IL MURO 5/2015

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art philosophy visual culture

anno 1, n.5 Novembre-dicembre 2015 freepress


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indice 2 Contemporary

ARTE e TERRITORIO - Michelangelo Pistoletto e il Terzo Paradiso. Riflessioni sull’Arte e la Città, a cura della redazione ART and TERRITORY - Michelangelo Pistoletto and the Third Paradise. Considerations about Art and City, cured by the Editorial Team IL MURO Art, Philosophy and Visual culture

rivista bimestrale / bimonthly magazine Anno 1, n.5, novembre - dicembre 2015

10 La Caverna di Platone Plato’s cave

Direttore responsabile / Director general Luisa Guarino Direttore creativo / Creative director Jamila Campagna Caporedattore / Editor-in-chief Gaia Palombo Progetto grafico / Graphic project Valentino Finocchito Photo Editor Jamila Campagna Ricerca iconografica / Iconographic research Jamila Campagna Gaia Palombo Assistente di redazione / Editorial assistant Alessandro Tomei Redazione / Editorial address IL MURO via Veio 2, 04100, Latina Hanno scritto su questo numero (in ordine alfabetico): Contributors (in alphabetical order): Jamila Campagna Arianna Forte E.M. Marco Mondino Gaia Palombo Nick Testa Vera Viselli Andy Warhol Per la consulenza in lingua inglese, si ringraziano: For the English consulting, thanks to: Gabriella Campagna Editore e Proprietario / Publisher and Owner IL MURO associazione culturale via Veio 2 04100 Latina Web www.ilmuromagazine.it Contatti / Contacts infoilmuro@gmail.com www.facebook.com/ILMUROmagazine Stampa / Print Tipografia PressUp Roma Registrazione al Tribunale di Latina n.1 del 9 febbraio 2015 ISSN 2421-2504 (edizione cartacea) ISSN 2421-2261 (edizione online) Cover: Hitchcock-Truffaut. Ph. Philippe Halsman. Courtesy of Cohen Media Group (elaborazione grafica: Valentino Finocchito)

La forza delle Rovine, di Gaia Palombo La forza delle Rovine, Gaia Palombo

Festa del Cinema di Roma 2015, di Vera Viselli Rome Film Fest 2015, Vera Viselli

Roma Fiction Fest 2015, di Vera Viselli Rome Fiction Fest 2015, Vera Viselli

2 La Recherche 2 La forma di Alexanderplatz, di Nick Testa

The Shape of Alexanderplatz, Nick Testa

24 What’s happ

Black Hole Sun, di E.M. Black Hole Sun, E.M.

6 La Ruota panoramica 2 The Big Wheel Roland Barthes. Cenni di una storia editoriale italiana, di Marco Mondino Roland Barthes, hints of an Italian editorial story, Marco Mondino

30 Equivalents

Benedetta Ristori. Lay off, di Gaia Palombo Benedetta Ristori. Lay off, Gaia Palombo

36 MZK InKiostro. Live Music Experience, a cura della redazione

InKiostro. Live Music Experience, cured by the Editorial team

40 Artist’s word

Warhol’s word, a cura della redazione/ by the Editorial team

41 Backlook Bicycles, a cura della redazione/ by the Editorial team 42 Floppy

Robot infernali e corpi docili, di Arianna Forte Infernal Robots and Dociles Bodies, Arianna Forte

46 LegÊre Una storia elettrica, Italo Rota, recensione di Jamila Campagna

Una storia elettrica, Italo Rota, review by Jamila Campagna

48 Ending Titles

Max Catena, Perceptio Naturalis


Michelangelo Pistoletto, Venere degli Stracci, disegno, matita su cartoncino, 2005


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ARTE e TERRITORIO

Michelangelo Pistoletto e il Terzo Paradiso. Riflessioni sull’Arte e la Città. a cura della redazione Il 4 novembre il Map Museo Agro Pontino di Pontinia (LT) ha dato spazio all’incontro, Arte e Partecipazione. Il Museo come esperienza per la definizione di nuovi scenari culturali che ha visto la partecipazione di Michelangelo Pistoletto. Il Maestro, colonna portante dell’arte contemporanea internazionale, ha incontrato la città nello spazio museale in un discorso attorno al Terzo Paradiso, con l’invito a una maggiore consapevolezza dell’essere cittadini, attraverso forme di condivisione e scambio riscoperte nella centralità dell’arte. Il dibattito, moderato da Lorenza Lorenzon, curatrice, e Alessandro Cocchieri, direttore del MAP, è stato introdotto dai saluti istituzionali del Sindaco del Comune di Pontinia Eligio Tombolillo e dell’Assessore alla Cultura Patrizia Sperlonga. Il giorno seguente, 5 novembre, l’evento ha avuto il suo proseguimento con l’incontro-lezione Coltivare la città. Arte come trasformazione urbana e sociale che si è tenuto presso l’ISISS Teodosio Rossi di Priverno (LT). L’istituto superiore è stato lo spazio di una riflessione sul bisogno contemporaneo di una partecipazione attiva nella città, al fine di attuare un rinnovato senso di appartenenza e collettività, dove l’arte ha un ruolo catalizzatore nel definire una nuova idea di urbanità e di sociale. Accolti da una platea di studenti, hanno partecipato al dibattito: Michelangelo Pistoletto, artista, Mario Pieroni, gallerista e fondatore di RAM radioartemobile, Lidia Decandia, urbanista e professore presso l’Università degli Studi di Sassari,

Francesco Saverio Teruzzi, artivatore, Antonio Limonciello, ideatore di Zerotremilacento. L’incontro, condotto da Stefania Crobe, curatrice, è stato introdotto da Anna Maria Bilancia, Dirigente ISISS Teodosio Rossi che, con SITI, porta avanti CAP_04015, un percorso di educazione all’arte e allo spazio pubblico rivolto ai giovani del liceo artistico. La città e l’arte. L’incontro con Pistoletto del 4 novembre ha avuto luogo a seguire della performance ri/FLESSIONE a cura di Laccio, performer e coreografo: Laccio, Simone Rossari, Thomas Piasentin, Michele Serra, Matteo Dal Prà - vestiti soltanto delle gonne tipiche della danza islamica sufi - si sono esibiti in un evento site specific di danza urbana, nel piazzale J.F. Kennedy, antistante il museo. La città ha fatto da scenario alla coreografia dei cinque performer divenendo teatro a cielo aperto sulle note della canzone Work Song di Hozier. Al termine della performance, una lattina di Red Bull vuota è stata passata, come un testimone, da uno dei performer a Pistoletto, il quale l’ha poi collocata a completamento del progetto installativo Yes, We CAN di VS² - Versus Studio (Nicole Sassi, Paola Scottini, Sofia Vavassori e Michela Vado), vincitore del concorso Red Bull - Re Design Award: Reduce, Renew, Redesign, organizzato in collaborazione con POLI. design Milano. L’ultima lattina a completare il simbolo del Terzo Paradiso sulla facciata del museo, in un atto etico che si riscopre nel gesto artistico, la ridefinizione di una consapevolezza civica che si fa esistenziale attorno all’ecologia, al rispetto per l’ambiente, al riciclaggio degli oggetti andati in disuso o arrivati al termine del loro ciclo produttivo. Tutte pratiche del vivere civile che formano un cittadino responsabile e consapevole del suo ruolo nella collettività. Dall’estetica all’etica. Dallo scorso 26 giugno il MAP Museo Agro Pontino di Pontinia ospita la Venere degli Stracci di Pistoletto (visitabile fino al 10 gennaio), opera che, affiancando le forme della statuaria classica a materiali depereibili, si ricollega al medesimo concetto di riutilizzo. «Lo straccio rappresenta la fase di fine percorso dell’utilizzo delle cose. Sono l’avanzo. Quante persone sono passate dentro quegli stracci? Quanta umanità è entrata e uscita da quegli abiti che ormai non servono più? Non sono tessuti, sono stracci. Ma questi stracci, messi accanto alla Venere che li sostiene, diventano bellezza, diventano colore. Si rivitalizzano. È un’opera che è stata presa come simbolo del riciclo, della rigenerazione» spiega Pistoletto alla platea dell’ISISS Teodosio Rossi di Priverno (Lt). «Forse la bellezza è rigenerazione»,

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conclude, sottolineando come l’arte si collochi esattamente tra memoria e trasformazione. Il centro e la periferia. Il simbolo del Terzo Paradiso è un’evoluzione del simbolo matematico dell’infinito: nel punto dove la stringa dell’infinito si annoda, Pistoletto ha inserito un altro occhiello, il cui centro cade sul perimetro di un cerchio più grande. «Il Terzo Paradiso non è un paradiso terrestre che ti viene dato e dove puoi goderti la vita. La vita si costruisce nel rapporto tra le persone, che poi diventa società, economia, politica. La convivenza è una condizione sociale tutta da inventare, si tratta di un paradiso di cui siamo responsabili», con queste parole Michelangelo Pistoletto evidenzia il fine ultimo dell’arte, quello di mettere in moto meccanismi di condivisione attorno a una progettualità comune, meccanismi che trovano terreno fertile nelle zone periferiche della città, marginali ma proprio per questo cariche del potenziale necessario per riscoprire il senso di appartenenza collettiva ad un luogo. Le due giornate-incontro - registrate e trasmesse da RAM radioartemobile, a cura di Marika Rizzo1 - si sono dunque sviluppate sui significati di rigenerazione e durata e di città e appertenenza, con particolare attenzione ai territori dell’Agro 1

Le registrazioni dell'evento possono essere ascoltate ai seguenti link: www.radioartemobile.it/suoni/michelangelo-pistoletto-arte-eterritorio/ e www.radioartemobile.it/suoni/arte-e-territorio-riflessioni-intorno-al-terzo-paradiso-priverno/

Pontino, dei Monti Lepini e della Ciociaria, ma non solo. La riflessione si è estesa su un nuovo modo di fare urbanità a carattere trans-territoriale; un approccio che nasce dall’incontro di pratiche e progettazioni, così come evidenziato da Lidia Decandia, urbanista e docente universitaria, nel suo intervento L’arte per un fermento dei territori: «A un certo punto si è cominciato a pensare che il progetto di una città si potesse fare come il disegno di una carta, cioè si potesse disegnare una città e poi calarla sul suolo senza vita e senza storia. Ma ogni città, in realtà, è l’esito di relazioni sociali [...] e da qui la necessità di mettere in atto dei fermenti creativi sul territorio, nelle comunità. La città non è più dove pensiamo che sia; è dove si costruiscono nuovi mondi, nuovi beni simbolici, dove si mettono in moto processi sociali che forse non hanno ancora una forma, ma che creeranno delle forme nuove».

ARTE e TERRITORIO Riflessioni intorno al Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto a cura di Francesco Saverio Teruzzi, Stefania Crobe, Lorenza Lorenzon, in una sinergia tra Artivazione, Map_Museo Agro Pontino e SITI Social Innovation Through Imagination. Pontinia (LT) | 4 novembre 2015 | MAP | Piazza J. F. Kennedy 1 ore 21-22.30 Priverno (LT) | 5 novembre 2015 | SITI | ISISS Teodosio Rossi via Montanino 1 | ore 10.00-13.00

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ART and TERRITORY

Michelangelo Pistoletto and the Third Paradise. Considerations about Art and City. by the editorial staff On the 4th of November the Map Museo Agro Pontino in Pontinia (LT) hosted the meeting, Arte e Partecipazione. Il Museo come esperienza per la definizione di nuovi scenari culturali1 in which Michelangelo Pistoletto took part. The Artist, protagonist of the international contemporary art world, met the city in the museum space holding a speech about the Third Paradise, inviting people to a major consciousness of being citizens, through forms of sharing and exchange rediscovered in the centrality of art. Lorenza Lorenzon, curator, and Alessandro Cocchieri, MAP director, were moderators of the debate introduced by the greetings of Eligio Tombolillo, Mayor of Comune di Pontinia, and Patrizia Sperlonga, Assessore alla Cultura. The 5th of November the event continued with the lesson-meeting Coltivare la città. Arte come trasformazione urbana e sociale2 held at ISSIS Teodosio Rossi in Priverno (LT). The educational institute has been the space for a consideration about the current need of an active participation in the city, with the aim to act a new sense of belonging and collectivity, where art has a catalyst role in defining a new idea of urbanity and social. In the debate took part: Michelangelo Pistoletto, artist, Mario Pieroni, gallerist and founder of RAM radioartemobile, Lidia Decandia, urbanist and professor at Università degli Studi di Sassari, Francesco Saverio Teruzzi, artivator, Antonio Limonciello, ideator of Zerotremilacento. The meeting, presented by Stefania Crobe, curator, was introduced by Anna Maria Bilancia, ISISS Teodosio Rossi headmaster, who through SITI, carries on CAP_04015, a path of education to art and public space directed to the institute students. City and Art. The 4th November meeting with Pistoletto took place following the performance ri/FLESSIONE curated by the performer and choreograph Laccio: Simone Rossari, Laccio, Thomas Piasentin, Michele Serra, Matteo Dal Prà – dressed only with the typical skirts of Islamic dance sufi – performed in a site specific urban dance, in J.F.Kennedy square, in front of the museum. The city was the scenery becoming so an open air theatre on the notes of Hozier’s Work Song. At the end, one of the performers gave an empty can of Red Bull to Pistoletto who put it to complete the install project Yes, We CAN by VS² - Versus Studio (Nicole Sassi, Paola Scottini, Sofia Vavassori and Michela Vado), winner of the Red Bull – Re Design Award: Reduce, Renew, Redesign contest, organized in cooperation with POLI design Milan. The last can to complete the Third Paradise symbol on the 1

Art and partecipation. The museum as experience for new cultural sceneries definition

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Grow the city. Art as urban and social transformation

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museum façade, an ethical act done by an artistic act, the civic consciousness becomes existential around ecology, respect for the environment, recycling of disused objects. Ways of a civilized living that form a citizen sensible and conscious of his collectivity role. From aesthetic to ethic. Since last 26th of June the MAP – Museo Agro Pontino di Pontinia hosts Pistoletto’s Venus of the Rags (that will be exhibited till the 10th of January), work that places the classic statue side by side to perishable materials, connecting to the same concept of reuse. «Rags represents the last phase of things usage. They are the rest. How many people passed through those rags? How much humanity went by in those clothes now useless? They’re not clothes anymore, they’re rags. But when they’re put next to the Venus that supports them, they become beauty, color. Revitalize. This work has been taken as symbol of recycling, of regeneration» Pistoletto explains to the ISISS Teodosio Rossi of Priverno (LT) audience. He concluded: «Maybe beauty is regeneration», underlining how art exactly puts itself between memory and transformation. The center and the suburb. The Third Paradise symbol is an evolution of the mathematical symbol for infinity: exactly where the infinity lace ties up, Pistoletto has added another loop, whose center falls on the perimeter of a bigger circle. «The Third Paradise is not an Eden which is given to you and where you can enjoy your life. Life builds up through relationships between people, and then becomes society, economy, politics. Coexistence is a social condition to invent, it’s about a paradise for which we’re responsible». Through these words Michelangelo Pistoletto focuses the aim of art, to switch on mechanisms of sharing around a common project; suburbs are fertile for these mechanisms because they’ve got the right potential to rediscover the sense of collective belonging to a place. The two meeting-days – recorded and broadcasted by RAM radiomobile, curated by Marika Rizzo3 – developed on the meanings of regeneration and lasting and city and belonging, with a particular attention to the territories of Agro Pontino, Monti Lepini and Ciociaria, the consideration extended over a new trans-territorial way to make urbanity; an approach which is born from the encounter of practices and projects, as highlighted by Lidia Decandia, urbanist and university professor, in her speech L’arte per un fermento dei territori4: «At some points Urbanism started to think that a city could be 3

The whole event record is available at www.radioartemobile.it/ suoni/michelangelo-pistoletto-arte-e-territorio/ and at www. radioartemobile.it/suoni/arte-e-territorio-riflessioni-intorno-alterzo-paradiso-priverno/

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Art for a fermentation of territories


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projected like a draw on paper and then it could be put on the ground without a life and a history. But every city is the result of social relations […], from this comes the necessity to implement creative fermentations on the territory, in the communities. The city isn’t anymore where we thought; it’s where new worlds and new symbolic goods are built, where social processes start: maybe they don’t have a form already, but will create new forms».

