_Valdi Spagnulo
_ a cura di Luca Pietro Nicoletti
_Valdi Spagnulo
_ a cura di Luca Pietro Nicoletti
testi dI _ Claudio Cerritelli Sara Fontana Giorgio Zanchetti Lorenzo Fiorucci Kevin Mc Manus Matteo Galbiati
Valdi Spagnulo
CONTRAPPUNTO
a cura di Luca Pietro Nicoletti testi di: Claudio Cerritelli Sara Fontana Giorgio Zanchetti Lorenzo Fiorucci Kevin Mc Manus Matteo Galbiati Luca Pietro Nicoletti art director Pietro Spagnulo Edito da: Edicta scrl Via Torrente Termina 3/b 43124 Parma www.edicta.net Un particolare ringraziamento a: Silvia Agliotti, Milly Brunelli Pozzi, Roberto Calvi, Ross De Salvo, Massimiliano Di Fiore, Micaela Donaio, Giancarlo Gabelli, Monica Masiero, Francesco Mazzola, Aurora Meneghello, Luca Pagani, Maria Cecilia Pinaroli, Rodolfo Pozzi, Simone Rottini, Roberto Sabatino, Giacomo Sala, Patrizia Serra, Lucrezia Spagnulo, Pietro Spagnulo.
Grazie al sostegno di:
ISBN 978-88-89998-64-9
_ Indice
p. _ 05
Luca Pietro Nicoletti, Premessa
p. _ 07 p. _ 09 p. _ 13
Claudio Cerritelli, Domus mentis Sara Fontana, Contrappunto Giorgio Zanchetti, Conversazione con Valdi Spagnulo.
p. _ 21
Contrappunto 2018
p. _ 29
p. _ 51
Lorenzo Fiorucci, Di linea, di spazio, di ambiente: aspetti e sentimenti della scultura di Valdi Spagnulo Kevin Mc Manus, La produzione recente di Valdi Spagnulo. Appunti per una nuova sintesi Matteo Galbiati, Scrivere la materia nello spazio
p. _ 56
Opere 1993-2017
p. _ 110
Luca Pietro Nicoletti, Storia di Valdi Spagnulo I. Ipotesi di confine. II. Dentro la materia. III. Il vuoto e il suo doppio. IV. La presenza attiva dell’assenza. V. La linea danzante.
p. _ 152
Apparati
p. _ 41
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_ Premessa
Contrappunto è il titolo dato alla grande scultura site-specific realizzata da Valdi Spagnulo nel corso del 2018 per l’omonima mostra al Museo Francesco Messina di Milano: da una estesa piattaforma specchiante partono come alti arbusti di metallo, che si protendono verso l’alto culminando in lunghe barre di plexiglas colorato sottoposte a torsione e a intarsi cromatici luminosi e riflettenti come gemme preziose, con cui l’artista ha disegnato una selva affusolata entro cui il fruitore può virtualmente addentrarsi. Allo stesso tempo Contrappunto lo induce a guardare verso il basso e a riflettersi sulla superficie planare come in uno specchio d’acqua che registra i mutamenti dell’ambiente e dell’atmosfera, per poi staccarsi da questo in favore di una immersione fra i riflessi dell’acciaio satinato, per volgere infine lo sguardo verso l’alto seguento l’andirivieni di incastri e torsioni di plexiglas e metallo. Lo spunto avuto da Maria Fratelli, direttore di quel museo, a realizzare un’opera che entrasse in dialogo con l’opera dello scultore siciliano a cui è dedicata la ex chiesa milanese di San Sisto, ha offerto dunque lo spunto per una capillare revisione del percorso dell’artista dagli esordi a oggi, risalendo alle origini di una vicenda articolata che chiama in causa un capitolo particolare delle vicende figurative milanesi fra anni Ottanta e Novanta. La presente monografia, dunque, vuole fare il punto sulla storia di Valdi Spagnulo e sulle problematicità che la sua ricerca chiama in causa, offrendo uno sguardo su più fronti grazie al contributo di storici dell’arte di diverse generazioni. Dalla sua produzione più nota, successiva al Duemila, si va infatti a ritroso in un percorso di messa a fuoco progressiva. La nota di Claudio Cerritelli scritta nel 2015 come premessa alla mostra personale presso lo Studio Masiero di Milano viene qui riproposta come viatico di avvio a una lettura sempre più ravvicinata al lavoro di Valdi Spagnulo, di cui dà conto, in prima battuta, la riflessione in prospettiva di Sara Fontana. Si entra poi nel vivo della storia di questo artista con un inquadramento della sua ricerca entro il problema della scultura “di sola linea”, affrontato da Lorenzo Fiorucci, che fa da ouverture per la riflessione centrata sulla scultura in acciaio e plexiglass che caratterizza la sua ricerca a partire dal 1999, su cui si soffermano le note di Kevin Mc Manus e Matteo Galbiati. Una presa diretta sul presente, ma anche uno scavo memorialistico sul passato, invece, è al centro del dialogo dell’artista con Giorgio Zanchetti, fra gli interpreti più acuti dell’opera di Spagnulo, che segue con attenzione il lavoro dell’artista dagli anni Novanta. Infine, al testo di Luca Pietro Nicoletti è affidata una ricostruzione del percorso dell’artista, fra evoluzione stilistica e fortuna critica, che dà conto dei principali snodi di un complesso percorso artistico calato nella realtà del suo tempo.
Luca Pietro Nicoletti A sinistra: Riverberi, 2009, particolare installazione, foto B.Mezzaro
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Domus mentis _ Claudio Cerritelli
Le sculture che Valdi Spagnulo ha realizzato per questa mostra abitano lo spazio espositivo come dimore del pensiero avvolte da umori tangibili, essenziali forme metalliche che trasfigurano l’ambiente con nuove intersecazioni. Le opere si appropriano del luogo come sintesi mutevole di scultura-pittura-architettura, connessioni di uno stesso accadere della forma, mezzi di conoscenza interiore del mondo reale, aperto ad altri destini, altre soglie accessibili. Per Valdi si tratta di far coincidere molteplici potenzialità racchiuse nella “domus mentis”, metafora simbolica per indicare il luogo in cui la scultura interroga se stessa, colloquia con il sogno sospeso del possibile, crinale del pensiero attraversato dalle antinomie del visibile. Il pensiero del vuoto è abitato da sconfinamenti, costruzioni ambivalenti inglobano parete e pavimento disegnando traiettorie distorte e diramate in tutte le direzioni, dentro e fuori i perimetri bidimensionali e gli spessori aggettanti delle tensioni plastiche. La visione dell’istallazione spinge lo spettatore a farsi partecipe delle difformità spaziali che l’artista ha stabilito attraverso l’inquieta disciplina del fare scultura, dimensione tattile che proietta le linee-forza oltre l’ordine logico, verso misure visionarie. Nella “domus mentis” si avvertono perimetri slittanti, torsioni prospettiche, sbilanciamenti e dilatazioni, ribaltamenti e calcolate disarmonie che annullano i canoni spaziali. Le incursioni plastiche rendono apprensivo lo sguardo, lo disorientano per sperimentare lo spaesamento e l’enigma, desiderio di addentrarsi nella dimensione dell’ignoto, esperienza non definibile ma, volta per volta, attuabile. Le creazioni metalliche evocano lo schema della casa vista dall’alto, lo sviluppo dinamico assonometrico delle architetture primarie, origine di tutti i luoghi possibili, tema dominante che rimette continuamente in gioco i suoi assunti. La geometria costruttiva è un territorio mobile, in bilico tra progetto e invenzione, tra astrazione segnica e peso corporeo dell’aria, infatti la percezione virtuale si congiunge con l’immagine concreta, il nero e il bianco si aprono alle sollecitazioni cromatiche, le cangianze del metallo seguono il ritmo spezzato delle articolazioni. Valdi non rinuncia mai all’incanto del colore, ama inserire tubicini di plexiglass azzurrato di varie lunghezze, trasparenze che vibrano lievi, evocazioni di luce liquida che s’insinua per contrasto nella fermezza del metallo, magica alchimia che amplifica e alleggerisce il peso impositivo del ferro. A questo si aggiungono schegge opalescenti e reperti di colore industriale, frammenti che contengono bagliori anneriti, macchie disgregate d’azzurro e di rosso, tracce di casualità necessarie al respiro della scultura che travalica se stessa vibrando nell’aria. Da Valdi Spagnulo. Domus mentis, (Milano, Studio Masiero 2015) a cura di Claudio Cerritelli A sinistra: Domus dinamica 2, 2008/09, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato, 110 x 90 x 20 cm ca., collezione Banca Intesa Sanpaolo, foto A.Valentini
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Contrappunto _ Sara Fontana
Valdi Spagnulo è figlio d’arte, ma nel mondo dell’arte è entrato per vie inattese: ha compiuto studi di architettura e ha esordito come pittore, prima di diventare scultore. Questa formazione artistica autonoma è probabilmente la ragione per cui fin dall’inizio la sua progettualità e il suo linguaggio plastico si sono sviluppati al riparo da qualsiasi dipendenza dalle personalità artistiche dominanti nella scena milanese. D’altra parte, questo per lui non ha mai significato ritrovarsi in opposizione. Quando per esempio nel 2018 si è trovato a progettare l’opera site specific intitolata Contrappunto negli spazi dello Studio Museo Francesco Messina, la sua condotta è stata di estrema discrezione. La necessità di confrontarsi con il maestro di origine siciliana, a lungo docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, lo ha portato a riflettere sul significato odierno di quel luogo e sul senso di un suo intervento negli spazi oggi fruibili pubblicamente. Da qui la scelta di un’operazione che stesse a rispettosa distanza da una forma plastica evidentemente lontana dalla sua, ma che fosse tuttavia carica di suggerimenti più o meno espliciti. La sua idea è stata quindi di unire i due piani dell’edificio, dando vita a sottili trame narrative. Il pavimento del piano inferiore è stato coperto da lastre di acciaio specchianti e quindi circondato da tubi in acciaio lavorati a fuoco, sui quali l’artista ha innestato degli elementi verticali in acciaio e plexiglass, generando un continuum. Gli elementi verticali, a tratti colorati e perfino fluorescenti, si elevano fino al piano superiore e attraggono immediatamente il visitatore, invitandolo a riflettersi nella distesa di acciaio sottostante e poi a discendere per esplorarla da vicino. Proprio a proposito di questa scultura e del dialogo con i “maestri”, riprendo uno spunto dall’intervista a Valdi Spagnulo raccolta da Giorgio Zanchetti, da cui emergono una manciata di nomi che sono stati importanti, in maniera diversa, per la crescita artistica di Valdi (da Carlo Ramous ad Amilcare Rambelli, da Alik Cavaliere a Mauro Staccioli e Giuseppe Uncini), insieme a un coro di artisti a lui coetanei o di poco più giovani. Ne esce poi una possibile duplice relazione tra la nascita della scultura Contrappunto e il “lascito” di due scultori di diverse generazioni, alfieri di due linguaggi specifici e all’apparenza distanti: Fausto Melotti e Pino Pascali. Il titolo Contrappunto richiama, inutile dirlo, numerose creazioni dello scultore roveretano il cui magistero e la cui influenza, pur non esercitati ex cathedra, si sono avvertiti prepotenti, con il senno di poi, nell’arte italiana degli ultimi decenni del Novecento. La composizione dell’opera è giocata sul dialogo tra elementi indipendenti, spesso in vivo contrasto tra loro, che però trovano infine un accordo melodico. Anche Valdi non ha interesse per la modellazione e nella sua installazione preferisce giocare sulla dialettica tra elementi verticali e orizzontali, smussando la contraddizione tra innesto e paratassi e chiamando in causa il ruolo A sinistra: Contrappunto, 2018, dettaglio in plexiglas colorato e trattato, foto V.Spagnulo
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Fontana
attivo del vuoto. Tuttavia al discorso fondato sul ritmo, l’armonia e la scansione musicale, reso familiare dalla pratica dell’artista ingegnere, si sommano qui i portati degli ambiti processuale e poverista, di cui l’opera di Melotti (accanto a quella di Alberto Burri, Piero Manzoni e Lucio Fontana) è sempre più spesso presentata quale madrina e antesignana, proprio per la felice sintesi di processo intellettuale e sperimentazione materica. Forse non a caso, nella citata conversazione, Valdi Spagnulo ammette un richiamo anche alla superficie ritmica e specchiante del Mare di Pino Pascali (1967), una struttura dichiaratamente tautologica, misurata e modulare, che tuttavia diviene metafora dell’immensità vitale della natura e di quell’azione di metamorfosi che fu costantemente praticata dall’artista di Polignano a Mare. Una suggestione e un “omaggio” in cui contano probabilmente i natali a Ceglie Messapica (nel 1961) di Spagnulo, l’immaginario e la memoria legati ai luoghi delle origini e infine l’amore e la curiosità per le “cose di acqua” che all’epoca l’artista pugliese, poi prematuramente scomparso, sognava di poter continuare a fare. Sulla ricerca di un rapporto con il mondo che è quasi sempre mediato dall’arte, come sull’inusuale libertà di Valdi, credo abbia agito, involontariamente, la presenza quotidiana dell’esempio paterno e della sua orgogliosa autonomia. Osvaldo Spagnulo seppe essere un padre presente e affettuoso, e non si lasciò distrarre dalla propria ricerca artistica, costituita da sovrapposizioni, stratificazioni e collage e, parallelamente, dalla manipolazione di forme tridimensionali in ceramica. Un lavoro tenace e coerente, i cui esiti, in entrambi i casi, sono vivificati dal colore. Dalla consuetudine paterna con molti artisti, attivi soprattutto a Milano, deriva forse a Valdi la capacità di osservare il lavoro altrui con attenzione e obiettività, ponendosi di fronte a esso con uno sguardo realmente interrogativo. Una curiosità verso l’extra-scultoreo che lo accompagnerà anche negli anni a venire. A tal proposito, senza voler generalizzare troppo il discorso rischiando di perdere l’obiettivo, avanzo una provocazione e un invito ad allargare la riflessione. L’importanza inconfutabile dell’architettura e della pittura nell’elaborazione del suo linguaggio plastico si misurano in tutta la loro portata pensando a quanto fosse vivace e variegato il contesto milanese degli anni Ottanta, in cui l’artista mosse i primi passi della sua carriera, e quello del decennio successivo, in cui arrivarono i primi riconoscimenti, anche al di fuori del raggio esclusivo delle esperienze scultoree. Si potrebbe immaginare un confronto con altri suoi coetanei, non soltanto scultori e pittori, ma anche fotografi e artisti dediti a installazioni o, perché no, a quella che sarebbe poi stata denominata ‘arte relazionale’. Artisti della sua generazione come Liliana Moro (1961), Stefano Arienti (1961) e Luca Vitone (1964), per fare soltanto tre nomi tra i molti, respiravano la medesima atmosfera, anche se probabilmente ne assorbivano altri stimoli e frequentavano studi e gallerie diversi da quelli familiari a Valdi. Anche al di fuori di questa recente fatica site specific che è Contrappunto, i temi e gli spunti di riflessione offerti dalla ricerca plastica di Valdi sono attualissimi, direi quasi alla moda, nell’odierno dominio nel gusto di un registro votato all’azzeramento espressivo e allo slittamento verso mondi sempre più virtuali e inafferrabili, ma in cui sono pure presenti, per chi voglia vederle, consistenti frange delle poliformi tendenze ‘informali’, in un concetto ‘a-temporale’ che tutto amalgama. Valdi Spagnulo resta fedele a un operare con le mani che provoca la diretta trasformazione dei materiali, accetta i tempi imprevedibili della scultura -che restano tali anche per l’artefice disciplinato e metodico -, ed è consapevole che per la creazione di un’opera d’arte non basti il rapimento dell’ispirazione. Tuttavia la sua è sempre una forma aperta, spesso instabile e frammentaria; il vuoto e l’assenza, ma anche il doppio e l’ombra, vi giocano un ruolo attivo e intenzionale, meditato,
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Contrappunto
tanto nella continuità quanto nelle svolte. Sono portati che paiono voler minare i capisaldi della scultura, ma non vi è nulla di più lontano dall’indagine di Valdi di uno spirito polemico e soltanto distruttivo. Le sue microrivoluzioni silenziose e nascoste costellano ininterrottamente un cammino di ricerca che ha attraversato mode e correnti, in qualche caso le ha pure assorbite, senza però lasciarsene deviare né tantomeno fagocitare. Intuì bene questo percorso Rossana Bossaglia, nel lontano 1995, scrivendo il testo di presentazione della personale di Valdi Spagnulo a Pietrasanta. L’interpretazione proposta in quell’occasione, cogliendo i percorsi di provenienza e di direzione dell’artista, divenne un contributo importante nella letteratura che poi si sarebbe raccolta intorno al suo lavoro. All’inizio c’è la gravitazione nei territori abitati dalle riprese del linguaggio ‘Informale’, emerse nel clima postmoderno e neoespressionista degli anni Ottanta, precisando però - come d’altra parte Enrico Crispolti aveva da subito compreso - l’‘eclettismo’ implicito nel termine ‘Informale’ e la sua funzione di categoria strumentale. Esperienze che Spagnulo ripensa con uno sguardo ormai diversamente addestrato dagli ambiti cronologicamente più vicini del concettualismo, dell’arte povera e delle correnti minimaliste. Giustamente Lorenzo Fiorucci sottolinea la lucidità critica di Bossaglia. Personalmente, ho avuto modo di occuparmi di recente di uno scultore quasi coetaneo di Valdi, Guido Lodigiani, che pure ebbe il privilegio di un testo della studiosa nella sua prima personale; e ho dovuto ammettere che anche in quel caso la sua lettura aveva ben previsto gli sviluppi futuri del linguaggio dell’artista. Si torna dunque a quella linea ‘concettuale’ già individuata anni fa, con un passo ulteriore verso la riduzione all’essenza e avendo cura di osservare, in primo luogo, come l’opera di Valdi conduca sempre a una sintesi lirica di scultura, disegno, pittura e architettura, attraverso il delicato equilibrio tra una dimensione progettuale inafferrabile, la varietà dei materiali utilizzati (acciaio, acciaio specchiante, plexiglas pigmentato) e il ricorso a un processo fisico e manuale diretto, che controbilancia l’insieme sul versante ‘romantico’ ed ‘espressionista’. Dove è bene notare come l’aspetto operativo spesso comporti un coinvolgimento totale del corpo dell’artista, con le sole forze di cui esso dispone, anche laddove la realizzazione potrebbe avvalersi delle tecnologie industriali e meccaniche. E come, una volta concluso il processo, Valdi rispetti il naturale invecchiamento e l’usura dei materiali, senza tentare di alterarli o di camuffarli. Emblematica della poetica dell’artista è da tempo la cornice metallica, che diviene un diaframma tra la parete e il nostro spazio e funziona sempre da varco e passaggio, piuttosto che da barriera e divisione. Spagnulo si concentra sul dialogo tra i materiali e il vuoto, tra la parete e lo spazio antistante. Delinea forme quasi geometriche, innalza strutture, costruisce sottili architetture, poi ne contorce i contorni e ne altera lievemente gli equilibri, confondendo le acque tra istanze costruttiviste e spinte decostruttiviste. L’ombra proiettata dall’opera sul muro, caratteristica di molte sue sculture, o l’articolata sequenza delle “Domus”, la cui spazialità si amplia sul pavimento ortogonalmente alla parete che le accoglie, portano alla mente le limpide osservazioni di Italo Calvino di fronte alle opere di Giulio Paolini e, in particolare, ai suggerimenti offerti dal rovescio del quadro e dall’osservazione del suo retro. Nel breve testo introduttivo a Idem di Giulio Paolini, nel 1975, intitolato La squadratura e interamente condotto sul confronto tra lo scrittore e il pittore, Calvino scrive: «Basta appoggiare una tela nuda a piè di un muro, un po’ inclinata, e fermarsi a guardarla per renderci conto di come siamo irriconoscenti noi che abbiamo occhi soltanto per ciò che è portato, la pittura, e non per ciò che ha il compito di portare: la tela, il suo telaio, il muro che li regge, il suolo su cui poggia il muro».
