autocritica dicembre 2008

Page 1

TOYOTA

autocritica

TOYOTA

Crollano mercati e occupazione, un domani da brivido. Cambia (forse) l’automobile, ecco una traccia fra memoria e futuro

Dicembre 2008

labolla amotore Supplemento al numero odierno de


IN QUESTO NUMERO [5]

il bel mondo di simon di Silvia Baruffaldi

[8/9]

Chef ab

la california DI mr. joe di Luca Celada Il cuore d’oro di neil Young di Emanuela Di Pasqua

[11]

la scommessa della fia di Loris Campetti

[14/15]

ciao mercato il lusso della crisi di Carmelo Bongiovanni dacia delle mie brame di Francesco Paternò

[17]

e io ti vendevo il denaro di Francesco Calvo

[19]

sono tutte al verde di Angelo Vittorini

[21]

dategli una scossa di Flaviano De Luca

[23]

auto, purché noir di Geraldina Colotti

il manifesto

Via A. Bargoni, 8 00153 Roma tel. 06687191 www.ilmanifesto.it

direttore responsabile Sandro Medici direttori Mariuccia Ciotta Gabriele Polo supplemento a cura di Francesco Paternò progetto grafico e impaginazione ab&c grafica e multimedia Via A. Bargoni, 8 00153 Roma tel.0668308613 - www.ab-c.it

immagine di copertina di Maurizio Ribichini www.maurizioribichini.it e-mail: maurizioribichini@libero.it

pubblicità poster srl Via A. Bargoni, 78 00153 Roma tel.0668896911 www.poster-pr.it

stampa Sigraf srl Via Redipuglia 77, Treviglio [BG] tel. 0363300330

chiuso in redazione: 27 novembre 2008

autocritica • il manifesto • [2]

Macchine di carta e derivati

S

ui blog americani la cosa che sembra più inquietare è che la fine dell’industria dell’auto locale possa drammaticamente coincidere con la fine dell’era Bush. Un incubo, che la dice lunga sulla popolarità del presidente uscente. Barack Obama probabilmente salverà il salvabile di Detroit e dintorni con denaro fresco e un po’ di protezionismo, ma è chiaro che qualcosa si è rotto nel giocattolo a quattro ruote. E non è detto che il qualcos’altro che verrà nasca oltreoceano, come è più o meno avvenuto negli ultimi cent’anni. La grande crisi economica continua a spazzare via certezze, dopo che l’impossibile è avvenuto. La recessione renderà il 2009 peggiore del 2008, con un mercato nordamericano che potrebbe scendere a circa 12 milioni di auto vendute, dai circa 16 del 2007. Dicono che sembra il ‘29, ma in quei lontani giorni di ottobre in cui Wall Street affondava, l’auto americana stava ancora bene, al contrario di oggi. Henry Ford aveva appena chiuso la linea della sua T per passare alla A. Alfred Sloan jr, presidente della General Motors, annunciava che «la situazione commerciale è solida», mentre la Ford abbassava i prezzi delle sue vetture, «il miglior contributo che si possa dare per garantire la continuazione di una buona attività». L’auto insomma non si suicidò e anzi l’ondata di suicidi nel paese «fa parte della leggenda del 1929, in realtà non ci fu», ricorda John Kenneth Galbraith nel suo celebre libro “Il grande crollo”. Oggi la Gm e la Chrysler viaggiano sul ciglio del precipizio, la Ford mezzo centimetro dietro. E le leggende non finiscono mai. Ai primi di ottobre, cioè sessanta giorni fa, un trafiletto uscito su alcuni giornali informava che sotto il Golden Gate di San Francisco le autorità avevano messo una rete. Un’altra guerra preventiva: questa volta ai suicidi che – come nel ‘29 - non ci sono stati. *** L’auto americana ci ha però provato. La General Motors, la Ford e la Chrysler hanno at-

Macchine di carta. Da ritagliare, incastrare, piegare, incollare. Sono fatte così le immagini principali che abbiamo scelto per illustrare questo supplemento, tanto per dare un altro segno tangibile di che cosa significhi crisi nel settore dell’automobile. Del resto, tutto è cominciato con una crisi di carta, quella dei derivati. E in fondo oggi anche l’auto assomiglia molto a un derivato. Derivati sono dei prodotti (finanziari) il cui valore deriva da qualcosa che però non si conosce più. L’auto resta economia reale e non carta straccia, ma che sia in qualche modo alla deriva è fuori di dubbio. Se poi si mettono insieme i tre o quattro veri avvenimenti del 2008, automobilisticamente parlando, si vedrà che anche qui – come per la finanza - è successo l’impensabile: 1) una forte protesta contadina ha costretto la Tata a spostare la produzione della sua Nano low cost in un altro stato dell’India, dopo che la fabbrica era stata già costruita all’80 per cento; 2) la Gm ha messo in vendita il marchio Hummer, il simbolo dei Suv, ma in sei mesi nessuno l’ha ancora comprato; 3) la Porsche ha preso il volante della Volkswagen, nonostante un conflitto di interessi secondo solo a quello di Silvio Berlusconi; 4) la Toyota ha annunciato utili in picchiata e sta per chiudere l’anno in rosso in Europa; 5) i marchi inglesi Jaguar e Land Rover sono stati acquisiti dal gruppo Tata, cioè India, ex colonia di Sua Maestà. C’è dell’altro naturalmente, ma per un anno bisestile può bastare. (f.p.)

traversato gli ultimi trent’anni senza seguire una stella polare diversa da quella dei profitti. Imitate in Europa e in Giappone da chi ha saputo, per le americane l’errore è stato più grave: perché proprio grazie ai maggiori ricavi derivati dal giocare in casa sul primo mercato mondiale, avrebbero potuto anticipare la rotta. Seguendo la direzione del risparmio energetico, che è diventata priorità politica come si è visto nell’ultima campagna elettorale, piuttosto che abbronzarsi ai riflessi dei Suv. Il presidente degli Stati uniti non ha nei suoi poteri la decisione della politica energetica del paese, che passa comunque dal Congresso, ma ne orienta fortemente l’indirizzo. Obama vuole aiutare Detroit non con un «assegno in bianco» pretendendo dalle tre Big una trasformazione sostanziale per una produzione sostenibile. Vuole un cambio di rotta vero e non un calcio al barattolo. Non è un caso che i Suv - gipponi-delizia per i loro alti margini e ora gipponi-croce perché consumano troppo e restano invenduti – siano nati a Detroit agli inizi degli anni Ottanta con l’avvento di Ronald Reagan (e un Suv, seppure ibrido, ce l’ha pure Obama, il Ford Escape). Sostenendo che il paese fosse ricco di risorse energetiche, il presidente repubblicano indirizzò la politica energetica del paese verso un’espansione delle trivellazioni, il prezzo del petrolio crollò (gli Usa sono il terzo produttore mondiale) e l’industria dell’auto rinverdì il mito degli 8 cilindri architettettando Suv e autocarri per tutti. Con i profitti derivati, negli anni Novanta la Gm e la Ford si scaldarono al sole o fecero shopping di altri marchi europei e giapponesi, mentre la Chrysler – salvata dalla bancarot-


FRANCESCO PATERNÒ

finefal’industria bbronzatasiaiSuv

ta alla fine dei Settanta grazie ad aiuti di stato per 1,2 miliardi di dollari firmati dal presidente democratico Jimmy Carter – diventò così profittevole che i tedeschi della Daimler se la comprarono nel 1998 (per poi disfarsene, in profondo rosso, l’anno scorso). Eppure, segnali di una inversione di tendenza non mancavano. Nel 1997, i giapponesi della Toyota presentarono la Prius, la prima auto ibrida, cioè con un motore elettrico af-

a utilizzare di più il treno, a non comprare Suv e auto potenti. E ad avviare un declino dei consumi destinato a cambiare l’auto così come l’abbiamo conosciuta, nonostante la discesa del prezzo del petrolio in queste ultime settimane abbia rinfrancato un po’ i consumatori più addicted. Non sarà questione di un giorno, ma è probabile che per capire dove va l’automobile sarà presto più utile interrogare un urbanista piuttosto che un ingegnere. Se poi si considera che un cittadino americano consuma mediamente il doppio del petrolio di un cittadino europeo – 26 barili pro capite contro 12 – e che la qualità della vita sul Vecchio continente non è molto difforme da quella d’oltreoce-

Ascesa e declino di Detroit, appesa alla politica energetica di un paese che sta cambiando. Da Reagan a Obama, fra aiuti di stato, uomini no e venti di protezionismo (Europa compresa) fiancato a quello a benzina. Negli Stati Uniti il prezzo del petrolio - che al consumo è determinato in modo diverso paese per paese in base alla fiscalità, al tasso di cambio, al margine di raffinazione ed altre voci - è aumentato dell’82% tra il 2001 e il 2007 (tra il 17 e il 20% in Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone, del 32% in Germania, fonte Oecd/ Iea). E’ dovuto arrivare a 4 dollari al gallone nella scorsa primavera perché in America la questione diventasse politica. Nel senso che la gente ha cominciato a non prendere più l’auto, a rivedere le abitudini del commuting,

ano, è evidente che Obama ha molte buone ragioni per non firmare assegni in bianco a nessuno. *** Già, e l’Europa? Sta messa abbastanza male, automobilisticamente parlando (e non solo). Anche qui l’industria ha chiesto aiuti di stato in forma di finanziamenti agevolati per ristrutturarsi in chiave più sostenibile, come le tre di Detroit. Fermo restando che l’economia reale non è fatta solo di automobili e che l’occupazione è profondamente a rischio (a partire dalle fabbriche Fiat), questa crisi

fa venire in mente un’altra epoca. Quella (o quelle) in cui aiuti governativi all’industria venivano allegramente rafforzati da politiche protezionistiche. I costruttori hanno battuto cassa alla Commissione di Bruxelles giusto il giorno dopo aver alzato alcune barriere contro la concorrenza cinese, considerati i nuovi giapponesi. Sia chiaro, barriere politicamente corrette: prima è stata approvata una normativa a favore dei pedoni sulla forma anteriore delle nuove auto (più alte e senza spigoli), adesso è in via di definizione un’altra sulla riduzione di emissioni e consumi. Tutto sacrosanto e perfino in ritardo, ma è stato un modo elegante anche per rallentare lo sbarco di prodotti cinesi, dai prezzi così concorrenziali che potrebbero mandare definitivamente in tilt i nostri produttori. I quali rischiano davvero di essere in meno all’inizio della prossima decade, causa crisi. Il che vorrebbe dire che la profezia di Gianni Agnelli - annunciata in un’altra epoca quando aiuti pubblici e protezionismo erano veramente in – è destinata a compiersi. Modernità dell’uomo? *** Siccome è quasi sempre anche una questione di uomini, bisogna dirla tutta. Torniamo in America, epicentro della crisi. Lì a capo di Gm c’è Rick Wagoner dal giugno del 2000. E’ misteriosamente il più longevo dei number one (è uno special one), benché abbia portato il suo gruppo a un passo dalla fine. Ovvio che abbia fatto molto errori capitali. Uno lo ha ammesso, quando racconta di aver chiuso il progetto di auto elettrica Ev su cui pure la Gm era partita prima degli altri, un altro è

