autocritica dicembre 2005

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Nuova Toyota Aygo. Concentrato di energia.

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sabato.

IL FUTURO A QUATTRO RUOTE HA IL SAPORE DELL’IBRIDO E L’ODORE DELL’IDROGENO. MA CON QUALI TEMPI? NELL’ANNO DEL NUOVO BOOM DEL PREZZO DEL PETROLIO, UN AGGIORNATO ITINERARIO TRA RICERCHE, ESPERIMENTI, TECNOLOGIE E MERCATI

LALUNGAMARCIA Dicembre 2005

Supplemento al numero odierno de il manifesto


IN QUESTO NUMERO

[5] RICERCA IL PROBLEMA FIAT di Loris Campetti

[7] METTI L’IDROGENO IN SPALLINO di Claudio Mezzanzanica

DEL

[8/9] I MOTORI DELL’AUTO DI ALÌ BABÀ di Guglielmo Ragozzino

[12/13] I TITOLI PIÙ SPORCHI DEL MERCATO di Fabio Catino UN PIENO DI POLVERE di Bruno Di Caprilia

[17] UNA TECNOLOGIA TIRA L’ALTRA di Marina Terpolilli

[19] LE LINEE E LE STORIE TESE di Silvia Baruffaldi

[21] IL MULO A DUE RUOTE di Guido Conter

[23] LA MACCHINA IMBOTTITA di Carmelo Bongiovanni

[25] CINQUANT’ANNI DI FUTURO FA di Massimo Tiberi

GIAPPONESI UBERALLES

[26/27] MACCHINE CHE IMPARANO A LEGGERE di Geraldina Colotti

R

ipareremo automobili -, chiarì, lapidario, il padre. Quella, in effetti, era una novità. - Non esistono ancora, le automobili -, annotò la madre, quando alla fine fu informata della cosa, una sera, a letto, a luce spenta. - È questione di mesi. E poi esisteranno -, la informò Libero Parri, suo marito (...) (da “Questa storia” di Alessandro Baricco, Fandango libri)

il manifesto direttore responsabile Sandro Medici direttore Mariuccia Ciotta Gabriele Polo supplemento a cura di Francesco Paternò progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia immagine di copertina di Maurizio Ribichini stampa Sigraf srl Via Vailate 14 Calvenzano [BG] chiuso in redazione: 7 dicembre 2005

Era dicembre come adesso, ma del 1996: in Italia avevamo appena festeggiato i cinquant’anni della nascita della repubblica. Dall’altra parte del mondo, in Arizona e in California, il 5 di quel mese in soli ventiquattro saloni la General Motors mette in vendita la prima automobile elettrica di massa, se così si può dire. Per 34.000 dollari, la Saturn EV1 si ottiene in leasing, non la si può comprare; e prima di firmare l’assegno, il cliente deve superare una selezione a base di questionari, interviste, riunioni. La politica di marketing della Gm pretende che chi vuole un’auto simile deve crederci davvero. E non perché porti a casa per tutti quei soldi chissaché: la Saturn EV1 ha spazio per sole due persone senza essere una fascinosa spider, ha velocità massima di 120 chilometri all’ora, un’autonomia di 140 chilometri, 100 nei centri urbani in mezzo al traffico. E per il «pieno» di volt destinato a ben ventisei batterie ci vogliono tre ore. In compenso, chi mette le mani su quel volante sarebbe stato in pace con il meccanico: la Gm garantiva la percorrenza di 160.000 chilometri senza manutenzione. Sappiamo come l’auto elettrica è andata a finire. Dopo un po’ nessuno ne ha voluto sentir parlare, una vera rete distributiva di colonnine di ricarica non si è mai davvero vista, l’auto ha continuato ad andare a tutto gas. Anzi, a tutto petrolio. Ora, dieci anni dopo la Saturn EV1 e trent’anni dopo la crisi petrolifera del 1973 che stese l’industria dell’auto mondiale e cambiò le nostre abitudini, si torna all’elettrico e magari lo si chiama ibrido, poi si fa un passo in più e si dice celle a combustibile. Un ritorno da shock petrolifero, estate 2005. *** I costruttori dell’auto stanno sterzando di nuo-

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La supremazia giapponese in fatto di motori più efficienti è fuori discussione, almeno negli Stati Uniti dove i moderni motori diesel europei hanno ancora un mercato circoscritto. Secondo gli standard dei consumi più bassi stilati dall’Epa, Environmental Proteciont Agency’s - calcolati su un percorso fatto per 55 miglia in città e per 45 miglia in autostrada - nei primi dieci posti e considerando 16 vetture alcune delle quali a pari merito, ben 11 sono di costruzione giapponese. La più parsimionosa d’America è la Honda Insight, ibrida come la seconda Toyota Prius e la terza, ancora la Honda Civic Hybrid. Al quarto posto ci sono però tre Volkswagen, tutte dotate di motore diesel di ultima generazione: la Golf Tdi, la Jetta Tdi e il New Beetle Tdi. Al quinto, sesto, settimo e ottavo posto ci sono rispettivamente una Honda, due Toyota e una Scion (marchio del gruppo Toyota) alimentate a benzina, al nono si affaccia una americanissima Pontiac a benzina (Gm) insieme ad altre due Toyota e un’altra Honda tutte a benzina, al decimo posto una Dodge (Gm) e una Toyota Celica GT (una coupé) per chiudere. Naturalmente non è tutto oro ciò che luccica. Anche ai dominanti possa capitare incidenti: venerdì 14 ottobre scorso, la Toyota è stata costretta a richiamare 160.000 Prius, la vettura ibrida oggi più venduta al mondo, per un possibile problema elettrico. Nulla di grave, ma è successo, come per le macchine “normali” di quasi tutti i marchi richiamate a milioni negli anni dalla severissima legge americana in materia.

vo - forse questa volta in modo più deciso - verso motorizzazioni alternative. Per sopravvivere. Ce lo fanno sospettare alcuni numeri degli analisti della Morgan Stanley, una delle più quotate banche d’affari del mondo: se oggi un automobilista americano, storicamente abituato a pagare quasi nulla la benzina, deve aggiungere mediamente all’anno almeno 650 dollari in più per muovere la macchina dal suo garage e quasi il doppio un possessore di grandi fuoristrada di lusso, i Suv, a causa del caro-benzina, vuol dire che prima o poi gli automobilisti di tutto il mondo (ricco) si uniranno per dire basta. Non all’auto, ma comunque manderanno un cattivo segnale a chi le costruisce. Così l’industria prova ad adeguarsi, mettendo in strada macchine che abbiano motori ernergeticamente più efficienti e di minor impatto ambientale. Auto che non risolvono la vita - anche perché il loro peso è in costante aumento per le accresciute dotazioni di sicurezza, con riflessi pesanti sui consumi - ma che servono a dare un calcio al barattolo dello sviluppo sostenibile. Prima che sia troppo tardi (per loro), prima che le richieste crescenti di petrolio, anche per la prevista verticalizzazione dei mercati cinese e indiano, lascino la pompa asciutta. *** Il Fondo Monetario Internazionale snocciola alcuni numeri un po’ impressionanti, benché non verità assolute. Proiezioni dicono che la Cina, entro il 2030, passerà dalle 20 auto ogni 1000 abitanti a 267. Ciò significa che la Cina contribuirà da sola a un quarto dell’au-


FRANCESCO PATERNÒ

ILVEROPREZZO LASOPRAVVIVENZA

mento totale di richiesta di petrolio nel mondo nei prossimi venticinque anni. A occhio, una tragedia ambientale per il pianeta. Una grande occasione, ribattono Peter Cornelius e Jonathan Story, due analisti che firmano un lungo articolo sulla Far Eastern Review con questo titolo: «La Cina rivoluziona i mercati dell’energia». La loro tesi - discutibile - è che la paura per la crescente domanda cinese di

il rifornimento sono effettivamente il primo grande problema. Negli scenari di lungo termine della Shell (per cui ha lavorato Cornelius), si intravede un passetto avanti: entro i prossimi vent’anni, secondo le proiezioni del gigante petrolifero, un quarto del parco auto circolante nella zona Oecd (Organizzazione per la cooperazione economica e sviluppo, 30 paesi sparsi su tre continenti) potrebbe

Ma anche un certo realismo: nei vani delle macchine attuali, dove prima c’entrava un solo motore, adesso è stato trovato lo spazio per un altro propulsore elettrico oppure - come la Opel Zafira - per uno con cella a combustibile. L’argomento con i suoi prodotti è stato al centro di H2 Roma, una iniziativa tenutasi recentemente nella capitale nella sede del Cnr, dove a fare notizia è stato soprattutto l’intreccio tra pubblico e palco: un ibrido di amministratori e di ricercatori, di ingegneri e di studenti. Come dire che lo sviluppo tecnologico ha bisogno di un input politico. E nell’occasione, la Toyota ha confermato che presto ogni suo modello avrà l’equivalente con una motorizzazione ibrida. Il gigante giapponese conta di venderne nel mondo un milione all’anno entro la fine del 2015.

Corsi e ricorsi per un’auto meno inquinante, ai tempi dell’ultimo shock petrolifero. Le ultime previsioni, dall’elettrico all’ibrido e forse fino all’idrogeno, passando per il caro-benzina e la questione cinese petrolio sta spingendo l’acceleratore della ricerca per energie alternative, con benefici per l’intera umanità. I due vedono naturalmente di buon occhio anche il nucleare ma, automobilisticamente parlando, sottolineano come il fenomeno dia una scossa allo sviluppo delle motorizzazioni a idrogeno che sostituiranno progressivamente i motori tradizionali, vera calamità per le nostre città e per il loro impatto globale sul clima. L’idrogeno è però futuro non prossimo. Realisticamente, dicono Cornelius e Story, di auto di questo tipo se ne parlerà davvero intorno al 2050, perché le infrastrutture per

già essere dotato di celle a combustibile. La velocità di questi cambiamenti, concludono i nostri due, sarà guidata dalla domanda e soprattutto dalla domanda cinese, la cui economia sarà focalizzata sempre più sulle nuove tecnologie. Con il beneficio del dubbio e in un’attesa non tranquillizzante, i costruttori si sono spostati sulla produzione di auto ibride, dove convivono motori elettrici e motori a benzina. Una tecnologia di transizione, come dice la parola stessa. Costi esagerati, mercato fermo sotto l’1 per cento in Europa, consumi che restano comunque alti se ci si viaggia in autostrada.

*** Tutto comincia nel 1997, quando la Toyota invita una scettica stampa mondiale a provare la Prius, un modello su cui compare per la prima volta un motore elettrico a fianco di uno a benzina. Così inizia l’era dell’ibrido, con il titolo Toyota in picchiata per gli enormi investimenti fatti nel settore - ritenuti

sbagliati - e il suo amministratore delegato dell’epoca, Hiroshi Okuda, preso più o meno per pazzo (oggi Okuda è presidente onorario del gruppo che naviga sulla capitalizzazione di borsa più ricca del settore). Quest’anno, nei soli Stati Uniti, si dovrebbero vendere circa 100.000 Prius, le auto ibride sono comparse nei listini di parte della concorrenza, con la sola Honda a insidiare la Toyota per qualità dei prodotti e per peso degli investimenti. Il problema è che la Toyota è già lepre: ci ha messo degli anni ma è arrivata al break even per ogni prodotto venduto e comincerebbe ora a guadagnarci. Perché è evidente che sviluppare una nuova tecnologia e mettere due motori invece che uno ha costi elevatissimi. Tant’è che il circolo degli scettici sull’ibrido è ampio ed è capeggiato da Carlos Ghosn, numero uno del gruppo Renault-Nissan, considerato un’icona del management automobilistico, che non ci crede ma si adegua. Agli scettici vanno poi sommati in particolare i costruttori tedeschi, che puntano invece sullo sviluppo della tecnologia diesel per abbattere le emissioni in vista anche delle prossime stringenti normative Euro 5 (2009) e Euro 6 (2015). Tecnologia comunque meno costosa dell’ibrida e presto equiparabile a quella utilizzata per i motori a benzina meno inquinanti, tanto che sarà sempre più esportata a bordo di Volkswagen e di Audi in America, alla faccia dell’ibrido. La Toyota nel frattempo ha alzato l’asticella: Sopra da sinistra: con il suo marchio di lusso Lexus propone The Willets di Walt al mercato un Suv, la RX 400i, con ben tre Wetterberg, motori di cui due elettrici. Roba da nababPop di J. M. Watt. bi, perché la vera sfida da vincere è l’accesIn alto (a colori) sibilità. E perché a macchine prestazionali The Little King corrispondono comunque più consumi. di Otto Soglow Dietro, c’è però un’idea di mercato precisa: chi acquista auto di questo tipo ha soldi da spendere, elevato grado di cultura, pensa di fare tendenza. Un target chiaro: sembra lo stesso della Saturn EV1, a rileggere le storie di due lustri fa.