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Conversazione con Valdi Spagnulo _ Giorgio Zanchetti
Valdi Spagnulo – Vorrei raccontarti un po’ il progetto di questa mostra; perché non te l’ho potuto far vedere e non l’ha visto ancora nessuno. È un’opera site specific — e tu tra l’altro sei stato uno dei primi a vedere il mio lavoro da questo punto di vista, ma anche evidenziando che poi le mie installazioni possono essere smembrate e riportate in un luogo diverso da quello dove le ho fatte la prima volta. Quest’opera l’ho chiamata Contrappunto — e non è casuale perché è logico che nel mio lavoro nel modo di fare scultura c’è un rapporto con la storia dell’arte italiana lungo una linea che risale idealmente a Fausto Melotti e al suo interesse per il ritmo e l’armonia musicale. Realizzata per il museo Messina, l’ho studiata come un’unione fra i due piani dello spazio: sarà al piano interrato, ma potrà essere vista dall’alto, da questa grande luce che c’è al piano terra, affacciandosi alla balconata; alzando lo sguardo l’occhio sale attraverso una specie di sfondato rinascimentale o barocco. Ho voluto creare un trait d’union fra i due piani dello spazio espositivo e mi è venuta in mente — quasi come una suggestione di quando ero un bambino piccolo e vivevo in Puglia — la superficie ritmica e specchiante del Mare di Pino Pascali. Così ho realizzato un grande specchio di acciaio a pavimento, racchiuso da strutture di tubi d’acciaio lavorati a fuoco, dai quali si dipanano delle verticali metà d’acciaio e metà in plexiglass che arrivano fino a quasi 6 metri di altezza. È una struttura da assemblare, non un blocco unico, quindi nel momento in cui la monterò non è detto che io utilizzi tutto lo spazio disponibile. Magari invece la metterò tutta da una parte, oppure di traverso… l’importante è l’idea delle lastre di acciaio specchianti — che tra l’altro avevo già usato in altre sculture —, perché chi si affaccia dal piano superiore del museo si rifletterà in questo mare d’acciaio, insieme con l’ambiente circostante e con gli elementi verticali della scultura. Sui tubi d’acciaio, infatti sono saldati degli innesti in cui sono fissati i tubi di plexiglass, che non sono necessariamente trasparenti, ma anche fluorescenti oppure lavorati col colore: sono elementi che incamerano la luce e la rimandano, senza necessità di usare altri artifici, come il led o la fibra ottica, che sono elementi più lontani dalla mia poetica e non vorrei diventassero un po’ invadenti, trasformando la mia scultura in una specie di giocattolo tecnologico o di oggetto di design. Inoltre il plexiglass m’interessa perché, al contrario del vetro, invecchia — così come fanno il ferro, l’acciaio, e come capita a noi stessi… Giorgio Zanchetti – Una delle caratteristiche del tuo lavoro, secondo me, è di muoversi tra i due poli di un oggetto che è sempre costruito manualmente — che addirittura esibisce il fatto di essere costruito per assemblaggio di materiali industriali o, comunque, fortemente materici — e del vuoto, cioè dello spazio ambientale che finisce A sinistra: Contrappunto, 2018, dettaglio costruzione acciaio inox spazzolato e brunito, foto V.Spagnulo
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per essere integrato all’interno della struttura dell’opera, quasi come fosse a sua volta uno dei materiali della scultura. Lo spazio non è mai una dimensione neutra e continua che la scultura va a occupare con il proprio volume, ma quasi sempre i volumi delle tue sculture sono gli spazi vuoti attorno ai quali i materiali disegnano una cornice, un contorno, una scansione ritmica o una filigrana. Per questo, secondo me, descrivendo Contrappunto hai fatto riferimento a Melotti. Spagnulo – Sì. Anche nel mio lavoro precedente c’era un inganno dello spazio che appartiene più al mondo della pittura che non a quello della scultura, ma poi questa cosa è diventata ancora più tridimensionale quando le opere si sono staccate dalla parete per disporsi nell’ambiente oppure a terra. Non voglio fare una scultura che si imponga nello spazio dove va a inserirsi, ma una scultura che entri a far parte dello spazio circostante e si modelli su di esso: la cosa importante non è il vuoto, non m’interessa ridurre la scultura a una specie di vacuità, ma è la sua presenza. Zanchetti – Che è poi una presenza attiva in mezzo alle persone e alle cose, sullo stesso piano delle altre cose… E da questa tua presa di posizione discende l’aspetto che accennavo prima: questa tua scultura non è una cosa costruita intorno o contro a un’altra cosa, ma costruita tenendo conto, mettendosi in relazione con le altre cose… Abitualmente è lo spazio architettonico del museo o della galleria in cui ti trovi a lavorare, ma nel momento in cui tu mettessi una scultura nella natura potrebbe entrare in causa anche lo spazio naturale. Spagnulo – Certo, non è un fatto neorinascimentale, ma lì il confronto diventa
Contrappunto, 2018, dettaglio in plexiglas colorato e trattato, foto R.Calvi SKY 53
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Contrappunto, 2018, dettaglio dell’installazione, foto R.Calvi SKY 53
problematico perché la natura, qualsiasi essa sia, vince sempre, è smisurata, ti fagocita… Poi non voglio assolutamente che la mia scultura violi la natura e, nonostante gli esempi dei grandi maestri, mi piace che sia parte della natura o dell’ambiente urbano senza cercare artificiosamente d’imporsi, senza diventare dominante. Al contrario vorrei che s’integrasse completamente; ecco perché mi piace una scultura che sia filtrante all’occhio: se l’occhio o il corpo dello spettatore possono attraversarla, invece di porsi semplicemente davanti a essa, allora può funzionare. Per questo ho guardato fin dall’inizio e continuo a guardare con interesse ad artisti del passato come Carlo Ramous o Amilcare Rambelli o Alik Cavaliere, per la loro capacità di utilizzare la materia come allusione o come simbolo, per la loro capacità di contaminare… Zanchetti – Anche se nel tuo lavoro gli interessi e le eventuali suggestioni letterarie non si esplicitano mai in una drammaturgia precisa, le tue sculture non diventano mai scenografie per un teatro, fosse pure mentale… Spagnulo – No, assolutamente no. Ma, d’altra parte, ogni riferimento agli artisti del passato è relativo. Sappiamo tutti che il nostro è un lavoro a fondo perso… Però quando qualcuno si ricorda di certi artisti che sono stati un po’ dimenticati nel tempo — e soprattutto se a farlo non è uno storico dell’arte o un critico, ma un altro artista — allora può scattare qualcosa, può esserci una vera riattualizzazione e una crescita, anche collettiva. Poi penso al mio rapporto umano e culturale con una figura impor_17
Zanchetti
Contrappunto, 2018, dettaglio acciaio inox prove di torsione, foto V.Spagnulo A destra: Contrappunto, 2018, dettaglio costruzione acciaio inox spazzolato e brunito, foto V.Spagnulo
tantissima, come Mauro Staccioli: ogni volta che vedi il lavoro di Mauro, e lo rivedi e lo rincontri, scopri punti di vista ed equilibri instabili nuovi, inquadrature che trasfigurano il paesaggio… Zanchetti – Dai riferimenti che fai si capisce bene come si possa fare un uso produttivo, un uso creativo degli esempi. Perché se ci si limita a tentare d’inserirsi in una genealogia artificiosa, se si cerca di rincorrere gli esempi del passato, solitamente si finisce per fallire, o quantomeno si fallisce rispetto alla propria individualità, si rinnega la propria autenticità. Tu invece riconosci nel modo di fare di persone delle generazioni precedenti alla tua una loro fisionomia, una loro individualità che ti interessa anche a prescindere dai problemi interni del tuo lavoro; e ti permetti il lusso di ragionare tanto sulle strutture virtuosistiche di Ramous quanto sulle forme purissime di Staccioli, che baciano l’architettura con una leggerezza e un dinamismo incredibile. Spagnulo – Sì, vedi, da ciascuna di queste persone — con alcune delle quali, poi, ho avuto anche occasione di collaborare — ho imparato il fatto fondamentale di non avere più paura di niente. Erano, non so come dire, non disincantati, ma certamente non avevano paura di parlare seriamente del loro lavoro, anche mettendosi in discussione… Io questo l’ho trovato soltanto in alcuni di questi artisti più anziani di me e in alcuni mastri fabbri che mi hanno poi insegnato a fare quello che mi serviva per realizzare le mie sculture. Invece ho fatto molto più fatica a trovarlo nei miei coetanei, che spesso erano come frenati da un discorso di concorrenza, di antagonismo, che io trovo stupido e dannoso. Ovviamente, però, ci sono alcuni artisti della mia generazione o anche più giovani con i quali ho avuto scambi anche molto proficui; penso a Claudio Borghi, Alex Corno, Lorenzo Mazza, Giorgio Vicentini, Paolo Iacchetti, Valerio Anceschi, Elena Modorati, Cuschera, Carlo Bernardini, Paolo Radi, Emanuela Fiorelli; oppure altri che ho seguito a distanza come, ad esempio, Eduard Habicher, con il quale ci sono delle affinità elettive nel lavoro, anche se non ci siamo mai incrociati direttamente. Molti di questi incontri sono avvenuti allo Spazio Temporaneo di Patrizia Serra, che è stato per un lungo periodo uno dei luoghi dove non soltanto era possibile vedere dei lavori di giovani artisti entrare in dialogo con i maestri del passato, ma dove era anche possibile scambiarsi opinioni e idee. Zanchetti – Tornando proprio alla componente realizzativa, alla pratica, l’impressione che si ha del tuo lavoro è che si trasformi mentre lo fai. Tu parti probabilmente 18_
Conversazione con Valdi
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da un’intuizione, da un disegno mentale, ma l’atto di forgiare il metallo, di piegarlo, di plasmarlo in officino è quello che poi determina la forma definitiva del lavoro. Quanto c’è nell’opera finita di assemblaggio e di progetto, per così dire concettuale, e quanto predomina invece il carattere materiale e tecnico del metallo? Per fare un esempio, ricordo che, quando anni fa abbiamo iniziato a parlare insieme del tuo lavoro, ero rimasto colpito dal fatto che per te fosse importante non piegare a macchina certi elementi metallici, per non rimanere prigioniero di un progetto tecnico da architetto o da designer. Avresti fatto molto prima a delegare questo lavoro a un’officina specializzata e invece sceglievi di piegare tu stesso a mano queste barre, torcendole e facendo leva sul piede, sul ginocchio o sul dorso. Spagnulo – Per me è una cosa molto spontanea e molto semplice. Considero qualsiasi materia, dalla creta al ferro e al plexiglass, come un elemento vivo che porta su di sé un proprio vissuto. Non è mai un elemento statico, è un elemento che io intercetto in un determinato punto della sua parabola vitale. Uno dei motivi per cui io non amo progettare a tavolino le mie sculture e farle realizzare da un’officina è proprio la necessità di confrontarmi direttamente con la materia nel suo divenire: l’esatta curvatura di una piega voglio vederla io e devo essere io a darla. Anche se ora, con l’età è un po’ più faticoso… D’altra parte le piegature fatte sul mio addome, sulla spalla, sulla testa, sul collo trasformano il metallo in un prolungamento del mio stesso corpo e mi permettono di inserire nello spazio una forma nuova, realizzata senza mediazione. “Milano, settembre 2018”
In alto: Contrappunto, 2018, dettagli puntali compositi plexiglas colorato e trattato, foto V.Spagnulo A destra: Contrappunto, 2018, visione installazione, foto R.De Salvo
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Pagine precedenti: Contrappunto, 2018, visione installazione, foto R.Calvi SKY 53 A sinistra e in alto: Contrappunto, 2018, dettagli puntali compositi plexiglas colorato e trattato, foto V.Spagnulo, R.Calvi SKY 53 Pagine seguenti: Contrappunto, 2018, fasi di montaggio e visione totale, 600 x 500 x 500 cm ca., foto R.De Salvo, R.Calvi SKY 53
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Di linea, di spazio, di ambiente: aspetti e sentimenti della scultura di Valdi Spagnulo _ Lorenzo Fiorucci
La scultura di Valdi Spagnulo si inserisce su quel filone artistico dove la sinuosa leggerezza della geometria diventa elemento fondante attraverso cui l’opera si costruisce concettualmente e prende forma fattivamente nell’esplorazione dello spazio. Un filone che si potrebbe sintetizzare con una categoria limitante e di sintesi, ma in parte ancora utile a comprenderne i termini visivi e forse anche sostanziali di quella “scultura di linea” che trova in Italia, già dalla metà degli anni Trenta, in Fausto Melotti l’illustre iniziatore, supportato nella fase d’esordio più sperimentale da Lucio Fontana, e successivamente, in quella spaziale ambientale con l’impiego di tecnologia al neon. Una linea che si sviluppa lungo una direttrice temporale complessa ed eterogenea, fatta di rigorismo formale nella sua accezione più astratta, ma che non resta immune dalle sperimentazioni linguistiche degli anni Cinquanta acquisendo i processi deformanti ed eterogenei dell’informale e i tentativi, con essi dialoganti, di ridefinizione narrativa del decennio successivo. Già su questa direttrice si possono rintracciare alcuni dei protagonisti di quegli anni che implementano il filone verso una scultura in cui non solo la leggerezza geometrica prende il sopravvento sulla pesantezza della materia e sulla gravità esistenziale dei propri autori, ma viceversa è il vuoto, lo spazio, il silenzio ad assurgere a prerequisito essenziale dell’opera. Da Melotti a Berto Lardera; da Ettore Colla a Edgardo Mannucci e Carlo Lorenzetti passando per Carlo Ramous, Giuseppe Spagnulo e Mauro Staccioli solo per circoscrivere il campo a poche, più o meno note personalità, si possono individuare i punti cardinali dove orientare la progressiva indagine su questa specifica modalità scultorea dal dopoguerra in Italia.
Colpo di coda, 1994, ferro, carte, graffite, fuoco, parete, 60 x 65 x 2 cm ca., collezione privata, foto B.Zanzottera A sinistra: Voiage, 2005, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, 167 x 133 x 83 cm ca., foto R.Angelotti
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Non è estranea a questo contesto nemmeno la scultura metallica e polimaterica di Amilcare Rambelli, artista oggi praticamente dimenticato anche dalla città meneghina che gli diede i natali e che ancora ne custodisce le spoglie, seppure inizialmente si muove su binari e tecniche diverse come la terracotta e la fusione in bronzo. Di Rambelli si dimentica infatti quasi completamente l’ultima produzione, quella degli anni Settanta in cui dalla terracotta passa con disinvoltura, ma con estrema coerenza linguistica a trattare in modo combinatorio il plexiglas e l’acciaio 1 , materiali che si riverberano con modalità diverse anche nelle opere degli anni Novanta di Valdi, che il milanese tratta in un dialogo stretto tra organismo e meccanica. Sarebbe tuttavia riduttivo e anacronistico soffermarsi sul dato di continuità storica che lega l’opera di Valdi Spagnulo a quella di questi artisti. Diverso è l’approccio alla scultura, così come necessariamente differenti sono i temi trattati e soprattutto il contesto entro cui il nostro si trova ad operare è radicalmente cambiato. Forse è più utile individuare alcuni, pochi, compagni di strada della generazione di Vadi, come Eduard Habicher, proiettato dagli anni Novanta in una ricerca costante verso le dinamiche di una scultura metallica che disegna e imbriglia lo spazio attraverso putrelle di ferro “ammorbidite” come un qualunque materiale plastico facilmente modellabile. In alcune opere Claudio Borghi partecipa a questa situazione di linearità seppure in un rapporto necessariamente affine alla percezione del naturale così come, dal sud Italia, Angelo Casciello struttura il proprio linguaggio su una dimensione di attrazione ambientale in cui tuttavia il linearismo geometrico è attenuato sensibilmente da una volontà esplicitamente narrativa dell’opera. Forse guardando anagraficamente poco oltre, anche il lavoro della più giovane scultrice Delphine Valli, che opera da anni a Roma, è proiettato in una componente di astrazione essenziale di matrice concettuale e può inserirsi su un piano dialogante con Valdi anche se più sul versante formale. Così come l’umbro Michele Ciribifera dopo la lunga vicinanza ad un’artista che di questa modalità è stata pioniera come Beverly Pepper, ha da anni intrapreso una strada verso la scultura d’ambiente che muove nell’evoluzione di una struttura lineare, scenografica, per nulla scontata e meritevole di attenzione. Solo pochi nomi individuati tra i tanti che da nord a sud della penisola raccolgono l’attualità di un percorso ubiquitario, ancora in vivace divenire nella scultura italiana odierna che non manca di offrire spunti di riflessione soprattutto se messi in relazione al tessuto originario dal quale scaturisce. La generazione di Valdi, classe 1961, si misura per la prima volta negli anni Ottanta con un contesto di effervescente ubriacatura stilistica. Un decennio florido di risorse, ma ambiguo rispetto all’originalità di una proposta artistica concretamente incisiva che anzi, alla prova dei fatti rischia di trovarsi imbrigliata tra altre ingombranti eredità dei decenni precedenti. Il sovrapporsi di situazioni aperte su più fronti, spesso la proposta artistica è compressa tra gli eccessi partecipativi e linguisticamente sperimentali degli anni Settanta, l’ondata minimalista e formalizzante a cavallo tra i Sessanta e i Settanta, e la fuoriuscita dal materismo segnico e gestuale degli anni Cinquanta verso una componente di riconquista della figura nella sua compiutezza narrativa dei primi anni Sessanta intersecandosi con l’ondata poverista di fine decennio. Una successione di fasi storiche dall’impronta fortemente identitaria che non si annullano nel loro avvicendamento, ma che anzi spesso interferiscono tra di loro. Il tutto va a scontrarsi Si veda Rambelli, (Teramo, Nuova Sala Espositiva Comunale, 18 dicembre 1997-18 gennaio 1998) a cura di Andrea B. Del Guercio, Edigrafital, Teramo 1997.
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Nel vuoto,1992, carte, sabbia, cera, smalti, scavi, rame, fuoco, su legno, 140 x 200 cm, collezione privata, foto B.Zanzottera
con l’innovazione informatica e tecnologica degli anni Ottanta e con il coevo recupero del genius loci, transavanguardistico. Due istanze, quest’ultime, già tra di loro in antitesi su cui si inserisce, all’indomani di una completa assenza ideologica e della crisi liberale, quel filone che ancora oggi domina e che fa capo all’esoterico, al trascendentale e allo spirituale2. Mai si sono registrate contraddizioni e spinte così eterogenee condensate in un decennio che politicamente ha perso le polarità contrapposte dell’ideologia e contemporaneamente, a livello sociale, ha avviato quella parcellizzazione capitalistica che ha portato all’irrisolta questione dell’individuo come unica unità di misura. Anche l’arte è costretta a confrontarsi con la debolezza di un pensiero senza relazioni con il mondo e con l’unica certezza di valere in quanto valore economico, in cui l’artista rinasce libero da tutto, ma terribilmente solo con se stesso3. Non è comprensibile l’arte dell’ottavo decennio del Novecento e poi del post 1989, se non inserita in un tessuto così articolato i cui esiti ancora oggi determinano le logiche del suo stesso esistere e non è escluso che determineranno, forse anche tra poco più che una generazione, le ragioni della sua estinzione così come la sì concepisce
Su questa duplicità di spinte si veda: Lorenzo Fiorucci, Mutazioni geometriche archeologiche, in Carlo Dell’Amico 1985 - 1990 No pure forms no pure elements, Silvana editoriale-Montrasio Arte, Cinisello Balsamo 2018, pp.9-35.
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3 Si veda. Enrico Crispolti, Gli anni del disimpegno e disinganno in La Pittura in Italia Il novecento/3, a cura di Carlo Pirovano, Electa, Milano 1994, pp.158-277.
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Vaganti silenti e Vaganti in nero, carte, smalti, ferro, graffite, piombo, rame fuoco, 100 x 74 cm ca., foto B.Zanzottera
oggi4. Su questa cornice, sommariamente tracciata, ma abbastanza completa nelle sue strutture portanti, si origina anche la scultura di Valdi Spagnulo, che acquisisce una coerenza linguistica a partire proprio da quel decennio, dapprima come pittore e poi, in modo consapevole, in veste di scultore. Per trovare una legittimità di contesto conviene forse ripartire da Rossana Bossaglia che è tra le prime ad occuparsi del lavoro di Valdi. Con lucidità critica, la Bossaglia nota già nella presentazione dei dipinti e sculture, a metà degli anni Novanta, come «Spagnulo vive la lezione storica non come un modello a cui far ricorso, scavalcando le esperienze succedutesi nel tempo, bensì al contrario filtrandola attraverso di quelle; guardando all’Informale con gli occhi di chi ha assorbito gli stimoli del dibattito intervenuto poi. Il concettualismo gli ha insegnato la trasposizione su un piano mentale dei problemi legati alla matericità dell’oggetto; l’arte povera e il complesso delle correnti minimaliste, una volontà di ascetismo formale, l’avversione per ogni compiacimento estetizzante»5. Rileggere interamente quel testo scritto nel 1995, ma con riferimenti anche ai lavori del decennio precedente, riaffiorano le modalità attraverso cui Valdi raccoglie, strada facendo, una grammatica che ha origini dal dopoguerra. Allo stesso modo la scelta di colori cupi e grigi, già nelle pitture e poi nelle bruniture dei metalli e nelle bruciature del plexiglass, è il segno di come la tradizione visiva lombarda sia stata acquisita dallo scultore, che solo all’apparenza sembra tradire le sue origini meridionali che anzi permangono indirettamente nel chiarore del bianco che quasi tutte Sulle prospettive di una società futura è forse utile leggere la posizione di Yuval Noah Harari, Homo Deus, Bompiani, Firenze 2017.
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5 Rossana Bossaglia, Il colore dell’ombra, (Pietrasanta, Chiostro di S.Agostino, Sala dei Putti, marzo-aprile 1995), Arti Grafiche Beverasco, Sesto San Giovanni 1995.
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le sue sculture a parete inquadrano, e in molti dei dipinti degli anni Novanta. Una ricezione attenta alle situazioni storiche e contemporanee sembra dunque essere il punto operativo dello scultore che allo stesso modo, seppure non in maniera esplicita, trae motivo di riflessione dall’attualità più che dalle riscoperte dal sapore arcaico, come la Bossaglia registrava sempre in quel intervento. Forse tratta in inganno dalle tendenze del decennio, la critica osservava come nel lavoro dello scultore vi fosse anche una certa figuratività materica, sublimata nell’immagine eterea di sapore arcaico e spiritualizzante. É forse questo un pensiero che rischia di allontanare troppo lo sguardo da una maggiore aderenza alla realtà. Se infatti è indubbia la struggente sublimazione dell’immagine nella materia, in relazione ad opere come: Nel vuoto (1992), Colpo di coda (1994), Vaganti in Nero (1994) o Caduta dell’angelo (1994) ed altre, non è scontata la sua componente arcaica e spiritualizzante, che se presente è comunque marginale rispetto ad un dato di concretezza sul presente. Piuttosto la costruzione dell’immagine in Valdi mi sembra si componga, nella pittura e poi anche nella scultura, di quella visionarietà lirica immaginaria che ha comunque nella scelta dei materiali e nel modo Abissi, 1998, ferro, molla, plexiglas pigmentato e trattato, fuoco, parete, 61 x 120 x 20 cm ca., collezione privata Milano, foto A.Valentini
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di trattarli una necessità descrittiva della contingenza. Non c’è infatti nella materia impiegata né una forma compiutamente costruita né un senso di rigore geometrico che possa far pensare a modalità arcaiche, magari dal sapore archeologico. Così come la liricità di certe opere difficilmente lascia spazio ad una trascendenza spirituale. Ad esempio in Vaganti Silenti (1994) che forse è il dipinto più lirico di quegli anni, più che in una componente spirituale, gli oggetti vagano al centro del dipinto in una dimensione onirica. Forme circolari spezzate ed elementi fluttuanti come spaesati in un luogo della mente senza un reale approdo sono forse più il risultato di un sentire il mondo di quegli anni o uno stato d’animo collettivo, che non l’eco di mondi lontani e spirituali. La forma frammentaria e aperta che trova poi nella sintesi geometrica delle sculture una definizione maggiormente compiuta e originale, ha la sua matrice iniziatica nello stretto contatto con la realtà vissuta più o meno consapevolmente dall’artista che, pur non narrando mai esplicitamente i fatti, restituisce liricamente le sensazioni di un momento storico sottoforma simbolica. L’esempio forse più chiarificatore in questo ambito è proprio Caduta dell’angelo un quadro realizzato nel 1994, che sembra fruire come citazione dalla più nota opera di Chagall, presente proprio in una mostra a Milano in quegli stessi anni. Di quest’opera lo scultore sembra catturare l’afflato contenutistico che lo ha generato che per l’artista russo equivale ad una visione metaforica della caduta della Russia invasa dai tedeschi e dalla minaccia al popolo ebraico. In un’ipotetica equivalenza, a distanza di tempo, anche per Valdi la Caduta dell’angelo non può non riferirsi che alla fine di un’epoca fatta di solidità e nel dubbio legittimo, anche di certezze, che trova proprio nel 1994 l’anno simbolo di un’affermazione culturale che nei modi e nelle tempistiche non ha precedenti in Italia e che di fatto chiude i conti
Gran portale, 2005, acciaio inox, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, 135 x 194 x 15 cm ca., foto R.Angelotti
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Caduta dell’angelo, 1994, carte, smalti, graffite, piombo, fuoco, su legno, 120 x 100 cm, foto B.Zanzottera
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Angelo nero,1994, carte, lana di vetro, smalti, graffite, piombo, scavi, fuoco, su legno, 125 x103 cm, foto B.Zanzottera A destra: L’elefante, 1998, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, fuoco, parete, 150 x 150 x 30 cm ca., foto A.Valentini
con il passato. Vi è dunque una commistione di visionarietà immaginaria, forse anche onirica, ma che poggia tuttavia in modo concreto sulla realtà in quanto la percepisce e da essa prova a incardinarsi restituendo gli elementi essenziali registrati dall’artista, pur non cadendo mai nel contenutismo esplicito, ma piuttosto in un’immagine evocativa. Le opere di Spagnulo racchiudono suo malgrado quel segreto individuale che si origina dalla realtà universale. È la prassi operativa di restituzione, forse anche involontaria, di situazioni necessariamente emozionali, che sprigionano una tendenza essenzialmente lirica, Fa dell’opera di Valdi la traccia non calcata, ma inquadrata, soprattutto nelle sculture, di una situazione concreta. Una modalità, come ricordato, che muove dalla pittura e forse ancor prima dal disegno, ma che già negli esordi, con la presenza nei quadri di elementi oggettuali che fuoriescono dalla cornice, Valdi dichiara la necessità di rintracciare nella terza dimensione l’oggetto esclusivo della propria ricerca pur non affrancandosi dalla parete. Inevitabile dunque che il passaggio dal quadro alla scultura avvenga di fatto con un espediente che aggira la rappresentazione per immergersi nella visione concreta del mondo. Di fatto il salto avviene operativamente privando il quadro della tela, eseguendo idealmente un processo di “spellatura” che conduce l’artista a disvelare la struttura primaria della pittura: il telaio, e a lavorare sul e con il supporto del supporto. Il telaio diventa dunque l’archetipo, il modello fondante su cui la scultura di Spagnulo prende forma. Una modalità che recupera la struttura elementare che egli realizza in genere in ferro, e che ha la stessa valenza di un foglio, o forse meglio di uno schermo, che incornicia e inquadra lo spazio. Il passaggio alla terza dimensione segna un cambio anche di natura espressiva, lo scultore dismette l’intento rappresentativo evocativo che ancora permane nella sua pittura per approdare alla presentazione diretta del mondo. Un processo simile, ma impiegando lamiere di ferro in cui raccoglieva i vortici delle linee di fusione, tracciando vibranti orbitali spaziali e intensi nuclei atomici fatti di vetro, lo aveva condotto Edgardo Mannucci con i primi lavori degli anni Cinquanta, in una scultura che ancora a parete sarebbe di lì a poco scesa a conquistare uno spazio
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maggiormente tridimensionale. Negli “schermi” irregolari, piegati a mano di Spagnulo si trovano echi di quella lezione, pur non più in una struttura di visione cosmica, ma di narrazione terrestre: Abissi (1998), l’Elefante (1998), Tempo vibrante (1998) e poi ancora i vari Ritratti Silenti (1998) raccontano, tra ironia e visionarietà l’attualità dell’uomo. Una scultura che trova nella parete la dimensione ideale di partenza in cui il vuoto è inteso non come assenza, ma come possibilità d’intenzione, di immaginaria ricomposizione strutturale forse anche grafica, come da altri notato, ma più ancora di ipotesi di realtà dispiegata su più livelli e che dal punto di vista critico permette ancora una lettura frontale diretta sul presente. Per tutti gli anni Novanta Spagnulo concepisce l’opera come cornice, sono per lo più quadri-scultura in cui si saldano elementi formali, segni graficamente materici in cui si mescolano rapporti tonali dettati dall’inserimento di materie più o meno lavorate come: il ferro brunito e il plexiglass abraso che intervengono a misurare, anche percettivamente il rapporto con la parete di fondo. Non stupisce che ad un certo punto della sua produzione più recente l’artista inizia a chiamare molte di queste sculture Schermo. Questi lavori sono sezioni geometricamente irregolari che inquadrano una scena non necessariamente proiettata verso il muro, ma più emblematicamente capovolta verso la scatola spaziale dell’ambiente espositivo in cui sono posizionate, quasi a voler coinvolgere entro i propri sottili margini, l’animosità di chi si pone davanti a queste
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opere. Spagnulo formalizza in questo modo il quotidiano, lo svela inquadrandolo con una sintesi di linee sottili che recano i segni di un trascorso. Egli traccia i confini dell’emozionale giornaliero, coglie l’instabile flessibilità dei sensi e la fragile pregnanza del pensiero nel mondo odierno, narrazioni frantumate, irrisolte che vengono suggerite da una lettura di opere che dalla parete non di rado iniziano a scivolare verso il pavimento acquistando spazio e inquadrando in questo modo un doppio livello architettonico: l’alzato e il piano di calpestio come in Confine (2009), L’angolo bianco (2014), o Sguardi d’attesa (2014). Momenti di quotidiano percepibili attraverso l’elaborazione di un linguaggio dove la precaria instabilità della forma, l’asimmetrica inconsistenza dell’assemblaggio dei materiali impiegati, la deformazione della linea fratturata, distorta e tendenzialmente aperta, sono elementi che concorrono a restituire l’avvenuto passaggio da un’epoca all’altra. I titoli, attraverso un gioco di percorso consecutivo, completano il senso narrativo dell’opera: varcando un Gran portale (2005), o una più umile Soglia (2004), si genera un nuovo Voiage (2005), forse verso una Scalata impossibile in cui le certezze precedenti svaniscono per far posto ad estemporanei momenti di immaginaria visione come: Fermar l’aria (2007) o Sfiorar la luna (2005). Il senso poetico, lirico, di questi brani scultorei, non nasce mai dal colore, ma fiorisce dall’alternanza delle strette superfici lucide e opache, che riflettendo la luce nello spazio e attirano a se lo sguardo disattento di incauti nuovi protagonisti. Prende in questo modo forma nei lavori di Spagnulo, quella estrema volontà liciniana di dimostrare che la geometria può diventare sentimento.
