IL MURO 6

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ART PHILOSOPHY VISUAL CULTURE

N.6 GENNAIO-FEBBRAIO 2016 FREEPRESS


SUCCURSALI

SAN FELICE CIRCEO Borgo Montenero Via Monte Circeo, 148 Tel. 0773 598331 Fax 0773 598556

PONTINIA Viale Europa Tel. 0773 8431 Fax 0773 868140

SEZZE Via Roccagorga Tel. 0773 800003 Fax 0773 802048

SANTI COSMA E DAMIANO Via F. Baracca, 322 Tel. 0771 675233 Fax 0771 675291

SABAUDIA Corso V. Emanuele III, 35 Tel. 0773 511080 Fax 0773 511078

LATINA Largo F. Cavalli, 18 Tel. 0773 629094 Fax 0773 609961

SABAUDIA Borgo San Donato Via Migliara 47 n.21 Tel. 0773 561227 Fax 0773 562199

SERMONETA Via Le Pastine, 5 Tel. 0773 318405 Fax 0773 318338

SONNINO Via Consolare - Loc. Frasso Tel. 0773 947491 Fax 0773 949233

Sede e Centro Direzionale PONTINIA Via F. Corridoni, 37 Tel. 0773 8431 Fax 0773 869310

LATINA Borgo San Michele Via Capograssa, 377 Tel. 0773 252338 Fax 0773 254355 TERRACINA Via Appia, 120 Tel. 0773 705106 Fax 0773 704660


INDICE 4 CONTEMPORARY

IL MURO Art, Philosophy and Visual culture

Renzo Arbore. La mostra, di Jamila Campagna Renzo Arbore. An Exhibition, Jamila Campagna

Pontinia. Una città contemporanea, a cura della redazione Pontinia. A Contemporary city, by the Editorial team

1 2 CONTEMPORARY INTRAVISTA CONTEMPORARY INTRAVIEW Nuovi Arrivi, Nuove Storie, a cura di Gaia Palombo

New Arrivals, New Stories, curated by Gaia Palombo

rivista bimestrale / bimonthly magazine n. 6, gennaio - febbraio 2016

16 EQUIVALENTS

Direttore responsabile / Director general Luisa Guarino

18 LA RECHERCHE

Direttore creativo / Creative director Jamila Campagna Caporedattore / Editor-in-chief Gaia Palombo Progetto grafico / Graphic project Valentino Finocchito

Roberto Nistri - Mattia Panunzio. Metafisiche e Metamorfosi

Officina Pasolini, a cura di Vera Viselli

Officina Pasolini, curated by Vera Viselli

23 WHAT'S APP

UT e Umberto Eco. Incontro alla fine e all’inizio del mondo, a cura di Jamila Campagna UT and Umberto Eco. Meeting at the end and at the beginning of the world, curated by Jamila Campagna

Ricerca iconografica / Iconographic research Jamila Campagna Gaia Palombo

28 LA RUOTA PANORAMICA

Hanno scritto su questo numero (in ordine alfabetico): Contributors (in alphabetical order): Elena Bellantoni Jamila Campagna Stefania Crobe Arianna Forte Valeria Martella Gaia Palombo Vera Viselli

Per la consulenza in lingua inglese, si ringraziano: For the English consulting, thanks to: Gabriella Campagna Jamila Campagna Serena Maccotta

THE BIG WHEEL

L’altro dove che guarda il lato nascosto del cubo di cui vedo solo

la parte rivolta a me, di Stefania Crobe The other where which looks at the hidden side of the cube of which I can only see the part facing me, Stefania Crobe

32 DROMOSCOPIA / DROMOSCOPY

A CURA DI / CURATED BY VERA VISELLI

Flesh and Bone

Hateful Eight

34 LA CAVERNA DI PLATONE

PLATO’S CAVE

Oltremare - Blue, Derek Jarman, di Valeria Martella

Ultramarine - Blue, Derek Jarman, Valeria Martella

Redazione / Editorial address IL MURO via Veio 2, 04100, Latina

36 ARTIST’S WORD

Editore e Proprietario / Publisher and Owner IL MURO associazione culturale via Veio 2 04100 Latina

42 MZK INTRAVISTA / MZK INTRAVIEW

Web www.ilmuromagazine.com Contatti / Contacts infoilmuro@gmail.com www.facebook.com/ ILMUROmagazine Stampa / Print Tipografia PressUp Roma

Pronto Soccorso, di Elena Bellantoni

First Aid, Elena Bellantoni

Jack Savoretti. Made in Italy, di Vera Viselli

Jack Savoretti. Made in Italy, Vera Viselli

46 MICROCULTURE 100 Montaditos a Latina

100 Montaditos in Latina - Italy

51 BACKLOOK Ambrogio Lorenzetti. Dentro il restauro

Ambrogio Lorenzetti. Inside Restoration

54 FLOPPY

Registrazione al Tribunale di Latina n.1 del 9 febbraio 2015 ISSN 2421-2504 (edizione cartacea) ISSN 2421-2261 (edizione online)

L’arte oltre la realtà. Una conversazione con ZebraMapping,

In copertina: Pier Paolo Pasolini, foto da Officina Pasolini, MaMbo Museo d'Arte Moderna di Bologna

58 ENDING TITLES

di Arianna Forte Art beyond reality. A conversation with ZebraMapping, Arianna Forte

Valentina Malgarise, Splash


IL MURO

RENZO ARBORE. LA MOSTRA

VIDEOS, RADIOS, CIANFRUSAGLIES di Jamila Campagna

Renzo Arbore. La Mostra - visitabile fino al 3 aprile presso il museo MACRO Testaccio - La Pelanda di Roma - celebra i 50 anni della straordinaria carriera di Renzo Arbore e arriva nel trentennale di Quelli della notte. La mostra - con un allestimento curato dagli scenografi Alida Cappellini e Giovanni Licheri - ha un sottotitolo e un motto. Il motto campeggia all’ingresso, “Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate”, una manciata di parole che ammiccano alla celebre frase sulle porte dell’Inferno dantesco, ribalntandola in positivo, aprendo subito il percorso espositivo in chiave pop surrealista. Citazionismo, ribaltamento di senso, gioco linguistico, tutti elementi di quel postmoderno di cui Arbore è padre e figlio al contempo. Il sottotitolo “Videos, radios, cianfrusaglies” inquadra bene tutto questo: i mezzi di comunicazione, la valorizzazione dell’intrattenimento e dello spettacolo su scala massificata, il gusto del bizzarro e del kitch nel collezionismo, via d’uscita dalla dimensione borghese, perché «occorre razzolare nell’inconsueto», come Arbore ama dichiarare. Le cianfrusaglies di Arbore sono oggetti dell’immaginazione che arrivano al MACRO Testaccio direttamente dalla sua collezione privata, conservata gelosamente in casa: personaggi variopinti, strumenti musicali, oggettistica dissacrante, occhiali da sole bizzarri, borsette, radio, camicie, cravatte, gillet sgargianti - tra cui spicca un gillet-opera di De Pero. Oggetti raccolti durante i viaggi in giro per il mondo che messi insieme formano un merchandising particolare perché vissuto, sintesi di valore artistico, musicale, culturale, che diventa un tutt’uno con il valore umano e relazionale. Colori e musica, spezzoni televisivi, scenografie, spot pubblicitari, oggettistica, copertine di riviste e dischi, le teche del MACRO Testaccio raccontano un artista straordinario la cui carriera ha profondamente segnato la cultura italiana.

Renzo Arbore. La mostra Videos, radios, cianfrusaglies “Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate” 19 dicembre 2015 – 3 aprile 2016 MACRO Testaccio - La Pelanda Piazza Orazio Giustiniani, 4 Roma Orari: dal martedì al venerdì ore 14.00 - 20.00 Sabato, domenica ore 10.00 -20.00 Aperto: 28 dicembre 2015, 4 e 6 gennaio e 28 marzo 2016 ore 10.00 - 20.00 La biglietteria chiude alle 19.00. Chiuso il lunedì. Info e Prenotazioni www.mostrarenzoarbore.it call center 199 - 15 -11 - 21

«Mi hanno attribuito l’invenzione dell’Altro» - dichiara Renzo Arbore - «L’Altra radio, L’Altra televisione, l’Altra domenica, l’Altra musica napoletana, indicando con il termine “Altro” il recupero di un intrattenimento di qualità nei miei programmi, prototipi di qualcosa di nuovo». E così è un Altro museo quello proposto in questa occasione: un’esposizione quasi etnografica dove viene mostrato anche l’effimero, condensato nei piccoli oggetti di una società dei consumi che si rinnova rapidissima e velocizza il processo di storicizzazione: la settimana scorsa è già passato remoto. Nell’anteprima della mostra Arbore è brillante e affabile esattamente come la sua versione miniaturizzata che compare negli schermi dei televisori. Gli chiedo se non teme la transitorietà di questi oggetti, destinati a perire rapidamente, e la sua risposta è puntuale: «Questi sono oggetti destinati a sopravvivere; tutta questa roba sembrava destinata ad animare solo una breve stagione e invece sopravviverà perché, ad esempio, i gadget, prodotti in quantità negli anni ‘80, ora non li fanno più; allo stesso modo è stata sospesa la produzione delle bellissime borsette di plastica da donna della California e della Florida anni ‘30. Faccio sempre il discorso della sopravvivenza, anche artistica... perché la televisione che ho fatto si vede ancora oggi? Perché sono furbo: non ho fatto attualità! ». Nell’immaginario sconfinato di Arbore, mentre tutto passa in fretta, la plastica diventa emblema del senza tempo e la rarità e l’eccentrico delineano ciò che resterà. «Venire per credere!»

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CONTEMPORARY

Legêre special RENZO ARBORE.

E SE LA VITA FOSSE UNA JAM SESSION? FATTI E MISFATTI DI QUELLO DELLA NOTTE a cura di Lorenza Foschini Rizzoli, 2015

Renzo Arbore è quello della notte, ma anche quello di Bandiera Gialla, di Alto Gradimento, di Indietro tutta; è quello della Barilla Boogie Band, degli Swing Maniacs, dell’Orchestra Italiana; quello che nel 1991, al debutto internazionale con l’Ochestra Italiana, al Montreux Jazz Festival, venne definito da Quincy Jones the new Italian renaissance man. In effetti Renzo Arbore è un artista dello spettacolo in tutte le sue possibili declinazioni, figlio di quella Rai istituzionale che ha fatto la cultura italiana, ideatore di un nuovo tipo di intrattenimento, - prima nella radio e poi nella televisione - basato sull’ironia intelligente, sul potere culturale della divulgazione. E se la vita fosse una Jam Session? è una biografia dove la carriera artistica e la vita privata si rincorrono e si intrecciano, esplosive, senza potersi separarsi mai. La metafora jazzistica del titolo ci dice con quale sguardo iniziare la lettura. Improvvisazione e intuizione, ritmo e collaborazione; queste le parole chiave della sua creatività e della sua filosofia di vita, tutti elementi di una vera e propria jam session. Un racconto affettivo fatto in prima persona, tra aneddoti e ricordi, dietro le quinte e sul palcoscenico. Nella pagine del libro, edito da Rizzoli in una bellissima carta perlacea, tante foto dall’album di famiglia di Arbore si mischiano a quelle della sua giovinezza a Napoli, tra la facoltà di Giurisprudenza e le serate passate in musica, agli scatti degli anni romani, alle immagini delle avventure radiofoniche e poi televisive, a quelle dei tour di concerti in giro per il mondo fino ad arrivare a oggi. Con tono colloquiale Arbore racconta la sua vita iperbolica: la tragedia dei bombardamenti a Foggia e il trasferimento a Chieti, poi finalmente la Liberazione con l’arrivo degli americani. Le jeep statunitensi - «e chi le aveva mai viste le auto scoperte?» - da cui usciva una musica dal «ritmo gioioso, trascinante, mai sentito prima!», portavano il fascino di quella che Arbore definisce come «l’immagine irripetibile della libertà», che fece breccia dentro uno come lui, che aveva suonato e cantato sin da bambino, segnando, forse inconsciamente, il ritmo del suo futuro. Tra i vari capitoli in multicolor - art direction di Sergio Pappalettera e progetto grafico a cura di Daris Diego Del Ciello - spiccano i racconti legati ai suoi compagni di avventura, tra vita privata e spettacolo: delicate e immancabili le pagine riservate al più grande amore della sua vita, Mariangela Melato; e poi Gianni Boncompagni, Giorgio Bracardi, Marisa Laurito, Nino Frassica, Simona Marchini, Maurizio Ferrini, solo per citarne alcuni. Con loro ha architettato programmi tra il goliardico e il culturale, con personaggi surreali, fatti di un’ironia ardita e discussioni che echeggiavano le conversazioni disutili fatte anni prima con l’umanità variopinta degli amici del Bar Haiti, a Foggia, nel dopoguerra. Dai massimi ai minimi sistemi, perseguendo sempre tutto ciò che è «fuori dal banale, fuori dal classico, fuori dal bellissimo: in una parola, l’originalità».

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IL MURO

RENZO ARBORE. LA MOSTRA

VIDEOS, RADIOS, CIANFRUSAGLIES Jamila Campagna

Renzo Arbore. La Mostra – to be visited till 3rd of April at MACRO Testaccio – La Pelanda museum in Rome – celebrates 50 years of Renzo Arbore’s extraordinary career and it comes for the thirty years of Quelli della note. The Exhibition – with a set curated by the scenographers Alida Cappellini and Giovanni Licheri – has a subheading and a motto. The motto stands out at the entrance, “Let all sorrow ye who enter here”, a bunch of words that winks to the famous sentence written on Dante’s Inferno doors, reversed in positive, opening so the exhibition itinerary in a surrealist pop key. Citationism, overturned meanings, play on words, elements of that postmodern of which Arbore is father and son at the same time. The subheading “Videos, radios, cianfrusaglies”, frames well all this: the mass media, the enhancement of mass entertainment, taste for bizarre and kitsch in collecting, gateway from bourgeois dimension, because «we must scratch about in the unusual», as Arbore loves to say. Arbore’s cianfrusaglies are imagination objects that come to the MACRO Testaccio straight from his private collection, jealously kept at home: colorful characters, music instruments, desecrating objects, bizarre sunglasses, handbags, radios, shirts, ties, gaudy waistcoast – among them sticks out one of De Pero’s artwork-waistcoat. Objects collected during his journeys around the world, they all together form a particular experienced merchandising, summary of an artistic, musical, cultural value that becomes all in one with a relational and human value. Music and colors, television cuts, sets, commercials, objects, record and magazine covers, the MACRO Testaccio showcases tell about an extraordinary artist whose career has deeply marked the Italian culture. «They’ve attributed me the invention of the Other» - says Renzo Arbore - «The Other radio, the Other television, the Other Sunday, the Other Neapolitan music, indicating - with the word “Other” - the rescue of a quality entertaining in my shows, prototypes of something new». So it’s an Other museum in this occasion: almost an ethnographic display where also the ephemeral is displayed, condensed in small objects of a consumer society that renews itself rapidly and makes the historic process fast: last week is remote past already. During the exhibition preview, Arbore in person is brilliant and reliable exactly like his miniature version that appears on television. I ask him whether he fears the transience of these objects, destined to perish rapidly, and his answer is accurate: «These are objects destined to survive; all this stuff seemed destined to animate a short season only, it will survive instead because, for instance the largely produced gadgets in the 80’ s, are not produced anymore; the same way has been suspended the production of the beautiful California and Florida plastic handbags of the 30’s. I talk always about surviving, also artistic… why the television I did is still watched today? Because I’m clever: I have never reported current events!» In Arbore’s unlimited imaginary, while everything goes fast, plastic becomes the emblem of a timeless dimension where rarity and eccentric outline what will remain. «Come to Believe!»

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Renzo Arbore. La Mostra Videos, radios, cianfrusaglies “Lasciate ogni tristezza voi ch’entrate” 19th December 2015 – 3rd April 2016 MACRO Testaccio – La Pelanda Piazza Orazio Giustiniani, 4 Roma From Tuesday to Friday 14.00h – 20.00h Saturday, Sunday 10.00h – 20.00h Ticket office closes at 19.00h. Closed on Monday. Info and Booking www.mostrarenzoarbore.it call center 199 - 15 -11 - 21

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CONTEMPORARY

Legêre special RENZO ARBORE.

E SE LA VITA FOSSE UNA JAM SESSION? FATTI E MISFATTI DI QUELLO DELLA NOTTE curated by Lorenza Foschini Rizzoli, 2015

Renzo Arbore is quello della notte - that of the night - but also that of Bandiera Gialla, of Alto Gradimento, of Indietro tutta; he is that of Barilla Boogie band, of Swing Maniacs, of the Orchestra Italiana; he is the one who was described by Quincy Jones as the new Italian renaissance man, in occasion of the Orchestra Italiana international debut in 1991 at the Montreux Jazz Festival. As a matter of fact Renzo Arbore is an artist in all its possible features, he is the son of that institutional television which has made the Italian culture, he’s creator of a new type of entertainment - in radio first and in television then – based on intelligent irony, on the cultural power of divulgation. E se la vita fosse una Jam Session? (And if life was a Jam Session?) is a biography where explosive artistic career and private life intertwine and chase one another, impossible to separate. The jazz metaphor tells us which is the right gaze to start reading. Improvisation and intuition, rhythm and cooperation; these are his creativity and philosophy key words, all elements of a real jam session. An emotional tale told in first person, between anecdotes and memories, behind the curtains and on the stage. In the book pages, of a very beautiful pearl paper, published by Rizzoli, many pictures from Arbore’s family album mix with those of his youth in Napoli, between the laws studies and the music nights, the shots of the period spent in Rome, with images of the radio and television adventures, with those of concert tours around the world till today. With a colloquial mood Arbore tells his hyperbolic life: the bombing tragedy in Foggia and the family moving to Chieti, finally the Liberation with the Americans arrive. The American jeep - «who had ever seen the open cars?» - from which came out a music with a «merry rhythm, compelling, never heard before!», brought the charm of what Arbore defines as «unrepeatable image of freedom», that fascinated him marking, maybe unconsciously, the rhythm of his future. Among the multicolor chapters – art direction by Sergio Pappalettera and graphic project by Daris Diego Del Ciello – stand out the stories about his adventure mates, between private life and show: the delicate pages dedicated to the greatest love of his life Mariangela Melato could not miss; then Gianni Boncompagni, Giorgio Bracardi, Marisa Laurito, Nino Frassica, Simona Marchini, Maurizio Ferrini, just to mention some. With them he has created shows in between cultural and goliardic, with surreal characters and a daring irony that resounded the non-useful discussions made years before with the colorful humanity of the Bar Haiti friends, in Foggia, during the postwar period. From the maximum to the minimum systems, always aiming to what is «out of banality, out of classic, out of beautiful: in a word, originality»