ricordato soprattutto in Italia (e tra gli azionisti di Gm) per il costoso divorzio dalla Fiat. Uno trascurato dalle cronache è, secondo noi, la nomina di Bob Lutz a numero due nel settembre del 2001. Lutz è un signore ultrasettantenne che è una forza della natura. Ex pilota, massima competenza nell’auto dalla Ford, alla Chrysler, alla Bmw, è stato per Gm il car guy (come dicono gli americani), sbagliato al momento sbagliato. La crisi – benché in sonno - necessitava non di un manager appassionato di auto o forse bravo nel tagliare i costi, ma di un cambiamento radicale e culturale, cosa che in genere non si fa con un uomo del passato. Ma è un novantunenne a rappresentare oggi il paradosso massimo della crisi dell’auto americana. Si chiama Kirk Kerkorian, è di origine armena, è considerato uno dei più grandi raider della finanza mondiale. Ha fatto soldi a palate ovunque si sia posato, prediligendo due rami: il gioco d’azzardo e l’automobile. Nell’estate del 2006, da azionista importante di Gm, provò a far fuori Wagoner aprendo la portiera a Carlos Ghosn, pilota del gruppo Renault-Nissan. A Ghosn fece intravedere la possibilità di governare un’alleanza tri-continentale, promuovendone l’ingresso azionario nella Gm. Ma il consiglio di amministrazione del gruppo americano fece muro e Kerkorian vendette le sue azioni. Nel 2007, il raider fece una mega offerta ai tedeschi di Daimler per rilevare la Chrysler ma (per sua fortuna) gli fu preferito un fondo di private equity, Cerberus, oggi nei guai avendo fatto un investimento sbagliato nel momento sbagliato. Prima dell’estate scorsa, Kerkorian ha aumentato la sua quota nel gruppo Ford salvo pentirsene all’inizio dell’autunno vedendo il baratro, tant’è che sta dismettendo azioni dell’ovale blu in vista di una uscita totale che sia la meno sanguinosa possibile. Kerkorian sta tornando al suo primo amore, preferendo puntare soldi su Las Vegas piuttosto che su Detroit. Morale: oggi il gioco d’azzardo è meno rischioso di un’automobile impazzita.

autocritica • il manifesto • [3]



Silvia Baruffaldi

di

N Cosmic Motors su You Tube Per disegnare Daniel Simon usa una biro, alcuni marker in diversi toni di grigio e un aerografo digitale. «Niente colore, perché distoglie troppo l’attenzione dal concetto». Appena tracciate le prime forme di un veicolo, gli dà subito un nome. I Cosmic Motors nascono così, con un’identità e un contesto che ne racconta la storia. Frutto di un minuzioso lavoro di modellazione virtuale che dà loro vita mediante immagini tanto perfette da sembrare reali. Non a caso, Simon è anche un appassionato fotografo. Per vederlo all’opera, è disponibile su YouTube il filmato Cosmic Motors. Energia pura, colonna sonora dei Linkin Park. (s.b.)

Ilbel mondo Simon

on c’è futuro se si pongono limiti all’immaginazione. Parola di concept designer, uno che di mestiere inventa mondi affascinanti e inattesi, universi paralleli in cui i veicoli sono astronavi con ali e ruote, guidate da donne pilota cibernetiche e bellissime. Troppo fantascientifico? No, per Daniel Simon è solo un modo per guardare oltre, partendo dalla realtà modificata con ironia per arrivare a scenari in cui nulla è dato per scontato. D’altronde, in un periodo in cui ogni giorno crollano delle certezze (avreste mai immaginato che potesse fallire la Lehman Brothers?) è meglio iniziare a ampliare il proprio angolo visuale. L’approccio di Simon è in realtà molto ragionato. Brillante e ironico, espone il suo lavoro in una presentazione che tiene periodicamente in giro per il mondo, come ha fatto nell’ottobre scorso nel primo seminario di design organizzato a San Paolo da Fiat Automóveis. «Viviamo in un mondo molto complesso, di cui l’auto rappresenta solo una piccola parte della nostra storia più recente», dice mostrando un grafico in cui sono situati temporalmente il Big Bang, la comparsa dell’homo sapiens circa 100.000

L’auto elettrica è già obsoleta, eppoi «l’universo sta all’auto come 50 chilometri stanno a 2 millimetri». Parola di un concept designer tedesco

anni fa e quella dell’auto, presente da appena un secolo: «L’universo sta all’auto come 50 chilometri stanno a 2 millimetri». I mezzi a motore sono dunque ad uno stadio ancora primordiale, specie se non si guarda molto, ma molto più avanti, «il futuro non è altro che lo “ieri” di dopodomani», ammonisce Simon. «In passato prefiguravano solo ciò che conoscevano, con risultati davvero bizzarri», osserva a commento di un disegno di fine Ottocento in cui un suo precursore aveva ipotizzato una barca con due motori e un ombrello, capace di muoversi sulla terra. Da quando l’architettura dell’automobile è stata impostata, però, non è poi cambiato molto. C’è sempre un volume anteriore in cui è sistemato il motore, più un abitacolo per i passeggeri e un’area per i bagagli: le silhouette di un’auto d’epoca e di una di oggi sono praticamente sovrapponibili. Non è così in altri settori. Dopo un’immagine di un antenato del moderno computer, di fatto uno scatolone pieno di congegni, ecco apparire l’i-Book: fantascienza, vero? Daniel Simon le auto normali per un po’ le ha disegnate. Si è diplomato in transportation design in Germania all’Università di Pforzheim, una delle scuole delle più prestigiose d’Europa ed ha lavorato per alcuni anni al design avanzato del gruppo Volkswagen. Di creatività ne ha letteralmente da vendere, per talento di natura e un po’ anche per la sua storia personale. E’ nato trentatré anni fa a Stralsund, nella allora Germania Est, dove ha trascorso «un’infanzia isolata, poi nel 1989 è crollato il Muro e di colpo ci siamo ritrovati esposti a una marea di prodotti per noi incredibile. Prima la scelta era limitatissima: che è comunque un modo

per imparare ad apprezzare molto le cose», ricorda oggi. Così nel 2005 lascia la Volkswagen e mette la sua creatività al servizio di aziende che hanno bisogno di concetti futuribili, come l’industria del cinema e le agenzie di grafica pubblicitaria, mentre lavora al suo primo libro illustrato, Cosmic Motors. «E’ una fuga dalla realtà», ammette ora che finalmente è pubblicato con prefazione di Syd Mead, il mitico visual designer che negli anni Ottanta e Novanta ha immaginato gli scenari di Blade Runner, Aliens, Tron e il primo Star Trek. Ma i veicoli da sogno aiutano, c’è bisogno di lavorare affinché nasca l’i-Book dell’auto, prima che sia troppo tardi. In molti luoghi le quattro ruote sono già inadeguate: «A Tokyo quasi nessun designer ha una vettura, girano tutti in metrò. Ai giovani non frega niente delle automobili, come si fa a vendergliele? In compenso, a Los Angeles senza auto sei morto». Lui lo sa bene, visto che da alcuni mesi ci si è trasferito per lavorare con l’industria di Hollywood. Lì l’auto è ancora uno status simbol, «infatti quando faccio i nomi dei personaggi con cui sto lavorando, ma mi vedono sulla mia Ford Focus, mi prendono per un millantatore...». Una mentalità del secolo scorso, che non aiuta a crescere, a pensare “fuori dalla scatola”, come dicono proprio in California. L’auto elettrica? Già obsoleta, tenete presente il carbon foot print, dice Simon: «Si sposta solo il problema dell’energia, che comunque deve essere prodotta da qualche parte». Difficile uscire dai meccanismi attuali: «Molto spesso converrebbe di più aggiornare la nostra auto usata, ma l’economia di mercato non lo consente». C’è chi decide per noi che cosa è giusto e conveniente, e che cosa non lo è: «Pensate al Segway, un mezzo di mobilità individuale con un potenziale enorme. E’ stato boicottato dai politici, facendo passare il messaggio che non fosse sicuro. Sono riusciti a classificarlo come moto, con l’obbligo del casco, e ne hanno scoraggiato l’uso in ogni modo». Forse è più facile suggerire alla gente di andare in bicicletta, ben sapendo che saranno in pochi a farlo. Secondo Simon, siamo legati al Dilemma della Forma, che si ottiene solo con tre approcci ormai antichi: moulding, milling, turning, ovvero stampare, togliere materiale e realizzare comandi da ruotare. «Ci sono così tante nuove opportunità di design offerte da tecniche innovative. Si arriverà finalmente ad avere i touch screen a bordo delle auto, ma solo grazie al fatto che sono più economici». I materiali impiegati, il peso complessivo e l’aerodinamica dovranno essere aspetti fondamentali della nuova progettazione. Con la formula “riduci, riutilizza, ricicla”, siamo già sulla buona strada. Ora si tratta di andare oltre. Presto qualche modello di serie avrà dei pannelli solari sulla superficie esterna, ma Simon guarda già alle vernici con celle solari integrate, anche se non sono ancora disponibili. E poi, perché portarsi dietro un motore in ciascun veicolo, aumentandone i costi e il peso? Meglio immaginare delle strade motorizzate cui la vettura si collega per ottenere l’energia necessaria per spostarsi: i progetti esistono già. In fondo, ci avevano già pensato i vecchi tram di San Francisco.

autocritica • il manifesto • [5]




Guglielmo Ragozzino

LaCalifornia DiMr.Joe

L

OS ANGELES Era Phoenix, o Las Vegas, o forse San Francisco, non ricordo esattamente ma l’impiegato al bancone si chiamava Joe, questo sì. Stava scritto sulla targhetta del nome sulla sua divisa da rent-a-car. «Non ci rimane molto purtroppo, c’è un sacco di gente in città questo weekend», mi spiegava, «abbiamo una Hyundai Accent o una Ford Focus a $100 al giorno, oppure se vuole c’è lo Yukon in offerta speciale a solo $55 al giorno tutto compreso». Difficile dire esattamente ora quando un Suv come il mastodontico Yukon della GMC - 2,5 tonellate di lamiera, 9 posti a sedere omologati, doppio schermo DVD e motore V8 da 4800 cc che fa 6 chilometri con un litro - sia diventato più economico di un’utilitaria senza nemmeno il lettore CD. Sicuramente c’è stato un punto specifico nella scalata del greggio al record di $150 al barile che è sintomo tangibile che qualcosa è radicalmente cambiato nell’economia automobilistica e nella psiche collettiva degli americani, traumatizzati dal prezzo della benzina pressoché raddoppiata nel giro di un anno e mezzo. Di sicuro Joe è stato un presagio ineluttabile di ciò che attendeva Detroit, l’industria che sui camion fuoristrada urbani (noti come Suv) aveva scommesso catastroficamente il proprio futuro. Fatto sta che a un certo punto questi bestioni hanno preso a intasare non solo le showroom dei concessionari ma anche i depositi degli autonoleggio che improvvisamente non riuscivano più a sbolognare le mega-vetture neanche pagando oro. Ciò che è impressionante è la velocità e la matematicità del teorema: aggiungi un dollaro al prezzo di un gallone di senza piombo (pari al 25%) e in un mese le vendite di 4x4 precipitano mentre raddoppiano i ciclisti. Aumenta la benzina di un ulteriore 30 centesimi al litro e tempo un paio di mesi, la Gm chiude la fabbrica di Hummer. Mai impatto economico fu più diretto o più inesorabile. Nel giro di pochi mesi gli status symbol di ieri si sono tramutati senza appello in sconsolati dinosauri parcheggiati davanti ai garage. Non nei quartieri a modo, s’intende, dove de rigeur ormai da tempo sono le Prius e le sue cugine hybrid, così meravigliosamente “politically correct”, ma soprattutto nei distretti working class, nei ghetti e nei barrios dove i bestioni di lamiera erano stati acquistati ipotecando le case, tramutate in bancomat nell’euforia della bolla immobiliare. Né la macchina poteva non essere, soprattutto in