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LORIS CAMPETTI

RICERCA ILPROBLEMAFIAT

Il gruppo italiano, sulla via del risanamento attraverso accordi industriali, si lascia indietro il motore della competitività. Storie, scelte e passi “dimenticando” i nuovi propulsori

Q

uando, nel 2000, il vecchio Gianni Agnelli annunciò l’«accordo del secolo» con il gigante dell’auto General Motors si parlò di un nuovo inizio a stelle e strisce per la Fiat, dopo i cent’anni pressoché autarchici dell’automobile italiana. Fu una festa di breve durata: dopo meno di due anni esplose la più grave delle crisi, mentre cominciava a vacillare la proverbiale solidità della Gm, squassata dalla tempesta dei fondi pensione. A Torino si avvicendarono presidenti e amministratori delegati del Gruppo e dell’Auto, in un turnover che ha coinvolto una ventina di nomi più o meno illustri. Un piano industriale dopo l’altro senza esito alcuno sui conti disastrati, debiti alle stelle con le banche, scricchiolio dell’alleanza con gli americani. Finché, deceduti i fratelli Gianni e Umberto Agnelli, furono promossi nella sala comando il ferrarista Luca Cordero di Montezemolo in veste di presidente e Sergio Marchionne con la carica di amministratore delegato, con il mandato di risanare i conti e avviare la terza - si spera migliore della precedente - stagione della Fabbrica Italiana Automobili Torino. Lo scioglimento del matrimonio con General Motors ha lasciato un bel gruzzolo nelle casse vuote del Lingotto - una sorta di penale per la mancata ricapitalizzazione pagata dal socio americano - e un grande vuoto. Erano passati pochissimi mesi dall’annuncio dell’accordo del secolo quando, in sede di bilancio, rispondendo a una nostra domanda sull’abbandono della ricerca sull’idrogeno e i nuovi propulsori, l’amministratore delegato Paolo Cantarella spiegò che «non avrebbe avuto senso raddoppiare: il nostro partner Gm ha sviluppato la ricerca più avanzata sull’idrogeno, dunque, che problema c’è?». Il problema c’è, e oggi è di fronte agli occhi di tutti. Ora il risanamento del Gruppo è a portata di mano, per la ripulitura dei conti dell’Auto bisognerà aspettare ancora. Risanamenti costati lacrime e sangue, licenziamenti e chiusure di stabilimenti, vendita dei gioielli di famiglia,

rastrellamento di fondi sul mercato, riconversione del debito con le banche in azioni. Oggi la Fiat è più piccola, pesa meno sull’economia italiana pur restando al vertice del sistema capitalistico tricolore. Ma senza una ricerca avanzata, quanto potranno essere competitive sui mercati internazionali le nostre quattro ruote, diciamo tra cinque anni? In qualsiasi paese sono due i soggetti della ricerca: la grande industria e lo stato. Del primo abbiamo detto. Non servono molte parole per riassumere l’atteggiamento del governo Berlusconi sulla ricerca: progressivo azzeramento, salvo in alcuni settori come quello militare. Finanziamenti discontinui e limitati dei vari ministeri sul versante ambientale, in particolare in relazione alla ricerca su nuove soluzioni motoristiche alternative, pulite ed energeticamente efficienti. L’unico progetto consistente si concentra su poche, importanti tematiche: idrogeno e celle a combustibile. Il fatto straordinario è che le grandi aziende direttamente interessate (Fiat, ma anche Eni, Enel, Ansaldo, Enel...) siano state messe fuori dal gioco, nel senso che non sono capofila dei progetti. E la strada di risanamento su cui si sta muovendo Marchionne non va certo nel senso di un forte investimento diretto nella ricerca su idrogeno e nuovi propulsori. L’unica esperienza importante - tutt’altro che nuova - è in Brasile sui motori ibridi, in un paese in cui l’alcol è da sempre usato come propellente. Piuttosto, per la coppia Montezemolo-Marchionne, è tempo di accordi sui prodotti agendo con spregiudicatezza sul mercato mondiale, con un duplice obiettivo: 1) entrare nei processi di nuova motorizzazione, in Asia in particolare; 2) spostare la produzione destinata ai mercati ricchi (europei) in paesi

dove il costo del lavoro è basso e i vincoli sociali e ambientali praticamente inesistenti. L’unico aspetto che non turba il Gotha Fiat è il destino del lavoro e degli stabilimenti in Italia. Anzi, le condizioni imposte agli enti locali per il mantenimento delle produzioni a Mirafiori (Torino) o a Termini Imerese (Palermo) è l’esborso di danaro pubblico, tipo l’acquisto di una fetta di uno stabilimento impossibile da saturare al ritmo attuale e prevedibile della domanda (Mirafiori), in cambio del mantenimento di una linea della Nuova Punto a Torino. L’accordo più impegnativo siglato negli ultimi mesi è quello con il gigantesco gruppo indiano Tata, i cui contenuti sono ancora in fase di studio e trattative. Si parla di produzione di modelli comuni motorizzati dalla Fiat e Marchionne non esclude che il destino di almeno uno di questi modelli possa essere l’Italia e l’Europa. Entro l’anno ne sentiremo delle belle. Mentre in Brasile continua il lavoro solitario della Fiat, presente da decenni in quel mercato con una gamma completa di modelli, è in Polonia che si sperimenta il futuro con accordi siglati con partner internazionali: del matrimonio fallito con Gm resta un’unica joint-venture per la produzione di motori multijet in uno dei due stabilimenti polacchi dei torinesi; con Ford, invece, la Fiat produrrà un pianale unico per la Nuova Cinquecento e per la Nuova Ka; a ciò si aggiunge la produzione normale polacca, in testa la Panda anch’essa destinata al mercato italiano e a quelli europei. In Turchia, nella fabbrica di Bursa, oltre al Doblò Fiat si produrrà un minicargo insieme alla Peugeot, la società francese con cui gli italiani producono furgoni in uno stabilimento italiano (Val di Sangro) e in uno francese. L’ultimo mini-accordo parla magiaro: la Suv Sedici sarà prodotta insieme alla Suzuki in Ungheria e commercializzata, naturalmente, in Italia. Poi, ci sono gli accordi con società licenziatarie in vari paesi in cui saranno prodotti modelli Fiat destinati ai mercati locali e di area: in l’Iran per la Punto, mentre a KraNell’auto verde gujevac in Serbia quello della Fiat è un ritorTin Tin e Milou no ai tempi della Zastava - fabbrica distrutta di Hergé. dai bombardamenti «umanitari» del ’99. Su Sopra, Offissa Pupp licenza, anche qui, verrà costruita la vecchia & Ignatz Mouse Punto con ambizioni balcaniche. Resistono di George Herriman infine gli accordi e le joint venture in Cina per la produzione di vetture e camion, e in Sudafrica. Accordi di produzione su licenza in Nordafrica e in Vietnam. Ma non è solo la produzione ad andarsene. Essendo che il settore più penalizzato è quello della ricerca e sviluppo, specialmente in relazione ai nuovi propulsori a basso impatto ambientale, non c’è da stupirsi - da preoccuparsi invece sì - se la Nuova Stilo di fascia C è stata data in progettazione a una società austriaca, la Magna Steyr di cui è presidente uno degli ultimi amministratori delegati della Fiat Auto, Herbert Demel, liquidato perché ritenuto evidentemente non all’altezza. Vai a capire. Anche uno dei nuovi modelli Alfa sarà progettato da Demel in Austria. E’ la testa, e non sono più soltanto i tentacoli della Fiat, a salpare dalle amate sponde.

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Classe E 4MATIC CDI.

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CLAUDIO MEZZANZANICA

METTIL’IDROGENO INSPALLINO

S

ulle strade della California sta già correndo il futuro dell’automobile. Da luglio la Honda FCX V3 a idrogeno è nella mani della famiglia Spallino per un test lungo sei mesi. All’inizio dell’estate scorsa, in compagnia della moglie Sandy, Jon Spallino, un imprenditore quarantenne di sospette origini italiane, era entrato in una concessionaria Honda per cambiare la sua Civic. Soddisfatto della precedente ne voleva una nuova ma si è sentito fare una proposta sbalorditiva. La Honda era disposta a dargli sì un veicolo, ma il suo prototipo a idrogeno dal valore di un milione di dollari. Il signor Spallino non si è fatto impressionare. Ha sottoscritto il suo bravo contratto e pagando gli stessi soldi della rata per la Civic a combustione, vale a dire 500 dollari al mese, si è portato a casa la FCX. Adesso, tutti i giorni, porta a scuola le figlie Adrianna di 11 anni e Anna di 9 e si reca al lavoro con quella che è l’auto più futuribile. Percorre circa settanta miglia ed ha un unico problema per il momento quello del rifornimento. La Honda inizialmente voleva installare un distributore nei pressi dell’abitazione degli Spallino, con grande preoccupazione dei pompieri. I permessi non sono mai arrivati e neppure in futuro arriveranno perché la California non ha approvato il piano per i nuovi distributori ancora fermo Vater und Sohn al parlamento di Sacramento. Così Spallino di Erich Osher è costretto a recarsi presso la Honda per fare La striscia è The Willets il pieno. di Walt Wetterberg. Per ora non ci sono dichiarazioni ufficiali Sotto, Gaston LaGaffe da parte della casa giapponese su come sta di André Franquin andando il test. Ma i giornalisti che seguono la famiglia Spallino confermano che ogni giorno gli spostamenti previsti avvengono, segno che il motore è affidabile. Comunque la strada per l’auto ad idrogeno è ancora lunga, anche se forse meno di quanto si pensi. Per adesso le auto con questo

motore hanno una scarsa autonomia. Colpa del peso del veicolo. La FCX ad idrogeno pesa circa cinquecento chili in più della sua omologa a benzina e il serbatoio, piccolo per ragioni di sicurezza, permette di percorrere solo 110 miglia a 80 miglia all’ora. Nonostante il peso, l’accelerazione in dieci secondi da 0 a 60 miglia (i classici 0-100 chilometri all’ora) è ritenuta buona anche se i tempi di reazione di una macchina, soprattutto nei centri urbani, è spesso importante per evitare incidenti. La Honda - ma anche la concorrenza - insieme a tutte le fabbriche di componentistica stanno lavorando per produrre materiali e sistemi di trasmissione che si adattino al motore ad idrogeno. E’ un terreno di ricerca assai complesso in cui si stanno impegnando anche molte facoltà di ingegneria in America. Perché a dispetto dei problemi di rifornimento che potranno ostacolare lo sviluppo delle auto ad idrogeno non c’è dubbio che i vantaggi connessi sono molti. L’idrogeno è un combustibile riproducibile, quindi inesauribile. Per buona parte della classe politica americana ma anche per il cittadino medio, la fine della dipendenza dal petrolio e dai paesi arabi verrebbe salutata come una sorta di liberazione. Perché il tema del petrolio ha così a lungo condizionato la politica americana da aver prodotto una disaffezione al problema stesso. I morti in Iraq

In California la famiglia fa tendenza. Papà, mamma e due figlie tutti i giorni a spasso con una Honda alimentata a idrogeno. Il problema più grande è che non c’è un distributore sotto casa

ricordano ai cittadini Usa quanto costi poter usare la propria automobile. L’idrogeno, invece, li libererebbe da questo condizionamento. Poi c’è l’inquinamento. Non è vero che il cittadino medio americano non sia sensibile al problema. Non in tutta l’America, certo, esiste la stessa sensibilità. Ma che dire degli stati della costa atlantica, New York in testa, che vogliono applicare Kyoto indipendentemente dalle scelte di Washington? E che dire della California, dove la bioedilizia e l’uso delle fonti rinnovabili stanno diventando un programma di massa? Oppure ancora, che dire di Los Angeles dove ormai si ricicla il 50 per cento dei rifiuti? L’arrivo delle auto ibride ha ottenuto un vasto successo anche perché esiste una coscienza ecologista e un programma volto ad introdurre l’auto che farà scomparire i gas di scarico, programma che troverà senz’altro un appoggio da parte del mercato dei consumatori. Anche se questo modificherà profondamente le loro abitudini. Per ora, la Honda continua a dichiarare che la prima produzione di massa dei veicoli a idrogeno non avverrà prima di dieci, forse quindici anni. Cioè quando in giro per gli Usa ci saranno anche abbastanza distributori di idrogeno. Attualmente ce ne sono dodici. Ma il motore sarà pronto prima. Fra tre, al massimo quattro anni i modelli con un prezzo accettabile dal mercato saranno pronti. L’ottimismo dei giapponesi non è condiviso in Europa. In particolare le case tedesche ritengono che i costi dei modelli ad idrogeno, nel breve periodo, saranno tripli, forse quadrupli di quelli a benzina. Anche i motori ibridi, che pure stanno ottenendo un brillante successo negli Usa, sono considerati troppo costosi e, con una certa spocchia, non sufficientemente risparmiosi. Così la vecchia Europa è oggi priva di proposte su questo terreno mentre l’evoluzione dell’auto corre veloce.

