Il Periodico News - GENNAIO 2018 N°125

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Vignaioli col Rolex, in Oltrepò solo tronisti divisi e contenti

L’Oltrepò Pavese è una terra di buoni vini e belle parole, ma sotto il vestito… niente. Il Consorzio, all’interno del quale per vent’anni hanno dormito tutti, compresi i veterani che ne sono usciti con orrore per rifarsi una verginità, tenta la via della ... pagina 13 Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

Bastida Pancarana «Le maggiori problematiche: velocità e disturbo della quiete pubblica» Renata Martinotti sindaco da soli sei mesi del Comune di Bastida Pancara-

Le due donne simbolo dell’opposizione vogherese

na, ha già dato un’impronta chiara e netta su quello che vuol essere il suo percorso di amministratore...

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in quanto da parecchi anni negli uffici comunali ad ogni richiesta rispondono: “No, non possiamo perché non abbiamo soldi”...»

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Menconico Bocciata la filiera del tartufo, deluso il sindaco Bertorelli Per ottenere i finanziamenti del progetto Aree Interne il comune di Menconico entra in unione con i vicini di Santa Margherita Staffora, Brallo e Romagnese, ma il sindaco...

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Ruino Fusione con Zavattarello: «Ad oggi credo non ci siano i tempi tecnici» Il sindaco Sergio Lodigiani, “tirato in ballo” dal Comitato Promotore pro

«Personalmente ho sempre preso Facebook non come un mezzo di governo, ma come mezzo di comunicazione, cosa che in campagna elettorale serve: per far passare messaggi, per far pervenire cose che si fanno o interpellanze o co-

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Bressana Bottarone «68mila euro per nove posti auto... Si sarebbe potuto fare di meglio» I cittadini di Bressana Bottarone sono sempre più confusi e si chiedono cosa munale di piazza Guglielmo Marconi. Le versioni proposte dalla...

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in Oltrepò Pavese

news

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gnese, Ruino, Valverde e Zavattarello,

succeda, veramente, nella Casa Co-

20.000 copie

«Invito il sindaco Varzi: Si è sciolta la Pro Loco, l’assessore Callegari a fare Zanardi chiede più collaborazione «Non ci sarà nessun vuoto organiz- eventi molto belli e di ampio richiaretromarcia sulle zativo perché sono convinto che pre- mo, vanno ringraziate per quello che presunte dimissioni» sto troveremo il modo di ricostruire fanno».

fusione comuni di Canevino, Romareplica a quella che...

municazioni va bene (ciò, ad esempio, che fa il Movimento 5 stelle). Per far passare invece commenti negativi nei confronti di qualcuno in particolare no. La realtà è sempre diversa. Un esempio è l’ex sindaco di Stradella...» pagine 6 e 7

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oltre

«È difficile definire ricco Montebello,

Dopo le frane, dopo la carenza idrica, dopo i torrenti che sembrano dei boschi è arrivato finalmente il gelicidio, l’ennesima emergenza in Oltrepo pavese. Soprattutto in occasione del gelicidio, avvenuto nella seconda settimana di dicembre, si sono visti alcuni sindaci e alcuni assessori con la motosega in mano per liberare le strade di molti paesi oltrepadani, la viabilità delle quali era stata interrotta dalle piante cadute perchè colpite dal gelo. Lo spettacolo offerto da questi servitori della volontà popolare è stato toccante e commovente. Non tutti, ma molti, hanno profuso lo stesso impegno in altre occasioni d’emergenza: frane, carenza idrica, troppo caldo… Insomma quando c’è un’emergenza, sempre l’ennesima a dire il vero, dopo e non prima, molti sindaci e assessori comunali si dan pagina 2 da fare...

Anno 12 - N° 125

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Montebello della Battaglia «Le dichiarazioni fatte dal sindaco credo siano frutto di visioni oniriche»

CARI SINDACI DELL’OLTREPò: «ANDÈ A PUDÀ!» (ANDATE A POTARE)

Non si placano le polemiche nella città di Casteggio, dovute ai continui pagina 31 furti...

una Pro Loco efficiente. Comunque il Comune farà in modo di assicurare la realizzazione di eventi fondamentali per il nostro paese quali la fiera del primo maggio e il mercatino sotto le stelle di agosto, anche se non è giusto aspettarsi che sia l’amministrazione a fare l’organizzatore di eventi, quando semmai deve operare per mettere altri nelle condizioni per farlo. Alle associazioni varzesi non credo sia giusto chiedere di assumere impegni ulteriori: la loro forza sta appunto nella loro indipendenza organizzativa, sanno esprimersi con

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LA TRIPPA

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CARI SINDACI DELL’OLTREPò: «ANDÈ A PUDÀ!» (ANDATE A POTARE)

Dopo le frane, dopo la carenza idrica, dopo i torrenti che sembrano dei boschi è arrivato finalmente il gelicidio, l’ennesima emergenza in Oltrepo pavese. Soprattutto in occasione del gelicidio, avvenuto nella seconda settimana di dicembre, si sono visti alcuni sindaci e alcuni assessori con la motosega in mano per liberare le strade di molti paesi oltrepadani, la viabilità delle quali era stata interrotta dalle piante cadute perchè colpite dal gelo. Lo spettacolo offerto da questi servitori della volontà popolare è stato toccante e commovente. Non tutti, ma molti, hanno profuso lo stesso impegno in altre occasioni d’emergenza: frane, carenza idrica, troppo caldo… Insomma quando c’è un’emergenza, sempre l’ennesima a dire il vero, dopo e non prima, molti sindaci e assessori comunali si dan da fare. Dopo ! È vero che il gelicidio è un evento eccezionale e non c’è bisogno di qualche pistola travestito da paladino dei sindaci che ribadisca il concetto e affermi che più di così non si poteva fare! Del resto, questi paladini – pistola, non fanno che confermare un vecchio proverbio dell’Oltrepò: “Temp e cu i fan me chi von lu!” (Tempo e sedere fanno come vogliono), pertanto non dicono nulla di nuovo. Il problema non è il commovente, ma postumo, impegno dei vari sindaci e assessori comunali, come nel caso delle strade che anche a causa delle frane si sgarrupano tutte, come nel caso della carenza idrica, come nel caso dei torrenti che sembrano delle foreste e che magari danneggiano i ponti, ma è che l’Oltrepo e i suoi amministratori vivono nell’emergenza. Vivono nell’emergenza perché in molti casi non fanno prevenzione. Qualsiasi persona dotata di buon senso sa che se ti si rompe la caldaia, perché non

hai fatto manutenzione, e chiami il tecnico la riparazione ti costa uguale ma paghi in più l’emergenza di chiamata. Quindi l’emergenza costa molto di più della prevenzione. Fino a che uno chiama il tecnico a casa sua e spende i propri soldi, amen, ma quando lo fa un sindaco e butta via i soldi degli altri, nella fattispecie, di tutti i cittadini… la cosa non va bene. Nei giorni successivi al gelicidio, con un amico, che si occupa di manutenzione del verde pubblico, di strade e torrenti, ho fatto un giro in alcune vallate dell’Oltrepò. Effettivamente alcune zone sembra siano state bombardate. Alberi aperti in due, rami in ogni dove. Il gelicidio è stato veramente un evento straordinario e difficilmente prevedibile. Il gelicidio però! Perché sarà pur vero che nei mesi primaverili ed estivi, quando c’è il sole e fa caldo, avere frondosi alberi che ricoprono e danno ombra alla strada è bello, ma poi quelli stessi durante i mesi più difficili ti possono cascare addosso. Molti sindaci, molti assessori dell’Oltrepò non sono agricoltori, alcuni fanno gli imprenditori, altri sono medici, altri sono tecnici, altri sono dipendenti pubblici o ex dipendenti pubblici. Capisco che per i sindaci che fanno il medico “pudà” (potare) esula dalla loro formazione culturale e professionale, ma per quei sindaci che magari fan l’agricoltore, che sono tecnici, ingegneri, geometri oppure sono figli di agricoltori, nati e cresciuti in questa terra la parola pudà non dovrebbe essere sconosciuta. Allora io dico: la scorsa primavera estate quando giravate per le strade del vostro paesello orgogliosamente portando la vostra fascia tricolore, non avete visto i rami delle piante che costeggiavano le strade che

invadevano le strade stesse? Cosa guardavate? Allo stesso modo dico: mentre girate per le strade non vedete che non c’è più un fosso ben tenuto? Non sapete che i fossi, o meglio reticolo idrico come li chiamate voi perché volete far vedere che sapete parole difficili in italiano, devono essere puliti? Non sapete che se non pulite i tombini ad ogni temporale le strade del vostro paesello si trasformano in fiumi? Poi potete anche dire e far scrivere che si tratta di bombe d’acqua, ma le persone normali con un minimo di sale in zucca sanno che questi temporali si sono sempre verificati e che non si tratta di bombe d’acqua. Non sapete, avendo dato permessi per costruire a destra e a manca, che obbligando giustamente a fare le fognature bisognava assicurarsi che quelle nuove non confluissero in quelle vecchie più piccole? Esplodono! A causa della scarsa portata di queste ultime. Non lo sapete che il torrente che vi passa sotto casa pieno di arbusti, ormai diventati alberi, se viene una piena o una mezza piena sradica gli alberi e li tira contro i piloni del ponte e questo viene danneggiato? No, non lo sapete. Evidentemente non lo sapete. E se lo sapete, direte abbiamo scritto agli organi competenti ma….vorrei vedere se capita a casa vostra e vi rispondono ma….. Molti si difendono dicendo che per la parte pubblica non ci sono i soldi per potare gli alberi pericolosi, non ci sono i soldi per fare o ripulire i fossi. Però, di riffa o di raffa, si trovano sempre i soldi quando c’è un emergenza e che quindi costa uguale se non di più! La verità forse sta nel mezzo, sarà vero che mancano i soldi, ma è anche vero che vengono spesi male.

L’altra scusa o giustificazione, dipende da come si guarda alla faccenda, è che molti fossi o terreni sono di privati e se loro stessi non fanno manutenzione… Cosa ci possiamo fare? Premesso che ci sono delle leggi ben precise che più o meno efficacemente regolano e obbligano i proprietari di fondi privati ad una corretta manutenzione. È vero che molti fondi privati, soprattutto nella parte dell’Oltrepò montano, non sono più coltivati perché gli antichi proprietari ora deceduti li hanno lasciati in eredità ad altri che non vivono in zona o che in alcuni casi hanno rinunciato all’eredità oppure non si occupano delle loro proprietà agricole e quindi degli alberi e dei fossi posti o adiacenti ai loro fondi. Tutto vero, tutto bello. A furia di scuse e di “cosa possiamo fare?” Siamo sempre in emergenza. Allora io dico: invece di spendere dei soldi, dopo, per liberare le strade e potare in qualche modo le piante non è forse meglio farlo prima? Tenendo presente che in molti casi, forse anche per il 50% dei casi, il valore del legno potato o abbattuto permette, in cambio merce, di effettuare il lavoro gratis! No, neanche in questo caso di lavoro in cambio merce il lavoro viene fatto. Sarà anche vero che tocca ai privati pulire i propri fossi e potare i propri alberi, ma se nessuno con insistenza, fino allo sfinimento, usando tutte le arme legali di convincimento possibili non li obbliga a farlo è chiaro che molti di questi non lo faranno mai… Ops! Una vocina interna mi dice che molti di questi privati che non fanno manutenzione sono gli elettori di molti sindaci o dei vari assessori… Ops! Una vocina interna mi dice che se lui li obbliga a fare questi lavori non lo votano più. Lo stato centrale dà sempre meno soldi ai comuni e questo è vero, la Regione forse anche, la Provincia esiste e non esiste dipende dai casi e dalle convenienze. Però se io fossi lo Stato e ogni tre per due, non di fronte a un terremoto, a un vulcano che erutta, ma a un temporale che vogliono far passare per bomba d’acqua, mi chiedessero dei soldi gridando alla calamità naturale… Sapete cosa risponderei a chi me li dovesse chiedere? Semplicissimo: “Ma va a scuà al mar” (ma vai a scopare il mare). Una cosa il gelicidio ha insegnato ai nostri sindaci, cioè una parola a molti sconosciuta “pudà”, potare. Azione che si effettua con oggetti taglienti esattamente come le forbici che i sindaci, politici e gingilli vari, usano ad ogni piè sospinto, anche quando piantano due fiori o cambiano una lampadina, per tagliare vari nastri inaugurativi. Ecco cari sindaci, cari amministratori e cari politici locali nel 2018 non tagliate più dei patetici nastri inaugurativi, ma “Andè a pudà!” e fatevi una foto rigorosamente con la fascia tricolore.


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Lucchini:«Nessun dialogo con chi non mantiene le promesse» Per la sezione vogherese della Lega Nord quello appena concluso è stato un anno intenso. Apertosi nel gennaio 2017 con il sostegno a Carlo Barbieri nella sua sfida a Ghezzi per il ritorno sulla poltrona numero uno di Palazzo Gounela, si è concluso con il Carroccio battagliero alfiere di opposizione. Nel mezzo, la lotta per l’applicazione (non ottenuta) del “Modello Voghera” per gli aiuti ai cittadini extracomunitari, la vicenda Bossi-Belsito che ha portato al sequestro dei conti delle sezioni locali e diversi contrasti con l’amministrazione Barbieri spesso accusata di immobilismo. A tracciare il bilancio politico dell’anno appena chiuso e del futuro prossimo è il segretario Elena Lucchini. Lucchini partiamo proprio dal vostro sostegno a Barbieri alle ultime votazioni. Rifareste la stessa scelta? «Certo che sì. L’alternativa si chiamava PD, non potevamo di certo permettere al Governo Renzi di replicare la disastrosa politica nazionale anche nel Comune di Voghera. Immigrazione senza limiti? Ulteriori tasse? No grazie, i Vogheresi hanno già abbastanza problemi. È anche vero che gli eventi hanno voluto che non ci fosse un candidato Sindaco della Lega, in quel caso sarebbe stata tutta un’altra storia, perché sappiamo bene quanto siano efficienti le amministrazioni a guida leghista. Qualcosa ora però sta cambiando, lo si percepisce, i cittadini chiedono un cambiamento». Oggi siete tornati forza di opposizione. Considerando il margine risicato con cui Barbieri si è imposto immaginiamo abbiate pensato a quanto decisivo sia stato il vostro sostegno nella sua rielezione. Come mai non avete cercato di ottenere un posto “al sole” in amministrazione? «La Lega è stata determinante, è sotto gli occhi di tutti e aggiungerei anche che ha evitato il peggio. Non siamo soliti mercanteggiare posizioni, poltrone e nemmeno sgabelli, la nostra politica si basa sulla condivisione di programmi e se tali programmi vengono disattesi, e questo è il caso, non si può neanche pensare di entrare in maggioranza e amministrare insieme. Il Consiglio Direttivo della Lega Vogherese ha deciso in piena autonomia e all’unanimità di appoggiare esternamente Barbieri sulla base di punti programmatici. Abbiamo comunicato in un secondo momento la nostra decisione alla Segreteria provinciale che ha dato pieno sostegno». Un sostegno vincolato ai programmi. In soldoni, all’applicazione del cosiddetto “Modello Voghera”. Un tema sul quale non sono arrivate le decisioni che vi sareste aspettati. è questa una delle cause della frattura? «Il “Modello Voghera” è uno dei punti programmatici del nostro appoggio esterno a Carlo Barbieri. La sua applicazione è stata promessa dallo stesso Sindaco in campagna elettorale. A distanza di un anno, pur trattandosi di una normativa nazionale, pur

«Il “Modello Voghera” è uno dei punti programmatici del nostro appoggio esterno a Carlo Barbieri. La sua applicazione è stata promessa dallo stesso Sindaco in campagna elettorale. A distanza di un anno, pur trattandosi di una normativa nazionale, pur avendo ricevuto le linee guida con le quali Regione Lombardia ne ha chiesto l’applicazione, il “Modello Voghera” non è stato attuato. Barbieri ha disatteso le promesse fatte nei confronti della Lega e soprattutto nei confronti degli elettori. Non ci può essere dialogo con chi non mantiene le promesse ma soprattutto con chi mette in secondo piano e penalizza i cittadini Vogheresi».

avendo ricevuto le linee guida con le quali Regione Lombardia ne ha chiesto l’applicazione, il “Modello Voghera” non è stato attuato. Barbieri ha disatteso le promesse fatte nei confronti della Lega e soprattutto nei confronti degli elettori. Non ci può essere dialogo con chi non mantiene le promesse ma soprattutto con chi mette in secondo piano e penalizza i cittadini Vogheresi». Parliamo dei rifiuti alla ex Recology. Il sindaco, ancora di più dopo il rogo di Corteolona, pare impegnato in modo deciso sullo sgombero, ma siete stati molto critici riguardo questa tema anche in passato. La sensazione è che si potesse fare di più e prima. Com’è oggi la situazione? «Dopo i numerosissimi solleciti della Lega che ha portato in ogni dove, TV, giornali e in Regione Lombardia il caso Recology, dopo mesi di immobilismo del Sindaco, a dicembre 2017 Barbieri finalmente ha firmato un’ordinanza per lo sgombero dell’area. Come Lega siamo rimasti vigili per valutare se tale provvedimento fosse solo un modo per stoppare l’ondata mediatica che aveva investito il Sindaco o se effettivamente ci

fosse la volontà di risolvere definitivamente il problema. Visto il disastro di Corteolona ci aspettiamo che questa problematica venga risolta in tempi strettissimi per evitare l’ennesimo disastro ambientale per la nostra provincia». Andiamo sulle note dolenti. Per la Lega il 2017 è stato anche l’anno del sequestro dei Conti bancari che ha interessato logicamente anche la sezione vogherese. Come si è risolta la faccenda? E’ stato per voi più un danno di immagine o anche pratico? «Il conto è stato chiuso dalla banca dopo il sequestro dei 2.715€ che avevamo faticosamente racimolato. Nulla è cambiato da allora e credo che la situazione non si sbloccherà a breve. Il danno è assolutamente pratico ma ci stiamo rimboccando le maniche grazie al supporto dei militanti della Lega che, nei momenti di difficoltà, dimostrano sempre in modo ammirevole di esserci e ti fanno sentire parte di una grande famiglia. Qualcuno di noi inoltre sta partecipando anche in solido alle spese correnti». Le voci che vedrebbero Carlo Barbieri candidato in Regione sono sempre nell’aria. Voi come valutereste questa scelta del sindaco? «Dal mio punto di vista, se dopo appena un anno di amministrazione un sindaco decidesse di lasciare il comune per altre avventure sarebbe un inganno nei confronti dei propri elettori e significherebbe non aver realmente a cuore la propria città. Tra l’altro, lo dico come battuta vista la mancata applicazione del “Modello Voghera” che penalizza i cittadini italiani, non mi sorprenderebbe se Barbieri si candidasse in una lista a sostegno del PD!». Ci dica però dove per voi l’amministrazione ha fatto bene… «Tra le cose positive c’è sicuramente l’operato dell’Assessore Carbone, persona pratica che ascolta e applica anche i consigli della minoranza. Ma non si può soprassedere su quelle negative: oltre al “Modello Voghera” mai applicato, c’è l’attività del comune inadeguata per contrastare il gioco d’azzardo lecito, il caso Gavina mal gestito che porterà alla chiusura dell’asilo e la fallimentare fiera dell’ascensione. L’auspicio è un deciso cambio di marcia per il 2018». Presente e futuro della Lega: quale sarà la vostra prima battaglia per il 2018? «Sicuramente tutto l’impegno in questa fase sarà in vista delle elezioni politiche del 4 marzo. È da tempo immemore che

raccogliamo le firme per andare subito al voto e mandare a casa una volta per tutte Renzi, Alfano, Boschi e Boldrini. Sosterremo Salvini ad ogni livello in vista di questa sfida fondamentale». Se il bilancio politico spetta alla segreteria, chi calca il “terreno di gioco” e siede in consiglio comunale, insieme a Marco Sartori e Filippo Musti, è Pierfelice Albini. Una “new entry” e allo stesso tempo un figliol prodigo del Carroccio dati i trascorsi leghisti in passato. Dopo la fine dell’esperienza con la lista civica “Voghera Lombarda” e il rientro nei ranghi della casa madre, Albini ha ripreso a tutti gli effetti il ruolo di consigliere comunale di opposizione. Da poco in maglia leghista, ha già portato avanti diverse battaglie confermandosi critico nei confronti della giunta Barbieri, che pure aveva sostenuto al ballottaggio in quanto “male minore”. «Non vuole cambiare le cose bensì mantenere lo status attuale» attacca Albini, che aggiunge alla lista dell’insoddisfazione altri temi caldi. Ludopatia, vendita delle Farmacie comunali, asilo Gavina, inquinamento e sicurezza. Partiamo proprio da qui, Albini. Sulla sicurezza voi della Lega battete da tempo e, nonostante le accuse di “immobilismo”, su questo sembrerebbe che il Comune si sia mosso: cosa ne pensa del nuovo regolamento di polizia urbana, contenente tra l’altro la norma sui Daspo? «L’applicazione del Decreto Minniti sul ‘Daspo Urbano l’avevamo già chiesta noi in data 21 settembre 2017 con un’interpellanza in consiglio comunale. Il 21 dicembre poi è stato votato a maggioranza il nuovo regolamento di Polizia Urbana con inserite le nuove disposizioni, quindi è logico che di questo provvedimento rivendichiamo la paternità. Il nuovo Regolamento prevede l’individuazione di aree sensibili, dove è previsto una serie di divieti dall’ accattonaggio, all’ubriachezza molestia,il bivacco e pernottamento, gli atti contrari al pubblico decoro, il consumo di alcolici in aree pubbliche, pena l’applicazione dell’ordine di allontanamento. Il Decreto è molto chiaro, di più non si poteva fare. Ora prima di giudicare aspettiamo i risultati dopo la sua entrata in vigore». Uno dei temi su cui avete insistito anche in passato è la ludopatia, un fenomeno che già fa numeri da record a Voghera, dove pare che un’ulteriore maxi sala da gioco si insedierà prossimamente. Cosa ne pensate? «Anche qui la nostra proposta esiste già da tempo e prevedeva di varare un’ordinanza per arginare i danni causati dal gioco d’azzardo a tutela dei cittadini, a partire dalle persone più vulnerabili come i giovani e gli anziani. Chiedevamo di introdurre nel nostro Comune limiti di orario per l’attività di sale gioco e scommesse con una particolare attenzione agli orari di entrata e


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uscita dalle scuole. In questo modo le sale gioco non potranno più restare aperte e le macchinette non potranno più restare accese 24 ore su 24, ma solo dalle 09.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 21.00. In questo caso resta l’immobilismo del Comune, che a parole dice di voler contrastare il fenomeno, però nei fatti non ha assunto questo provvedimento che già esiste nelle importanti città limitrofe, persino a Pavia che è a guida PD». Da quando è rientrato nella Lega, una delle sue battaglie da consigliere è stata per il mantenimento dell’asilo Gavina. Qual è la situazione attuale e quali sono le prospettive? «Purtroppo sull’asilo nido Gavina non ci sono buone prospettive nel breve, dal momento che da oltre quindici anni non vengono più assunte educatrici. Attualmente le educatrici impegnate negli asili sono: sei più una cuoca al Gavina e otto più una

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cuoca a Pombio. E in futuro andranno in pensione tre educatrici nel 2018, una educatrice e una cuoca nel 2019, due educatrici nel 2020 e due educatrici nel 2021. Se non si invertirà la tendenza già nel 2018 assumendo personale per gli asili nidi, nell’anno 2021/2022 saranno in organico solo sei educatrici e una cuoca. Quindi è inevitabile la sua chiusura». Cosa vi aspettate che faccia il Comune? «Quello che chiediamo noi come Lega Nord è che non venga venduto l’immobile dell’asilo Gavina. Perché la nostra volontà è di riaprire il Gavina e dare più servizio pubblico ai genitori della nostra città. Ci tengo inoltre a ricordare che Regione Lombardia con il sostegno “Nidi Gratis” integra le agevolazioni tariffarie già previste dai Comuni azzerando le rette dovute dalle famiglie in possesso dei requisiti, solo negli asili pubblici. Il fatto che si sostituisca la sua gestione con dei privati non Pierfelice Albini, consigliere di “Voghera Lombarda”

Elena Lucchini, segretario Lega Nord dal 2016

andrebbe ad aiutare economicamente le famiglie vogheresi». Insieme al vostro capogruppo Marco Sartori avete presentato anche un’interpellanza contro la vendita delle tre farmacie comunali. Può spiegarci le vostre motivazioni? «Sulle farmacie Comunali abbiamo evidenziato la volontà della Lega Nord di non metterle in vendita per fare “cassa”. Abbiamo anche sollecitato l’amministrazione ad impegnarsi per trovare nuove soluzioni di collocamento per le Comunali di Via Emilia e Viale della Repubblica. Attualmente da parte dell’amministrazione esiste un progetto per dare in affidamento le tre Farmacie Comunali ad ASM Voghera. Noi come Lega abbiamo proposte alternative, mirate ad ottenere più margini di guadagno senza cederle e siamo pronti a discuterle». L’inquinamento è un problema serio in tutta la Provincia di Pavia, una tra quelle messe peggio in Italia. Voghera sembrerebbe però (stando almeno ai numeri) avvertire meno questo problema

rispetto ad altre città vicine. Voi che ne pensate? Credete ci sia una sufficiente sorveglianza o credete che servano altre misure? «La questione dell’inquinamento dell’aria a Voghera è ambigua, come la gestione delle Centraline di rilevamento di PM10 e Co2 in città. Mi spiego: fino a ieri vi erano due centraline, una dislocata in zona Ponte rosso e una in Via Pozzoni. Quella sul Ponte rosso in diversi occasioni dell’anno è fuori uso, mentre quella in Via Pozzoni non può essere attendibile dal momento che in quella via passano cinque macchine in tutta la giornata. Se si vogliono dati reali bisognerebbe collocare le centraline in C.so XXVII Marzo,Via Cavour, Via Garibaldi o in V.le della Repubblica. A quel punto sono convinto che sarebbe inevitabile prendere anche a Voghera dei provvedimenti per salvaguardare la salute dei nostri cittadini». Christian Draghi


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Le due donne simbolo dell’opposizione vogherese: «Non si governa con Facebook» Marco Minniti, ministro dell’interno nel governo Gentiloni dal 12 dicembre 2016, in un’intervista su Il Foglio ha dichiarato, riferendosi alla sua assenza sui social network: «…tutto questo ha contribuito a modificare l’identità di un individuo attraverso una innovazione a mio avviso pericolosa: constatare in qualsiasi momento il proprio apprezzamento. O almeno, avere l’illusione di poterlo fare. Questo processo ha costruito uno specchio deformante: perché ti induce a pensare che il consenso relativo – ovvero quello che riscuoti nella tua cerchia di amici – corrisponda al consenso assoluto…». In questo modo, prosegue Minniti, ci si costruisce «… una sorta di democrazia bonsai, dove diventa naturale relazionarsi solo con coloro che ci sono più vicini. Il cuore di una democrazia è avere rapporti con quelli che non la pensano come te…». Ultimamente siete meno presenti politicamente sui social. Credete che abbia ragione Minniti o ci sono altri motivi? Ilaria Balduzzi: «Sono d’accordo con Minniti e mi lancio anche più in là. Sono d’accordo con molte altre cose che dice e che fa. Per me sarebbe anche ipoteticamente anche un buon premier. Personalmente ho sempre preso Facebook non come un mezzo di governo, ma come mezzo di comunicazione, cosa che in campagna elettorale serve: per far passare messaggi, per far pervenire cose che si fanno o interpellanze o comunicazioni va bene (ciò, ad esempio, che fa il Movimento 5 stelle). Per far passare invece commenti negativi nei confronti di qualcuno in particolare no. La realtà è sempre diversa. Un esempio è l’ex sindaco di Stradella Pierangelo Lombardi: grande letterato, mai stato presente nei social e che gode di gran consenso fra la gente. Il fatto che io mi sia allontanata è anche per questioni di tempo, necessario sia per leggere attentamente che per rispondere: non sempre lo si ha. Non siamo in campagna elettorale in questo momento, quindi lo utilizzo per rendere note comunicazioni che si fanno in comune oppure miei post

personali: per fare gli auguri o altro…». Quindi Movimento 5 stelle e Casa Pound stanno facendo un buon uso dei social… «Movimento 5 Stelle sì… è anche questione di contenuti…». Alessandra Bazardi: «Mi piace Minniti e credo sia un potenziale leader. Amo i social e mi piace stare sui social. Pur avendo però io un ruolo politico e un lavoro di agente letterario, non ho un profilo apposito ufficiale. Uso il mio personale. Ho notato però che, ultimamente, il senso di Facebook, cioè quello di ritrovare amici persi da tempo in una realtà virtuale, si è perso e si è trasformato in una piattaforma in cui molte persone si sentono portatrici di grandi verità oltre che a trovare motivi per attaccare le persone. In molti gruppi la discussione è sterile e si trasforma in bagarre. Mi sono anche divertita sui social, basta che però non ci sia a prescindere un attacco solo nel momento in cui pubblichi qualcosa, in cui poi ci si sente sempre in dovere di rispondere e sfociare in una discussione. è bello anche commentare prendendo le cose un po’ più alla leggera, senza prendere la cosa come se Facebook fosse una testata giornalistica od un organo di partito. Non dimentichiamo anche Twitter. Io sono anche su Twitter e su molti altri social e credo che sia un buon mezzo di comunicazione. Ovviamente molti li usano, come dice Minniti, per creare un consenso personale o addirittura per godere nel numero di “like”. Qui siamo però alla degenerazione». Non la pensano tutti così però nel vostro gruppo: c’è chi è molto presente pur non avendo cariche politiche. «Su Facebook ci sono delle opinioni personali. Una persona che è simpatizzante per un partito, per un’associazione, per un movimento ha tutti i diritti di esprimere la propria opinione. Questo non significa che sia l’opinione del partito. Se parla il capogruppo, il consigliere comunale risponde a quella che può essere una linea di partito, se parla un simpatizzante è di tutto rispetto e aiuta la discussione, ma non è la voce di

partito. è solo l’opinione rispettata di un cittadino elettore». Nel PD vogherese in questo momento è tutto rose e fiori e perfezione o ci sono increspature? «Non è mai stato perfetto!». Alessandra Bazardi: «Discutiamo sempre, ma finchè c’è discussione è molto positivo. Io credo che nel circolo di Voghera ci sia stato questo merito: di aver passato quasi in modo indenne questa divisione da altri gruppi. Abbiamo avuto pochissime uscite. Pur avendo una forte componente orlandiana e renziana, le anime e sfumatore del partito sono tutte rappresentata nell’ambito del partito vogherese. Non c’è stata la minima increspatura: ci sono stati due gruppi che hanno portato avanti i due leader e poi ci sono state le primarie. La stessa cosa è successa in campagna elettorale. è stata una grossa dimostrazione di maturità perché abbiamo cercato di mantenere il gruppo al di là di quello che poteva essere l’appoggio a un leader rispetto che ad un altro. Ora siamo in un momento di stand by: ovvero ci aspettano due mesi di campagna elettorale pesante. Il circolo è stato sollecitato molto perché per due anni dal 2015 abbiamo dovuto mantenere vivo ciò che avevamo creato e non è facile dopo aver perso un’elezione perché potrebbe esserci una caduta, un disinnamoramento… invece stiamo portando avanti dei progetti». Siete iscritte tutte e due al PD? «Sì». Se non dovesse esistere il PD, a quale partito vi leghereste nello scenario attuale? Nel caso non esistesse, guardereste al passato? Ilaria Balduzzi: «Sinceramente non ci ho mai pensato. Nello scenario attuale no. Il Movimento 5 Stelle ad esempio potrebbero avere delle idee anche condivisibili per quanto mi riguarda, ma i metodi no, oltre che alla maniera. Ad esempio la cosa delle consultazioni: non si sta creando una classe politica perché penso che per candidarsi ci voglia un percorso. Io sostengo il fatto

«Io sostengo il fatto che a qualsiasi livello amministrativo si debba studiare ed imparare perché preparato non è nato nessuno.». che a qualsiasi livello amministrativo si debba studiare ed imparare perché preparato non è nato nessuno. Chi era già dentro stava imparando e facendo un percorso. Per una regola stabilita dall’alto tutto ciò si è fermato e non è stato permesso di ricandidarsi. Certo che sono d’accordo che ci debba essere del ricambio e che anche dentro al PD ci siano personaggi da ormai da troppo tempo, ma neanche andare all’estremo opposto». Alessandra Bazardi: «Io mi sono iscritta al PD perché mi piace come idea, come modo di fare». Lei era socialista, vero? «No. Mai. Ero centrosinistra. E tale sono rimasta. Anche se in questo periodo effettivamente sta vivendo un momento di crisi interna di ripensamento e di riposizionamento perché comunque il PD è perennemente in discussione: una discussione che ci ha fatto crescere comunque. Sarò antipopolare, ma io credo che il governo Renzi e ora Gentiloni di cose buone ne abbiano fatte. Il discorso è che governare un paese con grossi problemi sicuramente porta a scelte non popolari: cose ne sono state fatte e i risultati si vedranno nei prossimi anni». La stessa cosa si può dire del governo Berlusconi allora?


VOGHERA «Recentemente le promesse che fece Berlusconi sono uscite in una lunga lista pubblicata non ricordo più dove. Questo Governo ha fatto diverse riforme. Poi si può essere d’accordo o no. Hanno portato avanti battaglie come la ius soli che non è passata, però tante leggi in sospeso sono state prese in mano. Tanti Governi precedenti avevano rimandato: facciamo, tagliamo ecc. Non ricordo un governo e una legislatura in cui siano state fatte così tante cose. Dalla scuola al referendum dello scorso anno, in cui è fallito tutto perché si è puntato il dito su un uomo piuttosto che quello che poteva essere il progetto in sé. Quindi ci terremo una legge elettorale che non so se porterà alla governabilità». Le vostre previsioni sulle politiche 2018 quali sono? Ilaria Balduzzi: «Sicuramente ci sarà un risvolto a quello che sta succedendo e rispetto alla legge elettorale. C’è qualcuno che è più bravo di noi a fare le coalizioni, c’è chi si è mosso prima di noi, a partire dalla Sicilia per intenderci: di fronte a una situazione che può apparire disastrosa però, c’è anche l’ottimismo, così mi riaggancio a ciò a cui accennavo prima, della differenza che c’è fra la propaganda e il governare; per governare bisogna fare scelte impopolari o, per i vincoli che impone il governo, non poter fare tutte quelle scelte che si vorrebbero fare. Penso ad esempio ai vincoli di bilancio: ci sono per la destra e per la sinistra. Di fronte a quelli si devono spesso fare delle scelte dove spesso il limite fra destra e sinistra non c’è. Ecco perché continuo a dire che bisogna conoscere i vincoli e in base a quelli sapersi muoversi. I nostri oppositori hanno già pronte delle coalizioni, ma la loro debolezza è che manca un candidato premier». Cosa pensate della Bonino? Ilaria Balduzzi: «Sarebbe stato un peccato che per motivi esclusivamente procedurali legati a un simbolo ci fosse stato un mancato accordo. Lei aveva dichiarato di voler stare lì e così è successo. Vuole portare avanti la ius soli e quindi… benvenga». Alessandra Bazardi: «Una bella persona, una donna che è sempre stata coerente e che ha sempre portato avanti la sua idea politica. Pare che oggi si sia risolta anche la questione della coalizione per fortuna. è una donna che piace». Materialmente, a fronte delle continue critiche verso l’amministrazione vogherese attuale, cosa avreste fatto di diverso. Per la “Sensia” ad esempio? Alessandra Bazardi: «Io trovo che a Voghera manchi un’area fiere. Noi, ad esempio, facciamo da anni la Festa dell’Unità al Parco di Rivanazzano Terme perché a Voghera non abbiamo una struttura comunale ampia. Se anziché spendere soldi in strutture provvisorie, anno per anno si fossero investiti soldi in creazioni ex novo o ristrutturazioni per le fiere sarebbe ideale. Così come si è fatto per il Castello. La Sensia è la festa della città con il Luna Park e lo zucchero filato. E questo è intoccabile. Se poi però bisogna ridurla integrando balletti di ogni tipo… io avrei chiamato o un personaggio di calibro o avrei investito in altro. A Voghera va portata gente da fuori. Pensiamo solo a Matera, cosa è diventata negli ultimi anni».

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Matera è Matera però… «Sì, ma se fai un Festival letterario ad esempio, inserendo una serie di eventi in un territorio vasto come l’Oltrepò di cui Voghera è capitale…». Sono quarant’anni che si sentono queste cose. Secondo voi succederà mai? Ilaria Balduzzi: «Esattamente. Sono cose che si sentono da anni. L’obbiettivo della Sensia è che non rimanga l’occasione solo dell’Ascensione. Deve essere sistemato il discorso struttura: al posto di affittare la struttura, si potrebbero investire gli stessi soldi in un mutuo che ristrutturi un luogo dismesso ad esempio. Oggi facevo passare le determine del Comune: ancora una volta la prossima fiera non sarà organizzata internamente al Comune, ma verrà dato ad una società esterna. è uscito un bando. Anche qui si investiranno delle somme importanti per un evento che dura tre giorni. Perchè non investire invece più a lungo termine coinvolgendo anche con un ampio raggio qualcosa che sia di attrazione: che Voghera sia capitale dell’Oltrepò, ma per qualche motivo di sostanza, non solo per nome. L’Oltrepò va coinvolto tutto in questa manifestazione perché solo così credo che Voghera diventi un’attrazione per chi viene da fuori». Lo scorso anno però ci sono state polemiche sulla modalità di scelte di personaggi o aziende locali che contribuirono all’organizzazione della manifestazione. Quindi lei è favorevole al bando o no? «Le sceglierà la società quindi non cambierà molto». Sorride. «Facendo scorrere tutte le altre determine poi ci si immagina come mai la Corte de Conti ha avuto da dire su come sono stati spesi i soldi in frivolezze a Voghera. Ci sono contributi sempre alle solite Associazioni… Una somma di tanti che poi messi tutti insieme creano problemi di bilancio per poi non arrivare ad avere nulla per Capodanno». Alessandra Bazardi: «A Capodanno Voghera sembrava una città evacuata. Se avessero fatto qualcosa in Piazza, magari qualcuno sarebbe andato. è vero che il vogherese tende ad uscire dalla città, ma questo è un altro discorso». Dove vivete? Fate la differenziata? Ilaria Balduzzi: «Io sono nata e cresciuta a Voghera, ma vivo a Retorbido per scelta perché è stato l’unico Comune che all’epoca mi permetteva burocraticamente di poter costruire la mia casa in legno. A Retorbido non c’è la raccolta differenziata, ma la faccio lo stesso e metto l’umido nel composter». Alessandra Bazardi: «Io in pieno centro. Sono vicina di Giovanni Alpeggiani. E non solo…». Sorride. «Faccio la differenziata e sono molto precisa. Gli operatori sono molto precisi. Le persone spesso invece incivili». Comprate e mangiate a Voghera? Cosa manca a Voghera? «Compriamo e mangiamo anche se sulla seconda ci viene da dire “dove?”. A parte qualche realtà, mancano i locali e persiste quella famosa mentalità vogherese di andare fuori città. Ci sono locali a Stradella pieni di Vogheresi». Primi giorni di saldi. Che a lei Balduzzi piaccia la moda si intuisce, tant’è che è stata nominata “la comunista con la

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Alessandra Bazardi segretario PD e Ilaria Balduzzi consigliere di minoranza del PD

Hermes”… Ilaria Balduzzi: «Ah vero… devo andare a fare un giro! Sì, “H” di Hermes, ma anche “H” di H&M. Nel senso che mi piace tutto. Mi piace la moda». Alessandra Bazardi: «Io oggi mi trattengo. Però ho sempre comprato sia firme che grande distribuzione. Il saldo si onora sempre: sbrighiamoci Ilaria!». Se doveste aprire un’attività a Voghera, cosa scegliereste e dove? Cosa mi dite di questa colpa data ai centri commerciali riguardo al calo del commercio vogherese? Ilaria Balduzzi: «C’è da dire una cosa: noi abbiamo certi marchi nei centri commerciali. Le grandi città li hanno in città. Averli in città aiuterebbe ad attirare chi vuole spendere meno in città e comunque a portare gente lontano dai centri commerciali. Ne trarrebbero beneficio anche i negozi storici vogheresi. Cosa aprirei? è da quando sono ragazzina che sogno un centro con estetista, parrucchiere, area benessere e ogni cosa riguardi la cura del corpo, palestra compresa». Alessandra Bazardi: «Quando a Voghera c’era qualche negozio di quelli che vediamo ora nei centri commerciali, in centro c’era più gente. Non dimentichiamo anche il problema di affitti alti. Molti negozi chiudono, ma altri anche si spostano spesso proprio per questioni di costi. Io invece aprirei un negozio di telefonia.

Vado in paranoia quando si rompe il telefono. No scherzo… Forse aprirei un’attività di servizi e organizzazione eventi per il cittadino. Manca il tempo a molti e questo potrebbe essere di aiuto. Io nasco nel mondo della comunicazione. Sono stata un direttore editoriale, ma svolgevo anche funzioni negli eventi e nell’ufficio stampa. Mi piace tutto ciò». Sensia 2018: evento con palco in piazza Duomo. Gara di cucina di specialità tipiche dell’Oltrepò. Giuria: i cittadini vogheresi. Chi mettereste sul palco a cucinare fra i politici locali? Uno dell’opposizione e uno della vostra coalizione. Cosa fareste cucinare? Ilaria Balduzzi: «Farei cucinare due uomini. A casa mia ha sempre cucinato mio padre per tempo e piacere. Claudio Zuffi contro Torriani. Piatto? La zuppa dolce di Voghera, specialità Vellini». Alessandra Bazardi: «Io punterei su due donne: la Virgilio e la Balduzzi. Piatto: il risotto coi peperoni. Vedo bene la Balduzzi perché è stata una delle poche che ha messo in atto “Lâ sénâ di sèt sén” del libro di Angelo Vicini». Se doveste fare un augurio di Buon Anno in particolare a un politico dell’opposizione, a chi li fareste. «Al sindaco Carlo Barbieri perché crediamo che ne avrà bisogno». Alessandra Zonca


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«Sarei disposto ad una nuova candidatura a patto di trovare interlocutori moderati» Il 2018 per l’ex sindaco Aurelio Torriani si apre all’insegna della polemica. Sebbene sia stato uno degli esponenti di punta del centrodestra vogherese, la sua posizione di aperto contrasto con l’amministrazione Barbieri lo ha portato a sedere in consiglio comunale tra i banchi dell’opposizione, rappresentante della Lista che porta il suo nome. Il suo ultimo attacco riguarda i bilanci di Palazzo Gounela, finiti nel mirino della Corte dei Conti che ha chiesto al Comune di riequilibrali, in pratica, di circa due milioni e mezzo di euro nei prossimi anni. «Una cifra pesantissima per una realtà medio piccola come Voghera, segno che ci sono state carenze di gestione pesanti». Torriani, che idea si è fatto di questa cifra? Si è parlato di “spese pazze” o comunque per il superfluo… «Non è necessario che mi faccia un’idea. è evidente che le cosiddette “spese pazze” erano necessarie per ottenere un consenso traballante, mentre per la cifra mi attengo alle delibere dell’organo preposto cioè alla Corte dei Conti».