Ultime notizie dallo stato dove non si vendono più Suv e dove è più evidente la scommessa sbagliata di Detroit. In vista di un nuovo lifestyle

autocritica • il manifesto • [8]

California, misura di paradigma sociale, termometro dello zeitgeist. Parcheggiati davanti ai villini bassi tutti uguali con l’aiuola, il Suv è simbolo tangibile del decennio del debito, accessorio dell’affluenza drogata dall’iperconsumo carburato dal credito facile. La loro smodata diffusione sotto un cielo che odora di gas-serra è la misura di quanto i mastodonti succhia-petrolio abbiano costituito un business model apocalittico per Detroit, ubriaca di vendite che salivano in barba ad ogni logica. Oggi i mastodonti boccheggianti sull’orlo dell’estinzione sono il monumento alla fatale miopia di un’industria. Mentre i minivan ad esempio, che avevano salvato l’industria negli anni ‘80, erano ancorati ad una evoluzione sociale, avendo individuato i bisogni dell’emergente classe suburbana delle soccer mom, l’unico carburante della psicosi dei Suv è stata la voglia smodata di “consumo cospicuo” . Auto spogliata cioè dalla minima pretesa di genere di necessità ma accessorio puro dell’ipercon-

sumo e come tale condannata. Oggi che del consumismo è stato annunciato il decesso, la scomparsa del precetto-fondamento, della stessa linfa vitale del nostro sistema economico (e del nostro stesso modo di stare al mondo), l’auto non poteva non trovarsi ancora una volta al centro simbolico del vortice economico e di costume. Sull’orlo del baratro l’industria reclama ora il salvataggio. Qualunque forma finisca per prendere il bailout - prestiti agevolati o partecipazione statale in cambio di un auto da 40 chilometri al litro - è prevedibile che anche la macchina debba ripensare radicalmente il paradigma, trovare un proprio posto in un diverso concetto di trasporto dove c’entra la tecnologia e l’energia, il consumo ma anche l’urbanistica, il lifestyle , l’idea di città e di collettività. Per questo perfino a Los Angeles, città cresciuta lungo gli assi delle autostrade sponsorizzate dalla Gm e dalla Standard Oil dopo aver smantellato la Red Line, la più grande rete ferrotranviaria urbana, accadono fenomeni inediti, for-

se apocalittici: si moltiplicano i motocicli, finora quasi sconosciuti, si autorizzano linee metropolitane e metro leggere e questa metropoli allergica ai piani regolatori, costruita sull’individualismo monofamiliare e sull’idea dell’espansione infinita, comincia perfino a verticalizzarsi, a progettare la densità, a cercare di ridurre le distanze. Ma questa evoluzione è legata a doppio filo al costo della benzina. Ora che da $4 al gallone è tornata sotto i $2, gli effetti si stanno già inesorabilmente facendo sentire. Molta gente che aveva riposto la macchina e preso ad usare la la bici o la moto, sta tornando sui propri passi, il traffico che si era sensibilmente assottigliato ha ripreso a diventare viscoso. Un effetto a cascata che deriva direttamente dalla sovvenzione– nascosta ma colossale – della benzina, che qui non è tassata e il cui prezzo è artificialmente contenuto, se necessario da guerre strategiche e dalla geopolitica egemonica che dura dal dopoguerra. Un’economia costruita sulla benzina artificialmente a buon mercato che ha plasmato l’idustria automobilistica americana in tutti i suoi eccessi e che continua ad essere enorme disincentivo al progresso tecnologico. A maggior ragione sarebbe essenziale invece che il prezzo del carburante riflettesse il suo reale costo – politico, ecologico, umano. Se solo triplicasse, l’evoluzione della cultura dell’auto sarebbe garantita.


Tutti gli uomini dei presidenti Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, l’era di Barack Obama – automobilisticamente parlando nasce tra gli incubi ma con qualche buona notizia. Il 20 novembre scorso, il californiano progressista Henry Waxman è stato eletto alla presidenza della Commissione energia della Camera dei rappresentanti a Washington. Prende il posto di John Dingell, altro democratico, legato però a doppia mandata alle Big di Detroit. Dingell, che ha la sua base elettorale in Michigan, lo stato dell’auto, è stato presidente della Commissione energia tra il 1981 e il 1995 – gli anni d’oro per i Suv e per l’industria locale che li ha prodotti per prima – e poi ancora tra il 2006 e il mese scorso. La nomina di Waxman, figura lontana anni luce da Dingell, è un segnale. E lo è ancora più forte se si pensa che nel giugno del 2001, appena George Bush fu eletto per la prima volta presidente degli Stati uniti, fu nominato capo di gabinetto della Casa Bianca Andrew Card, fino a quel momento lobbyista a Washington per conto della General Motors. (f.p.)

Emanuela Di Pasqua

L

Ilcuored’oro di NeilYoung

a macchina del team formato dal «meccanico» di Milwaukee Jonathan Goodwin e Neil Young (sì, proprio lui, il musicista rock), una Lincoln Continental del 1959 a emissioni zero, è stata ammessa alla X-Prize Race. Ma quella che partirà da New York nel settembre 2009 non sarà una semplice gara automobilistica alla quale partecipa la star di turno con idee balzane, bensì una competizione che prevede la partecipazione esclusiva di prototipi ispirati a norme di risparmio di carburante, di eco-sostenibilità e di innovazione progettuale. Il premio di dieci milioni di dollari andrà a chi arriverà primo, ma non basterà tagliare un traguardo. Si dovrà dimostrare di condividere lo spirito degli organizzatori. E di crederci davvero. E il rocker canadese sembra avere la carte in regole per l’impresa. Presentando la macchina a San Francisco all’inizio di novembre sulle note di «Heart of gold» (unica concessione alla sua vocazione primaria), Neil Young ha illustrato con l’aiuto di John Goodwin la sua visione della macchina del futuro. Si tratta di una Lincoln Continental MK IV del ‘59, una specie di bisonte della strada che, con i suoi 6,96 metri di lunghezza e il consumo di un gallone di carburante (3,7 lt.) ogni nove miglia percorse (14.5km), tutto era tranne che un’ auto ecologica. Ora, rimosso completamente il vecchio motore e sostituito da un sistema misto (elettrico e a gas), non solo consente un risparmio di carburante dell’800 per cento, ma promette anche zero emissioni, il doppio di potenza del motore e di essere un’auto «grande e sicura come nella tradizione dei viaggi on the road degli americani», come ha affermato Young. Il progetto, ovviamente, ha anche un sito (http://lincvolt.force.com/), realizzato in stile molto futurista, già diventato punto di riferimento di una vera e propria community, do-

Il rocker canadese lancia a San Francisco una gara automobilistica di prototipi. Diamo il bentornato a una Continental del 1959 a emissioni zero

ve si possono trovare gadget che inneggiano alla LincVolt e interventi di vari utenti, molti dei quali propongono i propri modelli di auto per la conversione a gas naturale compresso. Tutto iniziò quando Young, collezionista d’auto, si rivolse a Goodwin per convertire il motore della sua macchina in biodiesel; all’epoca il meccanico era già una celebrità, poiché grazie alla partecipazione allo show di Mtv «Pimp my ride» (durante il quale aveva convertito in biodiesel la Jeep Wagoneer dell’89 di proprietà del governatore della California Arnold Schwarzenegger), si era aggiudicato l’ammirazione sia degli ambientalisti che dei patiti di auto. Ma la collaborazione andò oltre, e i due intravidero un futuro sostenibile per le auto, chiamando a raccolta amici e sconosciuti. Già, perché citando ancora il musicista canadese, «si tratta di un progetto che aldilà delle nostre personali conoscenze, grazie a Internet, si è giovato dell’aiuto di chiunque avesse qualcosa di sensato da dire al proposito», in un classico esperimento di ingegneria dal basso. Strani insomma i sentieri della vita. Neil Young, musicista e cantautore canadese, già icona planetaria nei favolosi Sixties, è passato indenne attraverso tutte le rivoluzioni della musica (punk compreso) fino ad assurgere nuovamente, in piena era grunge, a modello e guru per star come Kurt Cobain e i suoi Nirvana o i Pearl Jam. Un artista che è quasi sempre rimasto all’interno dei confini dell’establishment musicale, utilizzando il proprio talento non solo per vendere dischi, ma anche per sposare cause sociali: come quella dei disastrati agricoltori americani, ai quali da circa un ventennio viene destinato l’incasso di un festival musicale, il Farm Aid, organizzato e fondato proprio da Young. Un idealista ma anche un uomo di spettacolo, che oggi, passati i sessant’anni, non ha smesso di lottare, riuscendo a coniugare l’amore di sempre per i motori alla sua voglia di cambiare il mondo. La LincVolt è essenzialmente un’ auto elettrica nella quale il porta-bagagli è interamente occupato da batterie che provvedono a fornire al veicolo l’energia necessaria a muoversi. Quando gli accumulatori si scaricano, un generatore anteriore posto nel vano tradizionalmente occupato dal motore si mette in moto e subentra come carburante primario, ricaricando al contempo le batterie. Il generatore è alimentato da gas naturali compressi (Cng), una miscela di metano, propano, butano e contaminanti (per esempio acido solfidrico). Come a dire, il gas che usiamo per i nostri fornelli. Ma la vera genialità sta nella sorpresa nascosta nel progetto. La LincVolt, una volta parcheggiata nel garage di casa, oltre a ricaricare le batterie può provvedere a fornire energia elettrica a uso domestico attraverso un cavo posto nel retro della macchina. Non a caso l’incipit del sito è: «Repowering the American Dream», giocato sulla parola power, che significa sia potere che energia elettrica, e sulla locuzione American dream, canzone di Young, ma anche concetto socio-ideologico alla base dell’American life. Energia risparmiata ed energia creata da fonti alternative, sfruttando i giacimenti di gas naturali nazionali e liberandosi dal giogo del petrolio e dei suoi derivati e dalle ingenti spese che ne derivano per il cittadino medio americano: questo è il sogno-realtà di Neil Young. Intanto il musicista, in compagnia di Goodwin e Uli Kruger (noto a livello mondiale per la sua ricerca finalizzata a utilizzare carburanti differenti sullo stesso veicolo), è in viaggio con la sua LincVolt, che ha già portato i tre da Milwaukee alla California sulla mitica Route 66. L’evento è seguito e commentato dal popolo della rete che, grazie alla telemetria, può monitorare in tempo reale sul sito i parametri dell’auto in termini di rapporto consumo/velocità/distanza percorsa. Come ha detto lo stesso Neil Young è «un reality car show». Tra breve uscirà anche un film, prodotto dal musicista con la regia di Bernard Shaker, che ripercorre i sei mesi di «gestazione» della LincVolt. E nessuno potrà più dire che l’unica macchina ecologica è quella che non esiste. www.totem.to

autocritica • il manifesto • [9]



Loris Campetti

Lascommessa dellaFiat Le isole dei famosi, The End Vi ricordate Second Life? La vita virtuale che a un certo punto sembra diventare un’occasione di business, una nuova frontiera di utili che nel mondo reale tendono a sparire? Bene, molti costruttori di automobili vi hanno investito comprando delle isole. Sì, insomma spazi tutti per loro dove vendere e fare marketing alla faccia delle restrizioni del credito e delle normative sulle emissioni. Ora, la crisi reale imperversa e di web non se ne sente parlare più. E’ un po’ come quella notizia della signora che ha lasciato il marito con l’accusa di averla tradita su Second Life. Memo per tutti: la dura vita quotidiana prevale sempre. Tra gli avatar come tra gli operai del Michigan. Beffa finale, Second Life è stato trasformata in una sorta di sistema educativo. Infatti è scomparsa dall’orizzonte informativo. Come capita alla scuola, quando insegnanti e studenti non scendono in piazza o non gli precipita un tetto in testa. (f.p.)

