scritto & mangiato
OTTOBRE 2005
Supplemento al numero odierno de il manifesto
in collaborazione con Slow Food
All'ultima dieta PASSIONI E RIFIUTI, IDIOSINCRASIE E PREFERENZE, ATTRAZIONE E RIGETTO NEL RAPPORTO CON IL CIBO. ISTINTI E SENTIMENTI CHE ORIGINANO RICETTE, SCELTE PRODUTTIVE, PRATICHE SOCIALI
scritto & mangiato
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in collaborazione con Slow Food
Direttore responsabile Sandro Medici Direttore Mariuccia Ciotta Gabriele Polo Supplemento a cura di Francesco Paternò Grafica Daria Sorrentino Illustrazione di copertina Laura Federicii Le immagini che illustrano questo supplemento sono tratte da African Design from traditional source Pubblicità concessionaria esclusiva Poster srl tel. 06/68896911 fax 06/68308332
C’è tabù e tribù. Ci sono tanti rapporti diversi con il cibo e l’alimentazione quanti sono gli individui, i gruppi sociali, le comunità religiose, i popoli. Nelle pagine che seguono, grazie anche al contributo dei nostri esperti esploratori di Slow Food, ci inoltriamo nei meandri delle diete esistenti, dove il confine tra cibo “buono” e cibo “cattivo” è dettato dalla cultura. E insieme proviamo a spiegare perché, per esempio, alcuni cibi vengono rifiutati oppure vengono accettati all’interno delle culture dagli individui. E’ un grande viaggio, seppur parziale. Dalle battaglie eroiche dei crauti a base di batteri - e siamo in Germania, sorprendentemente non al primo posto nel consumo
mondiale delle listarelle del cavolo ma terza dietro Stati uniti e Francia - alle storie di macellerie equine, con attenzione particolare a quel che è succede ed è successo in Francia. Passando per le liturgie alimentari mafiose si arriva perfino in Australia, dove c’è una crema che “tinge di rosa le guance”, stando alla pubblicità. C’è poi un tema che ricorre per questo supplemento e sottende molte delle scelte alimentari: la resistenza a produrre scarti. E a intrattenere solidi rapporti, se così si può dire, con tutto ciò che sa di rifiuti. Storie che raccontiamo dagli altopiani centrali messicani all’isola di Tonga. Infine, se non siete sazi, le segnalazioni ben condite di libri. Buona lettura.
Col cavolo
Stampa Sigraf srl Via Vailate, 14 Calvenzano (Bg) Chiuso in redazione il 30/9/2005
4 In nome della specie di Stefano Occhipinti • I cavoli digitali di Manfred Kriener 6 Francesi a cavallo di Marie Chemorin • Pecora nostra di Ignazio De Francisci 8 Storie scartate di Dominique Fournier 9 Australia alla crema di Sophie Herron 13 Ingordi di tabù di Carol Nemeroff e Mary Davis 14 Carne di Tonga di Sabina Terziani 17 Noi for phoods di Maria Tarantino 18 Libri freschi di Geraldina Colotti • Cucine temute
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SCRITTO & MANGIATO
di Stefano Occhipinti* ONNIVORI E SCHIZZINOSI, IL RIFIUTO ALIMENTARE E IL MOVENTE CULTURALE CHE STA DIETRO UN ELENCO DI VOCI ACCETTABILI E NON ACCETTABILI. CIÒ CHE MANGIAMO E CON CHI LO FACCIAMO l paesaggio della dieta è familiare a tutti, la sua topografia non è complessa. Da una parte, la cultura circoscrive quello che consideriamo l’insieme di cibi sicuri. Subito al di fuori di essa,ai suoi margini,si trovano gli oggetti disgustosi: cani e gatti per qualcuno,cavalli per qualcun altro,insetti per molti. Ancora più in là ci sono gli oggetti che non consideriamo commestibili:sassi, carta, forbici, lampade da tavolo, teiere, camicie e quant’altro. Inserire questi oggetti nel contesto della dieta evoca nient’altro che una visione surreale. Immaginate invece di sedervi a tavola e di vedere il vostro anfitrione che vi serve qualche cibo dei margini, proveniente cioè dalla zona subito al di fuori della categoria che voi e altri come voi chiamate cibo.Può trattarsi di coscia di cane,di una succosa costoletta di maiale o di una scodella di croccanti insetti fritti – o magari gamberi. Per alcuni è un fatto regolare e frequente entrare in contatto con cibi ripugnanti:induisti osservanti,ebrei e musulmani in società laiche, vegetariani in mezzo a consumatori di carne. Per questi individui l’esperienza può avere attenuato l’emozione della prima volta. Obiettivo primario diventa allora rifiutare con tatto ciò che viene offerto, spiegando la propria condizione di non consumatore di ciò che è considerato cibo a quella tavola. Per altri, in particolare coloro che solitamente fanno parte di culture maggioritarie all’interno di società particolari, occasioni del genere sono rare. In effetti, il disgusto può essere attenuato trasformando l’evento in un genere di storia apocrifa, come i racconti di viaggio – il viaggiatore si unisce a cena a un gruppo di ospitali nomadi che vivono nel deserto e si vede offrire,senza poter rifiutare, l’occhio o il testicolo di un qualche animale - o i fatti curiosi – in una terra remota una specie che a casa propria è l’animale domestico prediletto dai bambini è allevata appositamente per essere mangiata – o voci e altri miti locali – il ristorante etnico serve il gatto spacciandolo per pollo! L’ironia è che occhi, testicoli e gatti sono tutti molto più vicini delle camicie alla categoria del cibo. Occhi, testicoli e gatti forniranno proteine essenziali e altre sostanze nutritive che non ci sono nelle camicie. Se decidessimo di farlo o vi fossimo costretti da circostanze eccezionali come l’inedia, potremmo mangiarle. Nei paesi industrializzati molte persone possono raccontare storie sull’assedio di Leningrado o su uno dei tanti disastri aerei in montagna che hanno costretto i superstiti a nutrirsi dei morti. Dunque l’emozione forte che viene evocata è una proprietà dei quasi-cibi anziché dei noncibi. Sappiamo cognitivamente che la carne umana è carne e non è tossica. La storia finisce così? Biologicamente, il carattere onnivoro dell’uomo è chiaramente osservabile a livello di specie. L’insieme di cibi che ogni essere umano mangia o può mangiare è vasto ed eterogeneo. Tuttavia, è costituito da un gran numero di piccoli insiemi restrittivi specifici di ogni cultura che si sovrappongono in misura minima – come attesta l’assenza quasi totale (dovuta senza dubbio a intolleranza al lattosio) del latte e dei latticini in gran parte delle culture asiatiche
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In nome d della specie a fronte del ruolo emblematico del latte e del formaggio nelle grandi cucine dell’Europa occidentale. Quindi il movente strutturale primario del rifiuto di un cibo è quello della cultura,invisibile dal punto di vista individuale, che crea un elenco di voci accettabili e respinge tutte le altre. L’importanza del cibo nella cultura e nella società non è sfuggita agli antropologi e ai sociologi. Ciò che mangiamo e con chi lo facciamo diventano markers della distanza sociale e dell’identificazione di gruppo. Tuttavia, per definizione questa analisi non può spiegare perché alcuni cibi vengano rifiutati o accettati all’interno delle culture dagli individui.Vale a dire,perché certe persone rifiutano taluni cibi quando le norme culturali sostengono che è perfettamente lecito mangiarli? In qualche caso esistono ragioni fisiologiche alla base delle differenze individuali. Per esempio, alcuni fattori genetici predispongono certi individui a una sensibilità particolare nei confronti delle componenti amare nei cibi, al punto da renderne molti sgradevoli al palato.Altri ereditano una propensione a percepire un gusto di sapone nel coriandolo fresco. Tuttavia, questi fenomeni sono relativamente infrequenti quando si tratta di spiegare la moltitudine di gusti e avversioni all’interno delle culture. Il mio interesse, in qualità di psicologo, sono le emozioni suscitate dai cibi e dagli eventi a essi legati. Gli psicologi sanno che le emozioni possono avere un carattere sociale o individualistico. Esse costituiscono pertanto un ponte unico tra l’individuo e sfere date dal punto di vista socio-culturale quali la moralità. La sfera del cibo offre molti esempi di reazioni emotive personali e sociali. In particolare,occorre capire che l’accettazione e il rifiuto del cibo sono due facce della stessa medaglia,come la notte e il giorno,e vi intervengono molte facce della vita sociale dell’uomo. Una è che l’allontanamento dalle nostre origini animali (tema di numerosi studi sul disgusto) ci impone di cancellare dalle nostre persone tutte le vestigia del primate affamato,al tempo stesso predatore e mangiatore di rifiuti. Siamo atterriti dall’immagine dell’animale insaziabile – realmente onnivoro, che riempie le fauci con tutto ciò che di organico incontra – quando l’animale è umano. Quindi, essere umani significa rifiutare certi cibi. Siamo disgustati da certi cibi e anche da coloro che non mostrano la nostra moderazione, e forse li disprezziamo. All’interfaccia tra le culture, le acque sono intorbidate dall’incongruenza della
categoria cibo di ciascuna: le persone non rifiutano come cibo ciò che la nostra cultura ha escluso dalla categoria ci offendono a livello sociale e personale, così come senza dubbio noi offendiamo loro. Si pensi ai cani e ai maiali,animali sociali intelligenti che fino a non molto tempo fa erano tenuti vicino alle case, in particolare nelle località rurali. Il consumo effettivo o immaginato di uno ma non dell’altro suscita un vivo disgusto – e viceversa – in individui che appartengono ad ambienti diversi. Secondo, mangiare è un fatto sociale. Salvo circostanze rare e affatto particolari,le persone non mangiano regolarmente da sole. La norma è la «commensalità». Le preferenze individuali devono essere
integrate e assimilate.Al di là del contesto della coabitazione coniugale, resta evidente il potere del rifiuto – o dell’accettazione – di cibi condivisi per ravvivare i rapporti interpersonali. Immaginate con quale diffidenza,e probabilmente risentimento, sarà visto l’ospite che rifiuta l’offerta della famiglia di una prelibatezza fatta in casa. La norma della commensalità come consumo simultaneo di cibi simili vale in generale nell’intera società. Dunque siamo onnivori schizzinosi per conservare la nostra umanità. A questo scopo acquisiamo capacità uniche di accettare e rifiutare cibi, di manipolare le emozioni nostre e altrui,di costruire e decostruire le nostre comunità personali. ● * Slow Food
Manfred Kriener* LA MEMORIA DEL “COLOSSALE” E LA CULTURA TEDESCA (E NON SOLO) DEI CRAUTI. LA LOTTA EROICA NEI BARILI, CON UN ESITO DA FILM AMERICANO: ALLA FINE TRIONFA SEMPRE IL BENE
I cavoli digitali crauti sono la memoria del “colossale”. Il nonno portava noi nipoti dal vecchio ortolano che al tempo del raccolto trasformava un intero retrobottega in un grandioso magazzino di cavoli, stipato fino all’altezza delle finestre di queste verdi palle da cannone.Il nonno esaminava tutto con aria sospettosa,qua e là toccava queste teste giganti con il dito, come se il suo controllo di qualità potesse far risuonare il sound misterioso di una sinfonia dei cavoli. Finalmente, dopo mille prove di pressione digitale, fra tutti gli esemplari,che arrivavano anche a sette chili di peso,il nonno sceglieva le quattro teste preferite, le caricava sul suo carretto a mano e si tornava tutti a casa contenti. I cavoli venivano quindi tagliati e le bionde striscioline pressate e pestate all’infinito nel vecchio barilotto di legno. Nel sud della Germania, che è la parte preminente della Repubblica dal punto di vista culinario, secondo le osservazioni degli “àuguri” il crauto viene tagliato in listelli dello spessore esatto di 1,0 millimetri.Nella Germania del nord, invece, lo spessore era di 1,5 millimetri – cosa che consente interessanti speculazioni sulle finezze e rozzezze delle rispettive popolazioni. La mia fa-