ARTE e TERRITORIO Riflessioni intorno al Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto curated by Francesco Saverio Teruzzi, Stefania Crobe, Lorenza Lorenzon, in a sinergy between Artivazione, MAP_Museo Agro Pontino and SITI Social Innovation Through Imagination. Pontinia (LT) | 4th November 2015 | MAP | Piazza J.F. Kennedy 1 | 21.00h.- 22.00h. Priverno (LT) | 5th November 2015 | SITI | ISISS Teodosio Rossi | via Montanino 1 | 10.00 h- 13.00 h.

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LA FORZA DELLE ROVINE di Gaia Palombo

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el capolavoro di Wim Wenders, Il Cielo Sopra Berlino, ricorderemo sicuramente l’anziano Homer vagare in una distesa incolta cercando l’amata, vecchia Potsdammer Platz; o la riflessione di Peter Falk passando per la stazione di Anhalter Bahnhof: «Non la stazione dove fermano i treni, ma la stazione dove si ferma la stazione». La Berlino fantasma di Wenders, attraversata dall’insanabile ferita della guerra, è l’emblema stesso della rovina: un malinconico rudere, un monumento, seppur tragico. Di fronte ad esso l’uomo, eterno Angelo della storia, posa il suo sguardo languido, tenta di ritrovare un’identità. È proprio partendo dall’idea di incompletezza, sull’impresa sempiterna dell’uomo di far convivere il presente con un passato che esiste ancora materialmente, che ha origine La forza delle rovine, mostra promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale romano e l’area archeologica di Roma, con Electa, a cura di Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro, presso Palazzo Altemps a Roma. Una mostra ambiziosa che si pone come unicum nella città capitolina, la cui complessità è un invito alla riflessione, all’indagine nei vari livelli di lettura snodati sul piano interdisciplinare. Come suggerito dal titolo, l’intento è quello di presentare il concetto di rovina nella sua valenza bipolare: da un lato sinonimo di decadenza, dall’altro una forza del passato in cui rintracciare radici, memoria. La struttura stessa di Palazzo Altemps, palinsesto su cui nei secoli si sono succeduti restauri e dunque delle testimonianze, racchiude in sé l’essenza della mostra, come spiegato dalla direttrice Alessandra Capodiferro.

Torso di Polifemo, I-II secolo d.C., marmo, alt. 100 cm, Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps Archivio fotografico SS_COL

Massimo Siragusa, Agrigento,Tempio della Concordia, 2007. Fotografia

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La forza delle rovine ospita centoventi opere provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane e straniere; di particolare rilevanza è la presenza, oltre alle consuete pitture e sculture, di opere di fotografia, cinema – quest’ultima, disciplina egregiamente trattata in mostra -, di letteratura e musica. Il percorso tra le nove sezioni di cui si compone l’esposizione, dunque, approfondisce da una moltitudine di punti di vista un tema intepretato in tempi, luoghi e personaggi più diversi. La concezione di rovina dall’antichità fino ai tempi moderni, sebbene tenda a cambiare in base a innumerevoli fattori, assume un andamento che potremmo definire circolare, analogo all’incedere storico. A confermare la tesi è il dialogo intessuto non solo tra le opere di diversa natura in mostra, ma anche tra queste e quelle appartenenti alla collezione permanente di Palazzo Altemps.


contemporary review

Massimo Siragusa, Twentynineseconds, Onna (Abruzzo), 2009. Fotografia

È nel filo rosso che mette in comunicazione le immagini delle macerie di Beirut fotografate da Gabriele Basilico con il sublime senso di grandezza del passato tipico delle opere di Giambattista Piranesi, che risiede la vera chiave di lettura. Interessante la nota del curatore Barbanera, che tiene a sottolineare come la figura del Piranesi visionario, comunemente diffusa, sia distante da quella proposta ne La forza delle rovine, per far emergere altresì il lato dell’artista da egli definito prototopografo, che delinea l’anatomia dei monumenti, ne indaga la struttura scavando come un archeologo. Su questa direzione, il percorso espositivo non intende, retoricamente, porre l’accento sulla suggestione malinconica, fine a se stessa, che la rovina conferisce, ma riflettere sullo status materiale di quest’ultima; rovina che abbandona la categoria ideale e, in quanto frammento di qualcosa che non esiste più, genera dal suo non-essere una nuova esistenza, un nuovo intero pienamente legittimo. Se prendessimo come riferimento il discorso di Walter Benjamin, per il quale il metodo del montaggio è una via per una possibile ricostruzione, partiremmo proprio dall’incompiuto, dai cosiddetti stracci che il filosofo, per l’appunto, invitava a usare. Questi non sono segni iconici, simboli che vivono di associazioni convenzionali, di rimando tra forma e contenuto; al contrario, le forze contrastanti in essi racchiuse si esplicitano in un’estetica lacunosa. In ultima analisi, ne La forza delle rovine lo scenario distopico della contemporaneità, che vede il declassamento del rudere in rottami e macerie, convive con l’iconografia di un’antica città in rovina, benché sia manchevole, forse, di fascino romantico. A mutare, piuttosto, è la persistenza della rovina, per la quale il tempo è necessario e conferisce un’identità solida; nell’orizzonte dromo-

scopico della modernità, al contrario, la maceria è inghiottita da un tempo troppo veloce, consumata da un futuro che la esclude perché scomoda, disarmonica. L’ultima sezione della mostra, (Ri)costruire le rovine, pone dunque una questione interessante e ancora aperta: quale rapporto esiste tra l’archeologia e la modernità? E allora, quale sarà l’archeologia di domani? Contestualmente alla mostra verranno organizzati quattro incontri al Teatro Argentina. Nel mese di novembre, i giorni 8 e 22, si sono tenuti La rovina della Bellezza – la bellezza delle rovine e Caduta e ricostruzione della Polis. Prossimi appuntamenti saranno a gennaio con Rovina e forza della Terra (10 gennaio) e Il Pensiero in rovina (17 gennaio). Tra i protagonisti confermati figurano Luciano Canfora, filologo e storico, e Jan Fabre, artista e regista teatrale. Le conversazioni sono a ingresso libero con prenotazione a community@teatrodiroma.net

LA FORZA DELLE ROVINE 7.10.2015 – 31.01.2016 A cura di Marcello Barbanera e Alessandra Capodiferro Promotori: Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma in collaborazione con Electa. Palazzo Altemps Piazza di Sant’Apollinare, 46, 00186 Roma Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 19.45. Chiuso il lunedì (eccetto lunedì in Albis e durante la settimana della cultura), 1 gennaio, 25 dicembre. La biglietteria chiude alle 19.00.

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LA FORZA DELLE ROVINE Gaia Palombo

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n Wim Wenders’ masterpiece, Il Cielo Sopra Berlino, we surely remember the old Homer wandering through an uncultivated land looking for the dear old Postdammer Platzt; or Peter Falk’s consideration: «Not the station where the trains stopped, but the station where the station stops» while passing by Anhalter Bahnhof station. Wenders’ ghost Berlin, crossed by the irreparable war wound, is the ruin emblem itself: a melancholic ruin, a tragic monument. The human being, eternal Angel of History, directs his languid glance, tries to find again an identity in front of it. La forza delle rovine - an exhibition promoted by the Soprintendenza Speciale per il Colosseo, Museo Nazionale di Roma and Area Archeologica di Roma, together with Electa, curated by Marcello Barbanera and Alessandra Capodiferro, at Palazzo Altemps in Rome - starts from the idea of incompleteness, reflects on man’s everlasting challenge to make the present co-existing with a past which materially still exists. An ambitious exhibition that put itself as unicum in Rome, whose complexity is an invitation to consideration, to investigate the several reading levels articulated on the interdisciplinary gaze. As the title suggests, the aim is to present the concept of ruin in its bipolar value: from one side as synonymous of decline, from the other as a strength of past where to retrace roots, memory. The structure of Palazzo Altemps itself, palimpsest where restorations have occurred during the centuries and so statements, encloses the exhibition essence, as explained by the curator Alessandra Capodiferro.

Pubblicità della cintura Gibaud, anni ottanta Demolizioni per l’apertura di Via dei Fori Imperiali, agosto 1932, gelatina al bromuro d’argento, Roma, Museo di Roma, Archivio Fotografico Comunale

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La forza delle rovine hosts hundred-twenty works from Italian and foreigner private and public collections; particularly relevant is the presence of literature and music besides the usual paintings and sculptures, photography works and cinema – this last one is very well treated in the exhibition. The route among the nine sections that compose the exhibition, analyzes in many points of view a theme performed in times, places and most different characters. The ruin concept since ancient times till modern times, although it attempts to change according to several factors, assumes a trend we could define circular, like the history gait. To state the theory is the dialogue between the different nature works exhibited, also between these and the works belonging to the permanent


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Yves Marchand e Romain Meffre, Window, Packard Motors Plant, Detroit, 2005, Parigi, Galerie Polka © Yves Marchand & Romain Meffre, courtesy Polka Galerie

collection of Palazzo Altemps. It’s the fil rouge that puts in connection Beirut rubble images pictured by Gabriele Basilico with the sublime sense of the past greatness typical of Giambattista Piranesi’s works; the reading key lies there. It’s interesting the curator Barbanera’ s note that underlines how the figure of a visionary Piranesi, commonly diffused, is far from that one proposed in La forza delle rovine, to make emerge also the artist’s side which he has defined prototopographer, who outlines the monuments anatomy, investigates their structure excavating like an archaeologist. On this direction the exhibition path doesn’t mean, by rhetoric, to stress the melancholy suggestion that the ruin gives, but to considerate the ruin material state; a ruin which abandons the ideal category and, as a fragment of something that doesn’t exist anymore, it generates a new existence, a new fully legitimate whole from its not-being. If we referred to Walter Benjamin’s speech who thinks the assembly method is a way for a possible reconstruction, we could start just from the uncompleted, the so-called shreds that the philosopher encouraged to use. These are not icon signs, symbols which live on conventional associations, as cross reference between form and contents; on the contrary, their contrasting strengths carry out in an incomplete aesthetic. As last analysis, in La forza delle rovine the dystopian scenery of contemporaneity, that sees the ruin degeneration into junks and rubble, coexists with the iconography of a decadent ancient town, although it may be missing of romantic charm. The ruin persistency changes; a transformation for which time is necessary and gives it a solid identity; in the dromoscopy modernity horizon, on the

contrary, rubble are swallowed by a too fast time, worn out by a future that excludes them because they’re inconvenient, disharmonic. Last exhibition section, (Ri)costruire le rovine, puts an interesting and still open matter: which relationship exists between archaeology and modernity? And so, which will be tomorrow archaeology? Contextually to the exhibition four conferences will be organized at Teatro Argentina. La rovina della Bellezza - La bellezza delle rovine and Caduta e ricostruzione della Polis took place on the 8th and 22nd of November. The next dates will be Rovina e forza della Terra on 10th of January and Il Pensiero in rovina on 17th of January. Among the confirmed protagonists there are Luciano Canfora, historian and philologist, and Jan Fabre, artist and theatre director. Free entrance previous booking at community@teatrodiroma.net

LA FORZA DELLE ROVINE 7.10.2015- 31.01.2016 Curated by Marcello Barbanera and Alessandra Capodiferro Promoters: Soprintendenza Speciale per il Colosseo, The Museo Nazionale Romano and the Area Archeologica di Roma in cooperation with Electa. Palazzo Altemps Sant’Apollinare Square, 46, 00186 Rome Open every day from 9h. to 19,45 h. Closed on Mondays (except Monday in Albis and during the culture week), 1st January, 25th December. Ticket desk closes at 19,00 h.

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la caverna di platone

ROMA FILM FEST 2015 Festa del Cinema di Roma 2015 di Vera Viselli

Per il decennale, la Festa del Cinema di Roma (16-24 ottobre 2015) si rinnova: nuovo direttore artistico (Antonio Monda) e nuovo presidente (Piera Detassis, già direttore artistico di edizioni precedenti), nessuna sezione a parte la Selezione ufficiale (con 37 film e due serie tv) con qualche formula già ben oliata, ossia gli incontri e le retrospettive. In più, l’idea di mantenere i riflettori accesi per tutto l’anno, attraverso una serie di appuntamenti sparsi nei vari luoghi della capitale: CityFest – questo il nome dell’iniziativa – nasce come sostegno e promozione del cinema e dell’audiovisivo sia a Roma che in tutto il Lazio, ed ha avuto il suo battesimo con il duetto tra Pierfrancesco Favino ed Elio Germano. Partendo dalla Selezione ufficiale, spicca su tutti l’anteprima di The Walk – 3D di Robert Zemeckis (peccato per la sua mancata presenza, nell’anno del trentennale di Ritorno al futuro), la vera storia di Philippe Petit, un funambolo francese che sorprese la città di New York camminando su una fune d’acciaio tesa tra le due torri del World Trade Center (già protagonista di Man on wire, il documentario del 2008 di James Marsh, vincitore dell’Oscar 2009 come miglior documentario, presentato sempre al Festival romano, nella sezione Extra). Altra chicca, l’anteprima delle prime due puntate della seconda stagione di Fargo (la serie tv firmata dai fratelli Coen ed ispirata al loro celebre film) e delle dodici puntate di Fauda, la serie israeliana di Assaf Bernstein che racconta, da entrambi le parti, il conflitto israelo-palestinese (ci aveva già provato l’inglese The honourable woman di Hugo Blick, con risultati appena sufficienti) e che potrebbe percorrere la stessa strada di Hatufim, da cui poi è stata tratta Homeland. Ottimo il filone bellico: su tutti, Land of mine (Danimarca, di Martin Zandvliet), ovvero la storia di un gruppo di giovani prigionieri tedeschi, che, dopo pochi giorni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, vengono deportati su una spiaggia danese dove sono costretti a sminare due milioni di ordigni disseminati dall’esercito nazista (assordante il contrasto tra la calma e la bellezza del mare con il rombo improvviso della morte, nascosta sotto la sabbia) e Full contact (Olanda e Croazia, di David Verbeek), dove si vedono tre episodi della vita di un soldato della guerra moderna, che bombarda accidentalmente una scuola di bambini con un drone comandato a distanza, e da lì inizia una disconnessione dalla vita reale che lo porta ai confini del mito platonico della caverna. Da menzionare l’esordio alla regia di Gabriele Mainetti con Lo chiamavano Jeeg Robot (un pregiudicato di borgata, entrato in contatto con una sostanza radioattiva, scopre di avere una forza sovraumana, che sfrutta per la sua carriera di delinquente); il documentario Ouragan, l’odyssée d’un vent dei francesi Cyril Barbançon e Andy Byatt, che esplora le origini di uno degli eventi naturali più catastrofici al mondo, l’uragano, qui protagonista e narratore (attraverso una voice over) e lo sperimentale Eva no duerme di Pablo Aguero (Argentina, Francia, Spagna), che inizia con una sequenza che sembra riportare alla luce i drughi kubrickiani per poi addentrarsi sempre più nel mito di Eva Peròn, uno dei personaggi politici argentini più amati ma allo stesso tempo più odiati: si ripercorrono le vicende del corpo di questa “nuova bella addormentata”