4

00 mila automobili in meno in un anno, vettura più vettura meno, non sono uno scherzo. Nel 2007 la Fiat aveva venduto 2 milioni, 300 mila «pezzi» in tutto il mondo, quest’anno se ne prevedono 1 milione, 900 mila o poco più. Basta a consolarsi il fatto che il break even per le quattro ruote del Lingotto è di 1 milione e 840 mila automobili, come ha ribadito recentemente l’amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne? E soprattutto, nessuno, da Torino a Detroit passando per Francoforte, è in grado di fare previsioni ragionevoli per il 2009, non riuscendo a immaginare la durata della crisi della domanda, cioè dei consumi. A dire il vero la Fiat ha fatto, tra le poche aziende del settore, un passo coraggioso osando uno scenario per il 2009: anche se tutti e tre i settori del mercato di competenza – auto, camion e macchine agricole – dovessero cadere del 20% - il Lingotto chiuderebbe comunque i bilanci in nero. Ma subito, a Torino, si precisa che se un -20 è prevedibile per l’auto e l’Iveco (per la prima volta da molti anni colpita da un calo della domanda), le cose dovrebbero andare un po’ meglio per la Cnh, o meglio per le macchine agricole, in particolare quelle di grandi dimensioni costruite nel nord e nel sud America. L’altra voce della Cnh, le macchine movimento terra, resta appesa oltre che alla durata e alla ferocia della crisi, ai provvedimenti stata-

per il costo dell’acquisizione del gigante nordamericano Case. Ma torniamo all’automobile. La crisi picchia duro in forme diverse ma in tutto il mondo. Il fiore all’occhiello della Fiat era e in parte resta il Brasile, dove i marchi del Lingotto guidano con Volkswagen la classifica dei produttori in un mercato cresciuto del 22% negli ultimi due anni. Ora la crescita si è fermata al 15% (una cifra impensabile in Europa, anche nelle stagioni migliori) e per il 2009 non è certo prevista alcuna ripresa. Marchionne ha ripetuto anche recentemente il suo leit motive: nessuno dei 5 stabilimenti italiani verrà chiuso, né sono previste chiusure in Brasile, Polonia e Argentina dove Fiat opera in proprio, né in Turchia dove produce insieme a un gigante locale. E ancora, è confermato l’investimento in Serbia, a Kragujevac, a cui è destinata la costruzione di un nuovo modello – si è parlato della Topolino. Dunque nessun licenziamento. Lo strumento principale per «riallineare la produzione alla domanda», come dicono al Lingotto, è la cassa integrazione, esplosa a partire dall’estate. I posti di lavoro, però, sono diminuiti e continueranno a diminuire almeno per un paio di anni. Come? E’ ovvio, con il blocco del turnover e con il mancato rinnovo di tutti i contratti atipici, a termine, in-

Torino. La seconda domanda è strettamente legata all’andamento della crisi: nel 2009 l’Europa «consumerà» 1,5 o 2,5 milioni di automobili in meno? Nella seconda ipotesi, fanno notare in casa Fiom, un produttore sarebbe di troppo. Se è vero che la Fiat sta reggendo meglio di molti suoi concorrenti sui mercati europei, grazie a un recupero di quote pur dentro un calo generalizzato delle vendite, è altrettanto vero che è oggi, e non domani, che si costruiscono le strategie per tornare con una presenza competitiva sul mercato quando (quando?) la crisi sarà finita. Dunque la partita si gioca sui nuovi modelli e, soprattutto, sulle nuove motorizzazioni. Nel 2009 il Lingotto sfornerà gli eredi dell’Alfa 147 e della Ypsilon e procederà al primo restyling della Grande Punto, mentre per la Topolino bisognerà aspettare il 2010 e solo dopo arriverà una piccola low-cost. Ma il nodo vero riguarda i propulsori, cioè il tipo di combustibile che farà correre le automobili nell’immediato futuro. Se il sostegno pubblico all’auto continuerà nelle forme tradizionali, rottamazioni in testa, la Fiat non sarà stimolata a investire sull’elettricità o sull’idrogeno, a differenza di quanto stanno già facendo i suoi concorrenti europei, americani e giapponesi. La rottamazione è uno strumento di brevissimo respiro. Al Lingotto insistono sul fatto che la strada della modernità scelta dalla casa torinese è il metano, su cui è all’avanguardia. Vero, risponde la Fiom, tant’è che l’unico modello su cui a Mirafiori è stata ridotta la cassa integrazione è proprio la Multipla. Ma non è il metano – sempre che la rete distributiva venga fortemente ampliata - che segnerà la svolta, quando la ripresa della domanda sarà segnata da una maggiore coscienza ambientale. La Fiat non può fare tutto da sola, sarebbe necessario un piano nazionale sull’elettricità, o sull’idrogeno, che potrebbe salvare la produzione nazionale oltre a ridurre drasticamente le emissioni nocive. La palla rimbalza al Lingotto, dove contestano e allungano i tempi della rivoluzione dei propulsori che «presuppone una rivoluzione culturale»: nei prossimi anni, dentro e fuori questa crisi, la gente si orienterà verso auto più spartane, dicono i torinesi, per cui ecco perché si punta sul metano e su motori a propulsione tradizionale ma con un regime di consumi ed emissioni decisamente più bassi rispetto a quelli attuali. Alla fine, sarà la crisi a dire chi aveva ragione.

Il gruppo torinese venderà circa 400.000 auto in meno nel 2008 e fa zero previsioni per il 2009. Ma il solo futuro a gas basterà per affrontare la grande crisi? li presi per contenerne gli effetti. Insomma, al Lingotto si spera su Obama e su grandi investimenti infrastrutturali. In ogni caso, è molto probabile che il break even nel 2009 sarebbe garantito proprio dalla Cnh, causa di tante sofferenze all’inizio del decennio

terinali e quant’altro. Chissà perché, anzi si sa benissimo, i precari non entrano mai nel computo dei licenziamenti. Flessibilità vuol dire invisibilità. Bisogna comunque precisare che, nonostante i piazzali pieni di vetture in attesa di compratori – si parla di migliaia di auto in Polonia – la Fiat è tra le multinazionali quella che sta gestendo la crisi con risposte meno feroci: dalla Francia alla Germania, dalla Spagna agli Usa fioccano i licenziamenti e le chiusure di stabilimenti. La domanda che si pongono i lavoratori italiani è fino a quando sarà possibile una gestione «morbida» della crisi, e fino a che punto, e fino a quando, Marchionne potrà e vorrà mantenere i suoi impegni e la sua permanenza a

autocritica • il manifesto • [11]


Consumi: ciclo combinato metano 6,4 m³/100 km e benzina 6,3 l/100 km. Emissioni CO2 (g/km): 115 metano e 149 benzina.

è a metano. punto.

Finalmente è arrivata Punto Natural Power. STOP AI CONSUMI:

UN PIENO CON 12 EURO.

STOP AGLI INTERESSI:

6 ANNI DI FINANZIAMENTO A TASSO ZERO.

Grande Punto 1.4 77cv Active Natural Power 3p, prezzo promozionale di vendita € 12.300 (chiavi in mano IPT esclusa), al netto dello sconto rottamazione Fiat e dell’incentivo Statale per rottamazioni di vetture come previsto dal D. L. 248/2007, convertito in legge il 27/02/2008. Es. di Finanziamento: Anticipo € 3.614,62, durata 72 mesi, 72 rate mensili da € 135,76 comprensive di coperture Prestito Protetto ed Antifurto Identica per un importo di € 774,86, spese gestione pratica € 300 + bolli; importo massimo finanziabile € 9.000 – TAN 0% - TAEG 1,66%. Salvo approvazione . Offerta valida fino al 31/12/2008.


Consumi: ciclo combinato metano da 4,3 m³/100 km e benzina da 6,2 l/100 km. Emissioni CO2 (g/km): da 113 metano e da 148 benzina.

E NON è LA SOLA.

Gamma Fiat a metano: fino a 3.000 euro di incentivi statali. + AUTONOMIA: oltre 1.000 km con doppia alimentazione metano e benzina. + PRATICITA’: una rete di distribuzione di circa 700 punti di rifornimento in forte espansione. + ECOLOGIA: con il metano entri nei centri cittadini anche nei giorni di blocco del traffico. + SICUREZZA: con il metano si parcheggia ovunque, nelle autorimesse sotterranee e nei traghetti.

www.fiat.it


Carmelo Bongiovanni

Ciaomercato illussodellacrisi

C’

è modo e modo di raccontare il Paese. E c’è modo e modo di raccontare questa crisi economica, per poi convincere l’opinione pubblica che si stanno prendendo pure i giusti provvedimenti. E ci sarebbe modo e modo, volendo farlo, di raccontare lo stato attuale del settore auto, citando dati inconfutabili, quasi a voler dimostrare che le cose non vanno poi così male, che dobbiamo essere ottimisti e che noi italiani, “sotto sotto” fomentati dalla sinistra, dobbiamo smetterla con il solito disfattismo. La Ferrari California è stata lanciata sul mercato da poche settimane e ha già venduto tutta la produzione del 2009. Prezzo unitario 170mila euro abbondanti. Verissimo, come altrettanto vero è che la Q5 dell’Audi, anch’essa di fresca presentazione, ha già tempi di attesa di qualche mese. In pratica e nella realtà, ha già la gente in coda al botteghino. Il super ministro Tremonti partirebbe probabilmente da questi due dati per fare una sua analisi del comparto a quattro ruote. Che male ci sarebbe, in fondo, utilizzare alcune piccole verità per raccontare grandi bugie? La verità è che il mercato dell’auto, dentro e fuori i nostri confini, registra complessivamente uno dei “momenti” peggiori delle sua storia. E parlare oggi di ciò che si vende, o meglio, di ciò che ancora si vende, in alcuni casi pure con ottimo profitto, significa soltanto cogliere fenomeni in controtendenza che, al di là di ogni possibile strumentalizzazione, non sono certo sintomo di un benessere generalizzato. Con la premessa d’obbligo che, non a caso e salvo rare eccezioni, la maggior parte dei segni “più” si trova nella fascia alta del prodotto e, in particolare, in quella del lusso. La Bmw X5, Suv di prestigio per antonomasia, nei primi dieci mesi dell’anno in corso ha venduto infatti 7.224 unità, cioè quasi quante ne aveva vendute nell’intero 2007, mentre nel confronto omogeneo “gennaio- ottobre” il saldo attivo è pari al 17,5%. Senza contare che quest’anno la casa bavarese può sommare nello stesso segmento anche le immatricolazioni della nuova X6 che, pur se disponibile soltanto da aprile, ha già messo in “cascina” quasi 3.000 unità. Totale: più di 10mila vetture consegnate, con un prezzo al cliente dai 55mila euro a salire e di parecchio. Il successo della Bmw nelle auto di lusso è suggellato dalla sportiva Serie 6 che, non più giovanissima, sale tuttavia di un buon 10% abbondante. Qui il prezzo d’accesso alla gamma è di oltre 80mila euro, soglia che, euro più euro meno, condivide la

nuova 7, appena lanciata con ambizioni di crescita in volumi sulla versione precedente. Anche per la rivale di Stoccarda le cose non sono andate affatto male. L’ultima nata GLK, non a caso concorrente della citata Audi Q5, ha già ampiamente esaurito il suo contingente 2008 e si prepara a liste d’attesa piuttosto lunghe per l’anno a venire. Flessione, al contrario, per la Classe M e, più lieve, per la Classe S, mentre la roadster SL, che ha prezzi da 85 a 230mila euro, guadagna qualche punto percentuale. Ma è sui segmenti inferiori che Mercedes realizza le sue performance migliori. La Classe C, vettura media “premium”, offerta con carrozzeria berlina e station wagon, in Italia passa dalle 11.800 unità del 2007 alle attuali 16.800 e si conferma leader mondiale nel suo segmento con 500mila pezzi consegnati dal marzo 2007 a oggi. Positivo anche il trend della monovolume Classe B, sulla quale la casa della Stella a tre punte può addirittura lamentare una carenza di scorte, soprattutto per la versione alimentata a metano che da