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L’automobile di B.C. dalla matita di Johnny Hart. Protagonista della striscia in rosso il dispettoso Bug Bunny di Heimdahl e Stoffel. Sotto, Broom-Hilda di Russel Myers e Charlie Brown di Schulz

SCOPERTA L’ACQUA CALDA

I

l 25 ottobre 2005 il sito online di la Repubblica ha lanciato un sondaggio sull’auto ecologica. I sondaggi del genere sono probabilmente frequenti, ma questo ci sembra interpretare tanto nelle risposte che nelle domande i luoghi comuni in argomento. Gli autori mettono le mani avanti spiegando che non si tratta di un sondaggio statistico fatto secondo i crismi, ma “con l’unico scopo di permettere ai lettori di esprimere la propria opinione sui temi di attualità”. Ciò che anche noi, da lettori, facciamo, esprimendo la nostra opinione. Quindi ben al di là della scientificità del sondaggio e della sua attendibilità mercantile, riconosciuta dagli autori per assente – programmaticamente assente – ci sembra una occasione per discutere di quel che si sa e di quel che si trascura nel discutere di auto ecologica. Cominciamo dalle domande mancanti. Quanto consuma un’auto ecologica? Quanto pesa? Quanto è grande? Quanto dura? Come la si ricicla, alla fine del suo percorso? Quante persone deve spostare? A chi appartiene? Ecco, queste sono alcune delle domande che servirebbero per definire il campo dell’indagine. Sembra ovvio che qualunque energia adotti, qualsiasi sostanza consumi e bruci, un’auto ecologica o più ecologica di quelle in circolazione a stretto buon senso, deve consumare, bruciare, trasformare poco, il meno possibile. Nello stesso ordine di idee deve anche ridurre al massimo la sua impronta ecologica, cioè deve essere leggera, deve usare poco spazio, essere costruita con impianti e tecniche tali da ridurre a poco lo sfruttamento delle risorse naturali, quanto a dire acqua, aria pulita, materia, energia: anche nella fase di costruzione e di riutilizzo dei materiali usati nel costruirla l’auto eco-

logica deve essere parca e non solo durante l’uso, con l’attenzione alle emissioni di gas di serra che sembra l’unica questione presente nel sondaggio. Le ultime due domande trascurate aprono un discorso più politico e di diritti. Un’automobile nuova privata allarga o riduce la libertà generale? Quando le automobili esistenti sono 30 milioni in un territorio di 300 mila chilometri quadrati, come nel caso

possibile mettersi d’accordo: lasciare l’auto presa in affitto, in autoparchi di scambio ben segnalati, come anche viaggiare in tre o più persone lungo i percorsi comuni. Da venti e più anni, lungo talune autostrade degli Usa vi sono corsie preferenziali per auto con due passeggeri oltre a chi è alla guida. Quanto all’affitto dell’auto è come l’affitto di casa: in una generazione siamo stati indotti ad abitare case di proprietà; così in pochi anni

Tra geografia e politica, tra pubblico e privato di una possibile auto ecologica. Un sondaggio su quello che verrà, sbandando tra l’offerta ibrida e la gara a idrogeno

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italiano, significa che ogni auto ha un ettaro a disposizione per circolare, al lordo di costruzioni, laghi, fiumi profondi e alte vette, contando strade e campi coltivati. Sarebbe dunque meglio per tutti, a partire dagli automobilisti di provata fede che le autovetture fossero di meno, tanto quelle in circolazione che quelle ferme sulle strade, nelle città e nei paesi. Termini come car sharing e car pooling fanno parte ormai della cultura automobilistica. Posto che un’automobile serve effettivamente, alla maggior parte delle persone, per un tempo limitato del giorno, della settimana, del mese, dell’anno e per il resto del tempo è un impaccio; e posto che i tempi di uso e di non uso spesso coincidono (o sono complementari) con quelli di altre persone con attività, lavori e svaghi analoghi, è

potremmo sviluppare un atteggiamento non proprietario nei confronti dell’auto. Molti hanno avuto modo di leggere come tratta questo punto Jeremy Rifkin nell’«Era dell’accesso». Le risposte pervenute al sondaggio di Repubblica online sono oltre 4.500 che scendono a tremila o poco più quando il gioco si fa duro e si deve spiegare perché l’auto a idrogeno arriverà o non arriverà. Andando in ordine, alla prima domanda su quale sia l’auto ecologica le risposte più popolari sono: l’auto a gas (metano) 24%; l’ibrida , 27%; l’elettrica, 38%. La seconda e la terza domanda hanno due risposte prevalenti: per due terzi dei partecipanti un’auto ecologica dovrebbe non inquinare affatto, 66%; oltre la metà del pubblico la guiderebbe se costasse meno, 57%; la

Nel’ottobre scorso, al Salone dell’auto di Tokyo la Honda ha rivelato la HES, Home Energy Station. Si tratta di un distributore di idrogeno che può stare nel garage di casa, sempre che i pompieri del vostro quartiere o del comune vi autorizzino. La HES contribuisce a risolvere, nelle intenzioni della Honda, il problema della distribuzione per la futura auto a idrogeno: il sistema estrae idrogeno comprimendo gas naturali, con cui si potrà “fare il pieno” prima di uscire. E sempre nel garage di casa, la HES funzionerà sia per alimentare la macchina, sia per alimentare una piccola cella a combustibile di 5 kilowatt che fornirà acqua calda gratis all’abitazione. Il sistema non è in produzione, per ora. *** La svedese Volvo - e per adesso solo per gli svedesi - ha messo in listino i suoi modelli medi V50 e S40 anche con motorizzazioni 1800 da 125 cavalli alimentati con una miscela di bioetanolo (85%) e benzina (15%). La Volvo le chiama FlexiFuel e ha calcolato che quando il motore gira con lo E85 (nome del nuovo carburante misto), le emissioni di anidride carbonica diminuiscono dell’80 per cento rispetto a quelle prodotte dallo stesso motore a benzina. In Svezia, esistono già 280 stazioni di rifornimento di etanolo, prodotto da elementi naturali come frumento, mais, canna da zucchero e cellulosa. *** La ricerca e l’auto, la ricerca e basta. Secondo lo studio “The 2004 U.E. Industrial R e D Investment Scoreboard” sulle prime 500 imprese europee in termini di investimenti in ricerca e sviluppo nel 2003, soltanto 17 aziende italiane sono presenti con il 3,9% di spese contro il 37,2% di imprese tedesche, il 19,4% di quelle francesi, il 16,9% delle inglesi, il 6,4% delle svedesi e il 4,9% di quelle finlandesi. Tra le prime 100 solo 5 sono italiane, con la Ifi/Fiat al quindicesimo posto.

IM


GUGLIELMO RAGOZZINO

MOTORIDELL’AUTO DIALÌBABÀ affari in comune. Gm fa esperienza con i soldi del Pentagono; i militari imparano a sbrigarsela con le auto del futuro; si impianta un sistema di distribuzione dell’idrogeno che la logistica militare riuscirà facilmente a mettere a punto. In rete i due sistemi dell’auto ecologica di domani e di dopodomani sono molto presenti. Se con il motore di ricerca Google si indicano le due voci Hybrid e Ford, arriva sullo schermo l’indicazione di 5.320.000 “pagine”. Le altre case automobilistiche hanno risultati minori, ma spesso al di sopra dei tre e dei due milioni di pagine. La stessa Fiat che di ibrido non ha proprio nulla, raggiunge 1.620.000 pagine. Per utilizzare uno strumento meno approssimativo abbiamo provato a fare la stessa ricerca, legando la parola hybrid al nome della casa; lo stesso abbiamo fatto con la parola hydrogen; ed ecco i risultati. quarta domanda divide il campo sull’ibrida a combustione interna e motore elettrico: per il 52% essa apre l’era delle auto ecologiche; per il 48% è ancora troppo poco ecologica. La maggior parte dei rispondenti alla quinta e cruciale domanda: “arriverà l’auto a idrogeno?” risponde di sì, 71%; il motivo prescelto è che si deve uscire dall’età del petrolio, 62%, mentre il 30% è convinto che la tecnologia esista. La minoranza convinta che l’era dell’idrogeno non arriverà, 29%, è molto concorde nell’affermarne il motivo: niente idrogeno perché le aziende petrolifere non vogliono, 81%. Il rifiuto delle case automobilistiche a crescere in quella direzione è circoscritto all’8% delle persone che hanno risposto. In effetti le informazioni più recenti mandano avanti entrambe le suggestioni: l’auto all’idrogeno arriverà, ma non per ora. La useranno per andare al lavoro, al picnic domenicale o per portare i figli a scuola i nostri nipoti, verso il 2030/2050, di certo non prima di allora, almeno secondo gli studi del Mit (Laboratory for Energy and the Environment, Lfee). Par di capire che i campi della ricerca sono tre e non procedono di pari passo. C’è una ricerca sul mezzo: l’ingegneria e l’architettura del semovente, e naturalmente motore e forza motrice. Si fa presto a dire idrogeno, ma tutte queste particolarità devono rientrare in un disegno, devono funzionare insieme. L’idrogeno, vettore energetico, deve essere immesso nell’auto che forse non si chiamerà più così; e quindi occorre una rete distributiva con nodi raggiungibili e facili da praticare, ma che presenta anch’essa una serie di problemi non certo insolubili, che implicano anni di studi e miliardi di spesa per diventare efficiente. Il terzo aspetto riguarda le modalità di produzione dell’idrogeno. La semplice soluzione attualmente impiegata, che utilizza composti di carbonio, non fa che spostare i due problemi apparsi chiaramente ai partecipanti al sondaggio: idrocarburi in via di esaurimento e inquinamento crescente. Dunque occorrerà un sistema non inquinante per produrre l’idrogeno. La soluzione