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IL MURO

Gruppo bandistico De Iulis, Ex Torre Idrica, Pontinia

PONTINIA, 80 ANNI DI CITTÀ CONTEMPORANEA a cura della redazione La città di Pontinia, fondata nel 1934, ha compiuto il suo Ottantesimo anno nel 2014; in questa occasione l’Amministrazione comunale e il MAP Museo Agro Pontino hanno collaborato per realizzare un ciclo di eventi che si è sviluppato nell’arco di un anno, con la precisa intenzione di andare oltre la semplice celebrazione dei natali di una città, offrendo alla cittadinanza dei percorsi culturali veri e propri, accanto alla realizzazione di nuovi servizi e opere pubbliche che andassero ad arricchire il contesto cittadino in modo permanente. C’è stata, dunque, un’organizzazione corale fortemente voluta dal Sindaco Eligio Tombolillo e dall’Assessore alla cultura Patrizia Sperlonga, coordinata dal team scientifico del MAP Museo Agro Pontino, con il coinvolgimento diretto dell’Assessorato Urbanistica e Lavori pubblici, al fine di mettere in sinergia le strutture in uno sforzo collettivo che potesse restituire la memoria storica della città e, al contempo, proporre l’accrescimento di un’identità cittadina contemporanea. Attraverso i poli culturali già ben affermati nella realtà di Pontinia, quali il Teatro Fellini e il MAP Museo Agro Pontino, la città ha visto il passaggio di artisti ed eventi per ricostruire un racconto contemporaneo della storia dell’Agro Pontino. Nelle giornate del 4 e 5 novembre 2015, presso il MAP di Pontinia e l’ISSIS T. Rossi di Priverno, è stato presentato ARTE e TERRITORIO - Riflessioni sul Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto (a cura di Stefania Crobe, Lorenza Lorenzon, Francesco Saverio Teruzzi), dove il Maestro Pistoletto ha presentato l’arte come portatrice di educazione civica e identità collettiva; sempre il 4 novembre, il piazzale Kennedy ha accolto, inoltre, la performance di danza urbana ri/FLESSIONE a cura di Laccio. Il 6 dicembre è stata presentata la mostra fotografica L’Equilibrio, con la premiazione del concorso fotografico Festival Pontino degli Artisti di Strada, a cura dell’Associazione cul-

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turale Cantiere Creativo che, nella stessa giornata, ha curato anche un nuova edizione del Mercatino Pontino dell’Artigianato. Il 18 dicembre è stata inaugurata Nuovi arrivi, Nuove storie, installazione site-specific realizzata da Bianco-Valente, a cura di Marianna Frattarelli, compimento della Residenza d’artista effettuata dalla coppia di artisti lo scorso luglio. Il 19 dicembre 2015, inoltre, la città ha visto una serie di eventi legati all’idea di restituire luoghi e spazi come un dono alla cittadinanza. Dall’inaugurazione del Parco della Memoria e del monumento dedicato agli 80 anni della città - realizzato dalla collaborazione tra l’artista Franco Turco e l’architetto Luigi Caponera - il gruppo bandistico De Iulis di Pontinia ha condotto il corteo delle associazioni sportive della città, tra cui le majorettes White Flower di Pontinia e Butterfly di Sezze, fino all’Ex Torre Idrica, splendido esempio di architettura razionalista che torna ad essere fruibile, dopo un importante intervento di restauro e riqualificazione, come spazio espositivo e museale. Qui è stata inaugurata la mostra Metamorfosi e Metafisiche, a cura di Alessandro Cocchieri, direttore del MAP Museo Agro Pontino: i progetti fotografici di Roberto Nistri e Mattia Panunzio raccontano la città nei suoi aspetti multiculturali, attraverso immagini in cui l’ambito lavorativo e sociale si dirama tra lo spazio urbano e il contesto rurale. A introdurre i due racconti fotografici, la performance Contaminazioni Contemporanee di Modulo Centro Studio Danza ha dato vita a uno spaccato di danza urbana nel piazzale antistante l’Ex Torre Idrica. Suggestiva la rievocazione storica con moto e auto d’epoca al MAP, in collaborazione con Modulo Centro Studio Danza, Motoclub Pontino, Vespa Club Pontinia e Bianchina Club.


CONTEMPORARY

Allestimento mostra Metafisica e Metamorfosi presso l'Ex Torre Idrica, Pontinia

Ricca la programmazione presso il Teatro Fellini, in cui il 27 novembre è andato in scena L’ultimo giorno di un condannato a morte, spettacolo tratto dal romanzo di Victor Hugo, scritto e diretto da Danilo Proia con il patrocinio di Amnesty International; il 22 dicembre è stata la volta di More than dance, Demo show, a cura di Scuola di Danza ASD Creale. Tra i concerti: Il concerto di Natale (18 dicembre), a cura di Arte e Teatro; 80 Voglia di Natale (19 dicembre), a cura di Giovani Filarmonici Pontini e Corale Polifonica città di Pontinia; Una voce per gli amici del cielo, con la direzione del Maestro Roberta Cappuccilli; Concerto dell’Epifania, a cura di Giovani Filarmonici Pontini. Non solo spettacoli e concerti: gli spazi del Fellini hanno ospitato anche AGRALDICA, un workshop interattivo - a cura di Antonio Rossi in collaborazione con MAP Museo Agro Pontino - in cui i ragazzi delle Scuole Medie Verga e Manfredini di Pontinia, guidati dallo studioso Antonio Rossi, sono stati invitati ad approcciare agli stemmi delle città di fondazione attraverso il gioco. Nella stessa mattinata ha avuto luogo 80 SCUOLA, concorso tematico sulla storia di Pontinia che ha permesso ai ragazzi di sperimentare la progettazione video e vincere contributi per nuovo materiale didattico. L’evento si inscrive nel percorso didattico di educazione all’immagine Immagina la Storia, in collaborazione con il Comune di Pontinia - Settore Servizi Sociali, l’Associazione Culturale Il Chinino e il MAP Museo dell’Agro Pontino Presso il Map Museo Agro Pontino, letteratura e saggistica sono state protagoniste di presentazioni e incontri con gli autori: AGRALDICA, di Antonio Rossi; Quando la terra era promessa, Storie dell’agro pontino e Romano, Testimonianze di Mario Tieghi e infine Gli ipocriti, di Eleonora Mazzoni, in collaborazione con Circolo Filò, che ha curato anche la proiezione del documentario Mattotti, di Renato Chiocca, con la partecipazione del regista.

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IL MURO

Monumento agli 80 anni della città di Pontinia

PONTINIA, 80 YEARS OF A CONTEMPORARY CITY by the editorial team The city of Pontinia, built in 1934, celebrated its 80th anniversary in 2014; in this occasion the local Administration and MAP Museo Agro Pontino cooperated to realize a number of events scheduled through a year, with the right intention to go beyond the simple celebration of a town founding, offering to the people cultural paths next to new services and public works which could enrich the urban context in a permanent way. There’s been, therefore, a unanimous organization strongly wanted by the Major Eligio Tombolillo and the Culture Assessor Patrizia Sperlonga, coordinated by the scientific team of MAP Museo Agro Pontino, with the direct participation of Urban and public Works Department; the intent was to put the facilities in synergy so to give back the town historical memory and, at the same time, propose the increase of a contemporary town identity. Through the cultural poles already well stated in Pontinia, as Teatro Fellini and MAP Museo Agro Pontino, the town hosted artists and events to recreate a contemporary history of the Agro Pontino. On the 4th and 5th of November 2015, , was introduced ARTE e TERRITORIO – Riflessioni sul Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto (curated by Stefania Crobe, Lorenza Lorenzon, Francesco Saverio Teruzzi), at MAP of Pontinia and the ISSIS T. Rossi of Priverno: Maestro Pistoletto presented the art as bearer of civic consciousness and collective identity; on the 4th of November, Kennedy square hosted the urban dance performance ri/FLESSIONE curated by Laccio. On the 6th of December the photography exhibition L’Equilibrio was presented, with the award of the photograph competition Festival Pontino degli Artisti di Strada, curated by the cultural Association Cantiere Creativo which, in the same

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day, also organized a new edition of Pontino’s Handcrafts Market. On the 18th of December was inaugurated New arrivals, New stories, a site-specific installation made by Bianco-Valente, curated by Marianna Frattarelli, completion of the Artist’s Residence carried out last July by the artists couple. On the 19th of December 2015 the city presentted a series of events following the idea to give back places and spaces to the citizens as a gift. From the inauguration of Parco della Memoria and the monument dedicated to the city 80 years – made by the artist Franco Turco in cooperation with the architect Luigi Caponera – De Iulis marching band of Pontinia guided the city sport associations parade - among them the majorettes White Flower of Pontinia and Butterfly of Sezze - to the Ex Torre Idrica, wonderful example of rationalist architecture, which now can be used again as exhibition space and museum after an important restoration work and renewal. The same day, here, there was the opening of the exhibition Metamorfosi e Metafisiche, curated by Alessandro Cocchieri, Director of MAP Museo Agro Pontino: Roberto Nistri and Mattia Panunzio’s photograph projects tell the story of the town in its multicultural aspects, through images where social and work environment divides between urban space and rural context. The perfomance Contaminazioni Contemporanee of Modulo Centro Studio Danza introduced the photographic stories with a urban dance on the square in front of the Ex Torre Idrica. Evocative the historical re-enactment with vintage cars and motorcycles at MAP, in cooperation with Modulo Centro Studio Danza, Motoclub Pontino, Vespa Club Pontinia and Bianchina Club. The Teatro Fellini schedule was rich: on 27th November went


CONTEMPORARY

Allestimento mostra Metafisica e Metamorfosi presso l'Ex Torre Idrica, Pontinia

on stage L’ultimo giorno di un condannato a morte, adapted play from Victor Hugo’s novel, written and directed by Danilo Proia with the support of Amnesty International; the 22nd of December the Scuola di Danza ASD Creale performed More than dance, Demo show. Among the concerts: Christmas concert (18th.12), curated by Arte e Teatro; 80 Voglia di Natale (19th. 12), curated by Giovani Filarmonici Pontini and Corale Polifonica città di Pontinia; Una voce per gli amici del cielo, directed by the Maestro Roberta Cappuccilli; Epifany Concert, curated by Giovani Filarmonici Pontini.

Gruppo bandistico De Iulis, Ex Torre Idrica, Pontinia

The Fellini Theater hosted also AGRALDICA, an interactive workshop – by Antonio Rossi in cooperation with MAP Museo Agro Pontino – where the students of Pontinia Scuole Medie Verga and Manfredini, lead by the academic Antonio Rossi, were invited to approach the founding towns emblem through the play. The same morning took place 80 SCUOLA, a thematic contest about the history of Pontinia which gave the students the chance to experience video design and win grants for new educational material. The event is part of the educational path of education to image Immagina La Storia, in cooperation with Comune of Pontinia – Social Services Sector, Il Chinino Cultural Association and MAP Museo dell’Agro Pontino. At the MAP Museo Agro Pontino, literature and essay writing have been protagonists of presentations and meetings with the authors: AGRALDICA, by Antonio Rossi; Quando la terra era promessa, Storie dell’agro Pontino e Romano, Testimonianze by Mario Tieghi and Gli Ipocriti, by Eleonora Mazzoni, in cooperation with Circolo Filò, which also curated the projection of the documentary Mattotti, by Renato Chiocca.

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IL MURO

ph. Jamila Campagna

BIANCO VALENTE

NUOVI ARRIVI, NUOVE STORIE a cura di Gaia Palombo Nell’ambito dei festeggiamenti dell’Ottantesimo Anniversario della Fondazione della città di Pontinia, il MAP Museo Agro Pontino ha presentato l’installazione site-specific Nuovi arrivi, nuove storie del duo artistico Bianco-Valente, a cura di Marianna Frattarelli. Nuovi arrivi, nuove storie, è il completamento della Residenza artistica nella città di Pontinia avvenuta lo scorso luglio e si compone di 26 bandiere colorate sopra gli edifici che si affacciano su Piazza Indipendenza. Riportiamo di seguito l’intervista che ci hanno rilasciato. La ricerca artistica che portate avanti si fonda su uno stretto legame con i territori con cui interagite e su un forte approccio antropologico; ci raccontate, in questo senso, la vostra esperienza in una città come Pontinia? La curiosità per questi territori era nata già precedentemente al nostro arrivo a Pontinia la scorsa estate, avevamo infatti terminato da poco la lettura di un famoso libro di Antonio Pennacchi; l’interesse si è sviluppato poi sempre di più con il tempo, su più livelli. Il fenomeno linguistico è stato il primo aspetto che ci ha colpito e da cui è nata la nostra riflessione: data l’affluenza di coloni provenienti da varie regioni d’Italia – Veneto e ferrarese inizialmente, in un secondo momento anche dalla Calabria e dalla Sicilia – si è andata formando una lingua nuova, frutto di questa commistione. Interessante è stato inoltre appurare che anche le tradizioni legate al cibo, in particolare la preparazione in occasione delle feste, variano a seconda della famiglia d’origine.

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In una prima fase di residenza abbiamo chiesto di incontrare le persone più anziane che avevano memoria dell’arrivo a Pontinia. Abbiamo avuto modo di parlare con i figli dei primi coloni a cui erano stati assegnati dei poderi: alcuni ricordavano vagamente, in particolare riportavano reminescenze dei racconti in famiglia di quello che era stato il viaggio o le condizioni di vita nel luogo dal quale provenivano. Abbiamo raccolto testimonianze sulla vita nei poderi, sul tipo di attività che venivano avviate in città; ad esempio ci hanno parlato di un deposito per biciclette, all’epoca molto diffuse, concepito nella città di Pontinia per coloro che, in particolare per ragioni lavorative, usavano spostarsi in bicicletta. Durante le nostre visite a Pontinia abbiamo inoltre avuto modo di conoscere e coversare anche con i membri della comunità indiana, insediata in città ormai da circa quindici anni. Nuovi arrivi, nuove storie conferma la grande attenzione che nella vostra ricerca riservate all’architettura. Qual è stato il vostro rapporto con la dimensione architettonica di Pontinia? Apprezziamo la rarità e il fascino delle città di fondazione quali Pontinia, Latina e Sabaudia: luoghi concepiti da zero, a partire da un progetto ben definito; inoltre l’architettura razionalista che le caratterizza, per noi appassionati della disciplina, è un aspetto fondamentale. Nuovi arrivi, nuove storie deve molto alle suggestioni dell’architettura, che in questo caso diventa medium divulgativo: una volta estrapolate frasi emblematiche dai racconti acquisiti, abbiamo voluto restituirli alla comunità


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ph. Jamila Campagna

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collocandoli, mediante l’uso di bandiere, sugli edifici che circondano la torre comunale. Ci ha colpito l’imponenza simbolica di questa torre dalla quale svetta la bandiera italiana e sui cui è riportata un’iscrizione che intima a difendere il territorio e a lavorare la terra; un monito simbolo del potere politico. Nella parte bassa, che corrisponde agli edifici su cui è collocata l’installazione, risiede invece la dimensione della piazza, dove la comunità agisce, si incontra, vive. Se da un lato dunque l’iscrizione attesta una storia istituzionale, dall’altro c’è l’ abbraccio degli edifici circostanti le cui bandiere raccontano una microstoria, che dal privato - particolare si fa pubblico - universale. Una connotazione poetica, se vogliamo, è il fatto che solo il vento può rendere fruibili le frasi riportate sulle bandiere ed è come se ne diffondesse il senso come fa con suoni e odori. Questo vostro intervento site-specific ha in questo momento storico, tragicamente segnato dal fenomeno delle immigrazioni, particolare rilevanza; a questo proposito avete riscontrato un’integrazione sufficiente della cittadinanza con la comunità indiana? Al loro arrivo, questi nuovi coloni hanno sopperito alla mancanza di manodopera nei campi, andando dunque a sostituire il lavoro che una volta svolgevano i primi coloni di questi territori. Attualmente, oltre a coloro che lavorano nei campi, c’è chi ha intrapreso attività commerciali in negozi di vario genere. Sebbene l’integrazione sia compiuta, c’è ancora chi mantiene il desiderio di tornare in patria; tuttavia riteniamo interessante il fatto che una buona parte dei nuovi

coloni indiani stia costruendo il proprio futuro in questa città, costituendosi a tutti gli effetti come cittadini di Pontinia. Parlando con la comunità indiana abbiamo notato una netta differenza nei racconti dei primi arrivati, che avevano avuto un impatto certamente più duro, e le seconde generazioni, quelle che ad oggi sono nelle condizioni di mettere definitivamente le radici. È interessante la contaminazione di testimonianze e individualità che da una parte possono sembrare diverse e distanti, dall’altra, se vogliamo, molto simili. Durante il periodo di realizzazione dell’opera, qual è stato il criterio di scelta per la selezione delle frasi degli intervistati? Avete riscontrato similitudini nei racconti dei coloni? Le conversazioni sono durate tanto e in tutte c’erano elementi che ricorrevano: atmosfera, paesaggio, estrema povertà. Abbiamo scelto frasi simboliche come “Le scarpe ricucite”, “I panni rammendati passati ad altri”, “Andare a piedi nudi per non consumare le scarpe” in quanto emblemi dal tono poetico di un vissuto comune. Tra le battute che ci hanno profondamente colpito c’è: “Una penna in regalo per non fare il lavoro nei campi”, dal racconto di una bambina di origine indiana che al suo arrivo in aeroporto ha ricevuto dal padre una penna in dono come simbolo di riscatto. Tra i “vecchi” e “nuovi” coloni ricorrevano delle frasi in comune, spesso riguardanti le aspettative mancate: “Non era tutto ciò che ci avevano promesso”, “Quando verrà il dopo?”.

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IL MURO

ph. Jamila Campagna

BIANCO VALENTE

NEW ARRIVALS, NEW STORIES interview curated by Gaia Palombo Among the celebration for the Eighty Anniversary of the town of Pontinia, the MAP Museo Agro Pontino presented the artistic duet Bianco-Valente’s installation site-specific Nuovi Arrivi, Nuove Storie, curated by Marianna Frattarelli. Nuovi arrivi, nuove storie is the result of the artistic Residence in the town of Pontinia occurred last July and is composed of 26 colored flags fixed on the buildings of Piazza Indipendenza. We report, as follows, the released interview.

instance there was a storage bikes, very common at the time, made for people who used to travel by bike to go to work. During our visits to Pontinia we had also the chance to meet and talk to the members of the Indian community, settled in town since about fifteen years.

The artistic research you’re carrying on is based on a close link with the territories you interact with and on a strong anthropic approach; would you tell us your experience in a town like Pontinia?

We do appreciate the rarity and charm of cities like Pontinia, Latina and Sabaudia: places conceived from zero, starting from a well-defined project; besides the rationalist architecture that characterizes Pontinia is a basic aspect. Nuovi arrivi, nuove storie owes a lot to the architectural awesomeness. We wanted to give back to the city community the acquired stories setting them, through the flags, on the buildings surrounding the municipal tower. We got impressed by the symbolic majesty of this tower from which the Italian flag stands out and where there’s an inscription that intimates to defend territory and work the land; a symbol of politic power from the Fascist period. The installation is set on the buildings of the main square; the square is the dimension where the community live, meet and work. If from one side the inscription certifies an institutional history, from the other side there’s the embrace of the surrounding buildings, whose flags tell a micro-story, that borns as private and becomes public, universal. A poetic feature could be that the sentences written on the flags only can be legible thanks to the wind, as to spread out their sense just like sounds and smells.

The interest for these territories was born previously to our arrival in Pontinia last summer, when we had read one of Antonio Pennacchi’s famous book; with time interest has developed in more levels. The linguistic phenomenon has been the first aspect to impress us and from which our research is born: after the affluence of colonists coming from different regions – Veneto and Ferrara areas first, later also from Calabria and Sicily - a new language has come out as a result of this mix. Interesting is also to see how food traditions, linked to particular celebrations, varies according to origins. In first place we asked to meet the elderly people who could remember the arrival in Pontinia. The first colonists had been given farmhouses, we could talk to their children, some of them hardly remembered the travel or life conditions in the place of origin. We gathered records about life in the farmhouse, on the sort of activities started in town; for

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Nuovi arrivi, nuove storie confirms the huge attention you reserve to architecture in your research. What’s your relationship with the architectural dimension of Pontinia?


