzi, non ha paura del voto. Che ha già preparato tutto: non solo la segreteria - 12 persone, metà donne - ma anche un nuovo governo. Sulla prima non si tratta: se vince, lunedì la presenta: «I segretari del Pd si sono sempre fermati a discutere con il singolo capocorrente. Se vinco, presenterò questa squadra. C’è senza bisogno di trattarla», dice. La road map renziana prevede, già all’indomani delle primarie, una riunione con i gruppi parlamentari per comunicare che «si cambia verso», che serve un rimpasto di governo, che con l’Ndc di Alfano «va bene collaborare ma partendo da rapporti di forza che non sono quelli di questi ultimi mesi in cui sembrava che il Pd fosse a rimorchio». Tradotto: a casa molti ministri alfaniani, e forse anche qualcuno del Pd (come il ministro Zanonato, considerato ’poco attivo’), accelerazione massima sulla legge elettorale, iniziative simboliche sul terri-

SOPRA GIANNI CUPERLO/FOTO ALEANDRO BIAGIANTI; ACCANTO, MATTEO RENZI /FOTO LUIGI MISTRULLI

DEMOCRACK · Il sindaco: entro gennaio un programma per il 2014. «Altrimenti ci portano via»

Renzi a Letta, pacco alla tedesca torio, come portare nella Terra dei fuochi mille sindaci. Poi l’11 sì alla fiducia a Letta. Ma a condizione che entro gennaio dia un programma dettagliato per il 2014, un «patto alla tedesca». Con un timing preciso. «Dobbiamo essere seri con noi stessi», spiega il sindaco. «In questi mesi, tutte le partite sono state rinviate. Imu compresa. Chi vota per me l’8 dicembre vota per tre cose precise che ho chiesto al governo», taglio alle spese della politica, nuove leggi sul lavoro e ricontrattazione dei patti europei, «e i gruppi parlamentari si adegueranno a quello che hanno votato gli elettori». Renzi si dispone,

almeno a parole, a sfidare i parlamentari Pd, almeno quelli che non si adegueranno a «cambiare verso». E non crede, dice chi ci ha parlato, che il presidente Napolitano, preso atto della situazione, possa compiere atti che rallentino l’eventuale corsa verso le urne. Renzi giura che non si tratta della sua ambizione di «prendere il posto di Letta». «Oggi ci troviamo in una condizione particolare: uno della mia squadra che è solo davanti alla porta e non è in fuorigioco. Io sono a metà campo. Che faccio, scarto tutti e vado in gol? No, volentieri passo la palla a Letta». Il premier si trincera dietro la fel-

LEGGE ELETTORALE · Oggi camera di consiglio. Grasso: stallo al senato

Consulta tra ammissibilità e rinvio Giudici divisi sul dopo Porcellum ROMA

D

elle quattro questioni di costituzionalità sollevate a marzo dalla Cassazione sulla legge elettorale in vigore l’inesistenza di una soglia minima di accesso al premio di maggioranza, alla camera e al senato, e le liste bloccate, alla camera e al senato - i quindici giudici costituzionali non hanno ancora ufficialmente cominciato a discutere. Lo faranno oggi, in camera di consiglio, a partire dalle 9.30. Sarebbero orientati a decidere per l’ammissibilità delle questioni, ma potrebbero lasciarsi oltre un mese di tempo per arrivare a una soluzione e a una sentenza. Ci sono le ferie invernali e la prossima camera di consiglio è convocata per il 14 gennaio. Nel frattempo il parlamento dovrebbe riuscire a battere un colpo. Se non il senato, la camera: ieri il presidente di palazzo Madama Pietro Grasso ha detto chiaro e tondo che trasferire l’argomento ai deputati non sarebbe vissuto come uno scippo. Ma come atto dovuto di fronte all’inerzia dei senatori. La relazione che il giudice costituzionale Tesauro ha tenuto ieri mattina in apertura dell’udienza pubblica dedicata alla legge elettorale ha messo di buon umore i ricorrenti. Perché non lascia prevedere un rigetto dei quesiti, come pure suggeriscono alcuni giuristi e la giurisprudenza prevalente della Consulta - in quanto il ricorso sulla legge elettorale assomiglia a un ricorso diretto da parte dei cittadini (che l’ordinamento italiano non prevede). Per sostenere l’irragionevolezza del Porcellum, agli avvocati dei ricorrenti è bastato ricordare l’esito delle ultime elezioni: il primo partito (il Pd con il 29,5%) ha preso 340 seggi alla camera (il 54%) grazie all’abnorme premio di maggioranza, il secon-

do partito (il M5S) ha raccolto appena lo 0,5% in meno dei voti ma ha ricevuto in cambio solo un terzo dei seggi. «Ci rendiamo conto della valenza politica» del giudizio cui siete chiamati, hanno spiegato gli avvocati Bozzi, Besostri e Tani rivolti ai giudici della Consulta, ma la Costituzione viene prima di tutto. E cancellare il premio di maggioranza non lascerebbe alcun vuoto normativo, semplicemente la legge elettorale si trasformerebbe in un proporzionale puro. È questa l’ipotesi prevalente. Più difficile che la Consulta accolga anche le richieste sul voto di preferenza, assai più difficile che si spinga fino a far tornare in vita il

precedente sistema, il Mattarellum (da Sergio Mattarella, ex ministro delle riforme e oggi giudice costituzionale). «La Corte costituzionale ci ha dato qualche settimana in più - ha detto ieri pomeriggio il presidente del senato Grasso, evidentemente sicuro sull’esito della camera di consiglio di oggi - spero che presto si possa trovare un’ampia condivisione in senato, dove la mediazione è più complessa. Ma - ha aggiunto - se lo stallo dovesse continuare non esiterò a sostenere il trasferimento alla camera». Un’esito suggerito da tempo dal deputato del Pd Giachetti, in sciopero della fame da 59 giorni, e in generale dalle truppe renziane. Contrastato però dal centrodestra di opposizione (Fi) e di governo (Ncd), che solo al senato ha i numeri per bloccare doppi turni e uninominali. Non a caso i senatori di Alfano hanno immediatamente protestato con Grasso, accusandolo di voler destabilizzare il governo e aiutare Renzi. Il quale sindaco di Firenze ha dato al parlamento un tempo non brevissimo: vuole un voto in prima lettura sulla legge elettorale entro le elezioni europee. Cioè entro fine maggio 2014. a. fab.

ELEZIONI EUROPEE · L’imbarazzo comune di Pd e grillini Una mozione semplice, presentata dai socialisti e firmata anche dai «civatiani» del Pd. Ma il senato non riesce a votarla, ieri il rinvio su richiesta proprio del Pd. La mozione chiede che l’Italia si adegui alle raccomandazioni della Commissione europea, e cioè che alle prossime elezioni per l’europarlamento i candidati indichino sulla scheda l’affiliazione con i gruppi presenti a Strasburgo. Innovazione comprensibile, visto che ai partiti spetta l’indicazione di un candidato alla guida della Commissione. Ma la mozione imbarazza i democratici, almeno nella componente popolare, malgrado il gruppo ora si chiami dei socialisti e dei democratici. Nei guai i grillini, che non hanno riferimenti naturali in Europa e secondo alcuni eurodeputati sarebbero orientati verso l’Alde, gruppo liberista e conservatore di cui è leader il commissario Rehn: un portavoce M5S ha smentito. Divisa anche Sel tra chi marcia verso il gruppone socialista e la componente verde, che a Strasburgo resiste.

pata certezza che «il segretario del Pd eletto domenica sarà un motore fondamentale per un governo forte che faccia del 2014 l’anno delle riforme». Con i migliori auguri di successo alle primarie che serviranno «per una forte spinta al governo». Ma se Letta, a giudizio di Renzi, non andasse in gol, la spinta si trasformerebbe davvero in uno spintone? Il candidato Pippo Civati, che al governo (che «un tempo avremmo chiamato del ribaltone», dice ad Agorà, RaiTre) augura tre mesi di vita giusto per fare la legge elettorale, sarebbe della partita di Renzi. Gianni Cuperlo no, almeno per il momento: «Ma cosa sono quelle di oggi se non minacce a Letta? Il sindaco di Firenze dice ’basta rinvii’. Sono d’accordo con lui. Questo governo deve fare le cose che servono al Paese per uscire dalla crisi. Ma ricordo a Renzi che questo è lo stesso metodo usato da Berlusconi, da Brunetta e Gaspar-

ri». Lo sfidante non si sottrae dal ruolo di «garanzia di stabilità», per dirla con le parole di Massimo D’Alema. Fi fatto Cuperlo frena sulla crisi. «Saranno pochi i senatori di Alfano, per cui non ho grande simpatia, ma sono decisivi per la sopravvivenza del governo. Noi il governo lo vogliamo aiutare o lo vogliamo fare cadere?». Ma appunto, ora la palla passa a Letta. Se quello di Renzi non è solo un bluff per trascinare gli scettici ai gazebo, Letta potrebbe lasciare già a febbraio Palazzo Chigi. Per ritrovarsi magari capolista in tutta Italia alle Europee, per mandare a Strasburgo una squadra italiana capace di non farsi maltrattare, com’è successo ieri, dal commissario Olli Rehn. Verso il quale Renzi non è tenero: quello che dice un commissario «non è Vangelo». E quanto al vincolo del 3 per cento: «Col piffero che io continuo a seguire il patto di stabilità se l’Europa è in mano ai burocrati».

Rafforzate le misure di sicurezza nei confronti dei magistrati di Palermo che indagano sulla presunta trattativa tra lo Stato e la mafia. A deciderlo è stato ieri il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza convocato nel capoluogo siciliano e al quale ha partecipato il ministro degli Interni Angelino Alfano. Che non ha mancato di sottolineare la gravità delle molte minacce ricevute dai magistrati. «Non possiamo escludere la tentazione di una ripresa della strategia stragista dopo tanti anni di silenzio, ma lo Stato sarà pronto a reagire», ha detto Alfano al termine della riunione. La preoccupazione espressa dal titolare degli Interni si basa proprio sui numerosi segnali di pericolo che ormai da mesi giungono alla procura palermitana, e che dimostrano l'attenzione con cui Cosa nostra, e forse non solo lei, segue l’attività di tutti e tre i pm della trattativa e in particolare di Antonino Di Matteo, a cui il boss Totò Riina dal carcere ha augurato la morte. Minacce che sono contenute in maniera esplicita anche in alcune lettere arrivate in procura e in un cui un anonimo mostra di conoscere molto bene gli spostamenti e i tragitti percorsi normalmente dal magistrato e dagli uomini responsabili della sua protezione. Anche per questo ieri è stato deciso di dotare la scorta di Di Matteo di un «bomb jamber», un dispositivo in grado di neutralizzare eventuali ordigni presenti nelle vicinanze. «Noi abbiamo messo a disposizione dei magistrati di Palermo ogni cosa che risulti necessaria - ha proseguito Alfano - non badiamo a dispiegamento di mezzi e uomini perché facciamo tutto quello che è necessario fare».

Forza Italia/APPELLO DEL PREMIER SULLE RIFORME

Berlusconi scatenato. Pollice verso al governo. E «mai il Mattarellum» Andrea Colombo

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urissimo. A ruota libera su tutto. Cancella di getto ogni illusione sull’«opposizione responsabile» il Silvio Berlusconi che si rivolge ai gruppi parlamentari, riuniti non alla camera o al senato ma nella nuova sede romana di Forza Italia. Perché lui, il capo umiliato e offeso, nel parlamento che lo ha cacciato non vuol più mettere piede se non nelle vesti del trionfatore. Magistratura democratica? Quella è la vera centrale golpista, organizzata sin dai tempi di Palmiro il Migliore per prendere il potere. Come le Br: altro che la P2, inoffensiva «accolita di illusi». La decadenza? «Un colpo di Stato di cui all’estero non sanno darsi ragione». Dalla prima all’ultima parola, il cavaliere ruggente usa toni da campagna elettorale. Chiama alle armi le «sentinelle del voto», perché i brogli sono sempre dietro l’angolo. Suona la tromba per una «battaglia di libertà» che è sì prima di tutto contro i golpisti in toga, ma anche contro la casta, dalla quale i rivoluzionari azzurri devono tirarsi fuori il prima possibile. Se al comiziaccio del capo si somma l’atteggiamento che la resuscitata Forza Italia sta tenendo in parlamento, un’opposizione durissima, la conclusione si impone da sé. L’obiettivo è il voto, senza subordinate, senza mezzi toni, senza dialogo se non di facciata.

Non a caso, dopo aver dato sfogo all’ira contro i carnefici in toga, Silvio il Piazzista offre un antipasto di quello che sarà il suo cavallo di battaglia di qui alle elezioni politiche. «Una cosa dobbiamo garantire: con noi non ci saranno ma patrimoniali». Poche ore prima Enrico Letta si era rivolto direttamente ai forzisti con un accorato appello: «Chiedo a Fi di distinguere la scelta di non appoggiare il governo da quella di continuare un percorso di riforme istituzionali. Se non si fanno le riforme affonda tutto il Paese». La risposta arriva con il proclama elettorale del capo, ed è un pollice verso. Non ufficialmente, certo. I forzisti si trincereranno dietro la linea più ovvia: si diranno pronti a sostenere le riforme che li convincono ma non più impegnati a sostenere comunque una maggioranza della quale non fanno più parte e un governo che non vedono l’ora di abbattere. La stessa posizione illustrata a Napolitano nell’incontro della settimana scorsa al Quirinale. Parole. Il Decaduto sa perfettamente che portare a termine la riscrittura della Carta in questa legislatura è un miraggio, fatto balenare solo perché ammettere l’impossibilità di fare le riforme significherebbe riconoscere che queste camere non hanno più ragion d’essere. Dunque non lo dirà apertamente, per non passare da sabotatore agli occhi dell’elettorato, ma i

suoi provvederanno proprio a sabotare ogni velleità riformatrice. Non gli costerà grandi sforzi. Certo, nulla garantisce a Berlusconi di poter davvero strappare le urne in pochi mesi. Ma, se anche dovesse far passare quell’anno tondo che costituisce la massima speranza di vita per la legislatura, farà in modo che si riveli solo una lunghissima campagna elettorale senza esclusione di colpi, con il doppio obiettivo prima di mettere in ginocchio alle europee gli odiati traditori del «centrino» e poi di fare strike alle politiche. Con una candidata che può chiamarsi Marina o Barbara: purché di cognome faccia Berlusconi. Di qui al momento fatale di un voto che Silvio Berlusconi interpreta come rivincita e vendetta, una sola cosa conta davvero: evitare una riforma elettorale che incrini il bipolarismo. La soluzione di gran lunga preferita è un Porcellum tutt’alpiù modificato con soglia minima del 35% per accedere al premio di maggioranza. Ma «se ci sarà il Mattarellum - avverte il cavaliere - potremmo andare da soli». Una minaccia per i potenziali alleati che finirebbero così esclusi dal parlamento e l’avvio di una possibile campagna sul voto utile. Ogni ipotesi proporzionalista, invece, va abbattuta senza pietà. Capita che su questo fronte gli interessi dell’attempato plutocrate e quelli dell’imberbe sindaco di Firenze siano identici.


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MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

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REPORTAGE

Quelle braccia italiane nelle Rosarno d’Australia

BRISBANE: UNA TARGA COMMEMORATIVA, NEL QUARTIERE NEW FARM, CELEBRA LA COMUNITÀ DI IMMIGRATI ITALIANI CHE QUI SI SVILUPPÒ FIN DAGLI ANNI ’40. /FOTO ELEONORA MARTINI SOTTO: FOTO TRATTA DAL BLOG DI ILARIA ED EMILIANO HTTP://ILAEMIAUSTRALIA.WORDPRESS.COM/

Viaggio tra i nuovi emigranti del Belpaese: giovani con la laurea riposta nel cassetto, disposti ai lavori che in patria lasciano agli africani Eleonora Martini DI RITORNO DALL’AUSTRALIA

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empre più braccia e non solo cervelli in fuga dall’Italia, ormai. L’elenco delle "Rosarno" d’Australia è lungo e lo stila lo stesso governo di Canberra. Childers, Echuca, Shepparton, Forbes, Ayr, Boonah, Bowen, Gatton, Ulverstone: sono solo alcune delle località dove si concentrano le farm più importanti per la raccolta di pomodori, dal Southern Queensland allo stato di Victoria, fino alla Tasmania. La National Harvest Guide le descrive minuziosamente, non tralasciando informazioni turistiche e attrattive locali, e spiegando alle migliaia di giovani europei che ogni anno si riversano in pellegrinaggio in questi santuari del Working holiday visa quando andare, come arrivare e a chi rivolgersi. Bastano 88 giorni di duro lavoro in queste cattedrali ai margini dell’arso deserto australiano per ottenere un secondo anno di visto e guadagnarsi così la chance di una nuova vita nel paradiso dei surfisti. Il sogno degli under 31 europei, e italiani in particolare, parla ancora inglese ma non è più americano: si nutre di parole come wild life, health, wellness, fitness, organic. È questa l’Australia, nelle fantasie dei giovani italiani che negli ultimi due anni in numero più che raddoppiato hanno comprato un biglietto di sola andata per il lungo viaggio Down Under. Disposti a spezzarsi la schiena sotto il sole, a fare i lavori più umili, quelli che in patria lasciano volentieri alla mano d’opera africana. In attesa, ogni mattina all’alba in quegli incroci polverosi che chiamano town, del furgoncino guidato da aborigeni sottopagati che li preleva, se il farmer decide di assumerli per una giornata a raccogliere frutta o vegetali, a governare gli animali o anche solo a spalare letame. Disposti a seppellire nel cassetto quel titolo di studio così importante alle nostre latitudini e così inutile nel «paese delle opportunità», dove «ti mettono alla prova e se funzioni il lavoro è tuo», come ripetono in ogni ristorante, in ogni fattoria e in ogni cantiere edile popolato da immigrati d’ultima generazione. Non sempre il sogno si avvera, e molto spesso si torna delusi e bastonati alla base. Ma l’orizzonte è luminoso, non buio come da noi, per quelle decine di migliaia di giovani italiani – 18 mila nei primi sei mesi di quest’anno – che prendono il volo; più fortunati dei loro nonni che negli anni ’50 vomitavano per due mesi a bordo dei transatlantici.