Un po’ di numeri e tendenze su che cosa accade alle vendite di automobili in Italia, dall’ultima Ferrari esaurita alle richieste di macchine a basso costo

autocritica • il manifesto • [14]

noi rappresenta oltre il 5% della domanda sull’intera gamma. Quanto alla Smart, se in Italia corre, nel mondo vola: +41% le vendite sul 2007, con volumi che, da gennaio 2008, hanno raggiunto quota 113mila. Ricapitolando, Mercedes-Benz può vantare a livello globale una crescita complessiva del 2%, con 1.073.000 vetture immatricolate nel mondo. Niente male per un “annus horribilis” come questo, anche in vista di una crescita costante nei mercati “emergenti” , grazie ai quali la casa tedesca andrà a compensare il prevedibile rallentamento di Stati Uniti e Europa. In Cina, ad esempio, Mercedes è cresciuta anche quest’anno nell’ordine del 52% e positivi sono anche i risultati che arrivano dalla Russia, dal Canada e dall’America Latina. Riguardo all’Audi c’è da registrare un attivo del 3,3% a livello mondiale nei primi 10 mesi 2008, con un totale di 845mila pezzi consegnati. Per la casa di Ingolstadt il progresso

più significativo arriva dalla regione dell’AsiaPacific: + 17,6% e 130mila vetture vendute da gennaio a ottobre contro le 110mila dell’analogo periodo 2007. E il trend in crescita del solo mese di ottobre, + 25%, lascia loro ben sperare anche per i prossimi mesi, durante i quali la casa del Gruppo Volkswagen dovrà fronteggiare la crisi del mercato interno, che tuttavia la vede a oggi in sostanziale pareggio, così come negli Stati Uniti, dove ha totalizzato 93.400 unità nei dieci mesi 2008 (solo 700 in meno rispetto allo scorso anno). Ci sono il + 4,5%, “anno su anno”, che arriva dalla Francia, come pure il risultato ottenuto nel nostro Paese in ottobre, nel corso del quale Audi ha registrato un progresso del 3,4%. L’effetto Q5 e nuova A6 comincia a dare i suoi frutti, pur su mercati che rallentano molto nel loro complesso. Anche la Jaguar non sfugge al segno positivo, in Italia, come nel resto d’Europa e del mondo. La nuova XF, in tal caso, è l’artefice principa-

le di quella che può definirsi “rinascita”, dato che, rispetto alle tre tedesche, le cui buone performance sono state una costante negli ultimi anni, il marchio britannico torna in auge dopo un periodo di forte contrazione. In auge è pure la Dacia: +50% e soglia 6mila pezzi superata in Italia. Ma qui è tutta un’altra storia. Sta di fatto che nel suo piccolo (siamo ancora sotto lo 0,5 di quota) l’unico vero fenomeno di “low cost” sul mercato prosegue regolarmente la sua ascesa. E tutta un’altra storia ancora riguarda il restante 90% del mercato che perde invece il 15% in media, con tendenza a un ulteriore ribasso nell’ultimo periodo dell’anno e per i mesi futuri. E’ una storia di grandi gruppi automobilistici in difficoltà, di centinaia di migliaia di immatricolazioni che mancano all’appello nel nostro paese e di milioni di pezzi invenduti nel resto del mondo. Una storia che a raccontarla si può perfino diventare pessimisti.


Motor Show Bologna, il battello ebbro Le vendite di automobili vanno giù urbi et orbi, ma mica è detto che l’ubriacatura da quattro ruote passi davvero. Non sono sicuramente astemi i frequentatori del Motor Show di Bologna, che dal 5 al 14 dicembre è aperto al pubblico al prezzo giornaliero di 24 euro (rimasto uguale per il terzo anno consecutivo, nonostante venga offerto di più e alla faccia della recessione). Bologna resta un Salone unico nel suo genere. C’è una parte espositiva, statica, che assomiglia agli altri Saloni mondiali ma ce ne è una originale che produce spettacolo, prove di guida sicura e di fuoristrada in spazi costruiti appositamente, diventati ben 11 quest’anno. Piaccia o non piaccia, è forse il modo più intelligente (dal punto di vista del settore) per affrontare la dissaffezione verso l’automobile in tempi di crisi e di emergenza ambientale. (f.p.)

francesco paternò

Dacia dellemiebrame

L

solo sui mercati in via di sviluppo ma anche in Francia e con la nuova Sandero anche in Italia. La recessione incombente dovrebbe aiutare un prodotto a basso prezzo, anche se “una brutale caduta del mercato”, come si legge in un comunicato dell’azienda, ha dato uno stop alla produzione per due settimane, dal 20 novembre al 7 dicembre. La nostra chiacchierata con Gerard Detoua Dacia ha aperto le porte del fenomeno low cost nel mondo dell’auto. Entrata nell’orbita della Renault nel 1999, il marchio romeno è stato rilanciato in modo sapiente dalla casa madre francese, con l’obiettivo di far diventarlo un po’ quello che la Ryanair è per il mondo dell’aviazione civile. Ci vorrà un po’ di tempo per fare certi numeri e acquisire quel livello di notorietà, ma intanto per i mercati è già una certezza. Le vendite della Dacia sono andate bene finora, e non

cola auto elettrica a basso costo? Abbiamo già due modelli in altri paesi come il pick up e il van, posso dire che presto arriveranno in Europa. Stiamo sviluppando un Suv low cost. Ma nella gamma attuale non è prevista nessuna piccola auto. E l’auto elettrica per ora la lasciamo alla Renault, anche se un giorno l’avremo anche noi. La Dacia che costa poco è il successo di una

L’auto low cost e i suoi clienti nella grande crisi che avanza. Parla il responsabile del marchio romeno Gerard Detourbet rbet, responsabile della Dacia, è avvenuta prima di questo stop, che comunque non toglie nulla al fenomeno low cost partito con la Logan, l’auto da 5.000 euro come è stata pubblicizzata. In realtà, di soldi ce ne volevano un po’ di più per renderla appetibile anche da noi, ma la sfida al mercato è rimasta intatta. La crisi dell’auto è grande, anche lei non dà previsioni per il 2009? Non diamo mai previsioni, ma spero che Dacia sia ancora in crescita, come è avvenuto nei primi otto mesi di quest’anno. Tanto più che adesso è arrivata la Sandero, che aggiungerà volumi. E dopo la Sandero? Farete magari una pic-

filosofia? Non è una filosofia, è un fatto reale. Il vero punto di partenza è stata la comprensione del cliente. Siamo andati a cercarci un nuovo tipo di cliente, che viene dai paesi emergenti o che accede al mercato automobilistico per la prima volta, che ha un rapporto semplice con l’auto, non troppo costosa e capace di trasportare molte cose e persone. E’ spesso un cliente che comprava auto usate e ora si può permettere un’auto nuova che rispetta le leggi sulle emissioni. La filosofia, semmai, sta nella progettazione: noi fabbrichiamo un’auto che corrisponde a un preciso cliente. E lo abbiamo fatto nell’area dove si trova questo cliente, che ci permette di avere anche una distribuzione e una manodopera meno onerose. Per tenere basso il prezzo, abbiamo usato tecnologie meno sofisticate. I vetri della Renault Mégane non sono quelli di una Dacia Logan, per fare un

esempio. Infine, abbiamo ridotto le spese per la vendita. Facciamo poca pubblicità e molto mirata. Contiamo molto su voi giornalisti! Eppoi, prezzi netti e non trattabili. La Logan è tutto questo. Chi sono i vostri clienti, oltre quelli che un giorno compravano auto usate? La nostra clientela sta cambiando. Ora abbiamo molti giovani, per i quali l’auto è uno strumento, un mezzo di trasporto e basta. Domani avremo più classe media, che a causa della crisi avrà un budget di spesa più ridotto e si rivolgerà a prodotti meno costosi. Il problema è che in molti paesi sarà guerra dei prezzi ancora più feroce e molti costruttori normali tra virgolette cominciano a ridurre i prezzi in modo sensibile per fare concorrenza a Dacia. Noi però non li ridurremo. Avevate immaginato una crisi simile? Purtroppo no. In giugno abbiamo cominciato ad avere sintomi gravi, ma non a questo livello. Questa è una valanga incontrollata che non sappiamo dove arriverà e quando di fermerà. Certo, ci sarà una fine. Tra sei mesi, un anno, nel 2010 dovrebbe essere finita. Non so che dire. Prezzi piccoli, margini piccoli. Sì, è un bel problema. Ma la Dacia resta un modello di business. Sulle nostre auto abbiamo piccoli margini in valore rispetto a una Mégane, ma in percentuale abbiamo margini importanti. Ci saranno effetti pesanti sull’occupazione. Sì, l’industria dell’auto è già in sovracapacità, tutti frenano e ci stiamo chiedendo cosa succederà. L’auto sta crollando, tutti i paesi saranno colpiti in misura diversa ma gravemente. Il 2009 sarà un anno difficile. Che spazio c’è per l’auto low cost? Di prodotti low cost ce ne sono già molti nel mondo. Il mercato indiano è tutto low cost. In India, la Dacia sta nella parte alta del mercato, perché il suo cuore sta almeno 2 o 3mila euro sotto il prezzo di una Logan. Il 44% del mercato in America latina è fatto di auto con prezzi al di sotto di quello delle Logan. La Logan è un’auto per ricchi in India e un’auto media in Brasile. Più del 20% del mercato mondiale è low cost. Per questo non è un termine – automobilisticamente parlando - utilizzabile ovunque.

autocritica • il manifesto • [15]


www.kiaceedsw.it

**

e h c An

L P G

Wagon forza 7 Lo spazio ha fermato il tempo. Kia presenta cee’d SW. Straordinaria capacità di carico con 1664 lt di bagagliaio a sedili ripiegati. Motori 1.4 e 1.6 benzina da 109 e 122 cv, 1.6 diesel da 90 e 115 cv, e 2.0 diesel da 140 cv. Sicurezza al top della categoria. E una garanzia di 7 anni, che nessun’ altra wagon può offrire. Kia. Non seguite la moda, guidatela.

ANNI

GARANZIA *7 anni/150.000 km. Tutti i dettagli presso i concessionari

cee’d Sporty Wagon L’unica con 7 anni di garanzia.

Da 14.250* €.

*Con incentivo Kia di 1.300 €. I.P.T. esclusa. Versione 1.4 Lx. Consumo combinato (lx100 km) da 4,9 a 7,0. Emissioni C02 (g/km) da 128 a 166. La foto è inserita a titolo di riferimento. Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. E’ un’offerta dei concessionari che aderiscono all’iniziativa, valida per le auto disponibili in rete fino al 31/12/08. Non cumulabile con altre iniziative in corso. **5 anni di garanzia/100.000 km. Kia Motors Italia consiglia lubrificanti

Kia Motors Italia Spa. Una Società del Gruppo “Koelliker SpA.”


