IL MURO 3/2015

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ART PHILOSOPHY VISUAL CULTURE

ANNO 1, N.3 LUGLIO-AGOSTO 2015 FREEPRESS



INDICE 2 CONTEMPORARY

Where is Abel? di Gaia Palombo Where is Abel?, Gaia Palombo

4 CONTEMPORARY

IL MURO Art, Philosophy and Visual culture rivista bimestrale / bimonthly magazine Anno 1, n.3, luglio - agosto 2015 Direttore responsabile / Director general Luisa Guarino Direttore creativo / Creative director Jamila Campagna Caporedattore / Editor-in-chief Gaia Palombo Multimedia manager Alessandro Tomei Progetto grafico / Graphic project Valentino Finocchito Photo Editor Jamila Campagna Ricerca iconografica / Iconographic research Jamila Campagna Gaia Palombo Redazione / Editorial address IL MURO via Veio 2, 04100, Latina Hanno scritto su questo numero (in ordine alfabetico): Contributors (in alphabetical order): Guy Debord Jamila Campagna Arianna Forte Giorgio Ippoliti Rudyard Kipling E.M. Emanuela Murro Gaia Palombo Giulia Pergola Vera Viselli Per la consulenza in lingua inglese, si ringraziano: For the English consulting, thanks to: Gabriella Campagna E.M. Editore e Proprietario / Publisher and Owner IL MURO associazione culturale via Veio 2 04100 Latina

ARTE e TERRITORIO - La Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto a cura della redazione ARTE e TERRITORIO - Michelangelo Pistoletto’s Venere degli Stracci, by the editorial team

6 LA RUOTA PANORAMICA THE BIG WHEEL

Il Pianeta malato, di Guy Debord The sick planet, Guy Debord

1 0 LA RECHERCHE New York. La città che sale, di Giulia Pergola

New York. The City Risis, Giulia Pergola

15 ARTIST’S WORD Se, di Rudyard Kipling If, Rudyard Kipling

16 INTRAVISTA MZK

INTRAVIEW MZK

Joe D’Urso. Quando la musica attraversa il mondo: dai grandi spazi ai più piccoli dettagli, di Jamila Campagna Joe D’Urso. When music crosses the Countries: from big places to small details, Jamila Campagna

1 8 MZK Giovani di belle speranze: Rockin’1000

Romagna calling the Foo Fighters, a cura della redazione Hopefuls youngsters: Rockin’1000 Romagna calling the Foo fighters, by the editorial team

20 LA CAVERNA DI PLATONE PLATO’S CAVE

Quarto Potere 3.0, di Vera Viselli Citizen Kane 3.0, Vera Viselli

24 EQUIVALENTS

Florence Henri, Attraverso lo specchio, di E.M. Florence Henri, Through the lookin glass, E.M.

26 WHAT’S HAPP

Conversazione (in)attuale, di Emanuela Murro (Un)usual conversation, Emanuela Murro

32 MICROCULTURE Chrysallidem Festival 2015 - Norma (LT), a cura della redazione

Chrysallidem Festival 2015 - Norma (Latina - Italy), by the editorial team

6 BACKLOOK 3 Satrico e il tempio di Mater Matuta, di Giorgio Ippoliti

Satricum and Mater Matuta temple, Giorgio Ippoliti

Sito web www.ilmuromag.it

40 FLOPPY

Contatti / Contacts infoilmuro@gmail.com

Live performers meeting come stazione creativa, di Arianna Forte Live performers meeting as creative station, Arianna Forte

Stampa / Print Tipografia PressUp Roma

3 LEGÊRE 4 Consigli per l’estate

Registrazione al Tribunale di Latina n.1 del 9 febbraio 2015 ISSN 2421-2504 (edizione cartacea) ISSN 2421-2261 (edizione online)

Cover: Plate, elaborazione grafica originale/ original graphic elaboration, Valentino Finocchito

Summer tips

44 ENDING TITLES

Andrea Castro, Listen to me


IL MURO

GREGORIO SAMSA WHERE IS ABEL?

Gregorio Samsa | Where is Abel? 2015, a cura di Adriana Polveroni; AlbumArte; Roma; Exhibition view.

di Gaia Palombo Si è conclusa lo scorso 20 luglio la mostra personale di Gregorio Samsa dal titolo WHERE IS ABEL? presso gli spazi di AlbumArte, a cura di Adriana Polveroni. Una prima chiave di lettura del progetto artistico esposto risiede nello stesso Gregorio Samsa, nome che nasconde l’identità di una coppia di artisti. Il palese rimando che ad esso soggiace, incanala lo spettatore in una prospettiva incline a una visione frammentaria, a una esperienza estetico-concettuale destrutturata, antinarrativa. Più ancora, la scelta di un unico pseudonimo per i due artisti si inserisce non solo nell’ampiamente dibattuto concetto di autorialità-non autorialità, ma in un più profondo tentativo di azione, che nel caso in questione va ad assumere la forma di clandestinità. Tale aspetto, opportunamente sottolineato dalla curatrice della mostra, è di fondamentale importanza per la compresione dell’intero percorso espositivo; Gregorio Samsa compie un’incursione storica contestualmente all’Esposizione di Parigi del 1937, per la quale inserisce il proprio ipotetico padiglione Noi Siamo Lucido. L’operazione è frutto di un’alterazione di un video amatoriale girato per l’Expo e la relativa guida ufficiale. In particolare nel video, l’intrusione del padiglione alieno non è in nessun modo evidenziato ma anzi, risulta integrato perfettamente nel documento. Il cortocircuito prodotto dall’artista è congeniale al tentativo di sovvertire codici storicizzati, appurati. La nonidentità diventa dunque una imposizione di presenza che si inscrive in una più ampia riflessione di tipo storico. La struttura concepita per il Padiglione si differenzia sostanzialmente da quelle presenti: non vi è accenno a quella tipica propensione al futuro di cui l’Expo parigina è stata caratterizzata e addirittura, di contro, l’artista propone un’architettura massiccia, anticheggiante, che ricalca la struttura delle Ziqqurat. Perseguendo una linea laterale e sovversiva, l’artista non sceglie il nome di uno Stato per il padiglione ma formula l’enunciato

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- manifesto Noi siamo Lucido, dove si conferma la tensione a una discrasia semantica: il Noi simboleggia una pluralità che si condensa in un unicum, come avviene per lo stesso nome Gregorio Samsa. Sulla sommità della struttura trova collocazione l’opera fulcro WHERE IS ABEL? Un arazzo accompagnato da un carrillon che riproduce una musica tratta da un film di Sergio Leone e che, almeno nelle sue fattezze, sembra non voler suggerire alcun tipo di inquietudine. La carica drammatica emerge altresì con l’immagine schiusa dal collage di stoffe: la testa di Abele, chiaro richiamo al primo omicidio della storia, nonché al concetto di violenza e relativa vittima. Questa immagine, la cui esistenza è velata in trame dai colori rassicuranti, sembra porsi come massima espressione di un’idea di barbarie taciuta, dissimulata. Allo stesso modo, la fratellanza ostentata e la cieca fiducia nel futuro usate come stendardo dell’Esposizione parigina del 1937, occultavano strategicamente l’incombenza di un tragico capitolo storico: il secondo conflitto mondiale. A questa consapevolezza Gregorio Samsa reagisce con l’asserzione Noi Siamo Lucido, volta ad affermare una coscienza vigile e attiva. WHERE IS ABEL? è dunque un progetto che si fonda su una realtà passata e riflette sul presente, sulla banalità del male e su l’eterno ritorno dell’uguale. Album Arte Gregorio Samsa WHERE IS ABEL? A cura di Adriana Polveroni 8 giugno – 20 luglio 2015 AlbumArte Via Flaminia 122, 00196 Roma (RM) www.albumarte.org info@albumarte.org


CONTEMPORARY REVIEW

The Paris International Exposition, 1937 Documentario originale modificato / Original documentary film modified, 19’ 52”.

GREGORIO SAMSA WHERE IS ABEL? Gaia Palombo Last 20th July closed Gregorio Samsa’s personal exhibition titled WHERE IS ABEL? At AlbumArte, curated by Adriana Polveroni. A first reading key of the exhibited artistic project lies in Gregorio Samsa himself, name that hides a couple of artists’ identity. The obvious refer that submits to it, channels the spectator into a prospective incline to a fragmentary vision, to an anti-narrative, unstructured aesthetic-conceptual experience. Even more, the choice of one only pseudonymous for the two artists put itself not only in the largely debated concept of authorship-non authorship, but in a deeper attempt of action, that in this case gets the appearance of underground. Such appearance, properly underlined by the exhibition curator, is of essential importance for the entire exhibition itinerary comprehension; Gregorio Samsa makes a historic incursion contextually to the 1937 Paris exhibition, where he inserts his hypothetical pavilion Noi Siamo Lucido. The operation is result of an altered home video made for the Expo and the related official guide. Particularly in the video, the alien pavilion intrusion isn’t in any way put in evidence on the contrary, it comes perfectly integrated in the document. The short circuit produced by the artist is a suitable try to overturn historicize confirmed codex. The non-identity becomes a presence imposition that writes itself into a larger historical consideration. The pavilion structure differs essentially from the others: there’s no reference to that typical inclination for the future that characterized the Paris Expo and even, the artist proposes a massive architecture, by antiquity, that traces the Ziqqurat structure. Following a subversive sideline, the artist doesn’t choose the name of a State for the pavilion, he formulates the enunciated – manifesto Noi Siamo Lucido, where the tension to a semantic dyscrasia: Noi represents a plurality that condenses itself in an unicum, as it happens for the name Gregorio Samsa. On top of the structure is collocated the fulcrum opera WHERE IS ABEL? It’s a tapestry with a music box playing a motive from one of Sergio Leone’s film, that doesn’t seem to suggest any kind of inquietude, at least in its shape. The dramatic charge emerges with the image of Abel’s head opened up from the clothes collage, clear is the recall to the first history homicide, as well as violence concept and related victim. This image, whose existence is veiled by plots with reassuring colors, seems to place itself as an idea most expres-

Gregorio Samsa; Guide Officiel - Exposition Internationale Paris 1937 (Installation) Libro, ferro, legno laccato, plexiglass / Book, iron, lacquered wood, plexiglass; cm 87 x 72 x 40. Particolare / Detail.

sion of dissimulated, unspoken barbarian. At the same way, the exhibited brotherhood and the blind trust in the future used as standard by the 1937 Paris Exhibition, strategically hide a tragic historical chapter task: the second world war. Gregorio Samsa reacts to this awareness with the statement Noi Siamo Lucido, directed to affirm a watchful and active conscience. WHERE IS ABEL? Is a project based on past reality but reflecting about the present, the evil banality and the eternal return of the equal.

Album Arte Gregorio Samsa WHER IS ABEL? Curated by Adriana Polveroni 8th June-20th July AlbumArte Via Flaminia, 122, 00196 Rome (RM) www.albumarte.org info@albumarte.org

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IL MURO

ARTE E TERRITORIO

LA VENERE DEGLI STRACCI di Michelangelo Pistoletto

Ph. Jamila Campagna

ARTE e TERRITORIO La Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto a cura di Francesco Saverio Teruzzi, Stefania Crobe, Lorenza Lorenzon in collaborazione con Artivazione, Cittadellarte Fondazione Pistoletto, SITI MAP Museo Agro Pontino Pontinia | Piazza J. F. Kennedy 1 26 Giugno 2015 - 30 Settembre 2015

con il Patrocinio di Regione Lazio e Comune di Pontinia Partner: CARITAS ITALIANAÂ

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Ph. Jamila Campagna

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IL MURO

Il Pianeta malato* di Guy Debord Al giorno d’oggi “l’inquinamento” è alla moda, proprio allo stesso modo della rivoluzione: s’impadronisce della totalità della vita della società e viene illusoriamente rappresentato nello spettacolo. È una chiacchiera noiosa all’interno di una pletora di scritti e discorsi erronei e mistificatori, e nei fatti prende tutti quanti alla gola. Si espone dappertutto in quanto ideologia, e guadagna terreno in quanto processo reale. Questi due movimenti antagonisti, lo stadio supremo della produzione mercantile e il progetto della sua negazione totale, ugualmente ricchi di contraddizioni in sé, crescono insieme. Sono i due aspetti attraverso cui si manifesta lo stesso momento storico atteso tanto a lungo, e spesso previsto sotto forme parziali e inadeguate: l’impossibilità della continuazione del funzionamento del capitalismo. L’epoca che possiede tutti i mezzi tecnici per alterare in modo assoluto le condizioni di vita su tutta la Terra è ugualmente l’epoca che, attraverso lo stesso sviluppo tecnico e scientifico separato, dispone di tutti i mezzi di controllo e di previsione matematicamente indubbi per misurare con esattezza e in anticipo dove porta – e verso quale data – la crescita automatica delle forze produttive alienate della società di classe: sarebbe a dire per misurare la rapida degradazione delle stesse condizioni di sopravvivenza, nel senso più generale e più triviale del termine. Mentre gli imbecilli passatisti dissertano ancora su, e contro, una critica estetica di tutto questo, e credono di dimostrarsi lucidi e moderni fingendo di sposare il loro secolo, proclamando che l’autostrada o Sarcelles possiedonouna loro bellezza che dovremmo preferire alla scomodità dei vecchi quartieri “pittoreschi”, oppure facendo notare con gravità che la popolazione mangia meglio, a dispetto dei nostalgici della buona cucina, il problema della degradazione della totalità dell’ambiente naturale e umano non si pone ormai più sul piano della pretesa antica qualità, estetica o altro, per diventare radicalmente il problema stesso della possibilità materiale d’esistenza del mondo perseguita da tale movimento. Infatti la sua impossibilità è gia perfettamente dimostrata da tutta la conoscenza scientifica separata, che non discute di altro che della data finale e dei palliativi che, se applicati con fermezza, potrebbero ritardarla leggermente. Una scienza simile non può far altro che accompagnare il mondo verso la distruzione che l’ha prodotta e che la comprende, ma è costretta a farlo con gli occhi aperti. Così essa dimostra, a livello caricaturale, l’inutilità della conoscenza senza il suo impiego. Con eccellente precisione misuriamo ed estrapoliamo il rapido aumento dell’inquinamento chimico dell’atmosfera respirabile, dell’acqua dei fiumi, dei laghi e già degli oceani, e l’aumento irreversibile della radioattività accumulata con lo sviluppo pacifico dell’energia nucleare; degli effetti prodotti dal rumore, dell’invasione dello spazio da parte di prodotti in materie plastiche che possono aspirare all’eternità come discarica universale; di un tasso di natalità pazzesco, della falsificazione insensata degli alimenti; della lebbra urbanistica che si espande sempre più al posto di quelle che erano le città e la campagna; come pure delle malattie mentali – comprese le paure nevrotiche e le allucinazioni che presto non mancheranno di moltiplicarsi sulla questione dell’inquinamento stesso, la cui immagine allarmante viene affissa dappertutto – e del suicidio il cui tasso di crescita già coincide esattamente con quello della costruzione di un simile ambiente (per non parlare degli effetti della guerra atomica o batteriologica, le cui possibilità sono presenti come una spada di Damocle, ma che evidentemente si possono evitare). In breve, se l’ampiezza e la realtà stessa del “terrore dell’Anno Mille” sono ancora oggetto di controversia tra gli storici, il terrore dell’Anno Duemila è tanto evidente quanto ben fondato: è fin d’ora certezza scientifica. Eppure quel che succede non è niente di veramente nuovo: è semplicemente la fine obbligata dell’antico processo. Una società sempre più malata, ma sempre più potente, ha ricreato ovunque e concretamente il

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mondo come ambiente e scenario della sua malattia, in quanto pianeta malato. Una società che non è ancora diventata omogenea e che non è determinata da sé stessa, ma sempre più da una parte di essa che si pone al di sopra di essa, che le è esterna, ha sviluppato un movimento di dominio della natura che non si è dominato lui stesso. Alla fine il capitalismo ha fornito la prova, con il suo proprio movimento, che non può più sviluppare le forze produttive: e questo non quantitativamente, come molti pensavano di aver capito, ma qualitativamente. Tuttavia per il pensiero borghese, metodologicamente, solo il quantitativo è serio, misurabile, effettivo: e il qualitativo non è che l’incerta decorazione soggettiva o artistica del vero reale stimato al suo giusto valore. Al contrario per il pensiero dialettico, dunque per la storia e per il proletariato, il qualitativo è la dimensione più decisiva dello sviluppo reale. Ecco quello che, noi e il capitalismo, avremo finito per dimostrare. Oggi i signori della società sono costretti a parlare dell’inquinamento sia per combatterlo (dato che, dopotutto, vivono sul nostro stesso pianeta: ecco il solo senso con cui è possibile ammettere che lo sviluppo del capitalismo abbia effettivamente realizzatouna certa fusione delle classi) sia per dissimularlo: perché la semplice novità delle nocività e dei rischi presenti bastano a creare un immenso fattore di rivolta, un’esigenza materialistadegli sfruttati, tanto vitale quanto lo è stata la lotta dei proletari del XIX secolo per avere la possibilità di mangiare. Dopo lo scacco fondamentale di tutti i riformismi del passato – che aspiravo tutti alla soluzione definitiva del problema delle classi – si delinea un nuovo riformismo che obbedisce alle stesse necessità dei precedenti. Oliare la macchina e aprire nuove occasioni di profitto per le imprese all’avanguardia. Il settore più moderno dell’industria si getta sui diversi palliativi dell’inquinamento come su un nuovo mercato, tanto più redditizio in quanto una buona parte del capitale monopolizzato dello Stato vi può essere impiegato e manovrato. Ma se questo nuovo riformismo ha in anticipo la garanzia del suo scacco, esattamente per gli stessi motivi dei passati riformismi, rispetto a questi presenta la differenza radicale di non aver più tempo davanti a sé. Fino ad oggi lo sviluppo della produzione si è interamente verificato in quanto complimento dell’economia politica: sviluppo della miseria, che ha invaso e rovinato l’ambiente stesso della vita. La società in cui i produttori muoiono di lavoro, e non abbiamo che da contemplarne il risultato, oggi dà loro a vedere, e a respirare, proprio il risultato generale del lavoro alienato in quanto risultato di morte. Nella società dell’economia sovrasviluppata tutto è entrato nella sfera dei beni economici, anche l’acqua delle sorgenti e l’aria delle città, il che significa che tutto è diventato male economico, “il rinnegamento compiuto dell’uomo” che raggiunge adesso la sua perfetta conclusione materiale. Il conflitto tra le moderne forze produttive e i rapporti di produzione, borghesi o burocratici, della società capitalista è entrato nella sua ultima fase. La produzione della non-vita ha perseguito sempre più veloce il suo processo lineare e cumulativo; avendo ora superato un’ultima soglia nel suo progresso, adesso produce direttamente la morte. La funzione ultima, riconosciuta ed essenziale dll’econimia sviluppata oggigiorno, nel mondo intero in cui regna il lavoro-merce, che assicura tutto il potere ai suoi padroni, è la “produzione di impieghi”. Siamo dunque ben lontani dalle idee progressiste del secolo scorso sulla possibile diminuzione del lavoro umano attraverso la moltiplicazione scientifica e tecnica della produzione, che si riteneva potesse assicurare sempre più facilmente il soddisfacimento dei bisogni “in precedenza riconosciuti da tutti come reali”, e senza alterazione di fondo della qualità stessa dei beni disponibili. Oggi è per produrre posti di lavoro, perfino nelle campagne svuotate di contadini, ovvero per utilizzare lavoro umano in quanto lavoro alienato, in quanto lavoro salariato, che si fa “tutto il resto”; e che dunque si minacciano stupidamente le basi, attualmente ancor più fragili del pensiero di un Kennedy o di un Breznev, della vita della specie. Il vecchio oceano di per sé è indifferente all’inquinamento: ma la storia non lo è. Essa non può essere salvata che con l’abolizione del lavoro-merce. E mai la coscienza storica ha avuto


