Ragazzaocchidoro

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Ragazzaocchidoro di Andrea Storti


1 Oro

Ragazzaocchidoro emerse dal suolo. Incominciò dalla testa, che spuntò come un fungo, rimanendo per un attimo quasi posata sul terreno. Simili a rigonfiamenti, le spalle sbucarono subito dopo senza intoppi, seguite rapidamente dal braccio destro che, con forza, estrasse anche il sinistro. Infine, con una bella spinta, Ragazzaocchidoro si ritrovò, intera, sul sentiero umido. Era nuda. Completamente nuda e tremendamente pallida, quasi traslucida. Capelli biondissimi le arrivavano, lisci, fino al petto, risplendendo sotto i tenui raggi solari che riuscivano a raggiungerli. I capezzoli, due punte irrigidite sui piccoli seni, puntavano una radura che si intravedeva poco distante. Attorno a lei si ergeva un bosco, verde e rigoglioso, attraversato da canti d’uccello e pressoché immobile. Era giorno, da qualche parte oltre i rami. Ragazzaocchidoro si mosse, prima slanciandosi in avanti, poi acquistando un equilibrio sempre maggiore. La gravità non c’era da dove lei veniva e questo complicava un poco le cose. Usare le gambe per farsi naufragare in avanti risultò più difficile di come se l’era immaginato ma, ad ogni modo, non era affatto impossibile. Iniziò a muoversi sulle punte, perché la terra le faceva paura. Le dita dei piedi scricchiolarono e presero presto a soffrire. Fu costretta a posare tutta la pianta del piccolo piede. In fin dei conti, si accorse, non era poi così male: più stabilità, meno dolore e una piacevole sensazione umidiccia su tutta la pelle. Un passo dopo l’altro imparò a barcollare. Come un’infante si aggrappò agli alberi più forti per cercare di avanzare, poi passò ai fuscelli più giovani, da cui ricevette comprensione e quel poco d’aiuto che le mancava per potersela cavare da sola. Infine, si abbandonò a se stessa, riuscendo a dare il via alla sua prima camminata incerta nella terra dei mortali. Fu come riacquistare una facoltà a lungo dimenticata. La donna si leccò le labbra secche e biancastre, indecisa sul da farsi. Quei suoi enormi occhi tondi, color dell’oro fuso, luccicavano per la concentrazione. Ragazzaocchidoro era giunta fin lì per colpa dell’amore: amava Ragazzapavone, ma non voleva farlo più, e per raggiungere questo scopo necessitava di un cuore puro, un cuore puro davvero. Dove l’avrebbe potuto trovare, però, era cosa ignota. Si umettò di nuovo le labbra e poi, non avendo indicazioni, seguì il suggerimento dei suoi seni e decise di raggiungere la radura. Man mano che ci si avvicinava, un profumo caldo di carne viva si faceva più inteso. Ora, Ragazzaocchidoro iniziava a sentire i morsi della fame; glie’aveva fatta venire quell’improvvisarsi bipede. Nella radura, ora la vedeva bene, c’era una bambina, una bambina con una mantella rossa, brillante.


Deglutì affamata. L’odore del sangue era forte, scorreva impetuoso nella piccola.

2 Vermiglio

Vermiglia indossò la mantellina rossa che le aveva regalato la nonna per il suo settimo compleanno, appena qualche giorno prima. La bambina sapeva che portare quel dono non avrebbe giovato ai suoi rapporti sociali, ma cosa poteva farci se le piaceva così tanto? Quel nome… accostato a quel colore… i suoi genitori l’avevano così battezzata a causa della loro passione per l’arte pittorica e, in particolare, per omaggiare “La morte della Vergine” del Caravaggio, la loro opera preferita in cui il rosso dominava tutto il resto. Anche se quel rosso non era davvero un vermiglio. Vermiglia, quindi, indossò la mantellina rossa e si diresse verso il bosco. La mamma l’aveva dispensata, per oggi, dall’andare a fare i lavoretti dalla nonna malata, ma aveva comunque deciso di frequentare il bosco che tanto spesso percorreva per dovere. Aveva scelto quel posto per giocare proprio per colpa dell’insulso nome che portava. A scuola i compagni la prendevano in giro e, fuori da scuola… beh, il paese era davvero molto piccolo e fuori da scuola non c’era nessuno per lei. Tutti i bambini che poteva conoscere li conosceva già e non le piacevano. Ecco perché il bosco era un luogo ideale per passare il tempo: era vuoto. O meglio, privo di coetanei. Vermiglia saltellò fino alla radura dei meli, così chiamata per un motivo sconosciuto. Si portò al centro dello spazio verde e si mise a giocare con una palla che non c’era, assieme a un bambino che non c’era, ma che di nome faceva Oltremare; con un nome così, di certo non avrebbe osato offenderla. Vermiglia l’aveva immaginato per la prima volta quando, durante una lezione di Educazione Artistica, la maestra Rosanna aveva elencato i colori pastello che ogni bravo studente avrebbe dovuto avere nell’astuccio. “Terra di Siena, Terra di Siena bruciata, Oro, Violetto di Parma, Giallo, Rosso, Rosso vermiglio…” A quel punto scoppiarono delle fragorose risate. “Silenzio! Ciano, Blu oltremare…” Subito aveva pensato a Ciano, ma suonava male. Oltremare, per quanto strano, pareva bello. Oltremare era un bambino che non c’era, ed era anche molto silenzioso. Giocava a palla con Vermiglia ma non era molto bravo e, spesso, la lasciava rotolare lontano. Per fortuna che una nuova palla che non c’era era sempre pronta nelle mani della bambina. Oltremare non parlava mai e mai, assolutamente mai offendeva Vermiglia.