Bye Bye Italia «L’Europa era troppo vicina per fare un passo così importante; in Australia sicuramente non potremo cedere alla tentazione del rientro in Italia alla prima difficoltà». Ilaria ha lasciato a Roma un posto fisso come operatrice e montatrice video, stufa della precarietà che «si respira ovunque e comunque: una casa che non puoi permetterti, la difficoltà di spostarsi, la paura continua di perdere il lavoro, e un salario che non ti basta neppure a comprarti un’auto nuova». Assieme al fidanzato Emiliano hanno salutato parenti e amici con le lacrime agli occhi. L’inglese non è il loro forte ma hanno meno di 31 anni, il limite massimo per poter ottenere il visto annuale 417, la tipologia del Working holiday rinnovabile per un secondo anno e disponibile per i cittadini di 29 Paesi del mondo. Per i giovani del Commonwealth è una vecchia tradizione, attiva dal 1975, mentre gli italiani vi hanno accesso solo dal 2002, ultimi tra i Paesi occidentali. Sembrerebbe strano, vista la consistenza delle comunità italiane in città come Melbourne, Sydney, Brisbane, Adelaide, Perth, Canberra o Cairns. Ma è più comprensibile se si pensa che fino al 1973 le leggi della White Australia policy puntavano all’incentivazione dell’immigrazione bianca ma consideravano l’etnia italiana «half white». Ilaria e Emiliano hanno scelto Brisbane per il clima subtropicale e soprattutto per la vicinanza a numerose farm accreditate

per il rinnovo del visto di soggiorno. La politica del governo federale in materia d’immigrazione infatti prevede un visto "premio" per gli stranieri che prestino mano d’opera nell’industria primaria di alcune «aree di sviluppo» del Paese per almeno 88 giorni: le fattorie di certe regioni agricole, le miniere e alcuni cantieri edili. Tre mesi durissimi per ottenere due anni di tempo da spendere alla ricerca di un posto fis-

Tra il 2011 e il 2012 l’88,6% in più di italiani ha rinnovato il visto Working Holiday concesso agli under 31 so sponsorizzato. Non proprio un’illusione: in Australia la disoccupazione viaggia costantemente al di sotto del 5,8%. «Con il nuovo governo, poi, si sta rivalutando anche una seconda tipologia di visto lavorativo, il 457, per chi ottiene una sponsorizzazione da parte di un’azienda che dimostri di non aver trovato tra le competenze locali il profilo lavorativo dell’immigrato, assunto a tempo pieno per due o quattro anni e con stipendio minimo previsto dallo Stato», spiega Marina Freri, giovane giornalista italiana trasferitasi a Sydney cinque anni fa e già assunta regolarmente dalla Sbs, il canale radiotelevisivo governativo all news nato negli anni ’70 al servizio della società multiculturale aussie e che trasmette oggi in 74 lingue diverse. «Dopo due anni di sponsorizzazione puoi richiedere la residenza e dopo un altro anno la cittadinanza, purché non si lasci il Paese per più di tre mesi; il conferimento finale avviene davanti al sindaco previo esame di conoscenza generale del Paese e della sua società», aggiunge Freri che con un altro giornalista italiano, Marco Lucchi, conduce per la Sbs una rubrica radiofonica settimanale in italiano – «Australia: istruzioni per l’uso» – dedicata alla nuova ondata di emigranti nostrani.

grati indipendenti non sponsorizzati l’unica chance per un Bridging visa, rinnovabile a discrezione dell’ufficio immigrazione, sta nel cercare un’occupazione contemplata nella lista delle professioni e dei mestieri, la Skilled Occupation List, richiesti dal governo aussie. Una cosa è certa: per i malati di Hiv o di patologie croniche la residenza, e dunque la cittadinanza, sono off limits. Ma tornano al Working holiday visa, l’Italia occupa la settima posizione tra i Paesi con il maggior aumento di richieste dal 2011 ad oggi, anche se in termini assoluti siamo molto distanti dal flusso continuo di giovani provenienti dalle nazioni del Commonwealth. Rispetto a due anni fa, però, se ai cittadini del Regno unito sono stati concessi il 22,2% in più di visti per il secondo anno di W&H, l’incremento per gli italiani è stato dell’88,6%, seguiti a vista solo dagli immigrati da Taiwan con il 68,7%.

che, appena sistematisi a Brisbane, non nascondevano l’entusiasmo: «Qui è tutto organizzatissimo, tutto facile e chiaro, tutto scritto on line. In un paio di giorni abbiamo aperto un conto in banca, concluse le pratiche per il Medicare (l’assistenza sanitaria gratuita, ndr) e tutte le altre prassi. Burocrazia zero, e molta cortesia. Hai l’impressione che pur ricominciando da capo, con una lingua nuova e tutto il resto, non sarai condannato allo stallo perenne; il futuro ti sorride di nuovo». Ora, dopo qualche settimana e qualche sfruttatore da dimenticare, i due giovani si trovano a Gym-

Nessun lavoro invece per i rifugiati, rinchiusi nei centri dislocati in Papua nuova Guinea, a Manus Island o a Nauru

Lavoratori o rifugiati: doppia misura Regole rigide per gli immigrati, dunque, ma non irragionevoli come da noi. Anche se, va ricordato, di tutt’altro tenore è la politica contro i boat people, respinti in mare manu militari o trasferiti immediatamente, quando riescono ad approdare vivi sulle coste australiane, nei centri di detenzione in Papua Nuova Guinea, a Manus Island o a Nauru. Secondo le ultime notizie, in questi community placement si trovano detenuti – illegalmente, secondo le leggi australiane e internazionali – molti minori, ma non se ne conosce il numero. Si sa solo che fino a quando i richiedenti asilo venivano ancora "custoditi" in Australia, nei centri a «basso livello di sicurezza» hanno vissuto reclusi anche fino a duemila bambini. «E le cose stanno perfino peggiorando, per gli asylum seekers – racconta ancora Freri – dopo le elezioni del 7 settembre scorso, il ministero dell’Immigrazione ha ristretto i canali di comunicazione istituzionale con i giornalisti riducendoli ad una conferenza stampa settimanale. Ed ha perfino cambiato nome: al posto della delega alla "cittadinanza", il ministero ha ora la delega al "border protection"». Come rifugiato non si ha diritto al lavoro, mentre per gli over 31 o per gli immi-

40$ PER CESTA È il prezzo pagato mediamente per ogni cesta (bin) di frutta ai braccianti che lavorano nelle farm australiane. In tre persone, e in dieci ore di lavoro, si riempiono quattro ceste, secondo le testimonianze di alcuni giovani immigrati italiani

Non proprio il paese dei balocchi Antonio, ingegnere edile napoletano di 30 anni, era «stufo di contratti che si rinnovavano di mese in mese». Però prima di approdare nella farm di banane a Innisfail, vicino Brisbane, dove lavora attualmente, ha girato per un po’, passando al setaccio numerosi working hostel del Queensland. È in questo tipo di ostelli, infatti, frequentati solitamente dai backpackers (viaggiatori fai da te, zaino in spalla), che in genere si trova lavoro, anche se non sempre retribuito adeguatamente e molto spesso solo in cambio di vitto e alloggio (nella modalità Woofing, da Willing workers on organic farm). «A volte le condizioni sono al limite dello sfruttamento, sotto il minimum wage previsto dallo Stato che è di 17,50 $ l’ora – racconta Antonio ai microfoni di Marina Freri –. Nelle farm vicine alle grandi città le paghe sono più basse; per esempio, in 10 ore di lavoro per tre persone si riempiono generalmente 4 ceste di banane, e il compenso è di circa 40$ a cesta». Insomma, «pensavo fosse il Paese dei balocchi, ma è molto più dura di quanto ci si possa aspettare». Nelle farm infatti i giornalisti non sono ben accetti: praticamente impossibile farsi aprire le porte. Lo raccontano anche Ilaria e Emiliano

pie, un piccolo villaggio tagliato fuori dal mondo, senza connessione internet o telefonica, a curare vacche e polli: «Ci alziamo tutti i giorni alle 7 per iniziare il nostro lavoro verso le 8... Si iniziano a fare i lavori più duri appena alzati, così a mano a mano che sei stanco puoi dedicarti a qualcosa di più soft. Ci trattano bene, però», scrivono sul loro blog che aggiornano solo nei giorni liberi, quando riescono a spostarsi in luoghi "connessi". E non è facile, perché le zone di produzione agricola sono quasi sempre molto distanti dai centri abitati e quasi mai raggiungibili con mezzi pubblici. Per arrivare a Griffith, nel New South Wales, per esempio, la più grande area di produzione di agrumi, pollame e uova dell’Australia e da dove proviene più del 20% del vino australiano, bisogna percorrere la Hume Highway, poi la Sturt Highway e infine l’Irrigation Way, per 635 chilometri ad ovest di Sydney. Qui il lavoro è sicuro, nelle risaie o a raccogliere cotone o cetriolini per McDonald. «Molto spesso se non hai la macchina non ti prendono a lavorare», racconta ancora Antonio. Che però non molla: «Se non altro per imparare bene l’inglese e poi chissà... Magari riuscirò a tornare anche in Italia, con un lavoro sicuro, però».


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INTERNAZIONALE CINA/DIRITTI UMANI

L’appello di Liu Xia Liu Xia, la moglie del premio Nobel cinese Liu Xiaobo, è agli arresti domiciliari dal 2010, quando al marito venne conferito il premio. La donna nei giorni scorsi ha fatto girare via internet un appello rivolto alle autorità cinesi. Le sue condizioni di salute e di vita, infatti, cominciano a destare preoccupazioni tra i suoi conoscenti e familiari. In primo luogo Liu Xia ha chiesto la possibilità di essere sottoposta ad una visita da parte di un medico indipendente di Medici Senza Frontiere, causa il deteriorarsi delle sue condizioni di salute. Ha inoltre richiesto la libertà di poter avere una corrispondenza con il marito in carcere e infine la necessità di poter cercare un lavoro e avere un reddito.

COREA DEL NORD · Lo zio di Kim Jong-un esautorato, condannati a morte i suoi alleati

Epurato il numero 2 del regime Simone Pieranni

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’uomo che per anni ha lavorato dietro le quinte e che sognava di diventare il numero uno in Corea del Nord, pare sia stato epurato dal regime di Kim Jong-un, il giovane leader (30 anni) alla guida del paese, dopo la morte del padre nel 2011. Jang Song-thaek, zio di Kim e marito della sorella del Caro Leader Kim jong-il, nonché figlia dell’Eterno Presidente Kim il-Sung, sarebbe stato messo fuori combattimento, mentre due suoi alleati sarebbero stati uccisi a seguito di una condanna per corruzione. La notizia è arrivata attraverso i canali dell’intelligence sud coreana e a questo proposito è bene prendere la notizia con

le dovute precauzioni perché spesso i solerti sud coreani si sono resi protagonisti di clamorosi abbagli; se la novità, però, sarà confermata anche nei prossimi giorni da fonti ufficiali nord coreane, si tratterebbe del primo gesto politico di una certa rilevanza da parte di Kim Jong-un. Le prime rivoluzioni, si dice, avvengono contro i padri e il leader coreano sembra aver deciso di tagliare i ponti proprio con il suo predecessore: Jang era infatti stato scelto dal padre come suo tutore; Jang per altro aveva già subito un’epurazione nel 2004 e rimesso al suo posto due anni dopo. Al solito, la dinastia comunista coreana è quanto di più oscuro esista attualmente al mondo e non appare dunque facile leg-

Germania/RICHIESTA ALLA CORTE COSTITUZIONALE

La Camera delle regioni: l’Npd neonazista al bando Jacopo Rosatelli

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uò una democrazia mettere fuori legge un partito? La questione in Germania è tornata d’attualità. Ieri è stata depositata presso la Corte costituzionale di Karlsruhe, la richiesta di messa al bando della principale formazione di estrema destra, la Npd (Nationaldemokratische Partei Deutschland). Promotore uno dei due rami del parlamento tedesco, la Camera delle regioni (Bundesrat), interpretando la volontà dei governi di tutti i Länder, senza distinzioni di orientamento politico. La cancelliera Angela Merkel si è augurata che la Corte dia ragione ai fautori della proibizione, ma il governo federale non sarà parte in causa. Il procedimento approdato ieri a Karlsruhe, infatti, venne messo in moto nella precedente legislatura senza il consenso dell’esecutivo e della Camera bassa (Bundestag): troppi i dubbi sull’opportunità dell’iniziativa nei gruppi parlamentari dell’allora maggioranza democristiano-liberale e in quelli dello stesso gabinetto Merkel. Ufficialmente, le riserve erano motivate dal rischio di ripetere il flop del 2003, quando i giudici costituzionali respinsero un’analoga richiesta del governo del socialdemocratico Gerhard Schröder: il partito neonazista non poteva essere dichiarato fuorilegge perché si era riscontrata la presenza di molti informatori dei servizi, la cui azione aveva necessariamente

«inquinato» la vita della formazione. Ora di infiltrati non dovrebbero essercene più, e secondo alcuni analisti proprio questa potrebbe essere la ragione della posizione del governo in carica: il timore che un giudizio della Corte che, stavolta, accolga la tesi della proibizione, metta a nudo l’inutilità dei servizi di spionaggio interno. La Costituzione tedesca (art.21) prevede che, per essere dichiarato illegale, un partito debba mostrare di avere l’obiettivo di «abolire l’ordinamento fondamentale liberale e democratico» della Repubblica federale. L’esigenza è di impedire il ripetersi della storia tragica della Repubblica di Weimar, ma servì anche nel 1956 a bandire il Partito comunista tedesco (Kpd), in quanto «fautore della dittatura del proletariato», ed è tutt’ora è chiamata in causa per giustificare il «controllo» ai danni della Linke da parte dei servizi segreti interni. Ragioni per le quali non mancano, anche a sinistra, perplessità su quest’iniziativa. Fra gli antifascisti prevalgono nettamente i favorevoli al bando della Npd. Impedirne l’attività significherebbe privare la scena neonazista tedesca di risorse e strumenti organizzativi che le derivano dalla presenza del partito in due parlamenti regionali (di Sassonia e Meclemburgo, con oltre il 5% dei voti) e in molti consigli comunali, quasi tutti concentrati nelle zone più depresse, economicamente e culturalmente, della Germania orientale.

NELLA FOTO JANG SONG-THAEK CON IL LEADER COREANO KIM JONG-UN /FOTO REUTERS

gere questa eventuale mossa. Jang veniva dato come un riformatore, l’uomo che più di tutti intratteneva le relazioni con il paese che di fatto sostiene la Corea del Nord, ovvero la Cina; nel 2012 poco prima della successione del potere a Pechino, aveva incontrato l’ex Presidente Hu Jintao. Anni fa, però,

proprio Jang, veniva invece dato a capo di una cordata di conservatori responsabile della punizione di una presunta fronda di alcuni membri considerati riformisti all’interno del Partito dei Lavoratori coreano. Jang ha sposato – seppure all’inizio Kim Jong-il fosse contrario – la sorella del Caro Leader, diventando ben presto il numero due del regime, a seguito del suo ingresso negli anni 70 nel Partito; da lì aveva poi assunto la carica di vice presidente della potente Commissione Nazionale di Difesa. Nel 2004 fu epurato, forse mandato in un campo di rieducazione o messo ai domiciliari, sospettato di tramare contro la famiglia al comando. Chi potrebbe ucire vincitore da questa eliminazione politica, sembra Choe Ryong Hae, già nelle grazie di Kim Jon- il e attualmente a capo, di fatto, dell’esercito coreano e più volte fo-

Il «tutor» di Kim è considerato uno dei riformatori, era lui a gestire i rapporti economici con la Cina tografato insieme all’ex leader prima della sua morte. Fu proprio Choe a portare a Pechino alcuni mesi fa una lettera indirizzata da Jang al nuovo Presidente Xi Jinping. «Posso solo immaginare che il ruolo giocato da Jang possa aver causato qualche tensione nel processo di consoldiamento del potere di Kim Jongun» ha spiegato Kim Yong-hyun, docente alla Dongguk University di Seoul al South China Morning Post, «Jang ha visitato la Corea del Sud ed è stato testimone di molti aspetti della società capitalista, inclusi i cambiamenti che si sono verificati nei rapporti con la Cina. Poteva essere considerato la figura più in grado di spingere per alcune riforme e l'apertura nel Nord». Resta da capire cosa penserà la Cina– se è stata avvisata di questo passaggio: con Chang intratteneva i rapporti che coinvolgevano anche quelle zone di commercio tra i due paesi che aspettano da anni di essere messe nelle condizioni di funzionare al meglio.