LA RUOTA PANORAMICA

tanto bisogno di dominare così urgentemente il suo mondo, perché il nemico che è alla sua porta non è più l’illusione, ma la sua morte. Quando i poveri padroni della società di cui vediamo il deplorevole risultato, ben peggiore di tutte le condanne che un tempo hanno potuto fulminare gli utopisti più radicali, devono ammettere oggi che il nostro ambiente è diventato sociale; che la gestione di tutto è diventata un affare direttamente politico, fino all’erba dei campi e alla possibilità di bere, fino alla possibilità di dormire senza prendere troppi sonniferi o di lavarsi senza soffriredi troppe allergie, in un momento simile vediamo altresì che la vecchia politica specializzata deve ammettere di essere completamente finita. È finita nella forma suprema del suo volontariarismo: il potere burocratico totalitario dei regimi detti socialisti, dato che i burocrati al potere non si sono nemmeno dimostrati capaci di gestire lo stadio anteriore dell’economia capitalista. Se questi inquinano molto meno – i soli Stati Uniti producono il 50% dell’inquinamento mondiale – è perché sono molto più poveri. Essi non possono, come ad esempio la Cina, bloccando per questo una parte sproporzionale del suo misero bilancio, che concedersi la parte di inquinamento di prestigio delle potenze povere; una qualche riscoperta e perfezionamento nelle tecniche della guerra termonucleare, o più esattamente del suo spettacolo minaccioso. Così tanta povertà materiale e mentale, sostenuta da cotanto terrorismo, condanna le burocrazie al potere. E ciò che condanna il potere borghese più modernizzato è il risultato insopportabile di così tanta ricchezza effettivamente avvelenata. La gestione cosiddetta democratica del capitalismo, in qualsiasi paese, non offre che le sue elezioni-dimissioni che, come abbiamo sempre visto, non cambiano mai niente nell’insieme, e anche molto poco nei dettagli, di una società di classe che pensa di durare all’infinito. Non vi cambiano nulla neppure nel momento in cui questa stessa gestione perde la testa e finge di augurarsi, per risolvere alcuni problemi secondari ma urgenti, qualche vaga direttiva da parte dell’elettorato alienato e rincretinito (Stati Uniti, Italia, Inghilterra, Francia). Tuti gli osservatori specializzati avevano sempre rilevato – senza darsi troppo la briga di spiegarlo – il fatto che l’elettore non cambia quasi mai “opinione”: è proprio perché lui è l’elettore, quello che per un breve istante assume il ruolo astratto che è destinato precisamente a impedirgli di essere di per sé e di cambiare (il meccanismo è stato smontato centinaia di volte, tanto dall’analisi politica demistificata quanto dalle spiegazioni della psicanalisi rivoluzionaria). L’elettore non cambia più di quanto il mondo cambi sempre più velocemente attorno a lui e, in quanto elettore, non cambierebbe neppure alla vigilia della fine del mondo. Qualsiasi sistema rappresnetativo è essenzialmente conservatore, mentre le condizioni di esistenza della società capitalista non si sono mai potute conservare: si modificano ininterrottamente, e sempre più velocemente, mentre la decisione – che in fondo è sempre la decisione di lasciar fare al processo stesso della produzione mercantile – è interamente affidato a specialisti pubblicizzati, siano essi soli in gara o in concorrenza con chi farà la stessa cosa, e d’altronde lo annunciano ad alta voce. Tuttavia, l’uomo che ha appena “liberamente” votato per i gollisti o per il Partito comunista francese, così come l’uomo che ha appena votato, costretto, per un Gomulka, è capace di mostrare quello che è veramente, la settimana dopo, partecipando a uno sciopero selvaggio o a un’insurrezione. La cosiddetta “lotta conro l’inquinamento”, nella sua forma statale e regolamentare, per prima cosa va a creare delle nuove specializzazioni, dei servizi ministeriali, dei lavoridei progressi burocratici. E la sua efficacia sarà completamente nella misura di questi mezzi. Questa non può diventare una volontà reale se non trasformando alle sue stesse radici l’attuale sistema produttivo. E questa non può essere applicata con fermezza se non nell’istante in cui tutte le sue decisioni, prese democraticamente in piena conoscenza della sua causa dai produttori, saranno controllate ed eseguite in ogni momento dai produttori stessi (ad esempio le navi scaricheranno immancabilmente il loro petrolio in mare Fincheé non saranno sotto l’autorità reale dei soviet di marinai). Per decidere ed eseguire tutto ciò bisogna che i produttori di-

ventino adulti: bisogna che si impadroniscano tutti del potere. L’ottimismo scientifico del XIX secolo è crollato su tre punti essenziali. Primo, la petesa di garantire la rivoluzione come risoluzione felice dei conflitti esistenti (è stata l’illusione della sinistra hegeliana e del marxismo; la meno risentita nell’intellighenzia borghese, ma la più ricca e, alla fine, la meno illusoria). Secondo, la visione coerente dell’universo, e anche semplicemente della materia. Terzo, il sentimento euforico e lineare dello sviluppo delle forze produttive. Se dominiamo il primo punto avremo risolto il terzo; e più tardi sapremo ben fare del secondo il nostro affare e il nostro gioco. Non bisogna curare i sintomi ma la malattia stessa. Oggi la paura è dovunque, non ne usciremo se non confidando nelle nostre proprie forze, nella nostra capacità di ditruggere tutta l’alienazione esistente, e tutta l’immagine del potere che ci è sfuggita. Rimetendo tutto, a eccezione di noi stessi, al solo potere dei Consigli dei lavoratori che in ogni momento possiedano e ricostruiscano la totalità del mondo, ovvero alla vera razionalità, a una nuova legittimità. In materia di ambiente “naturale” e costruito, di natalità, di biologia, di produzione, di “follia” eccetera, non bisognerà scegliere tra la festa e la disgrazia, ma coscientemente e ad ogni incrocio, tra mille possibilità buone o disastrose, relativamente correggibili, e dall’altra parte il niente. Le scelte terribili del prossimo futuro lasciano questa sola alternativa: democrazia totale o burocrazia totale. Quelli che dubitano della democrazia totale debbono fare ogni sforzo per dimostrarla a sé stessi, dandole l’opportunità di dare le sue prove funzionando, altrimenti non gli resta che comprarsi una tomba a rate, perché «l’autorità l’abbiamo vista all’opera, e le sue opere la condannnano». (Joseph Déjacque). «La rivoluzione o la morte», questo slogan non è più l’espressione lirica della coscienza in rivolta, ma è l’ultima parola del pensiero scientifico del nostro secolo. Questa si applica ai pericoli della specie come all’impossibilità di adesione per gli individui. In questa società in cui il suicidio progredisce nel modo che sappiamo, gli specialisti hanno dovuto riconoscere, con un certo fastidio, che esso, nella Francia del maggio del ’68, era ritornato a valori prossimi allo zero. Questa primavera, senza montarvi precisamente all’assalto, ha ottenuto anche un bel cielo, perché qualche automobile è stata bruciata e tutte le altre non avevano più benzina per inquinare. Quando piove, quando ci sono false nuvole su Parigi, non scordatevi mai che è colpa del governo. La produzione industriale alienata porta la pioggia, la rivoluzione il bel tempo. 1971 * Titolo originale: La Planète malade (1971), in La Planète malade, Gallimard, Paris 2004. Traduzione di Matteo Lombardi per Nautilus, Torino 2005. Questo testo non è sottoposto ad alcun copyright.

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IL MURO

The sick planet Guy Debord Today “pollution” is in fashion, exactly in the same manner that revolution is: it takes hold of the entire life of society, and it is illusorily represented in the spectacle. It is boring chatter in a plethora of erroneous and mystifying writings and discourses, and in reality [dans les faits] it gets everyone in the throat. It reveals itself everywhere as ideology and it gains on the ground as real process. These two [mutually] antagonistic movements - the supreme stage of commodity production and the project of its total negation, equally rich in internal contradictions - grow together. They are the two sides through which a single historical moment (long-awaited and often foreseen in inadequate partial figures) manifests itself: the impossibility of the continuation of the functioning of capitalism. The epoch that has all the techincal means to absolutely alter the conditions of life of the entire Earth is also the epoch that, by the same separated technical and scientific development, disposes of all of the means of control and indubitable, mathematical prediction to exactly measure in advance where and when - the automatic increase in the alienated productive forces of class-society will lead: that is to say, so as to measure the rapid degradation of the conditions for survival in the most general and trivial senses of the term. While imbecilic reactionaries still hold forth on and against an aesthetic critique of all this, and believe themselves lucid and modern when they affect to marry their century by proclaiming that the super-highway and Sarcelles have their own beauty, which one must prefer to the discomfort of the “picturesque” old neighborhoods, or by gravely remarking that the entirety of the population eats better, despite those nostalgic for good food, the problem of the degradation of the totality of the natural and human environment already completely ceases to pose itself on the plane of so-called ancient quality, aesthetic or otherwise, and radically becomes the problem of the material possibility for existence of a world that pursues such a movement. This impossibility is in fact already perfectly demonstrated by all of separated scientific knowledge, which now only discusses the expiration [date] and the palliatives that, if one applies them diligently, can slightly delay it. Such a science can only accompany to destruction a world that has produced it and has it, but is forced to do so with open eyes. It thus shows, to a caricatural degree, the uselessness of knowledge without use. One measures and extrapolates with excellent precision the rapid augmentation of chemical pollution in the air; in the water of rivers, lakes and even oceans; and the irreversible augmentation of radioactivity accumulated by the peaceful development of nuclear energy 1 ; the effects of noise; the invasion of space by plastics that can claim an eternity of universal landfill-storage; rapid birth-rates; the senseless falsification of food 2 ; the urbanistic leprosy that over-runs what used to be the town and the country; thus mental illnesses - including neurotic fears and hallucinations that will not fail to soon arise and multiply on the very theme of pollution, of which one everywhere displays an alarming image - and suicide, the rate of growth of which already exactly matches that of the construction of such an environment (to say nothing of the effects of atomic or bacteriological warfare, of which the means are in place like the sword of Damocles, but obviously remaining avoidable). In brief, if the scale and reality of the “Terrors of the Year 1000” are still a subject for controversy among the historians, the Terror of the Year 2000 is also quite well-founded; it is henceforth ascientific certainty. Nevertheless, what is happening is not fundamentally new: it is simply the forced conclusion of an old process. A society that is always sicker, but always stronger, has everywhere concretely re-created the world as the environment and decor of its illness, a sick pla1

See Jaime Semprun›s essay Abyss (1986).

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See Guy Debord›s essay Abat-Faim (1985).

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net. A society that still hasn’t become homogenous and that isn’t determined by itself, but isalways more determined by a part of itself that places itself above the rest and is exterior to it, has developed a movement that dominates natures but isn›t itself dominated. By its own movement, capitalism has finally provided the proof that it can no longer develop the productive forces; and that this isn’t [simply] quantitative, as many have believed to understand, but qualitative 3 . Meanwhile, for bourgeois thought, methodologically, only the quantiative is serious, measurable, effective; and the qualitative is only the uncertain, subjective or artistic decoration of the real, which is estimated by its true weight. For dialectical thought (and thus for history and the proletariat, as well), on the other hand, the qualitative is the most decisive dimension of real development. Here is what we, capitalism and us, have ended up demonstrating. The masters of society are now obliged to speak of pollution and to combat it (because, after all, they live on the same planet as we do, and this is the only sense in which one can allow that capitalism’s development has actually realized a cerain fusion of the classes) so as to dissimulate it: because the simple truth of the “harmful effects”4 and current risks suffice to constitute an immense factor 5 in revolt, a materialist demand of the exploited, as vital as the struggle of the proletarians of the 19th Century for the possibility of eating. After the fundamental failure of all the reformisms of the past -- which aspired to the definitive solution of the problem of classes -- a new reformism delineates itself, which obeys the same necessities as its precedents: to oil the machine and open up new occasions for profit for peak enterprises [enterprises de pointe]. The most modern sector of industry throws itself upon the different palliatives for pollution [poisoning], as on a new opening, one that is more profitable than a good part of the capital monopolized by the State for its use and manoeuvres. But if this new reformism has the guarantee of its failure in advance, for exactly the same reasons as for the failure of past reformisms, it is radically different in that that it no longer has any time. The development of production has been entirely verified until now as the accomplishment of political economy: the development of poverty, which has invaded and damaged the milieu of life. The society in which the workers kill themselves at work and only contemplating the result, given frankly for them to see and breathe, understand that the general result of alienated work isdeath. In the society of the over-developed economy, everything has entered the sphere of economic goods, even spring water and the air of towns, that is to say, everything has become theeconomic evil, «the perfected denial of man,» which now awaits its perfect material conclusion. The conflict of modern productive forces and the bourgeois or bureaucratic relations of production of capitalist society has entered into its final phase. The production of non-life has more and more pursued its linear and cumulative process; over-coming a final threshold in its progress, it now directly produces death. Today, the last function, avowed, essential, of the developed economy, in the entire world where the labor-commodity rules and assures all power to its patrons, is the production of jobs. One is thus quite far from the «progressive» ideas of the preceding century concerning the possible dimunition of human labor by the scientific and technical multiplication of productivity, which was supposed to assure still more easily the satisfaction of needs previously recognized by all as real, and without fundamental alteration of the quality of the goods that found themselves made available. It is at present so as to «produce jobs,» even in the countries bereft of 3

See «Censor» (Gianfranco Sanguinetti & Guy Debord), especially Chapter VII.

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The French here is nuisances. Note that the texts referred to in footnotes [1] and [2] where published in L’Encyclopedie des Nuisances (The Encyclopedia of Harmful Effects), founded by Jaime Semprun in 1984.

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The French here is facteur, and so both «factor» and «carrier» of that factor are suggested.


LA RUOTA PANORAMICA

countrymen, that is to say, so as to use human labor as alienated labor, as salariat6 , that one does all the rest, and thus one stupidily threatens the basis of the life of the species, which is currently more fragile than the thought of a Kennedy or a Breshnev. The ancient ocean is indifferent to pollution, but history is not. It can only be saved by the abolition of the labor-commodity. And never has historical consciousness had as much urgent need of dominating its world, because the enemy that is at its door is no longer an illusion, but its death. At a moment when the poor masters of the society of which one sees the deplorable outcome, which is quite worse than all of the condemnations that were heaped upon the most radical utopianists, must confess that our environment has become social, that the management of everything - including the herbs of the field, the [very] possibility of drinking, the possibility of sleeping without having to take too many sleeping pills or washing oneself without suffering from allergies - has become a directly political affair, one sees quite well that the old specialized politics must confess that it is completely finished. It is finished in the supreme form of its voluntarism: the totalitarian, bureaucratic power of the so-called socialist regimes, because the bureaucrats in power have not shown themselves capable of managing the preceding stage of the capitalist economy. If they pollute much less - the United States alone produces 50% of the world’s pollution - it is because they are much poorer. As in China, for example, where, by devoting a disportionate part of its budget-poverty, they can only afford the pollution-prestige of the poor powers: a few re-discoveries and perfections in the techniques of thermonuclear war or, more exactly, its menacing spectacle. So much poverty, [both] material and mental, supported by so much terrorism, condemned the bureaucracies to power. And what condemned the most modernized bourgeois power was the insupportable result of so much effectively poisoned richness. The so-called democratic management of capitalism (whatever the country) only offers elections-resignations that, as one has always seen, do not change anything in the ensemble and change even less in the details of a class society that imagines that it will endure indefinitely. They change nothing, moreover, at the moment that this management itself panics and, to settle certain secondary but more urgent problems, feigns to wish for some vague directives from the alienated and cretinized electrorate (USA, Italy, England, France). All of the specialized observers have always raised the fact - without troubling themselves too much to explain it - that the voter almost never changes his “opinion”: this is exactly because the voter is someone who for a brief instant assumes the abstract role that is precisely intended to prevent him from being himself and changing (the mechanism has been demonstrated a hundred times, as much by demystified political analysis as by the explanations of revolutionary psychoanalysis). The voter no longer changes when the world changes around him always more precipitously and, insofar as he is a voter, he doesn’t even change just before the end of the world. Ever representative system is essentially conservative, whereas capitalist society›s conditions of existence has never been conserved: they are modified without interruption and always more quickly, but the decision - always at base a decision to leave the process of commericial production alone - is entirely left to the advertising specialists, who are alone on the path or quite in concurrence with those who will do the same thing and moreover announce it loudly. Meanwhile, the man who “freely” votes for the Gaullists or the F.C.P. 7 just as much as the man who is constrained and forced to vote for a Gomulka 8 , is capable of showing what he truly is, next week, by participating in a wildcat strike or an insurrection 9 . 6

The French here is a neologism that combines «salary» with «proletariat,» to produce a proletariat that receives a salary.

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The French Communist Party.

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Wladyslaw Gomulka, a Polish Communist.

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In December 1970, shortly before this text was written, a massive anti-Communist insurrection had broken out in Poland.