di ricavarlo dall’acqua è limpida, ma con il vincolo di utilizzare energie esse stesse non inquinanti, non climateranti, senza produrre insomma gas di serra, perché altrimenti non si farebbe che spostare il problema più indietro, senza risolverlo. La soluzione è l’energia fotovoltaica o tratta da biomasse, e, di nuovo, ci vorranno decenni e molti miliardi per arrivare a produrne. Insomma, nel pensare alla società del 2050 abbiamo un atteggiamento sorprendente, almeno noi che ci occupiamo di sondaggi, inventandoli, oppure rispondendo alle domande, forse nel tentativo di influire, da lontano, sulle scelte dei potenti, oppure ancora raccontandoli criticamente: pensiamo che tutto cambierà nelle tecnologie, nelle energie, nell’uso della natura, perché tutto rimanga come prima: con tante monadi di latta o di plastica per portare in giro la ragazza, o andare a fare la spesa. Tutto cambia purché l’auto resti la stessa. I due futuri dell’automobile, quello prossimo e quello remoto, una volta sconfitta dalle case e dal pubblico pensiero conforme, l’auto a risparmio, sono l’ibrido presto e l’idrogeno dopo, in un domani lontano. Le case automobilistiche hanno una loro duplice previsione in proposito. Sanno che prima o poi dovranno sfornare un modello ibrido, per l’epoca di transizione che si avvicina, oppure per non escludersi da una nicchia di mercato interessante che potrebbe rivelarsi colma di tesori come la caverna di Alì Babà. E per questo alcune progettano, altre si accingono a comprare modelli altrui. L’altra previsione è che nel giro di una decina di anni in tutte le aree a forte densità automobilistica del modo le regole ambientali saranno assai più stringenti, al punto di tagliare

fuori chi non si adegua; e quindi cercano di attrezzarsi per dare la risposta adeguata che però non scontenti e consolidi anzi la clientela abituale, con molta attenzione alla clientela dei concorrenti. E avendo questi due problemi da risolvere o sui quali impegnarsi, non hanno spazio mentale vero, e soldi e persone per occuparsi troppo di idrogeno che arriverà E’ noto al pubblico che alcune case sono più avanti di altre sull’ibrido e perfino sull’idrogeno. L’amministrazione americana che spesso fa da battistrada, ha cercato di farsi approvare dal Senato un progetto da un miliardo di dollari, poi cresciuto a 1,7 miliardi per sviluppare il veicolo a idrogeno. Si è visto il presidente Bush, per raccogliere i consensi, inaugurare la prima pompa di idrogeno, sotto l’insegna della Shell, nella prima di 500 future stazioni di servizio. L’impegno è di ridurre il petrolio importato e ripulire l’aria da respirare. Al Senato tutti sanno naturalmente che l’aria non sarà ripulita tra oggi e domani, attraverso quell’idrogeno, ma sanno altresì che da qualche parte si deve pur cominciare. Così il dipartimento Usa dell’energia, il Doe, ha deciso di finanziare per la metà un progetto della General Motors di 88 milioni di dollari, per mettere su strada un certo numero di prototipi di auto a idrogeno non convenzionali (dotati di celle, non di un motore a combustione interna). L’esercito degli Stati uniti, incuriosito per la novità, si è associato alla Gm per mettere in servizio un primo camion con motore a celle. Questo contatto è considerato particolarmente attraente dalle due parti che hanno entrambe bisogno di una buona stampa, date le perdite di consensi che affligge parimenti. Inoltre i partner si considerano scambievolmente buoni propagandisti degli

CASE AUTOMOBILISTICHE

HYBRID HYDROGEN

HONDA TOYOTA FORD BMW PORSCHE VOLKSWAGEN DAIMLER CHRYSLER GENERAL MOTORS FERRARI HYUNDAI RENAULT NISSAN PEUGEOT FIAT KIA VOLVO

122.000 111.000 48.000 17.000 2.480 1.610 1.180 1.130 779 681 543 539 429 412 300 1

419 776 414 1.920 4 158 88 1.140 34 320 18 106 188 568 120 39

Un aspetto curioso è il successo – apparente – della Fiat nella gara idrogeno. In realtà Hydrogen Fiat è una felpa di successo. La Fiat ha in studio effettivamente un prototipo a celle, la Hydrogen Panda che però uscirà dallo stadio di prototipo solo alla fine del decennio. Per il resto alcuni aspetti sono interessanti. E’ in una certa forma provato il prevalere, nel settore dell’ibrido, delle case giapponesi, a partire dalla Toyota che ha mosso la Prius prima di ogni altro produttore. Vi è poi la riscossa di Ford che sta recuperando terreno. Nel campo dell’idrogeno vi sono i due competitori che rappresentano le due soluzioni, il motore a combustione interna studiato e provato da Bmw e quello del tempo più lontano, a celle, sviluppato da Gm. Il terzo aspetto da rilevare è il grande distacco tra chi si occupa dei problemi ecologici e chi preferisce attestarsi su terreni più tradizionali. La rete, aspetto del mercato e degli utenti, sembra essersene accorta.

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Popeye (Braccio di ferro) di Elzie Crisler Segal. Sotto un’avventura di Mr. Mum disegnato da Irving Phillips e accanto, l’automobile abbaiante di Jacovitti

L

e conseguenze dell’adesione al Protocollo di Kyoto di buona parte dei paesi industrializzati potrebbero influire anche sulla produzione automobilistica. In estrema sintesi, l’adesione al Protocollo ha comportato, per un numero di comparti industriali destinato ad aumentare nei prossimi mesi, l’accettazione di un processo di riduzione delle emissioni di anidride carbonica, il che si traduce in un più attento controllo sui sistemi produttivi al fine di contenere le emissioni. Per incentivare l’adesione al processo, sono stati creati alcuni meccanismi, fra questi

ni con le altre nazioni. Il sistema potrebbe rappresentare una valida occasione per aumentare il livello di efficienza produttiva. Il settore dei trasporti non è rientrato nel primo lotto di comparti industriali coinvolti nel sistema, ma dovrebbe essere cooptato a breve. Il processo si andrebbe così ad integrare al più ampio programma di aumento dell’efficienza produttiva finalizzato a ridurre la capacità degli impianti europei per fare fronte alla sovrapproduzione, il male per niente oscuro che sta minando la salute dell’industria automobilistica. Le emissioni globali di CO2 sono cresciute lo scorso anno. Un incremento di 1,2 miliardi di tonnellate rispetto all’anno precedente che ha fatto raggiungere il valore di circa 27 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente rilasciate annualmente in atmosfera, il 26% in più del 1990. I dati sono usciti a Montreal (Canada), dove si è tenuto il primo “Meeting of the Parties to the Kyoto Protocol (MOP 1)”, ossia il primo incontro tra i partecipanti da quando il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore. Tra i paesi in via di rapida industrializzazione, la Cina guida la tendenza all’aumento delle emissioni: nel 2004, il suo tumultuoso sviluppo ha determinato un incremento dei rilasci di anidride carbonica quantificabile in 576 milioni di tonnellate (pari grosso modo alle emissioni annuali complessive in Italia), più 15% rispetto al 2003. Gli Stati Uniti hanno visto crescere le loro

Si chiama emission trading, è una borsa dell’anidride carbonica con tanti pacchetti azionari che pesano tonnellate. Scenari meno inquinati se il sistema venisse applicato al sistema dei trasporti l’emission trading, una borsa dell’anidride carbonica, che dovrebbe rendere interessante ed economicamente vantaggioso ridurre le emissioni. A ciascuna nazione e a ciascun comparto industriale sono state assegnate delle quote, una sorta di pacchetto azionario in tonnellate di anidride carbonica. Se le singole aziende riusciranno a contenere le emissioni al di sotto del “capitale” assegnato loro potranno vendere le proprie quote ad altre aziende meno accorte, così come i singoli comparti industriali potranno fare nei confronti di altri comparti e le nazio-

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emissioni di CO2 dell’1,4% nel 2004 rispetto al precedente anno. L’Unione Europea dei 15 ne ha subìto invece nello stesso anno un aumento limitato, lo 0,7%. Per ottemperare ai propri obblighi di riduzione delle emissioni in atmosfera di gas a effetto serra, nel 2005 l’Unione Europea si è dotata di un ulteriore strumento, un sistema di trading delle emissioni di anidride carbonica (CO2). L’Emission Trading System (ETS-EU) è entrato in vigore il 1° gennaio, coinvolgendo i settori industriali della produzione dell’energia, della carta e dei minerali ferrosi e non ferrosi. Circa 15.000 impianti industriali (impianti di combustione, raffinerie di petrolio, cokerie, impianti di produzione di ferro, acciaio, cemento, vetro, calce, mattoni, ceramica, pasta per carta e carta, ecc.) sono interessati al sistema e nel periodo 2005-2007 saranno obbligati a rispettare quote annuali di emissione assegnate da piani nazionali di allocazione (NAP). L’obbligo equivale in effetti a indurre una scarsità, quindi una domanda in un mercato così generato di titoli di emissione. Le singole industrie saranno chiamate alla gestione di una risorsa che implicherà scelte strategiche di significativo impatto economico: intervenire sui volumi di produzione piuttosto che sul mercato dei titoli, ovvero pianificare interventi sui processi per la riduzione delle emissioni. Le relative valutazioni saranno condizionate dalla effettiva maturazione del mercato nei volumi delle transazioni, ma ovviamente anche dai costi delle materie prime energetiche, in primo luogo del petrolio. Ulteriore elemento di complessità, peraltro un arricchimento delle potenzialità gestionali aziendali, è rappresentato dalla validità commerciale sul mercato ETS dei crediti acquisiti attraverso i meccanismi di flessibilità del pro-


FABIO CATINO

ITITOLIPIÙSPORCHI DELMERCATO

Un pieno di polvere L’automobile è ferma da un secolo. Questa, in estrema sintesi, la critica che si muove all’industria automobilistica, apparentemente incapace di innovazione se solo la si confronta con l’elettronica di consumo, i computer e altri settori in cui lo sviluppo impetuoso consente progressi significativi e rapido ricambio delle tecnologie. Invece, l’automobile, da quando è stata inventata nella sua forma moderna, non è cambiata abbastanza. Pensando all’automobile in quanto oggetto, non si può fare a meno di considerare il fatto che tutto dovrebbe spingere verso tecnologie che rendano l’auto più leggera, maneggevole ed economica da utilizzare e produrre, mentre la realtà è che crescono dimensioni e pesi, motorizzazioni e consumi e che per ottenere prestazioni soddisfacenti da un veicolo così pesante e complesso, che rispetti dei vincoli al livello degli inquinanti emessi, si deve produrre dei motori che consumano molto e in maniera non proprio efficiente. Un esempio brillante di circolo vizioso. Hanno ragione i critici dell’auto? Nella sostanza potremmo dire di sì, ma la questione, posta in questi termini, è banalizzata. L’automobile è una delle molte espressioni della tecnologia che consente a tutti i sistemi produttivi di disporre di energia. Gran parte di tutto ciò che genera energia, infatti, esiste e funziona grazie a motori endotermici, motori cioè che bruciano qualcosa e, in questo processo, sviluppano energia da

impiegare per fini diversi. Semplificando: l’economia del pianeta si muove grazie a un motore sostanzialmente simile a quello che troviamo nel vano della nostra auto. Se una tecnologia pervade così profondamente la società e l’economia è difficile anche soltanto pensare di ottenere gli stessi obiettivi smontando tutto l’apparato. Così l’automobile si adegua e, piuttosto che proporre alternative radicali, affina dei concetti e migliora il migliorabile di una tecnologia nata più di un secolo fa. Se il motore endotermico, alimentato con combustibili fossili, inquina e costa troppo, si cercano carburanti diversi, che possano essere impiegati in maniera proficua senza stravolgere la sostanza delle cose. L’idrogeno brucia bene in motori sostanzialmente simili a quelli a benzina e, nel ciclo, inquina poco. Tuttavia, presenta alcune difficoltà: non esiste in natura, ma deve essere “estratto” dall’acqua con un processo che richiede energia elettrica, ha un rendimento energetico inferiore rispetto alla benzina e non è facile mantenerlo allo stato liquido e quiescente. I progressi nell’estrazione e nell’impiego dell’idrogeno, con buona pace di quanti sono scettici sullo spirito innovatore, procedono abbastanza spediti e non è escluso che si arrivi a un buon livello di efficienza del sistema. La ricerca, tuttavia, sta sperimentando anche strade alternative, ad esempio quella dei motori endotermici alimentati a polveri metalliche, una tecnologia che esiste da tempo e viene utilizzata per i