Aurelio Torriani Barbieri in realtà ha negato si trattasse di spese per il superfluo, spiegando che si tratta di un calcolo fatto sui crediti che il Comune vanta in giro: si tratterebbe cioè dei soldi che ancora non si sono incassato per multe e tasse non pagate in giro...

«Questa spiegazione conferma carenze nella gestione complessiva oltre che un disinteresse forse particolare verso un progetto di equilibrio finanziario che si raggiunge attraverso la capacità e volontà di mantenere un flusso costante di entrate». Nei suoi dieci anni da sindaco non è mai capitato che la Corte dei Conti “mettesse il becco” nelle finanze del Palazzo? «Certamente, ma il responso finale fu sempre di equilibrio nei conti del Comune, cioè nessuna spesa pazza». Rinegoziazione mutui con la cassa depositi e prestiti, tagli qua e là, lo sblocco del tesoretto da 800mila euro. Lei crede che sarà possibile evitare aumenti alle tasse? «Me lo auguro per tutti i cittadini Vogheresi, me compreso, ma dubito fortemente sia possibile». Il 2017 che si è appena chiuso è stato per lei e la sua lista un anno positivo o negativo? «è stato un anno positivo perchè abbiamo tenuto alta l’attenzione su questioni rilevanti per la Città, cercando di pungolare l’amministrazione con interpellanze mirate, dal momento che non è più possibile, grazie al voto in Consiglio di tutta la Maggioranza, trasmettere mediaticamente le sedute del Consiglio stesso e quindi informare adeguatamente la cittadinanza». Un anno fa assisteva da spettatore al ballottaggio bis Barbieri-Ghezzi. Ci dice, alla fine, per chi ha votato? «Com’è noto abbiamo lasciato libertà di coscienza ai nostri elettori anche se, dal momento che rappresentavamo oltre 6000 elettori vogheresi ci saremmo aspettati un apparentamento che avrebbe veramente riunito tutto il Centrodestra. Solo allora avremmo potuto votare compatti per Barbieri». Ha sempre affermato che quel ballottaggio non ci sarebbe neppure dovuto essere perché il vero vincitore delle elezioni 2015 sarebbe stato lei… Non ha mai davvero accettato il fatto di aver perso la sfida per soli 11 voti. è sempre convinto che ci siano state delle irregolarità in

quelle elezioni? Se sì su quali basi lo afferma? «Confermo che non l’ho mai accettato. Il divario di 11 voti era inficiato da troppe irregolarità, che avevamo anche denunciato per tempo, fuori e dentro i seggi e per me questa amministrazione è irregolare. Fotografie ai seggi, voci su pacchetti di voti in vendita, risultati abnormi su alcuni seggi dove la mia lista civica era scoperta di rappresentanti di lista… Voghera, ne resto convinto, aveva scelto ben altro». Concorderà però che tra le note positive non si può non inserire il recupero del Teatro Sociale, che era stato un cavallo di battaglia delle sue campagne elettorali. Le brucia che sarà (probabilmente) Barbieri a mettersi il lustrino della riapertura sulla giacca? «Se il Teatro verrà consegnato alla Città, sarò il primo a gioirne, anche perchè il recupero del teatro faceva

«Confermo che non l’ho mai accettato. Il divario di 11 voti era inficiato da troppe irregolarità, che avevamo anche denunciato per tempo, fuori e dentro i seggi, e per me questa amministrazione è irregolare… Voghera, ne resto convinto, aveva scelto ben altro».

parte del grande progetto che ha caratterizzato i miei mandati denominato Asse Culturale Attrezzato con la partecipazione del Ministero Beni Culturali, Regione Lombardia, Provincia di Pavia, Università di Pavia, Fondazione Cariplo oltre che naturalmente Comune di Voghera. Con l’investimento di oltre 11 milioni, il progetto prevedeva molte cose. Quelle che ho portato a termine io sono il recupero e la riqualificazione del centro storico della città attraverso il recupero del Castello, via Cavour, la messa in sicurezza Campanile del Duom e via Emilia. Dulcis in fundo, ci sarebbe stato il recupero del Teatro Sociale, messo in sicurezza e finanziato fino al progetto definitivo e oggi previsto al ribasso. I rilievi della Corte dei Conti dimostrano che le risorse economiche al netto delle cosiddette “spese pazze” c’erano e avrebbero potuto essere impiegate prima nel recupero del Teatro Sociale (investimento non superfluo) senza rinunciare al parcheggio

dell’Esselunga, un patrimonio strategico che garantiva un’entrata sicura di circa 100.000 euro annui per moltissimi anni, tra l’altro creando fastidi ai Vogheresi clienti di Esselunga». Una volta riaperto come affronterebbe il nodo della gestione? «Con la costituzione di una Fondazione Teatro e la partecipazione dei privati senza la trasformazione del medesimo in un poltronificio politico». Si candiderebbe ancora per governare la città? Se sì con quale forza politica? «Il mio futuro politico è sempre rivolto agli interessi della nostra città, che vedo purtroppo in declino. Sarei disposto ad una nuova candidatura a patto di trovare interlocutori moderati con l’obiettivo del rilancio della città attraverso confronti di buona politica e non solo attraverso il perseguimento ed il mantenimento del potere personale». Christian Draghi


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C’era una volta il pendolino... Affronti parla di un possibile nuovo collegamento Paolo Affronti è un politico conosciuto per aver bisogno di presentazione. Già sindaco della città di Voghera. Parlamentare nella XV legislatura, è presente a Roma ormai da molti anni ove oggi si occupa, per una importante Associazione, di ufficio stampa e relazioni istituzionali. è sempre comunque uno dei punti di riferimento per il nostro territorio. Oggi esponente di spicco dell’UDC e vice segretario regionale. Con lui abbiamo discusso più che dei temi della politica locale spesso inflazionati e ripetitivi con i soliti interventi, su un tema caro a molti vogheresi. La nostra storia potrebbe cominciare così: ...C’era una volta il pendolino, ovvero, il collegamento ferroviario veloce con Roma, se vogliamo, antesignano della Freccia Rossa, oggi di grande attualità e molto utilizzata sulla tratta Milano-Roma e non solo. Siamo negli anni ’90 e l’interessamento del politico di riferimento del territorio contava molto al punto tale che alla realizzazione veniva spesso affibbiato il nome di chi la aveva ottenuta. Ad Affronti riconoscono tutti il merito della significativa fermata alla stazione di Voghera del treno veloce “pendolino” che collegava direttamente Voghera con Bologna Firenze e Roma in un tempo di 4 ore e 15 minuti, nel percorso più lungo. Ci racconti un po’ come fosse stato possibile allora ottenere dalle Ferrovie dello

Stato il collegamento veloce con Roma «Dico subito che il mio interessamento (un po’ come per l’organizzazione e la disputa del titolo mondiale di pugilato a Voghera, dove Parisi venne incoronato nel settembre ’92 campione mondiale dei pesi leggeri) nasce da lamentale ricevute dal sottoscritto, allora sindaco di Voghera. Nel caso specifico, siamo nel ’92. Leggo sul quotidiano locale le lamentele per la soppressione della fermata a Voghera di un intercity che collegava Milano alla Riviera Ligure. Si accusava in quella lettera l’amministrazione comunale di inerzia. Punto sul vivo, telefonai subito all’assistente dell’allora Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato, l’Avvocato Necci, persona di mia conoscenza e dissi del torto fatto alla mia città. Mi rispose: “Per questo, oggi non è possibile rimediare, ma cercheremo di riconoscere un ruolo importante a Voghera.” Concluse: “Ci lavoriamo”. Pochi giorni dopo mi presentai a Roma alla direzione generale delle Ferrovie dello Stato in piazza della Croce Rossa, dove fui ricevuto. Feci presente che a Voghera “città dei ferrovieri” un ruolo importante comunque competeva. Ben presto, grazie ai buoni uffici dell’autorevole assistente dell’Avvocato Necci, ma soprattutto in base alle motivazioni addotte, a dicembre nel nuovo orario ferroviario veniva riconosciuto a Voghera, con la fermata del pendolino Torino-Roma, un ruolo davvero

Paolo Affronti, vice segretario regionale UDC

importante. Il treno veloce fermava ad Asti, Alessandria, Voghera, Piacenza, Bologna, Firenze e Roma. In poco più di 4 ore, si raggiungeva comodamente la capitale». Nel 2006 però il treno venne soppresso. Perché? «Nel 2006, il pendolino Torino-Roma, cambiava tragitto e passava per Genova. Il collegamento

«Devo dire che le prospettive oggi sono più modeste. Sollecitato da molti vogheresi e da amministratori UDC, sto lavorando personalmente in modo attivo».

con Voghera venne quindi soppresso perché diverso era il tragitto. Si accoglieva così una richiesta del Presidente della Regione Liguria, già Ministro dei Trasporti». Quale è stata la sua reazione? «Raccolsi la protesta di tutti i presidenti delle varie provincie Torino, Asti, Alessandria, Pavia e Piacenza, ed il loro invito a ripristinare il collegamento, mentre nell’aula parlamentare una mia interrogazione ed un intervento particolarmente pesante sull’argomento (per la mancata informazione sulla soppressione) venne trasmesso nel question time in diretta televisiva. Dopo non molto, Trenitalia accolse le nostre richieste e con il nuovo orario, il pendolino ritornò nel vecchio percorso e la fermata venne ripristinata Nel 2010 però dopo un grande convegno sul trasporto ferroviario, tenutosi a Voghera (ironia della sorte …), il pendolino venne soppresso ed il collegamento Torino-Roma passò per Milano, targato “Frecciarossa”. Una vera doccia fredda per i vogheresi». Sono stati fatti tentativi pe ripristinare il collegamento veloce con Roma? «Malgrado non fossi più deputato, vari sono stati i tentativi ma le Ferrovie dello Stato, hanno addotto motivi tecnici, scarsità di convogli e la motivazione di un traffico passeggeri ritenuto insufficiente». E oggi quali sono le prospettive? «Devo dire che le prospettive oggi sono più modeste. Sollecitato da molti vogheresi e da amministratori UDC, sto lavorando personalmente in modo attivo. Ho già incontrato un sottosegretario ed il Presidente

della Commissione Trasporti del senato della Repubblica, Senatore Altero Matteoli, purtroppo tragicamente scomparso qualche giorno dopo, ed un Consigliere d’amministrazione di Trenitalia per assicurare a Voghera, la fermata della freccia bianca Milano, Pavia, Genova, Roma che in 6 ore assicurerebbe un collegamento diretto Voghera-Roma, con fermate intermedie a Genova, Rapallo, La Spezia, Viareggio, Pisa, Livorno, Grosseto e Roma, in partenza da Milano alla 13.35 e arrivo a Roma alle 20.03 (FB 8619) e da Roma alle 13.57 con arrivo a Milano alle 20.25 Freccia Bianca 8620. Possibilità concrete esistono. Auguriamocelo, noi ci lavoriamo!». Una malignità: qualcuno allora diceva che il pendolino era da lei molto utilizzato... «Guardi, l’ho preso poche volte, più per appagare la soddisfazione di un successo, che per esigenza personale. Da anni viaggio sistematicamente in aereo con partenza ed arrivo a Genova, così facendo in poco più di tre ore copro la distanza VogheraGenova; comunque come vede, non ho perso motivazioni per portare avanti le esigenze di un territorio. Un territorio che è molto più vasto di Voghera e Valle Staffora perché comprende anche Tortona, la Val Curone ed il suo hinterland e ritengo queste buone ragioni per assicurare un collegamento veloce (si fa per dire rispetto a prima) ma soprattutto diretto con la capitale». Vittoria Pacci



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Lauria: «I ragazzi hanno iniziato a frequentare sempre meno Via Emilia»

Michele Lauria, funzionario dell’Agenzia delle Entrate e vogherese doc, ha avuto l’idea di creare nel 2014 un gruppo Facebook denominato “Chi faceva le vasche in via Emilia” che conta, ad oggi, circa 1.400 iscritti. L’abbiamo incontrato per sapere qualcosa in più su questa consuetudine tipicamente vogherese degli anni passati. Lauria come è nata l’idea di fondare il gruppo “Chi faceva le vasche in via Emilia”? «Ho sempre avuto un ricordo bellissimo di Voghera durante gli anni della mia adolescenza, una Voghera piena di giovani, viva molto diversa dalla città attuale. Erano gli anni ’70 , io frequentavo la scuola superiore e Via Emilia era il punto di ritrovo per noi giovani nel tardo pomeriggio. Negli anni poi prima mio padre, colonnello della locale caserma di cavalleria, e in seguito io, abbiamo raccolto tantissime fotografie e cartoline della città. Un giorno, era il 2014 , ho pensato di creare questo gruppo chiamandolo “Chi faceva le vasche in via Emilia” e iniziare a postare delle foto di Voghera com’era». Che cos’erano queste vasche in via Emilia? «C’era un tratto della via principale di Voghera che al pomeriggio veniva chiuso al traffico e andava da via San Lorenzo a Via Depretis e lì, dalle 17.00 alle 19.30 si riversavano tutti i giovani della città. In via Emilia c’erano tantissimi negozi di ogni tipologia, anche negozi di alimentari oltre naturalmente ai bar. I ragazzi e le ragazze passeggiavano avanti e indietro e da li è nata l’espressione “andiamo a fare la vasca” ispirandosi sicuramente alla piscina in cui si nuota facendo le vasche». C’erano dei punti di ritrovo fissi delle varie compagnie? Non dimentichiamo

che in quegli anni non esistevano i cellulari, c’erano ancora le cabine telefoniche a gettoni e non tutti avevano il telefono in casa. «Certamente. Ci si ritrovava davanti all’Albergo Italia, al bar Italia, alla banca del Credito Italiano e alla prima pizzeria d’asporto dell’epoca, la pizzeria e rosticceria Bosini che vendeva la pizza al trancio ed era molto frequentata dai giovani che non erano soliti sedersi al bar ma prendevano un pezzo di pizza e una bibita e passeggiavano su e giù. L’ora di massima affluenza era verso le 18.00, la via era pienissima, a volte si faticava a passare, sia d’estate che in inverno. In quel luogo e a quell’ora i giovani socializzavano, prendevano accordi per organizzare le serate e il fine settimana, nascevano amicizie e relazioni. La vasca in via Emilia era una consuetudine irrinunciabile».

“La Vasca” in Via Emilia, oggi Quando ha cominciato a non essere più in voga la vasca in via Emilia? «Verso la fine degli anni ’80 c’era ancora un bel movimento .Poi alcuni locali storici hanno chiuso, negli anni ’90 c’è stato l’avvento dei cellulari e i ragazzi hanno inizia-

to a frequentare sempre meno via Emilia. Con l’introduzione di internet poi i giovani preferiscono rimanere in casa e non si relazionano più per le vie del centro. Anche perché sono nati i primi centri commerciali e i negozi in via Emilia hanno cominciato a chiudere. Ora sono sempre meno e anche le persone adulte frequentano poco la via, anzi a volte è semideserta». Quindi nel 2014 ha pensato di fornire una memoria storica di Voghera fondando il gruppo. Ha avuto subito successo? «Un successo inaspettato. In breve abbiamo raggiunto le mille iscrizioni. Ci sono iscritti anche risedenti all’estero, oltre che vogheresi che si sono trasferiti e che mi mandano anche fotografie o cartoline che poi pubblico. Dagli scorci d’epoca delle varie zone della città si può vedere proprio la trasformazione urbana che Voghera ha avuto nel tempo, si fanno riferimenti anche a personaggi storici. Ho postato dal 2014 circa 600 foto d’epoca. Spesso pubblico anche fotografie recenti proprio per sottolineare i cambiamenti. Attualmente abbiamo raggiunto circa i 1.400 iscritti». Nel 2016 lei ha avuto l’idea del calendario. Di che cosa si tratta? «Ho ideato il calendario di “chi faceva le vasche in via Emilia” e l’ho prodotto con la consulenza grafica di mia figlia Francesca. Per ogni mese ho inserito una fotografia della città, anche fotografie risalenti ai primi del ‘900 e l’operazione ha avuto successo tanto che siamo alla terza edizione quest’anno. Il calendario è in distribuzione presso alcuni negozianti della città. Quest’anno ho fornito anche alcune fotografie per una mostra sui campanili di Voghera curata da Silvia Coppola». Qualcuno potrebbe obiettare che le per-

«La Vasca in Via Emilia era una consuetudine irrinunciabile. Il problema è che sono nati troppi centri commerciali che diventano centro di aggregazione e svuotano la città»..

sone si crogiolano nel ricordo dei tempi passati e non vedono nulla di positivo nel momento attuale. Lei cosa ne pensa? «Voghera a mio avviso negli ultimi anni non sta vivendo un momento positivo, non so se dipende dall’amministrazione attuale e non so neanche se qualcosa potrebbe cambiare con un’amministrazione diversa. Il problema è che sono nati troppi centri commerciali che diventano centro di aggregazione e svuotano la città, gli affitti dei negozi in centro sono troppo alti e i commercianti sono disperati, non c’è più un controllo da parte della polizia locale. Secondo me bisognerebbe vietare il parcheggio in una parte di piazza Duomo e farla diventare il salotto dei vogheresi, attirando gente con eventi vari. C’è poi paura a camminare per le strade del centro perché non ci sono controlli per evitare gli scippi e l’accattonaggio, la gente non si sente sicura». Gabriella Draghi


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Parco giochi inclusivo in Viale Carl Marx: «Commissionate attrezzature per 70 mila euro» Dal 2004 fanno sorridere i bambini in ospedale, aiutano i malati di Alzheimer con la musicoterapia, offrono un servizio preziosissimo nelle case di riposo e nei reparti dell’Oltrepò. Sono i volontari della onlus vogherese “Clown di Corsia”, che oltre ai numerosi impegni quotidiani stanno anche lavorando a un progetto per la costruzione di un parco giochi inclusivo, che dia la possibilità a bimbi disabili e bimbi normodotati di giocare insieme, abbattendo le barriere della diversità. Ne parliamo con Chiara Calzolai membro del direttivo Chiara, cominciamo dall’inizio: come è nata l’associazione? «L’associazione è nata qui a Voghera quattordici anni fa come parte di Auser. L’iniziativa la presero due clown vogheresi che dopo qualche anno di militanza nell’associazione di Pavia per motivi di comodità (ma anche per colmare un vuoto, visto che in zona non c’erano altri gruppi di questo tipo) hanno deciso di spostare l’attività più vicino a casa. Abbiamo cominciato in una ventina e oggi siamo cinquanta, ci siamo staccati da Auser (per una mera questione di praticità gestionale) e ogni mese facciamo 15-20 servizi in buona parte dell’Oltrepò, portando allegria e risate laddove ce n’è più bisogno». A proposito: dove operate? «Per quanto riguarda la clownterapia lavoriamo all’ospedale di Voghera in Pediatria e in Ginecologia-Ostetricia, poi ci spostiamo in diverse case di riposo: Cervesina, Borgopriolo, Rivanazzano, Retorbido e Voghera. Qui, alla Pezzani, portiamo avanti ogni martedì mattina un progetto di musicoterapia diretto in particolare ai malati di Alzheimer». Come funziona? «Di solito nelle case di riposo c’è sempre

un momento durante la settimana in cui si canta e si balla, ma mentre un numero vario di stimoli musicali è piacevole per il degente sano, per i malati di Alzheimer può risultare caotico. Per questo la musicoterapia agisce in maniera un po’ diversa, proponendo un numero limitato di canzoni che servono proprio come un esercizio per allenare la memoria. I risultati stiamo cominciando a vederli, il più immediato è che la risposta dei pazienti è molto positiva, hanno voglia di prendere parte all’attività e questo è già un primo successo». Dell’associazione fanno parte universitari e pensionati, uomini e donne. Cosa li accomuna? «Innanzitutto la curiosità. Tutti quelli che si iscrivono ai nostri corsi per diventare clown di corsia lo fanno perché sono curiosi di sapere come lavora questa figura,

fare il clown di corsia è una persona timida, apparentemente introversa. Indossando il camice si può recitare una parte, si può lasciare a casa la propria timidezza e divertirsi con gli altri». Come associazione state lavorando anche a un bellissimo progetto. Di che si tratta? «Si tratta della realizzazione in viale Carl Marx di un parco giochi inclusivo, vale a dire dotato di giostre che possono essere facilmente utilizzate anche dai bambini disabili, i quali si troverebbero così a giocare insieme ai bambini normodotati. In zona non ce n’è nemmeno uno, e così ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo deciso di realizzarlo noi. La cifra che serve è importante ma siamo già a buon punto: il comune si è reso disponibile per la costruzione della pavimentazione e dei bagni, mentre

I volontari dell’associazione “Clown di Corsia” come si relaziona con i pazienti, come entra in contatto con le persone. Sicuramente influisce la voglia di fare qualcosa di bello per gli altri, ma quello che abbiamo notato negli anni è anche che spesso chi decide di

noi provvederemo alle giostrine. Abbiamo già commissionato attrezzature per circa settantamila euro, e speriamo vivamente di inaugurare entro l’estate». Come si fa ad aiutarvi?

Clown di Corsia: «Abbiamo cominciato in una ventina e oggi siamo cinquanta, ci siamo staccati da Auser (per una mera questione di praticità gestionale) e ogni mese facciamo 15-20 servizi in buona parte dell’Oltrepò, portando allegria e risate laddove ce n’è più bisogno». «Innanzitutto si può donare il 5 per mille all’associazione, e poi ci sono le donazioni libere sul nostro conto corrente o attraverso i nostri soci, e abbiamo anche realizzato delle magliette colorate che si possono acquistare con 10 euro per sostenere la nostra causa. Al momento tutto ciò che raccogliamo va dritto nelle casse del progetto per il parco giochi, dunque se la sua riuscita vi interessa, contattate la pagina Facebook “Clown di corsia Voghera Onlus”, ve ne saremo molto grati» Serena Simula


CYRANO DE BERGERAC

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Vignaioli col Rolex, in Oltrepò solo tronisti divisi e contenti

L’Oltrepò Pavese è una terra di buoni vini e belle parole, ma sotto il vestito… niente. Il Consorzio, all’interno del quale per vent’anni hanno dormito tutti, compresi i veterani che ne sono usciti con orrore per rifarsi una verginità, tenta la via della riforma dei disciplinari e della nuova tracciabilità sui vini DOC, sperando che qualcuno abbia capito che non basta “dire” ma occorre “fare”. A Broni, ironia della sorte in un bar che si chiama Indipendenza, ti spiegano che tanto il presidente Michele Rossetti non ce la farà perché non ha condiviso le scelte con gli amici del giaguaro e dunque nemmeno tanti anni di pellegrinaggio a Lourdes lo aiuteranno. Il Distretto dei “diversi” è alla finestra, convinto che il buon nome del territorio da ricostruire non sia una sfida che riguarda tutti, perché in fondo bastano un Gerry (anche senza Tom), quattro eventi, qualche foto con i VIP e i marchi aziendali in bella mostra su qualche guida per essere tronisti. Fuori, ad aspettare, ci sono l’Italia del vino e i consumatori che si augurano

di vedere un Oltrepò pronto a scegliere, con coraggio, smettendo di sopravvivere e d’ingrassare mediatori e vinificatori amici in chiaroscuro. In questa Babele a sfregarsi le mani sono tanti imbottigliatori che pagano poco per poi fare margine, in Italia e nel mondo, con le loro bottiglie riempite da chi per vuotare l’ex cantina damigianara vende a prezzi da Black Friday, anche se in Oltrepò non è nero solo il venerdì. Cronache dal Sud della Lombardia, dove si “chiagne e fotte”, dove si ragiona in dialetto e si sfoderano belle parabole che restano sempre lettera morta. Sono i vignaioli col Rolex, gli scrutatori non votanti e le eterne vittime le vere maledizioni della quarta zona di produzione italiana, sempre in cerca di capri espiatori, polemiche, polveroni, secessioni, finti messìa e scuse per rimandare le scelte decisive, per poi tentare il minuto dopo di brillare per differenza alla disperata. Troppo difficile sposare insieme un progetto. Meglio piccole stanze, piccoli tavoli e piccoli flirt. La situazione è sempre gra-

ve ma non seria, in Oltrepò, patria italiana del Pinot e dello spumante, due rarità che esistono ma non si trovano DOCG e DOC perché con l’IGT il vino si vende prima e meglio, potendone fare di più senza tanti controlli spacciati per burocrazie tignose dai maestri della distorsione della realtà, quando essa non fa loro comodo. Perché in Oltrepò, sappiatelo, non ci sono solo vigneti normali ma anche campi coltivati da E.T. con il dito luccicante che, volgendo lo sguardo al cielo di fronte a maxi rese che neanche il Viagra, anziché dire “Telefono… casa” esclama “Telefono… mediatore”. E’ una terra da studiare, in cui occorrerebbe riunire un gruppo di ricercatori dei più grandi atenei mondiali per capire come si possa non far tesoro di storia, bellezza, primati e qualità sprofondando invece in tante svendite “primo prezzo” o, novità del 2017, in etichette private al discount che trasformano anche il Metodo Classico DOCG Pinot nero in offerta volantino. Ad arricchire lo scenario, già fantascientifico, vi sono poi i nuovi leader del cantino-

ne, eletti con un consenso plebiscitario e l’aiuto di un’associazione di categoria con ambizioni riformiste fino a prova contraria, che dispensano la “manna di Natale”, cioè pagano trionfalmente le uve ai loro soci (proprietari dell’azienda) annunciando il fatto sui giornali con enfasi, come se abitualmente in Franciacorta o nel Chianti si andasse in edicola per spiegare che si pagano i fornitori o si dividono utili con i soci delle imprese. L’Oltrepò, secondo alcuni, è affetto da sindrome di Stoccolma: s’innamora del proprio carnefice. L’Oltrepò, secondo altri, è affetto da sindrome di Banconota: chi paga di più ha ragione. Meno male che a indorare la pillola c’è la Strada (sterrata) del Vino e dei Sapori, che salverà il mondo o perlomeno lo ospiterà in poche camere, stabilendo idonei turni tramite portale. Anno nuovo, vita nuova? Speriamo. Nell’attesa mi consolo con un calice di buon “Classese” di un’azienda sputafuoco fuoriuscita dal Consorzio. Tanti auguri! Cyrano de Bergerac


AR - CHI - NON - PIACE

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GENNAIO 2018

L’Epifania tutte le feste porta via... Per fortuna anche le luminarie

Da sempre le feste sono state caratterizzate dall’utilizzo di fonti di luce per rendere il senso di gioia e allegria. Prima dell’invenzione della corrente elettrica e della lampadina furono utilizzate le torce con tele catramate e successivamente dei piccoli vasi contenenti olio per lampade. Per rendere sempre più ricca la decorazione della festa venivano costruite con pali in legno ed archi le cosiddette “parature” a cui erano appesi dei bicchieri in vetro contenenti l’olio e che venivano accesi ad uno ad uno. L’uso della corrente elettrica e delle lampadine ha reso tutto più facile. Purtroppo. “Purtroppo” perché la facilitazione della messa in opera e l’industrializzazione delle luminarie, ha permesso la creazione di veri e propri “mostri” luminosi. Finchè si ammirano la Torre Eiffel o il Sydney Opera House qualsiasi gioco di luci colorate o bianche a led sarebbe comunque un’opera d’arte di luce. Il problema sorge nel piccolo, non solo privato ovviamente: ristoranti, negozi, vetrine, balconi, giardini, piazze e strade di paesi. Una discoteca. No, scusate. Un night natalizio. Partiamo dalla “gara delle luminarie” fra i privati: non sempre si capisce che l’eleganza sta anche nella sobrietà. è per questa mancanza diffusa, infatti, che cominciano a spuntare nei giardini, negli ingressi e nei balconi: renne, orsi polari, alci, pinguini. Tutti rigorosamente luminosi: led 7.000/7.500 K, ovvero di una luce così fredda da essere azzurra. Il bue? L’asinello? I Re Magi? Dove sono finiti? Nel Presepe. Verissimo. Il Presepe illuminato. Ci si aspetta allora di vedere quelle piccole lucine incandescenti che usava mia nonna: si accendevano e spegnevano lentamente e

ti davano quel senso di pace e di dolcezza. No! Siamo nel 2018 e i led hanno deciso di prendere il sopravvento anche sui componenti del mondo del Presepe: una botta di vita a cotanta tristezza. Volete mettere in dubbio come siano più belle le pecorelle che si abbeverano sul torrente lampeggiante o come sia più affascinante il tetto della capanna verde smeraldo a barre led? Giriamoci altrove allora, nella speranza che almeno sia rimasto puro il sogno dei bambini. L’attesa del dono, di Babbo Natale. Ora io pagherei oro per sapere cosa dicono le mamme ai bambini quando vedono Babbo Natale (nano) appeso a dieci balconi di fila: che sono i figli che imparano il suo lavoro? Che sono morti tutti congelati arrampicandosi come scimmie e che ogni anno ne arriva uno nuovo? Impossibile: i bimbi sanno già a due anni che Babbo Natale è in vendita nei centri commerciali e che già a Novembre quei luoghi sono una destinazione di stress elevatissimo. A Voghera “poche luminarie” dicono i cittadini e i commercianti. I più cinici direbbero “meglio niente che poco e male”. Sì perché la nostra città era spoglia e gelida con quelle stelle azzurre, ma la cosa che in primis non ha vestito a festa la città sono state le persone: assenti in un centro poco affollato se non gli ultimi giorni. Non sono le luminarie che fanno il Natale, ma le tradizioni e il senso della Festività in sé. Come addobbi abbiamo visto di peggio che a Voghera, credetemi: il pino in pieno centro in una nota località oltrepadana, illuminato così bene che sembrava investito di una colata di lava incandescente. Una cosa imbarazzante. Volete vedere invece il peggio della capitale oltrepadana? Alzate

gli occhi in uno dei palazzi della periferia, credo al terzo piano. Forse siete ancora in tempo. Vedrete quello che a mio avviso è uno degli esempi che solo una mente che funziona ad intermittenza come le luci natalizie può creare: un intero prospetto di un appartamento stipato di qualsiasi tipo di luminaria: lucine, tubi led di ogni colore,

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intermittenza da rave party, led rgb cambio colore, animali, addobbi di qualsiasi genere, Babbi, piante… tutto ciò che sia in commercio è ossessivamente esposto e disposto in questo appartamento ogni santo anno da ormai diverso tempo. Voci indiscrete dicono che all’interno sia ancora peggio. Il pugno allo stomaco è percepibile anche da centinaia di metri e forse anche a lunghe distanze se non ci fossero in mezzo alle prospettive diversi palazzi. Proviamo a pensare ai vicini e stringiamoci a loro in un forte abbraccio di solidarietà. Le gare di questo tipo lasciamole in America con il “tract housing”. In questo periodo di scempi luminosi avrà goduto di una gara non voluta quello splendido fast food che di tubi led colorati ne ha fatto addirittura una recinzione perenne durante l’anno. Ci si domanda addirittura come possa avere avuto il permesso, ma questa è un’altra storia. Alla fine si ritorna sempre al quesito che ricorre spesso in questa rubrica: dove è finito il senso estetico di questa Nazione? La semplicità, simbolo di eleganza italiana, si sta estinguendo? Perché in questo periodo dell’anno si vuole a tutti i costi ridurre le proprie città a mercati cinesi o a piccole Dubai dei poveri? Ah già è vero… non lamentiamoci. Ci pensa Civitanova Marche a ricordarci che siamo in Italia, paese cattolico, sede del Vaticano, e che alla flora attorno alla capanna di Gesù Bambino appartenevano anche le palme. Ditemi che sto sognando. Rachele Sogno


LETTERE AL DIRETTORE

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SI LAUREANO IN MEDICINA NON IN INFALLIBILITÀ Gentilissimo Direttore, nei giorni scorsi sono stato contattato telefonicamente da un conoscente che in maniera amichevole, mi ha proposto a fronte del pagamento di una quota associativa, la consulenza legale per il risarcimento danni per casi di malasanità e responsabilità medica. Ho preso tempo, perchè leggo ogni giorno sui giornali casi d’errori in campo sanitario, con richieste di contenzioso medico legale e conseguente risarcimento danni. Sono convinto, pur non essen-

do medico, che tutte queste cause legalieconomiche portano il medico a perdere, a volte, la capacità di giudizio nei confronti del paziente, giudizio che nasce dalla sua formazione, dalla sua esperienza e dai suoi studi. I medici sono essere umani come i pazienti, e, fatta eccezione per alcune situazioni di imperizia, imprudenza o negligenza, che comunque penso, siano molto poche, dove i medici, anchè loro... aimhè sbagliano... Ritengo che ottenere con la laurea e la specialità, magari studiando ed

impegnandosi per 10 anni di formazione, non dia a nessun medico la laurea dell’infallibilità. Su questo argomento, sugli errori medici, si potrebbe parlare per giorni, ma dopo aver fatto alcune riflessioni ho avuto la sensazione che la proposta che mi era stata fatta era per sfruttare questa situazione sempre crescente di contenziosi medico-legali, fatta per far fare profitti a chi me l’ha proposta. Marco Codognelli - Voghera

PROFESSORI FARE LA “SCREMATURA” NON È UN VANTO, AIUTATE I VOSTRI STUDENTI Egregio Direttore, mio figlio frequenta il primo anno di un Istituto vogherese e per ora non va per nulla bene, ha alcune materie insufficienti e presenta molte difficoltà nell’apprendere i metodi di studio, forse non ha avuto una buona preparazione nelle scuole che ha frequentato, forse ha solo dei piccoli blocchi che gli impediscono di fare quel passo in più che gli permetterebbero di allinearsi agli standard di studi, oppure nella peggiore delle ipotesi l’Istituto che frequenta è troppo difficoltoso per lui essendo poco intelligente. In questi giorni sono stato a colloquio con alcuni Professori: uno mi ha detto che a suo parere non è adatto a questa scuola ed un altro addirittura mi ha consigliato di fargli cambiare scuola. Lungi da me l’intenzione di fare la madre protettiva, perché non lo sono affatto e mio figlio lo sa bene, ma le assicuro che studia tantissimo, si alza alle 6 per recarsi a scuola e lo fa con un entusiasmo incredibile, gli piace l’Istituto, la sua classe, i suoi compagni e gli piace studiare, non posso neppure rimproverarlo perché gli ho sempre insegnato che nella vita l’importante è metterci l’impegno, che fatto questo i risultati verranno da soli. Vorrei fare un appello agli insegnanti ed al Preside dell’Istituto: aiutate questi tagazzi in difficoltà, non lasciateli soli perché a 14 anni non meritano di veder già svanire i loro sogni, noi genitori facciamo il nostro dovere vigilando che si impegnino, voi professori fate il vostro ed insegnate, se gli alunni studiano e ci mettono entusiasmo meritano di essere aiutati.

L’impressione che ho avuto è che per alcuni docenti dell’Istituto che frequenta mio figlio, fare le “scremature” sia quasi un vanto, ma una buona scuola è anche quella che forma gli alunni e non pretende o giudica solo dai risultati, molto spesso dietro ad un insuccesso iniziale si nascondono delle lacune di piccola entità e dare una sentenza negativa dopo appena alcuni mesi di scuola mi sembra alquanto prematuro. Ho parlato con mio figlio, insieme abbia-

mo raggiunto la conclusione che continuerà nel suo anno scolastico, gli ho spiegato che anche se sarà bocciato o avrà esami da sostenere (chiamarli debiti mi sembra prematuro…) sarà sempre il mio piccolo genio, perchè ha entusiasmo e si impegna e questo per me è tutto, la vita gli riserverà altre mille delusioni ma non dovrà mai perdere la stima di se stesso e la voglia di volare. Una mamma

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OLTREPO, TERRA DI CONQUISTA PER GLI ACCATTONI DI COLORE Direttore, ma quanti sono? Prima se ne poteva incontrare uno ogni tanto di fronte ai supermercati. Oggi sono dappertutto. Tutti giovani, aitanti, prestanti, con una smorfia di sofferenza sul volto e gli occhi della supplica e tutti con il cappello in mano. Girando per i supermercati dell’Oltrepò ne ho contato una cinquantina, molti li ho incontrati nelle via del centro di Voghera e Casteggio, se avessi continuato a girare per le altre cittadine dell’Oltrepò forse ne avrei trovati altri. Sono i mendicanti di colore, la nuova generazione dell’accattonaggio. Difficile non pensare ad una organizzazione, impensabile che si piazzino sempre gli stessi negli stessi posti e che siano in modo autonomo e senza collegamenti l’uno con l’altro. è vero che l’Oltrepò, grazie ad accoglienza e tolleranza, è purtroppo diventato l’Eldorado di mendicanti e accattoni, ma è altrettanto vero che, senza opportune contromisure, si trasformerà in terra di conquista e presto sarà invasione Luca Franchini - Casteggio

Lettera firmata Voghera

QUANDO QUALCUNO VIENE ARRESTATO: «FUORI IL NOME, CAZZO!» Egregio Direttore, al netto di qualunque tentazione bacchettona sempre più spesso, sui giornali, sui media e sui social, si assiste a qualcosa di veramente osceno: quando c’è un’indagine in corso e viene arrestato qualcuno, a maggior ragione se riguarda una vicenda sessuale, ma anche economica o sociale, i giornali a volte pubblicano nomi e cognomi. So che è legalmente possibile, ma ritengo che fino a quando non ci sia una sentenza, almeno di primo grado, sbattere il nome e cognome di una persona in prima pagina sia un errore. Lo ritengo un metodo di informazione che può fare piacere solo alle miriadi di guardoni soprattutto presenti nei vari social che commentano le notizie di giornali e TV. Guardoni che purtroppo sono sempre di più. Mi ha col-

pito, nei mesi scorsi, per un’indagine con arresto, ma non colpevolezza allo stato dei fatti odierno, di presunta violenza sessuale su un ragazzo minorenne da parte di un uomo di quasi 50 anni, episodio avvenuto in un piccolo paese dell’Oltrepò. I giornali locali hanno omesso di scrivere, essendoci dei minori coinvolti, i nomi. Sui social si è scatenato il putiferio: molti, troppi, volevano conoscere il nome ed il cognome. Tra i molti una persona che ho sempre ritenuto normale, che conosco, di oltre 60anni, quindi nell’età della ragione che ha scritto: «Fuori il nome. Cazzo!». In quel momento ho pensato che ho sempre ritenuto questa persona uno normale ed invece è un imbecille travestito da normale. Questa macchina del grande guardone che si abbatte e prende di mira le persone, che

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

in alcuni casi pochi o tanti non importa, dopo essere stati arrestati, sono stati assolti, ha portato, spaventati dal tam tam mediatico e dall’onda barbara di voyeurismo dei social, al suicidio o nella migliore delle ipotesi ad una vita rovinata. Ahinoi... come siamo ridotti, ci si sta trasformando tutti in risibili voyeur con la scusa dell’informazione digitale e della globalità delle valutazioni. Stiamo ritornando ai tempi del far-west, quando pistoleri e mandriani inferociti andavano nell’ufficio dello sceriffo per impiccarlo, anche senza processo. Alessandra Bonfoco Voghera

DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Colombini direttore@ilperiodiconews.it / Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale Mauro Colombini vendite@ilperiodiconews.it / 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità Via Marconi, 21 27052 Godiasco Salice Terme (PV) Tel. 0383/944916 www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto


BASTIDA PANCARANA

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«Le maggiori problematiche: alta velocità e disturbo della quiete pubblica» Renata Martinotti sindaco da soli sei mesi del Comune di Bastida Pancarana, ha già dato un’impronta chiara e netta su quello che vuol essere il suo percorso di amministratore, mettendo in campo il tridente ecologia, sicurezza e cultura, con un occhio di riguardo al dialogo tra Comune e scuola. I primi sei mesi da Sindaco come sono stati? «Sono stati sei mesi molto intensi in quanto tale carica comporta la conoscenza della macchina amministrativa comunale, un impegno costante verso le richieste della cittadinanza e la conoscenza del territorio con la creazione di sinergie con i sindaci

Renata Martinotti, eletta sindaco nel 2017

limitrofi e con le istituzioni». Lei ha dichiarato di voler far diventare Bastida Pancarana un “Comune ecologico”. Quali sono le iniziative che sta portando avanti in questa direzione? «Abbiamo organizzato con Legambiente la giornata del verde pulito il 23 settembre 2017 in occasione della quale i bambini delle scuole di Bastida Pancarana sono stati coinvolti dai volontari di Legambiente nella pulizia del parco giochi comunale; la giornata dell’albero il 22 novembre 2017 con piantumazione di un abete nel cortile delle scuole, il tutto in collaborazione con i bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria di Bastida Pancarana ed in presen-

za dei loro genitori. In questa occasione il sindaco ha ricordato quanto sia importante il rispetto del verde e della natura per combattere l’inquinamento e le patologie che ne derivano, nonché il rispetto del territorio al fine di prevenire i disastri ecologici». La sua vittoria alle passate elezioni per soli 15 voti certamente non sarà stata facile da digerire per la squadra avversaria. Come sono i rapporti con l’ex sindaco nonché con l’attuale minoranza? «Nel rapporto con la minoranza io e la mia maggioranza manteniamo sempre un atteggiamento di rispetto istituzionale, il che, non esclude il confronto anche duro e sincero, rimanendo sempre aperti ad un confronto costruttivo per il bene di Bastida Pancarana». Al suo insediamento ha trovato delle criticità che non si aspettava? «Abbiamo riscontrato che la situazione denotava una scarsa visione di prospettiva, mentre noi stiamo cercando di rilanciare il paese anche all’interno del comprensorio territoriale dell’Oltrepò. Si pensi, per esempio, allo stallo che ha seguito lo scioglimento dell’Unione dei Comuni “Terra dei Gelsi dell’Oltrepò Pavese”, senza prevedere alternative. Noi stiamo lavorando per il rilancio del nostro paese». In sei mesi di mandato certamente non è pensabile di poter mettere in atto tutto quanto “promesso” in campagna elettorale e raggiungere gli obbiettivi, ma può ritenersi soddisfatta per la realizzazione di un progetto o di iniziative che è riuscita in questi pochi mesi a realizzare? «Certamente sì. In questi primi sei mesi abbiamo realizzato il posizionamento di due attraversamenti pedonali rialzati, a scopo sperimentale, per migliorare la sicurezza viabilistica. Abbiamo provveduto alla manutenzione delle strade con la pulizia delle caditoie, la pulizia radicale del paese, la pulizia dell’acquedotto comunale, due derattizzazioni e il fissaggio permanente dei pilastrini attorno al monumento dei caduti in Piazza della Chiesa, la tinteggiatura parziale della biblioteca comunale. La sistemazione del cimitero con: posizionamento di due panchine, piantumazione di cespugli lungo il viale principale, automazione

del cancello di ingresso laterale, sistemazione decorosa della camera mortuaria e dei servizi annessi e raccolta differenziata. Manutenzione del verde con potatura delle piante del parco giochi e lungo le vie principali del paese e potatura della siepe attorno all’isola ecologica, posizionamento di manto erboso nelle aiuole antistanti l’edifico comunale e in piazza della Chiesa. Per quanto riguarda la cultura, collaborazione con l’Istituto comprensivo di Bressana Bottarone con il coinvolgimento dei bambini nelle principali festività; collaborazione con la Pro Loco per la realizzazione di eventi quali: la festa patronale, il concerto in onore di Maria Callas e il concerto di Natale; collaborazione con la Biblioteca per la visita alla mostra dei Longobardi ed organizzazione con l’associazione Artemista di uno spettacolo per i bambini in occasione del Natale. Illuminazione del paese in occasione delle festività natalizie anche con posizionamento di un grande albero sul sagrato della Chiesa; raccolta di giocattoli da destinare ai bambini meno fortunati. Sono stati avviati i lavori di realizzazione di un nuovo sistema di videosorveglianza in alcune aree sensibili di proprietà comunale. Sistemazione del defibrillatore già esistente, posizionato davanti all’edificio comunale, integrandolo con la rete 118. Sono soddisfatta per quanto siamo riusciti a realizzare ed in particolare il nostro fiore all’occhiello è il rapporto che si è instaurato tra due istituzioni importanti quali il Comune e la Scuola». Quali sono le problematiche che lamentano maggiormente i suoi cittadini e in che modo “siete corsi ai ripari”? «Le maggiori problematiche lamentate sono relative alla velocità lungo le principali vie di scorrimento del paese e il disturbo della quiete pubblica. Per il primo punto, come già precedentemente accennato, abbiamo realizzato il posizionato due attraversamenti pedonali rialzati a scopo sperimentale che saranno completati con altri 5 nel 2018. Per il secondo punto abbiamo chiesto la collaborazione della forza pubblica e stiamo potenziando questo servizio con la realizzazione di un impianto di videosorveglianza nelle aree sensibili di

Sull’amministrazione precedente: «Abbiamo riscontrato che la situazione denotava una scarsa visione di prospettiva».

proprietà comunale». Centro sportivo: la minoranza qualche mese fa è stata critica in quanto il campo da calcio non risultava essere omologato e quindi fruibile dalla squadra locale che milita ora in promozione. Situazione risolta? «La situazione è stata risolta brillantemente e con fatica da parte nostra. Vorrei precisare che il campo di calcio non risultava essere omologato da anni». Recentemente il comune di Bastida ha intrapreso una condivisione di servizi con il comune di Rivanazzano Terme, nello specifico dei due tecnici comunali che per due volte alla settimana presteranno servizio presso il suo Comune. Come mai proprio con Rivanazzano Terme? Generalmente la condivisione di servizi avviene con i comuni limitrofi e certamente Rivanazzano Terme logisticamente è piuttosto lontano da Bastida «La scelta è stata ponderata e condivisa, vista l’alta professionalità dei due tecnici». Sindaco lei ha avuto una carriera importante con ruoli di responsabilità in ambito sanitario, fare il sindaco dovrebbe essere un lavoro “all’acqua di rose”. è così? «Durante la mia carriera professionale ho coperto per 15 anni un elevato ruolo di responsabilità quale direttore del dipartimento di emergenza e accettazione (DEA) degli ospedali dell’Oltrepò. La carica di sindaco è per certi aspetti (vedi rapporti istituzionali) simile; tuttavia comporta attività ed impegno diversi». Vittoria Pacci


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MONTEBELLO DELLA BATTAGLIA

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«Le dichiarazioni fatte dal sindaco credo siano frutto di visioni oniriche»

In seguito all’intervista rilasciata dal sindaco di Montebello della Battaglia, Andrea Mariani, e pubblicata sull’ultimo numero de Il Periodico News, il capogruppo di minoranza Guglielmo Bruni, già candidato sindaco e politico locale di lungo corso, commenta le dichiarazioni del suo collega in Consiglio Comunale. Bruni, il suo sindaco definisce Montebello un paese “ricco”. È d’accordo con questa affermazione? «È difficile definire ricco Montebello, in quanto da parecchi anni negli uffici comunali ad ogni richiesta rispondono: “No, non possiamo perché non abbiamo soldi”. Si pensi che in un incidente stradale, avvenuto nel 2015 in via Don Orione, è stato abbattuto il cartellone delle affissioni ed ancora non è stato sostituito perché mancano i fondi. Le dichiarazioni fatte dal Sindaco credo siano frutto di visioni oniriche». Può essere più preciso? In che cosa Montebello non sarebbe “ricco” ma piuttosto “povero”? «Per quanto concerne il sociale si investono solo gli introiti provenienti, a tale scopo, da altri enti. Gli sportelli per IMU e TASI, così come lo Sportello Lavoro, sono a costo zero e sono stati attivati con ritardo. In campo culturale, si sostiene con somme ingenti la sola biblioteca; in compenso sono stati tolti i piccolissimi contributi a quelle associazioni che lavorano per fare conoscere il nostro paese nella sua ricchezza di storia e di bellezze naturali. La motivazione è stata che non si potevano fare sovvenzioni per mancanza di risorse…». Come commenta, invece, il programma di lavori pubblici? «Le opere pubbliche non sono state fatte e non si fanno per non accendere i mutui! Il sindaco ha citato gli investimenti per la manutenzione sul reticolo idrico minore: forse non ricorda che è costituito da Roggia dei Gamberi, Roggia Torbida, Roggia Molinara, Rio delle Rose, Rio Guarnasola e Fosso Moglie. Sono stati eseguiti interventi per una lunghezza di circa 400 metri nel tratto dal Rio delle Rose all’attraversamento della ex S.S. 10 della Roggia dei Gamberi. La zona del Fosso Moglie è completamente abbandonata e i pochi lavori sono stati eseguiti a cura e spese dei privati». E la programmazione urbanistica? «Qualche tempo fa si era previsto di fare una piccola revisione del PGT, come da diverse richieste dei cittadini, poi tutto si era arenato per mancanza di fondi. Alla faccia della ricchezza, c’è l’impossibilità di spendere “l’astronomica” cifra di circa 5.000 euro. Finalmente si procede, lentamente, al rinnovo del succitato strumento urbanistico ed alla creazione di un regolamento cimiteriale con i fondi introitati da piccoli interventi edilizi fatti dai privati». Parliamo di raccolta differenziata. Qual è la situazione a Montebello?