Francesco Calvo

Eiotivendevo il denaro

C’

è stato un tempo in cui la ricchezza era materiale. Essere ricchi, per una persona o per una nazione, significava possedere delle cose concrete, visibili. Oggi la quasi totalità della ricchezza è costituita da titoli immateriali, da equilibrismi finanziari, da arrotondamenti, da residui di calcoli in virgola mobile. Non c’è da stupirsi se, nel loro piccolo, i concessionari, che avevano appena cominciato a fare la bocca ai proventi della vendita del denaro e non delle auto, oggi sperimentino la delusione e l’amarezza di chi ha voluto fare due passi nella modernità scoprendola ostile e piena di sorprese. La storia, in breve: da oltre un decennio si sostiene che i soldi non si possono più fare vendendo le macchine perché i margini sono risicati. Inizialmente si sosteneva che sarebbero stati i proventi del servizio, dell’assistenza, della vendita dei ricambi e dell’usato a generare la redditività necessaria alle aziende concessionarie. Da qualche anno, invece, si è scoperto che la maniera più semplice per ricavare un utile dalla vendita di un’auto è l’erogazione di un finanziamento. All’inizio ha funzionato: la gente acquistava l’auto scontata e finanziava l’importo restituendo lo sconto maggiorato degli interessi. Proliferavano le finanziarie, sia quelle commerciali, sia quelle “captive” cioè direttamente collegate alle Case automobilistiche. Funzionava così bene che società creditizie che mai avrebbero investito due soldi nel settore dell’auto hanno messo in piedi strutture dedicate specificamente alla creazione di prodotti finanziari per i concessionari e i loro clienti. A un certo punto si calcolava che l’80% degli acquisti di auto nuove venisse realizzato attraverso un finanziamento. Allo stesso tempo arrivavano le prime avvisaglie della crisi economica, ma la locomotiva dei finanziamenti procedeva stabile e sicura.

Come la crisi cambia e investe il sistema della vendita di auto a rate. Uno sguardo dentro il mondo dei concessionari e delle finanziarie

Per avvicinare all’acquisto dell’auto anche chi disponeva di redditi modesti si sono moltiplicate le formule con rate basse, finanziamenti di lunghissima durata e prodotti con maxi-rata, il cui debito residuo viene parzialmente garantito dal valore dell’auto stessa. A questo punto della storia si è innescata una battaglia a suon di remunerazione fra le finanziarie commerciali e quelle captive. Queste ultime svantaggiate da un costo del denaro superiore e dalla loro natura specializzata, poiché distributrici di un solo prodotto. Però le captive hanno delle leve in più nei confronti dei concessionari: dal collegamento con la struttura commerciale della casa mandante, alla conoscenza del settore, alla disponibilità di linee di credito per le aziende mandatarie. Insomma il problema sembrava soprattutto accaparrarsi la fetta più grande della torta. La crisi, intanto, montava e con essa le “sofferenze”, cioè le insolvenze dei debitori. Nel leggere i report finanziari bisogna sempre cercare di interpretare i dati. Ora, una diminuzione delle sofferenze potrebbe essere il risultato di un’accorta politica di gestione del rischio, ma anche di un minore accesso al credito. D’altro canto un aumento delle sofferenze potrebbe conseguire una politica dissennata oppure una strategia di conquista e di ampliamento del portafoglio clienti. L’attuale aumento delle sofferenze, invece,

i tassi e le casse tra washington e detroit E’ in corso a Washington la battaglia tra il Congresso e i top manager delle tre Big di Detroit per ottenere nuovi aiuti per l’industria. Si tratta di prestiti agevolati per almeno 25 miliardi di dollari, da aggiungere ad altri 25 già deliberati e in via di stanziamento (per averli in cassa, Gm Ford e Chrysler dovranno restare in vita però per buona parte del 2009). Nel primo caso, i finanziamenti sono stati dati a un tasso del 4% per 25 anni, più una eventuale estensione di altri 5 anni. Nell’ultima proposta di nuovi finanziamenti, presentata al Congresso dal Partito democratico (e bocciata il 19 novembre sia dalla Casa Bianca che dai repubblicani), i 25 miliardi dell’auto erano contenuti in un piano di stimoli per l’economia reale di 100 miliardi di dollari. In alternativa, i democratici hanno insistito (fin qui senza esito) che questi soldi venissero ritagliati dal fondo di 700 miliardi di dollari approvato dal Congresso il 29 settembre scorso, misura nota come piano salva-banche. Per essere prestati all’industria americana dell’auto a 10 anni, con un tasso del 5% nei primi cinque anni e del 9% nei successivi cinque. Il braccio di ferro continua. (f.p.)

ha una generazione per nulla ambigua poiché deriva dalla incapacità di fare fronte ai propri debiti di una fascia sempre più ampia di famiglie, anche di quelle che sembravano più solide. Ovviamente il sistema creditizio ha fatto un passo indietro e a guidare la ritirata sono proprio le finanziarie commerciali che fino a poco tempo fa erano più “elastiche” nell’accogliere le pratiche sottoposte dai venditori di auto. In generale, l’intero settore del credito finalizzato ha subito uno scossone, ma la situazione è ancor più delicata per le finanziarie captive. Storicamente la gestione del rischio nelle finanziarie delle case automobilistiche è sempre stata più rigorosa, il che ha garantito una minore esposizione ai danni conseguenti la crisi economica. D’altro canto, adesso l’offerta delle finanziarie commerciali si è ridotta e i concessionari scoprono di avere meno interlocutori e quindi maggior bisogno di un partner finanziario affidabile. Sul fronte della clientela, sono sempre meno gli italiani che acquistano un’auto nuova e fra quelli che lo fanno aumenta la quota di coloro che scelgono di pagare in contanti. La situazione è davvero delicata poiché un altro elemento di rilievo è la razionalizzazione della domanda. In tempi di ristrettezze economiche, anche l’acquisto di un bene come l’automobile che, da che mondo è mondo, ha sempre avuto una fortissima componente emotiva, avviene alla luce di una serie di riflessioni di tipo pratico. Soprattutto gli acquisti presso marchi generalisti sono quindi vagliati alla luce di una razionalità che spinge spesso a rinunciare all’allestimento superiore, all’accessorio non indispensabile, alla motorizzazione più potente. Questo si traduce in acquisti più economici e anche l’importo finanziato medio diminuisce. Poiché la remunerazione ha una relazione con l’importo finanziato, il tasso d’interesse e la durata del finanziamento, ecco che importi più piccoli sono meno redditizi se le altre condizioni restano sostanzialmente invariate. Adesso le finanziarie captive possono anche adottare tassi più alti, ma acquistano comunque il denaro a condizioni peggiori rispetto alle commerciali e comunque non riescono a dividere il rischio su più linee di prodotti. Insomma, si è innescata una spirale regressiva dalla quale non è davvero facile uscire. Ancora una volta arriva la conferma che le concessionarie che stanno reggendo meglio sono quelle monomandatarie con una immagine consolidata. Il multimarchismo sta funzionando solo per quelle strutture molto solide finanziariamente, che non sono la maggioranza. Molti concessionari hanno già rimesso il mandato e altri ci stanno pensando, quindi il sistema sta reagendo nella maniera che era lecito aspettarsi: riduzione dell’offerta. Probabilmente, sul lungo periodo, questa potrebbe essere l’evoluzione del settore che, grazie a un ridimensionamento generale, potrebbe adattarsi ad un’economia che tutti speriamo presto convalescente.

autocritica • il manifesto • [17]



Angelo Vittorini

P

Sonotutte alverde

rima notizia: il mercato dell’auto è in crisi, ma non il comparto delle flotte aziendali, gestite con la formula del noleggio a lungo termine, che cresce a un tasso superiore al 5% l’anno. Seconda notizia: il noleggio a lungo termine è la pratica di finanziamento più diffusa nelle flotte delle grandi imprese (82 su 100) e nelle medie (55 su 100), e ha grandissimi spazi di crescita tra i professionisti e nelle pmi (dove è praticato solo per il 4 e il 12%). Terza notizia: nella scelta dei veicoli, la sicurezza è stata finora l’elemento principale di scelta, seguito dai costi, dall’impatto ambientale e dall’effetto motivazionale sul dipendente. Ma l’ambiente guadagna rapidamente terreno: il 20% delle aziende oggi possiede almeno un veicolo ecologico e nei primi otto mesi del 2008 le percentuali di immatricolazione delle vetture che utilizzano carburanti alternativi come gpl, benzina/etanolo, elettrici e ibridi sono notevolmente cresciute rispetto all’anno precedente. La maggior parte delle grandi aziende, soprattutto le multinazionali, ormai ha precisi obiettivi di ecoefficienza, che hanno investito anche il parco autoveicoli e tendono sia alla riduzione del consumi di carburante sia all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotta dalla combustione. Ciò porta alla progressiva sostituzione dei vecchi modelli con vetture meno inquinanti; ma in alcuni casi anche a una vera e propria rivoluzione: la riduzione delle auto che fanno status, (nel mirino ci sono grosse cilindrate, Suv, modelli a sei/otto cilindri) in favore di modelli più modesti che fino a qualche anno fare sarebbero apparsi inusuali per una flotta. I responsabili degli acquisti guardano con interesse ai modelli “ibridi” o ad auto di cilindrate inferiori rispetto a quelle delle attuali, purché capaci di sviluppare potenze di tutto rispetto, ben accessoriati e quindi idonei ad esercitare un buon appeal sui dipendenti. Le maggiori resistente al cambiamento sembrano arrivare dal top management delle imprese. E’ nella stanza dei bottoni, infatti, che sono definite le politiche aziendali e a quanto pare non è facile rinunciare a un benefit di tutto rispetto come un Suv, una otto cilindri, un 4mila di cilindrata “solo” per adottare modelli contraddistinti da consumi e impatto ambientale inferiori. “Il downsizing delle flotte però comincia dall’alto”, ci spiega il responsabile dell’ufficio risorse umane di una grande multinazionale. “Se non danno per primi l’esempio l’amministratore delegato e i direttori, come si fa a imporre un cambiamen-

Cambia il business delle flotte aziendali, ora più attente a consumi ed emissioni. Più “pulite” le macchine-benefit dei dipendenti, ma non quelle degli amministratori delegati to ai dirigenti, ai quadri e alla forza vendita che considerano l’auto un elemento non accessorio della retribuzione?”. Forse è per questo che diversi amministratori delegati oggi preferiscono andare a piedi, raggiungere l’ufficio in bicicletta o con lo scooter dei figli. Gossip aziendale? Può darsi, ma senza dubbio molte aziende hanno già iniziato a mettere

mano alle policy. Autogrill vuole abbattere del 15% (246 tonnellate) le emissioni annue di CO2 e portare a casa un risparmio dei consumi di carburante del 4/6%. Ha ridotto le cilindrate a parità di potenza e si è orientata su modelli contraddistinti da emissioni massime di 160g di CO2 per chilometro. Tnt Express ha varato il progetto “Planet me” che la impegna a ridurre le emissioni di CO2 a 128 grammi per chilometro entro il 2010. E ha introdotto bonus per i dipendenti che scelgono di sostituire il loro veicolo con un altro al di sotto dei 120 grammi per chilometro. Altre aziende, da Telecom (22mila auto) a Sanofi Aventis (1.600), da Vodafone (1.900) a Nestlé, (950) promuovono “corsi di guida ecologica”, incentivano l’uso della videoconferenza per ridurre gli spostamenti, utilizzano le informazioni raccolte attraverso l’uso di carte carburante per premiare chi ha comportamenti più rispettosi dell’ambiente e attenti al contenimento dei costi (dal rifornimento self service all’utilizzo di combustibili considerati più “ecologici”). Intesa – San Paolo (2.100 auto) ha inserito nei suoi programmi “verdi” un’iniziativa decisamente originale, vendendo a condizioni di particolare favore, attraverso la sua intranet, ai dipendenti ben cinquecento Fiat 500 destinate all’uso personale. E’ un modo per contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale delle flotte familiari. Chi sarà la prossima azienda a entrare in gioco, offrendo soluzioni di pagamento allettanti ai propri dipendenti e spuntando condizioni competitive dalle aziende costruttrici di cui è direttamente o indirettamente clienti? Intanto, 24 imprese hanno aderito al progetto “10x10” promosso dal mensile Quattroruote, impegnandosi a ridurre del 10% le emissioni di anidride carbonica della loro flotta. Comples-

sivamente, con circa 50mila veicoli, ogni anno percorrono un miliardo di chilometri e sviluppano in atmosfera 200mila tonnellate di CO2. La riduzione prevista per fine 2009, dunque, ammonta a circa 20mila tonnellate. Un risultato facilmente raggiungibile se si considera che il normale turnover consente l’adozione di veicoli meno inquinanti. A questo fermento si contrappone l’assoluto disinteresse del governo Berlusconi, che nella Finanziaria non ha previsto alcun provvedimento fiscale vantaggioso per chi si dota di veicoli meno inquinanti né azioni per favorire lo sviluppo di una rete distributiva di gas, il combustibile più ecologico e meno disponibile sulle strade italiane. Frenando così un processo che le stesse società di leasing stanno seguendo con grande attenzione. S’intende, per le opportunità di business che il cambiamento può dispiegare.