UCRAINA · La protesta non si ferma. In piazza l’estrema destra

No alla sfiducia, governo salvo e Yanucovich vola a Pechino Matteo Tacconi

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ltime da Kiev. Ieri il parlamento ha respinto la mozione di sfiducia sul governo presentata dai partiti dell’opposizione. Non che sperassero di mandare a casa l’esecutivo di Mykola Azarov. Semplicemente, hanno voluto mantenere alta la pressione. Quanto ai numeri del passaggio parlamentare, il governo sarebbe caduto se la mozione avesse raccolto 226 voti. Ci si è fermati a 186. Prima della conta Azarov ha tenuto un discorso nel quale ha condannato le cariche della polizia contro i manifestanti, invitando al contempo a porre fine alla protesta. Il giorno prima aveva detto che sentiva tirare aria di golpe, riferendosi all’atteggiamento di qualche segmento della piazza, propenso allo scontro frontale con i poliziotti. Ed è questa la differenza più immediata con la rivoluzione arancione del 2004. Allora ci fu una resistenza ostinata, ma pacifica. Stavolta c’è qualcuno, su entrambi i lati della barricata, che ha le mani calde. Fuori dal Parlamento e in piazza Indipendenza i manifestanti, che bloccano ancora la sede del governo, hanno continuato a fare massa critica, scandendo cori contro il governo e il presidente Viktor Yanukovich, che è partito alla volta della Cina, confermando una visita già programmata e cercando di dare la sensazione di non temere gli eventi in corso. A Pechino Yanukovich parlerà di soldi e prestiti. Lo stesso farà oggi con i russi e gli europei. Due delegazioni ucraine voleranno a Mosca e Bruxelles. Al Cremlino, il cui braccio energetico, Gazprom, ha appena concesso a Kiev di pagare in primavera l’import di gas di ottobre-dicembre, gli uomini del presidente potrebbero chiedere un «premio» per il no alle offerte commerciali-economiche dell’Ue (il fattore scatenante dell’attuale protesta), tanto temute da Putin. A Bruxelles tenteranno invece di verificare se l’Ue è disposta a concedere una «compensazione» in cambio della riapertura

di alcuni punti delle intese appena respinte da Yanukovich. Il fatto è che l’Ucraina è davvero malmessa e la bancarotta, lo dicono molti analisti, non è un’opzione così fantapolitica. La corsa disperata e sfacciata ai soldi, più delle dinamiche internazionali, è la lente che restituisce l’immagine più netta delle mosse di Yanukovich. L’inquilino della Bankova deve salvare il paese dal crack e se stesso dalla rabbia popolare, esplosa non solo a Kiev. E in questi giorni s’è protestato anche nelle regioni dell’est, dove Yanukovich ha sempre fatto il pieno di voti. Se la priorità è contenere le proteste, c’è da tenere conto anche del fatto che dietro l’angolo già s’intravedono le presidenziali del 2015. E come registrava ieri il Financial Times, la piazza squaderna le ambiziosi degli uomini dell’opposizione. Oltre al luogotenente di Yulia Tymoshenko, Arseniy Yatseniuk, 39 anni, anche Vitali Klitschko e Oleg Tyahnybok potrebbero correre per la presidenza. Il primo, tra i più grandi pugili della storia, è il capo di Udar, partito centrista che alle elezioni del 2012 ha ottenuto buoni consensi. Il secondo guida Svoboda, una formazione nazionalista, di destra radicale. Su Svoboda apriremmo una parentesi, perché sulle strade di Kiev la gente di Tyahnybok s’è fatta vedere e sentire. Non solo. Svoboda, che alle elezioni del 2012 è entrata per la prima volta alla Rada, con un roboante 10,44%, a fronte dello 0,75% del 2007, ha avuto un ruolo influente anche nelle possenti marce antigovernative di Leopoli, capoluogo della regione storica della Galizia, ex polacca. È, questo, il fazzoletto di terra dove nella Seconda guerra mondiale polacchi, comunisti e indipendentisti ucraini si massacrarono senza pietà. Gli ultimi erano guidati da Stepan Bandera, antipolacco, antirusso, antisemita. E alleato «tatticamente» con i nazisti. Il suo retaggio spacca ancora, emotivamente e politicamente, il paese. Tyahnybok e i suoi la pensano a senso unico: «Bandera – dicono – è stato un eroe».

SIRIA/CRIMINI

Al Qaeda cattura 12 suore a Maalula E l’Onu tace Michele Giorgio

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a ucciso parenti di soldati morti in combattimento l’attentato di ieri, con quattro vittime, contro il ministero della difesa a Josr al Abyad (Damasco) compiuto da un jihadista-kamikaze. Colpito un ufficio civile del ministero della difesa dove ogni giorno si recano decine di famigliari di militari, a richiedere aiuti economici. I jihadisti non hanno esitato a colpire innocenti. Un crimine contro l’umanità non meno grave di quelli che l’Onu attribuisce al governo di Damasco e al presidente Bashar Assad. E che invece sono giudicati con più clemenza da una comunità internazionale ormai indifferente sulle sorti della Siria. Non cambia molto che la Francia si dica «molto preoccupata» per le sorti delle dodici religiose ortodosse siriane e libanesi rapite due giorni fa da ribelli jihadisti e «portate» in località sconosciuta. Parigi ha prima lavorato per armare e rafforzare le fazioni jihadiste, ora fa i conti con le conseguenze delle sue azioni. Le 12 suore ortodosse sono state sequestrate da miliziani del Fronte al Nusra (vicino ad al Qaeda) che due giorni fa hanno fatto irruzione nel convento di Santa Tecla a Maalula, storica cittadina cristiana, 60 chilometri a nord di Damasco, nota perché vi si parla l’antico aramaico. Costringendo sotto la minaccia delle armi le religiose ad abbandonare il convento e prendendo il controllo pieno della cittadina, anche se fonti governative siriane sostenevano che l’Esercito «la strapperà presto ai terroristi». Sono stati postati su Youtube filmati che mostrano Maalula in parte distrutto e con le strade deserte. I jihadisti erano entrati la prima volta nella cittada cristiana a settembre, saccheggiando le chiese e uccidendo alcuni civili. I ribelli furono poi costretti a ritirarsi da una controffensiva governativa appoggiata da attivisti cristiani armati. Altri religiosi cristiani sono in ostaggio dai ribelli: il padre gesuita italiano Paolo Dall’Oglio (pure se accanito oppositore di Assad) scomparso a fine luglio a Raqqah, nel nord, dov’è prigioniero dei qaedisti dello «Stato islamico dell’Iraq e del Levante», e due vescovi ortodossi rapiti in aprile tra Aleppo e Idlib. Di loro non si è più saputo nulla. Per il quotidiano turco Haberturk nel 2013 polizia e servizi segreti avrebbero bloccato e rispedito nei rispettivi Paesi circa 1.100 jihadisti provenienti da Francia, Germania, Belgio e Olanda, su richiesta dei paesi di origine dei potenziali combattenti. Perché, in realtà, Ankara ha chiuso un occhio, se non addirittura favorito negli ultimi due anni l’ingresso massiccio in Siria di qaedisti di ogni parte del mondo. L’opposizione turca e il leader curdo-siriano Saleh Muslim, denunciano che il governo del premier islamista Recep Tayyip Erdogan, schierato dall’inizio della guerra civile con i ribelli sunniti, avrebbe fornito aiuti anche ai gruppi jihadisti. Informazioni in questo senso sono state pubblicate anche da diversi organi di stampa internazionali. Sarebbero migliaia i cittadini europei, per lo più immigrati o figli di immigrati da paesi musulmani, che combattono in Siria, in particolare nei gruppi armati di al Qaida. E c’è l’emergenza umanitaria. Ieri l’Unicef ha lanciato un nuovo allarme. È quadruplicato dall’inverno scorso il numero di bambini siriani che hanno bisogno di assistenza: ora sono 4,3 milioni contro gli 1,15 milioni del dicembre 2012.


il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

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VENEZUELA Geraldina Colotti CARACAS

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tato di allerta, in Venezuela, per un black out che ha lasciato al buio gran parte della capitale Caracas e altri importanti stati del paese. Per il governo socialista si è trattato di un sabotaggio per esasperare gli animi, a pochi giorni dalle elezioni comunali dell’8 dicembre: il guasto colpisce lo stesso punto che nel settembre scorso lasciò senza luce il 70% del territorio, comunica Corpoelec (l’impresa statale che regola il servizio). Poco prima, il presidente Nicolas Maduro era in tv per annunciare le nuove misure contro «la guerra economica» e per ricordare l’11˚ anniversario del micidiale sciopero petrolifero dell’opposizione che mise in ginocchio l’economia del paese. Ieri, nei quartieri di classe medio alta, si è levato un concerto di pentole a lume di candele, condito da insulti e minacce. «Chiedo l’appoggio del popolo contro questo capitalismo vorace che non conosce limiti», ha detto Maduro. Dati alla mano, ha illustrato le misure economiche contro «la speculazione e l’usura» disposte per decreto dalla Ley habili-

STATO DI ALLERTA · Maduro lancia le misure anti-speculazione e Caracas sprofonda nell’oscurità

La guerra economica a colpi di black out HONDURAS

Sul riconteggio dei voti vince Xiomara Castro

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È sabotaggio. Il governo accusa l’opposizione e gli imprenditori di soffiare sul fuoco tante. Poteri speciali, previsti dalla costituzione e approvati dall’Assemblea nazionale. Molti presidenti in Venezuela hanno fatto ricorso alla Ley habilitante. Hugo Chávez se n’è servito per accelerare il corso del «socialismo del XXI secolo». Il primo decreto riguarda il controllo dei prezzi e il rapporto tra libertà del mercato e diritti economico-sociali degli strati popolari, il secondo mira a regolare il settore dell’import-export e il riordino del flusso di divise che entra nel paese per via della rendita petrolifera. Da qualche settimana, Maduro ha sguinzagliato i ministri del suo «governo della strada»: a caccia di evasori e speculatori. Dopo la morte di Chávez (il 5 marzo), e la risicata vittoria di Maduro sul rappresentante della destra, Enrique Capriles (il 14 aprile), molti prodotti di consumo sono scomparsi dagli scaffali per ricomparire a costo maggiorato al mercato nero, il valore del bolivar al cambio illegale è salito vertiginosamente e i prezzi nei negozi sono schizzati alle stelle. Il governo ha accusato grandi imprenditori e commercianti di aver scatenato una «guerra economica» per esasperare la popolazione. Ha inviato gli ispettori nelle grandi catene commerciali e ha mostrato i risultati: ricarichi stratosferici, evasioni sfacciate, piccoli commercianti munti all’eccesso dai proprietari di immobili. Molti esercizi sono stati obbligati a riadeguare i prezzi e sui muri è comparsa la scritta «multado». La gente si è precipitata ad acquistare ogni genere di prodotti ora più abbordabili, facendo code chilometriche, già frequenti in questo periodo pre-nalizio (la «navidad»). Per molti esercizi, l’adeguamento è stato però solo di facciata e, con i prezzi attuali, per vestire (modestamente) i propri figli una famiglia di basso reddito necessita di due salari minimi. Maduro ha fatto i conti in tasca ai commercianti e agli impresari: che «rubano i soldi dello stato rifornendosi di dollari sussidiati per importare prodotti dall’esterno e venderli poi a prezzi da capogiro». Ha abbassato i pezzi degli affitti degli esercizi commerciali come già aveva fatto per quelli degli immobili, alzando al contempo il salario minimo e le pensioni che su questi sono parametrati. «Io non sono capitalista – ha detto ieri il presidente socialista – per me il capitalismo è la morte dell’essere umano – il mercato tuttavia ha costruito le sue regole nei paesi capitalisti, qui invece per far soldi non si rispettano neanche quelle». E così, un’automobile usata, «importata dagli Stati uniti, dove costa 25.000 dollari, in Venezuela la si trova a 1.200.000 bolivar».

In un paese che possiede le più grandi riserve petrolifere al mondo, dove l’acqua costa molto più della benzina, la produzione interna non è sufficiente. E il presidente ha ora annunciato in questo campo un notevole abbassamento dei prezzi, e facilitazioni nell’importazione dall’estero di automobili o moto, anche a titolo privato. Questo – ha però precisato - non vuol dire che il nostro governo spinga all’eccesso l’uso dell’automobile «perché tiene al rispetto della natura come sancito nella costituzione». Per illustrare i decreti, ministri di governo e presidente hanno convocato le associazioni dei commercianti e quelle dei piccoli e medi imprenditori, proponendo loro «un’alleanza per il lavoro». Al contempo, hanno però denunciato con durezza le «condizioni di schiavitù» in cui versavano gli operai di alcune fabbriche clandestine scoperte durante le ispezioni. I proprietari avevano ricevuto i dollari del governo per sviluppare la produzione, ma «rubavano sul costo del lavoro». Maduro ha poi mostrato un libro sul colpo di stato militare in Cile compiuto contro il governo socialista di Salvador Allende, l’11 setembre del 1973. Il 2 dicembre di 11 anni fa – ha ricordato - la borghesia nazionale, diretta dal dipartimento di stato Usa ha organizzato uno sciopero economico e petrolifero dello stesso tenore: con l’intento di far cadere il governo Chávez, rimesso in sella a furor di popolo dopo il fallito golpe dell’11 aprile precedente, durato 46 ore. Il golpe aveva portato al potere Pedro Carmona Estanga, rappresentante di Fedecamaras (la Confindustria venezuelana) e dell’opposizione. Con lui, anche Carlos Fernandez, segretario generale della ormai corrotta Confederacion de trabajadores de Venezuela (Ctv), e alti dirigenti della società petrolifera nazionale (Pdvsa) come Juan Fernandez, fondatore del gruppo di opposizione Gente del petroleo. Oggi sono tutti all’estero. Allora, organizzati nella Coordinadora democratica, rifiutarono le 49 leggi create all’interno di una Ley habilitante, concessa a Chávez dall’assemblea nazionale. Tra queste, una relativa agli idrocarburi, che elevava al 30% le tasse delle multinazionali nelle attività di estrazione petrolifera e stabiliva una partecipazione dello stato nelle società miste di almeno il

51%. Un’altra, imponeva forti restrizioni alla pesca a strascico e favoriva i piccoli pescatori. Un’altra ancora, consentiva di espropriare il latifondo in favore dei contadini senza terra. Troppo per l’oligarchia che, attraverso Fedecamaras, proclamò 24 ore di sciopero in tutte le imprese affiliate, subito appoggiata dalla Ctv e dai vertici di Pdvsa. La Coordinadora decise poi di estendere l’azione, puntando alle dimissioni di Chávez, forte dell’appoggio dei vertici di Pdvsa, che sabotarono la produzione e impedirono alle navi petrolifere di salpare. Allora, la Pdvsa era diventata un comitato d’affari che aveva di

fatto privatizzato dall’interno la petrolifera e difendeva gli interessi Usa. Il micidiale sciopero petrolifero mise in ginocchio l’economia, 13 persone persero la vita durante una rivolta militare in Piazza Altamira, grandi gruppi privati come Polar, che allora controllava 13 prodotti della canasta basica oltre alla birra e alle bibite, entrarono nel conflitto. Il governo non perdette però l’appoggio del popolo, che ancora conserva dopo 14 anni e 18 elezioni. Ora, l’opposizione intende trasformare la 19ma in un plebiscito contro Maduro. Si burla dell’ex operaio del metro e del suo "effetto Robin Hood", e ha già convoca-

to i suoi in piazza per il 9 dicembre: forse per ripetere lo schema delle presidenziali, il cui risultato non ha mai riconosciuto. Il 14 aprile ha gridato alla frode e ha chiamato i suoi alla rivolta, causando morti e violenze postelettorali. Una settimana fa, la giornata di protesta indetta dalla Mesa de la unidad democratica (Mud) è però stata un flop. L’opposizione ha marciato e danzato coi colori nordamericani, ma senza le folle. «La loro idea – ha detto Maduro – è quella di provocare crisi e disordine, sperando nell’intervento Usa. Non sanno che gli Stati uniti non riconoscono amici, ma solo interessi». Poi, il black out.

