Oltrepò Pavese: Una terrA benedetta da Madre Natura e maledetta dAgli uomini
Anno 12 - N° 131 GIUGNO 2018
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voghera TC Voghera: una lunga storia di sport e costume cittadino
Da motel “mordi e fuggi” per coppie clandestine a struttura di eccellenza in grado di rivoluzionare l’ospitalità in Italia. Quella del Motel K di Casei Gerola è una parabola diventata esempio di imprenditoria di successo tale da innescare innumerevoli tentativi di imitazione. Gianluca Cristiani, imprenditore che arriva dal mondo delle discoteche e titolare della struttura aperta dal padre a inizio anni ’80, è l’ideatore delle famose camere “a tema” su cui detiene il copyright... pagina 19
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RIVANAZZANO TERME «Mi aspettavo una svolta più decisa a favore della raccolta differenziata» Paola Mutti, rivanazzanese di adozione, si è traferita da Voghera 23 anni fa per amore, fa la traduttrice di professione, ma come tiene a precisare... pagina 22 e 23
RETORBIDO «L’Oltrepo è Pinot Nero per la sua vocazione e Bonarda per la sua tradizione» Filippo Prè originario di Godiasco è ormai trapiantato a Retorbido dove da 15 anni riveste il ruolo di direttore tecnico dell’azienda... pagina 20 e 21
CECIMA
Effettivamente 29milioni 427mila euro e rotti... sono tanti soldi. Sono i soldi che saranno distribuiti più o meno a pioggia in 15 comuni: Bagnaria, Borgoratto Mormorolo, Brallo di Pregola, Fortunago, Men-
Il Comune di Cecima è un piccolo borgo dell’Oltrepò premontano che non si arrende nella sfida contro lo spopolamento...
«Quel “volemose bene” a parole, un’ipocrisia che poi non si traduce mai in fatti concreti»
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BRESSANA BOTTARONE “Gatti l’eclettico” che a 88 anni sogna la realizzazione del suo brevetto
Incontriamo nella sua grande casa di Bressana Bottarone, Raffaele Gatti, 88 anni già compiuti, che con sorprendente lucidità... pagina 37
BRALLO DI PREGOLA Maruffi: «Gara di enduro, permesso non accordato per ripicca»
«L’amministrazione del Brallo, per una mera ripicca del sindaco nei nostri confronti, non ha concesso il passaggio di una gara di enduro... pagina 28
conico, Montesegale, Ponte Nizza, Rocca Susella, Romagnese, Ruino, Santa Margerita Staffora, Val di Nizza, Valverde, Varzi e Zavattarello. Sono 15 dei 19 Comuni facenti parte della Comunità .... pagina 26 e 27
news
oltre
«Puntiamo a raggiungere il 50% con la raccolta differenziata»
«Non più solo “mordi e fuggi”, qui le coppie vengono per risvegliare la passione!»
il Periodico
Le prime notizie datano 1938. Da allora, tranne gli anni di chiusura dovuti al secondo Conflitto Mondiale, questo luogo ha rappresentato...
29milioni 427mila euro e rotti... Tanti soldi per tanti progetti...
Oltrepò in rampa di lancio con AttrACT: favola o opportunità? L’opinione di Callegari Progetto AttrACT, unioni di comuni, guardia medica, SPRAR: Lorenzo Callegari va avanti a testa bassa su tutti i fronti. Ma i problemi da risolvere sono tanti, e la collaborazione da parte degli altri enti, spesso, potrebbe essere… pagina 34 e 35
Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese si trova a vivere una nuova diaspora, seguita all’assemblea per il rinnovo del consiglio di amministrazione svoltasi l’8 maggio all’Enoteca Regionale di Cassino Po. Una situazione che induce a porsi degli interrogativi rispetto all’eterna litigiosità del mondo del vino locale, incapace di fare sistema e massa critica. Ne parliamo con il direttore del Consorzio, Emanuele Bottiroli... pagina 13
Editore
CYRANO DE BERGERAC
il Periodico News
GIUGNO 2018
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Oltrepò Pavese: Una terrA benedetta da Madre Natura e maledetta dAgli uomini è un territorio senza pace, l’Oltrepò del vino. Dovrebbero berne di più e volersi bene, per andare lontano, mentre invece continuano ad azzuffarsi senza sosta. «Una terre benedetta da Madre Natura e maledetta degli uomini», ho sentito dire in queste settimane in un bar di Santa Maria della Versa. è successo anche dopo l’assemblea per i nuovi consiglieri del Consorzio di Tutela. Si sapeva quali fossero le regole elettorali imposte dal Ministero, si sapeva che c’erano 24 candidati per 15 posti (5 produttori, 5 vinificatori, 5 imbottigliatori). Che qualcuno rimanesse fuori era chiaro, bastava un pallottoliere. Che le campagne elettorali si facciano prima del voto era altrettanto chiaro. Non si capisce dunque come sia stato possibile che il giorno dopo la proclamazione degli eletti sia partita l’ennesima diaspora: Torrevilla e altre quindici imprese fuori dal
Consorzio. Polemiche. Tavoli. Articoli sulla stampa anche nazionale. Un film già visto. Sorprende certo che chi ha i voti, in Oltrepò, non riesca mai a mettere d’accordo chi non ha volumi ma ha qualità, bella critica e sa fare impresa nel suo piccolo ma buono. Incredibile che Monsupello, con ciò che questo marchio rappresenta per l’intero Oltrepò, sia messa fuori dal consiglio d’amministrazione di un Consorzio che dovrebbe badare molto all’immagine. Un mio amico che ne sa mi ha spiegato: «Cosa vuoi, là dentro contano i numeri e chi rompe troppo le scatole ai big viene messo alla porta come succede da anni. Si dice che è tutto cambiato, i due Giorgi amoreggiano sui giornali ma la solfa è davvero sempre la stessa». Io non sono convinto che sia vero, però oltre a vivere di ciò che è si vive anche di ciò che viene percepito. E se tante aziende se
ne vanno sbattendo la porta, i distrettuali prima e i nuovi fuoriusciti adesso, qualche domanda bisogna farsela. Probabilmente chi ha tanti voti ha anche la responsabilità di agire lasciando spazio alle minoranze, non soffocandole. Il Consorzio dev’essere un Parlamento, non un podio. Il parametro “erga omnes” del voto ponderale, tanto produci - tanto voti, schiaccia le ragioni degli altri: una cantina e i suoi grandi clienti decidono il 70% di un consiglio di amministrazione di un Consorzio che dovrebbe essere di tutti in un territorio in cui circa la totalità delle aziende è di tipo familiare. A fare da sfondo vi è poi l’inchiesta per falso Pinot grigio IGT Provincia di Pavia che ha travolto la vecchia Terre d’Oltrepò. è emerso che il sistema per remunerare di più i soci era fraudolento; ciò ha rappresentato anche una dinamica di concorren-
za sleale ai danni delle altre imprese del territorio, cooperative e non; la liquidità del colosso è sempre stata forte ma per ragioni diverse dal lavorare in modo perfettamente lineare. Chi sul territorio l’ha fatto davvero boccheggia da anni, perché certe condotte hanno consentito di far cassa in qualche altro modo andando poi a fiaccare i prezzi di mercato di molti prodotti, a partire dal Bonarda scivolato tra 1.50 e 2 euro al pubblico in svendita semi continuativa. Non sono cose che si risolvono con qualche pubblicità. La prima pubblicità è il prezzo di posizionamento dei prodotti. Senza pubblicità le brutte copie della Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC vengono pagate di più dai consumatori sugli scaffali dei supermercati. Bisogna farsi delle domande. di Cyrano De Bergerac
VOGHERA
il Periodico News
GIUGNO 2018
Rifiuti, nuova svolta a Voghera: da ottobre 800 cassonetti-bancomat Il Comune di Voghera e ASM hanno annunciato un cambio di rotta relativo alla raccolta differenziata: fra pochi mesi verrà sostituita l’intera dotazione di cassonetti cittadina, con una nuova tipologia di contenitori detta ‘‘a calotta’’. I cittadini verranno forniti di una tessera magnetica, che servirà ad aprire i cassonetti e a consentire il conferimento. La raccolta dell’umido verrà implementata in tutta la città. ASM ha pubblicato, la scorsa settimana, un bando di gara rivolto alle società produttrici di questa categoria di contenitori, prevedendo un capitolato molto dettagliato ed un investimento totale stimato in € 2.305.600 (IVA esclusa). La somma comprende anche il Comune di Retorbido, presso il quale ASM svolge il servizio raccolta dei rifiuti, che ha scelto di allinearsi a questa nuova politica. Previsti anche meccanismi di controllo e correzione del sistema, che rappresenta una novità per l’intero Oltrepò Pavese. La decisione arriva dopo diversi mesi di analisi e riunioni fra le varie parti chiamate in causa. Il Vicesindaco Daniele Salerno, titolare della delega ai Lavori Pubblici e delle competenze in merito allo smaltimento dei rifiuti, ha curato la regia di questa fase. Ci spiega come si è giunti a questa nuova svolta, e cosa accadrà in questi mesi. Dopo il periodo di commissariamento, durante il quale era stata inaugurata una raccolta porta a porta, e dopo il dietrofront di due anni fa, è il momento di puntare almeno al 65% di raccolta differenziata… «Non è che possiamo arrivare al 65%: dobbiamo farlo. La scelta della raccolta porta a porta non l’avevamo presa noi. C’era un’altra direzione in municipio, allora, con il commissario. Non eravamo d’accordo con quella decisione; poi ci sono state le elezioni, le abbiamo vinte, e adesso cerchiamo di raggiungere questo obiettivo attraverso altre soluzioni. Le strade possibili sono diverse. La raccolta porta a porta sta producendo tanti problemi in altri comuni. Non voglio dire che la nostra soluzione sia la migliore in assoluto, ma auspichiamo sia la più corrispondente alle esigenze della cittadinanza, che è il principale obiettivo del nostro essere amministratori locali». Perché proprio in questo momento? «È vero che partiamo in ritardo, per una seria di ragioni, fra cui il periodo in cui abbiamo avuto il commissario. Ma questo tempo in più avuto a disposizione ci ha permesso di guardare agli errori che hanno commesso altre amministrazioni. Guardare gli sbagli degli altri penso sia sintomo di intelligenza. Certo non pensiamo che non commetteremo anche noi degli errori, ma abbiamo intenzione di commetterne il meno possibile, per salvaguardare al meglio le famiglie. Non c’è nessun primo della classe: tutti insieme ci incamminiamo nella strada giusta, che è da intraprendere per la nostra città e per le nostre famiglie».
Perché proprio i cassonetti ‘‘a calotta’’? «È una delle tante strade: riteniamo sia quella più favorevole alle esigenze delle famiglie. Abbiamo provato la raccolta porta a porta, e non ha funzionato. Questo tipo di raccolta, invece, prima di tutto non è soggetta a limiti di orario: non sei costretto alle sei del mattino o di notte a portare in strada il tuo contenitore. Secondo, non si è costretti a conferire i rifiuti in determinati giorni. Quando ci fu notizia di questa raccolta porta a porta, ricordo, mi dissi: ma come si fa a far depositare l’umido solo due giorni alla settimana? Deve essere possibile farlo continuativamente. Ci sono problemi di spazio, soprattutto per chi vive in appartamento». Come avverrà la nuova raccolta? «Ci saranno 800 postazioni in città, divise in questo modo: un centinaio in centro storico e le altre nella restante parte della città. Sono più di quanti ne abbiamo oggi. Ogni postazione sarà dotata di contenitori per l’indifferenziato, per la plastica, per la frazione organica, per vetro/lattine, e, ma solo in periferia, per il materiale vegetale. Il contenitore per il verde sarà messo solo dove ci sono, ad esempio, ville con l’erba da tagliare, esigenza che non si riscontra in centro. Non cambia molto, quindi, rispetto ad oggi: ci sarà soltanto un contenitore in più, quello dell’umido». Cosa accadrà per la raccolta della carta? «Rimarrà porta a porta perché c’è un contratto in essere, che andrà avanti fino a ottobre 2019. E comunque sta andando bene, in questo momento». Come funzionerà, invece, l’apertura elettronica? «Verranno distribuite almeno due tessere per famiglia, quindi non ci saranno grossi problemi. La tessera non servirà in tutti i cassonetti, ma solo per l’indifferenziato, per la frazione organica e per il vegetale. Il marito, la moglie, o i figli, quando vorranno, durante le 24 ore, scenderanno in strada, avranno un cassonetto vicino a casa, lo apriranno con le loro tessere e torneranno a casa. Questo è un sistema vicino alle esigenze del cittadino». Quando è previsto l’avvio? «Abbiamo chiesto ad ASM che l’avvio possa avvenire nel tempo più veloce possibile. Avevamo delle scadenze tecniche: innanzi tutto doveva essere approvato il bilancio, cosa che è stata fatta; poi doveva essere espletata la gara per l’acquisto dei cassonetti. Si arriverà ad ottobre per l’inizio del nuovo sistema». Da qui a ottobre quali saranno i passi da portare avanti? «Il primo passo è una campagna di sensibilizzazione. Dobbiamo fare esattamente l’opposto di quello che è stato fatto due anni fa. Il lavoro già avviato da ASM durante la Fiera dell’Ascensione, che mi sono permesso di suggerire, è stato quello di iniziare a far vedere questi nuovi cassonetti,
almeno come tipologia, per far capire che in sostanza non cambierà quasi nulla». Ha già ricevuto feedback da parte della cittadinanza? Qualche critica, qualche particolare perplessità? «Teniamo presente che il cittadino vogherese sta già collaborando. Partiamo da un 37% di raccolta differenziata. Sono molte le persone che mi dicono ‘‘La sto già facendo’’. Per chi già fa la raccolta differenziata sarà tutto molto semplice. Oltre a dividere carta, vetro, plastica e indifferenziata, basterà procurarsi un altro sacchetto per l’umido». Sono previsti aumenti nella bolletta della Tari? Pensate di adottare, ora o in futuro, una tariffazione puntuale (dove l’utente paga per lo smaltimento del rifiuto effettivamente conferito)? «Arriveremo in futuro anche ad una tariffazione puntuale. Per ora ASM ha garantito che non aumenteranno i costi. Obiettivo nel tempo è anzi che, se la raccolta andrà bene - e ne siamo certi -, un giorno la spesa possa anche diminuire». La tessera, dunque, a cosa servirà in questo primo passaggio, oltre ad aprire la calotta? «La tesserina permetterà di aprire i contenitori in tutta la zona di residenza. I cittadini, quindi, non saranno obbligati a sversare i rifiuti esclusivamente nel cassonetto più vicino a casa, ma avranno comunque una certa libertà. Limitando l’area valida per il conferimento sarà più facile osservare eventuali problemi e intervenire per migliorare il sistema, vedendo quello che succede nei vari quartieri. Per andare sempre incontro alle necessità». Sono previsti controlli? «Abbiamo chiesto ad ASM di controllare la raccolta, per capire come avviene. C’è una differenza sostanziale fra chi smaltisce i rifiuti sbagliando, con colpa, e chi vuole farlo con dolo. Chi sbaglia con dolo verrà sanzionato. Chi sbaglia senza dolo non verrà punito. Ho chiesto e ottenuto che quattordici persone potessero ottenere l’abilitazione a controllare, anche in collaborazione con la Polizia Locale, chi vorrà danneggiare la nostra collettività. Cambiare un’abitudine che è radicata da diverse generazioni non è facile. Potrà accadere che uno perderà la tessera, che non si aprirà la calotta, che farà un errore. A questa persona si dirà: ragioniamo insieme, troviamo la soluzione. Ben altra cosa è per chi sistematicamente lascia per terra i sacchetti, accanto al contenitore». Come verranno reperiti gli operatori addetti al controllo? «Non sono state previste nuove assunzioni di personale per l’espletamento dei controlli. Il servizio sarà svolto dagli ausiliari della sosta, che sono già dipendenti del Comune, e da alcuni dipendenti di ASM; ha preso l’abilitazione anche qualche mio collaboratore del settore Lavori Pubblici».
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Daniele Salerno, assessore competente in merito allo smaltimento dei rifiuti,
Si parla anche di fototrappole… «‘‘Fototrappole’’ è un termine brutto, semplicemente si tratta di un controllo elettronico. A rotazione, non continuativo: vengono acquistati, per il momento, sei di questi strumenti». Come pensate di utilizzarle? «L’operatore va a vuotare il contenitore, lo apre e vede qualcosa di anomalo; se torna una seconda, una terza volta, e trova la stessa cosa, allora è il caso di fare un controllo. Andiamo a posizionare l’apparecchio e vediamo da cosa dipende l’anomalia. È una signora che sta sbagliando o qualcuno che smaltisce il rifiuto volontariamente e dolosamente? Si cerca una risposta e si agisce, poi, di conseguenza». È stato previsto, in questo periodo, anche un incremento della videosorveglianza cittadina. Un ulteriore deterrente a smaltire i rifiuti in maniera scorretta; ma non soltanto. «Un altro provvedimento che vede la luce in collaborazione con ASM: si tratta di circa cinquanta nuove telecamere acquisite, che vanno ad aggiungersi a quelle esistenti. La sicurezza è un tema fondamentale per la città di Voghera e per tutte le città italiane. Questo nuovo sistema, che implementa quello già presente, ci porterà a vivere in modo più sicuro. Il controllo del territorio grazie all’ausilio dell’occhio elettronico è fondamentale. Tutti vogliamo vivere in una città tranquilla». Come sono stati i rapporti con i dirigenti, i funzionari e gli operatori di ASM in questo momento di cambiamento? «Si sta portando avanti un lavoro molto positivo, tanto che anche alcuni comuni del circondario hanno pensato di passare a questo sistema, come Retorbido, e altri lo faranno. Se facciamo da punto di attrazione non possiamo che esserne felici. L’ASM è una ricchezza per Voghera. Va tenuta cara».
di Pier Luigi Feltri
VOGHERA
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Differenziata, il PD: «Investimenti ingenti: pare si tratti di circa tre milioni di euro» Il cambio di passo in materia di raccolta differenziata, messo in atto dall’Amministrazione Barbieri nelle ultime settimane, ha colto in contropiede i consiglieri comunali di minoranza. Cosa intende fare, ora, il Centrosinistra? Ne abbiamo parlato con Ilaria Balduzzi, Consigliera del PD. Come avete accolto questa notizia? «Noi consiglieri siamo rimasti stupiti. Il luogo per dare questa prima informazione avrebbe dovuto essere il Consiglio Comunale, in occasione del bilancio e dell’approvazione del piano finanziario della Tari, dove si programmano anche gli investimenti. Nulla di tutto questo è stato detto. Improvvisamente abbiamo saputo che verranno sostituiti tutti i cassonetti, con investimenti ingenti: pare si tratti di circa tre milioni di euro. C’è anche un problema tecnico-economico, su cui chiederemo di fare luce anche con un’interpellanza, perché non si capisce se e come siano stati programmati questi investimenti». A quale problema si riferisce? «Le spesa afferenti la Tari, suddivise fra costi fissi e costi variabili, devono rientrare nel piano finanziario. La copertura deve essere al 100%. Tutte le spese, sia di gestione sia di investimento devono esservi inserite. Ma il piano finanziario approvato non evidenzia tali spese, né aumenti consistenti. Prima o poi questi costi dovranno essere inseriti nel piano finanziario che pagano i vogheresi». Relativamente al piano finanziario della Tari, erano emersi, in sede di approvazione, altre perplessità da parte vostra. Quali? «Secondo noi il piano finanziario 2018 doveva cambiare da subito. In sede di Bilancio abbiamo presentato un emendamento relativo alle pertinenze. Sull’onda delle osservazioni nate in Commissione Parlamentare da parte del Movimento 5 Stelle, abbiamo analizzato la situazione di Voghera e, seppure per un meccanismo diverso rispetto a quello sollevato in Parlamento, anche qui la quota variabile viene applicata anche sulle pertinenze, cioè due volte, come hanno potuto verificare i cittadini quando hanno ricevuto le bollette». Cosa avete suggerito? «Abbiamo proposto in Consiglio Comunale un emendamento al regolamento per riportare la situazione a correttezza normativa e applicare, quindi, la quota variabile una sola volta. L’emendamento, ovviamente, è stato bocciato, dicendo che dal prossimo anno sarebbe cambiata la modalità di raccolta e quindi l’applicazione della tariffa. Forse in questo si poteva ravvisare l’unica anticipazione di quelle che erano le manovre in corso». Nel frattempo è giunto il parere ministeriale. Cosa dice? «Si dice che il Comune di Voghera sbaglia, e per evitare ricorsi ai cittadini relativi alle bollette già emesse non adeguate sarebbe
Ilaria Balduzzi, Consigliera del PD consigliabile una modifica al regolamento in autotutela da parte del Comune. L’Assessore ha fatto dichiarazioni in cui non lo ritiene opportuno proprio in vista dei cambiamenti. Noi ripresenteremo, in forma di Ordine del Giorno, la modifica al regolamento che avevamo già proposto». Nel merito, come giudicate il sistema prescelto per incrementare la raccolta differenziata cittadina? «Va controcorrente rispetto a ciò che propongono le amministrazioni veramente interessate ad aumentare la percentuale di raccolta differenziata e cioè il metodo porta a porta. Ci aspettiamo che questa scelta venga illustrata in Consiglio Comunale. Che ne vengano spiegate le motivazioni e come si pensa di portarla avanti». A quali problemi si potrebbe andare incontro? «Bisognerà vedere quanto questa modalità possa essere incisiva sulla popolazione. E se i cassonetti funzioneranno, come funzioneranno, come verranno distribuiti i badge… sono, banalmente, le cose che la gente chiede e su cui ci vuole più informazione. L’importante è avere, almeno, acquisito una sensibilità che induca ad un miglioramento della raccolta differenziata; anche se ci lascia un po’ perplessa la modalità. Fra l’altro resta irrisolta la modalità di raccolta della frazione umida che è quella che costituisce il vero punto di svolta per una raccolta differenziata efficace». Ha notizia degli esiti di esperienze analoghe in altre città? «I primi cassonetti di questo tipo si sono visti, alcuni anni fa, in Trentino, dove poi la scelta è stata rivisitata, ad esempio a Bolzano ma anche ad Alessandria: abbandono incontrollato di sacchi neri presso i cassonetti, difficoltà per gli anziani, badge dimenticati nelle feritoie, forzature dei sistemi di chiusura, peggioramento della qualità della raccolta differenziata, aumento dei costi di valorizzazione delle frazioni recuperabili a causa della maggiore presenza di scarti». E sui cassonetti? «Sul cassonetto in sé, al di là dell’imboc-
catura che permette l’inserimento solo di sacchi piccoli, dobbiamo far notare come sia impedita, di fatto, una prima cernita fra i rifiuti conferiti, che sarebbe invece molto importante. Manca il controllo dell’operatore. La qualità del rifiuto, e la sua attinenza al cassonetto cui è destinato, dipenderà dalla sensibilità delle persone, più che dai controlli. Ci sono poi sistemi più o meno evoluti dai quali prendere spunto, ma noi attualmente non sappiamo quali siano gli intendimenti dell’Amministrazione». Negli scorsi anni erano stati adottati sistemi diversi, come il ‘‘porta a porta’’… «Si era partiti con una sperimentazione della raccolta porta a porta, nel centro cittadino anche dell’umido, in epoca commissariale. Erano stati eliminati tutti i cassonetti, e la percentuale di differenziata si era, di conseguenza, velocemente incrementata. Poi, con la nuova era Barbieri, si è voluto tornare sui propri passi tanto da arrivare a dichiarare, da parte dell’Assessore allora competente, che l’obiettivo ‘‘Rifiuti Zero’’ era un modo di dire. I cassonetti sono stati reintrodotti e ci si è stabilizzati su una percentuale di differenziata pari a circa il 33%». Perché non si è scelto di proseguire su questa strada? «È stata addotta una ragione di costo. Indubbiamente, in termini di costo lavoro, la raccolta porta a porta presenta costi molto alti, anche perché necessita sia incentivato il lavoro notturno. Ma la scelta di questi nuovi cassonetti avrà costi ancora più elevati dal punto di vista tecnologico, dato che dovranno essere sostituite diverse centinaia di cassonetti». Quali azioni sono state intraprese dai consiglieri del PD, relativamente alla raccolta differenziata? «Come Gruppo Consiliare abbiamo chiesto una serie di dati al Comune e all’ASM, per avere una base su cui proseguire il ragionamento già iniziato dai precedenti consiglieri comunali. L’importante, tuttavia, è che si parta e si mettano le basi per un miglioramento dei risultati attuali». Cosa avete osservato? «Devo dire che c’è sempre una certa difficoltà ad avere dati da ASM. I dati ci sono stati forniti, in parte, in maniera aggregata, anche se, per l’uso che intendevamo farne, li avevamo richiesti suddivisi per quartiere. Procederemo ad un’altra richiesta di dati più specifica e più dettagliata per poter adottare un ragionamento più serio. Dai dati aggregati comunque emerge, ad esempio, che sono in decrescita la raccolta del vetro e del verde». Alcune settimane fa il PD aveva avviato un gruppo di lavoro per ragionare di raccolta differenziata. Quel era la vostra proposta? «Un servizio di raccolta porta a porta esteso a tutta la città, organizzato meglio di quanto fatto in precedenza con un’imple-
mentazione delle ore lavoro notturne. Cosa che altri comuni dell’Oltrepò a partire da quest’anno stanno facendo, giungendo ad una grande soddisfazione anche per gli utenti, dopo qualche iniziale scontento e i conseguenti aggiustamenti. Il gruppo di lavoro del PD, partendo dai dati richiesti al Comune e ad ASM, vuole lavorare nella modalità ‘‘quartieri’’ che è un approccio ormai consolidato all’interno del Partito anche per affrontare altre problematiche e giungere a proposte credibili, realizzabili e strutturate». Stante invece la direzione ormai tracciata, quali sono i punti da cui ripartire? «Penso si debba organizzare, anche da parte nostra quando ne saremo messi al corrente, un’attività di informazione verso la popolazione, visto che l’Amministrazione, fino a questo momento, sembra non avere preso iniziative adeguate. Il gruppo di lavoro del Partito Democratico cercherà sempre comunque di ragionare in un’ottica “quartieri”. Pensiamo di guardare alla città, relativamente alla raccolta differenziata, non come unicum, ma anche secondo le diverse zone. Magari ci sono quartieri già molto avanti in relazione alla raccolta di un certo tipo di rifiuto, come potrebbero esserci, invece, criticità». Cosa risponderebbe a quei cittadini che non vedono di buon grado le novità in materia di raccolta dei rifiuti? «Quello della raccolta differenziata è un futuro ineluttabile, non soltanto perché lo impone la legge, ma anche perché occorre evitare e prevenire fenomeni preoccupanti per l’ambiente. Abbiamo avuto un incombente e grosso problema ambientale con la centrale di Retorbido ora fortunatamente scongiurato. Dobbiamo fare tesoro di quell’insegnamento. Qui in zona non abbiamo attualmente impianti di incenerimento - Parona è il più vicino - e vogliamo scongiurare in tutti i sensi la possibilità che si vengano a creare impianti di questo tipo». La parola ‘‘discarica’’, invece, non suona nuova alle nostre latitudini… «Abbiamo sempre avuto una grande diffusione di cave, che rappresentano un elemento caratterizzante del nostro territorio, e terreno fecondo per discariche. Soprattutto siamo consapevoli di essere in una posizione molto a rischio, contigua all’area metropolitana di Milano: siamo nel primo posto utile per riempire di rifiuti capannoni o cave abbandonate in maniera autorizzata o non. l nostro territorio rischia di essere invaso da persone con non buoni intendimenti, intenzionate trarre a profitto dal commercio, trasformazione e produzione dei rifiuti come ha dimostrato la vicenda Recology che comunque vada costituirà costi per la collettività locale».
di Pier Luigi Feltri
VOGHERA
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Fratelli d’Italia in ascesa: «Con Sartori il nostro peso politico aumenta» Vincenzo Giugliano, segretario vogherese di Fratelli d’Italia, da qualche tempo ha di che gongolare: con l’“acquisto” dell’ex leghista Marco Sartori il suo partito non ha guadagnato soltanto una rappresentanza in consiglio comunale ma anche un politico da circa 300 voti. Una dote dunque importante quella con cui Sartori, che non ha digerito l’esclusione dalle candidature alle passate elezioni, si è concesso in sposo al partito della Meloni, con cui ha dichiarato da subito di avere una comunità d’intenti e di vedute. L’importanza del suo ruolo nel futuro di Fratelli d’Italia si capisce dal fatto che, non appena entrato in squadra, il “mister” Giugliano ha deciso di farne il suo vice e braccio destro. «è un politico “di strada” che con noi ha in comune l’abitudine di essere tra le gente e con la gente, con cui condivideremo le future battaglie». Giugliano, Fratelli d’Italia vive un buon momento d’ascesa. Come cambiano i vostri obiettivi con l’innesto di Sartori nell’organico? «Inutile dire che siamo contenti di questa situazione. Il nostro partito si sta espandendo in città e grazie al bacino preferenze di Sartori il nostro peso politico aumenterà: possiamo mirare a superare quota 1.000 voti e ottenere almeno due consiglieri comunali». State già lavorando in vista delle elezioni 2020? «Di fatto per noi la campagna elettorale è già cominciata. Anche se, per come la intendiamo noi, non è nulla di diverso da quanto facciamo di solito, cioè stare in mezzo alla gente». In che modo farete sentire questa “presenza” d’ora in avanti? «Da ora in poi tutti i fine settimana saremo in piazza Duomo con due postazioni per diffondere il più possibile tra i cittadini la nostra presenza e le nostre idee». Una delle battaglie più care al vostro nuovo acquisto Sartori è quella sul cosiddetto “Modello Voghera”, ovvero quella serie di provvedimenti atti a restringere la possibilità, per i cittadini extracomunitari, di accedere ai bonus economici del Comune. è una battaglia che condividerete? «Assolutamente sì, sarà anche oggetto di una raccolta firme che porteremo avanti nei nostri banchetti». è un’iniziativa che in cui molti hanno intravisto del razzismo. Lei come la pensa al riguardo? «Io non ci vedo razzismo nel voler difendere gli interessi dei cittadini italiani. Il punto è che senza l’applicazione del Modello Voghera un cittadino extracomunitario può accedere a dei benefici con una semplice autocertificazione, mentre un cittadino italiano deve presentare una documentazione ben precisa. Se poi l’extracomunitario dimostra di avere i requisiti è giusto che gli
venga riconosciuto ogni beneficio, al pari di un italiano». Perché crede che a Voghera l’Amministrazione non l’abbia applicato nonostante sia stato uno dei capisaldi per l’alleato “fantasma” Lega? «Secondo me c’è del buonismo in giro, oppure qualcuno ha degli interessi elettorali che gli sconsigliano di seguire una certa strada». Parliamo proprio di “interessi elettorali”. Il centrodestra alle ultime elezioni si è spaccato e ancora oggi le scorie di quella spaccatura pesano sulle spalle di una coalizione-non coalizione. Fratelli d’Italia, ex alleato di Torriani (e quindi avversaria di Barbieri) come si posiziona in questo contesto? «Noi siamo dell’idea che il centrodestra debba lavorare per presentarsi unito, in modo da non avere nulla da temere». I suoi rapporti con Barbieri, non è un mistero, non sono mai stati idilliaci. Non crede che la corrente che lo sostiene faticherà ad accettare certe alleanze? «Barbieri concluderà il suo mandato, dopodichè ci siederemo al tavolo con quelli che saranno i nostri interlocutori per decidere le nuove strategie. Io penso sia giunto il momento di porre fine al tempo dei personalismi e lavorare per ritrovarsi tutti insieme». Com’è diventato “democristiano”, mi passi la battuta! Si vede proprio che le ambizioni di FdI sono cambiate e che puntate a “un posto al sole”: quali sono gli interlocutori di cui parla? «Innanzitutto Forza Italia e Lega, che sono per vari motivi i punti di riferimento politico del centrodestra vogherese, poi in generale tutte le forze della destra in cui noi ci riconosciamo». Ci dica almeno per cosa non condivide l’operato di questa amministrazione… «Credo che il grosso limite di questa esperienza amministrativa sia stato il limitarsi a puntare tutto sul Teatro Sociale come fosse una panacea in grado di lenire ogni male. Voghera non è tutta lì e non è solo il centro cittadino. Ci sono le periferie, che invece credo siano state dimenticate. Occorre che le nuove amministrazioni riscoprano il valore dei quartieri e l’ascolto delle loro esigenze». Recentemente Fratelli d’Italia ha salutato l’apertura del secondo Circolo Ambientale cittadino. Può spiegarci di cosa si tratta? «I circoli ambientali sono delle associazioni culturali spontanee che nascono intorno al nostro partito. Rappresentano una possibilità data a chiunque della società civile sia inte-
Vincenzo Giuliano, segretario vogherese di Fratelli d’Italia
ressato alle tematiche del partito e opera esclusivamente nel suo ambito specifico. Siamo stati contattati da alcuni cittadini interessati ad organizzare eventi inerenti alcune tematiche specifiche, nella fattispecie questo secondo circolo farà incontri inerenti il tema della sovranità, mentre quello già esistente, il Viqueria, tratta di sicurez-
za. Inoltre ci tengo a far sapere che siamo già stati contattati da altri cittadini che vorrebbero aprire un terzo circolo, dedicato al tema dell’immigrazione. Per noi si tratta di un segnale importante che testimonia la crescita del partito in città». di Christian Draghi
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«Deficit della Carlo Pezzani: i distinguo da noi espressi hanno sempre avuto un fondamento» L’azienda servizi alla persona “Carlo Pezzani” sorta per volontà testamentaria dell’avvocato Carlo Pezzani ha come scopo principale d’accogliere persone anziane in stato di completa o parziale non autosufficienza fisica e/o psichica, per le quali non sia possibile la permanenza nel proprio ambiente familiare e sociale; istituire strutture e modalità di assistenza e solidarietà sociale, riabilitazione motoria e recupero di particolari situazioni di disagio, con particolare riferimento al territorio comunale di Voghera. Il “ core business ” dell’azienda è la gestione di due residenze sanitarie sssistenziali per complessivi 134 posti letto di cui 20 dedicati al Nucleo Alzheimer. Nella sede di Viale della Repubblica 86 a Voghera Vi sono: la residenza sanitaria assistenziale n° 1 con 66 posti letto di cui 20 posti per il nucleo Alzheimer e la residenza sanitaria assistenziale n°2 con 68 posti letto, il centro diurno integrato per 30 utenti ed il consultorio familiare “La Nuova Aurora”. Una struttura importante e storica di Voghera, ma ora per la “Pezzani” c’è apprensione e preoccupazione dovuta al fatto che ha chiuso il bilancio 2017 con un pesante passivo, e la cosa che desta maggior preoccupazione è che il passivo 2017 è in peggioramento rispetto a quello registrato nel 2016, quindi nessun miglioramento all’orizzonte per i conti della storica “pezzani”. Il pesante passivo ha già avuto ripercussioni e l’azienda è stata costretta ad intervenire con misure urgenti, per cercare di non rimetterci ulteriori soldi. Paolo Affronti ex sindaco di Voghera ed ex parlamentare, impegnato per anni nel mondo della sanità ci ha dichiarato “Una gestione,quella dell’Azienda Servizi alla Persona Pezzani di Voghera ,che non manca di suscitare preoccupazioni per l’immediato futuro .Il deficit registrato nell’esercizio 2017 ammonta a poco meno di 200.000 euro mentre per il 2018 le prospettive non appaiono rosee” Abbiamo voluto porre alcune domande a Antonio Califano, consigliere dell’Asp Pezzani in quota Udc. Qual’è stata la linea dell’UDC Voghera in merito alla gestione della “Pezzani? «La linea dell’Unione di Centro vogherese concernente la gestione dell’ASP Pezzani è sempre stata improntata ad una attenta ed oculata gestione economica, finanziaria ed organizzativa dell’istituzione,perseguendo obiettivi di efficienza ed efficacia. Le posizioni degli ultimi anni mie e del mio predecessore Roberto Zelaschi,talvolta anche aspre, sono state spesso mitigate solo ed esclusivamente da assunzione di responsabilità politica ma tuttavia questo nostro atteggiamento di collaborazione non potrà sempre superare le divergenze di fondo su talune decisioni a nostro avviso non con-
Antonio Califano, consigliere dell’Asp Pezzani in quota Udc
divisibili». Lei fa parte del consiglio dell’Asp Pezzani, si sarà reso conto che i conti non tornavano? «Il passivo di bilancio fatto registrare sull’esercizio 2017,ammontante ad €179.113 ,oltre ad una non certo rosea prospettiva sul previsionale 2018 ,evidenziano che i distinguo espressi in sede di consiglio hanno sempre avuto un fondamento». A suo giudizio perchè si è arrivati a questa situazione? «L’Azienda oggi è in difficoltà anche per colpa di discutibili scelte succedutesi nel tempo,come è noto da noi non pienamente condivise. Negli anni scorsi abbiamo più volte espresso voto contrario o proposto soluzioni alternative rispetto alle decisioni presentate al consiglio dal precedente direttore e sempre avallate dal presidente Pittaluga. Non abbiamo condiviso poi ,e lo abbiamo dichiarato in più occasioni,la scelta di nominare, in presenza di un dipendente dirigente (direttore dichiarato idoneo negli albi regionali), un direttore preso dall’esterno confermando così una spesa che poteva essere evitata. Questo dopo che non era stato rinnovato il contratto al precedente direttore ,allora assunto dall’esterno sempre con grandi perples-
sità da parte nostra. La nomina di questo nuovo direttore assunto dall’esterno comporta costi proiettati su un intero anno che si aggirano attorno agli 85.000 Euro obiettivi compresi,senza ricomprendere ulteriori voci di costo azienda». Per risparmiare soldi era quindi meglio scegliere il direttore tra il personale della “Pezzani” ? «La valorizzazione di risorse interne avrebbe senz’altro dato un segnale verso il contenimento dei costi organizzativi ,pur rispettando i recenti sforzi dell’attuale direttore. La critica, si evidenzi, è nell’oggetto del tipo di scelta esterna, non tanto sul soggetto scelto. Non vanno poi dimenticate operazioni di dubbia logica virtuosa sulla dotazione organica vagliate negli ultimi anni che fortunatamente in consiglio si è riusciti a scongiurare». Non può essere solo la scelta di direttore che arriva dall’esterno la causa del deficit ? «Sono anche altri i nodi che condannano l’ASP Pezzani ad una costante condizione di asfissia, come ad esempio la problematica situazione del vecchio stabile di via don Minzoni, oppure l’infelice rimodulazione del mutuo per la nuova sede presso la Cassa Depositi e Prestiti del gennaio 2015 sottoscritta dalla passata Direzio-
ne ed avallata dalla Presidenza Pittaluga; annullando i benefici di una mediazione precedente con Cassa Depositi e Prestiti ottenuta grazie al nostro diretto impegno». Questa per la rimodulazione del mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti cosa ha comportato? «La scelta su cui non siamo stati certo teneri, ha scaricato un aumento della quota interessi da €365.696 del 2017 a €474.319 del 2018,salvo eventuali potenziali migliorie che dovessero intercorrere nel prossimo futuro ,difficili da ottenere ,ma che noi naturalmente ci auguriamo». A Questo punto cosa vi auspicate come UDC Voghera? «Purtroppo l’eco delle nostre perplessità non è mai completamente giunto ad altre forze politiche coinvolte nella gestione, anche più di noi, nelle scelte gestionali dell’azienda. Il nostro auspicio è che finalmente ci possa essere un reale e concreto impegno per il contenimento della spesa e un coinvolgimento nelle decisioni importanti che riguardano la sopravvivenza dell’ASP Pezzani come azienda autonoma, patrimonio della città e del nostro territorio». di Vittoria Pacci
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TC Voghera: una lunga storia di sport e costume cittadino Le prime notizie datano 1938. Da allora, tranne gli anni di chiusura dovuti al secondo Conflitto Mondiale, questo luogo ha rappresentato, per ogni succedutasi generazione di vogheresi e non, il tempio locale del tennis, e non solo: verde, servizi di ristoro, piscina estiva... Tantissimi giovani son cresciuti all’interno del Tennis Club Voghera, e tantissimi adulti l’hanno eletto come loro seconda casa. Abbiamo incontrato la Presidentessa, Paola Zella, in occasione, ahimè, della chiusura al pubblico, avvenuta il 31 Maggio. Più che una chiusura, una sospensione dell’attività, perché... Una lunga storia di sport e costume della Città che sta per concludersi? «Ha detto bene: davvero una lunga storia... Pensi che, ad inizio del secolo scorso, furono i Cavalieri della Caserma di Cavalleria ad iniziarne “l’attività”! E dopo la seconda guerra mondiale, venne riordinato e riaperto grazie al lavoro dei malati dell’attiguo Ospedale Psichiatrico, quando un medico di allora usò questa pratica forse come riabilitazione! Da qui scaturì la fondazione della Società Cooperativa Tennis Club Voghera, che è arrivata fino ad oggi». La proprietà del centro è sempre stata, già allora, divisa tra la Società Cooperativa ed il Demanio... «Sì, quasi da subito. La concessione sul terreno non di proprietà della Società data 1948. Inizialmente, ancora fino agli anni ‘60, la parte poi divenuta demaniale era in carico alla Provincia, alla quale la Società Cooperativa pagava un affitto annuo, con regolare contratto, così come più avanti negli anni è sempre avvenuto con il Demanio. Quando venne attivato il regime di Federalismo Demaniale, funzionari del Demanio comunicarono l’intenzione, al Comune di Voghera, di voler “passar di mano” alcune zone, appunto demaniali all’interno dei confini comunali, tra le quali il Tennis Club. Il Comune diede all’epoca la disponibilità a prendersi in carico queste aree». E così fu? «Noi partecipammo a diversi appuntamenti, congiuntamente a funzionari comunali. Ad un cero punto però emersero alcune Ordinanze comunali che riguardavano presunte irregolarità edilizie all’interno della nostra proprietà. Gli Uffici comunali stabilirono che alcune costruzioni presenti sulla proprietà non erano dotate di regolare Licenza Edilizia ed andavano, perciò, abbattute. E così operammo, disfacendo i campi di bocce, il bar con tettoia attiguo alla piscina, alcuni box utilizzati come ricovero attrezzi, etc. etc. ». Quando accadde tutto ciò? «Nel 2004. Procedemmo poi, su consiglio di un imprenditore e tramite uffici legali, all’approfondimento della situazione. Il Comune venne anche “consigliato”, dai vari uffici legali, di procedere ad un’ordinanza in auto-tutela, cioè valutare se le ordinanze suddette, precedenti, fossero
completamente regolari... cosa che non avvenne. Arrivammo a discutere la questione al TAR, che inizialmente rigettò il nostro ricorso: ma il nostro Urbanista milanese, con piglio e preparazione, impugnò la sentenza e si rivolse al Consiglio di Stato, il quale sospese le ordinanze comunali e rimandò al TAR una nuova analisi ed un nuovo procedimento, che si rivelò alla fine a noi favorevole. Tutto ciò in 12 lunghissimi anni! A Dicembre 2016 il TAR sentenziò che le ordinanze non erano pertinenti, improprie e tardive, in virtù del fatto che al momento della realizzazione delle strutture indagate non erano vigenti le successive leggi, in applicazione delle quali si scatenò questa buriana». Cosa vi costò tutta questa disgrazia? «Parecchio... non saprei da dove iniziare. Dai 200 soci degli anni ‘80 ci ritrovammo in 40, in quell’epoca, per arrivare agli attuali 18, che sono veramente troppo pochi. Poi dovemmo, nel 2004, chiudere un anno, e la piscina per un’estate, non potendo pretendere che alcun gestore venisse a tener vivo l’ambiente ed i servizi connessi... ed anche qui, perdemmo tutti i frequentatori. Sempre in concomitanza con la problematica suddetta, il Demanio ci mandò, mi sembra nel 2005, una richiesta di regolarizzazione di una posizione debitoria precedente: pensavamo si trattasse di 35 mila euro circa; ne richiesero 95 mila ! E non eravamo in condizione di discuterne, perché nel 2006 era in scadenza il contratto, che rinnovammo, ovviamente saldando il tutto, sino appunto al 31 maggio scorso». Una giungla problematica... «Davvero una giungla! Dalla quale siamo sempre e comunque usciti facendo fronte a tutto, con sforzi economici dei singoli soci, passati e presenti, che vanno certamente ringraziati». Però tutto è bene ciò che finisce bene: quindi, il Tennis Club è riuscito ad assorbire, mi passi il termine, la parte demaniale... «Purtroppo no. All’interno di questo caos di ricorsi e sentenze, il Comune aveva lasciato scadere quei termini per i quali era possibile prendere in carico l’appezzamento demaniale. è delle ultime settimane la delibera comunale che sentenzia che tutta la pertinenza del Club è regolare, ma ahimè troppo tardi per poter procedere ad un nuovo contratto demaniale, che richiede tempi dilatati, non è certo immediato, e considerando pure il fatto che anche la cifra di questo contratto demaniale è quintuplicata nel corso dell’ultimo ventennio... Non riuscivamo più a sostenere tutte queste spese. Avremmo avuto bisogno di un gestore che riconoscesse un affitto d’azienda improbabile. Eravamo davvero in una
situazione di stallo...». Nell’ultimo anno, di contro, in città si era però diffusa la notizia di almeno due potenziali acquirenti, poi svaniti a causa di un’iperbole di valore catastale... «A noi non si è mai presentato alcun potenziale acquirente in pectore! Ho anch’io sentito questa notizia, addirittura con precisi riferimenti ad alcuni nomi di conosciuti imprenditori della zona, che certamente non ripeto, tra questi nomi anche miei storici clienti in Azienda (Zella S.r.l. In Voghera, n.d.r.), che ho visto passarmi davanti in questi mesi, cordialmente salutandomi senza mai accennarmi nulla a riguardo! In realtà c’è del vero in ciò che dice, perché il valore catastale è effettivamente molto alto, e ben lo sappiamo data l’Imu che paghiamo! Anche questa è una valutazione che faremo, dato che il Tennis Club è da sempre un bene privato d’interesse pubblico». Il contratto con gli ultimi gestori ed il contratto demaniale sono allora scaduti insieme al 31 Maggio scorso? «Esatto. Tutto fatto, come al solito, nel pieno rispetto delle regole, anche umane ed etiche. Abbiamo quindi deciso di prendere
Paola Zella, presidente del Tennis Club
un periodo di... sospensione e riflessione. Oggi i soci sono 18, quindi al momento, in caso d’investimento economico, è certamente meglio operare sulla parte territoriale di proprietà. Debiti non ne sussistono. Abbiamo un bene immerso nel verde estremamente godibile: godiamocelo, anche senza un gestore, tra noi, in attesa di nuove idee e/o di nuovi inserimenti di menti e capitali, magari». di Lele Baiardi
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«Mercato in crisi, servono qualità e più controlli»
Il commercio vogherese non può mai smettere di fare i conti con le croniche difficoltà che derivano dall’operare in una città poco attrattiva, tendenzialmente sonnolenta e sulla quale il Comune avrà, per l’estate in arrivo, ancor meno risorse da investire che in passato. L’assessore al commercio Marina Azzaretti aveva dichiarato in una precedente intervista al nostro giornale che le sarebbe piaciuto investire ben più che 20mila euro sui “Giovedì sotto le stelle” d’estate. Oggi, dopo che la Corte dei conti ha imposto un rientro di quasi 3 milioni di euro al Comune, il destino di questa manifestazione, negli anni scorsi patrocinata in gran parte da palazzo Gounela, passa ufficialmente nelle mani dei commercianti. Giancarlo Maconi, presidente di Acol, annuncia che saranno proprio le associazioni di categoria a sobbarcarsi l’onere dell’organizzazione. «Hanno chiesto la nostra collaborazione e cercheremo di dargliela, coscienti che i soldi sono pochi per loro come per noi. Ci occuperemo della parte burocratica e del coordinamento delle varie iniziative» spiega Maconi. Gli eventi saranno quattro in tutto, uno già fissato dall’Amministrazione con l’esibizione di tre tenori. Tutti gli eventi, in calendario a luglio, saranno incentrati in piazza Duomo. Quale sarà il vostro ruolo? «Cercheremo di creare degli eventi collaterali a quelli organizzati dall’amministrazione ma sempre però restando nella zona della piazza Duomo perché, con le nuove normative antiterrorismo, è diventato molto difficile organizzare altrove dovendosi accollare gli oneri di messa in sicurezza delle aree. La procedura si è fatta molto complessa». Qual è la difficoltà? «Secondo la normativa Gabrielli tutti gli eventi che esulano dall’ordinario e possono attirare pubblico vanno gestiti in modo particolare. Questo complica le cose e aumenta esponenzialmente i costi, perché bisogna farsi carico anche degli oneri che questa messa in sicurezza comporta». Una situazione che per Voghera rischia di trasformarsi in un boomerang, proprio per il fatto che le risorse, sia del pubblico che del privato, latitano. Come è il bilancio del post Sensia per i commercianti? «Chi ha organizzato degli eventi è soddisfatto, chi invece l’ha vissuta in maniera più passiva non ha fatto granchè. Ma è normale, da sempre l’Ascensione è un evento decentrato rispetto alla zona commerciale e difficilmente finisce per portare indotto. A meno che non ci si affidi a un buono spirito di imprenditoria». Il Comune alcuni mesi fa ha introdotto alcune misure per incentivare il commercio del centro, come parcheggi gratuiti il sabato pomeriggio o sgravi fiscali
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Giancarlo Maconi, presidente di Acol
per i piccoli negozi. Hanno sortito qualche effetto? «Si tratta di iniziative apprezzate ma che di certo non possono essere risolutive. Purtroppo Voghera è una città scarsamente attrattiva e i centri commerciali hanno sempre un appeal maggiore sulla clientela. Il problema è economico e di livello nazionale, il Comune non può fare molto». Crede che il progetto legato al Teatro Sociale possa rappresentare una svolta? «Non saprei, di sicuro si tratta di un progetto a lungo termine, i cui effetti si vedranno in ogni caso tra molti anni». La situazione interna all’associazione è tranquilla? Si è parlato di “fuggi fuggi” per via dell’uscita di Tordi e Moroni dal direttivo… «Chiacchiere. Loro sono usciti per motivi personali, posso garantire che l’amicizia che ci lega è immutata. Anzi, per Fabio Tordi ci sarà ancora più lavoro da gestire… sottobanco!».