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miglia si era trasferita dal nord al sud e per questo probabilmente lo spessore si era assestato su 1,25 millimetri. Sottili o spessi, comunque, i crauti devono essere pestati faticosamente, strato sopra strato, fino a quando annegano nel loro stesso succo. Tutto deve essere coperto completamente di liquido e ogni aggiunta di acqua viene punita con almeno 20 colpi di pestello. Il tutto è aromatizzato con 12 grammi di sale per chilo di crauti, una manciata di cumino, bacche di ginepro, alloro, dragoncello, mele acidule e uva. Sul fondo, la nonna disponeva alcuni gambi di aneto. Quanto succedeva dopo, per noi bambini era un autentico miracolo. E ancora oggi, anche se la chimica ha distrutto qualsiasi fede nelle forze magiche di questo barilotto,si può ricordare con rispetto la lotta eroica dei batteri dell’acido lattico che, dalla grande sfera maleodorante chiamata crauto, producono una saporosità lattacida veramente gustosa. Durava due settimane la battaglia nel barile di legno. Se alla fine c’è una sconfitta,i crauti perdono fermentazione e conservabilità: è la volta che vincono i batteri dell’imputridimento, e il contenuto del barile finisce sul letamaio.Ma i barili dei crauti sono come i film americani:alla fine trion-
fa sempre il bene. Tanto più che la potenza veramente terrificante dei batteri dell’acido lattico pare sia in grado di sterminare totalmente dieci milioni di germi del tifo nel giro di dieci minuti. A noi bambini il crauto piaceva soprattutto crudo, mangiato direttamente dal barile. Qui in cantina,con i crauti ci si poteva esercitare ad estrarre i fili come fanno i chirurghi.Delle capacità curative naturali e dei miti che circondavano i crauti fermentati,noi allora non avevamo la più pallida idea.E non sapevamo nulla nemmeno dei 60 barili di crauti,famosi in tutto il mondo,che il capitano Cook aveva portato a bordo nel leggendario viaggio delle sue scoperte e che avevano il compito di scongiurare lo scorbuto.Senza il pushvitaminico dei crauti imbarcati,come abbiamo appreso più tardi,le Hawaii e tutta una serie di isole dei mari del sud sarebbero ancora sconosciute. Ma anche qui la scienza emerge come grande guastafeste. Infatti, ha stabilito che un unico kiwi contiene tanta vitamina C quanto mezzo chilo dei migliori crauti. E se poi questi crauti si fanno cuocere come si conviene, per un’ora e mezza,della favolosa bomba vitaminica non restano che morbidissime fibre di cavolo,garantite senza traccia di vita-
mina C, che comunque aiutano un petto d’oca,un fagiano,un pezzo d’anguilla piuttosto che una salsiccia a fare il loro effetto quando entrano in scena. Nonostante lo scetticismo della scienza,generazioni di tedeschi hanno considerato e considerano i crauti come un’arma medica segreta, una specie di missile Cruise contro l’intestino pigro e la stipsi, contro il pallore dei bambini,contro la gotta,l’ulcera gastrica e i vermi. Gli impacchi di succo di crauti scaccerebbero le infiammazioni e dovrebbero agire positivamente contro le ferite da taglio e le scottature.L’elogio di questo strumento miracoloso non ha comunque impedito ai tedeschi di togliere progressivamente di mezzo i loro barilotti di crauti. Oggi, se ancora ne mangiano, li comprano in conserva. La lotta dei batteri ora si combatte nei grandi fermentatori della ditta Hengstenberg, a Esslingen, sotto costante monitoraggio dello stato chimico. Per togliere al lettore anche le ultime illusioni diremo che il consumo pro capite delle listarelle di cavolo oggi è molto più elevato negli Usa e soprattutto in Francia che non nella madre patria. I “Krauts”, come sono stati battezzati i tedeschi, infettati ormai da un inestirpabile morbo mediterraneo, man-
giano molto più volentieri pomodori, zucchini e peperoni che non il loro presumibile piatto nazionale. Il cavolo “piallato” ha raggiunto la sua massima diffusione e i più alti livelli di elaborazione culinaria in Alsazia, mentre i veri “Krauts”di oggi stanno sulla sponda sinistra del Reno. La crescente presa di distanza dal Sauerkraut può avere a che fare anche con i suoi effetti collaterali.In un neonato un ruttino robusto è motivo di soddisfazione ed è un evento che corona la conclusione di un pasto.Nell’adulto i rutti provocati dai crauti e, ancor peggio, i venti che sfuggono dai pantaloni trovano scarso apprezzamento. Si dice che il grande riformatore Martin Lutero una volta abbia gridato ai suoi invitati:«Perché non scorreggiate e non ruttate, non vi è piaciuto il pranzo?». Quelli erano tempi! In effetti i crauti, soprattutto nei mangiatori cagionevoli,possono provocare rapidamente acidità di stomaco, meteorismo e rutti.Se li si prepara con una buona dose di strutto d’oca,speck e cipolle possono togliere il tappo anche a un mangiatore robusto. Dovrebbero ovviare a questi inconvenienti ricette speciali con cipolle picchiettate di chiodi di garofano,che per lo più non sono efficaci, ma piuttosto rovinano il sapore.Dopo questo pranzo rustico si consiglia quindi più che un dessert una passeggiatina,utile a rinfrescarsi e rilassarsi. Le ricette con i crauti sono infinite. Pare vi siano effettivamente persone che,nel pieno possesso delle loro facoltà mentali, aggiungono diversi bicchieri di Champagne alla cottura per fare sobbollire i crauti.Invece la consuetudine, dibattuta, di aggiungere alla cottura una mezza bottiglia di Sylvaner di
buona qualità, è assolutamente da raccomandare, come le cipolline rosolate nello strutto e i dadini di prosciutto o uno strato di pancetta affumicata. L’aggiunta di una fetta di pane viene lodata spesso dagli esperti con occhi luccicanti dall’entusiasmo perché assicura la giusta densità. Alcuni vi incorporano anche la composta di mele o aggiungono chicchi d’uva, ma non si tratta di abitudini diffuse. I crauti acquistano una punta di dolce e moderano l’aggressività dell’acido. Più volte li si riscalda, più diventano gustosi: questa è una nozione che fa parte della formazione culinaria di base dei tedeschi.Il culmine pare si raggiunga al settimo remake. Sono fantastici gli Schupfnudeln con i crauti. Con le patate bollite, le uova e la farina si prepara un impasto morbido,da cui si staccano piccoli pezzi che si lavorano con le mani fino a quando assumono la forma di un pene di bambino. Questi piccoli peni sono cotti per pochi minuti in acqua poi e fatti saltare in padella, insieme ai crauti già cotti a puntino, nello strutto di maiale con proporzioni fifty-fifty.Il piatto favorito dell’autore si compone di sanguinaccio, salame di fegato e salsicce di fegato di maiale,freschi di macellazione, che nel profondo della Foresta Nera si servono assieme a un po’ di carne lessa,grossi pezzi di pane contadino e crauti. Un piatto invernale potente, in una regione in cui c’è buio e fa un freddo cane. Chi,nella Foresta Nera,abbia ingurgitato in una trattoria di campagna una porzione intera di questa colossale gustosità, sa che cosa si intende quando si parla di un pranzo che è una benedizione. ● * Slow Food
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Francesi a cavallo
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er i francesi di un certo ambiente e livello sociale esiste ancora un tabù culinario: il cavallo. Le ragioni evocate per spiegare un tale rifiuto si somigliano tutte: il cavallo è un animale nobile, è il migliore amico dell’uomo e così via. Le ricette riservate alla carne di cavallo sono rare e sempre relegate in fondo ai testi che trattano dell’argomento carne; per giunta, datano tutte dagli anni 1960. Dal punto vista storico il consumo di carne di cavallo non è mai stato argomento semplice.Il cavallo si consumava molto prima che lo si addomesticasse. La bottega di intaglio di ossa di equini rinvenuta sotto la roccia di Solustré dimostra che i nostri antenati preistorici mangiavano il cavallo proprio come la renna e il bisonte. Nell’antica Roma i cavalli erano sacrificati agli dei, soprattutto nel mese di marzo, per propiziarsi un buon raccolto. La carne degli animali uccisi era consumata nel corso di cerimonie, mentre la testa era incoronata di spighe di grano prima di essere esposta alla porta principale della città. Da non dimenticare poi Attila e gli Unni - sempre all’ordine del giorno quando si tratti di illustrare trucide vivande barbare - che mangiavano e bevevano il sangue delle stesse bestie che cavalcavano. I diletti equini furono dunque mangiati per secoli fino all’inizio del Medioevo, periodo in cui i papi Gregorio III e Zaccaria I decisero di proibirne il consumo insieme a quello del castoro (!),con la minaccia di pesanti ammende. Ufficialmente si smise di mangiare cavallo, salvo nei casi di forza maggiore. I soldati affamati che morivano di freddo nei loro mantelli di panno lisi durante la campagna napoleonica di Russia furono i primi a sezionare i fedeli compagni, pieni di vergogna e disgusto. Nel 1870, durante l’assedio di Parigi,i cittadini che facevano la coda davanti alle macellerie vuote cominciarono a infilare nei loro desolati tegami topi, gatti, cani e persino cavalli… tanto che finirono con il prendere gusto alla loro carne.Anni dopo, conclusesi le ostilità e seppelliti i morti, i sopravvissuti cambiarono le carte in tavola e arricchirono il menù del giorno aggiungendovi il migliore amico dell’uomo. La sua carne era strana, dolce, una via di mezzo fra quella di selvaggina e quella di bue. I sapienti dell’epoca ne vantarono le qualità nutritive e magnificarono il fatto che non conteneva parassiti e poteva dunque essere mangiata cruda. Fu in quel periodo che si aprirono le prime macellerie equine,prestando un’attenzione particolare alla connotazione estetica del nuovo commercio.Le macellerie somigliavano a piccoli templi in marmo chiaro, con una vetrina rosso sangue e un busto di cavallo dipinto in oro appeso sopra la porta d’ingresso.Agli insoliti ne-
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gozi fu dato il nome di boutiques hippophagiques,perché non fossero confuse con quelle che vendevano carne bovina. I contesti in cui si effettuava la vendita erano quindi nettamente distinti, ma i termini utilizzati per definire i pezzi della carne di cavallo furono ripresi dal lessico della macelleria bovina.Arrosto, naturalmente, filetto, sottofiletto, bistecca con l’osso, costoletta, spalla, tenerone… Non si mangiavano bestie qualsiasi. Il cavallo era già buono a tre o quattro anni, ma solo verso i sette anni era considerato davvero squisito. Il puledro e la giumenta erano altrettanto apprezzati, e così anche l’asino, la cui carne assumeva il profumo delle erbe brucate qua e là. Dopo la seconda guerra mondiale e negli anni Sessanta e Settanta i macellai di carne equina fecero fortuna.Il cavallo godeva di una buona reputazione: era una carne economica, magra, nutriente: i bambini dovevano mangiare almeno una bistecca di cavallo alla settimana. La carne di cavallo sanguina sempre. Un sangue rosso vivo. Il sangue piaceva a qualcuno e ripugnava a qualcun altro. Oggi si possono contare appena una trentina di macellerie equine in tutta Parigi. Tuttavia, passeggiando nella città se ne possono individuare molte altre delle quali non resta più che la facciata in marmo grigio striato da griglie rosse. Manca soltanto l’insegna, il busto di cavallo dorato, senza dubbio ceduto e rivenduto da qualche antiquario. Le macellerie hanno cambiato pelle trasformandosi in uffici o in abitazioni, ed è tramontato il momento di gloria del macellaio di carne equina. In effetti, ecco quanto mi ha confidato un macellaio del XVIII arrondissement nella sua austera bottega: «Un tempo in questa strada eravamo in dieci, oggi siamo soltanto in due. Prima la carne di cavallo era un cibo del popolo, perché costava poco. C’era la coda, davanti alla bottega. Poi il cavallo è diventato raro e si è fatto caro».Quello che il macellaio mi chiede di omettere è che le epidemie di trichinosi che colpirono i cavalli negli anni 1970 non hanno certo aggiustato le cose. Come altri, lui preferisce prendersela con l’immagine, a suo parere di basso profilo, attribuita oggi ingiustamente alla sua categoria: «In ogni caso, la gente non vuole più mangiare cavallo. Dicono che sia un crimine mangiare queste bestie! Io non capisco. Ho una faccia da assassino, io? Più di un venditore di trippa, o di un macellaio di carne bovina? Nemmeno quelli ci amano molto.Ci disprezzano,persino.Per loro siamo troppo raffinati, presumo. Per la verità, nemmeno noi li amiamo, quelli là, razza di contadini, di rozzi». C’è stato un tempo in cui il macellaio equino si pavoneggiava nel suo negozio, vantandosi di non essere un semplice squartatore di animali. La carne di cavallo è piena di nervi, e per renderla commestibile occorre lacerarli con piccoli coltelli acuminati e gesti