VERSO LE MUNICIPALI · Parla Helen Aguiar, a capo degli «osservatori»

Impronte «digitali» e codice d’accesso Sistema elettorale a prova di brogli CARACAS

«L’

alta partecipazione ai processi elettorali esprime la maturità crescente del popolo venezuelano», dice al manifesto Helen Aguiar, la presidente della Red de Observadores Electorales de Venezuela. Qual è il compito della Rete? Si tratta di un’organizzazione di 3.500 osservatori provenienti da differenti settori sociali, non solo da tecnici del sistema elettorale: vi sono agricoltori, insegnanti, lavoratrici domestiche, studenti, operai, pescatori, professionisti, tutti nati nel paese. Un insieme di cittadini che ha ricevuto corsi di formazione specifici anche con l’apporto di organizzazioni non governative come Anros, l’Associazione nazionale delle reti e delle organizzazioni sociali, che ha una lunga esperienza nel campo. Un percorso che ha preso avvio nell’università di Carabobo e il cui statuto giuridico è stato riconosciuto dal Consiglio nazionale elettorale (Cne) nell’agosto del 2012. Da allora, la Rete affianca i gruppi di osservatori internazionali e nazionali abilitati per le elezioni. Durante l’elezione presidenzia-

le del 14 aprile, l’opposizione ha denunciato frodi e ora accusa il governo di abuso di potere per le comunali dell’8 dicembre, dichiarato «giorno di lealtà a Chávez». Proprio in quel giorno, si commemorerà il suo ultimo discorso, pronunciato prima di ripartire per Cuba a farsi operare del tumore che lo ha ucciso. Qual è la sua opinione? Il sistema elettorale venezuelano è altamente automatizzato e sicuro, come hanno riconosciuto gli osservatori di ogni bordo nel corso il 18 elezioni: c’è

«Il nostro ruolo è imparziale, osserviamo e denunciamo ogni tipo di irregolarità» un controllo telematico delle impronte, il codice d’accesso alle macchine è conservato da persone appartenenti a schieramenti diversi, c’è un doppio riscontro verificabile dai tecnici e dai cittadini. Su richiesta dell’opposizione, si è proceduto a un nuovo conteggio, ma tutto è risultato nuovamente regolare, e

d’altro canto la stessa opposizione non ha supportato le denunce con le prove concrete che aveva annunciato. Il nostro ruolo è procedurale e tenuto all’imparzialità. Dobbiamo osservare e denunciare ogni tipo di irregolarità. Lo abbiamo fatto anche con le violenze seguite alle elezioni che hanno provocato 9 morti nel campo governativo. La protesta dell’opposizione si riferisce a quello che viene chiamato ventajismo, perché il governo pubblicizza misure sociali e ricorrenze nazionali. L’ultima volta, ci sono stati disordini e proteste per via dello scarso margine di differenza tra i due candidati. Ma il nostro è un sistema elettorale che non prevede secondo turno e i risultati vengono convalidati anche per un voto. È successo in altre occasioni, che hanno favorito l’opposizione con un margine ancora più stretto, per esempio durante le regionali del dicembre scorso, quando il leader della Mud, Enrique Capriles, ha vinto il governatorato di Miranda per pochissimi voti su Elias Jaua. Come stabilisce la costituzione del ’99, l’unico arbitro è il Cne, il quinto potere, come ha voluto nel suo tempo il libertador Simon Bolivar. ge. co.

n Honduras, il Tribunal supremo electoral (Tse) ha autorizzato un nuovo conteggio dei voti per le elezioni presidenziali dello scorso 24 novembre. Secondo i risultati ufficiali, la vittoria è andata al candidato del governativo Partido Nacional, Orlando Hernandez: 37% dei voti contro il 29% all’alleanza di sinistra del Partido Libre, guidata da Xiomara Castro. La moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya – deposto con un colpo di stato militare il 28 giugno del 2009 – non ha riconosciuto i risultati, contestando irregolarità per almeno 400.000 voti. Numerosi osservatori internazionali di reti e organizzazioni sociali avevano denunciato fin da subito l’esistenza di brogli e violenze in un Paese che sconta il più alto tasso di omicidi al mondo (20 in media giornaliera). Di diverso avviso altri osservatori dell’Unione europea e dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), secondo i quali tutto si è svolto in modo regolare. Hernandez non ha commentato le denunce di brogli né si è giustificato, ha affermato che la sua è una vittoria legittima e che non intende negoziare con nessuno. Libre – che chiede l’adozione di un sistema elettorale automatizzato come quello del Venezuela – avrebbe voluto una revisione generale dei conteggi, ma il Tse ha autorizzato solo la verifica in singoli centri di voto. E domenica scorsa, l’opposizione è tornata in piazza, sfidando la repressione, per chiedere che venga riconosciuto anche a livello istituzionale il cambiamento in atto nel paese. Xiomara Castro aveva dichiarato la propria vittoria già poche ore dopo la chiusura delle urne, ma i conteggi finali le sono stati sfavorevoli. «Però abbiamo aperto una breccia», ha commentato Castro dopo la decisione del Tse. Una breccia che, al di là delle elezioni, lascia intravvedere la forza acquisita dai movimenti di opposizione, cresciuta dopo il golpe del 2009. Difficile che, nel perverso intreccio di interessi e poteri altamente illegale che controlla il paese, la destra presente nel Tse e l’ambasciata Usa a Tegucigalpa (la prima a riconoscere il risultato) permettessero la vittoria di Libre. Nel 2009, le timide aperture verso i Paesi socialisti latinoamericani e l’evocazione di un’Assemblea costituente da parte del pur moderato Zelaya ne avevano provocato la defenestrazione. L’Honduras è ancora un Paese sotto tutela: paradiso delle grandi multinazionali e cortile di casa degli Stati uniti, come testimonia la gigantesca base militare nordamericana di Palmarola. Hernandez, possidente e imprenditore dei media, garantisce la continuità di un sistema di potere che costringe la ricchezza in poche mani e costringe in povertà il 70% della popolazione. «Il capitalismo selvaggio non vuole che i popoli ottengano giustizia, pace ed equità», ha detto Xiomara Castro nel suo comizio di chiusura. E se pure - per ora – con il suo fronte ampio modello uruguayano la candidata di Libre non è riuscita a vincere nelle urne, e a diventare la prima presidente donna del paese, ha mostrato la forza che cresce a sinistra, e che non vuole tornare indietro. ge.co.


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il manifesto

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

CULTURE

OLTRE LE METROPOLI

Attori nel regno posturbano Nella sua lectio magistralis, l’autore critica lo sviluppo «insostenibile» che, con i suoi grandi esodi, costruisce smisurate periferie, perdita di relazioni, nuove povertà. La strada giusta? È la gestione collettiva del territorio Alberto Magnaghi

L’

urbanizzazione del mondo è irreversibile? Ma innanzitutto, perché mai fermarla? L’aria della città non rende liberi? Forse un tempo, quando ci si liberava dal feudo costruendo città e cittadinanza o quando, in seguito, ci si liberava dalla fatica dei campi e dalla precarietà del raccolto per andare a cercare un salario certo in fabbrica. Ma oggi la città, come terra promessa è, per la maggioranza degli abitanti della terra, solo un miraggio. Il più grande esodo della storia dell’umanità è duplice: verso l’iperspazio telematico, promessa di democrazia immateriale, ma anche assoggettamento al dominio delle reti globali, e verso le megacities e megaregions di decine di milioni di abitanti del Sud e dell’Est del mondo. Nel 2050, secondo l’Onu, su 9 miliardi di abitanti, 6,4 saranno urba-

nizzati. Questo percorso è iniziato con la crisi della città fabbrica fordista che aveva concentrato nelle cittadelle produttive del nord del mondo i flussi di forza lavoro dalle periferie regionali e globali, costruendo grandi aree e conurbazioni metropolitane al servizio del sistema produttivo massificato fordista. Con la crisi di questo sistema dopo il grande ciclo di lotte operaie (1968-70) e la crisi petrolifera (1973) si avvia un doppio esodo: il primo regionale, che con il decentramento produttivo e la molecolarizzazione della grande fabbrica, costruisce il territorio della «città diffusa», che pervade distruttivamente le campagne e «urbanizza» vasti territori regionali; un processo che procede tutt’ora con edificazioni d’interesse esclusivo del capitale finanziario; il secondo più radicale che sposta dal nord al sudest del mondo il ciclo produttivo globale provocando l’inurbamento forzato

Lectio / OGGI, PRESSO ARCHITETTURA A FIRENZE

Vivere nelle bioregioni, padroni dei propri spazi Alberto Ziparo

Q

uesta «lectio magistralis» di Alberto Magnaghi può essere letta come una sintesi del percorso teorico dell’urbanista italiano. Un itinerario che ha visto Magnaghi impegnato nel dare vita a esperienze di progettazione, ricerca, azione di tutela e affermazione dei valori territoriali («Era e resta un grande organizzatore di anime», disse di lui Rossana Rossanda un po’ di tempo fa). Nel testo, Magnaghi ricorda inoltre come il capitalismo globalizzato, di recente «ad alta finanziarizzazione», abbia esasperato i processi di deterritorializzazione già in atto per gli impatti dello «sviluppo insostenibile contemporaneo». Magnaghi propone di guardare alle problematiche condizioni ecologiche attuali da una prospettiva diversa da quella restituita dalla vulgata mediatica e dalle classi dirigenti che la informano. Lontano dalle politiche dominanti nelle varie governance multilivello che connotano i quadri decisionali istituzionali di oggi, l’innovazione viene cercata «guardando al basso» verso le nuove soggettività territoriali, consapevoli dell’urgenza di azioni di riqualificazione sociale incentrata sulla tutela e riaffermazione dei valori ambientali. Tali attori sono individuati tra gli «abitanti della bioregione urbana», categoria «glocale» a forte connotazione socio-ambientale, utile ed efficace per reinterpretare i processi di declino e deterritorializzazione in atto, e rivoltarli in rappresentazioni di scenari di recupero ambientale e culturale del patrimonio territoriale.

Dai comitati di difesa del territorio ai nuovi attori delle produzioni agrorurali a filiera corta, alle strutture della green economy locale, agli animatori della landscape oriented smart city, Magnaghi individua possibili reti di «abitanti di bioregioni urbane» capaci di esprimere azioni allargate e sostantive per politiche di restauro del territo-

Tutti i possibili percorsi di «ricerca-azione» per riqualificare ambiente e patrimonio in una direzione civile rio – bene comune, di riutilizzo del patrimonio, di riqualificazione civile e sociale dell’ambiente. Con la più recente delle organizzazioni di ricerca e azione che ha promosso, la «Società dei Territorialisti» e i moltissimi studiosi, esperti, cultori e ambientalisti che vi aderiscono, l’urbanista oggi promuove «Osservatori» sui diversi contesti regionali, riletti secondo i criteri della «Bioregione Urbana» su cui si sofferma nel suo scritto. L’obiettivo è proporre strategie che prefigurino il piano e il progetto urbanistico nella sua accezione più coerente di «formalizzazione spaziale di politiche»: connotate, invece che da una partecipazione crescente solo a livello di declaratorie, dalle intenzionalità strutturanti dei nuovi abitanti; consapevoli delle necessità di un’azione «attenta e sensibile» ad altissima coscienza e bassissima impronta ecologica.

di milioni di contadini. I protagonisti di questo megaesodo planetario non arrivano più in città. Arrivano in smisurate e sconfinate periferie, slums, favelas, urbanizzazioni illegali, frutto esponenziale e terminale dei processi di deterritorializzazione già avvenuti (ma con proporzioni e tempi diversi) nelle periferie della città-fabbrica occidentale: rottura delle relazioni culturali e ambientali con i luoghi e con la terra, perdita dei legami sociali, dissoluzione dello spazio pubblico, condizioni abitative decontestualizzate e omologate, crescita di nuove povertà. Questo «regno del posturbano» (e del postrurale) si è costruito, nella civiltà delle macchine, con la rottura delle relazioni co-evolutive fra insediamento umano, natura e lavoro che ha caratterizzato, nel bene e nel male, le civilizzazioni precedenti. Il percorso di «deterritorializzazione senza ritorno» che si è avviato con la recinzione dei commons, procede, nel tempo del grande esodo, con la privatizzazione e la mercificazione progressiva dei beni comuni naturali (la Terra, innanzitutto, e poi l’acqua, l’aria, le fonti energetiche naturali, le selve, i fiumi, i laghi, i mari e cosi via), e dei beni comuni territoriali (città e infrastrutture storiche, sistemi agroforestali, paesaggi, opere idrauliche, bonifiche, opifici, impianti energetici).

Autogestioni locali Questa deterritorializzazione ha trasformato progressivamente gli abitanti (che ancora nella città fabbrica esprimono la forza collettiva per rivendicare nel territorio condizioni di vita adeguate) in consumatori individuali e clienti del mercato e i luoghi in siti occupati da funzioni che rispondono a reti globali. L’urbanizzazione del pianeta che compie questo processo è dunque catastrofica per la mutazione antropologica che produce con la fine della città e della cittadinanza, oltre che ecocatastrofica per gli effetti sul clima, sul consumo di suolo fertile, sugli ecosistemi, provocati dalla dimensione, velocità e forma dei processi di inurbamento. Si compie così un percorso, analizzato da molti osservatori scientifici, da una parte verso una condizione urbana globale (ma non di urbanità) come destino esclusivo dell’umanità sul pianeta, dall’altra, «fuori le mura», verso l’abbandono e l’inselvatichimento di molti spazi aperti, resi inospitali per la vita dell’uomo da processi di degrado, desertificazione, alluvioni; e verso lo sfruttamento commerciale della natura fertile residua. Se questa urbanizzazione globale non è più la terra promessa, vanno allora ricercate forme di controesodo: accrescendo la resistenza (in via di crescita) dei luoghi periferici e marginali al loro definitivo tramonto e colonizzazione e favorendo il loro ripopolamento con nuovi agricoltori, alleati con cittadini consapevoli, per la costruzione di una nuova civilizzazione urbana e rurale. Il controesodo è un «ritorno al territorio» come bene comune (alla terra, alla montagna, alla urbanità della città, ai sistemi socioeconomici locali) per disseppellire luoghi, ritrovare la misura

bioregione: un modo di ridisegnare, in controtendenza, le relazioni virtuose fra insediamento umano, ambiente e storia che, similmente alla costruzione di una casa, individui e metta in opera gli «elementi costruttivi» di un progetto di territorio che produca l’autosostenibilità degli insediamenti umani.

Eccentricità a confronto

umana delle città e degli insediamenti. Il che significa ricostruire relazioni sinergiche fra insediamento umano e ambiente; aiutare la crescita di «coscienza di luogo», ovvero la capacità della cittadinanza attiva di sviluppare, a partire da vertenze specifiche, saperi e forme di autogoverno per la cura dei luoghi, in primis dei fattori riproduttivi della vita; promuovere nuovi stili conviviali e sobri dell’abitare e del produrre; valorizzare le forme in atto di mobilitazione sociale, le reti civiche e le forme di autogestione dei beni comuni territoriali e ambientali, per produrre ricchezza durevole in ogni luogo del mondo attraverso una conversione ecologica e territorialista dell’economia e la costruzione di reti solidali per una «globalizzazione dal basso». Lo strumento concettuale e operativo che propongo, insieme a molti ricercatori della Società dei territorialisti, per avviare questo «ritorno al territorio» è la bioregione urbana, declinazione territorialista del concetto storico di

Questi elementi costruttivi sono, in sintesi: le culture e i saperi locali contestuali e esperti che si mobilitano per riattivare l’ars aedificandi dei mondi di vita delle comunità locali; gli equilibri idrogeomorfologici e la qualità delle reti ecologiche come precondizioni dell’insediamento umano e della sua capacità autorigenerativa; la decostruzione delle urbanizzazioni contemporanee centro-periferiche e la ricostruzione di centralità urbane policentriche e dei loro spazi pubblici (città di villaggi, reti di città in equilibrio ambientale con il loro territorio rurale); lo sviluppo di sistemi produttivi locali orientati alla messa in valore dei beni patrimoniali per la produzione di ricchezza durevole; la valorizzazione integrata delle risorse energetiche locali in coerenza con il patrimonio ambientale, territoriale e paesaggistico, per l’autoriproduzione della bioregione; i ruoli multifunzionali degli spazi agroforestali (già presenti in molte esperienze di neoruralità) per la riqualificazione delle relazioni città-campagna per la produzione di servizi ecosistemici e la riduzione della impronta ecologica; le istitu-

CAREY YOUNG, «BODY TECHNIQUES (AFTER A LINE IN IRELAND, RICHARD LONG, 1974); SOTTO, LA FOTO DI SEBASTIANA PAPA «FORNO COMUNALE», ORGOSOLO, 1966

IDENTIKIT

La Società dei Territorialisti e il sistema vivente dei «luoghi» La Società dei Territorialisti e delle Territorialiste è nata per iniziativa di un Comitato di garanti di diverse discipline di molte università italiane, per perseguire i seguenti obiettivi: a) sviluppare il dibattito scientifico per la fondazione di un corpus unitario, multisciplinare delle arti e scienze del territorio di indirizzo territorialista, che assuma la valorizzazione dei luoghi come base fondativa della conoscenza e dell'azione territoriale; b) promuovere indirizzi per le politiche e gli strumenti di governo del territorio a partire da questo corpus; c) indirizzare il dibattito sulla formazione di scuole, dipartimenti, dottorati, master di Scienze del territorio nelle università italiane; d) promuovere eventuali strutture di carattere culturale e scientifico al di fuori dell’Università; e) sviluppare relazioni internazionali mirate a estendere e confrontare i temi della Società. Soprattutto, vi si favorisce un approccio che ha posto al centro dell’attenzione disciplinare il territorio come bene comune nella sua identità storica, culturale, sociale, ambientale, produttiva e il paesaggio in quanto sua manifestazione sensibile. Si critica, invece, l’idea di una fatalità della deterritorializzazione e despazializzazione. L’approccio della Società interpreta il territorio, appunto, come un sistema vivente ad alta complessità che è prodotto dall’incontro fra eventi culturali e natura, composto da luoghi (o regioni) dotati di una propria storia, struttura e carattere. Ribadisce dunque il legame interattivo delle società umane con la terra (nella sua entità geologica, topografica, ecologica, vegetale e animale).


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CULTURE ADDIO A MOUSSA KONATÉ Lo scrittore maliano Moussa Konaté è morto a Limoges, dove viveva dal 1999, a 62 anni. Creatore del commissario Habib e dell'ispettore Sosso. i suoi romanzi polizieschi sono pubblicati in Francia nella Serie Noir di Gallimard. In Italia sono apparsi per Del Vecchio editore «L’assassino di Banconi», «L’onore dei Keita» e

«L’impronta della volpe» e per i tipi di E/O, «La maledizione del dio del fiume». Nato a Kita nel 1951, si laureò in lettere all’Ecole Normale Superieure di Bamako, dove ha insegnato. È stato l’organizzatore del Festival Etonnants Voyageurs. Ha fondato una casa editrice in Mali, assumendo anche il ruolo di divulgatore culturale, nelle zone rurali, soprattutto con libri per l’infanzia.