«Mancano i cassonetti per la raccolta delle potature e del verde, la discarica è aperta per pochissime ore settimanali e manca il servizio gratuito del trasporto dei materiali ingombranti, come nei comuni confinanti. I cassonetti interrati sono stati tolti e giacciono abbandonati in un angolo della discarica». Il cimitero e la sua gestione è stato uno dei suoi cavalli di battaglia. Trova soddisfacente la situazione attuale? «Per le festività del 1° novembre sono apparsi dei volantini in cui si chiedeva ai proprietari di contattare l’Ufficio Tecnico. Questo consigliava di effettuare interventi sulle tombe di famiglia per il decoro del luogo. Ho chiesto delucidazioni e mi è stato risposto: “Non vedi in che condizioni è il Cimitero”? Questa affermazione mi ha fatto rabbrividire: io che da anni, a mezzo manifesti e stampa, ho evidenziato lo stato pietoso in cui versa questa struttura. Ora apprendo del progetto di manutenere ed ampliare il camposanto. Speriamo si provvedano a rifare i viali interni e le tubazioni di deflusso delle acque piovane, per evitare gli allagamenti che si formano dopo ogni pioggia». Avete considerazioni in merito all’arredo urbano e alla viabilità? «L’arredo urbano è ancora in pessime condizioni. Si può constatare che molte panchine sono divelte, vedasi in piazza Ciro Barbieri. Poi la piazzetta Dante, con la pavimentazione sempre più sconnessa, la piazza e la salita alla Chiesa con nuovi cedimenti del lastricato in sasso. Il piano stradale è sconnesso in parecchie vie dell’alto paese e la segnaletica orizzontale è solo un ricordo». E il verde pubblico? «Già con le precedenti amministrazioni evidenziavo la carenza di cura del verde pubblico. Con il mio manifesto “Verde addio” avevo fatto intervenire anche una televisione locale per un servizio sullo stato d’abbandono delle piante. Devo dare atto che il dottor Mariani ha finalmente recepito le mie lamentele ed ha provveduto ad installare una bella illuminazione al monumento “Bella Italia” ed al circostante parco. Suggerisco di intervenire ancora sulla piantumazione, in quanto sono evidenti piante ormai secche e altre ormai bisognose di cure e potature». Trovare le risorse finanziare è senza dubbio il problema di ogni Amministrazione. Certo, se andasse in porto la nascita di una qualche nuova area commerciale, le casse comunali troverebbero nuovo ossigeno… «È dall’autunno del 2013 che le amministrazioni comunali di Montebello sperano in una nuova struttura commerciale, nella ex area Bellomi – Scania, per incassare gli oneri di urbanizzazione. Già nel Consiglio Comunale con cui hanno approvato il progetto ho espresso dubbi sulla struttura, ora dopo varie traversie e passaggi di proprietà sembra che la Galleria del Centro

«è difficile definire ricco Montebello in quanto da parecchi anni negli uffici comunali ad ogni richiesta rispondono: “No, non possiamo perchè non abbiamo soldi” ».

Commerciale si appresti ad investire nella costruzione di nuovi edifici. Speriamo in bene». Passiamo al tema della sicurezza. Cosa pensa dei programmi della maggioranza? «Il piano “Città sicura” mi sembra misero. Nel febbraio 2016 avevo fatto una mozione che prevedeva il servizio di videosorveglianza nel paese: regolarmente respinta. Nella discussione il Sindaco aveva espresso scarsa fiducia in sistemi con telecamere. Sollecitato più volte dalla Minoranza ad aderire ai contributi regionali erogati allo scopo, ha affermato che non vi è possibilità di ricevere i finanziamenti perché il Comune non è associato con nessuno». Bruni, la vostra lettura del paese è completamente opposta a quella che ne dà il Sindaco. Come è possibile? «Certamente non ricordiamo lontanamente una cittadina svizzera. Se vogliamo fare paragoni, ci avviciniamo meglio alla figura dei Lanzichenecchi!». Cambiando argomento, ci dica qualcosa

sono stati vietati i conguagli oltre i due anni). La lettura di questa fattura non è chiara ai cittadini. Sono state fatte rimostranze per questo motivo sia a Montebello, sia nei comuni vicini; ma le Amministrazioni dicono di non saperne nulla». Quindi a chi spetta dare risposte? «Diversi hanno provato a contattare gli uffici di Pavia Acque al fine di chiedere spiegazioni, in particolare con riferimento ad una voce denominata “Addebiti e crediti diversi”. Ma con scarsa fortuna, visto che non lo chiarivano mai. Dopo aver pestato i piedi, scritto e riscritto, il Servizio Gestioni ha spiegato che si tratta di un deposito cauzionale, stabilito, secondo loro, da un non meglio precisato provvedimento dell’Autorità competente. Ma la vicenda dei conguagli non è stata ancora chiarita adeguatamente». In quali condizioni versa l’acquedotto di Montebello? «L’impianto è vetusto, sarebbe da rifare quasi tutto. Ci sono ancora tubazioni in eternit! Non sappiamo che acqua beviamo. Le analisi non le conosciamo, ma sembrerebbe ci siano alte concentrazioni di manganese di cui si ignora la provenienza. E poi sabbia e sporcizie varie, che arrivano direttamente all’utenza». Ha segnalato anche questo a Pavia Acque? «Certamente, ho esposto che non viene adempiuto quanto previsto dall’AEEG, secondo cui, in merito potabilizzazione e adduzione, “l’acqua raccolta viene sottoposta a trattamenti specifici per assicurare i requisiti di qualità per l’uso umano previsti dalla legge”. Ho spiegato che qui non viene effettuato alcun tipo di depurazione e di filtrazione, visto che il pozzo è collegato direttamente alla rete.

Guglielmo Bruni capogruppo di minoranza della diatriba che la oppone alla società Mi hanno risposto: “Il Comune di MontePavia Acque… bello della Battaglia risulta servito da im«Pavia Acque si è comportata in modo pianto di depurazione. Le acque vengono indegno: non è stata fatta alcuna comuniraccolte e, tramite collettore intercomunacazione agli utenti al momento della sua le, confluiscono al depuratore di Castegistituzione. Si è avuta notizia, soltanto a gio”. Io parlavo dell’acquedotto e loro mi mezzo stampa, di quelli che sembravano hanno risposto sulla fognatura! Voglio creessere solo dei giochi di potere… non è dere che essendo il sottoscritto un povero stato spiegato il patto, il rapporto fra clienragazzo di campagna, non si sia espresso ti e società». in modo chiaro e convincente. Non so davAndiamo con ordine. Quando e perché vero, altrimenti, se si tratti di impreparaha preso forma la sua critica? zione o di inefficacia». «Lo scorso 8 agosto è stata recapitata una bolletta che ha conguagliato gli ultimi tre Pier Luigi Feltri anni (fra l’altro, con l’ultima Finanziaria


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«Realtà come la nostra divulgano qualità e cultura nel mondo del caffè» All’interno dell’area aeroportuale di Rivanazzano Terme esiste un’azienda specializzata nella ricerca e nella torrefazione di caffè di qualità ed all’interno della quale si svolgono corsi di barman legati alla filiera del caffè ma non solo. Una sorta di “Accademia del Caffè” situata a Rivanazzano, gestita con professionalità e tanta passione. Per capire meglio di cosa stiamo parlando è opportuna una presentazione dell’artefice di questo progetto: Andrea Lattuada, 45 anni, una laurea in architettura, vive a Rivanazzano. Andrea ci parli della sua storia e di come è nata questa passione? «Dopo aver lavorato per circa 15 anni prima come cameriere (dal 1990) nei ristoranti in provincia di Alessandria e Pavia, poi (dal 1994) come barman presso varie discoteche della zona (Chalet Castello, Club House, Rive Gauche, Cafè Latino, Delano, Golf club, it.Cafè, Casanova, XO’, Fonti di Recoaro, Le Cave) apro un disco bar a Prato nel 1999, il Tinapica. Nel frattempo frequento alcuni corsi specializzati di American Bartending presso la Planetone di Bastia Umbra (PG). Il locale

alla prima edizione del Campionato Italiano Baristi Caffetteria piazzandomi al quarto posto. Nel 2003 presso la fiera di Rimini vinco il titolo Italiano e nello stesso anno ad Aprile partecipo al World Barista Championship a Boston classificandomi nono. Quell’esperienza mi fa capire che dietro alla tazzina dell’espresso italiano c’è molto di più rispetto a quello che intendono gli italiani. Scopro il mondo degli Specialty Coffee ovvero di quelle origini di caffè pregiati e fuori dal mondo commerciale, che in Italia non si vendono in quanto troppo costosi per il nostro mercato che a malapena metabolizza il prezzo di un euro a tazzina. Dal 2004 inizio ad essere parte attiva nell’organizzazione dei Campionati Italiani Baristi presso Rimini Fiera. Proprio per incominciare a creare cultura sul mondo del caffè ed in particolare per aprire uno spiraglio al mercato degli specialty coffee, nel 2005 fondo la 9bar srl, accademia di formazione sul mondo del bar, servizi di consulenza, vendita di attrezzature e progettazione di locali». Quindi un’azienda presente da oltre 10 anni, ma non è finita qui nel 2006 arriva

la qualità del caffè «Sempre più operatori si avvicinano ed incominciano a parlare di qualità nel caffè, proponendo caffè specialty che arrivano direttamente da microlotti selezionati in origine. Tanto per fare un esempio pratico paragonato al mondo del vino l’espresso che beviamo in Italia è una bevanda ricavata da miscele di caffè commerciali di diversi paesi ma che non appartengono ad un determinato produttore ma provengono da macro aree di produzione da diversi produttori, un po’ come la cantina sociale…. Gli specialty coffee invece sono caffè di singola piantagione o microlotto, selezionati e privi di difetti primari, ma soprattutto hanno una cartà di identità definita, a partire dalla varietà, dal metodo di lavorazione, dall’altitudine, dal nome dell’azienda agricola, dal nome del produttore e vengono venduti come tali e non con nomi di fantasia (miscela rossa, blu o verde) tanto usati dalle aziende torrefattrici italiane che non danno un valore “vero” al prodotto caffè». Il 2013 segna un’ulteriore traguardo del suo progetto

Andrea Lattuada, architetto e imprenditore va molto bene ma decido di tornare a casa per completare i miei studi di architettura. Nel 2001 mi laureo continuando ad esercitare l’hobby del barman in alcune discoteche della zona. Ed è proprio in discoteca che incontro al bancone Roberto Pregel, il marketing manager della Brasilia SPA, nota azienda di Retorbido produttrice di tecnologie per caffè espresso. Quell’incontro mi cambia la vita. Incomincio a studiare il caffè da tutti i punti di vista con lo scopo di incominciare a fare formazione per conto della Brasilia ai sui clienti in tutto il mondo. Nel frattempo (maggio 2002) partecipo

un’altra svolta alla sua carriera «Sì nel 2006 divento (primo in Italia) trainer autorizzato dalla SCAE (Specialty Coffee Association of Europe) e giudice dei campionati mondiali. Mi rendo sempre più conto che il resto del mondo del caffè di qualità viaggia ad un altro ritmo rispetto a quello italiano, ma non demordo e continuo nella mia “crociata” per sensibilizzare le torrefazioni italiane e gli operatori dei bar. Nel 2009 divento il Coordinatore Nazionale della SCAE e lo resto fino al 2014. Intanto qualcosa incomincia a muoversi». La sua passione ed anche “ossessione” è

«Ecco che nel 2013 dopo vari anni di apprendimento decido di aprire con il mio socio Mariano Semino una piccola torrefazione artigianale, la Little Bean, specializzata nella tostatura di Specialty Coffee che ruotano almeno 2 volte l’anno in base alla stagionalità e alle caratteristiche sensoriali vagliate dopo attenti assaggi. Produciamo anche una linea per bar e ad oggi abbiamo clienti nell’Oltrepò (Voghera , Varzi) a Torino, Milano, Savona, Vicenza, Parma e Londra tra cui i grandi magazzini Selfridges». La sua filosofia insomma tende a ricer-

«L’espresso in Italia è una bevanda ricavata da miscele di caffè di diversi paesi da diversi produttori, un po’ come la Cantina Sociale...».

care e privilegiare la qualità «Certamente sì. Finalmente in tutta Italia incominciano a nascere realtà come la nostra che divulgano qualità e cultura nel mondo del caffè con l’obiettivo di sensibilizzare il consumatore finale ad apprezzare le infinite sfumature che può e deve avere una tazza eccellente, a patto che la materia prima utilizzata sia tale. Speriamo che capiti la stessa cosa che è successa per il vino di qualità e per le birre artigianali». Nel nostro territorio come vi collocate? «Siamo l’unica torrefazione nell’Oltrepò che produce Specialty Coffees e la nostra Accademia, la 9bar, eroga corsi specializzati su tutta la filiera del caffè rilasciando certificazioni riconosciute dalla SCA (Specialty coffee association) in tutto il mondo. I nostri clienti che si vogliono formare arrivano da tutte le parti del pianeta e noi ci spostiamo altresì in tutto il mondo per la formazione mirata alle varie esigenze». Ed anche in questo settore, i cinesi non stanno a guardare e diversamente da tanti luoghi comuni sui cinesi, puntano sulla qualità «Da quest’anno sono diventato testimonial per Luckin Coffee catena di coffee shop cinesi, con l’obbiettivo di 1000 nuove aperture fino al 2019, che vuole essere una valida alternativa al colosso americano Starbucks in territorio cinese. siamo diventati consulenti ufficiali di Rimini Fiera (IEG Group) per l’organizzazione tecnica dei Campionati Italiani Caffè e saremo presenti con il nostro stand alla fiera SIGEP dal 20 al 24 di gennaio». Gli italiani sono grandi consumatori di caffè, ma cosa bevono a livello di qualità? «Purtroppo la qualità è modesta. Non esiste ancora la cultura del caffè eccellente. Va inoltre detto che al bar il prezzo della tazzina di caffè è il quarto più basso al mondo. In Svizzera, a Parigi, a Londra il caffè costa almeno il doppio che in Italia. Come è avvenuto per il vino, abbiamo ancora tanta strada da percorrere».

Giacomo Lorenzo Botteri


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«La cura del Parco dovrebbe preoccupare anche gli operatori economici» Ad anno nuovo appena iniziato, abbiamo incontrato il nuovo, da pochi mesi, sindaco del Comune di Godiasco Salice Terme, il geometra Fabio Riva. Da anni impegnato per il suo Comune di residenza, nell’ultima tornata elettorale è riuscito ad aggiudicarsi il titolo di Primo Cittadino. Come si trova in questo ruolo, lei già impegnato da molti anni in politica ma sindaco per la prima volta? «La mia elezione a Sindaco giunge al termine di un percorso iniziato qualche anno fa che mi ha visto prima assessore e poi vice sindaco. Questo cammino mi ha sicuramente aiutato per meglio comprendere la complessa macchina comunale. Chi si candida a sindaco senza aver avuto una precedente esperienza, anche solo da consigliere comunale, fatica non poco a comprendere i meccanismi, per nulla scontati, della pubblica amministrazione». Chi fa parte della sua squadra di assessori e perché la scelta, in base a quali peculiarità dei soggetti? «Compongono la giunta comunale Luisella Piedicorcia, vice sindaco con delega al turismo, Giacomo Natino con delega ai servizi su Salice Terme, Lara Bressani con delega al sociale ed alle scuole e Luca Meisina con delega ai lavori pubblici e urbanistica. Per quanto riguarda le scelte, nulla di preordinato. Al termine delle elezioni ho incontrato tutti i ragazzi della squadra, eletti e non eletti, e con loro sono stati concordati i nomi degli Assessori, anche tenendo conto degli aspetti legislativi che impongono la presenza di persone di entrambi i sessi». Cos’ha ereditato di buono e cattivo dalla precedente amministrazione? «Nell’ultimo anno il nostro Comune è stato governato da un Commissario Prefettizio che si è giustamente preoccupato di gestire esclusivamente l’ordinaria amministrazione rimandando qualsiasi decisione politica al dopo elezioni. Ho trovato un bilancio sano e grande entusiasmo in tutti i dipendenti. Questo ci consente di lavorare bene per il nostro Comune». Durante la campagna elettorale si è spesso sentito parlare della strutturazione di una pista ciclabile che arrivi fino a Varzi. Esiste realmente questa possibilità? «Il tratto di pista ciclabile Salice TermeVarzi potrebbe presto diventare realtà. L’amministrazione provinciale ha infatti inserito, in sede di approvazione del bilancio 2017, anche grazie ad un importante contributo della Fondazione Cariplo, la realizzazione della Greenway che dalla località di Salice Terme, in territorio di Rivanazzano Terme, si estenderà fino a Varzi. Per Godiasco è decisamente molto importante e per questo motivo mi sono speso personalmente per superare tutte quelle problematiche che potrebbero ostacolare la costruzione del tracciato». Lei è milanese, da sempre a Salice Ter-

me. La zona, a livello sociale, economico e lavorativo è in grossa crisi: ha previsioni in merito, e/o possibili “soluzioni”? «Io sono Milanese solo di nascita in quanto la mia famiglia risiede a Salice Terme da generazioni. Mio padre, mio nonno e il mio bisnonno nel 1847, sono nati nel nostro Comune. Non esistono previsioni per una zona da sempre considerata economicamente depressa ma sono convinto che, con grande umiltà e voglia di fare da parte di tutti, questo territorio potrà essere fortemente valorizzato. Se è vero che in passato è stato realizzato molto poco, è anche vero che, proprio per questo motivo, il contesto in cui viviamo è rimasto bellissimo e incontaminato». Sono diverse le figure politico/amministrative oltrepadane che potrebbero essere schierate alle prossime elezioni regionali e politiche: Fabio Riva, non come Sindaco ma come elettore, si è già fatto un’idea del possibile ventaglio di “chiamate”? «Stranamente, a distanza di pochissimi giorni dalla presentazione delle candidature per le elezioni regionali e politiche, non è ancora stato palesato alcun nome. Staremo a vedere, soprattutto in ottica regionale, se i molti partiti sapranno ascoltare anche la voce di noi oltrepadani perché questa volta non accetteremo candidature calate dall’alto che non ci appartengono».

«Il comune amico Romano Ferrari è stato, a mio personale avviso, in assoluto il miglior sindaco di Rivanazzano Terme, in grado di portare il suo paese ad essere considerato un’eccellenza».

care nel complesso mondo della pubblica amministrazione. Invito chi è preposto alla scelta dei candidati a non toppare anche questa volta perché non glielo perdoneremmo». Le Terme di Salice S.p.A. hanno anticipato la chiusura, ed in zona aleggia il dubbio della non riapertura. Già da qualche anno le cose sembrano non funzionare, con alcuna gestione. Ritiene possibile che sia definitivamente calato il sipario? «Onestamente non sono in grado di rispon-

Fabio Riva, geometra salicese oggi sindaco di Godiasco Salice Terme Avrebbe quindi un “Candidato del cuore” da suggerire all’establishment centrale? «Certamente sì. Per le Regionali, nel nostro territorio sono pochissime persone in grado di ricoprire un ruolo tanto importante ma solamente una, in questo momento, sarebbe fortemente indicata e mi meraviglio che la sua candidatura non sia ancora arrivata. Per chi non lo avesse capito sto parlando di Romano Ferrari, ex sindaco e attuale vice sindaco di Rivanazzano Terme. Ha grandi capacità, forte motivazione e attaccamento al territorio, oltre ad aver già dimostrato di sapersi agilmente distri-

dere a questa domanda perché da tempo sto cercando di capire, a mia volta, quello che sarà il futuro di questa Società. Ad oggi sappiamo solamente che entro fine febbraio l’attuale proprietà dovrà passare la mano o presentare un piano di rilancio. Le ultime notizie parlavano di una riapertura dei battenti a marzo ma sono tuttora in attesa di conferme ufficiali. Non nascondo la mia preoccupazione per i molti dipendenti della società Terme di Salice e per gli operatori che da sempre vivono dell’indotto che le Terme creano». Il Parco di Salice è un polmone verde straordinario, ma ahimè, nell’ultimo de-

cennio, poco considerato e frequentato: la sua amministrazione ha nuovi progetti a riguardo? «Più che poco considerato e frequentato direi che il parco di Salice, nell’ultimo decennio, non sia stato per nulla ben tenuto. La cura del parco di Salice non dovrebbe però preoccupare solamente la società Termale o l’amministrazione comunale di Godiasco Salice Terme, ma altresì gli operatori economici locali e gli enti pubblici superiori, ai quali presto chiederemo formale aiuto. Nel frattempo ci spenderemo in ogni modo a noi possibile per meglio mantenere la pulizia e il decoro di questo straordinario polmone verde per continuare a garantire il suo utilizzo ai molti fruitori». La, chiamiamola, “rivalità bonaria” con Rivanazzano Terme da sempre, è stata molto sentita dai residenti nei due Comuni. I 10 anni del comune amico Romano Ferrari come sindaco di Rivanazzano Terme hanno portato il paese ad essere considerato, come ritengo anch’io sia, un’eccellenza. Cos’ha Rivanazzano Terme, al momento, più di Godiasco Salice Terme? Ed in caso abbia qualcosa in più, pensa di riuscire a realizzare il medesimo excursus per il Suo Comune nei prossimi anni? «Il comune amico Romano Ferrari è stato, a mio personale avviso, in assoluto il miglior sindaco di Rivanazzano Terme, in grado di portare il suo paese ad essere considerato un’eccellenza. Riconosco che in passato ci sia stata una sorta di rivalità tra i due Comuni, se pur bonaria, come dice giustamente Lei, ma non mi sento di fare paragoni. Io cercherò di fare il meglio per il mio Comune come Lui ha fatto per il suo, anche ascoltando i suoi preziosi consigli esattamente come Lui, quando ne ha avuto bisogno, ha ascoltato i miei». Tre punti chiave della sua amministrazione, le opere più importanti che desidera realizzare per i suoi concittadini entro la scadenza del suo mandato? «Ci sono tantissime cose da fare ma in modo particolare, con la mia squadra di governo, mi impegnerò a rendere sempre più sicuro e decoroso il nostro Comune. Vogliamo garantire una sicurezza a 360 gradi che significa attuare una serie di interventi ad ampio raggio. Nuove telecamere tutti gli anni a cominciare da subito (a giorni ne saranno posizionate cinque) per garantire un controllo maggiore del territorio, asfaltatura delle strade e sistemazione dei marciapiedi, miglioramento delle isole ecologiche e avvio della raccolta differenziata dei rifiuti urbani, efficientamento degli edifici pubblici e sostituzione delle armature della pubblica illuminazione con lampade a Led, creazione di una Smart City col fine di ottimizzare e innovare i pubblici servizi». Lele Baiardi


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Fondazione Varni Agnetti: piaccia o non piaccia è una “creatura” di Berogno A Godiasco Salice Terme, ci sono cose che non funzionano, altre che funzionano poco, altre che funzionano bene, la Fondazione Varni Agnetti ONLUS che si occupa dei servizi dedicati alla persona anziana, da vent’anni funziona molto bene. Elio Berogno, sindaco di Godiasco Salice Terme per “una vita” e per “una vita” ha fatto cose nel comune amministrato. Sentendo i suoi detrattori, moltissime sbagliate, sentendo i suoi fans, quasi tutte giuste, forse la verità sta nel mezzo, ma certamente su una cosa sono tutti d’accordo, la Varni Agnetti funziona bene, molto bene. Il peso politico, di Berogno, sarà forse diminuito, il passare degli anni avrà, forse, limitato la sua attività da “ras politico” della Valle Staffora, ma certamente l’impegno che profonde nella “sua” Varni Agnetti è tanto. Simpatico o antipatico Berogno possa risultare, i risultati lo premiano. Berogno la Varni Agnetti che se ne dica, è una “sua” creatura quando lei era sindaco del Comune di Godiasco Salice Terme. Com’è nata l’idea di creare una struttura di questo tipo? «Anzitutto dobbiamo riconoscenza e gratitudine alla Signora Maria Maddalena Concaro Varni in Agnetti che, dando concreta attuazione alle volontà dello Zio, Ing. Alfredo Varni e del marito, l’Avvocato Giuseppe Agnetti, già Presidente del Tribunale di Voghera, nel 1981 ci ha messo a disposizione la villa, i terreni adiacenti, un appartamento a Voghera e del denaro sul c/c Cariplo per la costruzione della Casa di Riposo per anziani a favore dei cittadini di Godiasco Salice Terme e di Montesegale (l’Ing. Varni era nato a Montesegale). Successivamente con D.G.R. n. 36366 del 20.9.88 è stato costituito un Consorzio tra i Comuni di Godiasco. Fortunago, Montesegale e Rocca Susella con lo scopo di provvedere alla realizzazione della Casa di Riposo (n,. 60 posti letto). Nel 1992 i Comuni hanno deliberato lo scioglimento del consorzio e contemporaneamente si è costituita l’I.P.A.B. (Istituto Pubblico di Beneficienza ed Assistenza) “Casa di Riposo per Anziani Varni Agnetti”, (Ente autonomo di diritto pubblico) con DGR di Regione Lombardia n. 67238 del 19 aprile 1995 ai sensi della Legge 17/7/1890 n. 6972 che ha gestito la R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistenziale) per anziani sino al 31/12/2003». Fondare una fondazione, perdoni il gioco di parole, non è cosa facile e lei ce l’ha fatta. Come ci è riuscito e grazie all’aiuto di chi? «Inizialmente, fu costituito un consorzio tra il Comune di Godiasco e quelli di Montesegale, Fortunago e Rocca Susella per la costruzione della struttura e per poter richieder i necessari finanziamenti, ricordo infatti che sono stati erogati per la realizzazione: Lire 3.960.000.000 dallo Stato, Lire 830.000.000 dalla Regione Lombardia FRISL, Lire 1.250.000.000

dalla Fondazione Cariplo, per un totale di Lire 6.040.000.000. In questo “lavoro” durato dal 1988 al 1998 ho avuto la collaborazione fattiva degli altri colleghi Sindaci Beniamino Giani (Rocca Susella) a cui è succeduto Paolo Nicolini, Pier Achille Lanfranchi (Fortunago) ed Italo Ferrari (Montesegale) cui è poi succeduto il Dott. Giovanni Ferrari. Chi ha aiutato molto, in modo determinante, ad ottenere i finanziamenti sono stati due Grandi Amici: il Sen. Dott. Giovanni Azzaretti ed il Sen Avv. Giuseppe Guzzetti. In data 1 gennaio 2004 in conseguenza dell’abrogazione della Legge 6972/1890 ed in ottemperanza alla Legge Regionale 13 febbraio 2003 n. 1 (“Riordino della disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza operanti in Lombardia”), l’I.P.A.B. “Varni Agnetti” si è trasformata in persona giuridica di diritto privato senza scopo di lucro non a partecipazione pubblica con D.G.R. di Regione Lombardia del 12/12/03 assumendo la denominazione di Fondazione “VARNI AGNETTI”. Si è optato per una Fondazione senza scopo di lucro di diritto privato in quanto garantisce maggior flessibilità nella gestione e permette di dare risposte più immediate alla molteplici esigenze dei nostri Ospiti. Giova ricordare che in Lombardia a seguito della Riforma della IPAB il 97% degli Enti ha optato per la trasformazione in persone giuridiche di diritto privato (la forma giuridica maggiormente scelta è stata quella della Fondazione che rappresenta il 90% del totale degli enti trasformati). La Fondazione nel luglio 2012 è stata iscritta all’Anagrafe delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale – O.N.L.U.S.; la Regione Lombardia con proprio decreto n. 10324 del 16/11/2012 ha approvato lo statuto della Fondazione “Varni Agnetti” O.N.L.U.S.». Qual è stato il momento più difficile che ha dovuto affrontare da quel lontano 1998 anno della nascita della Fondazione Varni Agnetti? «Le difficoltà non sono mancate, soprattutto prima del 1998, infatti quell’anno, ha avuto inizio l’attività vera e propria della Casa di Riposo. Ci siamo dovuti confrontare soprattutto con le continue modifiche legislative, a carattere nazionale e, conseguentemente, a quelle Regionali. Basti pensare che il progetto della struttura è stato redatto per ben tre volte dall’Ing. Giampiero Canevari di Pavia con tutte le conseguenti approvazioni da parte dell’allora USSL, Vigili del Fuoco ed altre pratiche burocratiche. Il 1999 e il 2000 sono stati gli anni più difficili dal punto di vista economico-finanziario, ma dal 2001 la situazione è via via migliorata ed insieme alla situazione finanziaria è migliorata anche la qualità dei servizi tanto che nel 2003 è iniziato il percorso che ha portato alla certificazione di qualità ai sensi della norma UNI EN ISO

9001 della R.S.A, del C.D.I. e dei Servizi Territoriali ed all’accreditamento di ulteriori 12 posti letto della R.S.A. per un totale di n. 72. La difficoltà degli ultimi anni è legata al fatto che le rette (tariffe) della nostra R.S.A. e del C.D.I. sono di molto al di sotto della media della retta del territorio dell’ATS Pavia e del territorio regionale. Basti pensare che un Ospite della R.S.A. “Varni Agnetti” risparmia in un anno più di € 5.000,00 rispetto alla retta media territoriale delle RSA dell’ATS PAVIA e più di € 7.500,00 rispetto alla retta media della RSA della Lombardia. Erogare servizi di qualità come stiamo facendo a costi molto più bassi rispetto alla concorrenza (in alcuni casi fino a € 1.000,00 in meno al mese) non è certo facile; la nostra “missione” è comunque quella di erogare servizi di elevata qualità a costi sostenibili per l’utenza!». Il momento invece più gratificante? «L’apertura della R.S.A. “Varni Agnetti” di 60 posti letto il 18 dicembre 1998, un obiettivo raggiunto, dopo 10 anni di lavoro intenso e continuativo è stato sicuramente il momento più gratificante. Durante quella “storica” giornata come ho spiegato nel mio intervento, ero soddisfatto e fiero di aver mantenuto la parola data alla Signora Nena (Ved. Concaro Varni) con la quale ho sempre avuto rapporti di stima ed amicizia che risalgono addirittura alla mia infanzia. La Zia Maria Manelli, sorella di mia Mamma, è stata per tantissimi anni una sorta “di dama di compagnia” della Signora. Tant’è che le due camere dell’attuale struttura dove ci sono gli Uffici del Direttore e di Presidenza, erano la Sua abitazione. Un altro motivo di gratificazione è stato quello di essere riuscito a realizzare quest’opera senza gravare sui cittadini dei nostri Comuni mettendo a loro disposizione un servizio che, in questi venti anni ha dimostrato tutta la sua utilità, sia sociale che economica. Mi si consenta di ricordare anche coloro che non ci sono più ma che hanno avuto un ruolo importantissimo per la realizzazione della struttura: l’esecutore testamentale, Geom. Roberto Albera; il notaio Piero Dentone; il professore Rino Scupelli (Medico della Signora); il mio vice Sindaco di allora Cav. Ettore Conti. Di questo “gruppo” faceva parte - ed ha avuto un ruolo fondamentale – il nostro Arciprete, Mons. Rino Mariani che, anche recentemente, ha dimostrato il suo attaccamento all’istituzione, facendo una importante donazione». La Varni Agnetti si trova nel Comune di Godiasco Salice Terme anche se chi usufruisce dei servizi della struttura arrivano da altri comuni oltrepadani e non solo. Perché nel consiglio di amministrazione della fondazione sono presenti oltre al Comune di Godiasco anche quello di Fortunago, Montesegale e Rocca Susella? «La “Varni Agnetti” è una fondazione pri-

«... le rette della nostra R.S.A. e del C.D.I. sono di molto al di sotto della media della retta del territorio dell’ATS Pavia e del territorio regionale».

vata senza scopo di lucro, non a partecipazione pubblica, il cui Consiglio di Amministrazione è composto da sette membri, compreso il Presidente, così individuati: Il Parroco di Godiasco, membro di diritto, a tutela delle volontà della donataria Famiglia Agnetti; 1 amministratore nominato dal Comune di Fortunago; 3 amministratori nominati dal Comune di Godiasco Salice Terme; 1 amministratore nominato dal Comune di Montesegale; 1 amministratore nominato dal Comune di Rocca Susella. Alla nascita della Fondazione, ovvero il 1 gennaio 2004, si è voluto mantenere la nomina di alcuni membri del Consiglio di Amministrazione da parte degli Enti locali di riferimento nel rispetto delle tavole fondative dell’ex IPAB e affinchè la Fondazione rappresentasse il più possibile il territorio. I Componenti del Consiglio di Amministrazione durano in carica cinque anni a decorrere dalla data di insediamento del medesimo e non rappresentano gli Enti che li nominano». Che apporto danno alla Fondazione questi Comuni? «I Comuni in tutti questi anni hanno contribuito al rimborso del FRISL concesso da Regione Lombardia a fronte dell’impegno assunto dal Consorzio comunale (costituitosi nel 1988 e scioltosi nel 1992 come ho già accennato) che ha dato vita alla costruzione della Casa di Riposo. Dopo la trasformazione da I.P:A.B. a Fondazione di diritto privato, ai sensi della L.R. 11/02/2003, n. 1, i Comuni hanno il solo compito di designare i Consiglieri nel Consiglio di Amministrazione. L’attività di controllo sull’Istituzione e sul servizio è svolta dall’Azienda di Tutela della Salute (ex ASL), mentre i controlli interni sulla situazione economico-finanziaria dell’Ente sono affidati al Revisore dei Conti, l’Organismo di Vigilanza vigila invece sul funzionamento, l’efficacia e l’osservanza del modello Organizzativo ai sensi del D.lgs 231/2001. La Fondazione inoltre si sottopone volontariamente a controlli aggiuntivi effettuati da Enti Certificatori Terzi ai sensi della norma UNI EN ISO 9001 e OHSAS 18001. Mi preme ricordare che negli ultimi anni (dal 2009) ad oggi la Fondazione ha investito sul territorio comunale circa 4,5 milioni tra risorse proprie e contributi da Fondazioni private


GODIASCO SALICE TERME (es. Fondazione Cariplo) e lasciti». Per la Varni Agnetti si sprecano le lodi sia dei pazienti sia di quei “giudici difficili e parziali” che sono i parenti dei pazienti. In un momento in cui diverse strutture simili alla Varni Agnetti hanno problemi con la giustizia dovuti a maltrattamenti agli ospiti, in che modo, con quali attenzioni o quali dispositivi siete riusciti a non avere queste problematiche nella vostra struttura? «È importante precisare che tali problematiche per lo più non riguardano strutture che ricadono nel sistema socio sanitario regionale in quanto, tali strutture hanno standard e requisiti assistenziali continuamente monitorati e controllati dagli organi di controllo come l’ATS Pavia. In sostanza, gli standard qualitativi di servizio richiesti da Regione Lombardia sono molto elevati e permettono di escludere, nella maggior parte dei casi, queste problematiche. Per quanto concerne la nostra struttura, è importante sottolineare che consideriamo da sempre “Ospiti”, gli utenti a cui vanno erogati i servizi con il sorriso sulle labbra e con le dovute competenze professionali. La Fondazione inoltre ha adottato volontariamente da anni un Sistema di Gestione Qualità certificato con cui si sono definiti i parametri qualitativi di servizio che soddisfano la domanda dell’Ospite e che rispettino ovviamente gli obblighi imposti dalla normativa nazionale e regionale. L’adozione di questo Sistema comporta che vengano effettuati ulteriori controlli, rispetto a quelli di legge, svolti sia da personale interno, da personale esterno (professionisti) e dall’ente terzo indipendente che emette il certificato di qualità. Bisogna specificare altresì che, nelle imprese di servizi alla persona, la qualità dei servizi erogati è strettamente connessa con la qualità del personale impiegato.Partendo da questa considerazione, il Consiglio di Amministrazione e la Direzione, hanno sempre posto molta attenzione alla gestione delle risorse umane. Attenzione che si articola in attività di formazione continua, rapporti consolidati, mantenimento e costanza del rapporto stesso. La scelta della certificazione OHSAS 18001 per la salute e sicurezza dei lavoratori è stata fatta proprio per dimostrare l’importanza dei lavoratori per la Fondazione. Si consideri che la Fondazione Varni Agnetti è stata la prima RSA certificata con questo standard in Lombardia. Inoltre anche il forte radicamento della Fondazione “Varni Agnetti” O.N.L.U.S. al territorio contribuisce ad escludere questi tipi di problematiche, la Fondazione eroga servizi alla cittadinanza locale e impiega lavoratori residenti nei comuni fondatori e nei comuni limitrofi. Insomma in tutti questi anni dall’anno 1998 ad oggi abbiamo cercato di fare del nostro meglio ed abbiamo erogato servizi socio-sanitari a 2.000 ospiti della R.S.A., più di 1.000 ospiti del Centro Diurno Integrato, ed abbiamo una lista d’attesa attuale di 383 persone per la nostra RSA. I risultati li abbiamo raggiunti lavorando insieme: Consiglio di Amministrazione, personale dipendente, personale delle Cooperative, collaboratori esterni e fornitori per un totale di oltre 130 lavoratori». Il Dottor Carlo Ferrari è il Direttore