Opposite: Hitchcock-Truffaut Ph. Philippe Halsman. Courtesy of Cohen Media Group

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The Walk

(dall’imbalsamazione alla sua sepoltura), che per ben venticinque anni sarà causa di conflitto tra le varie parti politiche che tentano di impadronirsi del Paese. Una menzione speciale (forse perché è il miglior film della selezione – eccezion fatta per Zemeckis) per il russo Little bird, di Vladimir Beck: un ritratto così intimo della fine della fanciullezza, con i suoi dolori e le sue passioni impetuose, ma anche un’esplorazione del vero senso dell’amore, giovanile o adulto che sia e per il documentario Hitchock/Truffaut di Kent Jones (Francia), uno degli undici Omaggi dedicati a grandi protagonisti del cinema (si va da Ingrid Bergman a Stanley Kubrick, da Sergio Corbucci a Francesco Rosi, da Pasolini a Buñuel, dai fratelli Taviani ad Ettore Scola passando anche per Frank Sinatra e Paolo Villaggio), che porta sul grande schermo il famoso libro-intervista di Francois Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, attraverso foto dell’epoca, registrazioni originali ed interventi di cineasti contemporanei che hanno imparato ed amato il cinema dal maestro del brivido. Tre le Retrospettive: Pixar Animation Studios, che ha celebrato la famosa casa di produzione vent’anni dopo l’uscita nelle sale del suo primo lungometraggio d’animazione e trae ispirazione dal team creativo guidato da John Lasseter che, da Toy Story ad Inside Out, ha ridefinito i confini dei film d’animazione, registrando incassi record in tutto il mondo per gli straordinari film realizzati fino ad oggi, il tutto analizzato in una masterclass dal titolo Viaggio nel mondo Pixar con Kelsey Mann; Antonio Pietrangeli, in collaborazione con l’Istituto Luce Cinecittà, il Centro Sperimentale di Cinematografia e la Cineteca Nazionale, un omaggio all’opera di un autore che amava le donne e che per intercettarne il rapido mutare scopre che le regole del racconto di genere possono e devono essere frantumate. Presso il Cinema Trevi, è stata riproposta una serie di film (Adua e le sue compagne, 1960; Come quando perché, 1969; Fantasmi a Roma, 1961; Le Fate (ep. Fata Marta), 1966; Io la conoscevo bene, 1965; Il magnifico cornuto, 1964; Nata di marzo, 1958; La parmigiana, 1963; Lo scapolo, 1955; Il sole negli occhi, 1953; Souvenir d’Italie, 1957 e La visita, 1963) che hanno saputo raccontare la sensibilità dell’animo femminile come pochissimi, in Italia, sono riusciti a fare. Infine, Pablo Larraín, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico cileno che, grazie a una trilogia di raro impatto visivo ed emozionale, ha saputo narrare – attraverso inediti

punti di vista – ascesa e declino della dittatura di Augusto Pinochet: una parabola che da Tony Manero (2008), presentato a Cannes e poi premiato a Torino come miglior film, passa attraverso Post Mortem (2010), in concorso a Venezia, per arrivare a No – I giorni dell’arcobaleno (2012) con Gael García Bernal, candidato all’Oscar come miglior film straniero. La grande capacità di produrre avversione ed empatia, sconcerto e rapimento, attraverso protagonisti e spazi dei suoi film, emerge fin dal suo primo lavoro, Fuga (2006), e rimane inalterata fino a El Club (2015) – che quest’anno ha ricevuto l’Orso d’argento a Berlino e rappresenterà il Cile ai prossimi premi Oscar - distribuito a novembre nelle sale italiane da Bolero Film. Arriviamo alle note dolenti della Festa, gli Incontri Ravvicinati: Jude Law, Wes Anderson e Donna Tartt, William Friedkin e Dario Argento, Joel Coen e Frances McDormand, Paolo Sorrentino, Todd Haynes, Carlo Verdone e Paola Cortellesi,


Fargo

Full Contact ® Bojan Mredjenovic

Land of Mine

Renzo Piano, Riccardo Muti, Paolo Villaggio. Un format ampiamente consolidato negli anni precedenti, ma che quest’anno ha visto una lunghezza spropositata per la coppia Coen-McDormand così come per Jude Law (più di un’ora e mezza, senza la possibilità di fare delle domande da parte del pubblico in sala), una scelta discutibile delle sequenze fatte vedere in sala e, per i film italiani, è grave la mancanza dei sottotioli in lingua inglese (è una Festa, certo, ma pur sempre internazionale), passando per l’ennesima riproposizione del duetto VerdoneCortellesi, visto e rivisto. Insomma, qualcosa su cui dover lavorare per la prossima edizione, non ci sono dubbi. Infine, ottima la partecipazione alla prima edizione di MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (sotto la direzione di Lucia Milazzotto): si tratta di un content market e allo stesso tempo di un matchmaking hub. Un mercato europeo che, con il suo format innovativo e

flessibile, si è proposto come un networking & business booster, articolato in specifiche azioni di mercato: una piattaforma efficiente dove poter vendere ed acquistare i prodotti cinematografici più recenti e selezionate anteprime televisive; un mercato di co-produzione dei progetti più interessanti di cinema e documentario; un hub di riflessione e ragionamento sul TV drama e uno strumento unico di matchmaking con i top player dell’industria televisiva; un focus sul factual e sul documentario per esplorare le opportunità della produzione e distribuzione unscripted; un think-tank e uno strumento di informazione, discussione ed esplorazione di modelli di business, specifici e generali, e delle opportunità di mercato presenti e future, in una condivisione di strategie e visioni da parte di operatori e istituzioni nazionali e internazionali.


Rome Film Fest 2015 Vera Viselli

Rome Film Fest (16th-24th October 2015) comes in a new shape for its 10th edition: a new artistic director (Antonio Monda), a new president (Piera Detassis, artistic director of many past editions), no other extra sections but the Official Selection (with 37 movies and 2 tv serials) and other successful formats as the meeting-conferences and the retrospectives. Something more, the idea to get the spotlights on for the whole year with a series of events dislocated in different cultural locations of Rome: CityFest, a project to support and promote Cinema and audiovisual works in Rome and in the territory of Regione Lazio, which started with the Italian actors Pierfrancesco Favino and Elio Germano meeting the audience in a conference. Starting from the Official Selection, the preview of Robert Zemeckis’ The Walk – 3D stands out (such a pity he didn’t take part to the Fest, in the year of Back to the Future 30th anniversay): the true story of Philippe Petit, a French tightrope walker who let New York breathless walking on an iron rope hanging between the two towers of the World Trade Center (already main character of Man on wire (2008) of James Marsh, winner of the Oscar as Best documentary in 2009, also presented at the Rome Fest’s Extra section). Another real gem, the preview of the first two episodes of Fargo second season (Coen brothers’ tv serial inspired by their famous movie) and the twelve episodes of Fauda, the Israeli serial of Assaf Bernstein, which talks about the Israeli - Palestinian conflict, seen by both sides (an attempt already done by The honorable woman of Hugo Blick with a barely passable result), and which could follow the path of Hatufim, that also inspired Homeland. Excellent the works about war: on top, Land of mine (Martin Zandvliet, Denmark), the story of a group of young German prisoners who, after a few days from the end of the Second World War, have been deported on a Danish beach where they are forced to deactivate 2 millions of bombs disseminated from the Nazi army (thunderous the contrast between the calm and beauty of the sea and the sudden rumble of death

that hides behind the sand) and Full contact (David Verbeek, Holland and Croatia) which shows three episodes from the life of a soldier of the modern war who accidentally bombs a primary school with a long-distance drone and, since that, starts a disconnection from real life reaching the edge of Plato’s Myth of the Cave. It is worth mentioning: the debut of Gabriele Mainetti as director of Lo chiamavano Jeeg Robot (a delinquent from a working-class suburb gets in touch with a radioactive substance and then finds out to have a superhuman power which he keeps using for his criminal career); the documentary Ouragan, l’odyssée d’un vent of the French Cyril Barbançon e Andy Byatt, which explores the origins of one of the most catastrophic natural events of the world, the hurricane, here presented as the main character and also the narrator (by a voice-over); the experimental Pablo Aguero’s Eva no duerme (Argentina, France, Spain), which begins with a sequence that reminds Kubrick’s dudes and then deeply entesr inside the myth of Eva Peròn, one of the most loved and hated, at same time, among the Argentina’s political figures: it retraces the events about the body of this “new sleeping beauty” (from the embalming to the burial), that has been, for 25 years, the central cause of the conflict among the different political factions that tried to get the power over the Country. A special mention for Vladimir Beck’s Little bird (probably because the Russian film is the best from the Selection, just after Zemeckis’ work): an intimate portrait of childhood, with its pains and its impetuous passions, but also an exploration about the real meaning of love, juvenile or adult it was, and for Kent Jones’ Hitchock/Truffaut (France), one of the eleven Omaggi dedicated to the great protagonists of Cinema (from Ingrid Bergman to Stanley Kubrick, from Sergio Corbucci to Francesco Rosi, and then Pasolini, Buñuel, Taviani brothers and Ettore Scola, Frank Sinatra, Paolo Villaggio) which brings the famous book-interview Le cinéma selon Alfred Hitchcock to the big screen, through old pictures, original records and speeches of film-makers who learned and loved Cinema after the Master of suspance lesson.


Eva No Duerme, Coronel e Robles @ jba prod_haddock Opposite: © Ouragan-Films_Photo Film Extract

Fauda

Among the Retrospectives: Pixar Animation Studios, which celebrated the famous production studios 20 years later the release of it first long-length animation and gets inspired from the creative team lead by John Lasseter, which rewrote the idea of the animation movie - from Toy Story to Inside Out - getting box office records for their extraordinary movies realized till today. All this analyzed in a masterclass titled Viaggio nel mondo Pixar with Kelsey Mann; Antonio Pietrangeli, realized in collaboration with Istituto Luce Cinecittà, Centro Sperimentale di Cinematografia and Cineteca Nazionale, an homage to the work of an author who loved women and broke up the women’s narration rules to reach the female figure's fast attitude of changing. Cinema Trevi has been the location where the retrospective took place with a schedule of projection: Adua e le sue compagne (1960), Come quando perché (1969), Fantasmi a Roma (1961), Le Fate (ep. Fata Marta - 1966), Io la conoscevo bene (1965), Il magnifico cornuto (1964), Nata di marzo (1958); La parmigiana (1963), Lo scapolo (1955), Il sole negli occhi (1953), Souvenir d’Italie (1957), La visita (1963), a series of film which has told the sensitivity of the female spirit as very few have been able to do in Italy. Last but not least, Pablo Larraín, Chilean director, screenwriter and producer, narrates the achievement and decline of the dictator Augusto Pinochet, thanks to a trilogy of rare visual and emotional impact - and also through innovative points of view: from Tony Manero (2008), presented at Cannes and award winner as Best movie in Turin, through Post Mortem (2010), listed in Venice, to reach No (2012), with Gael Garcia Bernard, Oscar nominated as Best foreign film. The ability to suggest empathy and repulsion, to disconcert and to fill with rapture, through characters and spaces, stands out since his first film Fuga (2006) and keeps unchanged till El Club (2015) - that this year won the Silver Bear at Berlin and will represent Chile to the next Oscar Academy Awards - distributed in Italian cinemas by Bolero film in november. Let’s touch a sore spot, the Incontri Ravvicinati (the Close Encounters): Jude Law, Wes Anderson e Donna Tartt, William Friedkin e Dario Argento, Joel Coen e Frances McDormand, Paolo Sorrentino, Todd Haynes, Carlo Verdone e Paola Cortellesi, Renzo Piano, Riccardo Muti, Paolo Villaggio. A well-established format in past editions, this year got an over length meeting for the couple Coen-McDormand and so for Jude Law (more than 90 minutes of conferences without any chance to ask questions for the audience), a movie sequences selection not very interesting and the lack of English

subtitles for the Italian movies (that’s a Fest, of course, but it’s still international), and then again the couple Verdone-Cortellesi, a show seen over and over. So, that’s absolutely something to work on for the next edition, with no doubts. Great record for the first edition of MIA - Audiovisual International Market, (lead by Lucia Milazzotto): a European fair which is both a content market and a matchmaking hub, innovative and flexible: a networking and business booster where it’s possible to buy and sell the newest cinematographic productions and selected tv previews; a co-production market for Cinema and documentary projects; a hub to reflect on TV dramas role and a unique instrument of matchmaking among the top players of tv industry; a focus on the factual and on the documentary to point out the opportunities of production and distribution; a communication tool to explore the new business models and the contemporary market fields, sharing different points of view.


ROMA FICTION FEST 2015 di Vera Viselli

La nona edizione del Festival della Fiction torna al Cinema Adriano e torna (fortunatamente) al Concorso Internazionale, che conta 12 titoli (Capital, Deutschland83, Glitch, Glue, O Hipnotizador, Limbo, The Man In The High Castle, Mr. Robot, Occupied, Trapped, Trepalium, Trial Of Chunhyang: A Girl Prosecuted By Feudalism). Inoltre, sono stati 9 i titoli presentati Fuori Concorso (Lea, 10% Call My Agent!, Buddha: King Of Kings, Fear The Walking Dead, King For A Term, The Last Panthers, Il Sistema, Versailles, Wicked City); 15 quelli della sezione Serial Crime (Acquitted, Bad Guys, Candice Renoir, Entre Canibales, Follow The Money, Limitless, Mar De Plastico, Norskov, The Principal, Quantico, Refugiados, Señorita Pólvora, Swartwater, Wataha, Westside); 5 per il Serial Drama (The Book Of Negroes, Jekyll & Hyde, Lady Chatterley’s Lover, Magnifica 70, Wolf Hall) per continuare poi con i 2 della sezione Tv on Stage, con i 24 di Kids & Teens, i 5 della Young Adult Special, le 6 Masterclass e le 2 Retrospettive (Fantastica Rai e l’Omaggio a Sergio Sollima: Sandokan, la Reunion). Insomma, il Fiction Fest romano sembra volersi avvicinare sempre più alla modalità Festival piuttosto che al Comic-Con International di San Diego, con la programmazione stampa e pubblico a cui vanno aggiunti gli eventi speciali (grandiosa la partecipazione del pubblico, per 10 Stagioni di Un Medico In Famiglia – La Reunion di domenica 15 novembre ma anche in generale, con un aumento del 20 per cento rispetto allo scorso anno) ed i premi ufficiali. Partiamo proprio da questi ultimi: la giuria di esperti - presieduta da Steven Van Zandt (Little Steven) e composta da Geppi Cucciari, Giancarlo De Cataldo, Stefano Disegni, Gloria Satta, Maureen Van Zandt - ha premiato The Man In The High Castle (Usa, 2015, di Frank Spotnitz - protagonista anche di una Masterclass) come miglior nuova TV Series/Limited Seri-

es/TV Movies. Si tratta dell’adattamento del noto romanzo di Philip K. Dick, La svastica sul sole 1 , che propone uno scenario storico fantascientifico: la Seconda Guerra Mondiale è stata vinta da tedeschi e giapponesi, i quali si sono spartiti l’intero territorio americano. Nella San Francisco del 1962 si intrecciano le vicende di 4 personaggi, ma mentre nel libro di Dick la verità storica veniva affidata alla lettura di un libro introvabile e censurato, la serie (prodotta anche da Ridley Scott) si affida alla verità delle immagini, attraverso la protezione di un filmato che offrirebbe al mondo la visione reale delle cose: Hitler sconfitto e l’asse mondiale completamente capovolto. L’eleganza della forma visiva e registica della serie di Spotnik sta anche nel suo miscelarsi attraverso i generi (drama, political, action) ma proponendosi essenzialmente come un’opera sulla politica della conoscenza e dell’informazione (visiva): la realtà è data da una pellicola, la conoscenza avviene così attraverso la visione (era il senso primordiale del cinema, la realtà del documentario) e la sua consequenziale condivisione. Quando Amazon annunciò il pilot, il primo, enorme interrogativo riguardava “l’ansia da risultato” per la complessità di partenza del romanzo di Dick, ma ad oggi la serie rischia di essere abbondantemente sullo stesso piano dell’opera scritta 2 . Altra premiata speciale dalla Giuria è stata Deutschland83 (Germania, 2014, ideata da Anna Winger e Joerg Winger), uno spy-thriller anni ’80 che segue le vicende di un ventenne della Germania dell’Est costretto a sostituire un militare nella 1

Pubblicato nel 1962, ripubblicato anche come L’uomo nell’alto castello e vincitore del Premio Hugo come miglior romanzo.