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ph. Jamila Campagna

Your site-specific artwork has particular importance in the contemporary history, tragically marked from immigration phenomenon; about this topic have you found enough integration between the Indian community and local citizens? These new settlers, when arrived, provided the shortage of manpower in working the land, doing the work done from the first colonists of these territories. Now, besides who works on the land, some of them have started commercial business with several sort of shops. Although integration is done, there’s still who wishes to go back to the homeland; we find interesting that a lot the new Indian settlers are building their future in this town, becoming effectively citizens of Pontinia. Talking to the Indian community we noticed a clear difference between the first Indians arrived, who had a hard impact, compared to the second generations that are now in condition to settle down definitively.

Interesting is the contamination of elements and individualities that could seem different and distant, but are very similar in some ways. During the making of the project, which was the choice criterion to select the sentences of people interviewed? Did you spot similarities among their stories? Conversations last long and in all of them there were recurring elements: atmosphere, landscape, extreme poverty. We’ve chosen symbolic phrases like “Mended shoes”, “Mended clothes passed on to others”, “Walk on bare feet so not to wear out the shoes” as poetical emblems of a common life. We got impressed from the sentence: “A pen as a present not to work on the land”, from the story of an Indian little girl who, arrived at the airport, was given a pen from her father as symbol of redemption. Between the old and new settlers recurred common phrases like: “It wasn’t all we’ve been promised”, “When will come the after?”.

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IL MURO

Roberto Nistri - Mattia Panunzio. Metafisiche e Metamorfosi

Roberto Nistri, Lakhwinder Singh, operaio da raccolta presso Azienda Agricola Boschetto Marco (2015) Metamorfosi e Metafisiche | Terre, acque, genti di Pontinia Padiglione Ex Torre Idrica | foto courtesy MAP Museo Agro Pontino

Mattia Panunzio, Via dei Lavoratori (LT) 2015

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EQUIVALENT

Roberto Nistri, Trattore in Piazza Pio V (2015) Metamorfosi e Metafisiche | Terre, acque, genti di Pontinia Padiglione Ex Torre Idrica | foto courtesy MAP Museo Agro Pontino

Mattia Panunzio, Distributore gas auto, Aprilia (LT) 2015 Metamorfosi e Metafisiche | 41째17'59"N13째01'30"E Padiglione Ex Torre Idrica | foto courtesy MAP Museo Agro Pontino

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IL MURO

OFFICINA PASOLINI a cura di Vera Viselli

Pier Paolo Pasolini era un performer. O, per meglio dire, un artista performativo. È questo il senso della mostra OFFICINA Pasolini, organizzata in occasione del quarantesimo anniversario dalla morte dello scrittore, poeta, regista ed intellettuale italiano. Dopo la grande mostra romana Pasolini Roma che analizzava il rapporto - così drammaticamente profondo – che legava Pasolini alla capitale, alle sue borgate ed alle sue spiagge, quella bolognese ripercorre le origini del poeta, partendo da quella città che lo ha visto crescere e formarsi, e tornare nel 1955 per creare Officina, insieme a Roversi e Longhi. La voglia è quella di cercare di raggruppare l’intera opera artistica pasoliniana, senza che le immagini contino più delle parole o viceversa, lasciando lo stesso spazio ad ogni ambito artistico da lui toccato ed affrontato, creando così un magma continuativo ed indissolubile. Questa sua completezza venne ricordata da Moravia al funerale, durante la sua orazione funebre: «Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. […] Poi abbiamo perduto anche un romanziere. Il romanziere delle borgate, il romanziere dei ragazzi di vita, della vita violenta. […] Poi abbiamo perso un regista che tutti conoscono no? Pasolini fu la lezione del cinema migliore europeo. Ha fatto poi una serie di film alcuni dei quali sono così ispirati a quel suo realismo che io chiamo romanico, cioè un realismo arcaico, un realismo gentile e al tempo stesso misterioso. Altri ispirati ai miti, il mito di Edipo per esempio. Poi ancora al suo grande mito, il mito del sottoproletariato, il quale era portatore di una umiltà che potrebbe riportare a una palingenesi del mondo. Questo mito lui l’ha

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illustrato anche per esempio ne Il fiore delle mille e una notte. Lì si vede come questo schema del sottoproletariato, questo schema dell’umiltà dei poveri, Pasolini l’aveva esteso in fondo a tutto il Terzo mondo e alla cultura del Terzo mondo. Infine, abbiamo perduto un saggista. […] Benché fosse uno scrittore con dei fermenti decadentistici, benché fosse estremamente raffinato e manieristico, tuttavia aveva un’attenzione per i problemi sociali del suo paese, per lo sviluppo di questo paese». OFFICINA Pasolini affronta quindi il percorso pasoliniano attraverso 9 aree tematiche. GLI ANNI DI FORMAZIONE. GLI STUDI CON ROBERTO LONGHI Si inizia con il periodo di formazione a Bologna, negli anni di Roberto Longhi: oltre a molti documenti originali che tracciano il percorso scolastico di Pasolini, si possono ammirare i disegni che il giovane Pasolini faceva di quel maestro che «ci faceva vedere le immagini e sembrava di vedere un film». Inoltre, è possibile visionare un inedito proveniente dalla collezione privata di Bernardo Bertolucci, le fotografie scattate da Dino Pedriali mentre lo stesso Pasolini lavorava ai ritratti di Longhi ed il manoscritto autografo di Che cos’è un maestro. I MITI È il clou della mostra: lo spazio espositivo centrale viene trasfigurato nella navata di una cattedrale romanica, le cui vetrate vengono sostituite da installazioni multimediali e


LA RECHERCHE Opposite: Pier Paolo Pasolini sul set di La ricotta, episodio del film "Ro.Go.Pa.G", 1963. © Paul Ronald. Collezione privata.

Pier Paolo Pasolini sul set di Salo' o le 120 giornate di Sodoma, 1975 © Deborah Beer/Cinemazero.

i cui protagonisti sono i Miti che hanno caratterizzato l’opera di Pasolini: La madre: Susanna Colussi, fonte d’ispirazione poetica e cinematografica. Spesso viene descritta come una madre-bambina, legata così tanto al figlio da formare con esso un’unica identità. Il Friuli: se Bologna (città del padre) rappresenta per Pasolini la cultura borghese, il Friuli (che ha dato i natali alla madre) è invece il luogo di un incontro poetico. Cristo: per il cinema, Pasolini usa la figura di Cristo come modello per i suoi personaggi di borgata. Accattone, l’Ettore Garofalo di Mamma Roma ed il Giovanni Stracci de La ricotta sono tutti, letteralmente, dei Cristi di borgata, e muoiono anche come tali, ripetendo cioè dei gesti cristologici. La tragedia classica: fin da giovane Pasolini mostra una certa attenzione per il teatro tragico antico ed il mito greco. Edipo all’alba è un abbozzo teatrale che rivede la storia di Edipo alla luce dell’amore incestuoso di Ismene per suo fratello Eteocle. Nel 1960 traduce, per la messa in scena a Siracusa, l’Orestiade di Eschilo, su esplicita richiesta di Vittorio Gassman. È poi la volta di Medea (1969): con essa, Pasolini sposta l’attenzione sul mondo arcaico della maga e sul conflitto che la oppone al mondo tecnologico di Teseo. Sempre del ’69 è Appunti per un’Orestiade africana: un’allegoria del passaggio da un mondo arcaico privo di regole ad un moderno mondo della Legge razionale. Le borgate: arrivato a Roma nel 1950 con la madre, dopo le umiliazioni subìte a Casarsa, le borgate - con la loro lingua - rappresentano per Pasolini il vero nuovo mondo, non dettato da una scelta ma da «una specie di coazione del destino». Il romanesco parlato da quel popolo che sopravviveva nelle baracche (in condizioni quasi arcaiche, se non primitive), con quel suo umorismo cinico ed allegro, fagocitò talmente tanto Pasolini da essere evocato in racconti e poesie e da esser reso protagonista di ben due romanzi, Ragazzi di vita e Una vita violenta. I popoli perduti: il Terzo Mondo rappresentava, per Pasolini, l’idea - utopica - di un mondo intatto nella sua cultura popolare, in netto contrasto con l’universo piccolo-borghese occidentale. Ma è anche la dimensione in cui ambienta la sua reinvenzione delle fiabe de Le Mille e una notte, immaginando una sensualità ed una carnalità libere da qualsiasi oppressione religiosa.

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IL MURO 3 ICONE La sezione Pasolini e il suo tempo vede protagonista la trasfigurazione delle icone (dalla Marilyn della Rabbia al Totò di Uccellacci e uccellini) e l’attacco all’omologazione. Questi personaggi acquistano, attraverso la prospettiva espressiva di Pasolini, un nuovo valore: la Monroe diviene l’immagine di una bellezza antica e genuina, che viene resa inautentica dalla società capitalistica; la Callas, nelle vesti di Medea, non è più una diva teatrale ma una donna profondamente umiliata e privata della sua mitica voce; Totò diventa invece un filosofo bonario, un padre furbo e tenero ed un sottoproletario fantasioso che è riuscito a sopravvivere alla trasformazione del mondo che lo circonda, in cui riesce (comicamente) a muoversi, sempre con astuzia e malinconia. CRITICA DELLA MODERNITÀ Già in pieni anni ’60 Pasolini affermava l’avvento di una Nuova Preistoria, ma è dal 1973 che la sua critica alla modernità esplode in tutta la sua forza, attraverso gli articoli apparsi sul Corriere della Sera (e riprodotti integralmente in mostra). «L’Italia contadina e paleoindustriale non c’è più e al suo posto c’è un vuoto che aspetta probabilmente di essere colmato da una completa borghesizzazione» si legge ne “Gli italiani non sono più quelli”, del 10 giugno 1974. I lineamenti piccolo-borghesi, prodotti da edonismo e massificazione, sono diventati la sola ed unica identità dominante nell’Italia degli anni ’70, e Pasolini definisce questo fenomeno una «catastrofe senza precedenti», tanto da analizzarlo in modo continuo, cercando di sviscerarne ogni risvolto antropologico. LABORATORIO PETROLIO Il testamento di Pasolini - come da lui stesso affermato – è contenuto in Petrolio, opera rimasta chiusa nel cassetto per 20 anni e pubblicata solo nel 1992. Il progetto originario prevedeva il romanzo come opera non finita (una previsione al quadrato, vista la morte prematura del suo autore). Il fotografo Dino Pedriali venne scelto da Pasolini nell’ottobre del 1975 per una serie di fotografie (esposte in mostra) scattate tra Roma, Sabaudia e Chia, che ritraevano lo stesso Pasolini; questi ritratti erano probabilmente destinati, in parte, ad essere inclusi nell’iconografia di Petrolio, ed erano così intrisi di bellezza ed intensità da divenire vere e proprie immagini-simbolo del poeta. GIRONE DELLE VISIONI Questo girone ospita gli inferni del Decameron, dei Racconti di Canterbury, di Salò e di Petrolio. Nei suoi ultimi anni Pasolini adotta spesso l’immagine dell’Inferno come dimensione allucinata che rimanda a degli orrori reali; la dimensione onirica risulta fondamentale come chiave evocativa delle dinamiche più oscure. Come scriveva egli stesso in Porcile, «chissà mai qual è la verità dei sogni oltre a quella di renderci ansiosi della verità». GIRONE DELLA BORGHESIA La protagonista dell’intera opera pasoliniana, sia attraverso la sua presenza e sia attraverso la sua assenza, è la borghesia, che viene intesa non solo come una categoria sociologica ma come un qualcosa di più ampio. Per Pasolini, la borghesia è la classe che impone i suoi valori ed i suoi comportamenti in modo irreversibile dagli anni ’50 in poi, e ce lo mostra prima con Teorema (film dedicato al nucleo famigliare, che si autodistrugge non appena al suo interno si inserisce un elemento anomalo) e poi con Salò, il film dove il potere borghese (impersonificato dai quattro Signori scellerati) diviene pura anarchia, in quanto manipola e distrugge a suo piacimento, senza aver bisogno di rispettare alcuna regola. GIRONE DELLA TELEVISIONE «Alla televisione tutto è realizzato nel modo più piatto, ap-

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prossimativo, naturalista e senza nessuna preoccupazione della forma. La lunga frequentazione della televisione ha fatto perdere al pubblico innocente, normale, il senso della forma, dell’opera tecnicamente impeccabile. […] La mia è una reazione violenta contro la cultura ufficiale: la cultura, si potrebbe dire, della televisione. Contro questa cultura di massa che ci aggredisce ogni giorno e che è sempre più irreale. La televisione è irrealtà. Tutto ciò che passa attraverso il video non ha più rapporti con ciò che noi viviamo» (Venezia, settembre 1973). La prima esperienza di Pasolini con la televisione risale al 1966, quando si trova costretto a rimanere a casa per via di un’ulcera, e dopo una serie di visioni di spettacoli tv arriva ad elaborare alcune considerazioni, tra le quali la mancanza di vera realtà nell’espressione televisiva e la riduzione delle facce di politici ed intellettuali a mere maschere. PASOLINI DOPO PASOLINI La fine del percorso della mostra coincide con la fine stessa di Pasolini, ovvero la sua morte. Ci sono i telegiornali del 2 novembre 1975, come pure le testimonianze di artisti che nei 40 anni trascorsi dalla sua morte non hanno potuto prescindere dall’eredità che ha lasciato (un esempio è il quadro di Schifano ispirato al volto di Pasolini o il disegno fatto dal regista Kiarostami). Non è presente nella mostra ma non può non essere citata la lettera scritta da Oriana Fallaci il 16 novembre 1975: «Tu scrivendo insultavi, ferivi fino a spaccare il cuore. E io non ti insulto dicendo che non è stato quel diciassettenne a ucciderti: sei stato tu a suicidarti servendoti di lui. Io non ti ferisco dicendo che ho sempre saputo che invocavi la morte come altri invocano Dio, che agognavi il tuo assassinio come altri agognano il Paradiso. Avevi un tale bisogno di assoluto, tu che ci ossessionavi con la parola umanità. Solo finendo con la testa spaccata e il corpo straziato potevi spegnere la tua angoscia e appagare la tua sete di libertà. […] Lasciasti New York deluso perché non c’eri morto, perché ti eri affacciato sulla voragine e non vi eri caduto. Le notti trascorse in cerca del suicidio t’avevano reso soltanto le guance più scarne, lo sguardo più febbricitante. Mi sento, dicesti, come un bambino cui è stata offerta una torta e poi gliel’hanno sottratta mentre stava per addentarla. Sì, avresti dovuto bere mille altre amarezze prima di trovare qualcuno che ti facesse il dono di ucciderti, regalarti una morte coerente dopo una vita coerente. […] Non esisteva nessun altro in Italia capace di svelare la verità come la svelavi tu, capace di farci pensare come ci facevi pensare tu, di educarci alla coscienza civile come ci educavi tu. […] Sullo schermo della televisione apparve Giuseppe Vannucchi e dette la notizia ufficiale. Apparvero anche i due popolani che avevano scoperto il tuo corpo. Dissero che da lontano non sembravi nemmeno un corpo, tanto eri massacrato. Sembravi un mucchio d’immondizia e solo dopo che t’ebbero guardato da vicino si accorsero che non eri immondizia, eri un uomo. Mi maltratterai ancora se dico che non eri un uomo, eri una luce, e una luce s’è spenta? ».

OFFICINA Pasolini 18 dicembre 2015 – 28 marzo 2016 MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna Mostra promossa e realizzata dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Istituzione Bologna Musei|MAMbo A cura di: Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi, Gian Luca Farinelli con la collaborazione di Antonio Bigini, Rosaria Gioiaprogetto. Illuminazione di Luca Bigazzi Per informazioni: www.cinetecadibologna.it – www.mambo-bologna.org


LA RECHERCHE

OFFICINA PASOLINI Vera Viselli

Pier Paolo Pasolini was a performer. Rather, he was a performative artist. This is the meaning of the exhibition OFFICINA PASOLINI organized to celebrate the 40th anniversary of the Italian writer, poet, director and intellectual loss. After the huge exhibition in Rome, Pasolini Roma, which analyzed the dramatic and deep connection between Pasolini and the Capital city, with its borgate and its beaches, the exhibition in Bologna goes back to the poet’s roots, starting from the city where he grew up and had his educational path and where he came back in 1955 to create Officina, together with Roversi and Longhi. The will is to embrace the whole Pasolini artistic production, with words and images, in a balance, giving the same amount of space to every artistic sector he worked on, creating a solid magma. His completeness was remembered by Moravia at his funeral, during the function: «First, we have lost a poet. There aren’t a lot of poets in the world, just three or four born in a century. [...] Then we have lost a novel writer. The writer of the borgate, of the street guys, of the violent life. [...] Then we have lost the director that everyone knows, isn’t it? Pasolini has been the lesson of the best European cinema. He also made a series of movies inspired by that kind of his own Realism that I call Romanic, an archaic Realism, a gentle Realism, mysterious at the same time. Other movies are inspired by the myths, Oedipus’ myth, for instance. And then also film inspired by his great myth, the myth of the underprivileged classes, the classes owner of a kind of humility that could bring the world back to its palingenesis. He also presented this myth in Arabian Nights, for instance. There, it’s clear how the underprivileged class idea and the poor’s humility is extended by Pasolini toward the Third World and its culture. At last, we have lost a writer of essays. Although he was a writer with some Decadent fervor, although he was refined and manneristic, nevertheless he cared about the social issues of his Country, about the development of this Country».

OFFICINA Pasolini approaches Pasolinian artistic path through 9 areas.

THE EDUCATION YEARS. STUDIES WITH ROBERTO LONGHI The educational period in Bologna with Roberto Longhi opens the exhibition. Together with various original docu-

ments about Pasolini’s educational path, we can see the drawings made by a young Pasolini of that Master who «showed us the images and it seemed we were watching a film». Also, it›s possible to watch an unreleased video from Bernardo Bertolucci’s private collection, Dino Pedriali’s photographies of Pasolini while he was working on Longhi’s portraits and the manuscript of Che cos’è un maestro.

MYTHS This is the exhibition’s high point: the central hall is transformed in a Romanic cathedral’s nave, where multimedia installations stand for glass windows showing the myths which characterized Pasolini’s work. The mother: Susanna Colussi, poetic and cinematographic inspirational source. Often described as a mother-child, her bond with his son was so strong to build up with him one only identity. Friuli region: Bologna (the city of his father) represents the bourgeoisie culture; Friuli (where his mother was born) is the place of poetry. Christ: in his Cinema, Pasolini uses the figure of Christ as role model for his suburb’s characters, from the Rome borgata. Accattone, Ettore Garofalo of Mamma Roma and Giovanni Stracci of La ricotta are, literally, Christs from the borgata, and so they die, acting through Christological gestures. The classic tragedy: Pasolini has always been intersted in classical tragic theatre and in Greek mythology. Edipo all’alba is an outline for a pièce which revisits the story of Oedipus through the incestuous love of Ismene for his brother Eteocle. After Vittorio Gassman request, in 1960, Pasolini translated Eskilos’ Orestiade, for the theatre adaptation in Siracusa. There is also Medea (1969): Pasolini highlights the female magician archaic world that opposes to Theseus’ technological world. Also in 1969 he wrotes Appunti per un’Orestiade africana: an allegory of the transformation from an archaic world with no rules into the modern world of the Rational Rule. The borgata: Pasolini moved to Rome with his mother in 1950; after the humiliation suffered in Casarsa, the suburban zones of Rome - the so called borgate - with their language,

Pier Paolo Pasolini sul set di Medea, 1969. © Mario Tursi

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IL MURO represented a real new world for Pasolini, not by choice but for «a sort of fate coaction». The Roman dialect spoken by the inhabitants of those shacks (surviving in archaic if not primitive conditions), with its cynical and joyous humor, absorbed Pasolini so much to become the main theme of short stories and poems, especially in the novels The Ragazzi and A Violent Life. Lost populations: the Third World was - for Pasolini - the utopic idea of an untouched popular culture in opposition to the Western middle-class bourgeoisie. It’s also the dimension where he set his adaptation of Arabian Nights’ tales, imagining a sexuality and a carnality released from every religious oppression.