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Elio Berogno, dal 1980 al 2004 Sindaco di Godiasco Salice Terme della Fondazione dal 2004, un direttore è come un allenatore di una squadra di calcio e a parte alcune rare eccezioni, gli allenatori vengono sostituiti ogni 3/ 4 anni. Quanto ha contribuito il Dottor Ferrari al successo della Fondazione Varni Agnetti e in futuro quale sarà il suo apporto? «Il Dott. Carlo Ferrari è Direttore della Fondazione dall’aprile 2001, è improprio inoltre fare riferimento al mondo calcistico (anche perché, se così fosse, saremmo sempre in conflitto: lui è milanista ed io juventino…) poiché nelle nostre strutture l’obiettivo è il conseguimento del miglioramento continuo del servizio e questo si ottiene con continuità di lavoro e con costante propensione al miglioramento puntando a piccoli passi verso l’eccellenza del servizio! Va anche ricordato che con la sua collaborazione e competenza la Fondazione dal 2001 ha allargato i propri servizi non limitandosi solo alla casa di riposo (ad esempio l’accreditamento per l’erogazione di VOUCHER SOCIO-SANITARI AL DOMICILIO, del servizio semi-residenziale Centro Diurno Integrato, della RSA APERTA e della PRESA IN CARICO di pazienti affetti da patologie croniche). Il Dott. Ferrari, nella nostra organizzazione, ha anche avuto un’opportunità di crescita professionale che ha saputo cogliere e realizzare. Il Dott. Ferrari Carlo non soltanto è un ottimo Direttore ma, ha saputo in primo luogo, mettere a disposizione di tutti noi la competenza gestionale acquisita negli anni ed ha sempre cercato di trasferire queste competenze a tutti i nostri collaboratori. Ritengo poi che la costante presenza del Direttore nella struttura sia un valore aggiunto della stessa ed abbia determinato in questi anni nel personale tutto, una sorta di “fiduciosa e sicura consapevolezza” di non essere soli nei vari compiti. Il suo apporto per il futuro sarà sempre determinante e l’obiettivo che con lui abbiamo cercato di perseguire da sempre e che continueremo a perseguire è quello di creare un rapporto di fiducia, dialogo e collaborazione sempre più stretto con l’ospite e i suoi famigliari, per migliorare la qualità dei servizi erogati, rendendoli più efficienti, tempestivi e vicini alle esigenze di quanti ne usufruiscono. Direi che in questi anni ci siamo riusciti…». Lei è stato nominato Presidente della

fondazione nel 2014 quando il comune di Godiasco Salice Terme era guidato dalla giunta di Gabriele Barbieri. Il Sindaco attuale è Fabio Riva che proprio al suo fianco iniziò il suo percorso politico negli anni 2000 prima come consigliere comunale per poi fare scelte diverse. Visto l’eccellente lavoro da lei svolto come Presidente pensa di ricandidarsi nel 2019 e pensa che la giunta guidata da Fabio Riva sosterranno la sua candidatura? «La designazione del 2014 mia, della Sig. ra Donata Ambrosini e del Sig. Maurizio Mula a membri del Consiglio di Amministrazione della Fondazione, ha durata di 5 anni come da norma statutaria e scadrà nell’ottobre 2019; nella seduta del 15 ottobre 2014 si è costituito il Consiglio di Amministrazione della Fondazione che mi ha nominato Presidente. Il Geom. Fabio Riva ha iniziato la sua attività amministrativa nel 2004, quando è stato eletto sindaco l’amico Angelo Dentoni. Con Piero Bina Piercarlo Franchignoni ed io, Riva ha rivestito la carica di Assessore in Comune di Godiasco. Per quanto riguarda l’ultima parte della sua domanda non è certo il caso di parlare di ricandidatura perché non è prevista dalle norme statutarie ed è di competenza del prossimo Consiglio di Amministrazione. Ricordo inoltre che le funzioni di Presidente e di consigliere del Consiglio di Amministrazione sono espletate a titolo completamente gratuito come da norma statutaria. Quindi mi corre l’obbligo di ringraziare, sinceramente, non soltanto gli attuali Consiglieri, ma anche tutti coloro che nel passato, hanno offerto la loro collaborazione gratuita alla “VARNI AGNETTI” quali componenti del Consiglio di Amministrazione della Fondazione». La Varni Agnetti conta quasi un ventennio di successi. Prima del 2019 anno in finirà il suo mandato ha un sogno nel cassetto che intende realizzare per migliorare ancora di più la fondazione? «Il mio sogno nel cassetto lo realizzeremo entro la fine del 2018 e si chiama “Residenzialità integrata nel territorio della Comunità Montana Oltrepò Pavese per la costruzione di alloggi innovativi per anziani e soggetti in condizioni di disagio sociale e di una rete di protezione integrata con l’utilizzo della domotica collettiva.” Si tratta di 14 alloggi protetti per anziani e

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soggetti in situazione di disagio, una struttura di 1.700 mq, 26 nuovi posti letto con ambienti confortevoli tecnologicamente avanzati e personalizzabili a seconda delle esigenze degli Utenti. I monolocali hanno una superficie di 42 mq ed il bilocali di 62 mq tutti hanno un ampio terrazzo; gli alloggi sono autonomi, innovativi ed ecosostenibili, antisismici e sicuri, tecnologicamente avanzati con l’utilizzo della domotica collettiva, con la presenza di ampi spazi comuni ed aree verdi. Il servizio sarà rivolto a persone anziani autosufficienti e/o persone in situazione di disagio e si integrerà con i servizi che già eroga la Fondazione. L’investimento è di euro 2.851.866,00 ed il contributo della Fondazione Cariplo è di euro 1.000.000,00 il resto proviene da risorse proprie e da donazioni. Questo tipo di struttura sarà la prima ad essere realizzata su tutto il territorio della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese. Inoltre, anche nel restante territorio della provincia di Pavia, non esiste al momento una struttura di questa tipologia avente caratteristiche così innovative dal punto di vista della qualità architettonica, degli impianti, dell’utilizzo della domotica e della creazione di una rete di protezione integrata. L’opera realizzata completerà tutta l’assistenza socio-sanitaria del territorio collinare della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese e permetterà di ampliare l’offerta di servizi esistenti coprendo e servendo la sfera legata ad una nuova residenzialità leggera attraverso la costruzione di alloggi innovativi per anziani e persone in stato di disagio sociale e la realizzazione di una rete di protezione integrata. I Lavori sono iniziati il 26 giugno 2017 e sono già ad un buon stato di avanzamento e prevediamo di finire entro il mese di ottobre 2018 in modo da aprire la struttura entro il 18 dicembre 2018 in contemporanea con i festeggiamenti dei primi 20 anni della Fondazione! Debbo doverosamente ringraziare oltre che la Fondazione Cariplo: il Sig. Eliseo Dominioni che, come ho già detto pubblicamente, ha fatto una importante donazione alla Fondazione senza la quale non avremmo potuto dare avvio ai lavori; Mon. Rino Mariani, il nostro Arciprete e, tutti gli altri benefattori che, tramite il 5 per mille e con atti diretti di donazioni hanno permesso il miglior funzionamento della “Varni Agnetti”. Da parte nostra garantiamo che la Mission della Fondazione è quella di dare efficaci risposte assistenziali e sanitarie alle persone anziane ed ai soggetti in situazioni di fragilità dando al contempo un’opportunità di lavoro ai nostri giovani che così riescono a rimanere sul territorio. Vogliamo, insieme a tutto il nostro personale, assicurare un ulteriore passo in avanti nel costruire un modello di Fondazione che sia, sempre più, espressione della Comunità che rappresenta e capace di essere protagonista del cambiamento nei nuovi scenari che vanno disegnandosi».

Vittoria Pacci


BAGNARIA

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«I cacciatori potrebbero essere di traino ed indirizzo alla protezione civile» Dopo il gelicidio del mese di dicembre la situazione dei boschi nell’ATC5 sembra essere critica. Sono cadute migliaia di piante sui sentieri e nei canali di scolo che portano l’acqua dai boschi verso i torrenti affluenti dello Staffora. Non ci sono risorse né a Pavia né a Milano pur essendoci la consapevolezza della situazione di crisi. Di questo e di come si è conclusa la stagione di caccia in braccata al cinghiale abbiamo conversato con il capo-caccia storico della Squadra Guardamonte di Bagnaria, Pierluigi Saggi. Come si presentavano alcune strade dell’alto Oltrepò dopo la nottata di gelicidio di dicembre 2017? «Le strade si presentavano in condizioni pessime e buona parte erano intransitabili, oppure transitabili solo per minima parte della carreggiata. è stata una fortuna che non ci siano stati incidenti gravi. Gli alberi e i rami sotto il peso del ghiaccio si rompevano e si sentivano forti rumori, simili a scoppi, per tutta la valle. Quando si è fatto giorno, fuori dai centri abitati, la situazione della viabilità era altamente compromessa». Chi ha iniziato a liberare le strade? «Un po’ tutte le persone di buona volontà che vivono il territorio e che sono attrezzate alla bisogna. Personalmente mi sono messo all’opera nella notte dell’11 Dicembre, la strada comunale che da Bagnaria raggiunge Località Mutti, era bloccata causa la caduta di diverse piante. Ho iniziato a tagliare rami e piante con la motosega per sgomberare la strada. Confesso che mi sono spaventato quando ho sentito un rumore assordante e ho visto cadere un grosso abete a pochi metri da dove ero all’opera». I sentieri nei boschi come sono ridotti e chi li libera?

Pierluigi Saggi capo-caccia della Squadra Guardamonte «I sentieri e le strade nei boschi sono completamente ostruite dalla caduta di rami e piante, ad eccezione di quei tratti che sono stati liberati prevalentemente dall’intervento dei componenti delle squadre caccia al cinghiale e dei pochi proprietari che ancora fanno manutenzione ai loro boschi». Con che cosa le avete sgomberate con il fucile? «No, per due uscite abbiamo riposto le armi e ci siamo dati da fare a tagliare ed accatastare legna con motoseghe, roncole e in alcuni casi con ruspe e trattori». Chi ci rimetterà da questa situazione? «Da questa situazione saranno danneggiati tutti coloro che per hobby o passione percorrono solitamente i sentieri o le strade nei boschi, ma anche la collettività ne risentirà; mi spiego: sono cadute o rotte decine di migliaia di piante ed in futuro coloro che andranno a funghi avranno grosse difficoltà a camminare nei boschi; in caso d’incendi ci saranno molte più difficoltà a spegnerli; se ci saranno violente piogge

Parliamo di caccia, ci da qualche numero sui capi di cinghiali e caprioli abbattuti nel 2017? «Per quanto riguarda la caccia di selezione al capriolo pur non essendo in grado di dare numeri attendibili so solo che si è raggiunto il piano di tiro concesso dall’U.T.R. Pavia in base ai censimenti eseguiti. Anche sugli abbattimenti dei cinghiali l’annata 2017 è stata buona, non si è raggiunto il piano di tiro, in quanto a mio parere i numeri vengono aumentati ad arte per consentirne l’abbattimento massimo, dimenticando che i danni maggiori sia in termini agricoli che di viabilità sono causati dai caprioli; comunque le squadre dell’ATC5 hanno abbattuto 1296 capi sui 1810 indicati dal piano di tiro. Le squadre che hanno abbattuto il maggior numero di cinghiali sono quelle che cacciano nelle vicinanze di Aziende Faunistiche o nella zone di Valverde, Val di Nizza e Varzi dove la produzione di frutti del bosco(castagne) è stato superiore alla media». Sembra che la taglia media dei cinghiali sia cresciuta negli anni, quest’anno è stato abbattuto un capo da 200kg, avere colossi del genere nei nostri boschi non è dannoso oltre che pericoloso? «Quest’anno sono stati abbattuti parecchi cinghiali di taglia eccezionale, le motivazioni possono essere moltepici: animali che abitualmente vivevano in zone talmente boscate e difficili da raggiungere si sono spostati in quanto le zone erano prive di castagne, ghiande e fagiole, causa l’eccesiva siccità estiva; verri di grosse dimensioni si spostano anche di centinaia di km. alla ricerca di cibo o di femmine da fecondare». Non sarebbe più sportiva la caccia al cinghiale di origine sarda, che oltre ad essere autoctono italiano ha dimensioni piu contenute? «Il cinghiale sardo di piccole dimensioni vive in Sardegna e appartiene alla specie sus scrofa meridionalis e non ha nulla in comune con il cinghiale che popola le nostre zone (Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna e parte della Toscana)». Cosa ne pensa della sperimentazione sui guard rail anticinghiali che la Provincia di Pavia ha deciso di fare? «Non posso esprimere un parere da competente su tale problematica, ma ho letto che certi dissuasori sono stati sperimentati in altre province con buoni risultati e ritengo che sicuramente saranno utili anche da noi, anche se la maggior parte degli investimenti sono causati da caprioli».

«Non mi sento d’esprimere un giudizio di come potrebbe essere gestito il territorio da un eventuale Ente Parco in quanto temo che si tasformerebbe in un grosso carrozzone politicizzato e senza dialogo con residenti».

si avranno seri problemi per il deflusso dell’acqua nei fossi ostruiti dagli alberi e dai rami caduti nell’alveo. A mio parere ci vorranno parecchi anni prima che la situazione si normalizzi». Non è la prima volta che i cacciatori si adoperano per la collettività.... «Personalmente non solo penso che i cacciatori potrebbero essere di supporto alla protezione civile, ma bensì di traino ed indirizzo alla protezione civile, in quanto ben poche persone conoscono il territorio e lo monitorano quanto noi». Se le Terre Alte fossero gestite da un Ente Parco il problema dello sgombero della legna sarebbe di semplice soluzione, così come la gestione di piccole porzioni di terreno abbandonato? «Non mi sento d’esprimere un giudizio di come potrebbe essere gestito il territorio da un eventuale Ente Parco in quanto temo che si tasformerebbe in un grosso carrozzone politicizzato e senza dialogo con residenti».

Giacomo Braghieri


SALUTE

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Bullismo: «La maggior risorsa da mettere in campo è il dialogo» Mara Mazzocchi, psicologa La dottoressa Mara Mazzocchi, psicologa varzese, è da tempo impegnata su uno dei fronti più delicati dell’età evolutiva, con progetti che riguardano i bambini e gli adolescenti delle scuole primarie. Bullismo, cyberbullismo, affettività sono temi che vengono trattati ogni giorno dai media, abbiamo chi se ne occupa professionalmente sul territorio e siamo andati a chiedere cosa significa lavorare su questi problemi nella quotidianità. Ci spiega cosa s’intende per bullismo? «Per bullismo si intende una manifestazione comportamentale caratterizzata da aggressività, tale aggressività è perpetrata, quindi ripetuta nel tempo, da uno o più individui ai danni di una vittima. La vittima può essere aggredita in modo diretto, picchiata o insultata o in modo più subdolo, esclusa, isolata o diffamata». Quali sono le età in cui si manifesta? «Non vi è un’età precisa in cui si manifesta, possiamo trovare situazioni critiche già nella scuola primaria, ma in genere sono più probabili nella scuola secondaria, con alcuni casi anche alle superiori. Ovviamente la manifestazione di tali comportamenti aggressivi cambia anche in base all’età». È legato al genere o è indifferenziato fra maschi e femmine? «Se in passato si parlava di bullismo facendo riferimento soprattutto a situazioni elevata aggressività tra maschi, oggi possiamo considerare il bullismo come presente in egual modo sia tra ragazzi che tra ragazze, quest’ultimo è caratterizzato soprattutto da isolamento e prese in giro». Dove si ricercano le cause di comportamenti violenti nei bambini e nei preadolescenti?

«I comportamenti violenti possono derivare da varie e complesse situazioni: il problema di controllo degli impulsi, le regole non introiettate, la mancanza di sviluppo dell’empatia verso l’altro, un contesto relazionale complesso. Ovviamente ogni situazione è a se cosi come ogni individuo». Fra il normale cinismo innocente dei bambini ed il bullismo ci sono separazioni comportamentali nette? «Il bullismo non è una semplice manifestazione di un comportamento aggressivo o di rabbia, non è nemmeno un capriccio; il bullismo è un comportamento messo in atto in modo continuativo nel tempo e con intenzionalità, nei cosiddetti bulli la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di comprendere la sua sofferenza non è sviluppata». C’è preparazione adeguata negli insegnanti per riconoscere comportamenti a rischio? «Gli insegnati sono sempre più formati ed aggiornati sulla tematica relativa al bullismo e sempre più abili nel sapere identificare gli indizi comportamentali, relazionali ed emotivi che possono far pensare a situazioni di bullismo». Che tipo di preparazione devono avere i genitori per evitare che i figli diventino vittime di questo fenomeno? «Nei diversi incontri che il Consultorio Oltre di Varzi svolge nelle scuole si tenta sempre con le insegnanti di coinvolgere le famiglie, spesso con buoni risultati. Questo porta i genitori a sviluppare maggiore consapevolezza delle possibile dinamiche disfunzionali che possono svilupparsi tra i ragazzi, ed anche di quanto sia fondamentale il ruolo della famiglia sia nella prevenzione del problema che in seguito nella cura. Spesso i gruppi tra genitori su queste tematiche aiutano le famiglie ad essere più attente ed a mettere in atto strategie educative più funzionali. La maggior risorsa che un genitore può mettere in campo è il dialogo, il confronto e l’apertura verso il figlio, questo aiuta il ragazzo a fidarsi dell’adulto e a chiedere aiuto qualora si trovasse in una situazione difficile; inoltre è utile che i genitori soprattutto se parliamo di cyberbullismo

Consultorio Oltre di Varzi nelle scuole contro il bullismo e il cyberbullismo.

sia a conoscenza di come i figli utilizzino internet, il telefono o altri strumenti. Controllare come utilizzano i social-network è tutelarli e proteggerli e non “non fidarsi di loro». Quali sono i suoi consigli? «Sicuramente ai ragazzi vittime di bullismo consiglio di chiedere aiuto, magari rivolgendosi all’adulto con cui sentono di avere un legame speciale. Alle famiglie consiglio di cercare di instaurare con i figli un buon dialogo, parlare parlare parlare! Chiedere sempre ai figli come stanno, creare un’apertura. Non deve essere lasciato ai ragazzi un senso di impotenza di fronte al problema. I genitori devono anche cercare di monitorare i vari contesti con cui i ragazzi hanno a che fare, cercando di far attenzione a cambiamenti emotivi o nei comportamenti e soprattutto ritengo fondamentale in questi casi la presenza di una rete tra scuola e famiglia; in questi casi è la comunicazione e la sinergia tra coloro che notano e sono sul problema che può fare la differenza». C’è un legame fra il bullismo e l’incapacità di relazionarsi con gli altri? «Il legame non è diretto, semmai difficoltà relazionali possono essere una conseguenza dell’aver subito bullismo. La vittima può avere problemi nell’interazione con i coetanei, nel dare fiducia all’altro. Può sviluppare scarsa autostima, può avere paura che la situazione possa ripetersi e ciò potrebbe causare ritiro sociale». Il cyberbullismo cosa è? «Per cyberbullismo si intende il “bullismo in internet”, cioè un bullismo che utilizza dispositivi di comunicazione, come la posta elettronica, la messaggistica istantanea, i blogs, i messaggi di testo, l’ uso di siti web con contenuti diffamatori per effettuare azioni di bullismo o molestare in qualche modo una persona o un gruppo attraverso attacchi personali allo scopo di rovinare

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la reputazione di una persona, di rompere legami di amicizia, divulgare informazioni imbarazzanti, oppure diffondere sul web immagini intime; o ancora escludere intenzionalmente qualcuno da un gruppo online, come ad esempio una “ lista amici”; fenomeno quest’ultimo molto diffuso soprattutto nei gruppi WhatsApp!». Parliamo di affettività, sembra che la rivoluzione web ed i social-network abbiano accelerato e distorto la normale crescita affettiva degli adolescenti, è vero? «I ragazzi oggi hanno a disposizione tutto un mondo digitale di cui gli adulti conoscono una minima parte, ed è sopratutto all’interno di tale mondo che si giocano a livello relazionale ed affettivo e costruiscono e propongono la loro immagine; il rapporto con il gruppo dei pari diventa più complesso, meno diretto, a livello di emozioni più denso. I social-network propongono relazioni basate sull’immagine, sulla popolarità, e questo porta spesso a giocare l’immagine di sé e la sessualità in modo più esplicito e meno affettivo». Quali sono i progetti che sta sviluppando nelle scuole dell’Oltrepò? «Con il consultorio Oltre di Varzi da diversi anni collaboriamo con le scuole del territorio con progetti di promozione della salute in ambito emotivo, affettivo e relazionale; il bullismo e cyberbullismo rientrano tra questi progetti; inoltre organizziamo gruppi per insegnanti per genitori su queste tematiche in modo da creare una rete quanto più presente e solida sul territorio. Lo scorso anno è stato molto utile l’incontro a carattere informativo organizzato dalla scuola media Plana con la collaborazione dell’associazione dei giovani avvocati e della polizia di stato a cui mi è stato chiesto di intervenire. La tematica del cyberbullismo è stata affrontata a 360 gradi, in tal caso ci tengo a segnalare l’iniziativa “una vita da social” che la polizia mette in campo e che può essere un valido aiuto per le vittime di cyberbullismo». Giacomo Braghieri


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Si è sciolta la Pro Loco, l’assessore Zanardi chiede più collaborazione «Garantiamo Fiera e mercatini, ma il Comune non è un organizzatore di eventi…».

Dopo la scomparsa del presidente Giorgio Pagani, lo scioglimento della Nuova Pro Loco di Varzi fa apparire un punto interrogativo sul futuro di un paese che fatica ad esprimere iniziative ed eventi. Considerando che la Pro Loco era tra le realtà associazionistiche quella che lavorava più a stretto contatto con l’amministrazione comunale, abbiamo chiesto all’assessore al turismo Giulio Zanardi cosa c’è da aspettarsi nei prossimi mesi. Zanardi, non è che questo evento, di per sé tragico dal punto di vista umano, potrebbe avere conseguenze nefaste anche per la “vita sociale” del paese, che si ritrova orfano della Pro Loco? «La morte di Pagani è un evento triste e drammatico per la sua famiglia e per la nostra comunità. Quello che mancherà di Pagani come presidente della pro Loco sono la sua capacità organizzativa, la serietà, la competenza, la volontà e la grande determinazione. è la perdita di un uomo coraggioso che ha affrontato la malattia con una riservatezza e una forza non comuni. Per il bene del paese e nel rispetto della sua

memoria ciò che è stato fatto non può e non deve essere smarrito perciò non voglio aderire a questa analisi e, anzi, sono sicuro che, anche con l’intervento dell’amministrazione potremo presto ritrovare un gruppo di persone capaci di portare avanti una Pro Loco. Approfitto di questo spazio per invitare tutti i cittadini privati e i commercianti varzesi a farsi avanti, la Pro Loco è un bene comune e non un distaccamento dell’amministrazione». Il carnevale intanto è alle porte. Che tipo di evento c’è da aspettarsi? «Il Carnevale di Varzi è in piena fase organizzativa e vedrà come di consueto la sfilata di carri allegorici, realizzata grazie alla volontà e al lavoro dei gruppi che ormai da qualche anno hanno riportato in vita questa tradizione che si era affievolita. Non mancheranno di certo le serate classiche del Carnevale, organizzate anche quest’anno da Mauro Comaschi e dai suoi ragazzi alla Rive Gauche». D’accordo, però guardiamo al futuro prossimo. A parte i ragazzi di A Tutta Varzi, che già fanno molto, senza la Pro Loco chi si occuperà dell’organizzazione di manifestazioni ormai consolidate come la Fiera del Primo maggio o i mercatini estivi? Non crede ci sia il rischio di una sorta di “vuoto organizzativo”? «Non ci sarà nessun vuoto organizzativo perché sono convinto che presto troveremo il modo di ricostruire una Pro Loco efficiente. Comunque il Comune farà in modo di assicurare la realizzazione di eventi fondamentali per il nostro paese quali la fie-

ra del primo maggio e il mercatino sotto le stelle di agosto, anche se non è giusto aspettarsi che sia l’amministrazione a fare l’organizzatore di eventi, quando semmai deve operare per mettere altri nelle condizioni per farlo. Alle associazioni varzesi non credo sia giusto chiedere di assumere impegni ulteriori: la loro forza sta appunto nella loro indipendenza organizzativa, sanno esprimersi con eventi molto belli e di ampio richiamo, vanno ringraziate per quello che fanno». Lei parla di eventi che comprensibilmente spetterebbe ai privati organizzare. Nella capitale del salame crudo però non c’è neppure una fiera dedicata al prodotto tipico. Un evento che dovrebbe esistere da anni se non decenni… «La fiera del salame è un leit motiv che sento da anni. E’ vero, è una grave mancanza e anche un po’ una situazione paradossale. Tuttavia mi chiedo se questa mancanza non derivi dal fatto che non esista ancora un interesse tanto forte da far scoccare una scintilla che metta in moto l’organizzazione. Il Salame di Varzi è un prodotto DOP di eccellenza assoluta, eppure la sua produzione non decolla. Negli ultimi anni la domanda aumenta, i prezzi di conseguenza sono lievitati sensibilmente, però non si vedono molti nuovi produttori, né allevamenti importanti di suini in valle Staffora. Lo stesso Consorzio mi pare sia piuttosto “rilassato” sotto il profilo promozionale. Da parte mia spero che queste critiche siano presto smentite dai fatti e rimango pronto a collaborare come amministratore alla realizzazione di un’importante fiera. Sarebbe una bella svolta, anche considerando il successo del corso per norcini che abbiamo appoggiato e che ha avuto grande partecipazione». Nell’agosto del 2012 lei era tra il gruppo di giovani che ironicamente inscenavano il funerale di Varzi, “paese morto”. Oggi siede in Amministrazione. Che differenze vede con la Varzi di allora? «Il “funerale” fu una goliardata non priva di significato. Era una critica rivolta a tanti, non solo all’amministrazione di allora. C’erano stati episodi che ci avevano indispettito e abbiamo inscenato quella mascherata nel contesto di un mercatino estivo. Qualcuno si è arrabbiato, noi ci siamo divertiti ed è stato un fatto di costume simpatico, dove nessuno voleva fare del male ad altri. Oggi non sta a me dire se l’amministrazione di cui faccio parte ha cambiato Varzi o meno. Posso solo dire con certezza che l’associazionismo varzese oggi sta meglio di allora e che tutti penso possano dire di aver trovato porte aperte in Comune per una collaborazione alla realizzazione di eventi. Gli sforzi economici in abito turistico e di promozione e i contributi alle associazioni sono la testimonianza che in questi anni abbiamo provato a incoraggiare iniziative di molti generi». In paese però manca sempre un punto di

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Giulio Zanardi, Assessore al Turismo della giunta Alberti aggregazione comunale. Che ne è dell’ex mercato coperto? «è un tasto dolente, e parlo a titolo personale. Credo siano stati fatti molti errori nella riqualificazione, progettuali e strutturali. La parte anteriore è quella che ha subìto gli interventi più recenti: è scarsamente funzionale e le opere sono state eseguite non a regola d’arte (tra i problemi è nota la pessima acustica). Dobbiamo però essere realisti e perciò possiamo solo pensare di migliorare quello che abbiamo, parlare di demolizione o rifacimento totale non è corretto. Tante risorse sono state impiegate, ora spero che con un ultimo sforzo economico si possa nella parte posteriore creare una sala ricreativa e polifunzionale adatta alle esigenze della comunità varzese e della montagna. Non credo sia eccessivamente oneroso e credo, invece, sarebbe il luogo di aggregazione che, effettivamente, a Varzi manca per la lunga stagione invernale». E l’info point turistico? «Sono stati fatti diversi tentativi di attivazione ma nessuno era sufficientemente forte e durevole nel tempo. Oggi sotto questo aspetto vale forse più la pena di investire nel digitale». Per quanto riguarda la struttura che lo ospitava in piazza della Fiera invece? Prospettive di utilizzo? «Due anni fa fu presentato un bando di gara per l’alienazione di quell’immobile che andò deserto. Oggi è sede di un circolo per anziani da una parte e locale per associazioni dall’altra. Stiamo valutando ma non ci sono prospettive a breve termine». Christian Draghi


VARZI

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«La Varzina era l’automobile più piccola del mercato italiano» l’automobile più piccola del mercato italiano». Piccola, ma costosa. «Mi pare che nel 1977 costasse qualcosa come un milione e 600mila lire. Se si tiene conto che lo stipendio medio di un operaio era di poco superiore alle 150mila lire, si capisce che era necessario un certo sacrificio. Considerando che a parità di prezzo si poteva comperare una Fiat 500, si capisce che in molti si orientarono verso quella per ragioni di comfort. In Italia ne saranno state Maurizio Arancio, a bordo della sua Varzina vendute un migliaio a dir tanto».ricorda sempre Arancio. La Varzina, infatti, al di là del vaChi è nato dopo gli anni ‘80 potrebbe non lore storico o di status symbol di nicchia, saperlo, ma è esistita un’epoca in cui a Varzi poteva trasportare al massimo due persone c’era per tutta la Valle Staffora. Un periodo e viaggiava a una velocità massima di cirstorico felice di cui la Varzina, la mini auto ca 70 chilometri orari. «Pesava circa due antenata della Smart, è stato un simbolo. quintali, con misure davvero ridotte. Era Prodotta dalla ditta Lawil nei capannoni di più piccola di una smart e la lunghezza del via Maretti, è sia un’eccellenza del made prototipo non superava il metro e ottanta. in Italy persa nel tempo che un monito per Nel tempo la vettura fu allungata, anche se chiunque pensi a quello di “citycar” come di pochissimo». Per l’esattezza, nel 1969 a un concetto moderno e contemporaneo. di 27 cm e nel 1980, poco prima della Trendy ma di nicchia allo stesso tempo, la cessazione della produzione, di ulteriori sua parabola durò poco meno di 15 anni. 20 cm. La casa produttrice, la Lawil, porProdotta tra il 1968 e il 1982 circa, la Vartava il nome dell’uomo la cui storia tanto zina incontrò – come spesso accade ancoprofondamente si intreccia con quella inra oggi a diverse eccellenze oltrepadane dustriale della Valle Staffora: Carlo Lavez– maggior fortuna all’estero che in Italia, zari. «Lawil – spiega sempre Arancio, che ma resta la testimonianza di quella che in oltre ad essere appassionato è anche storimolti varzesi ricordano come una piccola co della Varzina – è acronimo di Lavezzari età dell’oro. Tra essi c’è Maurizio Arane Henri Willame, imprenditore francese cio, commerciante, che all’epoca in cui la che di quell’auto si innamorò dopo averne Lawil cominciò la produzione era poco più visto un prototipo al salone di Parigi nel che un bambino, incuriosito dal rumore di 1966 ed entrò in società commissionando quelle mini vetture che venivano testate e la produzione in serie. Il prototipo fu cresi muovevano avanti e indietro per i cortili ato dalla carrozzeria Scattolini a Peschiera dell’azienda che aveva sede a poche cendel Garda, poi quando aprì l’officina qui tinaia di metri da casa sua. «Prendevo la a Varzi fu il capomeccanico Michele Calmia bici – ricorda - e andavo in fondo a via vi a prendere le redini della produzione. Il Maretti, per guardare quelle piccole auto primo modello a uscire dalla fabbrica era sognando, un giorno, di averne una tutta la Spider Lawil S3 Varzina, poi ne produsmia». Quel sogno si è avverato 12 anni fa e sero altri – racconta Arancio – versione oggi Arancio è l’unico varzese in possesso Berlina, furgoncino C2 e camioncino C5». di una Varzina. «O per lo meno l’unico che Quella in suo possesso è una prima serie ne abbia una funzionante e regolarmente del 1974. Un pezzo quasi unico. «Ne sono immatricolata» spiega. «Può essere che stati prodotti solo quattro esemplari ed ha qualcun altro ne possegga un esemplare, caratteristiche che la rendono unica – spiema non si sa in quale stato di conservazioga con negli occhi l’entusiasmo di quel ne». Di quello che è oggi un gioiellino per bambino che ne fece oggetto del desiderio collezionisti non tutti si sono presi adegua– come il sedile unico in finta pelle, il contamente cura. «A Varzi all’epoca ne giratachilometri e il contagiri, i fari cromati e vano tra l’altro pochissime, era un modello il colore grigio metallizzato. è esattamente molto esportato in Francia. Lì la usavano così come uscì dalla fabbrica». soprattutto i postini ed era comoda perché Il valore, però, è difficile da quantificare. si guidava anche senza patente, mentre qui «Non c’è un vero e proprio mercato, se era considerata una macchina a tutti gli efnon un passa parola tra appassionati. è più fetti. All’epoca, la normativa italiana sanuna questione affettiva e per questo non la civa che le microcar dovevano essere equivenderei mai! Anche se ci faccio in pratipaggiate di massimo tre ruote. La Varzina, ca soltanto qualche giro con mia figlia in dotata da sempre di quattro ruote, era così

Prodotta tra il 1968 e il 1982, la Varzina, la mini auto antenata della Smart, simbolo del Made in Italy.

estate sulle nostre colline». A cercare su internet, i siti di appassionati riportano quotazioni tra i 4mila e i 7mila euro a seconda dei modelli disponibili. Ma i sogni, si sa, non hanno prezzo. L’epoca della Varzina vive ancora nei ricordi non solo degli appassionati, ma anche di chi quell’auto la produceva. Come Giovanni Valtini, tra il 1968 e il 1972 uno dei meccanici del team Lawil di via Maretti. «C’erano due grandi capannoni, nel primo dove lavoravo io e che oggi ospita la tipografia Guardamagna, si provvedeva ad assemblaggio e verniciatura, nell’altro si faceva la parte elettromeccanica» ricorda Valtini. «I motori arrivavano già costruiti da fuori, qui si faceva più che altro assemblaggio». Riguardo alle caratteristiche tecniche dei modelli, l’ex meccanico ricorda: «Il primissimo modello della Varzina fu disegnato dalla Carrozzeria Scattolini ed equipaggiato con il motore della Innocenti Lambretta 125 di cilindrata. Poi si arrivò ai 250cc. Il motore andava a miscela, il rumore ricordava un po’ quello di un motorino». Che la produzione fosse di nicchia lo confermano i numeri: cinque auto as-

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semblate al giorno. «Una volta al mese si portavano i modelli destinati ad andare in Francia alla stazione di Voghera, da dove partiva l’esportazione». All’epoca la forza lavoro della Lawil contava una sessantina di dipendenti e non era una delle realtà più numerose. C’era l’acciaieria Zincor, il frantoio Barbera Maretti, un importante maglificio che impiegava 180 donne, tre caseifici e l’ospedale, oltre ad altre piccole realtà. «All’ora della pausa per il pranzo solo via Maretti si affollava con oltre 300 persone». Dopo la chiusura della Lawil gli operai non persero il posto, si trasferirono alla Zincor. Altri tempi, altra storia. Dai ricordi di Giovanni Valtini emerge anche un aneddoto da cui esce la figura di un Lavezzari “padrone” generoso. «Il primo anno che lavoravo per Lawil eravamo ancora a Peschiera dove stavamo imparando come assemblare le auto. Lavezzari aveva fretta di finire il capannone di Varzi per far fronte alle molte richieste dalla Francia e anche dalla Germania. Allora siamo venuti qua ad aiutare i muratori a finire il capannone. Alla vigilia di Natale venne a trovarci e ci donò uno scatolone a testa di ottimi vini del nostro territorio. Poi ci consegnò una busta a testa, ci fece gli auguri e ci salutò. Aprimmo la busta e ci trovammo 150mila lire ciascuno. All’epoca, era il 1969, il mio stipendio mensile era di circa 80mila lire. Può capire la sorpresa per una ‘mancia’ di quella portata». Christian Draghi



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«Le Aree Interne non finanziano i progetti che possono portare sviluppo» Donato Bertorelli, sindaco di Menconico

Per ottenere i finanziamenti del progetto Aree Interne il comune di Menconico entra in unione con i vicini di Santa Margherita Staffora, Brallo e Romagnese, ma il sindaco Donato Bertorelli non nasconde la delusione per un’iniziativa che, a scapito delle grandi attese e speranze suscitate in fase di approvazione, non sembra avere i connotati del maxi progetto destinato ad invertire il destino di una vallata ricca di problemi, messa sotto scacco (ormai quasi matto) dalla mannaia dello spopolamento. Sindaco, si era parlato di una pioggia di milioni che avrebbero dovuto salvare l’Oltrepò montano e le sue aree disagiate. Il tempo passa e i progetti importanti non si vedono. Che succede? Cosa l’ha delusa? «Mi ha deluso il fatto che i 16 milioni che si vanno ad investire in Oltrepò non serviranno a finanziare quei progetti che secondo me sarebbero veramente importanti per invertire una tendenza negativa. Per fare qualcosa di veramente incisivo bisogna creare sviluppo economico e occupazione, altrimenti nessuno tornerà a vivere e lavorare qui. L’obiettivo del progetto Aree Interne doveva essere quello di far ritornare la nostra vallata quella che era trent’anni fa, quando Varzi e la Valle Staffora erano un polo attrattivo importante. Il gruppo Lavezzari con i suoi tre stabilimenti, i maglifici e i tre caseifici davano lavoro a tutta la popolazione e le case costavano più qui che a Voghera, da dove si veniva per lavorare». Perché secondo lei con le Aree Interne non si può andare in questa direzione? «Perché i progetti che potrebbero se non

risolvere il problema almeno muovere le acque in una certa direzione non vengono finanziati. Noi uno ce l’avevamo e per noi era importantissimo». Di quale progetto si trattava? «La nostra intenzione era creare una filiera completa legata alla produzione e alla lavorazione del tartufo, per cui le nostre colline, anche se in pochi lo sanno, sono una zona vocata e vantiamo il primato per la produzione in Provincia di Pavia. Si parlava di coltivazione assistita attraverso le cosiddette tartufaie coltivate, dei vivai realizzati con piante autoctone micorizzate con tartufo nostrano. Con l’aiuto di un adeguato supporto scientifico si poteva uscire dall’amatorialità per passare ad una produzione professionale e redditizia. L’idea poi era creare un prodotto unico da questi tartufi, qualcosa che solo noi abbiamo e che possa diventare un simbolo, come è avvenuto in altre regioni italiane, si pensa ad esempio all’Umbria». E invece? «Invece questo progetto è stato bocciato. Hanno risposto che non è possibile finanziarlo in quanto si tratterebbe di un aiuto di Stato ai privati. Peccato che ormai in campagna elettorale ci si riempia la bocca dicendo che la priorità è il lavoro e che vanno finanziati innanzitutto gli investimenti produttivi. Non era forse quello che volevamo fare noi? Eppure non ci è stato permesso». Quindi? Non se ne fa nulla? «Non mi arrendo. Entro il 2018 ci riproveremo con i fondi a disposizione per il Piano di Sviluppo Rurale. Non ingenti come quelli a disposizione per le Aree Interne, ma comunque sufficienti e soprattutto, a disposizione anche dei privati. Sono loro che, se sostenuti, possono creare lavoro e sviluppo. Sarà il mio impegno più importante di fine mandato (scadenza 2019 ndr), perché voglio lasciare qualcosa di importante per la comunità». Attraverso il bando Aree Interne quindi cosa sarà finanziato? «Dei percorsi per le mountain bike con

segnaletica, il potenziamento dei trasporti pubblici, servizi di assistenza agli anziani come l’infermiera a domicilio o il maggiordomo rurale. Per carità, tutte cose utili, non voglio essere frainteso, però non cambieranno il futuro della Vallata». Parliamo dell’Unione dei Comuni che avete appena costituito iniseme a Santa Margherita, Brallo e Romagnese. C’è stata qualche polemica perché inizialmente non siete riusciti ad approvarla, con la contrarietà persino del suo vice… Che cosa è accaduto? «Trovo che quel consiglio comunale sia stato semplicemente mal preparato e ci siano stati dei fraintendimenti: qualcuno ha confuso l’Unione con la Fusione, che sono cose diverse. La situazione poi è rientrata». Come mai si è deciso di procedere con questa Unione? Che benefici porterà? «Era una delle condizioni per ottenere i finanziamenti per le Aree Interne e dovevamo adempiere a questa promessa. In secondo luogo porterà per noi alcuni vantaggi: attraverso la condivisione dei servizi potremo avere qualcosa che non avevamo prima, come il servizio di polizia locale e di protezione civile. Dal punto di vista economico gli incentivi statali per il Comune saranno di circa 50mila euro annui, arrivano a chi prende parte alle Unioni». Per i cittadini cambierà qualcosa? «No, gli uffici resteranno a Menconico, si andrà dove si è sempre andati». C’è chi ha storto il naso per il fatto che Romagnese, in realtà si trova in Val Tidone… «Semplicemente abbiamo preferito privilegiare l’omogeneità del territorio. Infatti l’Unione si chiama Terre montane dell’Appennino. Per noi sarebbe stato naturale farlo con Varzi, ma ha rifiutato. Ha più di 3mila abitanti e preferisce la totale autonomia». A Roma vedono di buon occhio le Unioni come anticamera delle fusioni. Lei cosa ne pensa? «è un discorso complesso. Non è solo un

Bocciata la filiera del tartufo, deluso il sindaco Bertorelli: «Questo progetto è stato bocciato. Hanno risposto che non è possibile finanziarlo in quanto si tratterebbe di un aiuto di Stato ai privati. Peccato che ormai in campagna elettorale ci si riempia la bocca dicendo che la priorità è il lavoro e che vanno finanziati innanzitutto gli investimenti produttivi. Non era forse quello che volevamo fare noi? Eppure non ci è stato permesso».

fatto di campanilismo, si tratta di questioni pratiche e concrete: a Menconico i conti sono a posto e siamo il paese con le tasse più basse in tutta la Valle. Se ci fondessimo bisognerebbe trovare aliquote uniche per tutti e allo stesso modo i debiti degli altri potrebbero ricadere sui nostri cittadini. Non sono contrario a priori, ma si tratta di un percorso da soppesare molto attentamente». Christian Draghi


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Fusione con Zavattarello: «Ad oggi credo non ci siano i tempi tecnici» Il sindaco di Ruino, Sergio Lodigiani, “tirato in ballo” dal Comitato Promotore pro fusione comuni di Canevino, Romagnese, Ruino, Valverde e Zavattarello, replica a quella che a suo parere è una visione un po’ troppo semplicistica della questione. Qual è la sua opinione sulle finalità del Comitato e sul lavoro che stanno portando avanti? «Il Comitato sta portando avanti la sua visione di Fusione, che nel rispetto di quello che è il pensiero degli altri, trovo per alcuni aspetti un po’ semplicistica. Seppur vero che la medesima consentirebbe un maggior numero di risorse è anche vero che la fusione comporterebbe un cambiamento sostanziale nell’organigramma dei comuni coinvolti e ridurla ad un mero strumento di cassa vorrebbe dire sottovalutarne gli effetti». Pensa che il Comitato Promotore stia facendo voli pindarici e poco concreti o forse questa “fretta” è per “cavalcare l’onda” prima che sia troppo tardi e che lo Stato centrale imponga la fusione e addio soldi? «Oggi la fusione rappresenta un traguardo e un’opportunità che il Governo concede ai piccoli Comuni come ancora di salvezza prima di calare dall’alto una razionalizzazione che andrà oltre le esigenze della gente, ma si concentrerà sul mero risparmio dello stato Centrale Perché questa opportunità si realizzi, però, e possa durare nel tempo, non basta la mera volontà, ma serve un percorso serio e costruttivo che tenga conto di tutti quelli che sono gli interessi in gioco come quello che ha condotto Ruino, Valverde e Canevino ad intraprendere l’iter. Sebbene credo il Comitato agisca in buona fede ritengo ad oggi non ci siano i tempi tecnici per pensare ad una fusione che ricomprenda anche Zavattarello». Traducendo e mi dica se è corretto: una fusione con Canevino e Valverde è il risultato naturale di un’unione e condivisione di servizi “collaudata” nel tempo, Romagnese e Zavattarello invece sarebbero “corpi estranei”? «Non credo di aver mai parlato di corpi estranei. Molto più semplicemente questo percorso i Comuni di Ruino e Valverde l’hanno cominciato nel 2004. Il tutto è nato con la prima convenzione, un primo passo, che ha consentito non solo la condivisione di alcuni servizi, ma anche la possibilità per gli enti di interagire tra loro imparando a conoscere e far dialogare le proprie risorse. Nel 2009 dopo 5 anni proficui si è deciso di comune accordo di entrare in unione. Alla base di questa decisione, che come per la fusione oggi ha comportato anche significativi riscontri economici che hanno consentito di investire maggiormente nel territorio e di operare più serenamente, c’è stato un lungo confronto. Perché non esistono solo i numeri, esistono prima di tutto le persone che con il loro lavoro ed il loro impegno fanno funzionare i nostri

Comuni. Perché il percorso porti a risultati soddisfacenti è necessario trovare i giusti equilibri e contemperare le esigenze ed i bisogni di tutti. La parte politica non può astrarsi completamente da quella amministrativa e decidere di punto in bianco cambiamenti radicali senza tener conto degli effetti che questi possono avere anche su chi presta la propria attività lavorativa presso gli enti e sulla popolazione che rimane legata alla propria territorialità e non accetterebbe sicuramente di perdere la propria identità solo per ragioni prettamente economiche».