INTERVISTE · Incontro con Isabella Bordoni, curatrice di «Art&swap»

Dencity, baratta la casa con sprazzi di creatività Tiziana Migliore

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zioni di democrazia partecipativa, le forme e le esperienze di gestione sociale dei beni comuni territoriali per l’autogoverno della bioregione. Ognuno di questi «elementi costruttivi» si appoggia su energie sociali (comportamenti, movimenti, comitati, reti)

Non si possono trasformare gli abitanti della terra in consumatori individuali, clienti di siti «comandati» solo dalle reti globali che vanno esprimendo nuove forme del conflitto che si è desituato, almeno nelle regioni del nord del mondo, con la complessificazione crescente dei rapporti sociali di produzione, dalla centralità della contraddizione fra capitale e lavoro alla opposizione fra eterodirezione e autogoverno delle comunità locali, come già scrivevo nel 1981: «Due ec-

centricità si fronteggiano sul nuovo territorio metropolitano: le aree socioeconomiche in cui si disarticola il territorio della produzione, in quanto terminali informatizzati del nuovo ciclo di accumulazione e la formazione di nuovi bisogni di autodeterminazione della qualità della vita, emergenti in modo articolato e specifico nelle singole comunità socioeconomiche». Il progetto di bioregione consolidandosi nel tempo in relazione alla evoluzione dalla coscienza di classe alla coscienza di luogo, fa riferimento a esperienze di ricerca-azione e di progettualità sociale del territorio in corso in alcune regioni europee dove l’urbanizzazione diffusa ha già raggiunto livelli difficilmente superabili; ma può nel contempo indicare strade per il contenimento del grande esodo verso megacity, contrapponendogli la visione di un pianeta brulicante di bioregioni in rete, per una globalizzazione dal basso fondata in ogni luogo sulla gestione collettiva del bene comune territorio.

encity (presentato a Milano) è un sistema culturale integrato, della durata di tre anni, per una macro area della periferia sud-ovest della città – i poli urbani e periurbani di Giambellino-Lorenteggio, Solari-Savona-Tortona, Barona-Parco Teramo. Finanziato da Fondazione Cariplo, l’esperimento, dell’Associazione Dynamoscopio, in rete con attori istituzionali e accademici, chiama alla partecipazione attiva chi abita il territorio o vi è coinvolto a vario titolo. Scommette su interventi che utilizzano la cultura come motore di rigenerazione economica e politica, nel senso letterale di «cosa pubblica», della cittadinanza. Fra le iniziative, Art&swap District, in Giambellino-Lorenteggio, ci sembra la più promettente. È il disegno di una nuova economia della casa, dove il mercato dell’affitto può diventare occasione di apertura del privato al pubblico. Cambiano la percezione e l’uso dei concetti di «proprietà», «abitare» e «profitto». Ne parliamo con la curatrice, Isabella Bordoni. Quali sono la strategia e gli obiettivi di Art&Swap? Definirei Art&swap District un’esperienza di «abitazione creativa in periferia critica». «Swap» vuol dire «baratto». Stiamo tentando di capire se la casa, bene materiale, ma esposta a sfitti, morosità e sgomberi in Giambellino-Lorenteggio, possa essere parzialmente barattata con l’arte, bene immateriale, come metodo di cura del problema e servizio al territorio. Valore-casa e valore-cultura si rafforzerebbero a vicenda, con vantaggio per soggetti individuali e sociali. Art&swap, affiancato dalla Fondazione Dar, prevede che l’arte sia una delle clausole nelle stipule di contratto fra locatori e locatari. Fa incontrare i proprietari con artisti, designer e studenti, dai 18 ai 35 anni, disposti a spendere sul territorio il proprio tempo e talento. Potenziali inquilini scelti anche con il fine di ridurre i rischi del rapporto locativo. Per chi decide di abitare un anno in Giambellino-Lorenteggio, il canone di affitto scende del 20% rispetto al prezzo di mercato. Un primo passo verso scenari alternativi, che non è cambiare il denaro sonante con la moneta elettronica, ma considera-

GIAMBELLINO DALL’ALTO

re, ad esempio, di far ripartire l’economia scambiandosi una serie di servizi. Residenze temporanee per la città, le stesse che spronano gli artisti a un fare non individualistico… Con Art&swap siamo in un campo che non è quello delle residenze (per artisti o studiosi, ricercatori, teorici), bensì di un territorio che desidera, poi immagina, costruisce e infine espone una strategia amministrativa e una volontà di accoglienza. Il progetto è pionieristico, non ha campioni in Italia o in Europa a cui ispirarsi. Creare aperture dentro le regole economiche vuol dire pensare che «economia» è «oikos» – «casa» – in quanto «ethos» – postura etica di una soglia tra dentro e fuori, privato e pubblico. Abito di un luogo che ha stabilito misure, ordini di grandezza e di corrispondenza, processi inventivi di «traduzione» e «transazione». Il «reddito culturale» costituisce il motore di questa economia. Il modello è la coesione sociale, l’intercultura come lavoro di conoscenza e pedagogia reciproca, fra i residenti e «l’altro» in ingresso. Non si tratta di andare contro la proprietà privata, ma di ritenere che il capitale privato sia una risorsa per il benein-comune. Un ragionamento valido anche per gli appartamenti di edilizia popolare, chiusi perché sotto soglia. Salta agli occhi la distanza dalla politica di governo, inte-

ressata all’immobile solo per le varie Imu, Service Tax, Trise… da applicare o abolire. Voi gettate le basi di un’educazione alla proprietà, mostrando, per contrasto, quanto siamo rappresentati male. Ma Art&swap può far breccia nel pensiero degli amministratori pubblici? È presto per dirlo. Le istituzioni comunali e regionali, oltre che i privati illuminati, ci danno garanzie e speranze che il governo, al momento, non aiuta ad avere. Secondo l’Osmi, circa il 30% degli studenti vive in abitazioni degradate, pagando affitti superiori alla loro stima. L’inaugurazione di Dencity ha avuto potere simbolico in questo senso. Si è svolta all’interno del Mercato comunale di via Lorenteggio, dove Dencity ha un suo banco, un punto culturale accanto al fornaio, al macellaio, al verduraio... Sul filo della metafora, la cultura alimenta, e nel modo di un commercio che vuole rivelare le catene di produzione e distribuzione. Il Mercato in questione, prima della giunta Pisapia, doveva essere soppresso. Il consorzio dei commercianti lo ha ristrutturato e salvato, ottenendo dal comune l’abbassamento del canone di affitto dei locali. In maniera analoga, noi contiamo di mettere in moto meccanismi per cui la cultura possa sostenersi da sola. Al banco di Dencity si organizzeranno corsi e laboratori di attività che diventeranno me-

MOSTRE · Al Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma un focus sulla Sardegna di ieri e di oggi

Sebastiana Papa entra in punta di piedi nelle case di Orgosolo A. Di Ge.

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a una parte, sfilano i costumi sardi, ognuno diverso, con le loro storie cucite sulle stoffe fiorate, nere o rosse fuoco. In mezzo, ci sono i gioielli - quelli di un tempo e quelli moderni - che testimoniano le mille anime della Sardegna e segnano una continuità con le tradizioni non ancora andate perdute (come quei buttones dei costumi che vengono reinventati in ceramica, assumendo forme contemporanee o il telaio che ordisce trame inedite, ma con la medesima perizia di una volta). Dall’altra parte, invece, sul muro, si incontrano le immagini - rigo-

rosamente in bianco e nero - del viaggio ad Orgosolo di una fotografa speciale, Sebastiana Papa, che lì nella Barbagia andò nel 1966, si mescolò tra la gente, sconfisse la loro diffidenza e poté immortalare la ruvidezza della vita sarda, sul limitare di un’epoca e di una civiltà che volgeva ormai al tramonto. I frames rubati riportano in vita antichi mestieri e giochi di bambini: dall’anziana signora che fila seduta sulle scale ai pastori che preparano il formaggio, fino alle ragazzine che impastano il pane nel forno comunale (retaggio di una idea di comunità oggi sparita) e ai saltelli intorno alla campana, gioco di strada che ha divertito in-

tere generazioni, prima e dopo la guerra. Trenta le foto selezionate ed esposte di Sebastiana Papa, pescate da un patrimonio importante che «racconta» un mondo anonimo, di gesti rituali e abitudini secolari, trasfigurandolo in Storia. Sono questi alcuni scorci della mostra allestita presso il Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma (fino all’8 dicembre), diretto da Maura Picciau: l’esposizione pone al centro del suo «Arcipelago Mediterraneo» una sorta di narrazione che tira un filo che va dal nord al sud dello Stivale una regione come la Sardegna, oggi messa in ginocchio dagli eventi natura-

stieri, introducendo competenze professionali. Qual è il ruolo delle università? Si sta definendo un programma formativo per gli artisti di Art& swap District, in parte interno al sistema universitario (Naba, Domus Academy, Iulm), con crediti, stage, Erasmus e possibilità di tesi, e in parte esterno, che permetterebbe ad artisti non inscritti di frequentare corsi singoli e partecipare, come uditori, a seminari e iniziative di università e accademie. Le professioni della creativeclass – moda, design e arte contemporanea – coinvolgono poco le comunità cittadine. Art&swap saprà essere una critica-clinica delle relazioni sociali? I processi locali sono complessi e contraddittori. Ogni comunità è costituita di tante altre. Gli artisti-studenti devono saper osservare, con sguardo antropologico, ma anche lasciarsi assorbire. Significa superare due tipi di tabù: il «tabù della bellezza»,

Un sistema culturale integrato per l’area a sud ovest di Milano dove di mescolano designer e inquilini che regna nelle dinamiche professionali, ma è assente nel privato; e il «tabù della povertà». Giambellino-Lorenteggio è un’area di tangibili difficoltà economiche, dove lo studio ha ancora i tratti di un valore, di un sacrificio familiare. Gli artisti interpretano quest’ottica e propongono lo studio come possibilità di emancipazione; gli abitanti ricambiano con i segni di una bellezza da condividere. Quindi l’idea non è di sensibilizzare le comunità alla «bellezza» – Fiumara d’Arte, la Fondazione di Antonio Presti a Librino, lo fa egregiamente da dieci anni – ma, viceversa, di stanare e tradurre, in fotografia, in musica, con performance o filmati, forme di bellezza spontanea che esistono al loro interno. Art&swap non mira alla creazione di una comunità omogena, in termini identitari. Cerca invece l’ibridazione in un territorio già ibrido: qui, nel dopoguerra, si è avuta l’immigrazione dal Sud Italia; attualmente è forte la presenza di arabi, soprattutto egiziani. C’è uno scoglio linguistico da superare, e di comunicazione. Perciò vorremmo che committenti di Art&swap fossero i singoli cittadini, nella volontà di raccontarsi e fare richieste, fuori dal proprio recinto culturale. Auspichiamo un «guardarsi reciproco» anche fra i nuovi abitanti e artisti che provengono dalle stesse geografie. Il bando del progetto sarà aperto agli stranieri.

li e dall’incuria politica delle sue amministrazioni. La collezione di oggetti sardi può contare su una gran varietà di materiali e può considerasi una delle raccolte più ricche conservate all’interno del museo: tra tutte le regioni presenti nel 1911 all’Esposizione del Cinquantenario dell’Unità d’Italia, infatti, la Sardegna risultò essere quella meglio documentata, forse proprio a causa della sua posizione geografica periferica, che la relegava nelle zone «ombrose», quelle meno conosciute del nostro paese. Il gruppo etnografico sardo era, quindi, il più imponente: presentava le sue abitazioni (dalle capanne dei pescatori di Cabras fino alle case galluresi o montane della Barbagia) e lo svolgersi della vita quotidiana delle famiglie contadine. Vesti, arredi, manufatti, attrezzi di lavoro sono ora il tesoro» custodito nelle raccolte del Museo che si trova all’Eur, proprio di fronte al Pigorini.


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VISIONI

Icone • Il 4 dicembre 1993 se ne andava Frank Zappa, genio della musica prestato

al rock, lasciando una mole infinita di inediti che diversi decenni non basteranno ad esaurire

Guido Festinese

C

i sono assenze dalla vita forti, fortissime, che diventano quasi presenze. E ci sono presenze totalmente inessenziali, che durano giusto la macina di qualche minuto, fatta salva, naturalmente, la fittizia eternità della Rete. Venti anni fa, il 4 dicembre del 1993, lasciava questo pianeta con molto dolore e un residuo di sorriso beffardo sotto baffi e «mosca» precocemente imbiancati il signor Frank Vincent Zappa. Professione: genio della musica, tout court. Primo paradosso, e quando si parla di Zappa, il paradosso è norma: perché lui era il primo a dichiarare di «non essere nel business dei capolavori», e di essersi limitato, in vita sua a «mettere in agitazione un po’ di molecole nell’aria per un certo periodo di tempo stabilito per ogni agitazione», che sarebbero poi i brani musicali. Adesso forse è andato ad abitare sull’asteroide ZappaFrank, regolarmente registrato, o nuota nei mari assieme a nugoli splendidamente infestanti di meduse Phialella Zappai, nome tributo dal biologo marino genovese Fernando Boero, peraltro ricambiato dal Maestro Baffuto con un complementare tributo in musica al Lonesome Cowboy Nando. Di sicuro invece sarebbe il primo a ridere, lui, di statue e intitolazioni di strade, e a scriverci sopra qualche colta irriverenza eclettica. Un’assenza-presenza forte, s’è detto, ed è pura verità. Perché l’uomo che si nutriva di caffé, sigarette, partiture, e ricerca maniacale sulle musiche possibili ogni notte della sua vita, travestendo il tutto teatralmente da «rock», e riuscendoci pure, a farlo sembrare solo rock sbilenco e «impossibile», è più vivo che mai. Non si parla, qui, dell’ossessiva reiterazione dei frammenti residui possibili, dilatati all’infinito, raschiando ogni possibile fondo di barile: per questo ci sono già schiere di avvoltoi (magari accanto a scrupolosi archivisti, sia chiaro) che così hanno operato con Hendrix, con Jim Morrison, con John Lennon, e via citando il pantheon dei santini-santoni rock. Il fatto è che tale e tanta è stata la produzione di Frank Zappa, una mole bachiana, in pratica, e tale il piglio auto-documentario sulle proprie attività, che diversi decenni non basteranno ad esaurire scoperte ed indagini sui materiali nascosti nel leggendario Vault, il magazzinocantina-laboratorio zappiano dove riposano migliaia di bobine magnetiche e cassette. Le uscite post mortem, per ora, si assestano sulla quarantina circa di titoli, fra recuperi «live» ed inediti assoluti. Ultima nata, la magnifica serie dei Road Tapes: per ora testimonianze dal ’68 e dal ’73. Domani, chissà. Ma, scegliendo fior da fiore, il consiglio è di ascoltarsi almeno queste chicche: Feeding The Monkies At Ma Maison, «impossibili» composizioni per synclavier, Joe’s Domage, dove ascoltate il Maestro nel suo laboratorio, mentre prova con i suoi musicisti, Wazoo, versioni dal vivo orchestrali del jazzatissimo Grand Wazoo, Philly ’76, con la documentazione di un organico che ebbe vita brevissima. Senza contare le possibili riletture e gli studi sul musicista. In Italia ad esempio, non considerando l’encomiabile sforzo di chi ha dato vita per anni a una rivista interamente dedicata a Zappa, emanazione dell’Associazione Debra Kadabra, in questi quattro lustri dalla sua scomparsa sono usciti diversi libri interessanti: a partire, nel 2000, da Frank Zappa domani / Sussidiario per le scuole (meno) elementari, saggi e testimonianze varie raccolte e curate da Gianfranco Salvatore. E un paio d’anni fa Frank Zappa For President! Testi commentati, di Michele Pizzi: introduzione a colui che, a livello testuale, Pizzi considera, in buona sostanza, un perfetto cronista americano del Novecento. Avete letto bene, cronista, e di razza. Per il gusto zappiano del commento salace e in tempo reale di quanto succedeva attorno alla bolla speciale della sua musica. Magari adattando e attualizzando testi scritti trent’anni prima. Il contrario dell’esteta chiuso nella torre d’avorio. Perché poi Zappa amava molto, è noto, anche gli aspetti grevi e ridicoli delle cose: per riportarla in musica, poteva scrivere note come l’amato Edgar Varèse, ma poi adorava il suono enfio e stolido dei Black Sabbath.

L’uomo che andava oltre

Dal laboratorio zappiano escono bobine e cassette, che regalano chicche come «Feeding The Monkies at Ma Maison», impossibili composizioni per synclavier Armonizzava l’inizio della stravinskiana Sagra della Primavera in una «stupid song», ma poi riusciva a convincevi che quei tamarri rumorosissimi dei Grand Funk Railroad, all’indice di ogni serio cultore di «progressive rock» (figurarsi i jazzofili) avevano più «soul» nero nella loro musica di tutto il blue eyed soul inglese. Quindi li produceva, e suonava pure con loro. Il manifesto ha dato gran risalto, giustamente (vedi Alias del 26 ottobre) a Summer 82 When Zappa CameTo Italy, splendido documentario di un regista zappiano nel profondo come Salvo Cuccia: fatti e misfatti, avventure e disavventure sul tragicomico concerto siciliano di Zappa in mezzo ai lacrimogeni, per nulla turbato dall’accaduto. Con tanto di famiglia zappiana oggi sui luoghi d’origine del chitarrista-compositore più imprevedibile di tutti i tempi. E il Zappa mai ascoltato? Risuona, per fortuna. Il 23 ottobre, alla Walt Disney Music Hall (location che Zappa avrebbe adorato) la Los Angeles Philarmonic diretta da James Darrah ha offerto la prima «vera« di 200 Motels, partitura ricostruita con tanto di elementi visuali dalla infaticabile e un po’ strega vedova di Zappa, Gail, l’archivista principe del Vault, Joe Travers, e Todd Yvega, l’uomo che programmava le tastiere elettroniche di Zappa quando al Maestro venne l’uzzolo di imparare ad usare le macchine per far eseguire parti che menti, mani e bocche umane allora non riuscivano ad eseguire correttamente. Oggi ce la fanno, ma lui oggi chissà dove sarebbe, più avanti.

