Il Periodico News - AGOSTO 2018 N°133

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PER PROMUOVERE IL TURISMO in OLTREPò, FORSE BISOGNA FARE COME IL REAL MADRID E NON COME IL BARCELLONA

Anno 12 - N° 133 AGOSTO 2018

20.000 copie in Oltrepò Pavese

pagina 3 Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

SILVANO PIETRA «Non condivido particolarmente l’idea di una fusione... »

«Io, Segretario di Forza Italia, ad oggi non ho sentore sul sindaco leghista... Anzi»

pagine 18 e 19

SALICE TERME I colpevoli del fallimento delle Terme di Salice, li stanno cercando?

Una cappa con un plumbeo e forse anche omertoso silenzio è calata sulle Terme di Salice. I politici locali sembrano aver capito che il silenzio... pagina 27

VARZI «Le nostre iniziative nel dimenticatoio, la Valle Staffora è agonizzante» Carlo Torlasco tra il 2004 e il 2010 è stato vice presidente della Pro Loco di Varzi retta da Anna Perocchio. Un periodo che sarebbe troppo definire ... pagina 29

CASTEGGIO

In piazza Vittorio Veneto a Casteggio l’ufficio dello Iat, l’Infopoint per l’accoglienza turistica del Comune di Casteggio, è aperto quasi ogni giorno... pagina 35

BRESSANA BOTTARONE Si è dimesso l’assessore Gianfranco Ursino Gianfranco Ursino si è dimesso dalla sua carica di assessore alle attività produttive, alla cultura, allo sport e al tempo libero del comune... pagina 37

TORRICELLA VERZATE «Quando incompetenza e prepotenza sovrastano il buon senso»

Marco Bertelegni è l’enologo dell’Azienda Monsupello, ma è anche una delle voci più chiare e schiette del mondo vitivinicolo oltrepadano... pagine 38 e 39

maggiormente presenti sul Territorio. Di se stesso dice, con cognizione di causa e dati, di essere il Segretario cittadino di Forza Italia “che non ha mai perso”!... pagina 4

Fusione Rivanazzano, Godiasco - Salice e forse anche Retorbido... Il nome “Staffora Terme” Da qualche anno c’è l’idea, ripresa da più parti, di una fusione tra i Comuni di Rivanazzano Terme e Godiasco-Salice Terme. Ultimamente è stata ventilata l’idea di aggiungere alla fusione dei due Comuni termali, anche Retorbido. Il dovere di un buon amministratore è di cercare sempre l’interesse della sua comunità e di valutare ogni opportunità di crescita e miglioramento che gli venga sottoposta. Rivanazzano Terme e Godiasco-Salice Terme, ai quali sembra essersi... pagine 22 e 23

«Partire da un bollicine Metodo Classico di altissima gamma» Luigi Gatti, 56 anni, ha tre figli, e da metà giugno ha, anche, come si dice in Oltrepò, “una bella gatta da pelare”, è infatti stato eletto, Presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Gatti è stato eletto, dopo che una quindicina d’aziende, il giorno dopo le ultime elezioni, hanno abbandonato il Consorzio. Il nuovo Presidente oltre ad avere tre figli, una bella azienda vitivinicola, ed una “bella gatta da pelare”...pagine 14 e 15

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oltre

«A questo territorio manca promozione da parte delle istituzioni»

è indubbiamente uno dei volti più conosciuti della politica oltrepadana, avendo avuto oltremodo incarichi anche provinciali, ed uno degli esponenti politici di lungo corso

In Oltrepò Pavese si fanno vini buoni ma non li si vende per pigrizia e incapacità di fare impresa arrivando a scaffale; s’invoca la pubblicità come panacea di tutti i mali; ci si radica su modelli sbagliati da “primo prezzo” inseguendo il concetto vecchio di trent’anni del “vuota la cantina il prima possibile”. Si vende, insomma, nella più parte dei casi, la bottiglia secondo la logica del mercato della damigiana del dopoguerra. Nell’ultimo periodo ho avuto modo di carpire da vari discorsi di addetti del settore che molte cose non funzionano per un problema d’impostazione. In altre zone di Lombardia, Franciacorta in primis, insegnano che le aziende dovrebbero proteggere il loro prezzo al dettaglio ben sapendo che il livello a cui si posizionano influenza non poco la loro immagine. Se si scivola troppo in basso si diventa... pagina 7

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Il Comune di Silvano Pietra svolge, con soddisfazione, la maggior parte delle proprie attività in coordinamento con Corana e Cornale-Bastida...

In Oltrepò si fanno vini buoni MA inseguendo il concetto del “vuota la cantina il prima possibile”

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LA TRIPPA

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PER PROMUOVERE IL TURISMO in OLTREPò, FORSE BISOGNA FARE COME IL REAL MADRID E NON COME IL BARCELLONA Da mesi, da anni, da decenni, i più svariati e variopinti personaggi politici e pseudopolitici, faccendieri pubblici e mercanzie del genere, hanno organizzato e continuano imperterriti, ad organizzare, con regolare cadenza, inutili alla luce dei fatti, tavole rotonde, quadrate, rettangolari, convegni e pensatoi, con un unico scopo: l’Oltrepò deve procedere unito nella promozione dei suoi prodotti e del turismo attraverso un’unica immagine coordinata e sotto un’unica cabina di regia. In buona sostanza vorrebbero, i nostri eroi pubblici e para… pubblici, far capire che non ci possono essere una miriade d’associazioni, enti o organizzazioni varie, che ognuna per conto suo propone i prodotti e il turismo nell’Oltrepò, facendo una promozione senza coordinamento. Questo lodevole intento per trovare questo unico soggetto che promuova prodotti e turismo in Oltrepò è da decenni che viene cercato, purtroppo o per fortuna, dipende come ognuno vede la cosa, non è ancora stato trovato! Forse, dopo tutti questi decenni d’infruttuosa ricerca, è il caso che la smettano di cercare, così da risparmiare tempo e fiato; soprattutto alla luce del fatto che mentre 30 anni fa chi si occupava di promuovere l’Oltrepò e i suoi prodotti erano 5 o 6 enti o associazioni, oggi queste entità, volenti o nolenti, sono aumentate di numero in modo esponenziale e considerevole, anzi pressoché ogni mese ne nasce una nuova ed una in più. Tra tutte queste entità, al di là delle dichiarazioni di intenti che è per tutti uguale, ed è, parola più, parola meno: “dobbiamo collaborare tra noi in maniera sinergica e univoca, sotto un’unica cabina di regia, per proporre in maniera coordinata il prodotto Oltrepò”, la realtà è ben diversa, perché ognuna di queste associazioni o enti ha: A) Il suo orticello d’interessi da curare B) Ognuno dei responsabili di queste associazioni pensa, e magari ha, la soluzionericetta migliore per promuovere l’Oltrepo C) La speranza di andare a reperire fondi pubblici o pseudo pubblici D) Gestire il budget dei fondi reperiti E) Ultimo, ma non ultimo, molte di queste associazioni ed enti, magari non tutte, ci mancherebbe altro, sono capitanate, più che gestite, da gente che “tiene famiglia”. Stando così la situazione è inutile continuare a dire “uniamoci”, bisogna prendere atto della situazione e ammettere che l’Oltrepò non vuole unirsi. Bisogna, forse e pertanto, cercare di perseguire l’unica strada praticabile , cioè quella delle varie individualità territoriali e associative che promuovono ognuna a loro modo, con le loro idee e con la loro indipendenza strate-

gica e decisionale il loro prodotto di competenza. Qualcuno obietterà “così non si dà un’immagine univoca e forte all’Oltrepo” forse è vero o forse no. La realtà è che in Oltrepo non è ragionevole, per le teste giuste o sbagliate che ci sono, alla luce dei risultati sotto gli occhi di tutti, porsi come obbiettivo un’immagine univoca. Quindi facendo di necessità virtù bisognerebbe lasciare i vari enti e le varie associazioni libere di promuovere come cavolo vogliono ciò che vogliono. I sostenitori dell’utopistica unione e dell’unica cabina di regia diranno che così non funziona, io penso non sia vero! Può funzionare, ci sono tanti esempi in giro per il mondo dove il soggetto promotore di prodotti turistici ed enogastronomici non è uno solo. Forse, prendendo atto della situazione, bisogna cambiare l’approccio. Nella vita, nel commercio e anche nello sport non c’è una ricetta unica, giusta ed infallibile. Prendiamo ad esempio due squadre di calcio note e conosciute da tutti: il Barcellona e il Real Madrid. Il Barcellona è una squadra che sotto un’unica cabina di regia, cioè l’allenatore, esprime un gioco corale, codificato ed armonico, dove i vari giocatori, rinunciando tutti a qualche cosa, si fondono tra loro per raggiungere la vit-

toria. Questa è una strada, cioè l’allenatore da la ricetta per vincere con un gioco precodificato. Il Real Madrid al contrario, previlegia le individualità, non ha un gioco così corale come quello del Barcellona, esistono piuttosto 11 giocatori che per capacità tecniche e per volontà comune cercano in tutti i modi di raggiungere la vittoria. Per alchimia sportiva le individualità si fondono tra di loro in modo naturalmente casuale, i calciatori più che guidati in base ad un canovaccio prestabilito vengono gestiti dall’allenatore di turno e anch’essi raggiungono la vittoria. Due stili, due modi di essere, ma che portano, se i vari attori in campo fanno bene il loro lavoro, alla vittoria In Oltrepò preso atto alla luce dei decennali tentativi, che non c’è un allenatore con sufficiente carisma e forse competenza per dare un gioco univoco ai vari enti e associazioni e che l’individualismo di ogni associazione è un dato assodato, forse bisognerebbe farsene una ragione ed applicare il modello Real Madrid. Ripeto: è solo un esempio calcistico, senza pretese, per cercare di semplificare il concetto. È inutile continuare a cercare questa benedetta “cabina di regia unica” , perché è dimostrato che non c’è, e se c’è non si è

mai trovata… È velleitario ed utopistico voler a tutti costi far salire tutte le associazioni e gli enti oltrepadani in unico autobus, che percorre un’unica strada, per andare a Roma per vedere il Papa. Forse è meglio ed alla luce dei fatti, più velocemente realizzabile, che in Oltrepò ognuno vada con la propria autovettura, per la strada da lui liberamente scelta, e ci si trova poi tutti a Roma per vedere il Papa. Qualcuno obietterà che forse non tutti vogliono andare a Roma per vedere il Papa. Su questo dissento. Perché se Roma ed il Papa sono il profitto per la propria azienda tutti ci vanno, da che è mondo è mondo. Se si accetta, questo, pur opinabile, modo di pensare, la strategia comunicativa e promozionale dell’Oltrepò potrebbe essere naturalmente e casualmente trovata e forse si smetterebbe anche di perdere tempo con le varie riunioni, simposi, seminari e tavole di varie dimensioni e forme geometriche per trovare questa unica e omnicomprensiva cabina di regia. Ma mi sa che in Oltrepò, continueranno nella loro imperterrita ricerca della cabina e della la regia, magari non facendo mente locale su un problema: quello che manca veramente è il regista. di Antonio La Trippa


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VOGHERA

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«Io, Segretario di Forza Italia, ad oggi non ho sentore sul sindaco leghista... Anzi» è indubbiamente uno dei volti più conosciuti della politica oltrepadana, avendo avuto oltremodo incarichi anche provinciali, ed uno degli esponenti politici di lungo corso maggiormente presenti sul Territorio. Di se stesso dice, con cognizione di causa e dati, di essere il Segretario cittadino di Forza Italia “che non ha mai perso”! Effettivamente, per i due mandati di Aurelio Torriani ed i due mandati di Carlo Barbieri, quindi per 20 anni, la sua gesione del Partito si è sempre rivelata vincente! Segretario riconfermato quest’anno dall’Onorevole Cattaneo, abbiamo incontrato Gianpiero Rocca Da dove iniziamo? «Dalla notizia che mi è appena giunta dell’arrivo di nuovi migranti in città, ed il modo con il quale si sta agendo nella questione! Perchè se prima i migranti erano alloggiati in due strutture, ora pare che la situazione non vada più bene e debba essere cambiata! Stiamo cercando di aumentare un po’ l’IMU per questi appartamenti e case che cambiano la destinazione d’uso, per cercare di vedere se magari qualcuno è un po’ sensibile al problema e calmare un attimo la situazione. Altrimenti, rischiamo che Voghera perda anche i due punti cardine: l’Hotel Zenith e l’Hotel Rally! Quindi noi passiamo da 150 a 180 migranti in città perchè, con il 5X1000, su 40.000 abitanti dobbiamo dar alloggio 200 migranti». Mi scusi se la interrompo: quindi la “capienza” di una città è determinato dal 5X100? «Esatto. Secondo l’ultima normativa è così. Quindi non è sufficiente che Salvini faccia propaganda: penso sia arrivato il momento di agire. Il centrosinistra e Alfano hanno sicuramente le loro colpe, ma ad oggi vedo che anche la Lega, al di là degli slogan, non ha risolto la questione migranti. Ha un sacco di voti in prestito: non penso che tutto l’apparato dei moderati sia diventato improvvisamente leghista! Piuttosto credo che per questo problema dei migranti, che incide sulla sicurezza, in quel preciso momento Salvini sia stato quello che ha fatto da cassa di risonanza, ma adesso che è al Governo, deve agire!».

«L’amministrazione sta lavorando bene e si impegnerà sempre di più, anche a livello di nuove iniziative»

Visto dal punto di vista dell’amministrazione Vogherese, dove una parte di città si aspetta che la candidatura del prossimo sindaco, considerato il successo della Lega alle elezioni politiche, potrebbe essere appartenente a questo partito, pensa che questa cosa possa nuocere? «Non lo so, anche perchè sul fatto del Sindaco leghista, io, che sono il Segretario di Forza Italia a Voghera, non ne ho sentore ad oggi... Anzi! Ad oggi a Voghera c’è una coalizione fatta da Forza Italia e dalle Liste Civiche, più Paolo Affronti ed i rappresntanti ed elettori del suo Partito, e devo dire, ad onor del vero, che anche Fratelli D’Italia è pronto ad entrare in maggioranza, dopo che ha messo a punto qualche questione interna, dopodichè, la Lega faccia ciò che vuole. Io continuo a dire che noi siamo in campagna elettorale perenne, chi mi conosce lo sa. Nelle ultime elezioni Voghera ha fatto la sua parte, pur con mille difficoltà, ed abbiamo incassato il nostro 17% , che è il valore più alto di Pavia e di tutta la Lombardia. Questo la dice lunga.. siamo stati penalizzati dai Collegi, perchè non avevamo alcun candidato a Voghera, ed avevamo solo un candidato Regionale. Quindi se ci hanno votato, significa che è presente una buona amministrazione che crede in ciò che stiamo facendo». Quindi questa visione della possibilità della candidatura di un Sindaco Leghista nel Centro-Destra, non la vede per niente? «Ad oggi la Lega è in minoranza, e quindi io guardo i fatti». Un altro tema che è caro ai Vogheresi, in questi mesi, è la problematica di fatturazione di ASM... «Effettivamente il problema c’è ancora, anche se in minima parte. C’è un Consiglio di Amministrazione coeso che ha la piena libertà di fare le cose che deve fare. Fare ciò che porta al bene della società». Tutta questa situazione di recupero di credibilità, è in mano al ramo Vendita e Servizi? «Diciamo che da quel lato non nego che vedremo in questi mesi come andrà, ma mi auguro che la politica agisca velocemente, sia per quanto riguarda il Consiglio di Amministazione, sia per quanto riguarda i dipendenti, e chi ha qualche incarico in più degli altri di coordinamento. E’ nata un’altra società in ASM che è un veicolo per la realizzazione del progetto. Speriamo che lavori bene». Quindi chi sostiene in maniera politicamente opposta alla sua che in realtà ASM sarebbe sulla rampa di lancio per la vendita e la cessione, considera in modo sbagliato queste operazioni? «Facendo un confonto con i miei colleghi, noi diciamo la vecchia frase “noi siamo in giro per comprare, non per vendere”.

Gianpiero Rocca, segretario di Forza Italia da 20 anni

L’abbiamo dimostrato ampiamente. A Tortona ciò sta dando i primi frutti e ci sarà un ritorno di ciò che abbiamo speso. Probabilmente questa è la visione di qualche altro soggetto che non è nella maggioranza. Certamente però tutti devono fare la loro parte, perchè le società stanno in piedi se fanno utili, se fanno clienti, se non li perdono, etc... Bisogna anche dire che pure la legge Madia non ha aiutato, quindi è normale che i dipendenti di un certo livello che lavorano in posizioni di prestigio e comando, non stiano a perdere tempo in provincia. Quindi noi abbiamo messo in campo il massimo che potevamo mettere». Questa possibile joint-venture con un partner grande creerà posti di lavoro sul territorio? «L’importante, oggi come oggi, è non perdere e mantenere quelli che ci sono! Di questi tempi è già un successo, perchè abbiamo visto che con “Pavia Acque” non si sono persi ma qualche posto di lavoro in più si è creato. Sicuramente se ne creeranno altri con questa nuova Società, perchè una delle prime società è ASM, che ha più di 250 dipendenti, con le partecipate». Il fatto di non avere nell’ultimo anno alcun rappresentante del territorio a livello regionale nè tantomeno politico a livello Nazionale, come influisce? «Noi siamo stati penalizzati in due cose: la prima è dovuta al fatto che c’è stato questo commissariamento che non ci ha permesso di partecipare alle elezioni provinciali di 2° livello, che già di per sè è una limitazione per Voghera e in generale per il territorio. Il 14 Ottobre il partito sarà sicuramente diverso, quando andremo a

votare per le province. Per quanto riguarda le Regionali sappiamo già tutti come sono andate le cose, senza togliere nulla a chi è stato eletto». Tra Invernizzi e Villani, chi si occupa di Voghera, a livello Regionale? «Mah, io penso che stiano operando bene entrambi: posso dirle che Invernizzi, come Presidente della Commissione Agricoltura, si sta muovendo bene». Cosa si augura per il partito che rappresenta e per la città di Voghera? «Guardi, l’amministrazione sta lavorando bene e si impegnerà sempre di più, anche a livello di nuove iniziative. I lavori pubblici stanno andando bene, e speriamo migliori anche la raccolta differenziata, per la quale si sta pensando di stabilire l’uso della tessera». Pensa che nel 2020 il suo partito riuscirà ad ottenere ancora un buon successo a Voghera? «Io sicuramente dico di sì. La squadra c’è, siamo aperti alla città, ben venga chi vuole venire a partecipare. 20 anni fa avevamo fatto un programma per quest’arco di tempo e non abbiamo mai perso. Arrivando al tema del lavoro, sono contento perchè gli imprenditori vogheresi stanno cercando di tenere i posti di lavoro, se pur con mille difficoltà. Noto con piacere, ad esempio, che “Viola Gomme” si sta ingrandendo. Questo significa che loro credono ancora nel territorio, e questa è una grande soddisfazione per chi fa politica!». di Lele Baiardi


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«La nostra idea di cultura è in effetti molto lontana da quella dell’assessorato» Attilia Vicini (per gli amici “la prof”), è la responsabile culturale dell’associazione “Voghera è”, presieduta dalla dottoressa Patrizia Longo medico di base a Voghera. “Voghera è” sta per compiere tre anni di vita, vuole ricordarci brevemente come è nata l’associazione? «Nasce dall’esperienza della Lista Civica Ghezzi alle elezioni amministrative del 2015, che ottenne quasi il 10% dei consensi (un record per la nostra città ) esprimendo un consigliere nella persona dell’ingegner Edoardo Alfassio Grimaldi. A elezioni concluse non abbiamo voluto disperdere una importante esperienza politica e umana e ci siamo costituiti in associazione». È corretto definire “Voghera è” un’associazione culturale apartitica? «Direi che è riduttivo: si tratta di un’associazione di cittadinanza attiva , ispirata a quelle create da Umberto Ambrosoli. Siamo apartitici, ma il nostro quadro ideale e valoriale ci colloca in area progressista: crediamo nella solidarietà, nell’Europa, nella difesa dell’ambiente, nell’abbinamento pari opportunità - valorizzazione delle eccellenze». L’associazione si definisce apartitica, ma nello scenario locale spesso è accusata di fare politica attiva. Cosa si sente di dire in merito? «Forse (comprensibilmente) si confonde l’associazione, che compie un lavoro di promozione culturale e sociale, con la lista civica che naturalmente svolge un compito preciso attraverso l’operato del consigliere Alfassio Grimaldi. Anche alle elezioni regionali abbiamo sostenuto la candidatura dell’avvocatessa Turini, sempre in ambito civico e non partitico».

«Voghera non manca certo di eventi, soprattutto in prossimità di scadenze elettorali.

Chi sono i vostri soci? «Ci sono 20 soci fondatori, in parte candidati e in parte sostenitori della lista civica Ghezzi, un centinaio di soci ordinari e alcuni soci onorari di cui andiamo particolarmente orgogliosi. Cittadini che fanno onore alla nostra Voghera: la pittrice Maria Lisa Lusardi, Silvana Borutti docente di epistemologia presso l’Ateneo Pavese, Irene Moroni, giovane ingegnere chimico alfiere del lavoro per meriti scolastici e ora ricercatrice in Australia, i grandi giornalisti Vittorio Emiliani e Leo Sisti, l’amico musicista vogherese per eccellenza Piero Milanesi, Antonio Sacchi, che ha educato generazioni di giovani alla conoscenza della storia del Novecento. Tutti i nostri soci onorari sono stati e saranno protagonisti di eventi culturali e artistici presso la nostra sede». Nei primi due anni di attività avete organizzano quasi un centinaio di eventi… Dal suo punto di vista Voghera manca di eventi culturali? «Voghera non manca certo di eventi, soprattutto in prossimità di scadenze elettorali. Abbiamo parecchie perplessità sullo spessore culturale delle iniziative. Intendiamoci: vanno benissimo le feste in piazza, ci piacerebbe vedere affiancata, come già detto, una stagione teatrale negli spazi esistenti, un percorso musicale come è stato proposto dai giovani di Accademia Rossini due anni fa, con finanziamenti concessi dal commissario e non rinnovati dall’Amministrazione. Sono solo esempi, naturalmente; ogni associazione culturale avrà sicuramente ottime idee da suggerire». Rapporti con l’amministrazione comunale: c’è collaborazione e sinergia? «Sono stati inevitabilmente burrascosi in campagna elettorale, soprattutto dopo il ricorso vinto. Ora posso dire che veniamo considerati più come avversari politici che come cittadini attivi in ambito culturale e sociale. La nostra idea di cultura è in effetti molto lontana da quella dell’assessorato: rifuggendo da ogni impostazione personalistica avremmo voluto promuovere una consulta che sostenesse e coordinasse le preziose attività delle associazioni valorizzandone idee e proposte. Di fatto questo accade solo in parte e comunque a noi non è concesso alcuno spazio. Ad esempio abbiamo organizzato due serate di ottimo livello a Iria Castle Festival durante la gestione commissariale, poi non ci è stato più possibile farlo perché non è stato indetto nessun bando di partecipazione. Ogni anno abbiamo presentato percorsi per una possibile stagione teatrale a costi contenutissimi, valorizzando le professionalità locali, ma non abbiamo mai ricevuto nessuna risposta.