motori dei razzi. Il problema è che i motori dei razzi funzionano a temperature molto più alte rispetto a quelle utilizzabili su un’automobile, su una nave o in altri ambiti. I vantaggi del bruciare polvere metallica sono molti: il rendimento energetico della polvere di metallo ferroso è circa doppio rispetto a quello della benzina, bruciata alla temperatura corretta, la polvere metallica ha un rilascio di inquinanti modesto e l’emissione di particelle solide è costituito da ossidi di ferro che, trattati con idrogeno ad alta temperatura, si trasformano in ferro e vapore acqueo, quindi sono riciclabili. Il problema risiede nella misura dei granelli di polvere metallica, poiché, per funzionare in un motore che non raggiunge le temperature di esercizio di un motore missilistico, la polvere deve essere sottilissima, nell’ordine dei pochi milionesimi di millimetro. Date le conoscenze attuali, il processo è costoso, ma realizzabile, e i motori a ciclo Diesel sono quelli che potrebbero essere convertiti con maggiore rapidità. Non solo, ma alcune evoluzioni ulteriori sono già note, ad esempio, è possibile anche sapere cosa troveremmo nella stazione di servizio: la normale al ferro; la super, additivata con polveri di alluminio, e la premium, una miscela di ferro, alluminio e boro: un pieno costosissimo, ma capace di far andare la nostra macchina come un razzo. E non sarebbe un modo di dire. (Bruno Di Caprilia)

tocollo di Kyoto (CDM e JI). Un arricchimento questo che presenta tuttavia delle criticità, se l’opzione, attraverso conduzioni pilotate a livello istituzionale nazionale, si risolve per le aziende nell’acquisizione di crediti a prezzo scontato e prodotti da progetti finanziati con fondi statali: come sembra stia accadendo in Italia nel caso dell’ICF (Italian Carbon Fund per progetti CDM e JI). Il mercato europeo appare tuttavia vivace. Il prezzo della tonnellata di CO2, introdotto a circa 8 , ha raggiunto in luglio il picco di 30 , in lieve ma strutturale ritardo con l’impennata del prezzo del greggio, per attestarsi a fine anno sui 20 . Anche i volumi delle transazioni, un parametro fondamentale per il funzionamento del mercato, sono aumentati da poche decine di migliaia di titoli di gennaio a una media di circa 500.000 in giugno, con punte superiori al milione. Recenti studi sull’impatto economico del sistema ETS, condotti dal DIW (l’Istituto tedesco per la ricerca in economia), confermano inoltre la sua validità in questi termini. Oltre a favorire una riduzione delle emissioni in atmosfera, i benefici comporterebbero anche un incremento del PIL europeo. E’ lecito aspettarsi, quindi, che il sistema di trading delle emissioni di CO2, attualmente operativo in Europa con il coinvolgimento soltanto di alcuni settori industriali, sia a breve esteso ai trasporti oltre che al settore residenziale. Quello dei trasporti alimenta circa 1/3 delle attuali emissioni in atmosfera, ed è pertanto un settore strategico per efficaci politiche di contenimento dei cambiamenti climatici. Cooptare le industrie automobilistiche, equivarrebbe per esempio a poter contabilizzare gli investimenti per la riduzione dei consumi di combustibili fossili degli autoveicoli alla stregua di quelli condotti in altri settori. Su tutto incombe però l’ombra sinistra del fallimento. Se gli accordi sul post-Kyoto dovessero indebolire la credibilità dei meccanismi economici generali individuati dalla Conferenza mondiale per la lotta ai cambiamenti climatici, anche i sistemi locali come l’ETS, per quanto rilevanti siano, saranno destinati a un prematuro e nefasto tramonto.

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Dal tetto del mondo al Motorshow.

Maggio 2004. Spedizione sull’Himalaya: Panda 4x4 raggiunge il campo base dell’Everest a quota 5.200 metri.

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MARINA TERPOLILLI

UNATECNOLOGIA TIRAL’ALTRA

N

el dicembre del 1997 venne lanciata per la prima volta in Giappone la Toyota Prius, l’auto che “ancora non c’era”, intravista come prototipo neanche due mesi prima al salone di Tokyo. La Prius del 1997, con due motori accoppiati elettrico e a benzina, con pacchibatterie disseminati nel pianale, secondo i canoni europei non si poteva definire bella e soprattutto, sempre per i gusti del cliente medio del vecchio continente, allora non era molto potente. Poi arrivò il momento del lancio in Europa di una versione con più cavalli, sede prescelta Bruxelles. La grande sala della conferenza stampa paneuropea quel giorno era affollata dalla presenza massiccia di ingegneri giapponesi. Tra la fitta platea di giornalisti specializzati, una valanga di sarcasmo, “a chi vogliono darla a bere – echeggiavano i commenti dei più increduli - questa macchina non la faranno mai, figurarsi poi venderla”. Gli uomini della Toyota in questi anni non si sono fermati mai, hanno continuato a lavorare seguendo la propria filosofia del “Kaizen”, del miglioramento continuo, così hanno modificato la prima generazione di Prius fino a presentare nel 2003 la seconda generazione, più gradevole nel design e più stabile nella tenuta di strada. Sono trascorsi sei anni e in una nota distribuita nel novembre scorso, la Toyota Motor Corporation, senza alcuna enfasi, annunciava che “le vendite globali di veicoli ibridi Toyota hanno raggiunto le 500mila unità”, arrivando approssimativamente a 513mila alla fine di ottobre. Di queste 329.500 ibride la casa giapponese le ha vendute negli ultimi ventidue mesi, niente male per un’auto che (per molti) non Il Signor Bonaventura di STO (alias Sergio Tofano). avrebbe dovuto neppure iniziare ad essere In basso Vater und Sohn di Erich Osher commercializzata. Basti pensare che questa cifra corrisponde a circa metà della produzione mondiale di un costruttore come la Mitsubishi che nel 2004, ad esempio, ha venduto in totale circa 672mila auto. La novità è che adesso la Toyota dichiara di avere raggiunto il break even nell’ibrido e anzi di guadagnare, in modo da poter rinnovare gli investimenti sui veicoli a basso

impatto ambientale. In programma infatti ci sono la creazione di una nuova fabbrica per i veicoli ibridi in Cina ed un’altra in Europa. E l’idrogeno? Non sarà la tecnologia dell’ibrido a rallentare il cammino verso l’auto a idrogeno, gli scienziati sono d’accordo. Il motivo lo ha spiegato un rappresentante della Toyota, l’ingegner Francesco Caracciolo, in un intervento in un recente convegno a Roma “H2 2005”: “Tutti gli studi fatti sull’ibri-

Dall’ibrido alle celle a combustibile cosa è trasferibile in termini di sperimentazione e di produzione. Nel frattempo ecco cosa offre il mercato dell’auto con due motori

do e sui vari elementi che lo compongono, quali batterie, motori elettrici e tutto il resto, saranno fondamentali per la realizzazione dell’auto ad idrogeno, facendone un competitor eccellente”. Se ne parlerà con qualche rwalismo non prima del 2020. Nel frattempo, si insiste sull’ibrido e lo fa anche la Bmw, che pure ha già su strada l’ammiraglia a idrogeno, la 745h, noleggiabile per 400 euro al mese ma soltanto a Monaco, dove c’è il “distributore”. Il costruttore tedesco ha preparato infatti un suo prototipo di SUV ibrido, il Concept X3 Efficient Dynamics. Tutti inseguono, realizzando perfino alleanze come quella recentissima tra BMW, DaimlerChrysler e GM. Oppure come la Nissan che per ora corre da sola, mentre Honda e PSA Peugeot Citroën hanno commercializzato anche in Italia alcuni modelli ibridi, come la Honda Accord IMA (Integrated Motor Assist) che sarà presto sostituita dalla nuova Civic IMA e la Citroën C3 Stop & Go Sensodrive. Da pochi mesi c’è anche in Italia, dopo essere stato lanciato negli Stati Uniti, il SUV Lexus RX400h del solito gruppo Toyota. Viaggiare ibrido con un Lexus RX400h significa però spendere per l’acquisto all’incirca 7.000 euro in più rispetto al corrispondente modello benzina, consumando poco meno e inquinando, s’intende, in proporzione. Va meglio con la Citroën C3 Stop & Go Sensodrive che costa poco più di 1.000 euro rispetto alla versione convenzionale. La capostipite Prius della seconda generazione, che è una grande berlina di segmento D, costa sui 25mila euro, equivalenti a quanto si spenderebbe per una Avensis a motore diesel 2.2 D-4D (in listino sui 24.000 euro). Quello che manca è anche una vera cultura sull’ibrido, non aiutata dalla mancanza di fondi statali destinati a incentivare l’acquisto di questi veicoli. Il valore dell’abbattimento delle emissioni con la trazione ibrida è comunque ancora argomento di studi nella comunità scientifica. Da questo punto di vista, la tecnologia “aiuta” molto l’auto nel suo momento peggiore, cioè la partenza. È questo l’attimo in cui anche una piccolissima auto manda in tilt i valori di inquinamento certificati nei cicli di omologazione: ogni qualvolta si parte da un semaforo o si fa un’accelerata impropria, l’indice sale pericolosamente inquinando a volte anche oltre il 100 per cento di quanto dichiarato. Una follia. Non è così con le auto ibride, che impiegano il motore elettrico sia nelle fasi di partenza sia quando si desidera avere qualcosa in più dall’auto, ad esempio durante un sorpasso.

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Benessere/be’nεssere/ [comp. di ben(e) e essere] s.m. solo sing. 1. Condizione o stato tipico di chi vive nel comfort, circondato da un chiaro senso di sicurezza ed eleganza. Frequente in certe categorie di automobilisti (si veda la voce “Rio”).

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LELINEEELESTORIE TESE

C’

era una volta l’auto-saponetta, tonda e levigata perché così imponevano i dettami dell’aerodinamica. Erano gli edonistici anni Ottanta, quelli della reazione alla crisi petrolifera del decennio prima e l’attenzione ai consumi di carburante era molto viva. Nasceva così il fenomeno delle “olimpiadi del Cx”, così definito perché il valore del coefficiente aerodinamico era diventato il primo motivo di vanto di ogni nuova vettura immessa sul B.C. di Johnny Hart mercato. e Superman Come ogni tendenza stilistica generata da di Siegel e Shuster esigenze tecniche, anche le linee fluide affinate in galleria del vento finivano per essere sostanzialmente le stesse su tutte le vetture, diventate molto simili tra loro. In quel periodo, inoltre, i costruttori avevano abbassato la guardia su quell’aspetto oggi mai abbastanza osannato che è l’immagine di marca. Il “family feeling” era rappresentato da mascherine basse e musi arrotondati, in cui il logo posto al centro era spesso l’unico elemento di distinzione. Con il tempo, i designer hanno però acquisito sempre maggior esperienza nella gestione delle superfici e ormai, da oltre un decennio, volumi scolpiti e spigoli non sono più un problema ai fini del Cx, un dato che ora viene addirittura trascurato dalla comunicazione. L’evoluzione stilistica non è stata solo indotta da un nuovo gusto estetico, ma da una profonda trasformazione dell’architettura dei veicoli. L’affermarsi dei monovolume e delle vetture a tetto alto, con la crescita in verticale di tutte le auto in generale, non è esattamente in sintonia con ciò che vorrebbero i dettami dell’aerodinamica. Per comprendere a colpo d’occhio quale siano le silhouette più efficienti in questo senso basta osservare il profilo della Honda Insight, oppure della Toyota Prius (la prima in arrivo in Europa nel 2007, la seconda già Auto dell’Anno 2005), le due ibride che l’ente governativo americano per i trasporti ha di recente posto rispettivamente al primo e secondo posto nella classifica delle vetture dai consumi più efficienti del model year 2006. La linea cofano parabrezza è quasi continua, ma è anche molto inclinata e il tetto scende già a metà abitacolo per creare una coda allungata. Tutto l’opposto, insomma, di un minivan tipo furgoncino o di un bel SUV squadrato all’americana. E’ soprattutto il design europeo, insieme a quello giapponese, a lavorare sull’affinamento formale per dare anche alle nuove tipologie di veicoli una linea più filante. Da questo intento, nonché per creare modelli inediti, deriva il ricorso massiccio all’ibridazione, un incrocio tra generi automobilistici diversi per ottenere i cosiddetti crossover. Una sintesi in cui è immancabile il ricorso al patrimonio genetico del coupé: ecco così proliferare esemplari di berlina-coupé, SUV-coupé, monovolume-coupé. Persino le due volumi di segmento B si dichiarano ad “effetto coupé”. Perché una linea dinamica, sinuosa e filante non appaga solo i tecnici della galleria del vento, ma anche l’occhio dell’utente finale, più facilmente sedotto da un tocco di sportività piuttosto che dall’effi-

cienza di capienti volumi squadrati. Proprio in Europa, però, l’entrata in vigore delle nuove norme di sicurezza per l’urto dei pedoni impone ai designer vincoli piuttosto restrittivi per la loro libertà stilistica e decisamente penalizzanti per l’aerodinamica. Il primo step di questa normativa è entrato in vigore nell’ottobre scorso e altre fasi seguiranno nei prossimi anni. Per limitare i danni ad eventuali malcapitati, i frontali delle vetture si sono fatti più alti e verticali, ovvero meno intrusivi; cresce così la sezione fronta-