On its Statist and regulatory side, the so-called “ struggle against pollution” at first creates new specializations, ministerial services, jobs 10 [and] bureaucratic advancement. And its efficacity will completely be determined by such means. It can only become a real effort [volonte] by transforming the current production system from the roots. And it can only be firmly applied at the instant when all of its decisions -- democratically arrived at, in full knowledge of the situation, by the producers -- will at every instant be controlled and executed by the producers themselves(for example, ships will inevitably dump their oil in the sea as long as they are not [operated] under the authority of the real soviets of the seas). To decide upon and execute all of this, it is necessary that the producers become adults; it is necessary that they take hold of all power. The scientific optimism of the 19th century has collapsed in three essential areas. Primarily, the pretense to guarantee the revolution as the happy resolution of existing conflicts (this being the Left-Hegelian and Marxist illusion, the one least experienced by the bourgeois intelligentsia, but the richest and, finally, the least illusory one). Secondarily, the coherent vision of the universe and, more simply, matter. Thirdly, the euphoric and linear appraisal [sentiment] of the development of the productive forces. If we dominate the first area, we have [also] resolved the third, and later we will make of the second area our business and our game. It isn’t necessary to treat the symptoms but the sickness itself. Today, fear is everywhere; we will only leave it behind by trusting in our own forces, in our own capacity to destroy all existing alienation and all images of the power that escapes us; by putting everything except ourselves in the power of the Workers’ Councils that at every moment possess and reconstruct the totality of the world, that is to say, in the power of true rationality, a new legitimacy. In matters of the “natural” and constructed environment[s], birth rates, biology, production, “madness,” etc., there will not be a choice between the festival and unhappiness, but [on the one hand] - consciously and at every turn - between a thousand fortunate or disastrous possibilities that are relatively correctable and, on the other hand, annihilation. The terrible choices of the near future leave this one alternative: total democracy or total bureaucracy. Those who doubt total democracy must make efforts to prove it to themselves, by providing the occasion to prove it, or else it only remains to them to buy their tomb on the installment plan, because «one has seen Authority at work, and its works condemn it» (Joseph Dejacque) 11 . «Revolution or death»: this slogan is no longer the lyrical expression of the consciousness that revolts; it is the last word of the scientific thought of our century 12 . It applies to the perils facing the species as well as to the impossibility of the belonging [adhesion] of individuals. In this society, in which (as one knows) suicide progresses [rapidly], specialists must recognize with a certain resentment that they were reduced [retombe] to almost nothing in May 1968. Without precisely showing it during the assault, this spring has also obtained a beautiful sky, because several cars were burned and all of the others lacked the gasoline [necessary] to pollute. When it rains, when there are false clouds over Paris, never forget the fact that it is the fault of the State. Alienated industrial production causes rain. Revolution makes for beautiful weather.

(Written by Guy Debord, 1971. Published post-humously by Gallimard, in 2004. Translated from the French by NOT BORED! March 2006.) 10 English in original. 11 French anarcho-communist (1821-1864). 12 «Sometimes, in the current prosperity of capitalist France, one wants to cry out: ‹Beware! Revolution or death. . .’ This does not mean, ‘Let us die for the revolution,’ but rather ‘If you do not want to die, make the revolution, swiftly, totally.’” Henri Lefebvre, introduction to Space and Politics, (1973).

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IL MURO

NEW YORK

LA CITTÀ CHE SALE di Giulia Pergola

La città che sale di Boccioni è uno di quei dipinti che non scorderò mai. Studiato, stampato malamente sulle pagine dei libri di scuola e sui manuali universitari, finalmente lo vedo dal vivo giganteggiare nella stanza ‘futurista’ del MoMA. Infiamma la parete con i suoi colori accesi, con la sua immane spinta vorticosa. La sua presenza cangiante. New York è la città che sale, che pulsa insistente e affannosa senza soluzione di continuità. New York sale in altezza con i suoi terrificanti grattacieli. Usurati anche quando sono nuovi. Nati sporchi e scrostati, ma mai vecchi. ‘Vecchio’ non è di certo un aggettivo adatto a descrivere questa città; nemmeno quando ci si trova di fronte ai sarcofagi del MET che risplendono come sacre reliquie all’interno di lucide teche di vetro. Nei musei non c’è spazio per la trascuratezza. Le ragnatele degli Uffizi sono ben lontane. Ogni particolare trova la propria funzione, ogni dettaglio è esaltato, ogni opera d’arte, anche la più brutta, anche la meno meritevole di tanta attenzione, trova il proprio spazio, il proprio incastro perfetto in una costante armonia che accompagna il visitatore dei musei americani. Il cuore di New York batte costante e il benefico flusso sanguigno inonda le trafficate arterie della città rigenerandosi nella natura voluttuosa di Central Park, teatro di coreografie amorose, così come dei delitti più cruenti. Del resto non ci è nuovo il saldo legame tra ἔρως e Θάνατος. New York sale la mistica spirale del Guggenheim che avviluppa prima i piedi, poi le spine dorsali e infine i cuori, fino a raggiungere quella ragnatela di luce che benedice l’atteso traguardo. New York tenta nuove strade, nuovi percorsi non sempre vincenti eppure attentamente calibrati. Tenta, vive, freme fino allo spasmo. Ma New York si può guardare anche a rallentatore, con le cuffie a coprire il frastuono metropolitano e Brian Eno che sussurra Taking Tiger Mountain nelle nostre orecchie distratte. New York è quel possente cavallo rosso che traina il proprio futuro, la propria ragione d’essere che è innanzitutto l’umile lavoro pronto a trasformarsi in Arte.

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LA RECHERCHE

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IL MURO

NEW YORK

THE CITY RISES Giulia Pergola The City Rises by Boccioni is one of those paintings which I’ll never forget. Studied, badly printed on the pages of textbooks and university manuals, I see it live finally, it is so imposing in the MoMA ‘futuristic’ room. It inflames the wall with its bright colors, its enormous whirling thrust and its changing presence. New York is the rising city that pulses persistently and breathless without a continuity solution. New York rises in height with its terrifying skyscrapers. They’re worn out even when they are new. Born dirty and peeled, but never old. ‘Old’ isn’t surely the right adjective to describe this city; even when you are at the MET in front of the sarcophagus which shine like sacred relics inside bright glass shrines. There is no room for carelessness in the museums. The Uffizi cobwebs are so far. Every particular finds its own function, every detail is enhanced, every art work, even the ugliest and the least meritorious, finds its own space, its perfect joint within a constant harmony that goes along with visitors in american museums. The heart of New York beats steady and the healthy blood flow floods the the city busy arteries, regenerating itself through the voluptuous nature of Central Park, theatre of love choreographies and bloodiest crimes. It doesn’t come new the solid bond between ἔρως and Θάνατος. New York rises the mystical spiral of the Guggenheim which first enfolds the feet, than the spines, in the end the hearts, till reaching that cobweb of light which blesses the desired target. New York tries new ways, new paths, not always successful but carefully calculated. It tries, lives, thrills till paroxysm. But you can look New York in slow motion too, with earphones covering the urban noise, and Brian Enot whispering Taking Tiger Mountain in our distracted ears. New York is that powerful red horse which drags its own future, its own being reason which is first of all the unpretentious work ready to turn itself into Art.

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LA RECHERCHE

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IL MURO

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LA RECHERCHE


Se riuscirai a conservare la calma quando tutti attorno a te la perdono e te ne fanno una colpa; Se avrai fiducia in te stesso, quando tutti dubiteranno, ma saprai tener conto del loro dubbio; Se saprai aspettare, senza stancarti nell’attesa, o essere calunniato senza calunniare a tua volta, o essere odiato senza lasciarti prendere dall’odio e tuttavia non apparire troppo buono e non parlare troppo saggio;

ARTIST’S WORD

Se riuscirai a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone; Se riuscirai a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo; Se saprai far fronte al trionfo e alla sconfitta e trattare nello stesso modo questi due impostori; Se sopporterai di udire la verità che hai detto distorta da furfanti per abbindolare gli ingenui, o contemplare le cose cui hai dedicato la vita, spezzate, e piegarti a ricostruirle con utensili consumati; Se riuscirai a fare un mucchio di tutte le tue vincite e rischiarle in un solo colpo a testa o croce, e perdere e ricominciare dal principio e non dir parola della tua perdita; Se saprai costringere cuore, tendini e nervi a servire la tua volontà anche quando sono sfiniti, e a resistere quando in te non resta altro che la volontà che dice loro “resistete!”; Se saprai parlare con le folle e conservarti retto o passeggiare con il Re e non perdere la semplicità; Se né i nemici né gli amici più cari riusciranno a offenderti; Se tutti conteranno per te, ma nessuno troppo; Se riuscirai ad occupare il minuto inesorabile, dando valore a ognuno dei sessanta secondi che passano, Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa e - quel che più conta - sarai un uomo, figlio mio! Joseph Rudyard Kipling, Se, 1895, Ricompense e Fate, 1910, in “Brother Square Toes”

If you can keep your head when all about you Are losing theirs and blaming it on you; If you can trust yourself when all men doubt you, But make allowance for their doubting too: If you can wait and not be tired by waiting, Or being lied about, don’t deal in lies, Or being hated, don’t give way to hating, And yet don’t look too good, nor talk too wise If you can dream—and not make dreams your master; If you can think—and not make thoughts your aim, If you can meet with Triumph and Disaster And treat those two impostors just the same: If you can bear to hear the truth you’ve spoken Twisted by knaves to make a trap for fools, Or watch the things you gave your life to, broken, And stoop and build ‘em up with worn-out tools If you can make one heap of all your winnings And risk it on one turn of pitch-and-toss, And lose, and start again at your beginnings And never breathe a word about your loss: If you can force your heart and nerve and sinew To serve your turn long after they are gone, And so hold on when there is nothing in you Except the Will which says to them: “Hold on!” If you can talk with crowds and keep your virtue, Or walk with Kings—nor lose the common touch, If neither foes nor loving friends can hurt you, If all men count with you, but none too much: If you can fill the unforgiving minute With sixty seconds’ worth of distance run, Yours is the Earth and everything that’s in it, And—which is more—you’ll be a Man, my son! Joseph Rudyard Kipling, If, 1895, Rewards and Fairies, 1910, in “Brother Square Toes”

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JOE D’URSO QUANDO LA MUSICA ATTRAVERSA IL MONDO: DAI GRANDI SPAZI AI PIÙ PICCOLI DETTAGLI di Jamila Campagna In questo periodo, un anno fa, l’Ice Bucket Challenge ha avuto una diffusione altissima: molte celebrità hanno aiutato la raccolta fondi per la ricerca sulla SLA a colpi di secchiate di ghiaccio. Sempre in quei giorni, il cantautore americano Joe D’Urso ha fatto tappa a Latina per una data del suo tour italiano, decidendo di sostenere l’AVIS, associazione per la donazione del sangue, con un concerto gratuito che fosse simbolico di un impegno più profondo. Joe, la cui attitudine ad organizzare concerti di beneficenza e di impegno sociale è nota, è salito sul palco con Andrea Montecalvo e Tony Montecalvo, musicisti pontini, fondatori della cover band The Backstreets, che sempre lo accompagnano nei tour in Italia. Quando ci siamo incontrati, Joe mi ha accolto con un grande sorriso e il calore di un vecchio amico. È forzuto e gentile allo stesso tempo, con l’aspetto di un gigante buono, uno di cui ti fideresti ciecamente senza pensarci troppo. Così iniziamo a parlare...

1 Il Blues, il Country, il cantautorato tradizionale americano sono basati sullo storytelling, letteralmente, sul racconto di storie. Questo tipo di musica è un importante veicolo di contenuti sia politici che poetici. Condividi l’idea che si crei un legame tra il cantautore e il suo pubblico? La relazione e il legame tra cantautore e pubblico è una caratteristica di questo tipo di musica. È un legame che si crea attorno a ciò che è importante in qualità di esseri umani. Il Blues, il Rock e l’intera tradizione di musica cantautorale sono piene di contenuti sociali, come anche il Reagge. Voglio dire, non si tratta di musica Pop, questo è il Rock e il cantautorato: contenuti profondi e buone vibrazioni attraverso la musica. 2 Sei un rocker americano ma spesso vieni in tour in Italia. Cosa ti piace di più del pubblico italiano? Durante un concerto è molto importante incontrare il pubblico giusto che può essere pronto a riflettere su questioni importanti e allo stesso tempo sappia divertirsi appassionandosi alla musica. Il pubblico italiano è esattamente quel tipo di pubblico e questa è la ragione per cui amo suonare in Italia. 3 La tua famiglia ha origini italiane, il tuo cognome, D’Urso, ne è chiara trac-

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cia. Noti delle somiglianze tra il New Jersey e le sue aree periferiche e le periferie o le piccole città qui in Italia? Pensi che ci sia un qualche tipo di legame tra luoghi così distanti? Sì, la mia famiglia è di origini italiane. Mio nonno emigrò dall’Italia e questo sicuramente mi ha dato un certo tipo di bagaglio culturale. Quando giunse per la prima volta negli Stati Uniti, mio nonno si ritrovò con un timbro sulla mano che diceva WAP. WAP, parola che, nello slang americano, è comunemente usata per indicare immigrati italiani o gli italiani di seconda o terza generazione che vivono negli States. Non tutti lo sanno ma originariamente significava “Without Any Paper”, per segnalare che quella persona non aveva un documento identificativo con sé. Oggi in Italia vedo una situazione di fusione di culture molto simile al meltinpot americano, con tutte le questioni sociali che determina ma anche con tutta la ricchezza culturale che porta con sé. 4 Oggi sei in Italia per sostenere l’AVIS, per sensibilizzare alla donazione del sangue attraverso la tua musica. Cosa vorresti dire ai giovani sul donare sangue e in generale sull’essere socialmente impegnati? Sono qui oggi a sostenere l’AVIS perché mi piace fare concerti per le cause im-

portanti che interessano la collettività, è fondamentale dedicare il proprio impegno nelle questioni sociali. Tu mi vedi: sono un musicista. Vengo da una famiglia di lavoratori e io non ho mai voluto sembrare quello svogliato e indolente, il pigro del gruppo; questo è il motivo per cui ho sempre usato la musica per sostenere l’impegno sociale e veicolare contenuti utili alla collettività. Essere impegnati è essenziale per trovare il significato della propria vita, il proprio ruolo nella società. Ciascuno di noi deve prendersi cura degli altri, questo è l’unico strada per fare le cose in modo giusto. 5 Puoi dirmi un cantante/musicista che per te è una guida, qualcuno a cui ispirarsi? Come dicevo, la musica non è solo un modo per andarsene in giro e divertirsi; penso sempre alla figura del cantautore folk-rock Henry Chapin, che per me è di grande ispirazione, e soprattutto alla sua canzone Cat’s in the craddle: un testo molto significativo, dal padre al figlio, che parla di come le cose vanno nella vita. Tutto scorre: noi siamo troppo indaffarati mentre la vita scorre via. Dobbiamo fermarci, guardarci attorno e capire in cosa realmente vale la pena di investire il nostro tempo.


INTRAVIEW MZK

JOE D’URSO WHEN MUSIC CROSSES THE COUNTRIES: FROM BIG PLACES TO SMALL DETAILS Jamila Campagna At this time one year ago, the Ice bucket challenge went viral and through this idea celebrities helped out to reach a big amount of economical donation for the research on ALS. during that time, the american songwriter Joe D’Urso came to Latina (Italy) for a date of his Italian tour and decided to offer his music to support AVIS, the blood donation association, getting involved in a deeper way. Joe, whose attitude for organizing charity and socially involved concerts is well known, came to play with the Italian musician Andrea Montecalvo e Tony Montecalvo (formers of the band The Backstreets, they always support Joe on his Italian tours). When we met he received me with a big smile and greeted me as an old friend. He’s tough and gentle at the same time and you would say he’s got the look of a good giant you would surely trust in. So here we go...

1 Blues, Country music and traditional american songwriting are based on storytelling; they are a strong vehicle for both political and poetical contents. Do you agree with the idea that there is a bond between the songwriter and the audience? Relationship and bond about what’s important in life as human being is a feature of this kind of music. Blues, Rock and the whole tradition of songwriting are full of social content, as also Reggae music is. I mean, that’s not Pop, that’s the songwriting and Rock: deep contents and good vibes through music. 2 You are a rocker from USA but you often come to Italy during your tours. What do you like most of the Italian audience? During a gig it’s important to get the right audience who can be thoughtful and have a lot of fun enjoying music. The typical Italian audience is exactly that kind of audience and that’s why I love to play in Italy. 3 Your family has Italian roots, your last name D’Urso explains it. Do you spot any similarities between New Jersey suburban areas and cities or small towns here in Italy? Is there a link between these places?

Yeah, my family has Italian roots. My grandfather came from Italy and he gave me a certain kind of cultural background. When he firstly came to USA he had the writing WAP stamped on his hand. WAP is the word commonly used to refer to Italian immigrates in USA or and generally to second or third generation people with Italian roots. None knows it but originally meant “Without Any Paper” to point out that those people didn’t have an identity document. Today in Italy I see the same condition of mixing cultures, the same melting pot with all the social matters it brings and with all the cultural sources it means.

Everyone must take care of each other, that’s the way to make things right. 5 Can you tell me a singer/musician you are inspired by? As I said, music is not just a way to tour around and have fun; I always think about the inspirational figure of the folk rock songwriter Henry Chapin and especially to his song Cat’s in the cradle: very meaningful lyrics, from the father to the son, it talks about how things go in life. Everything goes: we are too busy while the life passes by. We have to stop, look around and see what is really worth our time.

4 Today you’re in Italy to support Avis, to promote blood donation with your music. What would you say to young people about blood donation and generally about getting socially involved? I’m here today playing for AVIS because I like to make concerts to support good causes. It’s absolutely important to get involved in social causes. You see me: I’m a musician, I come from a family of hard workers and I didn’t want to seem the lazy one, so that’s why I have always used music to support social involvement and bring contents useful for the collectivity. Being involved is essential to fin the meaning of your life, to get your role in society.