A sinistra: Sguardi d’attesa, 2014, ferro verniciato, plexiglas colorato e trattato, parete, 200 x 80 x 60 cm ca. (cadauno), foto A.Valentini Sopra: Fermar l’aria, 2007, acciaio inox satinato, bruniro e spazzolato, plexiglas trattato, 320 x 200 x 170 cm ca., foto A.Valentini L’angolo bianco, 2014, acciaio inox satinato, bruniro e spazzolato, ferro verniciato, plexiglas trattato, 220 x 280 x 140 cm ca., foto A.Valentini
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La produzione recente di Valdi Spagnulo. Appunti per una nuova sintesi _ Kevin McManus
È un gioco tra dualismi poetici quello che si presenta a chi osservi dal vero le opere più recenti di Valdi Spagnulo. Il primo di questi dualismi, sicuramente più immediato ed epidermico, meno bisognoso di inquadramenti teorici, è quello tra la leggerezza lineare del risultato finale e l’evidenza residua di un processo realizzativo che leggero non è, la traccia di un gesto vigoroso e talvolta violento. Il primo termine dell’ossimoro è una costante nel lavoro dell’artista, esponente convinto e convincente di una scultura fatta di vuoti, di spazi virtuali che interagiscono con linee (e colori) fatte di materia; un filone di ricerca che colloca Valdi nel pieno di una sostanziale revisione dell’idea e della pratica della scultura, per la cui genealogia si rimanda al saggio di Lorenzo Fiorucci in questo stesso catalogo. Il secondo termine è forse legato più specificamente ad un percorso individuale, e d’altra parte riguarda l’intimità dell’atelier, del rapporto generativo con i materiali e le forme; proprio su questo rapporto si può leggere forse il vero contributo di Valdi all’arte del suo tempo e del suo contesto; nello scontro – o forse nel gioco – tra materia e forma, la forma esce sempre vincitrice, mai come dato di fatto platonico, ma appunto come processo il cui farsi è evidente nell’opera. Questo tipo di forma scongiura il rischio della presunzione autoriale, dello stile asseverativo che vince la resistenza dei materiali e li sottomette al volere trionfante dell’artista: qui, al contrario, il materiale è riscattato proprio nella specificità della resistenza che è in grado di porre. Detto in altri termini, la rinuncia a una forma chiusa e monumentale ci permette di osservare il gesto a cui il materiale è sottoposto e, insieme, la risposta data dal materiale stesso; se la materia, alla fine, è addomesticata, il suo farsi addomesticare è specifico, al punto da esaltarne paradossalmente le caratteristiche fisiche e poetiche. Non è un caso, in questo senso, che i lavori degli ultimi dieci-quindici anni tendano a preservare, più e meglio di quanto non facciano i loro antecedenti, un certo carattere grezzo, un gusto per la giuntura a vista, per l’innesto brusco, per il disvelamento della logica assemblativa e combinatoria e delle sue singole manifestazioni locali. Sia chiaro: non si tratta di un non finito nel senso tradizionalmente consegnatoci dalla storia dell’arte. In quel caso, dovrebbe essere posto uno stadio finale, una condizione ideale definibile come “finito”, rispetto alla quale l’opera rimarrebbe, scientemente ed esplicitamente, un passo indietro. Nel caso di Valdi si tratta piuttosto di un “infinibile”, ossia di un processo aperto del quale cogliamo sempre una fase intermedia, e rispetto al quale la scelta dell’artista consiste nell’individuare il momento della firma, la fase specifica del lavoro in cui collocare l’esperienza del fruitore. Questa attenzione per il fare va naturalmente a riguardare numerosi aspetti del processo artistico, inteso appunto come processualità aperta che prende avvio dal A sinistra: La domus di Zeus, 2015, ferro e acciaio inox satinato, brunito e spazzolato, plexiglass trattato e colorato, 250 x 145 x 59 cm ca., foto M.Zarbo
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Riverberi, 2009, acciaio inox lucido, brunito e spazzolato, plexiglass trattato e colorato, 280 x 75 x 75 cm ca. cad., installazione Forte di Gavi 2016, foto V.Spagnulo
gesto dell’artista e si sposta quindi all’attività dell’osservatore. Senza entrare troppo nel merito della questione (cosa che mi riservo eventualmente di fare in una sede più opportuna), la reazione tipica del fruitore di fronte ad opere di questo tipo può rientrare nell’ambito delle pratiche simulative studiate oggi dalla neuroestetica: il trauma del materiale, inteso sia come sforzo statico che come deformazione, ma anche come accostamento brusco (una saldatura visibile o un assemblaggio nettamente scandito), porta l’osservatore a simulare, a rifare con il proprio corpo il gesto originario dello scultore, o addirittura a simulare nel proprio corpo il ripiegamento dell’elemento metallico, oppure l’allungarsi leggero verso l’alto dell’elemento in plexiglas. Questo riflettersi 44_
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dell’atto creativo nell’atto esperienziale del pubblico costituisce forse uno dei fattori di distinzione di Valdi Spagnulo e della generazione di artisti a cui appartiene rispetto ai grandi maestri che si collocano al punto di partenza della suddetta genealogia: se i raffinati, intensamente lirici “disegni nello spazio” di Fausto Melotti, ad esempio, rivelano ancora l’appartenenza a un’estetica forte di stampo modernista-kantiano, questi scultori – che pertanto sono forse più fontaniani che melottiani – riscoprono la fisicità, l’etica del fruitore in modi che giustamente li avvicinano alle correnti odierne del pensiero sul visivo. Proprio questa rinnovata attenzione alla fisicità, alla corporeità del dialogo artistico era alla base della collettiva In principio è la Terra, curata dal sottoscritto con Matteo Galbiati nel 2015 presso il Forte di Gavi. Il termine “terra”, in quell’occasione, era pensato nella sua versatilità semantica, dall’idea di limite fisico, a quella di appartenenza, a quella di materia organica, fino a quella intuitiva di orizzonte gravitazionale, di punto di impatto della presenza spaziale del corpo. A Gavi, Valdi espose un’ampia selezione dei suoi Riverberi del 2009: forme ad “albero” in acciaio inox spazzolato, di quasi tre metri d’altezza, decorate con elementi in plexiglas colorato a mo’ di foglie o fiori. A parte le suggestioni figurative, che fanno capolino qua e là in tutta l’opera di Spagnulo, e non solo nei titoli, l’elemento chiave dell’opera consiste nell’impressione di leggerezza suscitata dalla deformazione del materiale; qui, cioè, l’incontro, il dialogo tra forma e materia si articola attorno a una distanza massima, quasi paradossale, per risolvere la quale la scultura “di linea” si intreccia a doppio nodo a quella “di massa” e al suo potenziale di modificazione dello spazio circostante. Proprio il rapporto con questo spazio va a configurare un secondo dualismo entro il lavoro di Valdi: le vicende della scultura riguardanti la generazione precedente alla sua (quella di un Mauro Staccioli, di un Giancarlo Marchese o di un Giuliano Mauri, per fare solo alcuni esempi) assumevano il confronto con il contesto spaziale secondo la doppia modalità relazionale del monumento – anche quello astratto di Francesco Somaini o di Giò Pomodoro – e dell’opera ambientale. La differenza di fondo stava nel modo di pensare lo spazio: uno sfondo, un foglio bianco da attivare e rendere sede di linguaggio, nel primo caso, oppure, nel secondo, una componente fondamentale dell’opera, sia nel senso di un site specific, più o meno radicalmente inteso, sia – più spesso – in quello di una generale deviazione dello sguardo: non sculture che lo richiamassero su di sé, ma piuttosto forme aperte che si lasciassero penetrare da esso, in modo da diventare elementi attraverso i quali rileggere il contesto e rivalutarlo in quanto esperienza estetica. Come dicevo, in Valdi questi due stimoli contrastanti convivono, ancora una volta secondo la logica dell’ossimoro: la verticalità degli “alberi”, la presenza di una base assai evidente, la loro piacevolezza in qualche modo “organica” attingono dal repertorio semiotico del monumento, mentre la loro leggerezza, l’alternarsi di superfici specchianti (le basi), opache (i fusti) e trasparenti (il plexiglas), nonché il numero variabile di elementi, la mancanza quindi di un “centro-massa” ben identificabile e la versatilità del loro allestimento li rendono efficaci dispositivi, appunto di deviazione dello sguardo verso il contesto, come risultava ben chiaro a Gavi. Come risultava peraltro evidente proprio in quell’occasione espositiva, la scelta di questa posizione ossimorica da parte di Valdi non è tuttavia né una concessione alla facile retorica della convivenza di tendenze contrastanti, né tantomeno il tentativo isolato di tenere il piede in due scarpe. Si tratta piuttosto di una specificità genera-
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zionale e contestuale (gran parte degli artisti proveniva dal nord Italia e apparteneva a un range generazionale che andava dagli anni sessanta, appunto, ai primi ottanta), di cui Valdi stesso, frequentatore assiduo di gallerie e sempre generoso nello scambio con i colleghi, sembra essere particolarmente consapevole. L’orientamento di tanta scultura odierna appartenente a un gusto minimale (quasi mai minimalista, sia ben chiaro) e legata a pratiche installative è proprio questo: superare sia l’auto-significazione asseverativa della scultura “di massa” che il puro détournement visuale della scultura ambientale della prima ora, ma soprattutto superare l’inconciliabilità tra i due termini. Non dunque uno sguardo diretto sul pezzo, né uno sguardo deviato, attraverso il pezzo, sul contesto, ma piuttosto uno sguardo oscillante, pendolare, in grado di individuare la relazione come occasione di messa a tema e valorizzazione reciproca tra opera e contesto. Di fronte alla domanda (immancabile, da Duchamp in poi) “cosa devo guardare?”, l’arte di Valdi rifiuta risposte nette, o per meglio dire rimanda la risposta e lascia che sia lo sguardo stesso a decidere. Quanto detto a proposito di un’opera pensata innanzitutto per lo spazio esterno è altrettanto vero se si passa alle più numerose proposte pensate per l’interno. Il discorso sulla relazione opera-contesto, infatti, e si passa qui a un ulteriore dualismo, non è mai concepito da Valdi in senso specifico, ma piuttosto secondo un approccio tipologico: anche laddove l’opera nasce da un confronto diretto con lo spazio espositivo (in questa mostra è presente un esempio assai importante di questo metodo di lavoro), essa non è mai site specific nel senso proprio del termine, che escluderebbe la possibilità di una sua ricontestualizzazione in altri spazi. Proprio l’apertura, quello che qui sopra ho definito “infinibile” crea una serie potenzialmente inesauribile di dialoghi tra opera e spazio (o meglio, spazi), rispetto alla quale la collocazione originaria e, per così dire, generativa è sicuramente quella ideale, quella entro cui il senso dell’opera corrisponde all’intenzione iniziale del suo autore, ma non è l’unica. Al tempo stesso, non c’è mai una pura indifferenza al luogo; possiamo invece parlare di una certa ricettività delle forme, e anche qui Valdi ci appare come figura consapevole e critica entro un panorama artistico che ricorre sempre più spesso a questa soluzione. Ancora in attesa di un suo pieno riconoscimento storico, schiacciata tra i capovolgimenti linguistici, le posizioni radicali della generazione precedente e la fluidità camaleontica di quella successiva, la generazione di Valdi va forse riconosciuta, oggi, come essenziale alla sopravvivenza, soprattutto nell’ambiente artistico milanese, di un atteggiamento che non esito a definire “modernista”: una concezione del lavoro artistico, cioè, come ricerca, come progresso verso una soluzione di problemi visuali, come progetto condiviso rispetto al quale ogni singola istanza si pone come un aggiornamento, una deviazione, una risposta o una precisazione rispetto alle istanze precedenti. Di questo atteggiamento, Valdi Spagnulo è sicuramente un sostenitore irriducibile, come risulta ben evidente da un lavoro la cui evoluzione è graduale, incentrata su tipologie formali rigorosamente definite e ben riconoscibili, rispetto alle quali la tentazione della “trovata” estemporanea è sempre respinta, forse anche a costo di rinunciare a sviluppi potenzialmente fertili e, magari, graditi al mercato. Basti notare l’attenzione posta dall’artista nel re-inquadrare e definire tipologicamente i suoi lavori (i progetti-scultura, le sculture, le architetture, sulle cui relazioni reciproche tornerò tra breve) per cogliere questa ansia modernista che deve convivere, è bene ricordarlo, con un contesto artistico entro il quale una simile fedeltà al vettore progressista della ricerca
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La produzione recente
La domus di Persefone, 2015,.ferro e acciaio inox verniciati, plexiglas pigmentato trattato/colorato, 240 x 170 x 76 cm ca., foto A.Repetto La domus di Zeus, 2015, ferro e acciaio inox satinato, brunito e spazzolato, plexiglass trattato/ colorato, 250 x 145 x 59 cm ca., foto A.Repetto
è solo una tra mille possibilità, e nemmeno la più semplice o la più gratificata dal punto di vista della popolarità presso pubblico e gallerie. Qualsiasi storico o teorico della modernità, tuttavia, potrebbe obiettare che un autentico modernista ha innanzitutto una grande idea, una sequenza dominante da portare avanti e attorno alla quale incentrare, appunto, la propria ricerca. Anche qui, il lavoro di Valdi si può collocare in un clima di ridefinizione e ri-legittimazione dei medium artistici consegnatici dalla tradizione. Come si diceva, il termine con cui l’artista definisce un’importante parte della sua produzione è “architetture”. Per spiegare l’uso di questo termine, si può prendere come esempio la sotto-serie delle Domus, tema caro a Valdi negli ultimi anni: tanto la Domus di Zeus quanto la Domus di Persefone, entrambe del 2015, si articolano attraverso una spazialità complessa, che comprende la parete e lo spazio orizzontale antistante, in questo caso occupato mediante un prolungamento di una cornice metallica sul pavimento. Ora, l’uso della parola “architettura” non può certo essere fatto alla leggera, soprattutto se si considerano gli studi architettonici svolti da Valdi prima di intraprendere a carriera di artista. Può sembrare curioso, quindi, che questo termine, letto nel suo significato primario, quello di uno spazio tridimensionale definito e separato rispetto allo spazio circostante, sia applicato proprio a lavori che, a distanza di anni, recuperano la verticalità e l’adesione alla parete degli esordi pittorici. La “casa” costruita da Valdi appare quindi come una sorta di innesto, di sacca gestazionale che invade lo spazio preesistente a partire dalla parete, per poi diffondersi verso la terza dimensione della stanza; l’evidenza del gesto, l’impulso alla simulazione di cui parlavamo all’inizio assume qui una direzione precisa,
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PS: progetto per scultura, 2015, tecnica mista con cartoncino, filo di rame, plexiglas colorato, 17 x 12 x 2 cm ca., collezione privata Milano, foto M.Zarbo A destra: Lembo di cielo, 2006, acciaio inox satinato, brunito e spazzolato, plexiglass colorato, 310 x 220 x 120 cm ca., foto M.Girola
racconta una storia attraverso la forma: la storia di una tridimensionalità che è letteralmente espansione della bidimensionalità, fuoriuscita e, comunque, movimento. In questa processo, gli inserti cromatici tipici di Valdi assumono una funzione ben precisa, ossia quella di riportare ciascuna delle due configurazioni spaziali (verticalità del muro vs. orizzontalità del pavimento) a protendersi verso l’altra: il plexiglas azzurro della Domus di Zeus, nella parte alta, complica l’apparente quiete della “cornice”, anche attraverso il gioco di ombre, mentre nella parte bassa sembra tornare verso la parete, quasi a misurare lo spazio, la distanza percorsa o, semplicemente, quella che intercorre tra una dimensione e l’altra. L’esito complessivo è l’attivazione di uno spazio virtuale, che le linee metalliche suggeriscono ma non chiudono, e che diventa spazio percorribile, idealmente o talvolta letteralmente. Non è dunque un’architettura da intendersi nell’accezione d’uso, ma piuttosto l’idea di architettura che può emergere da un confronto interno con le altre modalità di progettazione visiva, innanzitutto pittura e scultura: l’architettura è il momento in cui entrambi questi medium diventano strumenti di creazione di uno spazio, fornendo un loro apporto specifico 48_
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ma sacrificandone l’esclusività espressiva. Se già la pittura dei primi anni mostrava aperture verso la dimensione della scultura, ora la scultura riscopre elementi pittorici (il colore, l’illusionismo spaziale, l’archetipo formale della cornice) e, al tempo stesso, si apre verso l’inclusione “architettonica” dell’osservatore. Rimettere in discussione le competenze specifiche di ciascun medium, in un panorama nel quale la definizione mediale non è ritenuta necessaria (e forse è poco di moda), non comporta dunque un loro indebolimento, ma piuttosto una riaffermazione su basi differenti: come si diceva, non più la chiusura formalista e definitoria del primo modernismo, ma piuttosto una nuova definizione legata all’esperienza del fruitore e alla distribuzione spaziale degli stimoli estetici. Un’ulteriore prova è fornita da una serie di lavori apparentemente “minori”, nei quali tuttavia la poetica spaziale di Valdi trova una dimensione quasi lirica. Si tratta delle piccole carte da lui categorizzate come “Progetti scultura”. In queste prove, che hanno sì un aspetto progettuale dal punto di vista del metodo di lavoro, ma che sono a tutti gli effetti opere autonome, quasi mai legate a installazioni più grandi, l’apertura tra bi- e tridimensionale avviene nello spazio di pochi centimetri, e con un ricorso assai più ampio all’illusione: in molti casi, l’apparente distanziamento dal fondo è dato più dall’apertura laterale dello spazio che da un’effettiva profondità, e la delicatezza della carta porta la leggerezza tipica delle sculture sul piano tattile, in un gioco di relazioni tra i materiali che stimola innanzitutto un apprezzamento di tipo aptico. Non solo, ma l’uso della carta implica un gesto ben diverso e distante da quello della deformazione dell’assemblaggio dei metalli: qui l’aspetto del collage suscita meno simulazione e più contemplazione, portando il discorso mediale su un piano vicino a quello della grafica, o in alcuni casi del disegno. Disegni fatti con i materiali scultorei, progetti che sono anche la cosa progettata, idee che sono al tempo stesso la loro stessa realizzazione. Una nuova forma di sintesi, le aperture e le cui possibilità combinatorie vanno forse ancora esplorate a lungo.
Tu sei…! – 2007, ferro, acciaio inox satinato e spazzolato, plexiglass pigmentato e trattato, 58 x 43 x 43 cm ca., collezione Università Cattolica del Sacro Cuore Milano, foto R.Angelotti
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Scrivere la materia nello spazio _ Matteo Galbiati
Molto si è scritto sul valore del “segno” attribuibile alla scultura di Valdi Spagnulo, avendo ben chiaro di definire comunque i suoi “oggetti”, che paiono scritture, come l’esito di uno “scrivere” la forma avvenuto sempre nei termini di una concretezza che fonda la sua pratica proprio sulla materia. Spagnulo attende al fare scultura in modo quasi “tradizionale”, laboratoriale e artigianale, in termini nobili e assoluti; partecipa all’atto creativo con un trasporto e un impegno mentale e fisico che cerca la corrispondenza proprio in quel materiale con cui vuole definire la sua impronta poetica. Piegare, segnare, saldare, tagliare, incidere, trinciare, brunire, incollare sono gesti che si ripetono nelle abitudini di molti artisti e corrispondono a quelle riflessioni e considerazioni che non hanno altro modo per esprimersi che quella di verbalizzarsi nel corpo dell’opera, senza mai costituirsi come mero assemblage istintivo, ma rispondendo ad interrogazioni, esigenze, spinte e pulsioni tanto istintive e genuine, quanto meditate e lungamente riflettute. La ricerca artistica di Spagnulo si abilita su questi due fronti, da una parte la fisicità ambita, necessaria, cercata, della creazione e dall’altra quella delicata del poetare attraverso il corpo tangibile di qualcosa la cui essenza resta sempre sull’incerto crinale che fa da spartiacque tra la presenza reale e l’opposta sua assenza nella sparizione. Senza scomodare rimandi alla musicalità e alla liricità di grandi maestri che l’artista ben conosce e i cui modelli stima e apprezza in modo radicale e senza riserve, il suo sguardo cerca di unire - quasi trasgredendo alla missione propria dello scultore la pratica veloce e immediata del disegno a quella più elaborata e complessa della creazione di un’opera “vera”, tridimensionale e con un corpo: lo schizzo, l’appunto, il progetto si sviluppano direttamente nel luogo, si aggettano nell’ambiente con uno slancio che ne cattura l’immediatezza di uno spunto e ne concretizza una parte, ne accenna una parziale soluzione. Combinando elementi e tracciando le forze che le hanno legate e modellate, le strutture di Spagnulo appaiono per poi assottigliarsi nuovamente nella sparizione, ponendosi, appunto, in un limen precario, dove la forma sembra rimanere in assoluto incoglibile e di cui, però, solo la scultura sembra testimoniarne la possibile verità. Scolpire per Spagnulo è scrivere la materia nello spazio. Ecco perché la durezza, la spigolosità, una certa pericolosità dei suoi tracciati si ritrovano nell’alleggerimento lirico che riesce ad infondere la tensione che mette in comunicazione la realtà delle cose concrete con le passioni dei sentimenti, con le idee e le intuizioni del pensiero: la forma si scolpisce della materia come una grafia narrante il cui alfabeto non si dichiara in una grammatica prestabilita e particolare, ma si compone di segni universali. L’artista allora impiega gesti e forze in un rapporto di corrispondenze e contrasti con A sinistra: Asimmetrica, 2007, dettaglio, foto R.Angelotti
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Altalenalte, 2004, ferro, acciaio inox, 39 x 29 x 8 cm ca., già collezione A.Veca Milano, foto Studio Pause
i materiali impiegati che vanno dai metalli, alle plastiche, al vetro, alla carta, senza mai avere una gerarchia predefinita, per manifestare quel divenire della forma e il suo permutare continuo nel tempo. L’organizzazione della materia, senza tradire la coscienza della sua fluidità evidente, rispetta un requisito fondamentale che è il principio costruttivo di un atto di conoscenza che necessita di darsi una struttura, un impalcato plausibile che, senza tradire la bellezza della spontaneità della sua intuizione intima e profonda, stabilisce con il mondo reale un preciso rapporto di scambio: il luogo e le sue incidenze completano la scultura, i due fenomeni si possiedono in modo esclusivo, si compenetrano con un continuo progressivo scambio di correlazioni che mettono due fattori inizialmente separati a diventare una sola cosa mai eguale nel tempo. Le sculture di Spagnulo entrano nel luogo, si scrivono nello spazio in misura essenziale e, allontanandosi dall’incombenza della monumentalità di certa scultura che, pur 54_
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Altare, 2006, ferro, anello, plexiglas pigmentato 29 x 34 x 14 cm ca., collezione Museo Parisi Valle Maccagno (VA), foto L.Spagnulo
legandosi di fatto al luogo, ne resta, nell’intimo, sempre un po’ aliena, germogliano ad una nuova vita: le luci, le ombre, i riflessi, i riverberi (non a caso sono spesso titoli che abbracciano e sposano la fenomenologia stessa del lavoro che nominano) fendono il vuoto e generano un nuovo percorso di esperienza; ritagliano un nuovo ambiente (concreto) di riflessione. Ogni sua opera ha la capacità intrinseca di abilitarsi ad un rinnovato esserci che esula sempre dal contesto di partenza per cui, magari, era stata concepita: ogni opera, quindi, ha in sé il potenziale di rigenerare il proprio senso raccogliendo e sovraccaricando sul suo esile impalcato strutturale gli incidenti del momento della sua visione. Ogni scultura, definendosi come campo di transizione tra l’essenza tangibile ed effettiva del reale e quella dell’ipotesi effimera che si stabilisce come traduzione di un qualcosa che sta altrove, anche provando a confondersi, sciogliersi, contaminarsi con il circostante, che sia luce, ombra e ogni altra suggestione-stimolo dato in modo _55
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imprevedibile, si connette e ricongiunge con l’infinita possibilità di mutazioni incontenibili - e nemmeno preventivabili - che il sito della visione offre e garantisce. Spagnulo, anche in remoto, aggiunge valore alla sottrazione della fisicità della sua scultura ricorrendo ad un linguaggio che rastrema all’ultimo stadio il corpo dell’opera, quasi ne rintracciasse un momento prima e dopo la sua sparizione. Nel frame che intercetta coglie la possibilità di scrivervi infinite storie sulla soglia di ogni definitiva sparizione o cambiamento di stato. Il segno dei materiali di riuso, gli scarti che sa nobilitare con le sue mani, i frammenti di altri vissuti rianimano le tessere di un mosaico che appartiene ad altre dimensioni e che lui, da artista, sa interpretare e tradurre componendone narrazioni e partiture che si soffermano nel reale, Spagnulo con il suo sguardo legge e vede all’essenza basilare delle “cose” e da questa semplicità diretta e immediata rilancia lo spirito di una poesia fatta di segni, di presenze che accompagnano la nostra visione promuovendo una lettura inedita e inosservata. Il processo di osservazione e assimilazione dello sguardo dell’altro, che queste opere richiamano, non passa solo attraverso la visione, ma spesso cerca un dialogo anche con il corpo di chi le ammira: il loro essere esperienza fisica ci induce a toccarle, a relazionarci con un coinvolgimento maggiore e, soprattutto per le opere di grandi dimensioni, diventa talvolta un vero e proprio attraversamento, una percorribilità fisica vera che fa assorbire la presenza dello spettatore dentro l’opera stessa, facendola diventare “funzionale” al suo stesso esserci. La passione che Spagnulo dedica al suo lavoro si desume da questo voler tessere legami, unire esperienze, generare un tutto che nell’istante dell’estetica apre l’umore e il pensiero ad altri temi, ad altre considerazioni che toccano l’esperienza: il suo “scrivere ambientale” sa oltrepassare l’arte, il luogo e il momento per diventare vita.