Acol è un’associazione che rappresenta moltissimi ambulanti. Com’è lo stato di salute del mercato cittadino? «Non buono. Il mercato oggi non è più quello non dico di 20, ma neppure di 2-3 anni fa. Il comparto gastronomico si è notevolmente ridotto, probabilmente perché le abitudini della clientela si sono modificate, ma in generale tutti i settori sono in sofferenza, con un visibile e pesante calo dell’affluenza che continua ormai da mesi». Come mai secondo lei? «Come detto, le abitudini dei consumatori sono cambiate e lottare contro l’attrattività (leggi comodità) dei centri commerciali è sempre più difficile. Prima il giro al mercato era un’istituzione, oggi manca di attrattività». Come si potrebbe fare per rilanciarlo? «L’unico modo per tornare a essere attrattivi è investire sulla qualità. Purtroppo ci sono troppi banchi che invece puntano su
quantità e prezzi stracciati, secondo noi in un modo che meriterebbe maggiori controlli da parte delle autorità competenti. Vendere vestiti a 1 euro non solo rappresenta una concorrenza sleale, ma abbassa lo standard qualitativo e fa scadere la nomea della piazza. Non è così che si rende il mercato più attrattivo». Ci sono altre iniziative concrete a sostegno degli ambulanti che si potrebbero attuare? «Si è parlato di tante cose negli anni, di uno spostamento del mercato da piazza Duomo, dell’istituzione di un servizio autobus per portare gente, di un mercato domenicale…la realtà è che viviamo una congiuntura economica critica e secondo noi solo offrire qualità può far tornare la gente a comprare in piazza». di Christian Draghi
LA “NOSTRA” CUCINA
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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro! SUMMER SALAD (INSALATA ESTIVA) Ingredienti per 4 persone: 400 g di petto di pollo tagliato a fettine 2 coste di cuore di sedano 1 pomodoro da insalata 1 zucchina piccola e tenera 6 rapanelli un po’ di insalata mista tagliata fine una dozzina di olive taggiasche alcune scaglie di grana 8 gherigli di noce Per la salsa: 1 vasetto di yoghurt greco magro 1 tuorlo d’uovo sodo Il succo di mezzo limone 2 foglioline di menta olio extravergine d’oliva, sale e pepe alcuni germogli di rapanello e rapa rossa per guarnire
Gabriella Draghi
Siamo in estate e abbiamo voglia di piatti freschi, rapidie gustosi che possano risolvere un pranzo o una cena veloce senza farci perdere troppo tempo in cucina! Questo mese vi propongo la mia “Summer Salad”, un’insalata estiva con pollo e verdure croccanti che si adatta a tutte le occasioni. Il pollo ha tante proteine (dai 17 grammi dell’ala con pelle ai 23 del petto per 100 grammi), contiene vitamine e sali minerali (in particolare ferro), mentre i grassi sono pochi e di buona qualità (da 1 a 6 grammi per 100 grammi di prodotto). Ancora, è un
alimento molto digeribile e il suo valore energetico è di 100 kcal per 100 grammi di petto. Per tutte queste caratteristiche, il pollo è adatto a bambini, sportivi, over 70. Accompagnato alle verdure fresche dell’orto e condito con una salsa leggera, vi piacerà molto e servito in coppa può diventare un antipasto molto chic! Come si prepara: Scaldiamo una griglia unta con un po’ d’olio e cuociamo le nostre fettine di pollo fino a che sono dorate, le saliamo e le lasciamo raffreddare. Eliminiamo i semi al pomodoro e lo tagliamo a dadini. Puliamo
i rapanelli e li affettiamo sottilmente. Tagliamo a dadini anche le coste del sedano e la zucchina tenera. Prepariamo ora la salsa per condire la nostra insalata. Mettiamo nel bicchiere del mixer il tuorlo d’uovo sodo sbriciolato, aggiungiamo lo yoghurt, il succo di limone, qualche cucchiaio di olio extravergine d’oliva, le foglioline di menta, un pizzico di sale e frulliamo bene. Ora tagliamo il pollo a tocchetti, lo mettiamo in una insalatiera e aggiungiamo il pomodoro, il sedano, la zucchina e i rapanelli che avevamo preparato. Mescolia-
mo, uniamo le scaglie di grana, le olive taggiasche e una macinata di pepe. Siamo pronti per preparare le nostre coppe di Summer salad. Mettiamo un po’ d’insalata sul fondo di ogni coppa, aggiungiamo un cucchiaio di salsa e riempiamo con il pollo e le verdure. Mettiamo ancora un po’ di salsa, due gherigli di noce tritati e qualche germoglio di rapanello e rapa rossa per guarnire. Buon appetito! YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni di Gabriella Draghi
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PRIMO PIANO
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«Quel “volemose bene” a parole, un’ipocrisia che poi non si traduce mai in fatti concreti» Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese si trova a vivere una nuova diaspora, seguita all’assemblea per il rinnovo del consiglio di amministrazione svoltasi l’8 maggio all’Enoteca Regionale di Cassino Po. Una situazione che induce a porsi degli interrogativi rispetto all’eterna litigiosità del mondo del vino locale, incapace di fare sistema e massa critica. Ne parliamo con il direttore del Consorzio, Emanuele Bottiroli. Direttore, nuovo scisma all’interno del Consorzio, cosa succede? «La notizia di un nuovo scisma è un duro colpo, specie in una fase in cui sembrava ripristinato uno spirito di unità d’intenti per il bene comune. Viviamo certo il momento più doloroso nella storia del Consorzio e del territorio vitivinicolo, dopo i fatti del novembre 2014. Si è comunque votato nell’unico modo in cui si poteva. Le regole che fissano il funzionamento di un consorzio di tutela erga omnes non sono scritte a livello locale. Quanto accaduto in Oltrepò interroga i piani alti del Ministero. Società di persone sono state progressivamente trasformate in società per azioni. Tanto produci, tanto corrispondi per vigilanza e valorizzazione, tanto voti. è un modello imposto che crea una divaricazione profonda laddove siano presenti tipologie di aziende eterogenee o una moltitudine di piccole imprese familiari accanto a grandi realtà produttive». Di chi è la responsabilità di quanto accaduto? «La responsabilità che deve starci più a cuore è dare al territorio e ai suoi sforzi, verso qualità e reputazione, un’adeguata visibilità e una rappresentanza che sia un fiume e non mille rivoli. Forse da un problema può nascere l’opportunità di ripartire, nel rispetto delle identità dei vari modelli aziendali in campo. La coabitazione nello stesso condominio, in Oltrepò, si è rivelata impossibile per motivi di litigiosità, di scelte e talvolta di stili diversi. Ci sono percorsi che, evidentemente, procedono su binari paralleli o addirittura in rotta di collisione, diciamocelo, lasciando perdere quel “volemose bene” a parole, un’ipocrisia che poi non si traduce mai in fatti concreti o in mosse condivise. Bisogna indagare tutto questo e mettere in campo soluzioni che possano riportare all’unità». L’Oltrepò del vino è sempre in guerra, perché? «L’Oltrepò del vino sta vivendo una metamorfosi che deve compiersi su tre basi: distintività, specializzazione e impresa. Ci sono una generazione che a valore ha perso e un’altra che a valore può vincere. Lo studio Demoskopea di Fondazione Bussolera Branca l’ha sancito senza “se” e senza “ma”: divisi non si fa strategia, si fa solo tattica. Troppo poco per un mercato globale, che schiaccia chi sta nel mezzo divenendo autoreferenziale. A Vinitaly l’indagine sulle imprese del vino locali a cura dell’Os-
Emanuele Bottiroli, direttore Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese servatorio di Wine Marketing del Consorzio, nato dalla sinergia con l’Università degli Studi di Pavia, così come gli esperti di neuromarketing dell’Università IULM che da 3 anni il Consorzio ha applicato al problema, hanno ribadito che il valore aggiunto in Oltrepò si può fare a partire dal tesoretto rappresentato da 3.000 ettari di Pinot nero, che possono rendere questa terra un punto di riferimento mondiale se si sarà capaci di passare a un’unicità fatta di numeri e di scelte». Qual è la strategia che vedrebbe bene per arrivare alla svolta? «In Oltrepò, che vanta 13.500 ettari di vigna, bisogna avere prodotti di punta, collocarli nel segmento premium e dare loro un’adeguata capillarità di mercato che oggi manca. Chi non può ingaggiare una guerra a volumi ed essere competitivo con vini da prezzo in grande distribuzione, deve guardare altrove e rivedere la sua piramide aziendale: più è larga la base e stretta la punta, più si produce “valore medio” non potendo chiedere il giusto per il top di gamma che si porta sul mercato con il proprio marchio. Per remunerare la nostra vitivinicoltura di collina, una qualità che costa sacrificio e investimenti, bisogna partire dal valorizzare ciò che ci rende unici e credere nella denominazione, a partire dall’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG Pinot nero e dal Pinot nero dell’Oltrepò Pavese DOC, come ambasciatori di un’identità territoriale cui agganciare il resto, compresi i prodotti peculiari di ciascuna area produttiva: i rossi a base Croatina a Rovescala, il Buttafuoco e il Sangue di Giuda nel comprensorio di Canneto Pavese, il Riesling nell’area di Montalto e Oliva Gessi, il Moscato in zona Volpara. Allargando il campo, vi è poi un grande spazio per ragionare sull’innalzare ancora la quota dei vigneti, sulla base degli studi dell’Università di Milano, per arrivare al top e fronteggiare i cambiamenti climatici». Cos’ha fatto il Consorzio in questi anni
per arrivare a cambiare il territorio nel percepito? «Si è partiti dal riscrivere le regole di produzione, i disciplinari, e da un rafforzamento della tracciabilità con il contrassegno di Stato. Senza regole non ci sono i presupposti minimi per creare valore, difendere i produttori da fenomeni di concorrenza sleale e attirare nuova imprenditoria. Per arrivare a questo si è allargato il consiglio alle associazioni di categoria agricole, a Coprovi e Camera di Commercio. Si è lavorato in sinergia con Unione Italiana Vini, Università di Milano, Università di Pavia e Università IULM. Introdotti con i nuovi disciplinari molti concetti tesi alla qualità, cancellate dalla DOC le tipologie meno rappresentative e implementate le regole, ora è il momento della fase due: dare valore al vino, alle uve e ai terreni con progetti di marketing. Per arrivare a tutto questo bisogna smetterla con la personalizzazione dei problemi, la ricerca dei capri espiatori, le teste da tagliare e le operazioni di distrazione di massa». Si tratta di progetti raggiungibili in Oltrepò o di semplice utopia? «In tante zone di produzione italiane, cito la Langa perché ritengo somigli al nostro Oltrepò, tanti anni fa si è scelto di andar d’accordo per interessi comuni: valorizzazione del vino, enoturismo, cultura al servizio dell’animazione d’itinerari d’appeal, comunicazione, pubbliche relazioni a sostegno di piani d’impresa a breve, medio e lungo termine. Bisogna lasciarsi ispirare, ben sapendo che l’Oltrepò in termini di qualità assoluta in un decennio ha fatto passi da gigante, come sancito da guide vini, critica e concorsi enologici internazionali». Da dove si comincia? «Il gigante Oltrepò ha ancora i piedi d’argilla perché manca una sinergia tra piccole imprese e cooperazione. Una cooperazione che può dare numeri e visibilità a scaffale al nuovo Oltrepò: le novità in casa Terre d’Oltrepò, La Versa, Torrevilla e Canneto fanno ben sperare sul fronte di un dialogo
fattivo con i piccoli produttori. Servono un “patto cooperativo” e un “patto di territorio” per sfidare l’Italia e varcare il confine come un’alleanza e non in ordine sparso. Nel passato abbiamo fatto la fortuna di altri che avevano obiettivi e facevano leva sulla nostra poca considerazione di noi stessi, dobbiamo cambiare». Cos’ha fatto il Consorzio in questi anni per iniziare il percorso? «Abbiamo messo in campo strumenti scientifici e ricerca per non ragionare solo sull’emotività ma in senso oggettivo, sui numeri e con una radiografia del territorio. Abbiamo accompagnato i produttori su tanti scenari importanti, da ProWein a Vinitaly, da nuove vetrine su Milano e Roma con partner importanti. Da citare il successo dell’Oltrepò a Golosaria, all’evento AIS Lombardia al Westin Palace di Milano dedicato alle colline del Pinot nero, e ad altri eventi che hanno messo in luce il binomio vino-territorio di fronte a una platea nazionale. Fondamentale anche la partnership con la Strada del Vino, per arrivare alla pubblicazione di “Guidando con Gusto” il libro-guida dell’Oltrepò da scoprire, fino alla “WineMi Week”, ciclo di iniziative per riportare i nostri produttori a riavere l’attenzione che meritano nelle enoteche di Milano». A livello locale cosa si è fatto? «Moltissimi sono stati gli eventi locali ai quali il Consorzio ha partecipato o con i quali ha collaborato, da OltreFestival all’Autunno Pavese per arrivare ai molti appuntamenti tra cultura, degustazione e abbinamenti all’Enoteca Regionale della Lombardia a Cassino Po di Broni divenuta un palcoscenico di valore. C’è ora grande dinamismo e voglia di fare per quanto concerne la creazione del marchio ombrello “Oltrepò”, proposto dal presidente della Strada del Vino Roberto Lechiancole, un’iniziativa che potrà certamente avere ricadute economiche sulla territorialità nel suo insieme. Il vino, ladddove esistono zone forti nella qualità, può essere un volano strategico per le comunità locali». Se potesse esprimere e veder realizzato un desiderio, cosa vorrebbe? «Un Oltrepò Festival sul territorio vitivinicolo, facendo tesoro di OltreGusto. Penso a un long weekend con cantine aperte ai turisti e borghi del vino protagonisti con la loro storia e la loro identità. Una manifestazione ben comunicata a livello nazionale, con testimonial di primo piano, e capace di non disperdere gli sforzi in mille rivoli. Tante manifestazioni sono belle ma una sola, importante, può essere un potente veicolo di marketing territoriale, dal vino ai sapori alla ristorazione». Ha qualche cruccio? «Con meno divisioni e più condivisione si sarebbe riusciti ad andare più lontano. Non è mai troppo tardi se c’è la volontà».
di Silvia Colombini
LETTERE AL DIRETTORE
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Mostro di Fortunago, i nostri soldi buttati dalla finestra Signor Direttore, La prego di pubblicare questa lettera, anche se non io non abito in Oltrepò. Io abito a Milano, ma sono originario di Casteggio. Ogni volta che mi trovo a Fortunago, mi girano gli zebedei come dicono in Trentino, guardando quel mostro di auditorium, voluta da chi non so e che non mi interessa sapere, ma certamente quello che alcuni miei amici di Casteggio hanno ribattezzato il “topodromo”, perchè sembra abitato ed infestato da topi è uno spreco di danaro pubblico. Io Le giuro su i miei figli, che non so,che giunta ci sia a Fortunagoo e non mi interessa. So che qualcuno ha permes-
so di buttare anche i miei soldi, firmando un progetto “fuori dal mondo”, anzi, mi meraviglio che nessun procuratore della giustizia, si sia dato da fare per sapere chi sperpera i soldi, ben sapendo che loro stessi tante volte, hanno problemi di fotocopiare il cartaceo utile a tante indagini. Siamo in un periodo di crisi e gli amministratori di Fortunago o chi per esso, si permettono di buttare i soldi pubblici ( milioni di Euri ) dalla finestra, quando ci sono persone che non riescono a tirare a fine mese e aziende che chiudono per mancanza di liquidità e di ordini. è ora di smetterla di buttare i nostri soldi e quello che mi fa
arrabbiare è che nessuno paga per queste scelleratezze e nessun politico dice nulla. Il giorno che verrà inaugurato, se mai verrà inaugurato, sarò presente per vedere di persona le facce dei politici che avranno il coraggio di presentarsi e tagliare il nastro del mostro di Fortunago, il “topodromo” Scusi Direttore del mio sfogo, ma sono veramente arrabbiato e mi piacerebbe vedere il nostro bell’Oltrepò non deturpato da simili strutture. Cordiali saluti. Franco Codognelli - Milano
Alcuni giovani sindaci e assessori comunali dell’Oltrepò, per ora hanno dimostrato di essere solo giovani e nulla di più Egregio Direttore, anche in Oltrepò qualcosa si comincia muovere sul piano del rinnovamento del ceto politico, l’effetto lungo della “rottamazione” si è fatto sentire nell’ultima tornata amministrativa con l’elezione di molti giovani consiglieri comunali e, soprattutto, di sindaci appena trentenni. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile avere dei sindaci appena trentenni. La rottura generazionale all’interno dei partiti e le pesanti battute d’arresto e dei pasticci
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della vecchia classe dirigente dei politici oltrepadani, hanno segnato l’esplosione di un “tappo” che per troppo tempo ha tenuto sotto controllo l’ascensore del ceto politico. Intendiamoci, però. Non è che il nuovismo e il giovanilismo siano di per sé una garanzia di freschezza e di rinnovamento reale per i comuni dell’Oltrepò. La carta d’identità non è mai stata, e mai sarà, la principale discriminante del buon sindaco o del buon assessore. Fondamentali e determinanti restano, piuttosto, le idee, la
capacità di leadership, le intuizioni progettuali e le visioni. Ecco...a mio giudizio alcuni giovani sindaci e assessori comunali dell’Oltrepò, per ora hanno dimostrato di essere solo giovani e nulla di più, sono fumo negli occhi ed hanno un respiro cortissimo. Purtroppo ce ne accorgeremo abbastanza presto” Lettera Firmata - Broni
Voghera ha bisogno di una maggiore manutenzione di strade e marciapiedi Caro direttore, sono un cittadino vogherese, orgoglioso di esserlo, anche se bisogna ammettere che molte cose non funzionano nella nostra città. Nel mio tempo libero, dedico molto spazio allo sport, in particolare alla corsa. Evito il centro storico, e percorro per intero i viali. Bene, anzi male: non c’è un marciapiede decente. Gran parte della pavimentazione è sconnessa, con buche e avvallamenti. Chi deve camminare per forza lungo quei marciapiedi corre un alto rischio di incidente (mi piacerebbe cono-
scere quanto paga il Comune di Voghera, cioè noi, per questo tipo di incidenti). Tralascio il problema della pulizia. Magari in centro tutte le stradine sono tirate a lucido, ma basta poi spostarsi di cento metri e vedere i marciapiedi sporchi e con cumuli di foglie. Mi chiedo, allora: perché solo le stradine del centro devono essere sicure e pulite? Esistono vogheresi di serie A e di serie B, e forse anche di serie C a mano a mano che ci si allontani dal centro e si va in periferia? Antonio Rossetti - Voghera
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
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Morte dell’immigrato a Godiasco, “leoni” da tastiera che si credono Dio Gentile Direttore, non mi sono mai permessa di scriverle una lettera, sebbene legga le vostre notizie praticamente tutti i giorni. Ho 37 anni e come tante donne ho un lavoro normale e una vita normale di provincia. Sono una cittadina come tante. Una cosa però da un po’ di tempo mi lascia molto interdetta quando leggo i vostri articoli on line o i vostri post su facebook condivisi sulle pagine della mia città: le risposte “del pubblico”. Sono sempre moltissime, specialmente sui social network, e alcune, non so se perchè le ho lette con più con attenzione nell’ultimo periodo, sono davvero agghiaccianti. Sono una persona a cui i social piacciono: li uso ogni giorno, il più possibile con cognizione di causa. Ciò che mi ha spinto in particolare a scrivervi oggi è una breve considerazione riguardo il drammatico fatto del ragazzo di colore purtroppo deceduto in un incidente vicino a Godiasco, mentre ritornava a Voghera: l’evento è già di per sé tragico, ma ancora peggio a mio avviso, come persona non direttamente coinvolta nella vicenda, lo sono i commenti degli utenti che si sono permessi di “esprimersi”. Commenti come “uno in meno” , “sono neri di sera non si vedono”, “se restava a casa tua non ti succedeva” ecc. Considerazione: chi siamo noi dai dietro un computer per permetterci di fare questo? Cosa vogliamo dimostrare al mondo? Quale posizione stiamo prendendo nel commentare una notizia in questa maniera? La cosa che mi lascia più stupefatta è che a scrivere i commenti sono persone di una certa età, alcuni anche coinvolti nella politica attiva, non certo dei giovincelli, che da dietro ad uno schermo si sentono in dovere di poter esprimere il loro pensiero senza filtri. Ecco, mi chiedo: ma queste persone che esempio sono? Per i loro figli, nipoti, ma anche amici. Cosa vogliono ottenere? Che sensazione provano dopo aver scritto un commento del genere? Perché per scrivere un commento uno deve essere ben convinto, dato che il proprio nome è li in bella vista a tutti. Ma soprattutto è questo quello a cui la società ci porta? Le notizie devono girare, sulle modalità ognuno ha una sua opinione, ma stiamo andando verso l’anarchia della libertà di espressione? Saremmo pronti ad usare le stesse parole taglienti e forti se a morire fosse nostro padre, nostro fratello, nostro figlio, nostro marito? è questo ciò a cui siamo chiamati? Ad essere “Dio” da dietro uno schermo? Forse sì, è quello che ci si aspetta da noi, che commentiamo con i “tweet” le trasmissioni televisive in tempo reale. Ciò che mi ha allarmata è l’aver visto tra i commenti nomi di persone che conosco, che sono madri e padri, e purtroppo ho pensato che ora capisco molte cose. Cosa possiamo aspettarci dai “giovani” se questo è un mondo di giudizi delle “bestie”?! Alessandra Fiocchi - Voghera
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ATTUALITà
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Il dress code sui banchi di scuola. Come vestono gli adolescenti oltrepadani? La proverbiale colonnina di mercurio è tornata a far segnare temperature quasi estive, nelle ultime settimane. Con esse sono usciti dagli armadi sandali, minigonne, canotte e pantaloncini, troppo a lungo relegati ad un letargo ormai fuori tempo massimo. Il caldo è uguale per tutti, e non fa sconti. Così può accadere, nella stagione estiva, di avere a che fare con funzionari o semplici impiegati che, spogli di costumi prima che di vesti, abbandonano le uniformi e assolvono ai propri doveri, nei pubblici uffici, bardati in tenute degne di una piscina. Singolare che la stessa calura non produca effetti analoghi in avvocati, banchieri e poliziotti. Dicono che l’abito non faccia il monaco; ma forse alcuni monaci tengono particolarmente alla propria compostezza, mentre altri non ne ravvisano l’urgenza. Il tema dell’abbigliamento torna di attualità, in modo particolare, all’interno dei plessi scolastici. Dove, da una parte, è richiesto un certo decoro agli insegnanti, che svolgono un ruolo di guida e quindi di esempio; e, dall’altro lato, occorre istradare gli studenti entro un certo rispetto
Miriam Paternicò, Istituto Comprensivo di Bressana Bottarone
Paolo Della Porta, Istituto Comprensivo di Broni
Angela Sclavi, Istituto Comprensivo di Casteggio
dell’istituzione. Tradizionalmente la questione emerge negli istituti secondari di secondo grado, le vecchie scuole superiori, dove i ragazzi vivono quel momento in cui si pongono in discussione le regole, si mira a contrastare le autorità; e si tende, vieppiù, a mettere in mostra il proprio corpo. L’età adolescenziale, dicono gli studiosi, sta allargando sempre più i propri limiti: l’Organizzazione Mondiale della Sanità identifica oggi questo periodo, da un punto di vista biologico, nell’età com-
presa fra i 10 e i 19 anni. Stanley Hall, con un’influentissima opera del 1904, aveva situato entrambi i limiti quattro o cinque anni più avanti. Questo cambiamento è giunto anche nelle scuole italiane. Alcuni istituti secondari di primo grado hanno infatti iniziato a ravvisare nei loro studenti comportamenti che si pensava fossero appannaggio dei loro fratelli maggiori; quelli relativi all’abbigliamento, per esempio. E stanno rispondendo a suon di regolamenti. A inizio maggio, la dirigente
dell’Istituto Comprensivo di Moncalieri, Valeria Fantino, ha lanciato un sondaggio su Facebook: ‘‘Chi sarebbe d’accordo nel vietare canotte, shorts e minigonne cortissime a scuola? Si deve favorire la consapevolezza che ogni luogo ha il proprio codice di comportamento e abbigliamento: insegnando un minimo di rispetto e buon gusto. Ovviamente mi riferisco anche ai jeans a vita bassa che mostrano le mutande.’’ C’è stato un plebiscito, e ora il Consiglio d’Istituto si avvia a ratificare la
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ATTUALITà decisione presa dal popolo della rete, con l’adozione di un codice di abbigliamento. Alcuni prospettano l’adozione di una divisa scolastica. Ma il dibattito è ancora aperto. È lecito chiedersi se questi problemi sorgano soltanto, per il momento, negli hinterland delle grandi città; o se, viceversa, anche il periferico Oltrepò sia al passo con i tempi che sembrano incombere. Abbiamo chiesto ai dirigenti degli istituti secondari di primo grado di Bressana Bottarone, Broni, Casteggio, Rivanazzano, Varzi e Voghera se i loro studenti (e gli insegnanti) partecipino alle lezioni con un abbigliamento decoroso; se siano sorti problemi in tal senso, tali da determinare l’emanazione di un codice di abbigliamento o, addirittura, da prospettare l’adozione di una divisa scolastica, come avviene in alcuni stati esteri. Istituto Comprensivo di Bressana Bottarone. Miriam Paternicò: «Non è presente un codice, naturalmente però i docenti richiamano al rispetto del decoro, sia gli alunni che le famiglie, nel caso in cui si ecceda. Non ci sono stati però problemi, anche perché vengono date delle istruzioni abbastanza chiare, anche prima degli esami, per cui si dice ai ragazzi di non indossare, per esempio, pantaloncini corti. In linea di massima vengono rispettate. Non è mai stato necessario un regolamento, proprio perché non si è mai registrato un eccesso». Lei pensa, comunque, sia importante un certo decoro nell’abbigliamento degli alunni? «Non solo per gli studenti, per tutti. L’istituzione scolastica rappresenta lo Stato, quindi anche gli insegnanti, i collaboratori scolastici, gli assistenti amministrativi, il dirigente scolastico, devono avere rispetto anche in alcune forme che possono essere considerate esteriori. Una forma di rispetto per l’istituzione in cui siamo incardinati». Da parte degli studenti esiste una consapevolezza in questo senso? «Non sempre, dipende però anche dal lavoro degli insegnanti e da quello che recepiscono in famiglia». Istituto Comprensivo di Broni. Paolo Della Porta: «All’interno del Regolamento d’Istituto c’è un riferimento per quando concerne l’abbigliamento, che deve essere idoneo alla scuola. Il riferimento non è
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Maria Margherita Panza, Istituto Comprensivo di Rivanazzano
Umberto Dallocchio, Istituto Comprensivo di Varzi
Maria Teresa Lopez, Istituto Comprensivo di Via Marsala, Voghera
dettagliato, ma il look deve essere consono ad un istituto educativo. In Italia l’abbigliamento è libero, non ci sono dei vincoli nelle scuole come ci sono, ad esempio in Inghilterra. Logicamente, nel momento in cui venisse verificato dai docenti che qualche alunna o qualche alunno avesse degli abbigliamenti non idonei, allora si interverrebbe». Cosa pensa delle divise scolastiche? «È un tema opinabile. Sono stato, anche negli anni passati, a visitare istituti all’estero, e posso dire che le divise, dove presenti, danno un segno di uguaglianza e anche di identificazione e di appartenenza a una comunità. Sicuramente, per cui, ci sono degli aspetti positivi. Ma ce ne sono altri che dobbiamo considerare, ad esempio relativamente ai costi eventuali che si dovrebbe accollare la famiglia, e questo è da valutare, anche alla luce della crisi economica. Oltre al fatto che la tradizione ormai consolidata in Italia è quella di una certa libertà di abbigliamento». Istituto Comprensivo di Casteggio. Angela Sclavi: «Non ci sono problemi, assolutamente. Il dress code non è fra le nostre previsioni. Comunque non si tratta di un’utenza che ha bisogno di essere richiamata all’ordine. Quest’anno c’è stato anche complice il tempo, per cui, non avendo fatto particolarmente caldo, non è stato neanche necessario raccomandare regole elementari». Esiste, comunque, qualche previsione generica da parte del Regolamento d’Istituto? «No, non abbiamo previsto norme particolari, salvo il buon senso. Devo dire che c’è una buona collaborazione con i genitori e non è quindi necessario prendere delle
direttive rigide. Basta chiedere, e di solito ci ascoltano e ci supportano. Dove la famiglia è presente e collabora, la scuola non ha mai problemi. Soprattutto in quanto non prevede richieste economiche o risorse particolari, ma solo pura collaborazione». Istituto Comprensivo di Rivanazzano. Maria Margherita Panza: «No, assolutamente, i ragazzi sanno come devono vestirsi e lo fanno in modo decoroso. Arrivano con le loro magliette normali, le tshirt, i calzoncini corti, al ginocchio, ma è normale. Magari in futuro potrà capitare, e valuteremo caso per caso. Per fortuna al momento è tutto tranquillo». Lo stesso per gli insegnanti? «Gli insegnanti sono vestiti normali. Magari c’è l’insegnante che veste smanicata, ma in modo civile, presentabile. Assolutamente». Avete mai pensato all’utilizzo di una divisa o di un qualche simbolo d’istituto? «Nella primaria i bambini hanno il grembiulino. Stiamo pensando, più che altro, a un cappellino con scritto ‘‘IC Rivanazzano’’. Utile anche per portarli in gita e distinguerli». Istituto Comprensivo di Varzi. Umberto Dallocchio: «C’è un riferimento generico nel Regolamento d’Istituto. Per il momento non è sorta una particolare necessità, probabilmente ci arriveremo». Vedrebbe di buon grado l’adozione di una divisa? «Il fatto di voler rendere tutti uguali, a volte, crea le premesse perché ciò non avvenga; perché, comunque, comporta una spesa per le famiglie. Servirebbero due divise, almeno, per avere un cambio, e alcune famiglie potrebbero avere più figli. Il
principio funziona, come senso di appartenenza, come identità; ma potrebbe creare disagi». Ha ravvisato problemi con i suoi insegnanti o collaboratori? «Non ho mai dovuto sottolineare la necessità di presentarsi a scuola in modo diverso. Dà tanti svantaggi essere distanti dai grandi centri, ma forse anche qualche vantaggio. Forse qui influisce anche un certo tipo di tradizione, le famiglie hanno uno sguardo diverso». Istituto Comprensivo di Via Marsala, Voghera. Maria Teresa Lopez: «Noi non abbiamo una divisa, anche se dall’anno prossimo vorrei introdurre almeno una maglietta d’istituto. Sono qui da settembre, ho 2.300 alunni e tante cose a cui, man mano, pensare. Abbiamo iniziato con il diario d’istituto, che avremo dall’anno prossimo; sempre per l’anno prossimo vorrei fare un concorso interno per far disegnare il logo della scuola. Se riuscissimo ad avere una maglietta con il nostro logo sarebbe già carino, e si potrebbe utilizzare in occasione di varie manifestazioni. Il senso, anche del diario, è quello di aumentare il senso di appartenenza all’istituto, che poi è un bellissimo istituto». Non esistono direttive o circolari in merito al decoro dell’abbigliamento? «Non ho fatto nessuna circolare, perché nessuno, qui, arriva in ciabatte. Ho visto che i ragazzi hanno dei genitori responsabili, che non li mandano a scuola con il pantaloncino particolarmente corto. Ma anche a Milano non ho avuto problemi. Nel momento in cui si manifestasse il problema provvederei con una circolare». di Pier Luigi Feltri
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CASEI GEROLA
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«Non più solo “mordi e fuggi”, qui le coppie vengono per risvegliare la passione!» Da motel “mordi e fuggi” per coppie clandestine a struttura di eccellenza in grado di rivoluzionare l’ospitalità in Italia. Quella del Motel K di Casei Gerola è una parabola diventata esempio di imprenditoria di successo tale da innescare innumerevoli tentativi di imitazione. Gianluca Cristiani, imprenditore che arriva dal mondo delle discoteche e titolare della struttura aperta dal padre a inizio anni ’80, è l’ideatore delle famose camere “a tema” su cui detiene il copyright. Nessuno prima di lui le aveva portate in Italia. Il Motel K oggi più che un semplice nome è un marchio, sinonimo di “scappatelle” e lussuria, ma anche di privacy, accoglienza e modernità. Cristiani, partiamo dall’inizio. Quando lo ha aperto e che idea aveva di quello che sarebbe dovuto essere. «L’idea di costruire un motel è venuta nel 1980 a mio padre che insieme ad un’altra imprenditrice della zona ha fondato la società Sean srl per realizzarla. La società è riuscita, dopo varie peripezie, ad inaugurare nel 1983 la prima area della struttura alberghiera: L’Area 1. La “mission” ai tempi era quella di dare un luogo di relax
e di intimità a chi voleva passare qualche ora insieme. L’Area 1 era ed è l’essenza del motel americano, una stecca di camere standard molto accoglienti, diversificate tra di loro da arredamenti di colore vivaci ma di buon gusto. Tutt’oggi mantengono una forte personalità di abitazione privata che le contraddistingue rispetto alle solite camere di un motel tradizionale». Un motel “all’americana” per coppiette nell’Oltrepò di inizio anni 80. Non deve essere stato un inizio facile, o sbaglio? «I primi due anni sono stati difficili, la cultura del momento non incoraggiava l’avvicinamento a strutture di quel tipo, la propaganda americana dei film cult anni 70 e 80 e lo stesso fine di utilizzo con cui si presentavano i primi modelli italiani dava un etichetta di casa del peccato , fardello molto pesante da portare per un attività che vuole decollare. Solo dopo i primi anni di incertezza la gente, sicuramente incoraggiata anche da un passaparola positivo incentrato sul rispetto della privacy e della pulizia, ha incominciato ad apprezzare e a soggiornare nella struttura sempre più frequentemente fino a permetterci di ottenere nei primi
anni 90 un tasso di occupazione più che accettabile». All’epoca però lei non era ancora coinvolto direttamente nella gestione della struttura… «In quegli anni lavoravo insieme a mio padre e mio zio nel settore delle discoteche e già ai tempi ero appassionato di arte e architettura. A quei tempi al Motel K aiutavo ad organizzare la manutenzione, il rinnovo locali e alcune serate a tema come San Valentino la festa delle donne o capodanno». Quando sono arrivate le camere a tema, che sono il segno distintivo della sua struttura, e come le è venuta l’idea di crearle? «All’inizio degli anni ‘90. Le camere standard ci hanno permesso di “studiare” il cliente, le sue esigenze nascondevano tra le righe la necessità di ricevere un servizio più ampio e personalizzato. Un mondo ancora senza internet ma con i primi cellulari che pesavano un kilo faceva da sfondo a quel giorno memorabile che diede vita alla svolta dell’ospitalità italiana. Una sera, infatti, sfogliando una rivista che riportava un servizio su una suite stravagante con arredamento “spaziale”
«C’è gente che, dalla fretta di entrare in camera, mi ha buttato giù il muro con la macchina»
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CASEI GEROLA in una struttura alberghiera giapponese ci venne l’idea di creare una parte nuova con mini suite ispirate al futuro e allo spazio... Dopo pochi giorni preparammo per i clienti non solo 9 camere di un solo tema spaziale ma bensì 9 camere di 9 temi diversi.... un’impresa oggi molto semplice, ma complicata ed onerosa a quei tempi». Come andò all’inizio? «Nel 1992 il progetto Area 2 soprannominato “disco volante” parte arenandosi dopo pochi mesi per problemi nella realizzazione e poca serietà delle imprese edili che vi parteciparono. Fu allora che intervenni ufficialmente a tempo pieno ad aiutare la famiglia proponendo l’idea che permise di continuare lo svolgimento del lavoro e terminare il progetto: portare le aziende di arredamento ed impiantistica luci che realizzavano discoteche a terminare i progetti delle suite a tema che avevamo iniziato». Come furono accolte dalla clientela? «Nel 1993, le prime camere a tema furono un’inversione di tendenza abbastanza azzardata, l’obbiettivo di offrire una sorta di viaggio con il proprio partner in luoghi lontani alimentando la fantasia di ognuno di noi, rischiava di essere scambiato per un teatrino poco apprezzato. Dopo solo un anno, come tutte le realtà che devono essere metabolizzate poiché pionieristiche, L’Area 2 in realtà si è trasformata in un trampolino di lancio per un imprevedibile cambiamento di concezione non solo di tutte le strutture simili ma anche del panorama dell’ospitalità Italiana». Da dove arriva l’ispirazione per le sue “suite”? «Da grande impegno, una grande passione e lo spirito di osservazione che mettevo nei viaggi che facevo. Da questo fu guidata la mia mano nel disegnare i progetti delle successive aree 3 e 4. Oggi, studiando sempre le richieste del cliente, siamo riusciti, con le ultime suite a tema, a ricostruire un piccolo centro benessere all’interno di ogni singola unità abitativa dove ogni coppia puo’ trascorrere una giornata di relax in totale privacy. Ma non solo. Una parte della struttura, tecnicamente separata dalle altre, è stata predisposta come Hotel per soddisfare tutte le necessità di una clientela Business e straniera». Da quelle stanze sono passate generazioni di oltrepadani e non solo. Come è cambiata la sua clientela nel tempo? «In seguito ad un lavoro assiduo e ad uno studio meticoloso sulle diverse richieste da parte dei clienti abbiamo integrato nuovi servizi che hanno modificato nel tempo il l’ identità della nostra clientela dalla coppia “clandestina” alla coppia addirittura sposata. Dal singolo che lavora nelle aziende circostanti alla famiglia di stranieri di passaggio in autostrada. L’importante è avere un edificio progettato in modo tale da soddisfare la privacy ed i servizi ad una clientela di 360 gradi». Restando sulle coppie, la nota “piccante” della sua attività: come è cambiata da parte loro la fruizione del Motel negli anni? «La clientela è passata dal 100 % di coppie che necessitavano di un mordi e fuggi nel più assoluto anonimato (nel 1984
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nessun fidanzato si sognava di portare la propria fidanzata in un motel) ad avere il 75% di mariti e mogli piuttosto che di fidanzati o conviventi. Abbiamo moltissime coppie che si regalano o ricevono in regalo una suite per trascorrere la prima notte di nozze, festeggiare un anniversario, un compleanno e questo per noi è una orgogliosa conquista». Oggi però chi è il frequentatore “medio” del Motel? «Avendo aperto a 360 gradi la tipologia di clientela non riusciamo a fare un paragone. Si passa dai giovani fidanzatini (ma comunque maggiorenni) a coppie che vengono a festeggiare 30 anni di matrimonio. Abbiamo scoperto che, la coppia, per star bene ha bisogno di staccare la spina, e per poterlo fare spesso scelgono noi!» Si viene, si “consuma” e si va oppure si trascorre l’intera serata-mattinata come in un normale hotel? L’abitudine dei clienti è cambiata negli ultimi anni? «Cambiando la clientela sono cambiate di conseguenza le aspettative e le necessità. Le richieste particolari sono state studiate ed una parte di esse è stata ufficializzata ed inserita nel nostro menù come servizio plus. Oggi un software da noi realizzato negli anni, appositamente studiato per le camere a tema e quasi pronto per essere commercializzato ai concorrenti, ci aiuta a fornire un ottimo servizio al cliente: Esso viene seguito nelle sue richieste dal momento in cui prenota al momento in cui lascia la struttura, eliminando una serie di errori umani nelle trascrizioni delle ordinazioni ai vari reparti. Chiaramente per godere di determinati servizi ci vuole tempo. Una sauna un bagno turco seguiti da una cena in completa privacy e servita direttamente in suite richiedono soggiorno minimo di mezza giornata si trascorre quindi l’intera giornata oppure l’intera notte come nei classici hotel». Sulle stanze a tema lei detiene il copyright ma immagino che il suo format, come la settimana enigmistica, vanti innumerevoli tentativi di imitazione... Le è capitato di fare causa a qualcuno per averla “copiata”? «Le imitazioni ci sono in tutti in campi, figuriamoci se non è capitato anche a noi. Imprenditori e false coppie vengono addirittura con la bindella in camera per prendere le misure delle nostre suite. Per costruire una suite a tema si pensa che basti aggiungere una vasca idromassaggio e qualche ammennicolo di gusto più o meno dubbio per ottenere il risultato desiderato… ma la realtà è ben diversa. Il confine che separa dal kitsch è molto sottile. Le persone al giorno d’oggi premiano l’innovazione e la solidità e la firma dei materiali e non gradiscono molto le imitazioni di cartapesta . Noi siamo stati i primi in Italia ad aver introdotto le camere a tema e chiaramente ne godiamo i vantaggi in termini di esperienza e di arricchimento del nostro know out. Il cliente ci fidelizza ogni giorno per quello che riusciamo a dare dal punto di vista del servizio e della location. Abbiamo avuto imprenditori che hanno copiato le nostre suite chiamandole addirittura con lo stesso nome ed hanno fatto una sorta di copia e incolla del nostro sito
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Gianluca Cristiani, patron del Motel K di Casei Gerola. La prima area della struttura fu inaugurata nel 1983
cambiando solo foto e colori, senza pudore. Le cause le abbiamo iniziate nel momento in cui il modo di copiare il nostro stile e le nostre location diventava così pedissequo da creare confusione tra i nostri clienti.... trovare un sito identico, con le stesse terminologie di vendita, che promette gli stessi servizi che abbiamo noi da solitamente un idea di una fasulla nostra espansione che potrebbe danneggiare la nostra immagine». Immagino non possa svelarcelo del tutto, ma può almeno indirizzarci su qual è il segreto per restare in qualche modo “unici” e al passo coi tempi in questo settore? «è un lavoro molto impegnativo, anche se incentivati dalla passione, se lo si vuole fare seriamente, richiede molta presenza in loco. Le mie giornate e quelle dei miei collaboratori più vicini passano velocemente mentre ci occupiamo sia dell’attività in tutto il suo complesso che della sempre più complessa burocrazia. La ricerca di qualcosa di nuovo da offrire alla clientela deve essere accompagnata ogni giorno da un mantenimento della qualità che è molto oneroso». Esistono altri Motel K o quella di Casei è l’unica struttura sua? «L’unico Motel K è a Casei Gerola anche se, già da qualche anno, ci siamo preparati per poter espandere il marchio con il Franchising. Ad oggi abbiamo ricevuto tanti contatti di imprenditori curiosi, ma nessuno di loro è ancora partito in via ufficiale». Raccontando del peccato e, ovviamente, non del peccatore, può raccontarci qualche aneddoto di “stranezze” o si-
tuazioni curiose cui le è capitato di assistere negli anni? «Di situazioni curiose ce ne sono capitate tante, un domani, mantenendo sempre l’anonimato, scriverò un libro! Coppie storiche che durano decine di anni, coppie che litigano, coppie sposate che ci usano come terapia di coppia perché dicono che i miei temi riescono a riaccendere la passione, individui che dalla fretta di entrare in camera parcheggiano così velocemente che mi buttano giù il muro, oppure non tirano il freno a mano e si trovano la vettura in mezzo al viale e corrono a spostarla senza accorgersi che non sono vestiti… d’altro canto è anche l’insieme di tutte queste piccole cose che rende il mio lavoro unico». di Christian Draghi
«Ci hanno copiato in tantissimi. Ma essere chic senza scadere nel kitsch è un’impresa per pochi in questo settore»
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«L’Oltrepo è Pinot Nero per la sua vocazione e Bonarda per la sua tradizione» Filippo Prè originario di Godiasco è ormai trapiantato a Retorbido dove da 15 anni riveste il ruolo di direttore tecnico dell’azienda vitivinicola Marchese Adorno, azienda storica dell’Oltrepò Pavese attiva dal 1834 e che ora è gestita dall’ ultimo erede della famiglia Adorno, il Marchese Marcello Cattaneo Adorno. Prè spesso chi lavora nel settore vitivinicolo arriva per origini o tradizione familiare. È anche il suo caso? «No, la mia famiglia aveva un piccolo vigneto a livello familiare ma nulla di più, sono arrivato nel mondo del vino per mia scelta e passione dopo essermi diplomato perito agrario all’Istituto Gallini di Voghera». L’agricoltura ed il vino in particolare sono uno dei motori economici principali dell’Oltrepò Pavese. Negli ultimi decenni c’è stato un distacco dei giovani da questo mondo. Lei invece è un giovane in controtendenza. Ritiene che questa controtendenza si possa diffondere maggiormente? «Ritengo di sì, assolutamente. Oggi quel mondo agricolo visto un po’ deprimente dai giovani si sta evolvendo attraverso la
ricerca e la diversificazione che lo rendono certamente più attrattivo». Per anni in Oltrepò gli agricoltori sono “andati avanti” grazie agli aiuti di contributi e sovvenzioni. Secondo lei quanto è importante l’aiuto e l’agevolazione pubblica in questo settore e di contro ritiene possibile fare impresa agricola senza aiuti o sovvenzioni pubbliche ma riuscendo lo stesso a fare utili? «I contributi sono importanti soprattutto per una azienda che vuole partire da zero, sono un modo per riuscire a respirare soprattutto i primi due o tre anni quando non c’è utile. Nello stesso tempo credo sia importante che una chi si avvicina al mondo agricolo e vinicolo abbia coscienza di quello che vuole fare, è fondamentale calibrare bene la tipologia di azienda che si vuole andare a creare. Ad esempio la micro-agricoltura, le colture specializzate come lo zafferano richiedono un basso impegno e basse superfici dando un buon reddito. Sarebbe auspicabile anche un ritorno alle “vecchie” colture come ad esempio la Pomella Genovese o per quanto riguarda l’allevamento alla Vacca Varzese». Parlava di specializzazione di prodot-
ti e il ritorno al coltura della Pomella Genovese o all’allevamento della Vacca Varzese. I giovani soprattutto credono in questo ritorno, ma c’è anche chi dice che se nel tempo certe specializzazioni sono state abbandonate, un motivo c’è. I motivi che hanno portato ad abbandonare certe specializzazioni perché oggi non dovrebbero essere più validi? «Perché i tempi cambiano, ci sono cicli sociali, economici e storici che ritornano. Ciò che è stato abbandonato è perché in quel momento non dava economia. La Vacca Varzese che in sé non aveva grosse potenzialità con l’arrivo della meccanizzazione e di altre razze più produttive è stata abbondonata. La Varzese è una razza che non è difficile da allevare ed a livello organolettico delle carni è molto apprezzata. Stesso discorso per la Pomella Genovese che ha forti potenzialità organolettiche come la grande conservabilità. Entrambe queste specializzazioni potrebbero a mio giudizio far tornare a parlare di sé». Lei essendo un dirigente, ha rapporto costante con la proprietà. Cosa ha spinto il Marchese ad occuparsi in prima persona dell’azienda?