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GIOVANI DI BELLE SPERANZE: ROCKIN’1000 - ROMAGNA CALLING THE FOO FIGHTERS a cura della redazione Lear to fly dei Foo Fighters è una canzone basata sull’entusiamo, un inno al coraggio di mettersi alla prova, alla volontà di imparare; è una canzone d›amore verso una persona che sia la persona, come se il sentimento fosse la chiave di accesso alla propria crescita interiore; così è una canzone d’amore verso la vita, è una preghiera urlata. È un salto nel vuoto, è il battere i piedi a terra per ribadire il desiderio di conoscere sé stessi per avere poi un posto nel mondo, una voce che sia ascoltata. Una voce; quella che si sente sopra un’ondata corale di strumenti musicali quando il cursore clicca su play e fa partire Learn to fly nella versione di Rockin’1000. Una voce femminile e maschile assieme, modulata sul ritmo di centinaia di percussioni, sostenuta dal flusso elettrico di chitarre e bassi, ritrovatisi tutti contemporaneamente assieme, su un prato nella città di Cesena, per quella che mi viene da definire come una missione. Per più di un anno, un gruppo di ragazzi ha lavorato incessantemente all’organizzazione di questo evento: in mille, tra cantanti e musicisti, si sono dati appuntamento a Cesena il 26 luglio scorso per suonare Learn to fly e chiedere ai Foo Fighters di venire ad esibirsi in Italia nel loro prossimo tour. Nel frattempo, mentre i mesi impiegati nell’organizzazione si seguivano rapidamente, la band statunitense ha fissato una data in Italia, a Bologna; non per questo il team di Rockin’1000 ha abbandonato la sua iniziativa: le prime pietre di fondamenta erano state posizionate, la costruzione meritava di procedere, delineandosi pian piano come un evento senza precedenti, qualcosa di unico sia dal punto di vista musicale che umano, sia su scala nazionale che internazionale. Quel 26 luglio, sotto un sole caldissimo, lo schieramento sconfinato di batterie era sicuramente la cosa più suggestiva, che piacevolmente salta all’occhio anche nelle riprese dall’alto del video di documentazione messo subito online dal team di Rockin’1000: con la regia di Anita Rivaroli e Alberto Viavattene, il filmato scivola nei dettagli di quei volti soddisfatti e consapevoli dei musicisti, alternandoli a vedute che rivelano le dimensioni dell’impresa; mai prima di quel momento tanti strumenti e amplificatori erano stati accordati e sincronizzati per suonare all’unisono la stessa canzone. Al minuto 4:10, Fabio Zaffagnini, l’ideatore e coordinatore del progetto, prende la parola in un discorso pieno di orgoglio e di emozione. “Italy is a Country where dreams cannot easily come true, but it’s a land of passion and creativity, so what we did here is just a huge miracle”, dice. Una nuova versione di miracolo italiano, fatta di rinnovati modelli e reti di comunicazioni, fatta di un tipo di condivisione che riscrive i concetti di società e di sociale. Il filmato, caricato su youtube, ha raggiunto 20 milioni di visualizzazioni in una settimana; l’evento ha avuto risonanza internazionale, i mille della piccola Cesena hanno trovato spazio sulle pagine di testate giornalistiche da una parte all’altra del globo; David Grohl, frontman dei Foo Fighters ha registrato un video di risposta, pieno di gratitudine, che presto è stato assorbito e restituito dallo spaccato mediatico di internet, sottoforma di hashtag: #chebellissimo. Contro la retorica della “fuga di cervelli” e l’idea di una generazione di giovani scoraggiati e privi di possibilità per il futuro, Rockin’1000 è la quintessenza di questi nuovi Anni ‘10, dove la risorsa di ogni singolo si moltiplica nell’incontro e genera un crescendo di risorse nel lavoro in team. Ora non resta che aspettare di veder arrivare i Foo Fighters nella ridente Romagna. E allora Rockin’1000 diventerà Rockin’1005. Per altre informazioni: www.rockin1000.com

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HOPEFULS YOUNGSTERS: ROCKIN’1000 - ROMAGNA CALLING THE FOO FIGHTERS curated by the editorial team The Foo Fighters’ song Learn to fly is based on the enthusiasm, it’s a hymn about the courage to put oneself to the test, the will to learn; it’s a love song for a person who is the person, as if the feeling was the access key to our own interior growth; it’s a love song for the life, a shouted prayer. It’s a jump in the emptiness, stamp the ground to restate the desire of knowing ourselves to get then a place in the world, a listened to voice. A voice; that voice we hear over a coral wave of musical instruments when the cursor clicks on play and Learn to fly starts in Rockin’1000 version. A voice female and male at the same time, modulated on hundreds of percussion rhythm, supported by the guitars and bass electric flow, got all together at the same time, on a field in Cesena town (Italy), for what I would define as a mission. For over a year, a group of youngsters has ceaselessly worked to organize this event: thousand, between singers and musicians, met in Cesena last 26th of July to play Learn to fly and ask the Foo Fighters to come to play in Italy during their next tour. Meanwhile, as the months for the organization went rapidly by, the American band fixed a date in Italy, Bologna; anyway the Rockin’1000 hasn’t abandoned its initiative: the first foundation stones had been placed, the construction deserved to go on, taking slowly the shape of an event with no precedent, something unique from both musical and human sides, on national or international scale. That 26th of July, under a very hot sun, the drums boundless line up was the most suggestive thing, that catches pleasantly the eye in the video shooting uploaded by the Rockin’1000 team, especially in the drone’s views. The video, directed by Anita Rivaroli and Alberto Viavattene, drifts into the details of those satisfied and conscious musicians’ faces, alternating them to views that reveal the event dimension; never before so many instruments and amplifiers had been tuned and synchronized in unison to play the same song. At 4:10 minutes, Fabio Zaffagnini, the project creator and coordinator, makes a speech full of pride and emotion. “Italy is a Country where dreams cannot easily come true, but it’s a land of passion and creativity, so what we’ve done here is just a huge miracle”, he says. A new version of the Italian miracle, made of renewed models of communications and networks, of a kind of sharing that rewrites the society and social concepts. The video put on youtube, reached 20 million visualizations in a week; the event’s had worldwide resonance, the thousands in small Cesena have found spaces on the pages of newspapers all over the globe; David Grohl, the Foo Fighters front man answered with a grateful video, which has been soon absorbed and given back from internet, in the form of hashtag: #chebellissimo. Against the ”brain drain” rhetoric and the idea of hopeless and no chances for the future generation, Rockin’1000 is the quintessence of these new Years ’10, where everyone’s resource multiplies through the encounters and generates increasing resources in team work. Now we have to wait to see the Foo Fighters in the delightful Romagna. Then Rockin’1000 will be Rockin’1005. For more info: www.rockin1000.com

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LA CAVERNA DI PLATONE

QUARTO POTERE 3.0 di Vera Viselli È il 6 giugno 2013 quando scoppia, in America, il caso Datagate: attraverso alcune inchieste giornalistiche ad opera di Glenn Greenwald (giornalista del The Guardian) vengono rivelati dettagli sulle operazioni di sorveglianza di massa, messe in atto dall’Agenzia per la Sicurezza Nazionale statunitense (NSA). Queste operazioni fanno riferimento ad un programma di sorveglianza monumentale messo a punto dai Five Eyes: le cinque, potentissime agenzie segrete di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Usa e Regno Unito. Milioni di utenti, in tutto il mondo, vengono costantemente monitorati attraverso Prism, Tempora, Boundless Informant, XKeyscore, Dropmine, Turbine (software e botnet pre-installati nei server e nei vari dispositivi prima di essere messi a disposizione degli acquirenti) che si infiltrano nei social, nei giochi ed in ogni genere di portale. L’autore di queste rivelazioni è Edward Snowden, ex tecnico della CIA e, fino al 10 giugno 2013 collaboratore della Booz Allen Hamilton (azienda di tecnologia informatica consulente della NSA). È il 10 maggio del 2012 quando, negli Stati Uniti, va in onda il 22.mo episodio della prima stagione della serie televisiva Person Of Interest1, intitolato “No Good Deed”: Henry Peck è un analista finanziario di 33 anni, la sua società è una SCIF (una Struttura Compartimentata d’Informativa Sensibile), un’installazione del governo usata per proteggere dati riservati. Quando Henry scopre che la sua agenzia sta conducendo una sorveglianza illegale su vasta scala, organizza un incontro con i giornalisti, ma presto una squadra governativa di assassini tenta di metterlo a tacere. Un anno prima delle rivelazioni giornalistiche di Greenwald, Person Of Interest non solo ha riproposto, in chiave attuale, una delle più grandi paure del mondo postmoderno (la perdita della privacy, il mondo alla 1984 già ampiamente descritto da Orwell), ma ha addirittura anticipato la figura del protagonista stesso, lasciando così alla regista Laura Poitras il compito di scrivere il capitolo successivo della vicenda-Snowden. Ma forse non è proprio esatto dire che è stata lei a scegliere di occuparsene: è stato Snowden a sceglierla, contattandola attraverso messaggi criptati con la firma Citizenfour perché ha visto in lei una persona estremamente informata sui fatti. Nel 2006 la regista aveva girato My country my country sulla guerra in Iraq e del 2010 è The Oath, un documentario in cui le storie dei personaggi si incrociano con Guantanamo ed Al Qaeda e questo terzo documentario, con protagonista Edward Snowden, va a chiudere la trilogia della Poitras sugli Stati Uniti d’America post-11 settembre. CITIZENFOUR, vincitore dell’Oscar 2015 come Miglior Documentario e distribuito in Italia da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, non è però semplicemente un documentario biografico. Ci troviamo di fronte a qualcosa di talmente attuale - e per questo in continuo divenire - da doverlo riconsiderare: forse è più un thriller politico in tre atti, con un certo sapore hitchcockiano in aggiunta a sequenze da spy-story, finendo come cinéma vérité. Nel primo atto, assistiamo ad un estraneo che 2 contatta elettronicamente Laura Poitras, con la premessa (e promessa) di farle delle rivelazioni di portata mondiale. Il secondo atto si 1

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Gli ideatori dello show hanno dichiarato d’aver preso spunto dal libro “The Watchers”, la storia della sorveglianza condotta dall’NSA, scritto dal giornalista Shane Harris, che racconta come John Poindexter, capo del programma Total Information Awareness, abbia immaginato un sistema molto simile alla ‘Macchina’ protagonista della serie, che avrebbe nascosto le identità dei sorvegliati attraverso dei soli numeri di codice. Jonathan Nolan (ideatore della serie, prodotta poi da J.J. Abrams) tende a vedere questo sistema di sorveglianza come una vera e propria condizione esistenziale, dalla quale - secondo lui - non riusciremo ad uscire. Operazione già fatta da Werner Herzog nel 2005 con Grizzly Man.

apre con l‘immagine di un tunnel nero e di luci lampeggianti accelerate dalla macchina da presa (che sembra ricalcare una certa inquietudine lynchana) e procede - cronologicamente con gli otto giorni di permanenza all’hotel Mira di Hong Kong, in Cina (siamo nel giugno 2013), dove la regista, insieme ai giornalisti Glenn Greenwald ed Ewen McAskill, intervistano Snowden. vvInizialmente l’informatico occhialuto mostra un controllo oltremodo snervante, data la situazione oppressiva che è costretto a subìre: l’accettazione del cambiamento totalizzante cui è sottoposta la sua vita può definirsi serafica, sembra così calmo nel dichiarare di essere perfettamente consapevole di non poter ritornare in America, vedere la sua fidanzata o contattare la sua famiglia. Con il passare dei giorni, però, l’ansia inizia a crescere: alla reception arrivano telefonate da parte dei media; durante l’intervista scatta, improvviso ed inaspettato, l’allarme antincendio dell’hotel, mettendo tutti in massima allerta, e man mano la stanza si fa sempre più claustrofobica. È proprio questa, la camera d’albergo, il cuore pulsante del film: come se avesse dinanzi a sé una delle innumerevoli telecamere di un reality show, lo spettatore si trova nella stessa condizione (scopofila) di Norman Bates, quando osserva la sua vittima dal buco della serratura: è come se stesse spiando un incontro privato di grande importanza politica, sapendo sì di non essere visto ma comunque con qualche piccola avvisaglia di colpevolezza. Il terzo ed ultimo atto mostra il caos consequenziale degli accadimenti, che riguardano sia Snowden (costretto a lasciare l’hotel) e sia Greenwald, alle prese con gli effetti della pubblicazione della sua inchiesta, ma nonostante tutto non disdegna una vena drammaturgica nel finale, con lo scambio di ‘pizzini’ tra i due, in un’altra stanza d’albergo, questa volta a Mosca. Ecco, quindi, come questi tre atti arrivano a ribaltare completamente le regole classiche del documentario: Snowden non risulta essere l’oggetto passivo dell’indagine filmica, ma ne è l’artefice, il regista stesso 2 , decidendo come, quando e a chi rivelare le informazioni in suo possesso, quasi a guidare in prima persona una caccia al ladro che riguarda però se stesso. L’immagine del burattinaio va quindi a fondersi con quella dell’adolescente-supereroe che indossa il suo mantello magico quando deve digitare sulla tastiera del computer la sua password – un’immagine, questa, che sembra racchiudere l’insegnamento dell’intera vicenda: «non abbandonare l’idea che le nostre parole possano essere segrete» (The New Yorker), anche se la Macchina di Person Of Interest ci sorveglia. Tutti.

Headshot of director Laura Poitras. Courtesy of Praxis Films. Opposite (top): Communication between Edward Snowden and director Laura Poitras, from CITIZENFOUR. Courtesy of Praxis Films.

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PLATO’S CAVE

CITIZEN KANE 3.0 Vera Viselli

Edward Snowden and Glenn Greenwald in Hong Kong. Courtesy of Praxis Films.

It’s June 6th 2013 when the Datagate case explodes in USA: through the investigative report made by Glenn Greenwald (journalist of The Guardian) several details about the National Security Agency mass surveillance actions have been revealed. These actions belong to a monumental surveillance program organized by the Five Eyes: the five powerful secret agencies of Australia, Canada, New Zealand, USA and United Kingdom. Millions of users worldwide are continuously supervised through Prism, Tempora, Boundless Informant, XKeyscore, Dropmine, Turbine (softwares e botnets pre-installed in servers and devices before they are available for customers) that penetrate in social networks, games and other kind of platforms. The author of these rivelations is Edward Snowden, former CIA’s technician and cooperator of the Booz Allen Hamilton (company of information technology, NSA consultant) till June 10th 2013. It’s May 10th 2012 when the USA’s television broadcasts the 22th episode of Person Of Interest’s first season 1 , titled No Good Deed: Henry Peck is a 33 years old financial analyst; his company is a SCIF (Sensitive Compartmented Information Facility), a government tool used to protect secret data. When Henry finds out his agency is carrying on a huge illegal surveillance, he organizes a meeting with some journalists but a governmental team of hired assassins try to silence him. One year before Greenwald journalistic revelations, Person of Interest pointed out one of the biggest fears in the postmodern world (the lost of privacy, a 1984 world, already described by Orwell); the series also anticipated the figure of the main character, giving the storytelling of the Snowden chapter to the director Laura Poitras. Maybe it’s not exact to say that she chose to focus on it: Snowden chose her, contacting her through coded messages under the name of Citizenfour, because he recognized her as a person well informed on current events. In 2006, Laura Poitras directed My country my country about Iraq war; in 2010 she directed The Oath, a documentary about Guantanamo and Al Qaeda stories. CITIZENFOUR comes to close Poitras’ trilogy about the post 9/11 United States of America. CITIZENFOUR, winner of the prize as Best Documentary at the Oscar 2015, distributed in Italy by I Wonder Pictures and Unipol Biografilm Collection, is not just a biographic documentary. That’s something so contemporary - and then in a 1

Creators of the serial said they’ve been inspired by Shane Harry’s book The Watchers which talks about the surveillance program led by NSA, the story is about John Poindexter chief of the Total Information Awareness program which figured out a system so close to the Person of Interest’s Machine, where the identity of supervised people is reduced at code numbers. Jonathan Nolan (the series creator, produced by J.J. Abrams) considers this kind of surveillance system ad an existential condition from which he believes we won’t be able to come out.

continuous becoming - that we have to rethink it: probably it’s more like a political thriller in three acts, with an Hitchcock taste added to spy-story sequences, turning into a cinéma vérité. In the first act, we see a stranger contacting Laura Poitras with the premise (and the promise) to tell her information with a global impact. The second act opens with the image of a black tunnel and flashing lights accelerated by the videocamera (which seems to trace a Lynchan disquietude) and goes on - chronologically - with the 8 days spent in the hotel Mira in Hong Kong (China, June 2013) where Laura Poitras and the journalists Glenn Greenwald and Ewen McAskill interview Snowden. At first, the bespectactled computer scientist has an enervating attitude of over-control, due to the oppressive condition he is forced in: his life is now completely changed and he seems to accept it in a seraphic way, he seems so calm when he says he knows he won’t be able to come back to USA, to see his girlfriend again or to contact his family. As days go by, the anxiety grows: the hotel reception receives phone calls from medias; during the interview, the fire alarm suddenly activates, alarming everyone and the room becomes more and more claustrophobic. The hotel room is the movie beating heart: the spectator feels to be in front of a countless amount of reality shows’ video cameras, in the same situation of Norman Bates when he observes his victim through the keyhole (scopophilia); it’s like the spectator is spying a private meeting with a huge political value, knowing not to be seen but feeling guilty in some way. The third and last act show the chaotic logical follow-on of the events about Snowden (forced to leave the hotel) and Greenwald, who has to face the effects of his report publishing, although the documentary owns a dramatic mood in the ending, when Snowden and Greenwald give messages to each other through small pieces of paper, in another hotel room, this time in Moscow. So, that’s how these three acts come to totally overturn the classic documentary rules: Snowden is not the passive object of the movie research, he is the creator, the director2 , he decides how, when and to whom reveal the information he owns, almost leading a manhunt which is against himself. The image of the puppet master merges into the figure of a teenage super-hero with his magic cloak when he types the password on his computer - a scene that seems to hold the moral of the whole sequence of events: «don’t give up the idea that our words can be secret» (The New York), even if we are supervised by the Person of Interest’s Machine. Everybody.

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Werner Herzorg made this kind of point of view in Grizzly Man (2005).

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IL MURO

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EQUIVALENTS

FLORENCE HENRI

ATTRAVERSO LO SPECCHIO di E.M. Dopo la mostra a Parigi, presso lo Jeu de Paume, Florence Henri è arriva nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano a Roma. Nata a New York nel 1893 da padre francese e madre polacca, inizia a studiare musica all’età di nove anni a Parigi. Nel 1913 si trasferisce a Berlino per proseguire gli studi di musica, dove durante la Grande Guerra per guadagnarsi da vivere suona il pianoforte per il cinema muto. Lascia la musica per la pittura dopo aver visitato l’Accademia d’Arte. Nel 1927, entra nel Bauhaus a Dessau e si iscrive al corso estivo di fotografia di László Moholy-Nagy, stringendo con lui e, in particolare con la moglie Lucia, una grande amicizia. Con la scalata al potere del partito nazista e l’avvicinarsi della Seconda Guerra Mondiale, Florence Henri abbandona il suo lavoro di fotografa, che sarebbe stato annoverato tra l’arte deviata e si rifugia nella pittura fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1982. La mostra, divisa in due parti, traccia un interessante percorso dell’artista. Nella prima, possiamo osservare le immagini che hanno reso celebre la Henri: le sperimentazioni visive con l’uso dello specchio, tema ricorrente in una certa fotografia d’avanguardia. Attraverso lo specchio, paesaggio, persone, oggetti invitano chi guarda a d individuare nuove realtà e ricercare connessioni tra loro, pur destabilizzando l’interpretazione dello spettatore. La medesima ricerca compositiva, questo colloquio tra spazio interiore ed esteriore, torna nella parte dedicata a Roma, in particolare al suo soggiorno nella capitale tra il 1931 ed il 1932. Di particolare interesse anche i ritratti dei suoi amici - tra i quali riconosciamo Piet Mondrain, Robert e Sonia Delaunay, solo per citarne alcuni.