A sinistra: Architerrura: légami, 2004, ferro, acciaio inox, verniciati con smalti fluorescanti, 50 x 45 x 10 cm ca., collezione Museo della Permanente Milano, foto L.Spagnulo
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Tracciare un luogo, 1993, carte, smalto, sabbia, graffite, piombo, fuoco su legno, 120 x 100 cm (dittico), foto B.Zanzottera Pagine precedenti: Ritratto Valdi installazione opere, foto R.Maier
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Lesene, 1994, carte, smalto, graffite, ferro, piombo, rame, fuoco, 100 x 70 cm (dittico), collezione privata Camera del Lavoro di Reggio Emilia, foto B.Zanzottera A sinistra: Silente velato, 1993, carte, smalto, graffite, piombo, fuoco su legno, 107 x 65 cm, collezione privata Milano, foto B.Zanzottera
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L’altra metà del sole, 1995, ferro, carte, graffite, rame, fuoco, parete 35 x 25 cm, collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Attraversare luogh, 1995, carte, graffite, fili di ferro e rame, alluminio, smalti, fuoco, parete, 200 x 220 cm, foto A.Valentini
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Fuori - spazio - tempo, 1996, ferro, legno, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, parete, 150 x 230 cm (dittico), foto A.Valentini
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Meridiana, 1995, carte, smalti, graffite, fili di ferro, rame, fuoco, su legno, 120 x 110 cm, collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Segno avvolgente, 1997, ferro, legno, carte, smalti, graffite, fuoco, parete, 120 x 60 x 20 cm ca., collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Luogo – tempo – globale, 1997, ferro, legno, carte, smalti, graffite, fuoco, parete,120 x 60 x 20 cm ca., collezione Pinacoteca Comunale Sesto Calende (VA), foto A.Valentini
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Dischiuso 1, 1997, ferro, legno, carte, smalti, graffite, fuoco, parete, 130 x 125 x 20 cm ca., foto A.Valentini
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Contenitore di segni, 1998, ferro, legno, carte, smalti, graffite, fuoco, 125 x 140 x 40 cm, foto A.Valentini A destra: Compressione in curva, 1998, ferro, legno, carte, smalti, graffite, fuoco, 150 x 54 x 40 cm, foto R.Rapetti
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Sfiorar la luna, 2005, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato e trattato, parete, 140 x 210 x 50 cm ca., foto A.Valentini
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Sfiorar la luna, ferro, acciaio inox, plexiglas, 150 x 230 x 100 cm ca., collezione Museo della Biennale di Gubbio - Gubbio (PG), foto V.Anceschi
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Soglia, 2004, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato, parete, 37 x 46 x 6 cm ca., foto Studio Pause
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Progetto per scultura, 2004, tecnica mista con cartoncino, filo di rame, 30 x 35 x 1 cm ca., collezione privata, foto Studio Pause
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Senza esitazione, 2004, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato, parete, 69 x 78 x 15 cm ca., collezione Museo Michetti Francavilla al Mare (AN), foto Studio Pause A sinistra: PS: Interrotta, 2006, tecnica mista con cartoncino, filo di rame, 79 x 55 x 3 cm ca., collezione privata Como, foto A.Valentini
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Captar la luna, 2003, ferro, plexiglas trattato e pigmentato, parete, 66 x 76 x 9 cm ca., collezione privata Milano, foto L.Spagnulo
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L’angelo, 2006, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato, parete, 30 x 40 x 4 cm ca., collezione privata Cernusco sul Naviglio (MI), foto A.Valentini
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Asimmetrico antico, 2007, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato e trattato, parete, 65 x 110 x 25 cm ca., collezione Pinacoteca Comunale Merate (LC), foto A.Valentini A destra: All’alba 2006, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, parete, 68 x 140 x 10 cm ca., collezione privata Como, foto A.Valentini Pagine a seguire: a sinistra L’onda, 2007, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, filo di rame, parete, 53 x 58 x 13 cm ca., collezione privata, foto A.Valentini a destra Mediterraneo convesso, 2006, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, parete, 25 x 32 x 15 cm ca., collezione privata Como, foto A.Valentini
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Portale, 2005, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato e trattato, parete, 172 x 126 x 23 cm ca., foto A.Valentini
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Domus impluvium, 2015, ferro e acciaio inox bruniti, plexiglas trattato/colorato, 116 x 177 x 9 cm ca., foto M.Zarbo
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Domus asimmetrica, 2007, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato e trattato, 89 x 100 x 25 cm ca., collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Scalata impossibile, 2006, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato e trattato, 288 x 75 diam. cm ca., foto A.Valentini Pagine a seguire: a sinistra PS: Riverberi in luce, 2009, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 140 x 50 x 2 cm ca., foto B.Mezzaro a destra PS: Riverberi in ombra, 2009, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 140 x 50 x 2 cm ca., foto B.Mezzaro
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Reverse, 2008/09, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, 20 x 20 x 23 cm ca., collezione Museo Galleria del Pemio Suzzara - Suzzara (MN), foto A.Laurenzi
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Recinto, 2007, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, 67 x 122 x 19 cm ca., foto R.Angelotti Pagine a seguire: a sinistra Bianco antico, 2007, ferro e acciaio inox verniciati, plexiglas pigmentato e trattato, 95 x 100 x 17 cm ca., foto A.Valentini a destra PS: Dettaglio prospettico, 2007, tecnica mista con cartoncino, filo di rame, 55 x 40 x 3 cm ca., foto B.Mezzaro
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Sferoide 24, 2008, ferro e acciaio inox dipinti, plexiglas colorato e trattato, 70 x 20 x 25 cm ca., collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Sferoide 4, 2014, ferro verniciato, plexiglas colorato e trattato, 47 x 20 x 16 cm ca., collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Reverse, 2009, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, 29 x 10 x 4 cm ca., collezione privata Milano, foto V.Spagnulo
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Reverse white, 2013, ferro verniciato, acciaio inox, plexiglas colorato e trattato, 29 x 13 x 10 cm ca., foto M.Zarbo
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Schermo, 2013, ferro verniciato, plexiglas colorato e trattato, 45 x 50 x 10 cm ca., foto A.Valentini
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PS: Progetto per scultura, 2015, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 25 x 25 x 5 cm in teca, collezione privata Nizza, foto L.Spagnulo A sinistra: Bandiera, 2013, ferro verniciato, plexiglas pigmentato e trattato, 80 x 50 x 40 cm ca., foto A.Valentini
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PS: Progetto per scultura, 2015, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 25 x 25 x 5 cm in teca, foto M.Zarbo
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PS: Progetto per scultura, 2015, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 25 x 25 x 5 cm in teca, collezione privata Milano, foto L.Spagnulo
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PS: Progetto per scultura, 2015, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 25 x 25 x 5 cm in teca, foto M.Zarbo
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Progetto per scultura, 2017, tecnica mista con cartoncino, plexiglas, 14 x 20 x 1 cm ca., collezione Biblioteca Vallicelliana Roma, foto V.Spagnulo
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Folla di anime, 2014, ferro verniciato, plexiglas pigmentato e trattato, 100 x 60 x 40 cm ca. (dittico), foto A.Valentini
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Storia di Valdi Spagnulo _ Luca Pietro Nicoletti
I. Ipotesi di confine. Aggiornando la sedicesima edizione del suo fortunato libro sulle Ultime tendenze dell’arte d’oggi, edito per la prima volta da Feltrinelli nel 1961 e più volte rivisto e ampliato come in questa versione data alle stampe nel 1999, Gillo Dorfles dedicava un breve capitolo agli ultimi sviluppi della scultura internazionale, da Anish Kapoor a Tony Cragg, che si chiudeva segnalando una rosa di emergenti o di artisti che si stavano distinguendo sulla scena italiana: Amalia Dal Ponte, Valdi Spagnulo, Alex Corno ed Eduard Habicher. Poco dopo dedicava qualche riga in più alla situazione campana, fra Ugo Marano, Riccardo Dalisi e Angelo Casciello 1 . La presenza di Valdi in questa compagine, seppur con una menzione minuta, cade in un momento significativo: non erano molti anni che aveva compiuto il passaggio definitivo dai modi della pittura, con cui aveva fatto la sua comparsa negli anni Ottanta, a quelli della scultura, a cui approda in maniera definitiva proprio nella seconda metà degli anni Novanta. Dorfles stesso avendo seguito il suo lavoro esordiente alla Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, poi allo Spaziotemporaneo di Patrizia Serra – se ne era accorto presto e aveva predetto, stando al ricordo dell’artista, che nel giro di poco tempo questi avrebbe fatto il salto definitivo e salutare verso la terza dimensione. Valdi Spagnulo, infatti, nasce come pittore - figlio d’arte del pittore Osvaldo Spagnulo e architetto di formazione al Politecnico di Milano – e da subito si avventura nei territori della materia astratto-informale, da cui poi nel tempo si allontanerà per una più eterea soluzione grafica della scultura. Eppure, pur nella radicale evoluzione dello stile, concettualmente resterà legato ad alcuni principi operativi rimasti immutati all’interno della variazione, lasciando un vivo margine di intuizione e di imprevisto inediti per quel filone di scultura risolta in strutture lineari nella quale va consapevolmente a collocarsi. A ben vedere, l’affermazione di Dorfles era stato un parziale azzardo, perché il 1998/1999 era proprio l’anno che segnava il passaggio definitivo da una pratica all’altra, con uno sviluppo talmente rapido, almeno per l’avvicendamento espositivo, che quella testimonianza, uscita di tipografia a settembre 1999, o era una lungimirante previsione o una conferma di una presa diretta immediata sulla situazione in corso che confermava una intuizione già matura. Erano passati pochi mesi, infatti, dalla presentazione in una mostra dei primi telai veri e propri, presentati a gennaio allo Spaziotemporaneo con una scelta repentina da Gillo Dorfles, Ultime tendenze dell’arte d’oggi. Dall’Informale al Neo-oggettuale, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 187-188.
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A sinistra: Nel vento, 2007, dettaglio, foto R.Angelotti
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parte dell’artista e della gallerista, tanto da scompaginare all’ultimo tutta la mostra rispetto alla selezione di opere dei secondi anni Novanta pubblicate nel catalogo con il commento di Luciano Caramel2: il contrasto, anzi, è evidente sfogliando in parallelo quel catalogo (oramai diventato retrospettivo) e quello immediatamente successivo, presentato da Rachele Ferrario, per la personale allo Spazio Cesare da Sesto di Sesto Calende, nel quale Valdi pubblica delle foto d’insieme della mostra dalla Serra che rendono evidente lo scarto di maturazione artistica3. Questo però non impedisce che, con i nuovi lavori, Valdi Spagnulo riceva nel 2001 il primo premio per la Pittura dell’Accademia di San Luca a Roma, come conferma della qualità grafica di una ricerca che aveva definitivamente abbandonato il pigmento pittorico applicato a un supporto. Il fatto, poi, acquista una sfumatura più sottile se si tiene conto del contributo dato in giuria da due pittori come Enrico Della Torre e Guido Strazza, che avevano attraversato l’uno i territori di confine di integrazione fra i materiali (Strazza) l’altro una via dell’astrazione volta a una purezza di linea e di racconto intimista (Della Torre). Al tempo stesso vale la pena ricordare che Valdi Spagnulo non è uno scultore che disegna, o meglio che la sua ricerca non sente il bisogno di una messa a punto grafica preliminare alla realizzazione pratica, bensì si mette a fuoco intorno a un’idea di partenza mano a mano che la scultura prende forma, con un approccio empirico tipico Valdi Spagnulo. La presenza attiva dell’assenza, a cura di Luciano Caramel, Milano, Galleria Spazio Temporaneo e Genova, Ellequadro documenti, 1999 [ma finito di stampare nel novembre 1998].
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Valdi Spagnulo. Decantazione lirica, (Sesto Calende, Spazio Cesare da Sesto, aprile 1999), testi di Luciano Caramel e Rachele Ferrario. 3
Ritratto silente 1, 1998, ferro, ruota dentata, carte, graffite, fuoco, legno, parete, 121 x 65 x 20 cm ca., foto A.Valentini
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Ritratto silente 2 , 1998, ferro, ruota dentata, carte, graffite, fuoco, legno, parete, 126 x 65 x 18 cm ca., collezione Accademia di San Luca, Roma, foto A.Valentini
Storia di Valdi
della stagione Informale e destinato a una persistenza concettuale ed operativa molto più estesa di quanto gli esiti figurativi lascino immaginare. In questa accezione, infatti, Giorgio Zanchetti, in un importante testo del 2004 aveva sottolineato il valore dell’intervento manuale dell’artista e delle peculiarità tattili e visive che ne derivano: «la piegatura a freddo, a sola forza di braccia e senza esitazioni né ritorni, delle fini cornici metalliche di ferro o d’acciaio, dimostra una sensibilità tattile per l’armonia dell’angolo e della curva che non sarebbe stato possibile delegare a nessuna tecnica di forgiatura più elaborata e a nessuno strumento meccanico. La partita della resistenza della barra, del peso e della trazione della leva si gioca tutto tra la stretta del palmo e quella di una semplice morsa da banco»4. Riguardando a questo punto la scultura di Valdi, ci si rende conto che la sua è una ricerca a dimensione umana, nel senso di una partecipazione del corpo stesso come strumento che determina la curvatura del ferro e l’andamento delle linee principali quasi come un’impronta del corpo stesso, pur giungendo a un esito che non lascia trapelare la fatica fisica del lavoro, anzi induce a pensare a una leggerezza e naturalezza come se il segno volteggiante che le connota si fosse fatto da sé, o con un impercettibile tratto continuo di penna. II. Dentro la materia. Il precoce esordio di Valdi Spagnulo data a una mostra collettiva del 1980. Allora Valdi - nato a Ceglie Messapica nel 1961 ma arrivato giovanissimo a Milano nel 1973 Giorgio Zanchetti, Articolazioni spaziali di Valdi Spagnulo, in Valdi Spagnulo. Parvenze di precarietà, (Varese, Galleria Arte + Arte contemporanea, ottobre 2004) a cura di Giorgio Zanchetti. 4
Velocità di curvatura, 2004, ferro, plexiglass pigmentato e trattato, parete 66 x 81 x 12 cm ca., collezione privata Milano, foto Studio Pause
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Nicoletti
Nel grigio, 1988, collage e tecnica mista su tela, 80 x 80 cm,, foto B.Zanzottera
– ha concluso gli studi al I Liceo Artistico di Brera, allora diretto da Mauro Staccioli e si sta iscrivendo ad Architettura al Politecnico, dove segnano una generazione di studenti le lezioni di storia dell’arte contemporanea (camuffate sotto un insegnamento di letteratura italiana) di Mario De Micheli. È un momento vivace per la scena lombarda, uscita da un decennio sperimentale fondamentale (soprattutto per la scultura) che ha modo di avvicinare, giovanissimo, al seguito del padre Osvaldo: è passato da poco, in fondo, il decennio caldo che ha messo in crisi i canonici luoghi espositivi in favore di un’invasione dell’arte negli spazi pubblici all’insegna di una partecipazione collettiva alle arti visive; è però anche arrivato il momento di una posata rimessa a punto dei linguaggi, fra ritorni e recuperi, che riportano al centro una riflessione sul mestiere tecnico del fare arte e sugli stessi medium. È il momento, per fare un esempio, in cui un artista come Giuseppe Spagnulo abbandona le forme solide e perentorie che aveva portato nelle piazze e nelle manifestazioni di protesta per tornare alla modellazione (talvolta improntuale) della terracotta, con rinnovata energia e memoria Informale. Per segnare un punto di avvio maturo per il percorso di Valdi, però, bisogna aspettare il 1988, a cui data la prima personale a Bologna, presentata in novembre da Franco Solmi5, ma soprattutto la prima apparizione di una sua opera, due mesi prima, in una collettiva della milanese Galleria delle Ore6 insieme a un gruppo di artisti della sua generazione o di poco più anziani come Claudio Borghi, con cui sarebbe nata una lunga amicizia7, Giuseppe Coco, Pilar Dominguez, Giovanni La Cognata, Ubaldo Nicola, Milo Sacchi. Valdi, infatti, fa parte dell’ultima generazione di giovani artisti sostenuti e incoraggiati da Fumagalli, che fin dagli anni Cinquanta, animato da uno spirito maieu5 Valdi Spagnulo. In presenza dell’assenza, testo di Franco Solmi, Bologna, Galleria l’Ariete, 19 novembre-2 dicembre 1988.
Borghi Coco Dominguez La Cognata Nicola Sacchi Spagnulo, Milano, Galleria delle Ore, 313, 10-29 settembre 1988.
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7 Per un profilo di Claudio Borghi: Luca Pietro Nicoletti, Il silenzio della scultura. Tre note per una storia di Claudio Borghi, in Claudio Borghi. Il silenzio delle cose, (Cassano Magnago, Fondazione FGS, aprile-giugno 2018) a cura di Luca Pietro Nicoletti, Fondazione FGA, Cassano Magnago 2018.
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tico e didatta, aveva dato spazio alle nuove proposte con l’idea di tracciare una linea delle arti del secondo Novecento indipendente dalle ricerche di tendenza e volto a una propria idea di modernità che non mettesse da parte la questione esistenziale dell’uomo moderno. «Come sempre», scrive Fumagalli introducendo la seconda collettiva a cui Valdi è invitato nel 1989, «ci siamo però interessati con particolare attenzione al lavoro di giovani pittori e scultori che operano al di fuori delle mode oggi in voga che a nostro giudizio riteniamo deleterie alla libertà creativa. Siamo sempre più convinti che l’opera dell’artista ha origini profonde solo nel suo mondo poetico che si arricchisce e si approfondisce a contatto con la realtà e la cultura del suo tempo» 8. Ancora una volta si tratta di un gruppo di artisti nati fra anni Cinquanta e Sessanta, da Edilio Cavanna a Silvano Cei, che di lì a poco avrebbe abbandonato le precedenti inclinazioni artistiche in favore del design, Gaetano Fracassio, Francesco Marmo, Giacomo Rizzi, Ada Eva Verbena e Angelo Zanella. Questo significava un sostegno a quegli artisti che battevano la via della Nuova Figurazione in continuità con l’Informale. Indirettamente era una conferma dell’adesione di Valdi a quella linea neo-informale sposata da molti esordienti, e che in quel momento condivide la presenza espositiva con artisti più grandi di lui, nati fra anni Cinquanta e Sessanta, seguiti da Fumagalli in quegli anni come Borghi, che sta lasciando la scultura modellata in favore del ferro saldato, o pittori come Alfredo Casali, il più vicino a un trattamento sensuale della materia, e Lorenzo Mazza, che stava invece sostituendo il pigmento con degli ossidi arrivando a un trattamento della superficie pittorica mosso, graffito e condotto fra incisioni e stratificazioni. Valdi Spagnulo stesso, in questo frangente, lavora per stratificazioni, integrando la pittura con inserti di materia (carte o tessuti) applicati, o meglio ancora applicando dei materiali e intervenendo poi pittoricamente in modo da ricavare una figura o di strutturare lo spazio in senso narrativo: il campo viene attraversato da grandi solchi rossi tratteggiati con pittura liquida e minuta, come delle ferite o degli squarci aperti su una superficie sanguinante, secondo un principio non dissimile da quello dei “sacchi” di Burri per forza di evocazione analogica, seppure nel caso di Valdi con un impatto più raffinato e compiaciuto nei confronti di una superficie ricca e lavorata. Lo aveva intuito Franco Solmi, presentando la mostra bolognese, quando scrive di «magmi cromatici» e di «inquinate trasparenze» come elementi caratterizzanti del suo lavoro in questo momento, rilevando però che si salvava dal rischio di entrare nella schiera degli «edulcorati cultori del neoinformalismo postmoderno» 9 per via di una componente a suo avviso neo-concreta, derivante dagli studi di architettura, presente nel suo approccio compositivo: in fondo Solmi aveva intuito che sotto una pittura di materia Spagnulo non aveva rinunciato a una strutturazione del campo organica, che prende in considerazione tutta la superficie ma crea una gerarchia al suo interno. Allo stesso tempo, il dipinto assume una connotazione emblematica, come se l’immagine che si concretizza sulla tela fosse parte di un rituale, o avesse una componente allegorica indecifrabile e, per questo, misterica. Solo poco alla volta, infatti, il suo lavoro assumerà una più chiara valenza narrativa, che andrà di pari passo con un approfondimento del rapporto fra pieni e vuoti, creando un dialogo più stretto fra i materiali utilizzati. “Confronti”. Cavanna Cei Fracassio Marmo Rizzi Spagnulo Verbena Zanella, Milano, Galleria delle Ore, 324, 3-28 giugno 1989.
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Franco Solmi in Valdi Spagnulo. In presenza dell’assenza, cit.
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Rosso in effimere contemporaneitĂ , 1989, collage e tecnica mista su legno, 100 x 70 cm, foto B.Zanzottera
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Eppure fin dal titolo di quella mostra, da attribuirsi forse più all’artista che al critico (che non affronta la questione), affiora qui un tema che ricorrerà nel decennio successivo: se al momento non risulta chiaro, negli esiti figurativi, perché ci si trovi In presenza dell’assenza, questo principio risulterà invece chiaro quando sarà ripreso dieci anni più tardi da Luciano Caramel come “presenza attiva dell’assenza”. Per ora, invece, i punti nodali della riflessione restano altri, e lo conferma il commento critico di Elena Pontiggia alla mostra presso la milanese Libreria al Castello del 1989, dedicata ancora alla Vitalità dell’assenza. La Pontiggia, in quel momento militante vicina a molti artisti di quella generazione, inserisce il lavoro di Valdi in una sacca di resistenza (o persistenza) di modi espressionisti entro una tendenza generale volta a risultati più distaccati e oggettivi in cui «le ragioni dell’oggetto abbiano sostituito le ragioni del soggetto» 10. Rispetto a questi, Valdi Spagnulo nega ogni calcolo troppo serrato con «forme aggressive, non di rado acuminate, e composizioni in cui ogni volontà architettonica si spezza in una serie di frammenti». E lo fa con una vitalità data non solo dal colore, ma da un aspetto metamorfico. Il colore, infatti, verrebbe a medicare quella che con un’immagine suggestiva Pontiggia definisce «irritazione dei sostrati, che spesso assumono una fisionomia minerale, come di pietre coperte di licheni». 10
Elena Pontiggia in Vitalità dell’assenza, Milano, Libreria al Castello 1989.
Ripartizioni effimere contrapposte,1989, collage, stoffe e tecnica mista su BKL, 100 x 140 cm, foto B.Zanzottera
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Non si discosta da questa linea nemmeno Marina De Stasio, critico d’arte del quotidiano “l’Unità”11 , che nel 1991 firma il primo catalogo monografico di Spagnulo e scrive uno dei testi più importanti di questa stagione della sua ricerca, unendo uno scavo penetrante nelle modalità operative dell’artista a un inedito afflato poetico 12. Si deve a lei, probabilmente, una prima evoluzione del lessico dell’artista che parla di sé: se le prime due mostre di Valdi erano state nel segno della “assenza”, questa è nel segno dei Percorsi della materia, che indicano un esplicito spostamento di attenzione verso la concretezza del linguaggio rispetto a una sovrastruttura speculativa attribuita alle opere. Il testo che scrive in questa occasione, oltretutto, non è soltanto una dimostrazione di interesse per gli esiti di una nuova generazione di artisti, ma va letto sullo sfondo del più ampio interesse della De Stasio per la situazione milanese del dopoguerra e dell’identità di una specificità locale che questa aveva assunto nel tempo. Curando nel 1987 insieme a Claudio Cerritelli ed Elena Pontiggia la mostra Geografie oltre l’Informale alla Permanente di Milano, per esempio, aveva identificato nella relazione fra la materia e la luce la vera eredità dell’Informale a Milano, che andava inteso in senso ampio come uno strumento linguistico con cui l’artista doveva attrezzarsi per affrontare il soggetto della propria ricerca13, ma che al tempo stesso andava inteso entro una geografia allargata che comprendesse anche alcuni pittori ticinesi che facevano da ponte fra Milano e la Svizzera italiana, come Renzo Ferrari, anch’esso per molto tempo gravitante intorno alla Galleria delle Ore. In questa accezione, la De Stasio aveva individuato nella “materia”, più che nel “segno”, l’elemento caratterizzante delle ricerche post-informali lombarde, usato però con una tendenza a razionalizzare gli spazi che superava l’idea di equipollenza formale della superficie. Nel 1990, invece, era stato chiesto a lei di occuparsi delle Vie aperte per un’altra importante rassegna di sintesi sulla Scultura a Milano 1945-1990, ancora una volta alla Permanente, dove la De Stasio individua, sempre nel segno della materia come elemento dominante ma razionalmente strutturato, il confluire di un’eredità boccioniana di lungo periodo con una riscoperta di Medardo Rosso, all’interno di un panorama in cui spiccava, isolato, il nume indipendente di Fausto Melotti. Nel caso di Valdi Spagnulo, invece, sottolineava in particolare la tessitura data dall’artista, quasi un ordito, alla conduzione pittorica del dipinto. Ma soprattutto, per prima aveva intuito che bisognava intendere il suo lavoro nei termini operativi del collage come momento di assemblaggio e costruzione dell’immagine: per questo il suo lavoro poteva apparire come «una sorta di tela di Penelope» 14. L’assemblaggio consiste infatti in un dialogo fra materiali poveri - in tutta la loro corrusca superficie grezza e nella loro brutalità – e una pittura a cui non mancano delle preziosità di materia, che la De Stasio, come tipico del suo stile, descrive in termini letterariamente suggestivi: mettendo in rapporto materiali grezzi e momenti di pittura più elegante e preziosa, inPer un breve inquadramento di Marina De Stasio (1946-2001): Luca Pietro Nicoletti, Note su Marina De Stasio. Una mostra in omaggio, “Biblioteca di via Senato”, settembre 2018.