Sergio Lodigiani, sindaco di Ruino Il senso di appartenenza certamente gioca un ruolo importante in tutto il discorso fusione. Il Comitato Promotore tra le altre cose ha insistito molto su questo punto, sull’informare la gente. Lei ha sentito la sua gente attraverso magari un consiglio aperto, li ha informati, ha sentito le loro opinioni? «Sono felice mi faccia questa domanda perché mi permette di chiarire alcuni aspetti. In primo luogo non mi sembra che il Comitato abbia insistito molto sul concetto di fusione, mi pare abbia insistito maggiormente sugli aspetti che lo stesso ritiene importanti e cioè sui fantomatici fondi. Ricordiamoci che i fondi statali in qualunque forma non corrispondono ad un bancomat da cui attingere. La gente va informata, certo, e tutti i tre le amministrazioni si occuperanno di parlare con la popolazione, perché com’è noto saranno i cittadini a scegliere quando verranno chiamati ad esprimere il loro voto al referendum. In ogni caso come amministratore ho la fortuna di vivere in mezzo alla mia popolazione ogni giorno e il mio ufficio è sempre aperto. Ognuno porta avanti le sue idee nel modo che ritiene più opportuno, il fatto che rispetti il lavoro del comitato non significa debba per forza condividerne i metodi o farli miei». Canevino, Valverde e Ruino si fonderanno questo è ormai un dato di fatto «Come ho avuto modo di specificare poc’anzi l’ultima parola spetterà ai cittadini. Dopo anni di Unione proficua, anni in cui non solo sono stati reperiti fondi ma è stato un modo per crescere, per imparare a contemperare le esigenze dei tre Comuni che seppur di piccole dimensioni, visto il ridotto numero di abitanti, sono caratterizzati da un territorio molto vasto e con delle

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«Vorrei tanto avere la sfera di cristallo per rispondere compiutamente a tutte le domande, ma purtroppo posso fornirle risposte solo sul breve periodo. Comunque si, ritengo che in un futuro potrebbero esserci le condizioni per una fusione, ma come ho già chiarito ricordiamo che l’ultima parola spetta sempre ai cittadini». E con Romagnese? «Romagnese credo abbia intrapreso un percorso differente e sono certo le sue scelte siano state dettate da regioni di opportunità per il suo comune quindi ritengo vadano rispettate». Sindaco la gente del suo comune come anche di Valverde, forse molto meno di Canevino che logisticamente è “più vicino” alla Val Versa si devono recare a Zavattarello per diversi servizi che mancano a voi altri comuni. La gente non è già in qualche modo “abituata” ad una fusione se non sulla carta nella quotidianità? «La gente si sposta in base alle comodità, non credo sia corretto parlare di fusione quotidiana, ma più semplicemente di libera circolazione delle persone. In ogni caso Ruino ha ben due panettieri, negozio alimentari, le scuole elementari, medie e anche l’asilo, la farmacia, l’ambulatorio medico dove di effettuano anche le analisi del sangue, l’ufficio postale una struttura RSD otto mini appartamenti protetti, il ferramenta, negozio di abbigliamento. e molti altri servizi. Non ho dubbi gli abitanti di Valverde possano usufruire del benzinaio o del parrucchiere di Zavattarello e di sicuro potranno farlo anche dopo a prescindere dalla fusione. Per i servizi che non trovano sul territorio i cittadini di Ruino e Canevino sono più propensi a scendere a valle e portarsi verso Santa Maria della Versa, anche perché spesso coincidono con gli spostamenti di lavoro». Nel 2019 ci saranno le elezioni comunali. Lei si ricandiderà? «Le elezioni non sono così vicine e se il progetto con Valverde e Canevino andrà in porto vedremo gli sviluppi. In ogni caso non ho intenzione di ricandidarmi, ci sono tanti ragazzi che mi hanno accompagnato in questi anni di amministrazione e spero siano qualcuno di loro a prendere il mio posto». Qual è lo scenario che vede delinearsi se Zavattarello non riuscirà ad entrare nella fusione? «Non prevedo certo scenari apocalittici se non riuscirà ad entrare in fusione quest’anno altrimenti la sua amministrazione sicuramente si sarebbe attivata per tempo. Credo semplicemente rimanderà il discorso. In ogni caso credo che la domanda vada posta agli amministratori di Zavattarello».

«Nessuno ha sbattuto la porta in faccia a Zavattarello».

caratteristiche del tutto differenti, la fusione rappresentava un obiettivo. Gli amministratori hanno imparato a conoscersi meglio e a volte a scendere a compromessi per il bene comune dei tre enti, gli uffici hanno imparato a collaborare tra loro e ad affrontare insieme i problemi che sul cammino si possono incontrare. Il tutto garantendo alla popolazione di non sentirsi snaturata della propria identità. Queste premesse sono indispensabili per comprendere come il progetto di fusione sia di più che un mero modo per racimolare fondi statali. Dopo anni di Unione Canevino, Ruino e Valverde hanno deciso di intraprendere il percorso della fusione, perché era la conseguenza delle basi gettate in questi anni. Era semplicemente arrivato il momento giusto». Momento giusto… Per ora quindi non è il momento giusto per una fusione con Zavattarello? «È sbagliato e fuorviante dire che Canevino, Ruino e Valverde non vogliono fondersi con Zavattarello perché è un’affermazione che non corrisponde al vero. è più corretto parlare di tempi che nel caso di specie non sono ancora maturi. Ricorrere ad una fusione solo sulla base di nuovi fondi vorrebbe dire snaturare un concetto che comporta qualcosa di irreversibile. Non si può fondersi e poi dire se non funziona, abbiamo scherzato. Quando si prendono decisioni che interessano tutta una comunità bisogna farlo con coscienza». Per Romagnese vale lo stesso discorso? «Credo che l’amministrazione di Romagnese sia in grado di fare le sue scelte in piena autonomia. Non mi permetterei mai di sindacare le scelte o valutare le opportunità di amministrazioni di altri comuni». Nessuna porta in faccia dunque… «Nessuno ha sbattuto la porta in faccia a Zavattarello, anche perché non se ne vedrebbe il motivo. è un Comune che funziona, ha un’ottima amministrazione e molto da offrire. Leggere che non lo vorremmo perché ha la casa di riposo è quanto più lontano dalla realtà ci possa essere. La casa di riposo è un quid pluris per il Comune di Zavattarello e la popolazione della zona ne ha spesso usufruito grazie all’ottimo servizio che svolge. Nessuno sbatte la porta in faccia a nessuno! Questo deve essere chiaro. Siamo tutti amministratori che gestiscono Comuni di piccole dimensioni e combattono ogni giorno per il bene della propria popolazione e l’animus è e rimarrà sempre quella di darsi una mano a vicenda non di tagliare fuori qualcuno». Secondo lei questi tempi maturi arriveranno? Potrebbe essere che Zavattarello si potrà fondere con Canevino, Ruino e Valverde in un passo successivo?

Silvia Colombini



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«Invito il sindaco Callegari a fare retromarcia sulle presunte dimissioni» Non si placano le polemiche nella città di Casteggio, dovute ai continui furti. Il consigliere Salvatore Seggio torna ad esprimere il suo pensiero sulla situazione difficile che vivono i cittadini casteggiani, soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate dal Sindaco Callegari ad un noto giornale locale. Il Sindaco ha espresso delusione per i mancati aiuti promessi dalle varie istituzioni e, amareggiato per il continuo peggiorare della situazione, ha minacciato le dimissioni. «Nella vita dicono che solo gli stolti non cambiano idea e certamente il nostro Sindaco non rientra in questa categoria, per cui recepiamo le parole rilasciate recentemente alla stampa con spirito positivo anche se, a volte, rendersi conto dei propri errori in ritardo può comportare gravi danni. Per questo invito il sindaco Callegari a fare retromarcia sulle presunte dimissioni, bensì ad assumersi le proprie responsabilità per aver sottovalutato fin dall’inizio il problema legato ai furti e per aver accusato il sottoscritto di creare falso allarmismo». Da molti mesi i cittadini di Casteggio convivono con furti e danneggiamenti alle proprietà… «Se la situazione veniva portata alle cronache nella ricerca di soluzioni si veniva tacciati di essere provocatori, sceriffi con manganello, con finalità sovversive nei confronti dell’amministrazione comunale. Il sottoscritto ha sempre cercato di trovare soluzioni condivisibili e di formare tavoli di lavoro ottenendo solamente insulti e porte chiuse. Oggi però il primo cittadino scopre che le proposte avanzate erano affidabili e intelligenti». Cosa ne pensa quindi? «Non volendo pensare che tale iniziativa sia l’anticamera di una candidatura regio-

Salvatore Seggio nale ma, realmente, abbia come unico fine il bene della collettività, non mi posso esimere dall’evidenziare il tempo perso ed i danni subiti da decine di famiglie ma, considerando che l’importante è raggiungere l’obiettivo, voglio sperare che finalmente si voglia fare qualcosa di concreto valutando l’unione delle forze, adottando la sorveglianza di quartiere proposta ed evitando di demonizzare opportunità erroneamente chiamate “ronde”. Io spero che il nostro sindaco non decida di fuggire davanti alle responsabilità in caso di omesso, quanto scontato, rifiuto di aiuti istituzionali, ma sia disposto ad aprire un tavolo di lavoro che, seppur tardivo, possa incrementare le tutele allo scopo di allontanare e disincentivare ladri e delinquenti comuni. Gruppi di cittadini si sono organizzati in proprio escludendo la condivisione con

l’amministrazione comunale stante l’inefficienza ed inoperatività ma, forse, è veramente giunto il momento di unire le forze sperando che non sia l’ennesima trovata pubblicitaria senza seguito». Cosa si aspetta adesso? «Speriamo nelle puntate a seguire, naturalmente confermando la massima e piena disponibilità di collaborazione. Il tempo è prezioso e non si possono commettere ulteriori passi falsi a discapito della comunità che, oggi come non mai, ha potuto constatare un impegno superficiale e quantomeno discutibile da parte dell’amministrazione comunale nell’adottare contromisure che non sono state in grado di contrastare il fenomeno favorendone inconsciamente la radicalizzazione sul territorio. Le parole del sindaco aprono comunque un varco nell’operato dell’amministrazione palesando innegabili dubbi in merito alla capacità dell’assessore competente di gestire l’emergenza, assessore che, in più occasioni, ha ribadito la propria posizione contro la vigilanza di quartiere evitando di assumere azioni concrete per limitare il fenomeno dei furti al di là delle attività istituzionali». A tal proposito quindi cosa auspica? «Quanto sopra non può che determinare le dimissioni dell’assessore Milena Guerci, confidando che tale incarico possa essere

«...dimissioni dell’assessore Milena Guerci, confidando che tale incarico possa essere assunto da qualcuno che si dimostri capace e competente e, soprattutto, che dimostri di comprenderne la gravità e la necessità di coordinare le iniziative e le forze di tutti».

assunto da qualcuno che si dimostri capace e competente e, soprattutto, che dimostri di comprenderne la gravità e la necessità di coordinare le iniziative e le forze di tutti». è recente la notizia che, dopo il comune di Vigevano, anche il comune di Gambolò ha deciso di adottare la famosa sorveglianza di quartiere… «è una cosa legittimata da una legge regionale e anche questi comuni hanno adottato una modifica al regolamento comunale, prevedendo gli osservatori del territorio. Mi auguro che anche Casteggio proceda in tal senso». Elisa Ajelli


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Servizi Sociali:«L’operato dell’assessore Raffinetti è fondamentale ed encomiabile» Elisabetta Officio, nata nell’agosto 1985, è consigliera comunale della città di Casteggio dal 2014. Dopo la maturità linguistica e la laurea in Giurisprudenza all’Università Cattolica di Milano, Elisabetta è diventata esperta di diritto italiano in un prestigioso studio legale di Monaco di Baviera in Germania e opera nell’ambito del diritto internazionale privato e commerciale, societario, dei marchi e della proprietà intellettuale. Nel suo curriculum vanta anche la carica di segretario del Movimento Giovani Europei d’Oltrepò nel 2012, oltre a quella di membro e presidente di alcune associazioni culturali locali. Iniziamo dalla sua carriera politica: quando ha iniziato e perché? «Per me l’attività politica è riassumibile sostanzialmente in questa candidatura, che rappresenta il compimento del mio impegno politico profuso in questi anni nei quali ho cercato il più possibile di rendermi intraprendente e partecipe della vita del mio paese, impegnandomi attivamente in Associazioni come Amici di Mairano e La Barbatella. Inoltre ho trovato molto stimolante e formativa in quest’ottica l’esperienza di volontariato vissuta nella mia Parrocchia, diciamo che tutto ha contribuito in qualche modo alla mia formazione anche politica. La ragione è che mi piace dare il

mio contributo all’interno delle realtá di cui faccio parte, secondo un senso civico e collaborativo sempre finalizzato a migliorare e migliorarsi come singoli e, proprio per l’appunto, come comunitá». Ci può tracciare un bilancio della carica di consigliere comunale fino ad ora? «È stata finora un’esperienza molto stimolante e formativa. Ho potuto capire più da vicino determinate dinamiche, benché ce ne siano altrettante altre che devo ancora conoscere. L’ho vissuta con molto entusiasmo e consapevolezza di quanto sia difficile amministrare, anche in relazione al mio ruolo. Ci sono delle scelte che, da amministratore, devono coniugare interessi diversi, della collettivitá e dei singoli che la compongono e non sempre è un compito facile. Quello peró che conta è operare queste scelte secondo scienza e coscienza, mettendo al primo posto quello che si ritiene essere il bene comune». Lei è Presidente delle Commissioni Servizi Sociali e Finanze Tributi: cosa significa esserne a capo? Qual è il suo ruolo? «La presidenza delle Commissioni Servizi Sociali e Finanze Tributi comporta un ruolo comune a quella delle altre commissioni: il presidente svolge la funzione di tramite tra la Giunta e in particolare tra chi nella Giunta ha la delega specifica e i

membri della Commissione stessa. Esserne il capo significa capire le ragioni della Giunta e quelle dei membri della Commissione e farsi portatore verso gli uni e gli altri delle ragioni di ciascuno per trovare una via il piú possibile condivisa. Talvolta ci sono scelte che, come detto, benché non condivise al 100% devono essere tuttavia prese secondo la visione politico-strategica perseguita». Qual è la sua operatività in tal senso? «Come detto la mia operativitá è quella di farmi portavoce delle idee di ciascuno, tenendo sempre presente la mia posizione all’interno della maggioranza, di cui condivido idee e operato». Come servizi sociali come vi state muovendo? Attualmente che dati ci può comunicare di questo settore? C’è molta richiesta di “aiuto” come servizi sociali? «L’assessorato ai Servizi Sociali ha uno spettro molto ampio, all’interno del quale è necessario muoversi e agire con i limitati fondi che si hanno a disposizione, per questo l’operato dell’assessore Raffinetti è fondamentale ed encomiabile. La sua grande esperienza rende possibile a questo assessorato di proseguire nel suo importantissimo compito, specialmente di questi tempi, in cui il sociale ha sempre piú bisogno e il Comune deve fare sforzi immensi

Elisabetta Officio, Presidente delle Commissioni Servizi Sociali e Finanze Tributi

per assecondare le sempre maggiori richieste, come detto, sempre meno fondi. Le richieste sono sempre crescenti e spaziano dagli aiuti alle famiglie in difficoltá nel pagare le bollette, a quelle senza casa, da cittadini senza lavoro a minori affidati al Comune. Per ragioni di riservatezza non posso fornire dati, ma l’importanza di questo assessorato credo si commenti da sola». Elisa Ajelli


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Paolo Scattolon contro Giacomo Scattolon Sportivamente: padre contro figlio Paolo Scattolon, classe 1954 vs Giacomo Scattolon, classe 1989. Parenti stretti, padre e figlio, accomunati dalla grande passione per i motori e soprattutto per i rally. Il padre ha iniziato con i rally trent’anni orsono, il figlio 6 anni fa. Piloti importanti nel panorama oltrepadano di ieri e di oggi. In molte cose uguali in altre diversi, padre e figlio, stessa passione, a volte opinioni differenti, su una cosa sono d’accordo “W i Rally”. La prima gara a cui hai partecipato e con che macchina? Paolo: «Nel 1986 alla prima edizione della Targa d’oro di Alessandria con una Peugeot 304. Primi di classe». Giacomo: «Valli Imperiesi nel 2010 Renault Twingo R2. Quarto di classe, su oltre 20 partenti». Che emozione hai provato quando hai visto tuo padre/tuo figlio correre per la prima volta? Paolo: «L’emozione che solo un padre… e molta paura perché quando lui doveva transitare hanno sospeso la prova e per tanto ero molto preoccupato, non avendo altre informazioni, invece era solo una casualità». Giacomo: «Avevo cinque anni più o meno, ero molto piccolo e ricordo poco, sicuramente orgoglio. Per un bambino vedere il padre correre e far qualcosa di diverso da tutti gli altri è entusiasmante! Mi sembra fosse un Rally dei Vigneti… addirittura aveva vinto forse.... !». Che cosa invidi o rimpiangi, che cosa è meglio e cosa è peggio dei tempi andati del rally e di oggi? Paolo: «Ai rally a cui partecipavo io c’era più sacrificio, infatti esisteva solo la macchina personale e non c’era il noleggio, pertanto era una cosa che ti costruivi per poter partecipare, c’era più passione. Il rapporto era molto diverso meno professionale. Oggi di meglio c’è più sicurezza, sono quasi convinto ci sia una maggior organizzazione e una competizione più importante: oggi, chi corre a un certo livello, sono tutti dei semi-professionisti, quindi è più difficoltoso emergere». Giacomo: «Di positivo, ai tempi di mio padre, macchine più semplici derivate dalla serie che uno si poteva costruire e c’era meno tecnica a livello di meccanica. Oggi se non sei più che preparato non puoi pretendere di fare risultati o di correre ad un certo livello. Prima contava al novanta per cento la guida e il resto veniva di conseguenza, oggi invece la guida vale un cinquanta per cento e il resto lo fa la macchina, le gomme e il team. Di vantaggi oggi ne vedo molti meno, rispetto a ieri. Semplicemente per il fatto che prima emergere non era semplice, ma era più fattibile. Oggi devi avere budget importante e conoscenze … saper guidare passa, purtroppo, spesso, in secondo piano». Cosa invidi nello stile di guida dell’altro?

Paolo: «Abbiamo più o meno lo stesso stile di guida, non ero uno di quelli che partiva e andava a sbattere a inizio gara ero abbastanza cauto nel razionare la macchina e le mie forze. Quello che invidio è che è più professionista nel suo modo di guidare, prova meno e sbaglia molto meno. Ha a disposizione dei mezzi più performanti e più professionali». Giacomo: «Come guida siamo simili, quello che ho immagazzinato è perché l’ho visto da lui. Lo invidio per l’utilizzo di macchine meno professionali, nel guidarle è sicuramente più capace di me». Il peggior difetto? Paolo: «Il suo peggior difetto è abbattersi, se ci sono delle difficoltà si abbatte facilmente. Se la macchina ha un problema vorrebbe andare a casa. Deve sapere raccogliere quello che comunque ti dà la situazione». Giacomo: «L’unica cosa che posso dire è che è meno preciso di me. Ha una guida diversa che oggi non andrebbe bene per una macchina di attuale, tanto irruento … tanto sterzo». A parità di macchina chi sarebbe andato più forte? Paolo: «Su una breve distanza l’avrei battuto, in una lunga no». Giacomo: «Non abbiamo mai corso... comunque sono convinto di stracciarlo!». Chiunque fa sport é tifoso di una squadra o di un atleta. Paolo: «Ai tempi tifavo per Walter Röhrl, che oltre ad essere una persona affabile era il miglior pilota in assoluto, il più veloce in tutte le situazioni». Giacomo: «Sono tifoso di Gigi Galli, ad oggi é l’ultimo e l’unico italiano arrivato a correre ad alti livelli nel campionato del mondo». Ci voleva più coraggio allora o adesso? Paolo: «Ci vuole più coraggio oggi perché le velocità sono centuplicate. Più si ha velocità è più sono le difficoltà, ci vuole molta più attenzione, molta più tecnica e molta più performance». Giacomo: «Concordo con mio papà, la difficoltà é sempre legata alla velocità oggi tanti valori legati alla velocità sono aumentati: percorrenza e frenata». Terra di piloti e di campanilismo, chi hai sempre ritenuto e ritieni il tuo avversario? Paolo: «Codognelli, perché era quello che correva con me in tutta Italia. Non c’erano altri che correvano a livello nazionale. Aveva una Stratos e gareggiavamo nelle stesse competizioni». Giacomo: «Quando ho iniziato correvo con piloti già affermati e quindi non era possibile un confronto. Adesso é arrivato Canzian, giovane come me, che l’anno scorso ha fatto un campionato simile al mio». Cosa non ti piace di questo mondo? Paolo: «Domanda molto difficile perché mi piaceva tutto. C’era tantissimo pubbli-

co e ragazze che venivano per vedere… eri in qualche modo un personaggio». Giacomo: «Non mi piace il fatto che sia diventato troppo da professionisti, se vuoi correre a certi livelli non puoi fare una vita normale, se devi lavorare e andare a correre diGiacomo Scattolon con il padre Paolo venta complicato». Non ti é mai venuta voglia di partecipare Giacomo: «Per me manca la figura caa un rally moderno? A un rally storico? pace e specializzata di riunire le risorse Paolo: «No, non ho nessuna voglia di cor- dell’Oltrepo e di unirle in modo da creare rere un rally moderno. Il mio impegno è un grande evento e non solo organizzando di fare qualcosa per mio figlio, trovo più la gara. Di organizzare una gara abbiamo soddisfazione a veder correre lui, piuttosto avuto modo di vedere che sono stati capaci che correre in prima persona». e hanno ottenuto un buon risultato, ma c’è Giacomo: «Si mi sarebbe piaciuto correre ancora da lavorarci per raggiungere un ecal 4 Regioni Storico vicino a casa, non fa- cellente risultato». cendo una gara con la tensione delle gare Con il Rally 4 Regioni si é saliti alla riche corro abitualmente, ma per fare qual- balta internazionale. La stessa cosa non cosa con amici per divertirmi». si può dire per i rally oltrepadani con Il 4 Regioni é la madre di tutti i rally non vetture attuali. Secondo voi quale rally solo dell’Oltrepò. Faresti mai un Rally 4 o che tipo di rally e quanti bisognerebbe Regioni con una macchina storica? organizzarne per aiutare i piloti dell’OlPaolo: “Si, lo farei rievocare i miei vecchi trepò ed anche per far rinascere la pasricordi». sione nella gente? Giacomo: «Lo farei per vedere se sono Paolo: «Io farei una ronde, un rally day e capace di guidare una macchina di quel rally in pista. Il rally in pista per far avvitempo». cinare gente a questo mondo perché è più Piloti strana gente. Oggi i piloti spazia- facile avvicinarsi, vedere e appassionarsi. no dai rally moderni ai rally storici en- La ronde e il rally day per soddisfare l’esitrambi molto competitivi. Qual è a tuo genze di tutti i rallysti della zona. In futuro giudizio la differenza tra un pilota di un rally internazionale per farlo crescere e moderno e uno di storiche? portarlo ai massimi livelli». Paolo: «La differenza é l’etá che vuol dire Giacomo: «Almeno due gare a basso chimolto poco o tanto. Negli storici uno corre lometraggio, accessibili a tutti in quanto a per divertimento e perché ha soldi per po- basso costo in modo che tutte le persone terlo fare. Nei rally moderni perché vuole possono ritornare a correre e per chi seguiemergere e vuole competere ai massimi va questo sport, possa di nuovo appassiolivelli. Uno usa le macchine storiche oggi narsi e riavvicinarsi. In futuro mi piacerebper vedere quello che avrebbe potuto fare be avere un rally in Oltrepò con titolazione allora, l’altro usa macchine moderne per nazionale». dimostrare di essere il più bravo». Chi è il pilota oltrepadano che preferite? Giacomo: «Secondo me il pilota del Rally Paolo: «A me, oggi piace molto Canzian, Storico corre per puro divertimento e poi ha cercato e cerca di confrontarsi in tanti pensa al risultato, il pilota delle moderne contesti. Ha fatto molto». pensa al risultato e dopo al divertimento». Giacomo: «Tagliani, perché ha partecipato L’Oltrepò é sempre stata terra di Rally a trofei nazionali a gare del mondiale, ha e di piloti. L’ACI di Pavia ha avuto uno sempre corso in tanti rally oltre la nostra dei più grandi presidenti del rallismo zona”. italiano, Siro Pietro Quaroni, invento- Quest’anno ci saranno le votazioni del re di rally e di formule di rally come le nuovo presidente Aci, chiunque esso sia, ronde. Poi c’è stato un periodo di decli- cosa gli chiederesti di fare? no, ora con il nuovo presidente ci sono Paolo: «La prima cosa che gli chiederei di sintomi di rinascita. Cosa manca a tuo fare è di organizzare una gara moderna imgiudizio in Oltrepò per rafforzare e con- portante e mantenere il 4 Regioni Storico». tinuare questo cammino di rinascita? Giacomo: «Di creare un campionato soPaolo: «Manca un manager, un profes- ciale Aci a premi. Pagando un’iscrizione, sionista, che sappia coordinare sponsor e ma con la possibilità a fine anno di aver un comporre la gara. Non basta organizzare la premio in denaro per incrementare l’attivigara, deve esserci un percorso logico per tà sportiva di chi lo vince». gli stessi sponsor ed anche poter raggruppare gli interessi comuni di tutto quello che è il territorio». Giulia Vanarra


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BORGO PRIOLO

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Brasadè: «Venivano regalati ai cresimandi che li portavano in chiesa al polso» L’Oltrepò pavese ha una tradizione di cucina povera e contadina. Una cucina dove i dolci non erano quasi previsti, salvo i brasadè che sono dolci “non dolci”, ciambelle croccanti, buone da intingere nel latte che hanno la caratteristica di essere infilate con uno spago a formare una collana. Siamo andati ad intervistare Carla Bernini, titolare dell’omonimo forno in località Schizzola, frazione di Borgo Priolo, che ancora produce con ricetta originale i brasadè di Staghiglione, un prodotto De.co. dal 2006. Signora Carla, qual è l’origine di queste particolari ciambelle, i brasadè? «L’origine dei brasadè parte dal paese di Staghiglione, una piccola frazione postanel comune di Borgo Priolo, che è il paese di origine di mia mamma che si è trasferita qui a Schizzola dopo il matrimonio e ha portato con sé la ricetta originale. Le donne del paese appartenenti a circa 15 famiglie, le preparavano e le cuocevano nei forni a legna e poi le andavano a vendere nei mercati dell’Oltrepò e del Monferrato. Fino a non molto tempo fa ancora al mercato di Voghera, Broni e Casteggio si vedeva la signora con la sedia con i brasadè appesi e la tipica cesta» Quali caratteristiche hanno queste ciambelle? «Gli ingredienti dei brasadè sono semplici e naturali: farina, burro, strutto, un pizzico di sale, poco zucchero e un pizzico di lievito. Ottenuto l’impasto si formano le ciambelle di media dimensione e la caratteristica principale è che vengono sbollentate in acqua, fatte asciugare all’aria e poi cotte nel forno fino a doratura. Se ne infilano poi 11 in uno spago a formare una collana. Lo schema è identico da oltre cento anni: cinque ciambelle sono infilate con la parte piatta rivolta nello stesso verso, le altre cinque nel verso opposto. L’undicesima viene usata come fermaglio a cui si legano

i capi dello spago». I brasadè venivano regalati in particolari occasioni? «Secondo una ricerca fatta nel 2006 quando hanno ottenuto la denominazione De.co. i brasadè venivano regalati ai cresimandi che li portavano in chiesa al polso durante la messa. Da qui il nome “braccialetto” nel

nostro dialetto. Più brasadè c’erano nella collana, tanto più agiata era la famiglia del cresimando». Quindi mi diceva che sua mamma si è trasferita qui nel 1920 quando con suo papà ha aperto il forno per il pane e ha iniziato la produzione di questi dolci. Lei quando è subentrata nell’attività?

«Qui in paese nonostante Staghiglione sia a pochi chilometri, non conoscevano l’esistenza di queste ciambelle. Mia mamma ha iniziato a produrle e io poi, alla fine degli anni ’80, ho abbandonato il mio posto di impiegata per portare avanti l’attività di fornaio di mio padre Carlo e continuare la tradizione della produzione artigianale dei brasadè. Mia figlia Marta, che ora è perito agrario e collabora con me nel forno, ha iniziato ad aiutarmi quando tornava da scuola si è appassionata a questo lavoro e ha deciso di farne la sua attività. Ci svegliamo alle 6.30 e iniziamo ad impastare e a cuocere fino alle 19. La nostra produzione media è di circa cinquanta chili di brasadè al giorno, anche se nei periodi di festa si lavora molto di più» Non ha pensato, visto il successo della sua attività, di trasferirsi un po’ più a valle e farsi aiutare da qualche macchinario? «Assolutamente no. Stiamo bene qui nel nostro piccolo laboratorio vintage. Chi ama i nostri biscotti, ci viene a cercare sulle collina. Abbiamo ritmi che non vanno a braccetto con i processi industriali, preferiamo continuare con le nostre ciambelle, una diversa dall’altra. Non vogliamo snaturarci e perdere l’ artigianalità del piccolo forno di casa». Questo prodotto di nicchia ha anche una sagra dedicata? «Sì, ha detto bene, il brasadè è un prodotto di nicchia ma apprezzato da turisti ed intenditori di tutta la bassa Lombardia, Emilia e Piemonte. La sagra si tiene il lunedì di Pasqua a Staghiglione e richiama tantissimi visitatori che possono assaggiare i brasadè e vedere come sono prodotti. Ad assaggiare i famosi biscotti sono arrivati anche camminanti da Belgio e Olanda».

Gabriella Draghi


CUCINA

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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!

Gabriella Draghi

Il bacio di dama è un dolce tipico del nostro territorio in quanto, nato a Tortona, si è poi diffuso nelle zone limitrofe. Il suo nome sembra alludere alla forma curiosa data dall’unione dei due piccoli biscotti semisferici uniti al centro da una goccia di cioccolato mentre si congiungono in un bacio sensuale, come se fossero due bocche che si sfiorano. La ricetta di questo mese si ispira al tipico dolce per la forma ma viene realizzata in versione salata utilizzando ingredienti di prima qualità con un risultato finale di grande effetto.Utilizzeremo i pistacchi, un alimento ricco di vitamine e minerali e di grassi monoinsaturi che aiutano a regolare la quantità di colesterolo nel sangue e la mortadella, appetitosa molto saporita, spesso aromatizzata appunto con i pistacchi ai quali si abbina in modo fantastico. I baci salati che vi propongo sono ideali

per un aperitivo abbinati a un calice di Pinot grigio dell’Oltrepò pavese DOC o di Oltrepò pavese metodo classico DOCG Come si preparano: in una ciotola mettiamo la farina bianca, quella di pistacchi, il parmigiano grattugiato e mescoliamo. Aggiungiamo il burro morbido tagliato a fettine , il vino , un pizzico di sale e di pepe. Impastiamo con le mani fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Versiamo in una ciotolina la granella di pistacchi. Prendiamo un pezzetto di impasto e formiamo una pallina leggermente schiacciata da una parte. Passiamo solo un lato della pallina sulla granella di pistacchi premendo leggermente. Otterremo 24 palline che metteremo su di una teglia ricoperta da carta da forno. Cuociamo i nostri baci in forno caldo a170°C per circa 15 minuti. Nel frattempo prepariamo la mousse. Mettiamo nel bicchiere del mixer la mortadella tagliata a pezzetti e la robiola e frulliamo fino ad ottenere una mousse liscia e omogenea. Quando i nostri baci sono pronti, li togliamo dal forno e li facciamo raffreddare. Con il composto alla mortadella riempiamo una sac à poche , mettiamo una quantità abbondante di mousse su di una metà del bacio e chiudiamo delicatamente con l’altra metà. Adagiamo i nostri baci su di un piatto e siamo pronti per un aperitivo cheap but chic!!! Gabriella Draghi

Ingredienti per 12 baci: per l’impasto: 75 g di farina 00 30 g di farina di pistacchi 40 g di burro morbido 40 g di parmigiano reggiano grattugiato 3 cucchiai di vino bianco 1 pizzico di sale e pepe granella di pistacchi q.b. per la mousse: 100 g di mortadella al pistacchio tagliata in una sola fetta 80 g di robiola


BRESSANA BOTTARONE

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«68mila euro per nove posti auto... Si sarebbe potuto fare di meglio» I cittadini di Bressana Bottarone sono sempre più confusi e si chiedono cosa succeda, veramente, nella Casa Comunale di piazza Guglielmo Marconi. Le versioni proposte dalla maggioranza e dalla minoranza circa l’andamento della macchina amministrativa sono, infatti, diametralmente opposte: per il primo gruppo Bressana è un paese moderno ed esemplare; per l’opposizione si tratta invece di un disastro sotto tutti i punti di vista. Ed è proprio con la minoranza che siamo tornati a parlare. Filippo Droschi e Felice Ciardiello erano stati avversari alle ultime elezioni, ma sono riusciti a convergere sulla stessa linea per cercare di unire un paese che ha sempre più bisogno di trovare punti fermi, certezze in vista dei prossimi anni. I due sono più affiatati che mai: li abbiamo incontrati, insieme alla consigliera Daniela Guardamagna, per fare il punto della situazione.

re indennizzo per il terreno espropriato, si troverà una nuova recinzione per la propria area». Cosa è stato realizzato in particolare? «In origine la recinzione, fatiscente, era dotata di una rete plastificata e di un cancello carraio posto sul lato nord della proprietà; il progetto prevede, invece, una recinzione costituita da muretti in calcestruzzo con una rete plastificata soprastante. Inoltre, un doppio accesso carraio e nicchie per la posa di nuovi contatori (il terreno in questione è edificabile). Questo riteniamo sia un progetto realizzato a vantaggio di un solo cittadino, e non al servizio di tutti! Se consideriamo poi il costo del progetto, pari a 68mila euro per nove posti auto, e il tempo impiegato per lo studio, crediamo che si sarebbe potuto fare di meglio e qualche parcheggio in più». È stato il fallimento principale dell’attuale amministrazione?

Filippo Droschi e Felice Ciardiello, consiglieri di minoranza Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati: l’acquisizione e la successiva risistemazione di via Depretis. Un salasso per le casse comunali, dato che il conto finale è ammontato a 600mila euro. Cosa è successo recentemente? «Dopo un anno e mezzo dalla riqualificazione di via Depretis, nella quale sono stati eliminati i parcheggi ai lati della carreggiata, si è proceduto finalmente alla realizzazione di nuovi posti auto in prossimità delle banche e della farmacia. Analizzando dapprima il progetto e visionando quanto è stato finora realizzato, ci siamo resi conto però che il parcheggio verrà realizzato in prossimità di una doppia curva; inoltre, una parte consistente dei lavori riguarda la realizzazione di una nuova recinzione che, anche se realizzata su area pubblica, va a delimitare l’area di un soggetto privato, il quale, oltre ad aver già percepito regola-

«Il punto più basso lo abbiamo toccato con uno studio di fattibilità per il nuovo plesso scolastico, che è costato 90mila euro e quasi certamente non verrà realizzato. La sindaca voleva costruire una nuova struttura, qui a Bressana, per una spesa di circa 5 milioni, che avrebbe assorbito anche gli studenti dei paesi vicini. In pratica, avrebbero dovuto chiudere tutte le scuole dei comuni qui intorno: Verrua, Rea… Questa idea non è stata nemmeno valutata con gli altri sindaci del circondario, che ovviamente non avrebbero avuto nessun interesse e non hanno mai aderito! Quindi questi 90mila euro sono stati proprio “buttati”, e non si tratta nemmeno di un progetto fatto e finito. Inoltre, in assenza di finanziamenti esterni, pare che la sindaca sarebbe stata disposta a far uscire quei 5 milioni direttamente dalle casse comunali».

Il dialogo con le altre amministrazioni comunali della zona sembra essere in crisi. Cosa ne è stato delle Convenzioni dei Comuni? «All’indomani delle elezioni la sindaca aveva dichiarato che il suo obiettivo, entro un anno, era quello di creare convenzioni con i Comuni a noi confinanti ed arrivare a 10mila cittadini. Ha sempre detto che si trattava di un punto fondamentale. Ad oggi, con l’ultima defezione di Mezzanino, insieme a Bressana resta la sola Bastida Pancarana. Questo per colpa di un’incapacità nel creare e nel mantenere i rapporti umani con le persone, in particolare con gli altri amministratori. È successo, secondo noi, che qualcuno si sia sentito un po’ “scavalcato”, in alcune occasioni. I rapporti si sono rotti nonostante queste convenzioni nascessero anche per sopperire a determinate esigenze; non a caso abbiamo sentito parlare tanto, in questi anni, di solidarietà. Come, per esempio, quella del servizio di Polizia Locale, che era assente in altri comuni. Noi avevamo previsto che sarebbe finita così». Un modo come un altro per reinvestire parte dei proventi delle sanzioni, visto anche che l’autovelox posto sulla strada provinciale assicura cospicui introiti anche al vostro comune… «La cosa più grave è che la sindaca ha sempre criticato l’amministrazione precedente dicendo che il loro bilancio era basato esclusivamente sull’entrate derivanti dalle multe. Una volta andata al governo, lei ha fatto lo stesso. Anzi: ha fatto di più». Quello del Comune di Bressana, comunque, è un bilancio che permette ampi margini di spesa all’amministrazione. Si nota, in particolare, una certa attenzione nei confronti dell’associazionismo locale, assistito con importanti contributi. Come giudicate questi investimenti? «Nel 2017 sono stati elargiti contributi a quasi tutte le associazioni: Pro Loco, gruppo di Taekwondo, Comitato Asti-Senegal, Bressana Calcio, etc.etc. Tutte le associazioni presenti sul territorio, e anche esterne, percepiscono tutto quello che richiedo-

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no. Gli unici a farne le spese sono stati l’Auser, il cui contributo è stato ridotto notevolmente, e la bocciofila. Da noi si svolge ogni anno un torneo di bocce che vede la presenza di un notevole numero di partecipanti che prende il nome del nostro paese; tutte le volte che il presidente della bocciofila ha chiesto un contributo per acquistare una semplice coppa o delle medaglie, gli è stato risposto che non era possibile. Contributi che per gli altri ci sono sempre…». Beneficiano di lauti contributi anche cooperative e O.n.l.u.s. che, a vario titolo, collaborano con il Comune. «È stata realizzata dall’Amministrazione una convenzione con il centro multiculturale “La Mongolfiera”, che di fatto offre uno sportello per l’integrazione degli immigrati. Si tratta di una costola dell’associazione ONLUS “Con-tatto”, che collabora con la biblioteca di Bressana e ci costa circa 7.500 euro l’anno. Ma i soldi percepiti dalla Cooperativa sono molti di più: circa 12mila euro, a fronte di varie attività dirette ai cittadini. Le amministrazioni precedenti non hanno mai utilizzato così tante risorse per finanziare attività esterne. Fra l’altro, la presidentessa di questa cooperativa era candidata in lista con Torretta alle elezioni del 2009… questo è un dato di fatto». Cosa dovrebbe fare, secondo la vostra opinione, la sindaca Torretta per invertire la tendenza che denunciate? Credete si possano ritrovare dei punti di convergenza? «Si potrebbe migliorare certo il tiro, ma conoscendola non lo farà. Speriamo, anzi, che non peggiori. Noi siamo terrorizzati da questa possibilità. In campagna elettorale si presentava come una persona estremamente competente sul funzionamento della macchina comunale, invece si è rivelata una grande delusione. E pensare che nel 2013 (durante l’amministrazione Rovati) Bressana era il comune più virtuoso della provincia di Pavia dal punto di vista dei conti pubblici».

«In campagna elettorale si presentava come una persona estremamente competente sul funzionamento della macchina comunale, invece si è rivelata una grande delusione... E pensare che nel 2013 (durante l’amministrazione Rovati) Bressana era il comune più virtuoso della provincia di Pavia dal punto di vista dei conti pubblici».