Con quel suo strano amico che non c’era, la piccola poteva perfino fare l’insopportabile. La poteva fare solo con lui, e poi si scusava sempre. Vermiglia stava giocando con una palla che non c’era, assieme ad un bambino che non c’era, quando un rumore diverso da quello del vento la fece voltare. Sul limitare della radura, una donna la stava fissando. La bambina, per la sorpresa, fece cadere la palla che non c’era e Oltremare si lamentò, cosa più unica che rara, in un linguaggio che non esisteva. La donna piegò la testa di lato.

3 Oro

Ragazzaocchidoro avanzò, guardinga, verso la bambina. Il profumo del sangue la eccitava, la sconvolgeva! Era un’eternità che non ne sentiva di così… fresco. Aveva fame, aveva indubbiamente fame, ma non era solo quello a esaltarla. In tutte le antiche storie che aveva sentito i bambini recitavano la parte delle creature pure, e un cuore puro era proprio quello che andava cercando. L’erba della radura era più soffice del sentiero su cui aveva camminato fin’ora. Alcuni soffioni le liberarono i propri semi in faccia e lei, solleticata, emise una debole risatina divertita. Chiuse gli occhi e con le mani levò quei petali volanti. Quando li riaprì, la bambina la stava guardando, immobile. Anche lei si fermò e piegò la testa per studiare meglio quello che stava vedendo. La sua preda era minuta, bassa e magra. Il vento gonfiava e sgonfiava di continuo il mantellino rosso e la gonna a scacchi bianchi e cremisi. Le manine erano bloccate a mezz’aria, pronte ad afferrare un qualcosa che non si vedeva. Ragazzaocchidoro fece qualche altro passo. L’azzurro la sovrastava, il verde la circondava e il rosso la guardava incerto. “Sa-salve…” Azzardò Vermiglia. Ragazzaocchidoro si accorse di non capire quella lingua. “Sa-sarrrrr…” Cercò di imitarla, ma le uscì un verso incredibilmente felino. La bambina sbarrò gli occhi castani, poi il suo sguardo lasciò il viso della donna sconosciuta e cadde giù, lungo la gola, verso i seni sodi e pallidi, poi giù ancora, scivolando sul ventre, sul non-ombelico e frenando nuovamente sul pube, candido e liscio. Le gambe nude fecero un passo e Vermiglia si ridestò. “Non ha freddo?” “No frrrrrr…” Ragazzaocchidoro proprio non capiva. Provava a imitare quei suoni alieni, nella speranza forse vana che un significato la illuminasse, ma si rese conto di non essere abile con quei suoni. “Come, scusi?” chiese Vermiglia, nella speranza di ottenere una risposta anche


minimamente sensata. “Com’n’scrrrr…” A quel punto, la bambina ebbe un’intuizione. “È una signora straniera? Non capisce bene la lingua?” Ragazzaocchidoro si avvicinò ancora. Ora il profumo del sangue l’avvolgeva tutta ed era impossibile resistere. “Lei come si chiama?” Continuò Vermiglia, pentendosi subito di averle offerto, su di un piatto d’argento, la possibilità di girarle la domanda. Ragazzaocchidoro si accucciò ai piedi della bambina. Ragazzaocchidoro piegò nuovamente la testa. Ragazzaocchidoro aveva fame. Ragazzaocchidoro aveva bisogno di un cuore puro.