Attilia Vicini

Direi che il colmo è stato raggiunto quando l’attuale vicesindaco, stimato collega e amico, ha presentato il suo ultimo libro nel Giardino delle Idee: erano presenti tutti i consiglieri di opposizione e nessuno della maggioranza! Direi che ci siamo abituati a prenderla con ironia, o per meglio dire… con filosofia: da oltre un mese abbiamo chiesto di poter presentare al Castello l’ultimo lavoro della professoressa Borutti, ma per ora tutto tace…» Un’iniziativa a lei particolarmente cara è la targa “Donne per la Solidarietà” ricordando Alida Stringa, nel contempo il suo stupore per non aver visto nessun membro dell’amministrazione comunale donna a parteciparvi… «Alida Stringa amica e modello per tutte noi di donna impegnata politicamente per la nostra città. Viene assegnata l’8 marzo in occasione di mostre d’arte “in rosa” che vedono come madrina la nostra Maria Lisa Lusardi. A grandi donne del passato locale e nazionale sono stati dedicati incontri importanti: abbiamo parlato recentemente di Tina Anselmi e Maria Giudice e stiamo per presentare, per i 70 anni dalla Costituzione la figura della “madre costituente “ Maria Maddalena Rossi di Codevilla. Abbiamo invece molto apprezzato la presenza della presidentessa della Consulta del volontariato signora Costantina Marzano». Per il 2018 gli eventi sono già oltre la dozzina, un record per una città che molti considerano “addormentata “ e senza un euro di finanziamento… «Forse proprio in questo consiste il nostro segreto: pochi dei nostri ospiti sono stati invitati da noi, molti ci hanno invece offerto collaborazione. Chi è attivo a vario titolo nel nostro territorio sa di poter trovare da noi, gratuitamente, una sede accogliente e d’estate un romantico giardino, una rete di persone interessate e partecipi, locandine accattivanti, spazio sui giornali e sui social e al termine un buon brindisi. E’ così che, senza un Euro di finanziamento e col solo sostegno dei soci, offriamo ogni mese alla

città almeno due occasioni per incontri di qualità». Teatro Sociale, sarà un’occasione importante per il panorama culturale di Voghera. Un’opinione sulla futura apertura del teatro Sociale. «Naturalmente è un progetto che sta a cuore a noi come a tutti i vogheresi. Partecipiamo con la massima attenzione, all’attività preparatoria degli “Amici del teatro Sociale “. Riaprire il teatro è fondamentale, ma dobbiamo sapere che la gestione economica sarà molto difficile, anche perché la città si è disabituata ad andare a teatro. Voghera, che ha visto in un passato non lontanissimo anche 2 stagioni teatrali all’anno, ultimamente si è dovuta accontentare di pochi spettacoli a San Rocco, realizzati anche grazie al generoso contributo di associazioni private e non adeguatamente pubblicizzati nel territorio. Il nostro programma elettorale prevedeva la nascita di una Consulta della Cultura che permettesse appunto di accogliere e valorizzare i contributi di tutti; non ci è stato possibile realizzarlo, ma la mancanza di questa rete di risorse è molto evidente in città .Ci auguriamo che questo ruolo di collegamento e valorizzazione possa essere svolto dagli Amici del Sociale: noi siamo prontissimi». Come sono i rapporti tra Voghera è e le associazioni di categoria? Esiste un dialogo e una condivisione di proposte? «Abbiamo ottimi rapporti con le associazioni commercianti e artigiani. Abbiamo più volte espresso il nostro appoggio incondizionato al commercio di prossimità, contestando l’eccessivo spazio dato dall’amministrazione locale alla grande distribuzione (un esempio ovvio l’area Baratta) con smodato consumo di suolo e “soffocamento” delle attività artigianali e commerciali del centro. Voghera è la classica città dormitorio, abbandonata a vantaggio dei centri commerciali. Lo constatiamo con infinita tristezza». Il suo sogno nel cassetto per il panorama culturale di Voghera? «Sono madre e insegnante, quindi è naturale che il mio sogno riguardi soprattutto i giovani. Vorrei dar vita a una grande rassegna di teatro e musica di tutte le scuole della città e dell’Oltrepò: la scuola produce cultura e l’amministrazione dovrebbe valorizzarla e promuoverla in modo organico e coordinato. Esistono poi eccellenze in ambito artistico anche tra i giovani adulti, che abbiamo spesso ospitato a Voghera è e che dovrebbero trovare sostegno ben più ampio da parte dell’amministrazione». di Giacomo Lorenzo Botteri


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Sul loro sito, i militanti di CasaPound si descrivono così: “è un movimento politico che opera per un’altra politica. I suoi militanti sono in larga parte giovani, le sue attività sotto la luce del sole. Cpi è uno slancio sociale, una speranza di riscossa, un’avanguardia del pensiero. è lo scudo e la spada di un popolo tradito, umiliato, venduto e che da solo continua a tradire se stesso. è arte, cultura, impegno sociale – in una parola: vita – in un mondo agonizzante e plastificato”. Lorenzo Cafarchio, laureato in Scienze della Comunicazione, vogherese di Strada Valle è il referente di CasaPound per Voghera e per l’Oltrepò. CasaPound a Voghera e in Oltrepò, quanti militanti conta? «La nostra sede è su Pavia, in provincia contiamo una trentina di militanti, in Oltrepò siamo una dozzina di militanti attivi. Tra i nostri 200 tesserati più della metà è di Voghera e dell’Oltrepò». Da quando la vostra azione politica ha iniziato ad avere visibilità a Voghera e in Oltrepò? «Diciamo che il nostro primo presidio in Piazza San Bovo nel 2014 e le prime conferenze stampa sul tema sono state “le mosse” che ci hanno reso visibili ai vogheresi. Nell’ultima stagione politica abbiamo avuto molti più contatti anche da parte di persone lontane politicamente da CasaPound e questo perché credo che la gente si sia resa conto che noi siamo “gli avvocati difensori” di Voghera e dei vogheresi». I vostri simpatizzanti vogheresi e oltrepadani da quale estrazione sociale e professionale arrivano? «La raggera è piuttosto ampia, va dal 16enne al 70enne, c’è chi è alla sua primissima esperienza in campo politico, c’è chi arriva da altre situazioni nelle quali non si identifica più, da alcuni disillusi dalla politica… L’ultima tessera che abbiamo fatto proprio a Voghera è stata ad un signore che proveniva dal Partito Comunista, il quale ha visto e riconosciuto in CasaPound la volontà di superare e rottamare la dicotomia tra destra e sinistra. Siamo un partito degli italiani che guarda al passato per mantenere una certa dignità e senso di appartenenza, ma non siamo talebani». Uno dei problemi più dibattuti a Voghera e in Oltrepò è quello dei migranti. Vero problema o falso problema? «Credo sia un vero problema. Tanti fondi a pioggia che arrivano dalle istituzioni per la gestione ed il mantenimento degli immigrati, dal nostro punto di vista andrebbero destinati prima agli italiani». In Oltrepò concretamente i migranti che tipo di problema hanno portato? «Le faccio un esempio concreto, CasaPound oggi a Voghera ed in Oltrepò aiuta attraverso la raccolta alimentare circa 20 famiglie, famiglie che a nostro giudizio dovrebbero avere la priorità sugli immigrati e a loro andrebbero destinati i fondi. Le istituzioni si dimenticano a livello locale e nazionale degli autoctoni e degli italiani». A Voghera sta facendo discutere la notizia dei 100 migranti assegnati. Dal punto di vista percentuale è difficile credere che 100 persone possano incidere sulla vita sociale e lavorativa di una città di 44mila abitanti... «Incidono invece, 100 vogheresi in dif-

«A San Vittore ci sono oltre100 abitazioni tra Comune e Aler ed il 55% è sfitto»

Lorenzo Cafarchio ficoltà, 100 stradellini in difficoltà, 100 bronesi in difficoltà… devono avere la priorità. Prima i vogheresi, gli stradellini, i bronesi…». A Voghera c’è razzismo? «No non c’è… il problema del razzismo è uno specchietto per le allodole, è un concetto per inquinare le informazioni e le vere vittime del razzismo e dell’antirazzismo risultano essere le fasce più deboli della popolazione». Sicurezza: un tema caro a CasaPound, da voi affrontato e denunciato in maniera tangibile in alcune aree di Voghera. La punta dell’iceberg dove avete agito in modo più palese è piazza San Bovo. Com’è oggi la situazione? «è sicuramente migliorata, dopo il nostro ultimo presidio di qualche mese fa sono stati dati diversi daspo urbani e nell’ultimo consiglio comunale si è parlato di un aumento della video sorveglianza e dell’illuminazione. Pertanto la situazione seppur non ancora normalizzata è però migliorata, episodi allucinanti come quelli accaduti tempo orsono non ne sono fortunatamente più successi, fermo restando che nel caso si dovessero verificare altre episodi estremi siamo disposti a tornare anche in pianta stabile, la politica deve stare tra la gente e dove ci sono i problemi». Un altro grande problema a Voghera e in Oltrepò è un economia che fa fatica, con i piccoli negozi che a più riprese chiudono. Di contro i centri commerciali prolificano. Quali sono stati gli errori commessi dalle passate ed anche attuali amministrazioni vogheresi secondo il vostro punto di vista? «Tante tavole rotonde per discutere del problema ma la realtà dei fatti è che manca amore nei confronti della propria città e anche quello spirito critico che solamente girando tra le vie e tra i negozianti si riesce ad avere. Una vetrina chiusa deve essere un colpo al cuore non solo per il commerciante ma per tutta la città».

La vostra ricetta per affrontare il problema? «Ascoltare le associazioni di categoria e ascoltare le loro problematiche, esistono un’infinità di iniziative e progetti e senza inventarci nulla a volte basterebbe girare l’Italia e copiare altre dinamiche, un esempio? Creare una rete di lotterie, vale a dire che chi acquista in un negozio, ha diritto ad un omaggio in un altro negozio. Iniziativa che già in parte esiste ma che va potenziata». A volte non è sempre e solo colpa della politica… Uno dei compiti di un’entità politica, qualunque essa sia, è quello di far prendere coscienza ai cittadini dei propri errori e delle proprie potenzialità. Il commercio ha delle colpe per la situazione creatasi? «Provengo da una famiglia di ambulanti, sono cresciuto tra i commercianti e credo che come in un matrimonio le responsabilità vadano divise, sicuramente scelte sbagliate delle associazioni di categoria possono aver contribuito, ma la politica a livello locale deve fare da collante, non è un obbligo fare il politico». A Voghera coesistono molte associazioni di volontariato, CasaPound con il banco alimentare sta svolgendo un’azione sociale verso le fasce più deboli. Qual è a Voghera a livello di assistenzialismo la pecca più grande? «Anche se non c’è un’emergenza abitativa vera e propria, esiste sicuramente a Voghera un problema legato agli alloggi popolari. Ci sono a Voghera 300 famiglie che aspettano un alloggio popolare, a San Vittore ci sono più di 100 abitazioni tra Comune e Aler e di queste più del 55% è sfitto. Dall’ultimo giro fatto in quartiere erano 4 gli alloggi che stavano sistemando…». Una citta vive anche di eventi, manifestazioni e cultura. Voghera è carente a suo giudizio da questo punto di vista? Quali sono le responsabilità della politica locale? «Essenzialmente manca una visione del mondo da un punto di vista politico. Il Teatro Sociale è certamente un aspetto positivo, di contro Voghera è “madre” di tanti personaggi importanti su cui potrebbe puntare e che invece sono finiti nel dimenticatoio, da Marinetti ai fratelli Maserati, da Calvi, allo stilista Valentino. Voghera dal punto di vista culturale è solo “la Casalinga di Voghera”… Un altro simbolo di una politica che non funziona è la velostazione costata 170mila euro di fondi pubblici e che ad oggi non è ancora operativa e doveva esserlo nel 2014. La velostazione potrebbe essere certamente un punto di partenza per un turismo enogastronomico che partendo da Voghera attraverso le piste ciclabili e la Green Way potrebbe convogliare turismo in Oltrepò». Lei è tifoso di calcio e della vogherese.

Quale delle due? «Ovviamente l’Asd Voghera, che rappresenta maggiormente lo spirito calcistico locale. Come dice Arrigo Sacchi “il calcio è la cosa più seria delle cose meno serie”. Anche nello sport Voghera ha la memoria corta, tanti campioni come Nespoli o Pavesi vengono poco o malamente ricordati». Lei è contrario all’unione dell’Asd Voghera con l’OltrepòVoghera? «Contrario perché bisogna rispettare le tradizioni locali. A Stradella esiste ed è molto seguita l’Apos, a Voghera è sempre esistita l’Asd ed io auspico al ritorno di una sola realtà vogherese che giochi ovviamente al Parisi». Prossime elezioni comunali. Vi presenterete? «Certamente, il nostro obbiettivo è sedere nel 2020 nel consiglio comunale di Voghera, lì potremmo fare un’opposizione forte al nulla politico che ha costellato Voghera in questi ultimi anni». Lei dà già per scontato che chiunque vinca voi fareste opposizione? «Noi non abbiamo nessuna tipologia di pregiudizio politico, se arrivano proposte concrete da chiunque e dico chiunque per il bene della comunità noi le sosteniamo». Nel caso la Lega presentasse a Voghera un suo candidato sindaco voi sareste disponibili ad un apparentamento con la loro? «Noi andiamo avanti per la nostra strada, c’è stato nel 2015 un avvicinamento, a livello nazionale, alla Lega con il progetto Sovranità, poi ognuno ha fatto il proprio percorso. Ai vertici esiste un dialogo tra le due forze politiche ma a livello locale noi ci presenteremo da soli». La politica è fatta da uomini al di là dei partiti. Con ragionevole certezza CasaPound non ha i numeri per vedere eletto il proprio candidato sindaco. Se potesse esprimere un desiderio chi è il candidato sindaco ideale di Voghera e per Voghera? «Deve avere un amore incondizionato per la città, senza vedere tutto rosa e fiori e soprattutto deve essere un sindaco del popolo. La politica deve venire dalla gente per la gente, un sindaco o un politico che non vive la realtà di Pombio, di Medassino o di San Vittore non è un buon sindaco e non sa fare il proprio mestiere, bisogna fare politica a palazzo Gounela come nei rioni e nelle periferie». Fusione dei comuni, favorevoli o contrari? «Contrari, già Voghera tende a dimenticare “le regione periferiche dell’impero”, con le fusioni questo aspetto verrebbe accentuato e con una totale perdita della propria identità locale. Favorevoli invece alle unioni dei Comuni per una condivisione di risorse e servizi». di Silvia Colombini


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In Oltrepò si fanno vini buoni MA inseguendo il concetto del “vuota la cantina il prima possibile” In Oltrepò Pavese si fanno vini buoni ma non li si vende per pigrizia e incapacità di fare impresa arrivando a scaffale; s’invoca la pubblicità come panacea di tutti i mali; ci si radica su modelli sbagliati da “primo prezzo” inseguendo il concetto vecchio di trent’anni del “vuota la cantina il prima possibile”. Si vende, insomma, nella più parte dei casi, la bottiglia secondo la logica del mercato della damigiana del dopoguerra. Nell’ultimo periodo ho avuto modo di carpire da vari discorsi di addetti del settore che molte cose non funzionano per un problema d’impostazione. In altre zone di Lombardia, Franciacorta in primis, insegnano che le aziende dovrebbero proteggere il loro prezzo al dettaglio ben sapendo che il livello a cui si posizionano influenza non poco la loro immagine. Se si scivola troppo in basso si diventa produttori di “vino da prezzo”, precipitando nella massa del tutto indistinto con la propria denominazione e anche il proprio marchio. Ciò che molti produttori di vino dell’Oltrepò non sembrano capire, perché capirlo vorrebbe dire rivoluzionare il proprio modo di fare azienda, è che quello che conta di più oggi è la differenziazione di prodotto. Una pratica che include tutte le decisioni strategiche che cercano di distinguere le proprie etichette di maggior pregio dai prodotti concorrenti per rafforzarne il valore e il reddito. Nelle settimane scorse, confrontandomi con un bravo P.R. del settore con uno studio a Milano, ho messo a fuoco cosa non va in Oltrepò. Mi ha spiegato: «L’obiettivo, in un’Italia che non beve certo di più a volumi, sarebbe portare un vino ad essere un prodotto ambito e non una commodity; solo aggiungendo valore in termini di qualità percepita si può raggiungere questo risultato. In un mercato dinamico e competitivo come quello di oggi le imprese devono continuamente modificare le loro strategie di differenziazione del prodotto». Il terroir, per esempio, fornisce solide basi di differenziazione sebbene molti produttori blasonati oltrepadani, nella spumantistica e non solo, preferiscano incredibilmente lavorare senza il nome di denominazione. Ti spiegano che lo fanno perché in grande distribuzione il nome Oltrepò è percepito a 1.50 euro la bottiglia e loro devono fare valore, sbarazzandosi di un nome che è una zavorra. I territori lombardi e italiani che si distinguono sono invece molto attenti alla forbice di prezzo, alle attività promozionali, al creare identità e reputazione alle aziende, al dialogo con gli opinion leader e alla formazione. Il mio amico P.R. mi ha confessato: «Da quel che vedo in Oltrepò su questi scenari le aziende sono indietro

anni luce. Nessuno da voi pensa ai canali di vendita come a linguaggi diversi. Il punto di vendita influenza le percezioni del consumatore nei confronti del vino proposto. I vini più qualitativi e di fascia alta dovrebbero essere capillarmente presenti in enoteche specializzate e nella ristorazione, dove professionisti sono in grado di spiegare le caratteristiche qualitative del prodotto». E sul prezzo? «Deve avere una relazione con la qualità perce-

pita; il prezzo di un prodotto dice molto sull’immagine dell’azienda e della zona di produzione correlata. I produttori dovrebbero definire il prezzo in collaborazione con i partners distributivi ma in Oltrepò si dovrebbe anche trovare una linea rossa da non superare sia nel prezzo franco cantina dei vini quotidiani che per quanto concerne quelli top di gamma, in particolare il Metodo Classico». Tutto questo senza parlare della sottovalutazione di Internet in

Oltrepò, mentre in Italia tante imprese del settore usano questo canale per sopperire a lacune distributive e per vendere i loro prodotti o per comunicare ai potenziali acquirenti la disponibilità di vini importanti. Non sarà certo qualche pagina di spot qua e là a risolvere il problema. Il problema, in Oltrepò, è strutturale. di Cyrano De Bergerac


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Una chiacchierata estiva con Fausto Crevani

Fausto Crevani oggi sessantaquattrenne ha attraversato Voghera e l’Oltrepò sempre con una presenza più che pubblica, coprendo incarichi con compiti che lo hanno fatto conoscere in diverse vesti e ruoli. A Voghera molti lo ricordano per la ventennale presenza nel centro natatorio Dagradi, al Tennis club, alla palestra Futura di via Sturla e nella prima fiera dell’Ascensione nel parco ex caserma di via Gramsci. Uno che di cose e persone ne ha viste e conosciute tante. Attraverso il suo libro “La scala del Pollaio” non solo Fausto ci racconta la storia dei suoi primi 20 anni, storia di un immigrato, uno dei tanti che intorno agli anni ’50 da Romagnese, con la famiglia e con la cosiddetta valigia di cartone, è sceso a valle, a Voghera, in cerca di fortuna, ma è un libro che può essere letto in più modi, «Ognuno dei quali - afferma Fausto Crevani - apre una diversa critica sul territorio, sulle figure che vi appaiono, e sui risultati ottenuti o che si potevano diversamente raggiungere se…». Il titolo “Scala del pollaio” perché? «Evoca il ricordo di quando bambino mi arrampicavo sulla scaletta che portava al pollaio e raccoglievo le uova, e poi perché mi sembra un’immagine calzante per descrivere la vita: sempre in salita e difficoltosa, come quella scaletta di quel pollaio di Casa Lazzati». Il lavoro dei genitori braccianti agricoli a giornata ha caratterizzato tutta l’infanzia di Fausto, che nei mesi estivi “veniva parcheggiato” dai genitori a casa dei nonni che erano rimasti sulle colline dell’alta Val Tidone, a Casa Lazzati, ultima frazione della vallata nel Comune di Romagnese. Un tragitto che Fausto faceva in moto con i genitori sulla moto Benelli, «modello Leoncino Rosso» - come precisa Fausto, un viaggio che nel libro diventa un insieme di feed back e dejavù, un collegamento tra quello che ha vissuto il Fausto bambino e quello che è diventato Fausto: funzionario del comune Voghera con responsabilità nei settori tributi, polizia urbana, ecologia, sport e fiere e mercati, segretario del partito socialista all’epoca del sindaco Gardella e del Senatore Panigazzi, direttore del Centro Polivalente Sportivo Dagradi di Voghera per la Società Sportitalia e gestore dei centri sportivi Tennis Club Voghera, Palestra Futura, Centro Sportivo Sporteam e Centro Medico Polivalente Città di Voghera. «50-60 minuti era il tempo da Voghera a Romagnese, in un percorso misto di belle strade sino a Varzi coi passaggi ferroviari della linea Voghera-Varzi… Il percorso era affascinante; sarà per questo che, quando mi fu data la possibilità (35 anni dopo) di stendere un progetto di recupero di questa stessa tratta ferroviaria, nel frattempo dismessa, lo feci con entusiasmo spendendo

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Fausto Crevani, autore del libro “La Scala del Pollaio”

anche parecchi denari per il “Progetto di recupero della ex Ferrovia Voghera-Varzi in pista ciclo pedonale». Le attese davanti ai passaggi livelli incuriosiscono Fausto bambino a cui già all’epoca non mancava certo lo spirito di osservazione: «…le moto… poi le autovetture, poche, Topolino, Seicento, Lancia, Mercedes, Alfaromeo. Tutto questo si vedeva se ci si fermava al casello di Rivanazzano appena prima del bivio per Salice, località termale rinomata e signorile dove il bel mondo, le belle auto e le moto erano di casa. Salice Terme, un diamante nell’Oltrepò Pavese…». Salice Terme… Lei ha anche avuto modo di lavorare successivamente a Salice Terme. Che ricordi ha di quel periodo? «Era l’estate del ’68, fine giugno quando

ricevetti una lettera dell’allora Presidente delle Terme che mi invitava a contattare l’ufficio personale per un lavoro come cameriere al bar delle Terme del Parco. Un contratto di 30 giorni con turni giornalieri di 6 ore. Quel luglio del ‘68 fu un mese incredibile dove vidi le gemelle Kessler, Amedeo Nazzari, la famiglia Rizzoli, attori, giornalisti e gli immancabili ‘cumenda’ milanesi… tra i clienti anche una folta schiera di “mantenuti” al seguito dei dirigenti della Società delle Terme che mangiavano, bevevano e non pagavano. Definisco Salice Terme “Una Perla” incastonata nell’Oltrepò e cosa sia accaduto e per quali motivi oggi viva un tale stato di sofferenza lo si intuisce leggendo il romanzo. Errori su errori, persone incapaci, altre egoiste e presuntuose, ed altre ancora

opportuniste oltre il ragionevole. Tutto prosciugato in generale come area, ed in particolare come “ Sistema Terme” più che mai attuale. Di questa parte se ne parla proprio in questi giorni e pare doversi aspettare novità anche inaspettate. Ancora oggi mi chiedo come può essere fallito il ‘sistema Salice’ …». Le estati trascorse a Casa Lazzati, definito da Crevani il «Suo Grest estivo», il nonno Serafino, la nonna Teresa, i campi, la stalla gli fanno capire il valore e la bellezza dell’alto Oltrepò. Di contro Fausto ha vissuto la sua quotidianità dai 7 ai 12 anni in Strada Rosmagna, a sud di Pombio, rione vogherese nato nel dopoguerra. «Pombio non ha storia, Pombio fa storia, Pombio non ha un’identità propria, Pombio è un mosaico di identità, Pombio non ha nulla da imparare, Pombio può inse-


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«Ricordati che in Italia se nasci Marlon Brando avrai tutte le strade aperte ma se nasci Brando Marlon sarai fregato tutta la vita»

gnare tanto». Che ricordi ha di quel quartiere? «Un variegato composto urbano: disoccupati meridionali e montanari, profughi tunisini e istriani, emigrati veneti dal Polesine e dal Mantovano hanno trovato vita, convivenza e confronto, non c ‘era nulla se non la nascente chiesa di “Gesù Divino Lavoratore”. Ricordo la famiglia genovese che commercializzava in carbone, le pesche rubate nel frutteto del vicino che immancabilmente rispolverava il suo fucile caricato a sale, la famiglia Versiglia a cui riparavamo la gomma della bicicletta, l’oratorio di Don Giuseppe Viano e poi lui “lo Strasè” che con il suo motocarro a tre ruote raccoglieva pelli di coniglio, ferro, metalli e stracci come una sorta di antesignano della raccolta differenziata. Tutti poveri, con tanta voglia di fare mettendosi in gioco in agricoltura, nell’edilizia, nel commercio e nelle numerose industrie che 4 volte al giorno riempivano l’aria di Voghera con le loro sirene di inizio o di fine turno. Il motto era uno: “Lavorare. risparmiare ed investire” non certamente in borsa o in forme di investimenti bancari, ma costruendosi la propria casa, aprendosi una propria attività e poi la seconda casa per i figli e via di seguito. Tante cambiali e tanti debiti tutti pagati o comunque con pochissime sofferenze». E voi bambini? «Si cresceva nella multiculturalità e nello scambio di valori, oggi si direbbe così. Più pragmaticamente ci si divideva per appartenenze secondo le divisioni tra vie, tra aree e chiaramente per connotazioni geografiche di appartenenza. Ogni giorno erano patti di sostegno e rotture di accordi con scontri fisici sempre dolorosi.