ICONS The section Pasolini and his time is about the transfiguration of icons (from the Marilyn in La Rabbia to Totò in The Hawks and the Sparrows) and the fight against the homogenization of culture. These characters acquires a new value through Pasolini’s perspective: Monroe is the image of an ancient and genuine beauty, that becomes inauthentic because of the capitalistic society; Maria Callas, acting as Medea, is no more a theatre diva but a woman humiliated and deprived of her mythical voice; Totò is a good philosopher, a tender and smart father and an inventive underprivileged who survived the changing of the world around him, where he keeps moving (comically) with slyness and melancholy.

CRITICS TO MODERNITY In the middle of 60’s Pasolini already asserted the advent of a New Prehistory; but it’s from 1973 that his critic toward modernity comes in full shape through the articles published on the Corriere della Sera (all presented in the exhibition). «The farming and preindustrial Italy doesn’t exist anymore and it’s been replaced by a vacuum which waits to be probably filled by a complete embourgeoisement», he writes in “Gli italiani non sono più quelli”, in June 10th 1974. The middle-class features, produced by hedonism and homogenization became the only and main identity in the 70’s Italy; Pasolini defines this phenomenon as a “catastrophe without precedents” and analyzes it continuously trying to investigate every anthropological aspect.

PETROLIO LABORATORY Pasolini’s artistic testament is written - as he said - in Petrolio, a work left unreleased for 20 years and published only in 1992. The original project was to realize an unfinished novel (and it perfectly happened, since the premature death of its author). In October 1975 Pasolini chose the photographer Dino Pedriali to realize a series of pictures (also exhibited) which portrayed Pasolini in Rome, Chia and Sabaudia; these portraits probably should have been part of Petrolio iconography and are so full of beauty and intensity to become the poet image-symbols.

THE CIRCLE OF VISIONS This circle includes the Decameron, the Canterbury Tales and the Salo, or the 120 Days of Sodom and Petrolio’s Inferno. In his last years, Pasolini uses the Inferno image as a dimension of hallucinations which refers to real horrors; the dreamlike dimension is the deep key to obscure dynamics. As he wrote in Pigsty: «who ever knows what is the truth of dreams beyond the fact dreams make us impatient for the truth».

THE CIRCLE OF BOURGEOISIE The main theme of the whole Pasolinian work is the bourgeoisie, with its presence and its absence, to be seen not just as a sociologic category but as a larger matter. In Pasolini perspective, bourgeoisie is the class which dictates its values and behaviors through an irreversible way since the 50’s. He firstly shows it through Theorem (film about the family unit which destroys itself as soon as an anomalous element is embedded) and then through Salo, or the 120 Days of Sodom,

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LA RECHERCHE the movie where the middle-class power (represented by the four Signori scellerati - the Duke, the Bishop, the Magistrate and the President) becomes pure anarchy, manipulating and destroying, respecting no rules.

THE CIRCLE OF TELEVISION «In television, everything is realized in a flat, superficial, naturalistic way, with no care for the form. The long time spent with television made the innocent and normal audience to lose the meaning of the form, of the technically flawless work. [...] My violent reaction is against the official culture: the culture, we could say, of television. Against the mass-culture which attacks us every day and it’s more and more unreal. Television is unreality. Everything which passes through the video doesn’t have relations with our life experience anymore» (Venice, September 1973). The first Pasolini’s experience with television is in 1966, when he was forced at home because of an ulcer and, after watching several tv shows, he figured out some ideas, among them the lack of reality in television representation and the result of politics’ faces as simple masks.

PASOLINI AFTER PASOLINI The exhibition path ends with the end of Pasolini’s life, with his death. There are the TV newscasts from 2nd November 1975, together with the artworks made by various artists who collected Pasolini heritage during the 40 years passed since his loss (for instance, Schifano’s portrait of Pasolini or the drawing made by the director Kiarostami). Not among the exhibited documents but essential is the letter written by Oriana Fallaci on the 16th November 1975: «You insulted in your writing, you hurt till you broke the heart. And I do not insult you saying that it wasn’t that seventeen years old guy to kill you: you killed yourself by him. I do not hurt you saying that I’ve always known you invoked death as others invoke God, that you longed your murder as others long to heaven. You had that need of absolute, you that obsessed us with the word humankind. Just ending with your head broken and the tormented body, you could stop your angst and satisfy your thirst for freedom. [...] You left New York with disappointment because you didn’t die there, because you brought yourself to the abyss but you didn’t fall in it. The nights spent looking for suicide just left you with sunken cheeks, with feverish eyes. I feel, you said, like a child who’s been given a cake and someone stole it while he was going to give the first bite. Yes, you had to drink a thousand more of disappointments before someone gave you the gift of killing you, the gift of a coherent death for a coherent life. [...] There was none else in Italy able to reveal the truth as you did, able to make us think as you made us think, to educate for a civil consciousness as you educated us. [...] On tv screen, Giuseppe Vannucchi appeared and gave the official news. Also appeared the two humble persons who discovered your body. They said you didn’t even look like a body, from far, for so much you were battered. You looked like a junk pile and only after a closer look they figured out you were not garbage, you were a man. Will you mistreat me again if I say you weren’t a man, you were a light, and a light’s turned off?».

OFFICINA Pasolini 18th Dicember 2015 – 28th March 2016 MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna Exhibition promoted and realized by Cineteca di Bologna with the collaboration of Istituzione Bologna Musei | MAMbo Curated by: Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi, Gian Luca Farinelli with the collaboration of Antonio Bigini, Rosaria Gioiaprogetto. Lightning by Luca Bigazzi Info: www.cinetecadibologna.it – www.mambo-bologna.org


UT e Umberto Eco. Incontro alla fine e all’inizio del mondo di Jamila Campagna Un grande privilegio che in pochissimi riescono a ottenere è quello di ritrovarsi all’interno delle strisce di un fumetto. Catapultati in un altro universo, trasfigurati da persone a personaggi, vedere la propria figura agire e relazionarsi, moltiplicata, in una forma fatta di carta e segno. Nessuno più di Umberto Eco ha conquistato questo spazio; uno scambio reciproco: la sua persona è diventata personaggio mentre il fumetto veniva riscoperto come arte popolare d’avanguardia grazie alla sua analisi critica e culturale del fumetto definita da Apocalittici e Integrati in poi. Memorabile il suo passaggio tra le pagine di Dylan Dog, nelle vesti del semiologo Humbert Coe, in Lassù qualcuno ci chiama - delineato dal segno di Bruno Brindisi e dalla sceneggiatura di Tiziano Sclavi. L’albo venne pubblicato da Sergio Bonelli Editore, casa editrice che ha fatto la storia della letteratura disegnata e che sta per lanciare una nuova serie dal fascino ricercato: UT. UT è un progetto elaborato nell›arco di una vita che nasce dal genio artistico di Corrado Roi rinforzato dalla sceneggiatura di Paola Barbato, punte di diamante di Bonelli Editore. L’ultima evoluzione è primitiva - Lo scenario di UT è post-apocalittico, un mondo in cui fauna e natura sono devastate, l’umanità è quasi del tutto estinta e nuove specie viventi si configurano in questo orizzonte cieco. Tra queste c’è qualcosa di molto vicino all’essere umano ma con caratteristiche cognitive primordiali e istintive. UT è uno di questi esseri e il suo compito è affiancare l’entomologo Decio nella ricerca di insetti e sorvegliare una mastaba. Qui compaiono personaggi complessi le cui vicende si intrecciano nel tratto di Roi, linee stagliate su uno sfumato denso che scava letteralmente la superficie della pagina. Nel raccoglimento immaginifico, mostruoso e simbolico delle pagine di UT, fa la sua comparsa anche Hog, personaggio ispirato a Umberto Eco, che scivola nei riquadri narrativi con quell’espressione di curiosità e sorpresa di chi cerca il senso delle cose e, talvolta trovandolo, non si stanca mai nella soddisfazione. La miniserie di sei numeri sarà pubblicata da marzo ad agosto 2016, in due edizioni: la versione da edicola (disponibile dal 25 marzo) e quella da fumetteria (dal 28 marzo), con una parte redazionale in più e una copertina alternativa. Due esperienze di lettura differenziate per valorizzare il carattere artistico di ogni albo. UT sarà presentato in occasione di Cartoomics, presso la Fiera di Milano (11-13 marzo). Sabato 12 marzo - dalle ore 15.00 - si terrà l’evento Il maestro delle ombre Corrado Roi e Paola Barbato insieme per UT, la nuova miniserie evento del 2016 di Sergio Bonelli Editore: i due autori mostreranno al pubblico le prime tavole del progetto; nei giorni 12 e 13 marzo, presso lo stand Bonelli, si avrà la possibilità di ricevere un autografo da parte degli autori su ogni albo acquistato e uno sketch esclusivo di Corrado Roi. Sarà presente anche l’illustratore - il nome sarà presto rivelato - chiamato a realizzare la copertina e sedici pagine in esclusiva per la variant di UT N. 1 prodotta per Cartoomics. Ringraziamo Sergio Bonelli Editore per la gentile autorizzazione alla pubblicazione delle tavole di UT relative al personaggio di Hog, con cui la redazione de IL MURO vuole rendere omaggio a Umberto Eco, professore e persona fondamentale per la Storia e il pensiero critico della contemporaneità.

UT and Umberto Eco. Meeting at the beginning and at the end of the world Jamila Campagna A big privilege that few can get is to find themselves inside comics strips. Catapulted into another universe, transfigured from a person into a character, see their own figure acting and relating, multiplied, in a shape made of paper and sign. To think, to speak, to live, sketched on paper. None more than Umberto Eco has gained this space; a mutual exchange: his person has become a character while comics got rediscovered as avant-garde popular art, when he put the basis for a cultural and critical analysis of comics in his Apocalyptics and Integrated essay, published in 1964 which seems such a long time ago. Memorable is his passage through the pages of Dylan Dog, in Lassù qualcuno ci chiama – illustrated by Bruno Brindisi and written by Tiziano Sclavi - as the semiologist Humbert Coe. The comic book was published by Sergio Bonelli Editore, the publishing house that has built the history of the illustrated literature and now is going to launch a new series with a sophisticated charm: UT. UT is born from the artistic genius of Corrado Roi, historic cartoonist of Dylan Dog, who’s now creating a project elaborated in a life time with the scripts of Paola Barbato, spearhead of Bonelli Editore narratives. Last evolution is primitive – the scenery of UT is a post-apocalyptic world: animals and nature are devastated, the human being is almost extinct and new living species take place in this blind future. Among these species there’s something similar to the human being but with primordial and instinctive features. UT is one of them and his work is to help the entomologist Decio to search for survived insects and monitor a mastaba. From here on complex characters will appear in Roi’s drawings, in his lines on a dense sfumato that literally digs the page surface. In the imaginative, monstrous and symbolic dimension of UT pages, we find Hog, a character inspired by Umberto Eco, who slides through the narrative frames with the curiosity and surprise face expression of who’s looking for the sense of things and, eventually, he’s not satisfied although he finds it. The miniseries of six numbers will be released from March to August 2016 in a double edition: the news-stand version and the comics-shop version, that will have a different cover created by a guest cartoonist. The first presentation of UT will be in occasion of Cartoomics, at Fiera di Milano from 11th to 13th March. Saturday 12th march, the event titled Il maestro delle ombre Corrado Roi e Paola Barbato insieme per UT will take place and the two authors will show the first strips to the audience; on 12th and 13th March, it will be possible to get the comics books signed by the authors and an exclusive sketch created by Corrado Roi. We thank Sergio Bonelli Editore for the courtesy of UT pages related to Hog character, through which IL MURO editorial team want to pay tribute to Umberto Eco, professor and person essential for the Contemporary History and critical thought.


illustrazioni

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IL MURO Locandina di “Sinfonia Specchiante” di Carlo Crivelli e Michelangelo Pistoletto, 1995. Courtesy Zerinthya - RAM Radio Arte Mobile

L’ALTRO DOVE CHE GUARDA IL LATO NASCOSTO DEL CUBO DI CUI VEDO SOLO LA PARTE RIVOLTA A ME di Stefania Crobe

Se tutto è urbano Se Holderlin profetizzava un abitare poetico, quello cui si assiste oggi – guardando alle più recenti teorie urbanistiche sull’urbanizzazione planetaria – è un’autoreferenzialità solipsistica che caratterizza molta della progettualità, dalla modernità ad oggi. Scenari che non rispondono più a bisogni né desideri e rivelano una mancanza di autenticità del progetto, una mancanza di aderenza alla realtà. Un’urbanizzazione diffusa, con processi di concentrazione e di dispersione di cui la città non è che una di queste forme di urbanizzazione. Ma se «la città è ovunque e in ogni cosa», le dicotomie città/campagna, centro/periferia, urbano/rurale risultano solo «punti di vista» che vagamente descrivono l’insieme che costituisce il referente mutevole dell’intera realtà. In questa prospettiva, nella continua trasformazione di un tessuto urbano industrializzato in cui i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operativi si intrecciano, nuovi modelli di polarizzazione centro/periferia si sovrappongono l’un l’altro attraverso i luoghi, i territori e le scale, creando nuove partiture in un rimescolamento continuo di accordi socio/spaziali. Una crisi nella definizione dei confini che diventa opportunità nella misura in cui il margine, la fenditura, il limen diventano il terreno fertile di una possibile «ri-nascita» in cui dimensione simbolica e pratica si coniugano. Il centro non esiste Aree di margine, che usualmente vengono considerate al di fuori dei confini della città, in questa prospettiva, riscoprono una rinnovata funzione e diventano il luogo di una nuova prosperità. Non luoghi arretrati o residuali ma terreni di sperimentazione, di socialità, occasione di scoperta di un sistema di relazioni che nella città densa, profanata dal capitalismo e dalla speculazione, rischiano di perdersi. Nell’era dell’urbanesimo planetario riacquistano nuova centralità quelle aree sostanzialmente lontane dai centri urbani, dai centri di offerta di servizi, un tempo fulcro vitale della vita delle comunità locali e oggi caratterizzate da processi di

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spopolamento, abbandono e degrado o peggio, dimentiche della loro storia, frutto di secoli di stratificazioni, a causa di un’incessante omologazione che le ha travolte dal secondo dopoguerra, producendo una progressiva perdita delle proprie differenze, delle proprie peculiarità, della propria storia. Se l’arte è al centro, il centro è dappertutto Prometeo era uno dei Titani, fratello di Atlante, che formò il primo uomo dal fango, secondo la tradizione mitologica. Accusato di aver rivelato all’uomo il segreto del fuoco sottratto a Zeus, questi lo fece inchiodare ad una rupe del Caucaso perché un’aquila gli divorasse periodicamente il fegato che, altrettanto ciclicamente si riformava. Prometeo – assunto a simbolo del progresso – è colui che donò agli uomini le scienze e le arti e simboleggia il passaggio dell’uomo da uno stato di natura ad uno stato di artificio. Il passaggio – per dirla come Michelangelo Pistoletto – dal primo al secondo Paradiso 1 . Un passaggio epocale che ha prodotto un discrepanza tra le azioni che l’uomo compie e gli effetti che questi hanno sull’ambiente, naturale e umano, e che impone un ripensamento, un’azione, una ri-definizione delle modalità di agire, un nuovo modo di essere nel mondo. «Oggi l’umanità intera si trova nella necessità di concepire un nuovo paradiso terrestre, attraverso la connessione e l’integrazione dei due precedenti paradisi, quello naturale e quello artificiale. Siamo in un momento di passaggio epocale. Con l’espressione Terzo Paradiso nominiamo un possibile percorso per l’umanità intera: un nuovo mondo. Cogliendo la funzione simbolica dell’arte, ho deciso di proporre un simbolo con il quale rappresentare questo cammino. Tale simbolo è tratto dal segno matematico di infinito, costituito da una linea continua che incrociandosi forma due cerchi. Nel Terzo Paradiso la stessa linea configura tre cerchi invece di due. Quello centrale

1

L’etimologia di “paradiso” deriva dal persiano e indica il giardino, luogo protetto dalle asprezze e dai pericoli della natura con l’ausilio dell’artificio. M. Pistoletto, Omniteismo e Democrazia, Cittadellarte ed., 2012.


LA RUOTA PANORAMICA ridefinizione della scala di priorità e di valori, l’adozione di diversi modelli di comportamento capaci di integrare nuovamente natura e cultura. Un nuovo modo di abitare poeticamente il mondo. Una «presa in carico» che l’arte persegue meglio di altri, per la sua capacità di attraversare i confini, aprendo brecce, di oscillare tra libertà e responsabilità, tra autonomia e eteronomia, tra teoria e pratica. É così che il Terzo Paradiso, l’ambizioso progetto di Michelangelo Pistoletto e l’attività della sua Fondazione Cittadellarte diventano il motore generativo per una nuova idea di urbanità che riporta l’attenzione proprio al «margine» situando sul confine – quello urbano, ma anche quello disciplinare - la rinascita. Se tutto è urbano nelle zone di confine tra città e campagna, tra urbano e rurale l’arte agisce in potenza facendo della periferia il fulcro delle pratiche di cambiamento, lontano dall’eco della città pur connettendo il mondo.

Opposite: ARTE e TERRITORIO Riflessioni intorno al Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto 5 novembre 2015, SITI Social Innovation Through Imagination, ISISS Teodosio Rossi, Priverno (LT)

rappresenta il grembo della nuova società»2 . Una nuova società animata da un impegno verso un cambiamento responsabile, una nuova geografia che pone l’arte al centro, passando attraverso tutti i campi del sapere e del fare. Così il Terzo Paradiso è un segno che diventa simbolo di una volontà di cambiamento, una «ri-nascita» che si compie attraverso un impegno collettivo, attraverso la creazione di un’opera d’arte planetaria. Coltivare la città. Il Terzo Paradiso per «fareterritorio» Nella corsa alla modernità e all’artificio, l’uomo ha abbandonato il territorio a sé stesso, riducendolo a funzione, a orpello, a risorsa da sfruttare. Sperimentiamo oggi una generale caduta dell’urbano in cui sembra avverarsi la «mort de la ville» preconizzata da Françoise Choay nel 1994. Una rottura delle relazioni co-evolutive fra uomo e ambiente 3 . Una rottura che può essere una fenditura in cui far crescere semi generativi se si riparte «da una lucida presa d’atto dello stato delle cose, se si riparte dai luoghi»4 . Una faglia che, dunque, può essere ricucita – non rammendata – attraverso la costruzione di relazioni, di intrecci, di innesti generativi tra parti differenti, anche contrastanti. Stati di incontro che, per compiersi, necessitano di un primato della percezione sensibile, di un «filtro creativo» che, al pari del metodo scientifico, possano leggere e tradurre, attraverso un codice linguistico proprio, le realtà, per arrivare a nuove possibili progettualità, in un processo di soggettivazione che da uno va a molti. Si tratta di costruire pratiche capaci di attivare da subito, e a partire dai saperi e dalle competenze acquisite, delle ipotesi di ‘patti di vita’ collettiva fondati sul presupposto che la ‘crisi di modello’, più che una segnalazione dei limiti di sviluppo raggiunti, è l’indicazione di una svolta necessaria e radicale degli stili e dei bisogni di vita 5 . Al dono avvelenato di Prometeo, si contrappone il dono generativo di una possibile «rinascita», possibile però soltanto attraverso l’assunzione della responsabilità, attraverso la 2

Ibidem.