FLORENCE HENRI

THROUGH THE LOOKING GLASS E.M. After the exhibition in Paris, at the Jeu de Paume, within the cycle dedicated to women photographers between the 1920s and 1950s, Florence Henri lands in the great halls of the Baths of Diocletiani n Rome. Born in New York in 1893 to a French father and Polish mother, she began studying music at age nine in Paris. In 1913, she moved to Berlin to continue studying music, where during the Great War to earn a living playing piano for silent films. She switches music to painting after visiting the Art Academy. In 1927, enters the Bauhaus in Dessau enrolling the summer school of photography directed by László Moholy-Nagy, building with him and particularly with his wife Lucy, a great friendship. With the rise to power of the Nazi party and the approach of World War II, Florence Henri abandons his work as photographer, it would be counted among the “diverted” and goes back to painting until her death in 1982. The exhibition, divided into two parts, through 140 photographs depicts perfectly the her artistic production.. In the first, we can see the pictures that have made Florence Henri known: her visual experiments with the use of the mirror, manifesto of

the avant-garde photography. Through the looking glass, people, objects, landscapes invite the viewers to discover new realities and dimensions and find their connections, while destabilizing the observer’s interpretation. The same compositional research, this inner dialogue between inner and outer space, it also appears in the part dedicated to Rome, especially to her stay in the capital between 1931 and 1932. Particularly interesting are, also, the portraits of her friends – among whom we may recognize Piet Mondrain, Robert and Sonia Delaunay, just to name a few.

INFO Florence Henri – a cura di Giovanni Battista Martini Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, viale e. De Nicola 78, fino al 31 Agosto Orario - Tuesday to Sunday – 09:00 19:45 (last admission 18:45). www.archeoroma.beniculturali.it Tel. - 06.39967700. Catalogo- Electaphoto Biglietto - 10 euro

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WHAT’S HAPP

Conversazione (in)attuale di Emanuela Murro A Noemi (L’ambiente è sobrio, tuttavia elegante. Carmelo Bene siede su una poltrona. Si accende una di quelle sigarette al mentolo che ricordo aver visto fumare in uno show televisivo. È cortese, sorrride. Veloci convenevoli , mi dice di far presto. Può concedermi solo trenta minuti. La tensione si allenta. Dal momento che manca da un po’ – dico – vorrei aggiornarla su quello che è successo. Cominciamo.) Recentemente, la Camera ha approvato “La Buona Scuola” (Legge 13 luglio 2015, n. 107). Riassumendo, quello che si contesta maggiormente di questa legge è che l’autonomia del docente, la sua libertà d’insegnamento, pur garantita dalla Costituzione (cfr. Art. 33), è influenzata dal rapporto di dipendenza con il dirigente scolastico. Conferire un tale potere, potrebbe significare l’esercizio di una censura sulla scelta di argomenti relativi a quanto previsto nei programmi ministeriali ma, ipoteticamente, ritenuti dal dirigente non idonei allo sviluppo culturale degli studenti. La cultura ahinoi… cultura è erudizione, dottrina, sapere, conoscenza eccetera eccetera eccetera… ma, attenzione, la cultura nel suo etimo - l’ha rilevato assai bene anche Jacques Derrida equivale a colo dal verbo “colo” colonizzare; cioè cultura è tutto quanto è colonizzazione (per non parlare poi della depravazione culturale che è l’informazione. L’informazione poi è nociva perché il giornalista è il prete medium, è lo scandalo sacrista, pari a quello ecclesiale). La cultura è sempre stata circondata dalla cosiddetta santa ignoranza, ora questo non lo è più, perché con le scuole dell’obbligo fino ai 14-15 anni dove nulla s’apprende. “Studére” vuol dire desiderare, mentre “schola” - la scuola, è la palestra nel suo etimo vuol dire ozio, oziare. Quindi il desiderio non ha nulla a che fare con la scuola, né lo studio ha da fare con la scuola tanto meno con le scuole europee non parliamo di quella italiota va bene? Dove si vuol tradurre Dante in italiano giornalistico, certamente il ministro alla pubblica distruzione non se ne scandalizza; invece sarebbero da arrestare questi cervelli davvero défilé. Non c’è più questa santa ignoranza; è rimasta questa ignoranza che è arrogante casalinga; questo opinionismo di massa vanitoso che si sciorina – ahimè - invece come da lavandaia nei talk show televisivi e basta1 . Quindi questo po’ di alfabetizzazione ha creato una massa una volta…diciamo nemmen tanto poi così disposta alle elezioni, cioè ad eleggere. Questi hanno detto: siccome alla camera e al senato sanno appena firmare, questa è la loro alfabetizzazione. Sono degli ignoranti, voi lo sapete va bene? Da zombi rispettabili, ma lo sapete meglio di me. Lo sono sempre stati. […] Ecco quindi queste masse hanno fatto dei conti un po’ maldestri siamo retti e governati da una massa di ignoranti di imbecilli, di persone antiestetiche, cioè di non persone estetiche, non hanno nemmeno un’etica da rivendere. […] Ma a questo punto votiamo, votiamo votiamo. A furia del voto voto votato, sono votato, facciamoci votare, facciamoci eleggere. Sono passati a candidarsi, tanto appena alfabetizzati non rimane che candidarsi pur di non far niente. È questa la fine dell’Italietta, dello stivale dell’Europeina ecco… del mondicino: quello di essere passato da elettore a candidato a eletto “tanto siamo pari”2 . 1

Carmelo Bene, da MTV “Sushi”, 1999.

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Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1995.

Nel 2002, anno della sua dipartita, a capo del governo c’era Silvio Berlusconi. ( II Governo Berlusconi, 11 giugno 2001- 23 aprile 2005). Riepilogo, brevemente, i governi che si sono alternati fino ad ora. III governo Berlusconi (23 aprile 2005 – 17 maggio 2006) II governo Prodi (17 maggio 2006 – 6 maggio 2008) IV governo Berlusconi (8 maggio 2008 – 16 novembre 2011) Governo Monti (16 novembre 2011 – 27 aprile 2013) Governo Letta (28 aprile 2013 – 21 febbraio 2014) Governo Renzi (dal 22 febbraio 2014) Democrazia, nel senso di Hobbes che la chiamava demagogia. Ebbe la fortuna di chiamarla col termine giusto, ma adesso non caschiamo nel solito sociale, nel mondano, nei dolori privati, pubblici. Parleremo di assistenzialismo...[…] Non mi interessano gli italiani, ecco. Qualunque governo, come qualunque arte, tutta l’arte è borghese, tutta l’arte è rappresentazione di Stato. E’ statale, è uno stato che si assiste fin troppo se no alla mediocrità chi ci pensa? La mediocrità par excellence è proprio lo Stato. […] Lo Stato si occupa della mediocrità della burocrazia cioè 65 milioni di italiani, 65 milioni di italiani, da imbecilli cioè italiani votano questo Stato che è il loro stato di cose. Quello che è Stato è stato e quindi non è stato mai. I fatti non sono, se non nella stampa e nelle sue falsificazioni o omissioni e informazioni dei fatti – ripeto - e non mai sui fatti. […] Ma certo bisogna che vi rassegnate a non mentirvi, a non prendervi sul serio perché voi noi non siamo, siamo in quello che ci manca, non siamo in quello che siamo.3 Eccessi “divertiti” a parte, l’attualità delle nostre repubbliche, costituendo di per sé calamità autosufficiente, si compiace sottoscrivere terremoti e stragi, ostentando “sollecito” e accanito interventismo crocerossino.[…] E, come se non bastasse, cotanto delittuoso pronto soccorso, le sagrestie democratiche al governo si prodigano incoscienti alla smodata esuberanza della specie, esorcizzando “malasanità, sterilità e impotenza collettiva, abusi profilattici, apatia coeundi, industrialità seriale di “mafiosi”.[…] E qui lo Stato d’oggi ha tutto da imparare. Lo Stato non ha etica. E’ una combutta politica che persegue ferocemente l’unico obiettivo: la conservazione di se stesso. Distribuisce iniquità e soprusi, fa dell’ingiustizia il metodo e della forza lo strumento per applicarla. Lo Stato è anche un comitato d’affari: deve essere economicamente forte per sopravvivere. Alimentare il terrore fiscale tra le sue votanti fottute vittime è la necessaria predoneria di ogni governo-tiranno che non si rispetti. Lo chiamano “Ragion di Stato” questo sistematico saccheggio. Le democrazie sono timide, ma non meno feroci. Disprezzano le masse, ne hanno schifo e paura, per questo le vezzeggiano. Lo Stato (pubblico e privato) ha consegnato le sue televisioni alle masse, ne ha fatto il loro godereccio letamaio dove rivoltolarsi a tempo pieno.4 Ma vi domando io: cosa garantisce la democrazia che una dittatura non possa garantire? Certo garantisce qualcosa, ma lo sapete qual garantisce la invivibilità della vita. Non risolve la vita. Chi sceglie la democrazia, chi sceglie la libertà, sceglie il deserto se la democrazia fosse mai libertà. Ma la democrazia non è niente, è mera demagogia. Qualora noi meritassimo una libertà, dovrebbe essere l’affrancamento dal lavoro e non occupazione sul lavoro. Anche se “non si scappa mai”, “on n’echappe pas à la machine”; non si sfugge dalla macchina uscendo dalle otto ore di catena di montaggio. Non si scappa uscendo dalla catena di montaggio. 3

Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.

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Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 140-141.

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IL MURO

La macchina, il montaggio, la catena di montaggio diventa più forte nella vostra strada che percorrete poi nel tram, poi in auto, poi a casa, in famiglia…aumenta ancora. Si fa sentire l’oppressione della catena di montaggio. Si fa sentire il nulla della vita, questa pressione durissima “on n’echappe pas à la machine” non si sfugge alla macchina, non solo nella famiglia, financo nel lavoro, nella rivoluzione. “Nell’amore soprattutto si sente” diceva Deleuze “nella rivoluzione ancora di più e soprattutto la catena di montaggio si sente, si risente ossessiva nell’entusiasmo”1 . Alla fine del 2014, il governo Renzi ha stanziato quaranta miliari di euro, con la legge di Stabilità, da investire sull’occupazione, assieme ad una riforma legislativa, il Jobs act. Tuttavia, le aspettative sono andate deluse. L’occupazione non è aumentata. Io ho sempre suddiviso - a parte che ho gestito diversi sciagurati seminari sul lavoro - in tre categorie. C’è il lavorio, premetto a me non interessa mai il cittadino va bene? L’importante lì che paghi le tasse eccetera basta, ma l’uomo e quindi il lavorio è quello di Dino Campana “il fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare fabbricare preferisco il rumore del mare che dice fare e disfare è tutto un lavorare ecco quello che so fare”, ecco questo è il lavorio. Il lavoro di che è fatto? Dovrebbe essere fatto l’uomo, ma l’uomo è sottratto dalla sua umanità. Perché? Perché gli è imposto. Nessuno glielo impone davvero, comunque gli si impone. Il lavoro. Il lavoro come posto di lavoro alle poste, al telefono, al catasto. C’è questa utilità non inutile. L’ l’arte è inutile. Non è che se un impiegato al catasto ti consegna un documento che è stato richiesto, appena ti consegna il documento tu l’applauda. Non v’è plauso, ecco. Augusto in punto di morte centenario disse “ho recitato bene ho bene orato plaudete”, cioè applauditemi. Il più grande criminale della storia che per tenere Roma in pace aveva devastato il mondo intero , per tenere quattro gatti nel lusso più sfrenato a Roma. Quindi il posto di lavoro, ma è vero che il lavoro, in genere, è l’esistenza senza scopo per colmare il vuoto dell’esistenza senza scopo. L’uomo deve occuparsi. E poi c’è il dopo lavoro che sarebbe l’affrancamento, l’ora d’aria. Sarebbe il CRAL. Queste sono le tre dimensioni del lavoro. Quindi a parte senza scopo, perché un minatore debba lavorare pagare un costo così alto, cioè non arrivare all’età di trent’anni nelle saline o nelle miniere in Sardegna anche in profondità dove gli scoppieranno - gli scoppiano - i polmoni per meno di un milione al mese, questa è un’infamia. È un’infamia che soltanto una democrazia - sì è vero che la nostra costituzione recita in overture essere la repubblica italiana una democrazia, una repubblica fondata sul lavoro- ma il lavoro è un dovere. Semmai un dover essere , un dover dell’essere, ma non è un diritto ma col ricatto della famiglia perché bisogna tra virgolette “mantener su una famiglia” e allora ecco mettere su famiglie. C’è un Papa che veramente farebbe meglio a stare zitto; predica sempre, invoglia al lavoro, al massacro, a rovinarsi, a morir giovanissimi. Ripeto, io non posso che invitare a disertare il lavoro, a controllare 1

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Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.

le nascite, a fare qualcosa, non farsi padri. Nessuno è padre a un altro. Le madri veramente ritengano la maternità un veicolo delle nascite, ma contenerle. Ma proprio basta basta basta con la specie! Basta con questo abuso, con questo eccesso della specie umana. Non si può lavorare in un posto di lavoro solo per morire o solo per mangiucchiare appena una volta la sera. Mi ripugna talmente che preferisco chiudere l’argomento2 . È notoria la sua idiosincrasia verso la stampa ed i media in generale. Nel 2004, nasce Facebook, un social network, una “rete sociale”, ossia: una piattaforma per internet che consente di comunicare in maniera rapida e semplice ad un gruppo di individui legati o meno da relazioni sociali reali e tangibili., dove prevalgono gli aspetti dell’interazione e della condivisione. Negli ultimi anni, queste piattaforme hanno conosciuto un vero e proprio “boom”, tanto che quotidiani e la televisione non costituiscono più la principale fonte d’informazione. Diceva trent’anni fa già Jacques Derrida “non informa mai sui fatti” anche perché i fatti non accadono mai. Aristotile docet;”non conta la veridicità di un fatto accaduto, ma il convincimento che il messaggero di questo fatto riesce a trasmettere”. Quindi i fatti non contano. Poi c’è un discorso sull’atto e l’azione, magari lo affronteremo meglio dire ci affronterà sono sempre le cose, è sempre un esterno che ci visita. Noi siamo visitati. Il discorso non appartiene, lo ripeto per l’ennesima volta, all’essere parlante e dunque da eternamente Nosferatu, ormai cioè vivo ahimè per sempre.3 I fiutascoregge di Rabelais allo sprezzante guinzaglio del signore di baciaculo, ovvero il conduttore-conducente. Ma anche si trattasse di comunicatori più “abilitati”, il grosso equivoco di questo fesso blabla resterebbe intatti. E, con l’equivoco, la volgarità che si porta dietro4 . […]L’equivoco della comunicazione si deforma riflesso nell’arroganza immaginaria dell’informazione (in che s’attarda la risibilità indecente delle sue cronache ignoranti di una Storia abortita?). E’ tutta una rappresentazione della rappresentazione. L’una dentro l’altra, come certi incubi specchiati. […] Siamo ben lontani dall’intestimoniabile. In balia del ridicolo, il ghigno di un dio demenziale e perverso5 .[…] Tornando alla dissennata loquacità dei nostri giorni, meglio sarebbe scaraventare, dentro gli studi pazzi, a casaccio, ma non ce ne sono poi tanti…abbiamo solo clonazione sterminata di amebe, di tic, senza nessuno che li abiti, vittimismo senza vittime. Straconvinti di esserci. Raccontano e dialogano, dunque non sono. Cogito, ergo sum. Dico=dicitur. Attori prosoni e spettatori virtuali del mondo come volontà e rappresentazione.6 Che miseria, nevvero, che miseria, l’ostentazione risibile del così detto opinionismo nella straripante società dello spettacolo, delle zuffe tv, nelle tribune politiche elettorali, nei convegni accademici, 2

Carmelo Bene, da MTV “Sushi”, 1999.

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Carmelo Bene,da Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1995.

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Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 143.

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Ibidem, pg 144.

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Ibidem, pg 146.


WHAT’S HAPP

e nei sempre audiovisivi intrattimentacci dove ciascuno a turno è straconvinto di dire proprio la sua7. Anche quando si monologa, fuori dallo specchio o a specchio infranto, non hai niente da dirti. E’ come dondolarsi su un’amaca in un paesaggio cartolinato, ennesima perversione-Huysmans 8 . E’ un precipitato di opinionismo. Tutti hanno diritto alla parola e alla prima pagina. Vecchie trombe, o cazzeggianti mezzecalzette dell’ultim’ora. La più derelitta casalinga è sollecitata a esprimere un’opinione su tutto. Sul curdo e sul pedofilo, sulla morte di Strehler e sull’ennesimo Lassie che torna a casa. Opinionista di che? Opinionisti di massa.[…]Colpevole è la società dello spettacolo. Hai voglia di aver vanamente soppresso il ministero dello spettacolo dalla presidenza del consiglio dei ministri. Siamo nel massimo della merda. Oltraggioso e indecoroso 9. Mi avvisano che il tempo a mia disposizione volge al termine. Mi alzo. Mentre ci stringiamo di nuovo la mano, mi lascia così: C’è bisogno davvero di miti, c’è bisogno davvero dell’impossibile. Quello che noi siamo, la vita è impossibile la vita è invivibile, e così c’è bisogno anche che l’arte sia davvero irrespirabile, non sia più consolatoria, non abbia del tragico, non abbia il decorativo, non ne abbia veramente la maschera puttanesca della consolazione10. Nell’identità, scorreggiona del teatrino occidentale, patronale, del testo a monte, prosternati davanti alla morale del senso, alla strisciante servilissima venerazione dei ruoli, all’insensatezza psicologica, alla verità verbale coniugata alla più insulsa stucchevole frenesia del moto al luogo, alla rappresentazione insomma dei codici di stato, come se a tanta indecenza non provvedesse la virtualità della vita tout court. Non c’è soluzione, perché non basta soltanto non essere ignorantissimi, è non esserci che è indispensabile11 . Non ascolto e non mi ascolto. Non mi interessa più informarmi, né essere informato da chi (che) mi parla. Perché? L’Altro è morto. La tua stessa prossimità mi è aliena. L’atarassia non è solo il fine di ogni scontato giudizio di valore, è la sospensione che sospende anche se stessa, il collasso dell’ultima membrana dell’ultimo timpano. Parole o residui di parole si rinnegano e annegano al momento della stessa emissione di fiato che li alimenta12 . Non sono qui per essere inteso io, anche ci provaste 1000 volte, cari zombi non vi riuscirebbe mai, perché io sono l’oblio13 .