Pier Luigi Feltri



PRIMO PIANO

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Logistiche nel caos, i Cobas: «Situazioni di sfruttamento»

Marco Villani, Segretario provinciale Cobas

Negli ultimi anni un gran numero di posti di lavoro è venuto a crearsi nel settore della logistica. Grandi realtà sono sorte, in particolare, nell’Oltrepò orientale. Insieme a questa crescita sono venute a verificarsi, tuttavia, situazioni di conflitto fra le aziende e i lavoratori: per questa ragione ha preso, via via, sempre più diffusione la realtà del SI-Cobas, il sindacato indipendente che, contrariamente alle più tradizionali sigle confederali, non è organizzato con una struttura verticistica, ma consiste di cellule indipendenti all’interno delle varie strutture produttive. Il segretario provinciale dei Cobas pavesi è Marco Villani. Quando sono emersi i primi problemi nel nostro territorio e, di conseguenza, quando sono nati i primi Comitati di Base? «Abbiamo iniziato la nostra attività alla fine degli anni 2000, dal 2009 in avanti. Fin dall’inizio all’interno del settore logistica abbiamo trovato situazioni difficili, di sfruttamento. Negli ultimi anni, però, c’è stata una sanificazione, una tendenza al miglioramento anche dove noi non siamo presenti, ma dove comunque hanno iniziato ad applicarsi quei punti che erano stati oggetto delle nostre battaglie». Qual è lo scopo delle vostre rivendicazioni? «Il nostro scopo è stato far applicare il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (C.C.N.L.), sottoscritto da CGIL, CISL e UIL. Accordi che fondamentalmente le stesse organizzazioni non si preoccupavano fossero applicati doverosamente. Paradossalmente ci siamo trovati a dover far applicare il contratto delle sigle sindacali con le quali ci eravamo trovati a confliggere spesso…». Quali cambiamenti si sono registrati, negli ultimi anni, sul nostro territorio? «L’ Oltrepò si trova vicino alla provincia di Piacenza, dove risiedono i complessi logistici di maggiore rilievo. Non è un caso che molte aziende abbiano trasferito i loro interessi lì, come la Feltrinelli e la Monda-

dori. La CEVA, a Stradella, gestisce il magazzino principale di questi due colossi: da lì i libri vengono inviati ai clienti, librerie e grossisti. Chi investe in questo settore capisce che avere le proprie strutture a ridosso del polo di Piacenza è più conveniente. H&M è un’altra grande azienda che ha deciso di investire in questo polo logistico, ponendo a Stradella quella che una della sue attività prevalenti: la gestione dell’ecommerce». Quali criticità si sono verificate in queste realtà? «All’H&M di Stradella uno dei problemi principali che ci siamo trovati ad affrontare era relativo al fatto che, secondo l’azienda, il settore dell’e-commerce fosse scarsamente prevedibile. I lavoratori si trovavano a dover lavorare quasi a chiamata. Un sms la sera prima li avvisava di presentarsi, l’indomani, alle 4 del mattino per l’inizio del turno. È chiaro che una madre di famiglia non poteva far altro che buttare improvvisamente all’aria quello che stava facendo, quindi i suoi impegni familiari, per poter dormire qualche ora. È sempre stata una tendenza delle cooperative, quella di elasticizzare all’estremo la disponibilità degli operai. Passando, magari, da giorni in sui si lavorava 15 ore al giorno a giorni in cui, dopo 3 ore, veniva detto loro di andare a casa». Si sono registrati momenti difficili… «C’era stato un periodo, ad aprile del 2016, in cui gli operai avevano lavorato tre settimane consecutive per 12 ore al giorno, senza alcun giorno di riposo». Certo, però, che in particolari periodi, come quello pre-natalizio, l’attività di queste strutture subisce variazioni importanti che non possono non ripercuotersi anche sulle richieste da effettuarsi ai dipendenti… «Devo ammettere che si tratta di un settore particolare, dove è necessario trovare dei piccoli regimi di flessibilità. Penso ancora ad H&M, per esempio. Il nodo rimane il fatto che troppo spesso le ore di straordinario richieste sono, in realtà, obbligatorie. Rispetto all’assoluta mancanza di regole che c’era prima, la situazione tutto sommato oggi è migliorata. Le lotte che abbiamo fatto hanno inciso sulla parte padronale: si sono dovuti adeguare, rimettendo al centro le necessità del lavoratore in quanto essere umano, che necessita di riposo, di relazioni sociali, ma anche della lucidità che gli serve nella vita fuori dal magazzino». C’è poi la questione della precarietà… «Un altro problema delle cooperative che operano in questa settore, per esempio la CEVA ma anche H&M, era l’estrema precarietà della maggior parte degli operai, che lavorava era a tempo determinato. Coloro che giungevano ai termini massimi di proroga dei propri contratti di lavoro (termini raggiunti i quali avrebbero dovuto essere assunti a tempo indeterminato), venivano spesso lasciati a casa per poi essere

«I lavoratori si trovavano a dover lavorare quasi a chiamata. Un sms la sera prima li avvisava di presentarsi, l’indomani, alle 4 del mattino per l’inizio del turno. È chiaro che una madre di famiglia non poteva far altro che buttare improvvisamente all’aria quello che stava facendo, quindi i suoi impegni familiari, per poter dormire qualche ora».

riassunti e ricominciare da zero. Su questo punto le cooperative avevano sempre fatto affidamento. Sia alla CEVA che ad H&M c’erano quote di precari molto maggiori di quanto stabilito dai contratti collettivi. Ora i parametri sono in linea, invece». Come si sono svolte le vostre proteste? «L’unico modo per incidere e manifestare le proprie istanze in maniera tale da poter portare a casa risultati, in questo settore, è quello di bloccare le merci, di impedire il transito». Nelle ultime settimane si è intensificata, in particolare, la presenza del Si-Cobas all’interno dell’azienda GDN di San Cipriano Po, bloccata da più scioperi. Qual è la situazione attuale? «In quell’azienda, come succedeva prima anche presso la CEVA, tanto per fare un esempio, la cooperativa che lavora in appalto non applica il normale C.C.N.L. del settore, ma un altro contratto sottoscritto dalla sola UGL e da UniCoop. Questo contratto è fortemente penalizzante rispetto alle condizioni della maggior parte del personale impiegato nella logistica. Il salario di base è molto basso e non c’è possibilità ottenere cifre superiori a 1290 euro lordi, che al netto diventano 800/900 euro al mese. Oltretutto vengono richieste obbligatoriamente ore di straordinario finché non si esaurisce il carico di lavoro, e abbiamo visto persone lavorare dalle 9 fino alle 23». Si tratterebbe di carichi superiori ai limiti consentiti. «Qui è innegabile che si lavori per 300 ore al mese, quasi più del doppio del tetto mas-

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simo previsto dal C.C.N.L.. Non vengono neppure contabilizzate, quelle ore: si conteggiano in maniera forfettaria e vengono pagate con un bonifico separato rispetto a quello dello stipendio. Da un certo punto di vista il lavoratore si presta anche volentieri, se non prende coscienza che l’applicazione integrale del C.C.N.L. gli consentirebbe di avere una piena retribuzione più che dignitosa, anche senza lavorare 300 ore al mese. Inoltre, chi lavora in GDN da 10 anni non ha mai maturato scatti di anzianità, perché ogni due anni cambia la cooperativa e va perso ogni diritto». Non si tratta dell’unica questione pendente… «C’è stata una nostra denuncia in Procura. Durante un sopralluogo, l’Ispettorato del lavoro (con il quale i rappresentanti sindacali sono in costante contatto) ha chiesto ai lavoratori quante ore effettivamente svolgessero. Giocando d’anticipo, l’azienda aveva fatto sottoscrivere ai dipendenti un documento in cui dichiaravano di non lavorare mai oltre l’orario ordinario. Questo è parossistico, oltretutto, perché lo straordinario non è fuori legge, anzi; solo va mantenuto entro i limiti consentiti. Alcuni lavoratori non avevano interesse a fare dichiarazioni mendaci, dato che non hanno mai lavorato per sole otto ore. L’Ispettore del Lavoro ha contattato il nostro delegato ed è emerso che c’erano una quindicina di fogli con delle firme che non erano mai state apposte, e che quindi erano false». Pensate di espandere in qualche modo la vostra attività sul territorio, oppure quella delle rivendicazioni è un’onda già in movimento autonomo? «Sono i lavoratori che vengono da noi. La maggior parte, ma non tutti, avvertono la necessità di rappresentarsi sindacalmente, anche se non hanno pericoli nell’immediato. In molti casi arrivano da noi dopo aver passato anni sottoposti a questo tipo di condizioni, e magari dopo essersi ribellati senza alcun tipo di criterio, in maniera scomposta, e quindi dopo averne fatto le spese; a volte sono già a rischio di licenziamento». Vi è capitato di entrare in contatto con alcuni politici locali? Ci sono state manifestazioni di interesse alle vostre lotte da parte di qualche esponente? «Non ho mai interagito con nessun politico locale. Sono abbastanza assertore, come la nostra organizzazione, dell’autonomia della classe operaia. Credo molto di più nella solidarietà fra i lavoratori. La partecipazione dei lavoratori è imprescindibile per la nostra pratica, più che la partecipazione della autorità e delle amministrazioni. A me ha fatto molto piacere, in occasione della manifestazione alla GDN, che alle 11 di sera siano passati i lavoratori di aziende vicine per venire a portarci la loro solidarietà. È molto più importante». Pier Luigi Feltri


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«C’è gente che ha deciso di venire a vivere qui ma controbilanciano coloro che se ne vanno» Claudio Segni, classe 1956, fa parte del piccolo comune di Rea fin dal lontano 1990, anno in cui fu eletto per la prima volta sindaco. Si tratta della quinta legislatura per questo primo cittadino che ha vestito l’incarico dal 90 al 2004 e dal 2009 ad oggi. Il piccolo paese dell’Oltrepò rimane un luogo abbastanza facile da governare, anche per il basso numero di abitanti: sono infatti poco più di quattrocento le persone che popolano Rea.

Claudio Segni, sindaco di Rea Come è cambiato il paese da quando lei è primo cittadino? «Il paese, come tutti quelli piccoli, diminuisce di abitanti e invecchia come età media degli abitanti stessi. Questo è purtroppo un dato di fatto di tutti i piccoli comuni. Grossi stravolgimenti, a parte questa naturale evoluzione, non ce ne sono stati». Il paese ha via via registrato un notevole calo demografico, se si pensa che negli anni ‘30 la popolazione era formata da circa 1100 abitanti e invece adesso ce ne sono meno della metà…c’è un’inversio-

ne di tendenza oppure sempre più persone decidono di lasciare Rea? «Devo dire che in realtà negli ultimi anni è arrivato anche qualcuno da fuori… Il problema è sempre il solito e cioè che sono i giovani che se ne vanno, soprattutto per motivi di studio e per inseguire lavori che si trovano nelle grandi città, come Pavia e ancora di più Milano. Ripeto, c’è gente che ha deciso di venire a vivere qui… ma controbilanciano coloro che se ne vanno». Possiamo definire Rea come un paese molto tranquillo. «Sì, non abbiamo problemi di ordine pubblico. L’unica grande difficoltà che ci troviamo a dover gestire, insieme agli altri paesi del fiume Po, è la bruttissima abitudine ad abbandonare i rifiuti lungo le rive del fiume. è una piaga che ci tortura da anni ed è anche una battaglia persa, perché non si riesce proprio a far capire che non si deve fare. Va anche di moda abbandonare l’eternit…». è tipico dei piccoli paesi avere una sorta di condivisione di servizi con altre realtà comunali. Succede anche da voi? «Noi abbiamo un’unione di servizi con il comune di Verrua Po: praticamente tutte le funzioni fondamentali e non solo, sono gestite in unione». è da tanto che siete in unione con Verrua? «Storicamente che mi ricordi io abbiamo sempre gestito una serie di servizi in comune con loro, tramite consorzi, convenzioni… Poi verso il 2008/2009 abbiamo trasformato queste convenzioni che avevamo in unione di comuni, quindi sono quasi dieci anni che stiamo operando insieme. Le cose funzionano bene.». Il bilancio dell’anno appena trascorso com’è?

«L’anno scorso siamo riusciti finalmente a portare avanti l’efficientamento energetico dell’edificio comunale. Necessitava di manutenzione, in quanto vecchio e malconcio, e siamo riusciti, con il finanziamento comunitario per l’efficientamento degli edifici pubblici, a ridare un po’ di lustro al palazzo comunale. Anche perché si tratta di un luogo dove si trova anche l’ambulatorio medico, il dispensario farmaceutico, l’ufficio per le associazioni… come succede in tutti i piccoli paesi». Ci sono stati invece progetti che non si sono realizzati e che avete rimandato? «Noi quest’anno spereremmo di poter mettere mano ad alcuni tratti di strada che sono veramente messi male. Purtroppo abbiamo l’handicap di avere le nostre vie di comunicazione sul Po e sono già instabili di per sé… Questo è un nostro obiettivo per il 2018 perché siamo quasi al collasso. Per quanto riguarda invece la parte degli eventi, diciamo che abbiamo una bella proloco che durante l’estate organizza qualche manifestazione e poi c’è l’Auser, con cui abbiamo una serie di convenzioni, che si occupa del sociale e della vita dei nostri tanti anziani. è una cosa davvero molto importante.». A Rea è ancora presente la storica fabbrica dei costumi di carnevale…è una realtà imprenditoriale importante che è sopravvissuta anche ad anni difficili. «Non solo è sopravvissuta, ma si è anche ingrandita. Funziona sempre molto bene. Naturalmente non solo con manodopera del posto, perché le loro esigenze sono superiori. Per il nostro territorio, per il micromondo dei paesi che gravitano qui attorno, questa è una valvola di sfogo occupazionale importante, anche perché la stragrande maggioranza della manodopera è femmi-

«L’unica grande difficoltà che ci troviamo a dover gestire... è la bruttissima abitudine ad abbandonare i rifiuti lungo le rive del fiume. è una piaga che ci tortura da anni ed è anche una battaglia persa, perché non si riesce proprio a far capire che non si deve fare».

nile… quindi si risolve ance il problema del lavoro delle donne». Nel 2019 ci saranno le elezioni: che scenario intravede? «Al momento non ci ho ancora pensato, onestamente! La voglia di fare il sindaco me la sono già tolta… Ma dipenderà da un sacco di cose, a partire dalla squadra che c’è e bisogna vedere se ci sarà ancora. Se ci sarà ancora la voglia da parte di tutti di fare qualcosa». Elisa Ajelli


BRONI

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«L’amministrazione comunale precedente all’inizio aveva cercato di dissuadermi…» Avani – Associazione Vittime Amianto Nazionale Italiana - nasce nel mese di novembre del 2008, per volontà del fondatore Silvio Mingrino che, dopo aver perso entrambi i genitori a causa del mesotelioma pleurico, decide di istituire questa associazione che svolge la propria attività ai fini di solidarietà nei confronti di chi, come gli stessi fondatori, si ritrova partecipe in una storia di grande dolore. «Ho perso mio padre, ex lavoratore Fibronit, nel 1999 e mia mamma nel 2008 perché lavava i panni di mio padre. Il fatto che ci siano stati due decessi per lo stesso motivo in casa mia mi ha spinto ad andare a vedere più a fondo. Mi ha incuriosito questa cosa e poi si è aggiunta anche la rabbia: ho voluto però trasformare la rabbia in energia e ho scelto di creare questa associazione, insieme a mia sorella, a due avvocati di Pavia e ad un’altra persona. L’amministrazione comunale precedente all’inizio aveva cercato di dissuadermi…». Perché? «Per la paura di perdere il valore delle case, per la paura per l’agricoltura e i vini…tutto il discorso dell’economia insomma. Noi siamo il territorio più contaminato: questo è emerso chiaramente anche nel 2012 durante la seconda conferenza nazionale governativa che si è tenuta a Venezia. Anche rispetto a Casale Monferrato siamo più alti come percentuale di decessi. Questo fa sì che purtroppo delle 1300 persone che lavoravano alla Fibronit, la maggior parte siano morte per questa patologia del mesotelioma pleurico. E non solo chi lavorava lì…come per esempio mia mamma. A me questa cosa sembrava strana e sono andato a confrontarmi con altri… ho scoperto così di non essere l’unico ad avere avuto lutti del genere, ma la differenza è che altri stavano zitti, hanno elaborato il lutto e il dolore in modo diverso, hanno preferito tacere e dimenticare, hanno preferito cercare di non accentuare il discorso, forse perché parlarne provocava dolore». Lei ha voluto fare altro invece… «Sì, ho voluto fare qualcosa di diverso, coinvolgendo altre persone colpite… adesso siamo un’associazione di 76 persone, un gruppo attivo di 16 persone, un direttivo di 5. Abbiamo una sottocommissione tecnico-scientifica composta da persone del settore, anche di un medico dell’Ats ormai in pensione. Abbiamo anche una sottocommissione medico-scientifica e attraverso il sito e le mail veniamo contattati spesso: riusciamo quindi a dare, grazie alla commissione, delle informazioni e dei consigli medici. Una cosa essenziale che voglio dire è che noi siamo riusciti a stimolare, a stressare, a farci odiare… ma a portare alla luce questo argomento. Qui a Broni, se andiamo a vedere nelle famiglie bronesi d’origine, ognuna di esse è stata colpita. Mediamente muoiono 50 persone all’anno nella provincia di Pavia, un numero altissimo».

Staticamente Broni come è messa? «Molto male… nell’anno 2016 su 35 decessi, 9 erano solo a Broni. è assurdo se pensiamo che c’è tantissima notizia da parte dei media quando muore una persona per una causa strana, tipo l’ebola… e qui è come se avessimo un killer che tutte le settimane ammazza qualcuno e se ne sono strafregati tutti… anche dal punto di vista della giustizia…». è di poche settimane fa infatti la notizia dell’assoluzione dei dirigenti ex Fibronit… «Otto anni di indagini preliminari: è datata 2004 la prima denuncia dei carabinieri, il primo esposto… poi si arriva al 2012 a fare la prima udienza preliminare a Voghera. Del Pozzo e Boccini erano stati condannati a 4 anni in primo grado con rito abbreviato per disastro e omicidio colposo. In appello c’era stata la dichiarazione di prescrizione per il reato di disastro e l’assoluzione per l’ipotesi di omicidio. E finiamo poi al dicembre scorso a Roma, dove c’è stata la sentenza in cassazione che ha confermato la sentenza dell’appello… quindi assoluzione piena per i due ex manager. Siamo all’assurdo con la giustizia italiana: in proporzione se una persona ruba una gallina viene processata e condannata, per un omicidio colposo viene assolto. Io purtroppo sono sicuro al cento per cento che non avremo giustizia».

me della strada. Altra cosa invece riguarda il rimborso Inail, rendita che spetta di diritto se viene riconosciuta la malattia professionale. Se invece non viene riconosciuta la malattia professionale, Inail ha creato un ulteriore fondo per dare 5600 euro una tantum a una persona che va in ospedale e gli viene diagnosticato il mesotelioma pleurico. Fino all’anno scorso questo accadeva solo se si era in vita, adesso invece, dopo nostra richiesta, viene dato, in caso di morte, agli eredi. Ho chiesto inoltre al ministero che quella della casalinga fosse riconosciuta come professione». E il fondo nazionale che ha chiesto? «Quello spetta al governo farlo… come esiste in Francia, per esempio. è stata presentata una sorta di interpellanza da due senatori, ma è ancora tutto fermo… C’è in effetti la possibilità di fare qualcosa, ma bisogna davvero iniziare a martellare e ad andare a Roma. Ci rivolgeremo anche a Bruxelles, al Parlamento Europeo: magari non risolveremo niente, ma intanto farà da cassa di risonanza…». Con il comune di Broni come sono i rapporti? «Siamo in piena collaborazione con il sindaco Riviezzi, siamo molto in sintonia. Anche l’ex sindaco comunque, nell’ultimo periodo del suo mandato, si era adattato…». In questi anni cosa avete ottenuto?

Silvio Mingrino, fondatore Associazione Vittime Amianto. Entrambi i suoi genitori sono morti di mesotelioma Come avete reagito all’assoluzione? Ve la aspettavate? «Il nostro avvocato ci aveva tranquillamente detto di aspettarcelo…». E i rimborsi che spettano alle vittime o ai familiari? «Si potrebbe fare la causa civile. Io nella terza conferenza nazionale governativa ho chiesto se si poteva costituire un fondo nazionale per una raccolta fondi, da mettere a disposizione, così come c’è il fondo vitti-

«Avani ha ottenuto tantissimo a mio parere. Ha squarciato il velo del silenzio, ha fatto sì che si parlasse molto di più di questo problema, ha fatto sì che venisse aperto un centro per le cure del mesotelioma, che la ricerca si interessasse a questa malattia, ha portato sui media nazionali e al governo il problema di Broni…prima si parlava solo di Casale Monferrato, ora non più. Come dicevo prima, abbiamo istituito le commissioni medico e tecnico scientifiche,

Associazione Vittime Amianto Nazionale Italiana: «è assurdo se pensiamo che c’è tantissima notizia da parte dei media quando muore una persona per una causa strana, tipo l’ebola… e qui è come se avessimo un killer che tutte le settimane ammazza qualcuno e se ne sono strafregati tutti… anche dal punto di vista della giustizia…». in modo che le persone sappiano come interfacciarsi con le istituzioni, come smaltire l’amianto… Abbiamo fatto prendere anche soldi e risarcimenti alle famiglie per il discorso delle malattie professionali. E finalmente dopo 9 anni abbiamo inoltre ottenuto l’apertura dello sportello amianto in Broni e facciamo parte dello sportello nazionale amianto. Noi ci diamo davvero da fare». I vostri incontri come sono strutturati? «Non c’è una vera e propria calendarizzazione. Ci sono però eventi fissi, come la Messa il 28 aprile, durante la giornata mondiale vittime amianto, il concerto di Natale, la Messa a novembre. E poi ci sono incontri che crea il coordinamento nazionale amianto e a cui cerchiamo di partecipare tutti. Noi facciamo parte di questo coordinamento ma agiamo e operiamo in totale libertà». Con la Regione invece i rapporti come sono? «Potrebbero fare molto di più. Adesso Ciocca si sta interessando, Maroni invece ha fatto promesse che non ha mantenuto». A breve ci saranno le elezioni: pensa che possa cambiare qualcosa? «Sicuramente questo è il momento in cui andare a battere cassa…e cercare di ottenere qualcosa in più. Ci si prova, ma se non ci sarà la volontà dalla parte politica bisognerà davvero riunirsi tutti e andare a fare casino». Elisa Ajelli



CIGOGNOLA

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«Non possiamo illuderci che il grande evento o l’Enoteca Regionale cambino da soli le cose» Nuove telecamere, nuove assunzioni di personale, oculati lavori pubblici: questi gli impegni attuali dell’amministrazione comunale di Cigognola. Con il sindaco Marco Fabio Musselli abbiamo fatto il punto sulle attività, che guardano con attenzione anche alla situazione ambientale e con qualche preoccupazione al futuro del mondo vitivinicolo. Sindaco, prosegue il vostro impegno per la sicurezza: la posa di nuove telecamere è ormai in dirittura d’arrivo. Saranno soddisfatti i suoi concittadini… «Tutti i varchi delle strade comunali e provinciali saranno monitorate dalle telecamere: finalmente avremo tutti gli ingressi sotto controllo. Alcune telecamere, inoltre, sono in grado di leggere le targhe degli autoveicoli. Questo intervento, che era anche nel nostro programma elettorale, vale 150mila euro. L’abbiamo fatto di nostra istanza; pensiamo così, in questo modo, di poter dare una mano anche alle Forze dell’Ordine. Sappiamo che non sarà risolutivo ma sicuramente il sistema contribuisce a migliorare la sicurezza sul territorio». Nel 2017 avete assunto un nuovo agente di Polizia Locale, e nel 2018 si prevedono altre novità nell’organico: siete infatti in cerca di un nuovo cantoniere. «Il suo lavoro principale sarà quello del cantoniere, visto che possiamo contare su diverse attrezzature: per esempio abbiamo una terna, un trattore con la lama per la neve, quindi siamo in grado di realizzare in autonomia tutti una serie di lavori, che vanno dalla manutenzione dei fossi alla pulizia delle strade. Facciamo lavori collegati anche alla Protezione Civile». Secondo le richieste del bando, questo nuovo dipendente potrebbe occuparsi anche del trasporto scolastico, attualmente esternalizzato… «è stato richiesto che abbia anche la patente necessaria. Oggi, infatti, il servizio scuolabus è esternalizzato, ma se un domani dovesse servire un cambio di rotta potremo fare affidamento anche questa possibilità. Noi abbiamo uno scuolabus di proprietà, che abbiamo affittato a chi ci fa il servizio. Se dovesse per qualunque motivo cambiare qualcosa, saremo in grado di gestire comunque il trasporto degli alunni». Questi due nuovi innesti non potranno che far bene al suo Comune. È soddisfatto dei suoi dipendenti? «Bè direi di sì, assolutamente. Molto soddisfatto. D’altra parte, ho una squadra che conosco da oltre vent’anni, visto che avevo fatto il sindaco già dal 1995 al 2004. Poi mi sono “disintossicato” e sono rientrato quattro anni fa». Quali lavori pubblici avete in programma per il 2018? «Quest’anno vedremo di chiudere la sistemazione del parco feste, e i lavori nella piazza. Per quanto riguarda le strade, abbiamo fatto alcune manutenzioni nel 2017

e cercheremo di proseguire nel 2018». Cigognola è uno dei pochi comuni di piccole dimensioni all’interno del quale esiste un gruppo consiliare del Movimento Cinque Stelle. Come giudica questa esperienza e i rapporti con i suoi esponenti? «Trattandosi di un piccolo comune, ci conosciamo tutti da quando siamo nati, quindi c’è un rapporto anche personale che mitiga le tensioni. Certo, li posso ritenere come gruppo poco propositivi: molto critici, ma senza che offrano soluzioni. Se uno mi dice che la raccolta differenziata va svolta in modo diverso, uscendo dalla Broni-Stradella, io rispondo: va bene, portami un progetto. Invece la cosa finisce lì. Le loro proposte negli ultimi quattro anni sono piuttosto limitate, se non mancanti del tutto, dal punto di vista del “come”». Fra le proposte dei 5 Stelle, l’ultima è quella di istituire un Albo del Volontariato civico. «Ma noi abbiamo già da tanto tempo la leva civica. Cigognola ha una storicità, 20 anni fa parlavamo già di lavori socialmente utili. Poi se vogliamo cambiare il nome, cambiamolo… Queste esperienze esistono già a livello nazionale, e si possono fare bene, ma all’interno del territorio va vista bene la loro fattibilità. Fare volontariato non vuole dire che uno si sveglia al mattino e decide che cosa fare. Stiamo comunque parlando di un ente pubblico, non del vicino di casa che viene a tagliarti l’erba del giardino». Avete rinnovato, di recente, anche la convenzione che vi consente di utilizzare fino a tre persone condannate per reati minori, al fine di svolgere lavori socialmente utili. «Abbiamo un accordo con il tribunale che riguarda condanne lievi, relative al Codice della Strada. Con questa convenzione possiamo inserire a disposizione qualche persona, ogni tanto». Avete utilizzato spesso questo strumento in passato? Giudica positivamente questa esperienza? «Lo abbiamo utilizzato qualche volta, l’anno scorso in due o tre casi. Tutto è utile: permette, se c’è la volontà di migliorarsi da parte di chi è inciampato, di fare qualcosa di utile per la società. Comunque, dobbiamo ricordarci sempre che ogni uomo è diverso dall’altro. Si deve creare un rapporto con alla base lo scambio umano». Tutti gli amministratori, lei compreso, hanno deciso di rinunciare agli emolumenti. Dove avete deciso di destinarli? «Si tratta di circa 20mila euro. Non abbiamo definito a chi darli in particolare, perché non mi piace il puro assistenzialismo. La quota è stata inserita all’interno del bilancio, che non definisce a priori a chi andranno. Ma di certo nel corso dell’anno si trovano numerosi destinatari. Oggi non si fa fatica a trovare come spendere soldi nel sociale».

Esattamente un anno fa si parlava della chiusura del centro commerciale Iper Dì e del licenziamento di 37 lavoratori; diversi, immagino, residenti a Cigognola. Ora le acque si sono calmate? «Tutti i lavoratori sono stati riassorbiti dall’impresa, per il momento. C’è stata anche la riapertura di alcuni negozi negli ultimi tempi, si sta riproponendo un certo giro positivo. Fra i lavoratori ce ne sono diversi che sono nostri concittadini, gli altri provengono comunque dai comuni limitrofi». Un’altra emergenza del nostro territorio è quella ambientale: quanto accaduto a Corteolona il 3 gennaio è solo l’ultimo campanello di allarme. Sul territorio di Cigognola c’è un’azienda, la Xilopan, che si occupa anche di rifiuti ed è giudicata a rischio di incendi rilevanti. Voi monitorate la situazione? «Siamo in contatto continuo, conosco personalmente il titolare. Chiaramente in occasione delle varie visite di controllo da parte degli enti preposti veniamo portati a conoscenza di quanto emerge. Da un punto di vista più attivo, invece, non abbiamo grosse possibilità se non quella di inviare il vigile a fare i controlli che possono competere a noi. Devo dire, comunque, che abbiamo sempre avuto delle risposte in merito. Ho sempre riscontrato grande disponibilità». Quali materiali vengono trattati in questa azienda? «Si tratta di bancali e legnami, di mobili di recupero. Il grosso del lavoro dell’azienda, però, è la produzione di truciolato per la costruzione successiva di mobili». Quale pensa sia, in questo momento, il problema più grave da affrontare per un sindaco dell’Oltrepò? «Il problema che tutti vivono è quello della realtà agricola. Pur avendo a Cigognola una decina di aziende che lavorano nell’eccellenza, il territorio non è valorizzato in nessun modo. Io sono enotecnico, mi occupavo del vino trent’anni fa. Le problematiche sono rimaste le stesse: quello di non riuscire ad omogeneizzare il territorio con una qualità diffusa». Quali sono stati gli errori del passato? «Purtroppo i nostri agricoltori non investono abbastanza nelle aziende agricole. Chi ci ha creduto, ha avuto anche dei risultati. Come ho detto in più riunioni con gli altri sindaci e i vari rappresentanti, molti viticoltori hanno preferito comprare la casa a Rapallo, piuttosto che investire in azienda: oggi lasciano in eredità ai figli un’azienda e un appartamento al mare che non valgono più niente. Questo è stato l’errore: sbagliare l’investimento». Quali sono, secondo lei, le necessità attuali? «Dobbiamo rilanciare il territorio a livello manageriale. In California, in Sudafrica, ma anche in Franciacorta, sono intervenuti dei manager nella gestione delle aziende. Si è capito che queste devono dare un red-

«Molti viticoltori hanno preferito comprare la casa a Rapallo, piuttosto che investire in azienda: oggi lasciano in eredità ai figli un’azienda e un appartamento al mare che non valgono più niente». dito, e non campare su qualche finanziamento della Regione o di altri enti come hanno fatto per anni. Nella nostra Comunità Montana, in un certo periodo, avevamo trattori più grossi dei terreni...». Nel 2017 si era parlato di organizzare un grande evento intorno al mondo del vino, prendendo esempio (con le dovute proporzioni) da Collisioni, il festival agri-rock di Barolo. Potrebbe essere utile secondo lei?

Marco Fabio Musselli, enotecnico e sindaco di Cigognola «I grandi eventi possono aiutare, dobbiamo però cambiare il substrato su cui innestarli. Bisogna creare una concatenazione di fatti, di azioni, di lavori; non possiamo illuderci che il grande evento o l’Enoteca Regionale cambino da soli le cose… anche se sicuramente si tratta di passi avanti. C’è da rivedere completamente la gestione delle aziende e del territorio. Ci sono anche tanti giovani che, facendo di necessità virtù, rientrano nel settore. È questo che dobbiamo cercare di sviluppare». Pier Luigi Feltri



STRADELLA

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Dalle parrocchie di Stradella, Broni e Redavalle al villaggio di Emdibir, in Etiopia “Chicco per Emdibir” è un’organizzazione di volontariato delle parrocchie di Stradella, Broni, e Redavalle, nata con l’intento di trasferire competenze agroalimentari a giovani e famiglie dei paesi emergenti in Etiopia, affinchè siano promotori del proprio sviluppo. Altri obiettivi importanti dell’associazione sono sensibilizzare sulle problematiche dei paesi in via di sviluppo e promuovere gemellaggi e scambi culturali tra realtà italiane e di questi paesi. Elena Passadori, membro del Consiglio Direttivo dell’Organizzazione, ci racconta come è nata l’idea di fondare Chicco per Emdibir. «è nata perché tra i miei amici di infanzia ci sono persone che hanno studiato all’Università di Piacenza, con cui mi sono confrontata dopo che nel 2012 sono tornata da un’esperienza di volontariato in Etiopia, precisamente nella Eparchia (la Diocesi) di Emdibir. Ero andata con un’associazione brianzola ed eravamo stati presso una missione di questa Diocesi, che ha le scuole e una piccola clinica ed è gestita da quattro suore indiane. Durante questa esperienza avevo fatto il doposcuola con i bimbi. Ma nelle gite domenicali e guardandomi un po’ attorno, avevo notato che, nonostante il panorama fosse verdeggiante, non coltivavano niente. Loro mangiano essenzialmente il cocho, che è una sorta di pagnotta, che realizzano macinando il tronco e le radici di una pianta che cresce abbastanza spontaneamente, chiamata falso banano. Questa poltiglia viene avvolta in foglie e sotterrata, a volte anche per tanti mesi. Viene fuori una sorta di pane, però è tutto amido: questo permette loro di non sentire i morsi della fame, ma in realtà è malnutrizione, perché, soprattutto per i bambini, non ci sono le proteine necessarie. Al mio ritorno, insieme con altre persone, tra cui professori dell’Università di Piacenza, abbiamo iniziato a ipotizzare un progetto di aiuto. Questi professori, tra l’altro, avevano già esperienza di progetti in India e in Congo, soprattutto per quanto riguarda la creazione di centri pilota per l’agricoltura. Ci siamo confrontati con il Vescovo Monsignor Musiè Ghebreghiorghis per capire come poter iniziare a muoverci e preparare un piano d’azione». A questo punto, quindi, com’è andata? «Far partire un progetto a distanza è sempre molto difficoltoso, soprattutto perché loro hanno una mentalità molto diversa e distante dalla nostra, proprio in termini di progettazione. Quindi individuare degli obiettivi, delle attività, delle scadenze intermedie è stato il nostro primo passo. All’inizio ci siamo un po’ scoraggiati, perché le cose andavano molto per le lunghe. Nel frattempo, noi avevamo solo un progetto appoggiato alla Caritas di Tortona… poi abbiamo cercato di confrontarci con gente che avesse esperienze simili e tra queste persone abbiamo incontrato un diri-

gente della Ferrero, che con amici e colleghi aveva messo in piedi anni prima un’associazione per fare delle azioni analoghe in Eritrea. Ed è stato proprio lui a suggerirci di creare un’associazione. Abbiamo quindi creato la nostra organizzazione nel marzo 2014: in particolare ci hanno sostenuto fin da subito le parrocchie di Stradella e Broni e le parrocchie di Don Francesco Favaretto, che è un mio amico d’infanzia». Non saranno mancate le difficoltà… «Dopo aver racimolato un po’ di fondi siamo partiti, ma in effetti le difficoltà ci sono state. Ci siamo infatti trovati nell’agosto 2015 a capire cosa fare, se destinare i soldi in questo progetto o ad altri. Abbiamo deciso quindi di mandare un volontario per qualche mese…in modo che ci fosse una persona occidentale, quindi con un modo di pensare vicino a noi, per monitorare passo dopo passo i lavori».

locale e che ‘riesce bene’, in base al terreno e al clima… quindi pomodori, patate e tutti gli ortaggi. Finora abbiamo avuto buoni risultati e siamo stati anche fortunati perché non ci sono stati attacchi di parassiti. Il sistema di produzione è ancora da mettere a punto… Andremo a fine mese a fare un sopralluogo e verrà con noi anche un laureando, Alberto Maserati, che avrà il compito di individuare le colture più adatte, sulla base del fabbisogno energetico e delle condizioni del terreno, del clima e dell’accesso all’acqua, che rimane un problema pesante nei periodi di secca» Durante il prossimo viaggio cosa farà? «Gli obiettivi sono due: vedere con i nostri occhi lo stato dell’arte e capire come impostare i lavori in un’ottica di allargamento e poi andare dalle suore, in un paese distante 40 km. Loro ci hanno chiesto fondi per comprare le materie prime per la mensa

«Avremmo bisogno della possibilità di poter costruire un budget con finanziamenti un po’ più stabili. Stiamo quindi guardando sia al panorama dei finanziamenti tramite ad esempio la Cei, piuttosto che al altri enti».

l’Associazione “Chicco per Emdibir” in missione nel villaggio etiope di Emdibir Come è avvenuta la scelta? «Tramite annunci. Il volontario Giorgio Gotra è stato la nostra carta vincente, perché si è rivelato molto bravo anche nel management: è andato là con determinati obiettivi e li ha realizzati. Le cose così hanno preso un’altra piega e abbiamo cercato di individuare un team locale che potesse seguire e mandare avanti le attività: questo è molto importante perché non si può pensare di stare là sempre e si vuole proprio rendere autonoma quella popolazione. Il team al momento presente è formato da un economo, un agronomo e una ragazza di diciassette anni, molto brava e motivata. In tutto ciò si è avviata anche una bella collaborazione con la Diocesi di Udine, che è presente sullo stesso territorio da diversi anni con un progetto logistico molto grande, e con loro condividiamo il Progetto Mission». La produzione agricola cosa prevede? «Tutto quello che serve per il consumo

scolastica… noi potremmo anche attrezzarci per dare loro questi soldi, ma poi tutti gli anni si ripresenterebbe lo stesso problema. Invece vorremmo ripetere lì lo stesso esperimento fatto dall’altra parte: renderli quindi autosufficienti, in modo tale che la gente del posto possa anche lavorare e produrre. Non è semplice, proprio perché si tratta di un paese isolato: bisognerebbe trovare un equilibrio giusto di collegamento con il centro vescovile». Come è nato il nome dell’associazione? «Embidir è il nome del villaggio principale e della Diocesi. Il progetto iniziale si chiamava “Un chicco di grano” ed era stato molto studiato come nome: l’avevamo scelto perché è piccolo e perché richiama alla pagina evangelica di qualcosa di piccolo che si offre per costruire qualcosa di più grosso, di più fruttuoso. Poi altre assonanze, come il fatto che il chicco si semina e noi siamo chiamati a seminare anche senza guardare il risultato».