3

A. Magnaghi, Editoriale. Forme e dimensioni territoriali di una nuova domanda di urbanità, in Cellamare C., Scandurra E. (a cura di), Ricostruire la città, Scienze del territorio/ n. 3, Firenze university press, 2015.

4

E. Scandurra, Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi, Città aperta edizioni, 2007.

5

Intervista a Tiziana Villani, in E. Scandurra, G. Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, 2013.

In nome di questa visione di rinascita molti territori al confine, in «provincia» – solitamente considerati marginali rispetto alle grandi città – ritrovano una nuovo fermento, danno forma a corpi amorfi, mettendo al centro l’arte e la cultura per una riappropriazione e trasformazione dello spazio urbano e sociale. Una geografia «altra» si va configurando dalla necessità di costruire un terzo luogo di pensiero e azione tra mondo artificiale e mondo naturale per rendere generativi i territori. A Exilles, in Val di Susa, il simbolo di rinascita va ad abitare le pendici del Forte di Exilles, creando un giardino di undicimila lavande montane – piante caratterizzanti il luogo e la sua microeconomia artigianale, fino a cinquant’anni prima – affidato a giovani imprese sociali per stimolare il ripopolamento del territorio e il recupero delle terre con progetti di agricoltura biologica. Tra i Monti Lepini il Terzo Paradiso è ispiratore per la creazione di SITI Social Innovation Through Imagination, un laboratorio cross-disciplinare, itinerante e multi-situato di ricerca urbana e sperimentazione creativa che, in nome di questa poetica e usando «l’immaginazione come metodo», agisce attraverso processi di co-creazione. Un invito a praticare uno sguardo «altro» per una conoscenza, ri-semantizzazione e appropriazione del territorio e per la germinazione di nuovi cantieri di pensiero e di azione. A Lamezia Terme il Terzo Paradiso diventa l’occasione per sensibilizzare le comunità locali e le scuole su tematiche come l’ambiente, la solidarietà, la trasformazione responsabile, l’integrazione sociale. Queste pratiche rappresentano solo alcuni semi di una germinazione planetaria che fa il giro del mondo. Una mappatura in fieri traccia dinamiche di cambiamento e vede crescere nuovi poli creativi che lavorano per trasformare la periferia in un microcosmo generativo. Queste pratiche incidono in maniera trasformativa – come agopuntura – nei territori, spesso situandosi proprio laddove la politica arretra e agendo politicamente, innescando dei processi critici di comprensione delle realtà, costruendo nuovi immaginari attraverso l’attività artistica e creativa. Un’attività che cambia il nostro modo di percepire e si manifesta nell’incerto, nell’impalpabile o fugace e si rivela solo a un’attenzione profonda, in cui ci si ritrae, fuori di sé, e ci si immerge nelle cose. Un primato del sensibile in cui l’insieme non è mai la somma e che è «la percezione inevitabile dell’altro, come l’altro ‘dove’ che guarda il lato nascosto del cubo di cui vedo solo la parte rivolta a me» 6

© Riproduzione riservata Stefania Crobe, phd candidate Urban Studies, La Sapienza, Roma. Ideatrice e curatrice SITI, laboratorio di ricerca-azione che indaga il rapporto tra arte e territorio (FB | sitidreamers).

6

M. Merleau-Ponty, Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche, Medusa 2004.

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Estratto da “Il Giornale delle Fondazioni” del 15 novembre 2015

“L’Urlo della Lupa” di Michelangelo Pistoletto, Paliano, 1999. Foto di Claudio Abate. Courtesy Zerinthya - RAM Radio Arte Mobile.


IL MURO

THE OTHER WHERE WHICH LOOKS AT THE HIDDEN SIDE OF THE CUBE OF WHICH I CAN ONLY SEE THE PART FACING ME Stefania Crobe

If everything is urban If Holderlin foretold a poetic living, what we see today (looking at the most recent global city planning theories) it’s a solipsistic auto-referentiality which marks out most of the planning, from modernity to our present. Landscapes that do no longer answer to either needs or desires, and show a lack of authenticity in the project, a lack of connection with reality. A widespread urbanization, with processes of concentration and dispersion. And the city is only one of these forms of urbanization. But if the city is everywhere and in everything, the dichotomies of city/country, centre/suburbs, urban/rural, turn out to be «points of view» describing in different and vague ways the whole variable reality. According to this perspective, in the incessant transformation of the industrialized urban ground, where the agglomeration centres and their operational landscapes intertwine, new centre/suburbs convergence models overlap through places, territories and musical scales, creating new scores in a continuous readjustment of socio-spatial harmonies. A crisis of boundaries definition, which becomes an opportunity when the brink, the crevice, the limen turn to be fertile ground for a possible re-birth, where the symbolic and realistic dimensions combine. A centre does not exist Areas on the border, which are accidentally considered outside the city boundaries, and which in this perspective discover a renewed function and become fertile ground for a new prosperity. Areas which are not backward or residual, antithesis of a kind of progress hope for by the nineteenth-century society, but experimental grounds, where to socialise and find out a web of relationships that in the crowded cities, outraged by capitalism and speculation risk to get lost. In the era of global urbanization a new centrality is given to

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those areas fundamentally far from the urban hearts, far from where services are offered, once cornerstone of the local communities, being typical today for growing depopulation, state of neglect and decline, or worse, forgetting their history, result of centuries of stratification, because of a never ending homogenisation that overwhelmed them since the second postwar, causing a progressing loss of differences, peculiarities, and history itself. If art is the centre, the centre is everywhere Promethium was one of the Titans, Atlas’ brother, who – if we listen to the mythology - moulded the first man out of mud. Accused of revealing to a man the secret of the fire he had stolen from Zeus, he gets nailed down to a Caucasus cliff, where an eagle would eat his liver from time to time, and the organ would grow again every time. Promethium, taken as a symbol for progress, was the one who gave sciences and arts to the human race; this meaning the transition from nature to artifice. As Michelangelo Pistoletto would explain himself, a transition from the First to the Second Paradise 1 . An epoch-making change, which produced a discrepancy between what men do and the effects that reflect on the environment, both human and natural; a change which dictates to think back, to act again, to define a new way of acting, a new way of being in the world. «Today the whole humanity lives in the need of creating a new earthly paradise, through the connection and integration of the two former paradises, the natural and the artificial one. We are now in an epoch-making transition. Saying “Third Paradise” we mean a possible path for all human beings: a new world. Understanding the symbolic function of art, I decided 1

The etymology of “paradise” comes from the Persian, meaning the garden, a place protected from harshness and dangers of nature with the help of artifice. M. Pistoletto, Omniteismo e Democrazia, Cittadellarte ed., 2012.


THE BIG WHEEL to introduce a symbol which could represent this. The symbol was taken from the mathematical infinite sign, represented by a continuous line that forms two circles. In the Third Paradise, the same line draws three circles, not only two. The one in the middle represents the womb of the new society» 2 . A new society liven up by the commitment towards a conscientious change, a new geography with art at his core, going through all fields of knowledge and making. Thus, the Third Paradise is a sign which turns to symbolize the will of transformation, a re-birth happening thanks to a shared commitment, through the creation of a global work of art.

2

Ibidem.

3

A. Magnaghi, Editoriale. Forme e dimensioni territoriali di una nuova domanda di urbanità, in Cellamare C., Scandurra E. (a cura di), Ricostruire la città, Scienze del territorio/ n. 3, Firenze university press, 2015.

4

E. Scandurra, Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi, Città aperta edizioni, 2007.

5

Intervista a Tiziana Villani, in E. Scandurra, G. Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, 2013.

Schizzo preparatorio per “L’Urlo della Lupa” di Michelangelo Pistoletto,1999. Courtesy Zerinthya - RAM Radio Arte Mobile.

Opposite: ARTE e TERRITORIO Riflessioni intorno al Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto 5 novembre 2015, SITI Social Innovation Through Imagination, ISISS Teodosio Rossi, Priverno (LT)

slopes of the Exilles Forte, making a garden formed by eleven thousand mountain lavender plants – typical of that area and linked to the artisanal micro-economy up to fifty years ago – entrusting new social enterprises so to encourage the repopulation of those territories and rescuing the land through organic agriculture. In the Lepini mountains, the Third Paradise inspired the creation of SITI Social Innovation Through Imagination, a cross-disciplinary itinerant laboratory for urban research and creative experimentation that, in the name of this idea and using the «image as a method», acts in processed of co-creation. An invitation to use a different way of looking at things for acknowledgment, for a new semantics and appropriation of the territory, and for the germination of new construction sites for thoughts and actions. In Lamezia Terme, the Third Paradise becomes the occasion for raise awareness in the local communities and schools over topics like environment, solidarity, responsible transformation and social integration. This practices are only a few seeds of a global germination that travels around the world. A mapping in the making, which marks changing dynamics and looks at the growing of new creative focal points working to turn the suburbs into a procreative microcosm. They act as an acupuncture within the territories, often placing themselves right where the politics retreats, they act politically, triggering critical processes in reality understanding, building up new imaginary worlds through artistic and creative activity. This activity transforms the way we perceive, and appears in the uncertainty, the imperceptible or transient, and reveals itself only at a deep attention, when one submerges himself and dives into things. Senses in the first place, where the whole is never given by a sum, and it’s «the inevitable perception of the other, as the other «where» which looks at the hidden side of the cube of which I can only see the part facing me» 6 .

© Riproduzione riservata Stefania Crobe, phd candidate Urban Studies, La Sapienza, Roma. Creator and curator for SITI www.facebook.com/sitidreamers 6

M. Merleau-Ponty, Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche, Medusa 2004.

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Excerpt from “Il Giornale delle Fondazioni”, 15 November 2015

Cultivating the city. The Third Paradise to «maketheterritory» In the rapid rise of modernity and artificiality, man left the territory to its own devices, decreasing it to a function, a frill, a resource to exploit. Today we are experiencing a general urban falling, where the «mort de la ville» foretold by Françoise Choay in 1994. A breaking of the co-evolutionary relationships between man and environment 3 . A wreckage that might be used to grow generative seeds if we start again «from an alert acknowledge of the state of things, if we start again from the places». 4 A fault which might be resewed, then, and not darned, building up relationships, interlaces, transplanting different parts, even the most conflicting ones. Encounters that, in order to happen, need a sensory perception in the first place, a «creative filter». These, just like what happens in science, should be able to read and translate realities, using their own linguistic code, in order to reach new possible projectuality, in a subjectifying process that goes from one to the multitude. It’s all about building practises able to activate from the first moment, starting from acquired knowledge and competencies, a kind of probable common «life agreements» based on the premise that this «crisis of the model» is not a warning about our developing limits, but an indication of a necessary and radical change in life style and needs. 5 To Promethium’s poisoned gift counterposes the procreative gift of a possible «re-birth», which can be done only taking on responsibility, only through the redefinition of priorities, values and the adoption of new different behaviours to integrate back nature and culture. A new way of poetically inhabiting the world. A «take on responsibility» that art chases better than other things, thanks to its ability to cross borders, opening breeches, swinging between freedom and responsibility, between independence and heteromy, between theory and practice. It is in this way that the Third Paradise, the ambitious project by Michelangelo Pistoletto and the activity of his foundation Cittadellarte becomes driving force for a new view of urbanity, which draws the attention to the «edge», placing the rebirth on the border – urban and disciplinary. If everything is urban in the margin areas between city and country side, art acts strongly between urban and rural, putting the suburbs at the core of these changes, far from the echo of the city, but still connecting the world. In the name of this rebirth point of view, many margin areas of the «province» – usually considered negligible – find a new ferment, they give shape to amorphous bodies, putting art and culture as the heart of a process of repossessing and transforming the urban and social space. A different geography takes shape from the need of building a third place for thinking and acting between the artificial and the natural world in order for the territories to get productive. In Exilles, in Val di Susa, the rebirth symbol inhabits the


IL MURO

DROMOSCOPIA a cura di

vera viselli

FLESH AND BONE, MOIRA WALLEY-BECKETT, Usa, 2015 (1a stagione, 8 episodi) Per chi si aspetta una serie (arrivata forse un po’ in ritardo) in stile The Company di R. Altman, attenzione: Claire Robbins, la giovane ballerina che si lancia da Pittsburg a New York per entrare nell’American Ballet Company, non è così anonima come il risultato complessivo ottenuto da Altman. È docile, sfumata, leggera nella danza ma più stratificata nella vita privata, con un legame famigliare ai confini di The Dreamers ed un lato oscuro che la vede un paio di volte a settimana in uno strip club a ballare non danza classica. Si avverte immediatamente che Claire è un’anima devastata, sfregiata sessualmente – così si spiega il dolore autoinflitto, che nel caso di una ballerina non può che riguardare i piedi, e nel caso specifico le sue unghie. «Volevo che lei avesse un legame speciale con i libri e con un libro in particolare» afferma l’ideatrice della serie (premiata per Breaking Bad). Il libro in questione è The Velveteen Rabbit di Margery Williams (e non è un caso che sia anche conosciuto con il titolo How Toys Become Real): Claire deve trovare il modo per diventare reale, attraverso ossessioni e drammi psicologici - in questo senso, sembra quasi un anti-Black Swan così come un anti-Walter White: in Breaking Bad, Walter è un noioso ed anonimo uomo di mezz’età che diviene un’eccelsa mente criminale, mentre in questo caso Claire è giovane, con un talento straordinario ed ha a che fare con ostacoli straordinari. E la trasformazione di Claire viene realizzata nell’episodio finale, con Dakini: un balletto in quattro movimenti che esplora esattamente il viaggio di una giovane donna dalla sua infanzia all’affermazione individuale. Flesh and Bone è disponibile in Italia in esclusiva su TIMvision, la tv on demand di TIM www.timvision.it

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FLESH AND BONE, MOIRA WALLEY-BECKETT, Usa, 2015 (1st season, 8 episodes) Who’s waiting for a series (which came a little late, maybe) in the style of The Company di R. Altman, be careful: Claire Robbins, the young ballerina which leaves Pittsburgh to reach New York and join the American Ballet Company, is not a featureless character as the result obtained by Altman. She’s docile, soft, light in the dance but she’s multilayered in the private life, with a sibling bond close to The Dreamers and a dark side which brings her in a strip-club a couple of times a week, not to dance classical. Immediately we recognize Claire is a devastated soul, sexually gashed - here the reason of her self-harming, which goes against her feet, since she’s a dancer, especially on the nails. «I wanted she had a special connection with books and in particular with one book» says the creator of the series (awarded for Breaking Bad). That book is The Velveteen Rabbit by Margery Williams (also known as How Toys Become Real): Claire has to find a way to become real, through obsessions and psychological dramas - so she seems an anti-Black Swan as she’s also an anti-Walter White: in Breaking Bad, Walter is a boring and impersonal middle aged man who becomes an excellent criminal mind, while Claire is young, with an extraordinary talent, forced to face extraordinary obstacles. Claire transformation happens in the finale episode, through Dakini: a four acts ballet which exactly explores the voyage of a young woman from her childhood to her self-affirmation.


DROMOSCOPIA

THE HATEFuL EIGHT, QUENTIN TARANTINO,

Usa, 2015

Due ore e 47 minuti distese in sei capitoli (sì, un po’ in stile Kill Bill) per raccontare di otto criminali e due diligenze che si ritrovano bloccati in una locanda immersa nella neve. Capitolo 1, “Red Rock”: per circa mezz’ora potremmo pensare che i tre protagonisti dialogheranno all’infinito dentro e fuori la diligenza (S. L. Jackson sembra la versione successiva dello Stephen di Django Unchained), alternando botte alla prigioniera e ammirazione per la lettera di Lincoln. Ma la bufera incombe. Capitolo 2, “Figlio d’un cane”: c’è ancora posto nella carrozza, quindi i tre raccolgono il nuovo sceriffo di Red Rock mezzo sepolto dalla neve – senza il quale i cacciatori di taglie non potranno riscuotere la ricompensa per i loro prigionieri. Capitolo 3, “La merceria di Minnie”: è la locanda in cui decidono di aspettare la fine della bufera e dove troviamo le altre quattro facce di questo western imbiancato – con un T. Roth sempre da Oscar ed una citazione di Profondo rosso nella colonna sonora. Capitolo 4, “Domergue ha un segreto”: inizia con il primo piano di una caffettiera avvelenata (sì, ricorda vagamente il bicchiere di latte di Hitchcock) e continua con una situazione che intreccia L’angelo sterminatore di Buñuel a Dieci piccoli indiani (in questo caso c’è addirittura il negretto-Warren) della Christie. Capitolo 5, “I quattro passeggeri”: era necessario ed eccolo che arriva il flashforward narrativo a svelare il precedente segreto di Domergue. Capitolo 6, “Uomo nero, bianco inferno”: ve lo ricordate il finale di Django? Ecco, mettete tutto quel sangue dentro ad una baita ed in mezzo ad un’immensa distesa di neve ed inchiodate per bene la porta. Due volte. Un ultimo consiglio: evitate la versione doppiata, perché vi perdereste le eccessività degli accenti (su tutti, quello del messicano Bachir, già noto per Le belve di O. Stone e protagonista della serie The Bridge).

THE HATEFuL EIGHT, QUENTIN TARANTINO,

Usa, 2015

Two hours e 47 minutes stretched in 6 chapters (yes, in a Kill Bill style) to tell about eight criminals and two coaches stuck in a lodging-house immersed in the snow. Chapter One: Last Stage to Red Rock. For half an hour we could think that the three main characters will keep talking forever inside and outside the coach (S.L. Jackson seems to be the updated version of Django Unchained’s Stephen), while hitting the prisoner and feeling admiration for Lincoln’s letter. But the storm looms over. Chapter Two: Son of a Gun. There’s still enough space in the coach, so the three pick up the new Red Rock sheriff - half buried in the snow - without whom the bounty hunters won’t get their reward for the prisoners. Chapter Three: Minnie’s Haberdashery. It’s the lodging-house where they decide to wait until the end of the storm; here we found the other four faces of this whitened Western - with a T. Roth who gains the top as usual and a quote from Profondo rosso in the musical score. Chapter Four: Domergue’s Got a Secret. The chapter opens with a close up of a poisoned coffee pot (yes, it brings to the memory Hitchcock’s milk glass) and goes on with a plot which mixes Luis Buñuel’s The Exterminating Angel with Agatha Christie’s Ten Little Indians (here we also find the little blackWarren). Chapter Five: The Four Passengers. A narrative flashforward was required and so it comes to reveal Domergue’s secret. Last Chapter: Black Man, White Hell. Do you remember the end of Django? Well, put all that blood in a lodge on a vast land of snow and lock the door. Twice. A last note: the acting is great, especially in the linguistic performance with the excessive use of accents (above all, the one of the Mexican Bachir, known for Oliver Stone’s Savages and main character of the series The Bridges).