«Il Marchese Adorno è un gentiluomo, un signore che ha svolto e svolge la sua carriera all’estero e che circa 25 anni orsono ha deciso di riprendere “in mano” i suoi terreni e di fondare la Marchese Adorno. Il motivo credo sia affettivo, il suo legame con l’Oltrepò e Retorbido è molto forte, così nonostante viva tra gli Stati Uniti ed il Brasile ha optato per questa scelta, far tornare l’azienda ai fasti del passato quando ai tempi della Marchesa era punto di riferimento per tutto l’Oltrepò. Con grande passione e meno conoscenza del vino… ha creato un’azienda che ha la volontà di essere tra le prime 10 aziende vitivinicole dell’Oltrepò e che potrebbe fare da traino al territorio, nel momento in cui… speriamo questo territorio partirà». L’accusa che molti fanno al mondo del vino oltrepadano è che produce di tutto e in quantità enormi, qualcuno dice troppe quantità e troppi vitigni diversi. Quali sono i vitigni sui quali, secondo lei come manager vitivinicolo, l’Oltrepò dovrebbe puntare? «Pinot nero certamente perché oggi i consumatori mondiali vanno sempre di più su prodotti monovarietali e legati al territo-
retorbido rio, pinot nero sia per la spumantizzazione sia per la vinificazione in nero di cui l’Oltrepò è ben specializzato. La specializzazione, la specificità è l’arma vincente ed il traino per tutta l’altra produzione. Ne sono esempi eccellenti Chianti, Franciacorta, Prosecco che producono magari altre 100 etichette ma possono farlo perché si sono imposti e identificati sul mercato con un prodotto. Il pinot nero potrebbe essere il brand che rende riconoscibile l’Oltrepò, Pinot Nero per la sua vocazione e la Bonarda per la sua tradizione». La Bonarda potrebbe essere un competitor del Lambrusco? «Difficile scalzare il Lambrusco, all’estero il nome Lambrusco ha più appeal, più fama, inoltre nella maggior parte dei casi si trova in maggior quantità e a prezzi più competitivi. Va detto inoltre che la Croatina da cui si produce la bonarda non è un’uva facile, a questo va aggiunta la confusione generata dal fatto che una grossa parte di produzione della Bonarda viene fatta da imbottigliatori che sono fuori dall’Oltrepò e che riescono a portare il prodotto sugli scaffali a prezzi molto bassi. Il consumatore finale pertanto e qui mi riferisco alla confusione di cui parlavo prima, non riesce a capire come mai si trova sugli scaffali una bottiglia di Bonarda dell’Oltrepò Pavese a 7 euro e un’altra a due euro». Imbottigliatori, vendita di vino sfuso, la colpa è sempre degli altri… ma a questi imbottigliatori qualcuno il vino glielo venderà, tutte le damigiane di vino sfuso che escono dall’Oltrepò a prezzi bassi qualcuno le venderà… Poi però nelle dichiarazioni pubbliche sembra che nessuno venda vino sfuso. Per uno che non fa il vignaiolo risulta difficile capire questo “miracolo” oltrepadano. Qual è la situazione per invertire questo stato di fatto che volente o nolente c’è? «Domanda difficile. è innegabile che in Oltrepò esiste un grosso mercato di prodotto sfuso sia in entrata che in uscita. Da una parte questo commercio è positivo, perché vuol dire che il prodotto oltrepadano è apprezzato quindi significa che c’è qualità, il problema rimane il prezzo troppo basso. Inoltre altro problema è che l’Oltrepò ha sempre fatto da serbatoio ad altri grandi territori di produzione vinicola italiani, in passato ci siamo adagiati sul fatto che vendendo il prodotto in cisterna ci si guadagnava comunque. Anche noi come Marchese Adorno avendo 60 ettari vitati produciamo più di quello che ci richiede il mercato e credendo nell’importanza del territorio conferiamo il prodotto solamente ad una realtà dell’Oltrepò, alla Società Cooperativa Torrevilla. Noi vogliamo che il nostro prodotto venga lavorato ed imbottigliato in Oltrepò e vogliamo compartecipare al mercato oltrepadano da dentro e non da fuori. Ritengo che autorizzare l’imbottigliamento con marchio Doc o Igt, così com’è possibile oggi, per aziende che non abbiano in Oltrepò sede produttiva e imbottigliamento, sia sbagliato. Questo dovrebbe essere vietato in futuro per difendere con i denti la nostra denominazione». La vostra azienda è associata al Consor-
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Filippo Prè, direttore tecnico dell’azienda Marchese Adorno da 15 anni
zio Tutela Vini Oltrepò Pavese e al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. Due realtà associative qualcuno dice “una di troppo” altri dicono che possono coesistere. Qual è la sua posizione? «Il Consorzio deve tutelare il marchio d’origine e fare promozione del marchio per cui associarsi è una scelta obbligata, il Distretto invece si occupa solo di promozione. La cooperazione fa la forza quindi sulla carta potrebbero unire e sinergizzare gli sforzi per incrementare la promozione territoriale, in realtà non è così facile farle coesistere perché le teste sono tante, ci sono tante prime donne per cui la sinergia auspicabile sulla carta non è ad oggi perfettamente riuscita». Molte aziende 4 anni fa sono uscite dal Consorzio e nelle ultime settimane c’è stato un ulteriore “fuggi fuggi”. Onestamente da uomo della strada che beve vino e preferibilmente dell’Oltrepò non ho compreso i motivi esatti di questa diaspora che non stati detti chiaramente. Sono un segreto? Lei conosce queste motivazioni? «I motivi principali sono tre: il primo è che questa scelta di uscire dal Consorzio vuole essere un segnale di rottura per cercare di cambiare a livello nazionale il sistema di votazione, ed io personalmente sono favorevole al sistema “una testa un voto”. Il secondo motivo è consequenziale vale a dire che un territorio che vuole fare della qualità la propria bandiera non può non avere, all’interno del proprio consiglio, una rappresentanza di un produttore di qualità. Chi ci guarda da fuori, vede l’Oltrepò come terra di imbottigliatori. Terzo motivo è che con queste nuove ele-
zioni si ha avuto la percezione di voler tornare ai vecchi disciplinari che vorrebbe dire tornare al medioevo dell’Oltrepò, con produzioni alte e magari anche via alle fascette». Aziende che perseguono la qualità e che hanno saputo valorizzare il loro brand e di conseguenza l’Oltrepò vinicolo, ce ne sono e il Marchese Adorno è certamente una di queste. Come mai l’azienda per la quale lavora non è stata molto attiva in questa tornata di votazioni nel proporsi come attore principale? Perché questa scelta di tenere un basso profilo da parte di Marchese Aadorno? «Effettivamente devo riconoscere che parzialmente siamo stati a guardare dalla finestra, questo è dovuto al fatto che il nostro titolare non è fisicamente sul territorio e che la Marchese Adorno non ha forse ancora oggi la forza e la percezione di poter essere un’azienda trainante anche se nei fatti e nella qualità del vino potrebbe esserlo. Noi siamo un’azienda giovane e credo che nel territorio esistano aziende storiche che più di noi avrebbero la titolarità per farlo». Perdere il Consorzio sarebbe una figuraccia senza entrare nel merito delle motivazioni, giuste o sbagliate che siano. Lei di professione non fa il veggente e quindi non può prevedere il futuro ma secondo lei come andrà a finire? «Io sono un ottimista di natura, penso che, anche se non immediatamente, andrà a finire bene. Penso che tutti i produttori, e quindi anche i più piccoli avranno più voce in capitolo nel Consorzio. Questo non vuol dire che non ci debbano essere gli imbottigliatori o grandi produttori, loro fanno il loro lavoro, l’importante è
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che si abbiano tutte le stesse possibilità e si parta dagli stessi blocchi di partenza per una gara alla pari, cosa che oggi non è». La strada è un passo indietro da parte di Terre d’Oltrepò? «Non solo di Terre d’Oltrepò che è comunque una grande ed importante realtà vinicola dell’Oltrepò, devono fare un passo indietro un po’ tutti, ad iniziare dai grandi gruppi di imbottigliatori, soprattutto quelli con sedi produttive ubicate fuori dall’Oltrepò, penso che sia anche nell’interesse stesso degli imbottigliatori che ciò accada. Se creiamo un territorio forte, riconosciuto come eccellenza e qualità e con prezzi più alti è anche nel loro interesse». Ci sembra di capire che Lei è favorevole al fatto che gli imbottigliatori con sedi produttive fuori dall’Oltrepò non facciano parte del Consorzio ? «Da un lato mi fa piacere che i produttori di fuori zona chiedano di comperare il vino dell’Oltrepò perché vuol dire che ne riconoscono la validità, dall’altro mi infastidisce che questi vini non imbottigliati in Oltrepò possano avere le stesse denominazioni dei nostri». Il prosecco anche in Oltrepò è stravenduto. Molti produttori oltrepadani che fanno ottimi spumanti dicono “maledetto prosecco”, “ma come si fa a chiedere e bere un prosecco in Oltrepò”. La colpa è di chi lo chiede o di chi invece è stato meno bravo a imporre sul mercato il nome Oltrepò? «La colpa è certamente dei produttori oltrepadani che non sono stati incisivi. Abbiamo in mano una Ferrari ma è come se avessimo una 500 e proviamo vergogna nel guidarla». Della vostra produzione totale quanto vendete in bottiglia? «Il 60 % viene venduto in bottiglia con trend in crescita, il 40% viene invece venduto sfuso a Torrevilla». Quanto vendete all’estero in percentuale? «Abbiamo alcuni clienti da una decina d’anni tra Stati Uniti, Giappone, Austria, Inghilterra e Cina. Alcuni sono storici, altri occasionali, diciamo che in percentuale è circa il 10% della nostra produzione ed è in crescita anche se il mercato estero non è facile, e il fatto di essere un territorio slegato non aiuta a “sfondare”. Se io come Marchese Adorno vado negli Stati Uniti a febbraio, un’altra cantina ci va a marzo e un’altra ancora a maggio, ecco abbiamo buttato via in tre migliaia di euro per nulla. Avrebbe senso unirsi e andarci tutti insieme». Nelle vostre vendite di bottiglie quale percentuale vendete in Oltrepò? «Il 25% quindi un dato molto alto, il negozio aziendale è certamente una vetrina molto importante. C’è sempre più gente che vuole visitare le cantine e comperare il vino in cantina, magari dopo una degustazione, è un trend in crescita e a mio giudizio potrebbe fare da traino anche al turismo in Oltrepò. Un grosso potenziale a cui mancano però servizi e infrastrutture adeguate». di Vittoria Pacci
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«Mi aspettavo una svolta più decisa a favore della raccolta differenziata» Paola Mutti, rivanazzanese di adozione, si è traferita da Voghera 23 anni fa per amore, fa la traduttrice di professione, ma come tiene a precisare, le piace definirsi «solo una mamma che vive seguendo questo motto: non abbiamo ereditato questo mondo dai nostri genitori, ma l’abbiamo preso in prestito dai nostri figli». Parte attiva e “combattiva”, sin dalla prima ora (dicembre 2014) di tutte le attività e riunioni del Comitato “Rispettiamo e valorizziamo il territorio” che si è strenuamente opposto alla realizzazione dell’inceneritore di pneumatici di Retorbido. Il Comitato è ancora attivo e vigile in quanto ad oggi il TAR Lombardia non si è ancora espresso sul ricorso presentato da Italiana Energetica Tire. Mutti lei fa parte del Comitato “No inceneritore” che ha dato un esempio al territorio di come le persone riescano a compiere imprese titaniche se unite da un unico obbiettivo. Le immagini di quella folla di persone formata da adulti e bambini è difficile da dimenticare… Il Comitato nato per dire no a questo pro-
getto ha “finito di esistere” oppure continua le sue battaglie? «Il Comitato era preesistente alla battaglia contro la “pirolisi”, prima che ne facessi parte, nel 2010 si era opposto con successo alla realizzazione di una discarica nel territorio di Codevilla. Le attività del comitato sono proseguite tanto che l’anno scorso, a sostegno dell’amministrazione comunale di Torrazza Coste, abbiamo scongiurato l’ampliamento di una cava di argilla che avrebbe snaturato le nostre colline. Attualmente il comitato, facendo tesoro dell’esperienza maturata contro l’inceneritore si sta dedicando ad una attività informativa delle buone pratiche connesse alla raccolta differenziata, ovvero riduzione dei rifiuti, riutilizzo, riciclo e compostaggio domestico. Tutte metodiche che consentono di sottrarre rifiuti da inceneritori e discariche». È stata l’esperienza del Comitato che ha accresciuto in lei una certa sensibilità all’ambiente oppure esisteva già in lei e nel suo stile di vita un’attenzione alle problematiche ambientali?
«Da sempre ho cercato di rispettare l’ambiente e la natura, questi valori si sono accentuati ancor di più dopo la nascita di mio figlio, sarà l’istinto materno, ma da quel giorno il mio impegno come quello di tutte le “mamme del Comitato” come ci piace definirci è quello di impegnarci per lasciare loro un ambiente migliore di quello che abbiamo trovato». Lei si definisce un’ecologista, un’ambientalista o semplicemente una persona di buon senso? «Ecologista e ambientalista troppo spesso assumono accezioni negative nell’immaginario collettivo, mi piace definirmi come un’attivista sensibile alle tematiche ambientali attenta a valori che tutte le persone di buon senso dovrebbero rispettare». Dai post della sua pagina facebook capiamo che dal suo punto di vista a Rivanazzano Terme esiste un problema rifiuti. Cosa non funziona? «Premetto che il “problema rifiuti” come dalla domanda da lei posta non riguarda solo Rivanazzano Terme, ma tutti quei comuni che oggi non sono allineati con le
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percentuali di raccolta differenziata (65%) che la normativa europea e nazionale ci impongono di raggiungere entro il 2020. Ricordo che la normativa regionale prevede una percentuale ancora più alta pari al 67% sempre entro il 2020. Sono tanti i comuni dell’Oltrepò Pavese, ma anche Italiani, che stanno sottovalutando questa scadenza. Auspico che nel prossimo futuro anche a Rivanazzano vengano adottate delle soluzioni che, nel rispetto delle leggi, consentano di ridurre i quantitativi di rifiuti urbani che, purtroppo, vengono ancora destinati all’incenerimento. In provincia di Pavia abbiamo due inceneritori a Parona ed a Corteolona, i nostri rifiuti vengono bruciati al Silla 2 di Rho (MI) e mi si stringe il cuore a pensare alle famiglie, e soprattutto ai bambini, residenti nell’area di ricaduta dei fumi e delle polveri sottili di quell’inceneritore, senza tenere conto che ogni 3 tonnellate di rifiuti avviate all’incenerimento si ricava 1 tonnellata di ceneri che devono essere avviate alle discariche di rifiuti pericolosi. Tutte le volte che sento parlare di “termovalorizzatori” mi chiedo se chi usa
RIVANAZZANO TERME questo termine sia a conoscenza di cosa è realmente un inceneritore». Il suo auspicio in questo anno di amministrazione Poggi era di non vedere più i cassonetti per le vie paese? Delusa? «Non entro nel merito delle scelte politiche che l’amministrazione deve concordare con l’azienda che si occupa della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani. In campagna elettorale avevo avuto modo di parlare con alcuni candidati e mi aspettavo una svolta più decisa a favore della raccolta differenziata. Speravo che almeno per la carta e la plastica si optasse per il porta porta eliminando i cassonetti bianchi e gialli, magari iniziando anche con la differenziazione della frazione umida che da sola vale circa il 30% di quanto oggi conferiamo nei cassonetti grigi dell’indifferenziata». Tutta “colpa” dell’amministrazione locale o anche i rivanazzanesi “ci mettono del loro”, intendo dire se esiste uno scarso senso civico oppure è la conseguenza di un sistema che non funziona? «Non vi è alcuna colpa, forse un’inerzia da ripartire equamente tra amministrazione e rivanazzanesi, le buone pratiche devono coinvolgere sempre di più i cittadini e le comunità attraverso un’attività informativa che deve partire dall’amministrazione e che porti conoscenze e stimoli le coscienze ad una più attenta gestione dei rifiuti che ciascuno di noi produce. è troppo facile dire che i rifiuti sono un problema: se realizziamo che siamo noi che produciamo i rifiuti, possiamo agevolmente capire che siamo noi parte della soluzione». Cosa si dovrebbe fare secondo lei e cosa potrebbe suggerire? «Ho partecipato recentemente ad un corso di formazione tenutosi presso il Centro Ricerche Rifiuti Zero di Capannori in Toscana, e lo scorso anno ero andata ad un convegno internazionale organizzato da Zero Waste Europe a Campi Bisenzio. Dalle esperienze di 271 comuni italiani che hanno adottato la delibera rifiuti zero, che rappresentano quasi 6 milioni di italiani, e 400 città e comuni europei che parimenti hanno sposato la strategia rifiuti zero appare chiaro che bisogna partire con una capillare attività di informazione e formazione rivolta alle comunità per renderle partecipi del “problema rifiuti” perché la differenza, e quindi la differenziata, la fanno i cittadini ben informati allo scopo di separare le varie frazioni contenute nei rifiuti, vale a dire, materiali cartacei, plastiche, vetro, metalli e frazione organica». Quali strategie si potrebbero applicare anche a Rivanazzano Terme o ad altri comuni oltrepadani? «La cosa più importante che bisogna fare è evitare la commistione tra i vari materiali che si intende avviare alla raccolta differenziat. è importantissimo tenere separata la frazione organica, ovvero gli scarti di origine vegetale dei nostri cibi che potrebbero essere agevolmente destinati al compostaggio perché ricchi di sostanze nutritive da restituire ai suoli per fissare il carbonio al terreno. Se teniamo separate la varie frazioni e facciamo una raccolta differenziata di qualità potremo avviare a riciclo altissime percentuali di rifiuti innescando quel percorso virtuoso conosciuto
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Paola Mutti come “economia circolare”». Erano presenti anche gli amministratori locali, assessori alla partita, sindaci oltrepadani, al corso? «All’incontro di Campi Bisenzio erano presenti il Sindaco di Codevilla Roberto Pastormerlo insieme al Consigliere Comunale Marco Dapiaggi che è anche il coordinatore e portavoce del Comitato». “Il vento sta cambiando. Sempre più persone capiscono che dobbiamo salvare la nostra terra dall’inquinamento riducendo i rifiuti e riciclando. Non c’è altro modo. Faremo la differenza e la differenziata”. Questo suo post lascia presagire che si batterà e vi batterete anche con manifestazioni e sensibilizzazione della gente sul tema? «Certo, il comitato sta studiando e si sta impegnando in questa nuova importante partita che deve riguardare tutti e nessuno deve sentirsi estraneo. Abbiamo recentemente organizzato all’auditorium della Piscina di Voghera una serata in cui sono intervenut i massimi esponenti di Rifiuti Zero». Cosa ne pensa del sistema che Voghera ha in mente di adottare e nello specifico dei cassonetti – bancomat? Potrebbe essere una scelta anche per Rivanazzano Terme? «I cassonetti dotati di calotta sono uno dei sistemi per incrementare la raccolta differenziata, non entro nel merito delle scelte tecniche operate da ASM Voghera e dall’Amministrazione comunale del capoluogo oltrepadano. Ricordo che il Commissario Prefettizio, Dott. Pomponio, in scadenza di mandato aveva optato per la raccolta con il metodo del porta a porta, che per vari motivi è stata abortita. Torno a ripetere che la raccolta differenziata non è una questione tecnologica connessa all’uso di costose “macchine magiche”, la raccolta e lo smaltimento dovrebbero essere impostate sulla capillare informazione di tutti i cittadini. Certo il percorso per arrivare a quei risultati è lungo, ma con l’impegno di tutti, amministratori e cittadini, ci si può riuscire». La tassa sui rifiuti che i rivanazzanesi pagano la trova congrua al servizio? «Il servizio viene svolto da ASM che sulla base dei costi sostenuti per la raccolta e lo smaltimento presenta un piano finanziario che deve essere valutato ed approvato dall’amministrazione comunale. Sicuramente ad una maggiore quantità di raccolta
differenziata destinata ai vari consorzi, Corepla per la plastica, Comieco per la carta, Coreve per il vetro, Ricrea per l’acciaio, Rilegno per il legno, si abbatterebbe il quantitativo di rifiuti da trasportare presso gli inceneritori con minori costi di smaltimento. Non sono in grado di dire se ciò comporterebbe una diminuzione della TARI, sicuramente i vantaggi sarebbero tangibili per l’ambiente ed il materiale recuperato verrebbe inviato a percorsi di riciclaggio, ovvero a quel circuito virtuoso conosciuto come “economia circolare”: quando dai rifiuti viene ricavata materia prima seconda da avviare al circuito economico produttivo senza dover sempre ricorrere a materie prime quali petrolio e altre risorse minerarie, per non parlare dell’abbattimento di alberi per ricavare cellulosa». Rivanazzano Terme ha diverse personalità molto attente all’ambiente, mi riferisco ad esempio a Emilio Limonta che ogni anno organizza la Giornata del Verde Pulito coinvolgendo anche i comuni limitrofi e le scuole. Al di là di queste importanti iniziative “private” l’amministrazione comunale le sembra sensibile e attenta ai temi dell’ambiente? «L’attenzione all’ambiente si presta a varie interpretazioni e iniziative, Emilio (Limonta) da anni nel mese di marzo organizza la pulizia dei fossi delle strade che circondano Rivanazzano, ma anche di Retorbido e di Codevilla. Anche quest’anno sono stati riempiti ben due scarrabili da 20-25 metri cubi di rifiuti che sono stati raccolti lungo i cigli delle strade. La maleducazione è la causa principale di questi comportamenti deprecabili, attribuibili anche ai turisti che nei fine settimana vengono sulle nostre belle colline. Ma è la stessa maleducazione di chi a Rivanazzano lascia i propri rifiuti a lato dei cassonetti, abbandona i rifiuti ingombranti nelle vie o nelle
«Il compito dell’amministrazione è stabilire delle regole e farle rispettare, il compito dei rivanazzanesi è fare comunità e capire che l’ambiente è patrimonio di tutti» carrarecce di campagna o sversa oli e altre sostanze costringendo l’amministrazione comunale a costosi interventi per ripristinare e bonificare. Tutto parte dai cittadini e dall’educazione civica che hanno ricevuto e che trasmettono ai loro figli. Il compito dell’amministrazione è stabilire delle regole e farle rispettare, il compito dei rivanazzanesi è fare comunità e capire che l’ambiente è patrimonio di tutti». Rivanazzano è a suo giudizio un paese pulito? «Sì, il parco Brugnatelli è tenuto in ordine, gli spazi comuni anche, penso che il decoro sia uno delle questioni costantemente at-
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tenzionate dall’amministrazione comunale». Quali sono le altre criticità che vorrebbe sottoporre all’attenzione dell’amministrazione comunale? «Ultimamente sento parlare di unione tra i Comuni di Rivanazzano Terme e di Godiasco Salice Terme: mi piacerebbe che i nostri due comuni, accomunati da una vocazione termale e turistica intraprendessero insieme un percorso che ci porti a valorizzare quanto di bello abbiamo, le nostre colline, i nostri prodotti agroalimentari, ma anche iniziative volte a tutelare l’ambiente ed in considerazione del fatto che i nuovi sindaci hanno ancora 4 anni davanti potrebbero impegnarsi tranquillamente in una campagna a favore della raccolta differenziata consapevoli che in questi anni tanta strada potrà essere percorsa e che alla prossima tornata elettorale potranno accreditarsi del risultato conseguito». Un’ultima domanda da “ficcanaso” lei nella sua quotidianità, come donna che lavora e come madre in che modo riesce a mettere in partica le idee in cui crede? «Certo, le mia buone pratiche partono già al momento dell’acquisto, infatti cerco sempre di privilegiare cibi e prodotti privi o che hanno limitati imballaggi al fine avere meno rifiuti da smaltire. Se proprio non posso farne a meno, verifico che gli imballaggi siano riciclabili preferendo la carta alla plastica. Credo nell’uso dei detergenti alla spina ed invece di comperare barattoli e flaconi riempio e riutilizzo più e più volte lo stesso recipiente. Utilizzo anche i “microorganismi “ per fare bucato in lavatrice, così riesco a fare lavaggi a bassissima temperatura consumando meno energia elettrica e meno acqua. Ho praticamente rinunciato ad acquistare acqua in bottiglia preferendo quella della asetta dell’acqua di Codevilla dove, di passaggio, riempio le mie bottiglie di vetro, tra l’altro è buona sia gasata sia naturale e costa solo 0,04 cent. contro i 18-20 centesi al litro delle acque in bottiglia di plastica. Non butto nel lavandino l’olio vegetale da cucina usato, che una volta fritto è molto inquinante per l’ambiente: 1 litro di olio esausto inquina 1 milione di litri d’acqua del mare! Una volta ottenute varie botiglie, le svuoto nel raccoglitore di olio esausto vegetale di cui si è dotato il comune di Codevilla. Dopo aver usato per alcuni anni la macchina elettrica del caffè, sono tornata alla classica vecchia moka: cosi facendo evito di buttare nell’indifferenziato le cialde di plastica e il caffè esausto. A casa mi sono dotata di una compostiera domestica, dove getto gli scarti di cibo e gli sfalci dell’erba del giardino, ma anche i fondi di caffè. Il terriccio che dopo alcuni mesi si viene a formare lo uso per invasare i fiori o per spanderlo nell’orto. Ovviamente differenzio sempre tutti i rifiuti a seconda della tipologia e conferisco nel cassonetto grigio solo quanto non può essere avviato a riciclo, ma si tratta sempre di un quantitativo minimo di rifiuto. Rifiuti Zero non è un’utopia si può fare, basta solo un po’ di buona volontà, e per quanto mi riguarda quello che faccio lo faccio per la collettività e perché nel futuro mio figlio possa vivere in un mondo migliore». di Vittoria Pacci
GODIASCO SALICE TERME
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«La cucina giapponese è tanto articolata
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quanto la cucina italiana, è intrisa di tradizione» Alessia Farci, di origine sarda, nasce come cantante e pianista. Passione per la musica trasmessale dai genitori che di mestiere facevano i ristoratori. Oggi la vediamo impegnata come Sushi Chef, in quel di Salice Terme. Non si risparmia le critiche nei confronti del “Sushi” a buon mercato, critiche che ultimamente a cascata si riversano su quelle attività che propongono la formula “all you can eat”. «Io non so tutto» ci dice con molta umiltà, ma aggiunge con franchezza che sa di sapere cosa le serve per fare bene il proprio lavoro. Una moda quella del Sushi ormai dilagante anche in Oltrepò, ma bisogna saperlo fare bene e Alessia, forte della sua esperienza, sa quel fa e ci tiene a precisare: «Sono una Sushi Master, titolo che ho conseguito dopo un lungo periodo di apprendistato. Ho accumulato esperienze in Europa fino ad acquisire capacità tecniche che mi permettono di costruire ogni piatto, dall’affilatura dei coltelli alla lavorazione del pesce, di insegnare e di avviare locali, costruirli affinché siano funzionali allo scopo. Questo locale è stato ricostruito in modo da avere tutti i reparti ben distinti, il locale adibito al lavaggio delle stoviglie, per motivi di spazio, si trova al piano inferiore perché è importante che sia collocato lontano alla cucina… il crudo non va d’accordo con il caldo! Da Maestra di Sushi mi occupo anche dell’insegnamento delle norme igienico – sanitarie e, chiaramente, della preparazione del Sushi in tutti i suoi aspetti». Perché ha scelto la cucina giapponese? «Perché era l’unica cosa che poteva sostituire quella grande passione per la musica, per me fare sushi è come suonare il mio pianoforte. Nel sushi c’è così tanta bellezza e arte che posso solo paragonarlo ad una sinfonia perfetta». La sua passione per la cucina giapponese l’ha spinta in Europa. È mai stata in Giappone? «Sono stata in Svizzera, Francia e Inghilterra. In Giappone no, ma è come se ci fossi stata: ho lavorato per sei anni in un vero ristorante giapponese con giapponesi che parlavano in giapponese, a Brescia. Sono stata una privilegiata perché i giapponesi non sono inclini a insegnare, soprattutto a donne nè tantomeno a persone “straniere”. Io ci sono riuscita perchè loro erano incuriositi dalla cucina italiana e io da figlia di uno chef italiano ho potuto insegnare loro che cos’è la cucina italiana. È stato un dare per avere». Conosce anche la cucina italiana. Quella Oltrepadana? «Fare sushi non significa che io non conosca la cucina italiana, anzi riesco a vederne il bello. Non conosco la tradizionale cucina oltrepadana». Cosa l’ha spinta a fermarsi in Oltrepò? «Sono approdata qua perché prediligo i locali che sono da costruire da zero: perché
sono ambiziosa ed è bello iniziare in un posto dove nessuno è mai stato prima, per evitare i confronti. Confronti che spesso e volentieri sono un surrogato di quello che è il Sushi. Mi è capitato di subentrare in locali che avevano già un menù, ma io sono una creativa». Che idea si è fatta dell’Oltrepo, in questo breve periodo? «Parlo di Salice Terme, è un posto tranquillo dove vivere, allo stesso tempo riesce ad attrarre molta gente grazie al “mix” di offerte, una sorpresa. Ha sicuramente delle potenzialità incredibili…». Nell’immaginario collettivo ci si aspetta di vedere un cuoco giapponese, per mangiare la vera cucina nipponica. Lei cosa si sente di dire per difendere la sua “veridicità”? «La stessa cosa che direbbe un pizzaiolo egiziano che vuole fare la pizza in italia: Non fa differenza, non è perché sei italiano la fai meglio. La differenza è quello che ci metti tu e l’esperienza». Mangiare al Giapponese “fa figo” perdoni il termine e se prima era una moda tutta milanese, negli ultimi anni anche nel nostro Oltrepò ha sempre più appeal. «La cultura delle persone non è formata, perché quelli che erano ristoranti cinesi si sono trasformati in ristoranti giapponesi. Questo senza rispettare la ben che minima norma igienica e pur di fare business e portare gente nei loro locali hanno fatto questa formula “all you can eat” a causa della quale abbiamo avuto un declino di quella che è la veridicità del Sushi. La gente è convinta che mangiare sushi sia Uramaki con salmone e philadelphia, ma non è questo. Io quelli li chiamo panini! Chi mangia sushi mangia i Nighiri». Mi spieghi bene, perché la percezione è che la maggior parte dei consumatori di sushi ignorino la varietà della cucina giapponese. «Semplicemente la cucina giapponese è tanto articolata quanto la cucina italiana. È intrisa di tradizione… Noi correliamo la cucina giapponese solo al sushi, invece ci sono tantissimi altri piatti come: il Donburi, il Takoyaki, il Nikuman, il panino giapponese, la pasticceria, nessuno la propone e nessuno si ricorda del Dorayaki che è il dolcetto che mangiava Doraemon. Il Tappanyaki è un metodo di cottura alla piastra, potrei continuare per ore… un’immensità di prodotti, tutto ciò che si muove in mare è buono, ad esempio alcuni tipi di medusa vengono trattate e consumate. Il prodotto che si trova maggiormente nei ristoranti da noi è il salmone che i giapponesi non si filano nemmeno e poi il salmone deve essere selvatico non da allevamento, il Norvegia è pieno di antibiotici, coloranti… allo stato di allevamento la carne dovrebbe essere bianca. Il nostro è un risto-
Alessia Farci, Sushi Master, approda a Salice Terme
rante giapponese con persone che studiano e sottolineo studiano la cucina giapponese fino a portare nel piatto i sapori veri. La forchetta è una cosa impura perché bisogna stabilire un contatto con il cibo, bucare il cibo è un atto vile, perché alle spalle c’è una preparazione accurata che dura ore, i piatti caldi che fa il mio sous chef Marco Garia ci vogliono giorni addirittura. C’è un’educazione così sbagliata per quanto riguarda questa cucina che è la mia sofferenza più grande e dopo quattordici anni non ci ho ancora fatto l’abitudine». Lei riesce a proporre questa varietà di prodotti? «Certo e con la clientela giusta si alza il tiro. Io non posso dire di sapere tutto perché non so tutto, ma so cosa mi serve per fare bene il mio lavoro e per fare un Sushi buono». Che rischi si corrono ad andare in ristoranti che non prestano le dovute attenzioni al cibo e all’igiene? «L’intossicazione alimentare nella maggior parte dei casi e danni a lungo termine». È possibile proporre un pranzo o una cena giapponese a soli 10 o 20 euro? «È possibile. Se il salmone non viene venduto in una settimana , va a finire nei cash&carry… non riuscendo a venderlo neanche al cash&carry va a finire in questi “all you can eat” che sono convenzionati… bisogna prestare attenzione a ciò che si mangia, i giapponesi e i sardi sono i più longevi». Similitudine calzante… «Io vengo da Sant’Antioco, so cos’è il pe-
sce fresco, c’è una marineria di 400 pescatori. Mio padre mi portava alle cinque della mattina in banchina a scegliere il pesce e non ne avevo voglia (ride), ma ho imparato da lui a distinguere una pescata dall’altra a distanza di poche ore. Tutto questo per dire, tornando alla domanda precedente, che bisogna far capire alla gente che se vuole un buon prodotto lo paga per il valore che ha». Come riesce a mantenere uno standard qualitativamente alto? Ad esempio dove compra il pesce? «Ho dei fornitori che mi seguono, non compro all’ingrosso, ma diciamo direttamente dalla piattaforma ad un prezzo accettabile e soprattutto pesce freschissimo. Scelgo accuratamente il riso, ci sono tante varietà di riso, noi abbiamo un riso con semenza giapponese ed ha un sapore dolciastro, tipico giapponese». Sempre parlando di standard qualitativo, all’inizio faceva riferimento a una netta differenziazione degli spazi e a norme ben precise. La cucina a vista ad esempio, perdoni il gioco di parole, non la vediamo spesso... «Cucina rigorosamente a vista, spazi dedicati ben distinti, igiene massima e qualità del cibo: sono pochi ingredienti, ma devono essere perfetti». Vino, non avete in carta vini oltrepadani perché? Non si abbinano bene? «Non mi occupo del vino, ma la cucina giapponese si abbina molto bene alle bollicine. Non so perché, la cosa mi sembra strana. Bisognerebbe aggiungerli alla carta». di Vittoria Pacci
CECIMA
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«Puntiamo a raggiungere il 50% con la raccolta differenziata» Il Comune di Cecima è un piccolo borgo dell’Oltrepò premontano che non si arrende nella sfida contro lo spopolamento. Anzi, punta a essere virtuoso sotto molti punti di vista: raccolta differenziata (obiettivo 50%) e rilancio del turismo attraverso la scuola di astronomia che sarà realizzata nella frazione di Serra del Monte, dove l’amministrazione guidata dal sindaco Andrea Milanesi intende rimettere a nuovo la struttura che ospitava la vecchia scuola elementare. Tutto questo senza aver presentato progetti per il bando Aree interne, anche se si è trattato di una scelta consapevole dettata da una strategia “di squadra”. Reduce dal successo di pubblico per il passaggio del Rally 4 Regioni, il primo cittadino vive un momento di positività. «Grazie al Rally 4 Regioni che anche quest’anno ha potuto transitare sul glorioso “circuito di Cecima”, abbiamo fatto il pieno di presenze, con molti appassionati di rally storici, in ricordo dei vecchi tempi, e molti giovani incuriositi dalle vecchie glorie. Personalmente sono un appassionato di questo sport, che seguo fin da bambino».