quasi chirurgici. Si riconosce un buon macellaio dal modo in cui cesella la carne,rendendola incomparabilmente tenera.«Si taglia il cavallo partendo dalla testa verso la coda, per mantenere il giusto senso del taglio. Poi si cominciano a eliminare i nervi immangiabili. Uno a uno, con coltelli sottili e flessibili, si separano i pezzi. È un lavoro lungo. Un lavoro da chirurgo. La carne viene fuori, bella, rossa, tenera e liscia. Il pezzo più straordinario da snervare è dentro al rumsteck (il pezzo delle bistecche di girello): si chiama portafoglio perché si apre proprio come un vero portafoglio. Ma il pezzo migliore, a mio parere, è la surprise, l’equivalente della spalla di bovino, ma morbida e addirittura setosa». Spostandomi in un’altra macelleria dello stesso quartiere,incontro un macellaio più gioviale,meno pessimista.Non c’è traccia di carne in esposizione. Nella vetrina, allineati con eleganza, alcuni prodotti conservabili come salami di asino, salsicce di cavallo, mortadella di cavallo,carne di cavallo affumicata,cacciatorino di cavallo. La carne è in fresco nelle celle frigorifero. Appesi al muro l’elenco dei prezzi e un ragazzino che da un manifesto pubblicitario sorride vantando i meriti della carne di cavallo. Accanto alla porta, protetto da una busta di plastica, un articolo firmato da un grande chef decanta le virtù della carne equina. Gli habitués sfilano con garbo. Passano uno dopo l’altro, non si fermano, lasciano gli ordini. Quando esprimo il mio desiderio di visitare un allevamento e un mattatoio, il sorriso si spegne: «Difficile! Neppure io ci vado mai, passo attraverso intermediari. Faremmo bene a non tirare neanche fuori l’argomento, se non vogliamo trovarci a dover fare i conti con Brigitte Bardot». Insisto e chiedo da dove vengono le bestie. Il macellaio diventa ancora più laconico e il mistero si infittisce. «Io compro solo carne americana, ben rossa e compatta; in gergo diciamo che è carne strutturata, il meglio delle forniture.Eppure in America non mangiano cavallo.Lo allevano per gli altri. In Francia si mangiano cavalli da lavoro e, qualche volta,cavalli da monta a fine carriera,un vero piacere:una carne calma, morbida, perché il cavallo è stato viziato». Qualche tempo fa, con la vicenda della “mucca pazza”, la Francia fu sconvolta da un’autentica psicosi alimentare. Ogni mattina ci erano propinate informazioni una più allarmista dell’altra.Dopo la malattia dei bovini si passò alla febbre suina, poi fu la volta delle epidemie nelle greggi di pecore inglesi. E per condire il tutto, per un’intera settimana seguimmo angosciati un thriller mozzafiato il cui serial killer si rivelò essere la lingua di maiale in gelatina distribuita in confezione sotto vuoto.Insomma,la sfiducia dilagava.Una mattina,il macellaio del XVIII arrondissement mi interpellò felice: le vendite erano raddoppiate. ● *Slow Food
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Marie Chemorin* I DILETTI EQUINI MANGIATI PER SECOLI FIN DALL’INIZIO DEL MEDIOEVO, POI IL TAGLIO E LE AMMENDE MINACCIATE. UNA STORIA A OSTACOLI, DALLE CAMPAGNE DI RUSSIA AI PICCOLI TEMPLI IN MARMO CHIARO
Peco ora nostra na analisi della tavola di Cosa Nostra consente interessanti considerazioni sulla natura di questa organizzazione criminosa. La mafia nasce nelle campagne della Sicilia ed è lì che costruisce la sua struttura segreta,gerarchicamente ordinata, capillarmente diffusa sul territorio. Il dna dell’uomo d’onore si forma in campagna e anche ciò che mangia arriva dalla campagna,dal mondo contadino siciliano. Egli è perfettamente mimetizzato nel mondo in cui vive, non ostenta la sua appartenenza a Cosa Nostra,né rivela ad alcuno tale status,ad eccezione degli altri uomini d’onore ai quali viene ritualmente presentato da un terzo facente parte dell’organizzazione. L’uomo d’onore, quindi, appartiene in tutto e per tutto al territorio nel quale vive e consuma le stesse vivande delle persone per bene. Segue l’austera dieta dei contadini: molta verdura (con tante minestre), ortaggi (le fave e i carciofi,arrostiti alla brace),poca carne,con preferenza per ovini e caprini. Sulla sua tavola non manca mai la pasta, quasi sempre con il pomodoro. Quello che cambia,in parte,è il modo di vivere il rapporto con il cibo, in particolare le ritualità degli incontri conviviali tra appartenenti all’organizzazione.Questi sono stati in passato per Cosa Nostra una importante occasione di crescita,utilizzati per rinsaldare i vincoli tra diverse “famiglie”, organizzare nuove illecite attività, preparare strategie di attacco o riflettere su attacchi ricevuti. Le “mangiate” o “schiticchi” avveni-
U Ignazio De Francisci LA MAFIA A TAVOLA, QUANDO IL CIBO È RITUALITÀ E GERARCHIA. RACCONTI DALL’INTERNO DI “SCHITICCHI” PIUTTOSTO IMPEGNATIVI, MENTRE OGGI GLI UOMINI D’ONORE MANGIANO SEMPRE MENO IN COMPAGNIA
vano in campagna,possibilmente nel baglio di qualche amico,a porte chiuse.Lo“schiticchio” era piuttosto impegnativo, sia per la durata, sia per le cibarie che si dovevano consumare, e ancor di più lo era per chi lo organizzava e si faceva carico di trovare la materia prima e di cucinare. Famosi banchetti sono stati organizzati nei primi anni Ottanta alla tenuta Favarella di Michele Greco, con parecchie decine di partecipanti. Oggi, un simile avvenimento non è più concepibile.La nuova struttura di Cosa Nostra,tesa a evitare il ripetersi del cosiddetto pentitismo,mira a compartimentare l’organizzazione, a ridurre le conoscenze tra uomini d’onore di base,limitando ai vertici assoluti i rapporti tra diverse famiglie o diverse province. Cosa Nostra si è “inabissata”per sfuggire alle investigazioni e quindi mangia meno, o comunque non mangia più in compagnia. Ma negli anni passati ci sono stati episodi significativi rispetto all’importanza delle occasioni conviviali per Cosa Nostra. Salvatore Riina all’inizio del 1992 partecipa a un pranzo con le famiglie mafiose di Marsala e Mazara del Vallo per organizzare la reazione contro una organizzazione criminale rivale, la cosiddetta “Stidda”marsalese guidata da Carlo Zichittella e Leonardo Canino. Un collaboratore che è tra i commensali racconta di un Riina come sempre parco,misurato,equilibrato nelle parole,affatto amante della buona tavola.I risultati di quel pranzo saranno condensati in una decina di omicidi,alcuni commessi con fucile
mitragliatore, usato in pieno giorno nel centro di Marsala. Dalle indagini antimafia in provincia di Trapani è stata messo in luce il ruolo della pecora bollita, un antico piatto dei contadini-pastori che lo consumavano con rituali precisi. Dalle dichiarazioni dei collaboratori di Giustizia emerge spesso la cerimonia legata a questo piatto dalla lunga preparazione,fatto apposta per socializzare, per prolungati incontri in aperta campagna attorno al fuoco. L’allestimento è lungo perché prevede che l’acqua di cottura della pecora, adeguatamente aromatizzata,sia cambiata tre volte; la terza sarà utilizzata per la minestra che precederà in tavola la carne lessa.Mangiare la pecora bollita è come mangiare uno degli elementi fondanti di Cosa Nostra e serve a capire le logiche dell’organizzazione criminale, spietata e dura come la vita del pastore siciliano, anarchico per vocazione, contro ogni forma di legge per istinto naturale, pronto ad affrontare le più inaudite violenze con un fatalistico senso della vita. Ho voluto provare la pecora bollita e, non potendo ovviamente rivolgermi a Cosa Nostra,mi sono rivolto… ai carabinieri.Nel baglio del mio amico carabiniere ho trovato il pentolone di alluminio che già conteneva la pecora quasi al termine della cottura,iniziata qualche ora prima.Il banchetto è cominciato nel tardo pomeriggio ed è finito a notte fonda.Confesso la mia iniziale titubanza di fronte a quel pentolone e a quella pecora; presto però il profumo del brodo
fece breccia e trovai la minestra davvero delicata,sapida,armoniosa.La pecora,bollita lentamente,con gli aromi giusti,si rivelò poi un lesso di finezza e qualità ragguardevoli. Ma il mafioso non sempre riesce a evitare il carcere e la carcerazione fa cambiare prospettiva al rapporto dell’uomo d’onore col cibo. Uscito dal suo ambiente, viene ufficialmente qualificato come appartenente all’organizzazione e,pur negando assolutamente qualsiasi responsabilità personale, deve recitare una parte, dimostrando con il suo comportamento di essere quello che tutti sanno, ma che nessuno dice. Anche il cibo entra in questa commedia. Il mafioso non mangia nulla di quello che passa l’Amministrazione (disprezza profondamente tutto ciò che viene dallo Stato), ma unicamente quello che gli porta la moglie o la famiglia.Le vettovaglie (nei limiti del regolamento del singolo istituto penitenziario) sono talmente abbondanti che numerosi detenuti ne beneficiano. In tal modo il mafioso acquisisce meriti e consensi. Il cibo distribuito, oggi un po’meno lussuoso che in passato, diventa così ostentazione di ricchezza e strumento per acquisire potere.Il detenuto elargisce gran parte di quello che riceve, offre ai compagni di cella o di reparto cibi prelibati e,si sa,quando c’è miseria (e in carcere ce n’è, di quella vera) non si va tanto per il sottile circa la provenienza di quello che si mangia. Alcuni collaboratori di Giustizia della provincia di Trapani hanno raccontato che,verso la metà degli anni Ottanta,molti uomini
d’onore delle famiglie di Marsala e Mazara del Vallo si trovavano insieme nel carcere di Marsala: secondo il racconto dei collaboratori,in quell’istituto un intero frigorifero era destinato alla conservazione del pesce che i mafiosi ricevevano dall’esterno. La stessa fonte ha precisato che in quel frigorifero c’era il meglio del pescato nel canale di Sicilia (e forse in mare tunisino…).L’applicazione del regime ex art.41 bis del regolamento penitenziario ha limitato questo improprio uso del cibo, ma sono molti i mafiosi che sfuggono all’applicazione di quell’articolo. Nel carcere dell’Ucciardone di Palermo, anni addietro,si organizzavano schiticchiin occasione delle feste ed essere ammessi in certe celle era segno di potere, mentre l’esserne esclusi poteva significare che si era stati “posati”, cioè emarginati dall’organizzazione. Altre volte il mafioso era “filato”, che in gergo significa più o meno ingannato. Il “filamento” consisteva nel far credere all’uomo d’onore in procinto di essere ucciso che verso di lui si nutriva la massima stima e dunque lo si invitava nella cella dei capi per pranzare. Se il soggetto cadeva nel tranello, andava, mangiava, si convinceva che verso di lui non vi era nulla di ostile:così abbassava la guardia (non comportandosi più da “guardigno”,sospettoso) e lo si uccideva facilmente,in carcere o fuori.In questo caso il banchetto serviva per “filarsi” qualcuno ed eliminarlo. Nello stesso tempo, rifiutare l’invito significava lasciare intendere che si era capito. E il discorso si complicava, per tutti. ●
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SCRITTO & MANGIATO