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IL MURO

LA CAVERNA DI PLATONE

Oltremare Blue, Derek Jarman di Valeria Martella

Parlare di Blue è come maneggiare una fragilissima forma di cristallo. Si potrebbe ipoteticamente descriverne la superficie, che definiremmo blu e monocroma, ma non riusciremmo a dire con certezza cosa ci sia all’interno e, ovviamente, non oseremmo distruggerla per mera curiosità. Si prosegue dunque per ipotesi. Blue è l’ultimo film di Derek Jarman - regista dell’intricato Wittgenstein (1993) e dell’affascinante Caravaggio (1986) che mostra per un tempo di 79 minuti un fotogramma blu accompagnato da rumori di vita quotidiana, suoni, canzoni, poesie. Sarebbe tuttavia semplicistico definire IL colore come un blu qualsiasi, il primo che vi capiti sotto gli occhi o che vi salti in mente. IL blu di cui si parla è l’International Klein Blue, di Yves Klein. Jarman era sempre stato affascinato dall’artista, tanto che già nel pieno della sua attività di regista aveva in mente la realizzazione di un film che parlasse del colore simbolo di Klein. Tuttavia il progetto non riscosse l’interesse dei produttori e rimase relegato in un angolo. Fu la malattia logorante di Jarman, l’AIDS, a dare lo stimolo necessario, nei primi anni novanta, per realizzare l’audiovisivo (termine forse più appropriato di “film”) che omaggiasse l’artista e la famosa colorazione blu oltremare, miscelandoli con un racconto della propria vita. L’esistenza dell’io narrante è segnata da un’ingente quantità di medicinali da ingoiare e da ripetute visite mediche, le quali non fanno che sottolineare la sua condizione precaria non tanto per la morte, quanto per la vita da malato inserito in società. Il nesso tra la malattia e il colore non è intuitivo, Jarman stava vivendo il decorso dell’AIDS subendo una grave perdita quale quella della vista, a causa del progressivo degradarsi della rètina, e la scelta di una schermata monocolore era diventata ormai quasi una necessità oltre che un omaggio. Nonostante ciò, non era assolutamente scopo del regista fare di un testo filmico una ricerca di compassione o un melodramma. L’International Klein Blue era esattamente ciò che lui non vedeva e quello che vedeva ogni giorno. Fissare il fotogramma blu per 79 minuti si potrebbe dire soporifero. Jarman stesso affermava: «l’HIV non è drammatico, è noioso»1 . Di rassicurante, converranno in molti, l’International Klein Blue nel contesto filmico ha ben poco. Jarman trovava nel blu una scappatoia verso la libertà; per lo spettatore - nonostante si conoscano le proprietà stabilizzanti del colore in alcuni istanti - complessivamente la sensazione è quella di simulare 1

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Gianmarco Del Re, Derek Jarman, Il Castoro Cinema n. 183, Editrice Il Castoro, 2005, p. 93.

D. Jarman, Blue, 1993, (frame)

la vita del regista da un punto di vista interno, vedendo ciò che vede, percependo lo schermo come un sipario blu che non si apre mai, che dà una sensazione di immediata rivelazione e che non rivela niente. I suoni del quieto vivere (se così si può dire), accompagnano la non-visione del film come un muro di sostegno dietro ad un dipinto di Klein. Non sono il fulcro dell’attenzione, nonostante la vista dello spettatore non sia coinvolta nella sua totalità e i monologhi e il sonoro dovrebbero emergere. Per lo più i monologhi risaltano come un flusso di parole dettate dal feeling blue, dall’angoscia, dal senso di vuoto che si manifesta anche e soprattutto nel frequente ripetersi dei nomi degli amici ormai morti ma che sfocia in un’ amara rassegnazione. Il protagonista è il blu, non i personaggi che intervengono a turno nel film per intonare cantilene o per recitare versi, seppur bellissimi. Il colore è l’immagine, la sensazione, la vita, lo strazio, la noia. È ciò che precede il Nero che per Derek Jarman arriverà non molto tempo dopo l’uscita del film.

«You say to the boy open your eyes When he opens his eyes and sees the light You make him cry out. Saying O Blue come forth O Blue arise O Blue ascend O Blue come in».


PLATO'S CAVE

Ultramarine Blue, Derek Jarman Valeria Martella

Talking about Blue is like handling the most fragile crystal. Theoretically, one could describe its surface as blue and monochrome, but nobody would be able to guess what is inside, and, of course, nobody would dare to destroy it just for the sake of curiosity. The only way to proceed is making theories.

Blue is the most recent movie by Derek Jarman, director of the intricate Wittgenstein (1993) and the captivating Caravaggio (1986). It shows for 79 minutes a single blue frame, associated with noises taken from everyday life, sounds, songs, poems. Nevertheless, it would be simplistic defining THE colour as a common blue, the first shade that comes to your sight or to your mind. THE blue he considers is the International Klein Blue, by Yves Klein. Jarman was always fascinated by this artist. He thought about making a movie about the colour symbolizing Klein already when his career was at its peak. Unfortunately, no filmmaker was ever interested in his project, and it was put aside for a long time. It was Jarman’s wearing illness, AIDS, in the first 90’s, to motivate him to make this audiovisual (a term that would probably sound more appropriate than “film”)that would pay homage to the artist and his ultramarine blue, mixing it with the tale of his own life. The first person narrator is there, with his drugs to swallow and the frequent medical examinations, which point out his uncertain condition, not because of the impending death, but because of his position as an ill person in our society. The link between illness and colour is not intuitive. Jarman was coping with a serious sight loss, caused by a progressive retina deterioration. Therefore, choosing a monochrome screen was almost a necessity, besides being an homage. Nevertheless, the director did not mean to turn a movie script into a product used to find compassion or pity. The International Klein Blue was exactly what he could not see and what he could see every day. Staring at the blue frame for 79 minutes proves to be almost soporific. Jarman said that: «HIV is not tragic, is boring 1 ». The majority of people would agree with the fact that the International Klein Blue is nothing reassuring in this movie context. Jarman saw in the blue colour a way out to be free; the viewer has a general feeling of seeing a simulation of the director’s life from an inside point of view, even if there is a stabilizing sensation in some moments. It feels like seeing the same things he sees, perceiving the screen as a blue curtain that never opens and gives an immediate revelation, revealing nothing at the same time. The sounds of a quiet life accompany the movie non-viewing as a support wall standing behind one of Klein’s paintings. They are not the main features, even though the viewer sight does not get involved in its totality and monologues and sound should stand out. Often monologues emerge as a stream of words dictated by 1

D. Jarman, Blue, 1993, (frame)

D. Jarman, Blue, 1993, (frame)

feeling blue, by the anguish, by the sense of emptiness that shows up also – and especially – in the repetition of friends’ names now dead, that ends up in a bitter resignation. The main character is the blue, not the people who appear one after the other during the movie only to sing monotone tunes or declaim verses, even beautiful ones. Colour is the image, the sensation; it is life, torment, boredom. It is what comes right before the black, which for Jarman would have followed very soon after the movie coming out.

«You say to the boy open your eyes When he opens his eyes and sees the light You make him cry out. Saying O Blue come forth O Blue arise O Blue ascend O Blue come in».

Gianmarco Del Re, Derek Jarman, Il Castoro Cinema n. 183, Il Castoro, 2005, p. 93.

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IL MURO

Pronto soccorso di Elena Bellantoni

A capodanno decido con un gruppo di amici di andare a Catania. Sono molto contenta, mi merito qualche giorno di tregua, il 2015 è stato molto intenso e produttivo, ho voglia di staccare un po’ e di farmi una bella camminata sull’Etna che borbotta parole di cenere ultimamente. Le parole quest’anno sono state la mia cartina di tornasole: lo strumento con cui ho inciso i vinili di Lucciole, ho rotto i piatti di Parole Cunzate, ho battuto sulle mie 9 Olivetti, ho resistito con Impero Ottomano - la mia ultima performance -. Non mi definisco una performer né una video artista, piuttosto preferisco essere un’investigatrice, raccolgo tracce, narrazioni e testimonianze nelle mie esplorazioni, perché di questo si tratta.

Sono le 02:00 del mattino dell’1 gennaio 2016, il concerto di una band catanese piena di energia è appena terminato, la pista da ballo si è appena svuotata ed io sono appesa alle ultime note del sax tenore che rimbombano nella mia testa. Faccio un ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi: “Sto davvero bene, mi sento aderente a me stessa ...”. La questione dell’appartenenza e dell’identità attraversa tutto il mio lavoro di ricerca ed indagine, del mondo in cui sono immersa e della relazione con l’Altro da me. Il corpo

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è diventato lo strumento che scrive questo linguaggio, le parole, il codice in cui è tradotto. Questo percorso ha preso il largo con Hala Yella addio/adios, un lungo viaggio fino al “culo del mondo” – come dicono al Sur - esattamente nella Patagonia Cilena nell’Antartica meridionale. Mi sono spinta in questa zona estrema del mondo per incontrare l’abuela (nonna), Cristina Calderon, l’ultima superstite di una stirpe molto antica: gli Yeghan, popolazione nativa dello stretto di Magellano. Ho passato due mesi alla biblioteca Nacional di Santiago del Cile per studiare sui testi dei padri gesuiti in lingua francese e inglese – per trovare le tracce di quest’idioma antichissimo e produrre un Abecedario illustrato. Dopodiché mi sono imbarcata con una nave cargo e in 48 ore ho raggiunto il final del mundo: la isla Navarino, ovvero Capo Horn, per incontrare questa donna - dichiarata patrimonio dell’Unesco - che parla lo Yeghan.

Mi ritrovo non so come a terra, ho perso conoscenza, ho la mano sulla pancia e gente attorno mi chiede come mi sento. Il dolore è forte, non è la pancia dico ma la mia mano destra che ciondola e non si regge da sola. È rotta? Cosa si è rotto? È la domanda che ho posto a tutte le persone che hanno partecipato lo


ARTIST'S WORD

Opposite: Parole Passeggere, 2015 dettaglio installazione

Millenovecentosettanta Lucciole, 2015, dettaglio Vinili Alviani ArtSpace, a cura di Antonello Tolve

scorso agosto alla mia performance Parole Cunazate, durante una residenza ad Ostuni per Apulia Land Art Festival. Ho deciso di riprendere l’antica tradizione della cunzatrice: colei che girava nei paesi per aggiustare/rattoppare/ricucire piatti e oggetti casalinghi ormai rotti. La tecnica consisteva nella creazione di veri e propri buchi di sutura sulla superfice del manufatto, tenuti insieme da un fil di ferro e una maltina. Durante la performance all’aperto negli antichi orti di Ostuni, invitavo lo spettatore a sedersi di fronte a me e rompere un piatto, ricevuto in dono dagli abitanti del paese. Ad ogni persona veniva posta la domanda sulla rottura, la risposta quindi trascritta sul piatto poi cunzato e sistemato all’interno di un’istallazione circolare. Un lavoro sul trauma, su quelle crepe che ci attraversano e compongono la nostra storia e personalità.

dopo che due tipi mi hanno travolta correndo. Ed ecco che mi fanno una puntura di Toradol, resisto grazie ai mei slip rossi da capodanno, dovevano portare fortuna. Resisto ancora dopo la lastra, quando mi dicono che è una frattura scomposta del polso. Resisto. Cosa resiste? Da poco si è conclusa la mia personale a Pescara: Lucciole. Sono nata nel 1975, anno in cui Pier Paolo Pasolini è stato assassinato. Il primo febbraio, pochi mesi prima della sua morte, scrive sul Corsera L’articolo delle Lucciole. Ho deciso di ripercorrere gli ultimi 40 anni di storia

Sono quasi le 03:00, sono al Pronto Soccorso del Garibaldi di Catania. Nessuna giubba rossa, solo lettini blu e luce al neon. Provo a resistere al dolore facendo una respirazione diaframmatica, intanto mi guardo intorno: da una sfilata di tacchi a spillo usciti da una festa compare una ragazza che è stata azzannata al naso da un cane, un’altra invece è scivolata su un tappo di sughero e si è rotta tibia e perone. Ed io? Non ricordo nulla dico al dottorino di turno, i mei amici mi hanno visto volare Parole Cunzate, 2015, dettaglio performance Apulia Land Art Festival, a cura di Saverio Verini e Giosuè Prezioso, con il coordinamento scientifico di Ilaria Gianni

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Parole Cunzate, 2015, veduta installazione Apulia Land Art Festival, a cura di Saverio Verini e Giosuè Prezioso, con il coordinamento scientifico di Ilaria Gianni

Opposite: Impero Ottomano, 2015, performance Alviani Artspace, mostra personale a cura di Antonello Tolve

del Belpaese, facendo delle interviste, per il periodo compreso tra il 1975 ed il 2015, sugli avvenimenti che riguardano la storia politica d’Italia e che in qualche modo hanno condizionato, incrociato la vita personale di ciascuno di noi. Ho raccolto 40 narrazioni che sono diventate la traccia audio delle Lucciole, 4 dischi 33 giri in vinile divisi per anni. “Il personale è politico”, vecchio slogan degli anni ‘70, rivive nei racconti delle persone che hanno resistito al tempo della storia. Cosa resiste? È la domanda che pongo con Impero Ottomano: una perfomance - installazione in cui una grande lastra di ottone, un tavolo e due sedie tengono la scena. Mi siedo e invito il pubblico ad una sfida a braccio di ferro.

è che io lavoro sull’urgenza. Su quella cosa che mi preme e che è vera e necessaria per me, nel mio qui e ora.

Con Impero Ottomano il gioco forza tra oriente e occidente si traduce visivamente sui 12 kg di lastra di ottone tirata a lucido, ciò che resiste è il linguaggio, le parole che incido sulla lastra dopo la sfida a due.

Ore 08:00 esco finalmente dal Garibaldi con un bel gesso bianco che mi arriva sotto l’ascella. Ne avrò per 30 giorni, tutti mi chiedono se il gesso sia il frutto della mia performance con il braccio di ferro. Io cerco di venirne a capo riflettendo sul legame tra arte e vita. La risposta immediata, essendo appena uscita da un pronto soccorso,

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Parole Passeggere è stata il giro di boa di quest’anno di produzione. L’urgenza della scrittura, del dire, della parola, è emersa ed ha preso forma grazie a delle vecchie macchine per scrivere Olivetti. Ho realizzato per il progetto Inchiostro, in collaborazione con il MAXXI, un’installazione all’aperto, nel porticato della stazione dei treni di Roma Ostiense. Ho voluto disporre su 9 banchi di scuola 9 macchine Lettera 32. Le Parole Passeggere hanno iniziato a battere dalle 8 del mattino alle 9 di sera. I passanti e i passeggeri si sono fermati a scrivere o a dettarmi storie e pensieri. La scrittura, in fondo, ha un ritmo e un tempo come il camminare, attraversa uno spazio che è il bianco della pagina. Nell’arco della giornata dal porticato si è alzato un coro di ticchettii serrati e di battute, un via vai di gente ha ripercorso la strada dei ricordi attraverso la scrittura, fogli di carta appesi alle pareti hanno dato forma alle Parole Passeggere.

Siamo finalmente a febbraio 2016, ieri ho tolto il gesso, il mio prossimo lavoro sarà sull’a_braccio!


ARTIST'S WORD

First Aid Elena Bellantoni

This year words have been my litmus test: the tool I used to record Lucciole’s vinyls, to break plates of Parole Cunzate, to type on my 9 Olivettis, to resist in Impero Ottomano my latest performance. I don’t define myself as performer or video artist, I prefer to be an investigator, I collect traces, narrations and documents in my explorations – which is what they are.

world, to the Chilean Patagonia in the South Antartic. I went to this extreme zone of the world to meet the abuela (grandmother) Cristina Calderon, the last descendant of an ancient population: the Yeghans, the native population of the Strait of Magellan. I spent two months at the National Library of Santiago, studying Jesuits texts - written in French and English - to find traces of their ancient language and create an illustrated abecedary. Then I went on board a cargo vessel and in 48 hours I reached the final do mundo: the Isla Navarino, also known as Capo Horn, to meet this woman - listed in the UNESCO heritage - who speaks Yeghan.

It’s 2:00 am on the 1st of January, the gig of a band from Catania just ended, dance hall is empty and I hang on the last sax notes which make an eco in my head. I make a last thought before I close my eyes: “I feel very well, I feel I just fit myself...”.

I don’t know how, I find myself on the floor, I lost consciousness, I have my hand on my belly and people around me asking how I feel. The pain is heavy, it’s not my belly, I say, but my right hand that dangles and can’t move. Is it broken?

The matter of belonging and identity is the fil rouge of my research, of the world I’m immersed in, of my relation with the Other. The body has become the tool that writes this language, the words, the code to translate it. This path went offshore with Hala Yella addio/adios, a long trip to the bottom of the

What is broken? is the question I asked to all the persons who took part in my performance Parole Cunzate, last August, during a residence in Ostuni for Apulia Land Art Festival. I decided to resume the old cunzatrice tradition: a cunzatrice was a woman who used to go round little towns

I decide to go to Catania with a group of friend for New Year’s Eve. I’m very happy, I deserve a couple of days of rest, 2015 has been an intense and productive year. I want to take a break and walk around Etna, which mumbles words of ash lately.

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IL MURO

Hala Yella addio_adios Abecedario, 2013, china su carta

to fix/patch/resew plates and other broken household objects. The technique consisted in making holes on the items surface and then sew the broken pieces together with mortar and iron wire. During the performance, I invited the spectator to sit in front of me and break a plate previously received as a gift from the town inhabitants. The same question was given to each person and written on the cunzed plate; then each plate has been put in a circular installation. A work about trauma, about those cracks which come through us and make our story and our personality.

It’s almost 3:00 am, I’m at the first aid of Garibaldi Hospital in Catania. No red jackets, only neon lights and blue stretchers. I try to face the pain working on a diaphragm breathing, I look around in the meanwhile: from a tons of high heels coming from a party, a girl appears, a dog bit her nose; another girl flipped on a bottle cork and got peroneal and tibia bone broken. And me? I don’t remember anything, I say to the doctor, my friends saw me flying after two guys crushed on me while running. They injected me a Toradol dose, I resist thanks to my red underwear, they should have brought luck. I resist also after the x-rays, when they tell me it’s a compound fracture of my wrist. I resist.

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What does resist? My solo exhibition in Pescara just ended: Lucciole. I was born in 1975, the year of Pier Paolo Pasolini assassination. On the 1st of February, some months before his death, he wrote “L’articolo delle Lucciole” on Il Corriere della Sera. I decided to tell the last 40 years of Italy history, making interviews about the period from 1975 to 2015, about political events which influenced everyone’s personal life. I collected 40 narrations which became the tracks of Lucciole, 4 lp records. The “Personal is political” slogan of the 70’s is alive in the tales of people who resisted the time of history. What does resist? is the question I ask in Impero Ottomano, a performance - installation with a brass sheet, a table and two chairs. I seat and invite persons to do arm wrestling with me. In Impero Ottomano, the differences between East and West have a visual translation on the 12 kgs shiny brass plate; what resist is language, the words I engrave on it after the match.

8:00 am. I finally get out the Garibaldi Hospital with a cast from my hand to my armpit. I’ll have to wear it for 30 days, everyone asks me if I got it after my arm


ARTIST'S WORD

Hala Yella addio_adios, 2013, still dal video

wrestling performance. I try to figure it out thinking about the bond between life and art. The answer is immediate, since I went out from a first aid: I work on urgency. I work on that thing that presses me and it’s true and necessary for me, here and now.

Finally it’s February 2016, yesterday I got rid of the cast, my next work will be about the embrace!