«Una scuola di astronomia in frazione Serra del Monte» Sindaco, i vostri obiettivi sono ambiziosi. Partiamo dalla Raccolta differenziata. Cecima ha una percentuale molto bassa, siamo al 25%. Insieme a Ponte Nizza avete annunciato di puntare al 50. Come crede che sia possibile arrivare a una cifra così alta? «Proprio qualche settimana fa i comuni di Ponte Nizza e Cecima hanno promosso il primo di una serie di incontri proprio in merito al tema della raccolta differenziata. Stiamo puntando al 50% è vero, ma non bisogna dimenticare che il nostro territorio è formato da piccole frazioni e località, su una superficie territoriale decisamente vasta. Per questo gli incontri serviranno a raccogliere le testimonianze necessarie per ottimizzare il servizio e quindi arrivare a migliorare la percentuale di raccolta differenziata. Un percorso graduale, ma anche alla portata dei nostri residenti, che devo dire dimostrano collaborazione e senso civico». Non avete presentato progetti per il bando Aree Interne, come mai? «Cecima non rientra nei comuni che si sono candidati per aderire a questo progetto per via di una scelta dettata dalla strate-
gia di candidatura, nella quale i comuni di Montalto Pavese e Cecima hanno fatto un passo in dietro a favore degli altri». Lo ritenete un progetto valido in grado di portare vero benessere oppure no? «Si parla di un progetto ambizioso ed economicamente importante. Una bella sfida e trovo che quanto candidato sia pertinente alle esigenze, anche a lungo termine, del nostro territorio. La convinzione è che se tutti si impegneranno a considerare gli interventi non solo localizzati nei singoli comuni ma sull’intero territorio del progetto, si potranno arrivare ad importanti risultati». Avete in programma diverse opere pubbliche, anche importanti per il futuro del paese. Può illustrarcele? «Il cantiere più importante tra quelli in programma è sicuramente quello per la riqualificazione della vecchia scuola elementare nella Frazione di Serra del Monte, che verrà destinata a scuola di astronomia grazie a un progetto finanziato da un bando di Fondazione Cariplo in collaborazione con l’osservatorio astronomico di Ca’ del Monte. La realizzazione di un parcheggio nel borgo medioevale del capoluogo sarà un altro intervento rilevante e per così dire più “evidente”. Sono poi in programma una serie di opere di urbanizzazione e messa in sicurezza dei pedoni nelle frazioni prospicienti la ex statale del Penice». Come vede il futuro dei piccoli Comuni? Li reputa una risorsa o un peso per lo Stato? «I piccoli comuni sono sicuramente una risorsa, sono capaci di gestire i servizi con organici risicati e senza trasferimenti adeguati alla mole di servizi di cui si occupano. Sono un esempio per le amministrazioni più grandi. Tuttavia i tagli ai trasferimenti ci hanno messo in ginocchio, limitando le amministrazioni a provvedere solo all’ordinario, senza poter affrontare nuove spese. In pratica abbiamo pagato i debiti che abbiamo trovato. Nonostante questo non abbiamo messo le mani in tasca ai nostri concittadini, impegnandoci a mantenere invariate le aliquote esistenti. Anzi, quest’anno abbiamo provato ad agevolare le attività commerciali del nostro territorio mediante uno sgravio sulla tari». Cosa ne pensa delle Fusioni? In caso fosse favorevole, per il suo comune con chi la vedrebbe fattibile? «Con Ponte Nizza abbiamo realizzato un’unione di comuni, “Terre dei Malaspina”, che sta funzionando bene e che ha originato un “ufficio unico” tra i due enti. Un segno di collaborazione forte e di responsabilità amministrativa, che si è potuto portare a pieni regimi solo grazie alla collaborazione dei nostri dipendenti. Non mi spaventano le fusioni, anzi, ho molta considerazione per gli amministratori che si mettono in gioco in quello che sembra
Andrea Milanesi, Sindaco di Cecima un po’ una nuova sfida e un po’ la via di sopravvivenza delle piccole comunità, alla luce dei tagli ai trasferimenti e di maggiori responsabilità e adempimenti. Con Ponte Nizza stiamo lavorando molto bene, se dovessi pensare ad un comune con cui Cecima si potesse fondere, non avrei dubbi su chi scegliere». Che futuro vede per Cecima? «Lo vedo sicuramente in sinergia con Ponte Nizza, nell’unione di Comuni Terre dei Malaspina. Inoltre ritengo che gli sforzi
fatti per valorizzare il nostro territorio e le peculiarità che lo caratterizzano stiano dando i primi frutti, quindi vedo la possibilità di diventare punto di riferimento per gli astrofili del nord-Italia, vedo uno sviluppo di agricoltura sostenibile e di ottimi prodotti biologici locali e, a chiudere il tutto, vedo il Borgo di Cecima vocarsi al turismo». di Christian Draghi
VARZI
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29milioni 427mila euro... e rotti Tanti soldi per tanti progetti... Effettivamente 29milioni 427mila euro e rotti... sono tanti soldi. Sono i soldi che saranno distribuiti più o meno a pioggia in 15 comuni: Bagnaria, Borgoratto Mormorolo, Brallo di Pregola, Fortunago, Menconico, Montesegale, Ponte Nizza, Rocca Susella, Romagnese, Ruino, Santa Margerita Staffora, Val di Nizza, Val-
Titolo: Infermiere di comunità per un territorio coeso e solidale, integrato nel sistema delle cure. Costo del progetto: 780mila euro Target dell’operazione: popolazione residente Risultati attesi: aumento/consolidamento/qualificazione dei servizi di cura rivolte a persone con limitazioni e potenziamento della rete infrastrutturale e dell’offerta di servizi sanitari e socio sanitari territoriali. Titolo: Un sistema Hub and Spoke in Alto Oltrepò grazie alla Telemedicina. Costo del progetto: 1 milione di euro Target dell’operazione: intervento di carattere preventivo, diagnostico e di monitoraggio coinvolge potenzialmente l’intera popolazione dell’area interna, con particolare attenzione: popolazione a rischio over 65. Risultati attesi: aumento/consolidamento/qualificazione dei servizi di cura rivolte a persone con limitazioni dell’autonomia e potenziamento della rete infrastrutturale e dell’offerta di servizi sanitari e socio sanitari territoriali. Titolo: Capacity Building in Alto Oltrepò Costo del progetto: 400mila euro Target dell’operazione: beneficiari diretti: dipendenti dei Comuni interessati Risultati attesi: rafforzamento del livello di erogazione ed analisi delle politiche relative allo sviluppo sociale ed economico nell’area e incremento delle capacità progettuali degli enti locali. Titolo: Mobility Manager per l’area interna. Target operazione: turisti e popolazione dell’Alto Oltrepò. Costo del progetto: 150mila euro Risultati attesi: miglioramento della mobilità da, per e entro le aree interne al fine di rendere più accessibili i servizi sul territorio. Titolo: Mobilità e Sostenibilità in Alto Oltrepò. Costo del progetto: 895.200,00 euro Risultati attesi: miglioramento della mobilità da, per e entro le aree interne al fine di rendere più accessibili i servizi sul territorio.
verde, Varzi e Zavattarello. Sono 15 dei 19 Comuni facenti parte della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese, i comuni esclusi sono: Godiasco, Cecima, Montalto Pavese e Borgo Priolo che non fanno parte del progetto riguardante le aree interne. In queste due pagine abbiamo voluto mettere i titoli di tutti i progetti e gli importi dei re-
Titolo: Innovare e monitoare l’Appennino Lombardo. Costo del progetto: 250mila euro Risultati attesi: nascita e consolidamento delle MPMI nell’ambito delle filiere territoriali; rafforzamento del livello di integrazione ed analisi delle politiche relative allo sviluppo sociale ed economico nell’area e incremento delle capacità progettuali degli enti locali. Titolo: Polo della conoscenza a Varzi Costo del progetto: 430mila euro Costituzione di un polo della conoscenza dell’area interna dell’Appenino Lombardo, attraverso l’accorpamento in un unico plesso delle scuole primarie e secondarie di primo grado nel Comune di Varzi ed avvio di attività extra scolastiche apertae alla partecipazione attiva della cittadinanza e degli innovatori del territorio. Risultati attesi: aumento della propensione dei giovani a permanere nei contesti formativi e miglioramento della sicurezza e della fruibilità degli ambienti scolastici. Titolo: IFTS In tecniche per la promozione di prodotti e servizi turistici con attenzione alle risorse, opportunità ed eventi del territorio. Costo progetto: 330mila euro Risultati attesi: rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio in accordo, con l’evocazioni comprensioriali. Titolo: IFTS in Tecniche di monitoraggio e gestione del territorio e dell’ambiente. Costo progetto: 220mila euro Risultati attesi: rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio, in accordo con le vocazioni comprensoriali. Titolo: IFTS in Tecniche di progettazione e realizzazione di processi artigianali e di trasformazione agroalimentare con produzioni tipiche del territorio e della tradizione enogastronomica. Costo progetto: 330mila euro Risultati attesi: rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio in accordo, con le vocazioni comprensioriali.
lativi costi. Mentre capire che è una pioggia di soldi è relativamente semplice perchè i numeri sono inequivocabili, capire cosa riguardano esattamente i vari progetti è impresa leggermente più ardua, essendo gli stessi scritti in un “burocratese stretto” con in alcuni casi licenze anglofone. Nei prossimi numeri del Periodico News ana-
Titolo: Summer School nelle aree interne in Alto Oltrepó Costo progetto: 200mila euro Risultati attesi: rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio, in accordo con le vocazioni comprensoriali. Titolo: Alternanza Scuola/Lavoro in Alto Oltrepò. Costo progetto: 200mila euro Risultati attesi: rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio, in accordo convocazioni comprensoriali. Titolo: Oltrepò Iilluminato. Costo progetto: 2.040.000 euro Target dell’operazione: popolazione dei Comuni di: Bagnaria; Borgoratto Mormorolo; Brallo di Pregola; Fortunago; Menconico; Montesegale; Rocca Susella; Romagnese; Ruino; Val di Nizza. Risultati attesi: contrasto emissioni climalteranti. Titolo: Efficientamento energetico Comune di Brallo di Pregola. Costo progetto: 80mila euro Risultati attesi: contrasto alle emissioni climalteranti. Titolo: Efficientamento energetico di un presidio aggregativo culturale presso Casa d’Agosto Comune di Valverde. Costo del progetto: 100mila euro Risultati attesi: contrasto alle emissioni climalteranti. Titolo: Efficientamento energetico plesso scolastico Ruino. Costo progetto: 290mila euro Risultati attesi: contrasto alle emissioni climalteranti Titolo: Efficientamento energetico Community hub sociale ed aggregativo sito in Rocca Susella e Menconico. Costo progetto: 220mila euro Risultati attesi: contrasto alle emissioni climalteranti.
lizzeremo e cercheremo di spiegare traducendo i progetti dal burocratese in cui sono scritti, gli stessi ad uno ad uno. Per ora lasciamo ai lettori la facoltà di giudicare l’utilità di ogni progetto per i comuni interessati della Comunità Montana. Titolo: Community hub Santa Margherita Staffora. Costo progetto: 130mila euro Risultati attesi: contrasto alle emissioni climalteranti. Titolo: Riscoprendo l’Appennino Lombardo - vie storiche e Greenway dell’Alto Oltrepò. Costo progetto: 1.269.649 euro Descrizione: a) Rigenerazione dell’area dell’ex stazione ferroviaria di Ponte Nizza, il costo complessivo previsto è 550mila euro di cui 50mila finanziati dal comune di Ponte Nizza. b) Lungo la GreenWay, valorizzazione del punto di partenza della via del Sale dal parco di Varzi, il costo è di 20mila euro. - Lungo la via del Sale si prevede un intervento di rilevanza storica ed attrattiva, localizzato in Frazione Massinigo, la fornace Romana. Costo 99.674,00 euro. - Riqualificazione del centro visite, ubicato all’interno del giardino Botanico Alpino di Pietra Corva nel Comune di Romagnese. Costo interventi: 165.375,00 euro. - Area di sosta attrezzata per turisti sita nel Comune di Zavattarello. Costo 30mila euro. - Due attraversamenti di legno in corrispondenza di un corso d’acqua collocarsi lungo la via, in Località Casa Marchese. Costo 20mila euro. - Interventi su alcuni brevi tratti del sentiero in ambito extraurbano. Gli interventi insisteranno su tratti afferenti i Comuni di Romagnese (8.000 €uro) e Zavattarello (8.000 euro). - Lungo la via del Sale i primi 3 Km: c) Scortico di pietraia (20.000 euro) d) Regolazione della pendenza attraverso la realizzazione di alcuni tornanti (30.000 euro) Per promuovere il cicloturismo rurale è prevista la realizzazione di 4 ciclostazioni a Brallo di Pregola, Varzi, Ponte Nizza e Valverde (costo circa 175.800 €, 44.000 per bike station) e di colonnine di rimessaggio bike da posizionare 2 per ogni comune (Romagnese, Menconico, Santa Margherita Staffora, Zavattarello, Ruino, Val di Nizza) 1 al centro del paese e 1 sul tracciato (12.800 €). Si prevede acquisto di circa 30 trail e-bike (95.000 €). Risultati attesi: riposizionamento competitivo delle destinazioni turistiche e miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta e fruizione del patrimonio culturale dell’Oltrepó.
VARZI Titolo: Tesori medioevali dell’Alto Oltrepò. Costo progetto: 1.475.000euro Descrizione dell’intervento: - valorizzazione e centralizzazione del Castello Dal Verme (Zavattarello) e del parco circostante. Costo (485.000,00 € di cui 300.000 interventi di risanamento e riqualificazione funzionale e 185.000 di acquisizione di beni servizi collegata all’offerta del Castello). - riqualificazione di accessibilità alla Rocca del Castello di Verde (Valverde). Costi di messa in sicurezza e risanamento (165.000 euro) e nei costi per la creazione di un percorso museo a cielo aperto di animazione temporanea del parco circostante (30.000 euro). - riqualificazione e un nuovo allestimento della Casa-forte Malaspina (Fortunago). Costo dell’intervento è di 150mila euro composto da 120mila euro per la rigenerazione a fini turistici e risanamento conservativo dell’immobile e dell’area fortificata e 30.000 € per l’attrezzatura necessaria alla realizzazione di una mostra permanente fila tecnica e la strutturazione di spazi per la fruizione di collezione temporanee. - riqualificazione edificio torrione “Fieschi Doria” di Bagnaria. L’intervento di messa in sicurezza del torrione, della riqualificazione, per la sua sosta, dello spazio di pertinenza della costruzione di supporti adeguati per l’accessibilità fisica e fruizione dei contenuti inerenti al sistema di difesa dei Malaspina è di 170mila euro (140.000 risanamento conservativo, 30.000 fruizione contenuti e riqualificazione area di pertinenza e realizzazione di un pannello 3D sul sistema di difesa malaspiniano. - realizzazione di un archivio museo storico presso la struttura denominata “Casone” a Varzi ristrutturando una struttura storica in stato di abbandono e rivitalizzandola attraverso la realizzazione di uno spazio museale e creazione di un archivio digitale con materiali in parte a disposizione e in parte da reperire, sia in loco che mediante ricerche presso le famiglie storiche del luogo, enti esterni quali Università di Pavia, Diocesi e archivi. (Costo per la riqualificazione del Casone 300.000 €, costo per archivio digitale 175.000 €) Risultati attesi: miglioramento delle condizioni delle standard di offerta e fruizione del patrimonio culturale dell’Oltrepò.
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Titolo: piano di sviluppo di promozione del territorio dell’Appennino Lombardo. Costo progetto: 1.027.576 euro Risultati attesi: miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta e fruizione patrimonio culturale dell’Oltrepò Titolo: adozione dei principi psicopedagogici e di pratiche metodologiche montessoriane sezioni della scuola primaria dell’infanzia IC Varzi “P. Ferrari” nelle sedi di Varzi e Zavattarello. Costo progetto: 100mila euro Risultati attesi: ampliamento dell’offerta formativa con rafforzamento dell’interazione tra scuola e territorio, in accordo con le vocazioni comprensoriali. Titolo: L’ Alto Oltrepo: comunità ospitante Costo progetto: 921.935,00 euro Descrizione dell’intervento: 1) Comune di Borgoratto Mormorolo: recupero di mobili e un’area da dedicare all’attività esperienziali gli ospiti della Comunità Ospitante. La localizzazione è strategica per la Valle Coppa in quanto è facilmente raggiungibile da Casteggio con la SP 203. Nell’aria sono presenti i principali servizio (municipio, posta, ambulatorio medico, bar ristorante) Costo 261mila euro 2) Montesegale: creazione Casa dell’Ospite. Iintervento di manutenzione straordinaria (fraz. Sanguignano). Costo complessivo 341.160 di cui euro 44.160 a carico del Comune di Montesegale. 3) Val di Nizza: recupero della ex scuola comunale di Sant’Albano con possibilità di poter ospitare otto persone. Costo 199.775 euro 4) Fortunago: riqualificazione riqualificazione della ex scuola di Costa Cavalieri, l’intervento consente di realizzare una struttura in grado di ospitare cinque persone. Costo 120mila euro 5) Comune di Bagnaria, località Spizziro, lungo la GreenWay si prevede di ristrutturare un casello dell’ex ferrovia Voghera Varzi per creare circa sei posti letto. Costo 100mila euro. Risultati attesi: miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta in funzione del patrimonio culturale dell’Oltrepó.
Titolo: coordinamento, monitoraggio e gestione dei progetti. Costo progetto: 150mila euro Risultati attesi: miglioramento delle condizioni e degli standard offerta e fruizione del patrimonio culturale dell’Oltrepó. Titolo: Formazione continua in alto Oltrepó L’obiettivo di questointervento è quello di elevare il livello di consapevolezza nelle risorse proprie della comunità, abilitando le realtà locali a gestirle in modo appropriato, colmando quindi il gap tra offerta formativa ed esigenze di sviluppo del territorio con il prevedibile risultato di un aumento delle opportunità occupazionali. Dotazione: 740mila euro Titolo: Dote unica lavoro Alto Oltrepò L’intervento intende rispondere alle esigenze delle persone nelle diverse fasi della propria vita professionale con un’offerta integrata e personalizzata di servizi al lavoro ed alla formazione attreaverso la dote unica al lavoro. Dotazione: 750mila euro
Titolo: Sostegno della competitività e dell’innovazione delle imprese nelle destinazioni turistiche nell’area interna Appennino Lombardo-Alto Oltrepò Pavese. L’obbiettivo dell’intervento sarà quello di migliorare gli standard dell’accoglienza, finanziando investimenti nelle strutture ricettive, volti ad accrescerne la fruibiulità, la sostenibilità ambientale e la dotazione di allestimenti e servizi anche tecnologici a disposizione dei turisti. Dotazione: 1.350.000euro Titolo: Inclusione disabili in Oltrepò L’obbiettivo generale è implementare i disabibili, giovani ed adulti, le competenze e le attività finalizzate all’inclusione sociale Dotazione: 144mila euro Titolo: aiuti per investire in macchinmari, impiantie beni intangibili, accompagnamento e processi di riorganizzazione e ristrutturazione aziendale. Supportare i processi di organizzazione e riorganizzazione delle resilienti imprese che operano nell’area migliorandone la specializzazione Dotazione: 300mila euro
Titolo: Interventi per lo sviluppo del sistema agro-silvo-pastorale dell’Appenino Lombardo ai fini del rilancio ed dell’innovazione multifunzionale delle attività agricole tradizionali. Garantire in coerenza con il Piano di Sviluppo Rurale e con i contenuti della strategia dell’Appennino Lombardo, lo sviluppo e l’innovazione del settore agro-silvo-pastorale. Dotazione: 11.324.000 euro
Titolo: Una comunità coesa e solidale in Alto Oltrepò Favorire il più a lungo possibile un’idonea permanenza della persona anziana, fragile e/o della persona non autosufficiente presso il proprio domicilio. Dotazione: 480mila euro
Titolo: Crescere insieme in Alto Oltrepò Migliorare la gestione dei tempi di vita e del lavoro delle giovani famiglie nell’area progetto attraverso il potenziamento dell’offerta dei servizi di conciliazione vita-lavoro che permettono contestualmente l’accesso ai servizi socio educativi rivolti ai minori. Dotazione: 250mila euro
Titolo: Innovare, sperimentare in Alto Oltrepò Supportare in sintonia con la S3 regionale i processi di sviluppo, innovazioone e crescita della nuova imprenditorialità nei principali settori produttivi presenti in Alto Oltrepò: agroalimentare, artigianato, manifattura creativa 4.0, liberi professionisti 2.0. Dotazione: 1.1000.000 euro di Antonio La Trippa
BRALLO DI PREGOLA
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Il consigliere Maruffi attacca: «Gara di enduro, permesso non accordato per ripicca» «L’amministrazione del Brallo, per una mera ripicca del sindaco nei nostri confronti, non ha concesso il passaggio di una gara di enduro sul suolo comunale, rischiando così di ledere gli interessi di albergatori, ristoratori e, in generale, di tutti gli operatori che dall’indotto di un simile evento avrebbero potuto ricavare benefici». A partire all’attacco è il consigliere di minoranza Andrea Maruffi, che oltre a sedere tra i banchi dell’opposizione è anche socio del Motoclub di Pavia e organizzatore della gara di enduro oggetto della contesa, svoltasi sul territorio di Casanova Staffora. La polemica, che lo ha visto contrapporsi duramente al sindaco Christos Chlapanidas, è nata sui social, dove Maruffi ha dato il la al suo sfogo. «Noi come Motoclub è da lungo tempo collaboriamo con il comune del Brallo organizzando una gara ogni due anni. Nell’arco degli ultimi 4 anni, nel territorio del comune del Brallo, abbiamo organizzato 2 gare di Enduro ,portando nel comune almeno mille persone a gara. Queste persone hanno movimentato il turismo di alberghi e ristoranti e le strade che abbiamo usato poi sono state regolarmente ripristinate fermo restando che per ogni gara si lascia una cauzione al Comune dell’ordine di 3000 euro». Per alcuni queste gare sembrerebbero essere fonte di fastidio causato da polvere, rumore e confusione. «Per altri, tuttavia, sono fonte di introiti e non serve essere dei geni per capirlo» spiega Maruffi. Quest’anno tuttavia la gara non è stata organizzata a Brallo. Il motivo? «Per legge, i terreni usati per le gare di enduro vanno lasciati riposare almeno 2 anni. Però per passare anche dal Brallo volevamo deviare per una strada lunga meno di un chilometro così da portare comunque un po’ di gente anche nel comune stesso. Il sindaco però ci ha negato il permesso, poiché non si è sentito coinvolto dall’iniziativa e asserendo che il comune non ci guadagnava niente. Siamo rimasti basiti, dato che ormai la collaborazione con il comune era data per assodata. Ho cercato di porre rimedio – continua Maruffi – in ogni modo, ho anche chiesto scusa in tutte le maniere, ma nessuna collaborazione da parte del comune. Il sindaco ci ha detto che avrebbe accordato il permesso se la premiazione la avessimo fatta al Brallo. Si capisce che questo ovviamente non era possibile dato che la gara è organizzata dal comune di santa Margherita Staffora». La gara si è svolta domenica, com’è andata? «Fortunatamente molta gente è venuta a Brallo lo stesso, anche se non certo grazie alla decisione del sindaco che a voler vedere muoveva in direzione contraria». Maruffi auspica poi maggiore collaborazione tra maggioranza e opposizione:«Noi
Andrea Maruffi, consigliere di minoranza e socio del Motoclub di Pavia
piccoli comuni abbiamo bisogno di tutto, di ogni cosa che porti anche una sola persona in più dalle nostre parti e non di ripicche e bambinate. L’obbiettivo deve essere migliorate la gestione del comune e delle sue risorse». Il consigliere di minoranza vede invece un’amministrazione che si limita al “compitino” senza pensare a programmare un futuro a lungo termine. Secondo Maruffi le gare di enduro rappresentano un buon viatico per favorire l’affluenza di pubblico da fuori. «Noi crediamo che il nostro territorio si presti a miriadi di iniziative abbiamo sentieri per escursionisti ,sentieri per le biciclette e mulattiere per le moto da enduro e queste ultime vanno sicuramente regolarizzate e sfruttate meglio». L’attacco si sposta poi su altri fronti, criticando la gestione del Comune in occasione della Fiera dell’Ascensione di Voghera:«Asm aveva mandato una mail ad ogni Comune per chiedere se volessero uno stand in occasione della Sensia. Brallo non ha neppure risposto e la Pro Loco ha poi acquistato uno stand a pagamento, nel quale, a farsi pubblicità, erano presenti Adara, l’associazione che gestisce l’osservatorio astronomico e di cui fa parte il vice sindaco di Brallo, insieme all’Hotel Prodongo e il ristoratore Pier Carlo Alpeggiani che hanno fatto in tempo solamente a portare alcune brossure in quanto avvisati all’ultimo. Gli altri commer-
cianti però chi sono? Figli di nessuno?» attacca Maruffi, che ancora a proposito di Astrobrallo, il parco astronomico situato a Colleri, dice:«Non solo è stato concesso ad Adara (di cui fa parte il vicesindaco) con un contratto gratuito, ma il Comune si è anche impegnato a pagare le bollette. Il che rappresenta una vera assurdità, dato che in questo modo è il pubblico a pagare il privato». Il consigliere di minoranza poi è critico anche sulla gestione dei progetti che riguardano lo sviluppo turistico del Comune: Che ne è del parco del Lesima, di cui non si è più saputo nulla? Per non parlare dei progetti per le Aree Interne, sui quali nessuno ci ha detto nulla». Secondo voi su cosa bisognerebbe puntare per risollevare il paese? «Pensiamo che innanzitutto creando un buon sito internet e invitando i proprietari di immobili da affittare ad un prezzo calmierato si possa piano piano far ripartire almeno un turismo di fine settimana. Abbiamo voglia e abbiamo molte idee e siamo convinti che si possa ripartire. La attuale amministrazione invece continua a vivacchiare sul suo pugno di voti in più». di Christian Draghi
VAL DI NIZZA
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Barbara e Giacomo salutano Milano e abbracciano la natura Barbara e Giacomo mi accolgono in tenuta da lavoro: lui era nel loro meraviglioso orto, così bello da sembrare un giardino; lei in cucina, avvolta da un profumo di pane appena sformato così invitante da far spalancare le porte al peccato della golosità che mi perseguita dalla nascita. Ho conosciuto Barbara cinque anni fa, in occasione di un lavoro che abbiamo condiviso insieme: un tour de force tutto “milanese”, di quelli che ti fanno lavorare come macchine e che di notte ti tolgono il sonno per lo stress da consegna. Un lavoro che ci piaceva fare e che ci piace ancora oggi, che ti fa correre a velocità massima con l’adrenalina altissima, ma che spesso, purtroppo, ti rende così dipendente da non riuscir più godere di quello che c’è oltre ad una bellissima copertina o un progetto riuscito perfettamente. Senti di colpo il bisogno di staccare e, se ci riesci, la separazione è tale da crearti una vita completamente nuova. Barbara Branciforti, genovese di origine e milanese di adozione per motivi lavorativi, ha sempre curato mostre e allestimenti per diverse aziende come direttore artistico di un famoso studio di architettura milanese; Giacomo Nee, di Pavia, ha sempre collaborato con aziende di moda oltre al lancio di un progetto artistico che si basava sul disegno e la cristallizzazione dei sogni delle persone. Si sono conosciuti nel periodo in cui Barbara sentiva il bisogno di evadere dal mondo apparentemente perfetto della cultura del design meneghino e Giacomo da quello della moda. Si sono rimboccati le maniche e hanno formato la loro unione, il duo artistico: Buco Bianco. Uno spazio espositivo di opere d’arte, oggetti di design in tirature limitate e, per ultimo, linee di abbigliamento. Perché il nome Buco Bianco? «Il nostro spazio espositivo a Milano è piccolo, tutto bianco e ci piaceva il fatto che si contrapponesse all’oscurità di ciò che è il Buco Nero, una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale così intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce. Buco Bianco poi si è riempito di colori: le nostre opere d’arte». Poi la moda. Perché? «Abbiamo deciso dopo pochi mesi di cavalcare l’utopia di vestire le persone con le opere d’arte. Da utopia è diventata realtà anche se ridimensionata a delle collaborazioni mirate più che seguire una vera e propria linea di abbigliamento con le diverse stagionalità e difficoltà del caso. Da un lato ha permesso la continuità senza tempo delle nostre collezioni: sono atemporali ed evergreen e proposte in negozi di nicchia e di ricerca». Barbara indossa un orecchino meraviglioso. è una tua creazione vero? «Sì. Opera mia mia. Il primo Buco Bianco.
Giacomo Nee e Barbara Branciforti, è il mio profilo realizzato con una stampante 3D e fatto poi in fusione in bronzo. Le stampanti 3D all’epoca erano usate principalmente per fare modellini per architettura o design: l’utilizzo che ne abbiamo fatto noi è stato quello, invece, di aiutarci a realizzare opere d’arte grandi o particolari in numeri unici o in edizioni limitate. Oltre agli orecchini avevo realizzato le mani fioccate, che potevano essere applicate come spille agli indumenti con una semplice calamita interna nascosta». Come siete capitati in Val di Nizza. Conoscevate già questi posti? «Giacomo conosceva già queste zone in quanto vicine a Pavia. Siamo venuti un giorno a mangiare in un agriturismo in questa vallata ed è stato uno dei pochi giorni in cui non abbiamo avuto una discussione. In quel momento abbiamo capito che questo posto aveva una positività particolare per noi! - (ridono) - A parte questo episodio e tornando ai reali motivi, ciò che ci ha portato qui sono stati principalmente la strategia della vicinanza a Milano e la comodità di collegamento oltre al fatto che il luogo ci trasmette particolare vita». Vita? Sono felice di sentire queste parole. Molti “locali” si lamentano della totale mancanza di vitalità in questi posti, dello sfollamento verso centri abitativi più ampi, dell’assenza di uno sfruttamento di questi luoghi a livello turistico. Cosa ha questa zona che gli altri posti non hanno? Barbara: «A noi non è cambiato nulla. A Milano impiegavo venti minuti per andare a fare la spesa anche se il supermercato era vicino a causa del traffico e qui ci metto comunque venti minuti perché devo
percorrere della strada. Posso fare la spesa con calma e non sentirmi il fiato sul collo. Mi organizzo anche meglio. è cambiato il mio modo di acquistare alimenti. Non ho mai cucinato così tanto come da quando sono qui. Ho riscoperto piaceri che per me erano diventati solo “impegni”». Giacomo: «Questo è uno dei più bei posti collinari italiani. Però è come se ci fosse una carenza di autostima, come se le persone si vergognassero, come se non credessero in loro stessi e nelle cose che hanno. Questo posto ha una magia incredibile, trovi luoghi che se fossero altrove sarebbero frequentatissimi. Le persone locali magari non ci credono, mentre vi posso garantire che chi vive in grandi città come Milano non esiterebbe a fare un centinaio di chilometri per venire in queste zone. Ci sono diversi agriturismi e trattorie e sono sempre piene. Dove viviamo noi abbiamo trovato persone non native di questi luoghi, venute a vivere qui perché innamorate di questi posti e abbiamo creato con loro una comunità». Barbara: «Ci sono anche strutture ricettive in cui poter dormire, ma manca una rete articolata: è come se ci fosse una rete di singoli che agiscono nel loro ambito e basta». Quale luogo con valore storico vi è piaciuto di più in questa zona? Giacomo: «L’Eremo di sant’Alberto. Non riesco a dire il perché, così come per tutte le cose belle che mi hanno colpito ed appassionato nella vita. Quando entro in quel luogo sento una forza che in altri luoghi non sento. Il fatto di credere o no poco conta. Io credo nella virtualità delle cose, nelle energie che ti possono trasmettere. Se fosse per me andrei quasi ogni giorno. La
pace che manca nei luoghi storici altrove». Barbara: «Cà del Monte. Sembra di essere in paradiso. Ti sembra di osservare il mondo dall’alto. Fantastico». Che cosa è Viral Cooking, canale YouTube? «è un progetto nostro iniziato circa un mese fa a cui stiamo lavorando per portare la stessa creatività che abbiamo messo nelle nostre opere d’arte anche nel cibo. è una start up che ci porterà a fare cose proprio in queste zone: internet ti lancia, ma quello che noi vorremmo è lavorare con il contatto umano e farlo proprio aprendo le porte alle persone. Qui vedi meno persone, ma quelli che vedi ti sembrano un dono e cerchi di interagire in modo diverso, più profondo». Una sorta di scuola di cucina quindi? Barbara: «Ci piacerebbe fare anche degustazioni mirate, magari qui, dove lo spazio non manca. Sarebbe fantastico creare anche una collaborazione coi produttori locali. Non facciamo piatti tipici, non facciamo ricette classiche, non vogliamo fare ciò che fanno e sanno già fare in questa zona». Giacomo: «Se io dovessi mangiare dieci piatti saprei riconoscere bendato il piatto di Barbara perché sono unici». Che piatto sceglieresti fra i tuoi se dovesse offrirlo ai lettori? Barbara: «Tartellete con pasta frolla salata, pasta colorata e creme di verdure: la pasta viene colorata da me con i prodotti del nostro orto: carota viola, cavolo viola o barbabietole. Abbiamo un orto ricchissimo: insalate di ogni tipo, piselli, cavolo verza, cavolfiore, zucchine, pomodori, cetrioli, fragole, carote, melanzane, aglio, cipolle, patate, ma… da genovese c’è una cosa che qui non riesco a fare crescere: il basilico! Le persone locali, da qui a Varzi o Voghera, vi conoscono? Sanno delle vostre opere d’arte e del vostro “atelier”? Barbara: «A parte il vicinato, no». Giacomo: «Ci piacerebbe piuttosto intervenire sul territorio. Fare installazioni in contesti naturali, dei percorsi notturni. Lavorare a stretto contatto con la natura: in Trentino Alto Adige lo fanno da sempre. Bisognerebbe utilizzare l’arte per far conoscere la natura e viceversa, indipendentemente dai luoghi storici, come Castelli o Conventi, piuttosto che Mostre. Come spesso accade i “forestieri” apprezzano ciò che i locali danno per scontato e vedendo le cose da un altro punto di vista possono far (ri)nascere idee e progetti bellissimi». Durante questa intervista, Barbara e Giacomo mi ha offerto un aperitivo accompagnato da piatti fatti in casa: focacce, hummus di ceci, insalata russa e un genuino salame di Varzi: un valore aggiunto al piacere della loro compagnia. di Alessandra Zonca
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Teresio Bruni dalle sale del Grand Hotel di Salice Terme ad Amburgo
Crocetta, frazione di Zavattarello ha inaugurato la piccola Cappella in legno fatta costruire da Teresio Bruni
Teresio Bruni, classe 1949. Originario di Crocetta, una piccola frazione di Zavattarello, dal paesino oltrepadano si è spinto fino ad Amburgo, dove si è realizzato come imprenditore e ristoratore. Non è stato semplice, ma anni di gavetta e sacrifici lontano da casa lo hanno portato al successo. Un oltrepadano che non dimentica le proprie radici e infatti appena gli è possibile torna a Crocetta, una realtà diversa dalla grande città tedesca, ma a cui tiene e per la quale impiega tempo e
risorse. Si è soliti dire “è partito con la valigia di cartone e ha fatto una fortuna” per indicare chi con coraggio e zero risorse è partito dall’Italia per cercare oltreconfine una prospettiva di vita migliore. Cosa conteneva il suo bagaglio? «Nel mio bagaglio c’era poca roba, ma tanta voglia di farcela! Io credo che il destino abbia giocato una parte importante, non sai mai cosa ti riserva la vita. Sei giovane, innocente e anche un po’ incosciente
Teresio Bruni, ha studiato alla scuola alberghiera al Gran Hotel di Salice Terme
a quindici anni non sai dove sbattere la testa. Ti alzi al mattino e parti, senza pensare cosa succederà. Allora c’era un veterinario molto conosciuto in zona, il dottor Ridella, che era molto amico con mio papà e ricordo che gli diceva sempre “Manda via questo ragazzo”. I miei genitori non volevano assolutamente, ma è lui che ha insistito nel “cacciarmi via”». Lei è partito dalla piccola frazione di Crocetta, quando era solo un ragazzino, l’ultimo di quattro figli… «L’unico maschio, ho tre sorelle. Mia madre ha sofferto molto la lontananza, me lo ha confessato qualche anno fa mia sorella Carla. Per i miei genitori la Germania era lontanissima e la conoscevano solo per via della Guerra. Oggi il mondo è vicinissimo, ma allora …». La Germania è stata la sua prima scelta? «Sono partito nel ’65 e la prima tappa è stata la Svizzera. Allora non si poteva entrare in Germania da minorenne, mentre in Svizzera si poteva entrare solo con il permesso firmato dai genitori, il contratto di lavoro doveva essere firmato da loro. Compiuti i 18 anni mi sono spostato in Germania». I primi passi in ambito lavorativo, la famosa gavetta per intenderci, li ha mossi in sala o in cucina? «Io ho frequentato la scuola alberghiera a Salice Terme al Grand Hotel, bellissimo albergo ora chiuso purtroppo. Il secondo corso a Bellagio e poi la Svizzera: Saint Moritz, Locarno, di nuovo a Saint Moritz, Lugano, Cranz sur Sierre… Ho anche lavorato per tre anni sulle navi da crociera fino al ‘72, prima di aprire il mio primo
ristorante, esperienza interessantissima. Io nasco come cameriere non come cuoco, ma ho dovuto imparare! Quando sei il proprietario di un ristorante devi saper far tutto per far fronte alle emergenze». Quando ha deciso di mettersi in proprio? «Al ritorno dalla Germania insieme ad un mio amico, abbiamo aperto un ristorantino a Borgo Ticino. Dopo un anno circa, per divergenze lavorative, sono ritornato in Germania. La mia intenzione era quella di rimanere in Italia, vicino alla mia famiglia, ma mi è capitata l’occasione di questo bellissimo ristorante ad Amburgo. In questo caso credo che il destino abbia giocato un ruolo importante, questo ristorante era di una “scala” troppo grande per me, ma ho rischiato. È andata bene! Un po’ di incoscienza ci vuole, era un ristorante molto grande, il personale contava circa 30 persone, io non avevo una lira in tasca, ma è andata molto bene. Tanti attori, artisti, sportivi, politici sono passati di qui». La sua carriera non si è fermata qui… «è iniziata da qui con l’ Hosteria Martini poi ho aperto il Galatea, un ristorante - barca che ora ho subaffittato, poi “BruniLandia” un bistrot e poi un altro ristorantino che si chiamava il Cavallino, in onore della mitica Ferrari. Queste le mie attività ad Amburgo». Rigorosamente cucina italiana? «Assolutamente, cucina italiana». Lei è un imprenditore e ristoratore affermato, come giudica la ristorazione oltrepadana? Quali le criticità? Dal punto di vista di un esperto del settore che lavora all’estero. «Deludente. In Oltrepò, nello specifico,
ZAVATTARELLO c’è qualche ristorante che fa bene, ma sono sempre le solite cose. È giusto mantenere le tradizioni, ma è un sistema sbagliato. Non c’è un corretto rapporto qualità/ quantità e prezzo: in Germania dobbiamo importare i prodotti e quindi il prezzo dovrebbe essere molto superiore, invece il conto qui è eccessivo in proporzione». Il prodotto oltrepadano per eccellenza è il Salame di Varzi. È conosciuto ad Amburgo? «Assolutamente no, altri salumi “vicini di casa” come la coppa piacentina e la pancetta sono molto conosciuti e acquistabili anche in negozi specializzati in prodotti italiani. Il Salame di Varzi paga lo scotto di un periodo in cui non è stato spinto, commercialmente parlando, anche se ultimamente ho la percezione che si stia tentando di rilanciarlo». Vino gioia e dolore del nostro territorio. Vini oltrepadani in carta nei ristoranti di Amburgo? «Personalmente, essendo io dell’Oltrepo in carta nei miei ristoranti ho sempre messo vini oltrepadani, scelti da me accuratamente ed importati. Anni fa ad Amburgo lo spumante La Versa era molto conosciuto e apprezzato». L’Oltrepò è terra di bollicine anche se la tendenza è bere Prosecco. Anche ad Amburgo il Prosecco batte le nostre bollicine? «è un ottimo prodotto e sicuramente m,eglio pubblicizzato sia in Italia che all’estero. Ha sbaragliato la concorrenza». Lei nasce a Crocetta, frazione di Zavat-
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tarello, e lei a Crocetta ci torna ogni volta che può. Qui lei ha investito molto e non solo in termini di risorse, ma anche di tempo. Ha ristrutturato in modo appropriato e con gusto l’intera frazione creando scorci piacevoli e invogliando, in qualche modo, il viaggiatore occasionale a fermarsi. «Io sono molto attaccato al mio paesino, il luogo in cui sono nato. Noi a Crocetta abbiamo sempre avuto la una piccola Cappell, poi non so per quale motivo è andata distrutta. Si è sempre parlato di rifarla, ma si doveva andare sul terreno degli altri, avrei voluto ricostruirla sul mio terreno, ma non ho ottenuto il permesso perché il terreno non è edificabile. Allora mi è venuta l’idea di farla in legno, Gino dei Campi, così chiamato da noi amichevolmente in paese, mi ha dato un ceppo di castagno e l’ho utilizzato per la cappelletta. Un sei mesi dopo ho aggiunto il campanile con l’aiuto di amici che gratuitamente mi hanno dato una mano. La Cappellettas è stata inaugurata recentemente alla presenza degli abitanti di Crocetta e della vicina Perducco, altra frazione di Zavattarello. Altri migliorie da lei apportate? «Ho messo anche all’ingresso della mia vigna, di fronte alla Cappelletta, una “statua” riutilizzando un tronco enorme di castagno che ha per gambe le radici del tronco e gli ho aggiunto una testa che ho fatto scolpire, misura circa 5 o 6 metri». Il suo “lavoro” è apprezzato dalla gente del posto?
«Sono stato anche criticato soprattutto in merito alla sistemazione delle stradine di campagna che dal torrente Tidone portano al quella parte alta delle nostre colline che noi chiamiamo “Costa”, nonostante non abbia chiesto nulla a nessuno e mi sia fatto carico di tutte le spese. Comunque qui io mi sento a casa, appena ho un po’ di tempo libero torno a Crocetta». Perché secondo lei in molti Comuni dell’Oltrepò e negli oltrepadani stessi manca spesso la volontà di rendere più piacevole e appetibile il territorio anche con piccoli accorgimenti al paesaggio. Pare invece che la tendenza sia investire in grandi progetti che non sempre si adeguano al profilo del nostro territorio, in alcuni casi addirittura si parla di ecomostri… «C’è disordine in Oltrepò. Forse chi ci abita si è abituato e non ci fa più caso, non vedono... Io mi fermo spesso ad osservare il paesaggio e ci sono scorci meravigliosi, sarebbe sufficiente pulire. Mi è anche capitato girando di vedere queste costruzioni che deturpano e non c’entrano nulla. Bisognerebbe capire chi ha dato il consenso alla realizzazione di questi “pugni negli occhi». Tanti turisti tedeschi scelgono l’Italia come meta. Secondo lei l’Oltrepò potrebbe essere un punto d’arrivo o è terra di passaggio? «I tedeschi amano l’Italia, ci criticano appunto per il disordine e la sporcizia, ma l’amano. L’Oltrepò secondo me è più terra di passaggio, la Via del Sale, ad esempio,
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«L’Oltrepò è troppo poco pubblicizzato e in parte anche mal organizzato» è molto conosciuta anche in Germania. Ci dovrebbero essere, come in Liguria, più piste per cycling cross che piace molto al turista tedesco. L’Oltrepò è troppo poco pubblicizzato e in parte anche mal organizzato, poche strutture ricettive, parlavo prima del Grand Hotel di Salice e di tanti altri hotel che nel corso degli anni hanno chiuso. L’Oltrepò potrebbe fare molto di più». Lei ha tre figli e tutti e tre hanno studiato e lavorano in giro per L’Europa e per il mondo. Se fossero nati e vissuti in Oltrepò avrebbero avuto le medesime opportunità? «Hanno studiato tutti e tre in Inghilterra, due hanno deciso di fare un master alla Bocconi e uno ha fatto il master presso l’European School of London. Due sono impegnati nel business menagement e l’altro lavora per il beat coin. Viaggiano molto per lavoro. No. In Oltrepò, nei paesini, ma in Italia più in generale, si ha la tendenza a non lasciare andare i figli». di Vittoria Pacci
MONTALTO PAVESE
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«Noi giovani dobbiamo essere più innovativi e aperti alle collaborazioni» L’Italia con 53.475 imprese agricole condotte da under 35 è al vertice in Europa nel numero di giovani in agricoltura, con un aumento del 9% nel terzo trimestre 2017 secondo un’analisi dell’associazione Coldiretti in occasione dell’apertura della Fiera Agricola di Verona. La presenza degli under 35 ha di fatto rivoluzionato il lavoro in campagna dove il 70% delle imprese giovani opera in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale per l’inserimento di disabili, la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agri-benessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili. Abbiamo intervistato Pietro Tarantani, classe 1993, dell’Azienda Agricola “Tarantani Benito”, un giovane perito agrario che con i suoi due fratelli Jacopo, classe 1995, perito agrario ed Elia, classe 1996, perito agrario e laureando in Scienze Agrarie all’Università “Cattolica” di Piacenza, ha deciso di continuare l’attività paterna di allevamento e viticultura a Donega, una piccola frazione di Montalto Pavese. Tutti e tre avete seguito lo stesso percorso di studi all’Istituto Agrario “Gallini “ di Voghera e uno di voi si sta laureando in Scienze Agrarie, e insieme avete deciso di rimanere a lavorare nell’azienda di famiglia, come mai? «Da tre generazioni la nostra famiglia vive e lavora in questo territorio e noi, fin da bambini , siamo stati coinvolti nelle attività dell’azienda agricola, ci siamo appassionati e abbiamo deciso di fermarci a lavorare qui provando a dividerci un po’ i compiti per migliorare le nostre produzioni». Cosa produce principalmente la vostra azienda? «Data la posizione molto favorevole, la nostra azienda si occupa principalmente della produzione di uva che in parte vinifichiamo per il nostro agriturismo e per uso personale e in parte conferiamo alla Cantina di Broni. Abbiamo poi l’azienda cerealicola – foraggera e l’azienda zootecnica con l’allevamento della linea vacca-vitello di razza piemontese». Lei Pietro di che cosa si occupa? «Io ho sempre avuto la passione per gli animali e quindi sono quello che si occupa principalmente della stalla. Alleviamo in parte vitelli fino all’età di 6 mesi che poi vendiamo e in parte li ingrassiamo per l’utilizzo in agriturismo e per la vendita diretta di carne ai privati. è un lavoro molto impegnativo perché abbiamo circa una cinquantina di capi in stalla. La mia giornata inizia circa alle cinque e mezzo del mattino e va avanti fino a sera inoltrata. Il tipo di alimentazione del bestiame è fondamentale per ottenere carni di qualità, come vi organizzate? «L’alimentazione del nostro bestiame è
Pietro Tarantani, insieme ai fratelli Jacopo ed Elia, porta avanti l’attività paterna di allevatore, agricoltore e viticoltore costituita da foraggi e cereali come orzo e mais e crusca che produciamo noi e che sono certificati biologici. I nostri vitelli nascono in stalla e vengono svezzati da noi. Non compriamo animali provenienti dall’estero. Vivono in una stalla chiusa ma hanno un recinto esterno che, con il tempo buono, permette loro di stare all’aria aperta». Mi diceva che vendete la carne a km 0. Il cliente che viene da voi che pezzature trova? «Abbiamo il pacco famiglia composto da tutti i tagli di carne per il consumo domestico che può essere di 30-35 kg o 45-50 kg. I vari tagli di carne sono già divisi in pacchetti da noi ed il cliente deve solo surgelarli. Comprare direttamente da noi è conveniente e poi la carne è di ottima qualità , molto tenera e gustosa grazie al modo in cui alleviamo gli animali».
«Abbiamo comprato da poco questo nuovo vigneto proprio per cercare di arrivare a una produzione di qualità e puntare alla realizzazione di un prodotto che si distingua sul mercato ed essere trainante del territorio» Allevate anche maiali e producete salumi? «Compriamo maiali italiani pronti e li macelliamo in inverno per produrre salami che utilizziamo per i clienti dell’Agriturismo e per consumo personale». Il vostro Agriturismo si chiama “La Caxa Malcoti”, è stato inaugurato 8 anni fa. Da dove proviene questo nome?