2

A proposito di adattamenti e rapporti tra cinema e romanzo, ne parlava già Bazin in Che cosa è il cinema? Il film come opera d’arte e come mito nella riflessione di un maestro della critica, Garzanti editore, Milano, 1999. In particolare, il capitolo Per un cinema impuro, pp. 119 – 142.


Opposite: Martin Rauch, Moritz Stamm, Linda Seiler, Deutschland 83

Trapped

Germania dell’Ovest e a lavorare quindi come spia. Il rimando diretto è al più ambizioso The Americans 3 (Usa, 2013, ideato da Joe Weisberg), una profonda storia di spionaggio russo che vede protagonista una storia d’amore costretta ma non meno reale delle altre. La serie tedesca non tocca tutti gli abissi di questa profondità, ma si presenta come un thriller assolutamente ben definito, forse con un’aspirazione estetica alla Mad Men (The New Yorker).

Trepalium

Mr. Robot (Usa, 2015, creato da Sam Esmail) è invece la serie che ha ricevuto il premio come Miglior Serie Tv “Young”, assegnato da una giuria di ragazzi. Si tratta di un crime-drama (che ha anche ricevuto l’endorsement di Edward Snowden) con protagonista Elliot, un giovane hacker che decide di boicottare un’enorme compagnia mettendosi a capo di un gruppo di hacker anarco-insurrezionalisti. L’ideatore della serie ha dichiarato che la fonte primaria d’ispirazione per il suo plot è derivato dalla primavera araba: essendo egli stesso egiziano, si è recato in Egitto appena dopo le insurrezioni ed è rimasto notevolmente colpito da tutta quella rabbia giovanile che aveva preso piede in così poco tempo. Una rabbia nei confronti della società, che ha trovato libero sfogo grazie soprattutto alle nuove tecnologie (che la generazione precedente non aveva a disposizione) e ai social network, che potevano davvero dare una scossa favorevole al cambiamento. La primavera araba è stata coniugata poi con uno scherzo di cui si è reso protagonista lo stesso Esmail ai tempi del college, quando ha falsificato un’email del college cambiandone totalmente il contenuto (bravata che lo ha costretto alla libertà vigilata). Ecco, Elliot è un po’ lo stesso Esmail: se fosse andato al college poteva avere lo stesso spirito anticonformista, le stesse pareti tappezzate da poster di Fight Club, Arancia meccanica, Taxi driver, American psycho. Un antieroe, insomma – un topos così tanto amato da cinema e letteratura - che ricorda molto da vicino il Rust Cohle della prima stagione di True detective (più un pessimista che un anarchico, certo, ma nella sua percezione degli altri si avverte fortemente qualcosa che si avvicina all’Angry Young Man così come lo ha definito David Haglund - una disillusione che 3

L’inizio di Deutschland83 riguarda il discorso sull’impero del male fatto da Ronald Reagan, un momento che ritroviamo anche in The Americans.


gli fa affermare che «la coscienza umana è un tragico passo falso in evoluzione»). Al di là dei premiati, la più bella scoperta è Trepalium (Francia, 2015, creata da Antarès Bassis e Sophie Hiet): fine XXI secolo, società completamente in agonia per via di una disastrosa situazione economica che vede soltanto il 20 per cento della popolazione attivamente occupata. Gli Impiegati, terrorizzati dall’idea di perdere il lavoro, vivono confinati nella zona urbana mentre ai margini, nella Zona, vivono i Disoccupati, affamati, assetati, in stato di totale abbandono. Due territori contrapposti in una società disumanizzata, separati da un muro fortificato (facile il rimando al più tristemente famoso muro tedesco), due aspetti della stessa afflizione: il lavoro, o la sua assenza. Trepalium non è semplicemente uno specchio della situazione moderna: è quello che potremmo diventare tra qualche tempo. Affronta meglio di qualsiasi altra opera audiovisiva contemporanea la crisi economica, quella lavorativa, la conseguenziale escalation di violenza e di amoralità, il razzismo così come l’accentramento politico, strizzando l’occhiolino a Orphan black (da cui riprende il tema della clonazione, anche qui femminile). Una menzione speciale per altri tre titoli: The Book Of Negroes, Show Me a Hero e Trapped. Il primo (Canada e Sudafrica, 2015, scritto da Lawrence Hill e Clement Virgo) è una miniserie basata sul romanzo best-seller di Lawrence Hill, Someone Knows My Name. Una storia universale di perdita, coraggio e trionfo, che racconta il viaggio di Aminata Diallo, indomita donna africana che sopravvive in un mondo nel quale tutto sembra contro di lei. Show Me A Hero1 (Usa, 2015, scritto da David Simon 2 e Bill Zorzi e diretto da Paul Haggis - protagonista di una Masterclass) è una miniserie tratta dall’omonimo libro di Lisa Belkin che esplora le tematiche di casa, razza e comunità attraverso il racconto delle vite dei cittadini, degli attivisti e dei funzionari di Yonkers, a New York. In un’America lontana dalle lotte per i diritti civili degli anni Sessanta, il giovane e neoeletto sindaco Nick Wasicskko si trova a dover applicare, nel pieno degli anni Ottanta, una sentenza federale per l’integrazione razziale che prevede la costruzione di case popolari per le persone di colore all’interno dei quartieri residenziali dei bianchi. Una miniserie in sei puntate, un messaggio solido, pragmatico ma al tempo stesso drammatico e sincero (come sottolineano le canzoni di Springsteen), come il suo protagonista: un realista sognante, che deve dimostrare il suo idealismo civico. In un’epoca di sociopatici e plot cospirazionali, Show Me a Hero rappresenta un fresco ritorno al passato e ripropone echi di alcune serie più grintose - ormai dimenticate – dei primi anni della tv come East Side/West Side (Usa, 1963-1964, ideata da Robert Alan Aurthur). Infine, Trapped (Islanda, 2015, creata da Baltasar Kormákur): in un piccolo villaggio di un profondo fiordo islandese, ostaggio della neve, viene ritrovato un corpo mutilato. L’assassino è ancora in paese, forse si trova intrappolato insieme al resto degli abitanti del villaggio a causa della tempesta. Andri, il capo della polizia locale, è determinato a risolvere il caso prima che la tempesta si plachi e il killer abbia una possibilità di fuga. Un crime drama così gelido e agghiacciante che avvolge lo spettatore sin dal pilot, con la furia devastante della neve ed il bellissimo paesaggio islandese.

1

Il titolo viene da F. Scott Fitzgerald: “Show me a hero and I’ll write you a tragedy”.

2

Creatore di The Wire (Usa, 2002 – 2008)



ROMe FICTION FEST 2015 Vera Viselli

The 9th edition of Rome Fiction Fest comes back to Cinema Adriano and as International Contest with 12 titles listed (Capital, Deutschland83, Glitch, Glue, O Hipnotizador, Limbo, The Man In The High Castle, Mr. Robot, Occupied, Trapped, Trepalium, Trial Of Chunhyang: A Girl Prosecuted By Feudalism). Also, 9 titles presented in the Out of competition section (Lea, 10% Call My Agent!, Buddha: King Of Kings, Fear The Walking Dead, King For A Term, The Last Panthers, Il Sistema, Versailles, Wicked City); 15 series presented in the Serial Crime section (Acquitted, Bad Guys, Candice Renoir, Entre Canibales, Follow The Money, Limitless, Mar De Plastico, Norskov, The Principal, Quantico, Refugiados, Señorita Pólvora, Swartwater, Wataha, Westside); 5 series in Serial Drama (The Book Of Negroes, Jekyll & Hyde, Lady Chatterley’s Lover, Magnifica 70, Wolf Hall) and then 2 in the Tv on Stage section, 24 in Kids & Teens, 5 in Young Adult Special, plus 6 Masterclasses and 2 Retrospectives (Fantastica Rai and Omaggio a Sergio Sollima: Sandokan, la Reunion). So, Rome Fiction Fest wants to become more like a Festival than a kind of event like the Comic-Con International of San Diego, with a press and audience schedule, several special events (a positive feedback from the audience for 10 Stagioni di Un Medico In Famiglia – La Reunion but also in general with a turnout increased of the 20% from the previous edition) and the official awards. About the awards: the jury – chaired by Steven Van Zandt (Little Steven) and composed by Geppi Cucciari, Giancarlo De Cataldo, Stefano Disegni, Gloria Satta, Maureen Van Zandt - awarded The Man In The High Castle (USA, 2015, Frank Spotnitz - who has also run a Masterclass) as Best new TV Series/Limited Series/TV Movies. It’s the screen adaptation of Philip K. Dick’s famous novel 1 , set in a historical sci-fi scenery: the World War II has been won by the 1

The Man In The High Castle, published in 1962 and winner of the Hugo Award as Best novel.

Japanese and the Germans who now control the USA territory. San Francisco, 1962, four characters’ lives come across: in the original Dick’s plot the historical truth is collected in a censured hard to find book, in the series (Ridley Scott among the producer) the truth is hold by the images, through the safeguard of a video which offers the real vision of things: Hitler defeated and the world axis overturned. The visual form and direction elegance is also in the mix of genres (drama, political, action) offering a project about the politic of knowledge and the (visual) information: the reality is given back through a film, so knowledge comes through the vision - and that was the original meaning of Cinema: the documentary reality - and its sharing. When Amazon announced the pilot, the first huge question was about the feedback anxiety, since Dick’s novel is a very complex structure, but the series is almost on the same level of the literary work 2 . Another special awarded has been Deutschland83 (Germany, 2014, created by Anna Winger e Joerg Winger), an 80’s style spy-thriller which narrates the life of a 20 year old guy from East Germany forced to substitute for a soldier of the West Germany army and to work as a spy. The show is linked to the more ambitious The Americans 3 (Usa, 2013, created by Joe Weisberg), a deep story about Russian secret intelligence that structures around a love story conditioned but not less real than others. The German series doesn’t go so deep but it’s a well-defined thriller, also with some aesthetic inspirations from Mad Men (The New Yorker). Mr. Robot (USA, 2015, created by Sam Esmail), has been awarded by a young jury as Best TV Series “Young”. 2

About adaptations and connections between novels and Cinema, see André Bazin, What is cinema? Vol. 1 & 2, Berkeley: University of California Press

3

The opening of Deutschland83 is about Ronald Reagan’s evil empire speech, something that we also find in The Americans.


Opposite: Show Me A Hero

The Man in The High Castle

It’s a crime-drama (which received the Edward Snowden’s endorsement): the main character is Elliot, a young hacker who leads a group of insurrection-anarchist hackers to boycott a huge company. Serial creator said the plot takes roots from the Arab Spring: he is Egyptian and went to Egypt right after the insurrection event; he was impressed by the juvenile anger that fired up in just a little time. An anger against society, an outburst that canalized especially through new technologies (not available for the previous generation) and social medias, tools which could have helped to reach an effective change. The Arab Spring combined with a trick actually done by Esmail when he attended college: he faked a college official email contents - and got a monitoring punishment after it. So, Elliot is just like Esmail: if he would have attended college, he could have had the same nonconformist attitude, his bedroom walls covered with Fight Club, Arancia meccanica, Taxi driver, American psycho posters. An anti-hero - a topos loved in Cinema and Literature – that resembles Rust Cohle of True detective’s first season (more a pessimist than an anarchist, sure, but we can find something in his perception that is close to the Angry Young Man - as defined by David Haglund - a disillusion which makes him to assert «human consciousness is a misstep in evolution»). Beyond the awarded, the best discover is Trepalium (France, 2015, created by Antarès Bassis e Sophie Hiet): end of XXI century, the society agonizing after a terrible economical condition where only the 20% of the worldwide population is employed. The Employed live enclosed in the urban center, terrified to lose their job; the Unemployed - hungry, thirsty, abandoned - live on the margins, in the suburbs, the Zone. Two opposing territories, in a dehumanized society, separated by a fortify wall (it brings to mind the sadly famous German wall), two faces of the same affliction: the job and its absence. Trepalium is not just a mirror of the contemporary society: it’s what we could become in a close future. It deals with the economic and employment crisis, the increasing of violence and the lack of moral qualities, the racism and the political centralizing - and it does it better than every other audiovisual project, winking to Orphan black (from where it borrows the cloning theme, here feminine too). A special mentioning for three titles: The Book Of Negroes, Show Me a Hero and Trapped. The first (Canada e South Afri-

ca, 2015, written by Lawrence Hill e Clement Virgo) is a miniseries based on Lawrence Hill’s best-seller novel Someone Knows My Name. A universal story of loss, courage and triumph which tells the trip of Aminata Diallo, a fearless African woman who survives in a world where everything is against her. Show Me A Hero4 (USA, 2015, written by David Simon 5 and Bill Zorzi, directed by Paul Haggis - who also took part in a Masterclass) is a miniseries based on Lisa Belkin’s namesake book, it explores topics like home, race, community through the life of citizens, activists and functionaries of Yonkers, in New York. In a kind of America so far from the 60’s fights for civil rights and suddenly thrown in the 80’s, Nick Wasicskko, the young mayor, finds himself forced to apply a federal sentence which sets to build up council houses for black people inside the white people residential zones. Six episodes to bring a strong message, a pragmatic but dramatic and authentic content (as Springsteen’s songs highlight) exactly how the main character is: a realist dreamer, full of civic idealism. In an epoch of sociopaths and conspiracy plots, Show Me a Hero is a fresh return to the past and shows the echo of some gritty old series - now forgotten - as East Side/West Side (USA, 1963-1964, created by Robert Alan Arthur). Last but not least, Trapped (Iceland, 2015, created by Baltasar Kormákur): in a small town taken hostage by the snow, in an Iceland fiord, a mutilated body is discovered. The killer is still in town and probably is trapped there because of a storm - together with the other inhabitants. Andri, local police chief, wants to solve the case before the storm ends and so the killer would have the chance to escape. A cold and ghastly crime-drama that wraps the spectator with the devastating snow wildness and the beautiful landscape of Iceland.

4

The title comes from F. Scott Fitzgerald: “Show me a hero and I’ll write you a tragedy”.