Al momenti quanti siete nell’associazione? «Abbiamo un consiglio direttivo di sette persone e come associati dipende dagli anni…siamo un numero che varia tra i 70 e i 100. La direzione tecnica è composta dai professori Giuseppe Bertoni e Vincenzo Tabaglio, dal dottor Andrè Ndereymana e dalla professoressa Luisa Dalla Costa. Abbiamo però necessità di estendere la visibilità…». In che modo? «Avremmo bisogno della possibilità di poter costruire un budget con finanziamenti un po’ più stabili. Stiamo quindi guardando sia al panorama dei finanziamenti tramite ad esempio la Cei, piuttosto che al altri enti. Stiamo però cercando di organizzare anche degli eventi che diano visibilità… come per esempio una cena di beneficenza…». Elisa Ajelli


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Maggi risponde a Curedda: «Ci vuole un bel coraggio a definire Stradella città spenta» Il sindaco di Stradella, Piergiorgio Maggi, dopo le dichiarazioni che il consigliere Curedda ci ha rilasciato nel numero scorso, non ci sta e replica in modo fermo e deciso a quanto detto dal rappresentante di “La Strada Nuova”. «Nella sua recente intervista al vostro giornale, nel numero di dicembre, il Consigliere Curedda utilizza l’espressione “sfrontato” nei confronti del presunto “dilettantismo” nell’attività dell’amministrazione. Rispedisco al mittente tale espressione il cui significato, privo di misura e di ritegno in quello che dice e che fa; impudente, talvolta sino all’insolenza, ben si addice al consigliere stesso». Anche sul tema della raccolta differenziata il consigliere non ha risparmiato critiche. «Anche su questo e sul progetto del porta a porta che si attiverà dal 1° marzo del 2018 il Consigliere cita un fantomatico “gruppo Maggi” in luogo di Torre Civica, per poi parlare di “scelte scellerate” e di grande incapacità, ma questa è la sua cifra e il suo stile, oltre al suo enorme ego che lo porta a sostenere che gran parte delle scelte fatte da questa amministrazione, dove è all’opposizione, siano il frutto del suo precedente impegno come assessore, impegno talmente apprezzato e utile, da essere stato dimissionato con revoca delle deleghe assessorili, oltre un anno prima della scadenza della precedente amministrazione avvenuta nel maggio 2014». Esattamente com’è andata? «Vediamo di ristabilire un minimo di verità, a fronte di quanto affermato dal consigliere nella sua lunga intervista. Con delibera 73 del 28 settembre 2017 abbiamo approvato le Modalità del servizio di raccolta dei rifiuti con il metodo del Porta a Porta. Parte integrante è il “Progetto di raccolta differenziata del porta a porta”, che al punto 2.8.2 prevede la campagna informativa, che io ho definito essere linee guida. Tale punto e non l’intero progetto come vuole fare intendere il consigliere che si è astenuto sul provvedimento. Peraltro ho elencato puntualmente tutte le iniziative di comunicazione che si sarebbero tenute da dicembre a tutto febbraio. A ora si sono tenute tre assemblee pubbliche per illustrare la progettualità, una con i commercianti e artigiani, una con tutte le Associazioni cittadine e una con tutti i cittadini. Si sono svolti incontri con le scuole cittadine, a metà febbraio vi sarà pure uno spettacolo teatrale sempre per le scuole, per spiegare la raccolta differenziata e i benefici derivanti dal riciclo. In dicembre sono stati allestiti due gazebo informativi con distribuzione di materiale, uno in occasione dei mercatini di Natale, l’altro durante il mercato del martedì. Si sono tenuti tre incontri con gli amministratori di condominio, per inquadrare le modalità tecniche relative al conferimento di tutti i condomini. Sono previsti ulteriori incontri

nei quartieri, sino a fine febbraio, per informare in maniera capillare i cittadini, con possibilità di allestire nuovi banchetti informativi. Prima di Natale è stato consegnato a tutte le famiglie un opuscolo informativo sulle modalità tecniche del porta a porta secondo il tipo di rifiuto, con dettagliato calendario settimanale di esposizione serale e raccolta notturna, oltre a un dizionario che elenca ogni tipo di rifiuto in relazione a come differenziare e quali sacchetti o contenitori utilizzare; tutte queste informazioni sono state fornite allo scopo di arrecare il minor disagio possibile ai cittadini e di mantenere ordinata e pulita la città. Il piano finanziario TARI, che contiene i costi del porta a porta, sarà approvato unitamente al bilancio di previsione entro fine gennaio. Questa procedura è in vigore da più legislature». Su parcheggi a pagamento e sulla lotta alle dipendenze cosa vuole dichiarare? «Sui parcheggi a pagamento, le cui tariffe sono invariate rispetto a due anni fa, e sui parcometri si è data attuazione a quanto previsto dal Piano Urbano del traffico, approvato mesi fa e da inizio anno si può pagare anche con le carte e con una App; è altresì in fase di distribuzione un apposito pieghevole informativo. Sulla lotta alle dipendenze, al disagio sociale e alle fragilità, il gruppo del consigliere Curedda continua periodicamente a reiterare interpellanze e odg con le stesse ripetitive proposte e il fatto che la maggioranza non le condivida non è “arroganza del potere, trattando il comune come casa propria”, affermazione che dalla cifra del suo stile e della sua arroganza, ma una diversa visione su come affrontare le questioni, privilegiando la prevenzione e gli interventi in collaborazione con gli Istituti Scolastici, la Consulta Welfare e l’Oratorio, con progettualità finanziate e premiate dalla Regione e con importanti investimenti sul bilancio comunale. E spiace che il consigliere dica che la maggioranza lo addormenti quando illustra i progetti di prevenzione nelle scuole cittadine, se fosse meno offensivo e più attento magari avrebbe molto da imparare e da capire. Sul gioco d’azzardo poi la verità e le certezze su come affrontare questo fenomeno,

«... è la sua cifra e il suo stile, oltre al suo enorme ego che lo porta a sostenere che gran parte delle scelte fatte da questa amministrazione, dove è all’opposizione, siano il frutto del suo precedente impegno come assessore, impegno talmente apprezzato e utile, da essere stato dimissionato con revoca delle deleghe assessorili, oltre un anno prima della scadenza della precedente amministrazione avvenuta nel maggio 2014».

a parte Curedda, non le ha nessuno. Sicuramente il provvedimento adottato dalla nostra amministrazione già da diversi anni, quello cioè di impedire l’insediamento di sale giochi, slot o videolottery entro i 500 metri dai punti sensibili, quali scuole, ospedali, luoghi di culto, ha dato i suoi frutti. Da quella decisione nessun insediamento è più avvenuto. Sulle ordinanze dei Comuni per limitare gli orari di gioco, rimango dell’idea che non risolvano il problema del gioco di azzardo. A parte la difficile applicazione, vedi slot e macchinette inserite in esercizi commerciali con orari ben più ampi e diversi, l’unico effetto che hanno tali ordinanze è quello di concentrare lo stesso volume di gioco in determinati orari o di spostarlo sul territorio. Senza contare il gioco online, casinò, poker, qualsiasi gioco di azzardo si possa fare da un PC, da un tablet, da uno smartphone, senza nessuna regola o controllo e che sta sostituendo, di fatto, le sale gioco o le macchinette. Infatti si legge in prima pagina sul quotidiano Stampa del 7 gennaio: “Il gioco di azzardo beffa le leggi, la spesa è stabile, nonostante la stretta dei sindaci sulle slot”. E allora ripeto quello che ho già affermato nell’ultimo consiglio comunale: lo Stato che ricava notevoli entrate dal gioco legalizzato riduca per legge il numero delle macchinette oltre a proibire la pubblicità. E qualcosa si muove, visto che la Conferenza Stato-Regioni ha approvato la riduzione del numero del 50% nei prossimi tre anni e nella nuova finanziaria è prevista una riduzione del 30% entro aprile. Occorre proseguire nelle progettualità di contrasto del gioco di azzardo che stiamo attuando da anni nelle scuole, grazie ai finanziamenti regionali, oltre ad estendere

gli interventi anche agli adulti e a proseguire nel progetto no-slot con gli esercizi commerciali cittadini». La visione della città da parte del consigliere Curedda è sicuramente negativa. «Ci vuole un bel coraggio a definire Stradella come una città spenta. Tutti gli ospiti che visitano Stradella mi confermano di apprezzare la nostra comunità dal punto di vista culturale, civico, delle presenze dei giovani, della qualità degli esercizi commerciali, della qualità della vita, delle iniziative, degli spettacoli, delle manifestazioni, delle proposte del Teatro e della Biblioteca; della valorizzazione della fisarmonica per la quale sono previste ulteriori e importanti iniziative questa primavera, in collaborazione con l’Accademia del Ridotto; per altro Stradella ha una realtà Associativa di grande qualità e disponibilità, che collabora da sempre con l’Amministrazione per tutti gli eventi e le iniziative. Con l’Accademia del Ridotto abbiamo iniziato e consolidato un percorso di collaborazione che ha portato a Stradella importanti professionalità e docenze nel campo della musica e del canto, con una notevole partecipazione di allievi provenienti da tutte le nazioni, che è andata oltre le nostre più rosee previsioni. Città spenta consigliere… figuriamoci le altre. Ci vuole più amore per la propria città e non si deve sputare veleno per puro spirito polemico o di rivalsa, perché il consigliere sa di non essere più protagonista della vita amministrativa, posto che mai lo sia stato. E l’auspicato intervento della “Piazza” contro l’amministrazione è patetico e macchiettistico, a livello di “mini - Masaniello de’ noantri”. Dall’inizio dell’attività amministrativa nel maggio del 2014 abbiamo impostato e risolto diverse scelte amministrative, secondo quanto previsto dal programma di Torre Civica, diverse e non certamente tutte. Questo in un quadro di risorse economiche per gli investimenti e le spese correnti dei comuni sempre più ristretto, come ormai tutti sanno». Può spiegare meglio? «Sulla sicurezza abbiamo investito sulle telecamere, ora sono 44 e molte sono programmate per la lettura istantanea delle targhe; abbiamo assunto due nuovi vigili e abbiamo dotato la Polizia Municipale di due nuovi mezzi. Manca un altro aspetto fondamentale, che peraltro è in fase di realizzazione, e cioè il rifacimento totale dell’illuminazione pubblica cittadina con lampade a LED; siamo a circa il 20% del rinnovo totale, finiremo a fine estate; un intervento che riguarderà circa 2300 punti luce, tra vecchi e nuovi, oltre alla possibilità di inserire altri punti luce, se richiesti dai cittadini e valutati di interesse e compatibili dalla struttura tecnica. Nel progetto sono previste anche le sostituzioni delle reti elettriche ammalorate, oltre a nuovi pali. E’ possibile inoltrare al servizio tec-


STRADELLA nico eventuali nuove richieste da valutare, anche nei prossimi mesi. Ci siamo sempre battuti in prima fila per il nostro Ospedale, per mantenere e potenziare i posti letto assegnati, in collaborazione con ASST, mantenendo tutti i posti letto di Ostetricia-Ginecologia, grazie anche alle natalità superiori alle 500 unità, frutto del perfetto lavoro del Reparto e quindi dell’attrattività; abbiamo ottenuto la guardia medica pediatrica H24, abbiamo avuto il Reparto di Riabilitazione, grazie alla scelta condivisa di ASST, abbiamo reparti di eccellenza come la Medicina, la Traumatologia e la Chirurgia, abbiamo il pronto soccorso con accessi da record e qui occorre dare una mano sugli organici sia di medici e paramedici. Bisogna sempre lavorare, essere presenti, dialogare con la Dirigenza. Mi ricordo cosa diceva in campagna elettorale il consigliere: non è un problema di nostra competenza, sono altri deputati a intervenire. La sanità, il welfare, la prevenzione, sono assolutamente temi sui quali un sindaco non può essere passivo, deve tutelare la salute pubblica e gli interessi dei propri concittadini. Abbiamo fortemente voluto l’Assessorato al Lavoro per dare un segnale, soprattutto ai giovani, della condivisione del più grande problema che ha il nostro paese. Sono alcuni anni che collaboriamo con gli Istituti Superiori cittadini per dare fiato e visibilità alle belle e interessanti progettazioni dei giovani, con l’obiettivo dell’inserimento lavorativo e di dare un riconoscimento, anche economico a chi si distingue. Ringraziamo docenti, insegnanti e dirigenti scolastici per la collaborazione, le Ditte che ci aiutano, la Camera di Commercio e Pavia Sviluppo, oltre ai componenti del laboratorio dell’Unitrè che ci supportano per queste iniziative. Si sono da poco esternalizzati i Servizi Cimiteriali, stiamo lavorando per riqualificare l’area esterna del parcheggio presso lo scalo ferroviario, abbiamo approvato nei mesi scorsi il Piano Urbano del Traffico, con le prime realizzazioni di sensi unici e nuovi parcheggi, si farà un concorso d’idee

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Pier Giorgio Maggi, sindaco di Stradella e consigliere provinciale per sistemare sia la rotatoria sia la viabilità in zona Rondò, dopo anni abbiamo rifatto tutte le potature, abbiamo creato un’unica scuola materna in zona Busco, inaugurata da poco e priva di barriere architettoniche, abbiamo fatto lavori sull’edilizia scolastica extra programma, si è creata una zona del centro cittadino con WiFi libero. Si sono riasfaltate diverse vie cittadine, molte in periferia, altre saranno sistemate quest’anno, con priorità per le più ammalorate e per quelle per le quali abbiamo già preso impegni con i cittadini residenti, per un totale complessivo di 180.000 euro. Partiranno i lavori per il rifacimento dei marciapiedi in zona Busco, già finanziati, oltre ad altri tratti cittadini che necessitano,

per un totale di 150.000 euro. Si faranno importanti lavori di manutenzione dell’attuale sede della Caserma dei Carabinieri. Partiranno le gare per i lavori di riqualificazione di Bosco Negri, per il recupero di un tratto del Versa con fondi regionali. Siamo alla fase finale della Variante Parziale al Piano di Governo del Territorio, si è approvato un nuovo Piano di Edilizia Economica e Popolare, si sono rifatte le fognature di via Garibaldi e via XXVI Aprile, si stanno terminando le procedure del Project financing concernente l’efficientamento energetico di tutte le strutture comunali, con innegabili risparmi energetici e miglior qualità del servizio e attuato con finanziamento regionale e del soggetto

attuatore. Il primo intervento, come sempre ha garantito il sottoscritto, sarà quello della bonifica del tetto del Palazzetto, per il quale ripeto non esiste alcun pericolo di inquinamento dell’aria: recenti rilevazioni hanno escluso questa possibilità, nonostante gli allarmismi diffusi dal o dai soliti noti, ma in questo caso non da Curedda. Come si legge qualcosa ha pur fatto questa Amministrazione, e non ho elencato per ragioni di spazio e per non tediare, ulteriori iniziative per le quali vi terrò informati nei futuri mesi. Sicuramente l’unica missione possibile per questa amministrazione è il bene e il futuro di Stradella. Poi a fine mandato i cittadini valuteranno». Elisa Ajelli



LA STORIA

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«Pur di non star male ho preferito fermarmi e dimettermi» Alessandro Paola è un giovane di 24 anni, che ha voluto far sentire la sua voce raccontando una sua recente esperienza lavorativa nel mondo del retail; lo ha fatto scrivendo una lettera aperta ad una testata giornalistica nazionale e subito ha ottenuto numerosi commenti positivi (alcuni negativi) alla sua reazione. La storia di Alessandro, vogherese, si svolge in uno dei tanti store dell’Oltrepò orientale ed è attualissima: “fotografia” di una Italia in crisi, di giovani che non riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro, non per incapacità nell’adattarsi, ma per aziende che sono disposte a calpestare i valori umani pur di ottenere profitti. Qualcuno sta zitto e subisce la situazione, altri – come Alessandro – non ci stanno e cercano altro! Alessandro qualche tempo fa ha deciso di far sentire la sua voce, scrivendo una lettera ad una testata giornalistica nazionale, provando a raccontare la sua esperienza lavorativa e spiegando il motivo che l’ha spinta a licenziarsi a 24 anni... Spieghi anche a noi. «Principalmente ero arrabbiato, molto arrabbiato! È stata questa la forza che mi ha spinto a farmi sentire a tutti i costi. Ero arrabbiato perché, un ragazzo di 24 anni, così come qualsiasi persona di altra età, non dovrebbe mai sentirsi oppresso dal nervoso e dalla rabbia, ed essere così “costretto” a lasciare un posto di lavoro che gli avrebbe permesso una stabilità e un futuro. Nel 2018 non è accettabile lavorare male, con regole esagerate (direi anche antiquate) e soprattutto irrispettose verso i lavoratori, solo per poter dire “almeno ho un lavoro”. Sono state per l’appunto queste le motivazioni che mi hanno spinto a lasciare un lavoro che, tutto sommato non mi dispiaceva sotto i punti di vista economici e professionali. Tuttavia sono arrivato alla conclusione forse scontata, che la vita è una sola ed è già è complicata così, quindi pur di non star male ho preferito fermarmi e dimettermi». Era la sua prima esperienza nel retail? «Sì; fino ad ora ho affrontato diverse tipologie di lavoro, ma nell’ambito dell’abbigliamento è stata la prima esperienza. Pensavo inizialmente di non essere adeguato, del resto l’opinione pubblica riguardo certi lavori è scontata... quante volte abbiamo sentito dire “quello fa il commesso, piega solo maglie...”. Vorrei che tutti provassero a piegare maglie come ho fatto io per un mese! Prima di tutto, nessun commesso ha un ruolo definito, nel senso che un giorno devi fare cassa, un giorno vieni assegnato ad un reparto e quello successivo in un altro, ovviamente senza dimenticarti di riordinare i camerini, pulire il negozio e scaffalare la merce inutilizzata. Tutto normale potrebbe sembrare fino a qui... peccato che poi, nelle ore compresse, ti accorgi di non riuscire a fare tutto e quindi passi ore in cassa senza neanche riuscire a trovare cinque minuti per usufruire dei

servizi, perché il negozio è affollato e la cassa aperta è solo una. Inoltre, in questo compito occorre stare attenti a non sbagliare il resto anche di un solo centesimo, altrimenti ti ritrovi con una sfilza di verbali, che incidono sulla valutazione personale e, in caso di grandi somme, verranno detratte dalla busta paga, poiché non è prevista un’indennità di cassa. Per quanto riguarda il servizio ai clienti, trattandosi di un “libero servizio”, bisogna cercare di avere un certo “contegno”, quindi poche smancerie e poche chiacchiere, passa i prodotti, chiedi possibilmente soldi in banconote di piccolo taglio (per evitare cambi monete e scomodare il tuo titolare) e presta attenzione a chi servi: servire un tuo conoscente potrebbe costarti una lettera di richiamo; ebbene sì, se sei una persona con un minimo di vita sociale praticamente ti ritroverai a non dover servire nessuno dei tuoi “conoscenti”. Altro esempio, sono le pause non concesse se non hai un minimo di cinque ore di lavoro giornaliero, come se il nostro organismo decidesse quando utilizzare i servizi igienici o quando è ora di un caffè in base alle ore da affrontare, o ancora il terrore di timbrare entro la mezz’ora richiesta: devi finire del lavoro che non hai potuto concludere nelle ore di turno perché eri troppo preso? Perfetto, timbra e poi concludi, perché andare in straordinario per dieci minuti di lavoro? E ancora non stringere amicizia coi colleghi, non è forse meglio sparlarsi a vicenda e trovarsi da dire piuttosto che farsi un aperitivo tra amici? La lista delle cose che non vanno fatte è infinita e potrei continuare ore...». Non crede sia normale che grandi aziende – con tanti dipendenti – debbano per forza avere regole rigide? «Penso sia doveroso che una grande azienda stabilisca delle regole da rispettare, seppur discutibili, così come credo che la medesima azienda debba incaricare una persona quale “responsabile”, affidandole tutti compiti di rilevanza che il negozio richiede. Insomma, questa persona che poi altri non è che il “direttore” dovrebbe cercare di creare una squadra affiatata, un team capace di lavorare assieme con spensieratezza e cercando soluzioni ragionevoli senza ricorrere ai verbali aziendali per ogni singola cosa. Rigidità sì, ma sempre nei limiti dell’umanità!». Secondo lei, la sua esperienza può essere stato un caso o anche altri negozi potrebbero vivere lo stesso disagio? «Purtroppo non viviamo nelle favole e sono sicuro che la mia esperienza sia stata solo una delle tante, migliaia di lavoratori in tutta Italia vivono questi disagi, anzi magari paragonata ad altre, l’azienda per la quale ho lavorato potrebbe risultare una delle migliori, chi lo sa!». Alessandro il disagio da lei vissuto, lo ha percepito anche negli altri dipendenti? «Assolutamente sì! Sinceramente è stata la

cosa che mi ha fatto più male. Vedere alcune colleghi in crisi per esigenze personali, oppure sempre arrabbiati e nervosi per una situazione lavorativa che non è quella che vorresti, è davvero brutto. Ancora più brutto è vedere il silenzio in tante di queste persone per non perdere comunque l’unico lavoro che hanno...ovviamente i lati della medaglia sono sempre due, infatti ho visto situazioni opposte, ossia colleghi falsi e ipocriti (i classici “lecchini”) che si ingraziano chi di dovere, per lavorare con più spensieratezza». Una volta licenziato, ha trovato subito un nuovo lavoro? «Appartengo ad una categoria fortunata, una volta licenziato sono tornato al mio vecchio lavoro che per fortuna ho trovato ancora. Ho lavorato come barista per un anno in una Caffetteria storica...il rapporto coi miei datori di lavoro è sempre stato ottimo e il mio lavoro è sempre stato considerato impeccabile quindi, quando ho parlato con loro del mio licenziamento, erano al settimo cielo per il mio ritorno. Attualmente sono tornato a fare il barista: rido e scherzo coi clienti, non ho problemi di resti in più o meno, non ho più il terrore dei verbali e dei richiami e di dover fare tutto di corsa, con l’ansia per ogni cosa. Avevo cambiato lavoro per provare un’esperienza nuova e anche per avere uno stipendio migliore ma, come ho detto prima, preferisco guadagnare due soldi meno e star meglio. Son tornato alla mia vita di sempre, quella che ogni ragazzo dovrebbe avere!». Non teme che esponendosi, un datore di lavoro possa considerala una persona “polemica” e venga per questo svantaggiato? «Purtroppo o per fortuna son fatto così, devo sempre dire quello che penso, quindi se un datore di lavoro mi ritiene una persona polemica è libero di pensarla a modo suo e non assumermi. Rispetto le idee di tutti, ma preferisco sempre dire ciò che penso». Secondo lei, quali caratteristiche dovrebbe avere un buon datore di lavoro? «Un buon datore di lavoro in primis deve cercare formare una persona, ossia formarla sotto ogni aspetto che il lavoro richiede, senza mettere ansie e pressioni psicologiche. I richiami sono doverosi e servono a far crescere professionalmente, del resto si impara sbagliando! Non siamo macchine programmate per saper già far tutto. Spesso invece, come capitato a me, i richiami venivano fatti per la cosa più stupida a cui arrampicarsi e per poter dire “guarda comando io e decido io”. Se un datore di lavoro è disponibile, avrà dipendenti a sua volte riconoscenti e disponibili. Personalmente mi comporto così: tratto le persone in base a come vengo trattato». I giovani della sua età hanno molte difficoltà nel trovare lavoro. Pensa che debbano adattarsi oppure – come ha fatto lei – “ribellarsi” e cercare altro?

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Alessandro Paola «Riconosco di essere davvero fortunato. Vivo ancora in casa con la mia famiglia e non devo mantenere n’è figli n’è pagare affitti...i vecchi datori di lavori mi hanno ripreso senza pensarci due volte, non posso assolutamente lamentarmi. Sono consapevole che non è così facile per tanti altri, il lavoro non c’è e se c’è è sottopagato, sfruttato e richiede sacrificio. Molti non si ribellano per non perdere quello che hanno e forse nei loro panni mi sarei comportato anche io così, non posso dirlo, le situazioni bisogna viverle in prima persona». Lavorare nel retail oggi non è semplice. Anche nella Politica nazionale inizia a sentirsi il “peso” di questa condizione italiana e alcuni candidati Premier stanno affrontando il tema. Lei cosa ne pensa? «Non sono esperto di politica ma, se il mondo del lavoro per noi giovani è così insidioso e difficoltoso, buona parte della colpa è proprio dei politici e di chi ha malgovernato l’Italia negli anni! A parole son bravi tutti, soprattutto promettere in campo elettorale e poi sparire nel nulla. Sicuramente le idee di Di Maio – ad esempio – sono importanti: la chiusura dei negozi nelle festività e i turni improponibili sono un tema delicato che spero venga affrontato seriamente, prendendo anche provvedimenti». A suo parere, quali sono i pro e i contro di questa tipologia di lavoro? «La prima cosa negativa di questa lavoro è non avere certezze sul ruolo dal svolgere, come dicevo all’inizio. Ogni persona dovrebbe svolgere il proprio ruolo in base alle proprie attitudini e in base alla formazione ricevuta, invece si ritrova spesso fare tutt’altro. Tutto questo dipende anche dal fatto che le aziende assumono poche persone e a queste assegnano ruoli e turni assurdi. Sono ahimè più le cose contro che a favore di questo settore...». In futuro pensa possa cambiare la situazione lavorativa italiana? «Ci spero! Spero possa cambiare per me e per tutti i miei coetanei. L’Italia deve svegliarsi, noi italiani dobbiamo svegliarci! Viviamo in un paese in cui i nostri genitori a 60 anni e con più di quarant’anni di lavoro non riescono ad andare in pensione, mentre noi ventenni dobbiamo lavorare per azienda sfruttatrici, svolgere compiti assurdi e poco in linea con gli studi compiuti; inoltre non ci è concesso lamentarci perché altrimenti veniamo additati come “mammoni” o viziati. Se ognuno di noi dicesse ciò che pensa realmente e prendesse una posizione, reagisse a questa situazione lavorativa assurda, probabilmente qualcosa potrebbe cambiare». Matteo Parini


CASTANA

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«Contiamo 14 aziende vitivinicole e si tratta tutte di ottime aziende»

Maria Pia Bardoneschi, sindaco di Castana e autrice del libro “Castana ieri e oggi, la storia tra vino e tradizioni. 500 anni della Chiesa di Sant’Andrea”

Castana è un piccolo centro collinare dell’Oltrepò pavese, che fa parte dell’unione di comuni con Montescano e Canneto Pavese. Il sindaco, la dott.sa Bardoneschi Maria Pia, è felice di illustrarci quali sono state le attività più importanti che si sono svolte nel 2017, quali i progetti del 2018 e quali sono le particolarità e le curiosità di un paese piuttosto piccolo, ma molto denso dal punto di vista culturale e storico. Qual è stata la sua esperienza e qual è la sua opinione riguardo alla fusione fra comuni? «Io vorrei essere molto sincera su questo argomento: non sono esattamente favorevole alle fusioni fra comuni, per via della diversità dell’identità dei territori. È da un tempo immemorabile che esiste Castana, che prima si chiamasse Figaria, e così nel tempo sia cambiata molto…la storia di Castana è stata di mio primario interesse e, a questo proposito, ho pubblicato un libro sulla nostra storia, “Castana ieri e oggi, la storia tra vino e tradizioni. 500 anni della Chiesa di Sant’Andrea”. Quando si tratta della storia del nostro paese, le cose da dire sarebbero moltissime, per via della sua antica origine, e proprio per questo motivo l’identità del nostro territorio è molto ricca e sentita da tutta la popolazione. Ad ogni modo, in molti, spesso, pensano di opporsi alla fusione, anche se inutilmente in realtà: è infatti ovvio che la divisione dei servizi fra vari comuni influisce meno sulle casse di ciascuno di essi. Sarebbe ovviamente fantastico poter offrire da soli tutti i quanti i servizi necessari alla popolazione del nostro paese, ma i soldi non sono abbastanza. Lo stato continua a promettere ma alla fine i fondi che arrivano non sono mai sufficienti per realizzare tutto. Quello che voglio quindi dire è che la fusione dei comuni non rispetta certamente, a mio parere, le sfaccettature dei nostri territori, ma rimane comunque necessaria dal punto di vista economico». Quali servizi offre Castana? «Esiste un rapporto molto favorevole fra noi e i nostri comuni fratelli, condividiamo più che altro i servizi riguardanti il sociale

(per quanto riguarda la gestione dei cittadini extracomunitari, giunti da noi soprattutto negli ultimi anni per la lavorazione nelle campagne) e assolutamente questa è stato un fenomeno positivo dal punto di vista dell’impegno che si è potuto dimezzare fra tre comuni; abbiamo diviso i servizi scolastici, a noi è data una sezione della scuola materna, mentre l’altra si trova a Canneto, l’asilo nido è momentaneamente chiuso. La parte peggiore della fusione è sicuramente quella della divisione anche dei contributi statali (o regionali) che quindi devono essere dimezzati fra i vari comuni». Quanti abitanti ha Castana? Avete subito una diminuzione della popolazione? «Noi ci troviamo esattamente fra Montescano, che è il più piccolo (con circa 400 abitanti) e Canneto (circa 1400), noi abbiamo circa 700/800 abitanti. Non abbiamo avuto una grande diminuzione, anzi devo dire che si è verificata una specie di ritorno (non nel senso che siano figli o discendenti di ex abitanti di Castana) di giovani coppie italiane che tendono a costruire case nuove qui da noi e in tutte le zone limitrofe. Siamo un paese piuttosto gettonato, abbastanza vicini ai più grandi centri di Broni e Stradella e possiamo potendo offrire zone più tranquille, anche belle più belle dal punto di vista panoramico, oltre a possedere un bellissimo parco con zona adatta alle feste. Quali sono i punti di attrazione di Castana? «Noi abbiamo un bellissimo parco giochi per bambini molto curato a cui giungono persone un po’ da tutti i paesi vicini, con una zona che ho tenuto a ristrutturare personalmente lo scorso mandato, con una pista da ballo nuova e degli spalti che formano una specie di anfiteatro. Abbiamo anche un castello, che è stato ristrutturato in passato e ha perso parte della sua originaria forma e ora è suddiviso in numerosi appartamenti molto curati ed eleganti, con una vista stupenda sulle colline». Il vino è ovviamente uno dei punti di

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«...la fusione dei comuni non rispetta certamente, a mio parere, le sfaccettature dei nostri territori, ma rimane comunque necessaria dal punto di vista economico».

forza della vostra zona, esistono molte aziende? Ci sono stati problemi e danni da freddo nel corso del 2017? «Quest’anno credo che si possano contare quattordici aziende vitivinicole e si tratta tutte di ottime aziende che producono un vino buonissimo e molto rinomato grazie oltre primariamente alla bravura delle aziende, anche alla fortunata fisicità delle nostre colline. Noi cerchiamo sempre di pubblicizzare e sponsorizzare i nostri vini durante le feste e le nostre attività. Una cosa che mi piacerebbe realizzare sarebbe quella di aprire una piccola enoteca dove i turisti potrebbero recarsi per degustare i nostri prodotti. Per quanto riguarda i danni invece, non ne abbiamo subiti nell’alta collina, mentre alcuni problemi si sono verificati nella gelata primaverile per quanto riguarda le aziende della bassa collina». Ci sono molte feste nell’arco dell’anno qui a Castana? Chi si occupa dell’organizzazione delle feste e della manifestazioni? «Io mi occupo di molte parti dell’organizzazione delle numerose feste che vengono svolte qui da noi, insieme alla nostra attivissima Proloco Castana e al nuovo assessore addetto a queste attività. Ci adoperiamo sempre per accrescere l’attività turistica del nostro paese. L’anno passato ci siamo adoperati ad un vero programma di rivalutazione delle tradizioni locali e delle antiche feste e usanze del nostro territorio: l’arrivo della primavera si apre a marzo con la “Grande Polentata” e la pentolaccia per i bambini; ad aprile si svolge “l’Arte in Fiera di primavera” con esposizione di prodotti artigianali tipici e produzioni locali, insieme a una degustazione di vini locali; nel primo periodo estivo solitamente si tiene nel parco con spalti, che ho citato prima, la commedia dialettale del gruppo G74 di Oliva Gessi; l’anno passato sempre all’inizio dell’estate si è tenuto anche il 1° Trofeo XC Prime Colline Castana e la famosa “mangiabevalenta” una camminata enogastronomica per le colline dell’Oltrepò; per tutto il periodo estivo

si tengono cene accompagnate da musica; ad ottobre si festeggia “La Rifa”, la tradizionale festa del Ringraziamento con caldarroste e vin brulè; a novembre si tiene la famosa Fiera di Sant’Andrea, con mostra di bestiame, hobbistica, bancarelle ecc; infine chiudiamo il nostro anno fieristico con la “Festa dei nonni e degli anziani” e il famoso “Grande concerto d’Organo” che l’anno scorso ha ospitato nella nostra chiesa di Sant’Andrea l’organista del Duomo di Milano e due anni fa l’organista del Vaticano; a Natale i giovani del posto si occupano invece della divertente “Slitta di Babbo Natale”, per divertire tutti i bambin». Sono state apportate migliorie per quanto l’illuminazione e il manto stradale? «Per quanto riguarda l’illuminazione si sta affrontando adesso il problema delle luminarie a led e credo che verrà realizzata la riqualificazione delle luminarie a led entro il 2018, anche per fornire miglioramenti ai vari impianti elettrici. Il manto stradale è stato tutto rifatto negli anni passati, sia per quanto riguarda la strada provinciale, che per quelle comunali». Esiste un impianto di videosorveglianza? «Sì, noi possediamo già alcune telecamere che controllano tutte le strade principali e vorremmo aumentarle nel corso del 2018; è chiaro che il problema della sicurezza ci sta molto a cuore. Non esiste un problema di delinquenza come in altri comuni, ma abbiamo avuto problemi di furti in passato e quello che ci premerebbe ottenere in futuro sarebbe un maggiore controllo da parte delle forze dell’ordine, in quanto non sia attuabile un controllo video totale su tutte le strade abitate, essendo spesso stradine di campagna che non si possono fornire di telecamere. Bisognerebbe avere più forze dell’ordine che vigilano sulle nostre strade, almeno nei periodi dell’anno più colpiti da furti e rapine». Ci sono progetti in opera per il 2018? «Quest’anno parteciperemo al bando della DDL “legge Salvaborghi” per cercare di risanare i dissesti idrogeologici che si sono verificati in alcuni zone del comune, oltre che a cercare di ricevere fondi per restaurare le antiche cantine del nostro municipio, di cui possiamo vantarci apertamente avendo un locale molto antico con delle volte molto preziose. Vorremmo inoltre restaurare ulteriormente la pista da ballo, che richiede altra manutenzione». Elisabetta Gallarati


SANTA MARIA DELLA VERSA

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Scuola: «Progetto realizzato per i bambini per fargli conoscere le tradizioni»

Giuseppe Guzzetti - presidente di Fondazione Cariplo - durante la premiazione del concorso “Ambiente e territorio” avvenuta all’Istituto “Volta” di Pavia, ha esortato i ragazzi ad essere protagonisti del proprio futuro ed avere cura del proprio territorio. “Ambiente e territorio” è stata un’iniziativa promossa dalla Fondazione Comunitaria di Pavia finalizzata a contribuire agli obiettivi di promozione di stili di vita favorevoli e alla sostenibilità ambientale attraverso la realizzazione di un progetto. L’istituto Comprensivo di Santa Maria della Versa è stato uno dei 10 vincitori del progetto; ce lo ha raccontato una delle insegnati che lo ha sviluppato - Elena Lanati - e il Dirigente scolastico – Dott.ssa Elena Bassi. Lanati come è nata questa esperienza? «Fondazione Comunitaria di Pavia lo scorso autunno ha proposto l’adesione a questo concorso e subito lo abbiamo colto con entusiasmo; avrebbero finanziato 3mila euro per le scuole vincitrici, da spendere per l’acquisto di materiale scolastico e, ovviamente, ci avrebbe fatto molto comodo». Come avete sviluppato il progetto? Quali sono state le fasi? «Il progetto da noi condotto si poneva come fine ultimo la valorizzazione del patrimonio culturale del fazzoletto di Oltrepo Pavese in cui viviamo nelle sue numerose sfaccettature: la biodiversità ed il paesaggio locale come risorsa collettiva

Elena Lanati, insegnante e vice sindaco

ed eredità da tutelare attraverso stili di vita sostenibili; il recupero della memoria storica legato ai beni artistici, architettonici e connessi all’economia locale. Le fasi di realizzazione del progetto hanno visto intrecciarsi due percorsi: la realizzazione di una mappa, con il tracciato di un percorso storico-naturalistico; la realizzazione partecipata di un laboratorio di biodiversità e sostenibilità ambientale nel cortile della scuola primaria e secondaria di Canneto Pavese, con la riqualificazione dello stesso». Lanati come definirebbe questa esperienza?

Il progetto delle classi della scuola primaria e secondaria

«È stato un viaggio alla scoperta di “angoli” dimenticati...magari passiamo davanti a questi luoghi tutti i giorni, ma nessuno più si chiede più il significato. Questi elementi sono ormai così ben integrati nel paesaggio da risultare invisibili alla comunità stessa». Quali classi hanno partecipato? «La Terza A della scuola primaria e la Seconda A della scuola secondaria. Nello specifico la classe della scuola primaria, attraverso le uscite sul territorio, l’osservazione e le interviste agli anziani, hanno individuato gli elementi specifici del nostro ambiente (cappelle votive, resti di antichi castelli, gli imbocchi di cave storiche e le specie botaniche); la classe della scuola secondaria, invece, ha approfondito lo studio naturalistico del territorio e si è occupata principalmente della creazione della mappa, definendo il percorso storico-naturalistico. Questa mappa è tuttora disponibile sul sito dell’Istituto Comprensivo di Santa Maria della Versa; è una mappa interattiva sulla quale è possibile cliccare su ogni singolo elemento e scoprine storia e curiosità». Quanto tempo avete impiegato per la realizzazione? «Circa sei mesi. In realtà, con tutto il materiale che abbiamo a disposizione, potremmo andare avanti ancora per un paio di anni... il nostro è un territorio davvero ricco di tradizioni ed è un peccato farle perdere. Inoltre, lo scorso giugno abbiamo voluto presentare il progetto anche ai genitori dei nostri ragazzi al Palazzo Pascoli di Santa Maria della Versa. Questo progetto è stato realizzato per i bambini, per fagli conoscere le tradizioni locali, ma anche per gli adulti affinché anche loro possano mantenerle vive». Hanno collaborato enti locali alla realizzazione del progetto “Ambiente e territorio”? «Si e non solo... I Comuni ci hanno consentito di consultare le carte del territorio, l’Ecomuseo di Prima Collina, le guardie ecologiche volontarie hanno tenuto lezioni, i rappresentanti dell’Associazione Autieri e il Duca Polistena che hanno concesso le visite alle loro proprietà e, sopratutto, gli anziani del posto, i coltivatori, i genitori e i nonni che hanno contribuito al recupero della memoria storica». Lanati il mondo di oggi è sempre più digitale; i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie come hanno vissuto questa esperienza? «Inizialmente, soprattutto i più piccoli, credo che non si ren-

L’istituto Compren sivo di Santa Maria della Versa è stato uno dei 10 vincitori del progetto: 3mila euro da spendere per l’acquisto di materiale scolastico dessero effettivamente conto di cosa stessimo facendo e cercando...mano a mano siamo riusciti a coinvolgerli e hanno interagito attivamente. In alcune situazioni erano affascinati dai racconti degli anziani». Bassi i bambini stranieri hanno partecipato attivamente? «Certamente! Loro sono stati molto importanti perchè sono riusciti a vedere cose che a noi del posto ormai sfuggono o, semplicemente, ci hanno regalato una visione diversa. Ogni lavoro che creiamo prevede l’integrazione di tutti i bambini». Lanati progetti per il futuro? «Intanto, la nostra idea sarebbe quella di far avere la brochure di questo splendido lavoro agli enti locali e agli infopoint, in modo tale che possano distribuirla, recuperando un piccolo contributo economico per la stampa, ma temo non sarà così facile... «Aspettiamo di vedere cosa propone Fondazione Comunitaria, che è rimasta molto soddisfatta dei lavori svolti lo scorso anno. Bassi dice: «A breve dovrebbe partire un progetto finanziato da Fondazione Cariplo che riguarda tutti gli istituiti comprensivi dell’Oltrepò Pavese, relativamente alla valorizzazione delle terre oltrepadane nella prospettiva della biodiversità, finalizzato ad attivare le aree interne affinché possano ripopolarsi, riprendere o far partire nuove attività economiche attrattive nel territorio. Il progetto punta a promuovere la conoscenza del territorio sia sotto gli aspetti naturali, sia della storia e delle tradizioni... dunque il filone che perseguiremo è lo stesso che abbiamo intrapreso lo scorso anno». Bassi, da Dirigente, per lei cosa è importante nella scuola di oggi? «Tante cose, ma forse la più importante è la collaborazione di tutte le parti in gioco; parlo della comunità, delle amministrazioni, dei genitori, degli studenti e dei docenti. Ognuno deve sentirsi protagonista nella scuola, rispettando ovviamente il proprio ruolo. Tutti dobbiamo contribuire a rendere la scuola più bella, più accogliente e più inclusiva».

Silvia Cipriano


REDAZIONALE A PAGAMENTO


ARTE & CULTURA

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Pittrice rivanazzanese apprezzata a Londra con i suoi acquerelli botanici Daniela Passuello, milanese ma residente a Rivanazzano dal 1989 è una signora dolcissima che mi accoglie nel salotto della sua casa con le pareti tappezzate dai suoi acquerelli botanici, veri capolavori di arte e natura che illustrano in maniera perfetta e colori tenui innumerevoli fiori, frutti e piante. Laureata in Scienze Naturali all’Università di Pavia, pur vivendo per gran parte della sua vita in una grande città, ha sempre avuto un amore sviscerato per la natura e gli animali. I suoi lavori sono definiti acquerelli botanici. Che cosa vuol dire fare acquerello botanico? «Dobbiamo innanzitutto fare una distinzione tra acquerello botanico e acquerello floreale. I soggetti sono in entrambi sempre piante, fiori, erbe e frutti ma nell’acquerello botanico si cerca l’attenzione scientifica al riconoscimento della specie mentre nell’acquerello floreale c’è soltanto una sorta di trasporto verso i fiori, la scelta di disporli in un modo piuttosto che in un altro ma è solo una cosa emozionale mentre nell’acquerello botanico c’è anche una percezione di tipo scientifico». Come è arrivata a dedicarsi all’acquerello botanico? «Ci sono arrivata per passione e per un dono che mi è stato dato dalla nascita che è quello di saper disegnare e dipingere. Il saper disegnare è un dono di natura ed è però anche una tecnica che si può affinare, nel senso che quando tengo dei corsi di acquerello botanico dico sempre che l’importante è amare le piante e non avere fretta perché è una tecnica dal vero che non si può imparare in poco tempo. Ci vuole pazienza e tanta passione, sia per la pianta

Daniela Passuello, laureata in Scienze Naturali

che per il disegno». Lei è nata e ha vissuto a Milano, come è arrivata in Oltrepò pavese? «Mi sono trasferita per la prima volta in Oltrepò proprio qui a Rivanazzano con la mia famiglia dopo la maturità per motivi di lavoro di mio papà, poi nel 1976 mi sono sposata e sono ritornata a Milano. A Milano è nato mio figlio e nel 1989 ho deciso di ritornare qui perché ero affezionata a queste colline e poi mi sono resa conto che l’aria di Milano non era adatta ad un bambino piccolo». Si è dedicata totalmente alla sua passione dopo la laurea? «No, ho cominciato a fare l’insegnante ma ho capito che non era la cosa che desideravo e, dopo varie esperienze, ho fatto delle tavole sulle garzaie dell’Oltrepò per alcune pubblicazioni della Provincia di Pavia che mi hanno dato grande soddisfazione per-

ché lì ho fatto sia la parte della vegetazione vista dall’alto che la parte dell’illustrazione degli animali che abitano queste zone. Ho dipinto poi delle tavole sulle “antiche varietà lombarde” per il dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente. Nel contempo ho portato avanti la mia passione per il disegno e l’acquerello. Ho fatto un’esposizione dei miei lavori a Londra nel 2007 ed ho vinto la medaglia d’argento della Royal Horticultural Society. Poco dopo sono tornata in Università a Pavia ed ho incontrato gli amici dell’Orto Botanico che mi hanno pubblicato sul loro giornale un articolo sull’esperienza inglese, un’esperienza che mi aveva veramente molto toccato perché l’Inghilterra è sempre stato un mio sogno di bambina e in seguito mi hanno invitato ad allestire delle mostre dei miei quadri e poi, a poco a poco, sono arrivata a tenere dei corsi di acquerello botanico sia all’Università che nelle scuole. A breve partirà proprio a Voghera presso l’Istituto Agrario “Gallini” un corso di acquerello botanico pomeridiano che ha riscosso notevole successo tra i ragazzi ,abbiamo 20 iscritti ed è molto bello vedere che ci sono ancora dei giovani interessati a questa espressione artistica». Come sceglie i suoi soggetti? «Le posso dire che se scelgo dei fiori li scelgo anche annusandoli perché il profumo che emanano mentre li dipingo mi sembra mi dia la carica . Faccio uno schizzo a matita molto velocemente su foglio da acquerello e poi inizio a fare il disegno il più preciso possibile per trasporre tutti i dettagli. è molto importante che il disegno sia preciso perché non si può correggere

con il colore in un momento successivo. E poi inizio a colorare. è un lavoro molto lungo ma ci si immerge nella pittura in modo così completo che non ci si accorge del tempo che passa. Per completare un quadro ci vuole minimo una settimana. Io dipingo fiori sulla pianta e quindi con il passare dei giorni è abbastanza difficile perché i fiori si muovono. Le posso dire che il fiore più semplice da ritrarre per un principiante è l’orchidea perché si muove pochissimo. E proprio perché richiede concentrazione e pazienza l’acquerello botanico è anche una forma d’arte terapeutica, le persone che seguono i corsi si dimenticano dell’orologio e si rilassano». Lei ha fatto molte mostre anche in posti bellissimi, c’è un luogo dove vorrebbe vedere esposti i suoi quadri? «Sì, è vero. La mia prima mostra è stata fatta ai Giardini di Villa Hambury a Ventimiglia. Ho esposto i miei quadri in molte mostre personali e collettive in splendide località in tutta Italia, a Londra. Attualmente espongo in una mostra a Marcon in provincia di Venezia che si intitola “La natura ritratta”. è un omaggio fatto all’Oasi di Gaggio, un’oasi della Lipu dove vengono ritratti animali e piante selvatiche. Il mio sogno sarebbe quello di tornare in Inghilterra dove questa forma d’arte è molto apprezzata. Gli Inglesi, come anche gli abitanti dei paesi nordici amano molto la natura e arredano spessissimo le loro case con quadri ad acquerello. Anche da noi comunque ci sono molte persone appassionate e l’acquerello botanico ha un suo mercato di nicchia». Gabriella Draghi


MUSICA

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A 4 anni Cesare Palavezzati decise che voleva suonare il piffero... Uno dei patrimoni musicali più importanti e vitali in Italia settentrionale si trova nell’area conosciuta come “Quattro Province”, antico crocevia di incontri e di scambi culturali ai confini di quattro differenti regioni: Emilia Romagna (Piacenza), Lombardia (Pavia), Liguria (Genova) e Piemonte (Alessandria). In quest’area è tuttora viva una delle più importanti espressioni della tradizione musicale dell’area appenninica: la musica da piffero. Il piffero è uno strumento musicale che appartiene alla famiglia degli oboi e a quella più generale degli aerofoni ad ancia doppia. è strumento solista: nel periodo tra le due guerre era ancora suonato in coppia con la zampogna, nota localmente come müsa, sostituita nel tempo dalla fisarmonica. Negli anni ‘60 nel repertorio da piffero e fisarmonica delle Quattro Province il legame con il passato si è affievolito, tuttavia non si è verificata una rottura netta, poiché in quegli anni, Ernesto Sala manteneva vivo il repertorio attraverso feste e rituali. I giovani come Stefano Valla erano incentivati ad imparare il repertorio locale e hanno fortemente voluto mantenerlo vivo e preservarlo. Così da Valla in poi è nata una nuova generazione di giovani che seguendo il suo esempio e quello del predecessore Ernesto Sala stanno tuttora imparando le melodie e i rituali del patrimonio musicale del piffero. Uno di questi giovani è Cesare Pallavezzati, 14 anni, residente a Casanova Staffora e studente al primo anno dell’Istituto Tecnico Agrario “Gallini” di Voghera. Lo abbiamo incontrato per sapere qualcosa di più su questa sua passione. Come e quando è nata questa passione per uno strumento non comune come il piffero? «Io non mi ricordo precisamente perché ero piccolo ma mia mamma mi racconta che quando avevo quattro anni ho assistito a un’esibizione musicale di piffero e fisarmonica nell’ambito di una festa tradizionale, sono rimasto affascinato e le ho detto: “Io voglio suonare il piffero”». E tua mamma come ha reagito? «Ha chiesto al maestro di Cegni Stefano Valla e lui ci ha consigliato di aspettare almeno fino ai sei anni per via della potenza incredibile di fiato che lo strumento richiede. Quando ho compiuto sei anni ho iniziato a prendere lezioni e dopo sei mesi ho fatto la mia prima esibizione suonando una canzone in pubblico. I miei genitori hanno un filmato di quell’episodio e devo dire che me la sono cavata molto bene. Mi sono appassionato alle musiche tradizionali e il maestro mi ha detto che ho una grande predisposizione per la musica in quanto il piffero è uno strumento che si suona a orecchio, non è necessario saper leggere la musica». Quindi hai sempre partecipato alle feste di paese danzanti tradizionali? «Sì e fin da bambino ho imparato anche a ballare i balli tradizionali, la musica mi

pianoforte sulle orme di mia sorella. In famiglia amiamo molto la musica e mio papà suona la chitarra. Mi piace anche molto cantare e canto nel coro di Casanova e in un coro di Varzi». Torniamo al piffero. è molto difficile e impegnativo suonare questo Cesare Palavezzati al piffero e Nicolò Mandirola alla fisarmonica strumento? coinvolgeva completamente e mi appas«Certo non è facile ed è abbastanza impesionavo sempre di più. Ho iniziato poi ad gnativo, ci vuole molto fiato ma si hanascoltare anche musiche tradizionali e con no notevoli soddisfazioni. è anche molto il flauto dolce riproducevo i vari pezzi dirilassante. Al pomeriggio, dopo lo studio, vertendomi molto. Ho poi studiato anche suono spesso e mi sento in pace. Mi eser-

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GENNAIO 2018 cito anche perché a volte suono durante qualche manifestazione nei paesi limitrofi». Sei l’unico ragazzo della zona o c’è qualche altro giovane che suona con te? «Sono l’unico della zona a suonare il piffero ma per esempio c’è un altro ragazzo di Cegni che suona la fisarmonica che spesso si esibisce con me. Suoniamo sempre musiche tradizionali del territorio e questo è molto importante perché ci teniamo a mantenere le tradizioni musicali della Valle Staffora». Studi all’Istituto Agrario e come immagini il tuo futuro? «Mi sono iscritto all’indirizzo vitivinicolo perché amo la campagna e mi piace la vita all’aria aperta. Immagino il mio futuro in questo settore non so ancora se nella produzione o nel campo dell’enologia. Conto però di portare sempre avanti la mia passione per la musica che mi dà tante soddisfazioni». Gabriella Draghi

Coro San Germano a Rivanazzano dal 1978 Il Gruppo Corale San Germano di Rivanazzano Terme nasce nel 1978 come coro parrocchiale femminile. Fondato e diretto sin dalla sua costituzione dal Maestro Isabella Salvo Scarabelli, 54 anni, diplomata in pianoforte al ConservatorioVivaldi di Alessandria, ha seguito una formazione presso la scuola di musicoterapia di Assisi, oltre a corsi in direzione corale e finalizzati all’educazione della musica primaria. Scarabelli, quando è nato il gruppo corale? «Il Gruppo Corale San Germano è nato nel 1978 a Rivanazzano Terme e nasce inizialmente come coro femminile e solo nel 1998, con l’introduzione delle voci maschili (che completano l’attuale formazione mista, divisa nelle sezioni Soprani, Contralti, Tenori e Bassi), ha ampliato il proprio repertorio, specializzandosi nei canti Gospel e Spiritual». Da quanti membri è composta la Corale? «Una trentina più o meno, siamo un gruppo piuttosto eterogeneo: una parte di coriste partecipa alla Santa Messa della Parrocchia di San Germano a Rivanazzano, la Corale completa, invece, svolge attività concertistica (prevalentemente a scopo benefico) in ambito provinciale e regionale». Dove vi ritrovate per le prove? «Normalmente ci ritroviamo il Lunedì dalle ore 21 alle 23, presso una sala della Biblioteca Civica di Rivanazzano. In occasione di concerti particolarmente impegnativi, può capitare di doversi trovare anche più volte alla settimana». Dove vi esibite e per quali eventi? «Non abbiamo un’area specifica, ci siamo esibiti nei centri commerciali come anche nei teatri e nelle chiese e nelle case di riposo; abbiamo anche cantato vestiti da pastori e pastorelle in un presepe vivente, organizzato in Piazza Duomo qualche anno fa.