Ferrari&Chevrolet, vendite perfette Nei primi dieci mesi dell’anno – da gennaio a ottobre - il mercato italiano dell’auto ha dato responsi chiari sul tipo di crisi che sta investendo il paese. Nel suo complesso ha perso quasi il 12% rispetto al 2007, ma è un dato che va preso con le molle, perché l’anno scorso è stato anno record. Se poi si spulciano i dati della Motorizzazione civile, si scopre che è un mercato da crisi perfetta: vende bene sia chi ha prodotti poco costosi, sia chi li ha più costosi. Un mercato specchio fedele della forbice che taglia sempre più in due il potere d’acquisto degli italiani. Le auto di lusso italiane vanno alla grande: +5,55% di vendite per la Ferrari, +8,57% per la Lamborghini (gruppo Volkswagen), +35,99 per la Maserati. E un +17,59% per la Jaguar che era in caduta libera. Detto questo, gli altri marchi che salgono, vendono invece auto economicamente molto più accessibili. Con il caso brillante della Chevrolet, che è stata la prima a offrire vetture alimentate a gas Gpl su tutta la sua gamma, con impianti omologati all’origine, precedendo l’impennata del prezzo del petrolio. Tra gennaio e ottobre 2008, la Chevy è cresciuta del 4,16%, la Dacia addirittura del 50,75%, l’indiana Tata del 42,16% , la Skoda del 12,75% (grandi percentuali, piccoli numeri, chiaro). Aspettando conferme e smentite nei prossimi mesi, che saranno segnati da una recessione molto dura, vale la pena ricordare che negli ultimi trent’anni anni, due sono state le crisi più forti per l’auto. La prima nel 1973, seguita alla guerra del Kippur, con il mercato che risalì solo nel 1980; la seconda nel 1993, seguita a un’altra recessione, con le vendite in risalita nel 1997. (f.p.)

autocritica • il manifesto • [19]


INFORMAZIONE PUBBLICITARIA

L’automobile sta cambiando pelle. L’obiettivo è diventare sempre più un prodotto sostenibile, con un minor impatto ambientale, con minori consumi e minori emissioni. Tante sono le strade che l’industria persegue. La Volvo presenta oggi specificatamente per il mercato italiano la nuova station wagon V50 Tri-Fuel, un’auto davvero innovativa perché può funzionare tramite tre alimentazioni diverse: benzina, bio-etanolo e gas GPL. E’ un nuovo modo per rispondere alle esigenze di mobilità nel rispetto dell’ambiente. Che è quanto chiede il consumatore, sempre più attento a queste tematiche. Realizzata partendo da una variante del modello 1.8F, la nuova Volvo V50 1.8 Tri-Fuel è equipaggiata con impianto GPL BRC/MTM che ha ovviamente superato tutti i test di verifica di Volvo Cars. Nella fase sperimentale, una V50 1.8F è stata trasformata per l’alimentazione a GPL con un impianto dedicato e quindi testata su strada per oltre 50.000 chilometri.

Il sistema di alimentazione GPL è ad iniezione MPI, sequenziale, fasato con tecnologia VSR, a gestione totalmente elettronica. Il serbatoio del GPL è costituito da una bombola toroidale in acciaio ad alta resistenza con una capacità nominale di 50 litri posizionata all’interno del vano destinato al ruotino di scorta. L’autonomia è pari a 450 chilometri sul percorso misto. L’indicatore del livello di carica della bombola è invece posizionato dietro la consolle centrale, rimanendo comunque ben visibile al guidatore. Ogni componente dell’impianto aggiunto è in grado di interagire in perfetta sintonia con l’elettronica generale della vettura, dialogando così, in tempo reale e in assoluta sicurezza, con i vari sistemi periferici relativi alla dinamica di marcia. La sofisticata tecnologia di cui è dotato l’impianto consente di ottenere prestazioni di altissimo livello. Il comportamento della vettura alimentata a GPL ed il piacere di guida rimangono sostanzialmente invariati rispetto all’utilizzo della benzina. Con questo modello, la Volvo si conferma marchio attento e impegnato sul fronte ambientale. I gas prodotti dalla combustione del GPL hanno, infatti, ridotte emissioni sia di sostanze inquinanti (come il monossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti, il biossido di zolfo, gli ossidi di

azoto, il particolato, i composti organici volatili) sia di gas serra come l’anidride carbonica, il metano, e l’ossido di azoto. Il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) ed il piombo sono inoltre completamente assenti. Quasi totalmente assente anche lo zolfo e le polveri sottili (PM 10 o PM 2,5). In virtù di tali caratteristiche, il GPL è considerato un carburante ecocompatibile e le auto a GPL possono circolare anche in caso di limitazioni al traffico causate dal superamento dei livelli di inquinanti consentiti. La variante Tri-Fuel va così a rafforzare l’offerta di un modello, Volvo V50, che continua a riscuotere l’apprezzamento del pubblico. Il motore di 1799 centimetri cubici ha una potenza di 125 cavalli. L’alimentazione a benzina è affiancata da quella a bioetanolo, che proveniendo da una risorsa rinnovabile, contribuisce a ridurre l’impatto sull’ambiente. Il bioetanolo è un etanolo prodotto attraverso un processo di fermentazione delle biomasse, ovvero di prodotti agricoli ricchi di zucchero, quali i cereali, le colture zuccherine, gli amidacei e le vinacce. Con l’introduzione di questa versione, la motorizzazione 1.8F verrà offerta esclusivamente in variante Tri-Fuel. Volvo V50 1.8 Tri-Fuel viene proposta sul mercato a prezzi suggeriti al pubblico che partono da 27.475,00 Euro ed è disponibile in quattro diversi allestimenti (Kinetic, Momentum, R-Design e Summum).

ab&c grafica e multimedia

V50 1.8 TRI-FUEL LA NUOVA VOLVO


Flaviano De Luca

Dategli unascossa

C

on il vento gelido della crisi economica proveniente dall’Atlantico, anche le due ruote sbandano. A fine anno in Eurolandia almeno duecentomila unità resteranno cellophanate in magazzino. Le ottimistiche previsioni di vendite d’inizio d’anno non saranno rispettate mentre si confermano le tipologie di veicolo preferite: prevalenza degli scooter in Italia (70%) e dei cinquantini in Francia, Italia e Spagna, delle moto di medio-alta cilindrata in Germania e Regno Unito. Si stima che nel nostro paese il 2008 si chiuderà con un totale di 535 mila veicoli venduti: 265 mila scooter, 140 mila moto, 130 mila ciclomotori. Dai dati dei primi sei mesi si registra un grande balzo in avanti delle moto oltre 500 cc.(+38%) e dei motocicli fino a 125cc (+22%), quasi stazionari i ciclomotori (-3%), soffrono le cilindrate tra 125 e 200 (-44%), un forte segnale dello sfondamento degli scooteroni da 200 di cilindrata in poi, il veicolo necessario per la mobilità nei grandi centri urbani, ma ormai utilizzato anche per il turismo a corto raggio, scooteroni che hanno anche conquistato una fetta importante di pubblico femminile. Peccato che i dati Ania sulla sicurezza stradale, nel periodo 1995-2004, evidenzino la pericolosità crescente delle due ruote, sia per l’aumento di moto coinvolte in incidenti stradali che per le conseguenze di questi crash. La sicurezza è un tema sul quale si interviene poco, lasciando i bikers in balìa della nevroticità dei guidatori d’auto e dello stato increscioso delle rete stradale. Proprio la grande sicurezza stradale degli utenti delle due ruote in Giappone è uno dei fattori che rendono costante la diffusione e l’uso dei motocicli nel paese del Sol Levante - una nazione che ospita alcune delle più grandi case costruttrici a livello mondiale - nonostante il calo produttivo e di vendite di questi ultimi dodici mesi. Purtroppo le grandi case occidentali non credono nei veicoli elettrici ed ecologici, in gran parte costruiti in Cina e assemblati in Francia,Austria e Italia, che faticano a farsi largo nonostante gli incentivi assicurati dalla finanziaria 2007 (che finiranno il 31

dicembre anche se numerose amministrazioni locali li hanno replicati e prolungati). Hanno riscosso più successo le biciclette a pedalata assistita, che si avviano a sostituire un numero crescente di scooter tradizionali perché non hanno bisogno di tutti quegli ammennicoli, dall’assicurazione obbligatoria al casco, che frenano lo sviluppo dei motorini alimentati dalle batterie (generalmente al silicio o al litio), ad esempio l’E-Solex (per ora disponibile solo in Francia), lo storico Velosolex col motore a rullo del dopoguerra francese (quello dei curati di campagna e dei fattorini) trasformatosi in un veicolo elettrico, di prezzo conveniente (appena 1300 euro) e consumi minimi. Se ne parla da tanto tempo ma ancora i veicoli alimentati da batterie ancora non hanno sfondato la diffidenza dei bikers cittadini. Sono ormai ampiamente conosciute e condivise le ragioni per passare a uno scooter elettrico, dopo il protocollo di Kyoto e le limitazioni al traffico cittadino per l’inquinamento dell’aria, che vanno dall’emissioni zero di gas di scarico alla possibilità di sfruttamento di energie rinnovabili fino al minor spreco (generalmente i motori a kilowatt hanno un rendimento migliore di quelli a scoppio) e all’economicità del percorso chilometrico, consumando molta meno energia. L’unico vero handicap ancora attuale è la scarsa autonomia (generalmen-

Anche il mercato delle due ruote colpito dalla crisi. Un settore dove la ricerca di mezzi a minor impatto ambientale fatica a farsi largo. Ecco alcune proposte e gli incentivi te non supera i 60/70kilometri alla velocità di 45orari) assicurata dalla batteria ma si stanno diffondendo quelle al litio, più costose, che assicurano maggiore affidabilità (sono più leggere e aumentano l’autonomia). Non si paga il bollo per i primi cinque anni e anche l’assicurazione dovrebbe costare la metà dell’equivalente motorino a benzina (o almeno molte grosse compagnie si regolano così). Le marche sono un altro dei problemi perché di produttori ce ne sono parecchi, a Vicenza come a Gaeta,