4 Vermiglio

La donna nuda si avvicinò ai piedi di Vermiglia, e questa ebbe paura. Non poteva semplicemente rivoltarle la domanda e ridere di quel suo nome tanto buffo? No, evidentemente no, preferiva piegare la testa e arricciare quel naso piccolo, come se stesse annusando l’aria. O forse non stava annusando! No! Forse stava male, non riusciva a respirare bene e aveva bisogno di aiuto! “Sta male? Ha bisogno di aiuto?” Ragazzaocchidoro le prese una mano. Aveva grandi occhi color del miele, occhi grandissimi. “Signora?” E la signora le leccò il braccio. Vermiglia sentì la lingua viscida bagnarle la pelle. “Perché fa così, signora?” Stava quasi per piangere, ma si impose di resistere per non fornire altre armi ai suoi compagni. In risposta, Ragazzaocchidoro le afferrò avambraccio con forza e se la tirò addosso. Prima di ritrovarsi praticamente incollata all’assalitrice, Vermiglia notò le dita bianche che le stringevano il braccio; erano così lunghe da non sembrare umane. Quelle dita, ora scomparse alla vista, presero a risalire verso la spalla. Le sentiva. Sembravano tante zampette di ragno. Ragazzaocchidoro, la bambina stretta al petto, con la mano su quella piccola spalla riusciva a percepire le vene, i legamenti, i muscoli, le ossa e il sangue. Sì, il sangue vibrava. Emise un gemito di piacere. “Signora?” La creatura non la sentì, o fece finta di non capire. Conficcò invece le unghie


acuminate nella carne della piccola che urlò di dolore. Lacrime calde incominciarono a sgorgare sul visino. Quella donna era cattiva e il bosco era vuoto e Oltremare non esisteva e lei aveva male e lei aveva paura. Quasi con delicatezza, Vermiglia abbozzò un tentativo di fuga, ma la morsa che la teneva in trappola era troppo resistente. La mano di Ragazzaocchidoro tirò con forza, la bambina sentì come uno strappo e poi più nulla. Era caduta nel sonno, ma prima di capire che da quel sonno non si sarebbe mai più risvegliata sognò di quando era più piccola… A scuola era stata una giornata particolarmente dura. La lezione di Educazione Artistica aveva fornito spunti interessanti per prenderla in giro più assiduamente del solito. A casa, la mamma aveva uno dei suoi mal di testa, di quelli forti, incredibilmente forti, proprio alle tempie e, come sempre in quelle occasioni, si era barricata in camera da letto. E barricata non in senso metaforico, aveva spostato il grosso comò in rovere fino a bloccare la porta. Aveva paura di venire disturbata. Aveva paura che papà la disturbasse. In salotto, il papà stava bevendo dopo aver abbondantemente bevuto per tutta la mattina. Questo voleva dire che non aveva più un lavoro, presumibilmente. Vermiglia scappò nel bosco. Non chiamò Oltremare, voleva rimanere sola. Voleva semplicemente rimanere sola per un po’. Voleva silenzio. Assoluto silenzio. Ma il silenzio non c’era. Il bosco respirava rumorosamente, il suo stomaco brontolava affamato e gli uccellini cinguettavano spensierati. Odiava quando gli uccellini cantavano, se lei era di cattivo umore. Lo odiava! Fu dunque per questo motivo che, quando un passero le si avvicinò fiducioso, lei allungò la mano e lo prese rapida. Lo guardò in quegli occhi neri e lucidi. Lo guardò. Lo battezzò, senza pronunciare parole, Terra di Siena Bruciata. Lo accarezzò. Poi incominciò a stringere, e stringere, e stringere, e stringere, e stringere e stringere. Terra di Siena Bruciata morì, ma Vermiglia avrebbe tanto voluto che al suo posto ci fossero stati i suoi compagni, la maestra di artistica, sua mamma, suo papà e Caravaggio.

5 Oro

Ragazzaocchidoro tirò con forza e il braccio della bambina si staccò con facilità. Vermiglia cadde svenuta.