Dall’auto-saponetta alle Olimpiadi del cx, il lavoro del designer per fare consumare meno le macchine. Aerodinamica e leggerezza le parole chiave del modello prossimo le, con maggiore impatto per l’aria. Il cofano deve avere una certa distanza dal motore sottostante, per offrire una zona di assorbimento in caso d’impatto; il conducente deve quindi sedere più in alto per ottimizzare la visibilità e il tetto si alza. Il tutto si traduce in auto più ingombranti e pesanti, comportando così consumi più elevati e con svantaggi evidenti soprattutto per le vetture più piccole. Trattandosi di norme di sicurezza, ovviamente, non si discute, anche se nessuno tra i creativi è contento. Le reazioni sono variegate e vanno da chi, come il capo del design Ford J Mays, definisce queste leggi «una palla al piede dei designer», a chi come Patrick Le Quément, direttore del design Renault le ha accolte come «un’occasione per ripensare la nostra identità». Ancora più drastico con i colleghi è Walter de’ Silva, direttore del Desi-

gn di Audi Brand Group: «I vincoli sono uno stimolo a trovare nuove soluzioni formali, quindi per un designer sono sempre i benvenuti. Chi li vive solo come una limitazione è un impiegato del centro stile, non un vero creativo». Tutti si sono messi al lavoro – già da qualche anno, visto che la progettazione richiede il suo tempo. «Il pubblico si chiede perché molte vetture siano state disegnate proprio così, nessuno ha idea della quantità di norme, esigenze tecniche e industriali a cui deve sottostare chi disegna un’automobile», ribadisce un designer di grande esperienza come Giorgetto Giugiaro. Il pubblico non specializzato percepisce per ora solo una certa somiglianza nei tratti somatici di vetture disegnate da mani del tutto diverse: ad esempio l’Audi A6, la nuova Fiat Punto e la BMW Serie 3 hanno proporzioni simili, perché il posizionamento della calandra, della traversa e della presa d’aria sottostante segue uno stesso concetto dettato dalle normative. Intanto la ricerca continua, come mostrano le prime concept car pensate in questa nuova prospettiva. Renault ha sperimentato già alcuni anni fa sul prototipo Talisman dei sedili a struttura sottile: meno ingombranti, consentirebbero di sottrarre qualche centimetro all’abitacolo per compensare l’incremento di dimensioni esterne, nonché di ridurre il peso totale. Un altro aspetto in cui le vetture di oggi remano controcorrente nella lotta per ridurre i consumi è proprio l’aumento ponderale: sicurezza, comfort, sistemi di assistenza alla guida e di intrattenimento fanno sentire il loro peso. Spingere nuovamente la ricerca verso aerodinamica e leggerezza potrebbe quindi essere il nuovo trend per il prossimo futuro. In fondo, le auto da corsa hanno continuato ad alleggerirsi pur diventando sempre più sicure. Questione di tecnologia, materiali e costi, ovviamente. Ma per l’aerodinamica qualcosa si può fare subito, come mostra Citroën con il suo ultimo prototipo, la C- Sportlounge svelata a Francoforte. Un’ipotesi di berlina sportiva che rispetta i pedoni nel frontale mentre riscopre la tradizione della marca per le linee aerodinamiche, sfoggiando con orgoglio un coefficiente di 0,26 punti. Tornerà il campionato del Cx?

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GUIDO CONTER

ILMULO ADUERUOTE

I

l cerchio attorno ai gas inquinanti emessi dal motore a scoppio si stringe sempre di più. La direttiva 2002/51 prevedede riduzioni drastische (Euro 3) anche per le moto di nuova omologazione a partire dal prossimo mese di gennaio. Giusto limitare le emissioni di qualunque veicolo, non molto corretto non considerarne l’intima natura: si corre il rischio che per rendere più pulita la moto si cancelli la moto, con tutta la sua storia e tutto il suo patrimonio in termini di conoscenza e lavoro. La moto ha le sue regole: una moto per essere una moto deve essere leggera, maneggevole. Non solo, deve dare un’emozione a prima vista, deve farsi apprezzare per le sue forme oltre che per le sue caratteristiche dinamiche.

Catalizzare una moto a livello di un’automobile potrebbe significare, snaturarla, farla diventare pesante, brutta ed ingombrante. “Proprio ora che si era abituato a non mangiare, è morto” diceva il fattore del proprio mulo. La strada imboccata per la catalizzazione delle moto a Bruxelles sembra avere la stessa miopia. Qualcuno in Europa ha fatto la “pensata”: prendere le direttive relative alle emissioni delle auto e con un sapiente e ragionato “taglia e incolla” applicarle ai veicoli a due ruote. Semplice e geniale. Peccato che le automobili e le moto abbiano alcune significative differenze, evidenti a chiunque abbia un paio di occhi sulla testa, e che auto e moto vengano usate in modo molto diverso tra loro: le auto sono un mezzo di trasporto, le moto no, il cui utilizzo statisticamente, è un decimo di quello di un’auto. Eccezione tutta italiana, sono gli scooter, i quali, comunque, non raggiungono, nel loro ciclo di vita, le percorrenze dei veicoli a quattro ruote Ultimo elemento non trascurabile è il numero totale del circolante e ancor di più il fatto che un mezzo a due ruote raggiunge in città con molta più rapidità la propria destinazione e, quindi, resta acceso meno tempo. Allora perché accanirsi sulle moto? Perché non guardarle per quello che sono e ciò che sono in grado di fare? Per incompetenza, la moto puzza e inquina, tanto basta. Cosa accadrà in fururo? Ci sono gas velenosi da fermare. I cicli di omologazio-

Per moto e motorini è battaglia contro i gas inquinanti. Il rischio di applicare delle nuove normative studiate per l’auto e forse di snaturare il prodotto. Che comunque ha troppe emissioni

Andy Capp di Al Capp. Sopra, una vignetta tratta da Les adventures de Patamousse del disegnatore francese Edmond-François Calvo, maestro di Albert Uderzo, il papà di Asterix

ne monitorizzano 3 tipi di inquinanti: Monossido di Carbonio (CO), Idrocarburi Incombusti (HC) e gli Ossidi di Azoto (NOx). Fino ad oggi l’omologazione si svolgeva come segue: il veicolo veniva posto su un banco a rulli dove la moto compiva un ciclo, una simulazione, di guida in città, e dal momento in cui il motore raggiungeva la sua temperatura ottimale di funzionamento, veniva fatta la misurazione. Con l’arrivo dell’Euro 3 si inizierà ad “insaccare” i gas (i sacchi poi vengono pesati) e misurare a motore freddo e al ciclo urbano verrà aggiunto un percorso extraurbano. Il primo minuto circa a motore freddo, il light off, è quello micidiale in cui tutti i motori inquinano oltremodo e per questo nel resto del ciclo dovranno essere molto più puliti di quanto non lo siano oggi. Ora, per ridurre le emissioni si devono adottare alcune soluzioni tecniche come l’iniezione elettronica, iniezione allo scarico, catalizzatore, sonda lambda, ecc. Accessori, questi, che seppur a fatica possono trovare posto nel poco spazio a disposizione di un vicolo a due ruote. Ma il pacchetto antinquinamento non si ferma all’Euro 3. Ci sarà molto di più nel prossimo futuro e le cose potrebbero complicarsi. Il passo successivo sarà l’omologazione a livello mondiale WMTC che sostituituirà l’Euro 3. Per le case motociclistiche sarà un vantaggio perché con l’introduzione del protocollo mondiale potranno omologare le moto una volta sola per tutti i Paesi. Il lavoro da fare, però, sarà più complesso. Faranno la loro apparizione, tra le altre, restrizioni per quanto riguarda i vapori di benzina (EVAP) e la tenuta del catalizzatore nel tempo (Durability). Nel primo caso si tratterà di raccogliere i vapori di benzina (causati per esempio da una moto ferma sotto il sole) dentro un contenitore (canister), una specie di borraccia con carboni attivi che sulle auto è presente già dal 1992. Nel secondo caso si tratterà di rendere i motori e la catalizzazione efficiente nel tempo attraverso varie tecnologie con in testa la sonda lambda che monitorizza e ottimizza la quantità di benzina e aria in camera di combustione. Tutto si può fare ma il rischio che si corre è di appesantire e imbruttire il veicolo. Dove mettere il canister? Appeso a fianco al serbatoio, sul manubrio? E quanto costerà una moto catalizzata come un’auto? I costruttori, ovviamente, dicono la loro. Si sono costituiti in un’associazione per far sentire la loro voce (ACEM Associazione dei Costruttori Motociclistici presenti in Europa), anche se non tutti sono rappresentati perché non tutti hanno la forza economica e politica per partecipare (mancano tra le altre Aprilia, Moto Guzzi, MV Agusta, Gas Gas), e spesso non tutti cantano la stessa canzone. Questo accade perché, a differenza delle auto che sono molto simili tra loro, le moto hanno specificità diverse ed è questa specificità che va tutelata. BMW costruisce moto da viaggio, i giapponesi di tutti i tipi ma soprattutto sportive, gli europei, gli italiani in particolare (l’italia è l’unico paese d’Europa ad avere un’industria motociclistica completa: da Piaggio a Husqvarna passando per Ducati) dagli scooter alle moto da corsa per il cross. Come possono gli spagnoli della GAS GAS, primo costruttore al mondo di moto da trial, dover omologare nello stesso modo di BMW? Una moto da trial consuma un litro di miscela ogni ora e mezza e la media di utilizzo è di 20 ore all’anno, una BMW brucia la stessa quantità in mezza giornata. Uno dei due deve morire, perché la standardizzazione se è possibile per quanto riguarda le regole contro le emissioni, non lo è nella progettazione dei veicoli che è ciò che ha reso vivace l’industria motociclistica e ha fatto si che nascessero nuovi costruttori. Mentre le Case automobilistiche chiudono o si accorpano, quelle delle moto crescono, si specializzano. Si discute in questi giorni su deroghe ed eccezioni per scongiurare la chiusura delle piccole ma numerose realtà industriali.

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CARMELO BONGIOVANNI La jetmobile di Lex Luter da Superman di Siegel e Shuster. Sotto ancora una vignetta di B.C.