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Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.

8

Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 144.

9

Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 77.

Un ringraziamento particolare alla Dott.ssa Monica Palliccia (Fondazione L’ Immemoriale di Carmelo Bene) per la disponibilità e la cortesia, a Jamila Campagna per la realizzazione del ritratto di Carmelo Bene, un inaspettato, e gradito, regalo. A Roberta B. e Roberta S. e loro conoscono il perché.

10 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994. 11 Carmelo Bene, da “Quattro momenti sul nulla. Primo momento, il Linguaggio”, Rai Due 2001. 12 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 387-88. 13 Carmelo Bene, da Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.

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IL MURO

(Un)usual Conversation Emanuela Murro to Noemi The room is understated, yet elegant. Carmelo Bene sits on an armchair. He lights up one of those lights menthol cigarettes, I remember seeing him smoke in a tv show. He smiles politely. The tension loosens up. He tells me to hurry, though. I am allowed only thirty minutes. Since you hasn’t been around for a while – I say – I would like to update you on what happened. Let’s start. Recently, the Government has approved “La Buona Scuola” (Act July 13, 2015, no. 107). Briefly, the strongest objections concern the teacher’s autonomy and freedom of teaching. Altough guaranteed by the Constitution (cfr. Art. 33 “the art and science are free and free is their teaching.”), it would be affected by the relationship with the headmaster; which might lead to exercise censorship on the choice of the topics, hypothetically, deemed unsuitable for the cultural development of students Culture ... oh, dear... culture is learning, teaching, knowledge etc etc etc ... but beware culture in its etymology - as Jacques Derrida noticeably pointed out – corresponds to colo from the verb “colo”: colonize. Culture is everything about colonization (not to mention the media cultural depravity, featuring the journalist as the priest medium). “Studére” means desire, while “schola” (school) - the gym as its etymology - it means leisure. Then, the desire has nothing to do with the school, nor studying has to do with it; much less with the European schools or with ours, where Dante is translated in Italian journalism and certainly the Minister of public destruction is certainly not offended by it. Instead, these crooked brains should really be stopped. There is no longer a so called Holy Ignorance. It only remains the ignorance as an arrogant housewife . This vain mass opinion that spreads - alas – everywhere.1 So this bit of basic literacy has created a horde... let’s just say not even so willing to pick representatives, to vote. They basically think: as whoever sits in the Parliament barely knows to sign, this is their education. They are just ignorant, and you are aware of it, right? They’re distinguished, but they are also zombies...as you know better than me. They have always been. […] Hence these masses have made some clumsy moves ... we are governed and ruled by a bunch of ignorant imbeciles, ugly people, who don’t even have an ethic to resell. […] But yet we vote, vote vote. By the power of vote I vote vote, we are voted, let’s vote, let’s elect. Barely educated, just apply as a candidate and keep twiddling your own thumbs. This is the end of Italy, of Europe’s boot ... of the little world: graduating from voter to candidate, from candidate to elected “so we’re even.”2 Back in 2002, year of your death, Silvio Berlusconi. Was our Prime Minister ( II Governo Berlusconi, 11 giugno 2001- 23 aprile 2005 Now, I recap the Goverments that followed until now. Berlusconi III (April 23, 2005 – May 17, 2006) II the Prodi government (May 17, 2006 – May 6, 2008) IV Berlusconi Government (May 8, 2008 – November 16, 2011) Monti Government (November 16, 2011 – April 27, 2013) Letta Government (April 28, 2013 – February 21, 2014) Renzi Government (February 22, 2014) 1

Carmelo Bene, from MTV, “Sushi”, 1999.

2

Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1995.

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Democracy, Hobbes called it demagoguery. He used the right word; I am not being fooled by the usual, mundane social, private, public pain. […] I don’t care about the Italians, that is. Any government is just like any art, and all art is bourgeois, all art is representation. It is a state art, it is a State that support itself too much, the who deals with the mediocrity? The mediocrity par excellence is the State. […] The State takes care of the mediocrity of the bureaucracy that 65 million of Italians own, 65 million morons that voted their State of affairs. What happened, happened, therefore never happened. […] But of course you have to put up with being truthful to yourself, you have to put up with not taking yourself too seriously because we do not exist, we do exist in what we miss. 3 “Amusing” excesses aside, our republics, being a self-sufficient disaster itself, gratify endorsing to earthquakes and carnage, flaunting “prompt” and avid interventionism. […] And, as if that were not enough, such criminal emergency room, the democratic Government sacristies are doing their utmost to excessive exuberance of reckless species, exorcising “medical malpractice, infertility and impotence, abuse prevention, collective apathy powerless” serial “mobsters”. […] And here the State today has everything to learn. The State has no ethics. It’s a political clan that pursues fiercely one goal: self preservation. It distributes iniquities and oppression, injustice, methods and of tools to implement them. The State is also a business board: it has to be economically strong in order to survive. Feeding fiscal terror among its voters is necessary for every tyrant-government. They call it “reason of State”, this systematic looting. Democracies are timid, but no less ferocious. They despise the masses, and for that they suck and cuddle them. The State (public and private) has delivered its televisions to the masses, made their pleasurable sprawl where basking full-time.4 But I ask myself: what can a democracy guarantee that a dictatorship cannot? Certainly it does guarantees life’s unendurability. It doesn’t fix life. Those who choose freedom, choose the desert, if democracy was ever freedom. But democracy is mere demagogy. If we deserved freedom, it should be the emancipation from work and occupation. Although there is no escape, “on n’echappe pas à la machine”. There is no escape from the machine, coming from eight hours on the production line. We don’t escape, leaving the conveyor. The machine, the conveyor, the production line gets stronger even when you walk, when you are on the bus, on the car, then home, the with your family ... it keeps growing. You feel its strength. You feel life’s nothingness, this tough pressure “on n’echappe pas à la machine”, nor in the car, nor with the family, or at work, not even with the revolution. Deleuze used to say “it shows particularly when you are in love. You feel the coveyor strength even more in the revolution and in obsessive enthusiasm”.5

At the end of 2014, Renzi government has allocated forty billion euros, to invest on employment, together with legislative reform, the Jobs act. However, expectations have been dashed. Employment has not increased. I’ve always divided work into three categories. There is work, the job. The important thing there that pay taxes etc. enough, but the man and then the work is that of Dino Campana “manufacture 3

Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994.

4

Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 140-141.

5

Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show, “Uno contro tutti”, 1994.


WHAT’S HAPP

manufacture manufacture manufacture manufacture manufacture I prefer the sound of the sea that says doing and undoing is all work here is what I do”, this is the work. What work is made of? Man should be made, but man is subtracted from his humanity. Why? Because it is imposed. Although it is not really imposed, it is yet constrained. Work. Work as a job at the post office, on the phone, at the land registry. It is a sort of not useless utility. The art is useless. It’s not that if an employee at the land registry gives a document that was required, you clap as soon as you’ve got it. There is praise, here. Emperor Augustus, on his death bed, said “I played well, you applaud”, i.e. Please applaud. The biggest villain of the story who, in order to keep Rome in peace, had devastated the entire world. The work place, work is generally the existence without purpose to fill the void of existence without purpose. Men must work. And then afterwork that could be the emancipation. It could be the CRAL. These are the three dimensions of the work. It is a disgrace that only a democracy - it’s true that our Constitution reads in overture the Italian Republic being a democracy, a Republic founded on work - but work is a duty. If anything it is a need, an obligation. It is not a right but a blackmail, because you must have a family and “support your family” . There is a Pope who really should know better and shut up; he is always preaching to work, to slaughter, to ruin, to die young. Then again, I can only invite deserting work, birth control, to do something, not to be fathers. No one is father to another. Mothers should really consider motherhood as a vehicle of births, but containing them. But enough is enough! Enough with this abuse, this excess of the humans. You can’t work only to die or just nibbling once in the evening. It disgusts me so much that I prefer not to talk about this topic anymore.6

Your idiosyncrasy towards the press and media is notorious. In 2004, Facebook was born, a social network,: a platform for the internet which allows you to communicate quickly and easily to a group of individuals linked by real and tangible social relations. Its peculiarity is interaction and sharing. In recent years, these platforms have experienced a real boom, so that newspapers and television are no longer the main source of information. Jacques Derrida said it already thirty years ago “do not inform on facts, because facts never happen”. Aristotle docet; “not counting the veracity of something that happened, but the conviction that this messenger is able to convey”. Then the facts don’t matter. Words do not belong to the speaker, hence being a Nosferatu, I eternally live.7 Rabelais farts-smellers attending to the arse-kisser lord, the conductor-master. But even there was a “smarter” communicators “enabled”, the misinterpretation of this foolish blah blah blah would remain the same. And, within the misinterpretation, the vulgarity that it carries. 8 […] It’s all a representation of the representation. One inside the other, like some mirrored nightmares. […] We are far from the inability to witness. We are at the mercy of ridicule, the grin of a demented and perverse God.9 […] Returning to the today’s insanity loquacity, we should thrown in mad people at random, unfortunately there aren’t as many…we are over-stocked with cloned amoebae, victimization without victims. Committed to be there, they speak and interact, therefore they are not. Cogito, ergo sum. Dico = dicitur. They are both actors and spectators of the virtual world as will and representation.10 6

Carmelo Bene, from MTV “Sushi” 1999.

7

Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.

8

Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 143.

9

Ibidem, pg 144.

10 Ibidem, pg 146.

How pathetic, how foolish this ostentation of ludicrous overflowing so called opinions in the society of the spectacle brawls on the newsstands, on tv, on political debates, on academic conferences, and everywhere everybody is eagerly giving its own point of view.11 It is a domino of opinions. Everyone is entitled to have an opinion and to the first page. Old trumpets, third strings shooting shit. The most derelict housewife is urged to express her thoughts on everything. The Kurdish and pedophile, on the death of Strehler and Lassie’s coming home. Columnist? Mass opinion. […] Guilty is the society of the spectacle. We are in deep shit. Outrageous and disgraceful.12 They tell me that time is over. I get up. Before we part, he says: We need fables, we need the unobtainable. It is what we are, life is impossible life is unlivable, therefore we also need that art is really asphyxiating. Art has to be no longer consolatory, it has to stop wearing the slutty consolation mask.13 The artsy fartsy Western Theatre, devoted to the text, subjected to the moral sense, to the grovelling roles reverence, to the psychological nonsense, to the verbal truth combined with the more vapid cloying moving frenzy…basically, to the state codes, as if such indecency was not given by the essence of life itself. There isn’t any solution, as it is not enough to be merely ignorant why ,” it is crucial not to be”.14 I am not listening and I am not listening to me. I’m no longer bother on reading the news, or be enlightened by whoever (or about whatever) speaks to me. Why? The Other died. Your own closeness detaches me. The ataraxia is not only the end of each discounted value judgment; it is the suspension also suspending itself, the collapse of the last the eardrum’s membrane. Words or words debris drown upon emission of breath that feeds them.15 I’m not here to be understood; even if you would try 1000 times, dear zombies, you’d fail, because I am oblivion16 .

A special thanks to Dott.ssa Monica Palliccia, (Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene) for her help and kindness, to Jamila Campagna for the Carmelo Bene's portrait, an unexpected and appreciated gift. To Roberta B. and Roberta S. (they know why).

11 Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995. 12 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 77. 13 Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1994. 14 Carmelo Bene, from “Quattro momenti sul nulla. Primo momento, il Linguaggio”, Rai Due 2001. 15 Carmelo Bene e Giancarlo Dotto; Vita di Carmelo Bene, Bompiani, Milano 1998, pg 387-88. 16 Carmelo Bene, from Maurizio Costanzo Show “Uno contro tutti”, 1995.

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IL MURO

NORMA (Latina)

SECONDA EDIZIONE DEL CHRYSALLIDEM FESTIVAL Giunto alla sua seconda edizione, il Chrysallidem Festival (10 luglio – 24 luglio) ha confermato il grande successo dello scorso anno. La manifestazione, promossa dall’Assessorato al Commercio, Turismo e alle Politiche Giovanili del Comune di Norma, si pone come evento unico in cui musica, teatro, cinema, arte e letteratura trovano spazio e si contaminano tra le strade e i luoghi storici del paese. Il Chrysallidem Festival nasce dalla volontà di alimentare il fermento culturale offrendo interessanti proposte e sempre nuovi spunti di riflessione. La ragionata direzione artistica ha permesso la realizzazione di una manifestazione di alto livello ponendosi come importante polo di riferimento culturale. Tra le novità del Festival è da segnalare l’ingresso del mondo della letteratura con la prima edizione della Fiera del Libro organizzata dal Comune di Norma (LT), in collaborazione con l’Associazione Culturale Calliope e promossa dalla Compagnia dei Lepini, cui è stata affiancata, all’interno della biblioteca comunale, una mostra di pittura, scultura e fotografia curata da MAD - Museo Arte Diffusa nella figura di Fabio D’Achille. Notevole la scelta degli ospiti, celebri autori contemporanei tra i quali il poeta Vincenzo Costantino Cinaski con lo spettacolo Nato per lasciar perdere – estratto dallo spettacolo Smoke e il Premio Strega Antonio Pennacchi, con il quale ha avuto luogo un’intervista-dibattito sulla tematica Lavoro e territorio. Il cortile della scuola elementare in Largo Cestio ha ospitato la rassegna di cortometraggi Normovie che quest’anno, insieme alle proiezioni, ha proposto un’interessante retrospettiva su Mario Monicelli, promossa dal Comune di Norma in ricorrenza del centenario dalla nascita del Maestro. Cinque sono state le serate dedicate alla musica che hanno visto prototagonisti i nomi di Zibba, Emanuele Colandrea, GaLoni, La Scapigliatura e il concerto a tre strumenti Strani stranieri di Maria Letizia Gorga, Giovanni Monti e Carmine Pongelli; il riuscito intreccio di sonorità eterogenee ha caratterizzato la serie di appuntamenti, conclusi con la serata Notte Jazz di domenica 19 luglio, durante la quale, nel suggestivo corso di Norma, si sono esibiti maestri di conservatorio e giovani jazzisti. In linea con la volontà di promuovere le realtà artistiche emergenti del territorio, l’edizione ha visto sfidarsi band locali in un contest musicale, il Chrysallidem Contest. Vincitori sono stati i Distillastorie, che si sono aggiudicati un premio in denaro e la possibilità di esibirsi alla Notte Bianca di Norma, il prossimo 29 agosto. Tra gli ospiti d’onore il celebre Antonio Rezza, con lo spettacolo Pitecus, andato in scena giovedì 23 luglio. Soggetto dello spettacolo è stato l’uomo nella sua veste più bestiale, immerso nei quadri di scena dai colori sgargianti concepiti da Flavia Mastrella. Ricalcando la struttura di sipario nel sipario, i quadri hanno ricreato un vero e proprio microcosmo in cui agivano confusamente tipi umani dall’estetica sgradevole e dall’interiorità degradata. Partendo dalla realtà quotidiana e aggiungendo una marcata e immancabile vena caricaturale e comica, gli episodi messi in scena da Rezza si sono susseguiti slegati da un filo conduttore, lasciando emergere caratteri deformati da superbia e vanagloria. Pitecus prende dunque di mira le cosiddette culture dell’assopimento e della quiescenza creativa; il teatro, in questa prospettiva, ha di contro un ruolo terapeutico in quanto forma artistica capace di riaffermare il valore imprescindibile della ragione. Il Chrysallidem Festival si inserisce così tra gli eventi più rilevanti del territorio pontino in cui a dibattiti, tavole rotonde, concerti, mostre e proiezioni cinematografiche si uniscono attività di vario genere, tra cui escursioni nei luoghi di interesse storico-paesaggistico, offrendo momenti di aggregazione tra cittadini e favorendo una più approfondita e consapevole conoscenza del territorio.

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Chrysallidem Festival - II edizione 10 - 24 luglio 2015 Norma (LT)

Incontro con VINCENZO COSTANTINO CINASKI Nei suoi reading di poesia è spesso accompagnato da musicisti. Come intende l’unione di musica e parole? Che ruolo assume il suono? Può essere considerato un elemento a sé, svincolato dal significato didascalico? La tradizione orale da sempre si basa su un accompagnamento musicale; la musica è nata prima della scrittura. Se pensiamo a Omero, solo successivamente le sue storie sono state raccolte in volumi, ma sono sempre state trasmesse oralmente accompagnate dalla cetra. Ma lo stesso vale per gli oratori francesi o per i griò. Mi piace vestire la poesia di musica, darle un’interpretazione sonora; questo tipo di processo fa parte dell’improvvisazione, della dimensione estemporanea. Mi piace dare al pubblico la possibilità di leggersi nella poesia, agevolato dalla musica. La poesia è un fare, quindi è un lavoro? No, la poesia è un modo di vivere. C’è un proverbio russo che dice La chiesa è vicina, il bar è lontano, la strada è ghiacciata; camminerò con attenzione. È un invito a non farsi condizionare, a fare quello che ci piace e non quello che ci conviene. Come si dice, fai il lavoro che ami e non lavorerai neanche un giorno.

Incontro con ANTONIO PENNACCHI Nei suoi romanzi le vicende personali dei protagonisti hanno un ruolo considerevole sullo sfondo storico. Cosa significa per lei raccontare storie? Il raccontare è necessario e fondamentale perché i fatti non vadano persi, perché restino. Per questo ho scritto Canale Mussolini e Mammuth, per dare voce ai miei parenti e alla mia classe. Le dinamiche che muovono i grandi fatti sono le stesse che muovono i piccoli fatti. Le grandezze e le bassezze di ogni singolo hanno qualcosa di universale. In ogni singolo c’è tutto il bene e tutto il male. Nel suo incontro-dibattito con il pubblico, durante il Chrysallidem Festival, ha detto che i ragazzi devono studiare. Quanto è importante conoscere la Storia per capire il presente e quanto invece è importante avere uno sguardo critico sul presente per interpretare la Storia? Dante diceva «Non fa scienza, sanza lo ritenere, avere inteso»; non c'è conoscenza se non c›è ricordo, si tratta di ricordare per capire. I periodi, presente, passato, futuro, sono legati; tout se tient, tutto si tiene, dicono i francesi. Dunque, entrambi i punti di vista sono importantissimi. Spesso movimenti e comportamenti si ripetono. La consapevolezza del passato è primaria per capire chi siamo e viceversa.


MICRO CULTURE Ph. Jamila Campagna

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1 Odissea Contenmporanea, Stefano Trappolini, scultura,

Norma (LT), a cura di MAD Arte

2 Emanuele Colandrea

Chrysallidem Festival 2015.