da una serie di piccoli dettagli che ci si rende conto che gli abitanti di San Luis Ajajalpan, piccolo villaggio dell’altopiano centrale messicano, sono restii a produrre degli scarti. Questa attitudine deriva senz’altro da un senso della pulizia che è loro particolare, ma anche dal fatto che essi temono che una negligenza in tal senso li induca a incrementare l’inutile. Sperano così di non contribuire all’esaurirsi del mondo che i loro avi hanno loro lasciato, un mondo le cui riserve energetiche sarebbero limitate dalla stessa natura. Diffidenti, ragionieri del tempo, cautelosi all’eccesso, fanno di tutto perché la loro memoria non finisca per trasformarsi in un grande mucchio di spazzatura. Non sono soli a patire una simile inquietudine, ma sembrano tuttavia imporre a loro stessi comportamenti che appaiono obsoleti agli occhi di un mondo nel quale le pattumiere e i contenitori per le cartacce svolgono il ruolo di ricettacoli messi lì per immagazzinare alimenti e oggetti che hanno smesso di piacerci. Ecco perché, inconsapevoli di questa nostra imperiosa necessità,e rispettose degli obblighi tradizionali di preservare ciò che la natura mette a loro disposizione, le famiglie di San Luis Ajajalpan badano durante il giorno a che le porte delle loro abitazioni siano spalancate a tutti i cani e le galline di casa. Tutto incomincia allora dell’atolero, l’ultima stella della notte che annuncia l’inizio della giornata delle donne. La sera innanzi, prima di andare a dormire, hanno preparato il nixtamal, i chicchi di mais lungamente cotti in acqua e calce.Ora devono alzarsi per preparare il caffè o l’atole, che l’uomo di casa ingurgita velocemente prima di andare a spillare la linfa dalle sue agavi, di cui bisogna raccogliere la produzione all’alba e al calare del sole. La linfa fornisce la sostanza del pulque quotidiano, che le donne metteranno a fermentare in vaschette di ceramica verniciata o in botti. Intanto, però, devono preparare la masa,la pasta di mais che serve per confezionare le tortillas,irrinunciabili per ogni pasto, o che verrà diluita e battuta con acqua e miele per ottenere il corroborante atole. Si tratta di frantumare i chicchi umidi su una larga pietra da macina, il metate, o dentro piccoli macinini a mano o elettrici. A questo punto le galline hanno già invaso la stanza priva di finestre,avide di insetti,l’occhio attento al minimo granello caduto in terra; ma le pennute sanno bene che dovranno attendere il momento in cui tutta la masa sarà raccolta in un secchio, il momento in cui potranno impadronirsi degli utensili per la macina,becchettando la superficie granulosa della pietra vulcanica, ripulendo a precisi colpi di becco gli ingranaggi metallici del macinino. Un’efficace impresa di pulizie,assicurata da agenti coscienziosi e ghiotti. Strumenti viventi sempre all’opera; una forza lavoro nutrita a buon mercato, che offrirà poi le sue uova e una carne saporita. L’acqua, naturalmente, cancellerà il passaggio del pollame, concludendo il lavoro. Meticolosamente re-
non avrà accesso,nel corso della giornata, ad alcun altro cibo «riconosciuto». Che gli importerebbe, dunque, di sapere che questa specie di obolo non cerca davvero di soddisfarlo, e che con quel gesto don Ramón intende soprattutto non produrre scarti, come se desiderasse attenersi ai precetti dei saggi Aztechi,che intimavano ai bambini e agli adulti di non sprecare il cibo,di raccogliere tutti i chicchi di mais o le briciole di tortillas che fossero caduti in terra? Il vecchio don Ramón rimane, di fatto, fedele sia a una raccomandazione virtuosa,misteriosamente trasmessa fino a lui dalla notte dei tempi, sia al desiderio edonista di ogni buon messicano di consumare a tavola tortillas cotte al momento, capolavori di morbidezza, accompagnamento indispensabile, pane e posata allo stesso tempo che permette di afferrare alla meglio gli alimenti nella scodella. Come si farebbe altrimenti, con tortillas troppo croccanti, subito rinsecchite? Meglio suddividerle grossolanamente lasciando dei pezzi all’animale affamato,
È
Storie scartate Dominique Fournier* NELL’ALTOPIANO CENTRALE MESSICANO NON SI BUTTA NIENTE. UN MODO PER NON SPRECARE E PERCHÉ LA MEMORIA NON FINISCA PER TRASFORMARSI IN UN GRANDE MUCCHIO DI SPAZZATURA
cuperata, questa stessa acqua, arricchita di pasta e di calce, la si verserà nel truogolo del maiale. Pur assistendo alla scena, i cani, irrimediabilmente famelici, non partecipano al banchetto che sembra riservato agli animali più meritevoli,e in ogni caso ai più… degustabili.È passato il tempo in cui si ingrassavano mandrie di piccoli cani senza pelo, per poter servire spezzatini a illustri Aztechi.I cani odierni vagabondano scaldando i loro scheletri al sole,offrendosi alle ruote delle automobili, sopravvivendo come possono, affannandosi attorno al più piccolo mucchio di immondizia da cui traggono a volte, con fierezza, qualche alimento guasto come se si trattasse di una nobile preda.Bocche inutili,o quasi,visto che fingono anche di fare la guardia alla casa, cui hanno finito con l’affezionarsi proprio per via dei pasti. Mai e poi mai il cane Tiburón abbandonerà il suo padrone don Ramón all’ora del pranzo, abituato com’è a occupare accanto a lui un posto improbabile, attento a recuperare qualsiasi briciola e i pezzi di tortillasche gli vengono lanciati. Tiburón sa bene che
che immaginerà di partecipare al pasto di una famiglia preoccupata di mantenere un rapporto di armonia con le forze della natura grazie alla condivisione del cibo. Da queste parti galline e cani si guadagnano da vivere intrattenendo rapporti attivi con ogni genere di rifiuto. A San Luis Ajajalpan, per mettere su un po’di lardo, i maialini devono prima di tutto confidare nel tempo che la massaia riuscirà a dedicare loro nel pomeriggio. Senza uscire dalla fanghiglia del loro recinto, trasformano in elementi positivi tutto ciò che la famiglia avrebbe rischiato di sciupare: l’acqua dei lavaggi, arricchita di scarti di pasta di mais, per abbeverarsi; i tutoli del mais come alimento principale, e poi tutta la lista degli avanzi, che non mancheranno di divorare. È così che si predispongono i piatti di carne,da offrirsi ai futuri gruppi di invitati che si accomoderanno alle tavole preparate in occasione della festa patronale. Ed è così che viene costituito un efficiente sistema «assicurativo», nell’eventualità che qualche evento infausto possa colpire la famiglia.* ● * Slow Food
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Australia alla crema iamo fatti così, lo sanno tutti gli australiani giramondo: più stiamo all’estero, più apprezziamo il nostro paese arso dal sole, le nostre spiagge, la nostra gente e la nostra cultura così unica. E soprattutto, quando siamo lontani da casa, ci rendiamo conto che nessun altro condivide la nostra passione nazionale per un alimento particolare. In ogni istante in Australia vengono confezionati circa 235 vasetti di Vegemite, una sostanza spalmabile, viscosa, di colore nero cupo, spessa e salata, che si estrae dalle cellule del lievito. È uno dei prodotti popolari più tradizionali del mio paese. È un’icona. Ma, al contrario di altre icone promosse ed esportate con successo in tutto il mondo come simboli dell’Australia (il morbido koala, la leggenda di Ned Kelly, le culture balneari e il deserto rosso), il bacino di richiamo e di adorazione del Vegemite è rimasto delimitato ai confini nazionali. Forse è proprio per questo che noi australiani lo amiamo tanto. Il Vegemite è uno dei rari cibi adorati da tutta una nazione e disprezzati dal resto del mondo. Fin da bambini gli australiani lo mangiano quotidianamente e con grande entusiasmo. Qualcuno si spinge fino a dire che è la ragione per cui l’Australia è definita “il paese fortunato.” L’Australia Powerhouse Museum ha organizzato tempo fa una mostra dedicata alle 100 principali invenzioni australiane del secolo scorso.Tra di esse c’erano il mitico tagliaerba circolare Victa,il gabinetto a doppio sciacquone,la siringa usa-e-getta, il filo da stendere a paranco di Hills e – naturalmente – il Vegemite. Il jingle di questa strana crema, «We love our Vegemite, we all adore our Vegemite, it puts a rose in every cheek» (Tutti amiamo il Vegemite, tutti adoriamo il Vegemite che ci tinge di rosa le guance), lo recita a memoria ogni australiano verace ed è trasmesso da radio e tivù con rassicurante regolarità. Come ha dichiarato Debbie Rudder, curatrice del Powerhouse, in un’intervista all’emittente nazionale ABC, «in questo caso, l’innovazione consiste soprattutto nella strategia di vendita: è stato il “tingere di rosa le guance”che ha fatto comprare il Vegemite agli australiani». E glielo fa comprare ancora oggi. La storia inizia nel 1918 con Fred Walker, un imprenditore che incarnava perfettamente lo spirito di “determinazione aussie” e che, prima di trovare l’oro nero, tentò la sorte commerciale dandosi a diverse avventure: dalla manifattura di accessori per cappelli,alla direzione di un’agenzia di scommesse sui cavalli, al gioco.
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Sophie Herron* VEGEMITE, LA FORTUNA DEL GRANDE CONTINENTE. COME “TINGERSI DI ROSA LE GUANCE” DOPO OTTANT’ANNI DI VICENDE COMMERCIALI E DI SCOMMESSE PRODUTTIVE
Fred aveva anche creato il Bonox: una bevanda inglese a base di brodo di carne.Ma verso il 1918 gli affari non andavano bene a causa dei cambiamenti introdotti nel commercio internazionale dalla Prima Guerra Mondiale e così Fred iniziò a guardarsi intorno e a cercare il modo di evitare la bancarotta. Fece un contratto di fornitura di lievito con i birrifici Carlton e United Breweries e iniziò a pensare a che cosa avrebbe potuto fare con il lievito in eccesso buttato via dai birrifici. Sapendo che era ricco di vitamina B e vedendo il
successo che aveva avuto in Inghilterra la Marmite, una crema spalmabile di estratto di lievito, decise di provare a crearne una versione australiana. Così, nel 1922 assunse un giovane chimico, il dottor Cyril P. Callister, e gli assegnò il compito di creare una crema spalmabile dal lievito di birra. Callister lavorò per un paio di mesi ed elaborò varie formule prima di trovare quella giusta. Con l’uso di enzimi apriva le cellule di lievito e ne estraeva il contenuto,che mescolava quindi a verdure e sale in un impasto nero e appiccicoso. Fu allora che Fred Walker si rivolse ai consumatori indicendo una gara per trovare il nome migliore al suo prodotto. Il vincitore avrebbe vinto 50 sterline. Il risultato fece la sua comparsa nei negozi australiani tra il 1923 e il 1924, ma gli ci vollero circa quindici anni per guadagnarsi il favore dei consumatori.La crema ricevette l’approvazione ufficiale della British Medical Association nel 1939,giusto in tempo per essere inserita tra le razioni militari durante la Seconda Guerra Mondiale. La richiesta di Vegemite aumentò vertiginosamente negli anni della guerra,anche perché quasi tutta la produzione era assorbita dall’esercito. I magazzini nazionali si svuotarono rapidamente e le réclamesdell’epoca offrivano consolazioni patriottiche alla mancanza di disponibilità del prodotto, diffondendo slogan
che dicevano: «Sarà disponibile solo quando i ragazzi torneranno a casa. Lo mettiamo nelle loro razioni alimentari gente; ci dispiace, ma voi dovete aspettare». Al termine del conflitto e per tutti gli anni Cinquanta il Vegemite si assicurò un posto sulla tavola di ogni famiglia australiana. Le pubblicità dicevano: «Bambini, ragazzi e adulti: fa bene a tutti, quotidianamente». Elemento chiave nelle strategie di vendita sono sempre state le sue qualità nutritive, rese popolari dalle riviste che consigliavano alle casalinghe moderne di «fare posto al Vegemite ogni volta che apparecchiate il tavolo». Come dice la pagina introduttiva del sito web: «La storia del Vegemite è davvero esemplare. Piena zeppa di ingenuità aussie, duro lavoro e inventiva». Sfortunatamente però, e paradossalmente,questo prodotto assolutamente australiano non appartiene a una società australiana:Fred vendette la ricetta e le indicazioni del metodo di lavorazione all’americana Kraft nel 1935. In ogni caso, la crema è tuttora interamente prodotta in Australia e ancora secondo la ricetta originale (unico cambiamento rispetto alla formula di Cyril, dovuto a una scelta salutista, è stata la riduzione del contenuto di sale dal 10 all’8%.). Nonostante il nazionalismo australiano, la genealogia straniera del Vegemite non ha mai scalfito il nostro amore per quel prodotto, almeno fino agli anni 1990, quando una serie di acquisti di società australiane da parte di multinazionali produsse una contrazione dei consumi. E uno degli effetti di quella contrazione è stata però il lancio di prodotti realizzati in Australia da società interamente australiane.* ● * Slow Food
Nuovi sacchetti Coop. Danno una mano a rispettare la natura.