Intervista/RHYS CHATHAM, CHITARRISTA DI CULTO NELLA NEW YORK FINE ’70

«Al suono di cento chitarre provo a celebrare Baudelaire» Massimo Padalino

N

ew York, 1976. Questa sera, al CGGB’s, ci saranno loro: i Ramones. Suoneranno duro e veloce (come al solito), contribuendo alla leggenda di quel locale che di leggende ne vedrà passare tante (vi dicono niente i nomi di Talking Heads, Television e Blondie?). Proprio lì, in mezzo alla folla, un tizio più degli altri rimarrà colpito da quelle canzoni. Il suo nome è Rhys Chatham, destinato a diventare eccellente chitarrista nonché tramite tra due movimenti tipici della New York della fine degli anni '70, la scuola di compositori di Downtown e l'ondata della No Wave, sviluppando negli anni un personale linguaggio, in cui la musica d’avanguardia e il rock si mescolano e confondono... Rhys, da dove nasce il tuo amore per le chitarre elettriche? Sai, sono cresciuto studiando con il minimalista La Monte Young e con quel genietto dell’elettronica di Morton Subtonick. Poi ho fatto di tutto: ho suonato il piano alla maniera di John Cage, ho cantato per il Theater Of Eternal Music (insieme a Jon Hassell!) e ho imparato ad amare la musica di Terry Riley. Ma soprattutto ho «trafficato» con i primi sintetizzatori cosiddetti modulari: i Buchla Serie 100. Questo il mio background. In realtà, già allora ero ben preso dal discorso armoniche e ipertoni (le chitarre elettriche ne hanno a tonnellate) e dopo aver strimpellato per un po’ in alcuni gruppi rock, riuscii finalmente a comporre un lavoro che mi rappresentasse al 100%. Titolo: Guitar Trio. Era il 1977 e lo presentai per la prima volta al Max’s Kansas City di New York. Non sapevo mica se sarebbe piaciuto… Invece è stato un successo! Two Gongs è una delle tue prime cose che più ci piace. Che storia ha questa

composizione? Lavoravo come accordatore per una compagnia che affittava pianoforti e harpsichord. Erano i primi anni Settanta. Nel negozio c’erano due grandi gong cinesi e io presi a suonarli quasi per scherzo. Poi la compagnia me li regalò e cominciai a utilizzarli in concerto. Erano ipnotici. Tanto che nel 1982, in un pezzo per quattro chitarre dal titolo Drastic Classicism, scoprii che con certe accordature dissonanti potevo quasi replicarne il sound. Pensa un po’: quattro chitarre che suonano come due gong. Pazzesco, no? 1981, Noise Fest. A quell’evento erano presenti decine di gruppi che hanno fatto la storia della musica newyorchese. Che ricordo ne hai? Ne ho ricordi piuttosto confusi, a dire il vero. Comunque c’erano tutte le band che Brian Eno incluse tre anni prima nella seminale compilation No New York, tipo i Teenage Jesus And The Jerks

di Lydia Lunch, i Mars, i Contortions ecc. Ovviamente suonai anche io quella volta, col mio gruppo di allora: i Tone Death. Lou Reed è passato da poco a miglior vita, vorremo ci regalassi un suo ricordo... Oh, Lou… Ero in Irlanda, stavo preparando il mio show per il festival Hunters Moon, quando ho saputo della sua morte. Una cosa straziante, davvero. Quella sera chiesi alla gente lì presente di pregare assieme a me la dea Luna, affinché aprisse un varco per Lou verso il Cielo. Bizzarro: quello è stato il primo (ma temo rimarrà anche l’unico) «sing-along show» della mia vita. Tornando a Reed: le sue canzoni e la sua attitudine d’artista hanno fatto e continueranno a fare scuola. È dal 1988 che ormai vivi a Parigi, cosa ti ha spinto fin laggiù? L’amore. Ho sposato una coreografa francese che ho conosciuto a New York, e l’ho seguita nel Vecchio Continente. Lei voleva a tutti i costi lavorare nel modo della danza, che verso la fine degli anni ’80 stava conoscendo una rinascita proprio a Parigi. Sembrerà strano quanto sto per dire, ma ormai sento di avere messo delle vere radici in Francia. La Francia è la mia casa, senza ombra di dubbio. Un’ultima domanda: sei soddisfatto di «Harmonie du soir», il cd appena pubblicato dalla Northern Spy? Ho lavorato per anni e anni su pezzi da 100 chitarre e oltre. Eppure, non mi sono mai stancato di questo strumento. Stavolta mi cimento in un lavoro per «sole» sei chitarre (basso+batteria). Non tornavo a questo tipo di formazione perlomeno dal 1990 e sono felice di averlo fatto. L’occasione me l’ha offerta il museo parigino Palais de Tokyo, commissionandomi Harmonie du soir. Strana coincidenza: proprio nell’estate del 2011, quindi un bel po’ prima che il museo mi chiamasse, io stesso avevo intrapreso la scrittura di un pezzo chitarristico a sei. Da quel tentativo, pian piano, prese forma proprio Harmonie du soir (ispirata dal poeta Charles Baudelaire).


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VISIONI PIERRE LESCURE La corsa per la successione si è già aperta da qualche tempo. Chi prenderà il posto di Gilles Jacob, patrono eterno del festival di Cannes, ormai è diventato a sua immagine e somiglianza? Ultimo in ordine di tempo a farsi avanti è Pierre Lescure, già direttore di Canal +. Come ha

dichiarato al giornale francese Presse Ocean, Lescure, 68 anni, coltiva con una certa passione – e non solo cinefila – l'idea di succedere a Jacob nel delicato (e potente) ruolo di presidente del festival che ricopre dal 2001. «Mi sono consultato con diverse personalità del cinema – ha detto Lescure – La risposta arriverà nel primi mesi del 2014, in modo da

ARCIPELAGO · Fino al 6 dicembre a Roma il festival delle nuove immagini

Le serie web, il doc, il corto e perfino il magico Super8 MOSCA, AGGRESSIONE DEL BOLSHOI

I

Sei anni di carcere a Pavel Dmitrichenko. È la pena inflitta dal tribunale distrettuale di Mosca all’ex ballerino del Bolshoi, per aver organizzato l'aggressione con l'acido al direttore artistico del teatro moscovita Sergei Filin. L'esecutore «fisico» dell'aggressione, Yuri Zarutsky, è stato invece condannato a dieci anni mentre Andrei Lipatov, a quattro anni per aver portato in macchina Zarutsky di fronte all'abitazione di Filin la sera dell'aggressione, lo scorso 17 gennaio. La giudice Yelena Maximova che ha presieduto il processo ha anche sancito il pagamento di danni materiali per 508mila rubli (15mila dollari) e tre milioni di rubli per danni morali, accogliendo completamente la richiesta di Filin tornato a dirigere il Bolshoi lo scorso settembre, dopo nove mesi di cure e 20 interventi chirurgici in Germania e aver recuperato solo parzialmente la vista. Dmitrichenko ha ammesso di aver voluto dare una lezione a Filin perché non aveva assegnato alla sua compagna Angelina Vorontsova la parte di protagonista in una nuova produzione del Lago dei cigni, ma non di aver chiesto l'aggressione con l'acido a Zarutski e per questo si era proclamato non colpevole.

«MISSION» IN ONDA STASERA SU RAIUNO

Dove scoprire i grandi nomi del futuro e le tecnologie sperimentali mo romani»), e racconta gli stili di vita, le tradizioni attraverso la voce di tanti testimoni autorevoli e gente comune. L’invenzione degli anni ’60, il fidato compagno dell’underground. Daniela De Felice mostra in concorso Casa, un film assai personale dove, a partire da un evento drammatico della sua famiglia, la morte del padre, elabora il lutto attraverso il dialogo con la madre e il fratello,

si depongono e mettono via gli oggetti perché l’abitazione sarà posto in vendita, risalendo così alle vicende più personali e raccontate sempre più in profondità. In Sfiorando il muro Silvia Giralucci con Luca Ricciardi ritorna all’epoca della Padova del ’77, quando suo padre, militante di destra fu ucciso dalle Br quando lei era solo una bambina, In Utero Sebrenica di Giuseppe Carrieri, mostra le madri che in Bosnia scavano alla ricerca di qualche frammento di ossa che possa mettere pace allo strazio della sparizione dei figli, in Congo dopo anni di guerra con The Silent Chaos di Antonio Spanò dove la superstizione, unico elemento unificante di un popolo, identifica nei sordi un elemento di allarme. Ogni giorno una quantità di volti, nomi e sorprese e il concorso delle serie web con personaggi come Batnam anziano, amici cannibali, Johnny Palomba che fa lo psicanalista, soldati nello spazio e ogni genere di horror. Tra gli eventi speciali i reading di Elena Cotta, Rolando Ravello, Valerio Mastandrea, Carmelo Galati.

Luigi Onori

Sei anni all’ex ballerino Pavel Dmitrichenko

anche la camera è sexy. E c’è tutta una storia da scoprire. Nella sezione Extra large dedicata ai documentari segnaliamo un film ormai classico di Gianfranco Pannone Ebrei a Roma, che racconta la comunità più antica d’Europa («siamo ebrei e sia-

JAZZSET

L’altra Sardegna di Paolo Fresu

Silvana Silvestri ROMA

l pubblico goloso di nuove immagini ha l’occasione fino al 6 dicembre di immergersi nella edizione 2.1 di Arcipelago (e non è un caso che non si tratti di ventunesima edizione), festival internazionale di cortometraggi con la direzione artistica di Stefano Martina, che obbliga il pubblico alla rilettura della realtà, uno tra i primi a occuparsi delle nuove tecnologie e piattaforme. Quest’anno si tiene all’Ambra alla Garbatella e in replica alla Casa del cinema. Oggi alle ore 19 all’Ambra, Costanza Quatriglio incontra il pubblico in occasione del suo Col fiato sospeso (fuori concorso) interpretato da Alba Rorhwacher, il film sulla pericolosità letale dei laboratori dell’università farmacia, ispirato a una esperienza reale. Alle ore 18 L’uomo che corre di Andrea Zambelli che accompagna un atleta su un percorso di mille miglia sulla pista abbandonata di un aeroporto, sedici giorni di corsa ininterrotta per dieci ore al giorno. Alle ore 20,30 torna Gianluca Sodaro, che fu scoperto dal festival di Torino con I paladini della Santa provvidenza (’97), autore di Ti stramo (con Pino Insegno) e Cuore scatenato: ad Arcipelago presenta God's got his head in the clouds (Dio ha la testa tra le nuvole), un corto gotico perfettamente confezionato, in una natura indisciplinata, un testa a testa tra un prete e una ragazzina decisa a incriminare dio per non aver mantenuto la promessa fatta al battesimo di tenere lontano da noi il male. Coprotagonista è il netto bianco e nero del direttore della fotografia Ramunas Greicius - il film è stato realizzato con fondi lituani e lituane sono in gran parte le maestranze -, la musica è di Angelo Badalamenti, l’autore delle musiche dei film di Lynch, le ossessioni così precisamente delineate sono tutte di Sodaro. Sarà sorprendente per il pubblico più giovane vedere The art of Super 8 di Camillo Valle, un film che sembra fatto apposta per Arcipelago, dove cineasti per lo più dell’Europa del nord, appassionati del mezzo, spiegano come la piccola cinepresa ormai in disuso rispetto al digitale, in realtà sia il mezzo migliore per decodificare la realtà, con quei 3’20" di carica che costringono a pensare prima di girare perché c’è una sola possibilità e poi il leggero movimento della pellicola lo rende così diverso, i ralenty sono speciali, e infine

ipotizzare un passaggio di consegne già dopo la prossima edizione del festival» Lescure è il primo a candidarsi apertamente, ma non è il solo interessato. Segnali in questo senso sono arrivati dal regista Claude Lelouch, da Serge Toubiana, ora direttore della Cinémathèque francese, e da Jérôme Clément, ex-presidente di Arte.

I «vip» nei campi profughi, ma è ancora polemica Le polemiche degli scorsi mesi non hanno fermato «Mission», il reality girato in campi profughi, che Rai1 si accinge a mandare in onda oggi e il 12 dicembre in prima serata su Rai1, a cui partecipano «vip» come Albano, Emanuele Filiberto, Paola Barale. Un debutto preceduto da forti polemiche da parte di associazioni umanitarie «contro la spettacolarizzazione delle tragedie umanitarie», e su cui si era espressa in maniera negativa anche il presidente della Camera, Laura Boldrini. Richieste di chiarimenti, a cui la Rai non ha mai dato seguito. «Mission è stato il programma più recensito e più criticato, prima ancora che venisse prodotto - ha sottolineato Giancarlo Leone, direttore di Rai1 - lunedì il direttore generale Luigi Gubitosi con i suoi collaboratori lo ha visionato, una procedura non usuale. Il dg avrebbe potuto decidere la non messa in onda, ma non lo ha fatto». Su questo, i segretari della commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi (Pd) e Bruno Molea (Scelta Civica) hanno chiesto maggiore trasparenza, invitando il presidente della bicamerale Roberto Fico a inviare una richiesta ufficiale a Gubitosi per conoscere il suo parere.

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ono stati gli intensi quattro minuti di Omaggio alla Sardegna nella puntata di Ballarò del 19 novembre, a farmi tornare in mente un libro sottovalutato. L’isola era ancora sommersa dalle acque e devastata da crolli e frane, si contavano i morti e il flicorno di Fresu con le parole di Marcello Fois tessevano un dolente, profondo tributo alla loro terra ferita. In Sardegna. Un viaggio musicale (di P. Fresu, Feltrinelli, 2012) è una delle testimonianze di !50 anni suonati (ci sono anche il documentario di Marthe Le More e i cd pubblicati da La Repubblica), il progetto che ha visto il trombettista di Berchidda suonare per cinquanta giorni consecutivi in altrettanti luoghi della Sardegna: dall’ ex caseificio La Berchiddese il 12 giugno 2011 (con il quintetto storico e la Banda musicale De Muro) al solo nel teatro lirico di Cagliari. Da molti quest’impresa è stata vista come un atto di narcisismo, quasi un «pantagruelismo sonoro» in tempi di crisi. A tanti è sfuggito l’intreccio tra luoghi, tecnologia, ecologia, passato, presente, futuro che ha ispirato Fresu e che nel testo, oltre al diario delle performance, trova spazio nella sua complessità. Partito dall’idea di «confine» e da quella collegata di «viaggio», il jazzista afferma che ««il termine confine per me sa di Sardegna. Perché è un avere continuamente a che fare con perimetri, bordi e tangenti che sono propri dell’insularità e racchiudono segni e sensi linguistici e antropologici, sociali ed

economici, faunistici e topografici. Sono dunque altrettanti confini di una Sardegna continentale fatta di volti e di parlate, di sapori e di odori, di colori e di pensieri che cambiano repentinamente da bidda a bidda e da città a città» (p.12). Citando un suo articolo uscito su La Nuova Sardegna Fresu racconta di aver avuto «la grande fortuna di nascere in Sardegna (…) È la campagna di Berchidda ad avermi forgiato ancor prima della musica. La sua lingua ad avermi suggerito valori e tradizioni che ho potuto convertire in suoni ed emozioni». A 50 anni Paolo Fresu sottolinea l’esigenza interiore di «mettere la musica al servizio della vita, per provare nel mio piccolo a migliorarla utilizzando lo strumento che meglio conosco: il suono (…) A volte lancinante per raccontare questo momento così difficile (per la nostra isola e il mondo più vasto) e a volte tenero per provare a rendere il meglio che c’è dentro di noi » (p.13) È una Sardegna poco conosciuta quella che emerge dal viaggio di !50 suonati ed allarga a dimensione insulare ciò che il jazzista ha fatto dal 1988 con il festival Time In Jazz. Un viaggio che parla di solidarietà, rispetto e amore per il territorio, turismo responsabile, risparmio energetico, attenzione per i sofferenti ed i malati, poesia: tutto il contrario di una politica che ha saccheggiato, svenduto, snaturato e cementificato parte della Sardegna, fino alla tragica giornata del 18 aprile scorso. luigi.onori@alice.it

CINEMA · Presentato al Torino Film Festival «Enough Said», l’ultimo film interpretato dalla star dei «Soprano»

James Gandolfini, quella sostenibile leggerezza dell’attore Giuliana Muscio

E

nough Said è l’ultimo film interpretato da James Gandolfini, e ti fa davvero rimpiangere la sua morte precoce di infarto a Roma. Affiancato a Julia Lewis-Dreyfus nel ruolo della massaggiatrice Eva, e da un cast femminile di eccellenza (Toni Colette e Catherine Keener) Gandolfini interpreta Albert, un single corpulento che incontra Eva, a una festa, e comincia a pensare di poter costruire qualcosa con lei. Entrambi hanno delle figlie pronte ad andare al college, e quindi a lasciare casa, e stanno affrontando la sindrome del nido vuoto. Eva nel frattempo ha tra le sue clienti una poetessa che si lamenta del suo grasso e insopportabile marito da cui ha divorziato - e si scopre trattarsi di Albert. Influenzata da questi commenti, una sorta di Trip Advisor matrimoniale, Eva, che ha sempre la battuta (sapida piuttosto che acida) pronta, ed è una donna piena di iniziativa, si stacca da Albert. In mezzo le due figlie che forse sperano di vedere i genitori sistemati, prima della loro partenza. Se tutti gli interpreti sono efficaci nel mettere in scena le difficoltà della vita di coppia dopo i naufragi matrimoniali, Gandolfini è davvero speciale, nel suo «esse-

re» Albert. Mi ricordo che quando avevo cominciato a vedere i Soprano, avendo sentito le lodi sperticate di amici e critici sul cast della serie e in particolare su Gandolfini, mi ero domandata come mai. Gandolfini «era» Toni e l’effetto naturalistico era dovuto alla scelta del casting, al suo essere un corpulento omone dalla faccia un po’ tonta, che giocava contro le regole stereotipiche della rappresentazione del mafioso italoamericano. Quando l’ho visto però in Romance and cigarettes di Turturro in cui interpretava il marito italoamericano fedifrago di Susan Sarandon, muratore e fumatore, cantando e ballando in questo film davvero speciale, ho capito che mostro di attore era; come la Magnani che ti sembra sempre lei, ma se poi la riguardi vedi che ha messo tutta se stessa nel personaggio, ma il personaggio vive di vita autonoma. Anche in questo film riesce a essere Albert, sfoggiando alcune battute folgoranti e spiazzanti, e una dignità di uomo sensibile ma stanco di essere ripreso per quella corpulenza che ahime era la sua forza, visivamente, ma è stata anche la sua condanna. Abbiamo «scoperto» Enough Said al Torino film festival, insieme a un’altra piccola commedia sentimentale americana, The Way Way Back, entrambe caratterizzate da dialoghi

frizzanti ma senza tour de force logorrroici. The Way Way Back, scritto e diretto da due attori di serie tv popolari come Mad Men e CSI, e aver vinto l’Oscar con Alexander Payne per Paradiso amaro, costituisce il loro debutto alla regia. Anche qui coppie di separati che cercano di rifarsi una vita, trovando un equilibrio in essa per i figli adolescenti. Certo se il nuovo compagno (Steve Carell) della madre (Toni Colette) esordisce valutandoti un tre, in una scala da 1 a 10, il rapporto non è promettente, per l’imbranatissimo Duncan (Liam James). In vacanza a Cape Cod il ragazzo trova rifugio in un rapporto di complicità con la ragazzina, in apparenza sexy e spregiudicata, della porta accanto, che in realtà è una solitaria come lui, ma soprattutto nel rapporto con Owen (Sam Rockwell) e in Caitlin (Maya Rudolph), che gestiscono un paro giochi acquatico dove il ragazzo trova lavoro e una nuova rassicurante socialità. Il film mette in crisi le aspettative socio-etiche, proponendo le coppie borghesi, con famiglia alle spalle, incapaci di capire i figli, anzi disinteressati e presi piuttosto da trasgressioni vacanziere tra sesso droga rock ’n’ roll, mentre il bizzarro manager della piscina è in grado di diventare una figura paterna credibile. Non ci resta più neanche da ridere.