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The Wire’s creator (Usa, 2002 – 2008)


La forma di Alexanderplatz di Nick Testa

Le cose che avevamo detto attorno al tavolino di un bar, poi dimenticate dentro un bicchiere, ci avevano lasciato la sensazione di una dubbiosa pienezza. Tu mi dicesti che ormai tenevi il cuore in frizer, accanto alla bottiglia di vodka, e io ti risposi che avresti dovuto riprenderlo nel petto e magari continuare a metterci accanto la stessa bottiglia di vodka. Chi ha la gola resistente riesce a mandarla giù comunque anche se è calda, anche se non era il caso tuo. Eravamo a Berlino da 48 ore, era il 5 dicembre ed erano di nuovo gli anni 10, di un nuovo secolo; da un giorno all’altro arrivò anche la neve e io avevo le mani ghiacciate da non sentirle più. Ti dissi di entrare in uno dei laboratori al piano terra della Tacheles per riscaldarci un po’. Quell’edificio aveva sempre l’aria pericolante, pareva tenersi in piedi per miracolo ma era incredibilmente ben riscaldato in alcune stanze, ritagliate dal mondo esterno e senza tempo, dove tutto diceva ancora Money on the wall, money under the bombs, ma con parole nuove. C’era talmente tanto da dire che le parole sembravano sempre più insufficienti, si accalcavano in gola, erano un sorso di vodka che non va giù ma non riesci a sputare, una folla che vuole passare tutta insieme per la medesima piccola porta nello stesso momento. Alla fine decidemmo di dirci tutto ma parlammo pochissimo. Poco, tanto, qual era l’unità di misura? Mi tornò in mente di aver discusso con il mio più caro amico, anni prima, mentre cercavo di convincerlo che, no, lui non sapeva niente del mio dolore perché le ragioni del suo dolore, cui paragonava il mio, erano un’inezia a confronto dei miei drammi. Lui mi spiazzò dicendomi «Come puoi pretendere di misurare il dolore?» e io restai lì a digrignare i denti. Capii il senso del suo discorso a scoppio ritardato. Era così, non solo per il dolore, per tutti i sentimenti. Non è mai una questione di quantità ma sempre di qualità. Mi chiesi cosa ci facevamo a Berlino, con le scarpe affondate nella neve e i nostri cinque giorni a forma di Alexanderplatz. Col cappello calato fin sugli occhi e la sciarpa tirata sopra il naso, la tua unica risposta fu che non ci facevamo niente a Berlino, che avremmo potuto essere ovunque e sarebbe stato uguale.

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la recherche

The Shape of Alexanderplatz Nick Testa

The things we said around a bar high table, which we forgot in a glass, gave us the feeling of an uncertain fullness. You said you left your heart in the freezer, since a while, next to the vodka bottle and I replied that you should have taken it back in your chest along with the same bottle of vodka. Those who have got a tough throat can drink it down even if it’s warm, but this wasn’t your case. We were in Berlin since 48 hours already, it was December 5th and we were again in the10’s of a new century; suddenly the snow came down and I got my hands frozen I could not even feel them anymore. I asked you to go in one of the artists’ labs at the ground floor of Tacheles just to warm up a bit. That building always had a ruined look, standing by luck but incredibly well heated up in some rooms, cut from the outside world and timeless, where everything still said Money on the wall, money under the bomb - with new words. There was so much to say that words just seemed scant, they flocked together in the throat, they were a sip of vodka you can’t swallow and you can’t spit, a crowd of people that want to get through the same small door at the same time. At last we decided we would have told each other everything but we spoke just a little. A little, a lot, what’s the unit of measure? An argue I had with my dearest friend - several years ago - came back to my mind: I wanted to convince him that, no, he knew nothing about my pain, because the reasons of his pain - to which he compared mine - were a minor matter in front of my troubles. He floored me saying «How can you think to measure the pain?», I was left there grinding my teeth. I got the meaning of his words after a while. So it is, not only for the pain but for every kind of sentiment. It’s never a matter of quantity, it’s a matter of quality. I asked myself what were we doing in Berlin, with my shoes sunk in the snow and our 5 Alexanderplatz shaped days. With the hat pulled down to your eyes and the scarf up on your nose, you only replied that we were doing nothing in Berlin, that wherever else we could have been, it would have been the same.

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Black Hole Sun

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di E.M.

Kaash, prodotto originariamente nel 2002 e ripreso dal coreografo-danzatore inglese dopo circa dodici anni dal suo debutto, è tornato in scena al Romaeuropa festival (il ruolo interpretato da Khan è affidato al danzatore italiano Nicola Monaco). Originario del Bengala, ma nato e cresciuto in Gran Bretagna, Akram Khan fonde nel suo lavoro la danza contemporanea e il kathak 2 , danza classica indiana, i cui elementi sono disseminati e riconoscibili nell’intera performance (i rapidi movimenti dei piedi, i mudra3 e una colonna sonora originale pervasa da bol4). Proprio come nel kathak, la coreografia è divisa per sezioni dove, posso riconoscere le diverse connotazioni che caratterizzano il dio Shiva. La figura di Shiva, come qualsiasi altra nel pantheon induista, ha un complesso significato allegorico. è l’asceta e il sensuale danzatore. Il genitore che non esita a decapitare il figlio, ma anche colui che si immola per salvare l’umanità. è, insieme, distruttore e creatore. La sua danza fa scomparire interi universi per riassorbirli e rigenerarli: “per propria volontà Shiva fa destare l’universo sul proprio schermo.”5 Lo schermo è il buco nero del fondale rettangolare ideato dallo scultore e architetto Anish Kapoor. Questo schermo è una presenza quasi soffocante; 1

Cfr Soundgarden – Superunknown, 1994

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Letteralemente “l’arte di raccontare una storia”. Il kathak deriva dalle danze devozionali del nord dell India con le quali i cantastorie narravano gesta epiche e sacre della mitologia hindu.

3

Con il termine mudra, “sigilli”, si indica una particolare gestualità delle dita. Nella danza tradizionale indiana,aiutano il racconto attraverso una codificazione simbolica, in quanto rappresentano determinati aspetti del personaggio o della situazione che si vuole illustrare

4

I bol sono sillabe ritmiche che imitano il suono della tabla. Servono al danzatore per ricordare i movimenti da eseguire e sono parte integrante della performance in quanto vengono solitamente recitate da chi esegue l’accompagnamento musicale. Queste composizioni sottolineano l’abilità del danzatore e vengono eseguite in un crescendo scandito dal battere dei piedi che aumenta assieme alla velocità del danzatore stesso.

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Cfr il filosofo indiano Ksemaraja. Si veda in particolare: ˙iva, con il commento di Ksemaraja, a Vasugupta, Gli aforismi di S cura e traduzione di Raffaele Torella, Mimesis, 1999.

una finestra sull’infinito che, nel corso della performance, viene delimitata da luci rosse, blu e viola. Da vecchie nozioni di scienze, mi ricordo che un buco nero viene solitamente definito come lo stadio finale di una stella di grande massa con un campo gravitazionale così intenso da non lasciar sfuggire nulla dal suo interno, né materia, né radiazioni elettromagnetiche. Il buco nero inghiotte tutto e quindi anche l’informazione di tutti gli oggetti senza restituire niente, se non tre grandezze misurabili dall’esterno: massa, carica e rotazione. Tuttavia, Stephen Hawking 6 ha ipotizzato che qualsiasi cosa venga risucchiata da un buco nero rimarrebbe intrappolata nel cosiddetto orizzonte degli eventi (ossia la zona che si trova attorno al buco nero), per poi riemergere in un universo attraverso alcuni protoni che sfuggirebbero al buco nero grazie a delle fluttuazioni quantistiche (la cosiddetta radiazione di Hawking). Kaash, che in lingua hindu significa se, se solo, potrebbe risultare per alcuni spettatori un’esperienza disorientante, un flusso di energia in cui si alternano -come immagino possa verificarsi all’interno di un buco nero- si rincorrono e si amalgamano perfettamente situazioni di febbrile intensità e momenti meditativi, tuttavia lascia a chi lo guarda un’ampia libertà di interpretazione. Un orizzonte degli eventi da cui mai avrei voluto uscire. In una parola: magnifico.

Kaash – Akram Khan Dance Company 14 ottobre - 16 ottobre 2015 Auditorium Conciliazione Direzione artistica e coreografia – Akram Khan Musiche originali – Nitin Sawhney Scenografia - Anish Kapoor Danzatori: Kristina Alleyne, Sadé Alleyne, Sung Hoon Kim, Nicola Monaco, Sara Cerneaux 6

Cfr. l’intervento di Stephen Hawking al KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, agosto 2015


What's happ

Black Hole Sun

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E.M. Akram Khan’s Kaash, originally produced in 2002 and reprised by the choreographer-dancer English after about twelve years since its debut, is back on stage at the Romaeuropa festival (the role played by Khan is entrusted to Italian dancer Nicholas Monaco). Native of Bengal, but born and raised in Britain, Akram Khan blends in his work contemporary dance and classical Indian dance kathak, whose elements are scattered and recognizable in the whole performance (fast foot movements, the mudras 2 and a soundtrack filled with bols 3). Just as in the kathak, the choreography is divided into sections where I can recognize the different connotations that characterize the god Shiva. Shiva, as any other in the Hindu pantheon, has a complex allegorical meaning. He is the ascetic and yet sensual dancer. The father who does not hesitate to chop his own son’s head off, but also the one who sacrifices himself to save mankind. He is the creator as well as the eraser. While he dances, he makes the whole universes disappear in order to absorb and give them a new birth: “to their will is the Shiva universe on their screens.” 4 The screen is the rectangular black hole on the backdrop created by the sculptor Anish Kapoor. It is almost a suffocating presence; a window on the infinite which, during the performance, is surrounded by red, blue and purple lights. From what I have learned at school, the black hole is usually defined as a massive star in the last phase of its evolution, in which the star collapses, creating a volume of space-time with a gravitational field so intense that its escape velocity equals or exceeds that of light. A black hole swallows everything, without returning anything but: mass, charge, and rotation. However, Stephen Hawking 5 has suggested that whatever is sucked into a black hole would remain trapped in the so-called event horizon (i.e. the area around the black hole), then resurfaces in a universe through some protons that would escape the black hole thanks to quantum fluctuations (the so-called Hawking radiation). Kaash, which in hindu language means if, if only, could be for some viewers a disorienting experience, a flowing energy where -as I guess could occur inside a black hole- quite intense moments and meditative instants chase each other and blend perfectly, but leaves to the viewer a huge freedom of interpretation. An event horizon from which I would have never left. In one word: magnificent.

Kaash – Akram Khan Dance Company October 14-October 16, 2015 Auditorium Conciliazione Artistic direction and choreography - Akram Khan Original music - Nitin Sawhney Set design - Anish Kapoor

1

Please see Soundgarden – Superunknown, 1994

2

The term mudra, “seals” indicates a particular finger gestures. In the traditional Indian dance, they help the story through a symbolic coding, representing certain aspects of the character or situation the dance aims to illustrate

3

The bols are rhythmic syllables that mimic the sound of the tabla. They remind the dancer the movements and are an integral part of the performance as they are usually recited by those who run the musical accompaniment. These compositions emphasize the ability of the dancer and are performed in a crescendo punctuated by the foot beat that increases with the speed of the same dancer

4

Please, see the Indian philosopher Ksemaraja. Particularly: Vasugupta, The aphorisms of Shiva, with commentary by Ksemar aja, edited and translated by Raffaele Torella, Mimesis, 1999.

5

Please see his conference at KTH Royal Institute of Technology in Stockholm, August 2015

Dancers: Kristina Alleyne, Sadé Alleyne, Sung Hoon Kim, Nicholas Monaco, Sara Cerneaux

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il muro

Roland Barthes

Cenni di una storia editoriale italiana* di Marco Mondino Una ricognizione delle prime edizioni italiane di Roland Barthes è l’occasione per ricostruirne la storia editoriale prestando attenzione ai cambiamenti di editori, collane, copertine e formati. Lo scorrere delle schede che presentiamo in questo catalogo non va letta come una semplice ricostruzione didascalica, ordinata cronologicamente, ma vuol essere un invito a rileggere la ricezione dell’opera testuale di Barthes in Italia a partire dalla cornice editoriale in cui si colloca. A questi testi, presenti in tutte le bibliografie ufficiali, abbiamo aggiunto libri collettivi, le voci dell’Enciclopedia Einaudi, testi di presentazione per cataloghi d’arte o ancora prefazioni a romanzi, materiali editoriali differenti che rendono il quadro più complesso e affascinante. La storia editoriale di Barthes è legata all’Einaudi che ha avuto il merito di pubblicare quasi tutta la sua produzione, a partire dal 1966, anno in cui escono gli Elementi di semiologia e i Saggi critici. La stima, l’amicizia e la collaborazione con Fortini e Vittorini hanno dato vita a un sodalizio editoriale che non è mai venuto meno. Proprio gli Elementi di semiologia recano in apertura una dedica all’appena scomparso Vittorini che aveva insistito affinché il testo comparisse all’interno della collana “Nuovo Politecnico”. Accanto al ruolo svolto dalla casa editrice Einaudi, che seppe ben interpretare le correnti strutturaliste di quegli anni concentrandosi anche sul rinnovamento teorico della critica letteraria, importante è stata la funzione svolta da una casa editrice come Bompiani che pubblicò, nel 1972, L’analisi del racconto (in cui compare un intervento di Barthes) e La retorica antica nel 1972. I testi di Barthes sono comparsi nelle più importanti collane Einaudi, dai “Paperbacks” al “Nuovo Politecnico”, dalla “PBE” a “Gli Struzzi” (solo per citarne alcune), si tratta di progetti editoriali che hanno fortemente influito il dibattito critico e teorico del secondo Novecento diventando iconici anche dal punto di vista grafico. Nel corso degli anni Ottanta, dopo la morte di Barthes e la pubblicazione della Camera chiara, Einaudi, seguendo il progetto curato da François Whal in Francia, traduce gli scritti inediti e le raccolte di saggi fino alla pubblicazione di Incidenti, il piccolo volume che mette insieme testi brevi scritti tra Rabat e Parigi, in periodi differenti. Il libro rivela al pubblico una scrittura che investe la sfera più intima e viene collocato all’interno della collana “Saggi brevi” che nata nel 1988 rifugge dalle etichette di genere. Accompagnata da forti polemiche, soprattutto in Francia, è invece la pubblicazione del Journal de deuil, il diario del lutto scritto da Barthes dopo la morte delle madre e non destinato alla pubblicazione. Il libro esce anche in Italia nel 2010 con il titolo Dove lei non è con la traduzione di Valerio Magrelli. Per la prima volta un libro di Barthes nei “Supercoralli”, collana destinata principalmente alla narrativa. Oggi i testi di Barthes disponibili si trovano sparsi nella “PBE nuova serie” e nella “ET” ma molti risultano ormai fuori catalogo. Se tra il 1998 e il 2002 si era percepito un rinnovato interesse da parte di Einaudi, come dimostrano le varie ristampe, le nuove edizioni all’interno della collana “PBE” e l’uscita della raccolta Scritti a cura di Gianfranco Marrone, oggi molti testi risultano fuori catalogo. Se non è mai venuto meno l’interesse verso I frammenti di un discorso amoroso, Miti d’oggi o La camera chiara, data la buona risposta commerciale, sembra essere abbandonata qualsiasi idea di ripubblicare testi come Il brusio delle lingua, L’avventura semiologica o La grana della voce. Eppure Barthes è stato un autore che ha fortemente segnato il catalogo della casa editrice, un autore protagonista la cui immagine viene, negli anni Ottanta, utilizzata anche in copertina, pratica sino a quel momento stigmatizzata in casa editrice come cedimento commerciale, che ben racconta la forza e la fascinazione esercitata da Barthes in quegli anni. Incorniciate su sfondo bianco le foto di copertina mostrano Barthes ora da vicino, intento

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La retorica antica (L’ancienne rhétorique, Éditions du Seuil, 1970) Traduzione di Paolo Fabbri Bompiani, Milano 1972 i Satelliti Bompiani -13 Brossura; 11 x 18,5 cm; 126 pp. Copertina di Bruno Munari

S/Z (S/Z, Éditions du Seuil, 1970) Traduzione di Lidia Lonzi Einaudi, Torino 1973 La ricerca letteraria. Letteratura -16 Brossura; 10,5 x 18 cm; 251 pp. Responsabilità grafica non indicata

Barthes di Roland Barthes (Roland Barthes par Roland Barthes, Éditions du Seuil, 1975) Traduzione di Gianni Celati Einaudi, Torino 1980 Gli Struzzi -220 Brossura; 11,5 x 19,5 cm; 215 pp. ill. b/n (fotog.) Responsabilità grafica non indicata In copertina: ritratto fotografico dell’autore