TI AIUTANO A FARE LA SPESA, TI AIUTANO A RISPETTARE LA NATURA. Quando facciamo la spesa, la natura non deve pagarne le spese. Per questo Coop ha introdootto per la prima volta in Italia i sacchetti di plastica che rispettano l’ambiente. La plastica contiene un additivo, l’EPI –TDPA, che miscelato con il Polietilenee convenzionale la rende totalmente degradabile. Nel giro di tre anni si decompone - senza rilasciare sostanze dannose - a differenza dei sacchetti in Poolietilene che restano nell’ambiente per secoli. Degradabili non vuol dire meno utili. I sacchetti Coop, infatti, sono resistenti come quelli tradizionali, no n costano di più e possono essere riutilizzati più volte. Sono ecologici, quindi, ma quando non servono più vanno comunque gettati nei rifiuti. Da oggi ffare la spesa alla Coop piacerà un sacco anche alla natura. DIFESA DELL’ AMBIENTE. UN ALTRO VANTAGGIO COOP. www.e-coop.it
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ACUSTIMANTICO “DISCO NUMERO 4” euro 8,00
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MAURIZIO CARBONE “MADRE TERRA” euro 8,00
Il quarto album degli Acustimantico presenta 11 brani selezionati dal loro nutrito repertorio ed eseguiti dal vivo Nei loro suoni confluiscono insieme musica d-autore, jazz, pop, folk arrangiati ed interpretati con personale classe, un-originalit’ che sa essere ancor pitù ravolgente quando è su palco. Una rivelazione per molti, una conferma per chi li segue da tempo. Ospiti del cd Andrea Satta (Têtes de Bois) e Piero Brega.
Un racconto fatto di relazioni e luoghi, di saperi e memorie, trasmesso attraverso tam-buri, voci, corde e flauti. Un viaggio circolare den-tro e attorno nostra ma-dre: la Terra. In questo album, che attraversa diverse culture musicali, Maurizio Carbone incontra e ospita musicisti come Dom Um Romao, Garrison Fewell, Marcello Colasurdo, Marzuk Mejri e altri
ARDECORE “ARDECORE” euro 8,00 Ardecore sono il cantante folk blues Giampaolo Felici insieme al leader degli statunitensi Karate Geoff Farina e la band romana Zu. Le diverse esperienze musicali si sublimano nella canzone romana, i famosi stornelli con i loro racconti di amori e coltelli, malavita e romanticismo. Fedeli alle originali, queste versioni non disdegnano un approccio noir, figlio di Nick Cave e Tom Waits.
LUIS BACALOV “LA MERAVIGLIOSA AVVENTURA DI CARLOS GARDEL” euro 8,00 La meravigliosa avventura di Carlos Gardel è un omaggio appassionato e struggente al grande compositore argentino, una vera e propria icona del tango in tutta l’America Latina. Il compositore Luis Bacalov (premio Oscar per le musiche de Il Postino) ha incluso in questo progetto molte delle composizioni che resero leggendario Gardel.
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BOULY SONKO ET LE BALLET NATIONAL DU SENEGAL “DIANBADON” euro 8,00 Il canto, il ballo e il ritmo rappresentano l’anima della cultura senegalese. Dianbadon è collegato al progetto “Maison de la Culture” centro di interscambio culturale che si sta costruendo a Ndangane, nel sud del paese. Gli obiettivi sono preservare le tradizioni locali trasmesse in maniera orale, attraverso danza e canti, e sostenere questo luogo di interscambio e condivisione artistica.
FRATELLI DI SOLEDAD “MAI DIRE MAI” euro 8,00 Dopo nove anni di assenza MAI DIRE MAI è il ritorno discografico - ed insieme esordio per il manifesto cd - dei Fratelli di Soledad. Sedici tracce che si muovono fra ska, rocksteady, reggae, rock'n'roll, soul, funk, miscela congeniale alla band torinese che nel disco esprime le esperienze in tanti anni di attività dal vivo. Impegno ed ironia in un disco solare, profondo nei significati, leggero nelle emozioni.
DOUNIA “MONKEY”euro 8,00
In ISO in cui si intrecciano brani originali e tradizionali della cultura greca, spagnolo-sefardita, sarda, gaelica, portoghese, napoletana. Musiche e lingue diverse, ma tutte diramazioni di uno stesso linguaggio, quello delle emozioni. Tra gli ospiti della cantante Piero De Asmundis, Daniele Sepe, Gino Evangelista, Dario Franco, Agostino Mennella, Antonello Paliotti, Capone & Bungt Bangt.
Gli orizzonti sonori del gruppo italo palestinese passano attraverso una personale miscela di melodie, armonie, ritmi e suoni provenienti da ogni parte del mondo. Sonorità, sprazzi di luce in un lavoro affascinante ed essenziale. Dodici brani arricchiti dai contributi musicali di Riccardo Tesi, Gianni Gebbia, l'australiano Hugo Race, gli arrangiamenti d'archi di Francesco Calì. ALTRI TITOLI “New World” euro 8,00
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DANIELE SEPE “NIA MARO”euro 8,00
HSL, Hic sunt leones, qui ci sono leoni, zona fuori controllo. Non entrare se non sai da che parte stare! Militant A torna insieme ai Brutopop con il quinto cd di Assalti Frontali. Prodotto in un garage della periferia di Roma, mixato nei Paesi Baschi da Kaki Arkarazo. Hsl segna un nuovo approdo ribelle nella mappa musicale italiana.
Nella lingua dell'Esperanto Nia Maro vuol dire Mare Nostro. E il viaggio "in seconda classe" di Daniele Sepe prosegue con tappe musicali che vanno dalla Francia anarchica di G.Brassens all'Egitto di inizio '900 di Selim Al-Masry. Con le divagazioni artistiche proprie del suo genio. Un disco per attraversare questo freddo inverno. E questi tempi bui.
BABA SISSOKO “DJELIYA”euro 8,00 “Djeliya” è il nuovo cd di Baba Sissoko, il polistrumentista nativo del Mali, già collaboratore di Sting, Youssou N’Dour, Art Ensemble Of Chicago, Fela Kuti, Santana, Khaled, Ruben Gonzales, Dee Dee Bridgewater. In questo lavoro Sissoko compone, arrangia, canta e suona tutto da solo, evocando melodie e i ritmi tradizionali della sua terra d’origine (Bambara, Peul, Mandinga e Sonrai).
a l t r i YO YO MUNDI “Resistenza” euro 15,50 PIERO BREGA “Come li viandanti” euro 10,00 ENZO MOSCATO “Hotel de l’Univers” euro 10,00 ENZO AVITABILE&I BOTTARI “Salvamm’o munno” euro 8,00 NANDO CITARELLA E I TDV “10e25 afacciamiasottoipiedivostri” euro 15,50 THE ROOF “Sottoeffetto” euro 8,00 ART ENSEMBLE OF CHICAGO “Reunion” euro 8,00 I cd sono in vendita presso le librerie La Feltrinelli, RicordiMediastores, il libraccio e Melbookstore. Per informazioni su altri
Live è l’incontro dal vivo tra il jazz mediterraneo di Antonello Salis e Paolo Fresu con le sfrenata allegria tzigana della Kocani Orkestar, ensemble nomade macedone. Il divertimento, la tecnica, la tradizione sono gli elementi portanti di questo lavoro completamente registrato dal vivo durante alcune tappe italiane, souvenir di un viaggio in continuo movimento.
c a t a l o g o
ASSALTI FRONTALI “HSL” euro 8,00
ALTRI TITOLI “HSL-Remix” euro 6,00
KOCANI ORKESTAR MEETS PAOLO FRESU & ANTONELLO SALIS “LIVE” euro 8,00
ALTRI TITOLI “Anime candide”euro 8,00 “Lavorare stanca” euro 8,00 “Jurnateri” euro 8,00 “L’uscita dei gladiatori” euro 8,00 “Conosci Victor Jara?” euro 8,00 “Viaggi fuori dai paraggi” euro 8,00
RADIODERVISH “LINGUA CONTRO LINGUA” euro 8,00 Torna nei negozi il primo disco dei Radiodervish. Alla ricerca dei punti di contatto e dei fiumi sotterranei tra Occidente e Oriente nella tradizione dei Fedeli d'amore. Suoni senza frontiere e testi con le radici al cielo in un disco colto e sradicato al tempo stesso. ALTRI TITOLI “In search of Simurgh” euro 10,00
TÊTES DE BOIS “PACE E MALE” euro 15,50
RICCARDO TESI & BANDITALIANA “LUNE” euro 8,00 Dopo la vittoria al Festival di Mantova, Banditaliana presenta il nuovo album Lune. Composizioni originali che profumano di Mediterraneo, a cavallo fra canzone d'autore , tradizione toscana e jazz. Tra gli ospiti presenti Ginevra di Marco e Francesco Magnelli (ex CSI e PGR); il mandolinista francese P.Vaillant ed il dj Ominostanco nel remix di Maggio e Tevakh.