Ragazzaocchidoro rimase folgorata dal sangue scarlatto che prese a zampillare sui vestiti e sul prato, tingendo tutto del colore della mantellina. Subito prese a nutrirsi di quel succo vitale; il profumo era intenso, intontiva, la mordeva alla gola per farle venir fame. Non si poteva resistere a quel richiamo scarlatto. La creatura ne leccò con la lingua, poi ne raccolse con le dita. Era sangue buono, fresco, giovane e… umano. Da molto non ne gustava. Cibandosi, il corpo pallido s’imbrattò. La carne si colorò di nettare rosso e solo una volta chetata la fame Ragazzaocchidoro si ricordò della ricerca che l’aveva condotta fin lì: il cuore puro. Con le unghie affilate lacerò il piccolo petto ancora intento, debolmente, ad abbassarsi e ad alzarsi. Si trattò di un lavoro lento, ma alla fine le lunghe dita bianche giunsero al centro vibrante di Vermiglia, lo afferrarono e lo strapparono via, dando inizio al sonno eterno di un nuovo spirito bambino. Ragazzaocchidoro osservò da vicino il muscolo caldo che teneva in mano. Sembrava troppo facile. Le pareva impossibile riuscire in un’impresa talmente ardua con un solo tentativo, eppure… la speranza… quello era il cuore di una bambina, e le leggende narravano con chiarezza e insistenza dell’innocenza e della purezza dei cuccioli d’uomo. Quel cuore era rosso, affatto liscio, inaspettatamente piccolo. Ragazzaocchidoro ne annusò il profumo e, persa nella malia del sangue, l’addentò. Morse con forza, per spezzare le fibre resistenti. Masticò decisa e si sporcò ancora. Ne amò il sangue denso e ingoiò a forza i pezzi stopposi di carne. Aveva gustato cose decisamente migliori, ma ora non si trattava di cibo, ma di salvezza. Se voleva smettere di amare Ragazzapavone, come le era stato intimato di fare, doveva cibarsi di un cuore puro. Ragazzaocchidoro addentò ancora. Masticò un nuovo boccone. Ingoiò un nuovo fascio di muscoli. Bevve altro sangue che incominciava a indurirsi. Mangiò il cuore e lo fece con disgusto. Si alzò da terra. La bambina era un angelo e la sua aureola e le sue ali erano fatte di sangue. Non era la Vergine del Caravaggio, ma era indubbiamente morta e il rosso la faceva da padrone. Ragazzaocchidoro chiuse gli occhi e, nel buio, sentì di amare ancora Ragazzapavone. Poteva percepire quel sentimento bruciare alla bocca dello stomaco. Quegli occhi blu le mancavano e voleva sentire quelle folte ciglia sbattere ripetutamente vicino alle sue guance. Ragazzaocchidoro riaprì gli occhi e parve confusa. Il cuore non aveva funzionato. Perché? Le leggende raccontavano il falso? Non tutti i bambini erano innocenti?

6 Oro Ragazzaocchidoro si rese conto di non essere troppo stupita. Nulla è mai facile, specialmente quando si tratta dei propri desideri.


Più che altro era rimasta colpita da quella verità legata ai bambini: si era sempre data per scontata la fondatezza delle antiche storie. Non c’era tempo da perdere. Bisognava trovare un cuore puro! Più se ne stava lontana da Ragazzapavone e più soffriva. Il fiuto. Il fiuto l’avrebbe sicuramente guidata. Trovava sempre quello che andava cercando, grazie al suo fiuto. Doveva solo trovare un luogo dove ci fossero molti cuori. Ragazzaocchidoro decise di seguire il sentiero che l’aveva condotta fin lì, ma di farlo in senso contrario. I sentieri, pensò, conducono sempre a qualcosa. Fece qualche passo per verificare di essere ancora in grado di sorreggersi e si mise ad attraversare il bosco. Camminò accarezzando di tanto in tanto le verdi fronde, superò il punto da cui era emersa quasi senza accorgersene e giunse in fine al limite del bosco. Di limite, durante la sua lunga vita, Ragazzaocchidoro ne aveva superati ben pochi, e quello del bosco la bloccò per almeno un paio di motivi. Per prima cosa, sarebbe stato il secondo limite ad essere superato in pochissimo tempo, in quanto giusto qualche ora prima aveva attraversato il confine che divideva due mondi. La seconda cosa era la paura. Lei non era una creatura paurosa, assolutamente, ma oltre quegli ultimi alberi c’era una vita che conosceva assai poco. Varcare quel limite naturale la spaventava e la elettrizzava allo stesso tempo. Ragazzaocchidoro prese ad annusare. L’olfatto era la guida più sicura che potesse desiderare, l’avrebbe condotta verso ciò che più desiderava, e in quel momento voleva solo trovare una creatura pura. Solo quando non avrebbe più amato Ragazzapavone, optando invece per Ragazzosalice, o Ragazzoresina, o qualsiasi altro ragazzo… solo allora la sua gente l’avrebbe accettata di nuovo. Il naso captò qualcosa, una specie di brezza fresca ed invitante. Proveniva da un centro abitato che poteva intravedere più a valle, alla base della collina su cui si trovava. Ecco, ora avrebbe dovuto passare quest’altro limite: dalla natura alla civiltà.


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