LA RUOTA PANORAMICA

ad accendersi una sigaretta, ora lontano al capo di una lunga tavolata come in attesa o alla fine di uno dei suoi seminari, ora con lo sguardo distaccato e non rivolto verso l’obiettivo in una foto che appare come rubata, tra una pausa e l’altra. A queste immagini che assumono per certi versi un carattere pubblico, si contrappone invece la fotografia utilizzata per la copertina decenni dopo, per Dove lei non è, il diario del lutto scritto dopo la morte della madre e non destinato alla pubblicazione. Qui ritroviamo un Barthes giovane accanto alla madre e al fratello; la scelta di quest’immagine mette in primo piano una dimensione privata che si lega all’archivio personale. Ai contorni chiari e definiti delle prime foto si contrappongono quelli sfumati e rarefatti di quest’immagine. Accanto al lavoro di una casa editrice come Einaudi occorre dare rilievo a Lerici, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta poteva contare su un catalogo di alto livello e che per primo ha introdotto Barthes al lettore italiano pubblicando Il grado zero della scrittura e successivamente Miti d’oggi. La fortuna di questo secondo testo emerge non solo dalle diverse ristampe, con copertine sempre differenti, ma anche dalla riproposizione del testo all’interno del “Club degli Editori”, circuito di libri per corrispondenza, o ancora nella collezione, uscita in edicola, “I classici del pensiero”, dove è accostato a testi di filosofia e storia delle idee. L’amicizia tra Barthes e un editore raffinato come Franco Maria Ricci porta invece alla pubblicazione di due volumi indirizzati principalmente a un pubblico internazionale di collezionisti. Elitari, costosi e destinati al mercato dei libri di lusso, i testi dedicati a Erté e Arcimboldo collocano Barthes all’interno di una cornice editoriale completamente inedita fino ad allora, rafforzandone la trasversalità. Sempre negli anni Settanta altri editori si interessano alla scrittura di Barthes: Guida, specializzato in storiografia e critica letteraria, riscopre un testo fondamentale come Michelet (uscito nel 1954) pubblicandolo nel 1973. La famosa Lezione, tenuta nel 1977 al College de France, compare invece per la prima volta in un’edizione a cura del collettivo editoriale “Fuori Potere”, lontana dunque dai circuiti editoriali tradizionali. Tra gli anni Ottanta e Novanta altri testi compaiono per “SugarCo”, “Shakespaere & Company”, “Vallecchi”, “Il melangolo” e recente è invece la ripresa da parte di Mimesis degli ultimi corsi non ancora tradotti in Italia. Mentre in occasione del centenario ci s’interroga, in differenti sedi, su alcuni aspetti teorici del pensiero di Barthes, il nostro lavoro si è mosso in una direzione per certi versi più tecnica ma rivela tuttavia il venire meno, oggi, di un reale interesse editoriale non accademico verso una figura che ha fortemente influenzato il dibattito culturale e letterario del secondo Novecento. L’attuale offerta editoriale riguardante Barthes sembra essere così uno dei tanti esempi della mutazione di un mercato librario sempre meno interessato a restituire a un lettore consapevole quello che gli spetta.

*Il testo riportato è incluso nel catalogo pubblicato in occasione di FN mostra Barthes / 50 prime edizioni di Roland Barthes, a cura di Federico Novaro e Marco Mondino, (6, 8, 9 novembre 2015),Torino, via Baretti 31. La mostra è stata organizzata per celebrare la chiusura del centenario della nascita di Roland Barthes.

L’impero dei segni (L’empires des signes, Éditions d’Art Albert Skira, 1970) Traduzione di Marco Vallora Einaudi, Torino 1984 Gli struzzi -288 Brossura; 11,5 x 19,5 cm; 135 pp. ill. col. e b/n Responsabilità grafica non indicata In copertina: fotog. b/n presente nel corpo del testo interno

Frammenti di un discorso amoroso (Fragments d’un discours amoureux, Éditions du Seuil, 1977) Traduzione di Renzo Guidieri Einaudi, Torino 1979 Gli struzzi -203 Brossura; 11,5 x 19,5 cm; 218 pp. Responsabilità grafica non indicata In copertina: scuola del Verrocchio, Tobia e l’angelo

La camera chiara. Nota sulla fotografia (La chambre claire. Note sur la photographie, Éditions du Seuil, 1980) Traduzione di Renzo Guidieri Einaudi, Torino 1980 Gli Struzzi -230 Brossura; 11,5 x 19,5 cm; 215 pp. ill. b/n (fotog.) Responsabilità grafica non indicata In copertina: eliografia di Joseph Nicéphore Niépce

FN è www.federiconovaro.eu

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The Big Wheel

il muro

Roland Barthes

hints of an Italian editorial story* Marco Mondino A recognition of Roland Barthes’ first Italian editions is the occasion to reconstruct his editorial story paying attention to the change of editors, series, covers and formats. The slides we show in this catalogue are not meant to be read just like a simple legend reconstruction, in chronological order, but it’s an invitation to read again Barthes’ textual work reception in Italy starting from the editorial frame where it ranks. To this books, present in all the official bibliographies, we’ve added collective books, the voices of the Enciclopedia Einaudi, introduction books for art catalogues or novels, different editorial materials which make the whole more complex and fascinating. Barthes’ editorial story is linked to Einaudi that’s had the merit to publish almost his entire production, from the 1966 with gli Elementi di semiologia 1 and Saggi critici2 . The respect, friendship and cooperation with Fortini and Vittorini gave life to an editorial fellowship which has never failed. The Elementi di semiologia have as introduction a written dedication to Vittorini, who insisted so the book would be included in the series “Nuovo Politecnico”. Besides the role of the Einaudi, that could well interpret the structuralist trends of those years focusing also on the theoretical renewal of the literary critics, important was the function of the publishing house Bompiani that published in 1972 L’analisi del racconto (where a Barthes’ essay appears) and La retorica antica 3 . Barthes’ books have appeared in the most important Einaudi collections, from “Paperbacks” to “Nuovo Politecnico”, from “PBI” to “Gli Struzzi, (just to mention a few), they are editorial projects that deeply influenced the second 1900’s theoretical and critic debate becoming icon also from the graphic point of view. During the 80s, after Barthes’ death and the publication of La camera chiara4 , Einaudi follows the project curated by Franҫois Whal in France and translates the unpublished works and the essay collections and publishes Incidenti 5 , a small book which includes short texts written in different periods of time between Rabat and Paris. The book reveals a sort of writing that invests the most intimate sphere and is allocated in the series “Saggi brevi” which is born in the 1988 and avoids every genre label. The Journal de deuil publishing is accompanied by strong controversies especially in France; it’s the Barthes’ grieving diary written after his mother’s death and not meant to be published. The book is also issued in Italy in 2010 with the title Dove lei non è, translated by Valerio Magrelli. It’s the first time that one of Barthes’ books is in “Supercoralli” which is mainly a narrative series. Nowadays Barthes’ books are available in “PBE nuova serie” and in “ET” but many are now out of print. If between 1998 and 2002 Einaudi got a new interest - as the new editions inside the “PBE” series and the issue of Scritti collection, curated by Gianfranco Marrone, show - today many books are out of print. If there was always interest for I frammenti di un discorso amoroso 6 , Miti d’oggi7 or La camera Chiara, it seems to be abandoned every idea to republish books like Il brusìo della

lingua 8 , L’avventura semiologica 9 or La grana della voce 10 . Though Barthes has strongly marked Einaudi’s catalogue, a main author whose image in the 80s is used also for the cover - a practice seen before as sign of commercial weakness. All this tells well Barthes’ strength and fascination in those years. Framed on a white background, the cover photographs show Barthes busy lighting a cigarette, far at the head of the table like waiting for or at the end of a seminar, or with a distant glaze not watching the camera in what appears like a stolen snapshot during a break. These images show a public figure very different from the cover picture of Dove lei non è used decades after. Here we find a young Barthes next to his mother and his brother: this picture choice focuses on a private dimension correlated to the personal archive. The clear contours of the first photographs contrast to this picture blur and subtle contours. Besides the work of a publisher like Einaudi, we must give relevance to Lerici that could count on a high level catalogue during the 50s and 60s and was the first to introduce Barthes to the Italian reader publishing Il grado zero della scrittura 11 and later Miti d’oggi. The success of this book emerges not only from the several editions, with different covers, but also by proposing the book in the “Club degli Editori” a book circuit via mail, or in the collection “I classici del pensiero”, including it in the history of the ideas and philosophy books. The friendship between Barthes and a fine publisher like Franco Maria Ricci leads to the publishing of two books mainly addressed to an international audience of collectors. Exclusive, expensive and destined to the luxury books market, the books dedicated to Ertè and Arcimboldo place Barthes inside an editorial frame completely unknown till then and reinforce its transversal attitude. In the 70s other publishers are interested in Barthes: Guida, specialized in historiography and literary critic, rediscovers Michelet, a fundamental book (issued in 1954) published in 1973. The famous Lezioni 12 , held at the College de France, appears the first time in the edition curated by the editorial collective “Fuori Potere”. Between the 80s and the 90s other books appear for “Sugar Co”, “Shakespeare & Company”, “Vallecchi”, “Il melangolo”; Mimesis has recently recoup the last courses not translated in Italy yet. In occasion of the centenary, while the theoretical aspects of Barthes’ thought are the main theme in various contexts, our work moves in a more technical direction but reveals a minor real editorial interest towards a figure that has strongly influenced the cultural and literary debate of the second 1900s. The current editorial offer about Barthes seems to be just one example of the mutation of a book market always less interested in giving to the reader what he deserves.

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FN is www.federiconovaro.eu

Éléments de sémiologie, «Communications» -4, 1964.

* The text is included in the catalog published on the occasion of FN mostra Barthes / 50 prime edizioni di Roland Barthes, curated by Federico Novaro and Marco Mondino, (6, 8, 9 November 2015), Turin, Via Baretti 31. The exhibition celebrated the closing of the Roland Barthes’s birth centenary.

2 Essais critiques, Éditions du Seuil, 1963. 3 La Rhétorique ancienne, Éditions du Seuil, 1970. 4 La Chambre claire: Note sur la photographie, Éditions du Seuil, 1980.

8 Le bruissement de la langue, U.G.E, 1973. 9 L’aventure sémiologique, Éditions du Seuil, 1985.

5 Incidents, Éditions du Seuil, 1987.

10 Le Grain de la Voix, Éditions du Seuil, 1981.

6 Fragments d’un discours amoureux, Éditions du Seuil, 1977.

11 Le Degré zéro de l’écriture, Éditions du Seuil, 1953.

7 Mythologies, Éditions du Seuil, 1957.

12 Leçon, Éditions. du Seuil, Paris 1979.

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il muro

Benedetta Ristori

Lay off di Gaia Palombo La città, raccolta nel torpore notturno, è una distesa silenziosa di arterie illuminate, contenitore di vetro e metallo riempito di vuoto. Le luci ne tracciano l’ossatura, così da renderla più vera, quasi leggibile. La città dorme, sembra aver arrestato la sua corsa; gli abitanti dei non-luoghi della notte invece non si fermano, il loro intento è quello di eguagliarne la velocità. Al cospetto di questa avanzata impietosa l’uomo è in perenne competizione: il progresso incede a grandi passi e al mutamento continuo che ne deriva egli non è mai pronto: niente è mai abbastanza nella corsa con la città che sale. Lay off è un progetto sulla sospensione e sulla giusta distanza di uno sguardo discreto, orizzontale, posato su un tempo e uno spazio in cui il piano sociale e quello esistenziale si contaminano. Questa modalità di sguardo è necessaria affinché la macchina fotografica sia in grado di interrogare la realtà, senza dominarla, instaurando un dialogo.

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Lay off sembra trovare il suo carattere fondante su una libertà impartita – si pensi a una pausa dal lavoro o alla fine di un turno – soggetta, per sua stessa natura, ai medesimi, prestabiliti ritmi che connotano il tempo del lavoro; quest’ultimo, tempo del fare per vivere, va a sovrapporsi con quello del vivere per vivere. Se è vero, come insegna Gilles Deleuze, che l’elemento di un grande complesso meccanico non cessa di essere tale neanche quando materialmente non ne fa parte, la frase «On n’échappe pas de la machine» (G. Deleuze, Kafka, per una letteratura minore, 1975) diventa un mònito incalzante, riscontrabile negli scatti di Benedetta Ristori. La giusta distanza, come definita sopra, si rivela un espediente di gran lunga superiore a un più classico reportage il cui rischio è quello di incorrere più facilmente nello stereotipo dell’uomo come mero animal laborans. In Lay off ravvisiamo piuttosto il tentativo della fo-


equivalents

tografa di accostarsi al soggetto lasciando che tra sé e quest’ultimo intercorra uno spazio del pensiero in cui è possibile ricercare l’azione straniante del dovere sociale sul tempo del vivere. Sarà per questa ragione che Benedetta Ristori stenta a restituire delle vere e proprie azioni; al contrario, la costruzione dell’immagine si fonda su una serie di momenti vuoti, forse di passaggio, come un preludio di ciò che potrebbe accadere a breve. Pregni di questa percezione di attesa e interruzione sono anche gli ambienti desolati e, più sorprendentemente, gli scatti in cui sono ritratte persone al di là di un bancone, sul posto di lavoro, immersi dunque in un contesto che li vorrebbe in piena attività. Ogni micro-storia raccontata in queste fotografie è raccolta inevitabilmente da una macro-storia che accomuna e a cui l’uomo sembra destinato. Tante anonime solitudini, tante piccole storie del quotidiano che abitano questa nuova dimensione ultra-

postmoderna, sottratta alla naturale alternanza del giorno e della notte; la perdita del confine si estende a macchia d’olio su tutti i campi esperibili fino ad annullare ogni tipo di dinamica originaria. Uno scenario in cui sembrano incarnarsi, per eccesso, le parole sopracitate di Deleuze: la macchina non è un’entità concepibile separatamente, è lo stesso organismo sociale di cui siamo parte attiva. Come inestinguibile circolo vizioso, il prodotto di tale sistema è il desiderio – subìto e poi, per costrizione, provato –, lo stesso che Calvino ha saputo restituire nella sua Anastasia, città invisibile dal fascino ingannatore.

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il muro

«[...] Ma con queste notizie non ti direi la vera essenza della città: perchè mentre la descrizione di Anastasia non fa che risvegliare i desideri uno per volta per obbligarti a soffocarli, a chi si trova un mattino in mezzo ad Anastasia i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano. La città ti appare come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poichè essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo desiderio ed esserne contento. Tale potere, che ora dicono maligno ora benigno, ha Anastasia, città ingannatrice: se per otto ore al giorno tu lavori come tagliatore d’agate onici crisopazi, la tua fatica che dà forma al desiderio prende dal desiderio la sua forma, e tu credi di godere per tutta Anastasia mentre non ne sei che lo schiavo.» Italo Calvino, Le città invisibili, 1972

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INFO http://benedettaristori.com/


equivalents

Benedetta Ristori

Lay off Gaia Palombo The city, wrapped in the night numbness, is a silent field of lighted arteries, a glass and metal container filled with nothing. The lights trace its bones, so to make it more real, almost readable. The town sleeps, seems to have stopped its race; while the inhabitants of the night non-places don’t stop, their aim is to reach the same velocity. In front of this impetuous progress the man is always in competition: the progress goes ahead with big steps and he’s never ready for the continuous changing: nothing is ever enough in the race with the rising city. Lay off is a project about the suspension and the right distance of a discreet gaze, horizontal, placed in a time and space where the social level and the existential level contaminate each other. This gaze modality is necessary so that the camera is able to question reality, without dominate, establishing a dialog.