Il nuovo, doppio cd dei Têtes de Bois. Nuove canzoni originali, rumori, disturbi, umori, sudori e pensieri leggeri. Parol e suoni catturati. Luoghi quotidiani e di transito. Segnal assorbiti, inquieti, sollecitazioni. Compagni di viaggio: Paolo Rossi, Daniele Silvestri, Antonello Salis, Mauro Pagani, Gianni Mura, Davide Cassani, Arnoldo Foà, Marco Paolini ALTRI TITOLI “Ferrè, l'amore e la vita” euro 8,00
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GIORGIO LI CALZI “Tech-Set” euro 8,00 BEN ALLISON “Peace Pipe” euro 8,00 SERVILLO-GIROTTO-MANGALAVITE “L’amico di Cordoba” euro 8,00 ‘E ZEZI “Diavule a quatto” euro 8,00 CANIO LOGUERCIO “Indifferentemente” euro 8,00 ROBERTO CIOTTI “Behind the door” euro 8,00 AA.VV. “Frank you, thank!”VOL.2 euro 8,00 punti vendita e per acquisti con carta di credito telefonare ai numeri: 06/68719332 622. Per ricevere i cd aggiungere al prezzo
ALTRI TITOLI “Acqua, foco, vento” euro 8,00 “Thapsos” euro 8,00
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SCRAPS ORCHESTRA “il diavolo di mezzogiorno” euro 8,00 MAURIZIO GRANDINETTI “Equivoci” euro 8,00 LALLI “All’improvviso nella mia stanza” euro 8,00 AA.VV. “Danni collaterali” euro 5,00 ENZO FAVATA “Made in Sardinia” euro 8,00 FRANCESCO BRUNO “Huacapù” euro 8,00 MARIA PIA DE VITO “tumulti” euro 8,00 2,00 euro di spese postali (fino a tre cd) e versare l’importo sul c.c.p. n. 708016 intestato a il manifesto coop. ed. - via
ENRICO DEL GAUDIO “AAAUUUMMMHHH” euro 8,00 ANDREA ALBERTI “Nubia” euro 8,00 CIRCOLO GIANNI BOSIO “Vent’anni e più di...” euro 15,50 CDDOPPIO AA.VV. “Prima della pioggia” euro 8,00 AGRICANTUS-F.BRUNO “Jamila” euro 3,50 CASA DEL VENTO “Genova chiama” euro 3,50 AA.VV. “Corpo di guerra” euro 8,00 DRAMMATEATRO “Uragani concert/azione” euro 8,00 Tomacelli, 146 - 00186 Roma, specificando la causale. Distributore per i negozi di dischi Goodfellas tel. 06/2148651 - 21700139
a scelta e il consumo degli alimenti sono una preoccupazione centrale degli esseri umani in tutto il mondo, e quindi scatenano forti reazioni emotive. Mangiare è una delle due maggiori attività assimilative dell’uomo e comporta l’assunzione di sostanze nel corpo nel modo più complesso immaginabile. Non solo si rischia di ingerire tossine, ma anche di permettere letteralmente all’alimento di diventare parte di sé.Non sorprende perciò che i tabù alimentari siano un fenomeno universale: senza distinzioni tra culture, la grande maggioranza di cose potenzialmente commestibili di fatto non viene mangiata,in specie quelle di origine animale,e sono normali le restrizioni anche su cibi considerati „commestibili“. In generale, gli esiti negativi che si ritengono causati dall’ingestione di cibi proibiti sono una minaccia per la salute fisica o per quella spirituale e per l’integrità dell’individuo. Un tema centrale che ricorre in molte regole alimentari di origine religiosa è la preoccupazione per la purezza e la contaminazione:alcuni cibi sono ingeriti per innalzarsi a un livello spirituale superiore (l’eucarestia cattolica),altri sono evitati perché „impuri“ (il maiale per ebrei e musulmani), e il digiuno e la purificazione sono considerati mezzi per mondarsi sia fisicamente sia spiritualmente. Perché l’atto dell’ingestione è tanto strettamente associato a purezza e contaminazione? Suggeriamo che la base di molte proibizioni alimentari derivi da una forma di pensiero definita „legge magica del conta- Carol Nemeroff e Mary Davis* ca una recente pubblicità di un catalogo di gio“. Tale legge descrive il passaggio di pro„cibi sani“ che illustra le virtù del vino rosprietà - fisiche, morali o comportamentali so,che «i francesi conoscono da anni»: il let- da una fonte al ricevente mediante con- CIBI “BUONI” E CIBI “CATTIVI”. tore può conseguire gli stessi vantaggi, ma tatto. La derivata „sei quel che mangi“ afsenza gli effetti negativi dell’alcol, acquiferma che assumiamo le proprietà delle co- COME L’ANALISI stando pillole al vino rosso. È il prototipo se che mangiamo (mangiare è ovviamente dell’odierno alimento americano: niente la forma di contatto più forte possibile). calorie, niente grassi, niente alcol e di certo DEL MECCANISMO Si possono individuare alcune tendenze nessun piacere dei sensi; inoltre, è rapido e alimentari specifiche nella cultura media DI UN EFFETTO CIBO/MORALITÀ facile da assumere e fa bene alla salute. degli odierni Stati Uniti? I mass media poAlcuni degli stessi elementi sembrano interpolari rivelano un’evidente tendenza a pre- ABBIA PORTATO ALLA LUCE venire nelle campagne contro il fumo e nelsentare taluni cibi come „peccaminosi“ o le decisioni legislative che stanno spazzando „decadenti“ e i comportamenti alimentari DUE ELEMENTI CHIAVE: la nazione. È interessante rilevare che la connessi come „cattivi“.Altri cibi sono precampagna contro il fumo ha assunto un sentati nelle campagne pubblicitarie come IL TIMORE profondo valore morale. Il fumo è stato tra„la cosa giusta da fare“. Vengono perfino sformato da gradevole e innocua attività soesibite donne che si nascondono in bagno DELLA CONTAMINAZIONE ciale in comportamento vergognoso, sconper godersi un gelato o, viceversa, che gioisiderato,egoistico e inquinante e per giunta, scono della libertà di mangiare un dolce in E L’ETICA PURITANA poiché dà dipendenza, in un segno di debopubblico, se contiene pochi grassi ed è perlezza, degradazione e perdita di controllo. ciò „permesso“. Come mai questo passatempo che era tanto Nel corso di una ricerca ho chiesto agli studenti universitari di amato è diventato un anatema? Per diversi fattori: le ricerche che identificare i cibi considerati „buoni“ e „cattivi“ e di spiegare perhanno dimostrato che il fumo passivo nuoce ai non fumatori (e al ché li giudicassero tali. Le spiegazioni erano uniformemente feto) lo hanno trasformato in una questione territoriale (e, ovviaenunciate in termini di sano e poco sano e di quanto ogni cibo inmente, il territorialismo è fondamentale nel credo americano). grassava. Un nuovo gruppo di studenti ha collocato individui di Secondo, la crisi finanziaria della sanità ha suscitato nell’opiniofantasia che mangiavano „cibi buoni“ (frutta, pollo, insalata e cone pubblica una viva consapevolezza del costo del fumo in termisì via) o „cattivi“ (hamburger, gelati ricoperti e ripieni di canditi) ni fiscali. Terzo, e forse più importante, la campagna lanciata nel in un elenco di attributi della personalità. Gli studenti giudicava1981 per classificare alcol e sigarette come „droghe che danno dino coloro che mangiavano cibi cattivi decisamente meno virtuopendenza“. Questo radicale cambiamento di ottica ha permesso si di quelli che mangiano cibi buoni. L’analisi del meccanismo di di addebitare ai fumatori tutto il fardello morale delle „droghe“ e questo effetto cibo/moralità ha portato alla luce due elementi i mali della „dipendenza“. Forse per questo le cause intentate alchiave: il timore della contaminazione e l’etica puritana. Una voll’industria del tabacco stanno avendo un certo successo.Gli induta giudicato „peccaminoso“ un cibo, ingerirlo provocherà natustriali del tabacco possono ora essere rappresentati come malvaralmente una macchia morale. gi, corrotti e bugiardi „spacciatori“ che favoriscono la dipendenMi sembra che sia l’etica puritana,fondamentale nelle origini stoza e insidiano i nostri figli. riche degli Stati Uniti,a determinare quali cibi sono giudicati pecÈ interessante notare che le tendenze del fumo negli Stati Uniti ricaminosi. Tre sono gli aspetti cruciali: primo, ogni genere di piavelano come per la prima volta la percentuale di fumatrici tra le cere dei sensi era visto con sospetto dai puritani, sicché un aligiovani donne è destinata a superare quella tra i giovani uomini. mento troppo piacevole è considerato decadente, un peccato. Come mai? Forse l’ironia è che le giovani affermano di fumare per Secondo, la ghiottoneria - associata al fatto di essere grassi - era restare magre. I cibi che ingrassano sono loro vietati ed essere peccaminosa.Oggi la grassezza è severamente stigmatizzata negli grasse è un destino peggiore della morte, sicché gli effetti inibitoStati Uniti e i cibi che la facilitano sono percepiti come pericolosi ri dell’appetito che ha il fumo diventano sempre più allettanti. e cattivi.Terzo,la società mette l’accento sulla produttività e il renNonostante tutti i tabù associati alle sostanze che fanno male aldimento,e laddove tale idea trova probabilmente origine nella nola salute e tutti gli sforzi per limitarne il consumo (come dimostra zione puritana della virtuosità del duro lavoro,ultimamente ha asla crescita stupefacente dell’industria dei prodotti dietetici), gli sunto un sapore nuovo, con il corpo sempre più considerato uno americani hanno un’alimentazione che comprende oltre il 40 per strumento per massimizzare il rendimento. Il grasso non è procento di grassi, fumano e non fanno regolarmente esercizio fisiduttivo, rappresenta non solo la ghiottoneria ma anche l’inattico. L’obesità è in aumento al pari del fumo, almeno tra le giovani vità. La sua utilità storica come protezione in caso di carestia non donne. Con un paradosso tragico, sembra che quanto più la gentrova posto nell’odierna America dell’abbondanza.D’altro canto, te si sente colpevole perché mangia e fuma e tenta quindi di relo zucchero, per quanto possa essere viziosamente sensuale, si riprimere tali comportamenti, tanto più li pratica in modi fruscatta in una certa misura per la sua utilità come fonte di „energia stranti che non fanno che diffonderli di più, ma senza ricavarne immediata“, tanto che a volte i dolciumi sono propagandati come alcuno degli effetti benefici per la salute che ha il piacere in sé. Ci rapidi spuntini per atleti attivi. chiediamo se il tentativo di concentrarsi più compiutamente sul Il risultato è una cultura che disdegna il bacon,la carne rossa e i dolgodimento del cibo, o se necessario delle sigarette, non possa meci ricchi e grassi e innalza i cibi fatti in casa (ad alta intensità di laglio portare alla moderazione. Perlomeno, è probabile che porti voro), con poco grasso e poco zucchero, benefici per la salute, al a una maggiore felicità. ● * Slow Food rango di prescrizioni morali e panacee magiche, come esemplifi-
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Ingordi di tabù
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SCRITTO&MANGIATO
l dumping è uno degli epifenomeni più perversi e vitali del capitalismo contemporaneo, sia che riguardi le persone in quanto forza lavoro, gli esseri umani in quanto corpi ( vedi il dumping australiano degli immigrati in Papua Nuova Guinea ), sia che regoli i flussi delle merci da un paese all’altro. Dump è la discarica, dove finisce la spazzatura. Ma, anche, la pratica di vendere su un mercato straniero tutto ciò che sul mercato interno non può essere venduto. E se persino l’immondizia ha un valore commerciale, figuriamoci quanto può rendere l’immondizia che può essere riconvertita in cibo. In mezzo al Pacifico, a nord-ovest dalla Nuova Zelanda, si trova l’arcipelago di Tonga, mercato-discarica di un sottoprodotto dell’industria della carne ovina neozelandese: il sipi.Il sipi è un insieme di cartilagini, ossa e pancetta molto grassa, scarto della lavorazione di pecore e agnelli neozelandesi. Si tratta principalmente dei tessuti muscolari, connettivi e adiposi che proteggono le costole e che si prolungano nella pancia dell’animale. Esattamente quello che è stato eliminato dai perfetti e costosi carré che vengono spediti in tutto il mondo. E’ così palesemente uno scarto, così impossibile da trasfigurare e rimodellare nella caricatura di un taglio qualsiasi di carne (come invece succede al grasso e alle cartilagini di pollo le quali,con l’aggiunta di un bel po’di additivi diventano medaglioni,o crocchette tornite a misura di bocca di bambino. Per non parlare dell’altra spazzatura testurizzata e aromatizzata che conosciamo col nome di Big Mac: non a caso il sipi è stato battezzato dai giornalisti americani il “Polynesian Big Mac”), da non poter essere proposto al senso estetico dei consumatori neozelandesi. Il sipi è brutto e grasso,ma i tongani non riescono a smettere di mangiarlo. In fondo, si dirà, andouille e soppressata , ciccioli e chicharrones– per fare solo pochi esempi - non sono forse preparazioni tradizionalmente composte di scarti? Perché, se tutte le culture hanno elaborato un utilizzo ecologico delle proprie fonti alimentari, il sipi fa discutere medici e ministri, consumatori e comunità di tongani espatriati che ne parlano di volta in volta come di una delizia, di un flagello, di un simbolo di appartenenza, con passione e vergogna allo stesso tempo? In effetti,lo “scarto”,il rifiuto,è nato con la lavorazione industriale della materia alimentare: è stato creato dalle leggi del mercato.Da sempre l’artigiano macellaio non butta via niente del suo maiale.Adesso, in occidente, i consumatori e gli chef “illuminati” che riscoprono la poesia delle interiora e della tradizione, lo fanno attraverso una categoria moderna, quella di “residuo di lavorazione industriale”, al quale restituiscono una cosiddetta dignità perduta, senza accorgersi che gli orizzonti del loro immaginario sono ormai generati e limitati dal presente, quanto le loro esperienze gustative. In questo senso si può parlare di esperienza kitsch. E, comunque, come si fa a immaginare pecore e atolli polinesiani nella stessa cartolina? L’arcipelago di Tonga conta circa centomila abitanti. Ma, solo nell’area di San Francisco, la comunità polinesiana raggiunge le trentamila persone. Per questi isolani il lu-sipi, pezzi di pancetta di pecora, avvolti in foglie di taro e stufati in latte di cocco,pomodoro e cipolle è “soul food”,
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Carne di Tonga
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di Sabina Terziani DAGLI SCARTI AL SIPI. CIÒ CHE FA DISCUTERE MINISTRI, CONSUMATORI E COMUNITÀ DI TONGANI ESPATRIATI - 30.000 SOLO A SAN FRANCISCO. DELIZIA, FLAGELLO O SIMBOLO DI APPARTENENZA?