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Nel mezzo l’oratorio con il viceprete di turno sempre stretto nel ruolo ora di educatore ed ora di gendarme. Il parroco reggente mentre costruiva la nuova chiesa di Gesù Divin Lavoratore... pure lui Lavoratore, aveva avviato un progetto in Congo per aiutare le popolazioni povere e periodicamente qualche volontario raccontava che questa gente andava aiutata per amor di Dio e per interesse nostro perché l’incremento demografico sarebbe stato un pericolo per il mondo occidentale. Erano gli anni ‘60 e queste parole già echeggiavano nella chiesa di Pombio e appare strano che 40 anni dopo questo argomento sia ancora di attualità. Pensare e riflettere» Il mondo della scuola? «Fotocopia di quegli anni anche la scuola prendeva pari-pari la situazione economico e sociale e formava le classi. Nella mia alle elementari Dante Alighieri una classe di poveri con quelli dell’orfanotrofio. In mezzo con 30 alunni un maestro, uno solo, ai quali in 5 anni ha insegnato tutto e chi ha voluto ha imparato bene . Stessa immagine alla media Plana, dove nella sezione F ci stavano quelli che diciamo, avevano meno; anche qui insegnanti di prim’ordine capaci e presenti che portavano avanti il programma senza perdere per strada nessuno. Certo qualcuno usciva col minimo, altri nella media ed altri erano da subito bravi, così come lo saranno da adulti. Qui una riflessione: le tante riforme scolastiche post anni 60 raffrontate e confrontate alla luce del fatto che non c’è educazione civica nei giovani, che in geografica, in scienze ed in particolare nel parlare e scrive re non sono nemmeno paragonabili a noi predecessori, sono valse a qualcosa?». Il suo primo lavoro a 14 anni, che ricordo ha? «Era il distributore del signor Mario, di fronte a quella che oggi è la piscina coperta e che allora era un deposito di materiale ferroso di recupero della famiglia Bellini. Mario mi chiese di sostituirlo due settimane a luglio in quanto si doveva sposare. Ho imparata a gonfiare le ruote con il compressore, a cambiare l’olio al motore, a rabboccare l’olio mancante…15 giorni da leone che mi fruttarono 60 mila lire di stipendio e 8mila lire di mance, i soldi necessari per acquistare il tanto desiderato motorino che ritirai poco dopo dalla concessionaria dei fratelli Schiavi». Nel libro fa riferimento a diversi personaggi che ha incontrato e che le hanno trasmesso ognuno con la propria particolarità un po’ di saggezza, almeno questo è ciò che traspare. «Visti singolarmente valgono per come li abbiamo conosciuti ma esaminati nelle loro particolarità ognuno esprime un valore singolo, unico e sempre attuale. Alcuni ricoverati dell’ex ospedale psichiatrico portatori di sensibilità personale e di emarginazione incredibilmente cattiva dei parenti. Figu-

re famigliari come il nonno paterno con la sua saggezza riassunta in frasi di forte spessore educativo: “Ricordati che in Italia se nasci Marlon Brando avrai tutte le strade aperte ma se nasci Brando Marlon sarai fregato tutta la vita”. Figli di famiglie conosciute, potenti o semplicemente con ruoli di prestigio hanno avuto strade facili, ruoli lavorativi ben remunerati e con responsabilità a volte mal riposte i cui risultati si sono visti: a chi meritava, chiamandosi Brando Marlon solo seconde posizioni. Poi lo straccivendolo che scambiava saponi o detersivi con pelli di coniglio o ferro, il venditore di ghiaccio, quello che svuotava i pozzi fognari e poi il gelataio di via Cavallotti a Voghera, lo strillone, il finto vigile ed altre macchiette. Ognuna comunque aveva e diceva qualcosa. Bastava ascoltarlo e una goccia di saggezza sarebbe rimasta». Altri personaggi poi più presenti nella sua vita le hanno lasciato una traccia più profonda... «Come la famiglia di Franco P. Sempre tribulata nel vivere la quotidianità del mettere insieme l’affitto, il pranzo, la cena e le normali spese. Simpatici ed inventivi con uno spirito di adattamento unico. Ogni tanto facevo da scrivano tra la Signora ed il Presidente della Repubblica, dove trasmettevo gli auguri di Pasqua o di Natale. Ad ogni lettera arrivava puntuale la risposta a firma del Presidente». 26 anni da direttore della piscina comunale di Voghera. Come è nato questo lungo sodalizio?

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«Era il ‘74 quando il sindaco di Voghera mi mandò alla piscina Dagradi per sostituire il direttore che aveva un problema la cuore. Dovevo rimanere un anno, la realtà dei fatti è che vi rimasi fino al 2005. Devo dire e non lo dico solo io… che la mia gestione fu una gestione di successo soprattutto anche perché riuscii a trovare un accordo con “la delinquenza” della città. Ho inventato ogni tipo di lavoro che permettesse ai ragazzi con problemi economici di pagarsi l’ingresso ne ho aiutati tanti memore anche di quando ragazzino di Pombio io come i miei amici poche volte passavamo dalla cassa, soldi non ne avevamo ma scavalcavamo il muro sul retro di via Furini…». “La Scala del Pollaio” termina con gli anni 73/74. Poi? «Volutamente il primo romanzo si consegna al secondo in fase di definizione con la fine del mio percorso scolastico. Alcune fotografie dell’Ariston, della Corsa Milano- Sanremo, degli scioperi degli anni 70 e di alcuni industriali preludono ad un secondo romanzo di denuncia. Più crudo, e determinato nell’esporre nei venti anni successivi, corrispondenti alla fine della prima repubblica, tutte le opportunità perse, le scelte mediocri se non addirittura sbagliate. Alcune persone positive e meritevoli di fiducia e le altre, tante, tutte limitate sia nella cultura che nell’impegno. Un’altra parte pronta a breve» di Silvia Colombini


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Don Muzzin, il prete cosmopolita che “battezzò” Beatles e U2 Don Vittorio Muzzin, classe 1945, da tre anni è il cappellano dell’ospedale di Voghera. Di origini venete, la sua famiglia si trasferì a Tortona all’inizio degli anni 50 e lui studiò in Oltrepò fino alle scuole medie, frequentate al Don Orione di Voghera. Poi gli studi classici, ginnasio a Erba e liceo a Cuneo. Dopo la maturità il seminario a Liverpool proprio all’epoca dei Beatles, e un pellegrinaggio che lo ha portato successivamente dalla cattolicissima Irlanda del fermento politico degli anni 70 fino alla cosmopolita New York, dove ha vissuto sulla sua pelle il dramma dell’11 settembre 2001. Nel 2012 è tornato in Italia e in particolare ad una Voghera che ha trovato «molto cambiata» proprio come il suo accento, fortemente influenzato dai quasi 50 anni trascorsi in paesi di lingua anglofona. La sua vita è stata un’avventura che lo ha reso internazionale a sua volta, permettendogli di acquisire uno sguardo d’insieme sulle cose di casa nostra che chi non ha cambiato radicalmente la propria prospettiva, per lungo tempo, come ha fatto lui difficilmente può permettersi. Don Muzzin, come ha ritrovato Voghera e i luoghi della sua infanzia dopo tanti anni? «Inutile dire che tutto è profondamente diverso ora. La città che ricordo era una signora città, con molti più spazi verdi dove noi bambini giocavamo a pallone, dalle parti dell’oratorio Don Orione e vicino allo Staffora. C’era anche una vita e una vitalità diverse, era pieno di industrie e la gente lavorava. Oggi mi pare più che altro un dormitorio e di lavoro ce n’è ben poco, quasi tutte le fabbriche e le realtà economiche hanno chiuso». Lei ha compiuto la prima parte dei suoi studi in Oltrepò. Cosa ricorda della sua infanzia? «I primi ricordi che ho sono legati a Tortona, perché la mia famiglia è lì che si trasferì dopo la guerra, all’inizio degli anni 50. Le uniche memorie italiane che ho da giovanissimo sono lì, dove sono diventato membro dell’opera Don Orione perché all’epoca c’era un’opera chiamata la Calvina da quelle parti, con i ragazzi che giocavano nelle campagne, vicino a un cascinale. Stetti con Don Orione fino alla maturità, in un liceo di Cuneo». Poi come è iniziato il suo peregrinare? «Fu l’opera a mandarmi in Inghilterra per gli studi da prete, che feci a Liverpool. L’inizio fu un po’ traumatico perché non parlavo una sillaba di inglese, ma iniziai subito a seguire delle lezioni e mi adattai in breve tempo». Liverpool, inizio anni ’60. Mi perdoni se mischio un po’ il sacro con il profano, ma chiunque sia almeno un po’ appassionato di musica non può non chiederle se sapeva chi erano i Beatles, che pro-

prio a Liverpool erano appena nati in quel periodo. «Oggi lo sappiamo tutti chi erano, ma quando io arrivai là la loro fama non era ancora esplosa del tutto. Poi di lì a poco ci rendemmo tutti conto che erano proprio loro quei ragazzi che a volte si vedevano in giro per il Mersey Side e le vie del centro». Lei li ha mai incontrati? «Non erano ancora famosissimi, quindi è possibile. Può essere che li abbia incrociati per le strade del centro, anche se nei locali a sentire i concerti non andavamo. Comunque questo filo conduttore della musica è stata in qualche modo una costante in quella prima fase della mia vita». Cosa intende? «All’inizio degli anni 70, concluso il seminario, fui trasferito a Dublino in Irlanda. Mio nipote, che viveva sempre in Italia, mi diceva di avere appena scoperto un gruppo originario proprio di Dublino che gli piaceva molto ma che all’epoca era ancora underground e non era facile trovare materiale da ascoltare. Mi disse che si chiamavano…U2! Così chiesi un po’ in giro qui e trovai delle musicassette che gli spedii in Italia. Credo che a Tortona siano state le prime cassette degli U2 in circolazione dato che non avevano ancora raggiunto la fama».

«La città che ricordo era una signora città, con molti più spazi verdi dove noi bambini giocavamo a pallone, dalle parti dell’oratorio Don Orione e vicino allo Staffora...» Beatles, U2… in pratica possiamo dire che ha “tenuto a battesimo” in qualche modo due pilastri della storia della musica. Inghilterra e Irlanda però a quel tempo rappresentavano anche altro: controcultura e lotte politiche di quegli anni sono finite nei libri di storia. Che ricordo ha dell’Inghilterra dal punto di vista culturale? «Il mondo inglese mi piacque molto, posso dire che lì imparai il senso di civiltà. Faccio un esempio. Loro sulle autostrade hanno le corsie con limiti precisi di velocità per ciascuna. Io da buon italiano mi ritrovai a guidare a 80 su una corsia da 70

Don Vittorio Muzzin, cappellano dell’Ospedale di Voghera

miglia orarie e l’auto dietro di me suonò per indicarmi di rallentare. Oppure imparai anche il valore della puntualità: avevamo lezioni di lingua inglese alle 14:30 e io agli inizi, sempre secondo consuetudine italiana me la prendevo comoda e arrivavo magari alle 14:40 e venivo ripreso per questo. Non per i 10 minuti in sé ma per un fatto di rispetto nei confronti dell’altro, il cui tempo ha un preciso valore. Allo stesso modo da loro ho imparato il valore di avvisare qualcuno quando si cambia un piano in corsa. Oggi ce ne freghiamo un po’ tutti, diciamo che facciamo qualcosa poi cambiamo idea e magari non ci premuriamo di dirlo ad alcuno». E l’Irlanda invece? Cosa ricorda di quel periodo? «Quando vi arrivai era una terra cattolicissima ed estremamente povera, poi vent’anni dopo è esplosa economicamente. All’epoca c’erano famiglie da 14 figli in condizioni di estrema povertà ma poi ci fu uno sviluppo dell’economia e quei 14 figli iniziarono a valere 14 stipendi, così le cose cambiarono e quando me ne andai era una terra ricchissima alla fine degli anni 80 Il ruolo del prete era importantissimo, c’era un rispetto enorme per il nostro ruo-

lo. La gente poi era allegra, sapeva come divertirsi. Hanno la capacità di parlare e raccontarsi l’uno con l’altro per ore. Fare Dublino-Galway, una tratta da poco più di due ore, poteva richiedere una giornata intera perché ad ogni fermata tutti entravano al pub per la sosta!».

«Credo che il crollo della religione vada di pari passo con lo scompaginamento della famiglia tradizionale»


VOGHERA Lei era a Dublino nel 1972, quando ci fu la famosa “bloody sunday”? «Sì, ero lì. Ricordo la paura generale. Tutto bloccato, polizia ovunque e un ambiente tremendo». Poi fu la volta degli States. Come finì a New York? «Ero rientrato in Italia per un breve periodo a causa di un infortunio e mi preposero se volevo sostituire un confratello a New York. Accettai e finii a East Harlem a Manhattan, un quartiere portoricano all’epoca. Fui parroco lì fino al 2012 cambiando parrocchia un paio di volte. L’America mi è piaciuta veramente molto». Era là l’11 settembre? «Mi trovavo su una delle due torri due giorni prima dell’attentato. Vennero degli amici a trovarmi dall’Italia e andammo a visitare una torre. Quella mattina invece ero in una scuola Cattolica alle 9 e qualcosa del mattino quando alcuni dei genitori vennero a prendere i figli dicendoci che una torre era stata attaccata». Lei quanto distava da ground zero? «Diciamo all’incirca quanto Voghera dista da Casteggio, che in una metropoli come New York è veramente un’inezia». Cosa ricorda di quel giorno? «Una giornata bellissima, di sole e di luce. Ricordo i rumori, le sirene, tutto il traffico venne bloccato: subway, autobus, tutto, e la città era paralizzata. Poi venne la polvere, ce ne saranno stati almeno 10 centimetri depositati ovunque. Per quattro o cinque anni New York non fu più la stes-

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sa. Il turismo si fermò, Time Square e la S.Patrick cathedral erano deserti. Fu una botta enorme per tutta la comunità. Gli americani sono molto patriottici». Quali differenze principali ha colto tra quella realtà e la nostra? «Sono due mondi diversi, ho fatto molta fatica a reinserirmi in Italia. La mentalità dei giovani è diversa, se chiedi a uno di loro cosa vuole fare da grande ti risponde “voglio essere ricco”. è il capitalismo. Loro però sono più religiosi di noi e alle messe c’era una grande partecipazione da parte di tutti, molti giovani in particolare, che si fermavano dopo la funzione per parlare con me. I difetti dell’America poi sono molto simili ad alcuni dell’Italia, anche a livello di sistema scolastico. Faccio un esempio. In Inghilterra esistono vari tipi di scuole e quelle gestite dalla Chiesa venivano aiutate dallo Stato, che riconosceva l’importanza del servizio educativo svolto. In America invece è un po’ come in Italia, le scuole cattoliche vengono in qualche modo osteggiate. Si cerca sempre di evitare che soldi pubblici finiscano alle scuole ecclesiastiche». Oggi è qui a Voghera. Come vanno le cose? «Seguo gli ammalati cercando di portare conforto. Dico messa il sabato e la domenica presso la cappella dell’ospedale, anche con un buon riscontro. Anche se in generale il nostro ruolo sta un po’ scomparendo. C’è uno scollamento sempre maggiore tra la gente e la religione».

Perché secondo lei? «In questo concordo con l’analisi che in tanti stanno facendo in America. Credo che il crollo della religione vada di pari passo con lo scompaginamento della famiglia tradizionale. Il ruolo del prete sta diventando più che altro un ruolo sociale, mentre io resto più tradizionalista». Lei è cappellano dell’ospedale civile. Passa nelle corsie, tra i malati. Come viene percepita la sua presenza? «Premetto che il mio compito è semplicemente quello di portare a chi soffre un po’ di conforto, una buona parola di speranza. L’accoglienza è varia, c’è chi ha voglia di parlare e mi trattiene magari per un’ora, c’è chi invece è indifferente o addirittura infastidito dalla presenza di un prete. In questo senso la corsia è un buono specchio della società». L’ospedale di Voghera come le pare? «Hanno fatto un sacco di investimenti mi pare, ma ci sono cose che non capisco molto, forse perché non mi interesso di politica o di strategie aziendali». Quali sarebbero? «Ad esempio si è investito molto sul mattone ma poco sulle persone. Ci sono dei reparti chiusi, meno posti letto e c’è sempre bisogno di maggiore personale, eppure tanti soldi sono stati investiti sull’edificio. Questo mi pare un po’ strano». L’Italia in generale, invece, come l’ha ritrovata? «Come un paese povero. Non ci sono mai

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Ospedale di Voghera, «Hanno fatto un sacco di investimenti mi pare, ma ci sono cose che non capisco molto, forse perché non mi interesso di politica o di strategie aziendali. Ad esempio si è investito molto sul mattone ma poco sulle persone»

i soldi per nulla, tutti si lamentano. La vera ricchezza è in America, lì praticamente chiunque ha la possibilità di mettersi in macchina e cambiare davvero la propria vita da un giorno all’altro». di Christian Draghi



LETTERE AL DIRETTORE

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Risposta a Marco Stenico, direttore commerciale Terre d’Oltrepò Egregio Direttore, in merito alle dichiarazioni di Marco Stenico — Terre d’Oltrepò — apparse sul Periodico di luglio, osservo quanto segue: 1) portare il fatturato di Terre ad un 75% di vino sfuso ed un 25% di bottiglie è un obiettivo molto modesto poiché occorre almeno il 50% di fatturato per le bottiglie cioè l’incremento di almeno il 10-15% per ogni anno in modo di arrivare al 50% in tre anni; 2) in tal modo le uve potrebbero essere pagate di più ai soci elevando il prezzo di mercato dei vari marchi di cui dispone Terre d’Oltrepò;

3) certamente mettere in commercio nelle GDO bottiglie di Bonarda San Saluto al prezzo di Euro 2,19 non aiuta a pagare di più le uve ai soci; 4) sulla Cantina la VALLE della VERSA S.r.l. di cui Terre detiene il 70% (il 30% è di Cavit) è una vera anomalia trattandosi di una Società a responsabilità limitata con sede sociale a Milano in Via G. Mameli 10, in luogo dell’allora preesistente Cantina La Versa S.p.A. con sede in Santa Maria della Versa (PV) il cui capitale sociale era per il 98% di Terre d’Oltrepò. è singolare che la Versa S.r.l. non abbia nemmeno un socio di professione viticoltore residente

nell’Oltrepò’ Pavese e che i patti parasociali sono un punto di indubbio vantaggio per CAVIT; 5) da ultimo l’acconto corrisposto ai soci da pochi giorni, pomposamente annunciato, è inferiore del 20% a quello solitamente corrisposto pur tenendo conto della minore quantità conferita nella vendemmia trascorsa. Avv. Ennio Granata Azienda Agricola Granata Giorgio Borgo Priolo

«Si preferisce dare la colpa alla fauna!! Ehhh no... mi spiace... non è così!! Egregio Direttore, vorrei esporre il mio pensiero e le mie “conoscenze” riguardo a certi fatti riguardanti selvaggina in pianura di cui parlate nell’ articolo dal titolo: «Voghera: la situazione è davvero allarmante, i danni causati dai cinghiali possono essere risarciti, è indispensabile denunciare l’accaduto». Innanzi tutto, se cinghiali ed altri ungulati, fossero lasciati in pace a casa loro, cioè i boschi, questi non scenderebbero a valle... perché??... Perché ancora adesso

DIRETTORE RESPONSABILE

Silvia Colombini direttore@ilperiodiconews.it / Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale

Mauro Colombini vendite@ilperiodiconews.it / 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità

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si permette la caccia a questi animali!!... Vengono perseguitati a casa loro, uccisi o feriti a morte nei loro boschi per il solo piacere di certi facinorosi che si divertono ad uccidere! Inoltre se le tante persone che si mettono ad andare a cento all’ora ed oltre nelle strade e persino nelle stradine di campagna dove avvengono attraversamenti di fauna (che spesso e volentieri sono pure indicati dalla segnaletica stradale) certi incidenti sicuramente non avverrebbero e non ci sarebbero feriti e

danni!! Come sempre è colpa dell’ uomo ma tale è l’arroganza umana per cui si preferisce dare la colpa alla fauna!! Ehhh no... mi spiace... non è così!! L’unica cosa allarmante in tutto questo è l’arroganza e l’onnipotenza che l’uomo si è dato senza alcun diritto e che è contro invece al saper rispettare e convivere con gli altri esseri di questa nave spaziale che è la terra!! Roberto Staricco - Gropello Cairoli