Lay off seems to find its founding character on a given freedom – let’s think about a work break or the end of a work shift – subjected, for nature, to the same rhythm typical of the work time; this time of the doing for living, superimposes on that of living for living. If it’s true, like Gilles Deleuze teaches, the element of a big mechanical structure doesn’t cease to be so even if it’s no more part of it materially; the sentence «On n’èchappe pa de la machine» (G. Deleuze, Kafka, for a minor literature, 1975) is noticed in Benedetta Ristori’s shots. The right distance, as defined above, is more efficient than a classical reportage that would easily risk to fall in the stereotype of man seen as animal laborans. In Lay off we notice the photographer attempt to approach the subject and let in between a thought space where it’s possible to find the alienating action of social duty on the time for living.


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Probably for this reason, Benedetta Ristori doesn’t give back real actions; on the contrary, the image construction bases on empty moments which are like a prelude to what could happen shortly. Full of this wait and interruption perception are also the desolated places and, more surprisingly, the shots that portray people beyond a desk, at work, immersed in a full activity contest. Every micro-story told in these pictures is inevitably collected and connected by a macro-story to which human being seems to be destined. Many anonymous solitudes, many everyday little stories that live this ultra-postmodern dimension, taken from the natural alternation of night and day; the loss of border extends largely over all the experience fields till every kind of original dynamic is deleted. A scenery where Deleuze’s words materialize: the machine is not a separated entity, it’s the same social organism of which we are active part.

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Like a vicious circle, desire is the product of such a system – soon and then, by constriction, tested -, the same that Calvino was able to give back in Anastasia, invisible town with deceiver charm.


equivalents

«[…] But with all this, I would not be telling you the city’s true essence; for while the description of Anastasia awakens desires one at a time only to force you to stifle them, when you are in the heart of Anastasia one morning your desires waken all at once and surround you. The city appears to you as a whole where no desire is lost and of which you are a part, and since it enjoys everything you do not enjoy, you can do nothing but inhabit this desire and be content. Such is the power, sometimes called malignant, sometimes benign, that Anastasia, the treacherous city, possesses; if for eight hours a day you work as a cutter of agate, onyx, chrysoprase, your labor which gives form to desire takes from desire its form, and you believe you are enjoying Anastasia wholly when you are only its slave.»

Info http://benedetta ristori.com/

Italo Calvino, Le città invisibili, 1972

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InKiostro. Live Music Experience a cura della redazione Inkiostro - Rassegna di musica buona e giusta torna a Cori (Latina) con tre appuntamenti cantautoriali, presentando nuovi sound e nuove suggestioni nella sua seconda edizione. Per questa iniziativa - a cura di Sofia Bucci e patrocinata dal Comune di Cori - la musica si lega nuovamente alle arti visive, all’architettura e alla Storia, riempiendo gli spazi della Chiesa di Sant’Oliva, consacrata e ancora attiva, che apre le sue porte ad un’avventura musicale che riesce a valorizzarne un certo aspetto spirituale e artistico, seppure in chiave laica. Inkiostro rinforza la vivacità di trasformazione da sempre presente nel Complesso di Sant’Oliva che storicamente è stato caratterizzato da mutamenti ed evoluzioni: la struttura, sorta sulle fondamenta di un tempio romano, è divisa al suo interno in due spazi contigui, quello della Chiesa di Sant’Oliva - risalente al medioevo, con tre navate sorrette da colonne di spoglio, nella vigorosa attitudine di un romanico autoctono - e quello della Cappella del S.S. Crocefisso - iniziata nel 1477 e completata nel secolo successivo, presenta iconografie ricercate negli affreschi variopinti e ben conservati dell’abside, della volta a botte e della controfacciata. Accanto c’è il Chiostro rinascimentale, da cui si accede al Museo Civico della Città e del Territorio, che raccoglie reperti archeologici e documenti storici, eccezionalmente aperto ai visitatori nelle sere dei concerti di Inkiostro, con la possibilità di effettuare una visita guidata notturna, grazie all’Associazione Culturale Arcadia. La prima edizione di Inkiostro, nell’estate 2014, ha visto il Chiostro come suggestivo teatro degli eventi musicali, dei reading letterari e degli incontri attorno all’arte della stampa tipografica e dell’editoria artigianale. Nell’edizione 2015 è l’abside della Cappella a fare da background immaginifico a cantanti, musicisti e strumenti. ph Jamila Campagna

Ogni serata è presentata da una diversa locandina, frutto della elaborata ricerca grafica di Inklist, presente con due esposizioni di illustrazioni. Il primo appuntamento è stato con Valentina Lupi, lo scorso 9 ottobre, cui è seguito il concerto di gaLoni, il 7 novembre. A chiudere la rassegna arriverà Pino Marino, il prossimo 12 dicembre, con l’opening act de Lo Spinoso, già fondamentale protagonista della scorsa edizione. Una rosa di autori per raccontare che la musica è fatta di scrittura e non solo di interpretazione, dalla carta alla vibrazione sonora, dove note e parole si sostengono in un diario, talvolta intimo e talvolta politico, che fa un ritratto energico della giovane musica cantautoriale italiana.

InKiostro è una manifestazione itinerante nata per valorizzare luoghi di rilevanza storico-artistica mediante la collaborazione di collettivi, associazioni e artisti operanti nei diversi campi della musica, poesia, fotografia e artigianato del libro.

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InKiostro. Live Music Experience the editorial team Inkiostro - Rassegna di musica buona e giusta comes back in Cori (Latina) with three dates, presenting songwriters’ new sounds and new suggestions in its second edition. For this initiative - curated by Sofia Bucci and supported by the Comune of Cori - music connects again with visual arts, architecture and History, filling the spaces of Chiesa di Sant’Oliva, consecrate and still active, that opens its doors to a musical adventure which can value a certain spiritual and artistic aspect, although in a laical key. Inkiostro reinforces the transformation always present in the Complesso di Sant’Oliva which has been historically characterized by mutations and evolutions: its structure, built on the fundaments of a roman temple, is divided inside in two contiguous spaces, the one of Chiesa di Sant’Oliva – which dates back to medieval, has three naves supported by three despoliated columns, in the vigorous attitude of an autochthon Romanesque style – and the one of Cappella del S.S. Crocefisso – its building started in 1477 and was completed the following century, it presents sought iconographies in the colorful and well- kept frescoes of the apsis, of the barrel vault and of the wall opposite the apsis. Beside there is the Chiostro rinascimentale, from which is possible to enter the Museo Civico della Città e del Territorio that collects archeological findings and historical documents; the museum is exceptionally open to visitors during the Inkiostro concerts, with the chance to make a night guided tour, thanks to the Associazione Culturale Arcadia. The first edition of Inkiostro, in the summer 2014, saw the Chiostro as evocative theatre for musical events, literary readings and meetings around the art of typographical print and publishing craft. In 2015 edition the Chapel apsis is the imaginative background for singers, musicians and instruments. Every night is presented by a different leaflet, result of an elaborated graphical research of Inklist, also present with two illustration exhibitions. The first date was last 9th October with Valentina Lupi; on the 7th of November followed the concert of gaLoni. To close the festival next 12th December will perform Pino Marino with the opening act of Lo Spinoso, already fundamental protagonist of last edition. A pool of authors to tell that music is made of writing and not only of interpretation, from paper to sound vibration, where notes and words support each other in a diary, at times intimate or public, that makes a dynamic portray of songwriters’ young Italian music.

InKiostro is an itinerant event born to value historic-artistic locations through the cooperation of collectives, associations and artists working in different fields like music, poetry, photography and book craft.

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ph Jamila Campagna

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Warhol’s word

*

Since people are going to be living longer and getting older, they’ll just have to learn how to be babies longer. Si dovrebbe imparare come essere bambini più a lungo, ora che si vive più a lungo. • When I got my first television set, I stopped caring so much about having close relationships. Quando ho avuto la mia prima tv, ho smesso di tenerci tanto ad avere rapporti stretti con gli altri. • I never read, I just look at pictures. Non leggo mai, guardo solo le figure • They always say, Rome wasn’t built in a day. Well, I say maybe it should have been, because the quicker you build something, the shorter a time it lasts [...] Si dice sempre Roma non è stata costruita in un giorno. Forse però sarebbe stato meglio, perché meno ci metti a costruire una cosa e meno dura [...] • Barbie has problems. The fifites Barbie had a more closed mouth and beautiful sensual lips, but the eighties Barbie has a smile. I don’t know why they gave her a smile. Barbie ha dei problemi. La Barbie degli anni 50 aveva la bocca più chiusa e delle bellissime labbra sensuali, mentre la Barbie degli anni 80 sorride. Non so perché le abbiamo dato un sorriso. • I’m not more intelligent than I appear. Non sono più intelligente di quanto sembri.

* Tutti gli aforismi originali sono tratti da Kenneth Goldsmith, I’ll Be Your Mirror: The Selected Andy Warhol Interviews 1962-1987, Carroll & Graf, New York 2004; Andy Warhol, The Philosophy of Andy Warhol (From A to B & Back Again). Harcourt Brace Jovanovich, New York 1975; Andy Warhol, Pat Hackett, The Andy Warhol diaries, Warner Books, New York, 1989. Le versioni in italiano sono tratte da Matteo Bianchi, Andy Warhol. La cosa più bella di Firenze è Mc Donald’s, Stampa Alternativa - Nuovi Equilibri, Viterbo 2006 (con piccole modifiche in alcune citazioni) * All quotes are from Kenneth Goldsmith, I’ll Be Your Mirror: The Selected Andy Warhol Interviews 1962-1987, Carroll & Graf, New York 2004; Andy Warhol, The Philosophy of Andy Warhol (From A to B & Back Again). Harcourt Brace Jovanovich, New York 1975; Andy Warhol, Pat Hackett, The Andy Warhol diaries, Warner Books, New York, 1989. The Italian editions are from Matteo Bianchi, Andy Warhol. La cosa più bella di Firenze è Mc Donald’s, Stampa Alternativa - Nuovi Equilibri, Viterbo 2006 (with slight modifications in some quotes).


backlook

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ROBOT INFERNALI E CORPI DOCILI di Arianna Forte

«First we build the tools, then they build us.» Marshall McLuhan

Non è difficile intravedere tra le parole del celeberrimo studioso McLuhan un tono profetico. Mai come oggi ci rendiamo conto di quanto questi strumenti (tools) siano in grado di plasmare (build) il nostro futuro. E a dire di Ray Kurzweil questo futuro si sta avvicinando ad un ritmo vertiginosamente serrato: lo studioso infatti teorizza che la potenza della trasformazione tecnologica segua un andamento esponenziale 1 . Secondo Kurzweil quindi la Singolarità tecnologica 2 , il momento in cui il progresso valicherà la comprensione umana culminando con la fusione tra la nostra esistenza biologica e la tecnologia, è imminente. Se riflettiamo sul fatto che l’anno scorso, per la prima volta in assoluto, un computer ha superato il test di Turing 3 , il criterio unanimemente usato per determinare se una macchina sia o 1

Raymond Kurzweil, La singolarità è vicina, Apogeo, 2008.

2

Ibidem.

3

Nel giugno 2014 Eugene Goostman, un cleverbot, cioè un programma in grado di sostenere conversazioni, è riuscito a superare il test di Turing, convincendo il 33% dei giudici. In http://www.wired.it/attualita/tech/2014/06/09/computersuperato-test-turing/

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no in grado di pensare, allora realizziamo quanto le previsioni risalenti a poco meno di 10 anni fa di Kurzweil non siano del tutto fantascientifiche. Ci aspettiamo quindi l’avvento di un’Intelligenza Artificiale superiore che si opporrà alla nostra esistenza biologica? A questo scenario asimoviano che si sta profilando, si ispira l’immaginario artistico dei canadesi Louis-Philippe Demers e Bill Vorn. I due si cimentano in creazioni di apparecchi cibernetici che liberano in apocalittiche rappresentazioni robotiche. Ed è proprio nella loro ultima opera Inferno, presentata lo scorso ottobre a Digitalife4 , che si propaga l’eco roboante delle parole di McLuhan. Inferno è una performace robotica partecipativa. Ha luogo in un’ambientazione tetra e tesa. Dai soffitti pendono dei pesanti congegni meccanici che tra cavi e lamine di alluminio avvolgono delle presenze umane. Stridii metallici e tonfi industriali accompagnano la goffa e scattosa coreografia di queste figure ingombranti, rese lugubremente visibili da fasci di luce randomici. In questa insolita configurazione uomo-macchina non è l’uomo a determinare l’intenzionalità delle sue azioni ma è la macchina a condurre la danza e a dirigere le sue mosse e i sui passi, costringendolo in percorsi predeterminati. È il visitatore che indossa l‘esoscheletro robotico e diventa esso stesso la materia prima (carne) dell’ibridazione con la 4

Digitalife 2015, 10 Ottobre – 6 Dicembre, MACRO Testaccio – La Pelanda, Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma.


floppy Opposite: 2012 (année de réalisation) Credits photos: Louis-Philippe Demers. credit: Gregory Bohnenblust

tecnologia. È il vero s-oggetto della rappresentazione distopica e vive letteralmente sulla sua pelle l’esperienza corporea della costrizione e la condizione paradossale dell’essere comandato da una macchina. Le macchine in questione create da Demers e Vorn sono tutt’altro che androidi dall’apparenza umana, piuttosto ricalcano l’estetica industriale dei robot sferraglianti della Mutoid Waste Company, della Fura dels Baus o di Stelarc e degli altri gruppi di arte robotica attivi da decenni come i Survival Research Laboratories e il Robot Group. Con le opere di alcuni di loro, che da tempo indagano la relazione uomo-tecnologia, ci sono delle forti analogie. Gli esoscheletri infernali ricordano in particolare Requiem, «la macchina per scrivere gesti» 5 di Marcel·lí Antúnez Roca. Anche questa gestisce il movimento di tutto il corpo della persona che la indossa ma in questo caso è lo spettatore ad attivare la tipologia e la potenza delle coreografie meccaniche da far eseguire. Il concetto di questa opera, evocato anche dal nome, è comunque connesso alla morte, alla tortura e alla punizione divina. La funzione dell’esoscheletro cibernetico è quella di potenziare le capacità fisiche dell’utilizzatore: nel campo medico diventa supporto per la riabilitazione robotizzata, in quello militare è il mezzo per duplicare la resistenza e la forza fisica. In Inferno, e anche in Requiem, questo robot, che per etimologia significa schiavo 6 , non è più al servizio dell’uomo: per contrappasso, da muscolatura artificiale diviene il mezzo che controlla il corpo. Nell’inferno dantesco rivisitato da Vorn e Demers la punizione dell’uomo è quella di venire manipolato e preso in pugno dalla tecnologia e diventare a sua volta parte meccanica? Questo scenario distopico non rispecchia semplicemente la paura per il ruolo che avrà la tecnologia nel futuro presagito da Kutzweil. I due autori più che riproporre una variante hi tech del mito prometeico, in cui la creatura (la tecnologia) si ribella al creatore (l’uomo), si interrogano sul tema della punizione, del potere esercitato sul corpo. L’uomo che perde l’intenzionalità e la facoltà di decidere sul proprio corpo, diventa il corpo docile di Foucault. Secondo il filosofo francese sarebbe il corpo umano l’ente moderno su cui si esercitano le relazioni di potere-sapere: «I rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono, lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e reciproche, alla sua utilizzazione economica.»7 La macchina, a sua volta, diventa la materializzazione mostruosa della microfisica del potere che gli apparati e le istituzioni esercitano sul corpo umano. La tecnologia quindi non è concepita come ente antitetico (Macchina Vs Uomo ) «La tecnologia è ciò che definisce essere umani. Non è una sorta di oggetto esterno in antagonismo con noi, è parte della nostra natura umana. Costruisce la nostra natura umana.» 8 In questa ottica la distopia non è l’avvento dell’Intelligenza Artificiale superiore e ci sono buoni motivi per credere che prima o poi una verrà creata. Il vero inferno, o futuro prossimo, non è quello in cui la macchina si ribella all’uomo, ma quello in cui l’uomo «opera attra5

A cura di Annamaria Monteverdi, MARCEL.LI’ ANTUNEZ ROCAFare robot, creare la vita. In http://www.digitalperformance. it/?p=904.