Parole Passeggere has been a turning point in this year production. The urgency of writing and telling, the need of words arose and got its shape thanks to some old Olivetti typewriters. So I realized the project Inchiostro, in collaboration with MAXXI, an installation set in the Roma Ostiense train station porch. 9 typewriters Lettera 32 were on 9 benches. The Parole Passeggere were typed from 8 in the morning till 9 in the evening. Pedestrians and passengers stopped by to write or to dictate me stories and thoughts. Writing, actually, has a rhythm and a time like walking, it comes across the space of a white page. During the day, the sound of typewriting fulfilled the porch. A coming and going of people walked on the memory lane through the writing, paper sheets hanging from the walls gave shape to the Passenger Words.

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IL MURO

Jack Savoretti. Made in Italy di Vera Viselli

Nato a Londra da padre genovese e madre polacco-tedesca, Jack Savoretti è uno dei migliori artisti musicali del momento. Dopo Between The Minds (2006, album d’esordio), Harder Than Easy (2009) e Before The Storm (2012, che ebbe ampio consenso dalla critica) arriva finalmente la consacrazione con Written In Scars: pubblicato a febbraio 2015, è stato ri-editato a fine ottobre con l’aggiunta di due nuovi brani, Back Where I Belong e Catapult, insieme ad alcune versioni live. Oltre al nuovo singolo Catapult, presentato il 13 novembre 2015 (una ballad intensissima, scritta a quattro mani da Savoretti e Jon Green ed anche prodotta da quest’ultimo) si alternano le ritmiche The Other Side Of Love, Written In Scars, Tie Me Down con le sonorità più lente ma non meno passionali di Back To Me, Home, Broken Glass, passando per una cover eccezionale di Nobody ‘Cept You di Bob Dylan.

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Dopo aver già girato l’Italia in primavera, Savoretti è tornato con alcune date italiane tra le quali quella del 21 novembre all’Estragon di Bologna per un concerto free organizzato da Jack On Tour, il viaggio musicale di Jack Daniel’s. Da solo, con chitarra e voce, Savoretti strugge con una cover di Lucio Battisti, Ancora tu, mentre, accompagnato dai suoi due musicisti, con chitarra e batteria fa ballare con performaces che fondono country e rock, unite dal suo timbro così profondamente graffiato. È uno di quei pochissimi artisti che stupisce ogni volta, su un palco, perché suona e canta coinvolgendo emotivamente, con una rabbia per avercela fatta a fare musica (quattro anni fa stava per abbandonare tutto, dopo l’ennesima delusione) che si avverte, sempre e comunque, rendendolo stupefacente negli show live e affermandolo come uno dei cantautori più poliedrici ed affascinanti, forse non solo tra i contemporanei.

Prima del concerto, presentato da Federico Russo (media partner Radio Deejay e DMAX), lo abbiamo incontrato per un’intervista. 1 Hai definito Written in scars il tuo primo, vero album. Ci racconti com’è nato? Hai dichiarato che l’idea ti è venuta dopo aver visto un documentario su Paul Simon…

Sì, ho visto il documentario su Paul Simon e da lì mi è venuta l’idea su come fare l’album: lui ha detto che tutti i suoi album li approccia partendo dal ritmo e disegna le canzoni attorno ad esso. Ho deciso quindi di fare la stessa cosa e, in questo modo, l’album ha acquisito più grinta rispetto ai precedenti perché il ritmo ispira sempre un po’ di grinta, anche quando balli o ti muovi, e la stessa cosa succede quando si scrive: mettendoci prima il ritmo, poi è uscita la grinta.


MZK

Jack Savoretti live at Estragon, Bologna (IT), 21 Nov 2015. Jack Daniel's Jack On Tour. Ph. IL MURO

2 Molte tue canzoni sono state scelte per delle serie televisive, hai addirittura scritto una canzone appositamente per un film (One day, per Post Grad di Vicky Jenson, n.d.r.). Com’è il rapporto fra la musica, le serie televisive ed il cinema? Hai in programma altre collaborazioni di questo tipo?

Spero di sì. Ho iniziato nel momento in cui gli show televisivi americani reinventavano un po’ la figura del cantautore. Si era arrivati ad un punto in cui le grandi band, come i Coldplay, gli U2, Madonna, erano troppo care e quindi le televisioni sono venute da noi chiedendoci le nostre canzoni per un quarto del prezzo. Alcune le abbiamo date anche gratis, perché comunque le serie televisive contemporanee forse sono fatte anche meglio dei film americani, ma soprattutto sono fatte con le giuste intenzioni, disposte a metterti davanti ad un pubblico che uno non poteva neanche immaginarsi. Prima le radio non trasmettevano

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le canzoni dei cantautori, i film neanche per sogno, mentre invece le serie televisive hanno fatto da apripista in questo senso. Poi è arrivata quest’ondata di cantautori e di band serie. Io mi sento comunque in debito nei confronti di questi show. 3 Hai aperto un concerto di Bruce Springsteen, a Londra: lui negli anni ‘90-2000 è stato molto influenzato dalla musica acustica ed anche tu, come lui, hai molte sonorità acustiche nei tuoi brani. Hai in progetto qualche album acustico?

Non credo, ho sempre il terrore di fare un album troppo cantautorale, specialmente adesso. I miei primi album erano molto più da cantautore, se li vogliamo definire così. Adesso detesto i generi e le etichette, quindi cerco di uscire dal ruolo del cantautore in senso stretto. Uno dei miei artisti preferiti è Lucio Battisti e nessuno dei suoi album sembra da cantautore.

4 Hai mai provato a scrivere canzoni in italiano?

Sì, ma non le farò mai sentire a nessuno perché dico sempre che in italiano è facilissimo scrivere una canzone del cavolo ed è difficilissimo scrivere una canzone giusta. È per questo che sono più di dieci anni che mancano i vari Dalla, De Gregori, Battisti, De Andrè, Guccini, perché l’italiano è un linguaggio difficile da usare bene. 5 C’è qualche cantautore italiano contemporaneo che ti piace ascoltare?

Sì, sono un fan di Zibba, che è ligure. Poi c’è Jack Jaselli, che purtroppo questa sera non può suonare per motivi di salute, che è un grandissimo talento italiano; c’è Violetta Zironi. L’Italia è piena di bravissimi giovani cantautori: ci sono Elisa, Carmen Consoli, la lista è davvero lunga.

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IL MURO

Jack Savoretti. Made in Italy Vera Viselli

Born in London from Italian father and German-Polish mother, Jack Savoretti is one of the best artists in the contemporary field of music. After Between The Minds (2006, his debut album), Harder Than Easy (2009) and Before The Storm (2012, which got acclaimed by the critics), he finally reached the top with Written In Scars: released in February 2015, the record has been re-released at the end of October including two new songs, Back Where I Belong and Catapult, and some other live tracks. Next to the new single Catapult, realeased on the 13th November 2015 (an intense ballad written by Savoretti together with Jon Green who also produced it) the rhythms of The Other Side Of Love, Written In Scars, Tie Me Down follow one another alternating with the slow but passionate sound of Back To Me, Home, Broken Glass, coming through a great cover of Bob Dylan’s Nobody ‘Cept You.

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After the Italian tour last Spring, Savoretti came back to Italy for some gigs. Among them, the concert of the 21st November 2015 at Estragon in Bologna, scheduled in the Jack On Tour, the music trip of Jack Daniel’s. Alone, with guitar and voice, Savoretti is heart-breaking with the cover of Lucio Battisti’s Ancora tu; supported by his musicians, with drums and guitars, he makes the audience dance, mixing country and rock bond together by his bruised timbre. Jack Savoretti is one of the rare artists who always surprises on stage, because he plays and sings emotionally involving the audience, with his anger grown in the attempt of being recognized in the field of music and finally being able to get it (he was going to give up four years ago, after the last failure). You can feel it: he is amazing in the live shows and stands up himself as one of the most versatile and charming songwriters, not only among the contemporaries.

Before the concert, presented by Federico Russo (media partner Radio Deejay e DMAX), we met Jack for an interview. 1 You said Written in Scars is your first real album. Would you tell us how is it born? You also said you decided how to work on it after watching a documentary about Paul Simon...

Yes, I watched the documentary about Paul Simon and I defined the idea of my last album: he said he works on his music starting from the rhythm and drawing the songs around it. So I decided I would have done the same; Written in Scars has got more energy than the previous records because the energy comes from the rhythm, also when you dance and move, and it’s the same when you write: first comes the rhythm, than the energy shows up.


MZK Opposite: Jack Savoretti live at Estragon, Bologna (IT), 21 Nov 2015. Jack Daniel's Jack On Tour. Ph. IL MURO

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2 Many of your songs have been chosen as soundtracks for tv series and you also wrote a song specifically for a movie (One day, for Vicky Jenson’s Post Grad, Ed.). What’s the relationship between music, tv series and cinema? Are you willing to make more of this kind of collaborations?

Yes, I hope so. I started to do it when the USA tv shows reinvented the songwriter figure. It came to the point where famous bands, like the Coldplay, U2, Madonna, were too expensive to be engaged so televisions came to us asking for our songs and paying us a quarter of the price. We also gave some songs for free, because tv series are very well done - often better than American movies but above all they were made with the right intentions, presenting you to an audience you couldn’t even imagine. Before them, radios would never broadcast songwriters’ songs, even less in movies; tv

series led the way to songwriters’ soundtracks. So we had a wave of interesting songwriters and bands. I feel I owe it to these shows. 3 You’ve been the opening act of a Bruce Springsteen concert, in London; in the period between 1990 - 2000 he was influenced by acoustic music, and you also have a lot of acoustic sounds in your songs. Are you looking for the record of an acoustic album?

I like you using the word “acoustic”. I don’t think so, I fear to make a songwriter’s album right now. My first records where songwriter’s records, but now I hate genres and tags so I try to get out from that role. One of my favorite artists is Lucio Battisti and none of his albums look like a songwriter’s album.

to write a crappy song and it’s very hard to write a good song in Italian. That’s why it’s not usual to have artists like Dalla, De Gregori, Battisti, De Andrè, Guccini, because Italian is a complex language hard to be used in the right way. 5 Is there any Italian contemporary songwriter you like to listen to?

Yes, I’m a fan of Zibba, he comes from Liguria; than we have Jack Jaselli, who unfortunately cannot sing tonight because of health problems, he’s a great Italian talent; also Violetta Zironi. Italy is full of extraordinary young songwriters! We also have Elisa, Carmen Consoli and the list goes on!

4 Have you ever written songs in Italian?

Yes, but I’ll never let anyone listen to them! I always say that it’s easy

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100 MONTADITOS A LATINA 100 Montaditos è arrivato a Latina e vi accoglie in un caratteristico edificio storico nel centro della città, con il suo portico in mattoncini rossi. All’interno del locale, disposto su tre livelli, tradizione e modernità si fondono in un mix perfetto attraverso pareti con pietra a vista, pavimento vetrato e pareti rosse contornate da boiserie nera. Le foto, all’interno dei numerosi quadretti appesi, raccontano una Spagna in bianco e nero, in un ambiente dove nulla è lasciato al caso. Dimenticate il fast-food all’americana! 100 Montaditos è una catena di ristorazione che ha all’attivo oltre 300 ristoranti in Spagna e più di 50 fra Italia, Portogallo, Belgio, Stati Uniti, Messico, Colombia, Cile, Guatemala: ogni ristorante è portatore di tradizione culinaria e l’invito è quello di fermarsi, guardarsi intorno, cogliere la vitalità e il calore dell’ambiente, apprezzare il colore e la qualità delle oltre 100 combinazioni di cibi che si trovano nel menù. 100 Montaditos sta conquistando tutti con la sua originalità rivoluzionaria. C’è un montadito per tutti i gusti, anche per questo il ristorante è riuscito ad accattivarsi la simpatia e l’interesse di persone di tutte le età, riunendole nello stesso ambiente, accontentando i più piccoli - con patatine, crocchette, alette e lacrime di pollo - così come i giovani - con un’ottima scelta di birre e panini cosmopoliti - senza deludere neppure una clientela più matura che desidera sapori più ricercati e potrà trovare anche insalate particolari e il tinto de verano. La scelta di cosa mangiare consiste in un vero e proprio rituale. Pilastro fondamentale del menù è il pane, la cui ricetta è stata brevettata. Viene infornato quando il cliente fa l’ordine, così da essere servito sempre caldo. Le tipologie di pane da scegliere all’interno del menù sono quattro: pane “normale” (mini baguette croccante), pane ai cereali (mini baguette croccante ai cereali), pane “ciabatta” (pane soffice con molta mollica) e pane al cioccolato adatto per i montaditos dolci. 100 Montaditos è perfetto anche nelle ore pomeridiane, per gustare un aperitivo con formaggio iberico, jamon serrano e fritti, accompagnati da salse tipiche e da bibite dissetanti, alcoliche o analcoliche.

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La punta di diamante di 100 Montaditos è il giusto rapporto qualità/prezzo. Inoltre, ogni Mercoledì, c’è una promozione chiamata Euromania, durante la quale tutti i montaditos ed appetizers del menù costano soltanto 1€. Ma a fare davvero la differenza è il servizio: sarete accolti da un personale giovane, allegro e attento alle vostre esigenze, tra i tavoli come in cucina. In cassa, al momento dell’ordine, va lasciato un nome o semplicemente un nickname con il quale si viene chiamati dalla cucina… questo sistema è rapido, originale e permette alla clientela di dare libero sfogo all’immaginazione creando spesso, all’interno del locale, delle situazioni goliardiche.

100 Montaditos è fatto di buone energie, non potete resistergli!

100 Montaditos lo trovate in VIA CESARE BATTISTI, 30/ANGOLO PIAZZA ROMA – LATINA ORARI DI APERTURA: Lunedì/Martedì/Giovedì 12.00 – 23.00 Mercoledì/Venerdì/Domenica 12.00 – 00.00 Sabato 12.00 – 02.00


MICROCULTURE


IL MURO

100 MONTADITOS IN LATINA - Italy 100 Montaditos has arrived in Latina (Italy) and welcomes you in a typical historical building, with a red bricks porch, in the town center. Inside the place, which is arranged on three levels, tradition and modernity mix perfectly through the walls with exposed brick work, glass floor and red walls surrounded by black woodworks. A lot of pictures on the walls tell about a Black and white Spain, in a place where nothing is left to chance. Forget the American style fast-food! 100 Montaditos has more than 300 restaurants in Spain and more than 50 of them in between Italy, Portugal, Belgium, United States, Columbia, Chile and Guatemala: each restaurant offers Spanish culinary tradition and the invite is to stop by, look around, enjoy the place vitality and warmness, appreciate taste and quality of the over 100 food combinations on the menu. 100 Montaditos is catching everybody with its innovative originality. There’s a montadito for each taste, that’s why the restaurant has been able to catch the interest of every age people, pleasing the little ones - with chips, chicken nuggets, chicken wings - as the young ones - with a very good choice of beers and Spanish rolls – without disappointing the more mature customers who wants gourmets - they’ll be able to find particular salads and the tinto de verano. The choice of what to eat is a ritual. The menu highlitght is the bread, which recipe has been patented. The bread is baked baked seconds before the customer receives the order, so to be served warm. There are four sorts of bread: “normal” bread (crunchy mini baguette), “cereal bread” (cereal crunchy mini baguette), “ciabatta” bread (soft bread) and “chocolate bread” for sweet montaditos. 100 Montaditos is perfect also in the afternoon to enjoy a cocktail with Iberian cheese, jamon serrano and fried food, together with typical sauces and drinks. 100 Montaditos best feature is the price/quality relationship. Every Wednesday there’s a promotion called Euromania: all the montaditos and appetizers cost 1 euro only.

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What about the amazing service? You’ll be welcomed by a young and cheerful staff, careful about your needs, so in the restaurant hall as in the kitchen. While ordering, a name or nickname must be given so to be called from the kitchen… this is a fast and original way that let the customers to free their imagination.

100 Montaditos is made of good energies, you can’t resist!

100 Montaditos is in VIA CESARE BATTISTI, 307ANGOLO PIAZZA ROMA – LATINA OPENING HOURS Monday/Tuesday/Thursday 12.00 – 23.00 Wednesday/Friday/Sunday 12.00 – 00.00 Saturday 12.00 – 02.00



IL MURO

Ambrogio Lorenzetti. Dentro il restauro In previsione della mostra-evento dedicata ad Ambrogio Lorenzetti, programmata dall’Amministrazione comunale di Siena per il 2017, la città - che conserva circa il 70% delle opere fin ora attribuite al grande artista trecentesco - ospiterà una serie di iniziative volte ad offrire una più profonda conoscenza della produzione artistica del Lorenzetti. Un grande investimento storico-scientifico e finanziario è riservato alle operazioni di restauro delle opere: valutando caso per caso, saranno effettuate indagini conoscitive, interventi conservativi e restauri. In particolare, sono posti sotto osservazione gli affreschi della cappella di San Galgano a Montesiepi e il polittico della chiesa di San Pietro in Castelvecchio a Siena. Per l’occasione è allestito un cantiere di “restauro aperto”, presso gli spazi dell’antico ospedale di Santa Maria della Scala: un work in progress visitabile dalla cittadinanza e dai turisti, per incentivare l’avvicinamento e il coinvolgimento da parte del grande pubblico, non solo rispetto alle splendide opere esposte ma ancor più verso le pratiche fondamentali di conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistco. Nel 2016 i restauri proseguiranno con l’apertura di altri due cantieri che vedranno attenzionate ulteriori pitture del Lorenzetti, nella chiesa di San Francesco e nella chiesa di Sant’Agostino.

AMBROGIO LORENZETTI. DENTRO IL RESTAURO Complesso museale Santa Maria della Scala, Siena dal 5 dicembre 2015 a cura di Alessandro Bagnoli, direttore storico dell’arte della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo; professore di Storia e Metodologie della Conservazione all’Università degli Studi di Siena; Roberto Bartalini, professore di Storia dell’arte medievale all’Università di Siena; Max Seidel, già professore di Storia dell’arte medievale alle Università di Gottinga e Heidelberg, direttore emerito del Kunsthistorisches Institut in Florenz/Max-Planck-Gesellschaft. dal 7 gennaio al 15 aprile lun, mer, giov, ven ore 10.30-16.30 sab-dom 10.30-18.30 mar chiuso, con l’eccezione del 28 marzo (aperto con orario 10.3018.30) Info: Opera – Civita Group call center 0577 286300 (dal lun al ven. dalle ore 9,00 alle ore 17,00) ambrogiolorenzettisms@operalaboratori.com www.santamariadellascala.com

La chiesa rotonda di San Galgano a Montesiepi con l’annessa cappella che contiene gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (Chiusdino).

Ambrogio Lorenzetti. Inside the Restoration In view of the event-exhibition dedicated to Ambrogio Lorenzetti, planned for 2017 by the local Administration of Siena (Italy), the city - that keeps about 70% of the works attributed to the Thirteenth century famous artist - will host a number of initiatives aimed to give a deeper acknowledgement of Lorenzetti’s artistic production. A big financial and scientific-historical investment is reserved to the works restoration: diagnostic investigations, conservation interventetions and restorations will be done on various artworks, considering case by case. In particular are under observation the frescos of San Galgano chapel in Montesiepi and the polyptych of San Pietro in Castelvecchio’s church in Siena. For the occasion a working site of “open restoration” has been set up in the spaces of Santa Maria della Scala old hospital: a work in progress that can be visited by the local people and the tourists so to captivate the interest of a bigger audience, not only for the wonderful exhibited works but expecially towards the fundamental activities of conservation and valorization of the artistic-historical heritage. In 2016 restoration works will go on with the opening of other two work in progress that will give attention to more Lorenzetti’s pictorial works, in San Francesco and in Sant’Agostino‘s churches (Siena, Italy).