appartenenza, identità. Se per coloro che emigrano, e che negli Stati Uniti potrebbero scegliere tra molte alternative alimentari, ugualmente convenienti, privilegiare il sipi è ribadire un legame con le proprie origini, per chi rimane il panorama alimentare è monotono. I tongani poveri non hanno scelta, se non tra il sipi (stufato o fritto) e i culi di tacchino (avete capito bene,la ultra-grassa parte posteriore del tacchino, che include il cosiddetto “boccon del prete”, importato dagli Stati Uniti). E il pesce fresco? E la frutta e verdura locali? Non sono convenienti. A Tonga, dove il 74% della popolazione femminile è obesa per gli standard dell’OMS, l’obesità è endemica. E la Nuova Zelanda, che satura il Pacifico coi suoi scarti di pecora (nel 2001, un terzo
delle esportazioni totali di carne della N.Z. erano scarti di pecora che in passato diventavano cibo per cani e gatti) è anche il finanziatore principale dei programmi di aiuto sanitario e di prevenzione delle malattie collegate all’obesità a Tonga. Certo,l’ideale di bellezza polinesiano contempla l’abbondanza della carne, intesa come proporzioni fisiche generose e come ricchezza della mensa. Persino i funerali sono un’occasione per banchettare, infatti esiste una domanda specifica di manzi interi macellati per tali cerimonie. Grasso è prestigio, ma quando anche i poveri sono grassi c’è qualcosa che non va. Come si è potuti arrivare a questo punto? Gli scarti di pecora apparvero a Tonga nei primi anni ‘80 sotto forma di aiuti umanitari d’emergenza in seguito a un ciclone.Il tempismo di consegna di questa esca avvelenata era quasi perfetto.Pochi anni prima, nel 1978, era entrato in vigore un decreto del governo che bandiva la caccia alle balene (megaptera novaeangliae). Per i tongani fino ad allora la balena era stata una risorsa globale: forniva carne, grasso, pelle e ossa da intagliare. Cibo e lavoro in una terra dalle risorse agricole scarse. Per ragioni geopolitiche ( isolamento, costo dei trasporti, calamità naturali e limitata estensione delle terre coltivabili ),l’arcipelago non è mai riuscito a dotarsi di infrastrutture industriali per la lavorazione e l’esportazione del pesce. A tutt’oggi, data l’abbondanza di tonno e il microclima favorevole all’impianto di ostriche perlifere, si parla di puntare su questo tipo di pro-
duzione, ma senza risultati apprezzabili. In questo senso,nel microcosmo di Tonga è possibile osservare in tutta la loro purezza gli effetti negativi degli squilibri del commercio globale. Esemplare è la parabola dei prezzi del sipi: al suo arrivo sul mercato rappresentava realmente un’alternativa economica ad altre specie di grassi e proteine. Col passare degli anni il governo ha aumentato la tassa d’importazione su questo articolo, arrivando a ricavare da essa fino al 40% (sic) delle proprie entrate fiscali,con una imposta sui consumi che equivale a tassare la povertà. Chiudendo il cerchio, questi soldi vanno a finanziare iniziative governative per la prevenzione dell’obesità, come concorsi di dimagrimento a premi, campagne di sensibilizzazione nelle scuole, cartelli e manifesti in cui il vecchio (e grasso) Re Tafa’ahau in tenuta sportiva avverte i sudditi che “noi siamo ciò che mangiamo”. Intanto, dalle università neozelandesi e australiane si levano accuse di “genocidio alimentare”ai rispettivi governi,mentre le società per la protezione degli animali puntano il dito contro un divieto che il Ministero della Pesca tongano ha invece tolto all’inizio di quest’anno. Adesso è di nuovo possibile cacciare le tartarughe,con delle restrizioni per garantire la sopravvivenza della specie. Senza dubbio gli isolani più informati apprezzeranno la disponibilità di proteine locali,sane e sostenibili. Ma la maggioranza vede tuttora nei cibi importati, grassi e dolcificati, nutrimento
e modernità. A Nauru il 45% della popolazione soffre di diabete.I polinesiani hanno il loro primo attacco di cuore intorno ai trent’anni. Per i governi della regione, bloccare l’importazione di scarti di pecora potrebbe essere più costoso che gestire le conseguenze del commercio sulla salute dei propri cittadini.Fiji,membro del WTO,si è esposto a minacce di rappresaglie da parte di Nuova Zelanda e Australia,quando ha annunciato di voler sospendere l’importazione di sipi. Resta il fatto che Fiji dovrà provare il collegamento tra il consumo di sipi e suoi effetti negativi sulla salute, e aspettare a capo chino le decisioni delle due superpotenze vicine. Come ha detto il parlamentare neozelandese di origine samoana Taito Phillip Field,“cosa c’entra la Nuova Zelanda con quello che gli uomini d’affari tongani decidono di comprare?” Nel futuro prossimo,dopo il 2008,al dumping neozelandese-australiano si aggiungerà quello dell’Unione europea. A partire da quella data,infatti,i governi di Africa Caraibi e Pacifico non potranno più applicare tariffe protezionistiche su certi prodotti provenienti dall’Europa. Questo è il risultato di un Economic Partnership Agreement sottoscritto nel 2000 a Cotonou e valido per vent’anni. Nel frattempo, suggeriamo ai tongani di darsi da fare a bruciare i grassi, sperando che qualcuno non fraintenda e costruisca inceneritori invece che palestre. ●
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Il Vino di Qualità del Lazio
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egli Stati Uniti li chiamano phoods. Si tratta di ibridi commestibili nati dall’incrocio di alimenti (food) e di sostanze farmaceutiche (pharmaceuticals) che conferiscono loro proprietà benefiche particolarmente interessanti. I Phoods sono cibi arricchiti, quasi una versione palestrata della mensa quotidiana, nata dal bisogno di sensazioni forti e soluzioni rapide. Un po’ come i supereroi che piombano all’improvviso da pianeti lontani e che rettificano la realtà grazie ai loro poteri smisurati. Sono Phoods la margarina che diminuisce il tasso di colesterolo o il succo d’arancia arricchito di calcio. In Europa i phoods si trasformano in nutraceuticals - termine infelice che vuole mettere l’accento sulle virtù nutrizionali del prodotto – oppure vengono prosaicamente definiti «alimenti funzionali». Molti di questi alimenti funzionali utilizzano l’azione dei batteri,tradizionali o geneticamente modificati, per conferire a prodotti fermentati a base di latte o di soia la capacità di produrre zuccheri non-metabolizzabili (riducono il valore energetico del prodotto e quindi non fanno ingrassare) o quella di potenziare i processi enzimatici. Tra i più conosciuti ci sono le bevande a base di latte fermentato, quelle che facilitano la digestione e i processi intestinali grazie all’aggiunta di ceppi batterici. In pochi anni le bottigliette di plastica bianca vagamente ergonomiche hanno conquistato gli scaffali dei supermercati. Sono una specie di toccasana che si prende cura di chi mangia male, in maniera irregolare, sotto stress, ovvero affrontano il corto circuito intestinale e nutritivo che spesso accompagna uno stile di vita sedentario-urbano . Le ricerche di mercato condotte negli Stati Uniti evidenziano una tendenza chiara: ai consumatori stanno a cuore le proprietà nutritive e gli eventuali effetti benefici di quello che mangiano.In pratica,basta che un cibo qualsiasi, anche di qualità mediocre, possa vantare un qualsiasi effetto sulla salute e il suo livello di desiderabilità sale vertiginosamente. Soprattutto quando ad acquistare sono i figli del boom economico,sensibili ai problemi legati all’invecchiamento e disposti a spendere di più per alimenti salutisti. Per le aziende tutto questo si traduce in un mercato potenziale per i cibi arricchiti in grado di crescere ad una velocità doppia di quella dei cibi generici almeno fino al 2008. Notizie incoraggianti arrivano dal fronte dei prezzi: se un phood può costare più del 40% del suo equivalente non arricchito, i profitti si aggirano intorno al 100%.A dirlo è un rapporto di una delle più importanti società di marketing americane, la Mintel International. I primi a fiutare l’affare e investire nei phoods sono state la Kraft e la Nestlé, che già da qualche anno hanno orientato la ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti verso la scienza dell’alimentazione, esplorando proprietà nutrizionali nuove e accattivanti. La strategia dei phoods si muove lungo direttrici diverse. Da una parte ci sono le aree dolenti dell’alimentazione e la loro ricaduta in termini di salute come l’obesità e la pressione alta, dall’altra ci sono i disagi legati all’età come la perdita di me-
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di Maria Tarantino IBRIDI COMMESTIBILI NEGLI STATI UNITI LI CHIAMANO PHOODS UN INSIEME DI ALIMENTI E DI SOSTANZE FARMACEUTICHE. CIBI ARRICCHITI CHE, COME SUPEREROI, PIOMBANO NELLA NOSTRA ALIMENTAZIONE
Noi for
phoods moria o della vista. Ecco spuntare prodotti enigmatici come il succo di prugna alla luteina, una sostanza che migliora la vista o la proteina del latte che previene la carie. L’esercito dei phoods comprende già il latte con acidi grassi Omega 3, che aiutano a prevenire le malattie cardiovascolari. In Finlandia viene prodotta una bevanda a base di latte fermentato (Evolus) che promette di ridurre la pressione sanguigna.In Danimarca è allo studio un prodotto che utilizza la presenza di calcio per inglobare ed eliminare gli eccessi di grasso attraverso le feci. In futuro potrebbe arrivare persino una torta al cioccolato impregnata di microsfere e quindi in grado di far sentire chi la mangia già sazio dopo quanche boccone. In Germania, la Degussa ha sviluppato un derivato della soia che facilita gli scambi metabolici a livello neurologico e che viene integrato a barrette di cioccolato per aumentare la capacità di concentrazione in situazione di stress. Gli esperti hanno
identificato componenti alimentari specifiche in grado di migliorare non solo la memoria ma anche di ridurre l’artrite e soprattutto hanno sviluppato tecniche per ottenerne concentrazioni sufficientemente elevate di queste componenti negli alimenti. La ricerca di sostanze che potenzino la memoria La via della salute è lastricata di chewing gum che sbiancano lo smalto dei denti, supplementi alimentari che raffermano la pelle delle donne in menopausa o che contrastano l’azione dei radicali liberi. Si tratta di progetti nati dall’alleanza dell’industria alimentare con i giganti della cosmetica per realizzare prodotti che si ispirarno ad un concetto di benessere che non si limita alla prevenzione di malattie specifiche ma abbraccia il desiderio di restare belli e giovani. Se a prima vista i phoods sembrano rivoluzionare il mondo, basta osservarli più da vicino per rendersi conto di quando questa rivoluzione avviene in modo da