3 Vincenzo Costantino Cinaski

Chrysallidem Festival 2015.

4 Augusto Pallocca (sax tenore)

Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015.

5 Notte Jazz, detail - Chrysallidem Festival 2015. 6 Corrado Maria De Santis (chitarra)

Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015.

7 Antonio Pennacchi - Chrysallidem Festival 2015.

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IL MURO Ph. Jamila Campagna

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8 Lorenzo Mancini - Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015. 9 Mauro Salvatore - Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015. 10 Augusto Pallocca (sax tenore) e Corrado Maria De Santis (chitarra)

Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015.

11 Zibba - Chrysallidem Festival 2015. 12 Lorenzo Mancini (contrabbasso) e Mauro Salvatore (batteria)

Notte Jazz - Chrysallidem Festival 2015.

13 Lorenzo Mancini (contrabbasso), Mauro Salvatore (batteria), 14

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Corrado Maria De Santis (chitarra) - Notte Jazz Chrysallidem Festival 2015.

14 Erika Trivelloni e Emanuele Colandrea - Chrysallidem Festival 2015


MICRO CULTURE

NORMA (Latina, Italy)

CHRYSALLIDEM FESTIVAL SECOND EDITION The Chrysallidem Festival (10 th July- 24th July), with its second edition, has confirmed last year great success. The event, promoted by the Trade, Tourism and Youth Policy Department of Norma (Latina, Italy) places itself as a unique event where music, theatre, cinema, literature and art find space and contaminate among the town streets and historical places. Chrysallidem Festival was born from the will to feed the cultural turmoil giving always new causes for reflection. The well thought artistic direction realized a very high level event by placing itself as an important element of cultural reference. Among the Festival features points out the entrance of the world of literature with the Book Fair - first edition - organized by Norma Municipality (LT), in cooperation with Calliope Cultural Association and promoted by Compagnia dei Lepini, besides in the town library, a paint, sculpture and photography exhibition, curated by MAD –Museo Arte Diffusa in the person of Fabio D’Achille, has been set up. Remarkable the choice of guests, famous contemporary authors among who the poet Vincenzo Costantino Cinaski with the show Nato per lasciar perdere -estratto dallo spettacolo Smoke and the Strega Prize Antonio Pennacchi, with whom a debate – interview on Work and Territory took place. The primary school courtyard in Largo Cestio hosted the short film show Normovie: this year the event proposed an interesting retrospective about Mario Monicelli that’s been promoted by Norma Municipality for the anniversary of the Maestro’s birth. Five evenings have been dedicated to the music featuring Zibba, Emanuele Colandrea, GaLoni, La Scapigliatura and the three instruments concert Strani stranieri by Maria Letizia Gorga, Giovanni Monti e Carmine Pongelli; the good mix of heterogeneous sounds characterized all the dates, ending with the Notte Jazz soiree on Sunday 19 th of July, during which, academy of music teachers and young jazz musicians played in Norma avenue. In line with the will to promote the territory rising artistic realities, this edition has seen local bands duel in a music contest, the Chrysallidem Contest. Winners are the Distillastorie, who have been awarded with prize in money and the chance to play at the Notte Bianca of Norma, next 29th of August. Among the guests of honor there is Antonio Rezza, with the show Pitecus, played Thursday 23rd of July. The show subject is the man in his more beasty role, immersed in scene buildings of bright colors created by Flavia Mastrella. Retracing the structure of curtain in the curtain, the buildings created a real microcosm where bad looking humans with a deteriorated inner being behave confusingly. The Rezza’s show episodes follow one another untied by a central idea, starting from the everyday reality and adding a stressed comic vein, so to let deformed characters coming from pride and vanity. Pitecus picks on the so told cultures of creativity doziness and quiescence; the theatre has a therapeutic role as an artistic form capable to reaffirm the reason essential value. The Chrysallidem Festival places itself among the most relevant events on the Pontino territory where various kind of activities such as excursions of historical interest places mix to debates, concerts, exhibitions and film screenings, offering moments of aggregation to promote a deeper and aware territory knowledge.

Chrysallidem Festival - II edizione 10th - 24th July 2015

Meeting VINCENZO COSTANTINO CINASKI In your poem readings you’re often accompanied by musicians. How do you intend the cohesion of music and words? Which role plays the sound? Can it be considered an element of its own, released from the didascalic meaning? Oral traditions has always been based on musical accompaniment; music was born before the writing. If we think about Homer, his stories have been passed on verbally accompanied by the zither. The same is for the French speakers or the griò. I like to dress up poetry with music, give it a sound interpretation; this process belongs to improvisation, extemporaneous dimension. I like giving the public the chance to read themselves in poetry, helped by music. Poetry is a do, so is it a work? No, poetry is a way of life. There’s a Russian saying that reports The church is near, the bar is far, the road is frozen; I’ll walk carefully. It’s an invitation not to let ourselves influenced by others, to do what we like and not what is convenient. Do the work you like and you won’t work one single day.

Meeting ANTONIO PENNACCHI In your novels the character’s personal events have a considerable role on the historical background. What does it mean for you to tell stories? To narrate is necessary and essential so that the facts don’t go lost, so they stay. That’s why I’ve written Canale Mussolini and Mammuth, to give my relatives and my class voice. The dynamics that move big events are the same that move small events. The good and the evil in everyone have a universal something. In everyone there’s all the good and all the evil. In your debate-meeting with the public, during the Chrysallidem Festival, you said the youngsters have to study. How is important to know the history to understand the present and how is important to have a critical gaze on the present to explain the history? Dante used to say «Whoever has heard and not retained, knows nothing»; There’s no knowledge if there’s no memory, it’s about remembering to understand. Periods, present, past, future, are tied; tout se tient, all holds itself, the French says. So, both points of view are very important. Often movements and behaviors repeat. The consciousness of the past is prime to understand who we are and vice versa.

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IL MURO

SATRICO E IL TEMPIO DELLA MATER MATUTA di Giorgio Ippoliti Il sito archeologico di Satrico è collocato nel territorio nordovest della città di Latina, nella zona di Le Ferriere. La relativa città doveva trovarsi posizionata abbastanza vicino al mare e prima dell’inizio delle paludi pontine. Satrico fa la sua prima apparizione nella storiografia nel 499 o 496 a.C. in un elenco di città che si erano ribellate a Roma; la troviamo quindi nel suo ruolo anti-romano che la caratterizzà sino al suo declino nel 346 a.C. Ma già nel VII e e particolarmente nel VI secolo a.C. Satrico era un ventro di notevoli dimensioni e, dopo Alba, è la più notevole delle città morte del Lazio antico. Sulla base della sua prosperità culturale, si può affermare che Roma ricevette l’influenza della Campania attraverso il filtro di Satrico; questa città era, inoltre, posta lungo una grande strada che da Politorium, Lavinio, Ardea, Terracina, conduceva sino alla Campania ed era anche a poca distanza dal porto di Anzio. Sin dall’inizio del periodo romano repubblicano, Satrico era posta in un territorio che per oltre un secolo fu teatro delle lotte tra i Romani, i Latini e i Volsci. Il console Servilio tolse al dominio dei Volsci la città di Pomezia, vicina a Satrico, nel 495 a.C., mentre nel 488 a.C., numerose città latine, tra cui Satrico, caddero nelle mani dei Volsci. Le fonti letterarie non ricordano Satrico sino al 393 a.C. allorché essa, assieme a Velletri, si ribellò a Roma nel 396 a.C. Satrico rappresentò il più importante baluardo dei Volsci che, peraltro, vi furono sconfitti dal console Furio Camillo. Nel 385 a.C. fu fondata a Satrico una colonia romana con l’insediamento di duemila cittadini romani; nel 382 a.C. la colonia fu riconquistata dai Volsci. Quando nel 377 a.C. Satrico fu distrutta, lo fu per opera non dei Romani ma dei Latini: l’intera città fu distrutta con la sola eccezione del tempio della Mater Matuta (Livio, VI, 32). Nel 349 a.C. i Volsci anziati ricostruirono la città che divenne una loro colonia. Nel 346 a.C. Satrico fu infine nuovamente distrutta per opera del console M. Valerio Corvo ma, anche in quest’occasione, il tempio della Mater Matuta fu risparmiato dall’incendio (Livio, VII, 27). Satrico non si risolleverà più anhe se apparirà ancora nella storiografia romana: l’ultima volta che viene ricordata è nel 201 a.C., sempre in relazione al suo tempio, che sappiamo essere stato distrutto da un fulmine nel 207 a.C. Tra il 1896 e il 1950 vennero effettuati alcuni saggi di scavo, finché, nel 1974, venne creato il Comitato per l’Archeologia Laziale con lo scopo di difendere il patrimonio archeologico

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del Lazio, fino ad allora scarsamente seguito, con l’assegnazione della ricerca su Satrico all’Istituto Olandese di Roma. Prima del 1977, data di inizio degli scavi dell’Istituto Olandese di Roma, non vi era nessuna pubblicazione dedicata al sito di Satrico, se non la relazione preliminare scritta nel 1896 dagli archeologi F. Barnabei e A. Cozza. L’area di Satrico si ricollega a pratiche cultuali iniziate nel paleolitico e di esse rappresenta l’ultimo anello di una lunga catena che, nel territorio pontino, è ben presente con numerose testimonianze. La frequentazione di un certo territorio è sempre quasi interamente documentata attraverso culti praticati dalla popolazione residente. Nel territorio pontino abbiamo altre due testimonianze di riti o cerimonie cultuali: il cranio neandertaliano della grotta Guattari a San Felice Circeo (rinvenuto da Blanc nel 1939, esso si trovava all’interno di un cerchio di pietre, in una zona appartata della grotta) risalente al paleolitico superiore; l’uomo a fi dipinto in ocra (rinvenuto da Breuil e dal Blanc nel riparo arnale dei bufali in territorio di Sezze, lungo l’attuale S.S. 156), risalente al mesolitico. Il tempio di Satrico, nella sua fase latino-romana, era dedicato alla dea Mater Matuta; il suo nome proprio era Mater mentre il suo specifico predicato era quello di Matutina, divenuto poi nel tempo Matuta: presiedeva agli inizi, all’aurora e quindi proteggeva le gestanti, i neonati e in genere era benaugurante per l’intrapresa di qualunque positiva attività 1 . È interessante quindi notare come sia possibile stabilire la continuità del culto su uno stesso luogo, dall’VIII secolo a.C. sino al 207 a.C. Possiamo facilmente rilevare che il tempio dedicato alla Mater Matuta ha avuto quattro fasi distinte. La realizzazione della capanna risale all’anno 750 a.C. ed è documentata dall’esame dei frammenti in ceramica rinvenuti e che confermano la datazione; essa era profonda circa 1 metro, si estendeva per 6,88 metri in longitudine e per 4,38 metri sul 1

Poeti e scrittori latini hanno dedicato molta attenzione alla dea; in particolare Lucrezio, nella sua opera De rerum natura: «Parimenti a un’ora fissa Matuta diffonde la rosea/ aurora per le plaghe dell’etere e propaga la luce,/ o perché lo stesso soe, che ritorna di sotto la terra,/ occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo,/ o perché fuochi si raccolgono e molti semi/ di calore sono soliti confluire a un’ora fissa/ e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole;/ così è fama che dalle alte cime dell’Ida/ fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce,/ poi s’uniscano come in un globo e formino il disco di sole.» (Lucrezio, La natura, Garzanti libri, Milano 2008, V, 656-665, p. 295)


BACKLOOK Tempio di Mater Matuta, Satricum, località Le Ferriere, Latina (Italia). Ph. Paolo Di Bussolo

Tempio di Mater Matuta, Satricum, località Le Ferriere, Latina (Italia). Ph. Paolo Di Bussolo

lato corto. Presentava una stratigrafia di materiali di riempimento costituito alternativamente da sabbia gialla, terra mischiata e tracce di fuoco; l’elemento che indicava il carattere sacro della capanna era rappresentato dalla presenza di un buco profondo, il mundus, che serviva per le libagioni, posto all’esterno della capanna stessa. Il suo utilizzo è stato fissato fino all’anno 650 a.C.; in sua sostituzione, attorno a questa data è avvenuta la costruzione del sacellum. Era questa una costruzione che misurava 6x12 metri, coperta da un tetto di tegole rosse ed una tettoia davanti all’ingresso; l’utilizzo di queste tegole rosse è confermato dal ritrovamento di una tegola di simile tipo riadoperata nelle fondamenta del primo tempio. Dall’esame dei muretti che delimitavano l’edificio, gli archeologi hanno rilevato una duplice possibilità circa il tipo di costruzione che si presta alla presenza di un tempietto a pronaos con una sola stanza, la cella, con ingresso a est con portico a colonne oppure di una costruzione del tipo a adyton; in questo caso vi sarebbero due stanze di cui una era la cella con uno specifico uso cultuale. Dall’esame del contenuto della stipe votiva, rinvenuta all’interno del recinto del santuario, si è verificato che l’uso del sacello non è andato oltre l’anno 550 a.C. Arriviamo dunque all’esame di quello che è chiamato Primo Tempio; la terza forma assunta dal tempio di Satrico dopo la capanna e il sacello. Abbiamo una costruzione che conserva l’orientamento sud-ovest, ma ha già tutte le caratteristiche dei santuari etrusco-italici presenti nel Lazio; le sue dimensioni (17 x 27 metri) sono ben più rilevanti del sacello: la pianta è divisa in due ambienti, quello più vasto, la cella, destinata a contenere la statua della divinità, l’altro di minori dimensioni, il pronao. Il tutto è circondato da un colonnato peripteros sine postico, realizzato su tre lati lasciando libero quello posteriore. Assume importanza particolare la cura posta nella costruzione del tetto a doppio spiovente in travi di legno ricoperti da tegole (piatte) e coppi (curvi); appare interessante l’uso di applicare all’ultimo coppo, quello nella parte inferiore del tetto e quindi visibile dal basso, una lastra di terracotta; questa, detta antefissa, può assumere varie forme e essere decorata con pitture e rilievi. Gli scavi del 1896-98 hanno permesso di trovare 90 antefisse integre che ben rappresentano la capacità creativa e decorativa delle maestranze addette alla costruzione del santuario; le caratteristiche delle antefisse qui ritrovate sono in parte diverse da quelle in uso negli altri tempi etrusco-italici, tanto da far ritenere che esse possano essere riferibili non solo al tempio, bensì anche a qualcuno degli edifici circostanti. Dopo circa cinquanta anni, intorno al 500 - 480 a.C., il tempio fu distrutto a seguito di un avvenimento storico difficile da identificare; quello che viene indicato come Secondo Tem-

pio è, quindi, il luogo di culto che ha avuto una vita più lunga rispetto a quelli che lo hanno preceduto: nell’anno 207 a.C., come ci racconta Livio, esso sarà colpito da un fulmine, ma soltanto nel corso del I secolo a.C. sarà definitivamente abbandonato come attestato dalle offerte votive ritrovate. Il secondo tempio si distingue dall’edificio di culto che lo ha preceduto, innanzitutto nella sua maggiore grandezza di 21 x 34 metri (seppur occorre tenere conto delle difficoltà di misurazione determinate dall’intervenuto sgretolamento dei blocchi di tufo che non consente di essere più precisi). Altra differenza tra i due templi è data dalla variazione della direzione dell’edificio che si presenta ora perfettamente orientato verso sud-ovest. Il secondo tempio, inoltre, presenta un podio più elevato e la presenza di colonne su tutti e quattro i lati (peripteros). Tutto questo gli conferisce un’impronta greca propria di quel periodo in cui le maestranze etrusche non operavano più a Satrico ed erano state sostituite da quelle greche, più abili delle maestranze locali. Infine, un’ultima differenza tra i due templi è testimoniata dalla diversa forma e raffigurazione che viene assunta dalle antefisse; mentre nel primo tempio esse seguivano le regole precise di inquadramento nella tipologia degli altri templi laziali, nel secondo tempio le antefisse sono vere e proprie maschere mitologiche: abbiamo teste di guerriero, di Giunone, di Zeus, rappresentazioni di arpie, di sileni, di menadi e di altre figure mitologiche. Nella loro realizzazione più importante le antefisse sono rappresentate a figura intera assumendo quasi una forma tridimensionale, pur rimanendo sempre agganciate alla lastra che le sostiene. Si ricordano, inoltre, nell’ambito della ricerca archeologica dedicata a Satrico, il ritrovamento del lapis satricanus e di varie tipologie di necropoli, importanti testimonianze che qui non approfondiamo per motivi di spazio.