il manifesto

RI-MEDIAMO

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE 2013

COMMUNITY

L’ora del Conflitto Vincenzo Vita

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EMILIA ROMAGNA

nrico Letta si presenterà in parlamento il prossimo 11 dicembre. Per una nuova fiducia e, augurabilmente, con l’illustrazione e il chiarimento dei, sui principali obiettivi del governo. Certo le misure contro la crisi economica e la legge elettorale. Speriamo che lo spirito santo laico voglia assistere l’esecutivo delle piccole intese. Bene sarebbe chiudere presto questa tragi-commedia , restituendo la parola ai cittadini. Tant’è. Tuttavia, dopo la decadenza di Berlusconi e l’uscita rumorosa di Forza Italia dalla maggioranza, non ci sono più alibi o scuse di sorta per non affrontare il dannato tema del conflitto di interessi e della riforma del sistema radiotelevisivo. Tra l’altro, con quale faccia si vorrebbe presiedere l’agognato semestre italiano senza uno straccio di nuova regolamentazione? E’ chiaro che peggio del Bel paese in Europa c’è solo l’Ungheria? Quanto a libertà di informazione. E la Grecia per ciò che concerne l’Agenda digitale. E’ ancora in vigore la legge Gasparri del 2004, integralmente recepita dal Testo unico delle radiodiffusioni dell’anno seguente: la bibbia mediatica del berlusconismo. Si vuole finalmente fare un «taglio» utile? Così, è mai possibile che ci si avvicini alla scadenza della concessione tra lo stato e la Rai (2016) privi di un vero progetto di riforma che rilanci il servizio pubblico come bene comune? Le associazioni «Articolo 21» e «Move on» hanno proposte serie che potrebbero far ripartire il dibattito. Del resto, senza una normativa adeguata che eviti il sostegno privilegiato, la stessa discussione sulla legge elettorale diventa monca. La società dell’informazione e della conoscenza ha bisogno di fondamenta stabili, da trovare nella tutela del pluralismo contro i trust, nell’accesso libero e non discriminatorio alla rete, nell’apertura del software contro le logiche dell’egoismo proprietario, nella riscrittura dal lato della società dei compiti della Rai. E’ lecito attendersi qualche risposta non dilatoria da parte di un governo che finora ha glissato sull’intera materia. Con la scusa di Berlusconi, le cui aziende in effetti hanno avuto ottime performance borsistiche nei mesi seguiti alle ultime elezioni. Ora, in assenza del Pifferaio di Arcore, si vuole andare avanti ancora così? Significherebbe che il conflitto di interessi è una ideologia, utile e comoda a molti, per un motivo o per un altro. Ci si attende, poi, di capire a che punto è il lavoro sul mercato della pubblicità e sulla rideterminazione del sistema integrato della comunicazione (Sic) che spetta all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Già. Quest’ultima tende a prendersi ruoli che non le competerebbero e a rinviare ciò per cui è nata, la sua ontologia. E, però, a toccare la concentrazione pubblicitaria si prende la scossa. Ad ergersi a difensori dei poteri forti contro gli internauti del mare della rete, facendoli affogare, si conquistano benemerenze. Il riferimento è al regolamento sul copyright on line che, a dispetto dei santi, sembra prossimo al varo. «Chiacchiere e distintivo», secondo la memorabile battuta di De Niro ne «Gli intoccabili». Mentre la stampa non legata ai grandi gruppi rischia di morire, le emittenti locali agonizzano, la velocità di connessione in rete ci colloca appena sopra il Ruanda. E poi ci si chiede perché il gradimento delle istituzioni è basso, bassissimo.

Sono stati resi noti il 19 novembre scorso gli ultimi due rapporti del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (Cpt) riguardanti l’Italia. Il primo è quello che riguarda la visita ad hoc del giugno 2010, dedicata alla prevenzione dei suicidi (e dell’autolesionismo) in carcere e al trasferimento dell’assistenza sanitaria ai detenuti dal Ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale. Il secondo è invece il risultato dell’ultima visita periodica di carattere generale, svoltasi nel maggio 2012. Questi rapporti offrono il polso della percezione che fuori dall’Italia si ha dello stato delle nostre carceri e, più in generale, delle condizioni di detenzione : gran parte della visita del 2012 e delle relative raccomandazioni riguardano, infatti, la detenzione

Mercoledì 4 dicembre, ore 17.30 L’ORRORE Si tiene nel pomeriggio la conferenza di Adriana Cavarero intitolata «L’orrore. Antropologia della violenza contemporanea». ■ Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo, 5, Modena Giovedì 5 dicembre, ore 21 BIANCA&VOLTA Presentazione del libro «Sansur» con l’autore Marco Cesario, la Direttrice di Bianca&Volta ediz. Antonietta Benedetti, conduce Mirca Garuti dell’associazione Alkemia. ■ La Casa Delle Culture, via Wiligelmo, 80, Modena

LOMBARDIA Mercoledì 4 dicembre, ore 18.30 NO BORDERS Presentazione del libro «No border tales» a cura della Scuola di Lingue «Abba Abdoul Guibre» e dibattito a tema: «La risposta meticcia alla guerra tra poveri...: storie straordinarie di ordinaria solidarietà e lotta». ■ Cantiere, via Monte Rosa, 84, Milano Giovedì 5 dicembre, ore 10 CITTÀ METROPOLITANA Convegno Conoscere e governare la città metropolitana in tempi di crisi. Dedicato al sociologo urbano Guido Martinotti, il convegno (5-6 dicembre) «Conoscere e governare la città metropolitana in tempi di crisi» è focalizzato sul tema delle Città e Aree metropolitane, a cui fanno sempre più riferimento la legislazione e gli strumenti programmatori in materia di amministrazione urbana, come il recente disegno di legge Delrio. Fa parte della quarta Conferenza della Sezione Sociologia dell’ambiente e del territorio. Info e programma: http://www.unimib.it/ upload/pag/45004/lo/locandinaaisdef2111.pdf ■ Università di Milano, Edificio U12, Auditorium Guido Martinotti, via Vizzola 5, Milano

le lettere

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INVIATE I VOSTRI COMMENTI SU: www.ilmanifesto.it lettere@ilmanifesto.it

TOSCANA Mercoledì 4 dicembre, ore 21.30 ASCANIO CELESTINI Ascanio Celestini, presenta lo spettacolo «Racconti. Il piccolo Paese». Per i racconti, spiega Celestini «Salgo in scena senza copione e scaletta – spiega l’attore scrittore e regista -. Tra l’ascolto e il racconto ci sta la scrittura che spesso scivola un po’ da una parte e dall’altra. Certe storie diventano libri e spettacoli pieni di personaggi dove la storia del passato ha spesso un ruolo importante. Altre restano minime e hanno un corpo che le fa assomigliare alla canzonetta». ■ Quaranthana Teatro Comunale di San Miniato, via Zara 58 - Corazzano (Pi)

UMBRIA Giovedì 5 dicembre, ore 10 LA MARCIA DI UN GIORNO Si aprono nella mattinata di domani i lavori di: «Dalla Marcia di un giorno alla marcia di tutti i giorni», seminario di riflessione e di proposta (10-17). Lo promuove il Comitato promotore della Marcia per la pace Perugia-Assisi. ■ Sacro Convento di San Francesco, Assisi (Pg) Tutti gli appuntamenti: eventiweb@ilmanifesto.it

Un monumento al lavoratore morto sul lavoro rimasto ignoto? Uno dei tanti aspetti sconvolgenti della tragedia di Prato è l’anonimato a cui sono ancora condannati, a due gioni l’incendio, cinque dei morti. L’illegalità sistematica - oltre ovviamente allo sfruttamento del lavoro – in cui vive il settore tessile è documentata dal clima omertoso per cui nessuno dei parenti si fa avanti a riconoscere le salme: chi ha una minima conoscenza della realtà dei cinesi in Italia sa quanto siano stretti i rapporti non solo all’interno del nucleo familiare ma fra diverse famiglie imparentate, una sorta di realtà patriarcale formata anche da persone residenti in diverse regioni. Che nessuno si faccia avanti è la spia di come questioni economiche facciano passare in secondo piano gli affetti più stretti. In Italia da novant’anni e più abbiamo un Altare della Patria intitolato al Milite Ignoto, questo sì sicuramente italiano e nella tragedia della prima guerra mondiale simbolo dei tanti morti rimasti senza nome, che sia l’ora di erigerne uno al Lavoratore ignoto morto nel luogo di lavoro? Giuseppe Barbanti Mestre

Radicali e tribunali Ci sono due vicende, riguardanti i Radicali e Marco Pannella, che si intersecano in questi giorni nei tribunali e che allo stesso tempo subiscono la solita placida accidia degli organi di comunicazione. Da un lato la Corte di Cassazione che boccia i sei referendum sulla giustizia, promossi quest’estate dai Radicali, poiché non avrebbero raggiunto il numero di firme necessario.

Dall’altro, il Tar del Lazio conferma una decisione presa nel 2002 dalla Agcom contro la Rai, che aveva escluso Pannella e compagni dal dibattito politico televisivo. Cioè: sono passati più di dieci anni e un tribunale ribadisce l’ostracismo mediatico del servizio pubblico cui i Radicali sono quasi sempre condannati. Dieci anni: i tempi medi della giustizia italiana, si dirà e forse qualcuno protesterà. E guarda caso i sei referendum di Pannella - come anche gli altri sei promossi in parallelo sempre dai Radicali - riguardavano proprio la giustizia, i suoi tempi, le sue responsabilità e soprattutto alcune proposte concrete per riformarla. Infatti non sono stati ammessi. Ora, ci vorranno altri dieci anni perché ci si renda conto di quanto fossero importanti e di quanto sia urgente una vera riforma della giustizia? E chi darà ragione ai Radicali, la politica o un tribunale? Pietro Rizzo Matera

Interventi magistrali Domenica ho seguito la diretta della manifestazione del M5S da Genova su La7. Ho potuto ascoltare interventi magistrali sia da parte degli esponenti del Movimento che da ospiti come Dario Fo. Interventi che ascoltavamo in tempi lontanissimi da una sinistra che pare morta e reincarnata nelle vesti di quel potere da lei sempre osteggiato. Bene ha fatto Dario Fo a dire che nemmeno i gatti sarebbero in grado di scacciare i topi, perchè anche i gatti rischierebbero di uscirne corrotti pure loro, e che è necessaria una pulizia generale affin-

Irpef e spese pazze Nonostante lo scandalo Rimborsopoli la Giunta Regionale ha deciso di aumentare, dal 1˚ gennaio 2014, l’Addizionale Irpef per fare entrare nelle casse della Regione Piemonte 106 milioni di euro in più rispetto al 2013 e 156 milioni rispetto al 2012. Il totale del gettito previsto dovrebbe essere di 1 miliardo e 137 milioni di euro , una bella somma in un momento in cui molte famiglie fanno fatica arrivare a fine mese. Da una parte si spendono soldi pubblici in modo «allegro» e senza controlli, mentre dall’altra parte si spremono i cittadini con l’aumento della tassazione. Se poi si pensa che la Regione è governata da un politico della Lega Nord caduta in disgrazia, e sotto inchiesta della Magistratura, il quadro non sembra molto confortevole per i piemontesi. E l’opposizione cosa fa? Forse è caduta nel letargo invernale. Marino Bertolino

Condannati al silenzio DALLA PRIMA Annamaria Rivera Privati di ogni alternativa e possibilità di uscita dalla loro condizione, quindi appropriati da padroni e padroncini di stile ottocentesco sì, ma avvezzi alle Porsche e a frequenti viaggi intercontinentali: essi stessi al servizio del cieco meccanismo del profitto e della competitività a ogni costo e su scala planetaria. Scrivo volutamente nuda vita: cioè spogliata del nome, della voce, di ogni diritto e statuto giuridico, perfino della possibilità di ribellarsi. Sebbene il concetto sia abusato, non è improprio per dire di esistenze che passano senza nome in sordidi capannoni ove si lavora, si vive e si muore: zone di sospensione quasi totale della legge, comparabili perciò, in qualche misura, ai campi di concentramento. Nei quali proprio perché la legge era sospesa «tutto era possibile», scriveva Hannah Arendt. L’analogia non è troppo azzardata e irrispettosa, se è vero che è venuta in mente anche a Enrico Rossi, presidente della Regione Toscana: «Vivono e lavorano in soppalchi che ricordano quelli di Auschwitz».

Queste piccole Dachau - più che Auschwitz - ci confermano che l’epoca del neoliberismo trionfante non ha affatto archiviato relazioni e condizioni di lavoro «arcaiche». Al contrario: il tempo del capitale globalizzato ha assorbito perfettamente il «non-contemporaneo», per dirla alla maniera di Ernst Bloch, sussumendone anche le forme di sfruttamento estreme, fino alla schiavitù. L’«arcaico» è, infatti, perfettamente funzionale alla delocalizzazione in loco, come si dice, e alla logica della competitività. Da cui traggono profitto numerosi attori economici, di ogni livello e non solo cinesi, fino all’immobiliare italiana proprietaria dello squallido capannone. Senza una rete vasta di profittatori e complici non si costruisce un sistema economico illegale dal valore di almeno un miliardo di euro l’anno. Sappiamo, per esempio, di una «missione» in Cina di un anno fa, promossa dall’Unione industriale di Prato e finanziata dalla Regione Toscana. Oltre lo scopo dichiarato e conseguito – ammorbidire i controlli severi e minuziosi di Pechino sui prodotti tessili in ingresso nel Paese -, quali ne erano gli obiettivi non dichiarati, quale la contropartita italiana?

Se davvero capillari ed efficaci, i controlli da parte di autorità locali e nazionali (ispettorati del lavoro, polizia, carabinieri, vigili urbani, guardia di finanza…) avrebbero potuto almeno inceppare un meccanismo che si perpetua da un ventennio. Ma al di là di questo, per sottrarre al silenzio e all’impotenza le esistenze di questi operai schiavizzati niente sembra sia stato tentato neppure sul versante di misure non repressive bensì inclusive. Del tutto inefficace si è rivelato, per esempio, il decretolegge 109/2012. Questo dispositivo stabilisce che, in casi di «particolare sfruttamento lavorativo», si possa concedere il permesso di soggiorno «allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro». In realtà, avendo mal interpretato la direttiva europea che lo imponeva, quindi non prevedendo alcun meccanismo di tutela per chi denuncia, il decreto è rimasto in sostanza lettera morta, come insistono da tempo sindacati e associazioni antirazziste. C’è un altro aspetto sconfortante in questa tragedia. Nel corso degli anni la propaganda e la politica al servizio della xenofobia hanno costruito l’im-

FUORILUOGO

Carcere, dall’ Europa piovono pietre Stefano Anastasia nei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie) e nelle celle di sicurezza delle forze dell’ordine. E’ importante leggere questi rapporti anche perché il Comitato che li redige è uno degli snodi fondamentali di quel sistema sovranazionale di protezione dei diritti umani che ha reso ineludibile una risposta urgente ed efficace dello Stato italiano al protrarsi del sovraffollamento penitenziario. La sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti umani che ha motivato il recente messaggio alle Camere del Presidente Napolitano si basa su una giuri-

chè l’onestà torni a governare il Paese. Vorrei ricordare che grazie al M5S è stato desecretato il verbale del boss pentito della camorra Schiavone che per 20 anni giaceva secretato nelle stanze del potere e che il Movimento rinuncia a parte dello stipendio per donarlo in un fondo mirato a favore di chi si trova in difficoltà e che se ha chiesto l’impeachment per Napolitano con argomenti ben documentati ha fatto bene. Ho il certficato elettorale da tempo in naftalina e penso che le prossima volta lo userò dopo tanto tempo. Michel Giuntini

PRATO

PIEMONTE Sabato 7 dicembre, ore 22 TEATRO IN CASA PRIVATA Apre sabato una rassegna teatrale con una sede davvero singolare, in una casa privata, quella del regista Renato Cuocolo e dell’attrice Roberta Bosetti, della Compagnia italo-australiana Iraa Theatre. Si parte con un evento speciale: «Night dream before Christmas with Emily Dickinson. Informazioni e Prenotazioni: 0161 600 990 ■ Via Ariosto, 85, Vercelli