P

LAMACCHINA IMBOTTITA

er quasi cent’anni l’automobile è stata considerata un mezzo meccanico. Anzi, il mezzo meccanico per eccellenza. Poi, all’inizio degli anni Settanta, nelle sigle che identificavano alcuni modelli, perlopiù quelli di fascia alta, si è affacciata la parola “elettronica”, allora quasi esclusivamente a supporto e controllo di un più moderno dispositivo di alimentazione del motore, alternativo al carburatore, che rimaneva, tuttavia, ancora di tipo meccanico: l’iniezione. Da quel dì, con una lentezza superiore a molti altri settori tecnologici, l’elettronica si è impadronita dell’automobile. E’ nel 1978 che compie il passo più

ridurre drasticamente gli incidenti. Il fronte principale su cui l’industria elettronica e quella dell’auto sono impegnate, infatti, è proprio quello della sicurezza: ESP (Electronic Stability Program), TCS (Traction Control System), EBD (Electronic Brake Distribution), ACC (Adaptive Cruise Control) e PPS (Predictive Safety Systems) sono soltanto alcune delle sigle più diffuse che troviamo negli equipaggiamenti di sicurezza dei modelli della recente produzione automobilistica di serie. Oggi il progetto di una vettura prevede una vera e propria architettura elettronica, in grado di gestire la maggior parte delle funzioni in modo integrato. “Tutte le informazioni che circolano all’interno di una vettura – spiega l’ingegner Enzo Santangelo della filiale italiana della Bosch – vengono gestite da una vera e propria rete dati. In Italia è stata la Fiat Punto nel 1999 a usufruire per prima di questo tipo di sviluppo; ma soprattutto un anno dopo con la Thesis, dotata di ben sessanta centraline, si è realizzato davvero il momento in cui l’elettronica non veniva più usata per gestire i singoli dispositivi ma era impiegata per trasportare tutti i segnali all’interno della vettura”. Una svolta epocale, capace di rendere le automobili più sicure, ma anche più confortevoli, con costi così ragionevoli da poter coinvolgere ampi segmenti della produzione. E, contrariamente a quanto si possa pensare, con livelli di affidabilità sempre più elevati. L’elettronica, infatti, semplifica ciò che altrimenti sarebbe molto più complicato realiz-

Era un mezzo meccanico ed è diventata un oggetto hi tech. La tanta elettronica imbarcata sui modelli dei nostri giorni serve e non serve. La più utile è quella destinata alla sicurezza importante, soprattutto per ciò che attiene la sicurezza. In quell’anno nasce il primo ABS, il rivoluzionario sistema antibloccaggio della frenata della Bosch, che oggi ha superato abbondantemente la soglia dei 100 milioni di pezzi prodotti nel mondo. Insomma, “non può esistere nessuna innovazione senza l’elettronica”, recitava uno slogan pubblicitario della Casa tedesca, proprio in quegli anni. Vero: il tempo lo ha confermato e gli anni a venire non potranno che ribadirlo sempre più. Sull’elettronica, non a caso, la Commissione Europea punta per raggiungere l’ambizioso obiettivo di dimezzare entro il 2010 il numero delle vittime sulla strada, quindi di

zare e gestire. “La digitalizzazione di un segnale – prosegue Santangelo – consente oggi di collegare un proiettore anteriore con un unico cavo, anziché avere sei collegamenti per le tre lampade che svolgono le altrettante funzioni di illuminazione previste dal codice. Semmai il tallone d’Achille dell’elettronica può essere dovuto al tempo di sviluppo di un’auto che, se troppo compresso, toglie spazio a una corretta fase di test. Questo può dare qualche problema soprattutto nella messa a punto dei software. Per ciò che riguarda i componenti, invece, non essendoci usura, il fenomeno che regola l’elettronica è quello definito della morte infantile: se una centralina, ad esempio, non dà problemi nei primi istanti di vita, andrà avanti a svolgere la sua funzione pressoché a tempo indeterminato”. Ma la semplificazione dovuta a un impiego sempre più massiccio dell’elettronica non sempre coincide con la semplicità di utilizzo, da parte dell’automobilista, di dispositivi che offrono una molteplicità di funzioni nell’ambito delle informazioni e dell’intrattenimento a bordo. L’infotainment, per dirla con un neologismo anglosassone, che integra sistemi audio-video con navigatore satellitare, telefono, computer di bordo e altro ancora, a volte risulta un po’ difficile da gestire, soprattutto da parte di chi non appartiene alle generazioni nate sotto il segno del computer. E’ capitato, pertanto, che la clientela di una grande berlina di lusso, quale la Serie 7 della Bmw, rimanesse un po’ disorientata di fronte all’innovativo “iDrive”, il sistema di bordo che il costruttore tedesco ha dotato di un comando a joystick, posizionato al centro della plancia. “Questo si spiega con il forte contenuto innovativo del nostro iDrive – sottolinea Toffanin, della Comunicazione di Bmw Italia – che al primo approccio poteva creare qualche perplessità. Certo, la presenza di dispositivi elettronici sempre più polifunzionali richiede da parte nostra un impegno maggiore nella fase di progettazione perché siano, oltre che affidabili, anche facilmente fruibili”. Teoria pienamente sposata anche da Jaguar. Come ci racconta Alberto Di Filippo, direttore post vendita di Jaguar Italia, “già da un decennio le nostre vetture sono entrate nella piena era elettronica. In particolare, è stato con la XK che si è compiuta la grande svolta in questa direzione. E da quella nostra fase iniziale l’ orientamento è sempre stato rivolto a una semplificazione di utilizzo, quasi eccessiva. Un esempio può essere quello del nostro primo navigatore satellitare montato in serie, dotato soltanto di quattro pulsanti di comando e con un’ interfaccia molto semplice”. Entrata nel suo secondo secolo di vita, quindi, l’automobile si appresta a diventare sempre più un prodotto elettronico. Dietro l’angolo si intravedono già nuovi sistemi di guida “intelligenti”, grazie ai quali l’automobile potrà adattare la velocità di crociera rilevando tutto ciò che le si muove attorno e non più soltanto, come accade oggi, calcolando la distanza degli altri veicoli che la precedono. Ma l’elettronica migliorerà anche le prestazioni dei motori, con l’obiettivo di renderli meno inquinanti.

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Corolla M-MT.

*Corolla M-MT 3 porte. Chiavi in mano (I.P.T. esclusa).

Consumi ciclo combinato 20,8 km/l. Emissioni CO 2 126 g/km.

Aumenta il divertimento, riduce i consumi.

Il diesel 1.4 Common Rail da 90 CV EURO 4 con cambio robotizzato M-MT di serie.

Oltre 23 km con 1 litro**.

C o r o l l a M - M T, 3 o 5 p o r t e e S W, h a u n m o t o r e d i e s e l c o m p a t t o m a p o t e n t e e i n t e r a m e n t e

**Consumo ciclo extraurbano.

in alluminio, progettato insieme al cambio robotizzato M-MT con due modalità di guida, sequenziale e automatica. Il cambio, più fluido e reattivo, e il motore, più leggero ed economico, offrono il massimo divertimento e prestazioni d i c l a s s e s u p e r i o r e c o n i c o n s u m i e l e e m i s s i o n i d i u n a c i t y c a r.

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MASSIMO TIBERI

“H

CINQUANT’ANNI DIFUTUROFA

a tutti i caratteri di uno di quegli oggetti discesi da un altro universo che hanno alimentato la nostra fantascienza: la Déesse è da principio un nuovo Nautilus”. Così Roland Barthes parla della Citroen DS 19, appena presentata al Salone di Parigi del 1955, giusto cinquant’anni fa, e tanto rivoluzionaria da lasciare sconcertato un pubblico abituato a vetture stilisticamente ben più conformiste e tecnicamente convenzionali. Ma subito dopo che, per dirla sempre con Barthes, “il meraviglioso visivo ha subito l’assalto raziocinante del tatto”, saranno addirittura 12 mila gli ordini raccolti nel solo primo giorno di apertura della manifestazione del Grand Palais e, alla sua chiusura, il termine di consegna dichiarato ai già fanatici aspiranti clienti, da concessionari presi un po’ alla sprovvista, sarà di oltre 15 mesi. Del resto la “dea” (felice gioco di parole con la sigla) ha davvero poco in comune, sia nell’estetica che nei contenuti, con le dirette concorrenti dell’epoca che fa invecchiare di colpo: dalle Fiat 1.400-1.900 alle connazionali Renault Fregate e Peugeot 403, dalle Ford Zephyr alle Opel Olympia Rekord , fino a modelli dal nobile blasone e comunque di alto profilo tecnico, come le Mercedes 180 o le Alfa Romeo 1.900 e Lancia Aurelia. Oggi si parla tanto di progresso tecnologico accelerato, ma è praticamente impossibile trovare un’auto che stacchi le altre di molte lunghezze, fissando parametri che le rivali potranno raggiungere solo dopo decenni. La DS, d’altra parte, è il parto di uno straordinario pool di tecnici la cui creatività viene lasciata libera di esprimersi grazie alla intelligenza e lungimiranza di manager di prim’ordine, eredi del fondatore André Citroen e amanti delle scelte coraggiose, come Pierre Boulanger e poi Robert Poiseaux. Il progetto, coordinato da André Lefebvre ingegnere aeronautico passato alle quattro ruote, è una sorta di laboratorio sperimentale che diventa realtà. A partire dalla trazione anteriore, schema di assoluta avanguardia all’inizio degli anni Cinquanta, ma in fondo già ampiamente metabolizzato dalla casa di Quai de Javel in continuità con le cosiddette, appunto, “Traction”, prodotte dal 1934 fino all’avvento della nuova erede. Autentiche cose da un altro mondo, invece, sono le soluzioni scelte per sospensioni, sterzo, cambio e freni. Quando ancora sono normali le balestre e i tamburi, le frizioni e i volanti che si usano a forza di muscoli, la nuova berlina francese mette in campo un incredibile apparato idraulico, frutto del lavoro del geniale tecnico Paul Magès, che gestisce l’assistenza ai freni Betty Boop di Max Fleischer (a disco anteriori), il servosterzo, il cambio see La Linea di Osvaldo Cavandoli miautomatico (il pedale della frizione non c’è

più), mentre il comfort è garantito da quattro sfere, contenenti olio speciale e azoto in pressione, che sostituiscono molle e ammortizzatori. A deludere un po’, in tanta inedita raffinatezza, sono la mancanza di sincronizzazione della prima marcia e il motore, un quattro cilindri 1.900 da appena 75 Cv, aggiornamento del già noto delle precedenti Traction, preferito al previsto sei cilindri contrapposti, progettato dall’italiano Walter Becchia, accantonato per i costi di produzione eccessivi assieme ad altri congegni avveniristici che arriveranno solo ai giorni nostri, come i fari girevoli o un primo surrogato dell’ABS. Le prestazioni non sono dunque prerogativa della DS 19 (si toccano i 140 per la buona aerodinamica della carrozzeria, ma la ripresa è fiacca), che però non conosce avversarie

Il Nautilus di Barthes, la Citroen Ds presentata nell’ottobre del 1955 a Parigi. La tecnologia e la fantasia allora al potere, quando non si parlava di consumi e di inquinamento

quanto a comportamento su strada. Le curve diventano rettilinei, le buche non si sentono e gli spazi di arresto sono migliori di qualsiasi sportiva contemporanea, mentre agendo su un comando sotto la plancia si può variare a piacimento l’altezza da terra della vettura, per affrontare terreni difficili o perfino per cambiare una gomma senza usare il tradizionale martinetto. E bisogna abituarsi ad una infinità di stranezze (per l’accensione si deve tirare la levetta del cambio davanti al cruscotto, il freno a mano è…a pedale e quello a pedale una specie di pulsante fissato al pavimento, la ruota di scorta è nel vano anteriore e via dicendo), ma una volta presa confidenza con la nuova Citroen tutte le altre auto sembrano roba da mandare al museo. D’altra parte, anche chi non ha la fortuna di mettersi al volante di una DS, non può fare a meno di lasciarsi coinvolgere dalla sua immagine unica, dalle sue linee che ricordano le astronavi dei fumetti: la carreggiata anteriore più larga della posteriore, il muso affusolato, i coni sfuggenti degli indicatori di direzione posteriori, sembrano proiettarla in avanti anche da ferma. E’ la prova d’artista di Flaminio Bertoni, scultore arrivato a Parigi dal Lago Maggiore in cerca di fortuna (sue anche la Traction, la 2 CV e la Ami 6), che ha travolto qualsiasi conformismo delineando le forme di una grande berlina quattro porte futuristica non soltanto nei tratti esterni. Lunga 4,80 metri, con un passo superiore ai 3 metri e un bagaglio enorme, la vettura dentro è un autentico salotto e lascia a bocca aperta sia per il disegno e la disposizione dei comandi (si riveleranno molto razionali dopo la iniziale diffidenza) che per l’uso di materiali innovativi, come la plastica destinata al tetto e a molte componenti interne o l’alluminio impiegato per i cofani anteriore e posteriore. Al lancio della DS, insomma, le lancette del progresso automobilistico si spostano decisamente in avanti e, anche se non mancano nei primi tempi problemi di affidabilità, il modello vive una lunga stagione di successi e la gamma si estenderà e aggiornerà progressivamente. Arriveranno così la variante semplificata ID e le lussuose Pallas, le break e familiari dalla capacità di carico eccezionale (si trasformeranno addirittura in ambulanza), le coupè e cabriolet (fantastiche quelle carrozzate da Henry Chapron), le corsaiole (due vittorie al Rally di Montecarlo), le presidenziali di De Gaulle, mentre nel frattempo il motore conoscerà robuste cure ricostituenti, fino all’ultima evoluzione di 2.300 cc con iniezione elettronica e 141 Cv di potenza per 190 all’ora. Quando l’ultima DS andrà in pensione dopo ben vent’anni di vita del modello, nel 1975, la produzione si fermerà a quota 1.446.000 unità.