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12 Marina De Stasio, Percorsi della Materia, in Valdi Spagnulo. Percorsi della Materia, (San Donato Milanese, Biblioteca comunale, aprile 1991) a cura di Marina De Stasio, s.e., San Donato Milanese 1991. 13 Marina De Stasio, La materia e la luce: l’eredità dell’Informale a Milano, in Geografie oltre l’informale, (Milano, Palazzo della Permanente, gennaio-febbraio 1987) a cura di Claudio Cerritelli, Marina De Stasio ed Elena Pontiggia, Società per le Belle Arti ed esposizione Permanente, Milano 1987. 14
De Stasio, Percorsi della materia, cit.
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fatti, l’artista ricorre a «colori raffinati, azzurri, grigi, colori d’acqua o d’aria, luci filtrate dalle nuvole, ma anche interventi aggressivi di rossi accesi, che attraversano quasi con violenza la composizione, che smentiscono la discrezione, la misura delle armonie di toni sottovoce con la forza di un gesto e di un grido» 15. Il lavoro era infatti risultato di una tessitura stratificata piuttosto sofisticata, che l’artista dichiara esplicitamente pubblicando in copertina di catalogo un dipinto programmatico del 1990 dedicato a Presenze-rilievo-materia: le “presenze” sono due figure dal profilo frastagliato fittamente lavorate a pennello e applicate sulla tela in modo da suggerire un aggetto, o almeno un disallineamento rispetto allo sfondo, come dei brani di un discorso pittorico autonomo che è stato interrotto, sagomato e applicato entro un altro contesto sopra un altro ordito per creare un effetto di spaesamento. Ma l’intervento più importante, reso possibile dal lavoro prevalentemente su tavola di quegli anni, consiste nell’inserimento di taglio di lamine di rame, che fuoriescono dal 15
Ibidem.
Presenze – rilievo – materia, 1990, polimaterico su legno, 85 x 80 cm, collezione privata Saronno (VA), foto B.Zanzottera
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Nero d’oriente,1991, polimaterico su legno, 100 x 180 cm, collezione privata, foto B.Zanzottera
fondo come se vi fossero state incuneate a forza: è il primo tentativo di uscire dalla superficie del quadro e di avanzare verso una dimensione ulteriore di maggiore complessità. Nessuno, invece, ha rilevato il debito di questa stagione di Valdi nei confronti di suo padre Osvaldo e del lavoro quasi maniacale di collage che questi aveva condotto negli anni Settanta saturando la pittura con un fitto e minuzioso accostamento di fotografie e provini fotografici come componenti visive di una tavolozza predeterminata che dava vita a un affastellarsi di immagini su piani differenti. Da quell’esempio Valdi aveva infatti appreso l’idea che lo spazio del quadro poteva strutturarsi per scorrimento di piani l’uno sull’altro e, soprattutto, che l’intervento sulla materia poteva essere risolto con un lavoro di intarsio in cui un elemento veniva a inserirsi nel corpo della superficie sottostante in maniera interferente ma dialettica. È un passaggio inevitabile, perché nel lavoro di Osvaldo c’era la radice di un lavoro che trattava l’immagine bidimensionale come materia, e che mano a mano che proseguiva rifinendo l’opera faceva perdere di definizione a quelle stesse immagini per dare loro una consistenza meno iconica e più materiale. È possibile che si celi un’intuizione volta in questa direzione, per esempio, nel testo di Miklos N. Varga per la mostra personale allo Spazio Arte San Fedele nel gennaio del 1992, in cui il critico insiste costantemente nella sua riflessione sul concetto di “contraddizione”, che potrebbe intendersi proprio nell’accezione di una sovrapposizione di elementi che creano una tensione per via di contrasto 16. L’artista stesso, del resto, sente per la prima volta l’esigenza di mettere nero su bianco una propria piccola dichiarazione di poetica che evidenzi un aspetto fondamentale come La materia tra poetico e impoetico. Il punto più importante di questa prima fase, però, arriva pochi mesi più tardi, Valdi Spagnulo. Tracce, (Milano, Spazio Arte San Fedele, gennaio-febbraio 1992) a cura di Miklos N. Varga, intervento poetico di Luigi Bianco.
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quando Valdi Spagnulo realizza alla Galleria delle Colonne di Parma una mostra in tandem con Alberto Reggianini17. In quell’occasione, infatti, Alberto Veca scrive due brevi e fittissime pagine che vanno a fondo con rara precisione nelle ragioni pratiche e poetiche del lavoro di Spagnulo 18. Allo stesso tempo, accanto al tema della materia che Veca sviluppa all’insegna Dei materiali eletti, nelle titolazioni di Valdi emerge un nuovo tema: la “figure” di questo momento sono “silenti”, sia che si tratti di “angeli” o di “icone” o più semplicemente di presenze. Allo stesso tempo, l’artista sente l’esigenza di una descrizione materiale più puntuale dei propri lavori: la dicitura di “polimaterico” su tela o tavola non è più sufficiente, e preferisce puntualizzare la presenza di ogni singola materia, dalla carta combusta alla grafite, alla cera, al piombo e allo smalto su legno, come un elenco di interpreti che hanno dato vita all’opera stessa. Del resto, Veca punta tutto sulla questione dei materiali, che nella loro convivenza dinamica mettono in atto un «campo di relazioni» fra presenze differenti. Perfezionando la lettura della De Stasio, più che di collage correttamente Veca preferisce parlare di “rilievo” - ricordando la precisa accezione di questo termine nel dibattito a cavallo fra anni Sessanta e Settanta, nel momento in cui il tema dello sconfinamento della pittura nell’aggetto 17 Alberto Reggianini. Valdi Spagnulo, (Parma, Galleria delle Colonne, 17 ottobre-1 novembre 1992) testi di Alberto Veca e Roberta Gabelli, s.e., s.l. 1992. 18
Alberto Veca, Dei materiali elettivi, ivi.
Origine dell’ombra, 1992, carte, smalto, graffite, piombo, fuoco su legno, 150 x 100 cm, foto B.Zanzottera
Ricordo silente, 1992, carte, smalto, graffite, piombo, fuoco su tela, 150 x 100 cm, foto B.Zanzottera
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della scultura si fondeva a quello dell’integrazione fra arti visive e nuove architetture – sottolineando che all’interno di quest’area non esiste una gerarchia vera e propria fra i materiali, non essendoci «funzioni fondamentali» attribuite a determinati medium rispetto a possibili funzioni accessorie e decorative di altri. Il punto nodale, infatti, stava in «una forte e coinvolgente relazione fra la natura fisica e percettiva del singolo materiale e l’agire concreto su di esso». Seguendo questo ragionamento, implicitamente Veca stava chiarendo la declinazione specifica dell’eredità dell’Informale da parte si Spagnulo, che non era di carattere esteriore e legata a una affinità epidermica, bensì aveva fatto dell’opera «un concentrato di diverse attività fisiche». La peculiarità di questo lavoro, infatti, sta proprio nel «mettere in evidenza per ciascuna componente la sua relazione all’intervento manipolatorio». Agendo sulla materia e controllandone le reazioni a trazione, torsione e combustione, insomma, Spagnulo è in grado di comprendere la vocazione naturale del materiale e di assecondarla, facendo della propria traccia fisica sulla materia la ragione stessa dell’operazione artistica. «È l’attenzione alla natura e alla qualità dell’operare direttamente e fisicamente», prosegue il critico, «lasciando scoperto l’intervento, evitando cioè di camuffare o abbassarne gli esiti, all’opposto evidenziandoli, costituisce un frangente non occasionale di una necessità di rapporto diretto, di conoscenza tattile delle “cose” altrimenti negata o contraddetta dal dominio del visivo o di un bagaglio artificiale delle “cose” che ci circondano tendenzialmente estraneo o illusorio rispetto ai sensi» 19. Ancora una volta Veca si mostra dunque attento alle modalità operative di esecuzione dell’opera d’arte, consapevole che in queste si trovava una chiave di lettura del linguaggio, riuscendo a coniugare l’aspetto descrittivo dell’esecuzione materiale con l’aspetto interpretativo. Non a caso, infatti, uno dei temi portanti della sua riflessione critica era proprio la questione della “costruzione” dell’opera, che lo aveva portato a interessarsi di ricerche visive di astrazione concreta basate sulla somma di elementi singoli. Spagnulo, in questo senso, eccedeva quella ricerca portando la questione sul discorso del segno, inducendo Veca a una distinzione di fondo fra due tipologie di approccio al lavoro: «uno di natura “aggressiva”, quando Spagnulo interviene scavando o bruciando il legno, un’operazione di modificare con forza la pelle originale del materiale, peraltro ottenuta anche “In aggiungere” con l’impiego della sabbia; il secondo, all’opposto, gioca in modo “soffice”, soprattutto nella modellazione delle lastre metalliche e nello stesso intervento cromatico» 20. Restava escluso, naturalmente, il problema esistenziale insito in questa ricerca, ovvero quella ricerca di senso che desse ragione delle scelte operative: l’attenzione ai materiali e alla loro combinazione, come osserverà anche Luigi Cavadini qualche anno più tardi21 , aveva distratto dalla domanda sul senso generale della sua ricerca, limitandosi alla fenomenologia oggettuale. Eppure, in quella sequenza di operazioni che Veca definisce “aggressive” era insita una importante ricaduta contenutistica: la combustione, la pelle della pittura ferita da graffi ed escoriazioni - più violente e aggressive, per esempio, dei graffiti su ossidi di Mazza – non può non indurre a una lettura in senso 19
Ibidem.
20
Ibidem.
Luigi Cavadini in Valdi Spagnulo. La pittura come scandaglio dell’anima, (15 gennaio-5 febbraio 1994) a cura di Luigi Cavadini, La Meridiana arte contemporanea, Tipocromo 1993. 21
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Specchio nero,1991, carte, smalto, sabbia, graffite, rame, fuoco su legno, 200 x 140 cm, foto B.Zanzottera
analogico, rimandando a materiali feriti e cicatrizzati come un segno di violenza o una traccia primordiale. Solo Marina De Stasio, ancora una volta, adombra una interpretazione in questo senso: «Comunica un messaggio tutto sommato positivo: denuncia un malessere un disagio, una difficoltà; manifesta un vuoto e un silenzio, ma con la fiducia, o almeno la speranza, che sia un vuoto da riempire, un silenzio in cui nuove parole potranno essere dette; e comunque, trova nel fare, nel costruire, nell’attività di progettare e trasformare, un valore in sé, un’illimitata potenzialità di valori nuovi o rinnovati» 22.
III. Il vuoto e il suo doppio. Nella prima metà degli anni Novanta si assiste a una svolta nel lavoro di Valdi, che si connota progressivamente per una maggiore complessità concettuale, per un approccio installativo all’esecuzione e per una progressiva rarefazione e chiarificazione dell’assemblaggio. Contemporaneamente, la parola “materia” scompare progressivamente dal lessico della critica e dell’artista per fare spazio ad altri aspetti: sempre più si allude a una dimensione silenziosa e assorta, a un certo punto si parlerà addirittura di “anima”; e infine si tornerà circolarmente, con il testo di Caramel del 1999, a parlare di “assenza” come nelle prime mostre di fine anni Ottanta. Al contempo, questo è un momento in cui si cominciano a chiarire le coordinate di una generazione di artisti nuovi in rapporto alla generazione precedente, tanto che questo periodo, specialmente fra 1993 e 1996, è contraddistinto da una serie di mostre a due o a tre in cui il suo lavoro entra in dialogo diretto con le proposte di coetanei o artisti più anziani: c’era già stata la mostra condivisa con Reggianini, che però era 22
De Stasio, Percorsi della materia, cit.
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equamente ripartita con due testi di presentazione autonomi; le mostre con Stefania Albertini e Giampiero Moioli (1993), con Gabriella Benedini (1995) e con Daniela Nenciulescu (1996), sono invece occasione di una riflessione più ampia sulle costanti e i momenti di distanza interni a una generazione. La prima di queste, presentata da Francesco Tedeschi a Villa Visconti Borromeo Litta di Lainate nel 1993, vede coinvolti insieme a Valdi la coppia Albertini e Moioli sotto l’insegna delle Costruzioni del profondo23. Una definizione quasi categoriale che fa pensare al tentativo di catalogazione dei linguaggi di fine anni Ottanta che Manuela Crescentini, moglie di Enrico Crispolti, aveva proposto nel 1989 con la mostra itinerante La provincia e l’impero, all’interno della quale aveva creato una macro-categorizzazione distinguendo le modalità operative fra un immaginario contadino-naturale, un immaginario artigiano, uno urbano e uno esistenziale-archetipico 24. Tedeschi, infatti, registrava in questa occasione il nuovo interesse da parte di alcuni artisti della generazione di suoi coetanei, di contro a tendenze concettuali più distaccate, verso «forme che sono allusive senza essere definite, per geometrie di radice organica più che progettuale, per soluzioni che mostrano l’affiorare dell’inconscio più che una assoluta lucidità d’espressione» 25. Rispetto alle ricerche in voga, insomma, si assiste qui all’emersione di una ricerca che si ripiega su una dimensione intima, raccolta e autoriflessiva, che giunge a una geometria al contempo organica e archetipa attingendo dall’Informale, che è una premessa necessaria, ma con «una coscienza di ordine e struttura» che cala l’opera «in una profondità che è fisica, ma è anche immagine di condizioni mentali o affioranti dal subconscio, si situano le possibili analogie con creazioni che assumono così nuove ragioni di essere» 26. Due scultori e un pittore, dunque, sono accomunati in una ricerca intorno al tema della materia e di una costruzione dell’immagine che è al contempo di memoria organica e di remoto archetipo costruttivo, e che va a trasformare l’ambiente in un paesaggio surreale. È dunque senza indugio che a questa altezza di parla del suo lavoro come di pittura, anche se, riconosce Tedeschi, con «una grande passione per le materie» che lo ha spinto verso gli effetti luminosi del rame, dello stagno e del piombo, in cui riconosce come «un’infatuazione che l’ha spinto anche verso un certo bizantinismo» 27. L’inserimento e la commistione di materiali eterogenei, infatti, portava non solo una maggiore complessità della sensibilità materica, ma arricchiva le qualità luministiche della superficie facendo convivere parti opache, dipinte o combuste, parti scavate entro cui va a condensarsi un’ombra come un andamento lineare tracciato in negativo, e soprattutto parti metalliche aggettanti o intarsiate nella tavola che riflettono la luce con una vibrazione costantemente mutevole come nel mosaico antico, e con la stessa intenzione di impreziosire la raffigurazione tramite il medium stesso. Costruzioni dal profondo. Stefania Albertini, Giampiero Moioli, Valdi Spagnulo, (Lainate, Villa Borromeo Visconti Litta, giugno-luglio 1993) a cura di Francesco Tedeschi, Lainate 1993.
23
La provincia e l’impero. Linguaggi d’arte tra aulico e volgare, a cura di Manuela Crescentini, Electa, Milano 1989. La mostra si era tenuta a Terontola Ducenta, Orvieto e Paliano nel corso del 1989.
24
Francesco Tedeschi, Costruzioni dal profondo, in Costruzioni dal profondo. Stefania Albertini, Giampiero Moioli, Valdi Spagnulo, cit.
25
26
Ibidem.
27
Ibidem.
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Verticali 1 / 2, 1993, carte, smalto, graffite, piombo, fuoco su legno, 140 x 80 cm (dittico), collezione privata Cernusco sul Naviglio (MI), foto B.Zanzottera
Quello, però, è un momento di maturazione non solo nell’incastro e nella sovrapposizione dei materiali, ma anche di un’ulteriore passaggio concettuale che accompagnerà il lavoro di Valdi per tutti gli anni Ottanta con il tema del “doppio”. Da qui in poi, infatti, in molte occasioni l’artista comincia a strutturare le proprie opere in dittici dialetticamente complementari. Su supporti di identico formato, infatti, costruisce la stessa immagine, ma tenendo un rapporto di pieni e di vuoti speculare: dove in un dipinto si trova di fondo una superficie piena e cupa, nell’opera parallela, come in un negativo fotografico, il fondo sarà bianco o scavato, come se le due immagini, sovrapposte, potessero combaciare e completarsi per dialettica degli opposti, o come se l’una fosse l’impronta dell’altra. In quest’ultima accezione è una ricerca che si sta mettendo al passo con lo spirito dei tempi: il doppio indica una “somiglianza per contatto” da intendersi nell’accezione di Didi-Hubermann, ma è anche una vera e propria impronta, quasi una delocalizzazione, seppur proposta seguendo un procedimento squisitamente artigianale. Tedeschi adombra questa problematica in un breve passo del suo testo, facendo emergere degli elementi altrimenti sfuggiti alla critica: «le parti emergenti hanno dei confini che non sono mai quelli di una geometria assoluta, per-
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Segni antichi, 1993, carte, graffite, fuoco, 29,5 x 27 cm, foto B.Zanzottera
ché giocano sulla contraddizione tra una esistenza nuovamente in divenire, sfuggente oltre i termini della tavola, e la forza immobile, scultorea, della loro consistenza. Ne nascono degli schemi compositivi che si possono ripetere con materiali diversi, quasi che lo stesso pezzo avesse un positivo, un negativo, un’ombra e una realtà» 28. Frattanto, all’interno di quella lettura del suo lavoro in chiave esclusivamente materica cominciano a insinuarsi altri temi: ogni mostra, in questo momento, segna una tappa evolutiva significativa e la critica, in un momento esegetico particolarmente vivace, porta un piccolo contributo di comprensione in più. In prima battuta spetta a Luigi Cavadini, nel 1994, puntualizzare alcuni aspetti di questa stagione, evidenziando quanto fosse riduttivo interpretare il lavoro di un gio28
Ibidem.
Anatomia di un luogo, 1994, carte, smalto, graffite, rame, fuoco, 100 x 73 cm , foto B.Zanzottera
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Riallacciare luoghi, 1993, ferro, fili di ferro, carte, graffite, piombo, fuoco, parete, 35 x 25 cm, collezione privata Milano, foto B.Zanzottera
Interrotto, 1995, ferro, carte, graffite, piombo, lana di vetro, fuoco, parete 35 x 25 cm, collezione privata Milano, foto A.Valentini
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vane artista solamente nella prospettiva dei nuovi materiali, senza porsi problemi in merito al contenuto29. Non si poteva fare a meno, ovviamente, di registrare il superamento di una fase di pura pittura o di pittura che si avvale del collage per una più varia e coerente compresenza, in cui, memore della lettura di Tedeschi, si inseriva una “sacralità” da icona dei colori ramati o dorati. Ma soprattutto «il “disegno”», secondo Cavadini, «ha una forte caratterizzazione che si sente nelle linee che individuano una frammentazione della superficie di base e strutturano le forme». Destinato a una certa fortuna, invece, è il testo scritto da Rossana Bossaglia nel 199530, più volte ripreso e ridiscusso dagli altri studiosi - a partire da Francesco Poli e Luciano Caramel che se ne sarebbero occupati immediatamente dopo – soffermandosi tuttavia su aspetti di dettaglio. Memore della sua lunga e pionieristica fedeltà allo studio e alla valorizzazione del Liberty italiano, Rossana Bossaglia non poteva fare a meno di un approccio lieve alla critica militante, senza momenti di concitazione quanto piuttosto con una prosa piana e garbata entro cui si annidavano degli spunti di lettura determinanti. È lei, ad esempio, a rimettere al centro il rapporto “arte-vita”, ad andare sotto la scorza del problema linguistico riconoscendo che «egli ha dentro di sé cose da raccontare, impulsi appassionati, un’idea della vita, mi pare, drammatica ma non pessimistica»31 . Lo scarto rispetto all’Informale classico è proprio questo: permane un conflitto che si consuma sulla tela, ma che non provoca una frattura che non si possa ricomporre, che non è una ferita da non poter rimarginare. Ne deriverebbe, secondo la Bossaglia, una maniera «insieme dura e sommessa» in cui Valdi avrebbe fatto tesoro della lezione dell’Informale prima, delle ricerche concettuali poi e dell’Arte Povera infine. Dal concettualismo, infatti, avrebbe imparato «la trasposizione su un piano mentale dei problemi legati alla matericità dell’oggetto» e dall’arte povera –avendo probabilmente in mente l’esempio di Mario Merz - «una volontà di ascetismo formale, l’avversione per ogni compiacimento estetizzante»32. Francesco Poli, nel 1996, sarebbe ripartito da qui per sviluppare la componente concettuale in relazione al tema del doppio, come «enigmatica e ieratica tensione alla simmetricità, tanto evidente quanto sostanzialmente irrisolta»33, pur riconducendo il suo lavoro alle coordinate dell’Informale, sotto le insegne di Burri e soprattutto di Tapies in «una ostinata, e a volte ossessiva, interrogazione della materia» entro la quale, scrive, «per Spagnulo, non si tratta di dar vita alla forma (poetica) dell’opera in contrapposizione alla sua realtà concreta, ma al contrario, la linea di ricerca è quella diretta di incontro-scontro con la dura, pesante, opaca, densa, pulsante esistenza delle strutture materiali»34. Non emerge, nella critica fino a questo momento, l’aspetto quasi rituale di un’impostazione simmetrica del dipinto, quell’emergere di un elemento portante che sembra avere una funzione emblematica: nel campo pittorico, costruito attraverso una strut29
Cavadini in Valdi Spagnulo. La pittura come scandaglio dell’anima, cit.
Rossana Bossaglia, Il colore dell’ombra, (Pietrasanta, Chiostro di S.Agostino, Sala dei Putti, marzo-aprile 1995), Arti Grafiche Beverasco, Sesto San Giovanni 1995.
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Ibidem.
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Ibidem.
Francesco Poli in Valdi Spagnulo. La forma nella materia, (Siena, Galleria Palazzo Patrizi, settembre-ottobre 1996) a cura di Francesco Poli.
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Ibidem.
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Spiccare il volo, 1995, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, su tela 150 x 140 cm, collezione privata Vedano al Lambro (MI), foto A.Valentini
turazione sempre più leggibile, dal fondo giocato pittoricamente fra carta e bitume si stacca una figura “disegnata” con un profilo di rame, il cui aggetto a volte è suggerito da un’ombra dipinta sul fondo (ancora un “doppio”), con un gioco autoreferenziale sui termini del dispositivo pittorico messo a punto: l’oggetto, pur applicato sul piano, proietta un’ombra virtuale. Lo si vede bene in due dipinti dal titolo eloquente, realizzati probabilmente in parallelo proprio nel 1995, che suggeriscono uno Spiccare il volo e una riflessione sull’idea di Segnare il tempo. La struttura compositiva è la stessa: un campo ripartito orizzontalmente (cielo in carta e terra dipinta a bitume), su cui si colloca una figura asimettrica nel primo caso, sull’asse mediano nel secondo. In entrambi i casi l’oggetto lascia un’ombra sul cielo di fondo, ma al tempo stesso proietta la propria sagoma speculare sulla terra, come uno specchio d’acqua opaco che ripete l’immagine ribaltata. 130_
Storia di Valdi
Segnare il tempo, 1995, carte, smalti, graffite, piombo, filo di ferro, fuoco, su tela 150 x 140 cm, collezione Privata Tribbiano (MI), foto A.Valentini
Bisogna chiedersi, a questo punto, quale sia lo spazio “virtuale” entro cui si collocano queste immagini: uno spazio che accenna a una profondità atmosferica, ma che al tempo stesso è uno schermo o una parete prossima all’oggetto, che altrimenti non potrebbe proiettare un’ombra, mettendo in atto un meccanismo concettuale non diverso da un pittore che Valdi conosce e frequenta assiduamente, Valentino Vago (1931-2018), i cui cieli, tutti mentali, erano solcati da segni filiformi apparentemente impalpabili, ma capaci di proiettare un’ombra su uno sfondo altrettanto rarefatto. Eppure Poli doveva aver intuito qualcosa che nel lavoro di Valdi non si era ancora espresso, perché a un certo punto afferma che «almeno fino a ora, ha deciso di non andare al di là dei confini dello spazio quadrangolare dell’opera da appendere alla parete evitando di allargarsi in direzione dell’installazione ambientale». Col senno di
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poi sembrerebbe che il critico avesse già intuito che nel giro di poco tempo Spagnulo si sarebbe spostato in altra direzione: al momento era rimasto nei limiti del quadro, ma presto avrebbe potuto fare quel salto in avanti. Sottotraccia, però, Poli faceva riferimento alla mostra di Valdi insieme a Gabriella Benedini allestita al Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda nel giugno 1995 35, documentata in catalogo da un felice reportage fotografico di Andrea Valentini che sottolineava il dialogo serrato non solo fra le opere dei due artisti, che si dividono lo spazio a parete e nel centro delle sale, come se l’uno fosse lo sviluppo tridimensionale del lavoro dell’altro. Le loro esperienze, pur colte in diverse stagioni della vita e della Per contro. Gabriella Benedini, Valdi Spagnulo, (Trezzo sull’Adda, Castello Visconteo, giugno 1995) a cura di Sandro Parmiggiani, Arti Grafiche G. Beveresco, Sesto San Giovanni 1995.