I segni del passaggio dei cani nelle vie del centro Caro direttore, non so se si tratti di una mia impressione, ma mi sembra che negli ultimi tempi il centro di Voghera sia trasformato in un luogo dove ogni cane è autorizzato a urinare liberamente. Non c’è strada, marciapiede, cestino e portone in cui i proprietari non si sentano liberi di lasciare urinare il proprio fido compagno, di qualunque taglia sia. Capisco la problematica, capisco che i bisogni grossi vengano raccolti, ma non capisco perché io debba calpestare l’urina fatta sul mio portone quotidianamente, per

entrare poi in casa e dovermi togliere le scarpe ancora bagnate! Mi chiedo se anche questo, insieme alle auto parcheggiate ovunque sui marciapiedi, da tutti ormai conosciute, per fare due dei tanti esempi possibili, non sia espressione della inciviltà e arroganza di molti cittadini e della inefficacia della amministrazione pubblica in questo aspetto, cui ormai ci stiamo rassegnando. Maria Zelaschi - Voghera

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

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Terreni incolti, perché non fanno controlli e multe? Gentile Direttore, abito da diversi anni a Rivanazzano, pressoché ogni giorno, mi reco al supermercato sulla statale per Voghera, ed in questi mesi ho visto il proliferare di erbacce ed arbusti in un terreno incolto e lasciato nel degrado proprio sulla statale d’ingresso al paese. Un terreno in cui crescono erbe infestanti, che penso rischi di compromettere per inseminazione i terreni regolarmente coltivati oppure di prendere fuoco vista la stagione calda. Lo stato di degrado in cui versa questo terreno, inoltre, rappresenta l’habitat naturale per rettili e roditori, che a loro volta possono creare problematiche di tipo igienico-sanitario. La statale che da Voghera porta a Rivanazzano è molto trafficata, immagino che anche i nostri amministratori comunali, la percorrano regolarmente… se guidano è perché… ci vedono. Quindi mi domando: questo terreno perché non lo vedono? La situazione non è sostenibile, perchè l’amministrazione non invita i proprietari o gli affittuari di tale terreno a provvedere alla pulizia e allo sfalciamento? Oltre ai problemi igienici, anche dal punto di vista estetico non è un bel biglietto da visita per una località termale. Lettera firmata – Rivanazzano Terme

«Io incompreso ma con tante idee per il paese» Sig. Direttore, mi chiamo Sergio ho 47 anni e da circa 25 seguo con passione tutti gli eventi organizzati a Montebello, partecipando come libero cittadino ad ogni seduta dei Consigli Comunali. Ho recentemente anche fondato due gruppi facebook : Montebello Live e Montebello in Diretta, nel primo vengono pubblicizzati tutte le iniziative in senso cronologico nel secondo invece sono irradiate le immagini degli eventi in diretta. Nonostante la mia quasi devozione per il paese e perchè progredisca nel migliore dei modi non sono mai stato tenuto in considerazione dai rispettivi candidati sindaci che si sono succeduti per poter entrare come civico in una lista in occasione delle elezioni comunali. Quale risposta a coloro che mi chiedono di scendere in campo? Come consiliere potrei espletare un bel servizio per il bene del Comune. Mi auguro che agli albori delle prime mosse per la stesura delle liste si smorzino questi pregiudizi mendaci su me e possa finalmente accontentare quel nutrito numero di elettori montebellesi. Confido nel Vostro aiuto. Sergio Barbieri - Montebello della Battaglia


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OLTREPò PAVESE

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«Partire da un bollicine Metodo Classico di altissima gamma»

Luigi Gatti, 56 anni, ha tre figli, e da metà giugno ha, anche, come si dice in Oltrepò, “una bella gatta da pelare”, è infatti stato eletto, Presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Gatti è stato eletto, dopo che una quindicina d’aziende, il giorno dopo le ultime elezioni, hanno abbandonato il Consorzio. Il nuovo Presidente oltre ad avere tre figli, una bella azienda vitivinicola, ed una “bella gatta da pelare” ha anche un curriculum professionale di grande spessore. Laurea in Scienze Agrarie all’Università Cattolica di Piacenza, Master Internazionale in Gestione Marketing Economia Vini e Distillati all’Universitè Paris X, corso di Specializzazione in Logistica Integrata Cargill University, è stato direttore di produzione alle Distillerie Branca, direttore operations alla Stock di Trieste, consulente alla Bistefani e amministratore delegato di Uniglad Ingredienti. Ha girato per lavoro il mondo in “lungo ed in largo”. Ma la domanda è una sola: basterà la sua preparazione, la sua esperienza professionale per rimettere insieme le aziende vitivinicole dell’Oltrepò Pavese sotto “l’ombrello” del Consorzio? Dovrà in questi mesi esaminare i mezzi e i fini della strategia, dovrà avere la lungimiranza con cui valutare e adottare le decisioni, dovrà dimostrare adattabilità alle mutevoli condizioni, opinioni ed interessi dell’ambiente vitivinicolo oltrepadano. Per riuscire nel suo intento, Luigi Gatti, sa perfettamente che la vittoria non è una vittoria a tutti i costi, dovrà bilanciare esigenze, valutare e mediare. Ora, forse come non mai il mondo del vino oltrepadano ha bisogno di una “win win solution”, dove per vincere tutti, tutti rinuncino a qualcosa, per ottenere, apparentemente e individualmente meno di quanto prefissato, ma in realtà per ottenere di più tutti. Il Consorzio sarà vincente se tutte le abilità, competenze, conoscenze saranno messe a fattor comune e a beneficio di molti, perché le battaglie non si combattono e soprattutto, non si vincono da soli. Se Gatti riuscirà in questo non facile lavoro, avrà risolto un bel problema, ed il Consorzio potrà ripartire “alla grande”. Luigi Gatti, da quali esperienze proviene? Ci racconta la sua storia? «La mia storia ha un fil rouge che è la passione per tutto ciò che è agricoltura e terreni così dopo il liceo scientifico a Voghera mi sono iscritto alla facoltà di scienze agrarie all’Università Cattolica di Piacenza. La svolta per quello che poi sarà il mio futuro lavorativo l’ ho avuta grazie ad un master organizzato dall’Oiv (Organismo internazionale della vite e del vino) di Parigi che mi fu proposto dal Professor Fregoni e che raccoglieva studenti italiani, francesi, spagnoli e neozelandesi. Un ambiente estremamente stimolante dove ho avuto una serie di sollecitazioni positive: ho avuto modo di visitare tante

Luigi Gatti, rivanazzanese, neo eletto Presidente Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese aziende e dove ho avuto modo di incontrare tanti produttori e di parlare sia di vino che di distillati e di prodotti per l’enologia. Da questa esperienza mi sono accorto di quanto ci potesse essere da fare e da dire nel settore vitivinicolo. Mi sono occupato successivamente di aziende che facevano e che fanno spirits, la Branca distilleria di Milano dove ho ricoperto il ruolo di direttore di produzione dal ’90 al 99’ e la Stock di Trieste dove il lavoro era simile a quello della Branca ma più proteso alla parte estera con la ricerca di partner produttori che potessero fare i prodotti sotto licenza e controllare che lavorassero secondo le procedure dettate dalla Stock. Questo mi ha portato spesso in giro per l’Europa dell’Est ed in particolare nei paesi della dell’ex Jugoslavia». Ci parli della sua azienda: da quando esiste e cosa produce? «Dopo la morte di mio papa nel ‘94 ho portato avanti la piccola azienda di famiglia che ha dei vigneti a Rivanazzano Terme, 5 ettari a pinot nero, 1 e mezzo in produzione e 3 mezzo che andranno in produzione dall’anno prossimo. Questo mi ha riportato ad essere operativo in Oltrepò che avevo, per motivi lavorativi perso di vista; divento socio della cantina Torrevilla a cui conferivo le mie uve e vengo eletto consigliere per tre anni. è stata un’esperienza molto positiva che mi ha portato “a piè pari” nel mondo vitivinicolo

oltrepadano. Dopo la tornata da consigliere mi sono candidato alla presidenza della Cantina sociale, “sconfitto” dall’attuale Presidente Massimo Barbieri, persona che stimo e con la quale ho ottimi rapporti. Conclusa l’esperienza in Torrevilla e dopo la fuoriuscita di due consiglieri dal Consorzio mi viene proposto nel 2016 di entrare come cooptato. Entro così nel Consorzio come consigliere partecipando attivamente alla modifica del disciplinare che è stato il lavoro principale in cui si è visto completamente assorbito il Consorzio in questi ultimi due anni». Perchè dopo un mandato da consigliere ha sentito di candidarsi alla presidenza del Consorzio? «In realtà non è stata una scelta studiata o programmata a tavolino, mi hanno scelto dopo un susseguirsi di eventi inaspettati come la fuoriuscita delle 14 aziende dal Consorzio. La mia intenzione era quella di continuare a fare il consigliere e procedere con le attività tipiche del Consorzio di Tutela. Ragionando con buonsenso e da buon padre di famiglia ho deciso poi che fosse mia responsabilità non deludere le aspettative di chi attorno al mio nome aveva visto un possibile Presidente del Consorzio». Quali sono gli obbiettivi che si è posto? «Qualità e reputazione sono quelle due condizioni indispensabili che faranno da traino alla valenza delle uve, dei vini e del territorio dell’Oltrepò Pavese. Il mio

contributo va in questa direzione, non so quando si potrà definire il territorio riuscito dal punto di vista dell’immagine, della comunicazione e del valore, dubbi sulla tempistica ce ne sono tanti, è inutile negarlo, ma per raggiungere degli obbiettivi qualsiasi essi siano, è necessario iniziare a camminare e anche a correre. In questa prima fase mi sta dando una grossa mano il Direttore Bottiroli che mi sta aiutando a capire quello che io in un anno e mezzo non ho avuto modo di cogliere anche perché il ruolo di un presidente è diverso da quello di un consigliere». Per raggiungere degli obbiettivi è necessario iniziare da qualche parte… Da dove ha deciso di iniziare concretamente? «I punti da cui iniziare a lavorare sono molti, al momento le tematiche sono essenzialmente tre: affinare le procedure per le esportazioni extra unione europea per le quali sono previsti contributi; coordinare gli eventi a cui il Consorzio decide di partecipare o in forma consortile raggruppata o rimandando e aprendo ai singoli associati. Ci sono davvero tanti eventi e manifestazioni per cui è necessario selezionare quelle che abbiano più parvenza di risultato per ottimizzare costo-efficacia. Qualità del prodotto: siamo convinti che l’Oltrepò deve fare un passo, deve identificarsi con un prodotto un prodotto-territorio. Faccio un esempio pratico: anni fa si è deciso di


OLTREPò PAVESE puntare giustamente sulla Bonarda, prodotto tipico dell’Oltrepò, la Croatina è un vitigno solo nostro e dopo anni fortunati in cui ha dato buone soddisfazioni in termini di prezzo, a causa di una corsa al ribasso il Bonarda è diventato quasi un “vino commodity”. Quindi qualcosa non ha funzionato. è necessario darsi una mano tutti nel sostenere il territorio con un vino bello, buono, riconoscibile e che evochi condizioni positive. Partire da un bollicine Metodo Classico di altissima gamma, un DOCG magari declinato anche nella versione rosé: il Cruasè. Sulla definizione del nome non c’è da inventarsi grandi cose e niente di troppo sofisticato: Franciacorta, Trento Doc, Alta Langa … indicano tutti il nome di una zona territoriale, pertanto basterebbe chiamarlo con un nome semplice e chiaro». Perché il mondo produttivo all’indomani dell’insediamento del nuovo C.d.A. ha sentito di abbandonare il Consorzio? «è stata una sorpresa e uno stupore generale… il motivo tra quello detto ufficiosamente e ufficialmente e quello che io ho percepito e intuito è che da parte di queste aziende ci fosse la sensazione che all’interno del consiglio del Consorzio non ci fossero persone che avrebbero potuto sostenere i discorsi che abbiamo fatto sino ad ora riguardo la qualità, l’immagine e i prezzi sostenuti e che non ci fosse l’intenzione di portare avanti politiche lungimiranti che guardassero verso l’alto e non verso il basso. Il Consorzio ha degli obbiettivi scritti per statuto che non ho inventato io e se non li persegue è come si suol dire “fuori dal seminato” e vuol dire che il Consorzio non sta lavorando in modo corretto. Il mio compito primo è far rigare dritto il Consorzio nel perseguimento dei suoi obbiettivi e qualora qualcuno si sentirà di giocare una partita al di fuori di questi paletti e di questi obbiettivi il mio compito sarà dir loro che Il Consorzio non è il posto per loro.

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«Nessuno ha fatto la guerra anzi credo sia importante dialogare con tutti senza pretendere che i fuoriusciti l’altro ieri ritornino domani» Ho dato ad alcuni dei “dissidenti” la più totale disponibilità a seguirli da vicino per osservare l’evolversi delle loro riflessioni in funzione dei passi che il Consorzio ha deciso via via di compiere. Sono fermamente convinto che se qualcosa deve cambiare la si può cambiare da dentro e non da fuori; di questa cosa sono convinto e me ne sento responsabile». Erga Omnes… tutti ne parlano… «Una doverosa premessa è sottolineare che il Consorzio è l’unico ente riconosciuto a livello legislativo con una radicazione isti-

tuzionale che nessun’altra organizzazione di produttori di vino ha. Il Consorzio rappresenta 2800 aziende e gli associati sono circa 200, comprese le cantine sociali. Ai Consorzi è stata affidata la responsabilità dei controlli, o meglio sono titolari del concetto di controllo che poi devono demandare agli enti preposti, eccezion fatta per la vigilanza di mercato che appartiene alla mission consortile. Se data una quantità di ettari di vigneto il numero di bottiglie prodotte o gli ettolitri di vino superano una certa soglia rispetto al totale della zona, il Consorzio erga omnes può chiedere un controllo anche su chi non è socio. Questo è fondamentale e l’obbiettivo di mantenere l’erga omnes sta a cuore un po’ a tutti». Pensa sia possibile trovare un percorso di pacificazione? «Nessuno ha fatto la guerra anzi credo sia importante dialogare con tutti senza pretendere che i fuoriusciti l’altroieri ritornino domani, che possano cambiare idea e bandiera nel giro di così poco tempo ma vorrei dimostrare che il Consorzio si sta muovendo in quella direzione che anche i fuoriusciti volevano vedere e capire. Poi ci sono i fuoriusciti della tornata tra il 2014 e il 2015 e che hanno formato il Distretto dei vini. Non c’è assolutamente alcuna ostilità, anzi, abbiamo stabilito un buonissimo rapporto con il presidente Fabiano Giorgi. Buone aperture anche dal Club del Buttafuoco che ha una denominazione già pronta e sta vedendo se, come dire, giocarla all’interno del Consorzio o fuori. Insieme a consiglieri rappresentativi abbiamo cooptato due aziende, la Marchese Adorno con Francesco Cervetti e Torre degli Alberi con il Conte Camillo Dal Verme proprio per dare un tono il più possibile lungimirante al nostro Consorzio. Siamo “sotto osservazione” ma ci sono circostanze che mi fanno ben sperare, il consiglio è e deve essere insieme a me fautore di questo modus operandi». Lei è noto come uno che non le manda

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a dire… Schietto… Come pensa di conciliare questo lato del suo essere con il ruolo di Presidente che spesso è costretto ad assumere posizioni concilianti? «Ho fatto una buona esperienza con gli scout… questo per dirle che se esiste una motivazione forte si può uscire da una situazione ostile; se spieghi e sei convincente, non passi come un autarchico poco flessibile, ma come uno che vuole dare una mano». I rapporti tra il Consorzio e il mondo delle istituzioni e della politica: c’è spirito collaborativo concreto oppure no? Arrivano investimenti? «La Regione si sta avvicinando molto al mondo vitivinicolo oltrepadano attraverso l’ERSAF - Ente Regionale per i Ser-vizi all’Agricoltura e alle Foreste. Ha istituito un tavolo, “Il tavolo Oltrepò” coordinato dall’assessore Fabio Rolfi. Abbiamo un Ministro dell’Agricoltura pavese, Centinaio, vicino al Consorzio e alle sue problematiche. Se non riusciamo a sfruttare questa congiuntura adesso rischiamo di perdere un treno interessante. Per quanto riguarda gli investimenti devono crescere soprattutto sulla parte commerciale e dobbiamo anche rilanciare il Consorzio, tanto per parlare dei nostri cugini, Franciacorta con 2500 ettari di terreno ha 6 milioni di euro di budget, noi con 13800 ettari di terreno ne abbiamo uno per le vendemmie più abbondanti; 12 dipendenti Franciacorta, 3 noi». Una battuta finale: l’ex Presidente del Consorzio è legato al pellegrinaggio a Lourdes, lei anche… Che ci voglia un miracolo per il vino di questo nostro Oltrepò? «I miracoli di Lourdes sono di tutt’altro genere , ci vorranno delle condizioni propizie. Credo che ne usciremo anche senza i miracoli ma con la buona volontà di tutti... se poi arrivano i miracoli sarà la ciliegina sulla torta». di Silvia Colombini



IL PERSONAGGIO

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«Prima di tutto bisogna consolidare il territorio e poi pensare a proporre i propri prodotti all’esterno» Cristian Bertol, chef stellato della Val di Non in Trentino, famosissimo perché da anni è ospite fisso al programma televisivo di Antonella Clerici “La prova del cuoco” si può definire come testimonial del suo territorio e dei prodotti che lo stesso offre. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo durante una vacanza e di gustare la sua eccellente cucina e, grazie alla sua grande disponibilità, abbiamo fatto una chiacchierata cercando di capire come si possono valorizzare al meglio le produzioni che i propri luoghi offrono e allo stesso tempo utilizzare l’enogastronomia come aggancio per il turismo. Personaggio molto affabile e sempre pronto alla battuta, ci accoglie nel giardino del suo ristorante circondato dal verde del bosco e con una incantevole vista sulle montagne circostanti. Cristian Bertol, chef stellato, personaggio televisivo, autore di libri di cucina: cosa c’è dietro a questo successo? «Il tutto si può riassumere con una sola parola: passione. Grande passione per la cucina e per la comunicazione. E poi tanti sacrifici e un po’ di fortuna, la fortuna aiuta sempre gli audaci». Lei si può dire che sia nato in cucina perché anche suo padre era un cuoco mi pare proprio in questo ristorante... «Certo, ho 44 anni, ho iniziato qui con mio padre che ne avevo 11 e quindi son 33 anni, come gli anni di Cristo, spero di non esser crocifisso a breve (ride). Mio padre mi ha sempre detto che se volevo fare questo lavoro, dovevo farlo in un certo modo. Quindi ho frequentato la scuola alberghiera di Riva del Garda, che allora era la migliore scuola del Trentino. A 16 anni ho fatto la mia prima esperienza fuori di casa, a Treviso, poi a Firenze fino ad arrivare a fianco del grande maestro Gualtiero Marchesi. Poi ho fatto 5 anni di stage in giro per il mondo. Quindi nei migliori ristoranti d’Italia, e poi New York, Los Angeles, Vienna, Salisburgo, Parigi, Istanbul, Montecarlo. Ho lavorato in circa 40 ristoranti facendo molte esperienze diverse, acquisendo tecniche nuove e sperimentando vari tipi di cucina. Questo è stato molto importante per il mio lavoro». Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un boom delle scuole di cucina, tantissimi ragazzi hanno intrapreso questo percorso di studi forse anche grazie ai programmi televisivi che hanno fatto degli chef delle vere e proprie star, lei che cosa pensa di questo fenomeno? «C’è un grosso problema che riguarda la gioventù d’oggi, i ragazzi pensano che sia tutto facile, la carriera, i guadagni. Il 90% degli alunni della scuola alberghiera non sa a cosa va incontro. Il problema non è la qualità delle scuole alberghiere, il problema è quanti ragazzi riescono a fare

Cristian Bertol, chef stellato ospite fisso a “La Prova del Cuoco”

questo lavoro finita la scuola. C’è una perdita enorme, circa il 50% lascia dopo un paio d’anni, il 90% dopo 10 anni penso. La televisione ha fatto passare l’idea che fare lo chef sia molto facile e quando i ragazzi si trovano a fare gli stage in cucina e devono lavorare sodo mantenendo ritmi e precisione di esecuzione, non resistono e lasciano. Le scuole alberghiere dovrebbero obbligare i ragazzi a fare tirocinio estivo nei ristoranti e negli alberghi perché negli ultimi tre anni la scuola diventa più teorica e meno pratica e quindi è fondamentale toccare con mano i problemi della ristorazione. Lo stage deve essere un’opportunità per loro per essere poi assunti perché hanno lavorato bene. Pensi che a volte arrivano da me ragazzi per lo stage estivo e i genitori mi chiedono se è possibile non farli lavorare il sabato e la domenica. Si rende conto? Questi non hanno neanche idea di come funziona il mondo della ristorazione». Lei ha basato la sua cucina sui prodotti del territorio, quanto è importante valorizzare i prodotti della propria terra? «La mia cucina, prima di tutto, deve essere il territorio, perché come dico sempre le mode cambiano ma le tradizioni rimangono. Poi ci vuole un po’ di creatività per interpretare la tradizione a tuo modo, senza stravolgere la materia prima. Poi ci vuole una certa ricercatezza sui piccoli produttori e sulle materie prime. Bisogna trovare il modo di valorizzarle e l’unico modo è una cucina semplice. Una cucina troppo

tecnica, troppo complicata, rischia a volte di alterare la materia prima. La bravura di un cuoco sta nel creare una propria identità senza farsi coinvolgere troppo dalle mode». Lei ha lavorato in giro per il mondo ma poi è tornato qui a Ronzone, nelle sua terra, non pensa che se fosse rimasto in una grande città avrebbe potuto avere dei vantaggi? «Ci sono due motivi principali per cui sono tornato. Prima di tutto il denaro facile non è mai stato il mio obiettivo e poi ho sempre seguito le tradizioni della mia famiglia, la scelta principale è sempre stata la famiglia. Devo costruire la mia serenità in cucina e poi trasferirla in casa. La televisione fa passare il messaggio che i cuochi sono sempre incavolati e dal carattere brusco e scontroso. Io non sono così. Vivere qui in montagna mi permette di vivere una vita più serena, quasi in isolamento con il mondo esterno». Il Periodico News è un mensile dell’Oltrepò Pavese, un territorio che non riesce ad avere un’identità dal punto di vista vitivinicolo, che ha una serie di prodotti di grande qualità come ad esempio il salame di Varzi ma che non riesce ad esprimere al meglio le sue potenzialità turistiche e gastronomiche per mancanza di unità di intenti. Lei conosce l’Oltrepò Pavese e i suoi prodotti? «Non ho mai soggiornato in Oltrepò ma ci sono passato diverse volte in viaggio per altre mete. Ho avuto modo di conoscere

il salame di Varzi e qualche vino durante la permanenza alla “Prova del cuoco” ma vede, il problema è uno: una regione non cresce perché non c’è coesione. Il problema dell’individualismo esiste anche qui in Trentino. Le faccio un esempio personale: i miei clienti vengono per la maggior parte da fuori regione, dall’estero, dall’Alto Adige ma ho pochissimi clienti locali. Invece ad esempio l’Alto Adige è una regione dove esistono dei problemi all’interno ma sanno far uscire un’immagine di unità e questo è un grande vantaggio per il territorio. I ristoranti devono fare la promozione dei prodotti locali ma anche i produttori devono coinvolgere i ristoranti e lavorare insieme. Io penso che prima di tutto bisogna consolidare il territorio e poi pensare a proporre i propri prodotti all’esterno». Nel nostro territorio non ci sono molti ristoranti che valorizzano i prodotti locali, dilagano i ristoranti etnici e i fast food. Se lei dovesse aprire un ristorante in Oltrepò Pavese da cosa partirebbe? «Innanzi tutto cercherei un bel posto giusto in mezzo al verde dove poter fare un’ottima accoglienza del cliente, poi cercherei il personale qualificato, sia per la sala che per la cucina. Non dimentichiamo che il personale preparato è fondamentale per la riuscita di una ristorazione. Poi farei un giro alla ricerca di tutti i piccoli produttori che possano fornirmi i loro prodotti di nicchia di grande qualità con i quali poter esprime al meglio la mia creatività in cucina». Una curiosità. Quando lei è nella sua cucina cosa preferisce cucinare, qual è il piatto che esprime al meglio le sue doti? «Guardi a me piace cucinare tutto, sono sincero. Mi piace molto fare i dolci con mio figlio che ha sei anni e secondo me è molto portato per la cucina, per me non è così importante cosa cucino ma per chi lo cucino. Cucino in modo particolare per chi viene ad assaporare i profumi e i sapori del mio ristorante e si lascia coinvolgere dall’atmosfera. Odio le persone che vanno al ristorante e rimangono attaccate al cellulare tutto il tempo senza neanche sapere cosa mangiano. Sono molto felice quando riesco ad accontentare al meglio i miei clienti e sono orgoglioso quando mi sento dire che la mia cucina è molto leggera e digeribile oltre che gustosa». Ha pubblicato due libri di cucina e ora ha un progetto nuovo. Ce ne vuole parlare? «A settembre uscirà questo nuovo libro “Cucina e magia” fatto con Antonio Casanova, il mago, che è anche un amico. Ci siamo divertiti a realizzarlo, è una cosa nuova. Mi piace sempre mettermi in gioco. Il mio motto è andare sempre avanti, mai dormire sugli allori». di Gabriella Draghi