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Ambrogio Lorenzetti, Maestà e Storie di San Galgano, affreschi strappati, dalla chiesa di San Galgano a Montesiepi (Chiusdino): L’Annunciazione. Particolare del volto rinnovato della Vergine poco dopo la stesura di Ambrogio, che aveva invece previsto la più rara iconografia della Madonna atterrita dall’annuncio dell’Angelo, come si vede nella sinopia (il disegno preparatorio steso a pennello sullo strato dell’intonaco chiamato arriccio). La stesura a fresco dipinta da Ambrogio fu abrasa e coperta da colori a tempera.

AMBROGIO LORENZETTI. INSIDE THE RESTORATION Complesso museale Santa Maria della Scala, Siena (Italy) From 5th December 2015 curated by Alessandro Bagnoli, Art History director of Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio of Siena, Grosseto and Arezzo (Itally); professor of History and Methodologies of Conservation at the University of Studies of Siena; Roberto Bartalini, professor of Medieval Art History at Siena University; Max Seidel, professor of Medieval Art History at the Universities of Gottinga and Heidelberg, emeritus director of Kunsthistorisches Institut in Florenz/Max-Planck- Gesellschaft. From 7th January to 15th April mon., wed., thur., fri. 10.30h-16.30h sat.-sun. 10.30h-18.30h closed on Tuesdays, except on 28th march (open 10.30h-18.30h) Info: Opera – Civita Group Call center 0577 286300 (from mon. to fri. 9.00h-17.00h) ambrogiolorenzettisms@operalaboratori.com www.santamariadellascala.com


BACKLOOK

Prospetto della parete centrale della cappella con gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella chiesa di san Galgano a Montesiepi (foto Andrea Sbardellati, 2015)

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IL MURO

Prospetto della parete destra della cappella con gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella chiesa di san Galgano a Montesiepi (foto Andrea Sbardellati, 2015)

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BACKLOOK

Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino tra San Pietro, San Paolo, una Santa martire e San Michele Arcangelo, tempera su tavola, Siena, Chiesa di San Pietro in Castelvecchio La Madonna col Bambino in una ripresa a luce naturale. (foto Marcello Formichi, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo, 2015)

Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino tra San Pietro, San Paolo, una Santa martire e San Michele Arcangelo, tempera su tavola, Siena, Chiesa di San Pietro in Castelvecchio La Madonna col Bambino in una fotografia a luce ultravioletta. Con questa tecnica di ripresa si recupera molto del filamentoso tracciato pittorico col quale era ottenuto il velo del soggolo. (foto Marcello Formichi, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo, 2015)

Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino tra San Pietro, San Paolo, una Santa martire e San Michele Arcangelo, tempera su tavola, Siena, Chiesa di San Pietro in Castelvecchio Il Polittico nello stato configurato col restauro del 1965. (foto Marcello Formichi, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo, 2015)

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Una conversazione con ZebraMapping di Arianna Forte ZebraMapping è un gruppo di creativi che fanno base a Vicenza e si occupano di live video, installazioni interattive e soprattutto di Video Mapping. Hanno iniziato a portare avanti le loro produzioni nell’ambito del clubbing e adesso si alternano tra lavori per le aziende, vantando collaborazioni con grandi nomi come Louis Vuitton, e le loro creazioni artistiche. Sono talentuosi e inoltre giovanissimi. Abbiamo incontrato uno dei fondatori di Zebra, Amerigo Piana aka Akufene e gli abbiamo fatto qualche domanda. 1 Innanzitutto, che cosa è ZebraMapping? Formalmente siamo una joint venture. Siamo partiti in due Sebastiano Antonello ed io, adesso abbiamo messo insieme un po’ di skills e siamo in cinque. Abbiamo iniziato facendo vjing nelle discoteche e a poco a poco abbiamo cercato di portare le videoproiezioni fuori dal loro solito supporto rettangolare: ci siamo inventati delle strutture nuove a cui noi diamo forma e su cui proiettiamo video e poi siamo passati alle architetture urbane. 2 Come è composto il vostro team? E come vi dividete il lavoro? Io mi occupo della regia in tempo reale, delle musiche e del sound design. Sebastiano Antonello si occupa del contatto con i clienti, dell’organizzazione per la parte hardware e dei proiettori. Manuel Bedin è tecnico elettronico e progettista, colui che si occupa di tut-

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to ciò che ha a che fare con caratteristiche elettriche. Insieme ideiamo le strutture e le realizziamo. I contenuti 3D e di motion graphic vengono prodotti da Andrea Maurelli, 3D generalist e artista 2D. Con Andrea Rao sviluppiamo soprattutto la parte interattiva e i programmi per l’audio in tempo reale. Nonostante veniamo tutti da esperienze artistiche e di formazione molto diverse, spesso i nostri interessi coincidono, in qualche modo riusciamo a parlare la stessa lingua anche in riferimento a ambiti differenti e molto specializzati. Questa sinergia è importantissima quando decidiamo che vie prendere per lo sviluppo di un progetto, perché abbiamo tanti punti di vista tutti molto validi . 3 Da quanto tempo siete attivi? Da ottobre 2013. 4 Se già adesso siete molto giovani, allora eravate giovanissimi! Quanti anni avete? Io ne ho 23, Sebastiano 24, Manuel 22, Andrea Maurelli 22 e Andrea Rao 26. 5 Complimenti! Quali sono tutti gli ambiti di cui vi occupate? Innanzitutto ci sono le installazioni, realizzate da noi, su cui proiettiamo e facciamo vjset, sono strutture con moduli geometrici, esagonali, triangolari, etc. sospese a mo’ di scenografie. Inoltre sviluppiamo installazioni per eventi corporate o stand fieristici. Abbiamo lavorato a party d’inaugurazio-

ne e annuali per aziende. Proprio ora siamo reduci da un progetto realizzato per Pitti Uomo nella Fortezza da Basso a Firenze. In questo caso lo stand consisteva in un LedWall di 8x5metri, su cui abbiamo proiettato dei contenuti video; da questa struttura si poteva accedere alla cupola interna della Fortezza. Qui abbiamo curato un Video Mapping a 360° che si dispiegava sulle architetture interne della cupola. Un’altra parte del nostro lavoro è dedicata al Led Mapping e anche questo progetto è nato nei club. In questo momento stiamo portando avanti mensilmente due serate, una a Venezia e una a Vicenza, caratterizzate da strutture di legno dove applichiamo delle strisce a led che controlliamo dal computer. In quella di Venezia il dj è all’interno della struttura che ha una forma a cubo, il che rende la situazione immersiva. Accese, le strip illuminano a giorno e hanno un forte effetto scenografico, perfette per la techno! 6 Bene. Entrando nel vivo delle vostre produzioni… La più eclatante è il Projection Mapping per La Basilica Palladiana. Qual è il concept di questa proiezione? Lì i visual sono introdotti da una voce che pare faccia riferimento al mito della caverna di Platone… Quello della Basilica Palladiana di Vicenza è il primo architetturale importante che abbiamo realizzato ed è stato in occasione de Il Giro Della Rua 2015. Avevamo abbastanza libertà rappresentativa, ma nello stesso momento


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dovevamo mantenere un profilo per un pubblico veramente ampio perciò abbiamo optato per inserire un espediente narrativo. L’idea era quella di presentare la videoproiezione da un altro punto di vista. Invitando ad interrogarsi su cosa è la realtà. Sostanzialmente il Video Mapping è una proiezione su di una superficie reale, che cerca di sovvertire la normale esperienza dello spazio urbano creando illusioni e deformando la realtà come normalmente viene percepita. 7 Quindi era una sorta di meta-videoproiezione? Una riflessione sul projection mapping? Sì, potrebbe essere vista come riflessione sul mezzo artistico che usiamo. Il mito della caverna era un espediente per introdurre la domanda: “Dove finisce la realtà e dove inizia la finzione?” Qualcuno avrebbe detto: “Credi sia aria quella che respiri?” 8 Poi quali altri lavori di proiezione architetturale avete fatto? Le proiezioni per La Villa Foscarini Rossi a Stra per Louis Vuitton e poi una sorta di architetturale al contrario in Villa La Favorita a Monticello di Fara in cui le proiezioni non erano sulla superficie esterna ma nelle architetture delle pareti interne. Recentemente abbiamo lavorato, invece, ad una projection mapping di un affresco. Nella Villa di Stra abbiamo fatto degli esperimenti su quasi un’intera parete. La peculiarità sta nel doppio gioco tra la prospettiva dell’affresco e quella delle proiezioni. Si gioca doppiamente su una prospettiva disegnata. Ricreando uno spazio illusorio in uno spazio illusorio... come se fosse il secondo livello di Inception! 9 Veramente interessante! Dal tuo punto di vista, i nativi digitali considerano la tecnologia effettivamente come elemento naturale? Penso che la questione dei nativi digitali sia controversa, poiché la definizio-

ne non si basa sulla conoscenza vera e propria del computer ma sul suo utilizzo. I nativi digitali non sono abituati a relazionarsi con la macchina da quando sono nati, ma ad interfacciarsi semplicemente con i programmi e le applicazioni.Secondo me, si inizia ad utilizzare veramente il computer solo quando si inizia a programmare, non si tratta di qualità innate. Utilizzando programmi di editing video o audio ad esempio, non ci si relaziona alla macchina ma ai software e alla loro interfaccia grafica. Quando si impara a programmare si inizia a capire la logica e a trovare soluzioni per sviluppare le proprie idee. Quali sono i percorsi che il mio cervello deve fare per mettersi in comunicazione con il computer e per sviluppare queste idee? I software commerciali facilitano l’approccio con la macchina, emulando nella sfera digitale, attraverso l’interfaccia grafica (i layer di photoshop, i pennelli, ad esempio), i comportamenti che si hanno nel mondo reale. 10 Tornando a voi, a quali altri progetti state lavorando? È un po’ che riflettiamo ad un tour che ci porti a proiettare in luoghi non convenzionali come paesaggi naturali o strutture urbane abbandonate. Appena avremo un po’ di tempo partiremo anche per queste mete. Nel frattempo stiamo lavorando a delle installazioni interattive con l’utilizzo del Leap Motion e di algoritmi per la Computer Vision (tecnologie di rilevazione del movimento nell’interazione fra uomo e computer n.d.r.). Questi sensori ci aprono la strada per la realtà aumentata! 11 Come mai queste tecnologie? Stiamo cercando di entrare in comunicazione in maniera diversa con il computer rendendolo percettivo attraverso questi nuovi sensori. I metodi di comunicazione tra uomo/computer, finora convenzionalmente adottati, passano sempre per device di input/out, come una tastiera o un mouse. La tecnologia

Leap Motion, invece, consente di avvicinarsi maggiormente ad un livello di interazione naturale con il computer: permette di relazionarsi con esso attraverso dei semplici movimenti delle mani. 12 Avete già avuto esperienza con questi sensori? Si, li ho utilizzati per la spazializzazione del suono ai concerti del corso di Musica Elettronica al conservatorio di Vicenza del 2014. Con spazializzare si intende muovere una sorgente sonora in uno spazio tridimensionale creato da un sistema multicanale di speaker. Ora sto sviluppando un programma per Leap Motion in cui si riesce a viaggiare in un mondo virtuale, il funzionamento è simile alla app PolyFauna lanciata dai Radiohead. È un programma che gestisce audio e video in tempo reale offrendo tanti parametri per la generazione. Difatti puntiamo sempre di più sull’audio-video generato, cosa non tanto diffusa. La mia formazione è nell’ambito del suono e anche quella di Andrea Rao, siamo entrambi diplomati al conservatorio di Vicenza al corso di musica elettronica, e insieme abbiamo sperimentato a lungo in direzione di un audio e video autogenerato a seconda dei parametri che si danno al programma. 13 Siete in piena fase di progettazione? Si, io ho già iniziato il prototipo del programma e sto iniziando a risolvere i problemi principali… A breve sarà pronto. Il ruolo del video e la luce sono inevitabilmente preminenti nel nostro lavoro ma adesso stiamo implementiamo anche tutti gli altri aspetti in direzione dell’immersività e dell’interattività. Stiamo lavorando per questo… Anche se ancora siamo uno studio piccolo e avremmo bisogno di più risorse per riuscire a mettere a punto tutte le idee e i progetti che abbiamo in cantiere!

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Art A rt b beyond eyond rreality ealit y A conversation with ZebraMapping Arianna Forte

ZebraMapping is a group of creatives based in Vicenza and specialized in live videos, interactive installations and mainly in Video mapping. They started to carry on their productions in the clubs field and now they both work for big companies, like Louis Vuitton, and creating their artistic projects. They are very young and talented. We met and interviewed Amerigo Piana aka Akufene, one of Zebra founders. 1 First of all, what’s ZebraMapping?

Formally we’re a joint venture. At the beginning it was two of us, Sebastiano Antonello and me, we are five now putting more skills together. We started doing vijng in discoes and slowly tried to bring video projections out of their usual rectangular support: we invented new structures for the video projections, then we moved on to urban architecture. 2 How is your team formed? How do

you all share the work? I deal with the direction of our events in real time, with music and sound design; Sebastiano Antonello deals with public relations, hardware and projections organization; Manuel Bedin is a designer and electrical

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technician who deals with the electrical part. All together we think and realize the structures. The 3D and motion graphic contents are produced by Andrea Maurelli who is a 3D generalist and a 2D artist. Thanks to Andrea Rao we develop the interactive part and the audio programs to play in real time. Although we come from very different education and artistic experiences, our interests often coincide, we speak the same language also referring to different and very specialized spheres. This synergy is very important when we have to decide how to develop a project, as we’ve got many good points of view.

really young! How old were you? I’m 23, Sebastiano is 24, Manuel 22, Andrea Maurelli 22 and Andrea Rao is 26.

triangular, etc. set like a scenic design. Besides we develop installations for corporate or fair events. We’ve worked for companies’ annual and opening ceremony. We’ve just finished a project realized for Pitti Uomo at the Fortezza da Basso in Florence. For this occasion the structure was a Led Wall of 8x5 metres, on which we have projected videos; from this structure it was possible to get to the cupola inside the Fortezza. Here we’ve made a 360° Video Mapping that displayed on the cupola internal architectures. Part of our work is about Led Mapping and also this project is born in the clubs. At the moment we make two nights a month, one in Venice and one in Vicenza; they’re characterized by wooden structures where we apply led stripes controlled by computers. In Venice the dj is inside the structure, which has a cubical shape, making so an immersing situation. The stripes enlighten like daylight and have a strong stage effect, perfect for techno!

5 Congratulations! Which are your

6 Well, Talking about your produc-

areas of interest? First of all there are the installations, created by us, on which we project and do vjset; they are structures with geometrical modules, hexagonal,

tions… The most impressive is the Projection Mapping for The Basilica Palladiana. What’s the concept of this projection? Here the visuals are introduced by a voice that seems re-

3 How long have you been working

as a group? Since October 2013. 4 At that time you must have been


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Video Mapping - Basilica Palladiana Vicenza (It) - Il Giro della Rua

fer to the myth of Plato’s cave... Then one of Basilica Palladiana in Vicenza is the first important architectural we’ve realized and it was in occasion of Il Giro Della Rua 2015. We had enough freedom of choice about the artwork, but we had to keep a line for a really vast audience so we decided to insert a narrative expedient. The idea was to introduce the video projection from another point of view. Questioning about what is reality. Substantially Video Mapping is a projection on a real surface that tries to subvert the normal experience of urban space, through the creation of illusions and deforming the normal perception of reality. 7 So it was a sort of meta-video

projection? A reflection on the projection mapping? Yes it might be seen as a reflection on the artistic media we use. The myth of the cavern was an expedient to introduce the question: ” Where ends reality and where starts the fiction?”. Somebody could have said: “Do you think that’s air you’re breathing?” 8 What other architectural projec-

tion works have you done? Projections for Villa Foscarini Rossi at Stra for Louis Vuitton and then a sort of contrary architectural in Villa La Favorita at Monticello di Fara where the projections were on the interior walls of the architectures. Recently we’ve worked to a projection mapping of a fresco. In the Villa at Stra we made experiments on almost the whole wall. Particular is the double cross between the fresco perspective and the projections perspective. Recreating an illusory space inside an illusory space… as it was the second level of Inception! 9 Really interesting! From your point

of view, the digital natives consider technology as natural element? I think the topic about digital natives is complex, as the definition is not based on the knowledge of computers but on their usage. Digital natives are not used to relate to the machine since they’re born; they are used to interface with softwares and applications. I think the real use of computers starts when programming starts, it’s not about inner skills. When we use video or audio editing programs, for instance, we don’t relate to the machine but to the software and its graphic interface. When we learn to program we start to understand logic and find solutions to develop our own ideas. Which are the paths the brain has to follow to communicate with the computer and develop these ideas? Commercial software easy the approach to the machine through graphic interface (photoshop layers, the brushes, for instance), emulating in digital sphere behaviors we have in real world. Are you working on other projects? We’ve been thinking about a tour where we can make projections in non-conventional places like natural landscapes or abandoned urban structures. We’ll work on this new fields. In the meantime we’re working at interactive installations for the Computer Vision, using Leap Motion and algorithm (technology of movement capture through interaction between man and computer ndr). These sensors open the way to the augmented reality! 10

11 Why these technologies?

We’re trying new ways to communicate with the computer making it perceptive through these new sensors. The commonly used communi-

cation systems between man/computer go through input/out devices like a mouse or a keyboard. The Leap Motion technology geys closer to a level of natural interaction with computer: allows to relate to it through simple hands movements. 12 Have you already experienced

these sensors? Yes, I already used them for the sound spatialization for the concerts of Electronic Music course at the conservatory of Vicenza in 2014. Spatializing means to move a sound source in a three-dimensional space created by a multichannel system of speakers. At the moment I’m developing, for Leap Motion, a software where it’s possible to travel in a virtual world, it works like the Poly Fauna app launched by the Radiohead. It’s a program that organizes audio and video in real time offering many standards for generation. We aim always more to the generated video-audio, which is not very diffused. My education and Andrea Rao’s is about sound field, we‘re both certificate at the conservatory of Vicenza for the electronic music course, we both have a long experience in directing self-generated video and audio in function to the standards given to the program. 13 Are you in a full projecting phase?

Yes, I’ve already started the prototype program and begun to solve the main problems… It’ll be ready shortly. Video and light are dominant in our work but now we’re increasing all the other aspects towards immersion and interactivity. We’re working for this… Even if we’re a little studio and we would need more resources to develop all the ideas and projects we have!

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ENDING TITLES

Valentina Malgarise, Splash, 2015, matita e colorazione digitale / pencil and digital coloring

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Valentina Malgarise è nata a Verona nel 1985.

Valentina Malgarise is born in Verona in 1985.

Dopo il diploma al Liceo Artistico U. Boccioni di Verona si trasferisce a Milano dove studia Illustrazione alla Scuola del Fumetto, diplomandosi nel 2006. Lavora come illustratrice freelance e attualmente è docente del corso di Tecniche di rappresentazione dello spazio e del corso libero di Acquerello per l’illustrazione presso la LABA (Libera Accademia di Belle Arti), nei dipartimenti di Torbole sul Garda.

After gaining the high school degree at the Liceo Artistico U. Boccioni in Verona she moves to Milan and studies illustration at the Scuola del Fumetto, graduating in 2006. She worked as freelance illustrator and at the moment is teaching the course of Techniques of space representations and the free course of Watercolor for illustration at the LABA (Libera Accademia di Belle Arti), in the departments of Torbole sul Garda (Italy).

http://valentinamalgarise.tumblr.com

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