«Il luogo dove si trova l’Agriturismo si chiama il Malcontento e, nel rustico che abbiamo ristrutturato per creare la struttura, abbiamo trovato una pietra scolpita con questa scritta che dovrebbe essere in spagnolo antico che significa “il posto mal comodo” un luogo bellissimo ma situato su di un pendio molto scosceso. Abbiamo solo una quarantina di posti, mia mamma si occupa della cucina e utilizza le carni, i salumi, le verdure e i vini che produciamo noi e devo dire che siamo molto contenti perché i clienti non ci mancano». Invece i suoi due fratelli come si collocano nell’azienda? «Jacopo si dedica con molta passione alla meccanica, è il trattorista di famiglia e ha circa un centinaio di ettari di terreno da gestire ed Elia, oltre a studiare con profitto all’Università, è più appassionato di viticultura e della produzione di vino. Abbiamo comprato da due anni 20 ettari di vigneto certificato biologico in zona F1 in località Pietra de Giorgi dove si produce Sangue di Giuda e Buttafuoco». Lei mi ha detto che vendete le uve alla cantina di Broni che negli ultimi tempi ha avuto un periodo molto disastrato per le note vicende giudiziarie, quali sono state per voi le conseguenze? «Le conseguenze sono state, secondo me soprattutto la perdita d’immagine del territorio perché alla fine ci hanno rimesso non solo i soci ma anche tutte le altre cantine di produzione vinicola in quanto facenti parte dell’Oltrepò. Un altro problema è poi la disgregazione del Consorzio con l’abbandono di diversi produttori, il risultato è che questo nostro Oltrepò Pavese non riesce a decollare in campo vinicolo». Secondo lei che cosa si potrebbe fare per risollevare le sorti di questo territorio? «Abbiamo appunto comprato da poco questo nuovo vigneto proprio per cercare di
arrivare a una produzione di qualità e puntare alla realizzazione di un prodotto che si distingua sul mercato ed essere trainante del territorio. Purtroppo però gli agricoltori di queste zone sono un po’ troppo individualisti e spesso e volentieri non si confrontano fra di loro. Quindi penso che noi giovani dobbiamo essere più innovativi e aperti alle collaborazioni». Qual è il problema principale che dovete affrontare in una azienda come la vostra? «Il problema più grosso è la burocrazia ed il confronto sempre più difficile con le istituzioni. Purtroppo lo Stato non ci viene in contro e quando riusciamo ad accedere ad alcuni contributi, dobbiamo aspettare alcuni anni per vederli versati e, se succede un’annata come quella dell’anno scorso con notevoli danni alle viti, dobbiamo cercare di arrangiarci con i nostri mezzi. Mio fratello Elia è diventato anche perito estimatore per un’assicurazione per i danni provocati dalla grandine e da calamità naturali e in questo modo riesce ad avere un’opportunità di lavoro in più in estate». Siete molto impegnati, a volte non riuscite neanche ad andare in vacanza ma avete anche molte soddisfazioni dal vostro lavoro. Ha mai avuto il desiderio di lasciare questo posto e trasferirsi altrove? «Sono molto legato a questo territorio e alla mia famiglia e lo lascerei solo per realizzare il sogno di andare in Argentina o in Brasile ad avviare un’attività di allevamento del bestiame. Son già stato in Brasile nel 2015, in un’azienda con l’allevamento del bestiame allo stato brado e devo dire mi piacerebbe molto fare un’esperienza di questo tipo». di Gabriella Draghi
CASTEGGIO
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Oltrepò in rampa di lancio con AttrACT: favola o opportunità? L’opinione di Callegari Progetto AttrACT, unioni di comuni, guardia medica, SPRAR: Lorenzo Callegari va avanti a testa bassa su tutti i fronti. Ma i problemi da risolvere sono tanti, e la collaborazione da parte degli altri enti, spesso, potrebbe essere… più proficua, per dirla con un eufemismo che non sarebbe proprio al sanguigno sindaco di Casteggio. Il quale non le manda a dire a un mondo, quello della politica, di cui fa parte da trentacinque anni, ma del quale non ha preso certi modi accondiscendenti e accomodanti ereditati dalla Prima Repubblica. Il suo comune ha sottoscritto, con Regione Lombardia, il programma AttrACT, volto a favorire l’insediamento di nuove imprese nel nostro territorio. A cosa porterà, concretamente, questo primo passo? «La Regione ha giustamente enfatizzato questo progetto, rivolto possibilmente all’estero, e va preso come un’opportunità importante. Partiamo dal presupposto che noi otteniamo 120mila euro. Di questa cifra, onnicomprensiva, resta disponibile un piccolo investimento da fare sulle infrastrutture. Se fosse tutto qui, non sarebbe una gran cosa: alla fine avrei messo a posto un marciapiede e tutto sarebbe finito. Il problema è come attrarre in un Paese sofferente, l’Italia, investimenti esterni. Perché uno svedese dovrebbe investire a Casteggio piuttosto che a Jöngköping?» Perché no? «L’instabilità di governo è ormai atavica. Le tasse sono estremamente pesanti. L’AttrACT mi dice: detassa per un certo numero di anni l’imprenditore, togli gli oneri di urbanizzazione; ma questo non è decisivo se non riusciamo ad abbattere la burocrazia, che è la cosa veramente difficile da fare in Italia. Ipoteticamente si potrebbe sperare in qualcosa di positivo. Abbiamo inserito in questo progetto due aree private; stiamo pensando di fare lo stesso con altre, anche comunali. Ma se devo dire che questa iniziativa ci porterà da qualche parte ho forti dubbi». Da cosa bisognerebbe partire? «Il nostro paese dovrebbe essere votato al turismo. Penso, per esempio, anche a quello che dovrebbe essere l’aspetto più importante del nostro territorio, la vitivinicoltura. Ma come possiamo parlare di un territorio che vuol fare turismo senza le infrastrutture? Negli anni è stata fatta una proposta, l’autostrada Broni-Mortara. Infrastruttura che avrebbe una sua funzione, perché andrebbe a snellire la viabilità nel pavese, creerebbe un altro ponte sul Po e quindi decongestionerebbe le altre strade». Perché le nostre strade sono conciate così male? «Per mille e un motivo, non da ultimo il traffico incidente sulle arterie di viabilità esistenti. Non parliamo poi della qualità
Lorenzo Callegari, sindaco di Casteggio
degli asfalti che vengono posizionati. Ben venga il progetto AttrACT, finanziato fra l’altro con pochissimi soldi, ahimè; d’altronde, con l’aria che tira, è sempre meglio qualcosa che niente. Però, se volessimo davvero credere in quello che facciamo, dovremmo comportarci diversamente rispetto a tasse, viabilità, prospettive di un governo stabile… Non posso, dopo tanti anni da amministratore, illudermi che aver portato a casa 120mila euro risolverà i problemi del mio territorio». Si è fatto un’opinione sui recentissimi eventi nel settore vitivinicolo, da lei citato? «Mi sono fatto un’opinione da tempo. Ciò che accade è figlio della situazione locale. Della grande polverizzazione delle aziende oltrepadane e pavesi in genere. Della litigiosità degli individui. Per anni si è detto che bisognava mettere a posto le regole; nel momento in cui si è cercato di farlo, chi ci ha provato ha infastidito qualcuno». Ha avuto modo di sperimentare in prima persona questo clima? «Noi abbiamo fatto per tanti anni la rassegna dei vini, sperando i vitivinicoltori se ne appropriassero; che la facessero diventare un po’ come il Vinitaly, nato vent’anni dopo. Viceversa, i nostri imprenditori vitivinicoli e agricoli in generale intendono che il Comune debba fare quello che loro non hanno mai fatto. Non è così».
Tutti i comuni della fascia pianeggiante dell’Oltrepò presentano aree dismesse, e le adesioni ad AttrACT potevano essere più numerose. I comuni avrebbero bisogno di un migliore coordinamento, magari di più unione? «Ormai ho smesso di perseguire l’ovvio. In un momento in cui le casse dei comuni piangono, l’unica opportunità che avremmo per evitare di non raggiungere il pareggio di bilancio sarebbe che i comuni più piccoli si fondessero con quelli più grandi, che, fatalmente, hanno una macchina amministrativa più corretta. Ci sono comuni che hanno cento, centoventi abitanti, e sono dotati della macchina amministrativa che compete a un condominio». Ma alla sua proposta di una ‘‘Grande Casteggio’’ le adesioni sono state nulle. «A un certo punto è arrivato qui da me il sindaco di Verretto, un giorno, sapendo che io la pensavo in questo modo, e abbiamo intavolato il discorso della fusione. Io ero ben contento. Questa operazione ci avrebbe portato 900mila euro all’anno 10 anni, che sarebbero stati spesi ripartiti uniformemente. Verretto avrebbe mantenuto la sua identità e avremmo potuto utilizzare meglio i fondi, ottimizzare i carichi di lavoro, con una possibilità di sviluppo. Posti di lavoro in più, non in meno». Perché il progetto si è arenato? «Si nega l’evidenza. Quando il sindaco di Verretto, che è una brava, bravissima persona, è venuto da me a dirmi che non era più il caso di proseguire, io non mi sono
nemmeno arrabbiato. Mi sarei stupito se fosse successo il contrario. Tutto ciò che è ovvio, che porta ad un inizio di risoluzione del problema, trova sempre un ostacolo. È veramente demotivante tutto ciò, ed è solo uno degli aspetti».
«Non posso, dopo tanti anni da amministratore, illudermi che aver portato a casa 120mila euro risolverà i problemi del mio territorio»
CASTEGGIO Cos’altro? «Il Comune di Casteggio ha un avanzo di cassa di 589mila euro, quindi un bilancio perfettamente in ordine; dovendo però fare i conti con lo sciagurato periodo dal 2004 al 2009 nel quale, con una certa amministrazione che io, mea culpa profonda, ho contribuito ad eleggere, è stato creato un debito di 4 milioni di euro. Noi stiamo tenendo il Comune in linea di galleggiamento e facendo cose, non eclatanti, ma cercando di farle o di farle fare. E lo Stato, invece di premiare le amministrazioni oculate e corrette, finanzia quelle che viceversa, per vari motivi che non voglio sindacare, non tengono i conti in ordine». Si spieghi meglio… «Lo Stato emana un bando per far realizzare opere pubbliche e per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio, con 7 miliardi di euro. Viene presentata una serie enorme di progetti, oltre diecimila. Noi arriviamo 2182esimi, quando a essere finanziati sono soltanto i primi 146. Secondo il criterio adottato, se un comune è dissestato dal punto di vista economico viene premiato, quindi la nostra colpa è quella di avere un bilancio in ordine». Fusioni o non fusioni, il Comune di Casteggio si fa comunque capofila di iniziative che interessano anche i paesi limitrofi. Non ultima, la battaglia per la guardia medica. «Il problema non è solo la guardia medica, che è una parte del problema sanitario locale. La prima cosa che salta all’occhio, in Regione Lombardia, parlando di medici di
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medicina generale, è che ne mancano 581. Nella provincia di Pavia, che è più fortunata rispetto alle altre, ne mancano 27. Quando andrò in pensione, fra un mese, saranno 28. Si sta andando verso una gestione molto impersonale del paziente, che non è una macchina da riassettare». Tornando al problema di questi giorni, perché ASST dovrebbe rivedere la sua decisione? «Non è la difesa di un campanile che mi interessa. Ma negli anni ci hanno depauperato di tutto: pretura, ufficio di collocamento; i comuni sono stati trasformati in dormitori. Adesso ci tolgono anche la guardia medica in nome dell’ottimizzazione del lavoro, quando non è vero che sarà ottimizzato ma sarà peggiorato, con un aumento dei costi di gestione. La guardia medica di Casteggio all’ASST costa zero, perché è ospitata nella sede della Croce Rossa. Mi domando se il buon senso esista ancora in Italia». Parliamo allora di buon senso: progetto SPRAR e accoglienza dei migranti. Soddisfatto di questa scelta? «Lo SPRAR si è attivato da pochi giorni. Abbiamo avuto in assegnazione quattro persone, e ne avremo altre dieci dalla Prefettura. Dovevano essere diciassette, ma saranno quindi quattordici, per il momento. Contestualmente verranno trasferiti i diciassette ospitati nell’albergo Alo Alo. Questa nostra scelta ha contingentato il numero in maniera concreta. A Casteggio avevamo 39 migranti, col rischio che ne arrivassero altri 80, in una palazzina nuo-
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«Noi abbiamo fatto per tanti anni la rassegna dei vini, sperando che i vitivinicoltori se ne appropriassero... Viceversa, i nostri imprenditori vitivinicoli e agricoli in generale intendono che il Comune debba fare quello che loro non hanno mai fatto» va di zecca costruita per altre funzioni e non come centro di accoglienza, cosa che mi ha fatto imbestialire». Ci sono altre motivazioni che vi hanno portato a questa decisione? «Abbiamo scelto lo SPRAR perché, così, queste persone saranno davvero seguite e formate. Non saranno abbandonati per le strade, non li vedremo a fare accattonaggio nei vari supermercati o nei parcheggi, non infastidiranno più nessuno. E potranno veramente, avendo una formazione, essere destinati ai luoghi che dovranno accoglierli. In più, da un punto di vista sanitario, è estremamente importante che vengano controllati». Chiudiamo con un tema di attualità
per tutto l’Oltrepò. Voghera e Stradella hanno revisionato la loro raccolta dei rifiuti. Casteggio pensa a qualche novità in merito? «Direi che rispetto ad altri comuni siamo avanti anni luce. Abbiamo creato le piazzole a scomparsa in tutto il centro, con tanti contenitori per la raccolta differenziata. Abbiamo già cercato di abbellire quella che è la zona centrale e continueremo, perché il nostro programma non è ancora finito. Miglioreremo tutte le zone periferiche, distribuendo meglio i cassonetti. Ci troveremo a breve con ASM per portare a termine, prima che io vada in pensione anche come sindaco, anche quest’altra parte». di Pier Luigi Feltri
BRESSANA BOTTARONE
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Raffaele “Gatti l’eclettico” che a 88 anni sogna la realizzazione del suo brevetto
Il Brevetto per invenzione industriale depositato nel 1997 Incontriamo nella sua grande casa di Bressana Bottarone, Raffaele Gatti, 88 anni già compiuti, che con sorprendente lucidità ci racconta un pò della sua vita. Nativo di Torrevecchia Pia, Raffaele Gatti iniziò la propria attività lavorativa giovanissimo imponendosi subito come uno dei più qualificati tecnici lattiero caseari. Raffele girava tutte le cascine della provincia insegnando a fare il formaggio «Allora anche da noi si produceva il reggiano che - ci tiene a precisare - non era il parmigiano. Successivamente il settore lattiero caseario della provincia si dedicò alle forme di Asiago, ho conosciuto personalmente sia Galbani che Invernizzi» afferma con orgoglio. Raffaele ci racconta che con 100 mucche
si riusciva a produrre 45 kg di formaggio e che il lavoro del casaro era un lavoro duro perchè si lavorava 365 giorni l’anno. Ma Raffaele non si fermò alle forme di Asiago e dopo la triste parentesi della guerra, divenne venditore per una primaria azienda francese di materie plastiche. «Fui il primo a far conoscere al mercato della frutta di Milano i sacchetti di plastica», ricordando lo scetticismo che ci fu all’inizio. Abbiamo dimenticato di dirvi che Raffaele ha un soprannome: “Gatti l’eclettico” e dal proseguo del suo racconto ne capiamo il motivo. Dopo l’esperienza nel campo del lattiero caseario e della plastica Raffaele, ha avuto esperienze lavorative in Olanda ed Inghilterra e proprio dagli inglesi, esperti nell’essicazione del thè, trae spunto per inventare un macchinario. «Ha presente i “balloni” di foraggio? Ecco al fine di evitarne il danneggiamento delle sostanze è necessaria un’essicazione con umidità relativa pari a 13. Oggi questo non avviene e spesso i balloni si deteriorano. Il mio macchinario che ho brevettato, serve proprio a questo». Raffaele ci mostra con orgoglio il brevetto datato 30 giugno 1997 rilasciato dal ministero dell’Industria e dell’Artigianato, brevetto per invenzione industriale apparecchiatura per l’essicazione rapida e perfetta del foraggio in rotoballe. «Ho ormai 88 anni, ma il mio sogno sarebbe di trovare un socio, magari un giovane ingegniere, cui affidare il compito di portare a termine il mio progetto». Raffaele tiene più volte a sottolinearci che «Io ho la quinta elementare», ma con altrettanta fermezza ci dice dei suoi incontri all’Uni-
«Ho ormai 88 anni, ma il mio sogno sarebbe di trovare un socio, magari un giovane ingegniere, cui affidare il compito di portare a termine il mio progetto» versità di Pavia alla facoltà di Biologia, dove spesso va a confrontarsi sulle sue idee. Raffaele Gatti è sempre molto attivo ed attento a tutte le problematiche «Ho un rapporto ormai diretto con i Nas di Cremona, il loro Comandante mi ha dato il numero diretto. Recentemente ho denunciato il fatto che l’acqua potabile in zona abbia un calcare decisamente fuori norma». Raffaele com è oggi l’agricoltura in provincia? «Troppo trasformata, non ci sono più cascine, la produzione del formaggio non avviene più, non ci sono più mucche».
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Raffaele Gatti
Con Raffaele si sarebbe dovuto probabilmente rimanere a parlare tutto il giorno. Un uomo di mondo, che ha fatto tanti lavori, che ha vissuto una guerra e che con in tasca una licenza elementare, è in grado di spiegarti la vita. Noi non siamo in grado di valutare la bontà del suo progetto ma siamo sicuramente in grado di poter affermare che... ce ne fossero di Raffaele Gatti, un uomo che davvero si è laureato nell’Università della vita. di Giacomo Lorenzo Botteri
BRONI
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Il Grest estivo di Don Luca: «Tantissimi momenti di gioco e di preghiera» A Broni come ogni anno, alla fine delle scuole, riscuote una grande partecipazione il Grest estivo, in cui i bambini possono trovare una vasta scelta di giochi e attività all’aperto con i numerosi volontari dell’Oratorio De Tommasi. Don Luca Zambianchi è il responsabile dell’organizzazione del Grest Don Luca quali sono le attività che offrirà l’Oratorio di Broni per quest’estate? «Avremo come sempre il nostro Grest che inizierà a giugno e si concluderà a luglio. Purtroppo non avremo la possibilità di offrire maggiori attività e passatempi per i ragazzi questa estate in particolare, visto che stiamo prendendo in considerazione l’idea di un progetto edile che riguarda la struttura del teatro del nostro Oratorio. La tettoia del nostro teatro, come moltissime altre risalenti agli anni passati, è in amianto. La cosa non è pericolosa per nessuno, si tratta solo della tettoia e non della struttura murale, ci sembra giusto però pensare al suo smaltimento e avremmo pensato di farlo questa estate. La cosa non è ancora del tutto certa, stiamo iniziando però a pianificarla e nel caso riuscissimo a farlo, le nostre energie saranno dedica-
Don Luca, responsabile Grest Broni
te a quello, abbiamo chiesto i preventivi e dobbiamo verificare se riusciremo a farlo questa estate o più avanti. La prima settimana di settembre poi ci sarà il “RIgrest”, lo riprenderemo proprio
in quella settimana antecedente l’inizio delle scuole». Chi si occupa dell’organizzazione e quanti bambini partecipano solitamente alla vostra attività estiva? «Io in prima persona! Insieme ai ragazzi volontari che mi aiutano, in tutto 30 ragazzi fra i 14 e i 18 anni. I bambini che si iscrivono sono di solito 100 -120 circa». Quali sono le attività organizzate per i bambini durante le giornate? «Ci sono chiaramente tantissimi momenti di gioco e di preghiera, poi i bambini potranno scegliere cosa preferiscono fare durante il grest: ci sarà il teatro, con i maestri Massimo Bologna e Giorgia Jorio, di Broni, che si impegneranno a svolgere qualche ora al giorno delle attività di teatro divertente per i bambini; ci sarà il pattinaggio con la scuola di pattinaggio artistico a rotelle Gymnasium di Stradella che farà divertire i bambini intraprendendo i primi pass con i pattini. Insomma, ci saranno molte cose e i bambini potranno scegliere a cosa dedicarsi; inoltre una volta a settimana li porteremo in gita». Sono già partite le iscrizioni? «Certamente, per iscriversi basta recarsi
qui in oratorio di persona per venire registrati con la nostra tessera anspi, necessaria per usufruire del grest e di tutte le nostre attività». Cosa organizza l’Oratorio, invece, durante l’anno per i bambini? «Durante l’anno è presente, come sempre, il nostro doposcuola gratuito per i bambini in cui i ragazzi aiutano i bambini a fare i compiti; abbiamo il nostro laboratorio di teatro alla fine del quale avviene uno spettacolo proprio qui nel nostro teatro». Ad Agosto ci sarà la festa di San Contardo, cosa avete in serbo? «Come ogni anno, infatti, i nostri ragazzi dell’oratorio saranno impegnati per l’organizzazione della festa di San Contardo e quindi della pesca di beneficenza che organizzano tutti gli anni. La festa di San Contardo sarà l’ultimo sabato di agosto con la nostra processione al monte e il settenario di preparazione con la benedizione delle bende e del pane di San Contardo… sono tante le cose! Saremo felici di vedere una grande partecipazione soprattutto dalla popolazione bronese». di Elisabetta Gallarati
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«Il nuovo Polo scolastico sarà una svolta per la nostra offerta formativa» Paolo Della Porta, classe 1966, dopo parecchi anni da insegnante presso vari Istituti del territorio, è da quattro anni dirigente scolastico dell’Istituto comprensivo di Broni, dove si ritrova a capo delle tre fasce di scolarizzazione, scuola d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado. Gestisce in tutto dieci plessi: due a Broni, uno a Redavalle e uno a Santa Giuletta. Poi quattro scuole primarie, due a Broni (via Emilia e Paolo Baffi) e sempre due tra Redavalle e Santa Giuletta. Infine due di secondaria, che sono l’Istituto Ferrini di Broni e il Fermi di Santa Giuletta. Dal prossimo anno scolastico la scuola di via Emilia sarà trasferita. Come mai questa decisione? «Perché il Comune di Broni si sta adoperando da alcuni anni per creare il nuovo polo scolastico, intitolato a Paolo Baffi, che è stato costruito intanto per la chiusura, effettuata già da due anni, della vecchia scuola Baffi, anche per il problema dell’amianto. Il nuovo polo, che è a mio parere un progetto ambizioso e interessante, sta ospitando attualmente una scuola primaria e una dell’infanzia e la presidenza con la segreteria. Il nuovo polo ospiterà poi la scuola di via Emilia e permetterà l’accorpamento di più scuole quindi dovrebbe diventare più funzionale».
«La nostra è una scuola che riceve i fondi Afpi per zone con alto flusso migratorio con alta presenza di stranieri»
Da un punto di vista innovativo ci saranno quindi vantaggi… «C’è sicuramente un progetto importante che è in fase di realizzazione e che sarà completato, entro settembre, dalla costruzione di una palestra. Nel nuovo polo ci saranno quindi due scuole primarie, una dell’infanzia e la palestra. L’idea è proprio quella di creare un polo scolastico». Le iscrizioni come stanno andando? «Stanno andando bene e posso proprio ritenermi soddisfatto, perché riusciremo addirittura ad avere cinque classi prime nella scuola secondaria di primo grado Ferrini. Per noi è un numero davvero elevato e sarebbe la prima volta che abbiamo cinque classi. Ci saranno due sezioni di francese e tre di spagnolo. Sono quindi soddisfatto per le scuole medie, ma anche per le altre primarie: siamo l’unico istituto comprensivo sul territorio che ha il tempo pieno che sta avendo un grande successo. Quest’anno, in seguito alle numerose richieste, avremo per Paolo Baffi tre classi, per la scuola ex via Emilia una classe a tempo normale di 27 ore e riusciremo a formare le classi anche negli istituti più piccoli di Redavalle e Santa Giuletta. Concludo dicendo che anche per la scuola Fermi di Santa Giuletta, l’anno scorso avevamo solo una classe, invece l’anno prossimo ce ne saranno due. E’ davvero una buona situazione e attesta la validità dell’offerta formativa della scuola e del corpo docente, che nel tempo è diventato stabile». Cosa può dire della sua esperienza come Dirigente Scolastico? «Io devo dire che il contesto in cui opero è buono. Dal punto di vista dell’utenza non abbiamo gravi problematiche. Ci sono problemi, come ci sono ovunque. Se penso a casi di bullismo e cyber bullismo possono dire che abbiamo operato con una serie di azioni, conferenze aperte ai genitori, eventi all’interno delle scuole…ma non abbiamo casi che possono verificarsi in realtà più difficili. Il corpo docenti, come
Paolo Della Porta, dirigente dell’Istituto comprensivo di Broni
dicevo prima, è abbastanza stabile e sono soddisfatto. Le collaborazioni con il comune funzionano bene. Abbiamo progressivamente, dal mio arrivo in poi, informatizzato l’istituto: quest’anno con registri elettronici presenti in tutte le classi delle secondarie e pian piano le stiamo inserendo nelle scuole primarie. Per la prima volta c’è anche l’accesso possibile da parte dei genitori per verificare quanto è stato fatto dai propri figli. Poi abbiamo una serie di progetti interessanti, in particolare collegati all’associazionismo, perché lavoriamo molto con le associazioni del territorio. Per noi sono importanti l’intercultura, l’informatica e anche lo sport». Lei che è stato anche docente per diversi anni, cosa può dire della differenza tra fare l’insegnante e il dirigente scolastico? «Aumenta fortemente la complessità del lavoro. Da un lato è gratificante nel momento in cui vengono realizzati i progetti che vengono prima pianificati. Dall’altro si deve lottare quotidianamente con una burocrazia difficile. Spesso mancano le risorse. Il docente logicamente può avvertire queste difficoltà, ma senza percepirle in fondo, da dirigente è completamente diverso». Tornando alla sua scuola, c’è una percen-
tuale alta di stranieri? «Ce ne sono tantissimi. Infatti la nostra è una scuola che riceve i fondi Afpi per zone con alto flusso migratorio con alta presenza di stranieri. Devo dire che con i lavori di alfabetizzazione per i nuovi arrivati e l’inserimento di coloro che a tutti gli effetti sono italiani, gli effetti scolastici sono buoni». Bronesi a tutti gli effetti ce ne sono? «Diciamo che sono una minoranza ormai, se parliamo di ragazzi con famiglie bronesi da generazioni. La frequenza è davvero molto eterogenea». Gli studenti che escono dalla scuola secondaria di primo grado frequentano poi Istituti del territorio o si rivolgono altrove? «Noi abbiamo una diversificazione di scelte da parte dei nostri ragazzi, essendo collocate le nostre scuole a cavallo di zone diverse, l’Oltrepò, il pavese e il piacentino. Chi vuole un liceo un istituto tecnico può ovviamente fare riferimento agli istituti della zona, però ci sono tanti ragazzi che vanno anche a Pavia, Voghera e a Castel San Giovanni». di Elisa Ajelli
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AR-CHI-MI-PIACE
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I PONTI DI FERRO SUL PO: e Se avessero una nuova vita? I ponti di ferro del Po caratterizzano molti passaggi lungo il percorso del fiume più lungo di Italia. Anche nelle nostre zone il ponte della Becca e il Ponte di Gerola fanno parte di questo patrimonio ingegneristico ed architettonico. Il Ponte della Becca è stato costruito tra il 1910 e il 1912 sulla confluenza tra i fiumi Ticino e Po. Il sistema di traghetti e i ponti di barche istituiti per la necessità di trasportare a Pavia e nel resto della Lombardia l’uva proveniente dall’Oltrepò Pavese, risultavano però inadeguati a garantire il passaggio durante le piene dei due grandi fiumi, che ogni due o tre anni avvenivano proprio durante il periodo di commercio dell’uva. L’inaugurazione dell’opera, costruita dalla Società Larini Nathan di Milano (che nel 1911 cambiò nome in Società Nathan e Uboldi), avvenne il 7 luglio 1912 alla presenza di Vittorio Emanuele di Savoia, Conte di Torino e cugino del re. Durante la seconda guerra mondiale fu parzialmente distrutto dai bombardamenti, ma fu ripristinato nelle parti danneggiate ad opera della Società Nazionale Officine di Savigliano e riaperto al traffico nel 1950. Negli Terzo Millennio iniziano i primi seri cedimenti: nel 2010 venne rilevato un cedimento di 4 centimetri di un giunto della struttura: a seguito di questo il ponte venne dichiarato non carrabile e quindi chiuso al traffico. Tale rimase fino alla fine dello stesso anno, quando il transito fu riaperto ai soli mezzi più leggeri di 35 quintali (trasporti pubblici esclusi), a seguito di una parziale ristrutturazione. Nel 2011 si ebbe un nuovo incidente: durante un periodo di piena del Po, crollò improvvisamente il pilone 9 del ponte, che venne perciò dichiarato nuovamente inagibile e quindi ancora chiuso al traffico. Dopo aver riparato il pilone e anche provveduto all’installazione di barriere per impedire fisicamente il transito al traffico pesante a causa delle continue infrazioni, il ponte venne nuovamente riaperto al solo traffico leggero. I dati ottenuti da rilievi sul letto del fiume affermarono che anche il pilone 8 era a rischio. Altri lavori vennero effettuati nel corso del 2011. A gennaio 2018 vari enti, tra cui Regione Lombardia e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, hanno stabilito l’importanza della realizzazione di un nuovo ponte. Si sarebbe previsto l’avvio di uno studio preliminare di fattibilità e la realizzazione del nuovo ponte per il 2021. Ora, dopo rimbalzi fra Provincia e Regione, l’ennesima doccia fredda: l’accordo sembra saltare e il futuro del ponte rimane “vacillante”. Il ponte della Gerola o di Cornale attraversa il Po poco prima di Voghera, unendo i comuni di Sannazaro de’ Burgundi e
Il ponte della Gerola unisce i Comuni di Sannazaro de’ Burgundi e Casei Gerola
Casei Gerola. Si tratta di un ponte di ferro ad archi, apprezzato fin dall’epoca della realizzazione come un’opera tecnicamente originale anche per la struttura sottilissima e molto elegante che presenta il suo profilo laterale. Il ponte fu costruito tra il 1914 e il 1916 dalle Officine di Savigliano su progetto dell’ingegnere Liprandi. Anch’esso fu gravemente danneggiato durante la guerra e dovette essere ricostruito. Un successivo intervento, fu eseguito negli anni Settanta per adeguare il ponte ai crescenti volumi di traffico (anche pesante, diretto alla vicina raffineria di Sannazzaro). Il ponte, infatti, non era stato progettato per reggere tali carichi, poichè all’epoca della costruzione la trazione era soprattutto animale. Oggi si presentano di nuovo problemi di eccessivo carico e il transito sul ponte è stato vietato ai mezzi pesanti. è dal 2014 che si sente parlare di 4,2 milioni di Euro stanziati dalla Regione Lombardia, ma, ad oggi, non si sono visti e nulla è cambiato. Anni di attese e burocrazie compresa la Sovrintendenza. Quattro anni di piene del fiume e crolli scongiurati: controlli su cedimenti di piloni, chiusure del ponte, gravi disagi per chi di quel ponte, fa collegamento quotidiano, uso non controllato di mezzi pesanti nonostante i cartelli, lamentele degli abitanti dei paesi limitrofi. I consolidamenti non arrivano, se non in casi di emergenza piene, ma non arrivano neanche nuovi ponti. Il ponte di Gerola, oltre ad essere sotto perenne controllo (si spera), è anche sottodimensionato per i mezzi di trasporto di oggi. Se un domani venissero costruiti due bellissimi ponti nuovi, cosa ne sarebbe di questi ponti di ferro che caratterizzano il Po? Rimarrebbero inquietanti scheletri di ferro abbandonati o potrebbero venire riutilizzati? Se fossero consolidati in base
al peso di trasporti non motorizzati, potrebbero essere Greenway e percorsi naturalistici che farebbero rete con quelli già nati che collegano Voghera a Salice passando per la vecchia ferrovia? Penserete a un’utopia, ma questo non è altro che ciò che sta succedendo nel resto dell’ Europa dai lontani anni Novanta. Lo sterminato patrimonio infrastrutturale italiano in disuso, spesso situato in aree di grande interesse naturalistico, archeologico o culturale potrebbe avere una seconda vita favorendo un diverso tipo di mobilità e promuovendo quindi un turismo più sostenibile e consapevole. Le Greenways sono uno strumento dalle grandi potenzialità economiche, perché non solo col-
legano zone distanti geograficamente, ma possono diventare una filiera turistica e un tramite di connessione e cooperazione per aziende ed enti interessati al progetto. La ristrutturazione, la rigenerazione, la riqualificazione e il successivo utilizzo dei tratti di ferrovie o strutture di viabilità in disuso diventano una rete di trasporto alternativo e soprattutto facile e piacevole per tutti. In Francia e Inghilterra è una ‘filosofia’ che le istituzioni hanno compreso e attuato con risultati concreti tanto che oltralpe i chilometri di binari trasformati i piste ciclabili sono 3400, mentre in Inghilterra i percorsi nati da ex ferrovie ammontano a circa 2500 km. Il progetto Vias Verdes, in Spagna, è nato in seguito a un censimento delle linee ferroviarie nazionali, con la scoperta di 7.600 chilometri di tracciati abbandonati, oltre a un migliaio di stazioni, ponti in disuso e circa cinquecento gallerie. Ad oggi, Vias Verdes ha rigenerato 2.600 km di ferrovie e 100 stazioni. In Portogallo sono 9 i percorsi verdi con 220 km di ferrovie rigenerate; in Belgio, in Vallonia, sono stati convertiti oltre 750 km di tracciati ferroviari. Il territorio necessita di un rilancio che parta anche dalla disponibilità dei collegamenti viari e il ponte della Gerola, così come quello della Becca, rappresenta un cardine della mobilità tra Lomellina, Oltrepò e autostrade. Averne uno sicuro è un diritto. Poterne riutilizzare uno vecchio a scopo turistico è un sogno solo in Italia. di Rachele Sogno
Il Ponte Becca, inaugurato il 7 luglio 1912 alla presenza di Vittorio Emanuele di Savoia
MEZZANINO
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«Ci piacerebbe riaprire la scuola materna, anche coinvolgendo imprenditori privati» Adriano Piras, sardo di nascita e proprietario di un noto ristorante nel paese di Mezzanino, si candida per la prima volta come sindaco, con la lista “Mezzanino in grande”. Piras, una campagna elettorale dal clima piuttosto infuocato: questo è quanto emerge dalle varie pagine del social Facebook. Come mai a suo giudizio si è arrivati ad uno scontro piuttosto colorito e su quali temi? «Non mi pare che la campagna si stia svolgendo in un clima infuocato. Certo, c’è stata qualche incomprensione su alcuni post pubblicati sui social, ma tutto sommato direi che tutta la campagna si stia svolgendo nella massima lealtà da ambo le liste». Qual è il cavallo di battaglia del suo programma elettorale? «Più che cavallo di battaglia direi che noi puntiamo alla risoluzione dei problemi del paese. Ad esempio valorizzando le strutture esistenti per organizzare eventi per i giovani. Poi puntiamo molto su anziani e bambini. Vogliamo dare una sistemata all’immobile che ospita la scuola elementare che ad ora presenta varie problematiche anche di sicurezza. Ci piacerebbe infine riaprire la scuola materna, anche coinvolgendo imprenditori privati». Qual è o quali sono le principale differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «La maggior parte dei punti sono simili perché siamo in un paese con 1200 abitanti. I problemi non sono della lista che li evidenzia, ma del paese. Noi riteniamo di avere soluzioni più adeguate». Ponte della Becca: una lunga e triste storia oltrepadana. Quale sarà il suo reale potere se eletto sindaco, per fare qualco-
Adriano Piras sa di concreto per il ponte? «è una storia davvero molto lunga. Noi ci impegniamo a mettere in gioco tutte le nostre forze per la realizzazione di un nuovo, necessario ponte. Questo non limitandoci a sfilate o marce, ma intervenendo energicamente e politicamente con gli Enti proposti. Il ponte sui fiumi Po e Ticino è troppo importante per la nostra economia e quella dei comuni oltre padani, che quindi coinvolgeremo». Nel caso in cui arriveranno i fondi per un nuovo ponte, che ne sarà del vecchio? «E questo proprio non dipende da noi, l’ideale sarebbe la sua conservazione come monumento storico, costi permettendo». Negli ultimi tempi si è parlato molto di fusione tra i comuni. Lei è favorevole o contrario e perché? «è una questione che non si può riassumere in due parole: bisogna valutare gli effetti di una eventuale fusione, costi e benefici. Inoltre è essenziale sentire il parere della popolazione dei comuni interessati».
Tema sicurezza: quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «Per quanto riguarda questo tema, abbiamo messo nel nostro programma elettorale l’installazione di nuove telecamere ad altissima definizione, nonché la stipulazione di contratti con aziende di sicurezza. Fra i nostri candidati c’è l’ex Comandante dei Carabinieri di Broni, operanti anche nel nostro comune, che saprà impartire le giuste direttive». Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità? «La viabilità a Mezzanino è piuttosto precaria, perché ci sono molte buche ed erba alta che riduce la visibilità e percorsi pedonali dissestati. Punteremo su un’attenta manutenzione e sul potenziamento dei dossi per limitare la velocità nei punti più pericolosi». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per potenziarla e incrementarla? «Il problema ha una duplice rilevanza: il costo del servizio da trattare con la ditta appaltatrice e l’aspetto tariffario Tasi a carico dei contribuenti. Il tema comunque verrà tempestivamente affrontato». Quali sono le iniziative o progetti che concretamente intende metter in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Implementeremo i servizi scolastici con attività pre e post-scuola, creazione del CCM (comitato comunale mamme) in modo che possano partecipare attivamente alle decisioni dell’Amministrazione su
tematiche che riguardano il plesso scolastico. Siamo poi in trattativa per acquisire in comodato una struttura polifunzionale da destinare alle attività ricreative. Sosterremo le attività delle associazioni presenti sul territorio». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata? «Per gli anziani abbiamo l’Auser, di cui vorremmo potenziare l’attività, ampliando la gamma dei servizi offerti. Stiamo valutando tante cose…anche quella di istituire un numero SOS per gli anziani, collegato con i cellulari del nostro gruppo, così da garantire un tempestivo intervento in caso di necessità». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso si sua elezione intende aiutare ed incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo? «Con la Proloco abbiamo già fatto un colloquio e abbiamo dato tutta la nostra disponibilità a migliorare ancora quello che già stanno facendo. Intendiamo inoltre migliorare qualitativamente e quantitativamente il gruppo dei volontari della protezione civile». Stipendio Sindaco e amministratori comunali: lo ritiene una cosa giusta o rinuncerà al compenso? «Pur non avendo alcuna carica, da anni opero personalmente nel sociale offrendo pasti alle persone in difficoltà. Ritengo che parlare di stipendio presuppone aver già vinto le elezioni, cosa non ancora avvenuta».
di Elisa Ajelli
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«Il vecchio ponte a noi caro, deve rimanere e deve essere riutilizzato come pista pedonale e ciclabile» Gianluigi Zoppetti è il sindaco uscente di Mezzanino. Primo cittadino esattamente da cinque anni (è stato infatti eletto il 27 maggio 2013) si ricandida nel proprio paese con la lista “Mezzanino futura”. Zoppetti, una campagna elettorale dal clima piuttosto infuocato: questo è quanto emerge dalle varie pagine del social Facebook. Come mai a suo giudizio si è arrivati ad uno scontro piuttosto colorito e su quali temi? «Perché infuocata? Secondo me assolutamente no. C’è stato qualcosa tempo fa messo sui social dal mio “avversario” ma io non ho né condiviso né aderito. Ho soltanto chiesto un’assemblea pubblica per fare un confronto tra di noi all’americana, in modo da poter smussare tutte questi voci che c’erano in giro e affrontare in modo tranquillo la campagna elettorale, come comunque sta avvenendo». Qual è il cavallo di battaglia del suo programma elettorale? «Sicuramente il Ponte della Becca. Io sono il coordinatore del gruppo di lavoro permanente per il nuovo Ponte della Becca, il gruppo raccoglie ben 32 sindaci le cui popolazioni fanno capo al ponte della Becca, c’è Confindustria, c’è la ConfCommercio, ci sono gli artigiani e gli agricoltori, ci sono le associazioni no-profit e tutti i Comitati. Quindi naturalmente è un mio cavallo di battaglia, ma non solo questo. Per me un altro cavallo di battaglia è il fatto di essere riuscito a fronteggiare, in questi cinque anni, la costruzione del nuovo impianto della Monticelli per fare in modo di togliere dalle emulsioni oleose l’acqua, per poi poter ricavare l’olio per rivenderlo. Ci siamo battuti in questi anni addirittura assumendo anche dei consulenti legale e tecnico e un ingegnere ambientale: finora ci siamo riusciti». Qual è o quali sono le principale differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «Devo dire che ho trovato molte similitudini tra i programmi. Il nostro è un programma mirato, che è partito tenendo conto delle cose che abbiamo già fatto e sviluppato in questi anni, e proiettato nel futuro. Come, per esempio, la riqualificazione dell’illuminazione pubblica e il sistema di videosorveglianza». Ponte della Becca: una lunga e triste storia oltrepadana. Quale sarà il suo reale potere se eletto sindaco, per fare qualcosa di concreto per il ponte? «C’è stato un cambiamento di rotta della giunta regionale che ha stoppato la nascita della società in cui si dovevano assegnare le varie strade, tra quelle provinciali e quelle che dovevano passare in capo all’Anas. Per noi la nascita di questa società era importante perché importante è che la strada provinciale 617 bronese passi in
gestione all’Anas. Perché questo? Perché l’Anas ha poi i soldi per poter finanziare il nuovo ponte nel nuovo piano 2020. La prima cosa da fare, se sarò io Sindaco, sarà quella di chiedere un incontro alla giunta Fontana». Nel caso in cui arriveranno i fondi per un nuovo ponte, che ne sarà del vecchio? «Il vecchio ponte a noi caro, un’opera d’arte che dura da 106 anni, deve rimanere e deve essere riutilizzato come pista pedonale e ciclabile. Addirittura io prevedo la possibilità, magari alla domenica, di una festa con le bancarelle e altre iniziative, con manifestazioni. Per noi mezzaninesi è qualcosa di importante e va mantenuto». Nel caso in cui arriveranno i fondi per un nuovo ponte, che ne sarà del vecchio? «Sono favorevole, ma naturalmente non si possono fare le fusioni a freddo. Prima è necessario che la popolazione sia d’accordo: se loro non sono d’accordo non si fa nessuna fusione». Tema sicurezza: quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «La sicurezza per noi è prioritaria. La prima cosa da fare per rendere un paese più sicuro è renderlo più luminoso, sostituendo le attuali lampade con quelle a Led, che tra l’altro danno un ritorno economico con un risparmio del 50% di energia. E poi la videosorveglianza». Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità? «Vogliamo continuare come fatto finora, fare in modo di regolare la viabilità, installando dei dossi, allargando l’incrocio della via Roma con la zona Malpensata. Ho poi intenzione di rendere a senso unico la via Cassinetta, sistemare tutta la segnaletica sia verticale che orizzontale e asfaltare alcuni pezzi di strada». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per potenziarla e incrementarla? «Questo è un tema che abbiamo già affrontato: bisogna sapere che la raccolta differenziata nei primi anni viene a costare molto di più che l’attuale sistema che c’è… abbiamo cominciato a fare una tappa intermedia che è stata quella di aumentare i punti della raccolta differenziata, abbiamo aumentato i punti dove si possono mettere vetro, carta, plastica e umido, in modo da educare pian piano la gente a fare questa raccolta. La nostra volontà è di arrivare al porta a porta, sapendo che costerà di più. Comunque senza il coinvolgimento della gente non si farà nulla».