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SILVANO PIETRA

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«Non condivido particolarmente l’idea di una fusione. Abbiamo già l’Unione... » Il Comune di Silvano Pietra svolge, con soddisfazione, la maggior parte delle proprie attività in coordinamento con Corana e Cornale-Bastida, con i quali forma l’Unione dei Comuni Oltrepadani. Ma mantiene la propria identità ed i propri rappresentanti politici, capitanati dal sindaco Luciano Antonio Calderini. Un primo cittadino che dichiara di svolgere il proprio incarico ‘‘per puro spirito di servizio’’, ‘‘senza ambizioni’’ oltre a quella di ‘‘fare qualcosa di concreto per il paese’’. Per declinare questa finalità il sindaco di Silvano è al lavoro tutte le mattine presso il municipio. Pensando a portare avanti i lavori pubblici, ma anche a valorizzare il patrimonio artistico e culturale del paese. Dopo tanti anni si è rivisto un po’ di asfalto sulla provinciale che attraversa il paese. Un piccolo inizio, ma immagino sia soddisfatto. «Nel mio piccolo ho tempestato di telefonate e anche di incontri il presidente Poma per cercare di fare qualche cosa per queste strade provinciali. Adesso hanno asfaltato questo pezzo di un centinaio di metri, che era il più disastrato. Un altro pezzo è stato rifatto sulla strada per Torremenapace, dalla cartiera in avanti, nel territorio Voghera ma che serve anche noi». Per provare a dare delle risposte, alcuni comuni stanno pensando di farsi trasferire dalla provincia la competenza su alcune strade che attraversano il proprio centro abitato. Il che tuttavia comporta l’assumersi un onere non indifferente… «Lo faremmo anche noi, volentieri, se avessimo le risorse. Il buffo è che noi piccoli Comuni abbiamo degli avanzi di amministrazione che non possiamo spendere. I soldi ci sono, i conti sono tenuti bene. Ma la legge ci impedisce di investire. Quest’anno la regione ci ha concesso uno spazio finanziario grazie al quale ci è consentito di spendere 80mila euro». Come li avete destinati? «Abbiamo investito sulla palestra, sul centro sportivo polifunzionale. Bisogna fare dei lavori di manutenzione importanti: il tetto, l’impianto elettrico, tutta una serie di lavori finalizzati alla messa in sicurezza, per ottenere l’agibilità con il consenso dei Vigili del Fuoco. Con rammarico ho dovuto chiudere la palestra due anni fa, dietro sollecitazione del tecnico comunale, perché erano venuti a mancare i requisiti». Altri investimenti riguardano la sicurezza… «Proseguiamo il miglioramento dell’illuminazione pubblica in via Circonvallazione. L’anno scorso abbiamo installato quattro punti luce, quest’anno i rimanenti tre; ritengo sia importante, anche ai fini della sicurezza. Per il controllo del territorio avevamo già una telecamera nel centro del paese, ma era obsoleta. Allora, con gli altri

Luciano Antonio Calderini, sindaco di Silvano Pietra Comuni dell’unione di cui facciamo parte, abbiamo sviluppato un progetto condiviso ed è stata sostituita questa telecamera. Ora abbiamo in corso una richiesta con la Prefettura per avere ulteriori finanziamenti per potenziare l’illuminazione nei tre comuni. A Silvano abbiamo già i led in tutto il paese. Sono stati messi nel 2014». Sempre parlando di sicurezza, come viene presidiato il territorio? «Abbiamo i vigili, anche questo servizio è svolto in collaborazione con l’Unione. Li facciamo turnare, svolgono dei servizi insieme, d’accordo anche con i Carabinieri, e presidiano il territorio. Se notano qualche cosa di anomala, i Carabinieri vengono in supporto». I dipendenti su cui potete contare sono sufficienti ad assicurare i servizi essenziali alla vostra comunità? «Tutto il personale è trasferito all’Unione. L’anno scorso è stato assunto un dipendente per il servizio di ragioneria, che lavora anche con il comune di Cornale. L’avere associato determinate funzioni ai comuni limitrofi ci permette di garantire la continuità del servizio e di assicurare le dovute ferie ai dipendenti». Si sono registrati danni particolari in seguito alla bomba d’acqua delle scorse settimana, che ha messo, in particolare, in ginocchio la non lontana Bastida Pancarana ma anche i Comuni più prossimi al suo? «Abbiamo qualche problema con il teatro, l’ex cinema San Carlo. Con l’ultima bomba d’acqua, che per il resto non ha fatto molti danni, si è resa necessaria una manutenzione anche in questa struttura. Ad una parte del tetto, in particolare». A Silvano non sono comparsi i cosiddet-

ti ‘‘dossi’’, o meglio ‘‘attraversamenti pedonali rialzati’’ che tanto vanno di moda negli ultimi anni sulle strade comunali. Una scelta politica o semplicemente dettata dalle carenze di bilancio? «La Provincia ci darebbe anche l’autorizzazione per installarli su via Umberto I, ma non penso sarebbe un intervento risolutivo. Il problema principale che abbiamo riguarda il passaggio dei camion. Alcuni sfrecciano ad alta velocità. Per questo abbiamo istituito un divieto di superare i 30 km/h per i mezzi pesanti, sollecitando anche direttamente le ditte di autotrasporti che passano più spesso nella nostra zona. Devo dire che hanno risposto. Purtroppo ci sono ancora casi in cui questo divieto non viene rispettato». Ci sono altri lavori pubblici all’orizzonte? «Stiamo concludendo la questione che riguarda il parco giochi, di proprietà della Chiesa. Abbiamo trovato un accordo con don Ceriani, e abbiamo chiesto al Vescovo di Tortona se fosse disponibile a cederci questo terreno. Abbiamo ricevuto l’ok. Sono due anni ormai che abbiamo dovuto chiuderlo, perché a margine di questo parco c’è un muro che rischiava e rischia il crollo. Per valutare il da farsi è stato avviato un iter che ha coinvolto anche la Soprintendenza. Ci sono voluti due anni per ottenere la verifica di interesse culturale di questo muro». Siamo quindi a un passo dal mettere la parola fine a questa vicenda? «Adesso siamo in fase di definizione, speriamo di poter andare appena dopo le vacanze dal notaio a formalizzare l’acquisto che ci permetterà di fare i lavori per la messa in sicurezza, che quindi verrà acqui-

sita al patrimonio comunale e verrà resa sicura e funzionale. Dobbiamo far fare un progetto da un architetto, che ci dirà come restaurarlo o come ricostruirlo». Poche settimane fa il Consiglio Comunale ha approvato il nuovo Regolamento di Polizia Urbana. Da cosa è nata questa esigenza? «Ne avevamo già uno vigente, che però risaliva al 1961: era ora di aggiornarlo. È il buonsenso tramutato in regolamento, tratta di comportamenti che poi in realtà sono già attuati. Cinquant’anni fa il mondo era diverso, Silvano era diverso, le esigenze erano diverse. Anche Corana e Cornale si sono dotate di uno strumento analogo. Infatti, al prossimo Consiglio dell’Unione recepiremo i regolamenti varati dai tre comuni e vareremo un unico regolamento per tutta l’Unione. Stiamo cercando di uniformare tutti i regolamenti dei tre comuni. Anche quello di Polizia Rurale è stato adottato in tempi recenti, secondo lo schema fornito dalla Provincia». Come vanno le sue “fatiche” per contrastare l’abbandono dei rifiuti? Ci sono stati alcuni casi sui quali si è impegnato personalmente. «Ci sono stati episodi di rifiuti abbandonati dal cavalcavia situato nei pressi del cimitero, dove abbiamo rinvenuto degli eternit che sono stati smaltiti da una ditta specializzata. Poi in corrispondenza dell’altro cavalcavia, ci è stato segnalato un abbandono di rifiuti che risultava essere su un terreno di proprietà dell’autostrada Milano-Serravalle. Sono stati presi contatti con il gestore e l’area è stata ripulita». Di che tipo di rifiuti si trattava? «Sedili, vernici, residui di cantiere… di tutto. È un problema di civiltà, che a volte notiamo anche con riferimento ai cassonetti. Nel cassonetto dove andrebbe il sacco nero ben chiuso, ma a volte si trova di tutto. Abbiamo potenziato la dotazione di contenitori, cercando di mettere in condizione le persone di fare le cose giuste».

«Mi piacerebbe far pubblicare un nuovo volume su Silvano. Una specie di guida»


SILVANO PIETRA Il suo Comune, come molti altri, ha adottato la Carta d’identità elettronica dallo scorso 1° luglio. Un’innovazione che ha comportato la necessità di acquisire nuove attrezzature, di formare il personale, ma ha anche offerto ai cittadini un documento più al passo coi tempi. Come avviene il rilascio? «Abbiamo già fatto cinque o sei carte di identità in questo primo mese, nel nostro piccolo non è poco. Il cittadino viene qui in Municipio con la propria tessera sanitaria e una fotografia. Il dipendente comunale che ha l’incarico di esercitare questa funzione, poi, prende l’impronta digitale, scannerizza la foto, fa firmare un modulo e trasmette tutto a Roma. Dopo quattro o cinque giorni la nuova tessera elettronica arriva a casa, per posta, con una raccomandata. Il costo è di 22 euro, di cui 17 vanno allo Stato. Per rifare la Carta d’identità e passare a quella elettronica occorre, tuttavia, che quella precedente sia stata smarrita o sia rovinata». Torniamo a parlare dell’Unione, che lei giustamente cita spesso. Lei, Giancarlo Carnevale (sindaco di Cornale e Bastida) e Vittorio Balduzzi (sindaco di Corana) andate davvero d’amore e d’accordo… «Ci rispettiamo e andiamo molto d’accordo, non ci sono problemi di nessun tipo». Tre comuni dell’Oltrepò (Canevino, Valverde e Ruino) hanno appena votato a favore di una fusione, come del resto fecero a loro tempo Cornale e Bastida. I tempi sembrano essere propizi per pensare a nuove fusioni. Questo argomento

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potrebbe diventare attuale anche nella vostra realtà? «Per adesso penso proprio di no. È una cosa di cui non si è mai parlato. Personalmente, se devo essere sincero, non condivido particolarmente l’idea di una fusione. Abbiamo già l’Unione, che stiamo cercando di portare avanti. Se riusciamo proveremo man mano a integrare sempre di più le funzioni, soprattutto dal punto di vista del personale. Penso che questo ente sia già adatto a soddisfare le nostre esigenze». Silvano è un paese dalla forte connotazione artistica, valorizzato anche di recente con giornate dedicate. Vuole essere nostro cicerone e raccontarci quali sono i tesori principali che custodisce il suo paese? «Innanzi tutto i tesori custoditi nella chiesa di Santa Maria e San Pietro. Anzi: la chiesa stessa è un tesoro, con la sua facciata romanica e gli affreschi. Poi c’è la parte rimasta del castello dei conti Pietra. Una porzione è di proprietà privata, mentre la torre è del comune. Parecchi anni fa, in questo periodo di tarda estate, nel paese c’era una tradizione, ormai abbandonata: la Festa del Gualdo, una pianta che serviva per fare le tinture e veniva coltivata in questa zona. Gli abitanti, in occasione di questa festa, esponevano una bandiera sulla torre una bandiera blu, colore del guado. Segnalava il raccolto di questa pianta, che era arrivato il tempo del raccolto. Sarebbe bello rispolverare questa usanza, ci sto pensando». Poi il Castello… «Questo Castello, che di recente ha cam-

biato proprietà, è pieno di affreschi straordinari. A marzo si è svolto un evento bellissimo, in occasione delle giornate del FAI di primavera. Sono state proposte visite guidate appunto al castello, alla chiesa e a due abitazioni private. A fare da guida c’erano alcune studentesse del liceo Galilei. La manifestazione è iniziata sabato pomeriggio ed è proseguita domenica per tutto il giorno». È fondamentale coinvolgere anche soggetti esterni, come il FAI, che possono dare un grande aiuto. È difficile per un paese di 700 anime farsi carico, da solo, di opere di così grande prestigio «Senza dubbio. Alcune guide erano nella chiesa, dove l’opera principale è un quadro di Letizia Quistelli. Altre erano presso l’ex castello, nella casa dei Carena, e a casa Gallotti, dove dormì Napoleone prima della battaglia di Marengo, e dove lasciò, in quella occasione, due appliques con impresso il suo simbolo, la ‘‘N’’ di Napoleone. Poi c’erano guide presso la loggetta del Seicento in via Reminolfi e presso l’oratorio in via Garibaldi. Lì è ospitato un quadro di Giulio Cesare Procaccini, insieme ad altri di grande valore, che meriterebbero sicuramente di essere restaurati». Ha qualche idea su come migliorare la fruibilità di questo patrimonio? «Mi piacerebbe far pubblicare un nuovo volume su Silvano. Una specie di guida. Con la collaborazione sicuramente anche di Daniela Lazzaroni, che ha già prodotto una pubblicazione e dispone di un archivio non indifferente».

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«Nel mio piccolo ho tempestato di telefonate e anche di incontri il presidente Poma per cercare di fare qualche cosa per queste strade provinciali» È soddisfatto delle attività che sta portando avanti e più in generale della sua attività come amministratore negli ultimi tre anni, da quando cioè è diventato sindaco? «Ho fatto la mia vita lavorativa presso il Comune di Milano, a Palazzo Marino. Poi andato in pensione, è successo che il vecchio sindaco, Massimo Stringa, sia venuto a mancare, soltanto due mesi dopo l’elezione. Io ero consigliere, allora. Siamo andati avanti con il vice-sindaco fino alle nuove elezioni del 2015, a maggio. Così ci siamo chiesti chi potesse fare il sindaco ed è toccato a me. Ho accettato di farlo per spirito di servizio, per cercare di fare qualche cosa per il paese. Il mio ruolo non è dettato da nessuna ambizione oltre a questo». di Pierluigi Feltri



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«Come piscina comunale abbiamo diritto a tre serate in tutta l’estate... il Comune ci ha chiamato a rapporto» Andrea Bottini, vogherese, classe 1969, è un abile imprenditore molto conosciuto nel nostro territorio. Ha studiato geometra all’Istituto Baratta, dove si è diplomato nel 1988, ha iniziato a lavorare, per un po’, proprio nel settore edile, anche se da lì a breve avrebbe preferito l’attività di venditore, aprendo la sua prima ditta nel 1992. La sua prima esperienza imprenditoriale in quale settore? «Ho iniziato a vendere detergenti per gli autolavaggi ed accessori-auto per la Chimica (azienda di Bosnasco) e successivamente ho iniziato ad importare prodotti da tutta Italia e dall’estero. Così mi sono fatto un “giro” di clientela in Piemonte, Lombardia e Liguria. Con il passare degli anni ho allargato il business, arrivando al 2002, anno in cui ho rilevato la Intra. Fatturavamo allora 900 mila euro l’anno, arrivando nel 2014 a fatturare quasi 6 milioni. Abbiamo avuto una crescita incredibile...». Di che cosa si occupava principalmente la Intra? «La Intra si occupava soprattutto di forniture per ospedali, case di riposo, etc. etc. etc. con la vendita di prodotti detergenti e macchine per la pulizia. Avevamo acquisito oramai una clientela a livello Nazionale e Estero». Lei ha avuto anche un passato come partner pubblicitario nella Moto GP. «Nel 2007 ho avuto l’illuminazione di lanciarmi come Sponsor del Moto GP, iniziativa contestata a livello societario ma che ha portato la Intra ad essere straordinariamente conosciuta. Sono entrato nel Team di Cecchinello (NCR), e nel giro di qualche anno sono passato da Sponsor a fornitore anche di altri team ed aziende importanti. Nel 2014 io ed il mio socio abbiamo deciso di separarci: io ho tenuto l’altra azienda piccolina che è la Intek, con sede a Voghera, vicino alla Casa del Cuscinetto, la vecchia area Bandirola sulla statale per Tortona uscendo da Voghera. Ho poi aperto un ufficio per i corsi di sicurezza, che dovrebbe diventare a breve uno sportello per una grande azienda emergente. Con la Intra eravamo arrivati ad una quindicina di dipendenti, con vari agenti di zona. Una delle tre aziende più conosciute in Italia a livello di macchine per la pulizia, con clienti importanti. Eravamo arrivati al punto in cui dovevamo decidere o di acquisire o di essere acquisiti e non siamo stati in grado di fare questo passo, perchè abbiamo pagato molto la nostra mentalità provinciale». Quanti dipendenti ha oggi in Intek? «In Intek ho 6-7 dipendenti, settore antinfortunistica, prodotti, macchine per la pulizia e corsi di sicurezza. Al momento fatturiamo un milione e mezzo di Euro». Ed arriviamo, recentemente, all’avventura di ‘Acque’ in Rivanazzano Terme... «è nato tutto 5 anni fa, tra me, il Dottor

Andrea Bottini, gestore della piscina comunale di Rivanazzano Terme

«Eravamo arrivati al punto in cui dovevamo decidere o di acquisire o di essere acquisiti e non siamo stati in grado di fare questo passo, perchè abbiamo pagato molto la nostra mentalità provinciale»

Fulvio Tartara ed il Dottor Paolo Pastore, perchè all’epoca Tartara aveva ritirato la vecchia stazione di Rivanazzano. La piscina è stata gestita per 4 anni da Alessandra Bettaglio ed il marito Federico. 2 anni or sono, per motivi personali, Pastore ha lasciato la società, e quest’anno ne è uscito anche Tartara». Questa è una struttura comunale, se non erro, quindi legata forse più strettamente alle regole istituzionali: nel Parco Brugnatelli vengono svolte tantissime attività nel corso del periodo estivo, mentre, mi pare, qui in Piscina non c’è un’attrattiva serale... trattasi di inquinamento acustico? «Vero. Come piscina comunale abbiamo diritto a tre serate in tutta l’estate, anche perchè come struttura, teoricamente, dobbiamo dare un servizio di balneazione e non “preoccuparci” del resto. A inizio stagione ho avuto alcune problematiche con due serate che abbiamo fatto: il Comune ci ha chiamato a rapporto ed ho semplicemente comunicato che le feste a

nostra disposizione le allestiamo al meglio all’interno delle nostre possibilità, cercando di essere il più regolari possibili». Se dovesse rinascere, con le numerose esperienze professionali e le iniziative che ha portato avanti in tutti questi anni, lo rifarebbe in Oltrepò Pavese o sceglierebbe un’altra Regione? «Le direi, di primo acchito, non in Oltrepò... perchè qui, forse, non mi sono sentito abbastanza gratificato, ma allo stesso tempo sono una persona costruttiva, ed il mio primo pensiero, ad esempio quando ho iniziato a gestire questa piscina è stato quello di scegliere i vini dell’Oltrepò Pavese! Bisogna essere legati al nostro territorio e valorizzarlo perchè non ha nulla da invidiare nemmeno ad una regione turistica e vincente come la Toscana! Solo che noi... non cresciamo per tante ragioni: politiche, territoriali, di visione e anche perchè le istituzioni, probabilmente, non hanno mai avuto fiducia nei giovani e nei loro progetti». di Lele Baiardi


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RIVANAZZANO TERME - GODIASCO SALICE TERME - RETORBIDO

Fusione Rivanazzano, Godiasco - Salice e forse anche Retorbido... Il nome “Staffora Terme”

Da qualche anno c’è l’idea, ripresa da più parti, di una fusione tra i Comuni di Rivanazzano Terme e Godiasco-Salice Terme. Ultimamente è stata ventilata l’idea di aggiungere alla fusione dei due Comuni termali, anche Retorbido. Il dovere di un buon amministratore è di cercare sempre l’interesse della sua comunità e di valutare ogni opportunità di crescita e miglioramento che gli venga sottoposta. Rivanazzano Terme e Godiasco-Salice Terme, ai

quali sembra essersi aggiunta Retorbido, sembra incomincino ad intravedere una di queste opportunità nella fusione dei Comuni: mettere in sinergia le risorse, ottenere ingenti finanziamenti e razionalizzare la spesa, portare maggiore benessere al territorio. In un periodo storico in cui la riduzione delle entrate mette a dura prova i bilanci degli enti locali, riducendo al minimo la capacità di investimento, la possibilità di

contare su finanziamenti statali e regionali in dieci anni con i quali migliorare i servizi, potenziare la viabilità, creare infrastrutture, ridurre la tassazione, investire nella riqualificazione energetica e razionalizzare i costi amministrativi mettendo in sinergia le tre strutture comunali, dovrebbe essere un motivo sufficiente a far scegliere ai cittadini di votare SI per la fusione. Potrebbe esserci una ragione più profonda per dire SI alla fusione: ed è la capacità di

un territorio più vasto di essere rappresentativo nelle sedi istituzionali. A grandi linee questi sono i vantaggi che gli amministratori dei tre comuni favorevoli alla fusione, potrebbero mettere sul piatto per convincere gli abitanti di Rivanazzano Terme, Godiasco-Salice Terme e Retorbido a votare SI. Ostacoli non parrebbe essercene a livello politico, alla luce “dell’amore manifesto e manifestato” a più riprese ed ad ogni piè


RIVANAZZANO TERME - GODIASCO SALICE TERME - RETORBIDO sospinto, fatto scrivere, soprattutto tra il sindaco di Godiasco, il geometra Riva e il vicesindaco di Rivanazzano, il dottor Ferrari. La love story, pardon… la fusione tra questi due comuni, se decisa, non dovrebbe incontrare ostacoli, bisognerà vedere la posizione di Retorbido e della sua sindachessa Cebrelli. Ma non sono tutte rose e fiori, perché non tutti sembrano d’accordo né a Godiasco né a Rivanazzano: gli abitanti storici, i veri godiaschesi ed i veri rivanazzanesi che da sempre e come in tante altre parti dell’Oltrepò soffrono o godono, dipende da come si vede la cosa, di sano campanilismo, non sarebbero d’accordo su questa fusione; un conto è quello che possono pensare, magari senza esprimerlo pubblicamente, gli amministratori politici locali, altro conto è quello che pensa la popolazione. Mentre a Salice Terme, considerando che la stragrande maggioranza delle famiglie è salicese d’adozione e non di nascita, della cosa se ne fregano altamente, anche perché Salice non è mai stata un Comune ed è sempre stata una frazione di Godiasco e