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Per contro: G.Benedini – V.Spagnulo, 1995, vista della mostra, Villa del Castello di Trezzo sull’Adda, foto copertina, B.Zanzottera
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Per contro: G.Benedini – V.Spagnulo, 1995, vista della mostra, Villa del Castello di Trezzo sull’Adda, foto sale interne A.Valentini
ricerca artistica, avevano molti punti in comune. Come faceva notare Sandro Parmiggiani, le loro erano esperienze «intrise di un accumulo di solitudine», ma mosse e passionali in cui «se si aguzza lo sguardo, si vede la forma palpitante nell’ombra»36. Il confronto col lavoro della Benedini, oltretutto, aiuta a mettere a fuoco il tema, ancora inedito nella riflessione critica, del primordio, di un primitivismo che ha le sue radici negli anni Ottanta, e che sta sostanzialmente nel voler ridare all’opera la forza quasi “religiosa” di riportarsi alla primitiva funzione emozionale, dove in fondo questi lavori «mettono in scena frammenti del nostro teatro interiore, coagulano su una superficie sguardo e memoria, istinto e rigore, forma e bellezza, vivono dentro l’emozione di chi guarda»37. Se si trattasse di pittura o di scultura, di fronte a due esperienze liminali come le loro, non aveva più importanza: in entrambi i casi, le loro strutture composite potevano sembrare totem o strumenti di un arcaico rituale, che forse non sarebbe fuori luogo rimettere, almeno nel caso di Valdi, sotto la stella protettiva di Robert Rauschenberg. Al contempo, però, il lavoro di Valdi Spagnulo non aveva perso un referente analogico, tanto da consentire a Parmiggiani alcuni picchi di descrizione lirica che riportano il lavoro entro una visione naturalistica e tutta lombarda della scultura: «le superfici sono solcate da fremiti, brividi di forme, come ghiaccio che si coaguli a una liscia distesa d’acqua; appaiono ombre, cunicoli, nicchie, porte che danno sul buio, barriere che attraggono ma che forse non si possono varcare, come se in quelle apparizioni spettrali si celassero insieme verità e angoscia mortale»38. Il suo lavoro, però, non poteva essere totalmente rinchiuso entro una linea di sviluppo che lo avrebbe situato nella stessa temperie in cui veniva collocato, in quegli anni, il lavoro di un artista come Alberto Ghinzani. La sua generazione, infatti, si stava muovendo in un’altra direzione, ponendosi diversi problemi di contenuto attraverso il 36
Sandro Parmiggiani, Solitudine, dolce compagna, in Per contro, cit.
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Ibidem.
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Ibidem.
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Luoghi migratori, 1995, ferro, legno, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, parete, 110 x 160 cm, (dittico), foto A.Valentini
linguaggio, come testimonia un’altra mostra a due giocata sul confronto con Daniela Nenciulescu, che Cavadini legge come sul dialogo fra artisti, fra pittura e scultura, e fra materiali dell’uno e dell’altra: la Nenciulescu presentava opere del 1995 e 1996 ottenute applicando su tela alluminio, rete d’alluminio, filo di rame e polvere di marmo; Valdi, invece, procedeva assemblando ferro, legno, grafite, carte, smalti, rame e combustioni39, con la riproposizione nei dittici «non come contrapposizione, quanto come rilettura, come una nuova interpretazione (che, alla fine, risulta essere la stessa) di un avvenimento, di una azione, di un movimento».
IV. La presenza attiva dell’assenza. Si stava avvicinando, nel lavoro di Valdi Spagnulo, un momento di scatto in avanti sia linguistico sia contenutistico dovuto a un modo diverso di intendere lo spazio della raffigurazione spostando progressivamente l’attenzione dal piano di fondo alla cornice, o meglio al telaio che delimita il campo, quasi un recinto entro cui provocare un accadimento. A questo punto, Valdi non scava più sul fondo per ritrovare le forme in negativo, né incunea lamine di rame sul supporto per provocare un aggetto a rilievo: l’asse portante del lavoro, a questo punto, è il telaio al quale applica carte dal bordo frastagliato incollate su legno e altri materiali, creando una situazione mobile e in divenire mettendo in dialogo un assemblaggio di frammenti con il vuoto di fondo. Daniela Nenciulescu. Valdi Spagnulo, (Milano, Spaziotemporaneo, febbraio 1996) a cura di Luigi Cavadini.
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Non a caso, infatti, nella descrizione di queste opere assieme a carta, smalto, grafite e ferro Valdi inserisce il fuoco della combustione e, soprattutto, la “parete” come parte integrande del lavoro stesso. È come se si fosse creato un campo di forze che si sviluppa dalla cornice, alla quale i vari frammenti sono applicati (nel caso delle carte) o ancorati (nel caso del filo metallico) e attraverso il quale fanno il loro ingresso entro quel recinto concettualmente simile a uno schermo o a un teatrino. Si conferma così una tensione dinamica interna già potenzialmente presente nei lavori precedenti, giocati in prevalenza su composizioni asimmetriche entro le quali irrompeva una figura composita con l’effetto di un’onda sopraggiunta a scuotere uno stato di cose. A questo punto, però, non era più soltanto una questione di simulazione, perché l’artista crea ora un vero e proprio spettacolo di materie che si richiamano vicendevolmente da un capo all’altro dell’opera. Il piano di fondo pieno e compatto non è del tutto sparito, perché Valdi sta ancora lavorando sul tema del doppio, ma lo sta perfezionando: una superficie piena, scavata, fa da contrappunto a una superficie vuota, entro cui si muove un filo di ferro piegato che disegna una arabesco spaziale. Il rapporto negativo/ positivo, insomma, non è più soltanto una questione di inversione di colori, di lasciare il bianco della carta laddove si invischiava pastoso il bitume, ma è una contrapposizione perfetta fra il pieno e opaco e il vuoto entro cui si libra leggero un disegno di filo. È in questo senso che nel 1999 Luciano Caramel, in un fitto testo che commenta e sviluppa gli spunti offerti da Bossaglia e Poli, parla di “presenza attiva dell’assenza”: l’assenza è uno spazio vuoto, ma non svuotato né inerte, anzi reso attivo proprio perché rafforzato da presenze sempre più eteree e rarefatte40. Anche Caramel fa riferimento, per confronto dialettico, alle esperienze concettuali, ma si rende chiaramente conto che la vicenda ha radici più profonde e più remote: Spagnulo è tornato indietro, all’origine della crisi dell’Informale e da questa è ripartito e «ha affrontato il problema senza scavalcarlo», anzi superandolo senza dover diventare un concettuale pur mantenendo «un registro mentale». “Mentale”, nel suo caso, è il modo di pianificare il lavoro, come Luciano Caramel, La presenza attiva dell’assenza, in Valdi Spagnulo. La presenza attiva dell’assenza, cit.
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Luogo sottratto, 1996, ferro, legno, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, parete, 100 x 160 cm (dittico), collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Segno vagante, 1997, ferro, legno, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, parete, 110 x 160 cm (dittico), collezione privata Vedano al Lambro (MI), foto A.Valentini
mentale è la concentrazione necessaria a calibrare elementi di natura eterogenea e a costruire una narrazione coerente senza disporre di uno spazio dove poter tracciare un abbozzo preparatorio: il lavoro deve svolgersi tutto alla prima, muovendo e spostando gli elementi, senza poter disporre di un appoggio anzi organizzandosi totalmente in uno spazio vuoto. Ed è qui che per la prima volta, grazie a Caramel, si parla del lavoro di Valdi nei termini di scultura in senso stretto. «Puntando sulla superficie, per saggiare analogie e differenze» scrive, «l’artista giunge in tal modo presto a individuare il significato e le qualità dell’interruzione della continuità del piano, del quadro propria, nel realizzare un rapporto meno illusionistico, meno rappresentativo con lo spazio ambientale, riconosciuto invece come fattore fondante della scultura. [….] Attuata quella prima, e certo fondamentale, violazione dell’essere nello spazio della statua, e adottata la limitazione della superficie […] Spagnulo saggia le possibilità del vuoto»41 . Questa operazione di sforamento, prosegue poi lo studioso, era stata necessaria per arrivare a una dimensione del lavoro che non restasse sulla superficie ma avesse una profondità ulteriore. Il ruolo della materia, infatti, si fa meno pressante, mentre assume importanza progressiva il fil di ferro come strumento di disegno su cui si articola la composizione, creando volute o ghirigori, oppure partizionando lo spazio con lunghe rette passanti attraverso il piano, o con vettori che entrano fugacemente e indicano l’andamento di una forma non tracciato. Il vuoto, insomma, serve per evocare una forma laddove non è presente, senza però condurre il discorso verso la poetica delle impronte, o delle tracce lasciate da oggetti poi non presenti: costantemente, quella di Valdi resta una operazione di costruzione e mai di “delocazione”, per cui l’assenza non è la traccia di una presenza scomparsa, ma l’idea di una immagine in formazione e di un palinsesto. Il materiale, dunque, è usato in funzione di una rappresentazione e non punta, come sottolinea Caramel, a rappresentare se stesso. «In ricerche che non si attestano sulla superficie del supporto», prosegue lo studioso, «Spagnulo tende ad immagini non meramente autoreferenziali. La sua meta è l’immagine, sì tutta interna all’operazione nei diversi materiali usati e nello spazio, ma non tautologicamente 41
Ibidem.
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V.Spagnulo: la presenza attiva dell’assenza,1999, vista della mostra Galleria Spaziotemporaneo, Milano, foto A.Valentini
in esso conclusa. C’è sempre una carica espressiva nei suoi lavori, e financo una intenzionalità narrativa, di intonazione poetica, mai descrittiva, concretata in forme allusive, e forse cripticamente –o solo elementarmente – metaforiche»42. Quando quel testo uscì a stampa, pur segnando un punto importante e facendo emergere aspetti cruciali di questa ricerca, Spagnulo aveva già fatto un passo in una direzione diversa. Inaspettatamente, infatti, all’inaugurazione della mostra allo Spaziotemporaneo l’artista e Patrizia Serra decidono di presentare una serie di lavori nuovissimi - esponendone uno solo di quelli che Caramel aveva commentato - e che 42
Ibidem.
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V.Spagnulo: la presenza attiva dell’assenza,1999, vista della mostra Galleria Spaziotemporaneo, Milano, foto A.Valentini
portavano a conseguenze estreme il discorso sviluppato fino a quel momento, come ben mostrano le foto dell’allestimento, usate a corredo della successiva personale di Sesto Calende di pochi mesi successiva, che dichiarava, passati i temi della materia e dell’assenza, un momento di “decantazione lirica”43. La carta diventa una presenza meno cogente in favore del fil di ferro che si articola all’interno del telaio. Al tempo stesso, Valdi ha compiuto una ulteriore operazione di sforamento tridimensionale torcendo e deformando i telai di partenza e provocando quindi una dinamica ulteriore con i fili metallici torti al suo interno. Sempre più oltre all’opera in sé conta dunque il suo rapporto con l’ambiente, il suo aggrapparsi alla parete ma anche il suo rapportarsi alla stessa architettura che la ospita, come una pagina bianca su cui sviluppare una situazione. Il passo verso la scultura è avvenuto, ma la struttura che ne deriva non poggia al suolo trovandosi anzi in uno stato di fluttuazione, con una pulizia formale che pur senza un rigore geometrico assoluto punta a una nitidezza più distesa, “concettuale” nel senso di una concentrazione e semplificazione che mette fra parentesi una certa irruenza delle opere degli anni Novanta per fare spazio a un ritmo più lento e armonico. Vien da pensare che la scultura di Valdi Spagnulo sia fatta in punta di penna: sulla via della scultura leggera, infatti, intrattiene con lo spazio un dialogo fatto di tracciati che delineano potenzialmente uno sviluppo di superfici. Ma la scultura di Spagnulo, negando in maniera recisa i valori tattili della forma plastica, non solo non è fatta di pieni e di vuoti, ma pur senza venire meno ad una vocazione 43 Valdi Spagnulo. Decantazione lirica, (Sesto Calende, Spazio Cesare da Sesto, aprile 1999), testi di Luciano Caramel e Rachele Ferrario.
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Tempo vibrante, 1998, ferro, plexiglas pigmentato e trattato, disco abrasivo, fuoco, parete, 130 x 120 x 32 cm ca., collezione privata Cassina Rizzardi (CO), foto A.Valentini
architettonica, non è fatta nemmeno di piani, si può dire che la sua opera “cerca” in qualche modo la parete: più che il piedistallo che la sollevi come una stele, pur con il vuoto d’aria che la attraversa, l’opera si completa con il muro e con l’ombra che proietta su di esso. La linea di ferro piegato è un racconto che si sviluppa dapprima sul piano e che in un secondo tempo assumerà uno sviluppo tridimensionale. In prima istanza la sua funzione è prettamente grafica, come un disegno di linea spessa tracciato nel vuoto, sospeso in modo da creare una tensione interna e un elemento di raccordo che lega insieme le parti. La lastra di plexiglass, sagomata con profili irregolari, ha ereditato invece la funzione della carta strappata e bruciata montata su legno: sono frammenti di realtà bruta e vissuta inseriti nell’opera con un insolito peso visivo, leggero e visivamente fragile. Rispetto alle carte combuste, però, nei telai Spagnulo ha adottato schemi compositivi più liberi: se la carta sembrava una ferita aperta nella materia, il frammento in plexiglass è fluttuante, tenuto sospeso dal fil di ferro o incastonato nella struttura stessa con una campitura corrusca e trasparente che ne fa un protagonista dell’atto in corso. È Rachele Ferrario, per la mostra di Sesto Calende, la prima a registrare questo cambiamento, ribadendo il ruolo del materiale in questa nuova dimensione: la pulizia formale raggiunta da Spagnulo, infatti, era dovuta principalmente all’uso di materiali riflettenti come l’acciaio (non più solo il ferro) e trasparenti come il plexiglass, che concorrono a creare un’immagine eterea all’insegna di luminosità e chiarezza all’interno di quella che pare una «trama incompleta», in cui gioca un ruolo determinante il _139
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A sinistra: Luogo precario, 1997, ferro, carte, smalti, graffite, fuoco, parete, 34 x 25 x 8 cm, collezione privata Vimodrone (MI), foto A.Valentini In alto: Orizzonte, 1998, ferro, legno, carte, ruota dentata, graffite, fuoco, parete, 150 x 100 x 24 cm, collezione privata Cantù (CO), foto A.Valentini
fissaggio a muro con brevi segmenti di metallo che accentuano un senso di apparente precarietà della struttura, ottenuta tramite una «iterazione dell’operatività» che porta a immagini che si somigliano ma che si muovono per continue variazioni44. È evidente che, arrivati a questo punto, la scultura di Spagnulo, che pure nel 2001 verrà insignita del Premio per la Pittura dell’Accademia di San Luca, si è connotata come opera non solo polimaterica e composita, ma nello specifico come scultura che si fa con il saldatore, quindi unendo più elementi in una nuova struttura. Zanchetti, nel 2004, parla infatti di una rinnovata scultura d’assemblaggio post-dadaista e di un raffinato esercizio grafico d’impronta neo-concretista con «puntualità descrittiva del segno lineare»45. L’accenno al nei-concretismo - che cade in un’epoca in cui l’artista tiene una cattedra di Progettazione Grafica e tecniche della Comunicazione Visiva - rimanda ad alcuni lavori pensati su un telaio di ortogonali e di cerchi, ma soprattutto a molti studi su carta che Valdi realizza in questo periodo tornando alla tecnica tradizionale del collage: la funzione delle assi dei telai di ferro è svolta da bande di carta colorate di nero o antracite, applicate su fondi bianchi o grigi e percorse da filo metallico che svolgono la funzione della parete. Su questa base, poi, Spagnulo muove i propri elementi, immagina nuove strutture che escono dal bordo del foglio creando un contorno sempre frastagliato, come se il campo visivo, allo stesso modo di certi dipinti di Gianfranco Pardi, non fosse sufficiente a contenere l’immagine nella sua interezza. Ed è qui, oltretutto, che Spagnulo pensa probabilmente a rompere l’unità del telaio per farne una cornice aperta, visivamente ancora più leggera: togliendo un lato, la struttura si espande accentuando il suo aspetto di frammento e allo stesso tempo lasciando il disegno ancora più libero di muoversi, come se la composizione stesse assumendo non solo una leggerezza fluttuante, ma anche un moto ascensionale. Del resto, prosegue Zanchetti, quello di Valdi si configura come «un fare compen44
Rachele Ferrario, Segni e ombre nello spazio labile, in Valdi Spagnulo. Decantazione lirica, cit.
45
Zanchetti, Articolazioni spaziali di Valdi Spagnulo, cit.
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Architettura: su di noi il cielo, 2000, ferro, plexiglas pigmentato, ruota dentata, 220 x 160 x 100 cm, foto A.Valentini
diario, teso cioè a ridurre e sintetizzare tutti i passaggi retorici, compositivi e plastici in pochi o pochissimi tratti essenziali, che rendono, forse, piÚ visibile la struttura che sottostà all’articolazione delle forme, senza divagazioni, senza fronzoli, con una inten-
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zionale povertà di mezzi e d’intenti, ma non di maestria né di pensiero»46. Per paradosso, a questo punto, la scultura di Valdi Spagnulo si riesce a spiegare soprattutto per via di negazione: la sua essenza sta in quello che “non è”, cioè in quello che la distacca da un’idea di scultura nell’accezione di arte statuaria, fatta di volume pieno e impenetrabile e di greve peso verso il suolo. Egli, al contrario, si mette in quella linea della scultura che nega il volume, che nega la forma, che si ritrae a un’idea di solidità e di stabilità visiva, trovando i propri padri nobili e i suoi addentellati più recenti calati nella via lombarda alla scultura: si discende da Fausto Melotti e dalle istanze del Costruttivismo e del Bauhaus, ovvero da quell’idea di una scultura fatta di sole strutture che negano progressivamente gli statuti di quella che, alla metà degli anni Quaranta, si temeva fosse diventata “lingua morta”. Eppure, come ha evidenziato la mostra curata da Denis Viva al MART di Rovereto nel 201247, la lezione di Melotti aveva avuto un ruolo decisivo, all’atto della sua riscoperta negli anni Sessanta, offrendo le chiavi per capire persino certe istanze dell’Arte Povera. A Milano, invece, discendeva da Alik Cavaliere un’idea di scultura fatta per “costruzione” dell’immagine, attraverso accumulo e addizione più che per plasticazione e modellazione, che poteva poi declinarsi in accezione naturalistica o esistenziale, slittando verso metafore naturali o allusioni alla corporeità umana. Venendo però da studi di architettura, Valdi non è stato condizionato dall’insegnamento accademico, quindi non ha risentito di certe sollecitazioni ereditate dai suoi colleghi, ma è stato subito libero sia sotto il profilo della ricerca (rispetto a eventuali cimenti figurativi) sia nel cercare autonomamente i propri maestri d’elezione. Non si può quindi dimenticare, nel contesto in cui Spagnulo opera, la lezione di scultura lineare sviluppata in senso “analitico” da Italo Antico48, né le strutture in metallo smaltato di Pardi, in cui però l’uso degli elementi lineari è racchiuso entro le coordinate della linea retta racchiusa entro una cornice geometrica, battendo strade che procedevano verso un più assoluto e programmatico rigore (per quanto a volte fosse un ludico rigore). È inevitabile, guardando il lavoro di Spagnulo, riflettere su questa storia della scultura: è inevitabile perché in relazione a questi modelli si comprende meglio quali sono i punti di contatto e quali i punti di distanza. La questione di fondo consiste nello stabilire se dentro questa scultura fatta per via di costruzione, per via di strutture, si cerchi o meno una soluzione narrativa: se la scultura, in fondo, sia pensata per raccontare qualcosa, come nel caso di Spagnulo, o sia soltanto un modo per ridefinire uno spazio con austera e implacabile precisione. Valdi si muove su una via mediana, conscia delle esigenze del costruire ma senza rinunciare a un sottofondo lirico: quel sottofondo che consente la licenza dal rigore, che rende lecita la costruzione senza un calcolo esatto, una indicazione di spazio che non sente il bisogno di essere modulare e misurabile e che, al tempo stesso, prendendo la via dell’intuizione più empirica ed emotiva, si pone più il problema di sollecitare una suggestione poetica che di costruire una condizione percettiva (o una percezione ingannevole). 46
Ibidem.
Fausto Melotti. Angelico geometrico, (Rovereto, MART, 23 giugno-30 settembre 2012) a cura di Denis Viva, Electa, Milano 2012. 47
Cfr. Duccio Nobili, Appunti per una scultura di carattere analitico: Italo Antico, “Titolo”, VI (XXVI), 12 (73), estate-autunno 2016, pp. 49-51.
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V. La linea danzante. Bisogna sottolineare che la scultura di Spagnulo non ha timore di dichiarare con disarmante sincerità la propria apparente “fragilità”, il suo essere una forma aperta e provvisoria, passibile di ulteriori sviluppi: la cornice è diventata come una porta o una finestra, tanto che nel 2015 l’artista intitolerà la sua mostra presso lo Studio Masiero di Milano Domus Mentis49: una soglia, quindi, in attesa che arrivi lo stipite a completare la cornice. Provvisoriamente, ed è il suo punto di forza, la scultura è un tracciato libero, in cui leggere cannule trasparenti volteggiano come linee colorate che si sviluppano sulla terza dimensione, ma rimanendo linee e contrappunti visivi, quasi a voler negare la propria consistenza materiale. È in questa fase successiva al 2004, oltretutto, che la scultura di Valdi Spagnulo si stacca dalla parete per poggiare a terra, strutturando la propria articolazione spaziale non più come una fuoriuscita dal piano quanto come situazione autonoma che si rifà agli schemi della stele o alle strutture primarie dell’architettura. È questo il fulcro del secondo testo con cui Alberto Veca, a quindici anni di distanza dal contributo del 1992, torna a scrivere di Spagnulo in occasione della mostra da Cavenaghi Arte di Milano nel 2007. In un denso testo intitolato appunto A terra e a parete, Veca torna sui termini del linguaggio e sugli «strumenti espressivi» che rendono agevole un cambio di rapporto con lo spazio senza negarne gli assunti di fondo. Il punto portante della sua riflessione, infatti, è proprio il passaggio da scultura a terra a scultura a parete, fra struttura e spazio: «la struttura si regge da sola, in un calibrato gioco fra ingombri, opacità, vuoti e trasparenze, come se l’incertezza di ieri fra una figura e un campo sia stata assorbita, fatta propria dalla figura, che “si regge in piedi” o trova un equilibrio, apparentemente precario, una volta appoggiata
49 Valdi Spagnulo. Domus mentis, (Milano, Studio Masiero, 12 novembre-18 dicembre 2015) a cura di Claudio Cerritelli, Milano 2015.
Concavo, 1997, ferro, legno, carte, smalti, graffite, rame, fuoco, parete 35 x 23 x 5 cm, collezione privata Milano, foto A.Valentini
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Architettura: con – torsione, 2007, acciaio inox satinato, bruniro e spazzolato, plexiglas trattato, 400 x 250 x 200 cm ca.
alla parete o a terra»50. Questo implica un rapporto fra pieno e vuoto, una integrazione fra la struttura e lo spazio: « l’ingombro occupato dalla scultura e il vuoto attorno, che evidentemente non è silenzio inerte ma spazio della risonanza, della decantazione dell’opera, è l’obiettivo prefissato e raggiunto». 50 Alberto Veca, A terra e a parete, in Asimmetrie-pieghe-torsioni, (Milano, Galleria Cavenaghi Arte, settembre-ottobre 2007) a cura di Alberto Veca, Cavenaghi Arte, Milano 2007; ripubblicato in Alberto Veca, Ricognizione sulla scultura/2. Anni Novanta e Duemila, Fausto Lupetti editore, Milano 2014, pp. 182-185.