Quali sono le iniziative o progetti che concretamente intende metter in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Abbiamo già cercato in questa legislatura di avvicinare i giovani, ma non ci siamo riusciti. Però vorremmo fare adesso in un’altra maniera: realizzare un centro polisportivo, una palestra o un posto dove poter fare della musica e mettere in scena spettacoli… un posto che possa essere gestito proprio dai giovani, saranno loro che decideranno il loro destino. Abbiamo poi intenzione di creare un organismo, come per esempio il Consiglio Comunale dei giovani, per coinvolgerli nel dialogo con l’amministrazione pubblica». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata? «Siamo già avanti perché abbiamo fatto tanto per loro. Abbiamo la fortuna di avere un’associazione importante come l’Auser e abbiamo con loro una convenzione: già da anni facciamo il trasporto anziani e abbiamo instaurato un sistema di monitoraggio dello stato di salute dei nostri anziani. Abbiamo una novantina di persone che superano i 75 anni, gente che ha bisogno di cure». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso si sua elezione intende aiutare ed incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo? «Ritengo il mio programma molto ambizioso e oneroso e ho voluto comporre un team fatto di tante persone che arrivano
Gianluigi Zoppetti
dal volontariato… che sanno quindi mettere a disposizione le proprie energie e sanno cosa vuol dire impegnarsi per gli altri in modo disinteressato». Stipendio Sindaco e amministratori comunali: lo ritiene una cosa giusta o rinuncerà al compenso? «Ho lavorato sempre in modo onesto e senza risparmio di energie… e ritengo quindi giusto il compenso. Se uno vuole rinunciare è padronissimo di farlo. Ma devo dire che negli ultimi cinque anni ho già rinunciato a una buona parte del mio stipendio per destinarlo al territorio». di Elisa Ajelli
SAN CIPRIANO PO
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Andrea Cordero di Montezemolo, da Conte a Cowboy Certamente è un cognome, una Casata, una dinastia nobiliare tra le più conosciute ed importanti della Storia italiana. La vicinanza e, talvolta, la sinergia con l’altra importante e famosa Casata torinese delle automobili riempe da decenni le cronache nazionali ed internazionali. I Cordero di Montezemolo sono i Conti e Marchesi delle residenze di prestigio, delle proprietà terriere infinite, delle autovetture importanti e costose, Formula 1 inclusa, dei trasporti via terra, Italo, e via aria, Alitalia, ma anche... della fatica quotidiana, dell’attaccamento alla terra, della passione per la vela poi abbandonata a favore dei cavalli americani! E proprio a quest’ultimo riguardo, abbiamo incontrato Andrea, rampollo di famiglia che per un anno, circa, ha abitato e lavorato in Oltrepo, nel territorio di San Cipriano Iniziamo dalla passione per i cavalli, che è anche la passione che l’ha portata, seppur per un breve periodo, in Oltrepò... «Presto detto. Avevo circa 3 anni ed ero, con tutta la famiglia, nella tenuta di un parente, forse parente di mia madre, che aveva dei cavalli, mi pare, ma sicuramente aveva un bellissimo pony, sulla cui groppa mi sedettero: riuscii a rimanerci per poco, perchè era un animale molto vivace ed in breve mi disarcionò! Mi divertì così tanto quella prima “sfida”, e quel pomeriggio, che da allora continuai a ripetere a tutti che avrei imparato a lavorare con i cavalli!». Ed il passaggio alla professione di cowboy, e la passione sportiva equestre, invece, quando realmente avvenne? «Verso la fine degli anni ‘90. Fino al 1992 facevo monta inglese... ero bravino, ma infastidito fondamentalmente dal contesto, chic, d’immagine. Ed allora decisi di virare sulla, all’epoca, neo-famosa, erano gli inizi, monta americana, quella dei cowboys dei films... Di base anche perché son sempre stato un ribelle». Quindi mai, mi passi il termine, “attaccato” al cognome. Anzi, da Conte a cowboy... «Esattamente! Pensi che, proprio a riguardo cavalli, uno zio acquisito, marito della sorella di mio padre, che è stato olimpionico di Dressage negli anni ‘60, alla comunicazione “in famiglia” del mio passaggio dalla monta inglese a quella western, con piglio accigliato mi disse “da oggi, per quanto concerne i cavalli, io e te non siamo più parenti!” (ride...), cosa che mi sollevò grandemente lo spirito!». Mi faccia mettere ordine cronologico, facendo un passo indietro: lei che origini ha, e di quale ramo della Casata Montezemolo? «La mia famiglia è numerosa, come ben si sa, e con Luca, il più conosciuto dei
Cordero, sono cugino, credo di secondo grado, ben non ricordo. Vede quanto sono interessato all’argomento... Io sono nato a Roma, ma cresciuto, da subito, a San Donato Milanese, in virtù del lavoro di mio padre, invece fiorentino di nascita, ingegnere di una grande Azienda dell’energia italiana...». Anche Luca è romano di nascita? «No. Luca è nato a Bologna, seppur suo padre Massimo, altrettanto conosciuto e stimato, fosse toscano, Livornese di Rosignano, terra anche a me molto cara...». Eravamo a San Donato... «Sì, dunque... (sorride). Ho anche studiato in Africa, in Nigeria, dalla terza alla quinta classe elementare, sempre per gli spostamenti professionali di mio padre. Ma in realtà, io mi son sempre sentito toscano. Ecco perché le ho detto che è una terra a me molto cara! La nonna di mia madre aveva fatto costruire una residenza estiva sul mare, a Castiglioncello, dove io appena potevo mi ritiravo... tutto ciò, ovviamente, prima di iniziare la mia vita attuale. Prima dei cavalli ci fu la passione per il mare». A Castiglioncello non avevi ancora in mente i cavalli? «Sì, avevo cavalli miei, per mio divertimento, addestravo anche cani da difesa, altra mia grande passione prima, ma all’epoca la mia passione primaria era la vela. Volevo costruirmi una carriera velistica, assolutamente! I cavalli presero il sopravvento nel 1998, quando feci il mio primo corso-istruttori di monta americana. Poi da li, con allenamenti su allenamenti per le gare e la carriera sportiva che ne derivò... rimasero solo i cavalli nella mia vita!». Da qui allora parte la tua attuale collocazione professionale? «Sì. Ho iniziato con Sergio Silvera a Lodi, e con Dario Bezzi che gestiva la struttura all’epoca, due tra i più conosciuti uomini di cavalli in Italia ed anche a livello internazionale. Con Silvera son rimasto fino al 2000. Da li è partita la mia carriera di trainer, ed ho girato parecchio». Fino ad approdare in Oltrepò Pavese... «Non è stata una meta cercata, è accaduto per caso, circa un anno fa. Devo dirle che non avevo mai lavorato nel pavese, ed ora che sto per lasciarlo le posso dire “per fortuna”. Anche se, ad esempio, la bellezza del territorio è innegabile! Ho due cari amici a Varzi, Matteo Mandonico e Beppe Tessara, che gestiscono un posto incantevole, proprio come quello nel piacentino ove mi sono appena trasferito». Ha trovato amici in Oltrepò? «No. Non ritengo sia un mio limite: io sono da sempre una persona educata, sorridente, positiva, solare... insomma, una persona a modo, no? Eppure non ho trovato alcuna sinergia umana in questa
Andrea Cordero di Montezemolo
zona. Tutti mi sembrano rinchiusi nei loro appartamenti, un po’ quasi infastiditi dal fatto che una persona arrivi dall’esterno, e ti fanno avvertire distintamente questa loro definizione contadina, rude, quasi a volerti avvisare che non sei esattamente ben accetto. Anche tra uomini di cavalli vedo poca collaborazione, pochi intenti condivisi reciprocamente. E credo sia così in tutti i settori. Lo stile di vita, la cultura, la mentalità degli abitanti... mi ha dato da subito la sensazione che “manchi” qualcosa. Come di una terra arretrata, in confronto a tante altri parti d’Italia». Arrivato in Oltrepò circa un anno fa e già pronto ad andarsene: quale la prossima metà? «Mi sono trasferito a Pianello Val Tidone, per la precisione a Case Varesi. Si chiama Amazing Grace Ranch, e sono 50 ettari che comprendono un borgo interamente ormai disabitato! L’ultimo abitante “ci ha lasciati” 5 anni fa. Il progetto è creare un bed & breakfast o piccolo agriturismo, vedremo. Il tutto, ovviamente, dedicato ai cavalli! Tutto circondato dai boschi, è zona di lupi. Davvero molto western, stile Wyoming! E qui, a 45 anni, mi piacerebbe “fermarmi”». di Lele Baiardi
«Non ho trovato alcuna sinergia umana in questa zona. Tutti mi sembrano rinchiusi nei loro appartamenti, un po’ quasi infastiditi dal fatto che una persona arrivi dall’esterno»
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Multe flop a Stradella? L’ amministrazione smentisce categoricamente
Gianpiero Bellinzona, comandante della polizia municipale A Stradella “girava la voce” e a dire il vero è apparso anche qualche articolo su qualche giornale locale, che nonostante le numerose multe dovute alle infrazioni del codice della strada, alla fine le stesse non venivano pagate dal destinatario, creando un “buco” nelle casse comunali. Il comandante della Polizia Municipale, Gianpiero Bellinzona, e il sindaco Piergiorgio Maggi smentiscono categoricamente questi dati. Bellinzona, vuole dirci qualcosa in merito alla vicenda dei presunti incassi flop del comune?
«Questo non corrisponde a verità in quanto il coefficiente di pagamento è molto, molto alto. Il riscontro con altre realtà è eloquente». Può darci qualche dato? «Partiamo da lontano, dal 2010. In quell’anno sono stati effettuati 3765 accertamenti: per 3182 l’iter è stato completato, pari all’84,51%. Il totale delle sanzioni era di 216754 e il comune ha incassato 167484 euro più 29029 euro con ruolo. Si capisce già da questo dato che non è un flop. Ma continuiamo con gli anni anni… Nel 2011 le sanzioni sono state più di 4000 e l’iter è stato completato per l’87%. Il comune ha incassato, tra sanzioni ordinarie e con ruolo, 134566. Nell’anno 2012, invece, gli accertamenti sono stati 3700 con un iter completato per l’83% circa: sono stati pagati 2810 accertamenti con pagamento ordinario e 283 con ruolo per un totale di 192478 euro (contro il totale di 220938 euro)». Nel 2013 entra però in vigore una novità… «Esattamente. Entra in vigore la possibilità di pagamento con sconto agevolato se si paga entro i cinque giorni dalla notifica. I dati degli importi naturalmente si riferiscono al valore nominale senza sconto. In questo anno l’iter è stato completato per il 79% con 2364 accertamenti pagati con ordinario, 381 con pagamento scontato e 265 con ruolo. Anche il 2014 l’iter di completamento è stato più o meno simile, con il 71,72%». Poi nel 2015 l’arrivo del rilevatore semaforico che tanto ha fatto discutere. «Sì, è entrato in vigore tra via Nazario Sauro e la via Nazionale. Gli accertamenti del solo rosso semaforico nel 2015 sono stati
Piergiorgio Maggi, sindaco 2067, pari al 37,16% e con una media giornaliera di poco più di 29 accertamenti». L’anno dopo è cambiato qualcosa? «Sempre per quanto riguarda gli accertamenti del rosso semaforico sono stati 3583, pari al 44% e con una media giornaliera di 9,81%. Arriviamo infine all’anno 2017, con 2567 accertamenti, pari al 37,73% e con una media al giorno di 7 accertamenti… sempre solo per quanto riguarda il semaforo tanto discusso». Cosa può dire in merito? «Se rapportato al volume di traffico sulla via Nazionale equivale a una sanzione rilevata su 2300 veicoli transitati in quell’incrocio. In generale invece dico che i dati che abbiamo rilevano un buon livello di riscossione. Qui seguiamo sempre in modo attento tutta la procedura e se si segue in modo così puntuale poi si hanno questi risultati». Anche il sindaco Maggi è d’accordo sulla positività dei risultati.
«Sono anche stati letti in consiglio comunale, sono dati ufficiali. La nostra situazione è buona, sia dal punto di vista dell’incasso immediato, che dell’incasso ordinario che del recupero. La cura delle entrate è davvero molto puntuale da noi». Parlando sempre del semaforo di via Nazionale, alcune persone multate si erano lamentate perché secondo loro non a norma. Cosa può dire in merito? «Le polemiche erano chiaramente pretestuose e hanno tentato in questo modo di mettere in difficoltà l’amministrazione. Non è un velox ed è stato messo unicamente per la sicurezza delle persone, dato che in passato ci sono stati incidenti mortali… e la gente si deve abituare che quando c’è il giallo si deve rallentare e quando c’è il rosso ci si deve fermare. Bisogna sempre pensare a chi arriva dall’altra parte: il codice della strada non l’ha inventato il comune di Stradella. Detto questo è inutile far polemica. Gli accertamenti comunque sono scesi di molto e questo vuol dire che le persone hanno imparato. Ci sono altri semafori in città che meriterebbero analoga trasformazione…non è detto che non si faccia. Se il rispetto della vita umana è così basso dovremo agire… e non parlo di concittadini di Stradella, perché ormai loro le multe lì non le prendono più. Parlo di persone che arrivano da fuori e pensano di fare i furbi. E non pensiamo poi che gli incassi vadano nelle casse degli amministratori: c’è una quota di legge che viene destinata alla sicurezza e si finanziano quindi altre opere per la sicurezza stradale». di Elisa Ajelli
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«La Consulta al Welfare è il fiore all’occhiello della nostra Amministrazione» Alessandra Mossi, al primo mandato come assessore comunale, ricopre le deleghe al Welfare e servizi alla persona: sociali, educativi, scolastici e culturali. Da quando è diventata assessore il suo progetto più importante si è concretizzato nell’istituzione della Consulta al Welfare, un organo che include tutte le associazioni del terzo settore del territorio, unitesi per proporre progetti di sviluppo. «è nato insieme a me e vuole rappresentare un significativo e fondamentale elemento di raccordo tra gli organi istituzionali del comune e i bisogni espressi dalla comunità cittadina, con il fine di promuovere e sostenere valori di solidarietà, integrazione sociale e cultura, tolleranza, impegno civile – spiega la sua promotrice - e intende proseguire le proprie finalità attraverso la promozione dell’associazionismo e del volontariato, la conoscenza e la valorizzazione della condizione giovanile, la prevenzione del disagio e la diffusione della cultura della solidarietà». Quali iniziative sono state prese per i giovani? «Ci sono stati progetti trasversali sul piano sociale ed educativo. La prevenzione dei comportamenti a rischio in età adolescenziale è da molti anni al centro delle politiche sociali del comune di Stradella: vengono programmati attraverso un patto educativo con le scuole, con le forze dell’ordine, con il terzo settore e anche con l’oratorio di Stradella, con cui abbiamo realizzato vari progetti da quando è stata costituita la Consulta al Welfare». Qual è l’ultimo progetto cui avete lavorato? «Si chiama “Creativamente” e si è concluso qualche giorno fa. E’ un progetto creato dalla Consulta insieme all’Oratorio: siamo giunti al terzo anno ed è fatto per favorire il più possibile il percorso di crescita di bambini e ragazzi, facilitando le famiglie. Quest’anno questi bambini, il lunedì dopo la scuola, si sono ritrovati con un’educatrice nei locali comunali e hanno svolto laboratori vari: sono andati, per esempio, al Museo, hanno preparato la pizza con un pizzaiolo e altre cose simili». Altri progetti della Consulta? «Un altro si chiama “Stati generali dei ragazzi”. Il primo appuntamento l’abbiamo fatto l’anno scorso e abbiamo coinvolto le scuole superiori, quindi Faravelli e Santa Chiara: abbiamo organizzato una giornata presso il palazzetto dello sport che si è svolta dando voce ai ragazzi. In collaborazione anche con le insegnanti è stato proposto un tema che era “Hai davanti a te una persona adulta, che può essere un amministratore, un insegnante, un genitore: che cosa vorresti dirgli”: sono quindi venute alla luce tutte le loro aspettative e le loro preoccupazioni, quello che si aspet-
tavano dalla città. Era stato davvero un bel lavoro. Quest’anno, invece, l’abbiamo ampliato anche alla scuola media». Qual è stata per lei l’iniziativa più importante intrapresa? «Sicuramente “In Dipendenza”, un progetto legato a “Mettiamoci in gioco”, per lo sviluppo e consolidamento di azioni di contrasto al gioco d’azzardo patologico. I ragazzi delle terze medie dell’istituto comprensivo di Stradella, della Valle Versa e del Faravelli hanno seguito degli incontri scolastici ed extrascolastici affrontando un percorso che ha coinvolto anche insegnanti e genitori. I ragazzi delle medie avevano un compito molto importante: quello di essere attori nella prevenzione delle dipendenze producendo dei messaggi di prevenzione da queste dipendenze patologiche e da comportamenti a rischio. I ragazzi del Faravelli, invece, hanno seguito dei laboratori per poter condurre una serata di educazione alla legalità e di contrasto al bullismo e cyber bullismo. La collaborazione con gli istituti scolastici è di fondamentale importanza nell’attuazione di programmi di prevenzione: tra l’altro i ragazzi stanno molto più attenti se il messaggio arriva da un loro coetaneo». Quali sono invece i progetti invece legati alla cultura? «Questa primavera c’è stato il Festival di Pasqua, che rientra nel progetto “Oltrecultura”: è stata una grande opportunità per l’intero territorio, in quanto attraverso una serie di eventi, si sono portati alla ribalta tradizioni artistiche e musicali, con al centro la fisarmonica. Quindi di conseguenza il Museo della fisarmonica, le attuali realtà produttive e l’Accademia del Ridotto, nata nel gennaio del 2017 e diventata una gran bella realtà inseritasi molto bene nelle attività culturali del nostro comune». Può tracciare un bilancio della sua esperienza politica finora? «Direi positivo. Abbiamo fatto cose che mi hanno dato davvero tanta soddisfazione. Anche per gli anziani si fa molto. Sembra sempre che siano servizi dovuti, ma in realtà non è così, non tutti i comuni fanno così. Assistenza domiciliare, mensa a domicilio, abbiamo una Rsa. In questi anni abbiamo instaurato ottimi rapporti con le associazioni, abbiamo avuto un prezioso aiuto dalle realtà locali, abbiamo volontari fantastici. Senza di loro tanti servizi non potrebbero essere svolti, come il Pedibus per i bambini. Un altro servizio che tanti altri comuni non fanno è il prescuola: abbiamo educatrici che accolgono i bambini sin dalle 7.30 … e per i residenti a Stradella è un
servizio gratuito». L’anno prossimo ci saranno le elezioni: pensa di ricandidarsi? «Torre Civica si sta muovendo con alcuni incontri con la cittadinanza: il candidato Sindaco sarà sempre Piergiorgio Maggi e valuteremo tutti insieme nei prossimi mesi il da farsi». di Elisa Ajelli
L’assessore Mossi: «L’organo esiste dal 2014 e propone importanti progetti per giovani e anziani» Alessandra Mossi
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A scuola con la Croce Rossa: «Tutti a turno hanno provato ad effettuare le manovre di rianimazione» I dati della Croce Rossa regione Lombardia sono dati importanti: 11.500 soccorritori che garantiscono risposta al fabbisogno del servizio di Emergenza/Urgenza, 3.200 volontari che intervengono nel trasporto di pazienti emodializzati, con difficoltà deambulatorie o con particolari esigenze di trasporto, 11.650 cittadini sono stati formati al corretto utilizzo dei defibrillatori pubblici e 11.800 cittadini alla corretta esecuzione delle manovre salvavita pediatriche. Una risorsa davvero importante per il territorio. La Croce Rossa di Stradella copre un vasto territorio, avvalendosi di un gran numero di volontari e fra i suoi obiettivi principali spicca quello di una sempre maggiore e continua formazione della popolazione alle varie pratiche di soccorso; Anna Crovace, vice presidente e consigliere giovane del comitato di Stradella, ci spiegherà in che modo proprio questo è avvenuto nel recente progetto “A Scuola con la CRI”. Anna, quali sono i paesi che rientrano nel vostro territorio di interesse? In che zone di ritrovate solitamente ad operare? «Il Comitato Locale CRI di Stradella si trova al centro dell’Oltrepò Pavese, compreso in un quadrilatero fra i comuni di Arena Po, Redavalle, Mezzanino e Ruino. Il suo bacino d’utenza attualmente è di circa 42.000 abitanti, distribuiti in 29 comuni collocati in un territorio diversificato morfologicamente, che va dalla pianura all’alta collina». Quanti volontari sono attivi nella vostra divisione? «Al 31 dicembre 2017 il Comitato di Stradella disponeva di ben 226 volontari di cui la metà, esattamente 101 sono volontari under 32 anni». Quali attività, svolte dal vostro comitato, riscuotono solitamente maggiore successo fra la popolazione? «Le attività che volgiamo sono di vario genere e vertono ovviamente ai 6 obiettivi strategici su cui opera la Croce Rossa Italiana, ovvero: tutela e protezione della salute e della vita; supporto e inclusione sociale; preparazione della Comunità e risposta ad emergenze e disastri; disseminazione del diritto internazionale umanitario dei principi fondamentali, dei valori umanitari e della cooperazione internazionale; promozione dello sviluppo dei giovani e di una cultura della cittadinanza attiva; sviluppo comunicazione e promozione del volontariato». Da chi è nata l’idea del progetto “A scuola con la CRI”? Come mai proprio a Santa Maria della Versa? «A scuola con la CRI nasce come un progetto per far conoscere Croce Rossa e per trasmettere nozioni base di Primo Soccorso ai ragazzi delle scuole medie all’interno del protocollo d’Intesa tra CRI e MIUR. Questo progetto è stato attivato per le classi seconde e terze delle scuole primarie di
secondo grado dell’Istituto Comprensivo Valle Versa, sede di Montù Beccaria. L’idea è nata in collaborazione con una Professoressa di questo Istituto. Insieme abbiamo pensato che potesse essere utile avvicinare i ragazzi alle nozioni base di primo soccorso. Tali nozioni sono indispensabili per tutti i cittadini di qualsiasi età; infatti, con conoscenze anche solo di base, in alcune situazioni si può fare la differenza. Proprio da questo presupposto è nata l’idea di portare questo progetto a scuola». Come è stata la risposta dei bambini e quindi delle loro famiglie, essendo in un’età così giovane? «I ragazzi erano molto entusiasti, soprattutto quando hanno avuto la possibilità di provare con mano attraverso delle simulazioni quanto avevano appreso durante gli incontri teorici. Da parte dei genitori non abbiamo avuto feedback, ma speriamo che abbiano capito anche loro l’importanza di un progetto di questo tipo nelle scuole. Sicuramente la parte più interessante per loro è stata quella svoltasi durante l’ultimo incontro, tutti a turno hanno provato ad effettuare le manovre di rianimazione cardiopolmonare sui nostri macchini e loro stessi si sono resi conto di come, provando più volte, ad ogni prova il loro massaggio fosse più efficace e migliorasse». Come si è strutturato il corso, quanto è durato? Quali sono stati gli argomenti affrontati? «Il progetto si è articolato in diversi incontri con gli studenti: uno iniziale dove abbiamo parlato della Storia di Croce Rossa, dei suoi Principi con qualche accenno di Diritto Internazionale Umanitario; uno teorico sul Primo Soccorso dove sono state trattate le tematiche più vicine ai ragazzi di questa età; uno sulle manovre BLS laico e su come effettuare una corretta chiamata al 112; infine un incontro conclusivo dove i ragazzi hanno messo in pratica attraverso delle simulazioni di bls laico e chiamate al 112 quanto appreso. La stesura del progetto è avvenuta nel 2017 e si è svolto tutto nel 2018». Quali sono stati gli argomenti che sembrano aver interessato maggiormente i ragazzi? Come avete fatto ad attirare una costante attenzione da parte dei bambini, su argomenti non sempre così semplici e lineari? «Ovviamente con dei ragazzi di questa età non è sempre facile mantenere l’attenzione, ma le attività che noi giovani svolgiamo nelle scuole si basano sulla peer education, una comunicazione alla pari che cerca, quindi, di creare la minor distanza possibile tra “docente” ed alunno. Sicuramente, inoltre, è stato molto utile affiancare alle nozioni teoriche anche degli esempi pratici in riferimento ad avvenimenti che potrebbero accadere tutti i giorni (caduta dalla bici/moto ecc ecc)». Pensate che sia importante che già da
Anna Crovace, vice presidente CRI Comitato di Stradella piccoli i ragazzi si avvicinino alla conoscenza delle varie procedure che fanno parte del basic life support? «Assolutamente sì, prima avviene il primo contatto con queste nozioni e più i bambini/ ragazzi potranno fare la differenza in situazioni in cui il tempo di intervento gioca un ruolo chiave. Il nostro desiderio è che più persone possibili si interessino a queste tematiche e si rendano conto di quanto siano importanti». Avevate già svolto attività simili in altre scuole? Se sì dove e in che modo? «Di questo tipo no, o meglio, non con un progetto così strutturato. Solitamente parliamo di questi argomenti per noi fondamentali durante le giornate di volontariato nelle scuole, ma ovviamente un progetto di questo tipo trasmette nozioni che non possono essere apprese in solo 30 minuti di intervento. Abbiamo svolto altri progetti di sensibilizzazione nelle scuole quello sì, ma gli argomenti trattati erano differenti, ad esempio le dipendenze e le
malattie sessualmente trasmissibili». La Croce Rossa di Stradella è sempre stata molto attenta nel coinvolgere i ragazzi e i giovani dell’Oltrepò in attività di vario genere, ma per quanto riguarda gli adulti, cosa viene fatto? Svolgete attività di supporto e corsi simili anche in altri ambienti oltre a quello scolastico? «Sì, il nostro fine ultimo è sensibilizzare le persone di tutte le fasce di età. Il nostro Comitato periodicamente e anche sotto richiesta, organizza corsi di primo soccorso, corsi di bls-d laico (rianimazione cardiopolmonare con uso di defibrillatore laico), disostruzione in età pediatrica e tanto altro. Proprio per questo il 16 giugno organizzeremo una giornata “Croce Rossa a porte aperte” presso la nostra sede, la popolazione avrà la possibilità di vedere cosa facciamo ed in caso ci sarà la possibilità di iscriversi ai prossimi corsi». di Elisabetta Gallarati
BOSNASCO
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«Secondo me il compenso da sindaco potrebbe benissimo andare in beneficenza» Maurizio Calchi, candidato sindaco per la lista “Vivere Bosnasco” è alla sua prima esperienza in campo politico, anche se come membro della Pro Loco di Bosnasco è membro attivo della comunità. Nel caso di una sua elezione, qual è la prima opera che metterà in cantiere, la cosa che subito e concretamente realizzerà? «Sicuramente al primo posto la sicurezza. Poi le donne e gli anziani». Qual è o quali sono le principali differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «Siamo più o meno tutti sulla stessa linea. Nel nostro programma c’è qualcosa di nuovo, come la wi-fi per i ragazzi nella zona della scuola che adesso non c’è, una partenza settimanale di una navetta per anziani per servizi generali…sempre per gli anziani appuntamenti mensili con medici, una pista ciclabile per valorizzare il territorio, sistemazione del piano giochi». Bosnasco è un comune di circa 700 abitanti. Le liste sono cinque e i candidati sono 47. Un dato importante se pensiamo che in altri comuni oltre padani con numero di abitanti ben superiore a quello di Bosnasco si è riusciti a comporre una sola lista. Secondo lei perché a Bosnasco la partecipazione politica è così sentita e attiva? «Ci sono appunto cinque liste, di cui di persone che arrivano da fuori, quindi non conoscono l’ambiente di Bosnasco, poi ci siamo noi e la lista del sindaco attuale, Flavio Vercesi…e poi c’è quella della Lega,
che secondo me pensano di poter strappare un risultato positivo visto l’andamento nazionale di questo partito». Negli ultimi tempi si è parlato molto di fusione dei comuni. Lei è favorevole o contrario e perché? «L’idea è quella di fare una fusione con dei comuni vicini, come San Damiano, ma sicuramente è molto difficile: una collaborazione su alcune cose sarebbe bello, fare una fusione vera e propria secondo me non è fattibile». Tema sicurezza: anche i piccoli centri oltre padani non sono immuni da furti sempre più all’ordine del giorno. Lei e la sua squadra quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «Nuove telecamere all’entrata delle vie principali del paese prima di tutto. Poi è nostra intenzione cercare qualche società di vigilanza notturna che giri per il paese e controlli la situazione. Gruppi per segnalazioni di situazione critiche, magari in collegamento anche con carabinieri o polizia di Stradella e poi qualche riunione con le forze dell’ordine». Bosnasco è terra legata al vitivinicolo, mondo che ha subito negli ultimi tempi numerosi scossoni, non sempre positivi. Cosa si può fare secondo lei e cosa intende fare per aiutare questa parte economica del suo paese? «Valorizzare il territorio con il vino, con i prodotti buoni che abbiamo e con i ristoranti, facendo anche percorsi enogastronomici o degustazioni di vini».
Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità? «Lampioni dove non c’è luce, come in alcune frazioni come Spairano o Torrone. Poi l’asfalto delle strade». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per incrementarla e potenziarla? «Implementare la raccolta della plastica, perché in paese ci sono pochi bidoni e poi un’area dove si può buttare il verde che a Bosnasco non c’è». Quali sono le iniziative o i progetti che concretamente intende mettere in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Vorremmo mettere a posto un parco per i bambini, magari dove c’è la Proloco mettere la wifi, così i ragazzi hanno modo di venire, stare insieme, studiare... e poi sistemare il campo di calcio». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata? «Come ho già detto prima, organizzare navette che li accompagnino in commissioni varie, fare loro la spesa, visite controllate dal medico, costruire una passeggiata apposta per loro…». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso di sua elezione intende aiutare e incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo?
Maurizio Calchi «Vorremmo sicuramente incentivare questo mondo. Insieme alla Proloco magari organizzare qualcosa in più, anche con la Chiesa. E proprio a proposito della Chiesa, devo dire che necessita di lavori di ristrutturazione: magari con la Cei e con il contributo del Comune e di qualche manifestazione fatta con la Proloco si riusciranno a fare». Stipendio sindaco e amministratori comunali: lo ritiene cosa giusta o rinuncerà al compenso? «Secondo me il compenso da sindaco potrebbe benissimo andare in beneficenza».
BOSNASCO
In base alla legge 28 del 2000 sulla Par Condicio, avremmo sottoposto le stesse domande e concesso lo stesso spazio anche agli altri tre candidati sindaci al Comune di Bosnasco. Ciro Ciotola, Michele D’Alessio e Fabio Vercesi contattati telefonicamente e via e-mail hanno risposto di non voler rilasciare alcuna intervista a ‘Il Periodico News’ Non ci resta che prendere atto della loro scelta e rispettarla.
BOSNASCO
il Periodico News
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«Noi proseguiremo sulla nostra strada, con semplicità e umilità, e inserendo in giunta anche dei giovani» Flavio Vercesi è il Sindaco uscente di Bosnasco. è alla fine del suo quinto mandato come primo cittadino: alle ultime elezioni aveva fatto il pieno di voti. Nel caso di una sua elezione, qual è la prima opera che metterà in cantiere, la cosa che subito e concretamente realizzerà? «Sicuramente il cantiere che sta già partendo e che riguarda l’illuminazione normale e con i led». Qual è o quali sono le principali differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «Mah… sulle differenze di programma non commento. Noi abbiamo fatto un programma su quello che sappiamo che bisogna fare nel nostro comune, la mia è un’amministrazione che c’è da tanti anni e vogliamo proseguire con una continuità: quello di cui il nostro paese aveva bisogno noi riteniamo di averlo fatto. Abbiamo dato il massimo in questi dieci anni ed è il motivo per cui ci siamo riproposti. Sul fatto che ci siano liste nuove… decideranno i cittadini. Noi proseguiremo sulla nostra strada, con semplicità e umilità, e inserendo in giunta anche dei giovani molto bravi e preparati e soprattutto che vivono la vita di paese». Bosnasco è un comune di circa 700 abitanti. Le liste sono cinque e i candidati sono 47. Un dato importante se pensiamo che in altri comuni oltre padani con numero di abitanti ben superiore a quello di Bosnasco si è riusciti a comporre una sola lista. Secondo lei perché a Bosnasco la partecipazione politica è così sentita e attiva? «Così sentita non la vedo… Due sono liste di persone che non sappiamo neanche chi sono. La lista della Lega ha un candidato sindaco residente in paese e poi ha candidato persone che vivono fuori e che non sanno minimamente le problematiche che ci possono essere. E poi ho visto cose che non mi sono piaciute: se vedo in lista candidati che sono papà, moglie, genero… personalmente non ho nulla da dire, ma da un punto di vista politico non credo che sia il modo giusto di fare. è irrispettoso nei confronti dei cittadini, ma saranno loro a giudicare. Molto fair-play invece c’è con l’altro candidato Sindaco Calchi, persona sempre corretta. Io comunque vado avanti con la mia trasparenza e la mia umiltà, mettendo persone che racchiudono il territorio del paese». Negli ultimi tempi si è parlato molto di fusione dei comuni. Lei è favorevole o contrario e perché? «Se ne è accennato: in un’ottica futura potrei essere favorevole. Bisogna vedere però in che modo e con quali comuni. Nel 2018 sono sicuramente per accorpare servizi nel modo giusto, per dare respiro al
comune. Bosnasco ha già fatto qualcosa in questo senso ed è una cosa positiva». Tema sicurezza: anche i piccoli centri oltre padani non sono immuni da furti sempre più all’ordine del giorno. Lei e la sua squadra quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «Abbiamo già messo telecamere e stiamo continuando a farlo. Abbiamo fatto anche incontri con anziani e carabinieri: è un tema che abbiamo sempre preso in grande considerazione». Bosnasco è terra legata al vitivinicolo, mondo che ha subito negli ultimi tempi numerosi scossoni, non sempre positivi. Cosa si può fare secondo lei e cosa intende fare per aiutare questa parte economica del suo paese? «Fortunatamente le aziende di vino del nostro paese non sono state coinvolte in scossoni. Per quanto mi riguarda, paghiamo progetti e sbagli che risalgono a tanti anni fa. è impensabile che una cantina come quella della Versa abbia subito così tante vicissitudini, quando era un fiore all’occhiello del territorio. Il tema della produzione vitivinicola comunque è fondamentale per il nostro Oltrepò. Però c’è un altro discorso da fare: in Oltrepò bisogna arrivarci bene. Non bisogna arrivare con le strade bucate e non si può dopo tanti anni discutere ancora sul Ponte della Becca. Sono problemi che di riflesso finiscono sulle attività del territorio». Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità? «Abbiamo una buona viabilità e abbiamo investito duecento mila euro nella scorsa legislatura. Abbiamo nel programma strade da sistemare». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per incrementarla e potenziarla? «Procediamo con la collaborazione che abbiamo con la Broni stradella Spa. L’intenzione è quella di potenziare la raccolta, vedremo che tipo di interventi si possono fare, giusti sempre per il cittadino». Quali sono le iniziative o i progetti che concretamente intende mettere in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Abbiamo un parco giochi che funziona benissimo e che porta gente anche da tanti altri comuni, abbiamo la piscina… cercheremo di mantenere bene e di tenere in ordine tutto. C’è sempre stato anche un grande rispetto da parte di chi fruisce di queste strutture, devo dirlo». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata?
Flavio Vercesi
«Grossissimi problemi non ce ne sono e quelli che si sono presentati li abbiamo sempre affrontati subito. Abbiamo sempre fatto corsi di ginnastica dolce, abbiamo portato gli anziani a fare le cure termali e li mandiamo al mare a prezzi davvero ottimi. L’anziano da noi non sarà mai lasciato solo». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso di sua elezione intende aiutare e incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo? «Abbiamo una Proloco che è a dir poco stupenda! Vado fiero di questa associazione: persone che hanno dato tanto al paese e che hanno sempre organizzato feste e ma-
nifestazioni che hanno portato tantissima gente da noi. Incentivare? Certo…non si dice mai “è abbastanza così” e si cerca di fare sempre meglio. Cominciamo a tenere tutto il buono che abbiamo sempre fatto e poi faremo qualche passettino in più». Stipendio sindaco e amministratori comunali: lo ritiene cosa giusta o rinuncerà al compenso? «Personalmente per il compenso, che poi al netto si riduce a poche centinaia di euro al mese, non sono per la rinuncia. Ci spendo tanto tempo, sono responsabile del Comune e se faccio i calcoli alla fine dell’anno non ci guadagno, anzi». di Elisa Ajelli
SAN DAMIANO AL COLLE
il Periodico News
GIUGNO 2018
«Vedremo di incrementare il mondo del volontariato» Cesarino Vercesi, sindaco a tempo pieno del comune di San Damiano al Colle, è stato eletto primo cittadino nel maggio del 2013 con la lista civica “Il futuro per San Damiano”. Nel caso di una sua elezione, qual è la prima opera che metterà in cantiere, la cosa che subito e concretamente realizzerà? «L’illuminazione a Led, poco ma sicuro. E poi aumentare le telecamere di sorveglianza e sistemare i cimiteri». Qual è o quali sono le principali differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «C’è un abisso, perché l’altra lista porta avanti la questione del territorio, ma quello l’abbiamo già salvaguardato e andremo avanti a farlo. Purtroppo è gente che arriva da fuori, seguono un binario e vanno avanti su quello. Quello che posso dire è che andremo avanti a fare quello che abbiamo già iniziato in questi cinque anni, per il bene del paese e dei cittadini». Negli ultimi tempi si è parlato molto di fusione dei comuni. Lei è favorevole o contrario e perché? «Sono contrario. Se la fusione viene calata dall’alto, da Roma, è un discorso ma se i
comuni devono indire dei referendum io so già che al mio paese la fusione viene bocciata». Tema sicurezza: anche i piccoli centri oltre padani non sono immuni da furti sempre più all’ordine del giorno. Lei e la sua squadra quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «Vogliamo, come dicevo prima, aumentare il sistema di sorveglianza con le telecamere. Con queste abbiamo già rilevato certi furti e certi personaggi». San Damiano al Colle è terra legata al vitivinicolo, mondo che ha subito negli ultimi tempi numerosi scossoni, non sempre positivi. Cosa si può fare secondo lei e cosa intende fare per aiutare questa parte economica del suo paese? «Ci sono tanti modi, ma non è facile. L’amministrazione fa quello che può ma deve avere vicino la cittadinanza, perché abbiamo sempre le mani legate». Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità? «Le strade comunali sono state asfaltate tutte ed è stato fatto tutto il centro storico. Le strade provinciali verranno invece
Cesarino Vercesi asfaltate a giorni dalla Provincia. Più di così non si può. Ho portato a casa 800 mila euro a fondo perduto: questo lo voglio sottolineare. Il comune aveva debiti grossi e in cinque anni di questa amministrazione il bilancio è ora in attivo. Penso che la mia amministrazione abbia agito bene». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per incrementarla e potenziarla?
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«In centri grossi come Stradella è un conto, ma farla in paesi piccoli come il nostro non è facile fare il porta a porta. Spero di arrivarci un giorno…». Quali sono le iniziative o i progetti che concretamente intende mettere in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Per i bimbi abbiamo fatto da poco il parco gioco nuovo». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata? «Vedremo poi se ci sarà qualche bando della Comunità Europea per le case di riposo… ogni comune dovrebbe averne una a mio parere. Sono stato a Bruxelles e a Strasburgo: c’è un piccolo progetto nella Comunità Europea… ma aspetto a parlarne, vedremo se si realizzerà». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso di sua elezione intende aiutare e incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo? «Vedremo di incrementare il mondo del volontariato e di creare una Auser o qualcosa di simile. Voglio sottolineare però che abbiamo una proloco davvero efficiente». Stipendio sindaco e amministratori comunali: lo ritiene cosa giusta o rinuncerà al compenso? «Io lascio già una buona parte del mio compenso alle casse del comune».
di Elisa Ajelli
SAN DAMIANO AL COLLE
il Periodico News
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Sicurezza: «Metteremo dei responsabili in ogni frazione» Giancarla Vicentini, operatore socio sanitario, è la candidata sindaco per il comune di San Damiano con la lista “Italia Reale”: è alla sua prima esperienza come candidato primo cittadino; si era già candidata invece come consigliera in altri due comuni. Nel caso di una sua elezione, qual è la prima opera che metterà in cantiere, la cosa che subito e concretamente realizzerà? «La prima cosa da fare è sicuramente capire la situazione e intensificare la pressione sulla Provincia per asfaltare la provinciale». Qual è o quali sono le principali differenze tra il suo programma elettorale e quello dei suoi avversari? «In sostanza non ci sono differenze rilevanti, ma ascolterò tutti per cercare di risolvere i problemi dei cittadini di San Damiano e cercare di risolvere i disagi». Negli ultimi tempi si è parlato molto di fusione dei comuni. Lei è favorevole o contrario e perché? «Il partito Italia Reale è contrario alle fusioni, ma noi mettiamo in primo piano i cittadini quindi farò quello che dovrebbe uscire da un referendum, non ostacolerò
nessuna iniziativa di questo genere». Tema sicurezza: anche i piccoli centri oltre padani non sono immuni da furti sempre più all’ordine del giorno. Lei e la sua squadra quali iniziative concrete avete in mente di mettere in atto per cercare di combattere la microcriminalità? «Noi siamo concordi nel procedere a vigilare sul territorio da parte dei cittadini per tutte le segnalazioni anomale e segnalarle agli organi competenti: per questo metteremo dei responsabili in ogni frazione e intensificheremo i rapporti con le forze di polizia». San Damiano al Colle è terra legata al vitivinicolo, mondo che ha subito negli ultimi tempi numerosi scossoni, non sempre positivi. Cosa si può fare secondo lei e cosa intende fare per aiutare questa parte economica del suo paese? «Saremo più vicini ai viticoltori e cercheremo di aiutarli tramite siti internet, per la diffusione e promozione dei vari vigneti, anche con manifestazioni in loco». Viabilità: qual è o quali sono le iniziative che metterà in atto per rendere più sicura la viabilità?
«Come già detto, faremo pressioni sulla Provincia per asfaltare la strada provinciale che attraversa tutto il comune». Raccolta differenziata: in che modo concretamente intende procedere per incrementarla e potenziarla? «Cercheremo di sensibilizzare la popolazione e spiegare il beneficio di questa raccolta». Quali sono le iniziative o i progetti che concretamente intende mettere in atto per potenziare ad esempio le aree destinate alle attività ricreative di bambini e ragazzi? «Ho notato che si è fatto qualcosa. Noi cercheremo di coinvolgere i ragazzi e i loro genitori per il mantenimento in buono stato delle aree a loro destinate». Anziani: quali sono a suo giudizio le problematiche e le esigenze da affrontare e a cui dare una risposta immediata? «Vogliamo essere più vicini agli anziani per aiutarli nelle loro priorità, anche perché, essendo operatore socio sanitario, ho fatto studi inerenti al problema». Il mondo del volontariato è sempre più indispensabile alla vita sociale di un comune: in caso di sua elezione intende
Giancarla Vicentini aiutare e incentivare le attività legate alle associazioni e al volontariato? In che modo? «Ho visto che c’è un volontariato efficiente, cercherò di ampliarlo anche dando dei contributi, perché senza di loro un comune è vuoto». Stipendio sindaco e amministratori comunali: lo ritiene cosa giusta o rinuncerà al compenso? «I compensi sono giusti in quanto sindaco e amministratori dedicano o dovrebbero dedicare il loro tempo per il comune e i cittadini». di Elisa Ajelli
SANTA MARIA DELLA VERSA
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La fusione Alta Val Versa non decolla: Ordali: «Io non sarò della partita» Circa un anno fa, il sindaco Ordali di Santa Maria della Versa ha proposto la fusione con alcuni comuni confinanti, più precisamente con Golferenzo, Volpara, Montecalvo Versiggia e Canevino, al fine di attenuare i problemi che negli ultimi anni interessano tutte queste amministrazioni. Dalla fusione nascerebbe un unico Comune, esteso per una quarantina di km quadrati (circa 3500 abitanti complessivamente). Il sindaco Ordali da mesi continua a ribadire che si tratta di un’opportunità vantaggiosa dal punto di vista economico – si parla di 500mila euro all’anno per dieci anni - tuttavia, gli altri Sindaci (escluso il sindaco Bossi di Volpara), sembrano “fare orecchie da mercante”...
Fusione: «Per Santa Maria sarà un’opportunità economica persa, per gli altri Comuni più piccoli, tanti auguri...». Sindaco Ordali: il progetto per la fusione dei Comuni non parte, perchè? «Non certo per colpa del Comune di Santa Maria che aveva fatto la proposta circa un anno fa. Innanzitutto occorrono forti motivazioni da parte degli amministratori dei Comuni interessati e francamente non mi sembra che esistano in tutti...». Quali sono i Comuni che non hanno risposto positivamente? «Alla proposta iniziale del sottoscritto, ha risposto subito positivamente solo Matteo Bossi, sindaco di Volpara, Comune che però non è direttamente confinante con quello di Santa Maria della Versa. Per quanto riguarda gli altri Comuni, Canevino ha recentemente aderito al progetto di fusione con Ruino e Valverde, a Montecalvo sembra che solo il sindaco sia favorevole alla fusione, mentre Golferenzo: non pervenuto!». Canevino avendo aderito alla fusione con Ruino e Valverde, non è quindi contrario alla fusione; perchè secondo lei questa scelta? «Canevino non ha chiuso le porte, ha semplicemente fatto un’altra scelta, ovvero quella di andare con Valverde e Ruino (forse per omogeneità di territorio). Il sindaco Chiesa con questa scelta ha dimostrato lungimiranza e di saper guardare al di là del proprio orticello: complimenti!».
Maurizio Ordali, sindaco di Santa Maria della Versa, al suo ultimo mandato
Nel Comune di Zavattarello, ad esempio, è stato fondato un Comitato per promuovere ed informare i cittadini sulle varie opportunità delle fusioni, in quanto spesso manca la diretta informazione ai cittadini. Lei cosa ne pensa al riguardo? Nel vostro caso, i cittadini dei Comuni interessati sono stati informati preventivamente? «Per quanto mi riguarda ho riscontrato molti pareri favorevoli tra i miei concittadini e non solo; comunque se non si parte con un primo pronunciamento dai rispettivi consigli comunali, si ferma tutto, compreso il pronunciamento della gente». Sindaco Ordali, perché la fusione è un’opportunità per i piccoli Comuni? «La fusione dei Comuni è un’opportunità per il nostro territorio con entità economiche omogenee e, oltre alla possibilità di razionalizzare le risorse ed i servizi, principalmente comporterebbe un importante vantaggio economico per via dei consistenti contributi statali di incentivazione (nel nostro caso ammonterebbero a oltre 500.000€ all’anno per dieci anni), oltre a quelli attualmente in essere, e noi ci stiamo lasciando scappare questa opportunità! Tutti queste risorse, il nuovo Comune potrebbe destinarle in investimenti, servizi, ma anche in altri settori come contributi a chi dà lavoro e apre nuove attività, de-
tassazioni per i cittadini e altro ancora...». Santa Maria della Versa sarebbe per ovvie ragioni il Comune capofila di questa eventuale fusione. Crede sia questa, con la relativa perdita di identità dei altri piccoli comuni, la motivazione che porta a “storcere il naso” di fronte ad una fusione? «Non ci sarebbe nessun Comune capofila, ma semplicemente un Comune nuovo, più grande, più importante, con più peso e con più disponibilità economiche. Qui non c’è da storcere nessun naso, è un’opportunità, è un treno che sta passando ora, il prossimo treno potrebbe portare la legge che obblighi i piccoli Comuni a fare le fusioni con molti meno soldi. Se invece, come qualcuno mi ha accennato, a dar fastidio ad alcuni colleghi sindaci ed amministratori potrebbe essere la mia candidatura a sindaco del nuovo Comune, questa la tolgo dal tavolo in quanto personalmente ho già comunicato che io non sarò della partita con nessun ruolo!». Dove a suo giudizio hanno o stanno sbagliando i sindaci in merito alla fusione? «La legge prevede che la proposta di fusione tra i Comuni abbia un primo passaggio nei rispettivi consigli comunali, e dopo, il pronunciamento vincolante e definitivo della popolazione di ogni singolo Comune attraverso il Referendum.