Eventi per i quali siamo più richiesti sono soprattutto legati ad attività di associazioni benefiche. Gli abiti che indossiamo durante i

Il Coro S. Germano nella versione Gospel Choir

concerti, ad esempio, arrivano direttamente dal Togo, grazie alla collaborazione che da anni abbiamo con la Maison de Bethanie, con sede a Lungavilla. Cantiamo anche nell’ambito di occasioni come matrimoni e battesimi. Inoltre, partecipiamo a concorsi di musica e tra i momenti più belli ricordiamo la partecipazione al 2° Festival Cori Parrocchiali Memorial Don Sandro Magnani, in cui abbiamo vinto il primo Premio, e il Concorso Nazionale “Franchino Gaffurio” a Quartiano di Mulazzano (Lodi), dove siamo stati premiati con la Fascia d’Argento per la sezione dedicata ai canti Gospel e Spiritual. Quando la Corale si esibisce portando il proprio repertorio Gospel, si presenta come “San Germano Gospel Choir”». Ci sono anche giovani che si avvicinano alle vostre attività? «Purtroppo non ci sono molti giovani che chiedono di venire a provare l’esperienza di cantare in un gruppo che esegue musica Gospel e Spiritual. Forse può sembrare un genere troppo lontano dalla nostra cultura, in effetti se si pensa allo Spiritual ci si immagina subito il contesto delle popolazioni africane ridotte in schiavitú, che lavoravano nei campi di cotone, esprimendo il dolore e la sofferenza a cui erano costretti, cantando la voglia di libertà. In quei canti trovavano conforto, e il loro canto, che prima era espressione di disperazione, è diventato con il tempo il Gospel, cioè un canto di gioia. Facendo un paragone, si pensi a quante volte ci sentiamo prigionieri di un dolore, di una malattia, persi per la perdita di una persona cara, oppure prigionieri di una vita che vorremmo diversa ma

che non possiamo cambiare. Questo è ciò che ci unisce a loro. Così oggi noi facciamo Gospel e, come un tempo, nella gioia del canto troviamo riscatto, fosse solo anche per il tempo di una canzone». In che rapporti siete con l’amministrazione comunale? «Con l’amministrazione comunale siamo in buoni rapporti. Possiamo usufruire di una sala all’interno della biblioteca comunale, dove possiamo stoccare anche il materiale audio e gli strumenti necessari per i concerti». Come vi sostenete? Avete degli sponsor? «Purtroppo, la presenza di sponsor è una rarità. Grazie ai concerti, comunque, riusciamo per fortuna a sostenere le necessità economiche del coro, ma bisognerebbe farne molti di più per essere sempre più performanti». Esistono altre associazioni simili in Oltrepò, con le quali collaborate? «Diciamo che quasi tutti i cori hanno nel loro repertorio almeno qualche brano gospel, ma in Oltrepò siamo gli unici con un repertorio quasi interamente gospel e spiritual. Spesso collaboriamo con altri cori che fanno generi completamente diversi dal nostro, pur sempre cercando di trovare un filo conduttore per raccontare una storia. Pochi mesi fa, ad esempio, con il coro Italo Timallo di Voghera abbiamo fatto un concerto al castello: “Il canto: musica dell’anima” , unendo e confrontando i canti degli alpini che narrano il dramma e le sofferenze dei soldati in guerra, ai canti Spiritual e Gospel che raccontano la drammaticità della schiavitù». Federica Croce


MUSICA

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«Invidia e frustrazione i limiti degli artisti d’Oltrepò»

Alessandro Tuvo, vogherese, classe 1989

«Chitarrista dalle influenze più incoerenti, fonico da trincea e inesauribile entusiasta». Così si autodefinisce Alessandro Tuvo, classe 1989, vogherese doc ma oggi ufficialmente cittadino del mondo. Una cittadinanza conferitagli honoris causa dalla “dea” Musica, grazie alla quale negli ultimi 10 anni ha potuto realizzare molti dei suoi sogni. Attività live in giro per il mondo con varie band rock crossover e metal, un disco solista, due metodi didattici incentrati sulla chitarrra metal, numerose clinic volte a promuovere alcuni dei brand più rinomati nella scena heavy, oggi Alessandro ha deciso di allontanarsi da quel tipo di sonorità per dedicarsi seriamente ai Family Business, un progetto più soft e che gli permette “di mettersi in gioco maggiormente sia dal punto di vista artistico che compositivo”. Parallelamente manda avanti la sua attività didattica nelle scuole e in accademia (Rock Guitar Academy). Dal 2013 lavora inoltre come compositore di colonne sonore per spot publicitari. Da 4 anni ad oggi è endorser e dimostratore delle chitarre ESP e degli amplificatori Blackstar. è titolare dello studio di registrazione TryStudio in cui, dal 2012 svolge il ruolo di fonico e arrangiatore per progetti inediti e coverband. Lo incontriamo al rientro da Bora Bora, Polinesia Francese, dove per tre mesi insieme alla compagna (di vita e di palco) Carolina è stato la resident band all’Hotel Conrad Hilton. Partiamo da qui. Innanzitutto ben tornato. Come si stava dall’altra parte – letteralmente – del mondo? «Posso dire che è stata un’esperienza meravigliosa e molto formativa. Il lavoro consisteva nel suonare 6 sere a settimana in un bellissimo lounge in riva al mare a contatto con un pubblico internazionale e inseriti in un contesto estremamente suggestivo. Il trattamento ricevuto è stato inverosimile (in positivo, ovviamente!). Avevamo a disposizione una stanza all’interno del resort, pasti, servizio in camera e lavanderia inclusi.

Ci siamo sentiti un po’ come dei clienti in vacanza. Inutile dire quanto sia stato uno shock il ritorno alla realtà!». Non è difficile immaginarlo. Lusso a parte, spesso chi suona all’estero nota grandi differenze con la scena non solo locale, ma italiana in generale. Anche per voi è stato così? «Non ti nascondo che però l’impatto con un pubblico internazionale, benché per entrambi non fosse la prima volta, è stato particolarmente diverso e piacevole. Non mancavano mai gli applausi tra un brano e l’altro e i complimenti a fine serata. Però devo dire che, strano ma vero, da quando siamo rientrati anche il pubblico di qui sembra più coinvolto e partecipe, cosa che è abbastanza rara e non sappiamo se effettivamente dipenda da un miglioramento delle nostre performance o da un semplice effetto stile “carro del vincitore». La musica è la tua professione e, nella misura in cui un vincitore è colui che realizza un suo sogno, tu puoi sicuramente e a buon merito qualificarti come tale. In tanti vorrebbero essere nelle tue scarpe. Ma com’è possibile riuscire a vivere di musica oggi, in Italia ma soprattutto in Oltrepò? «Spesso si confonde il concetto del “vivere di musica” con quello di “diventare famoso” o in generale di stare su un palco e guadagnare un sacco di soldi. Vivere di musica può voler dire infinite altre cose. Un organizzatore di eventi vive di musica, un fonico vive di musica, un dj, un presentatore radiofonico, un insegnante, un critico musicale, un dimostratore, un vocalist, un ufficio stampa e via dicendo… sono tutte figure che lavorano nell’ambiente musicale. Io personalmente mi sono sempre diviso tra palco, mixer e insegnamento e questo mi ha permesso di vivere di musica in maniera più che dignitosa. Si può vivere di musica ovunque, anche in Oltrepò, soprattutto se si considerano le infinite possibilità che questo mondo offre, andando oltre all’anacronistico ma lecito stereotipo di quello che è riuscito nella sua impresa perché è andato a cantare a Sanremo». Il tuo curriculum è già lungo se confrontato con la tua vita, visto che non hai ancora 30 anni. Come è nata la passione per la musica e come l’hai sviluppata? «Grazie a mio padre. Mi ha sempre affascinato sentirlo suonare in casa nei rari momenti di relax domenicali che gli permettevano di imbracciare la chitarra. Da li le mie prime note, inizialmente sul pianoforte, successivamente sulle sei corde. Sin da piccolo ho sempre amato bazzicare nei vari ambienti musicali come scuole di musica, club, studi di registrazione negozi di chitarre, liuterie, cercando ci carpire ogni piccola nozione e di masticare il più possibile il linguaggio che gli apparteneva. Questo mi ha portato ad avere la possibilità, negli anni seguenti, di fare (anche se magari non benissimo!) i più disparati

lavori, sempre rimanendo nel campo musicale. Parlo di lavori come il fonico, il datore luci, l’insegnante di chitarra e, nei momenti più fortunati, il chitarrista». Hai pubblicato un disco a nome tuo, intitolato “Declaration of Ignorance”. Oltre ad essere palesemente rock, di che tipo di lavoro si tratta? «Ho pubblicato tramite un’etichetta indipendente “declaration of ignorance” ormai da qualche anno. Si tratta di un ep (extended play, “versione ridotta” di un album intero ndr) solista che è nato quasi per necessità. In quel momento stavo lavorando molto come dimostratore per ESP e Blackstar e spesso mi ritrovavo a dover imparare dei brani molto tecnici di altri chitarristi solisti da eseguire poi sul palco in contesti come clinics o fiere. Ho pensato quindi di comporre quattro brani che mettessero più in risalto il mio stile e che mi facilitassero un po’ la vita durante le performance!». “Family Business” è il nome del progetto che porti avanti ora. Come vanno gli “affari” e perchè “di famiglia”? «Family Business per me è stata la svolta. Family perché io e Carolina siamo una duo sul palco ed una coppia nella vita di tutti i giorni. Fin dal primo video, pubblicato quasi per scherzo su Facebook, ci siamo entrambi resi conto che questo poteva, per la prima volta, essere effettivamente il progetto su cui investire tempo ed energie. A solo un anno di distanza dalla nascita del duo, infatti, abbiamo potuto finalmente abbandonare ogni altro lavoro e progetto per dedicarci solo a questo». Dove vi esibite solitamente, Bora Bora a parte?

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«Ovunque ci chiamino! Spesso ci esibiamo nei vari locali della zona e, ultimamente, stiamo lavorando con più promoter, italiani e stranieri che ci danno la possibilità di viaggiare facendo quello che più amiamo». Come giudichi la scena musicale oltrepadana? L’impressione è che band e artisti non manchino, eppure qualcosa non va. Concordi? «Sarò breve e diretto. La responsabilità è degli artisti stessi. Odio, cattiveria, invidia, frustrazione, scarsa collaborazione e propensione alla critica infondata sono tipiche dei paesi piccoli e delle persone piccole che li abitano. Voghera e l’Oltrepò non fanno eccezione. Potrei polemizzare al riguardo ma come sempre sarebbe tempo sprecato. Tempo ed energie che, se utilizzate nella maniera corretta, portano molte più soddisfazioni». Cosa ti senti di dire a chi volesse intraprendere un cammino simile al tuo? «Oltre che è pazzo?! Scherzi a parte, in tutta onestà, non saprei fare altro se non riempirmi la bocca della solita retorica spiccia come “non mollare mai, continua a sognare” ecc ecc. Probabilmente l’unico consiglio che mi sento veramente di dare è quello di capire bene quali siano i propri obbiettivi e di cercare di raggiungerli a piccoli step sapendo sempre che, purtroppo o per fortuna, siamo noi stessi le uniche persone veramente interessate al loro raggiungimento. Bisogna fare cose per far succedere cose». Christian Draghi

SPORT

La sezione Arbitri di calcio di Voghera intitolata a Renato Paturenti

Il Presidente degli arbitri italiani Marcello Nicchi è stato ospite della Sezione A.I.A. di Voghera per intitolarla ufficialmente a Renato Paturenti, Dirigente Arbitrale Benemerito che ha ricoperto prestigiosi incarichi a livello nazionale ed europeo, per citarne alcuni: designatore degli arbitri di Serie A, vice Presidente dell’A.I.A., Presidente della Commissione Disciplinare Arbitrale, delegato per visionare gli arbitri nelle gare europee. Presenti alla cerimonia: il Presidente degli arbitri Lombardi e diversi presidenti delle sezioni limitrofe, il sindaco di Voghera e moltissimi arbitri vogheresi. Durante la cerimonia il Presidente Nicchi ha consegnato all’arbitro benemerito Lino Albertini una pergamena per i suoi cinquanta anni di appartenza all’associazione. La sezione A.I.A. di Voghera che conta un centinaio di associati è aperta tutti i lunedì e i venerdì dalle ore 20.30 in via Garibaldi.



MOTORI

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2017 un anno a 4 ruote tra gioie e dolori. In ricordo di Antonio, Bruno e Massimo

Massimo Sala, Bruno Bazzini e Antonio Contento

Casco, tuta, un motore che spinge, curve e controcurve e quattro gomme che stridono, questa é la loro passione. A costoro e a tutti gli appassionati di questa irrefrenabile attrazione, l’Oltrepò non è mai stato indifferente regalando a questi, negli anni, importanti eventi. Anche il 2017 l’Oltrepò, terra di borghi, castelli vigneti, di grandi vini nobili e salami ha riservato loro una stagione interessante. Aci Pavia, in data 23 aprile – Ha regalato spettacolo ed emozioni con la seconda edizione del “Motors Rally Show” riservato alle vetture moderne, disputato sul tracciato permanente di Cervesina dedicato alla memoria di Tazio Nuvolari in cui, a confrontarsi, oltre ai migliori piloti locali, sono giunti driver di prestigio tra cui Piero Longhi e Giacomo Ogliari il quale, approfittando di un prematuro ritiro del leader provvisorio Longhi, ha conquistato un successo sudato ma meritato, al volante della Ford Fiesta Wrc della PA Racing, il portacolori della scuderia Winners Rally Team ha preso la testa della corsa dalla quarta speciale e ha condotto da leader fino al traguardo vincendo l’ultimo tratto cronometrato. Il momento clou, il nostro territorio lo ha però vissuto in un infuocato mese di luglio quando, sempre l’Autoclub provinciale, in collaborazione con la francese YL di Yves Loubet, innamoratosi delle terre oltrepa-

dane, hanno messo in scena un’importante appuntamento con la storia dei rally: il 4 Regioni per vetture storiche, onorato, oltre che dalla presenza dei piloti italiani, anche da driver giunti dalle più svariate regioni francesi, Corsica compresa e dal Belgio. A fare man bassa però sono stati i piloti dell’Oltrepò con Matteo e Claudia Musti vincitori assoluti, Giorgio Buscone e Ilaria Maggi, primi nella versione nazionale del rally e Rancati-Ercolani, primi nella regolarità Sport. Per i perfezionisti del cronometro invece, il Veteran Car Club Carducci di Casteggio ha proposto un’interessante campionato riservato ai possessori di auto d’epoca. Sette gare, tutte molto interessanti, culminate con il “Giro Notturno” che, scattato da Montecalvo Versiggia il 27 maggio ha concluso la prima tappa a Salsomaggiore per poi fare ritorno il giorno dopo a Casteggio dove é stato posto l’arrivo. Anche qui c’è stata l’affermazione di Rancati-Ercolani, mentre il campionato è andato a Zinco-Ruggeri, anch’essi oltrepadani. La stagione del Vccc, si è poi chiusa l’11 novembre con il trofeo “Aspettando la neve”, non valido per il campionato, disputato sul tracciato del kartodromo 7 laghi di Castelletto di Branduzzo in cui la vittoria é andata ai vogheresi. Tamburelli-Adaglio. Insomma, quella da-

tata 2017, la si può definire una stagione vivace con risvolti anche goliardici che ha fornito parecchi spunti d’interesse agli amanti del settore. Questo però non ci impedisce di portare con noi, da dividere con tutti gli appassionati, la mestizia per la perdita di tre amici, tre personaggi, ognuno a suo modo, mitici nel mondo dei rally non solo pavesi. Massimo Sala (fotografo), Bruno Bazzini (Ufficiale di gara) e Antonio Contento (Pilota). Massimo Sala, come detto, non è stato un rallysta, ma un campione d’umanità innamorato della fotografia e dei rally. Una grande passione per inquadrare i momenti speciali, fissare i ricordi tenendoli sempre a portata di mano per far rivivere le sensazioni provate quando è stata scattata. Chi, come Massimo Sala è cresciuto sulle alture dell’Oltrepò, conosce il verde vivace di boschi e prati, il gioco delle nubi in cielo e la magia dei suoi tramonti, ma ha conosciuto e amato anche il fascino delle bizzarre formazioni rocciose delle Dolomiti. Delicatezza, forza, rusticità e tranquillità che costituiscono anche lo sfondo di avventure sportive, quelle stesse avventure sportive a quattro ruote che ha amato in giro per l’Italia e in particolare nella sua terra, l’Oltrepò Pavese. Sempre presente, nei tornati, sui dossi, ovunque ci fosse spettacolo, auto e colori da immortalare, ovunque ci fosse Rally.

C’é poi una persona che è entrata in punta di piedi nella vita di tutti noi che nemmeno ce ne siamo accorti, lasciando poi un vuoto incolmabile quando all’improvviso se n’é andata. Siamo convinti che questa frase esprima al meglio il vuoto che la figura di Bruno Bazzini “il Bazz”, ha lasciato nel mondo dei rally. Nato nei rally, vissuto nei rally ricoprendo cariche Federali, innamorato più di ogni altra cosa del rallysmo della sua terra, ha deciso di andarsene proprio alla vigilia del suo amatissimo rally 4 Regioni, portando con se la sua smisurata passione, il suo sorriso, le sue battute e la sua bonarietà. Infine lui, Antonio Contento. Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che quel maledetto giorno sarebbe arrivato così all’improvviso e che saremmo stati qui a ricordare la bella persona che era, il suo coraggio in gara e la sua determinazione nel lavoro, il suo entusiasmo, la sua grinta e la sua allegria, infine - ma non per importanza - la sua generosità e il suo altruismo. Antonio, la sua passione per le corse e la sua gioia di vivere resteranno per sempre racchiusi nei nostri ricordi, che sono l’arma più potente di tutte: nessuno è in grado di cancellarli. Piero Ventura


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Rally Day Il Grappolo: Nicelli mette la sua Clio R3T nella top ten assoluta Ultimi botti di fine anno per Davide Nicelli al Rally Day Il Grappolo che si è corso a San Damiano d’Asti domenica 10 dicembre. Il pilota oltrepadano, navigato da Riccardo Imerito, ha messo la sua Clio R3T nella top ten assoluta ricca di nomi importanti, che ha visto per il secondo anno consecutivo la vittoria di Emanuele Franco e Luca Pieri su Mitsubishi Lancer. La corsa è stata incerta fino all’ultima delle sei prove speciali con diversi scambi al comando. All’inizio sono Matteo Giordano e Vilma Grosso (Renault Clio) a guidare la

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provvisoria dopo la prima prova speciale con 4 decimi di secondo di vantaggio su Emaluele Franco e Luca Pieri (Mistubishi Lancer). Terzi sono Luca Cantamessa e Luisa Bollito (Opel Adam). Sulla seconda speciale Franco dà una prima zampata infliggendo 7”4 a Giordano. Il sandamianese, già vincitore dell’edizione 2016, allunga nella terza e nella quarta prova fino ad avere 13”1 di vantaggio. Intanto, per il gradino più basso del podio sono Sandro Sottile e Marco Nari (Renault Clio) a giocarsela con Cantamessa, superandoli dopo la terza prova. Sull’ultimo passaggio della speciale di Revigliasco, il leader Franco si gira e perde tutto il suo vantaggio. Così Giordano passa al comando per 7 decimi. Sottile vince la prova e porta a 1”5 il vantaggio su Cantamessa. Si decide tutto sulla prova speciale di Ronchesio che per la sua configurazione e per i tanti tratti umidi nel bosco favorisce la maggiore trazione delle quattro ruote motrici. Infatti Emanuele Franco vince la sesta prova infliggendo 5” a Giordano e ritorna in testa all’assoluta vincendo per la seconda volta consecutiva la gara che chiude la stagione dei rally in Piemonte. La sfida tra Sottile e Canta-

«è stata una gara iniziata subito in salita causa un set up e gomme non molto azzeccati ... Da un lato, sono un poco rammaricato con me stesso perché non sono riuscito a dare ciò che avrei potuto...»

messa si conclude in favore del primo e l’astigiano, sul podio, ricorda con piacere il medesimo duello di qualche anno fa quando avveniva nel campionato italiano. Completano la top five Franco-Bodda,M. (Peugeot 208 VTI). Bella la lotta alle loro spalle per entrare nella prestigiosa top ten assoluta in cui Caveglia Beatri-Grosso, con la Clio Williams agguantano il 6° posto davanti a Marignan-Mazzetti (Williams),

Franco-Prato,M. (Mitsubishi Lancer Evo) a l nostro Nicelli, nono assoluto e a FerroRabino,L. (Peugeot 208 VTI). «è stata una gara iniziata subito in salita causa un set up e gomme non molto azzeccati – è l’analisi di Nicelli, il quale aggiunge - Il secondo giro di prove con la macchina che si è comportata bene, ho cercato di recuperare, ma purtroppo ho commesso un errore pagato caro in termini di secondi. Da un lato, sono un poco rammaricato con me stesso perché non sono riuscito a dare ciò che avrei potuto. Dall’altro lato, sono contento che la mia Clio abbia funzionato a dovere, devo solo farci un po’ di strada per capirla a fondo. Portiamo a casa comunque un 9° posto assoluto, primi di R3T e primi di under 25. Questo grazie al Team Gima, al mio navigatore Imerito, sempre eccezionale, alla scuderia Superba Rally Team, agli sponsor e a tutti gli amici e i tifosi che mi hanno seguito. Ora devo, con umiltà e sacrifici, lavorare duramente per migliorarmi e trovarmi pronto per la nuova stagione, dove cercheremo di imbastire un programma importante». Piero Ventura

Da Zavattarello a Bassano del Grappa, Perelli-Roveda sono pronti al debutto Fuoco alle polveri. Natalino Perelli, Giuseppe Roveda e la loro Fulvia HF 1.6 sono pronti al debutto stagionale che avverrà nei primi giorni del mese di febbraio a Bassano del Grappa, sede dell’edizione 2018 della Coppa Attilio Bettega. A trentatreanni dalla tragica scomparsa è sempre vivo il ricordo del grande campione, amato per le sue indubbie doti velocistiche ed umane. Per gli appassionati che ne hanno potuto apprezzare le gesta sportive è un grande onore partecipare a questa manifestazione invernale che ripercorrerà le strade ed i luoghi che lo hanno visto protagonista. Molti i partecipanti di prestigio tra cui non farà mancare la sua presenza all’evento Miky Biasion, il due volte campione del mondo rally prenderà il via al volante della sua Fulvia coupè Safari. Al via, oltre a Miki Biasion, ci saranno anche Alessandro Bettega, figlio dell’indimenticato Attilio al quale la gara è dedicata, in coppia con Maurizio De Tofoli, storico primo navigatore dell’asso trentino, e Dario Trucco, interprete di imprese indimenticabili al volante della Simca R 2, una “piccoletta” tutto pepe che nelle mani del rallysta piemontese si trasformava in una “belva” capace di mordere auto ben più potenti e performanti. Come detto, gli oltrepadani Natalino Perelli e Giuseppe Roveda saranno a bordo della Fulvia nei colori del Club Paviarally Autostoriche, per loro, le strade

Gli oltrepadani Natalino Perelli e Giuseppe Roveda saranno a bordo della Fulvia nei colori del Club Paviarally Autostoriche. impervie della gara non sono certamente nuove infatti, nell’innevatissima edizione del 2016, hanno ottenuto un ottimo 22° posto assoluto e quarti di classe. Sempre in area oltrepadana, c’é da segnalare anche la presenza di Emanuele Uderzo con l’Opel Manta nei colori del VCCC di Casteggio. Milanese di nascita, Uderzo é ormai da considerare oltrepadano d’adozione da quando ha trasferito la sua residenza nei pressi di Santa Maria della Versa. Per restare in tema di partecipanti, ha assicurato la sua presenza pure il pordenonese Antonio Zanussi con la sua splendida Ford Escort RS, indimenticato vincitore del rally Saturnus e Barum nel 1981 a bordo della Porsche 911 SC. Non mancherà il vincito-

re di una delle passate edizioni, Giordano Mozzi. Al via anche: Alexia Giugni (Alpine A110), Marco Leva (Lancia Fulvia HF) e il Sant’Angiolino Maurizio Senna (VW Golf GTI) vincitore del Rally 4 Regioni Amarcord nel 2011. La gara avrà uno sviluppo di 370 chilometri che aggiunti alle 27 prove cronometrate costituiscono il menù della Coppa Bettega, in calendario il 10 e 11 febbraio, classica invernale per eccellenza, va in scena una settimana dopo il Montecarlo Historic. Organizzata dal Rally Club 70 presieduto da Ivo Strappazzon, la gara si snoderà tra il Monte Grappa, già innevato con largo anticipo rispetto alle attese stagionali, e le Prealpi Feltrine e Trentine, lungo strade rese famose dal S. Martino di Castrozza degli anni Settanta.

Suddivisa in due tappe, la Coppa Bettega non darà un attimo di respiro ai concorrenti, con prove una di seguito all’altra, lunghe, spettacolari e selettive. Obbligatorie, a bordo, le catene per poter superare, in caso di improvvise ed abbondanti nevicate dell’ultimo momento (sempre accaduto nelle edizioni precedenti) le asperità del percorso tracciato in quota. La partenza, dopo le verifiche tecnico sportive al museo dell’auto Bonfanti-Vimar di Romano d’Ezzelino, verrà data a Bassano del Grappa sabato 10 febbraio alle 14,01 all’imbocco del celebre ponte degli Alpini. La prima tappa si concluderà a Pedavena alle 21.45. Ripartenza alle 22.35 e bandierina a scacchi a Bassano del Grappa, all’1.40.

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“Tigo” Salviotti festeggia i 20 anni di attività agonistica in campo rallystico

xxxxxxxxx Vogherese, classe 1976, con la nuova stagione che va ad approssimarsi, Andrea “Tigo” Salaviotti, festeggerà i 20 anni di attività agonistica in campo rallystico. Per dire il vero, Salviotti ha bazzicato i rally già dal 1996 in veste di apripista su vetture quasi di serie (Uno turbo, Peugeot 205 1.9 Gti, R5 turbo), in seguito debuttò in gara dopo circa due anni nel 1998, grazie alla spinta di Paolo Scattolon, suo presidente di scuderia al Road Runner Team. Sono stati anni in cui le esperienze e le soddisfazioni non sono certo mancate. Giunge da un’annata agonistica in cui alternandosi al volante di una Mini Cooper e della Fiat 600 Kit ha gareggiato sino allo scorso mese di novembre. Facendo un piccolo bilancio del 2017 dice: «Mi ritengo soddisfatto di ciò che ho profuso nel 2017. Ho avuto un inizio stagione positivo già in primavera al Motors rally show a Cervesina in cui, al volante della Mini Cooper RSTB, navigato da Lele Corollo, ho ottenuto il 2° posto di gruppo RS e il 1° di classe RSTB. Subito dopo ho disputato la Coppa Feraboli a Cremona, sempre con la Mini Cooper RSTB e affiancato in questa occasione da Giorgio Invernizzi in cui mi sono classificato al primo posto di classe RSTB e 2° di gruppo RS e 14° assoluto. Mi é rimasto molto amaro in bocca invece al Rally Coppa Valtellina disputata a bordo della Peugeot 106 gruppo A e navigato da Giorgio Invernizzi. Mentre occupavo il primo posto di classe e terzo di Gruppo A, oltre a 12° assoluto a pochi secondi dalla top ten composta da auto ben più performanti, sono stato costretto al ritiro da un guasto meccanico avvenuto all’inizio dell’ultima prova speciale. Chi corre deve mettere tutto in preventivo, ma quando accadono certe iatture, ti segnano nel morale. Tornato sulla Mini (macchina ancora in fase di sviluppo) a fine stagione in occasione del Rally Vedovati, navigato da Lele Corollo ottengo il 5° posto di classe RSTB PLUS. A fine novembre ho poi disputato il 7° Challenge del Lupo a Castelletto di Bran-

duzzo sulla Fiat 600 Kit Car ottenendo il 3° posto di una classe per me difficile, aperta fino a 1150 cc di cilindrata. Ma la gara in cui penso di aver dato il meglio é stata quella di casa, disputata nel rovente

mese di luglio, il Rally 4 Regioni International Classic in cui, con la piccola A 112 del Team Madama e Giorgio Invernizzi alle note, dopo tre giorni intensi, ho portato a termine la competizione al dodicesimo posto assoluto, primo di classe e terzo di Gruppo, preceduto dalla potente Ford Escorth di Jenot e dall’altrettanto potente Talbot Sumbeam Lotus del fresco vincitore del Rally del Marocco, Bernard Barrile. Mi sono divertito e nel complesso è andata molto bene, abbiamo superato pure il caldo torrido di quei giorni. Spero di ripetere le stesse emozioni anche quest’anno insieme al mio amico navigatore Giorgio Invernizzi». Tante gare, tante emozioni. Ma, Tigo Salviotti un sogno non ce l’ha? «Sì, un sogno ce l’ho. Il mio sogno o almeno, é forse meglio dire: mi piacerebbe disputare qualche gara all’estero o partecipare ad un trofeo a livello italiano, non mi dispiacerebbe anche provare l’emozione di qualche gara in pista. Insomma tanti piccoli desideri che attendono di essere

«Sì, un sogno ce l’ho. Il mio sogno o almeno, é forse meglio dire: mi piacerebbe disputare qualche gara all’estero o partecipare ad un trofeo a livello italiano»

realizzati». Programmi per l’anno che verrà? «Nel 2018 sarò sicuramente presente nelle gare della zona, mentre proprio in questi giorni sono in fase di valutazione per fissare nel mio calendario personale altri impegni agonistici». Piero Ventura

Rally 4 Regioni: tra molte voci un po’ di chiarezza Il 4 Regioni, promosso da Aci Pavia in collaborazione con “YL” di Yves Loubet quindi, rispecchierà a grandi linee l’edizione dello scorso anno.

Parecchie volte accade che informazioni dettagliate atte a fare chiarezza su questo o quell’evento, su questo o quel fatto, tardano a giungere ed ecco che si dà adito a congetture che non fanno altro che creare confusioni. Tranne quei pochi appassionati a stretto contatto con gli addetti ai lavori, molti altri, affidandosi a ciò che riporta il sito di YL dedicato al 4 Regioni Classic Historic, a cui, abitualmente si dedicano tutti i concorrenti stranieri che giungono a Salice, hanno inteso che in questo 2018, il rally pavese si fosse dimenticato dei nostri piloti, non propensi, per più di una ragione, ad affrontare una gara tanto impegnativa sotto più punti di vista, ostica come un tempo, ma anche onerosa. Facciamo dunque chiarezza. Circolano molte voci discordanti sull’edizione 2018 del Rally 4 Regioni. C’é chi asserisce che sarà gara unica su 3 tappe +

prologo (non più tre in uno: Internazionale, Nazionale e Regolarità Sport) e chi dice tutt’altro. Per tagliare la testa al povero “toro”, diciamo subito che la peculiarità della gara sarà in grado di soddisfare una vasta platea di appassionati. Il 4 Regioni, promosso da Aci Pavia in collaborazione con “YL” di Yves Loubet quindi, rispecchierà a grandi linee l’edizione dello scorso anno, con i partecipanti alla versione più impegnativa, definita “Classic”, basata sulle citate 3 giornate + prologo a fare da fulcro principale dell’evento, ai quali, nell’ultima tappa saranno accodati i protagonisti del Trofeo Rally di Zona e della Regolarità Sport, come già avvenuto nella passata edizione. Pertanto, nessun stravolgimento, ma una gara che lascia spazio a molti, iniziando da chi cerca un prodotto dai forti risvolti storici, a chi è alla ricerca di una gara meno impegnativa che calzi su misura alle proprie possibilità, sia tecniche, fisiche ed economiche. Questo, va sottolineato ed è molto importante nel contesto attuale, ma non va dimenticato il fatto che gli organizzatori hanno la ferma volontà, di portare nel tempo a venire questo rally a valori non comuni, facendone un unica prova per tutti in cui emerga tra le prime cose l’amore per il rally 4 Regioni inteso come gara dalla durezza e dai sapori antichi, la passione per le auto storiche e tra i concorrenti, il piacere di stare assieme, valori questi che attualmente non sono ancora comuni a tutti. Non c’é dubbio che per arrivare a ciò

dovranno ancora lavorare parecchio, ma la meta, nonostante le difficoltà, é assai più vicina di quanto si possa pensare. Tornando al 4 Regioni che rivivremo quest’anno ancora con la Formula 3 in 1, in modo molto ufficioso possiamo anticipare che le prove speciali previste saranno in totale 18 per complessivi 253 chilometri. Si inizierà mercoledì 9 maggio con il prologo, ovvero, la spettacolare Pozzol Groppo da ripetere 2 volte. Si riprenderà Giovedi con 85 chilometri di prove speciali suddivisi tra tre passaggi sulla Rocca Susella e due sulla Oramala. Altri 88 chilometri di prove speciali si percorreranno nella giornata di Venerdì 11 maggio con due passaggi sulla prova del Penice, altri due sul circuito di Cecima di ben 27 chilometri a passaggio, per chiudersi con la Pozzol Groppo, prova che servirà da prologo al rally nazionale che si accoderà in quel momento al Classic con il quale percorreranno l’ultima tappa sabato 12 maggio affrontando 6 prove speciali: Pecorara, Castellaro e GolferenzoPometo da ripetere due volte. In sostanza, ci sarà grande divertimento per tutti. Nel frattempo si sono ufficialmente aperte le iscrizioni al Rally 4 Regioni Histic Classic e tra gli oltrepadani, il primo ad inviare la propria adesione é stato lo stradellino Claudio Covini con la Lancia Rally 037, autore lo scorso anno di una brillante quanto sfortunata prestazione. Piero Ventura



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“I Parpajon” fanno record di punti, ma non basta. “Tia FC” rimane al primo posto Siamo giunti al terzo mese del nostro “fantaperiodico”e il gelicidio ha fatto la sua parte. Visti i molteplici rinvii effettuati dalla F.I.G.C. anche sui nostri campi abbiamo deciso, per mantenere una certa correttezza verso tutti i nostri fantallenatori, di annullare la giornata del 10 dicembre 2017. La sfida continua, nonostante gli intoppi… anzi, si fa sempre più avvincente. La classifica inizia a delinearsi, ma ciò non esclude ribaltoni! In testa alla classifica si conferma Mattia Tondo con la sua Tia FC, scende al terzo posto Niccolo Milanesi con la sua Viking Broni Team. Grande sorpresa al secondo posto, Valerio Travini fantallenatore de “i Papajon” con un incredibile punteggio di 105 punti fatti nella giornata del 17 dicembre balza sul gradino intermedio del podio. Altro grande punteggio è quello di Simone Domenichetti che con un 98, nella giornata del 3 dicembre, cerca di rientrare dalle retrovie per la lotta alla top10. Abbiamo sentito proprio questi due fantallenatori che con due punteggi record meritano di raccontarci qualche segreto. Domenichetti Simone 31 anni di Ponte Nizza In Base a quali criteri ha scelto la sua fantarosa? «In base alle mie conoscenze personali del cacio dilettantistico. Ho scelto giocatori sia del mio Nizza sia giocatori che militano in altre squadre e categorie che possono fare, per me, la differenza». Cosa si sente di dire agli altri “Fantallenatori”? «Agli altri fantallenatori devo dire grazie, perché questa iniziativa permette di scoprire nuovi giocatori soprattutto i più giovani che hanno esordito quest’anno in prima squadra».

Lei è il fantallenatore dei Domenik e allenatore del Nizza (campionato di seconda categoria). Con quale delle due squadre ha trovato maggiori difficoltà? «Quest’anno, aimè con il Nizza abbiamo trovato molte difficoltà. Spero di fare un girone di ritorno super vista la noVarerio Trevini fantallenatore Simone Domenichetti oltre stra pessima poside “i Parpajon” di ad essere Fantallenatore dei zione in classifica Campospinoso Dominik è anche allenatore del che nessuno tra i Nizza Calcio giocatori e la dirigenza, me compreso, si aspettava. Spero di rilanciarmi dell’ Albuzzano più temibili, visto le sue anche con la mia fantasquadra Dominik. I carattestiche diventa molte volte immarcaprimi risultati non sono andati benissimo, bile e secondo me quest’anno può arrivare spero che questo exploit mi possa far risatranquillamente ai 20 gol in campionato». lire in classifica». Valerio Travini 21 anni di CampospiSe potesse scegliere tre giocatori della noso squadra Domenik da inserire nel suo Le cose vanno sempre meglio per I Nizza, quali sceglierebbe? Parpajon, passati in seconda posizione. «Sceglierei tre giocatori che militano nelCome mai questo balzo in classifica? lo stesso girone del mio Nizza: il primo è «Gli ultimi punteggi alti sono frutto di Filippo Nobili dello Zavattarello con cui buone prestazioni e tanti gol dei miei gioho giocato ai tempi del Varzi e che ritencatori del Varzi e di uno straordinario pogo uno dei centrocampisti più forti della ker di Laazraoui in una delle ultime giorseconda categoria; il secondo è il capitano nate». e difensore della Portalberese Manini che Crede che i suoi ragazzi possano tenere secondo me potrebbe giocare tranquillaquesto ritmo per tutto l’anno? mente più in alto; terzo, ma non per impor«Penso che la squadra possa continuare a tanza, è Marchesotti attaccante della Rivafar bene, ma gli altri fantallenatori non stanazzanese che reputo insieme alle punte ranno certo a guardare!».

La nostra top 15 di Dicembre A quale dei suoi fantagiocatori darebbe la fascia da capitano? «Darei la fascia di capitano a Catenacci, esperto difensore del Varzi primo in classifica». Cosa si sente di dire a Niccolo Milanesi che con i suoi Viking Broni Team si trova al terzo posto? «Ho visto la sua rosa sul Periodico di Novembre ed è di grande livello. Sarà una bella sfida». Cosa si sente di dire a Mattia Tondo che con i suoi Tia FC si trova al primo posto? «Non conosco la sua squadra ma gli faccio i complimenti per il piazzamento. Vinca il migliore!». Nicolò Tucci





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