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Storia di Valdi
In molti punti, questo testo del 2007 si può riconnettere a quello del 1992: il principio di fondo che il materiale usato conta per le sue qualità fisiche da allora è rimasto invariato, anche se il linguaggio ha subito una sua ovvia trasformazione. In questo senso, infatti, Veca parla di una “trasparenza” del processo creativo, o meglio di «recupero di una trasparenza fra ideare e realizzare l’artefatto certamente in contrasto
Senza suono, 2007, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato 192 x 138 x 63 cm ca., foto R.Angelotti
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Captazioni, 2000, ferro, acciaio inox, plexiglas pigmentato, parete 68 x 86 x 10 cm, collezione Privata Milano, foto A.Valentini A destra: Confine, 2009, acciaio inox satinato, bruniro e spazzolato, ferro, plexiglas trattato, 220 x 500 x 90 cm ca., foto A.Valentini
con una sensibilità attuale, più incline all’ineffabile, alla sorpresa o all’incognita: il lavoro di Valdi segue, diversamente, il percorso di un dialogo fra materiali scelti, la loro manipolazione e la nostra capacità di leggere l’uno e l’altro aspetto come osservatori “sullo stesso piano” di chi realizza l’oggetto»51 . Un concetto non distante da quanto osservato, esattamente dieci anni più tardi, da Matteo Galbiati e Kevin McManus in occasione della mostra a due con Attilio Tono, quando parlano di un «disegno concreto germinante nello spazio. Il suo segno diventa una vera e propria calligrafia scultorea che fluttua, leggera e cangiante, nell’ambiente cui, di volta in volta, si lega, rinnovando, così, sempre la sua presenza e il suo valore. Gli elementi manipolati da Spagnulo si torcono, destrutturano, si elevano o si comprimono davanti allo sguardo, prolungando l’agire dell’artista oltre il suo stesso intervento fisico iniziale: davanti agli occhi di chi osserva la scultura pare catalizzare le spinte e le tensioni del luogo che l’accoglie e rinvigorisce le proprie energie innervano nel potenziale fisico della materia che, latenti, possono tradursi in un continuo divenire. L’artista si fa interprete di questi processi interni la materia e, lambendo un limite che pare dissolverne la stessa concretezza assottigliandola fino ad ibridarla con le consistenze effimere del plexiglass trasparente che s-finisce nella luce, controlla e doma l’immaginazione incalzante dell’intuizione intrinseca al suo pensiero e viva nel materiale del suo fare. La sua scultura si pone come grafismo concreto nello spazio, dove segno, materia, architettura, pittura, scultura e disegno paiono fondersi nel gradiente primigenio che le accomuna e accoglie tutte assieme»52. Questo significava anche procedere verso una progressiva monumentalizzazione della scultura: i telai in acciaio inox spazzolato, ora organizzati secondo uno schema più libero seppur nitidamente definito, devevano fare i conti con l’architettura, indicare un perimetro come recinto tridimensionale, quasi una proiezione virtuale di un volume possibile evocato ma non espresso, limitato alla gabbia. Tornando a Veca- che nello stesso periodo stava scrivendo anche uno degli ultimi testi su un artista determinante
51
Ibidem.
Matteo Galbiati e Kevin McManus, Dialoghi di opposte similitudini, in Opposte similitudini. Valdi Spagnulo e Attilio Tono, (Parodi Ligure, Ex Abbazia di San Remigio, 22 luglio-17 settembre 2017) a cura di Matteo Galbiati e Kevin McManus, “Diari di San Remigio”, 1, 2017.
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per la sua formazione come il pittore Nangeroni53 - «la definizione di un perimetro, i cui contorni possono a loro volta svolgere il ruolo di protagonisti, e un “avvenimento” – Carlo Nangeroni parlava in anni lontani di un “incidente” rispetto alla regola – realizzato spesso con materiale trasparente rispetto all’opacità della struttura portante, che sembra rimettere in discussione, pur nella sua ridotta dimensione, l’equilibrio dell’intera costruzione: la sua ampiezza può essere variabile come il modo con cui si relaziona con la figura perimetrale»54. Arrivati a questo punto, oltre ai telai ormai canonici il lavoro di Spagnulo si muove su altri due nuovi filoni: la composizione a parete e la struttura posata a terra. Nel secondo caso si procede verso strutture come Confine del 2009, vera e propria scultura orizzontale che delimita un perimetro rettangolare a pavimento – ritorto su un lato - da cui si sviluppano ad altezze variabili, lunghi elementi verticali in acciaio e plexiglass, come indicatori di uno sviluppo verticale evocato, come se il tracciato in pianta fosse una vera e propria allusione a un alzato con la stessa qualità espositiva delle descrizioni in pianta di antichi edifici. «Lo spettatore», scriverà Cerritelli nel 2014, «può muoversi lungo il perimetro esterno dell’opera, osservando lo spazio interno con la tentazione di oltrepassare il confine, per sentirsi parte dell’energia magnetica che le forme trasmettono con tangibile levità»55. L’allusione ai moduli architettonici diventa sempre più chiara: il telaio architettonico delimita i confini di un volume, ma non per questo cede a una definizione geometrica esatta. Per capire queste opere, infatti, bisogna soffermarsi sul dettaglio, leggere singolarmente gli snodi delle saldature, degli incastri del plexiglass sul metallo, e apprezzare le torsioni del metallo stesso sottoposto alla fiamma e alla trazione, che lascia trasparire con evidenza l’intervento manuale e la sua natura artigiana. Al tempo stesso, però, quelle di Spagnulo diventano strutture percorribili, protese verso l’alto nel tentativo di catturare l’aria che le attraversa e la luce che provoca innumerevoli riverberi e la rendono riflettente e sensibile ai mutamenti atmosferici. Lo si nota bene, per esempio, nel ciclo dei Riverberi del 2009, l’unico in cui l’artista abbia fatto qualche concessione di carattere naturalistico, alludendo con i lunghi steli applicati su lastra di acciaio specchiante a degli alberi o arbusti e al loro riflesso entro uno specchio d’acqua, in cui Spagnulo mette a punto per la prima volta una vera e propria pratica installativa: apprezzabili nella loro specificità singola, questi arbusti di metallo sono pensati per essere presentati a gruppi più o meno fitti di tre o quattro, come simulando un gruppo arboreo in cui non conta più la lettura esatta della linea nel suo percorso e nel suo andamento, ma l’effetto dei riflessi luminosi che rimbalzano da una superficie all’altra. Per questo Claudio Cerritelli, in un lungo testo del 2014 per la mostra al Broletto di Como56, parla di un «divenire della scultura» di una modificazione in corso, di «stati pulsionali dei materiali», sottolineando il rapporto fisico fra il processo artistico e la Su Carlo Nangeroni e Alberto Veca: Luca Pietro Nicoletti, Luce, modulo e cerchio: note su temi e critica della pittura di Carlo Nangeroni, in Colleoni proposte d’arte presenta Carlo Nangeroni, (Bergamo, Colleoni Proposte d’arte, novembre 2012), Colleoni Proposte d’Arte, Bergamo 2012, pp. 7-16 (ripubblicato in Idem, Appunti lombardi, Scoglio di Quarto edizioni, Milano 2013, pp. 135-159).
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54
Veca, A terra e a parete, cit.
Claudio Cerritelli, Sguardi sospesi, in Valdi Spagnulo. Sguardi sospesi. Sculture 2007/2014, (Como, Palazzo del Broletto, maggio-giugno 2014) a cura di Claudio Cerritelli, s.e, s.l. 2014, p. 12 55
56
Ivi, pp. 11-14.
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Riverberi, 2009, acciaio inox lucido, brunito e spazzolato, plexiglas trattato e colorato, 280 x 75 x 75 cm ca. cad., installazione Broletto di Como 2014, foto A.Valentini
partecipazione attiva: il metallo viene torto premendolo e arcuandolo con le parti più resistenti del corpo. «Pur interessato alla valenza concettuale della scultura», scrive, «l’artista non si distrae mai dalle implicazioni tecniche del fare, affronta ogni materia con piena consapevolezza della loro identità, trasforma il peso della quantità nella qualità espressiva della forma, sempre nel vivo dell’evento plastico» 57. La lettura di Cerritelli si collega direttamente a quella di Veca, come se i due testi si collocassero alle due estremità di un percorso documentato dalla mostra comasca, che copre appunto un arco temporale compreso fra il 2007 (anno della mostra da Cavenaghi) e il 2014. In questo frangente, però, è avvenuto un cambiamento fondamentale: Valdi ha cominciato a dipingere il metallo di bianco con smalto applicato a spruzzo, in modo da eliminare effetti pittorici e dare uniformità, in modo che il colore bianco «non ha più vibrazioni segniche, non è steso a pennello, è un velo assoluto che copre la forma per dare crudezza al metallo sottolineando l’importanza della struttura. Inoltre, questa temperatura monocromatica esprime una stabilità della luce che valorizza l’inserimento del plexiglas, caratterizzato da sedimentazioni di segni e colori del tutto autonomi»58. In questo modo hanno luogo nella scultura delle «inquiete tensioni mentali», che sfruttano le «possibilità intrinseche alla luce che si rivela nella specifica struttura». Allo stesso tempo, però, negando tramite lo smalto l’effetto epidermico del metallo, Spagnulo ha negato alle sue forme la qualità specifica del materiale e portato la scultura verso un gioco di cambi di materia: sotto lo smalto potrebbe esserci una struttura in acciaio come in materiale plastico o in resina senza che questo influisca 57
Ivi, p. 11.
58
Ivi, p. 12.
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Reverse, 2008, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, installazione misure variabili, foto B.Mezzaro
sulla resa visiva dell’opera. A quel punto, del resto, il materiale conta per le possibilità di manipolazione che offre ma non per la sua risposta alla luce, diventando un vero e proprio segno che si muove nello spazio tracciando la sua presenza come indicazione grafica disegnata sulle tre dimensioni. Non a caso, infatti, in concomitanza con la scultura smaltata di bianco Valdi comincia a pensare delle grandi installazioni a parete di singole unità plastiche, come delle costellazioni che conducono lo sguardo entro una disseminazione spaziale. È lo stesso principio degli Gnomoni di Grazia Varisco, ispirati alla struttura delle antiche meridiane solari, da intendersi come insieme composito di singoli inserti di metallo piegato che suggeriscono indicazioni pluridirezionali muovendo la parete secondo una variazione di moduli di molteplice orientamento. Nel caso di Spagnulo, però, ogni unità gode di una autonomia plastica e si presta anche a una vita indipendente dal gruppo, sia nel caso degli Sferoidi (o Via Lattea) del 2009, sia soprattutto in quello dei Reverse white del 2013-2014. Questo inserisce un elemento ritmico nella formulazione plastica: non è più solo una questione di equilibri interni, di pesi visivi fra il segno monocromo e la notazione colorata del plexiglass, che concentra la luce e la disperde, ma di spaziatura fra el-
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ementi e di reciproci rimandi da ristudiare a seconda della situazione come modulo aperto e adattabile a situazioni e organizzazioni sul piano di volta in volta differenti. Un caso analogo riguarda la Folla di anime del 2014, costituita da tubi in ferro piegati ad angolo, con una piastra di plexiglass sul fronte come uno scudo e una cornicetta di ferro alla sommità su cui è incastonato come un gioiello un frammento di plexiglass rosso, cadenzati a distanze regolari come una parata a muro i cui singoli elementi sono equamente protesi verso l’alto. Ancora Cerritelli, a questo proposito, fa notare che entra in campo qui un «modo di sentire lo spazio come campo aperto alle sollecitazioni del luogo espositivo. È importante il fatto che -ogni volta- l’artista può ricreare la disseminazione dei pezzi inventando nuovi equilibri all’interno del ritmo trasversale che avvolge la parete: scia lattiginosa, sciame in divenire che sprigiona sensazioni fisiche e mentali, pensieri ed emozioni libere di provocare un senso di smarrimento nelle galassie dell’immaginario»59. Per questo motivo, assume un ruolo centrale quello che il critico definisce l’“oggetto-chiodo”: «altezza, larghezza e profondità sono misure d’equilibrio per attenuare la discontinuità degli elementi che si sviluppano con scatti altalenanti l’uno nell’altro, viaggio simbolico nella dimensione dell’ignoto, moltitudine di anime in cerca della propria destinazione»60. Importa meno, o forse rifluisce nel campo della tautologia, riferire la scultura di Spagnulo all’architettura e alla metafora di spazi domestici (la “domus” che dà il titolo alla mostra del 2015, per quanto puntualizzata come spazio mentale61): è chiaro il 59
Ivi, p. 13.
60
Ibidem.
61
Valdi Spagnulo. Domus mentis, cit.
Sferoidi: via Lattea, 2009, ferro e acciaio inox verniciato, plexiglas colorato trattato, installazione misure variabili, foto A.Valentini
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Folla di anime, 2014, ferro verniciato, plexiglas colorato, pigmentato e trattato, installazione misure variabili, foto A.Valentini A destra: Reverse white, 2014, ferro, acciaio inox, plexiglas trattato, 23 x 18 x 10 cm ca., foto M.Zarbo
riferimento ai temi della porta, della finestra, della pianta ortogonale dell’edificio, ma schiacciare il suo lavoro entro un rapporto con le forme basilari dell’architettura ne farebbe un illustratore o un ironico reinventore di quelle strutture elementari a cui da sempre la scultura di vocazione architettonica fa ritorno, come in un bagno di purificazione, prima di prendere la propria strada. Qui trova spazio non solo la materia slabbrata e a volte combusta, ma anche il vero e proprio inserto di pittura. Ma qui, soprattutto, diventa più evidente il processo di accumulo delle forme e dei piani che costituisce il processo mentale dell’artista: è la logica dell’assemblaggio, che però si piega subito ad un’esigenza narrativa: il risultato della somma di più parti, quindi, non è un totem, ma un racconto mobile, che suggerisce uno stato provvisorio della forma. Spagnulo ferma un momento di transizione: per questo i piani possono sovrapporsi, i profili seghettati creare un andamento mistilineo che pare un improvviso appunto visivo, le strutture portarsi torcersi e curvarsi in senso dinamico. Verranno i tempi di forme stabili e definitive come granitiche certezze: nel frattempo, ricordando che la sbavatura può avere un intenso effetto poetico, Valdi Spagnulo ha creato una scultura danzante. 152_
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_ Biografia
Valdi Spagnulo nasce a Ceglie Messapica (Brindisi) nel 1961, e trascorre la sua infanzia in Puglia a Grottaglie (TA), località nota per le produzione della ceramica artigianale e artistica, frequentando l’ambiente creativo ed intellettuale dell’area pugliese e non solo sin da giovanissimo, grazie a suo padre, il pittore Osvaldo Spagnulo. Nel 1973 con la famiglia si trasferisce a Milano, aprendosi all’ambito europeo con viaggi in Francia, Germania, Svizzera, e iniziando studi artistici dapprima al Liceo di Brera, poi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1984. Parallelamente, l’inizio degli anni Ottanta segna il suo esordio come pittore e l’avvio di una fitta attività espositiva, fra cui si segnalano le lunghe collaborazioni dapprima con la Galleria delle Ore di Giovanni Fumagalli, poi con Spaziotemporaneo di Patrizia Serra, oltre a numerose altre personali e partecipazioni a collettive presso altri spazi espositivi. Nel 2001 riceve il primo Premio per la Pittura dell’Accademia di San Luca a Roma. Di lui hanno scritto, nel corso degli anni: Rossana Bossaglia, Luciano Caramel, Luigi Cavadini, Claudio Cerritelli, Marina De Stasio, Elena Di Raddo, Rachele Ferrario, Lorenzo Fiorucci, Sara Fontana, Matteo Galbiati, Kevin Mc Manus, Luca Pietro Nicoletti, Sandro Parmiggiani, Francesco Poli, Elena Pontiggia, Franco Solmi, Alessandro Trabucco, Miklos N. Varga, Alberto Veca e Giorgio Zanchetti. Sue opere figurano in collezioni pubbliche fra cui l’Accademia di San Luca (Roma); collezione Intesa Sanpaolo (Milano); Museo della Permanente (Milano); Museo della Biennale di Gubbio (Gubbio). Vive e lavora principalmente a Milano ove svolge l’attività di docente per la disciplina di Tecniche e tecnologie delle arti visive nel Dipartimento Arti Visive – Corso Propedeutico e Scuola Artefici e Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Valdi al lavoro nel suo studio, foto L.Spagnulo
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_ Apparati
ESPOSIZIONI PERSONALI 2019 Valdi Spagnulo Contrappunto Studio Museo Francesco Messina, Milano (a cura diL.P.Nicoletti) 2017 Opposte similitudini Valdi Spagnulo - Attilio Tono. Ex Abazzia di San Remigio, Parodi Ligure (AL) (a cura di M.Galbiati, K.Mc Manus) 2016 Plasmare la contemporaneità R.Lepre, M.Protti, V.Spagnulo Museum Hall, Boscolo Hotel Milano (a cura di M.Napoli) 2015 Domus mentis, Studio Masiero, Milano (a cura di C.Cerritelli) La Via Lattea, Galleria Gli eroici furori, Milano Studio Gabelli, Milano (a cura di S.Agliotti – G.Gabelli) 2014 Valdi Spagnulo: Sguardi sospesi – sculture 2007/2014, Sala del Broletto, Como (a cura di C.Cerritelli) 2013 Arte e…Quintessenza: P.Pasquali, G.Rumi, V.Spagnulo, Quintessenza Tenuta Quadra, Cologne (BS) 2009 Dipinti e Sculture: M. De Angelis, A.Nakamyia, V.Spagnulo, AR Officina Arte Contemporanea, Gorgonzola (MI) 2007 Asimmetrie-pieghe-torsioni Galleria Cavenaghi Arte, Milano (a cura di A.Veca) 2006 Lembo di cielo Galleria Milly Pozzi Arte
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Contemporanea, Como (a cura di E.Di Raddo) 2004 Parvenze di precarietà Galleria Arte + arte Contemporanea,Varese (a cura di G.Zanchetti) 2001 1° Premio di pittura Accademia Nazionale di S.Luca, Roma 2000 Miart stand personale galleria Spaziotemporaneo, Milano 1999 Decantazione lirica Spazio Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA) (testi di L.Caramel R.Ferrario) La presenza attiva dell’assenza Galerie Art 7, Nice (F) Palazzo dei Priori – ex Pinacoteca, Volterra (PI) Galleria Ellequadro Documenti Arte Contemporanea, Genova Galleria Spaziotemporaneo, Milano (a cura di L.Caramel) 1997 Miart stand personale Galleria Spaziotemporaneo, Milano La forma nella materia Galeria Lourdes Jàuregui, Zaragoza (E) (testo di F.Poli) 1996 La forma nella materia Comune di Siena Galleria Palazzo Patrizi, Siena (a cura di F.Poli) Duel Art stand personale galleria Spaziotemporaneo Villa Borromeo, Cassano d’Adda (MI) Dialogo: D.Nenciulascu, V.Spagnulo Galleria Spaziotemporaneo, Milano (a cura di L. Cavadini)
1995 Per contro: G.Benedini, V.Spagnulo Castello Visconteo, Trezzo sull’Adda (MI) (a cura di S.Parmiggiani) Il colore dell’ombra Chiostro di S.Agostino Sala dei Putti, Pietrasanta (LU) (a cura di R.Bossaglia) 1994 La pittura come scandaglio dell’anima Galleria la Meridiana, Agrate Brianza (MI) (a cura di L. Cavadini) 1993 Costruzioni dal profondo Università Collegio Cairoli, Pavia (testo di S.Zatti) Costruzioni dal profondo Villa Borromeo Visconti Litta Toselli, Lainate, (MI) (a cura di F.Tedeschi) 1992 A.Reggianini, V. Spagnulo Centro Culturale Edison Galleria delle Colonne, Parma (testo di A. Veca) Tracce Galleria San Fedele, Milano (a cura di M.N.Varga) 1991 Percorsi della materia Biblioteca Comunale, S. Donato Milanese (MI) (a cura di M. De Stasio) 1989 Vitalità nell’assenza Libreria al Castello, Milano (testo di E. Pontiggia) 1988 In presenza dell’assenza Galleria l’Ariete, Bologna (a cura di F. Solmi) 1985 Locale polivalente l’Ultimo Metrò, Milano
ESPOSIZIONI COLLETTIVE 2018 Kokin – libri d’artista, Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili Arte Contemporanea Milano, (a cura di M.Galbiati, R.Nobili) Jus e(s)t Ars – Arte e giustizia nel contemporaneo, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, cARTone – riciclo ad Arte, Palazzo Stecca 3.0, Milano Biennale di Alessandria – Omnia – caos colore, Palazzo del Monferrato, Alessandria, (a cura di M.Galbiati) Dimensione fragile – fragili opere su carta, Biblioteca Vallicelliana – Salone Borromini, Roma, 2017 One, two, three, four… Can I have a little more?, Galleria Gli eroici furori, Milano, (a cura di S.Agliotti) Step art fair – Milano scultura, stand Studio Masiero, Fabbrica del vapore, Milano Olio d’artista, Castello Normanno Svevo, Mesagne (BR), (a cura di F.Sannicandro) Premio Arteam Cup 2017, Galleria BonelliLAB, Canneto sull’Oglio (MN) L’arte della sostenibilità, Spazio Lombardini 22, Milano (a cura di C.Gatti, S.Vallebona) Claudio Rizzi - Senza fine, Sala dei Templari, Molfetta (BA) 2^ Biennale di Genova – Esposizione internazionale d’arte contemporane, Palazzo Doria Spinola, e sedi varie Genova, (a cura di M.Napoli) Eterne stagioni: corrispondenze poetiche tra antichi byobu giapponesi e
artisti contemporanei, Palazzo del Monferrato, Alessandria, (a cura di M.Galbiati, R.Nobili) Olio officina festival, Palazzo delle Stelline, Milano, (a cura di F. Sannicandro) L’ombra e la grazia – itinerario tra arte e teologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza, 2016 Gli infiniti mondi, Galleria Gli eroici furori, Milano (a cura di S.Agliotti) NoPlace 3 – 49°Premio Suzzara, Museo Galleria d’Arte Contemporanea, Suzzara (MN) LXVII Edizione Premio Michetti – Oltre, nel cosmo, nell’incognito degli universi e dello spaziotempo della contemporaneità , Museo di Palazzo San Domenico, Francavilla al mare (CH) (a cura di L.Caramel) Dicavallointorre di torreincavallo – Scacchi e scacchiere d’arte contemporanea in italia, Fondazione Rivoli 2, Milano In principio è la terra , Forte di Gavi / Area Archeologica di Libarna, Gavi (AL), (a cura di M.Galbiati, K.Mc Manus) 2015 Dicavallointorre di torreincavallo – Giochi di scacchi d’arte contemporanea, Pinacoteca Civica, Como Pagine di pane – libri d’artista e divagazioni, Biblioteca Nazionale Braidense, Milano Poetry Slam – porte aperte alla poesia, Galleria Gli eroici furori, Milano Biennale di Genova 2015, Palazzo Stella e varie sedi, Genova, (a cura di M.Napoli, M.Marin, F.Motolese) Dedicata a Alberto Veca, Castello Mediceo, Melegnano, (a cura di C.Cerritelli, E.Longari)
Tra il bianco e il nero, Palazzo Stella, Genova, (a cura di Marta Marin e Flavia Motolese) 2014 Dall’ombra la luce – incisioni contemporanee, Studio Masiero, Milano, (a cura di C.Cerrirtelli) Palcoscenico anni ‘10, Libera Accademia di Pittura Bice Bugatti, Nova Milanese (MI), (a cura di C.Rizzi) Ombra - Kage, Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili Arte Contemporanea Milano, (a cura di M.Galbiati, R.Nobili) Ombra - Kage, Palazzo Comunale, Fortunago (PV), (a cura di M.Galbiati, R.Nobili) Beautiful people 2014 – Art/ Fashion/Sound, Porto del Pireo – Pinacoteca, Atene (GR) Ricognizioni sulla scultura 2, Museo della Permanente, Milano, (a cura di C.Cerritelli, E.Longari) Piccolo inventario delle meraviglie – in poesiarte, galleria Quintocortile, Milano La tavola delle meraviglie, Spazio Assab One, Milano, (a cura di D.Airoldi) 2013 Il Giudizio e la Mente, Fondazione Mudima, Milano, (a cura di G.Gabelli) With a little help from my friends – artisti per il MA* GA, Museo MA*GA, Gallarate (VA) ContemporaneaMENTE – IX Giornata del Contemporaneo, Palazzo Stella, Genova, (a cura di M.Napoli) Arte in Arti e Mestieri – 13° edizione, Scuola di Arti e Mestieri, Suzzara (MN), (artista segnalato) GenovArte 2013 – V biennale d’arte contemporane, Palazzo Stella, Genova, (artista premiato)