BY BYTATO TATO

al di là della “masturbazione” referendaria degli anni scorsi che ha portato ad abbinare il nome di Salice al nome del Comune di Godiasco. I salicesi sanno e hanno capito perfettamente che pur vantando la maggioranza demografica di popolazione rispetto a Godiasco non sono di certo queste pseudo alchimie politico referendarie che possono ridare dignità alla località: una volta capitale turistica dell’Oltrepò e ora ex, una volta capitale termale della provincia di Pavia e ora ex. Indubbiamente tra Godiasco, Salice e Rivanazzano, a dire il vero e concretamente, più tra Rivanazzano e Salice, ci possono essere sinergie importanti; le perplessità riguardano la fusione con Retorbido che poco ci azzecca col tessuto economico e sociale degli due altri Comuni. Ma vero nodo di fondo è un altro: i veri godiaschesi e i veri rivanazzanesi vogliono la fusione? Frequentando e sentendo l’umore della gente per le strade e nei locali pubblici delle due località sembrerebbe proprio di no. Significativo può essere il commento di

alcuni rivanazzanesi che parlando della recente realizzazione del parcheggio all’ingresso di Salice, di competenza per una parte del comune di Rivanazzano e per una parte di Godiasco, hanno esclamato: “Ai rivanazzanesi cosa importa se fanno un parcheggio a Salice?” C’è chi ha ribattuto “Va beh, una parte importante di Salice è sotto la competenza di Rivanazzano”, la risposta è stata “Salice è una cosa, Rivanazzano è un’altra”. I Salicesi non sono considerati rivanazzanesi e aggiungiamo noi… figuriamoci i godiaschesi e viceversa. Forse i tempi non sono ancora maturi e questo lo sanno anche gli amministratori comunali che magari quando sono a cena tra di loro vagheggiano per questa fusione, ma se ne guardano bene dal dirlo e dall’affermarlo in pubblico... almeno per ora! Sanno che la storica e verace popolazione godiaschese e rivanazzanese mal digerirebbe questa fusione e quindi per non “fondere” le loro speranza di essere rieletti, per ora tacciono. Ma si muovono con una strategia sempli-

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ce: parlano e discutono in modo informale con i propri concittadini cercando, ventilando l’idea, di convincerli che se ci sarà la fusione si risparmieranno soldi e potrebbero arrivare altre risorse e che tutto procederebbe per il meglio, anzi di bene in meglio. Ci sarà da ridere quando si dovrà scegliere il nome, se mai verrà scelto, del futuro paese nato dalla fusione. C’è chi già si è sbilanciato e vorrebbe chiamarlo “GoRiTerme”, chi lo vorrebbe chiamare invece “RiGoTerme” e le due versioni, pur simili, non sono una questione di lana caprina perché in una c’è prima Go-diasco nell’altra c’è prima Ri-vanazzano e questa la dice lunga su chi vuole comandare in futuro. C’è chi vorrebbe chiamare la località Staffora Terme, questa ci sentiamo di sconsigliarla per un motivo molto semplice, un motivo di marketing, già le Terme sono in crisi ed abbinarle al nome di un torrente spesso in secca potrebbe essere presagio di una fusione, se mai si farà, arida! di Nilo Combi



LA “NOSTRA” CUCINA

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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!

Con la bella stagione arriva anche la voglia di cibi estivi, freschi e leggeri. L’estate con i suoi frutti e le sue verdure offre tantissimi ingredienti per creare piatti sfiziosi e colorati, ma quando fa caldo la voglia di stare ai fornelli è poca , servono idee gourmet gustose e genuine che siano anche facili e veloci da preparare. La ricetta che vi propongo questo mese è una pasta tiepida molto leggera e saporita che ha come ingredienti principali le zucchine, verdura regina dell’estate e il salmone affumicato. Le zucchine sono tra le verdure a minor apporto calorico che esistano. 100 grammi di zucchine contengono solo 16 calorie, soprattutto a causa del contenuto di acqua, che contribuisce per il 95% al peso totale. Sotto il profilo vitaminico poi, le zucchine sono una importante fonte di vitamina C e B9, mentre contribuiscono con buoni livelli anche per quanto riguarda la vitamina B6 e la vitamina K. Sono anche ricche di calcio, magnesio, fosforo e in modo particolare di potassio che raggiunge i 262mg per 100 grammi. La caratteristica principale del salmone è l’elevatissimo contenuto di grassi polinsaturi, e più specificamente di omega-3. Questo grasso, dalle proprietà ecceziona-

li, può influire in modo molto positivo sul nostro corpo, esercitando un’azione antiinvecchiamento nei confronti delle cellule e proteggere il nostro cuore. Inoltre il salmone è ricco di vitamine,B6, B12 ma soprattutto di vitamina D e può aiutare ad avere una pelle più radiosa per l’ alto contenuto di selenio. Quindi ingredienti buoni ma anche utilissimi per la nostra salute che contribuiscono alla realizzazione di un piatto dal gusto delicato e di grande effetto sulla tavola. Come si prepara: laviamo e puliamo le zucchine, le tagliamo a pezzi grandi e le lessiamo in acqua salata per circa 10 minuti. Togliamo il tegame dal fuoco, scoliamo le nostre zucchine e le lasciamo intiepidire. Nel frattempo cuociamo gli spaghetti in acqua bollente e salata. Prepariamo la crema. Mettiamo le zucchine nel bicchiere del minipimer, aggiungiamo due cucchiai di olio extravergine d’oliva e qualche fogliolina di basilico tritata. Frulliamo bene fino ad ottenere una crema consistente. Tagliamo ora il filetto di salmone affumicato a dadini. Scoliamo gli spaghetti, aggiungiamo due cucchiai d’olio e mescoliamo, lasciandoli poi intiepidire. Uniamo ora agli spaghetti la nostra

crema di zucchine, amalgamiamo bene e aggiungiamo i dadini di salmone affumicato. Aiutandoci con un mestolo, creiamo il nostro nido di spaghetti e lo adagiamo sul piatto. Completiamo con un po’ di buccia grattugiata di limone e un ciuffetto di prezzemolo YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni di Gabriella Draghi

Gabriella Draghi

NIDI DI SPAGHETTI ALLA CREMA DI ZUCCHINE E SALMONE AFFUMICATO

Ingredienti per 2 persone: 150 g di spaghetti n.5 2 zucchine chiare di piccole dimensioni 50 g di filetto di salmone norvegese affumicato un ciuffetto di basilico la buccia grattugiata di un limone olio extravergine d’oliva sale



GODIASCO SALICE TERME

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I colpevoli del fallimento delle Terme di Salice, li stanno cercando? Ma soprattutto li vogliono trovare? Una cappa con un plumbeo e forse anche omertoso silenzio è calata sulle Terme di Salice. I politici locali sembrano aver capito che il silenzio è d’oro. Sembrano averlo capito dopo aver fatto alcune timide, timorose, populistiche e generalistiche affermazioni, affermazioni di per sè senza capo né coda, soprattutto senza capo… e questo per chi li conosce bene, non meraviglia. Il curatore fallimentare, fedele al suo ruolo non rilascia dichiarazioni; qualche possibile compratore c’è sia italiano che straniero, ma i possibili compratori aspettano l’evolversi degli eventi e i termini economici dell’asta. Allo stesso modo molti exdipendenti aspettano stipendi e liquidazioni così come fornitori e altri creditori con una speranza sempre più flebile. Sembra che alcuni organi competenti si stiano informando e indaghino per capire cosa non ha funzionato e cosa ha portato le Terme al disastro. Se stanno indagando siamo fiduciosi che in breve tempo chi ha sbagliato venga messo di fronte alle proprie responsabilità e proprio su queste pagine, nel corso degli anni, mica degli ultimi mesi. Non era difficile capire che si stava combinando un disastro, abbiamo pubblicato più volte numeri, date, nomi… e non siamo mai stati smentiti. Noi non abbiamo i mezzi investigativi e la titolarità che hanno gli inquirenti, ma suvvia... potrebbe non essere difficile inchiodare i responsabili del fallimento delle Terme, se lo si vuole e se si ha voglia di

farlo. Sembrerebbe però che a molti a Salice e in Oltrepò sia sorto un dubbio: ma si ha veramente voglia di trovare coloro che in questi anni hanno causato il disastro e di fargliela “pagare” per questo? Dubbio legittimo perché c’è una vicenda che fa riflettere… quella del Nuovo Hotel Terme. Il Nuovo Hotel Terme quando funzionava e fin quando ha funzionato, è stato gestito da una società della famiglia Santinoli. Ad un certo punto, circa tre anni orsono, durante la gestione Rosada, gestione… si fa per scherzare… su richiesta della proprietà termale che in quel momento era rappresentata da Rosada, rappresentata… si fa per scherzare... il Nuovo Hotel è tornato ad essere gestito dalle Terme. Dopo esser tornato sotto la gestione delle Terme, il Nuovo Hotel è stato chiuso! Chiuso si fa per dire… perché durante gli ultimi due mesi di Expo 2015 il Nuovo Hotel Terme con licenze scadute, abitabilità inesistente, etc. etc.etc. - come da noi pubblicato e corredato di foto a quel tempo - veniva aperto alle ore 19 e a quell’ora arrivavano pullman con turisti che poi presumibilmente, avrebbero visitato Expo. Veniva loro servita la cena, dato un letto per dormire e una volta fatta la prima colazione ripartivano. Alle 9 di mattina l’albergo tornava ad essere chiuso fino alle 19 della sera del giorno stesso! La cosa non passò inosservata a molti salicesi e infatti qualcuno si rivolse agli amministratori pubblici - ricordiamo che il Nuovo

Hotel Terme si trova a Salice Terme, ma nel territorio di Rivanazzano Terme - e la domanda che posero agli amministratori pubblici fu: “Vi sembra normale e legale che un Hotel senza licenza né abitabilità tutte le sere riceva e ospiti pullman di turisti?” Alcuni amministratori pubblici che evidentemente avevano le fette di salame sugli occhi, o forse, come maliziosamente qualcuno sostiene, gliele avevano messe, si giustificarono dopo alcuni giorni dicendo “Abbiamo mandato a controllare, ma abbiamo trovato chiuso”. Al che venne loro chiesto: “A che ora avete mandato a controllare?” e la risposta fu “In tarda mattinata”. Oh benedetti ragazzi se anche i sassi sapevano che i pullman arrivavano alle 19 di sera, gli ospiti rimanevano fino alle 9 del mattino seguente e poi l’hotel veniva chiuso per il resto della giornata, voi mandate a controllare in tarda mattinata… quando i buoi sono scappati? Questo fu già un segnale di quello che sarebbe stato il disastro delle Terme. Immediatamente dopo questo periodo di “apro la sera e chiudo la mattina” del Nuovo Hotel Terme, si passò a depredare la struttura, anche di cose voluminose come cucine, serbatoi termali, mobilio, arredamenti vari, impianti elettrici, suppellettili, porte… C’è stato per alcuni mesi un via vai, neanche tanto discreto, di camion e camioncini che portavano via roba dal Nuovo Hotel. Ogni tanto qualcuno diceva: “Hanno ruba-

to questo, hanno rubato quest’altro”, ma di denunce, forse qualcuna… Ladri trovati sembra zero! Questo ha dell’incredibile: nessuno, neanche i dipendenti delle stesse Terme sono intervenuti di fronte alla sottrazione che si stava compiendo. Ecco un altro caso eclatante che farebbe sorgere il dubbio a tante persone che i colpevoli non si vogliono trovare. Ultimo e definitivo episodio è stata la vendita del Nuovo Hotel a questa fantomatica società romana, come da noi pubblicato, il mese scorso, che ha sottratto l’hotel alle Terme; anche in questa sottrazione gli aspetti strani sono molti, a cominciare dalle diverse valutazioni sul valore dell’hotel, valutazioni fatte da periti che hanno indicato valori molto diversi tra loro, con milioni d’euro di differenza. Strano! Anche in questo caso per ora tutto tace. Ecco, la gestione della vicenda Nuovo Hotel Terme negli anni è la dimostrazione, per lo meno questo è ciò che sta recependo in larga parte l’opinione pubblica, di come sotto gli occhi e sotto il naso dei politici locali siano state depredate le Terme. Molti si chiedono: “Ma le autorità competenti tanno indagando?”. Noi speriamo di sì e lo speriamo per le Terme, per Salice e per i salicesi, anche se sappiamo perfettamente che qualche politico locale di fronte a un’inchiesta seria potrebbe sudare freddo e qualcun altro, per manifesta incompetenza, essere etichettato come un pistola! di Nilo Combi



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«Le nostre iniziative nel dimenticatoio, la Valle Staffora è agonizzante» Carlo Torlasco tra il 2004 e il 2010 è stato vice presidente della Pro Loco di Varzi retta da Anna Perocchio. Un periodo che sarebbe troppo definire età dell’oro, ma che per la Pro Loco varzese, oggi ridotta in pratica ad associazione fantasma, era decisamente fervido di iniziative. Di quell’ente nessuno sembra aver raccolto l’eredità, e delle varie manifestazioni che allora lasciarono il segno non è rimasta alcuna traccia… Torlasco cosa ricorda di quella Pro Loco? «La mia esperienza iniziò nel 2014 in collaborazione con la presidente pro tempore Anna Perocchio. Con lei e insieme ad altre tre persone avevamo come obiettivo quello di rilanciare l’associazione attraverso diverse iniziative. Sicuramente la voglia del presidente di spingere la pro loco come ente di promozione del territorio ci ha aiutati a organizzare le attività con ottiche ampie». Lei, il presidente e altre tre persone. Cinque in tutto. Non eravate pochi? «Il fatto di essere stati in pochi non ci ha scoraggiato. Diciamo che inizialmente ci ha aiutato essere iscritti all’Unpli- Lombardia (l’Unione Nazionale Pro loco Italia) allora retta da Michele Sparapano, che ci ha accolti con molto entusiamo. La nostra presidente entrò nel comitato direttivo come membro più votato e arrivammo a farci nominare ambasciatori della Lombardia in vare manifestazioni a livello nazionale». Quali sono le manifestazioni o iniziative fatte durante il suo mandato di cui va più fiero? «Abbiamo partecipato a qualcosa come alle tre edizioni della “bit”, fiera internazionale del turismo portando i nostri prodotti e cucinando per il pranzo di gala nello stands della Regione Lombardia. Poi ci sono gli eventi “esterni” che hanno permesso di far conoscere il nome di Varzi al di fuori della nostra Regione, come

la partecipazione a 3 sagre del carciofo sardo a Samassi, le tre sagre del carciofo romanesco a ladispoli (manifestazione organizzata dall’ unpli-nazionale) oppure le tre occasioni in cui abbiamo preso parte al raduno delle Pro Loco delle Marche a Porto San Giorgio e anche ad altre manifestazioni in Lombardia. In tutte queste occasioni presentando il nostro territorio e i nostri prodotti. Memori di tutto ciò abbiamo organizzato tre manifestazioni invitando Pro loco da tutta la Lombardia e da tutta Italia a Varzi.. di cui l’ultima era stata promossa dall’allora assessorato al turismo come manifestazione di importanza a livello regionale e poi finanziata. Pensavo e penso tuttora che questo sia lo spirito di iniziativa che deve avere una Pro Loco importante come Varzi che ha un territorio e dei prodotti unici da valorizzare». Il Comune vi appoggiava? «Sì, in tutto questo percorso abbiamo sempre avuto al nostro fianco l’amministrazione comunale allora sorretta da Ernesto Querciolli». A giudicare dal destino di quelle iniziative da voi intraprese, verrebbe da dire che la vostra Pro Loco non ha lasciato alcuna eredità… «Sì, devo dire che purtroppo tutte quelle manifestazioni si sono perse e oggi non si ha traccia di nessuna iniziativa di quella portata». Come mai lasciò le redini dell’associazione? «La mia collaborazione con la Pro Loco è terminata nel 2010 per motivi familiari. Poco dopo la presidente Anna Perocchio anche lei è uscita e dopo si è costituita una associazione». Che idea si è fatto dell’operato delle ultime Pro Loco? «Oggi non posso giudicare l’operato della Pro Loco in quanto non è più sola ad organizzare quelle poche manifestazioni. è

che in ambito turistico si sono visti a Varzi? «Parlo da residente e dal 2010 ad oggi ho visto solo un lento declino di tutta la Valle Staffora in generale. Secondo me senza rimedio. Vedremo se questo fiume di soldi che la Regione Lombardia ha stanziato per la nostra montagna riuscirà a risollevare le sorti di un territorio ormai agonizzante». A livello personale qual è stata la sua soddisfazione più grande? «La soddisfazione personale è incontrare ancora oggi persone del territorio che si ricordano quei periodi come i periodi piu’ belli per la Pro Loco e per questo dobbiamo ringraziare il lavoro di squadra». Carlo Torlasco

un’altra storia rispetto al passato». Ai suoi tempi com’erano le sinergie con amministratori e operatori turistici? «Nei tre anni che si è organizzato l’Expo delle Pro loco si era creata una sinergia importante con l’amministrazione comunale, un po’ meno con gli operatori turistici, sempre pochi direi e delusi. Non conosco quali siano le sinergie in campo oggi e pertanto non mi esprimo». Certamente il prodotto di punta di Varzi è il salame. Non esiste tuttavia una fiera ad esso dedicata e in diverse circostanze molti operatori turistici l’hanno evidenziato. Perchè secondo lei non si riesce a “buttare in piedi” una fiera del salame di Varzi a Varzi? «Questo è un grande dilemma. Non sono mai riuscito a capirlo: nei tre Expo e nello spirito della vecchia pro loco esisteva questo sogno di trasformare queste manifestazioni in una fiera del nostro prodotto principe, il salame, ma non siamo mai riusciti ad andare in fondo». Da vice presidente della pro loco prima e ora da cittadino quali sono i cambiamenti, se ce ne sono stati, più evidenti

di Christian Draghi

L’ex Pro Loco Carlo Torlasco: «Tanti eventi esterni per far conoscere Varzi fuori dalle mura»


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LA MIETITURA E ÂL PÌC Erano due montanari dell’alta valle Staffora, figli di un paesino meravigliosamente inserito tra il cielo e le verdi montagne oltrepadane, bello si, ma povero ed abitato da poveri come solo la vita grama tra le due guerre sapeva esibire senza vergogne e senza piagnistei: il rimedio era il lavoro e, soprattutto, cercare il lavoro, ovunque fosse e in qualsiasi situazione. Giuseppe Maruffi detto “âl Pìc” era un magrissimo uomo di mezza età, alto e allampanato sino a piegarsi, quasi il peso del capo lo trascinasse in avanti. Aveva mani nodose ed enormi, gambe lunghissime e un naso smisurato, lungo ed aquilino che lo caratterizzava tanto da divenire il motivo del suo nomignolo “âl Pìc” il piccone; era un uomo buono e cortese, calmo e propositivo, disposto a lavorare anche di notte pur di terminare un appezzamento senza minimamente pensare al compenso o alla fatica. Bruno Tagliani era l’esatto contrario del suo compare, piccolo e tarchiato, con due baffetti malandrini e due occhietti vispi e mobilissimi, buon lavoratore ma in giusta misura, spesso agitato ma sicuramente positivo. Aveva un curioso soprannome “âl Busardën” che diceva tutto dell’uomo che spesso travisava l’effettiva valenza delle verità raccontate. Bruno aveva un parametro suo per misurare la verità, spesso non coincideva con quella delle altre persone ma lui non si preoccupava del pensiero e del giudizio degli altri. Combattevano la loro povertà accettando qualsiasi lavoro proposto e, per facilitare contatti con eventuali datori, si recavano al mercato del venerdì a Varzi per chiedere se nei paesi circonvicini, fosse iniziata la mietitura. Questo era uno dei lavori lunghi e faticosi per cui gli agricoltori della collina o della pianura assumevano mano d’opera esterna. Dovevano terminare nel minor tempo possibile data la delicatezza del prodotto trattato e il pericolo di avariarne i contenuti preziosi. Se le notizie erano buone, âl Pìc e âl Busardën, partivano di buon mattino dal paesello con un fagottino con alcuni ricambi e la falce messoria alla cintola “la msùria” sorretta da un ferretto sagomato detto “âl povròm” - il povero uomo -, per giungere verso mezzogiorno, a S.Eusebio, a Gravanago o a Languzzano o in altri paesini delle valli circonvicine, per cercare il primo agricoltore che necessitasse delle loro attività. A quel tempo la mietitura era molto diversa da quella attuale: non si attendeva la completa maturazione dell’orzo o del frumento di tutti gli appezzamenti di proprietà per iniziare la raccolta meccanica delle messi, da effettuare in pochi giorni; si iniziava a mietere a mano,“rugaià”, man mano che le prime porzioni di grano od orzo venivano a maturazione. A volte si interrompevano le operazioni di mietitura per provvedere a raccogliere e stivare i covoni in

cascine, portici o accumuli all’aperto “cäpà”, per evitare si deteriorassero. Dall’inizio alla fine mietitura, passavano almeno quindici giorni di duro lavoro, di durissimo lavoro! forse il più faticoso tra i tanti pesanti lavori di campagna. Sveglia all’alba, trasferimento sul luogo prescelto “dâ l’arsädù” - dal padrone di casa -, inizio del lavoro di resezione di una manciatina di spighe, posa delle stesse in un covone aperto e così di seguito sino alla stretta legatura che immobilizzava le spighe per favorirne il trasporto: si divideva in due un mazzetto di spighe, con un rapido movimento frutto di una grande manualità, si univano i due mazzetti così ottenuti “ligàm” e si provvedeva alla legatura vera e propria. Era il classico lavoro assegnato alle donne per far risparmiare tempo agli uomini poco adusi a mestieri di grande manualità e sollevare le signore da attività più pesanti. I due galantuomini si accasavano presso il primo dei contadini che richiedesse le loro prestazione per il tempo necessario ad ultimare i delicati lavori di raccolta e di ammasso del prodotto più importante per quelle scarne economie: il frumento, il pane, la vita. Cominciavano con un buon pasto a mezzogiorno appena ingaggiati, proseguivano con lavoretti leggeri nel pomeriggio, una buona merenda ed a sera, una sostanziosa cena che le donne di casa, conoscendo la nota fame dei due eroi, provvedevano a servire in quantità abbondanti. Veder mangiare i due era uno spettacolo: tre piatti di minestra o di zuppa serviti in enormi piatti fondi ancora un piatto o due con l’aggiunta di po’ di vino, bolliti di manzo o di antichi volatili di famiglia, spezzatini dove le patate la facevano da padrone, due fette di salame o coppa, un tozzo di formaggio di casa, il tutto annaffiato da litri di vino sincero e generoso. Il resto della famiglia si arrendeva a circa metà delle attività descritte profittando per sbirciare la costanza dei due lavoratori per nulla imbarazzati dall’essere soli a mangiare di gusto anzi, loro stessi confidavano particolari sulle loro precarie condizioni economiche e sulla fame vera che ancora serpeggiava in montagna tra i paesani che spesso, potevano contare solo su patate, rape, cavoli, castagne e funghi e poco altro oltre a un tozzo di pane che spesso era nero, cioè confezionato con farine integrali oggi tanto di moda, ma un tempo obbligate dalla povertà. Al primo giorno di abbondanti sgreppiature, termine gergale che ricorda la greppia e il ritmico ruminare degli animali della stalla, seguivano giorni e giorni di duro lavoro effettuato in buona armonia: piegati in due per provvedere al taglio ed alla raccolta del prodotto, con la schiena che col passare dei giorni iniziava a dolere sempre più e la fatica ad accumularsi alla fatica, si procedeva sperando in