Gli italiani e l’ambiente, mah I dati, rilevati nel novembre scorso, appartengono a una ricerca GFK-Eurisko, promossa da RISL, società di Relazioni Istituzionali e Studi legislativi, e resa nota la settimana scorsa a Roma in occasione di MOPambiente, un progetto di monitoraggio delle opinioni degli italiani sui principali temi di rilevanza ambientale. Sono risultati emblematici. C’è sì un indice di sensibilità ambientale che tocca quota 70 (su 100), in crescita. Ma poi si scopre che non è tanto marcata, se si considera che era al 63 nella rilevazione dell’agosto del 2003. Alla voce notorietà nuove tecnologie per ridurre emissioni – dunque in tema di motori - il 72% degli interpellati ha sentito parlare di motori a idrogeno,, che nella realtà sono quelli più lontani a venire. Seguono gli ibridi (67%), i biocarburanti (67%), carburanti meno inquinanti (65%). Non c’era una domanda sull’auto elettrica, che nel 2010/2011 dovrebbe essere una realtà interessante. E alla richiesta su quali siano le fonti da incentivare per ridurre l’inquinamento, il 59% ha detto l’energia solare, il 13 l’eolica, il 9 la nucleare. Gas e biocombustibili lontani al 4%. sotto le Alpi o sul mare, però la distribuzione e l’assistenza sono abbastanza misteriose. Un punto fermo è l’americano Vectrix (ma prodotto in Polonia), uno scooterone elettrico da 10 mila euro, lanciato l’anno scorso e molto pubblicizzato, decisamente competitivo con gli scooteroni tradizionali in circolazione. Ha una buona velocità di punta (addirittura 110 km orari), un’importante autonomia (circa 100kmh) e anche un tempo di ricarica ridotto rispetto alla media (solo due ore). Anche gli altri parametri, dallo spazio di frenata all’estetica di qualità, sono paragonabili a quelli dei maxiscooter a benzina. E naturalmente il Vectrix ha bassissimi costi di manutenzione. Per adesso la Piaggio ha dotato di un motore ibrido (a scoppio ed elettrico) sia l’Mp3 , quello con le due ruote anteriori, che l’Hys, un rivoluzionario scooter nato dalle motorizzazioni della Vespa 50 e dell’X8 125 e sviluppato in due versioni, In questa propulsione integrata termico/ elettrica, il motore a benzina, funziona come un normale motore quattro tempi catalizzato, con emissioni ridotte, bassi consumi e ampia autonomia, che, durante il normale funzionamento tiene sotto carica le batterie destinate ad alimentare l’anima elettrica del veicolo. Anche la Peugeot ha presentato un suo prototipo, non ancora in produzione, il suo HYbrid 3 Compressor, che integra un motore a benzina sulla ruota posteriore e due motori elettrici alle due ruote anteriori. Ma sui prototipi batte tutti la spagnola SunRed che sta realizzando una moto dotata di pannelli solari che si ricaricano mentre si va in giro, piazzati sulle superfici laterali del veicolo. Mezzo economico, efficiente e operaio, il treruote, l’indimenticabile Ape dei venditori ambulanti, potrebbe riscoprire una nuova giovinezza, diventando la terza via per una fascia di lavoratori, dai pony express ai postini, che sono incerti tra le immobili e costose automobili o gli scomodi ciclomotori. Per ora il “triciclo” della Mini-Vett di Imola, un’azienda specializzata nella produzione di veicoli elettrici, è ancora un prototipo, chiamato Moose. La sua caratteristica distintiva è di essere un veicolo a forte vocazione professionale, utilizzabile anche per lo shopping e i percorsi brevi. Ha il tettuccio per ripararsi dalla pioggia, il parabrezza col tergicristallo e un ampio bagagliaio capace di reggere fino a un quintale. Insomma un motociclo superecologico per dribblare il traffico cittadino con l’emissione di zero gas nocivi.

autocritica • il manifesto • [21]


RISPARMIA SULLA BOLLETTA.

Per la tua casa, scegli il gas e l’elettricità di Eni, avrai il 10% di sconto sulla componente energia del prezzo dell’elettricità stabilito dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. La componente energia è parte delle condizioni economiche di riferimento per il mercato domestico definite e aggiornate dall’Autorità. Tale componente rappresenta, al netto delle imposte, il 65% circa della spesa complessiva della bolletta per una famiglia tipo, con consumi annui pari a 2.700 kWh (3 kW di potenza impegnata) nell’abitazione di residenza.

800 900 700

CON TE 7 GIORNI SU 7, DALLE 8 ALLE 22.

www.eni.it


Geraldina Colotti

Auto,purché noir

P

er scaldare i motori, si parte dal Sud-ovest della Francia e dalla scoperta di due cadaveri che sconvolge la città in una fredda mattina di marzo. A condurre l’indagine, una designer di interni e un collezionista di orchidee rare, protagonisti di Morte in Dordogna, di Michelle Wan (Garzanti). Un poliziesco dai tratti ambientalisti, che intreccia i fili dell’inchiesta a quelli della storia d’amore fra i due detective improvvisati, decisi a conservare il loro angolo di paradiso a dispetto delle speculazioni immobiliari. I cattivi, scorazzano a bordo di una Mercedes nera e le notizie sulle orchidee sono di fonte certa. L’autrice – nata in Cina, ma cresciuta negli Usa – ha infatti sposato un botanico esperto di orticoltura tropicale e lo ha seguito in India, in Inghilterra, in Francia e

in Brasile. Alle orchidee e alla Dordogna francese, luogo di vacanza preferito dalla coppia, Wan ha dedicato altri polizieschi, che vedono in azione sempre la designer di interni Mara Dunn e sempre in coppia con Julian Wood, “la massima autorità nel campo delle orchidee”. Un’auto rossa, riflessa nei vetri di un negozio di lapidi, è invece la pista principale del thriller La stella del diavolo, del norvegese Jo Nesbo (Piemme). Se il detective Harry Hole avesse avuto anche il ben che minimo interesse per le auto, avrebbe saputo che “quel giocattolo esclusivo” parcheggiato sul lato opposto della strada era una Tommykaira ZZ-R. Ma Harry riconosce solo la sua adorata vecchia Ford Escort color bianco ruggine. E a volte neanche quella, perché dall’assassinio della sua collega

Libri da guidare fino all’ultima curva, tra storie di morti ammazzati e thriller ambientati nel Michigan, Detroit, la patria dell’industria americana, un thriller nel thriller Ellen, si è dato interamente alla bottiglia ed è ormai solo l’ombra del brillante investigatore che era. Per di più, ritiene di averne già viste troppe in polizia: inchieste affossate, intrighi di potere e colleghi corrotti, come quello che è appena sceso dal “giocattolo esclusivo”. Quando però, in una Oslo provata da un’estate fra le più torride che la storia ricordi, cominciano a verificarsi degli omicidi rituali, il capo della squadra anticrimine deciderà di dare a Hole un’ultima occasione. E il detective non potrà tirarsi indietro… Due auto della polizia che bloccano la strada “molto prima dell’ospedale” annunciano invece la catastrofe: la disperata corsa in taxi da un lato all’altro del paese, tentata da Paul Lacasse, è stata inutile. Paul è lo psichiatra protagonista del romanzo Una mente pericolosa, di Patrick

Senécal (Nord). Un thriller al cardiopalma, ambientato in Quebec, che prende avvio da una strage di bambini e dall’incredibile tentato suicidio di Thomas Roy, uno scrittore di horror all’apice del successo. Nella speranza di scuotere Roy dallo stato catatonico in cui è precipitato, una psichiatra sua lettrice e il direttore della clinica per malattie mentali in cui è stato ricoverato lo scrittore, cercheranno di scoprire perché il suo computer contenesse un romanzo preciso su un delitto non ancora accaduto. Tante domande e un incubo che scuote la ragione… Dal Quebec al Sudafrica, a bordo di una “lucida Ford Cortina verde” e poi di un vecchio furgone che resiste al tempo: per accompagnare Faith, la giovanissima protagonista del romanzo Il rapitore di anime, di Rachel Zadok (Salani). La vicenda è ambientata ai tempi dell’apartheid ed ha al centro l’uccisione di una giovane domestica nera, unico sostegno di Faith, che torna nei luoghi di un’infanzia popolata di paure per dipanare la trama di quel delitto. Bmw, Land Rover, Corvette, e altre auto che sfrecciano a trecentotrenta all’ora cadenzano il felice esordio nel romanzo criminale dello scrittore nordamericano Peter Leonard, figlio di Elmore. Brivido (Giano), ambientato in Michigan, fa onore al titolo: personaggi riusciti, attenzione ai dettagli, e una trama avvincente che si sviluppa a partire dalla morte accidentale di un pilota da rally e da un ricatto. Protagonista, una donna ironica e coraggiosa che, dopo aver tenuto testa alla violenza dei militari in Guatemala, dovrà schivare le trappole dei sentimenti. E per finire, si torna in Italia, a Napoli, sulle tracce di Eva, Polifemo, il Sarracino, e del “tizio con la faccia cattiva”. Quattro “figli di puttana” al centro del romanzo La città perfetta, di Angelo Petrella (Garzanti). Nella casupola abbandonata, piena di siringhe e preservativi, l’ispettore Tremalaterra li vede arrivare a bordo di una Mercedes. Controlla ancora la fondina alla caviglia e appende la tracolla dell’Uzi a una sporgenza del muro, subito dietro l’ingresso. Per “stare lucido”, si è appena “pippato una striscetta piccola” sul cofano della macchina parcheggiata vicino, che ha la portiera aperta e le chiavi nell’accensione… Droga, camorra, lotte studentesche, gruppuscoli armati e sbirri che sgommano nei vicoli sono gli elementi di questo thriller dalla mano felice ambientato nell’Italia ai tempi della Pantera. Petrella tiene il lettore con il fiato sospeso per oltre 500 pagine con una narrazione battente, capitoli brevi e un’alternanza di voci e titoli di cronaca dell’Italia a cavallo fra gli anni ’80 e i ’90. Un passaggio determinante che l’autore fotografa seguendo l’ascesa di un giovanissimo camorrista, l’ultima corsa di uno sbirro corrotto, e le vicende di un gruppo di studenti della Pantera, tentato da improbabili scelte armate, e infiltrato. E qui, purtroppo, torna il solito stereotipo: su questi temi, anche i migliori, sembrano non poter sfuggire allo schematismo e alla dietrologia.

Tetes de Bois, i diari del camioncino “Avanti Pop” è il viaggio dei Tetes de Bois nell’Italia del lavoro. C’è un libro+un dvd (il manifesto editore, 15 euro) che racconta di un camioncino carico di artisti che transita nei luoghi di lavoro di questo paese. Un modo per raccontare storie diseguali e di fatica. “Al principio di tutto c’è il mitico camioncino Fiat 615 NI del 1956. Bisognerebbe vederlo, sembra uscito da un film di Don Camillo o da un bianco e nero...”. Il mitico serve ai Tetes de Bois non tanto per gli spostamenti ma come palco itinerante, un po’ come facevano i Grateful Dead da giovani quando per le strade di San Francisco invocavano peace and love. E’ un viaggio nella musica e nel lavoro, per la musica e per il lavoro. “Avanti Pop” ha vinto la Targa Tenco 2007 nella sezione Migliori interpreti e altri premi sparsi. E’ tra i dieci finalisti del Premio Amnesty Italia 2008.

autocritica • il manifesto • [23]



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.