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_ Apparati
Sintassi contemporanee – dalle raccolte del museo, Civico Museo Parisi-Valle, Maccagno (VA), (a cura di C.Rizzi) 2012 Steli: arcani enigmi, Spazio Crispi Tre, Milano, (a cura di S.Borrini e G.Gabelli) WOP – works on paper, Fabbri Conteporary Art, Milano, (a cura di F.Lucioni) Al principio del vedere, Palazzo del Podestà, Castell’Arquato (PC), (a cura di I.Bignotti e M.Galbiati) 2011 Arte contemporanea per una Onlus, Società Umanitaria Chiostro dei Glicini , Milano 2010 Premio Internazionale Limen Arte 2010,Palazzo Comunale E.Gagliardi, Vibo Valentia Scultura Internazionale a Racconigi 2010 – Presente ed esperienza del passato, Castello di Racconigi, Racconigi (CN), (a cura di L.Caramel) Lirica - mente, Lops Gallery, Trezzano S.N. (MI), (a cura di M.Galbiati) Artisti per la salute, Galleria Derbylius, Milano, (a cura di M.Maiocchi) Arte per arte, dente per dente, Spazio Crispi Tre, Milano, (a cura di G.Gabelli) Contemporaneamente 3, Galleria Brera 1, Corbetta (MI) 2009 Preziosi –gioielli d’artista, sculture da indossare e …opere su carta, LEO Galleries, Monza (MI) (a cura di M.Galbiati e V.Mosca) In forma lirica – dialoghi tra pittura e scultura, Biblioteca Comunale, Gorgonzola (MI), (a cura di M.Galbiati) In forma lirica – dialoghi tra pittura e scultura, AR
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Officina Arte Contemporanea, Gorgonzola (MI), (a cura di M.Galbiati) L’opera condivisa, MXM Arte, Pietrasanta (LU) Arte per arte, dente per dente, Studio Gabelli, Milano, (a cura di G.Gabelli) Voli nel vento di levante, Cascina Parco Nord, Milano, (a cura di I.Gadaleta) La natura senza mani, Villa Greppi, Monticello Brianza (LC), (a cura di C.Amato e S.Frangi) Contemporaneamente, Galleria Brera 1, Corbetta (MI), (a cura di G.Pandolfi) V BAF 2009, stand Galleria Cavenaghi Arte, Milano 2008 Quadreria, Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como 17 Autori, Galleria Cavenaghi Arte, Milano XXV Biennale di Scultura, Palazzo Ducale, Gubbio (PG), (a cura di G.Bonomi e C.Marinelli) Delirica, Neo-Geo-Arte Spazio, Milano, (a cura di R.Borghi) 6 nel castello, Castello Medioevale, Lierna (LC), (a cura di M.Galbiati) Art’co/08, stand Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como Miart 2008, stand Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Milano Tema Sacro, Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como Dedicate 3, Galleria Cavenaghi Arte, Milano, (a cura di A.Veca) 2007 Polifonie, Galleria Cavenaghi Arte, Milano Artisti al quadrato, showroom Alulife, Milano Art(Verona 07 stand Galleria Cavenaghi Arte, Milano stand Galleria Milly Pozzi Arte
Contemporanea, Como Spazio come materia, Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como Metafore della memoria, Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA), Spazio Guicciardini, Milano (a cura di C. Rizzi) V Edizione Premio d’Arte D.Frisia, Palazzo Pegorini, Merate (LC), (2° Premio Acquisto) Il colore dello spirito, Collegio Cairoli Università degli Studi, Pavia Contemporaneamente, Sala delle Colonne Palazzo Comunale, Corbetta (MI) Ma voi, chi dite che io sia?, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano (a cura di L.Caramel e C.De Carli) Black and White Exhibition, Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como 2006 Art (Verona 06 – l’Arte e i suoi percorsi stand Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como Allarmi 2 - il cambio della guardia, Caserma De Cristoforis, Como (a cura di C.Antolini, N.Mangione, I.Quaroni, A.Trabucco) Se dici arte - Sedici artisti, Galleria Milly Pozzi Arte Contemporanea, Como Non oltre, Galleria Il Sole Arte Contemporanea, Roma (a cura di A.Verzenassi) Acquisizioni 2006, Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA), (a cura di C. Rizzi) Generazione anni ’60 Arte Contemporanea in Lombardia, Spazio Guicciardini, Milano (a cura di R. De Grada, C. Rizzi) Collezione Cesare da Sesto 1949 - 2005, Spazio Cesare da
Sesto, Sesto Calende (VA) Arte è pensiero cento artisti per il centenario della CGIL, Fruttiere di Palazzo Te, Mantova 2005 Generazione anni ’60 Arte Contemporanea in Lombardia, Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA), (a cura di R.De Grada, C.Rizzi) Art(Verona 05 – l’Arte e i suoi percorsi stand Galleria Corsoveneziaotto Tega Arte Contemporanea, Milano Sorsi di Pace nell’Arte Contempranea Distillerie Francoli, Gattinara (NO) (a cura di C.Antolini, A.Trabucco) Miart 2005 – Anteprima stand Galleria Spaziotemporaneo, Milano stand Galleria Corsoveneziaotto Tega Arte Contemporanea, Milano La Collezione della Scuola delle Arti alla Permanente, MUVI Musei Viadana, Viadana MN (a cura di A.Somerzari) Paginas desde Lombardia itinerari di ritorno Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA) (a cura di R.De Grada, C.P.Staudacher, C.Rizzi) 2004 Il nuovo costruttivismo manifesto Libreria Bocca, Milano Ri - Partenza Circolo Culturale B.Brecht – Spazio Uno, Milano 4° Premio Internazionale di Scultura della Regione Piemonte Sala Bolaffi,Torino Rovesciar le Sinòpie (presentazione libri d’artista collana “I Girasoli” Libreria Bocca, Milano
(testo di P.Serra) Al caro Giorgio Libreria Bocca, Milano Galleria Bianca, Milano Galleria Scoglio di Quarto, Milano Tempopermettendo Galleria Excalibur, Solcio di Lesa (NO) (testo di G.Garavaglia) 2003 Sconfinart Fiera d’arte contemporanea, Trento (artista invitato) Coffee break Forum Omegna, Omegna (VB) (a cura di A.Chiari) Espressamente a Milano Palazzo della Triennale, Milano Miart 2003 – Anteprima stand Galleria Spaziotemporaneo, Milano 2002 Collettiva artisti della galleria Galleria Spaziotemporaneo, Milano Paginas desde Lombardia un museo de arte contemporaneo Castell de Benedormiens, Castel d’Aro – Girona (E) Museo d’arte moderna, Gazoldo degli Ippiliti (MN) Sala Civica des Exposicciones, Santa Pau – Girona (E) (a cura di R.De Grada, C.P.Staudacher, C.Rizzi) Premio biennale d’arte D.Frisia 3^edizione Villa Confalonieri, Merate (LC) (a cura di S.Fontana) (premio della critica: mostra personale) Premio scultura Mater Domini Villa Pomini, Castellanza (VA) (a cura di R.Ferrario) (2° premio ex equo) Ombre e luci nel cortile della seta Cortile della Seta Banca Popolare Commercio e Industria, Milano Guardando l’europa: 7 italiani –
7 polacchi Palazzo Calabresi, Viterbo (a cura di N.Perilli) Premio d’arte città di Lissone Stadmuseum, Bad Voslau (A) (a cura di C.Rizzi) 2001 Premio d’arte città di Lissone Civica Galleria d’Arte Contemporanea, Lissone (MI) (a cura di C.Rizzi) Premio pittura 2001 Accademia Nazionale di S.Luca, Roma (1° premio) Post arte…arte installazioni Palazzo Calabresi, Viterbo Naturarte 2001: terra, acqua, fuoco, aria Sala della Cultura, Castiglione d’Adda (LO) Ex Arsenale, Bertonico (LO) (a cura di F.Pensa) Miart 2001 – Anteprima stand Galleria Spaziotemporaneo, Milano Le Cirque 2000, New York (USA) L’imbuto: libera interpretazione fra arte e design Macef (Fiera di Milano), Milano 2000 Meraviglie della ragione e stupore dell’arte Open Space Società Umanitaria, Milano (a cura di R.Ferrario) Ex Voto per il millennio Museo Nazionale della Certosa di Clci, Calci (PI) (a cura di N.Milcieli) 2^ Biennale Postumia giovani Museo d’arte moderna, Gazoldo degli Ippoliti (MN) Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA) (a cura di F.Arenzi, D.Ferrari, F.Lorenzi, L.Meneghelli, R.Margonari, N.Micieli, P.Pizzamano, N.Raimondi, C.Rizzi) 1998 Arte da mangiare, mangiare
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arte Chiostri Società Umanitaria, Milano Realizzazione opera al M.A.C.A.M. Museo Arte Contemporanea all’aperto di Maglione, Maglione Canavese (TO) Il mito mediterraneo Pinacoteca Comunale, Ruffano (LE) (a cura di C.Franza) Il luogo e il segno Chiesa Parrocchiale Madonna del Sasso, Boleto (VB) 1^Biennale Postumia giovani Museo d’arte moderna, Gazoldo degli Ippoliti (MN) (a cura di M.Benedetti, R.Bossaglia, A.Castelli, T.Cordani, M.Corradini, D.Eccher, R.Margonari G.Raffaelli, C.Rizzi, S.Zatti) Escatologica stand Galleria Spaziotemporaneo Fiera d’arte contemporanea, Marbella (E) Escatologica Galleria Comunale Magazzini del Sale, Siena (a cura di P.Serra, M.Civai) 1997 1^ Biennale d’arte contemporanea Mare Nostrum Varie sedi, Francavilla Fontana (BR) Escatologica Galleria Peccolo, Livorno (a cura di P.Serra) Premio Cesare Pavese Chiesa di S.Rocco, Cavenago (VA) Tessere la vita – Miniartextil Fabbrica Mantero, Como Escatologica Centro Culturale L. DI Sarro, Roma (a cura di P.Serra) Sacri Loci – Escatologica Galleria Comunale Bedoli, Viadana (MN)
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(a cura di P.Serra) 1996 Collection: dalla figura alle energie Sale di Ludovico II Gonzaga Palazzo Ducale, Revere (MN) Escatologica Galleria Spaziotemporaneo, Milano (a cura di P.Serra) Premio S.Carlo Borromeo – Regione Lombardia Palazzo della Permanente, Milano (a cura di L.Caramel, M.De Stasio, F.Tedeschi) Works in progress n.2 Young Museum Palazzo Ducale, Revere (MN) La carta dell’artista stand Galleria Spaziotemporaneo Castello Belgioioso, Belgioioso (PV) 1995 Carta e segno Galleria d’arte moderna Poduie, Trieste La raccolta d’arte della Camera del Lavoro (nuove acquisizioni) Palazzo Guicciardi-Guidotti, Reggio Emilia (a cura di S.Parmiggiani) Arte per l’arte Varie sedi, Bra, Manta, Cuneo La carta dell’artista stand Galleria Spaziotemporaneo Castello Belgioioso, Belgioioso (PV) Milano – cento artisti per la città Palazzo della Permanente, Milano (a cura di R.Bossaglia) 1994 Lineart’94 Stand Galleria Spaziotemporaneo Milano, Gent (B) V Biennale d’arte F.Bonfanti Palazzo Comunale,
Cembra(TN) Settanta per Settanta Castello Aragonese, Taranto La forma perduta Fortezza Nuova, Livorno 1993 Forme a palazzo Palazzo Pretorio, Certaldo (FI) (a cura di R.Fiorini) I medicanti Palazzo Vittorio Veneto, Lissone (MI) (a cura di L.Bianco) XXXIII Premio Suzzara Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara (MN) Disordine Galleria Spaziotemporaneo, Milano VIII edizione Premio Italia arti visive Ex Convento del Carmine, Firenze 1992 Spazi di un mondo interiore Cascina Grande, Rozzano (MI) (a cura di M. De Stasio) 1991 Esposizione collettiva Galleria Nuovo Aleph Spazio Arte, Milano Presenze giovani nell’arte Associazione Arti Visive Marabelli, Pavia Premio Italia arti visive “B. Angelico” Palazzo Pretorio, Certaldo (FI) Spazi di un mondo interiore Galleria La Filanda, Verano B.za (MI) (a cura di M. De Stasio) 1990 Lettere per Franco Solmi Villa Le Molina, Molina di Quoza (LU) Presenze giovani nell’arte Circolo Culturale B.Brecht, Milano Lettere per Franco Solmi Bottini dell’Olio, Livorno 1989 Esposizione Collettiva Galleria dei Tribunali, Bologna
Confrontii Galleria delle Ore, Milano Lettere per Franco Solmi Certosa di Calci, Calci (PI) 1988 Esposizione collettiva Galleria delle Ore, Milano Artisti italiani del disegno e della grafica contemporanea G.H.I. Aetap Marmara, Instanbul (TR) Artisti del ‘900 italiani e stranieri Palazzo Nardi, Roma 1987 Artisti italiani in Tunisia Hotel Les Colombes, Medina Hammamet - Tunisi 1986 Artisti dell’arte italiana contemporanea in Messico Varie sedi, Città del Messico 1985 Artisti italiani in Canada Canada Trophy Accademy, Montreal, Quebec, Toronto VI Biennale europea del Tigullio Galleria Casabella, S.Margherita Ligure (GE) Manifestazione di arti visive per il Centro Dialisi Palazzo Roncalli, Vigevano (PV) 1984 Esposizione Collettiva Galleria Il Cenacolo, Firenze Omaggio dell’arte italiana al dolore innocente Palazzo Reale, Milano I Lions per la Valtellina Palazzo Arengario, Milano 1983 III Biennale città de La Spezia Palazzo Manifestazioni, Salsomaggiore T.me (PR) 1981 L’arte contro la violenza per la pace e La solidarietà Palazzo della Ragione, Pomposa (FE) Palazzo I.C.C.R.E.A., Roma
Palazzo Unicoper, Bologna 1980 Incontro internazionale d’arte Italia/Austria Plank’s Gallery, Vienna (A) Esposizione gruppo G.Doppia S. Ricostruzione Galleria Studio 13, La Spezia
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(SV), novembre - M.Galbiati, Quando l’ombra vibra…, in catalogo, OmbraKage, Galleria Nobili Arte Contemporanea Milano, novembre/dicembre Palazzo Comunale, Fortunago (PV), luglio/settembre – Galleria Paraventi Giapponesi - C.Rizzi, Palcoscenico anni ‘10, Ed. AD ACTA, Milano - V.Spagnulo, Sguardi, in Nuova Meta Parole & Immagini, online n.36 - L.Morandotti, Arte al Broletto – Valdi Spagnulo, ultime ore per ammirare le sue sculture , in Corriere di Como, Como, 1 giugno - L.Morandotti, In città Ardite strutture geometriche in scena – Spagnulo protagonista al Broletto, in Vivicomo Arte Corriere di Como, Como, 29 maggio - E.Di Raddo, Scultura come suggestione nel gioco delle geometrie, in Cultura e Spettacoli La Provincia, Como, 21 maggio - M.Galbiati, Antologica per Valdi Spagnulo: sette anni di lavoro al Broletto di Como, in Espoarte.net, Albissola Marina (SV), maggio - L.Morandotti, Spagnulo la leggerezza abita lo spazio, in Corriere di Como, Como, 1 maggio - F.Guido, In mostra al Broletto l’arte di Valdi Spagnulo, in La Provincia, Como, 24 aprile - C.Cerritelli E.Longari, Ricognizioni sulla scultura 2, Ed. Quaderni archivio A.Veca, Milano, giugno - V.Spagnulo, Sguardi, in
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in catalogo, Museo Nazionale della Certosa di Calci, Calci (PI), giugno / agosto, Ed. Il Gandevetro – Jaca Book, Milano - A.A.V.V., 2^biennale Postumia giovani, in catalogo, Civico Museo Parisi – Valle, Maccagno (VA), settembre Museo d’Arte Moderna, Gazoldo degli Ippoliti (MN), giugno - L.Caramel, Valdi Spagnulo, in Segno attualità internazionali d’arte contemporanea, n.172, Pescara, febbraio 1999 - R.Boni, A.Di Stefano, V.Portoghese, Roma contemporanea – repertorio delle mostre d’arte contemporanea 1996 / 98, Ed. Bonsignori, Roma - A.A.V.V., L’artista della copertina: Valdi Spagnulo, in That’s Art n.3, Roma / Milano, novembre - G.Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi dall’Informale al Neo – oggettuale, Ed. Feltrinelli, Milano, settembre - Catalogo dell’Arte Moderna Italiana n.35, Ed. G.Mondadori, Milano (segnalato da F.Gallo) - E.Ceriani, Le costruzioni di V.Spagnulo a Sesto Calende: Decantazioni liriche, in Lombardia oggi, Busto Arsizio (Va), 18 aprile - Volterra cultura: In programma una mostra di Spagnulo, in La Nazione, Pisa – provincia, 15 aprile - Una personale dell’artista V.Spagnulo, in Il Tirreno,Volterra – Val di Cecina – Val Dera – Pisa, 14 aprile - D.D’oora, Spazio Cesare
da Sesto V.Spagnulo: Decantazione lirica, in L’eco del varesotto, Luino(VA), 30 aprile - R.Ferrario, Segni e ombre nello spazio labile di V.Spagnulo, in catalogo, mostra personale Decantazione lirica, Spazio Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA), aprile - R.Ferrario, Le sculture di V.Spagnulo alle pareti di Spaziotemporaneo, in Lombardia oggi, Busto Arsizio (VA), 28 febbraio - L.Caramel, La presenza attiva dell’assenza, in catalogo, mostra personale Decantazione lirica, Spazio Cesare da Sesto, Sesto Calende (VA), aprile - L.Caramel, La presenza attiva dell’assenza, in catalogo, mostre personali galerie Art 7, Nice (F), ottobre; galleria Ellequadro Documenti Arte Contemporanea,Genova, settembre; Palazzo dei Priori – ex Pinacoteca, Volterra (PI), aprile; galleria Spaziotemporaneo, sssMilano, febbraio 1998 - M.Agnellini, Arte Contemporanea Italiana 1946/1998, Ed. De Agostini,Novara - C.Franza, Il mito mediterraneo, in catalogo, Pinacoteca Comunale, Ruffano (LE), agosto - A.A.V.V., Il luogo e il segno (sculture ed installazioni), 3^edizione, in catalogo, Chiesa Parrocchiele Madonna Del Sasso,
Boleto(VB), luglio - R.Bossaglia, Biennale Pastumia giovani, in catalogo Museo d’Arte Moderna, Gazoldo degli Ippoliti (MN), luglio - P.Serra, M.Civai, Escatologica, in catalogo, Galleria Comunale Magazzini del Sale, Siena, maggio 1997 - M.Agnellini, Arte Contemporanea Italiana 1946/1997, Ed . De Agostini, Novara - C.Tudelilla, Los grandes posibilidades de la materia, in El periodico de Aragòn – La Cultura, Zaragoza,20 novembre - A.Garcia Rubi, Valdi Spagnulo, primera individual en Espana, in El punto de Las Artes (Nacional), Madrid, 7/13 novembre - H.Lopez, Galeria Lourdes Jauregui – Valdi Spagnulo, in Heraldo de Aragòn – Artes y Letras, Zaragoza, 6 novembre - E.Garcia, Spagnulo o el poder del vacio, in El periodico de Aragòn – Ocio – arte, Zaragoza, 31 ottobre - N. Iraburu, Valdi Spagnulo debuta in Espana, in El periodico de Aragòn – La Cultura, Zaragoza, 16 ottobre - S.Serangeli, Scambi culturali al Centro L.Di Sarro, in Next n.39, Roma, estate 1997 - F.Poli, La forma nella materia, in Images Arte – Life n.37/38, gennaio - P.Serra, Escatologica, in catalogo galleria Peccolo, Livorno,
maggio; Centro Culturale L.Di Sarro, Roma, marzo; Galleria Comunale Bedoli, Viadana (MN), gennaio - R.Pacchioli, L’estetica senza l’arte – spazio e cosmo, in Arte Estetica, Milano, gennaio 1996 - P.Serra, Escatologica, in catalogo, galleria Spaziotemporaneo, Milano, dicembre - R.Bossaglia, in catalogo, X edizione Premio Cesare Pavese, Chiesa di S.Rocco, Cavenago (VA), settembre - L.Caramel, M.De Stasio, F.Tedeschi, in catalogo, Premio S.Carlo Borromeo Regione Lombardia, Palazzo della Permanente, Milano, settembre - Valdi Spagnulo a Palazzo Patrizi, in Corriere di Siena, Siena, 28 settembre - G.Madioni, V.Spagnulo… l’artista delle differenze, in Il Cittadino, Siena, 27 settembre - F.Poli, La forma nella materia, in catalogo, mostra personale Galleria Comunale Palazzo Patrizi, Siena, settembre - L.Cavadini, in catalogo, Duel’Art, Villa Borromeo, Cassano d’Adda (MI), maggio, Ed. Elede - L.Cavadini, Dialogo: D.Nenciulescu – V.Spagnulo, in catalogo, mostra personale galleria Spaziotemporaneo, Milano, febbraio 1995 - S.Parmiggiani, L’isola che c’è, in catalogo, La raccolta d’arte della Camera del Lavoro di Reggio Emilia, Reggio Emilia,
settembre, Ed. Mazzotta - S.Parmiggiani, Solitudine, dolce compagna, in catalogo, mostra personale Per contro: G.Benedini – V.Spagnulo,Castello Visconteo, Trezzo sull’Adda (MI), giugno -Valdi Spagnulo, il colore dell’ombra, in Contemporart n.16, Nonantola (MO), aprile - R.Bossaglia, Il colore dell’ombra, in catalogo, mostra personale Chiostro di S.Agostino, Pietrasanta (LU), marzo; in Eco d’Arte Moderna, Firenze, marzo - R.Bossaglia, Milano, in catalogo, Palazzo della Permanente, Milano, gennaio, Ed. Mazzetta 1994 - P.Serra, Stratificazioni, in catalogo,V Biennale d’arte Comune di Cembra, Palazzo Comunale, Cembra (TN), agosto - A.Amodio, Recuperare i segni, in catalogo, mostra Settanta per Settanta, Castello Aragonese, Taranto, giugno - A.A.V.V., Rassegna dell’arte pugliese contemporanea 1943 – 1993, Taranto, gennaio - M.Panizza, Valdi Spagnulo e le sue immagini / La mostra personale di Valdi Spagnulo, in Il Cittadino, Agrate Brianza (MI), 22 e 15 gennaio - L.Cavadini, Valdi Spagnulo la pitture come scandaglio dell’anima, in catalogo, mostra personale galleria La Meridiana, Agrate Brianza (MI), gennaio 1993 - S.Zatti, Albertini, Moioli, Spagnulo: Costruzioni dal
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profondo, in Flash Art n.180, Milano, dicembre - F.Migliaccio, Albertini, Moioli, Spagnulo: Costruzioni dal profondo, in Terzocchio n.68, Bologna, settembre - P.Serra, Le forti strutture spaziali di V.Spagnulo, in Eco d’Arte Moderna n.91, Firenze, agosto/ settembre - L.Bianco, Albertini, Moioli, Spagnulo, in Harta 21, Milano, settembre - A.Veca, Dei materiali eletti, in catalogo, XXXIII Premio Suzzara, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Suzzara (MN), settembre - F.Tedeschi, Costruzioni dal profondo, in catalogo, Villa Borromeo, Visconti,Litta,Toselli, Lainate (MI), giugno - M.N.Varga, Sulle “Tracce” di V.Spagnulo, in Art Leader n.11, Osimo (AN), marzo/aprile 1992 - G.Cavazzini, Le mostre d’arte: A.Reggianini,V.Spagnulo, in Gazzetta di Parma, Parma, 7 novembre - M.De Stasio,Spazi di un mondo interiore, in catalogo, Cascina Grande, Rozzano (MI), novembre - A.Veca, Dei materiali eletti, in catalogo, mostra personale A.Reggianini – V.Spagnulo, C.C.
Edison Galleria delle Colonne, Parma, ottobre - E.Longari, Valdi Spagnulo Tracce, in Terzocchio n.63, Bologna, giugno - A.Visconti, Il territorio delle immagini nelle opere di De Angelis, Spagnulo, Paolicchi, in Eco d’Arte Moderna, Firenze, marzo / aprile - R.D’Alba, Valdi Spagnulo, in Harta 14, Milano, febbraio - L.Bianco, Perfonmance poetica, in catalogo, mostra personaleTracce, galleria San Fedele, Milano, gennaio - T.Martucci, Immagini e luoghi, in Artecultura, Milano, gennaio - E.Muritti, Le mostre della settimana, in Il Giornale, Milano, 25 gennaio - S.Grasso, Spagnulo tra cronaca e fantasia con tracce di materiali poveri, in Corriere delle Sera, Milano, 14 gennaio - M.N.Varga, Sulle “Tracce” di V.Spagulo, in catalogo, mostra personaleTracce, galleria San Fedele, Milano, gennaio 1991 - C.Ravasi, La pittura di indizi, in Polizia n 9, Milano, ottobre - L.Viretti, Valdi Spagnulo, in Quintomilio, S.Donato M.se (MI) - L.Bianco, Valdi Spagnulo, in Harta 10, Milano, aprile - M.De stasio, Percorsi della materia, in catalogo, mostra personale Biblioteca Comunale , S.Donato M.se (MI),aprile
Luogo del tempo, 1998, ferro, acciaio inox, parete 350 x 400 x 50 cm ca., collezione MACAM Maglione Canadese (TO), foto G.Savorani
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- M.De Stasio, Spazi di un mondo interiore, in catalogo, galleria La Filanda, Verano B.za (MI), febbraio 1990 - F.Solmi, in catalogo, Lettere per F.Solmi, Villa Le Molina, Molina di Quoza (LU), marzo; Bottini dell’Oglio, Livorno, febbraio 1989 - F.Solmi, in catalogo, Lettere per F.Solmi, Certosa di Calci, Calci (PI), dicembre - E.Pontiggia, Vitalità nell’assenza, in catalogo, mostra personale libreria Al Castello, Milano, giugno - D.Cara, I giardini dello sguardo tra il perduto e il futuro, in Nuovo Laboratorio, Bologna, maggio 1988 - F.Solmi, In presenza dell’assenza, in Artecultura n.10, Milano, dicembre - F.Solmi, In presenza dell’assenza, in catalogo, mostra personale galleria l’Ariete, Bologna, novembre 1985 - R.Facchinetti,Valdi Spagnulo in metrò, in Stage and Money n.7, Milano - F.Presicci, I quadri dell’architetto…, in Il Giorno, Milano, ss 8 maggio - C.Annaratone, Personale di Valdi Spagnulo, in Mizetadieci, Milano, maggio
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Finito di stampare nel dicembre 2018
La scultura non rappresenta lo spazio, ma lo contiene.