Il Lavoratore ignoto

sprudenza che proprio dai rilievi del Cpt deriva la qualificazione del sovraffollamento come un trattamento inumano e degradante. Nel 2012, la delegazione del Cpt ha visitato le camere di sicurezza delle questure di Firenze, Messina, Milano, Palermo e Roma, le caserme dei Carabinieri di Messina Gazzi e di Milano Ponte Magenta, gli uffici della Polizia municipale di Milano e Messina, il Cie di Bologna, le carceri di Bari, Firenze, Milano San Vittore, Palermo Ucciardone, Terni e Vicenza, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Barcello-

na Pozzo di Gotto, il servizio di psichiatria di Milazzo e la Comunità terapeutica di Naso. Denunce di maltrattamenti sono state presentate da parte degli stranieri nell’area milanese e all’ingresso nel Cie di Bologna, ma anche dai detenuti nel carcere di Vicenza. Condizioni degradanti di detenzione dovute alla fatiscenza delle strutture sono state riscontrate nelle camere di sicurezza di Firenze e di Palermo, ma anche nel padiglione maschile del Cie di Bologna e all’Ucciardone. Una situazione limite era quella riscontrata a Bari: 11 detenuti

in una stanza di 20 mq! Singolare, per il Cpt, la totale assenza di psicologi e il basso livello di qualificazione del personale addetto nell’Opg di Barcellona. Le raccomandazioni del Comitato partono inevitabilmente dalla richiesta di introdurre il reato di tortura nel codice penale (solo nel mese scorso la Commissione giustizia del Senato ha licenziato un nuovo testo per l’esame in Aula) e tornano sulla questione del sovraffollamento, in particolare sollecitando il ricorso a misure non custodiali in attesa del giudizio e

magine indiscutibile di una diaspora cinese «chiusa, con cui è difficile dialogare, per la quale isolarsi sembra quasi una condizione prescelta»: così dichiarava nel 2007, pur auspicando il dialogo, il ministro dell’Interno Giuliano Amato a commento dei fatti di via Paolo Sarpi, a Milano. Quest’immagine negativa totalizzante, che non ammette eccezioni, ha pesato come un macigno sull’opinione pubblica, sulla politica, sui media. E già va declinando quel poco di attenzione e di pietas che le vittime della strage hanno ottenuto. Fino al momento in cui scrivo, a Prato nessuna visita è prevista da parte di ministri/e. Quanto al sistema d’informazione, il 1˚ dicembre, i quotidiani online più importanti hanno atteso ben dodici ore prima di promuovere la tragedia a notizia di rilievo. A noi spetta tentare di tenere accesa la fiammella tremula della solidarietà e dell’empatia, consapevoli che il Macrolotto di Prato ci riguarda assai da vicino: è il «modello di sviluppo» che intendono imporci «per uscire dalla crisi»; è la sorte che già è riservata a tanta parte del nuovo proletariato arcaico, di ogni colore e nazionalità.

l’applicazione delle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa a proposito della crescita della popolazione detenuta, delle nuove regole penitenziarie e sull’esecuzione penale esterna. Si tratta dei testi e delle indicazioni di riferimento della Commissione ministeriale presieduta da Mauro Palma, già presidente del Cpt e ora autorevole membro del Consiglio europeo per la cooperazione in materia di esecuzione penale, cui il Ministro Cancellieri ha affidato la responsabilità di delineare le linee di riforma che possano portare il nostro sistema penitenziario fuori dall’abisso in cui è precipitato. Ora che, dopo troppi anni, finalmente il Governo si è attivato, speriamo che il Parlamento faccia la sua parte. Dossier Cpt su www.fuoriluogo.it


il manifesto

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COMMUNITY

«Buona la prima», la nostra playlist dei fatti 2013 L

e parole sono il gioco degli enigmisti, l’arte dei poeti, l’apriscatole del pubblicitario. Qualcuno ricorda lo slogan di un Carosello preistorico che esclamava: «Simmenthalmente buona»? Serviva a vendere carne in scatola, in salsa fonetica. Quanto ai politici dell’era moderna, sul dadaismo moderato di «I like Ike» – slogan per l’elezione 1952 del presidente americano

Dallo «scacco matto» alle elezioni incassato da Bersani alla «forza nuova» di Grillo e la nomina di «re» Napolitano Ike Eisenhover - si sono esercitate generazioni di linguisti e semiologi, a cominciare dal maestro Roman Jacobson. Ma il giornalismo? Sappiamo com’è andata: il solitario sberleffo quotidiano dei nostri titoli di prima è stato per anni un esorcismo liberatorio contro le finzioni ideologiche mascherate da obbiettività. Prima, almeno, che i social network cambiassero le regole dei media. Oggi il calembour è regola, non l’eccezione. Prendete un titolo come «Caccia i bombardieri». Anzi, più slogan che titolo. Uno sberleffo, divertente. Come se una mano anonima avesse aggiunto a penna quella «i», dentro uno qualsiasi dei discorsi che vogliono convincerci dell’ineluttabilità dell’acquisto multimiliardario dei dannati F35. Scrivo queste righe proprio il giorno in cui al ministro della difesa Mauro si imputa la gaffe di comparire in uno spot pubblicitario dell’azienda Lockheed, vecchia conoscenza della nostra storia politica nazionale, che gli F35 li costruisce proprio. Si arrabbia il ministro: nello spot c’è finito a sua insaputa, dice. L’azienda conferma (ma è possibile?). Però le circostanze sono interessanti. Si cita una frase di Mauro che dice: amare la pace vuol dire aRmare la pace. Bum. Non che il ministro ci rubi il mestiere, sapremmo fare di meglio. Ma nulla di nulla è più osceno di un calembour del Potere. 2. Questo dicevano i testi sacri: ogni gioco verbale - com’è la semplice aggiunta di una lettera o di una sillaba a una parola consumata dall’uso - apre al lettore un campo intero di significati che le stesse parole in gioco, prese singolarmente, neppure sanno di poter contenere. La comprensione di un calembour attiva perciò un meccanismo di piacere. Estetico (Jacobson). Libidinale (Freud). Sociale e politico, se il gioco è collettivo come nel caso di un titolo di giornale specie quando mira ai bersagli grossi: i tabù della guerra, della religione, del sesso, del pensiero unico. E a quelli piccoli. Venendo al nostro teatrino politico Grillo è la «forza nuova», ma Andreotti «omissis est». Al pd c’erano un sacco di «amici del giaguaro», che fine avranno fatto? Letta è a «tre piazze» e la casa (di Arcore) «è chiusa». «L’Irto Col-

le», nei giorni della campo dello «schermo democristiani» citando rielezione di Napoliza con i fanti» dico alun suo vecchio e storico titotano aveva il retrogutri due miei preferiti: lo (e in lontananza sentivi sto scolastico e d’altri «Soldato scelto», sulcome un coro: «Amen»). Nei tempi che al persola condanna del magiorni convulsi dell’elezione naggio si addice. rines Manning; e del nuovo papa – con un po’ «Col de sac», quel tan«Squadraccia mobid’ansia da prestazione, posto di demodé che le», per via di certe siamo ammetterlo? – invece non guasta. Gli andrà ruvidezze della noabbiamo frugato nella noaggiunto certamente stra polizia. Il prestra memoria canzonettara. quel «Napolitanimio per il miglior tiSi tirò fuori un lievissimo stan» più sbarazzino tolo «scherza coi san«Non è Francesco». Molto e cinematografico, di ti» di quest’anno, inpesava, quella sera, il dubtanta poca fiducia vece, si assegni senbio legato a certe ombre nel per le sorti della noza indugio a questo: stra democrazia, tan«A Bologna dio Cei», Titoli «definitivi» to che il suffisso mipartorito il giorno come «omissis est» naccia di diventare del referendum coper la morte seriale dopo un «Valmunale sul finanziasusistan» speso a promento alle scuole pridi Andreotti e la posito delle vicende vate. Da notare qui «vecchia ruggine» dei No Tav. «Preso la finezza della minucon la lady di Ferro per il Colle», a proposcola su «dio» e della sito del cupo tramonmaiuscola su «Cei» – to della stella di Berche è militanza applicomportamento passato del sani, è vignettismo cata all’ortografia, gesuita Bergoglio, ai tempi politico. «No grazia», una vecchia tradiziodella dittatura argentina. che illustra una foto ne di questo giornaDubbio che è andato ben di Berlusconi e Napole - e adombra un ripresto allontanandosi dal litano, una piccola ferimento lontano alfuoco della cronaca (portancrudeltà. le vecchie e misteriodosi dietro anche l’incisività Qui una prima osse scritte autostradadel titolo), riempita da altre servazione: il passagli «Dio c’è». Lunganovità nel comportamento gio tra «grazie» e «gramente indagate, quedel nuovo pontefice. Da qui, zia» gli enigmisti lo ste ultime, dagli stuun nuovo titolo: «Il papa mometterebbero nel sediosi di leggende mebile», che invece è carino. gno della sostituziotropolitane, tanto Definitivo, oltre che positine, gli studiosi di coper chiarire meglio il vo, quanto meno possibilimunicazione genericoncetto. sta e meno mangiapreti del camente nella pratiA proposito. Chi fesolito. Anzi, fa il paio con ca del calembour. ce il titolo «È rimorto quel «Il padre nostro» che Questo semplice il papa»? Neppure ha salutato, sempre in primeccanismo è alla wikipedia lo ricorda ma, la morte di Don Gallo. base di almeno un bene. Probabilmen«Nostro» e «padre», prima Alberto Piccinini trenta-quaranta per te Il Male. O forse fu ancora che prete. cento dei titoli che Lotta Continua? RoDa mangiapreti però ci si avete letto in questo ba di sinistra comunè trovati ad accompagnare 2013. Con risultati que, mangiapreti l’uscita di scena di RatzinUn libro digitale per iPad certamente arguti, e d’altri tempi. Correger con lepidezze canzonetche è anche un libro di carta d’altra parte battaglieva comunque l’anno tare tipo «Vacanze romari: «Bossi-Fine», nei 1978, pomposamenne», e «Stasera esco». Né biraccontano le storie che abbiamo messo in copertina giorni della tragedia te detto «dei due sognerà dimenticare, per per voi. È il volume numero 1 di una, speriamo di Lampedusa; «Evenpontefici», giacché valutare meglio l’efficacia ti di guerra», sulla prenulla si sapeva di dei titoli di quei giorni, i tolunga, enciclopedia del «manifesto». parazione dell’attacquel che sarebbe acni della folle diretta con le Presto in pre-vendita co americano alla Sicaduto dopo: Paolo tv a reti unificate e le telecal’edizione cartacea sul nostro sito Internet ria; «Affondata sul laVI, Papa Luciani. Il rimere puntate sull’elicottevoro» (la Repubblica, morto, appunto. Il tiro che portava il papa die da subito un’applicazione la Costituzione). Taltolo, in elegante distimissionario a Castelgandolscaricabile a 1,79 euro sull’App Store volta decisamente saco, proseguiva così: fo. Ecco una quarta consitirici: «Arancia «Panico tra i filateliderazione: i nostri titoli Finmeccanica», su non so nel referendum sulla legalizmunicazione nel mondo in ci». E questo accrediterebbe non vivono mai da soli. più quale brutta pagina di zazione medica della maRete. definitivamente Il Male. In La quinta e ultima ossercorruzione. «Impresa in girijuana (e rielezione di Oba3. Terza osservazione. Taltutto ciò, qualcuno sembra vazione è che ai personaggi ro», a commento di qualche ma). Più importante aggiunvolta i due procedimenti – il ricordare che fosse il manifedella propria commedia in geniale idea partorita dal gogere che i titoli di prima pagicalembour verbale e l’uso di sto. Non è così. Ma il falso riqualche modo ci si affezioverno Monti. na del manifesto non esisteuna frase fatta – si sovrapcordo non era neppure così na. Il commento all’ultimo Seconda osservazione. rebbero senza una fotograpongono. «Lavorare sbanfuori dal mondo per via di discorso dell’ex pontefice Un altro consistente gruppo fia. E se un tempo potevano ca» è citazione alta, Cesare quell’altro titolo: «Il pastore recita: «L’inceneritore», a di titoli funziona così: cominserirsi a pieno diritto nella Pavese più Cgil, quest’ultitedesco», che trent’anni dometà tra un horror di serie mentano la notizia di giornacategoria dei poster (in tanti ma è la notizia e la solidariepo fece ridere (o almeno sorB e un’inchiesta sulle scota con il ricorso a un modo li hanno usati così), addirittà è palese. «Sana e robusta» ridere) mezzo mondo all’elerie tossiche. Ratzinger ci di dire, una frase fatta, il titotura del manifesto murale (la Costituzione) è altrettanzione di Papa Ratzinger e mancherà, un pochetto. lo di una canzonetta. Il risul(un manifesto, su il manifeto simpatizzante. Non così sembrava ribadire ottimaPerché è stata un’altra «scotato è venato di sottile e spiesto) oggi, semmai, i nostri ti«Alla larga intese» slogan mente una tradizione. ria italiana», come abbiatato cinismo. Se io titolo toli devono farsi largo tra i piuttosto virtuosistico peralIl manifesto, invece, ha timo titolato una volta, ma «Orecchie da mercante» per post, l’unità minima di cotro. Infine. Per tornare al tolato quest’anno «Rimorireseriamente. dire lo scandalo delle intercettazioni dell’Nsa americana, capisco che la notizia non è poi così tanto sorprendente dal punto di vista di un quotidiano comunista. E DIR. RESPONSABILE Norma Rangeri anzi può essere riferita, illuCONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE minata, da una frase fatta riBenedetto Vecchi (presidente), pescata dall’abitudine. Ma a Matteo Bartocci, Norma Rangeri, sua volte quella frase sarà ilSilvana Silvestri, Luana Sanguigni luminata dalla notizia (le il nuovo manifesto società coop editrice orecchie da mercante, coREDAZIONE, AMMINISTRAZIONE, 00153 Roma via A. m’è noto, sono quelle di chi Bargoni 8 FAX 06 68719573, TEL. 06 687191 E-MAIL REDAZIONE redazione@ilmanifesto.it E-MAIL non vuol sentire). Con un AMMINISTRAZIONE amministrazione@ilmanifesto.it SITO salto virtuosistico, in quella WEB: www.ilmanifesto.it prima pagina, il titolo vero TELEFONI INTERNI SEGRETERIA 576, 579 - ECONOMIA però sta dentro la foto: che 580 AMMINISTRAZIONE 690 - ARCHIVIO 310 - POLITICA riprende un’immagine circo530 - MONDO 520 - CULTURE 540 TALPALIBRI 549 VISIONI 550 - SOCIETÀ 590 LE MONDE DIPLOM. 545 lata in Rete con una correLETTERE 578 zione all’ormai storico slogan dell’elezione di Obama: iscritto al n.13812 del registro stampa del tribunale di Roma autorizzazione a giornale murale registro tribunale di «Yes we scan». Formidabile. Roma n.13812 ilmanifesto fruisce dei contributi statali Ma lo slogan si presta bediretti di cui alla legge 07-08-1990 n.250 ne a certi giochi. Come l’alleABBONAMENTI POSTALI PER L’ITALIA annuo 260€ gro «Yes we cannabis», nosemestrale 135€ versamento con bonifico bancario stro titolo di prima il giorno presso Banca Etica intestato a “il nuovo manifesto società coop editrice” via A. Bargoni 8, 00153 Roma dopo la vittoria californiana

il manifesto

APP+LIBRO

Tutto il lavoro di un anno, il primo anno Matteo Bartocci

L’

applicazione che troverete da oggi sull’App Store di Apple e il libro delle copertine 2013 che stiamo preparando e che sarà in vendita a giorni sul nuovo sito sono per noi un prodotto speciale. Raccolgono tutto il lavoro di un anno, giorno dopo giorno. La «storia» secondo noi. Ci sono notizie grandi e piccole, scelte che viste oggi sembrano profetiche e altre quasi illeggibili fuori dal contesto di quel particolare fotogramma dell’anno. Dietro la prima pagina di un giornale, e soprattutto dietro la prima pagina del manifesto, c’è un misto di incoscienza, genialità, raffinatezza, sintesi e humour in proporzioni del tutto variabili e opinabili, che dipendono dalla fatica di quel particolare giorno e dal privilegio di «dire» e «dover dire» qualcosa ogni volta che si va in stampa. C’è il lavoro di ordinare i fatti uno sopra l’altro e di sovvertirli se è giusto. Di sicuro la prima pagina del manifesto è un prodotto artigianale e non seriale. Se le guardate tutte quante, le potete vedere come un’icona schiacciata su un titolo grande e una foto ma in realtà in ciascuno di quei rettangoli colorati troverete un dettaglio, uno spicchio di realtà che non ricordavate, un tocco particolare o anche una sbavatura che sicuramente non c’è su nessun altro quotidiano italiano. C’è il segno costante di mani umane oltre il lavoro delle macchine. È il frutto di cultura letteraria e visionaria, passione politica, psicoanalisi, sociologia e poesia, tutte mescolate in questo eccentrico collettivo. Un miracolo di libera associazione con un pizzico di perizia che si ripete ogni giorno da oltre quarant’anni e che misteriosamente, pur adattandosi ai tempi, passa di generazione in generazione. Ci piacerebbe che questa app e il libro che verrà siano i primi di una lunga serie. Un appuntamento fisso di fine anno per ciascun anno. Un modo per congedarsi dal vecchio e aspettare insieme il nuovo. Per ricordare cosa non ha funzionato e cosa invece è un punto da cui ripartire. Un biglietto di entrata nel nostro mondo per chi ancora non ci conosce e un regalo per chi ci segue con indomito affetto da tanti anni. La app (1,79 euro) sarà aggiornata a fine anno in modo che contenga tutte le copertine, mentre sul libro che stamperemo da gennaio per motivi di spazio ne entreranno solo alcune, la maggior parte, ma pur sempre una selezione. Qualsiasi cosa sia la prima pagina, è un lavoro di gruppo. Perciò, visti i tempi, è tanto più prezioso. Buona lettura.

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chiuso in redazione ore 21.30

tiratura prevista 44.338



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