Secondo me sbagliano i colleghi sindaci a non portare in consiglio la proposta per dare così ai loro concittadini l’opportunità di pronunciarsi a favore o contro (per esempio un mese fa i cittadini di Carbonara Ticino hanno votato sì alla fusione, quelli di Villanova d’Ardenghi hanno votato no, quindi discorso chiuso, ma almeno i cittadini hanno avuto la possibilità di esprimersi)». La proposta di fusione tra i Comuni dell’Alta Valle Versa era partita da lei. Lei è al suo ultimo mandato. Pensa di riprovarci l’anno prossimo ricandidandosi a sindaco del suo paese? «Nella primavera del 2019 ci saranno le elezioni comunali a Santa Maria della Versa, spero che i nuovi amministratori prendano in mano la questione della fusione tra i comuni dell’Alta Val Versa. Dove io ora ho perso, non vorrei che altri fallissero». Se la fusione non verrà fatta, quale scenario vede delinearsi per Santa Maria e per i comuni limitrofi? «Il sole sorgerà ancora. Per Santa Maria sarà un’opportunità economica persa, per gli altri Comuni più piccoli tanti auguri...». di Silvia Cipriano
SANTA MARIA DELLA VERSA
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La Versa, parla Abele Lanzanova: il padre di tutti i mali... Di tutti? Un amico mi diceva: “Se hai commesso un errore e sorridi significa che hai già individuato su chi scaricare la colpa”. Ritengo che qualcuno, magari anche oltrepadano, uscitone pulito dalla vicenda La Versa abbia potuto sorridere. Nella “storia” del fallimento La Versa mi è risultato, fin dal primo momento, abbastanza difficile dare tutte le colpe a Lanzanova. Abele Lanzanova era arrivato a Santa Maria della Versa ad inizio 2015 per salvare una cantina che era in coma profondo, la mattina di giovedì 21 luglio 2016 le Fiamme Gialle lo arrestano con l’accusa di aver messo in atto un meccanismo di frode e auto riciclaggio basato su fatture relative a operazioni inesistenti. L’accusa era che Lanzanova avesse bisogno di soldi, perché la società La Versa Spa era stata ammessa a un accordo di ristrutturazione, per evitare il fallimento. Per trovare questi soldi, secondo l’autorità competente, Lanzanova faceva “uscire” dalla Cantina La Versa Spa i soldi, per un totale di 381.400 euro e poi li faceva rientrare sempre in cantina come aumento di capitale , tramite un giro di riciclo dello stesso denaro: i soldi uscivano da La Versa Spa poi passando alla società La Versa International, di proprietà dello stesso Lanzanova, ritornavano sul conto di La Versa Spa alla voce “aumento di capitale”. Lanzanova innocente o colpevole, questo non lo so e non sta a me giudicare, anche se un vecchio detto dei carcerati recita “qui siamo tutti innocenti….ma se andavamo a servir messa …qui non ci venivamo”, quindi qualche errore , piccolo o grande, sarà l’autorità giudicante che lo stabilirà, lo avrà pur commesso. Certamente Lanzanova è arrivato quando La Versa era in coma, la ha lasciata in come e poi La Versa è morta. Ha fatto tutto da solo ? chi c’era prima non ha colpe ? Ognuno ha le sue idee e opinioni in proposito. Molti hanno espresso la loro opinione sui giornali, al bar o durante cene o tavolate con amici, Lanzanova ha da quel giorno taciuto, c’è chi dice chi tace acconsente , realtà , a mio giudizio, chi tace non dice niente. Per questo motivo abbiamo voluto intervistare colui che per molti, anche per qualcuno che grazie al suo arresto ha potuto sorridere, è il “padre di tutti i mali di La Versa” A volte ritornano… Lanzanova non è “scomparso” e dopo due anni dalla vicenda che lo ha coinvolto è in giro per l’ Oltrepò. Nostalgia per questa terra? «Nostalgia direi no, ho parecchi amici e conoscenti, vengo semplicemente a fare un giro…». Quando è successo “l’affaire” La Versa molti dicevano che Lanzanova era sparito, il fatto che lei ritorni e che abbia amici sul territori vuol dire che non tutti le hanno dato la colpa di quanto è suc-
cesso. Qual è stato l’errore più eclatante che ritiene di aver commesso? «Essermi fidato dei “vecchi” componenti amministrativi della società, a partire dai dirigenti sino ai consiglieri. Personaggi che mi hanno sempre remato contro e che non mi hanno mai realmente accettato e non hanno mai accettato il cambiamento che io rappresentavo». Lanzanova ha fatto fallire La Versa. Questa è una delle frasi che più si sono sentite in Oltrepò. Lei cosa risponde ora che può rispondere? «È un’ accusa che noi sta in piedi. L’azienda quando sono arrivato aveva già 24 milioni di debiti, debiti che certamente non ho fatto io. Io mi sono trovato ad essere l’Amministratore delegato…». Quando lei è arrivato in La Versa ha trovato 24 milioni di debiti, fino al suo ultimo giorno di lavoro, i debiti erano aumentati o diminuiti? «Erano diminuiti, non solo, vendite riprese, una maggior presenza sul territorio oltrepadano ed un’immagine oggettivamente nuova rispetto al passato». Ma Lanzanova non “andava bene”.. Perché secondo lei? «Credo che non sia dovuto al fatto che i miei metodi non piacessero o forse non piaceva il mio modo di operare, ma in realtà credo che per qualcuno fosse più conveniente far fallire la società per poi riprenderla. Dico questo perché le persone del gruppetto che mi faceva la guerra sono le uniche che si sono presentate per far fallire la società e successivamente si sono presentate per comprarla». Le chiacchere da bar rimangono tali, ma c’è anche un altro detto “voce del popolo voce di dio” e la voce del popolo era e per certi versi è, che Lanzanova ha portato via i soldi di La Versa. Cosa dice a tal proposito? «Dico che Lanzanova ha lavorato con la sua testa, ha commesso delle ingenuità ma di soldi non ne ha mai messo in tasca». Quando è arrivato la situazione vendite a La Versa era in crisi e da diversi anni, lei comunque ha cercato di rivitalizzarla. Ha lavorato solo sui prezzi di vendita o anche sui costi? «Ho aumentato i prezzi di vendita perché troppo bassi e ho lavorato sui costi fornitori per gli acquisti e sul costo del personale». Perché secondo lei La Versa con il suo sistema di gestione poteva farcela? «Perché avevamo ottenuto un accordo con le banche, contratti sostanziosi con diversi clienti, insomma i presupposti c’erano tutti». In quanti anni pensava di riportare La Versa in acque tranquille? «Tre anni. Il primo anno avevamo già una previsione di bilancio in pareggio, quin-
di… Se dovesse ripartire oggi in La Versa, dopo l’esperienza maturata, qual è la prima cosa che non farebbe più? «Assolutamente non mi terrei intorno gente che ha portato La Versa in quelle condizioni, non ascolterei certi consigli dati sempre da questa gente e sceglierei personalmente il personale con il quale lavorare. Qual era il suo rapporto con il Consiglio di Amministrazione? «Certamente poco dialogo, sapendo anche che certi elementi del Cda si erano “venduti” ad altre cantine Lei ha avuto un rapporto burrascoso con il collegio sindacale perché? «Non con tutti, ad esempio con il Professor Mella e il Professor Navaroni ho avuto un rapporto di cordialità, di contro con il presidente Aricò non c’è mai stata sintonia, a mio modo di vedere troppo legato al vecchio consiglio di amministrazione e troppo presuntuoso».
«La Versa aveva bisogno di uno che avesse in mano il mercato dell’imbottigliato e non del vino sfuso» Che rapporto aveva con i vari soci della cantina? «Ritengo che la maggior parte dei i soci, quelli che lavoravano la terra, tanto per intenderci, fossero schierati con me, il restante 25% che aveva il tempo di andare nei bar e sui giornali a sparare a zero contro di me, li avevo contro. Addirittura un socio poi a capo di un gruppo che era interessato ad acquisire La versa , tramite il suo legale ha presentato una denuncia contro la vecchia amministrazione, ma noi stavamo preparando il concordato e non volevo ulteriori turbative, lo contattai per trovare un accordo e in quella circostanza mi chiese in cambio, per togliere la denuncia, il complesso di Montescano o una cifra molto importante, il doppio del dovuto. Lì mi sono reso conto di quali persone circondavano La Versa, poi il “cattivo” sono
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io…». E con la politica locale che rapporto aveva? «I politici che son venuti da me sono venuti solo per far pressione per la cessione di qualche ramo d’azienda ad imprenditori loro amici o perchè accelerassi il pagamento delle uve a qualche gruppo di conferitore a loro vicino. La realtà dei fatti è che con le 6 bottiglie che gli omaggiavo volentieri... il mio rapporto si esauriva lì». Rapporto con i due Presidenti di La Versa con i quali ha lavorato? «Con il presidente Scarabelli all’inizio non male poi per me è stato una delusione perché ha iniziato a remare contro la causa dell’azienda. E Baruffi che dire… Io lo feci diventare consigliere e successivamente su indicazioni forti gli girai 3200 voti per farlo diventare Presidente. Ho seguito anche alcuni desideri di Baruffi, come assumere una collaboratrice da lui suggerita. La cosa che mi ha colpito maggiormente di Baruffi è che a mio giudizio si è rilevato a posteriori un incompetente e bisognoso di essere accompagnato nei consigli di amministrazione da un suo consulente». Quando lei è arrivato a La Versa si è dovuto rapportare con l’advisor . Rapporto? «Molto distaccato perché non capivo le parcelle salate e i contratti firmati dal consiglio d’amministrazione per pagare questo advisor». I professionisti vanno pagati. A quanto ammontavano le parcelle di cui lei parla? «Sì certo vanno pagati, ma 500/600 mila euro per una parcella mi sembrava fuori da ogni logica». Il mondo dell’uva e il mercato dell’uva in Oltrepò per una parte necessita dei mediatori, alcuni di questi tra i più importanti vivono in Oltrepò. Con loro come si rapportava? «Avevo un rapporto buono e di collaborazione». Ad un certo punto si vociferava che l’allora presidente della Cantina di Broni, Cagnoni le avesse proposto l’affitto di La Versa: e’ vero? «La cantina di Broni durante la prima assemblea dei soci di La Versa, dove ho avuto l’ 84 % a favore, tramite fiduciari loro, mandò a verificare la possibilità di un affitto dell’azienda. La Versa da quando arrivai io, di richieste di affitto ne ha avute parecchie, portate alla mia attenzione da politici e anche da consiglieri interni a La Versa». Perché ha sempre rifiutato? «Ho sempre detto no perché se volevo affittare l’azienda lo facevo io in autonomia, inoltre nei miei programmi e nei miei obbiettivi ho sempre pensato che La Versa
SANTA MARIA DELLA VERSA potesse uscire dalla situazione difficile in cui si trovava con le proprie forze. Affittare, voleva dire il fallimento immediato». Quanti dirigenti ha tenuto e quanti ne ha mandati via? «I dirigenti presenti in azienda erano due: uno era il direttore vendite e l’altro il direttore amministrativo, molto, troppo… legati ai vecchi sistemi e ai vecchi amministratori, lavoravano contro la mia causa e non erano all’altezza dei loro compiti, tant’è che il direttore amministrativo negli ultimi 10/15 anni è stato al gioco delle varie amministrazioni che hanno portato ad un debito di 24 milioni di euro». Perché secondo lei la cantina di Broni voleva affittare La Versa? «Semplice. Avendo due poli gestire, la gestione ed il prezzo delle uve sarebbe passata interamente nelle loro mani». Secondo lei è un bene per La Versa ed il mondo vitivinicolo oltrepadano che Broni abbia acquistato La Versa? «Per me è un male: La Versa aveva bisogno di uno che avesse in mano il mercato dell’imbottigliato e non del vino sfuso». C’erano due grandi gruppi in corsa Terre d’Oltrepò - Cavit e Soave. Qual era secondo lei la scelta migliore? «A mio giudizio la cantina Soave era la più qualificata per l’acquisizione, è una cantina capitalizzata, credibile, con grande vendite e grandi soci». Soave si è ritirata o l’han fatta ritirare? Ci sono interrogazioni parlamentari a tal proposito… «L’han messa in condizioni di ritirarsi. L’esito dell’asta per me era già un progetto studiato molto tempo prima e poi semplicemente andato a buon fine. Hanno lavorato per farla andare come era nei loro desideri…». C’è qualcuno che in Oltrepò ha cercato di aiutarla? I«n Oltrepò non mi ha aiutato nessuno». Una delle accuse che le è stata rivolta è l’acquisto di appartamenti, vetture ed un castello con i soldi di La Versa. Vero o falso? «Faccio presente che le attività e le proprietà immobiliari della mia famiglia erano tutte precedenti all’arrivo in La Versa. I primi acquisti risalgono addirittura al 1990. Per i numerosi prelievi di cui sono stato accusato, faccio presente che avevo uno stipendio come Amministratore Delegato e che con la mia presenza ho lasciato a casa il direttore generale, il direttore vendite e il direttore amministrativo, risparmiando 400 mila euro. I soldi prelevati servivano per sostenere le spese ordinarie nella mia funzione ed il ruolo di amministratore delegato dell’azienda». Il giorno in cui è arrivata la Guardia di Finanza presso la sua abitazione di Piacenza ad arrestarla lei cosa ha pensato? Inizialmente ho pensato si trattasse di una perquisizione. Non pensavo mi arrestassero anche perchè il giorno prima, il 20 luglio io ero in tribunale con i miei legali per la discussione del fallimento ed era presente anche il Pubblico Ministero che il giorno dopo ha firmato il mio arresto». C’è stato un momento nel quale ha pensato “mi hanno fregato”? «L’ho pensato da quando ho firmato sulla
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Abele Lanzanova, ex amministratore delegato della Cantina La Versa
fiducia perché non c’era il tempo tecnico per un’analisi approfondita dei bilanci ed il tempo necessario per studiare bene il dossier La Versa. Dopo essere stato nominato procuratore di La Versa mi sono accorto che esistevano 4 milioni di crediti inesigibili, che il 50% del magazzino era da buttare con vino inutilizzabile e che anche molti macchinari erano da cambiare». Quando si è accorto che quanto le avevano spiegato per iscritto non aveva riscontro nella realtà dei fatti, non ha pensato di fare una denuncia per dichiarazioni false? «In varie occasioni ho presentato al direttore amministrativo una denuncia su ciò che mancava in azienda. Ho chiesto più volte al consiglio di avviare una causa di azione di responsabilità contro il vicepresidente in carica prima del mio arrivo, tutto più volte stoppato dal collegio sindacale e dai vari consiglieri». Perché non ha insistito? «Avrei dovuto fare un esposto agli organi competenti, cosa che non ho fatto perché avevamo già presentato la domanda di concordato e eravamo in dirittura di arrivo per l’accettazione della stessa quindi non ho voluto creare ulteriori problemi». Se tutti le erano contro perché non ha
rassegnato le dimissioni? «Più volte ne ho parlato con i consiglieri ma per il bene dell’azienda le ho poi sempre ritirate». La domanda sorge spontanea: ma chi gliel’ha fatto fare? «Avevo già preso impegni con banche e firmato il contratto e ritirarmi sarebbe stato difficile». Quando uno cade tutti gli danno dei calci, dopo il suo arresto è stata coinvolta con accuse varie anche sua figlia. Come è andata a finire? «La cosa che mi è dispiaciuta di più è stato leggere alcuni articoli di alcuni giornali che con titoli certamente accattivanti e per vendere qualche copia in più hanno sparato a zero su mia figlia raccontando una storia falsa. Mia figlia non è mai stata arrestata, nella perquisizione di casa le han trovato una statua, una scultura fatta da lei con trochi provenienti da piante di marjuana raccolti da lei al fiume, premetto che mia figlia è laureata alle Belle Arti e di lavoro fa la designer e la scultrice, quindi niente quantitativi bizzarri di droga in casa di mia figlia, sia chiaro. Per questa fatto mia figlia ha fatto 10 ore di servizi sociali in una casa di riposo. Accomunare la vicenda di mia figlia alla mia
vicenda imprenditoriale la ritengo una vigliaccata». Quando escono le notizie si dà colpa ai giornali ma i giornali vengono informati e fanno il loro mestiere. C’ era qualcuno che dava le notizie ai giornali secondo lei? «Certo, è naturale che molte notizie sul mio conto e soprattutto sul conto di mia figlia fossero date ai giornali da persone vicine alle cantina e contrarie a me. Mi dispiace solo che alcuni giornali a cuor leggero abbiamo sparato contro mia figlia per dar retta ad alcuni loro amici». Dopo la sua disavventura in La Versa ha avuto proposte di collaborazioni o di consulenza da parte di cantine oltrepadane? «Mi sono arrivate parecchie offerte in particolare per un eventuale rapporto di collaborazione commerciale per la vendita di vini. Ho risposto di no, viste le problematiche in essere ho preferito per ora declinare». Tutti si chiedono ma Lanzanova adesso cosa fa? «In questo momento sto studiando le mie carte processuali e siccome sono diventato papà da poco, faccio il papà». di Nilo Combi
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Consorzio “Vivi Valle Versa”: «Non servono miracoli, ma solamente più collaborazione!» Valter Calvi e Andrea Daturi sono i creatori, nonché promotori del Consorzio “Vivi Valle Versa” che punta a valorizzare e a promuovere il vino e il cibo, la natura e la cultura, nonché il turismo e il commercio in Valle Versa. Consorzio Vivi Valle Versa non ha scopo di lucro ed opera per lo sviluppo turistico in una zona circoscritta all’interno del territorio dell’Oltrepo Pavese, la Valle Versa, che comprende ben dodici comuni: Portalbera, Stradella, Montù Beccaria, Santa Maria della Versa, Golferenzo, Volpara, Ruino, Canneto Pavese, Montescano, Castana, Montecalvo Versiggia e Canevino. Valter e Andrea, quando nasce il Consorzio “Vivi Valle Versa”? «Il Consorzio Vivi Valle Versa nasce nel 2015. Qual è il bisogno che intendete soddisfare con il vostro servizio? «Il nostro bisogno è di avere un riscontro turistico che possa implementare l’economia della valle e il bisogno dell’utenza magari straniera - di sapere dove mangiare, dove dormire, cosa fare e cosa comprare in Valle Versa. Vivi Valle Versa si pone obiettivi annuali che cerca di portare al proprio compimento anche con l’aiuto ed il coin-
volgimento delle diverse associazioni e amministrazioni locali». Il Consorzio punta alla valorizzazione del territorio e delle bellezze della Valle Versa. Precisamente come fa? «Oltre a descrivere, con immagini sul nostro sito e sulla pagina Facebook, cosa vedere in Valle Versa e nei dintorni, abbiamo organizzato degli eventi con passeggiate, musica delle quattro province, prodotti tipici e racconti della nostra storia in punti di particolare interesse. Inoltre, per due anni siamo riusciti a realizzare una brochure di tutti gli eventi organizzati dalle Pro loco della Valle». Perché un Consorzio? In cosa vi distinguete dagli altri enti che si occupano di valorizzazione del territorio? «La forma Consorzio era più adatta per un’associazione di imprese. Noi siamo un’associazione nata dal basso, secondo la regola del “fare” e siamo pronti in ogni momento a collaborare con tutti quelli che vogliono valorizzare il nostro territorio». Chi fa parte di questo Consorzio? «All’interno di Vivi Valle Versa non vi è schema piramidale, ma democratico in quanto ogni azienda o persona vale un solo voto o unità,. Vi fanno parte imprenditori,
aziende agricole, ristoratori, panettieri, artigiani, commercianti… insomma tutti coloro della Valle Versa che abbiano voglia di unire le proprie forze per un bene comune». Un ristoratore, albergatore, vignaiolo come può associarsi? «Per associarsi basta contattarci per email, via Facebook oppure molto semplicemente presso la nostra sede a Stradella». Il turista si affida a voi per quale genere di informazioni? «Facendo rete fra di noi, riusciamo a rispondere alle esigenze del turista indirizzandolo al meglio, informandolo su ristoranti o agriturismi nei quali può degustare piatti tipici, su produttori locali dai quali può acquistare vini e prodotti del territorio, dove dormire e soggiornare, informandolo anche su cosa fare (itinerari, passeggiate...) e cosa scoprire in Valle Versa!». Qual è l’attività più richiesta e che proponete maggiormente? «In particolare, i turisti stranieri amano camminare per le nostre colline; sul nostro sito infatti proponiamo degli itinerari da fare in tutte le stagioni, tra questi: sentiero fieno falciato, la mela cotogna, rosa di macchia, mandorla amara, rosa canina...». Secondo voi, qual è il deficit più rilevante
che oggi vive l’Oltrepo Pavese? «A nostro parere, per l’Oltrepò Pavese non servono miracoli, ma solamente più collaborazione! Abbiamo già tutto, basterebbe che ognuno facesse semplicemente la propria parte...». Come vedete il futuro turistico dell’oltrepò? «Il turismo è l’unico futuro possibile! Prima di vendere i prodotti bisogna vendere il territorio, farlo conoscere ed apprezzare, così come hanno fatto altri». Voi siete imprenditori vitivinicoli... riuscite a coniugare buon vino e turismo? «Quando un vignaiolo fa del buon vino ci tiene anche a “raccontarlo”, ospitando nella propria cantina i visitatori e gli amanti del prodotto locale; questo si chiama “turismo del vino”, ovvero enoturismo. Tutte le zone vitivinicole oggi famose hanno iniziato così». Oltre al vino e al buon cibo, alle colline e all’ospitalità, l’Oltrepo Pavese su cosa dovrebbe puntare? «Al nostro “saper fare”, alla nostra unicità, alle nostre tradizioni e alla nostra storia. Tutti noi abbiamo tanto da offrire e vogliamo farlo conoscere...». di Silvia Cipriano
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ARTE & CULTURA
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Montescano: paese di vigne, d’acque e di pietre Il Museo dei Fossili di Montescano è motivo d’orgoglio per il sindaco – Enrica Brega – che insieme alla sua amministrazione s’impegna moltissimo nella promozione di questo piccolo “gioiello” e nel farlo conoscere, non solo nelle scuole, ma anche a livello turistico. è recente un’iniziativa svoltasi presso il Comune di Montescano organizzata dall’associazione “Kids Morning” e da “ProMontescano”, con la collaborazione dell’amministrazione comunale, proprio per promuovere il Museo così fortemente voluto nel piccolo borgo della Valle Versa. In questa giornata, un gruppo di circa trenta piccoli “paleontologi”, guidati dal ricercatore Antonio Zucconi, insieme al sindaco e ai membri della Protezione Civile, si sono recati nella Valle del Rile Monzone (detta anche Valle dei Fossili), ovvero il luogo dove sono stati rinvenuti la maggior parte dei fossili; la giornata si è conclusa con una merenda gentilmente offerta da “ProMontescano”. Sindaco Brega come nasce l’idea di creare il Museo dei Fossili a Montescano? «L’idea nasce da Antonio Zucconi – ricercatore naturalista di Pianello Valtidone – che ha dedicato la sua vita all’archeologia, alla paleontologia e alla mineralogia; dopo aver scoperto le grotte preistoriche di Rocca D’olgisio, una strada lastricata altomedievale, resti di un ponte medioevale e altro sul piacentino, Antonio si è spinto anche in Oltrepo Pavese, in particolare lungo il torrente Versa e nel comune di Montescano...qui, nel 1989 ha trovato un frammento di legno fossile e da allora ha continuato le sue ricerche in questo territorio». Quando è nato il Museo dei Fossili? «Il Museo è nato nell’ambito del progetto “Bando delle idee: contributi a favore
Enrica Brega, Sindaco di Montescano all’interno del Museo dei Fossili dei piccoli comuni per la salvaguardia del patrimonio culturale”, promosso dalla Provincia di Pavia. Il Museo è stato allestito al secondo piano del Palazzo Comunale, nella sala denominata “Sala della Cultura e della Memoria”; si tratta di uno spazio espositivo permanete, con alcuni reperti messi a disposizione da Antonio Zucconi». Quale genere di fossili custodisce questo Museo? «Legni fossili, pezzi di roccia con impronte di foglie fossili, gessi...si tratta di resti di formazioni rocciose risalenti al periodo messiniano, ovvero epoca geologica appartenente all’età cenozoica, che ebbe inizio 65 milioni di anni fa, trovati nel territorio di Montescano e dei comuni limitrofi di Castana e Canneto Pavese». Sindaco Brega chi gestisce il Museo? «Il Museo è gestito dall’Amministrazione Comunale con la supervisione del ricercatore Antonio Zucconi». In quali giorni è possibile visitarlo?
Per il momento è possibile visitare il Museo su prenotazione con il ricercatore Antonio Zucconi». Zucconi è l’unico che si occupa di ricercare fossili nella zona della Valle Versa? «Il nostro Museo al momento custodisce solo suoi ritrovamenti, ma in realtà siamo stati contattati anche da altri ricercatori... saremmo orgogliosi di poter arricchire la “collezione” con altri reperti dell’Oltrepo Pavese». Cos’è l’associazione “Kids Morning”? «È un’associazione formata da un gruppo di mamme volontarie che ha come principale obiettivo “l’aggregazione sociale”; queste mamme organizzano appuntamenti ludici e creativi, ovvero attività incentrate sullo sviluppo di un legame con il territorio, educazione ambientale e conoscenza di arti e tradizioni». Le scuole rappresentano per il momento gli unici visitatori? «Direi di sì. La promozione del nostro
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piccolo Museo è appena iniziata e, vista l’organizzazione riuscita del primo evento, abbiamo intenzione di proseguire. Certamente le scuole rappresentano i principali visitatori, ma non è detto che tale attrattiva possa essere inserita, per esempio, in percorsi o tour turistici rivolti ad altro pubblico...». Oltre al Museo dei Fossili, quali altre attrattive propone il Comune di Montescano? «Montescano è definito un paese di vigne, d’acque e di pietre... di vigne perchè l’attività principale è la viticoltura, vigne visibili ovunque; di acque perchè ci sono parecchie fonti, tra cui la Fontana Missaga (uno dei monumenti storici) e, infine, di pietre perchè in passato c’erano cave di gesso da cui si estraeva una pietra nota come “pietra di Montescano” e le pietre della Valle del Rile Monzone. Inoltre, Montescano vanta la bellissima Chiesa Parrocchiale dedicata alla Beata Vergine di Caravaggio e un bellissimo parco giochi immerso nel verde». Lei è molto orgogliosa di aver creato insieme alla sua Amministrazione e ad Antonio Zucconi questo piccolo Museo. Qual è il messaggio che ci tiene a trasmettere? «Lo scopo di questa intervista per me è quello di far conosce e promuovere Montescano, ricca di storia e di testimonianze del passato, invitando non solo le persone a venire, ma anche le istituzioni a credere in queste piccole realtà come la nostra, che hanno tanto da offrire. In qualche misura, il lontano passato di queste colline ritorna alla memoria di quelli che vivono il presente, e potrà così divenire parte integrante di quella futura». di Silvia Cipriano
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MUSICA
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«L’Oltrepo è un diamante grezzo che ha bisogno di “palle” e inventiva» Il Rock Valley Festival è stato uno degli eventi musicali che ha caratterizzato le estati della Valle Versa per 10 anni. Recentemente gli organizzatori han fatto sapere – tramite la loro pagina Facebook – che quest’anno, per una serie di ragioni, il festival non si farà. Questo festival musicale è stato sempre molto apprezzato, non solo dagli amanti del genere, poiché uno dei suoi obiettivi era quello di coinvolgere tutti gli abitanti della vallata, giovani e non, intenditori e non, ma anche un pubblico esterno... e i risultati negli anni hanno mostrato questo successo! Il Rock Valley Festival ha voluto dare nuovi stimoli e attirare un nuovo pubblico (anche straniero), lasciando un segno e lanciando un messaggio davvero importante: un incoraggiamento a fare di meglio! Qui di seguito potete leggere un intervista a più voci con il gruppo degli organizzatori. Cos’è o meglio cosa è stato il Rock Valley Festival? «È un festival dedicato a musiche contemporanee tendenzialmente di nicchia, che si è svolto ogni estate a Santa Maria della Versa dal 2007 al 2017. Negli anni ci siamo divertiti ad etichettarlo in vari modi - “sagra di musica underground”, “festa paesana di musica estrema”, “fiera oltrepadana di suoni sperimentali” - tutte definizioni che, ambiguamente ed un po’ ironicamente, restituiscono tuttavia molto bene l’atmosfera che vi si respirava e la programmazione che vi veniva proposta». A quando risale la prima edizione? «La prima edizione risale al 2007 ed era stata organizzata dal nucleo originario del collettivo: Luca Cazzaniga, Giuseppe Tosi, Piercarlo Bagnasco e Nicola Casella (a cui si sono aggiunti negli anni Fabio Cazzaniga, Valentina Baldrighi, Giacomo Meriggi, Filippo Morini e Sergio Bruciamonti). Fu strutturata in due serate molto diverse tra loro: la prima incentrata attorno alla cosiddetta battaglia delle band, un contest musicale tra band locali votate dal pubblico, in cui si esibirono i Lobello, gli Hawayian Baby Woodrose, i Nevrastenia, Dead Rabbits e The Black Spiral; la seconda dedicata ad alcune interessanti band dell’underground pavese: News For Lulu, Ultraviolet Makes Me Sick e Polpa. All’epoca avevamo un budget risicatissimo (la prima edizione fu organizzata dal niente, per autofinanziamento e raccolta di sponsor) e fu solo grazie alla grande disponibilità di tutte le band che parteciparono e alla generosità delle attività locali che decisero di supportarci che riuscimmo a mettere in piedi quella che a noi sembrava un’autentica impresa». Qual è l’idea da cui è nato il Rock Valley Festival? «è nato da un desiderio, da un entusiasmo e un ideale: il desiderio, molto semplice, di un gruppo di amici appassionati di musica di poter ascoltare nella propria stessa valla-
Santa Maria della Versa, esibizione al Rock Valley ta ciò che più era in grado di emozionarli; l’entusiasmo di poter condividere con gli altri questa passione; e l’ideale di offrire un esempio, un incoraggiamento a fare di meglio, che all’inizio significava banalmente: eccovi un festival di musicale originale dove si può persino bere della buona birra e del buon vino. Il che sta a dire: ecco un qualcosa che - piaccia o non piaccia - tenta di badare alla qualità e non alla quantità. Un inflazionato motto che tuttavia non sembra mai attecchire abbastanza: ci guardavamo attorno e trovavamo un panorama scoraggiante dominato da concerti e festival musicali zeppi di coverband e roba sentita e risentita, dove potevi solo accontentarti di concentrare l’attenzione nello svuotare una birra e poi un’altra e meravigliarti più volte di fila di quanto fosse pessima, mentre girovagavi indifferente a canzoni che avevi sentito già un migliaio di volte e che, in fondo, ti eri sempre fatto piacere a forza, per abitudine o per conformismo. Con gli anni il festival è cresciuto e nonostante si sia fatto sempre più lucido e consapevole sui propri intenti e obiettivi, si può dire che è sempre rimasto ancorato a quei tre semplici pilastri originari: “condividere quello che più mi piace con le persone con cui vivo, nel miglior modo possibile». Il vostro obiettivo è stato quello di fare qualcosa per i giovani? «Sì e no, nel senso che è stato implicito e inevitabile rivolgersi più che altro ai giovani, ma l’obiettivo propriamente era di fare qualcosa per tutti, per chiunque potesse essere interessato. è chiaro che le musiche e il contesto proposti erano per gusti, sensibilità ed esigenze più “giovanili”; ma ci siamo sempre auspicati che anche persone di altre generazioni potessero trovarvi qualcosa di interessante, gratificante, piacevole o stimolante, e che questo, in una certa misura, sia accaduto è stata la soddi-
sfazione più grande. Dunque, rispondendo: il nostro obiettivo era fare qualcosa per la gente della nostra zona e del nostro paese, per i giovani in particolare e per gli appassionati di musica». L’Oltrepò Pavese storicamente è terra di fisarmoniche e balli popolari, aggregazione, buon cibo e vino... Il Rock Valley ha provato a “cambiare le regole”, introducendo un genere musicale più ricercato. Non avete mai dubitato sul fatto che questo genere potesse attirare una nicchia di giovani? «No, perchè siamo convinti che le nicchie sono tali spesso solo perchè poco accessibili o poco allettanti. In certi anni abbiamo proposto della musica davvero estrema e difficile, che molti non appassionati non hanno decisamente gradito, ma ciononostante l’affluenza si è mantenuta alta. Il fatto è che un’idea un po’ strampalata che tutto debba piacere a tutti, è normale che certe cose ci piacciano ed altre no, ma la curiosità può restare lo stesso, e a volte sorprenderci. Quello che ci interessava era stimolare il pubblico e la vallata, al rischio anche di scontentare. Il fatto è che c’è una boscaglia fittissima di luoghi comuni e stereotipi rispetto a questi discorsi. I paesi, nel sentimento e nella concezione di tutti, sono gli spazi della sagra, della festa tradizionale, delle fisarmoniche e dei balli popolari appunto. è importantissimo che custodiscano questa identità (già di fatto, spesso, lo fanno molto poco), e partecipare ad una festa paesana è sempre una gran goduria. Ma non può bastare; e di fatto, non basta, come chiunque viva in paese, nato nell’ultimo cinquantennio, sa benissimo: la direzione maggioritaria della vita mondana e culturale è a valle, sempre a valle, verso la pianura e le grandi città. Se voglio sentirmi un buon concerto, il 90% delle volte devo farmi 30,40,60 km e scendere in città. Lo
stesso vale per altre attività ed esperienze culturali. è così per delle ragioni ben precise, certo, ampie e complesse, storiche, sociologiche, economiche e quant’altro, ma non importa, resta una seccatura. Se non ha senso combattere contro dei mulini a vento tuttavia si può imparare a costruirne uno. E questo è quanto si è cercato di fare negli anni: cambiare le regole delle nostre abitudini culturali. Perché non organizzare un festival che combini tradizione e la paesanità più schietta con musiche modernissime, complesse, anticonformiste? Perché non mettere in piedi un evento che spinga le città a scendere in campagna? Perché non cercare di dimostrare che dal niente, senza soldi, senza esperienza, e col proposito più improbabile possibile (un festival di musica alternativa ad ingresso gratuito nella piazza di un paese) si possa riuscire a mettere in piedi qualcosa di vincente? è questo quanto si è cercato di fare, accoppiando due mondi diversi e distanti, coniugando sistemi di valori, linguaggi, stili, abitudini e opinioni agli antipodi tra loro, con l’intento di allargare gli orizzonti della vallata, far riflettere e indurre entrambi i “mondi”, quello paesano e campagnolo e quello della musica underground, a ripensarsi, discutersi, dialogare e contaminarsi in un incontro in cui ognuno è più forestiero dell’altro. Di festival del genere ce sono tanti in Italia, e il Rock Valley è stato il nostro modo personale di suggerire un rinnovamento, di far spaziare un po’ la mente, ridisegnare l’immaginario, indicare vie e possibilità da percorrere per chi ha mezzi migliori di noi e soprattutto per chi non ne ha». Il Rock Valley Festival in questi dieci anni è stato un evento molto apprezzato. I ragazzi che hanno partecipato da quali città e paesi arrivavano? «Hanno partecipato persone da un po’ tutto il nord Italia, e anche un po’ più giù. Senza contare le band che si sono esibite nel corso dei dieci anni, arrivate da tutta Italia, da vari paesi europei e qualcuna anche dal nord America». Quanti ragazzi hanno partecipato all’organizzazione di quest’evento? «Il festival è sempre stato organizzato da un gruppo ristretto di persone (inizialmente 4, allargatosi negli anni fino ad 8) assieme alla Pro Loco di S. Maria della Versa (a partire dal secondo anno) con l’aiuto, la collaborazione e il sostegno via via di sempre più amici e conoscenti del paese e di altre zone della provincia o delle province limitrofe. Partecipavano persone di ogni età». Quanto tempo richiedeva l’organizzazione del Rock Valley Festival? «Iniziavamo da Gennaio/Febbraio ad ascoltare i gruppi che si proponevano sulla nostra pagina Facebook e a contattare di nostra iniziativa le band che avremmo voluto includere nelle tre serate. Il processo decisionale era sempre molto lungo e
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Rock Valley Festival, edizione 2017 faticoso, sia per le tempistiche intrinseche (contattare le agenzie di booking, monitorare le band in tour durante l’anno, verificare le disponibilità sulle date del festival, informarsi e/o accordarsi sui costi, eccetera) sia per la cura con cui cercavamo di costruire ogni serata (in modo che soddisfacesse ognuno di noi, che si accordasse il più possibile con la visione artistica che ci proponevamo, che garantisse richiamo di pubblico, non confliggesse con altri festival e concerti in giro per il nord Italia, eccetera). Questa fase si chiudeva tra Maggio e Giugno, con alcune aggiunte dell’ultimo momento agli inizi di Luglio. Nel frattempo tra Aprile e Giugno si definivano tutti gli altri aspetti del festival: cucina e birre, palchi e allestimento complessivo, service, backline, espositori, mostre, locandina, magliette e grafiche, sponsor e pubblicità. Complessivamente un 6 mesi pieni». Come venivano scelte le band che si sarebbero esibite? «Secondo 3 modalità: contattando noi direttamente le band che ci piacevano e che ascoltavamo durante l’anno; contattando le agenzie di booking che curavano i tour di band e sonorità che apprezzavamo e verificando quali gruppi erano disponibili nei giorni del festival; ascoltando le band che si proponevano di loro iniziativa tramite la nostra pagina Facebook e dunque contattando quelle che ci piacevano». Il ricavato era destinato a qualcosa di specifico o semplicemente è servito per coprire i costi dell’organizzazione? «Il ricavato era destinato a sostenere i costi dell’edizione corrente, a diventare parte del budget dell’edizione successiva e a supportare economicamente gli altri eventi organizzati dalla Pro Loco di S. Maria della Versa». Nell’organizzazione del Rock Valley Festival siete stati supportati da Amministrazione, Pro Loco e altri enti? «Be, la Pro Loco di S. Maria della Versa, a partire dalla sua entrata in scena con la seconda edizione, è stata fondamentale, in tutto. Senza non saremmo riusciti a raggiungere i risultati e le soddisfazioni che abbiamo ottenuto; il Rock Valley è stato il frutto del lavoro di entrambi, qualcosa che si è fatto insieme. Accapigliandosi
ogni tanto, ma mettendo ognuno la propria creatività, la propria personalità e il proprio spirito in quello che era ogni anno il risultato finale. Anche altre associazioni di S. Maria ci hanno dato negli anni una mano preziosa: la Biblioteca , gli Autieri, la Croce Rossa, l’a.s.d. Valversa. Mentre per quanto riguarda le amministrazioni comunali, hanno sempre manifestato favore e disponibilità nei confronti dell’iniziativa, dandoci ascolto e venendoci incontro». Dalla vostra pagina Facebook abbiamo appreso che l’edizione 2018 non si farà, come mai? «Per un groviglio di ragioni: innanzitutto, le nostre vite personali sono cambiate molto negli ultimi anni, tra chi è diventato papà e chi è andato ad abitare altrove, mentre parallelamente il festival ha raggiunto delle dimensioni decisamente impegnative. Già negli ultimi due, tre anni si è fatto piuttosto fatica a curarlo e portarlo a compimento come avremmo voluto, e ci siamo ritrovati con un carico di lavoro sovradimensionato rispetto alle nostre forze. Il tempo iniziava a sfuggirci di mano. Accanto a ciò, avevamo la sensazione che il festival avesse espresso il suo pieno potenziale e che, per le condizioni che gli appartenevano, legate al contesto e alle sue modalità organizzative, non potesse crescere più di così, se non a rischio di trasformarsi in qualcosa che non aveva mai voluto essere. Inoltre riteniamo che un percorso debba cercare di essere esemplare e saper quindi porsi una destinazione, senza trascinarsi e sforzarsi di cavalcare se stesso pur di non finire mai e fare incetta di tutte le possibilità che gli sono di fronte. Abbiamo cercato di lasciare al festival il suo senso e la sua storia migliore. Tante persone ci hanno manifestato la loro disapprovazione per la scelta ma crediamo che guardino la faccenda dal lato sbagliato: è importante sapersi congedare per lasciare il posto e la voglia ad altre iniziative di sorgere e fare meglio. Lo stesso vale per noi: probabilmente ci piacerebbe organizzare ancora qualcosa in futuro ma abbiamo bisogno di lasciarci il tempo di ripensare, riascoltare, conoscere nuove cose, immaginare nuove idee e possibilità, permettere a nuovi stimoli, entusiasmi e fantasie di sorgere».