6

Dal nome proprio ceco robot, deriv. da robota ‘lavoro forzato’, attribuito dal drammaturgo k. Čapek agli automi che lavorano come operai nel suo dramma R.U.R (1921).

7

Michel Foucault, Sorvegliare e Punire, Einaudi editore, 1976, pag. 28.

8 «Technology is what defines being human. It’s not an antagonistic alien sort of object, it’s part of our human nature. It constructs our human nature». Stelarc.

verso delle specifiche tecnologie capaci di plasmare, piegare ed assoggettare il corpo, di renderlo forza utile e produttiva» 9 (Potere Vs Uomo). La forza dell’opera Inferno sta nel far esperire fisicamente la perdita della volontà del movimento e l’essere manipolato da una forza esterna. Lo spettatore immerso nella sinfonia siderurgica, diventa la marionetta umana animata dalla macchina-potere.

ROMAEUROPA DIGITALIFE 10 ottobre - 6 dicembre 2015 MACRO Testaccio – La Pelanda, Piazza Orazio Giustiniani 4 - Roma

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Tommaso Visone, Sorvegliare e punire di Michel Foucault: un’introduzione (Prima parte) http://www.sintesidialettica.it/print_articoli. php?AUTH=135&ID=355&STYLE=print#sdendnote24sym

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INFERNAL ROBOTS AND DOCILE BODIES Arianna Forte

«First we build the tools, then they build us.» Marshall Mcluhan

It’s not difficult to barely see a prophetic tone between the words of the famous academic McLuhan. Never so much like today we realize how much these tools are able to build our future. As Ray Kurzweil says this future is getting closer very fast: the academic theorizes that the technological transformation power follows an exponential going1 . According to Kurzweil, the Technological singularity2 - the moment when progress will go beyond human comprehension culminating with the fusion between our biological existence and technology - is imminent. If we think that last year for the first time absolutely a computer passed the Turing3 test which is used to stablish whether a machine could be able to think or not, we realize how the ten years ago Kurzweil previsions aren’t completely sci-fi. Do we expect the coming of a superior Artificial intelligence that will oppose to our biological existence? This kind of Asimov scenery inspires the Canadian Luis Philippe Demers and Bill Born’s artistic imaginary. They create cybernetic devices that bring to apocalyptic robot representations. 1

Raymond Kurzweil, La singolarità è vicina, Apogeo, 2008.

2

Ibidem.

3

In June 2014, Eugene Goostman, a cleverbot (a programme able to talk in a conversation), overcame the Turing test and convinced the 33% of the jury. In http://www.wired.it/attualita/ tech/2014/06/09/computer-superato-test-turing/

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It’s exactly in their last work Inferno, performed last October at Digitalife4 , that spreads McLuhan’s rolling echo words. Inferno is a participative robotic performance. It takes place in a gloomy and tense setting. Mechanical devices hang from the ceiling and, in between cables and aluminum layers, wrap human presences up. Metallic screeching and industrial thuds come along with the clumsy and jerked choreography of this bulky figures made gloomily visible by random light beams. In this unusual configuration human-machine it’s not the man to determine his actions but the machine leads the dance and his movements, his steps, making him doing predetermined paths. The visitor wears the robotic exoskeleton and becomes himself raw material (flesh) of the hybridization with technology. He’s the real s-ubject of the dystopian representation and literally feels on his skin the experience of the body constriction and the paradoxical condition of being controlled by a machine. Demers and Vorn’ s machines aren’t just androids with human appearance, they mostly resemble the clanking robots of the Mutoid Waste Company, of the Fura dels Baus or Stelarc and other groups of robotic art, active for decades, like Survival Research Laboratories and Robot Group. There are strong analogies with the works of some groups that study the relation man - technology since long. The terrible exoskeletons particularly remind Requiem, «the machine to write gestures»5 of Marcel▪lì Antùnez Roca. Also this machine manages the 4

Digitalife 2015, 10 Ottobre – 6 Dicembre, MACRO Testaccio – La Pelanda, Piazza Orazio Giustiniani 4, Roma.

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Curated by Annamaria Monteverdi, MARCEL.LI’ ANTUNEZ ROCA – making robots, creating life. http://www.digitalperformance.it/?p=904.


floppy Opposite: 2012 (année de réalisation) Credits photos: Louis-Philippe Demers.

credit: Gregory Bohnenblust

body movements of who’s wearing it, but in this case it’s the viewer to activate the mechanical choreographies power and typology the machine has to carry out. This work concept, as the name evokes, is connected to death, torture and divine punishment. The cybernetic exoskeleton function is that to boost the user’s physical abilities: in the medical field it becomes a support for robotic rehabilitation, in the military field it’s a tool to duplicate physical strength and endurance. In Inferno and also in Requiem, this robot - that by etymology means slave 6 - isn’t on man service anymore: as for retaliation, starting as an artificial muscle, it becomes the way to control the body. In Dante’s work Inferno reviewed by Vorn and Demers, is man punishment to be manipulated and held by technology, becoming himself a mechanical part? This dystopian scenery doesn’t simply reflect the angst about the role technology will have in Kutzweil predicted future. The two authors more than proposing a hi-tech variation of Promethium myth, where the creature (technology) rebels to the creator (human being), question themselves about the punishment and power exercised on the body. The man who loses intention and capability to decide about his own body, becomes the docile body of Foucault. According to the French philosopher, the human body would be the modern entity on which the relations power-knowledge exercise: «[...] power relations have an immediate hold upon it; they invest it, mark it, train it, torture it, force it to carry out tasks, to perform

ceremonies, to emit signs. This political investment of the body is bound up, in accordance with complex reciprocal relations, with its economic use»7. The machine becomes the monstrous materialization of power microphysics apparels and institutions make on human body. Technology is not meant like antithetical entity (Machine Vs Man) «Technology is what defines being human. It’s not an antagonist alien sort of object, it’s part of our human nature. It constructs our human nature» 8 . In this optic dystopia is not the advent of the superior Artificial intelligence and there are good reasons to believe that sooner or later one will be created. The real hell, or next future, is not that where machine rebels to man, but that where the man «works through specific technologies capable to shape, bend and subject the body, to make it a productive and useful strength» 9 ( Power Vs Man). The work Inferno strength is in bringing physically the loss of movements will and being manipulated by an external force. The viewer, absorbed in the steel and iron symphony, becomes the human marionette animated by the power-machine.

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Michel Focault, Discipline and Punish, The birth of the prison, VINTAGE BOOKS, A DIVISION OF RANDOM HOUSE, INC. NEW YORK, p. 25-26 https://zulfahmed.files.wordpress.com/2013/12/ disciplineandpunish.pdf

ROMAEUROPA DIGITALIFE 10th october - 6th december 2015 MACRO Testaccio – La Pelanda, Piazza Orazio Giustiniani 4 - Rome 7 Stelarc. 8 «Technology is what defines being human. It’s not an antagonistic alien sort of object, it’s part of our human nature. It constructs our human nature». Stelarc. Tommaso Visone, Sorvegliare e punire di Michel Foucault: un'introduzione (Prima parte) http://www.sintesidialettica.it/ print_articoli.php?AUTH=135&ID=355&STYLE=print#sdendnote24sym

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Italo Rota

Una storia elettrica Quodlibet, 2014 - 267 pagine «Niente idee se non nelle cose» - Questa la citazione del poeta e scrittore statunitense William Carlos Williams che troviamo nell’interno della copertina dorata e riflettente della splendida edizione Quodlibet di Una storia elettrica di Italo Rota. Come un assunto iniziale, la frase ci porta nella dimensione di un delicato pragmatismo che vede nei fatti, nei materiali, nelle cose concrete, il giusto luogo per le idee, quasi a dire che queste ultime non servono a nulla se non applicate. Questo è forse il senso ultimo - e più alto - dell’architettura, dove arte e storia entrano nelle dinamiche della vita e si fanno luogo. Lo sa bene Italo Rota, architetto e designer, formatosi nello studio di Vittorio Gregotti e nella redazione della rivista Lotus, attento alle significazioni culturali e all’idea di architettura come raccoglitore, come veicolo di senso, sia nel quotidiano che nell’eccezionale (si ricorda la collaborazione con Gae Aulenti negli anni ‘80 per il nuovo allestimento del Musée d’Orsay e la revisione del Museo del Novecento a Milano, inaugurato nel 2010). Revisione, significazione, ottimizzazione. In Una storia elettrica, Rota propone un nuovo approccio alla contemporaneità protratto verso l’efficienza energetica. La rete internet, il movimento, la luce, il calore informano gli spazi del vissuto seppur nella loro apparente invisibilità e intangibilità, così come l’eneriga elettrica. Nella rivoluzione digitale che stiamo vivendo, alla ricerca di una nuova Estetica, si delineano gli homines energetici pronti per la terza rivoluzione industriale che ha già iniziato a configurarsi. La lezione di Rota è dettagliata, scorrevole e mai noiosa; è il racconto di una storia affascinante che parla di tecnologia e evoluzione dell›umanità; con piccoli flash combinatori in stile postmoderno e interdisciplinare - citando David Lynch, Gilles Clement, Bruce Lee e il geologo Stoppani, per dirne alcuni - Rota spiega come si è arrivati alla consapevolezza che l’essere umano è diventato fattore integrato dell’evoluzione geologica del pianeta Terra, tanto che l’attuale era geologica è definita Antropocene. Questa nuova era in cui gli umani hanno iniziato ad alterare in modo considerevole e permanente l’ambiente globale, anche attraverso grandi opere di tecnologia, ricolloca l’essere umano all’interno dei massimi sistemi e porta alla necessità, da parte di tutte le discipline del sapere, di organizzare nuovi punti di vista e riflessioni in base alle nuove responsabilità. Oltre ai sei capitoli testuali sorretti attorno alle parole chiave di sostenibilità, bellezza, efficienza, energia, partecipazione, troviamo un apparato delle immagini ricchissimo - definito Atlante con un richiamo inevitabilmente warburghiano - che si estende per 172 pagine dai colori vividi e intensi: accanto alle immagini realizzate dallo stesso Rota, si rintracciano i saggi fotografici di Mattia Balsamini e Giovanni Chiaramonte, composizioni fotografiche di ambienti naturali e antropizzati, che spesso sono maquette in scala dove omini in plastica sono ritratti in scene di vita quotidiana, di svago o di lavoro. Nell’Atlante compaiono anche immagini del progetto Life/Installed di Italo Rota, presentato da Samsung al Fuorisalone di Milano nel 2012, in cui l’ambiente intimo della casa si amplifica in una realtà aumentata, attraverso il filtro del tablet, mostrando una nuova tecnologia che trasforma lo spazio domestico per incontrare le esigenze di chi lo abita. Tra lo spazio privato e quello pubblico, tra la stanza e la strada, il futuro è un terrain vague e l’architetto dello spazio e della materia lascia i suoi strumenti per inventare un’architettura della comunicazione, della visione, ancor più dell’esperienza. Propone una filosofia contemporanea, contaminata e piena di pertinenze, proprio come la vita vissuta. Jamila Campagna

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legêre Italo Rota

Una storia elettrica Quodlibet, 2014 - 267 pages «No ideas but in things» – This is the American poet and writer William Carlos Williams’ quote we find inside the reflective and golden cover of Una storia elettrica by Italo Rota from the excellent Quodilibet edition. As initial assumption, the sentence brings us in the dimension of a soft pragmatism that sees in facts, materials, in concrete things, the right place for ideas, almost to say that ideas are useless if not applied. This is probably the last – and the higher - architecture sense, where art and history get inside life dynamics and there they take place. The architect and designer Italo Rota knows it well: trained at Vittorio Gregoretti’ s studio and Lotus magazine redaction, minded towards the cultural significances and the idea of architecture seen as collector, as a vehicle of sense, so in the routine as in the exceptional (we remind the cooperation in the ‘80s with Gae Aulenti for Musèe d’Orsay new setting up and the re-vision of Museo del Novecento in Milan, inaugurated in 2010). Revision, significance, optimization. In Una storia elettrica, Rota proposes a new approach to contemporaneity protracted towards energetic efficiency. Internet, movement, light, heat inform the spaces of living although in their apparent invisibility and intangibility, like electric energy. In the digital revolution we are going through, in search of a new Esthetic, the homines energetici outline, ready for the third industrial revolution which has already begun to set. Rota’s lesson is detailed, flowing and never boring; it’s a fascinating story that talks of technology and humankind evolution; combining fragments in a postmodern and interdisciplinary style – mentioning David Lynch, Gilles Clement, Bruce Lee and the geologist Stoppani, and more – Rota explains how we’ve reached the consciousness that the human being has become an essential factor of the Earth geological evolution, so much that the current geological era is defined Anthropocene. This new era where humans have started to alter, in a considerable and permanent way, the global environment, also through big technology works, re-collocates human being inside maximum systems and brings to the necessity, for all the knowledge disciplines, to organize new points of view and considerations according to the new responsibilities. Besides the six text chapters supported around the key words of sustainability, beauty, efficiency, energy, participation, we find a rich images apparel – defined Atlante with an inevitable recall to Warburg – that extends for 172 intense and vivid colored pages: next to the images realized by Rota himself, we find Mattia Balsamini and Giovanni Chiaramonte’s photographic essays, photographic compositions of anthropic and natural environments, which are often maquette in scale where small plastic characters are portrayed in scenes of everyday life, leisure or work. In Atlante, appear also images of Italo Rota’s project Life/ Installed, presented by Samsung at Fuorisalone of Milan in 2012, where the intimate house environment amplifies into an augmented reality, through the tablet filter, showing a new technology that transforms the domestic space to meet the needs of who lives in it. Between the private and public space, between the room and the street, the future is a terrain vague and architect leaves his tools - the space and matter - to invent an architecture of communication, of vision and, especially, an architecture of experience. He proposes a contemporary philosophy, contaminated and full of appliances just like life. Jamila Campagna

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Max Catena, Perceptio Naturalis, Fotogramma n°29, 2015

Max Catena, classe 1989, è un architetto, fotografo e artista visuale. Nasce a Roma, dove frequenta i primi anni di liceo per poi concludere gli studi presso il Collegio Navale Morosini, a Venezia. Contestualmente con l’incedere degli studi architettonici avvia il suo percorso artistico legato all’immagine e nel 2010 inizia uno studio sulle periferie della Capitale. La ricerca artistica è proseguita spostando lo sguardo ai paesaggi naturali attraverso cui il tutto viene riportato a una dimensione umana. La percezione dello spazio, del paesaggio urbano e naturale, è il tema portante di tutta la sua ricerca artistica, tradotta in un linguaggio in continua evoluzione tra diversi progetti, in particolare Perceptio naturalis e Thalassa. È tra i fondatori del gruppo artistico Resiliens, all’interno del quale, pregno del significato generatore di questo progetto, abbraccia un più ampio senso del concetto d’immagine, lavorando anche su installazioni visive e progetti grafici, sposando così la sua passione per l’espressione visiva con quella per la musica elettronica.

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Max Catena, born in 1989, is an architect, photographer and visual artist. He’s born in Rome, where he attended the high school first years to finish his studies at the Collegio Navale Morosini, in Venice. Later he started the architectural studies together with a visual arts path; in 2010 begins a study about Rome suburbs. His artistic research carried on focusing on natural landscapes through which the whole is brought back to a human dimension. The perception of space, urban and natural landscape is the main topic, translated into a language in continuous evolution among different projects, in particular Perceptio naturalis and Thalassa. He is among the founders of the artistic group Resiliens, where, full of the meaning which has generated this project, he embraces a larger sense of the image concept, working also on visual installations and graphic designs, combining his passion for visual expression with that for electronic music.



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