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Mafalda di Quino e Sam di Walker e Dumas

MACCH

A

utomobili temute o desiderate, auto di lusso, auto da sogno, auto scassate… Ne inseguiamo alcune fra le pagine dei romanzi che ci portano in Francia, Ungheria, Nigeria, Palestina… Ford Escort, Limousine, segreti di stato e artigli di velluto, sono gli ingredienti di Trasparenze, di Ayerdhal (Ponte alle Grazie), thriller psicologico a sfondo politico di marca francese. La scena si apre sul delitto di due adolescenti, uccisi sul lago Neusiedl, in Ungheria. La loro auto è scomparsa, si cerca una ragazza il cui viso non rimane mai impresso nelle fotografie. La protagonista di un intreccio battente, che ha per tema le maschere del potere, è una giustiziera alla Kill Bill, una ex- bambina abusata, che si mette a caccia dei suoi torturatori. Usa lame micidiali e mosse di aikido, e riesce a confondere i sensi degli inseguitori. Lascia dietro sé una scia di cadaveri, predatrice trasparente “come la miseria sulla quale alcuni s’ingrassano” e che poi ignorano. Ma i veri assassini – dirà la giustiziera in un confronto drammatico col poliziotto che la insegue - sono i signori della guerra e del profitto: quelli che “causano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, aggiungerà in un fiotto di vetero-marxismo. E accuserà il detective (di cui – ca va san dire – subisce il fascino), di aver scelto di combatterla perché non ha il coraggio di affrontare quelli che hanno ridotto in quel modo lei e “centinaia di milioni di altri sacrificati”. E il poliziotto, preso in contropiede dalla killer per tutta la durata del romanzo, arranca sulla sua Ford Escort, “violentando se stesso per sostenere i 160 di media”. Non vuole essere seminato, ma sa di non essere un mago del

volante, né un doppiogiochista come quelli che lo tallonano, lo spiano e lo depistano… Riuscirà a scoprire “l’anello mancante” fra la barbarie e l’umanità? “8.000 morti l’anno, centinaia di migliaia di feriti, una fiorente industria della sedia a rotelle…dice il protagonista di un racconto di Didier Daeninckx, autore della raccolta Di contrabbando (Donzelli). Eppure, giocare a sfidare la morte a 180 all’ora nella nebbia, per molti “è una prodezza” e non un rischio. E così le automobili rombano fra le atmosfere cupe e claustrofobiche di queste venti “storie vere, completamente inventate”. Raccontano i mali del presente e corrono all’indietro, sgommando sulla storia dimenticata, seguendo il “noir sociale”dello scrittore transalpino. “Il pericolo sono gli altri” – un racconto breve e incisivo - vede in azione un uomo ansioso, che non ha una macchina né un fazzoletto di terra, eppure teme ogni genere di aggressioni, dappertutto incrocia pit-bull

travestiti da barboncini. “L’obitorio del primario” è la storia di una persecuzione sul luogo di lavoro che ha per protagonista una ragazza e un delegato. Mentre lei racconta le angherie subite dal dirigente di un ospedale, lui “si aggrappa al volante” della sua carretta per non cedere al fascino della sua voce, alla “sinuosità della striscia bianca” che s’individua tra le cosce… “Scasso cash” narra invece l’amicizia fra due rapinatori, uno dei quali – il Gentlement - finito male. L’altro, allora, ne ricorda la genialità e le stravaganze, e le pose da signore. La Ferrari Testarossa o l’Audi S8? Auto “da poveracci”, secondo il Gentlement . Impossibile, con lui, andare “in una limousine da meno di un milione di franchi”, E anche la morte, infine, sembrerà rientrare nel suo stile… Anche Francis, protagonista del romanzo Sogni infranti, del nigeriano Uchenna Benneth Emenike (Jaca Book), desidera un’automobile da ricchi. Francis è venuto a Roma in cerca di

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l e euro 8,00 GANAIAN “THE THOMAS SANKARA CD” Appassionato tributo alla figura del Presidente ribelle del Burkina Faso Thomas Sankara assassinato dai suoi avversari politici nel 1987. I discorsi di denuncia incentrati sullo sfruttamento dei popoli, sono campionati e posti su basi musicali etniche ed elettroniche che ne accentuano la forza sociale. Eugenio Finardi offre un' intensa interpretazione nell'unica reale "canzone" del cd.

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I cd sono in vendita presso le librerie La Feltrinelli, RicordiMediastores, il libraccio e Melbookstore. Per informazioni su altri punti vendita e per acquistare con carta di

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MAURIZIO CARBONE “MADRE TERRA” Un racconto fatto di relazioni e luoghi, di saperi e memorie, trasmesso attraverso tamburi, voci, corde e flauti. Un viaggio circolare dentro e attorno nostra madre: la Terra. In questo album, che attraversa diverse culture musicali, Maurizio Carbone incontra e ospita musicisti come Dom Um Romao, Garrison Fewell, Marcello Colasurdo, Marzuk Mejri e altri

euro 8,00

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ACUSTIMANTICO “DISCO NUMERO 4” Il quarto album degli Acustimantico presenta 11 brani selezionati dal loro nutrito repertorio ed eseguiti dal vivo Nei loro suoni confluiscono insieme musica d-autore, jazz, pop, folk arrangiati ed interpretati con personale classe, un-originalit’ che sa essere ancor pitù ravolgente quando è su palco. Una rivelazione per molti, una conferma per chi li segue da tempo. Ospiti del cd Andrea Satta (Têtes de Bois) e Piero Brega.

credito telefonare ai numeri: 06/68719622 - 68719687. Per ricevere i cd aggiungere al prezzo 2,00 euro di spese postali (fino a 3 cd) e versare l’importo sul c.c.p. n. 708016

ARDECORE “ARDECORE” Ardecore sono il cantante folk blues Giampaolo Felici insieme al leader degli statunitensi Karate Geoff Farina e la band romana Zu. Le diverse esperienze musicali si sublimano nella canzone romana, i famosi stornelli con i loro racconti di amori e coltelli, malavita e romanticismo. Fedeli alle originali, queste versioni non disdegnano un approccio noir, figlio di Nick Cave e Tom Waits.

intestato a il manifesto coop. ed. - via Tomacelli, 146 - 00186 Roma, specificando la causale. Distributore per i negozi di dischi Goodfellas tel. 06/2148651 - 21700139


GERALDINA COLOTTI

HINECHEIMPARANO ALEGGERE

fortuna. Tra piccoli traffici e lavori irregolari, ha risparmiato abbastanza per comprarsi un’Alfa Romeo di 14 anni. Più tardi, forse, coi soldi che continua a inviare a un amico in Germania, potrà importare una Mercedes Benz 230 E. Allora anche lui tornerà in Nigeria con una Tokunbo (così chiamano le automobili importate dall’Europa), simbolo della ricchezza raggiunta all’estero. Non che sia ricco Francis, ma qualche piccolo affare l’ha azzeccato. Ci ha pen-

sato Marco, l’amico italiano che sa riscuotere i debiti con la pistola. Nessuno di quelli che hanno lasciato Lagos “in cerca di pascoli più rigogliosi” ha però raccontato la condizione reale in cui vivono all’estero gli immigrati. Le Tokunbo con cui tornano, sono spesso le uniche cose che possiedono, con cui sfileranno su autostrade piene di buchi, o vaste aree di terra desolata. Su quelle terre – pensa ora Francis - , lo scrittore attivista Ken Saro Wiwa – impiccato dal potere - ha speso fino all’ultimo la sua vita: per difendere i diritti degli Ogoni, sfruttati dalle compagnie petrolifere. Lui, però, dalle sue parti non potrà tornare così presto: perché non si è accorto in tempo del colpo basso che stava per riservargli il destino… La sua storia, Francis, la sta ora scrivendo dalla cella di una prigione italiana… Anche se i personaggi della storia – precisa l’autore – sono di fantasia, Sogni infranti è comunque un romanzo dai tratti autobiografici. Il suo autore, classe 1969, è in carcere per traffico di stupefacenti, una vicenda in cui è rimasto coinvolto nel ’92. E in una cella di Rebibbia ha preso corpo questo romanzo autentico e immediato che accompagna il lettore fra le pieghe di un’altra metropoli: quella di prostitute e palazzoni, piccoli traffici e labili solidarietà. Nei i parcheggi di Torre Angela o Tor Bella Monaca, fra le case grigie e scrostate come le code dei cani randagi, si vede ancora qualche Mercedes Benz o un’Alfa Romeo che ha superato i 14 anni. Un drammatico rastrellamento, l’isolamento della comunità da parte dell’occupante, e poi l’annuncio dell’accordo di pace che consegna il villaggio all’Autorità palestinese, sono gli elementi del nuovo romanzo di Sayed Kashua, E fu mattina, edito da Guanda come il precedente Arabi danzanti. Nel villaggio palestinese, arriva l’eco degli spari. Varie raffiche, forse sparate in aria per festeggiare un matrimonio, forse dai soldati, a Tulkarem o a Kalkalia, a pochi chilometri di distanza. E’ mezzanotte, ma i motori delle automobili continuano a rombare, i ragazzi del posto sfrecciano, spingono sul-

l’acceleratore, incuranti dei dossi che, davanti alle case, dovrebbero obbligarli a rallentare. Un carosello a cui si aggiungono le volanti delle guardie di confine, venute a compiere retate notturne. Obiettivo, i manovali che dormono nei magazzini o nei cantieri. Vengono da Cisgiordania e Gaza, e adesso sono considerati manodopera illegale. Devono avere qualcuno con passaporto arabo che faccia da garante per recarsi al lavoro in Israele. Così, hanno fatto la fortuna dei piccoli imprenditori locali, che ogni giorno li accompagnano ai posti di blocco, nell’ingorgo del traffico locale. Ma quel giorno, l’esercito chiude il villaggio, lo isola, spara sugli operai… Anche questa volta,

Non si guida leggendo, però però... tra Ford Escort, Testarossa e limousine, tenere la media a 160 chilometri all’ora o a 180? Fare il pieno di libri e mettersi in viaggio

protagonista della storia è un arabo d’Israele, un giornalista, tornato sconfitto nella comunità d’origine. Dopo la seconda intifada, ha perso il posto di cronista in una grande testata israeliana. Nonostante l’operazione di mimetismo che lo ha portato a disconoscere quasi completamente i suoi, è stato estromesso da ogni incarico. Ricacciato indietro. Cittadino di seconda classe. Una condizione a cui, nonostante gli sforzi, non aveva mai smesso di appartenere. Una condizione insopportabile quanto i discorsi rassegnati del padre comunista o quelli accesi del fratello. Insopportabile come la vista della Bmw, guidata da un ex-compagno di scuola, che si affianca alla sua vecchia auto… Insopportabile come quei bambini piccoli, “tutti sporchi” che “circondano le macchine ferme” al posto di blocco, cercano di vendere fazzolettini o caramelle. Insopportabile come l’umiliazione di fronte al benessere ostentato da alcuni prepotenti locali. Il trentunenne Kashua, che vive in un villaggio palestinese a sud di Gerusalemme, torna così a descrivere la situazione ambigua degli arabi d’Israele, e scruta gli occhi che, dopo la firma dell’accordo di pace, esultano o s’abbassano al passaggio della jeep verde che reca il simbolo della bandiera palestinese.

autocritica • il manifesto • [27]


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