Giuliano Cereghini brevi soste che alleviassero l’infernale mestiere; âl Pìc, a dispetto dell’altezza, era agilissimo ed infaticabile nel lavoro: abbassava il testone, piegava la lunga schiena e non si rialzava se non per fine campo o per fine turno. Busardën era più a suo agio per l’altezza ridotta, lavorava di buona lena senza perdere l’occasione di scambiare due parole con chiunque ne avesse voglia e forza. Verso le otto del mattino si sospendevano le attività per radunarsi sotto grandi alberi lasciati nei campi a tale scopo, per una breve colazione. Oltre a saziare i sani appetiti non solo dei montanari, queste brevi pause servivano a riposare e a - raddrizzare la schiena - “drisà la schêna”. A mezzogiorno pranzo di un’oretta, un riposino, due chiacchiere e si riprendeva sotto un sole africano, dritto sulle teste protette da un cappello di paglia “lòbia” e senza un filo d’aria. Verso le diciassette, breve sosta per una rapida merenda con pane salame, formaggio e qualche pesca raffrescata nel pozzo di casa e quindi, schiena bassa sino alle venti e trenta. Prima di cena dopo aver accudito gli animali della stalla e del cortile, il contadino provvedeva ad un’operazione importantissima per un corretto lavoro di mietitura: la martellatura della falce messòria “martlà la msùria”, con un attrezzo di ferro che presentava una spallina liscia e corta, e un martello adibito esclusivamente a questa operazione; si provvedeva a ritmiche martellate sul bordo della falce appoggiata alla spalletta dlà martlëna per creare il filo, “l’ òngia” - l’unghia - sulla falce. Questo avrebbe favorito il lavoro del giorno dopo permettendo un taglio più agevole e pulito delle messi. Dopo una cena abbondante e varia, in quel periodo non si badava ad economie che avrebbero intaccato le energie dei lavoratori sempre più magri e sempre più stanchi “bei slängär däl még”, si sostava volentieri qualche ora fuori casa spesso in compagnia dei vicini, al fresco ed al buio per non attirare insetti indesiderati. Gli adulti parlavano di lavori, di tempo, inteso come meteorologia, di vecchi ricordi o degli anni passati lontano da casa per guerre assurde ed inutili, i giovani parlavano di tanti argomenti ma fini-

vano invariabilmente per corteggiare qualche bella figliola o per parlarne. I ragazzi scatenati nei loro giochi, erano spesso frenati dall’oscurità che impediva loro di muoversi liberamente e ripiegavano su proverbi, favole o avventure raccontati dagli adulti. In quest’attività si distingueva âl Pìc che con voce impostata e cavernosa, iniziava racconti che spesso lasciavano a bocca aperta grandi e piccini. Qualche piccolo si raggomitolava tra le lunghe gambe dell’uomo, accarezzato sul capo dalle enormi mani callose del montanaro, lo guardava rapito mentre l’uomo dai capelli bianchi raccontava e raccontava favole, vita vissuta ed avventure or tristi ora allegre, con trasporto e passione. Spesso si addormentavano con sollievo del pover’uomo che pressato dai continui ‘ancora’ dei pargoli, aveva per quella sera esaurito il repertorio. Tutti a letto inseguiti da alcune lucciole che numerose, si rincorrevano nei campi di grano maturo, e pronti per l’indomani. La sveglia era a buio pesto, un caffè lungo e via verso il luogo lasciato la sera prima, ci si incamminava parlottando a bassa voce sino al campo di grano dove i lavori erano stati interrotti e si ricominciava con il mal di schiena che andava gradatamente aumentando con il passare delle ore. La giornata scorreva con i ritmi e gli intervalli soliti sino a sera dove, per ultimare i lavori in quell’appezzamento e non tornare più nella località, era facile dover sostare un’oretta in più

«In quest’attività si distingueva âl Pìc che con voce impostata e cavernosa, iniziava racconti che spesso lasciavano a bocca aperta grandi e piccini»


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Mietitura in Oltrepò aggravando la stanchezza già a livelli patologici. Cena e solita riunione sull’uscio di casa, per un po’ di fresco e le solite due chiacchiere. Quella sera accadde un fatterello imbarazzante per altra gente e in altri momenti, concluso invece con una battuta e una risata generale, da uomini che sapevano sdrammatizzare anche le situazioni più scabrose: âl Pìc aveva intrattenuto i suoi piccoli amici con racconti particolarmente intriganti seduto come al solito in mezzo all’aia circondato dai ragazzini che pendevano dalle sue labbra. Forse per la stanchezza, forse per aver mangiato troppo o forse per aver bevuto troppo, parlando la gola si seccava e occorreva bagnare di tanto in tanto l’ugola, mentre tentava faticosamente di mettersi in piedi, gli partì qualcosa dalla parte posteriore della carrozzeria che il buon Mario Salvaneschi in arte Lasaràt, definiva con un eufemismo un ‘retro sospiro rumoroso’. L’uomo si mise in piedi mentre il suo amico Busardën lo apostrofava con un “salute”! Giuseppe Maruffi detto âl Pìc rispose serio “âd gô rasòn, l’è tùta salùt” - hai ragione è tutta salute -, e scoppiò in una sonora risata che contagiò gli astanti e lo tolse dall’imbarazzo. È così un giorno dopo l’altro, con ritmi lenti ma costanti, con il lavoro che procedeva bene se il tempo clemente non lo ostacolava; mattino dopo mattino, sera dopo sera sino all’agognata fine delle operazioni di mietitura. Agognata fine per tutti ma non dai due amici che, abituati ai ritmi, alla cordialità di uomini ormai in confidenza, avrebbero ricominciato tutto da capo in un altro paese, con altra gente ed altri lavori. Godevano però dell’allegria del momento, partecipando alla gioia della fine di un ottimo lavoro presso gente che oltre alla paga dovuta e a buon cibo aveva dato loro amicizia e cordialità. Il padrone di casa per festeggiare la fine della mietitura “la curmà däl mégh”, per cena aveva sfoderato bottiglie mitiche e polverose ed una coppa di ma-

iale di quasi due anni che era una gioia alla vista, al tatto, all’odorato ed al gusto: divina, insuperabile, si scioglieva in bocca e lasciava un retro gusto di genuinità e di fragranza che i due montanari avrebbero raccontato nelle lunghe sere invernali, davanti ad un grande camino acceso a grandi e piccini della famiglia, suscitando invidie e rimpianti. Il mattino seguente, dopo una buona colazione, giungeva il momento dei saluti con âl Busardën impegnato a raccontare la sua ultima verità su fatti ed avvenimenti a lui solo noti, e il buon Pìc ad accarezzare con le sue manone nodose i suoi amici pargoli che si appendevano ai larghi calzoni quasi a trattenerlo e non lasciarlo partire. C’era tanta malinconia e rimpianto per le due o tre settimane di duro lavoro ma condivise in serenità ed allegria. Al contadino rimaneva il compito di recapitare in cascina i covoni “mnà ä cà i cöv” prima che i temporali di fine estate rovinassero il prodotto sano e asciutto pronto ad una quarantena in cascina che avrebbe migliorato la qualità del frumento e ne avrebbe favorito la vendita ad un prezzo vantaggioso. Non gli occorreva molta manodopera per quest’attività, bastavano mogli e figli per caricare i covoni nei campi, recapitarli in cascina, scaricarli sistemandoli in accumuli ordinati e regolari sotto capaci portici, nella parte di cascina non occupata dal fieno o, ultimate le disponibilità al coperto, in accumuli all’aperto realizzati in forma piramidale per impedire ad eventuali acquazzoni di intaccare i covoni: le già ricordate capà. I buoi non abituati a percorrere le strade ricche di ghiaia e ciottoli, accusavano una buffa zoppia essendo più adusi ai morbidi e cedevoli terreni della campagna che non alla tagliente ghiaia delle strade di quei tempi, percorse trainando i carri carichi di covoni più volte al giorno per almeno una settimana. Verso la metà di Agosto, il metallico rumore di una strana macchina

operatrice, segnalavano l’inizio dei lavori di trebbiatura, lavori che concludevano l’annuale ciclo legato al frumento: sarebbe però ripreso su altri terreni dopo poche settimane con l’aratura, la preparazione dei terreni e una nuova semina. I ritmi di un nobile lavoro che sono poi i ritmi della vita: aratura, preparazione, semina, crescita e raccolta. Il periodo di insilamento dei covoni, tra Luglio ed Agosto tradizionalmente il più caldo dell’anno, creava molte apprensione nei contadini che temevano incendi od altre avversità cagionevoli alla buona conservazione del prodotto più importante dell’economia contadina di quei tempi. Fortunatamente gli incidenti erano rarissimi e i quaranta giorni passavano senza particolari accadimenti sino alla trebbiatura. I contadini prima dell’aratura, effettuavano, nei campi ormai privi di prodotti, un taglio delle stoppie di grano miste all’erbetta nata dopo i primi acquazzoni estivi. Da ultimo il terreno riarso veniva percorso da orde di petulanti tacchini condotti al pascolo dai ragazzi di casa, a che neppure il più minuscolo chicco di grano disperso sul terreno potesse andare perduto tra le tenaglie di avide formiche o nei famelici beccucci degli uccelli granivori che si nutrivano pascolando nei campi. La vendita delle venti o trenta tacchinelle in autunno, avrebbe permesso alle previdenti padrone di casa o, per meglio dire, ora come allora padrone di tutto, di fare le spese più importanti per la scuola dei figli o la dote delle figlie più grandicelle. La famiglia dopo aver sacrificato i tacchini o le oche più vecchie in tempo di mietitura e di trebbiatura, per sfamare le orde di lavoratori presenti in azienda, sceglieva i riproduttori per l’anno seguente che per nessuna ragione al mondo, avrebbero adornato le mense contadine neppure in occasioni speciali, se non dopo aver espletato la loro primaria funzione riproduttiva, la cova naturale o forzata e la protezione della prole

da predatori affamati. Se la tacchina o la gallinella, dopo aver depositato un buon numero di uova, non si decideva a covare, il rimedio più semplice era rimpinzare il povero animale di pane ammollato nel vino, ubriacare vergognosamente il pennuto, porlo ubriaco ed addormentato sulle uova sue o di altri ed al risveglio il tapino, si sarebbe innamorato di quei gusci bianchi riscaldati dal suo petto, dal quale l’amorevole padrona di casa aveva tolto alcune penne, e non le avrebbe più rifiutate (questa era la teoria di Cesarina dal Murën). Pascolando i tacchini, ci si imbatteva facilmente in spigolatori o spigolatrici che si aggiravano per i campi ormai vuoti, cercando improbabili spighe superstiti che raccoglievano in mazzetti legati e recapitati ai loro affamati animali da cortile. Questo era quel mondo contadino: nulla andava sprecato perché tutti, anche i bambini, conoscevano le fatiche ed il sudore che sottendeva ai risultati ottenuti grandi o piccoli che fossero. Ogni chicco di grano e più ancora, ogni pezzetto di pane, non doveva essere buttato ma conservato per tempi grami non auspicati ma possibili. di Giuliano Cereghini IL DIZIONARIO

“âl Pìc”: Il piccone “âl Busardën”: Il bugiardo “Msùria”: Falce messoria “âl povròm”: Ferro sagomato per sorreggere “rugaià”: Il marasso o la falce “cäpà”: Accumuli all’aperto “dâ l’arsädù”: Dal padrone di casa “ligàm”: Legatore “drisà la schêna”: Raddrizzare la schiena “lòbia”: Cappello di paglia “martlà la msùria”: Affilare la falce “l’òngia”: L’unghia “bei slängär däl még” “âd gô rasòn, l’è tùta salùt”: Magri per i lavori di mietitura “la curmà däl mégh”: La fine della mietitura “mnà ä cà i cöv”: Portare a casa i covoni “Murën”: Molino Totò



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Azienda agricola o torrefazione? Buona la seconda... Alberto e Davide Delcò sono due fratelli originari di Pietra de’ Giorgi molto attaccati al loro territorio che, con molto impegno, cercano di creare un prodotto di qualità. La “Dama Blu” non è solo un caffè, ma è il simbolo della loro passione verso la costante ricerca del “prodotto vero” e naturale. Alberto si occupa della tostatura e non ama la tecnologia, è tradizionale, così anche nel suo lavoro, “complice” la mamma, Maria Battaini, erborista di professione che ha tramandato ai suoi figli la passione per i prodotti naturali. Signora Maria ci parli di come è nata questa vostra attività? «La Dama Blu nasce circa vent’anni anni fa ed è composta da Alberto e Davide Delcò, io mi limito a dar loro una mano. Alberto è specializzato nella tostatura del caffè, mentre Davide si occupa della parte commerciale. Inoltre, cinque anni fa hanno aperto a Casteggio una torrefazione-caffetteria. Dalle migliori zone del centro America e dell’India, acquistano i crudi ed Alberto si occupa delle miscele e della tostatura, infatti il cliente ha la possibilità di vedere la tostatura sul momento. La loro attività prevede sia la vendita al minuto, sia la vendita all’ingrosso». Lei come si è avvicinata a questo lavoro? «Come ho già detto do solo una mano ai miei figli... originariamente io sono erborista (anche Alberto ha una diploma da erborista conseguito presso la Facoltà di Farmacia ad Urbino). Cinque anni fa ho venduto la mia attività ed ho deciso di supportare i miei figli, portando il mio sapere e la mia passione per i prodotti naturali anche nella loro attività, ad esempio introducendo marmellate senza zucchero, olii, grappe e liquori naturali, insomma prodotti ricercati

dai veri amanti della qualità». La Dama Blu: da cosa deriva questo nome? «La Dama Blu è il marchio depositato che i miei figli hanno scelto e registrato dopo varie ricerche, ma in realtà lo hanno voluto dedicare a me, alla mamma!». L’Oltrepò Pavese è la terra del vino, cosa ha spinto i suoi figli a dedicarsi a questo tipo di attività divergente da quella tipica del territorio? «In realtà Alberto e Davide hanno gestito per anni un’azienda agricola ereditata dal nonno materno e, anche in quest’attività, i miei figli puntavano alla qualità e naturalezza del prodotto, infatti non usavano niente che potesse alterare la qualità del vino. Alberto e Davide contestualmente (dal 2000) avevano iniziato anche la loro attività nel caffè quindi hanno dovuto fare una scelta: azienda agricola o torrefazione. La torrefazione richiedeva sempre più energie e, spinti dalla passione tramandatagli dal padre che ha sempre lavorato in questo settore, hanno deciso di concentrare qui tutti i loro sforzi». Alberto come ha imparato il mestiere da tostatore? «È un mestiere che ho imparato con il tempo da vecchi maestri tostatori. Le grosse industrie si affidano alla tecnologia, mentre io eseguo la tostatura con metodo tradizionale». Ci può spiegare cosa intende con metodo tradizionale? «Tradizionale nel senso che mi affido ai miei occhi, alle mie orecchie e al mio naso. In pratica, durante l’operazione di tostatura seguo il procedimento con molta attenzione valutando ogni cambiamento di colore del caffè (occhio); ascolto il suono che pro-

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I fratelli Alberto e Davide Delcò con la mamma Maria Battaini duce (orecchio) – “first crack” e “second crack” - il primo avviene a metà tostatura dove i chicchi iniziano ad imbrunire, il secondo, invece, avviene quando i chicchi raggiungono un colore marrone scuro e un aspetto oleoso, sprigionando profumi intensi (naso). Questa è la cosiddetta “tostatura italiana”, metodo più adatto per il vero espresso italiano». Signora Maria secondo lei, le attività come quelle della sua famiglia, è giusto che vengano valorizzate e tramandate alle nuove generazioni? «Ma certo! Quando scegli una professione come quella dei miei figli e ci metti l’anima e tutto l’impegno possibile, cercando di creare un prodotto di qualità, è giusto che venga valorizzata e tramandata, perchè alla fine gli sforzi sostenuti pagano sempre». di Silvia Cipriano

«La Dama Blu è il marchio depositato che i miei figli hanno scelto e registrato dopo varie ricerche, ma in realtà lo hanno voluto dedicare a me, alla mamma!»



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«A questo territorio manca promozione da parte delle istituzioni» In piazza Vittorio Veneto a Casteggio l’ufficio dello Iat, l’Infopoint per l’accoglienza turistica del Comune di Casteggio, è aperto quasi ogni giorno la mattina e il pomeriggio. A presidiarlo è Giuliano Balestrero che, un po’ stile “ultimo dei Mohicani”, tiene aperto un avamposto della promozione territoriale che nella calura di queste giornate estive ricorda un po’ la fortezza narrata da Dino Buzzati ne “Il Deserto dei Tartari”. Là era il nemico a non arrivare mai, qui per fortuna a farsi attendere sono “solo” i turisti. Fuori però non c’è certo la coda. «In questo periodo ci sono i concerti e c’è chi passa per chiedere delle manifestazioni, come i festival all’aperto tipo Ultrapadum o Borghi e Valli, che in questa zona è forse il più sentito» racconta Balestrero, che, tiene a sottolineare, svolge il suo lavoro all’Infopoint «a titolo gratuito». Giornalista, ex direttore del Corriere dell’Oltrepò, è anche consulente aziendale che opera nel ramo della ristorazione e pellegrino, ormai quasi “professionista”. Ha fatto nove volte il cammino di Santiago di Compostela e ha raccontato le sue esperienze in un libro che ripercorre le tappe dei suoi viaggi. Una figura poliedrica, che dal 2014 ad oggi siede dietro la scrivania dello Iat, l’Infopoint di proprietà del Comune nato per offrire un servizio cui purtroppo sempre meno persone si rivolgono. Balestrero com’è il movimento turistico da queste parti? «Diciamo che qualcuno passa di qui ogni tanto, soprattutto nei giorni di mercato, per chiedere informazioni in particolar modo sulle manifestazioni». Di che tipo di utenza si tratta? «Soprattutto persone locali ma anche qual-

cuno da fuori, magari milanesi di passaggio, che più che altro chiedono dove possono fermarsi a mangiare». Turismo mordi e fuggi insomma…non c’è nessuno che viene appositamente per visitare il territorio? «Mi è capitata una persona, un paio di mesi fa. Una signora che si sarebbe fermata due settimane e chiese di sapere la storia di Casteggio e vedere la città». Stranieri se ne presentano? «Negli anni scorsi ci sono stati un po’ di passaggi, gente dall’Inghilterra e anche dal Canada addirittura, ma quest’anno non si è visto ancora nessuno».

Scarso afflusso all’infopoint turistico di Casteggio. «Percorsi e cammini poco appetibili» Lei è anche pellegrino e referente provinciale per la via Postumia. Che percorsi ci sono in Oltrepò? «La via Postumia appunto, che parte da Aquileia e arriva fino a Genova, dove si divide in due e segue la via della Costa e può andare o verso Santiago o verso Roma, congiungendosi in Lunigiana con la Via Francigena, che in Oltrepò viene raggiunta per chi arriva dal Piemonte passando da Voghera e Casteggio per arrivare nel piacentino. C’è poi un cammino meno conosciuto, la via dei Malaspina, che par-

tiva da Pavia, risaliva la Valle Staffora per scendere a Bobbio. Ma non la frequenta praticamente nessuno». La via più frequentata in zona? «La via Francigena». Numero di utenze? «Direi che siamo nell’ordine delle centinaia di persone all’anno che, confrontate con i 150-180 mila pellegrini del cammino di Santiago rendono l’idea di quanto sia minimo il flusso turistico qui». Come mai secondo lei? «Perché non è così appetibile. Mancano le strutture recettive e le poche esistenti sono troppo care. Mentre sul cammino di Santiago con 5 euro puoi trovare da dormire qui trovi quasi esclusivamente pensioni o alberghi, oppure B&B, tutte strutture che implicano una spesa media di almeno 25 euro al giorno. Tenendo conto che questi pellegrinaggi durano almeno un mesetto, è facile comprendere che i costi diventano impegnativi. Sul cammino di Santiago con 5 euro dormi e 7 mangi. è una questione di mentalità, qui si bada al guadagno e si fanno le cose solo se c’è un ritorno immediato, mancano la disponibilità e la lungimiranza di adattarsi per favorire magari un domani maggiori afflussi turistici». In sostanza, l’Oltrepò è poco attrattivo. Da giornalista, come crede si potrebbe migliorare la situazione? «Manca promozione, e la poca che c’è viene fatta da privati a livello individuale, sono le istituzioni a latitare. Non tanto il Comune che fa quel che può quanto la Provincia. Mancano le brossure, pensi che quelle che abbiamo qui nell’Infopoint sono tutte quelle che restavano nei magazzini dell’ente, me le sono fatte consegnare

Giuliano Balestrero tutte!». L’enoturismo invece? Dovrebbe essere il nuovo trend e in Oltrepò di aziende ce ne sarebbero… «Lo scandalo delle Cantine e le polemiche susseguite hanno dato un duro colpo, si fa fatica a riprendersi. Il vino tira, questo è sicuro, la voglia e l’interesse da parte del pubblico si sente». Eppure? Cosa impedisce di mollare il freno a mano? «Se lo sapessi probabilmente farei il presidente del Consorzio Vini! Di sicuro servirebbe meno litigiosità e più voglia di fare tutti squadra». di Christian Draghi