Come organizzatori vi ritenete soddisfatti di queste dieci edizioni oppure avete qualche rimpianto? «Siamo soddisfatti del percorso compiuto dal festival e riteniamo che abbia espresso il meglio di cui era capace. Ma i rimpianti ci sono sempre e spesso molto personali. Un rimpianto comune sono state sicuramente alcune disdette che alcuni gruppi ci hanno dato poche settimane prima dalla data. Erano gruppi che tenevamo molto partecipassero, in qualche caso erano un vero e proprio sogno che si realizzava. Purtroppo per infortuni e ragioni personali hanno annullato i loro tour e questo è uno dei tipici inevitabili inconvenienti del mestiere, soprattutto quando hai a che fare con band d’oltreceano, per cui variabili e imprevisti aumentano esponenzialmente. Ci è dispiaciuto molto non poterli vedere sul nostro palco e ancora di più non essere poi riusciti a rimediare alla loro assenza come avremmo desiderato, ritrovandoci con un paio di edizioni più sbilanciate e sgraziate di quanto previsto». Avete in programma la realizzazione di qualche altro evento? «Al momento no, giusto sperabilmente una bella mangiata in compagnia quest’estate con tutti gli amici e le persone con cui abbiamo condiviso questi dieci anni». Tutti voi siete nati e cresciuti a Santa Maria della Versa. Cosa manca secondo voi? «Senza esclusione di colpi e mettendoci dentro anche noi stessi, in riferimento non tanto a Santa Maria della Versa quanto in generale a tutta la zona: iniziativa voglia di osare, cura, ricerca della qualità. Manca un maggiore senso di collettività e la voglia di condividere. Mancano forti attenzioni culturali e, di conseguenza, spazi e occasioni di incontro che esulino dal bancone del bar. Talvolta c’è poca progettualità e lungimiranza e anche le competenze sembrano latitare o restare inoperose e inerti. Manca un’identità comune consolidata e manca la presa sulla propria eredità storica, sul passato del luogo in cui si abita. Manca una narrazione condivisa, storie in cui ritrovarsi e riconoscersi in modo comunitario. Anche le nostre tradizioni (come altrove) sopravvivono addomesticate nella loro versione turisticizzata e sonnolenta. Manca-
no indubbiamente soldi e finanziamenti a disposizione, ma altrettanto la capacità di proporre iniziative che siano al contempo solide e convincenti: noi siamo i primi ad essere stati inetti nel dialogare propositivamente con le istituzioni e le attività economiche locali. Ci sembra che si avverta poco il bisogno di essere d’esempio e la spinta a cercare di fare sempre meglio quello che si fa. Manca una sensibilità ambientale e un rapporto sensato con la natura e il paesaggio che ci accoglie, così come molto spesso la possibilità di viverli e conoscerli. Manca la curiosità, a parte quella pruriginosa: in dieci anni, ci sono state chieste delle interviste solo ora che abbiamo smesso di organizzare il festival. E manca un po’ più di musica coraggiosa e originale. Ma non è chiaramente un primato e comunque, tutto con le dovute eccezioni». Vedete un futuro per i giovani di questo Comune? «Sì, un futuro lo vediamo ed è tutto nelle mani dei ragazzi. A differenza del passato dove forse il nostro territorio poteva rimanere escluso dalle novità culturali ed artistiche ora grazie alle nuove tecnologie tutto è a portata di mano anche qui. Un ragazzo oggi ha tutti i mezzi per appassionarsi e approfondire qualsiasi interesse verso cui si senta incline. I collegamenti con Milano e altre città, anche a livello di trasporti, sono molto più capillari e veloci che in passato, anche nei fine settimana. E tutto questo affiancato dal pregio paesaggistico e naturalistico di questi luoghi, con la loro vita molto meno frenetica e molto più genuina sotto tanti aspetti, cosa oggi per niente scontata. Crediamo che la provincia e le campagne abbiano tante frecce al loro arco che prima non avevano, ed è ora che inizino a farsi valere sul predominio culturale della vita cittadina e delle pianure. E per far questo devono imparare a curare i propri servizi, i propri spazi e le proprie ambizioni culturali, reinventare le proprie tradizioni e reimparare a raccontarsi – prima di tutto, porgendo ascolto al nuovo mondo che gli vortica attorno. L’Oltrepo è un diamante grezzo che ha bisogno di “palle” e inventiva». di Silvia Cipriano
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«I bambini che praticano la ginnastica, hanno una marcia in più dal punto di vista della coordinazione» Il Team Anniverdi Voghera, nato nel ‘97 ad opera di Lino Illuminati, racchiude bambini, agonisti, adulti e ex ginnasti che vorrebbero riavvicinarsi alla disciplina. Con i Campionati di Pesaro (2013, 2014 e 2015) e Rimini 2017, la Scuola ha raggiunto ottimi risultati sul podio. Illuminati, docente in Scienze Motorie al Liceo Scientifico G.Galilei, è il Presidente del Team, con sede in Via Montagna a Medassino. Illuminati il Team Anniverdi si può definire una sua creazione, che ancora oggi dopo vent’anni di attività è un punto di riferimento per chi si vuole approcciare a questa disciplina. A che pubblico si rivolge principalmente? «Il Team Anniverdi è nato grazie a me nel 1997, dopo la divisione della Polisportiva, e si rivolge a un pubblico di bambini/e e ragazzi/e, di età compresa fra i quattro e i quindici anni. Attualmente militiamo in serie D, per una questione di struttura». Come sono divisi i corsi? «I femminili si dividono in due fasce d’età: dai 4 ai 6 anni e dai 7 agli 11 anni. Per i maschili, la suddivisione viene fatta in base all’anno di iscrizione. Per chi si vuole avvicinare alla disciplina in un’età più avanzata, abbiamo un corso misto che vai dai 15 ai 20 anni. Infine, per gli over 20, abbiamo un corso, “movimento artistico”, che propone una fusione di ginnastica a corpo libero, posturale e pilates, arricchita dall’uso oculato degli attrezzi di artistica, sotto la guida degli allenatori. Possibilità di frequentare fino a 3 incontri settimanali, alle 20.30 di Lunedì, Mercoledì e Venerdì». A che età è meglio iniziare? Iscritti over 18? «L’età migliore è 4 anni per la bambina, 5/6 per il bambino. Abbiamo tre ginnaste over 18, ma è una cifra davvero irrisoria». Chi sono gli allenatori? «Abbiamo la fortuna di avere allenatori, tutti ex ginnasti del team Anniverdi. Gli insegnanti sono stati formati all’inizio da me, successivamente hanno conseguito il brevetto dalla Federazione. Provengono il 70% da Scienze Motorie, gli altri dia Ingegneria, Medicina etc.. Ricordiamo Andrea Maspero, Petra Pollastro, Valentina Bruschi, Mariangela Bartilucci, Alessia Violante, Riccardo Nascimbene». Quanto costa iniziare la disciplina? «La quota d’iscrizione annuale ha un costo pari a 400 euro ( body compreso). Il pagamento annuale può anche essere dilazionato in due rate. Sono previste prove gratuite: quattro per le bambine di 4 anni, tre per quelle un po’ più grandi». Come si sviluppa la lezione, sia a livello di contenuti che di frequenza? «I contenuti sono la parte acrobatica della ginnastica e la conoscenza del proprio corpo. Abbiamo impianti fissi di sbarra, anelli,
Lino Illuminati, fondatore del Team Anni Verdi Voghera parallele maschili e femminili, volteggi e trampolini con relativi tappeti specialistici di arrivo, strisce speciali per il corpo libero e pedana facilitante elastica lunga 14 m con tappeti di arrivo, spalliere, travi e una moquette che ricopre il 90% del pavimento della palestra, per rendere confortevole l’attività a piedi nudi. La frequenza dei corsi, da Settembre a Giugno, è bisettimanale, in orario serale; gli agonisti si allenano 6/7 ore a settimana». La ginnastica artistica ha una percentuale di iscritti a prevalenza maschile o femminile? «Femminile. Purtroppo a livello maschile, questo sport viene spesso associato alla danza, per una questione culturale. Dal canto mio, posso dire che i bambini che hanno iniziato a praticare la ginnastica, e successivamente cambiato sport, hanno una marcia in più dal punto di vista della coordinazione». Esistono dei prerequisiti fisici, e bisogna seguire una dieta particolare per poter arrivare in alto? «In ambito agonistico, come in tutti gli sport, è richiesta una programmazione sia a livello sportivo che alimentare. A livello amatoriale, come nel nostro caso, non è necessario». Quante ore è necessario dedicare all’allenamento?
«Per i corsi due ore a settimana, per l’agonistica dipende dal livello. Per un livello Nazionale, ci si allena tutti i giorni, due volte al giorno (3 ore al mattino, 1 ora centrale di potenziamento, 4 ore al pomeriggio)». Quali sono i rischi maggiormente legati a questo sport? «I rischi sono minori rispetto a quelli legati al calcio, anche per via della presenza dei tappeti paracadute. Per quanto riguarda gli Anniverdi, in sette anni, abbiamo avuto solo una decina di casi di distorsione alla caviglia». Il bambino che si approccia a questo sport, come ci si avvicina? «Solitamente per passaparola, per amicizia, per aver assistito al saggio annuale. Da una decina d’anni a questa parte, anche i pediatri consigliano l’artistica come ginnastica di base. Questo non avveniva precedentemente, per l’errata convinzione che modificasse lo sviluppo anatomico, portando il bambino ad avere difetti nello sviluppo della crescita». Quali vantaggi si ottengono per il benessere psicofisico? «Tantissimi. Con il divertimento e il gioco, si rafforza l’intera struttura corporea». Com’è il rapporto che si instaura tra maestro e allievi? «Qualche volta morboso, soprattutto con le bambine, che dimostrano affetto all’al-
lenatore con abbracci e regali». Come si riconosce un talento? Ci sono allievi che potrebbero emergere? «Personalmente lo riconosco a prima vista, osservando la forza, l’elasticità e la coordinazione dell’individuo. Ci sono delle bambine molto brave nella nostra Società; quelle che decidono di fare l’agonistica e dimostrano di avere ottime capacità, vengono indirizzate a Società più grandi e meglio strutturate. Qui nel nostro territorio, abbiamo la Ginnastica Pavese e la Costanza Massucchi a Mortara». Come vede proiettata in futuro questa disciplina, sia a livello locale che nazionale? «Il futuro della ginnastica ci sarà sempre, soprattutto a livello base. A livello Nazionale, per ora non siamo nei primi quindici del mondo. Ciò nonostante, abbiamo avuto delle ottime ginnaste che hanno vinto Campionati Internazionali, come la Ferrari. A livello maschile, qualche attrezzo lo vinciamo, però per ora è dai tempi di Jury Chechi che non si vede una vera squadra». Come vi siete qualificati negli ultimi campionati Nazionali? «A livello maschile, abbiamo avuto due podi in Nazionale l’anno scorso; a livello femminile meno, perchè le ginnaste sono in percentuale minore. Abbiamo gareggiato nei campionati italiani di Pesaro, Rimini e Fiuggi». Chi, secondo lei, rappresenta un modello da seguire? «Penso che sia meglio seguire lo sport piuttosto che un atleta in sè, perchè i genitori tendono ad avere aspettative troppo alte verso i propri figli. Anche se ci fosse un talento, i risultati cambiano in base al contesto: bisogna considerare la presenza di un allenatore “giusto”, di una struttura adeguata e di una Società che vuole investire sull’individuo». In che modo vi finanziate? «Con le quote sociali. Devo dire che il Comune di Voghera, in base al numero di bambini che iniziano i corsi , ci fornisce un contributo annuale». Com’è il rapporto con le scuole vogheresi? «Non organizziamo manifestazioni, ma il biennio del Liceo Sportivo G.Galilei partecipa a un progetto di ginnastica artistica nella nostra palestra, in cui gli studenti vengono preparati alla didattica di base. Organizzate eventi al di fuori delle gare? «Sì, organizziamo il Gran Galà della Ginnastica nel mese di Giugno al PalaOltrepò . Non vengono organizzate gare con Società partner, per una questione di struttura e attrezzatura, inadeguata agli standard richiesti». di Federica Croce
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Romagnese e Casanova Staffora trionfano negli Amatori Romagnese e Casanova Staffora due squadre dell’Oltrepò Pavese, due squadre vincenti. La prima gioca a 7 la seconda a 11, ma la sostanza non cambia, entrambe hanno vinto il proprio campionato. Un annata trionfale che ha fatto felici i due piccoli paesi, ma soprattutto i due allenatori che, guarda caso, provengono entrambi dal comune di Santa Margherita Staffora. Sentiamo Lorenzo Fossati, allenatore del Casanova Staffora e Davide Albertocchi che insieme a Simone Marchesi allena l’ASD Romagnese. Cosa si sente di dire a coloro che considerano gli amatori l’anello debole del calcio locale? Lorenzo Fossati: «Dico che non sanno neanche di che cosa stanno parlando. Le migliori squadre tra gli amatori se la giocherebbero sicuramente con squadre di terza e seconda categoria. Molti giocatori giocherebbero in prima categoria ad occhi chiusi». Albertocchi: «Non sono d’accordo. Il calcio amatoriale offre a tutti la possibilità di giocare e divertirsi. Nel nostro caso, a Romagnese, sarebbe impossibile organizzare una squadra in grado di disputare un campionato dilettantistico a 11, il campionato amatori a 7 ci ha dato invece l’occasione di costruire un gruppo di amici e giocatori che si diverte dentro e fuori dal campo. Ci tengo a sottolineare inoltre che il livello tecnico di molte squadre non è affatto basso, le partite sono spesso combattute e, come in ogni campionato che si rispetti, nessuno ci sta a perdere». Avete trionfato nel vostro campionato, quali saranno gli stimoli per ricominciare l’anno prossimo? Lorenzo Fossati: «Gli stimoli saranno dati in primis da un nuovo allenatore, visto che con questa grande vittoria ho deciso di chiudere la mia avventura al Casanova. Il nuovo allenatore sarà sicuramente in grado di spronare i giocatori». Albertocchi: «Cercheremo di ricreare lo stesso spirito di questa stagione. Non sarà facile ripetersi, ma siamo convinti di poter fare bene anche in futuro. La ricetta è sempre la stessa: amicizia, divertimento e sacrificio, da parte dei giocatori e della dirigenza. Abbiamo centrato la vittoria del campionato grazie a un gruppo unito e determinato. Speriamo di cogliere altri successi e soddisfazioni inserendo qualche nuovo elemento e confermando l’ossatura della squadra di quest’anno». Qual è stato il momento più duro dell’anno? Il più bello? Lorenzo Fossati: «Il momento più duro è stato l’inizio, quando ogni cosa ci andava storta: i punti dalle prime in classifica aumentavano e i giocatori sembravano aver perso ogni stimolo. Il momento più bello, banale dire quando abbiamo vinto il cam-
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ASD Romagnese si laurea campione del girone B del campionato C.S.I Amatori a 7 giocatori
Il Casanova Staffora dopo una lunga cavalcata vince il campionato Amatori a 11 giocatori del C.S.I pionato, quindi aggiungo: la vittoria sotto un diluvio universale che ci ha dato la giusta consapevolezza della vittoria finale». Albertocchi: «Gli scontri diretti giocati e vinti in casa contro le principali concorrenti al titolo sono stati sicuramente i momenti più belli ed emozionanti. Il 25 aprile contro la Polisportiva Miradolese abbiamo giocato davanti a tutta la gente di Romagnese e a molti spettatori accorsi dai paesi vicini; pur con un uomo in meno abbiamo vinto una partita difficilissima e spettacolare. Il momento più critico è arrivato invece dopo la sconfitta casalinga contro il Volante Roncaro, che ha interrotto una striscia di tredici vittorie consecutive. Quella battuta d’arresto, l’unica subita in casa durante l’intero
campionato, ha rischiato di compromettere il cammino verso il titolo, ma la squadra ha reagito con grande forza e da quella domenica non ha più perso». Come fa una società così piccola ad avere un seguito così grande? Lorenzo Fossati: «Tutto il seguito è meritato e tutti cercano la domenica di coinvolgere sempre più persone… è una grande famiglia». Albertocchi: «Tutti danno il loro apporto per sostenere la squadra: gli sponsor e i negozianti locali, l’amministrazione municipale, il parroco, i dirigenti, gli accompagnatori e, ovviamente, i giocatori. Alcuni di questi abitano a Romagnese o a Zavattarello, altri sono disposti a viaggiare
anche da Voghera o Pavia per raggiungere la squadra. Questo clima di partecipazione è condiviso anche dai tifosi, sempre al nostro fianco anche nelle trasferte più lontane. Credo che la gente ritenga importante e utile l’attività della nostra associazione. Basti dire che l’area sportiva comunale, che prima della fondazione del Romagnese Calcio versava in condizioni di abbandono e incuria, ora è ordinata e ospitale, mentre il campo è forse il più bel manto erboso di tutto il campionato». L’amministrazione comunale vi ha accompagnato nel modo giusto a suo giudizio? Lorenzo Fossati: «Il sindaco è nostro amico e di conseguenza l’aiuto e il sostegno che
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può darci ci arriva. Sappiamo che le amministrazioni comunali non hanno soldi, tantomeno per il calcio, quindi abbiamo deciso di autotassarci per riuscire a gestire tutte le spese del caso». Albertocchi: «L’amministrazione comunale ci ha fornito i servizi indispensabili per condurre l’attività sportiva durante la stagione: acqua, illuminazione ed energia elettrica. Inoltre ci ha concesso l’accesso alla struttura sportiva coperta del Palabrada per allenarci quando il maltempo ci impediva di farlo all’aperto. Il sindaco ci ha fatto i complimenti, ma, ricordo, che ci ha anche promesso di offrirci una festa per celebrare l’impresa (ndr ride)». Quali sono le persone che si sente di ringraziare? Fossati: «Prima di tutti i giocatori che hanno creduto ad una cosa impossibile, a cui all’inizio credevo solo io, ma settimana dopo settimana, giocatore dopo giocatore… la squadra ha iniziato a crederci. È grazie a loro se siamo riusciti nell’impresa, mi sento di ringraziare in parti colorare Maurizio Guidi, un giocatore, che con la sua esperienza è riuscito a compattare il gruppo nei momenti difficili. Ringrazio la società che ci ha sempre fornito il suo apporto nei pochi momenti di bisogno». Albertocchi: “Il primo grazie va al mio co-allenatore Simone Marchesi con cui ho condiviso tutto, un grazie speciale va ai dirigenti, accompagnatori e collaboratori, Sasha Borodin, Marco Abbagnato, Paola Crevani, Marco Ghiozzi, Silvano Crotta e Sergio Pietranera. Hanno profuso un grande impegno durante questi anni, sacrificando tempo e interessi personali. Anche Sandro Rocchi merita di essere ricordato: è stato il fondatore della nostra società e anche quest’anno non ha fatto mancare il suo aiuto. Immancabile poi un ringraziamento rivolto a Daniele Achille, noto a tutti come “Il Ciaga”, presidente, cuoco e motivatore instancabile e appassionatissimo». Quali sono i componenti della sua squadra? Lorenzo Fossati: «Castelli Davide, Antonio NobilI, Carulli Ignazio, Castellani Mauro , Francesco Draghi , Francesco Gullì, Giacomo Tagliani, Gianvito Losito, Ginelli Paolo, Guidi Maurizio, Danese Stefano, Michael Guidobono, Malaspina Mattia, Mazzocchi Matteo, Bernini Roberto, Volpini Mirko, Rossi Vittorio, Rossi Fabio, Albertazzi Alessandro, Mattia Nevioni, Matteo Tomò, Matteo Villani, Zanellini Gabriele e Loris Crotta. I mister: Danese Stefano ed io, Fossati Lorenzo”. Albertocchi: «Alan Pasquali, Daniele Crevani, Simone Bosi, Marco Fellegara, Mattia Domenichella, Matteo Balestrero, Simone Rocchi, Riccardo Dell’Orto, Andrea Rocchi, Luciano Volpini, Idemudia Bright, Osadolor Osayande, Maska Brichetti, Maurizio Manzini, Samson Osojiese, Mauro Colombini, Davide Abbagnato, Klejdi Belba, Manuel Micunco, Marco Bruni, Mauro Crotta. Allenatori: Davide Albertocchi, Simone Marchesi».
di Riccardo Emanueli
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Tre uomini per due imprese: Icio, Ciano e Mau una carriera infinita
Manzini Maurizio 49 anni
Tutti e tre over 40, tutti e tre dell’ Oltrepo, tutti e tre giocano ancora a calcio, tutti e tre una cosa in comune: la vittoria. Volpini e Manizini hanno accompagnato alla vittoria il Romagnese, mentre Guidi ha aiutato il Casanova Staffora a riconquistare il titolo. Tanti aneddoti, qualche rimpianto ma ancora (per qualcuno) una gran voglia di giocare. Qual è il suo soprannome storico? Maurizio Manzini: «Semplicemente il diminutivo di Maurizio… Icio». Luciano Volpini: «Bomber Volpini, o quello per cui sono più conosciuto ovvero Ciano». Maurizio Guidi: «Per tutti Mau...se devo dire un giocatore in cui mi sono rivisto per caratteristiche:Luis Figo». Il momento più difficile e quello più bello della sua carriera? M.Manzini: «Fortunatamente non ho mai avuto momenti difficili mi sono sempre goduto vittorie e sconfitte perchè anche quelle servono. Il momento più bello della carriera, sono due a dire il vero: le due promozioni consecutive dalla seconda alla promozione con lo Zavattarello e aver giocato ad un torneo a Milano con e contro ad ex giocatori di serie A, sono cose che per un giocatore restano indelebili nei ricordi». L.Volpini: «Il momento più difficile per me non è mai esistito, il più bello è stato quando sono tornato al Varzi. Arrivavo dal Codevilla e avevo appena vinto due campionati, ma la cosa più bella era tornare a Varzi e si sa che chi va via non torna più. Io invece ero così forte che patron Poggi si è dovuto ricredere». M.Guidi: «Il momento più duro: in casa
Volpini Luciano 50 anni
(Varzi) con l’Oltrepò in promozione, ultima di campionato 2005/6, siamo retrocessi malgrado la vittoria e il mio infortunio. Diciamo che da lì ho chiuso con un certo calcio! Un momento molto brutto è stata anche la sconfitta a Parona, finale play off di prima con lo Zava. Era il 45’ stavo avviandomi verso gli spogliatoi perché mi avevano sostituito e abbiamo preso il gol del 2 a 2… e perso anche la partita. Dalle sconfitte nascono le vittorie, si suol dire, infatti l’anno dopo la gioia più grande: vittoria dei play off con il Varzi a Cilavegna... promozione raggiunta! Una bella emozione anche la vittoria del campionato di quest’anno con il Casanova, dopo una rincorsa incredibile». Un rimpianto? M. Manzini: «A detta di qualcuno se avessi avuto un’altra testa, forse e sottolineo forse, sarei potuto salire di qualche categoria… non so fino a dove». L. Volpini: «No, sono felicissimo del mio percorso fin qui! Aver giocato fino a 50 anni è stato fantastico». M. Guidi: «Il rammarico più grande è di non essere andato al Pavia da giovanissimo. Mi avevano preso, ma dovevo trasferirmi là e, allora, non me la sono sentita di lasciare il paesello». Il giocatore più forte che ha affrontato o con cui ha giocato? M. Manzini: «Il giocatore più forte che ho incontrato non lo saprei dire perché non mi ricordo mai i nomi dei miei avversari. Mi ricordo i giocatori che hanno giocato con me e sono tanti, soprattutto l’anno della promozione con lo Zava: Viani e Masneri, due giocatori incredibili. Viani sempre in posizione con grinta da vendere, Masneri
Guidi Maurizio 43 anni
un giocatore elegante sempre testa alta». L. Volpini: «Nei tornei serali a Bagnaria e a Varzi incontrai un giovane, faceva Padovano di cognome. Qualcosa di impressionate, infatti poco dopo approdò alla Juventus». M. Guidi: «Giocatori forti ne ho trovati tanti, cito Fabio Barbieri e Icio Manzini. Sono stati entrambi avversari e compagni, il terzo Giovanni Alpeggiani, un compagno sfortunato per via degli infortuni». La vedremo calcare ancora i campi da calcio l’anno prossimo? M. Manzini: «Per quanto mi riguarda l’anno prossimo la voglia c’è sempre e purtroppo non mi voglio rendere conto che a dicembre saranno 50 anni. Quindi vedremo, magari ancora un annetto … vedremo». L.Volpini: «Basta, è ora di smettere con il calcio e noi abbiamo finito in bellezza! Adesso mi dedico solo alla raccolta dei tartufi, dopo il calcio è la mia passione, attività preferita .Volevo solo dire una cosa: il calcio è lo sport più bello che ci sia e i giovani che lo frequentano devono cercare di far tanti sacrifici soprattutto il sabato, se vogliono giocare per tanti anni come il sottoscritto. Un saluto agli amici di tutte le squadre in cui ho giocato e un forte abbraccio al più grande presidente: Poggi Carlo. Ho potuto giocare fino a 50 anni anche per merito della mia famiglia che è sempre stata d’accordo e ha rispettato le mie scelte e sono i miei primi tifosi». M. Guidi: “Il prossimo anno non lo so. Tenetevi pronti per l’addio al calcio, ma lo dico ogni anno!». di Riccardo Emanueli
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Santa Maria della Versa - “I Branca Menta”: «Oggi la nostra pagina Facebook conta circa 1500 fan!» “I Branca Menta” è il nome di una squadra di calcetto dell’Oltrepò Pavese. Il calcetto in Oltrepò è uno sport particolarmente sentito che non conosce età: chiunque appassionato, che per limiti di età e di forma non gioca più a calcio certamente almeno una partita nei tanti tornei che animano le serate estive oltrepadane l’ha fatta. Un momento irrinunciabile di “sfogo” accompagnato da un sano divertimento e a seguire altrettanto sane “mangiate e bevute”. Quella de “I Branca Menta” non è solo la storia di un gruppo di amici che non rinuncia a tirare “due calci” ad un pallone ma lo fa anche e soprattutto per “far del bene” a chi ne ha bisogno. Lo scorso 25 maggio “I Branca Menta” hanno avuto la possibilità di giocare una partita nello stadio di San Siro in occasione del torneo “In campo con il Cuore”, l’evento giunto alla sua terza edizione a sostegno della campagna di sensibilizzazione per la diffusione del primo soccorso e del defibrillatore salvavita e la loro è stata un’emozione fortissima! «Grazie al nostro amico Danilo - ci spiega ciascuno di noi ha potuto realizzare il “sogno da bambino”, ovvero quello di poter giocare una partita nello stadio di San Siro... un’emozione grandissima! Abbiamo organizzato un pullman e in quel momento ci siamo sentiti una vera squadra di calcio: l’arrivo, il pass d’ingresso, le nostre famiglie che ci hanno accompagnato... e per una serata abbiamo giocato nel “tempio del calcio”. Per tutti noi è stata davvero un’avventura memorabile!». Torniamo a voi... Siete tutti originari dell’Oltrepò Pavese? «Sì, siamo tutti originari dell’Oltrepo Pavese, tra Santa Maria e Stradella ad eccezione del mister Noè Emanuele e dell’accompagnatore Angelo che sono di Pavia. La squadra è composta da: Sansone Francesco, Santini Gian Luca, Lentini Massimiliano, Galimberti Marco, Galimberti
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Danilo, Cristea Adrian, Vitali Mario, Bersani Ivan, Verdi Davide, Faravelli Matteo, Vecchietti Andrea, Castelli Claudio, Pasquini Emanuele, Tonalini Krystian, Zavatarelli Fabio, Faraon Alessandro, Sansone Luigi e Spriano Paolo». Da quanti anni giocate insieme? «I Branca Menta nascono circa 9 anni fa; dopo aver iniziato a giocare settimanalmente, abbiamo deciso di darci un nome e abbiamo stabilito un colore che ci potesse rappresentare, l’arancione... La cosa incredibile è che oggi la nostra pagina Facebook conta circa 1500 fan!». Solitamente dove giocate? «Ad eccezione delle sfide ad 11, giochiamo d’inverno al Palazzetto dello Sport
di Santa Maria della Versa e d’estate nel campo da calcetto di Volpara». Qual è la “filosofia” del vostro gioco? «I Branca Menta non è solo una squadra di calcetto, ma è diventato un gruppo dove i valori fondamentali sono l’amicizia, il divertimento e l’aiuto benefico a chi ne ha bisogno!In realtà, le partite per la nostra squadra non sono solo un appuntamento di gioco. Puntualmente organizziamo eventi annuali come la tradizionale partita ad 11 “contro” un gruppo di amici di Milano, che è diventato un pretesto per una “festa” e allo stesso tempo un modo di raccogliere fondi da destinare a varie associazioni, tra cui “Forza 4” , un’associazione di Pavia composta da persone fantastiche che aiu-
tano bambini malati. Le gite con le famiglie, il Torneo di Natale con annessa cena sociale... sono tutti eventi che organizziamo per raccogliere fondi». Qual è stato l’evento benefico più importante che avete organizzato? «L’evento benefico più importante lo abbiamo organizzato lo scorso anno durante una partita giocata a Broni; in questo evento abbiamo raccolto una discreta cifra che poi abbiamo donato direttamente al Console Generale del Burkina Faso; questo ci ha onorato della sua presenza e a fine partita ci ha fatto un sentito discorso sulla fratellanza». di Silvia Cipriano
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Rally 4 Regioni International: il Podio Musti, Jenot e Covini sugli scudi
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Rally 4 Regioni International, il Podio Del Rally 4 Regioni si é ormai detto e letto tutto e di tutto, pertanto, negli articoli che su queste pagine ne seguiranno in merito alla manifestazione, troverete solo piccole analisi, iniziando dal podio dell’evento focale della quattro giorni motoristica vissuta a Salice Terme, il 4 Regioni Historic o “internazionale” e al suo epilogo, per il quale ci rifacciamo ad una frase pronunciata da Francesco d’Assisi, che disse: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Ecco, si può riassumere così la vittoria di Matteo e Claudia Musti al Rally 4 Regioni Historic 2018, gara che sembrava ormai saldamente nelle mani del lariano Melli. I fratelli vogheresi (da tutti dati alla vigilia come grandi favoriti), hanno iniziato la gara facendo il necessario: essere più veloci possibile con la loro Porsche 911 RS, approntata dalla Ova Corse, la struttura di Voghera a cui fa capo il padre Filippo, ma sorprendentemente, proprio a guastare loro la festa sulle strade amiche, c’é stato il giovane lecchese, Enrico Melli (già tre volte secondo al 4 Regioni), coadiuvato sulla Porsche 911 SC RS dal navigatore di Bressana, Matteo Nobili che, accumulando secondo dopo secondo, sono riusciti a presentarsi allo start dell’ultimo tratto cronometrato, la PS di Golferenzo, con
32” di vantaggio sui favoriti della vigilia. Su questa prova i Musti hanno fatto certamente il possibile per agguantare quel successo che obiettivamente sembrava ormai troppo lontano. Ma ecco che dopo il possibile, accade ciò che tutti reputavano impossibile: vincere quella gara che sembrava ormai segnata, andando a bissare il successo dell’anno precedente, proprio davanti a Melli. Questo é avvenuto grazie ad un errore dei leader. Onore quindi a Matteo e Claudia, che un’esperienza simile, tanto negativa, la vissero proprio sulla loro pelle nel 2016, quando, per un errore sull’ultima prova speciale, consegnarono la vittoria a Canzian. Chapeau a Melli e al suo “naviga” Nobili, capaci di tenersi alle alle spalle fino all’epilogo finale, un pilota molto bravo, veloce e pressoché imbattibile sulle strade di casa. Il secondo gradino del podio é ansato al monegasco Pierre-Manuel Jenot, terzo assoluto e primo di classe lo scorso anno, con al suo fianco sulla Ford Escort Mk2, l’ormai collaudato “Slo” Milo. Jenot, pilota molto veloce sull’asfalto, ma anche sui fondi sconnessi, sia con vetture storiche che moderne, in cui corre con una Skoda Fabia R5 (non va dimenticato il suo 12° posto assoluto al Rally International du Chablais 2017 vinto da Lobe). Torna volentieri a correre al 4 Regioni, che reputa una gara di quelle legate alla storia dei veri
rally: dura e veloce, in grado di esaltare le qualità di guida. Meritatissimo terzo gradino del podio per gli stradellini Claudio Covini e Andrea Brega con la stupenda Lancia rally 037. Covini debutta in campo agonistico al Sanremo Storico nel 2011 con l’amico Andrea Brega sulla Fiat 124 Abarth (una vettura dalla storia singolare, appartenuta al suocero Rinaldo Brambilla, conosciutissimo ex concessionario Fiat di Stradella, usata dallo stesso nei rally degli anni Settanta e recuperata in Germania). Alla fine é quarto in classe C3. Lo stesso risultato lo ripete all’Elba Storico, mentre al Rally Legend non é fortunato. Sanremo e Elba sono ancora gli impegni dell’anno successivo in cui é rispettivamente 7° e 5° di classe. Nel 2013 passa al volante della 037 in livrea Martini, partecipa all’Elba e al Legend. Dopo un ottimo 2° posto al Costa Brava del 2015, la stagione più intensa per Covini é datata 2016 in cui, con la 037 partecipa al Sanremo vincendo la classe, nuovamente al Costa Brava dove giunge terzo, al 4 Regioni, al Legend, mentre con la Lancia Delta é 5° al Motor Show di Bologna. Nella passata stagione ha disputato un bellissimo 4 Regioni sino in vista del traguardo con in pugno la quinta posizione assoluta prima di essere costretto al ritiro per un problema meccanico. Ovviamente, inutile dirlo, con il 4 Regioni, Covini ave-
vaun conto in sospeso., ripagato con tanto di interessi. Un podio, quello dell’Historic 2018 in cui i piloti locali l’anno fatta da padroni regalando alla Scuderia Piloti Oltrepo un oro e un bronzo. Meglio di così….. in base allo spazio – priorità foto: di Piero Ventura
la 037 di Covini-Brega
La Porsche di Musti-Musti
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Rally 4 Regioni Storico: vincono Ghezzi - Benenti tra sterili polemiche “Più bella cosa non c’é” dice Eros Ramazzotti in una sua canzone. Oggi siamo convinti che non sia solamente il buon Eros a dirlo, ma anche Agostino Benenti, il quale afferma: “Un regalo di nozze così bello non me lo sarei mai aspettato”. Si, perché Agostino Benenti é convolato a nozze 7 giorni dopo il successo al 4 Regioni Storico. Gara che con Alessandro Ghezzi e la Porsche 911 RS by Ova Corse era iniziata in salita con uno stop forzato sul prologo d’apertura: la prova speciale di “Cecima” in notturna. Senza perderci in meandri regolamentari, diciamo semplicemente che le normative federali prevedono la riammissione in gara con attribuzione di penalità. Ghezzi-Benenti, gravati della penalità prevista, sono ripartiti a spron battuto il giorno dopo e vincendo 5 prove speciali sulle 6 in programma (la sesta l’hanno ceduta per mezzo secondo), hanno recuperato lo svantaggio andando a vincere meritatamente con 12”8 su MariottiSanesi, bravi con L’Alfa Romeo GT Turbodelta e con 1’02”0 su Bertinotti-Rondi (Opel Manta GT/E). Per gli sprovveduti in materia e per chi parla semplicemente perché ha il dono della parola, l’occasione
di innescare sterili polemiche é stata ghiotta, ovviamente ricavandone quella figura barbina che ne deriva. Le regole ci sono, vanno applicate e rispettate e nessuno, ne organizzatore, o direttore di gara e tanto meno i concorrenti, hanno commesso illeciti come qualche trombone (oltretutto stonato), ha tenuto a intonare. Che piaccia o meno le regole sono quelle. Dando uno sguardo agli oltrepadani in classifica generale, va sottolineata la bella prestazione di Persani-Calatroni (SPO) con la Peugeot 205 Gti, sesti assoluti e primi di classe; il nono posto con vittoria di classe di Mombelli-Leoncini (Paviarally) su Ford Escort MKI; il tredicesimo posto assoluto e terzo di classe Per Ruggeri-Marzi (Media Rally e Promotion) Fiat 127 Sport, gravati anch’essi da penalità come i vincitori e Albera-Albera (Efferre) ventitreesimi e primi di classe con l’Alfa Romeo Alfetta GT.
di Piero Ventura
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Rally Targa Florio: ottimo il vogherese Scattolon con Zanini Andrea Nucita e Marco Vozzo, Hyundai I20 R5, vincono la 102^Targa Florio. Secondi assoluti sono Paolo Andreucci ed Anna Andreussi con la Peugeot 208 T16. Terzo posto per Umberto Scandola e Guido D’Amore, Skoda Fabia R5. Per quanto riguarda i pavesi, ottimo Scattolon con Zanini. Andrea Nucita, in coppia con Marco Vozzo su Hyundai I20 R5 vince la Targa Florio. Il pilota messinese ha dato un saggio delle sue qualità, mettendo dietro tutti i pretendenti al titolo tricolore, impegnati nel terzo appuntamento del Campionato Italiano Rally. Nucita, meglio di chiunque altro é stato capace di interpretare al meglio i continui cambiamenti di fondo e di condizioni climatiche sulle strade di casa. Insomma, con un Nucita così in “palla” sarebbe stato impossibile per tutti tenerlo dietro. Paolo Andreucci, con Anna Andreussi su Peugeot 208 T16, con il secondo posto ha saputo cogliere un importante risultato ai fini della corsa all’ennesimo scudetto tricolore. Non essendo infatti Nucita iscritto alla serie, Paolo Andreucci, secondo al traguardo, ha preceduto tutti gli altri piloti impegnati nelle rincorsa al campionato. Con buoni riscontri, escono dalla Targa anche Umberto Scandola e Guido D’
Amore, a bordo della Skoda Fabia R5, che hanno ottenuto un ottimo terzo posto. Altre prestazioni di assoluto rilievo, sono state quelle del siciliano Toto’ Riolo con la Skoda Fabia R5, finito quarto assoluto, quella del toscano Luca Panzani, Ford Fiesta Evo II, addirittura primo assoluto dopo due prove e alla fine quinto assoluto e vincitore del terzo appuntamento valido per il CIRA. Molto buona anche la gara del reggiano Antonio Rusce, anche lui primo in due dei tratti cronometrati più difficili per le condizioni del fondo e, un ottimo risultato anche per le Skoda Fabia R5 di Rudy Michelini e di Giacomo Scattolon. Il driver vogherese, navigato dall’esperto concittadino Paolo Zanini, è stato autore del miglior tempo proprio sulle ultime due speciali del rally siciliano. Rientrano nella top ten della Targa, anche il molisano Giuseppe Testa con la Ford Fiesta R5 e il siciliano Marco Pollara, ottimo decimo assoluto al termine di una gara un po’ sfortunata per problemi all’idroguida della sua Peugeot. Una bella battaglia sulle strade siciliane si è combattuta anche tra il leader del tricolore Junior Tommaso Ciuffi e Damiano De Tommaso, entrambi portacolori dell’ACI Team Italia ed entrambi su Peugeot 208 R2B, dove
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Silvia Gallotti, navigatrice rivanazzanese, terza tra gli iscritti allo Junior proprio sul finire della gara il varesino di Peugeot Junior Team è riuscito a sorpassare il pilota fiorentino, a lungo al comando della classifica e, poi rallentato proprio sul finale da un testacoda. Terzo tra gli iscritti allo Junior il piacentino Andrea Mazzocchi
in gara con la pavese Silvia Gallotti, anche lui Peugeot 208 R2B., mentre lo stradellino Davide Nicelli chiude al 5° posto e al 2° tra le 2 Ruote Motrici.
di Piero Ventura
Rally Targa Florio: per Davide Nicelli una prima densa di emozioni Debutto al Targa Florio per Davide Nicelli Jr, navigato da Matteo Nobili: in una gara complessa, resa ancor più difficile dal meteo incerto e da una concorrenza di altissimo livello, le parole di Davide a “sangue freddo” hanno comunque un sapore dolce. Le emozioni vissute in una terra così speciale, il calore della gente e la grande partecipazione a questa storica manifestazione, sono la vera vittoria! Un’atmosfera tutta siciliana che difficilmente si riesce a vivere in altri luoghi! “Le emozioni provate al “Targa” sono senz’altro di gran lunga superiori a quelle che ho vissuto in qualsiasi altra manifestazione a cui ho preso parte fino ad oggi – afferma Nicelli – Già dalla partenza a Palermo con tantissimi appassionati davanti al teatro Massimo ad assistere alla sfilata di tutte le vetture, poi, le prove piene di gente come in nessun’altra parte, che tifava e ti dava la carica anche nei momenti più difficili, ali di folla a bordo strada nei trasferimenti, tantissime famiglie,anziani,bambini che salutavano scattando foto e video, la fine dell’ultima prova dopo lo stop dove tantissimi ragazzi e ragazze ci attorniavano festosi per una foto o un saluto e poi
l’arrivo a Cefalù, affollatissimo. Davvero tutto molto bello. In Sicilia ho trovato persone che amano ancora questo sport e per me sarà un piacere ritornarci”. Venendo alla gara, é stata una Targa Florio davvero difficile con un meteo in continuo cambiamento, prima acqua poi sole, poi ancora acqua. Tutto un week end condizionato dal tempo. Già i fondi da quelle parti sono scivolosi asciutti, con il bagnato diventavano veramente impegnativi. Nicelli ha comunque saputo gestirsi e gestire l’auto disputando una buona gara in crescendo, agguantando i primi punti stagionali. “Si, in effetti, é stato un rally in cui il meteo ha fatto la sua parte già dal sabato mattina sul primo giro di prove ho sofferto davvero tanto perché abbiamo effettuato una scelta di gomme non idonea – racconta Nicelli - Sul secondo giro di prove ho azzardato, montando gomme da bagnato nonostante il tempo tendesse migliorare. L’abbiamo azzeccata, tant’é che su di una prova abbiamo fatto segnare il 10 tempo assoluto e 1 dello junior. Poi, sul terzo giro di prove, siamo cresciuti sino a lottare per la quarta piazza dello junior, obiettivo centrato sull’ultima ps a cui abbiamo aggiunto il 3°
Davide Nicelli, navigato da Matteo Nobile del trofeo Peugeot e il 2° del 2ruote motrci, in una gara davvero insidiosa dove era molto facile sbagliare e grazie anche a quel po’ di fortuna che non guasta mai, abbiamo portato a casa qualche punto importante in ottica campionato. Certo c’è da lavorare tanto con sacrificio, perché il livello dello junior è molto alto. Un grazie quindi al team Bianchi che mi ha fornito un ottima
macchina, al mio navigatore Matteo molto bravo in una gara non facile anche per lui, alla mia scuderia Superba rally team e a tutti coloro che ci sostengono”. Nell’immediato, Nicelli sarà al via del rally Valleversa in attesa del prossimo impegno di campionato il 1 luglio al San Marino.
di Piero Ventura
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Al Rallye Elba gioie in dolceamaro per Scattolon e Canzian Il Rally dell’isola napoleonica é stata teatro di grandi esibizioni per due altrettanto grandi interpreti pavesi: Giacomo Scattolon e Riccardo Canzian, protagonisti di uno spettacolo straordinario dal finale non baciato però dalla dea bendata. Dopo l’ottima performance fornita dal giovane piolta vogherese al Rally Targa Florio, Giacomo Scattolon, brillantemente coadiuvato da Paolo Zanini, ha reagalato a tuttti gli sportivi e all’automobilismo pavese l’ennesima straordinaria prestazione in un rally di grande blasone, il Rally isola d’Elba. I portacolori della scuderia Road Runner Team hanno portato a termine la gara valida per il Campionato Italiano Rally al 6° posto assoluto, un risultato di prestigio ma che va a loro va molto stretto in base a quanto hanno saputo esprimere in gara, con il podio sfumato ormai in vista del traguardo. Una Grande gara la loro, intrisa di gioia ma anche di amarezza. “Siamo davvero molto soddisfatti del ritmo che siamo riusciti a tenere in questa gara – dichiara Scattolon - non avevo mai corso questo rally, ed ho trovato strade molto tecniche e particolarmente difficili; il grip cambiava in continuazione e non era semplice capire quanto tenesse. Ma il supporto tecnico di PA Racing e di Pirelli ci ha aiutato tantissimo. Allo shake down il nostro team principal Alessandro Perico
Giacomo Scattolon e Paolo Zanini, 6° Posto Assoluto ci ha suggerito un setup fantastico, e siamo riusciti ad avere un ottimo feeling con la nostra Skoda. Abbiamo cercato di guidare molto veloci, senza tuttavia esasperare traiettorie rischiose, cercando di evitare rischi di forature. Trovarci terzi assoluti allo start dell’ultima prova speciale del rally è stato fantastico. Siamo partiti concentrati e decisissimi a difendere la nostra posizione sul podio. Gli intertempi di riferimento che avevamo fino al decimo km della ps erano assolutamente straordinari. Purtroppo subito dopo abbiamo trovato una pietra in traiettoria assolutamente non evitabile. Non riusciamo ancora a capire come fosse finita lì. Di certo la foratura non è stata figlia di un taglio azzardato o di una traiettoria esasperata. Siamo certamente delusi per il risultato finale che poteva, anzi dove-
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Riccardo Canzian, secondo al Trofeo Clio R3 Top
va, essere migliore. Abbiamo però la soddisfazione di essere riusciti a segnare tempi davvero molto buoni, in una gara che ha avuto un ritmo forsennato ed altissimo fin dalla prima ps. La convinzione di poter essere vicinissimi alla vetta della classifica ci deve far guardare con ottimismo il proseguo del campionato”. Il 51° Rallye isola d’ Elba è stato anche lo scenario della terza prova stagionale del Trofeo Clio R3 TOP, in cui non è mancato lo spettacolo, grazie ad un bel duello tra il leader, l’emiliano Ivan Ferrarotti e il pilota di Broni, Riccardo Canzian, che sin dalle prime battute del primo giorno di gara hanno fatto registrare tempi molto simili. Canzian, navigato dal friulano Andrea Prizzon, hanno tenuto il comando delle operazioni fino alle battute finali del rally, dove l’esperienza di Ferra-
rotti e del suo coéquipier Giovanni Agnese è uscita fuori proprio in occasione dell’ultima delle dieci prove speciali previste dalla competizione isolana, ovvero la “Due Mari”. La stoccata vincente del pilota reggiano gli ha permesso di conquistare anche il primato tra le Due Ruote Motrici del Campionato Italiano Rally ed allo stesso tempo di consolidare la propria leadership nel tro feo, in cui adesso vanta 15 lunghezze di vantaggio nei confronti di Canzian, che ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per poter ambire al titolo. Clio R3 TOP: 1. Ferrarotti 91 punti; 2. Canzian 76; 3. Rosso 57; 4. Tosi 26; 5. Lindholm 20; 6. Calvetti 16.
di Piero Ventura
Rally Aci Lecco: trasferta positiva per i portacolori della Erreffe Motorsport di Romagnese Il 14° Rally Aci Lecco ha visto la vittoria assoluta dell’equipaggio valtellinese formato da Marco Gianesini e Sabrina Fay che su Skoda Fabia R5 si è imposto in una gara che ha vissuto dell’entusiasmante duello con l’altra vettura della casa ceca ossia la Fabia di Ilario Bondioni ed Elia Ungaro, finiti secondi per soli 4”7. Se è stato incandescente il duello per la vittoria, altrettanto è stato quello per il podio con Loris Ghelfi e Gianluca Marchioni che hanno piazzato la zampata vincente nel corso dell’ultimo stage conquistando così il terzo posto finale sulla Skoda Fabia di Colombi (a 58”2). Appena fuori dal podio per soli 0”6 il lecchese Marco Paccagnella che insieme a Beniamino Bianco. Quinto a 1’12”1 un altro equipaggio locale, Memeo-Alicervi, al debutto in R5 (Ford PR2). Trasferta positiva per i portacolori della Erreffe Motorsport di Romagnese, Pierluigi Sangermani e Lorenzo Paganin dove,
Sangermani - Paganin, Vincitori di classe N4
con la Mitsubishi Lancera Evo IX, hanno vinto il gruppo N e la classe di riferimento concludendo in 12° posizione assoluta. La gara non era iniziata benissimo con la doppia prova di Calolziocorte dove l’equipaggio pavese ha avuto problemi nella stretta inversione e relativo spegnimento dell’auto. Una gara in salita con un bella rimonta nella giornata di Domenica a scalare posizioni su posizioni sino al raggiungimento, proprio sulla penultima speciale, del primo posto in gruppo N. “La gara è iniziata proprio male – ha confermato Sangermani - con la stretta inversione proposta nelle prime prova speciale, come lo scorso anno abbiamo avuto problemi con l’ingombrante Mitsubishi. La macchina non ha avuto alcun problema per cui faremo la gara di casa, il Rally Day Valle Versa, con il morale alto grazie al risultato ottenuto in questa gara difficile”.
di Piero Ventura
RALLY VALLEVERSA - 9 GIUGNO 2018
Il programma della gara
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RALLY VALLEVERSA - 9 GIUGNO 2018
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Stradella: il quartier generale del Rally Valleversa
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Tabella distanze e tempi
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Prove Speciali 1,3 e 5
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Prove Speciali 2,4 e 6
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