lasciare assolutamente intatto tutto quello che provoca i problemi che i phoods si prefiggono di alleviare. L’azione taumaturgica di «phoods»e «nutraceuticals» nasce come appendice necessaria e ossequiosa di un’alimentazione prevalentemente industriale che si rivela spesso dannosa per la salute delle persone. Inventarsi prodotti che vantano proprietà strabilianti non basta. Per venderli occorrono le campagne pubblicitarie. Negli Stati Uniti la legge americana non permette alle società alimentari di promettere proprietà farmaceutiche per i loro prodotti senza averle provate scientificamente. E spesso la prova scientifica è molto meno esaltante e roboante del suo corrispettivo pubblicitario. Per i phoods, la comunicazione salutista è la chiave di volta del mercato, senza quella, crolla l’interesse dei consumatori. Via libera quindi a discorsi pseudo-etici e finzioni naturalistiche che servono a rassicurare ed incantare il consumatore. ●
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SCRITTO&MANGIATO
Librrifreschi SEGUENDO LA ROTTA DEL ROMANZO, FACCIAMO SCALO FRA I VOLUMI PER UN BREVE GIRO FRA POLITICA E GASTRONOMIA, FRA ALIMENTAZIONE GUSTATA O SOGNATA. UNICO DIVIETO DELLO CHEF, “ENTRARE NEI TERRITORI DEI SURGELATI”
Brasile, Portogallo. Un capitolo (di César Rodríguez) racconta la lotta dei riciclatori di rifiuti a Bogotà e in altre città della Colombia. Un’attività ai margini della legge,ma caratterizzata da un’enorme concorrenza fra poveri, che impiega circa 300.000 lavoratori informali, 50.000 nella sola capitale. Un giro d’affari di oltre 22 milioni di dollari, di cui solo le briciole (circa 120 dollari al mese) finiscono nelle tasche dei raccoglitori.Il resto va al business fra intermediari e industrie,che riciclano il materiale nel processo produttivo. L’analisi di Rodríguez mostra l’estendersi delle cooperative di riciclaggio, il cui numero è cresciuto nel corso degli anni ’90, e gli elementi di democrazia partecipata insiti nelle forme cooperativistiche. Un’alternativa radicale al sistema? No, piuttosto un elemento di resistenza e di emancipazione dei salariati poveri, dei lavoratori informali e dei disoccupati che rifiutano l’”apartheid sociale”. Perseguitati dalla polizie a dai paramilitari, scacciati dai quartieri “normali”, i riciclatori – in cui oggi finiscono anche persone istruite che hanno perso il lavoro – sono l’emblema dell’eclusione. Un rapporto medico del 1831 – citato nella Storia sociale degli odori di Alain Corbin (Bruno Mondadori) -, descrive gli individui cenciosi, carichi dei diversi oggetti raccolti fra le immondizie della capitale,“e il cui fetore pare a tal punto identificarsi con la loro persona, che sembrano essi stessi veri e propri letamai ambulanti”. La repulsione del ricco verso il puzzo del povero oggi, quello del raccoglitore di rifiuti, archetipo del fetore del nuovo millennio. ●
Vista olfatto e gusto. Stimoliamo i tuoi sensi Ti invitiamo, anche il sabato e la domenica, per un’affascinante giornata in Oltrepo. Cammineremo tra i vigneti e visiteremo i reparti di vinificazione dove i profumi della terra e del mosto si uniscono. Solo dopo aver capito il nostro modo di produrre il vino potrai apprezzarlo veramente. Infine ti guideremo attraverso i sensi a gustare i nostri vini giustamente abbinati a prodotti tipici del luogo.
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i mangia bene in Inghilterra? I sopravvissuti dicono di sì. E’ una delle tante barzellette che circolano a proposito della cucina inglese, evitata come la peste da molti buongustai. English Puddings, un libro di Stefano Arturi (Guido Tommasi editore), s’impegna invece a dimostrare il contrario. L’intento è quello di prendere per la gola il gourmet recalcitrante introducendolo nel raffinato universo dei dolci britannici: dal junket, “disarmante nella sua semplicità e immediatezza” – latte, zucchero e un cucchiaio di brandy – alle mele caramellate o al pudding, alla marmellata d’arance amare. Un tripudio di creme inglesi a base di panna e zucchero caramellato, autenticato da Allan Bay, che cura l’introduzione. E poi Bay, nel suo ultimo volume Le ricette degli altri (Feltrinelli), inizia il suo giro del mondo da un’altra cucina temuta, quella elvetica. I piatti “mitici”? La raclette – un formaggio del Vallese fatto fondere e unito alle patate lesse - e la fonduta – una crema di formaggio calda in cui s’immergono i pezzi di pane. E ancora Bignè bernesi, zuppa di birra, torta di mandorle e carote. Dice il “primo postulato di - i piatti sono i mattoni del mondo/ più piatti conosci/ più è granBay”, ricordato dall’autore al Festival di Verona Sorsi d’autore CUCINE TEMUTE de la tua casa/ se ne perdi qualcuno/ è come una crepa sul muro della tua stessa casa//. E dunque, dopo la Svizzera ecco l’Austria, la Germania, i Paesi Bassi… Tranquilli, però, c’è anche la Douce France, la cucina russa, quella del Sol Levante, e la cucina latinoamericana… sapori dal mondo presentati in modo semplice, anche se non tutti gli ingredienti si trovano proprio sotto casa. Per il filetto di coccodrillo con patate dolci o per le scaloppine di canguro al limone, bisogna “avere lo stomaco” di fare un salto in Australia. Ma se il coccodrillo non vi basta, ecco il libro di Silvia Rossi, Onorevoli a tavola, edito dal Gambero Rosso. Ingredienti: polpette, marmellate, sviolinate, 105 ricette di “politici eccellenti” più il cuoco del “presidente gourmet”. A chi offrirebbero una polpetta avvelenata? Calderoli dispensa diete. I fascisti si contengono. I Ds preferiscono polpette soporifere. Vincono Violante e Bossi. Buontempo (An), dice che “la sinistra è ipocrita” e radical-chic: prima mangia, poi ha “la lacerazione interiore”. La destra, invece, “mangia senza rimorsi di coscienza”. L’aneddoto? Guido Calvi, senatore Ds, rischiò di strozzarsi col melone e venne salvato dall’intervento di un medico di An, “che poi non la finiva più di vantarsi dell’episodio”. Si prepara la svolta del melone? (ge.co)
di Geraldina Colotti
BACUCO _ rosso oltrepo
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lalé,il delizioso cuscus di pesce preparato dalle donne del suo paese… Peccato che il suo fratellino avesse lo stomaco chiuso dal sogno di emigrare.Peccato,anche,che certe tradizioni violente e obsolete la sospingano tra nostalgia e rifiuto. In una metropoli che spezza o fagocita i sogni degli immigrati, Fatou Diome incrocia i racconti di vite senza ritorno: “L’Africa, madre rizocarpica, ci dà il petto/ L’Occidente nutre le sue voglie/ E ignora l’urlo della nostra fame”. La memoria del palato… Quale miglior balsamo per ricondurre un malato alla vita e al rispetto di sé? In Africa, Biscuter tiene una lectio magistralis per spiegare a un pubblico di nutrizionisti la dieta adatta ai malati di Aids. Lo ha inviato Frei Betto, il teologo della liberazione, incontrato in Brasile davanti ai piatti più caratteristici della cucina brasiliana. Alle spalle del cuoco, due cartine disegnano la mappa del virus e quella della malnutrizione.Lo chef denuncia il business della disuguaglianza e invoca “una cucina della solidarietà”, mentre Carvalho tuona contro le logiche del mercato a cui si inginocchia anche una parte della sinistra europea. Ma è inevitabile la subalternità culturale alle ideologie economiche neoliberiste? E quali forme alternative sarebbero praticabili? L’ultimo messaggio di Carvalho è cupo: in un mondo simile, meglio tornare in galera. Invece, Produrre per vivere, il secondo volume di una ricerca collettanea a cura di Boaventura de Sousa Santos (Città Aperta),analizza speranze e ambivalenze delle pratiche di economia solidale, messe in campo dalle organizzazioni popolari in India,Sudafrica,
TINTEROSSE _ pinot nero
ornano, per l’ultima avventura, Pepe Carvalho e Biscuter, gli indimenticabili personaggi creati da Manuel Vásquez Montalbán. Nel secondo volume di Millennio, pubblicato da Feltrinelli a due anni dalla scomparsa dello scrittore spagnolo, viaggiano dall’Oceano Pacifico al Sudamerica,dall’Africa all’Europa.Sulle navi che li porteranno nei luoghi nascosti della globalizzazione capitalista,Pepe si imbarca come interprete e Biscuter come cuoco. Seguendo la rotta del romanzo, facciamo scalo fra i volumi per un breve giro fra politica e gastronomia, fra alimentazione gustata o sognata. Unico divieto dello chef,“entrare nei territori dei surgelati”. Non tutti, infatti, posseggono la tempra di nonno Socrate,“gran personaggio”del romanzo Margherita Dolcevita di Stefano Benni (Feltrinelli). Nonno Socrate, che nella vita ha fatto di tutto, una volta alla settimana si reca a fare il “pieno di schifezze”. Obiettivo, rendersi immune da un mondo di veleni, ingurgitando scorte di surgelati e formaggi scaduti. Così gli vengono delle gran coliche e lo sciacquone del bagno tuona “che sembra lo Zambesi”.Dal nonno, la “bambina in scadenza”protagonista del romanzo, ha imparato a vedere il mondo secondo la “teoria del cioccolato”: esistono quelli che lo mangiano senza pane,quelli che lo mangiano solo col pane,quelli che di cioccolato non ne hanno e quelli che invece non hanno il pane. E quando nel terreno di fianco sorge la villa dei ricchi Del Bene, non cederà alle lusinghe del consumo sfrenato. Ma intanto, in casa impazza il conflitto “tra polpettone e surgelato”: tra il supermercato cooperativistico, “probabile finanziatore di dittature comuniste” e un altro “più serio”, consigliato dagli occhiuti Del Bene. Lo sguardo della ragazzina si posa, desolato, sulla “salma di un solo merluzzo”con cui devono mangiare in otto… Di ben altra portata,il baccalà “al pil-pil”preparato da Biscuter,“il miglior ladro di Mercedes di Andorra, provvidenziale aiutante di cucina nel carcere di Aridel”, e poi diplomato in zuppe e salse. Cuoco e detective veleggiano nel Pacifico, discutono della guerra in Iraq e inventano ricette per spiriti “disorientati”, gente per cui occorre cucinare “con audacia e immaginazione” come gli esuli o i carcerati. Audacia e immaginazione sono anche gli ingredienti del volume di Salah Jamal, Sapori arabi (Guido Tommasi editore). L’autore è palestinese (classe 1951),esule a Barcellona dall’età di 19 anni: dal settembre 1970,data della guerra giordano-palestinese.Jamal racconta la nostalgia dei sapori di casa, condivisa dagli altri 500 studenti arabi (2.000 in tutta la Spagna); gli improbabili tentativi di riprodurre quei sapori, in assenza di ingredienti e di attrezzi per cucinare; il successo del primo ristorante arabo in Spagna, importato tardi rispetto al resto dell’Europa. E il desiderio di ricomporre la propria memoria negata,fa da sfondo a un trattato antropologico-gastronomico, che racconta il “Vicino Oriente” attraverso il percorso del cibo. Cibo degli esuli e spiriti “disorientati”anche nel bel romanzo della senegalese Fatou Diome, Sognando Maldini, pubblicato l’anno scorso da Edizioni Lavoro. A Parigi, dove prova a farsi strada come scrittrice, la giovane protagonista ricorda il profumo del ta-
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