Bibliografia: AA. VV., Satricum - Una città latina, Alinari, Firenze 1982 AA. VV., Satricum. Un progetto di valorizzazione per la cultura e il territorio di Latina, Atti del convegno tenutosi il 5 febbraio 1983 presso la sala conferenze delle mostre Storia di ua città e Satricum una città latina, Comune di Latina, Latina 1983 F. Barnabei, A. Cozza, Di un antico tempio scoperto presso Le Ferriere nella tenuta di Conca dove si pone la sede della città di Satricum Estratto dalle Notizie degli scavi di gennaio 1896, Tipografia della R. Accademia dei Lincei, 1896 A. Cassatella, S. Ceccarelli, R. Lulli, (a cura di), Satricum - la storia e le testimonianze, S.I., s.n., 2006 A. Cassatella, S. Ceccarelli, R. Lulli, (a cura di), Satricum - archeologia e topografia, S.I., s.n., 2006 P. Chiarucci, T. Gizzi, Area sacra di Satricum - scavo e restituzione, catalogo della mostra al Museo Civico di Albano Laziale, Paleani editore, 1985 B. Heldring, Satricum una città del Lazio, Satricana 1 - Coop. Satricum di Borgo Montello e Nederlans Studiecentrum Voor Latium, Campoverde 1987 C.M. Stibbe, G. Colonna, C. De Simone, H.S. Versnel, Lapis satricanus, Istituto Olandese per gli studi archeologici di Roma, Scripta minora, Roma 1979 C.M. Stibbe, Satricum ed i Volsci, Satricana 2 - Fondazione Centro di Studio Olandese per il Lazio, Tondestraal 1991 H.S. Versnel, Satrico e Roma - l’iscrizione di Satrico e la storia romana arcaica, Satricana 3 - Fondazione Centro di Studio Olandese per il Lazio, Tondestraal 1991 D.J. Waarsenburg, Satricum, cronaca di uno scavo, Fratelli Palombi Editore, 1998

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IL MURO

SATRICUM AND THE TEMPLE OF MATER MATUTA Giorgio Ippoliti The archeological site of Satricum lies in the nord-west territory of Latina, in the area of Le Ferriere. The town of Satricum was probably collocated quite close to the sea and long before the Pontine marshes. About historiography Satricum makes its first appearance in 499 or 496 b.C. in a list of towns which revolted against Rome, the anti- roman role characterized the town till its decline in 346 b.C. . Satricum is, after Alba, the most noticeable among the dead towns of ancient Lazium. We can affirm that Rome received the Campania cultural influence through Satricum which was situated along a big road that, from Politorium, Lavinio, Ardea, Terracina, led to the Campania region and, besides, was not far from Anzio harbour. Since the beginning of the republican roman period, Satricum was situated in a territory that for over a century was theatre of fights between the Romans, Latins and Volsci. In 495 b.C. the consul Servilio took away from the Volsci’s authority the town of Pomezia, while in 488 b.C. several latin towns and also Satricum fell to the Volsci. In 396 b.C. Satricum and Velitrae revolted against Rome. Satricum represented the most important defence of the Volsci who were defeated in it by the consul Furio Camillo. In 385 b.C. a roman colony of two thousand roman citizens established in Satricum, in 382 b.C. the colony was regained by the Volsci. In 377 b.C. the entire town was destroyed by the Latins except for the temple of Mater Matuta (Livio,VI,32). In 349 b.C. the Volsci rebuilt the town which became their colony. In 346 b.C. Satricum was destroyed again by the consul M. Valerio Corvo and once again the temple of Mater Matuta was safe (Livio, VII, 27). Satricum is mentioned last time in 201 b.C. always related to its temple, that we know to have been destroyed by a flash in 207 b.C. Between 1896 and 1950 were made some excavation essays and in 1974 the Committee for Lazio Archeology was created with the intent to defend the archeological heritage of Lazium through the assignment of the research about Satricum to the Dutch Institute of Rome. Before 1977,start of the excavations, the only publication about Satricum was the preliminary report written by the archeologists F. Bernabei and A. Cozza in 1896. Satricum area goes back to cultl practices that began in the

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Paleolithic age of which there are many evidences in the pontino territory, for instance: the Neanderthal skull of Guattari cave in San Felice Circeo (discovered by Blanc in 1939, it was placed within a circle of stones) which goes back to the higher Paleolithic; the man painted in ochre (discovered by Breuil and Blanc in the arnale buffaloes shed in Sezze territory) goes back to the Mesolithic period. Satricum temple, in its latin-roman phase, was dedicated to the goddess Mater Matuta; her name was Mater while her specific predicate was Matutina that became later on Matuta: she presided the beginnings, the dawn and so she protected pregnant women, newborn babies; generally she wished well for every positive initiative1. It’s interesting to notice how it is possible to state the continuity of cults on a same place, from VIII century b.C. until 207 b.C. We can easily remark that the Mater Matuta temple had four distinct phases. The hut was built around the year 750 b.C. it’s documented by the examination of ceramic fragments found; it was about 1 meter deep with a dimension of 6,88 meter in longitude and 4,38 meter on the short side. It had a stratigraphy of filling materials made of yellow sand, mixed soil and traces of fire; The element which showed the hut holy character was represented by a deep hole, the mundus, outside the hut itself. Its usage is fixed until the year 650 b.C.; in replacement was built the sacellum. This building measured 6x12 meters, with a roof made of red tiles and a penthouse at the entrance; The 1

Many Latin authors have written about Matuta goddess, especially Lucretius in his work De rerum natura: «Matuta also at a fixed hour/ Spreadeth the roseate morning out along/ The coasts of heaven and deploys the light,/ Either because the self-same sun, returning/ Under the lands, aspires to seize the sky,/ Striving to set it blazing with his rays/ Ere he himself appear, or else because/ Fires then will congregate and many seeds/ Of heat are wont, even at a fixed time,/ To stream together- gendering evermore/ New suns and light. Just so the story goes/ That from the Idaean mountain-tops are seen/ Dispersed fires upon the break of day/ Which thence combine, as ‘twere, into one ball/ And form an orb. Nor yet in these affairs/ Is aught for wonder that these seeds of fire/ Can thus together stream at time so fixed/ And shape anew the splendour of the sun.» (Lucretius, De rerum natura, Book V, 656-665, internet free source: http://classics.mit.edu/Carus/nature_things.5.v.html )


BACKLOOK

Tempio di Mater Matuta, Satricum, località Le Ferriere, Latina (Italia). Ph. Paolo Di Bussolo

use of these red tiles is confirmed by the finding of a similar tile used in the first temple foundation. Through the examination of the small walls around the building, the archeologists remarked a double possibility about the kind of construction which could be a pronaos small temple with only one room, entrance to the east and portico with columns or a kind of adyton building; in this case there would be two rooms one of which with a specific cult use. According to the examination of the votive cabinet content found inside the enclosure of the sanctuary, the sacellum wasn’t used beyond the year 550 b.C. About what is called First Temple: the third shape of Satricum temple after the hut and the sacellum. We have a building still orientating south-west but already with all the characteristics of the etrurian-italian sanctuaries in Lazio; its dimensions (17 x27 meters) are bigger than the sacellum: divided in two spaces, the big one is the cell, destined to keep the divinity statue, the smaller one is the pronao. All is surrounded by a peripteros sine postico colonnade, made on three sides leaving the back one free. Particular importance assumes the roof making of wooden beams covered with tiles (flat) and hollow tiles (curved); Interesting is the use to apply a terracotta slab called antefix to the last hollow tile in the low part of the roof, visible from down, which could have several shapes and be decorated with paintings or projections. The excavations of 1896-98 allowed to find 90 entire antefixes that well represent the workmen’s creativity and decorating skills in building the sanctuaries; the features of the found antefixes differ in part from those used for the other etrurian-italian temples, so to make believe they could be referred not only to the temple but also to some of the neighboring buildings. After about fifty years, around 500-480 b.C., the temple was destroyed next to a historical event hard to identify; the one indicated as the Second Temple is the cult place that had a longer life compare to the previous ones: in the year 207 b.C. it will be hit by a flash, but only during the I century b.C. it will be abandoned definitely. The Second temple disguises from the previous one, especially about the bigger dimension of 21 x 34 meters (although the measurement difficulties because of the crumbled tufa blocks) and also for the building direction that is now perfectly orientated towards south-west. Besides, the second temple has a higher scaffold and columns on the four sides (peripteros).

Tempio di Mater Matuta, Satricum, località Le Ferriere, Latina (Italia). Dettaglio. Ph. Paolo Di Bussolo

All this gives it a greek mark proper of that period when the greek workmen were operative in Satricum because more capable of the local ones. The last difference between the two temples is given by the shape and representation of the antefixes; in the first temple they follow precise rules in the typology of other Lazio temples, in the second temple the antefixes are real mythological masks: we have warriors’ heads, Juno’s head, Zeus’ head, representations of harpies and other mythological subjects. In the most important works the assume nearly a tridimensional shape, although they hung up to the slab that support them. About the archeological research dedicated to Satricum we remind the finding of the lapis satricanus and of several types of necropolis, important evidences we don’t delve into here only for space reasons.

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Floppy

LIVE PERFORMERS MEETING COME STAZIONE CREATIVA di Arianna Forte Caleidoscopiche immagini elettroniche, coreografie di luci epilettiche, simmetrie astratte palpitanti e flussi di bit tradotti in grafiche minimali miscelate con la cadenza sincopata di musiche sintetiche, hanno invaso per una settimana gli schermi del Nuovo Cinema Aquila e ridisegnato con fasci luminosi colorati la sua facciata. Allo stesso tempo artisti da tutto il mondo – Europa , Giappone, Russia, Africa, ect.- alcuni con vesti eccentriche, altri con trolley, cavi e laptop, hanno affollato le strade del Pigneto dal 28 al 31 maggio scorso. Così si è presentata l’edizione romana del 2015 del Live Performers Meeting: il simposio made in Italy delle arti e culture digitali, un unicum nel panorama nazionale - per diffusione, longevità ed entità- che oramai dal 2004 è un punto di aggregazione per la comunità intercontinentale di vj, creativi e performer multimediali. LPM si consacra all’interazione e fusione tra nuove e differenti forme di espressione artistica basate sulle tecnologie digitali, in particolare alla Video Live Performance. Difatti la storia della manifestazione va di pari passo con la genesi di quello che può essere considerato un nuovo linguaggio multimediale ed è fortemente connessa con lo sviluppo del Vjing e con la sua diffusione in Italia.

LIVE PERFORMERS MEETING La peculiarità del LPM non è solo quella di dare spazio ad un linguaggio innovativo e sinestetico, ma sta soprattutto nella sua necessità di essere un meeting, per l’appunto. Un incontro. Non esattamente un festival, anche se centinaia sono le performance che hanno luogo. Difatti per poter partecipare non c’è una selezione qualitativa ma basta l’intenzione di uno scambio di esperienze artistiche e di conoscenze. Le radici del meeting partono dalla diffusione senza scopo commerciale di FLxER, un software Open-Source di mixaggio video. Attorno a questo strumento nasce una community di utenti, i FLxER Abusers, che si scambiano saperi, materiali video, conoscenze e contribuiscono al suo sviluppo. Dalla socializzazione virtuale si passa all’esigenza vera e propria di incontrarsi fisicamente. Così nel 2004 a Roma si organizza il primo Live Performers Meeting 1 . Negli anni LPM si è spostata in giro per l’Italia, l’Europa e anche oltre, creando un enorme network di eventi e occasioni di incontro. La sua community si è ampliata enormemente e si trasforma in continuazione. Ad oggi è un evento consolidato come una full-immersion in cui dal primo pomeriggio alla mattina si susseguono performance, workshop e presentazioni di progetti di ricerca o di team creativi. Nel suo essere un’esperienza collaborativa e partecipativa corrisponde esattamente a quello che Paolo Rosa e Andrea Balzola definiscono «modello alternativo di processo sociale e culturale»2 . Nel loro manifesto per l’era post- tecnologica, i due autori auspicano la creazione di stazioni creative, centri capaci di stimolare, diffondere e fare emergere la creatività diffusa, sovvertendo le dinamiche del mercato e dello sviluppo economico. Sperimentazione, ricerca e libertà di espressione sono il motore fondante di un modello che è innanzitutto educativo e partecipativo. LPM diventa l’occasione in cui tecnologie offrono la possibilità di sperimentare nuove esperienze percettive e diverse modalità di relazioni con gli altri, all’insegna della pratica del dono: l’arte ha il diritto di non essere produttiva di essere un atto gratuito «ritorna a circolare nell’organismo-umanità come il sangue circola nell’organismo umano» rigenerandolo continuamente 3 .

1 FlyerCommunication FLExER.net- Il progetto-Il software-La community. 2

Rosa e Balzola, ibidem p.25.

3 ibidem p. 50.

COS’È LA VIDEO LIVE PERFORMANCE? La pratica del Vjing consiste nel manipolare in tempo reale un flusso di immagini video-proiettate seguendo l’andamento ritmico della musica. È un fenomeno artistico multimediale, che promuove la mobilità e l’aleatorietà tra confini di generi o discipline: si possono ritrovare aspetti del cinema, della musica e del teatro. Il cuore di questa convergenza è l’interattività, e le modalità nella quale si realizza sono performative. Il Video Live ha difatti ridefinito il modo di concepire (e soprattutto di fruire) l’immagine in movimento nell’epoca digitale. Una fortissima continuità con l’avanguardia e, soprattutto, con la neoavanguardia cinematografica è rintracciabile nelle logiche irriverenti e anticonvenzionali delle sperimentazioni visive che la caratterizzano. Colore, luminosità, linee e forme sono il pretesto per modulare sequenze video, secondo logiche di ricombinazione estemporanee e semi-casuali, in analogia alle dinamiche della drammaturgia musicale 1 . L’esperienza di visione e d’ascolto assume un carattere fisico e performativo, inserita in una dinamica creativa profondamente immersiva e sinestetica. Mediante l’uso delle tecnologie digitali il processo di fluidificazione e di sintesi dei linguaggi ha raggiunto la sua massima potenzialità espressiva. Così «si sviluppa una dimensione potenzialmente liberatoria dell’immaginario, una sorta di esperienza estatica collettiva che fa saltare i codici audiovisivi e comportamentali stereotipati in una libera e imprevedibile associazione sensoriale»2 1

Nicola Dusi, Lucio Spaziante, Remix – Remake. Pratiche di replicabilità, 2006, Meltemi.

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Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sè. Un manifesto per l’era post- tecnologica, 2011, Feltrinelli, p.114.

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Floppy

LIVE PERFORMERS MEETING AS CREATIVE STATION Arianna Forte Kaleidoscopic electronic images, epileptic lights choreographies, abstract palpitating symmetries and bit flows translated into minimal graphics mixed with syncope rhythm of synthetic music, have invaded the Nuovo Cinema Aquila screens and drawn again its façade with colorful lights. At the same time artists from all over the world – Europe, Japan, Russia, Africa, etc. – some of them with eccentric clothes, others with trollies, cables and laptop, crowded the streets of Pigneto from 28th to 31st of last May. So appeared the 2015 roman edition of the Live Performers Meeting: The made in Italy symposium of digital arts and cultures, an unicum in the national panorama – for its diffusion, longevity and entity – that since 2004 is already a point of aggregation for the intercontinental community of vj, creatives and multimedia performers. LPM consecrate itself to the interaction and fusion between new and different forms of artistic expression based on digital technologies, particularly the Video Live Performance. In fact the story of the exhibition goes along with the genesis of what can be considered a new multimedia language is strongly connected to the development of Vjing and its spreading in Italy.

WHAT'S THE VIDEO LIVE PERFORMANCE? The practice of Vjing manipulates in real time a flow of video images-projected following the music rhythm. It’s a multimedia artistic phenomena that promotes the mobility and hazardous between the borders of genders or disciplines: it can be possible to find aspects of cinema, music and theatre. The heart of this convergence is the interactivity, and it carries out itself in performative ways. Video Live has redefined the way to conceive (and first of all to enjoy) the moving image in the digital time. A very strong continuity with cinematographic vanguard and, first of all, with new vanguard is traceable in the irreverent and unconventional logics of the visual experiments that characterizes it 1 . Colour, light, lines and shapes are the pretext to modulate video sequences, according to logics of extemporaneous and semi casual combination in similarity with dynamics of music dramaturgy2 . The vision and listening ex1

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We could recognise a stroboscopic light in the 1966 The flicker by Tony Conrad or vjset in the Mark Boyle’s psichedelic projections. Nicola Dusi, Lucio Spaziante, Remix – Remake. Pratiche di repli-

perience assumes a physical and performing character inserted in a creative dynamic deeply synesthetic and immersive. Through the use of digital technologies the process of fluidity and synthesis of languages has reached its higher expressive potential. So «it develops a potentially liberating dimension of imagination, a sort of collective ecstatic experience that collapses all the conventional audiovisual and behavior codes into a free and unpredictable sensorial association 3 ».

LIFE PERFORMERS MEETING Peculiarity of LPM is not just giving space to an advanced synesthetic language, but first of all is about the necessity of being a meeting. Not exactly a festival, although hundreds of performances take place. In effect there isn’t a quality selection to be able to participate, it’s enough the intention to exchange artistic experiences and knowledge. Origins of the meeting are in the spreading, with no commercial aim, of FLxER an Open-Source software to mix videos. Around this tool a community of users is born, the FLxER Abusers, who exchange knowledge, video materials and cooperate to its development. From the virtual socialization comes the real need to meet physically. So in 2004 took place in Rome the first Live Performers Meeting. During the years LPM has moved around Italy, Europe and over, creating a huge network of events and meeting occasions. Its community has enormously enlarged and keeps transforming. Nowadays it’s a consolidated event like a full immersion where from afternoon till the next morning performances, workshops and presentations of research projecst or creative teams follow one another. In its being a cooperative and participatory experience it corresponds exactly to what Paolo Rosa and Andrea Balzola define «unconventional model of social and cultural process». In their manifesto for the post-technological era, the two authors wish for the creation of creative stations, centers capable to stimulate, spread and make emerge the wide spread creativity, subverting the trade and economic development dynamics. Experimentation, research and expression freedom are the base engine of a model which is educational and participatory first of all. LPM becomes the occasion where technologies give the opportunity to experiment new perceptive experiences and different ways to relate with other people, looking for the gift practice: art has the right not to be productive, to be a free action «It circulates in the humanity-organism like the blood circulates in human body» regenerating it continuously. cabilità, 2006, Meltemi. 3

Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sè. Un manifesto per l’era post- tecnologica, 2011, Feltrinelli, p.114.


LegĂŞre

SUMMER TIPS

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6 Dolores Prato, Scottature, Quodlibet, Macerata 2010, pp. 49. Irene Iarocci (a cura di), Cento Haiku, Guanda, Parma 2013, pp. 192. Bill Bryson, America perduta. In viaggio attraverso gli USA, Feltrinelli, Milano 2013 (original title: Lost Continent) pp. 302. J. G. Ballard, La mostra delle atrocitĂ , Feltrinelli editore, Milano 2014 (original title The atrocity exhibition) pp. 195. Dino Buzzati, Sessanta racconti, Arnoldo Mondadori editore, milano 2013, pp. 476. Donna Tartt, Il cardellino, Rizzoli, Milano 2015 (original title The Goldfinch) pp. 892.

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ENDING TITLES

Andrea Castro, Listen to me (2012) Andrea Castro è un’artista visuale nata in Spagna. Ha iniziato a disegnare a 11 anni e dall’età di 14 anni ha iniziato a prendere lezioni di pittura da diversi artisti, per un periodo di otto anni. Successivamente ha studiato Fashion Design e Pattern Design; nel 2012 ha lasciato il mondo della moda e ha iniziato una ricerca artistica indagando, attraverso la pittura, l’incontro tra vita quotidiana, emozioni e parole. I suoi lavori sono stati esposti in diverse occasioni e recentemente una sua opera è arrivata in finale in un concorso artistico. I suoi lavori, inoltre, sono stati pubblicati su vari siti e magazine online, quali Juxtapoz, Mala Tinta Magazine, The Plus Magazine or The Jealous Curator’s blog. Attualmente vive e lavora a Majorca (Spagna).

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Andrea Castro is a visual artist from Spain. She started to draw when she was 11; since she was 14, she attended painting lessons for eight years from many painters. . Later, she studied Fashion Design and Pattern Design course. In 2012, she left the fashion world and she began her painting research about how everyday situations and emotions are put into words. Her works have been exhibited several times; recently one of her artworks has beeen finalist in an art contest. She's also been featured in many online magazines and websites about art, such as Juxtapoz, Mala Tinta Magazine, The Plus Magazine and The Jealous Curator's blog. Currently she works and lives in Majorca (Spain).


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