BRESSANA BOTTARONE

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Si è dimesso l’assessore Ursino: «Non c’era più la fiducia che auspicavo» Gianfranco Ursino si è dimesso dalla sua carica di assessore alle attività produttive, alla cultura, allo sport e al tempo libero del comune di Bressana Bottarone. Una scelta che ha causato molta sorpresa, ma che consegue un lungo periodo di incomprensioni fra l’ormai ex membro della giunta e il resto della compagine guidata dalla sindaca Maria Teresa Torretta. Ursino ha chiarito che le motivazioni di questa decisione sono eminentemente politiche. Una decisione abbastanza clamorosa, Ursino. Come è arrivata? «È stato un passo inaspettato per chi osserva dall’esterno, ma non per chi ha avuto modo di vedermi lavorare dall’interno. Partiamo dall’inizio. Non ho chiesto nulla, come incarichi, subito dopo le elezioni. Mi era stata assegnata la cura di associazioni, sport e tempo libero come consigliere delegato. Dopo le dimissioni dell’allora vicesindaco, visto anche il lavoro che stavo portando avanti, mi era stato chiesto di prendere le sue deleghe e di entrare in giunta. Lo spirito di servizio mi contraddistingue e ho accettato». Era il 2014. Come aveva preso questo nuovo impegno? «Volevo capire tutta quella che è la dinamica della vita amministrativa e come procedevano gli obiettivi che ci eravamo posti come amministrazione. Per questo a volte avanzavo richieste di delucidazioni, quando alcuni temi non mi venivano esplicitati direttamente. Tre anni fa avevo già una visione abbastanza ampia. Anche perché le giunte venivano condotte in maniera allargata, cioè tutti i temi venivano discussi insieme agli altri consiglieri. Una cosa che apprezzavo. Ma questo aspetto, negli ultimi tempi, era venuto un po’ meno. Lo avevo lamentato». Cosa è cambiato? «Molte giunte venivano convocate anche all’ultimo momento, per esigenze della segreteria, e spesso non riuscivo nemmeno ad essere presente per discutere di questioni che invece ne necessitavano». Si è sentito un po’ messo in disparte. Poi le dimissioni… «È stata una decisione meditata. Ci sono arrivato con rammarico, ma mi sono detto che dovevo farlo. Era necessario mandare un segnale forte: non c’era più quella fiducia che auspicavo in seno alla nostra amministrazione, e che reputavo dovesse essere massima. Mi sentivo anche frenato in alcune iniziative. A volte avevo l’impressione che qualcuno pensasse fossi mosso da qualche ambizione. Non è mai stato così». Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso? «Una delle ultime decisioni è stata quella relativa al nuovo parcheggio di viale Martiri. La disposizione dei parcheggi è stata cambiata, rispetto a quanto concordato,

Gianfranco Ursino, assessore dimissionario due ore prima dell’approvazione… Il giorno prima di dare l’approvazione definitiva, dagli uffici competenti è giunto il suggerimento di eliminare un parcheggio, in modo da facilitare l’uscita dei mezzi motorizzati da una proprietà attigua. Fra l’altro si tratta di un campo: al massimo passerà un trattore, una volta ogni tanto, a tagliare l’erba». Ma è possibile cambiare all’ultimo momento e senza avvisare? Quindi contesta l’estemporaneità di questa modifica. Cos’altro? «Non è mai facile, all’interno di un’attività amministrativa nella quale ho deciso di mettere anima e corpo - ma in primis la faccia - dover lottare con un personale non sempre collaborativo; ma questo lo metto in conto, è normale dover avere a che fare con la burocrazia. Però non posso tollerare una continua contrapposizione, più che diversità di vedute, da parte della Sindaca. Non posso tollerare che che venga presa una decisione un giorno, e quello successivo venga meno perché arrivano altre direttive». Perché proprio in questo momento? «Ho messo la faccia in questa attività, anche perché si tratta di un qualcosa che mi piace fare. Finché ho potuto, ho cercato di lottare dall’interno per cambiare le cose. A questo punto, ormai, siamo a meno di dodici mesi dalla scadenza del mandato. Anche le priorità dell’ultimo anno sono state definite con l’approvazione dell’ultimo DUP. Mi sono detto che ormai il più era stato fatto». Pensa che il programma sia instradato correttamente? «Il mio lavoro, le cose che mi stavano a cuore, sono state portate avanti fino a questo momento e lo saranno anche nell’ultimo periodo. Mi sono dimesso con la consapevolezza degli strascichi politici che ci sarebbero stati ma anche della programmazione futura». Ha condiviso tutte le decisioni per il prossimo anno? «Alcune cose sì, e alcune no. Tutto si ricollega, alla fine, a quello che dicevo prima. La mancanza di fiducia si è esplicitata anche nel non riuscire a portare avanti le

attività dell’amministrazione con la giusta armonia. Diventava sempre più difficile confrontarmi con le posizioni organizzative, ma anche con i miei colleghi della maggioranza. Sempre più spesso avvenivano decisioni prese dai singoli, senza che fossero condivise». C’è qualche progetto al quale teneva particolarmente e che è stato accantonato? «È venuta meno la possibilità di fare almeno il primo lotto di quella strada parallela a via Depretis, via Rossina, che sarebbe vitale per un paese come Bressana che ha solo una via che lo taglia in due. Il progetto sta andando avanti, anche se lentamente. Sono state destinate risorse per finire, durante quest’anno, l’acquisizione delle aree dai 40 proprietari che costeggiano la strada, ma non si arriverà a iniziare i lavori quest’anno. Si prolungano sempre di più i tempi». Perché, per lei, questa opera è strategica? «Ci sarebbe la possibilità, anche con un ulteriore passaggio, di arrivare a collegare via Rossina con strada Resistenza. Alla fine si potrebbe pensare ad un piano di mobilità vero e proprio, con sensi unici e piste ciclabili. Personalmente non avrei asfaltato via IV novembre, per non sottrarre risorse a questo progetto». Continuerà a fare il Consigliere. Dai banchi della minoranza? «Non faccio più parte dalla compagine di maggioranza, ovviamente. Non posso nemmeno creare un gruppo autonomo. Non riconoscendomi negli altri gruppi consiliari costituiti, continuerò a rappresentare autonomamente la comunità, in piena libertà di azione e di voto. Valuterò di volta in volta. Ho messo a disposizione del capogruppo anche la decisione di sostituirmi, senza problemi, nelle commissioni di cui faccio parte». Le sue deleghe sono state spacchettate a tre persone diverse: Piccio, Moroni e Rossi. Scelta che condivide? «Manca un tassello: quello della mobilità, che resterà in capo alla Sindaca. Anche in questo caso si tende all’accentramento.

Dopo aver tenuto per sé la delega ai lavori pubblici, anche la mobilità. Le radici le ritrovo sempre di più in quella legge che ha dato troppo potere ai sindaci». Un tema specifico che era di sua competenza come assessore alle attività produttive: la situazione della logistica Log Service. Sembra che la proprietà cerchi da tempo di avviare una trattativa per dilazionare un grosso debito nei confronti dell’amministrazione. Una questione intricata. «La risposta è molto semplice: non sono mai stato convocato a queste riunioni con la Log Service, a cui hanno partecipato sindaco e vicesindaco. Stare in quella posizione e mettere la faccia su queste situazioni, senza poterle conoscere nei minimi dettagli, a me non piace. Per questo mi faccio da parte». Si ricandiderebbe? «Se ci saranno le condizioni perché venga a crearsi un gruppo di persone appartenenti alla società civile che desiderino mettersi alla prova per gestire il paese, io sarò a disposizione». Pensa si avvicinerà all’attuale opposizione? «Massimo rispetto per tutti i consiglieri, ma come ho detto non mi sono aggregato a nessuno. Non mi riconosco nelle attuali minoranze». Bressana come deve continuare la sua attività sotto il profilo culturale? C’è un grande panorama di attività da seguire… «Dal punto di vista culturale c’è stata una grande azione intrapresa e spero non si faccia marcia indietro solo per logica politica, ma che si vada avanti, come mi è stato assicurato. Ho cercato di non far morire quanto era stato avviato, così da non far avvertire alla cittadinanza questo passaggio di consegne. Ho trasferito tutti i contatti e la programmazione che era già stata fatta a chi ha preso il mio posto». Vuole trarre un bilancio della tua attività come assessore? Complessivamente è soddisfatto? «Ho un grande rammarico dal punto di vista sportivo. Qui a Bressana abbiamo il calcio, con una bella società; abbiamo la bocciofila; taekwondo, tennis, danza. Purtroppo non ho avuto modo di far decollare ulteriori attività sportive: ci siamo ritrovati con un contratto che affida la gestione della palestra a una società privata fino al 2020, e questa ha spinto soprattutto sul calcetto e sul tennis. C’era la possibilità di far partire una squadra di pallavolo, ma non è stato possibile trovare un accordo. Altri tentativi sono stati fatti il tiro con l’arco e il tiro al volo, ma manca una struttura comunale adatta. Ora toccherà a qualcun altro trovare delle soluzioni». di Pier Luigi Feltri


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«Quando incompetenza e prepotenza sovrastano il buon senso» Marco Bertelegni è l’enologo dell’Azienda Monsupello, ma è anche una delle voci più chiare e schiette del mondo vitivinicolo oltrepadano. Bertelegni esprime i suoi concetti senza stucchevoli giri di parole, li esprime in modo chiaro e comprensibile, senza usare il “politichese”, ancora e purtroppo, tanto caro a molti operatori del vino in Oltrepò, che si “barcamenano” nel dico e non dico, che ondeggiano nel vorrei dire, ma poi… No, Marco Bertelegni, giuste o sbagliate siano le sue idee, ognuno ha in proposito la propria opinione, in questa chiacchierata, esprime in modo chiaro, senza mai essere ruvido, la sua “ricetta” per smuovere e rilanciare la più grande azienda dell’Oltrepò: il vino. Tutte le aziende uscite dal Consorzio hanno le loro motivazioni, alcune comuni altre eccezioni. Perché Monsupello è uscita dal Consorzio? «Perché non ci sentiamo rappresentati, noi come altre100 aziende in Oltrepò, alcune uscite adesso alcune uscite 3 anni fa, da un Consorzio gestito da rappresentanti di aziende che fanno vino commodity e che non tutelano chi lavora seguendo certe direttive qualitative e facendone una vera promozione su mirati vini che devono fare da traino per il territorio». Fuori dai denti, la sua non riconferma tra gli eletti del Consorzio è stata vista da molti come la quantità che vince contro la qualità. I paladini della qualità avranno pensato che se neanche l’ultimo baluardo non viene eletto ce ne andiamo perché non siamo più rappresentati. è così oppure è un’altra storia? «Nelle zone dove si fa qualità ad esempio il Chianti, il Consorzio è in mano ai produttori e a chi fa filiera e a chi fa produzioni che hanno anche un’ immagine sul mercato nazionale. In Oltrepò non succede così, chi fa vino sfuso e vini commodity a 1euro, 1euro e 50 ha la prevalenza ed ha più potere decisionale rispetto a quelle aziende che invece vogliono ribaltare la situazione. Quando incompetenza e prepotenza sovrastano il buon senso». Un territorio così importante come il nostro, senza un consorzio con tutte le conseguenze del caso che ne derivano è comunque qualcosa di negativo. Concretamente secondo lei qual è la strada imprenditoriale e commerciale per riunire il maggior numero possibile di aziende nel Consorzio ( premesso che di dissidenti ce ne saranno sempre….)? «Assolutamente negativo, si possono fare associazioni o distretti, ma l’unico ente in grado di fare tutela e promozione del territorio in Oltrepò come in tutta Italia è il Consorzio. Monsupello è stato negli anni ‘70 tramite Carlo Boatti tra i fondatori di questo Consorzio e ha combattuto negli anni 2000 con Pierangelo Boatti per altre

Marco Bertelegni, enologo dell’Azienda Monsupello

faccende nel Consorzio, non si è mai distaccata dal Consorzio fino ad oggi dove siamo arrivati ad un punto dove non c’è più dialogo, esiste solo prepotenza quindi è stata inevitabile la rottura. La prima cosa da fare è cambiare le regole di rappresentanza all’interno del Consorzio e di voto, deve essere cambiato a livello ministeriale il regolamento del Consorzio, ora i voti vanno in base alla quantità e non alla qualità, la maggioranza è legata a chi fa più prodotto. Ci si vanta di fare milioni di bottiglie ma la mia domanda è, qual è il margine? Far milioni di bottiglie e non “portare a casa margine” e far morire di fame il viticoltore che deve svendere il proprio prodotto per stare in piedi… non è un territorio che funziona».

«L’unico ente in grado di fare tutela e promozione del territorio in Oltrepò come in tutta Italia è il Consorzio »

In Oltrepò sempre tutti onesti ed innocenti. Con l’erga omnes i controlli venivano effettuati attraverso il Consorzio. Se cade l’erga omnes chi effettuerà i controlli? meglio o peggio non so… secondo lei questa possibilità può ricompattare il numero degli associati del consorzio? «Se cade l’erga omnes tutto passa in mano alla regione, io posso dire che noi oggi non abbiamo nessun problema a farci gestire e controllare dalla regione». Monsupello è l’azienda agli antipodi del vecchio Oltrepò nel fare il vino. Monsupello è bottiglie e non vino sfuso, è qualità e non quantità. La vostra strada la ritiene percorribile anche per una grande cantina come Terre d’Oltrepò? «Assolutamente sì. È innanzitutto necessario indirizzare i viticoltori a lavorare su una linea qualitativa, con produzioni ad ettaro inferiori e con prodotti di maggior struttura e complessità, per fare questo ci deve essere obbligatoriamente un incentivo sul prezzo delle uve, non avrebbe senso produrre meno e percepire meno… è necessario partire così, ci sono molti esempi di Cantine Sociali che fanno questo, basti guardare l’Alto Adige, la cantina sociale Girlan che ogni anno è recensita nelle migliori guide, dove si va ad incentivare maggiormente la qualità, la si va a pagare e dove escono bottiglie destinate alla ristorazione e non allo scaffale ad 1euro e 50. Per quanto riguarda il territorio io vedo Torrevilla che lavora in questa direzione, o meglio sta lavorando da fine anni 90 ap-

plicando un progetto di qualità delle uve, indirizzando i soci come produrre e ha fatto una zonazione territoriale dei propri vigneti proprio per andare a trovare zone più vocate che diano determinati prodotti. Sono passati 20 anni e sta raggiungendo dei buoni risultati. Torrevilla è dal 2000 che fa una selezione di uve raccolte in cassetta per fare delle basi spumanti importanti, c’è gente che nel 2018 deve ancora attrezzarsi per gestire la raccolta in cassetta…». Terre d’Oltrepò sta facendo a suo giudizio abbastanza per vendere in bottiglia oppure no ( fermo restando che una parte di sfuso dovrà sempre esserci)? «Non so cosa faceva prima per dire se ora sta facendo abbastanza, poco o tanto… Di parole se ne sentono molte…Chiaramente ora Terre d’Oltrepò deve rifarsi una verginità dopo un periodo difficile a livello giudiziario e dove il marchio è andato incontro a seri problemi d’immagine, chiaramente quindi non ha una posizione facile, ma bisogna pur capire che va bene partire pian piano e con i piedi di piombo ma a volte svendere un prodotto può arrecare a volte più danno che guadagno a livello d’immagine». Perché Monsupello usa il marchio aziendale e non la denominazione del Consorzio? «Perché Monsupello ha iniziato dagli anni ‘80 a vendere vino in bottiglia, vini importanti e riconosciuti, il marchio Monsupello è sinonimo di qualità e garanzia, oggi più apprezzato del marchio Oltrepò Pavese.


TORRICELLA VERZATE Per noi essere associati a tipologie di vino scadenti che vengono svenduti sarebbe controproducente. Un esempio concreto che il titolare Pierangelo Boatti mi racconta, è che in certe zone d’Italia se proponi un vino Oltrepò Pavese in alcune enoteche non ti fanno neppure entrare, non interessa, se invece proponi il marchio Monsupello, ad esempio nella regione Lazio e a Roma, è qualificato e conosciuto». Secondo lei con il nuovo presidente del Consorzio ci può essere un ricompattamento anche dei dissidenti ed un ritorno degli stessi nel Consorzio e soprattutto Monsupello che posizione ha? «Il nuovo Presidente è prima di tutto un amico, eravamo un binomio anche nel passato consiglio e gli auguro di poter lavorare e portare avanti al meglio i progetti di questo Consorzio. Monsupello e Bertelegni appoggiano la persona di Luigi Gatti, perché persona integerrima e corretta ma non appoggiano al momento il Presidente, appoggiano l’amico e non il ruolo istituzionale». Molti produttori di vini dicono che c’è troppa burocrazia, burocrazia che dovrebbe tutelare gli interessi dei consumatori. La troppa burocrazia è una scusa per avere meno controlli oppure è una realtà che non agevola i produttori? Cosa fare per semplificarla? «è una problematica reale e concreta, è necessario snellirla e velocizzarla. Di contro la burocrazia e i controlli sono indispensabili per far si che si lavori in un clima di concorrenza leale cosa che fino ad oggi non è avvenuta e le vicende giudiziarie ne sono un esempio». Tutti pronti a dire “La politica non deve interferire con l’imprenditoria” ma quando ci sono crisi o problemi nel mondo del vino tutti dicono “la politica non fa niente”. Secondo lei la politica dovrebbe partecipare più attivamente nel dare supporto ed indirizzo al mondo vitivinicolo o dovrebbe starne fuori? «La politica sino ad ora ha fatto solo disastri, ha privilegiato i bacini maggiori di voto e appare solo quando si è in campagna elettorale. Mi auspico che oggi la politica possa intervenire a sanare questa situazione, fiducioso del fatto che abbiamo un Ministro dell’Agricoltura del territorio e presente nel territorio. Ricordo Zaia quando da Ministro fece tante cose per la sua terra ed il Prosecco, speriamo Centinaio faccia lo stesso e che possa dare un giusto valore alle aziende che vogliono lavorare in un determinato modo e si possano selezionare delle denominazioni di qualità e non di quantità». Monsupello è molto capillare nel settore HoReCa. Quanti anni di lavoro sono stati necessari per raggiungere questo posizionamento molto importante di riconoscibilità del vostro brand e del vostro prodotto? «Tanti anni è dagli anni ‘80 che Monsupello mette in commercio solo bottiglie, già negli anni ‘70 Monsupello esportava il suo rosso Oltrepò in America all’Enoteca Italiana di New York. Monsupello poi ha sempre cercato negli anni di spingere attraverso una comunicazione mirata questa sua peculiarità. La presenza dell’azien-

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«A mio giudizio il traino dell’Oltrepò deve essere legato al Pinot nero, come ripete sempre la “poesia” dell’amico Bottiroli» da su guide del settore a lungo andare ci hanno dato risultati tangibili sulle vendite ovviamente con vini sempre all’altezza». Tutti parlano di vendere in bottiglia, di vendere vino più caro e di avere più marginalità. La realtà è che nella GDO in questi mesi, settimane e giorni ci sono vini dell’Oltrepò in offerta a prezzi veramente bassi, forse troppo… Cosa ne pensa in proposito? «Visto la quantità di produzione che si fa in Oltrepò è indispensabile vendere anche in grosse quantità e a prezzi bassi, ma è necessario fare una diversificazione, non posso per esempio svendere a prezzi bassi un Pinot Nero Docg. Il Pinot Nero Docg, che oggi dovrebbe essere la punta di diamante della produzione, è stato venduto nella grande distribuzione, con tanto di fascetta al di sotto dei 5 euro. Se questo deve essere il prodotto traino allora di cosa stiamo parlando? Oltre a non aver capito niente facciamo un danno a tutto il territorio. Potresti svendere un Igt spumante o un Vsq sugli scaffali della grande distribuzione, ma un Docg no». Molti in Oltrepò sparano contro gli imbottigliatori ma che piaccia e non piaccia fanno il loro lavoro e sono una valvola di sfogo per le eccedenze… Qual è la sua opinione? «La penso esattamente così, gli imbottigliatori fanno il loro lavoro necessario per le eccedenze, sono “gli svuota cantina” ed è giusto che ci siano, con tutto il prodotto che viene fatto in Oltrepò Pavese. Il punto è un altro: devono essere create delle denominazioni e delle selezioni di un certo valore dove l’imbottigliatore non ci deve mettere mano. L’imbottigliatore è giusto che venda determinati prodotti, il Bonarda base , Il Pinot Nero Igt o il Resling Igt, ma altri prodotti no, o almeno non sotto a certi prezzi. Tutti puntano il dito sugli imbottigliatori e su Terre D’Oltrepò… è vero purtroppo loro determinano e non permettono che decollino i prezzi ma non sono sempre loro la causa di tutti

i mali, spesso è anche la cattiva gestione di diverse aziende private… sugli scaffali della grande distribuzione mi è capitato di trovare prodotti di aziende private in linea con i prezzi degli imbottigliatori…». Cosa può fare il Consorzio per bloccare lo strapotere di chi determina i prezzi di vendita? «Il Consorzio non ha nessuna possibilità perché i soci di maggioranza del Consorzio sono coloro che hanno la maggior parte dei loro introito derivanti dalla vendita dello sfuso che va agli imbottigliatori. L’unica cosa che si può fare è fare più tutela e controlli incrociati dagli scaffali e poco a poco creare politiche per alzare il prezzo della vendita dello sfuso affinchè anche l’imbottigliatore aumenti il costo delle bottiglie, ma è un lavoro macchinoso e lungo. Fondamentale oggi è iniziare a indirizzare i produttori e i viticoltori a lavorare in altro modo e pagare le uve in modo differentemente per il valore che hanno, non puoi equiparare allo stesso prezzo le produzioni di massa di pianura con quelle vocate di collina…». In Oltrepò si produce una grande diversità di vini con una grande diversità di vitigni. Quali sono i vini sui quali dovrebbe puntare l’Oltrepò per identificarsi e identificare il territorio Oltrepò? «L’Oltrepò è una terra stupenda con un potenziale vinicolo enorme, grandi uve che ti permettono di fare grandi vini, che però è diventata un’ arma a doppio taglio. Mi spiego: non ci siamo differenziati in pochi prodotti, non abbiamo creato un prodotto

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principe che ci identificasse, viene bene lo Chardonnay, viene bene il Resling, facciamo un po’ di tutto. A mio giudizio il traino dell’Oltrepò deve essere legato al Pinot nero, come ripete sempre la “poesia” dell’amico Bottiroli: “zona di 3300 ettari vitati, prima zona vocata d’Italia del Pinot nero… Deve poi chiamarsi con un nome identificativo, per noi per questa azienda il nome è Classese, metodo classico pavese, il Pinot nero di Carlo Boatti, il Pinot nero del Duca Denari e dei produttori che hanno fatto la storia vitivinicola oltrepadana. Altro prodotto è Pinot nero vinificato in rosso e un vino meno da prezzo ma che è sempre rappresentativa è la Bonarda che io vedo solo frizzante e a un livello superiore, e che ora a livello d’immagine è stata distrutta, quindi bisogna portare avanti una Bonarda superiore con rese e produzione più basse con un valore maggiore che deve anche corrispondere al prezzo finale sullo scaffale. Poi il Resling Renano che è un nostro bianco con grandi potenzialità». Vendemmia 2018 che vendemmia sarà? Discreta, buona eccezionale? «Sono abituato per scaramanzia a dare giudizi di vendemmia quando l’uva è sotto il porticato della Cantina. Al momento la produzione è buona e l’uva è bella e sta maturando bene, la vedo più come un’annata da bianchi e da basi. Per parlare di vini rossi è ancora troppo presto mancano ancora due mesi e tanti fattori potrebbero incidere».



REDAVALLE

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«Vorrei diventare medico e aiutare le persone che hanno la mia patologia...» Non ha ancora 16 anni, ma ha grinta da vendere. Sabina Defilippi , studentessa al Liceo Sportivo Santa Chiara di Voghera, è un fiume in piena quando parla ed è una ragazza appassionata di sport, della moda e della vita, con un grande sogno professionale. Anzi due. Sabina, hai due grandi passioni: il calcio e la moda. Quale è nata prima? «Il calcio assolutamente! A dir la verità ho iniziato da piccola praticando motocross, ma, essendo diabetica, ho dovuto smettere. Quando avevo 12 anni mi hanno sconsigliato di continuare, perché l’adrenalina mi alzava la glicemia e per me era un problema. L’altra mia grande passione era il calcio: non l’avevo mai praticato fino a quel momento, lo guardavo solo in televisione. Comunque, per il mio diabete lo sport va bene, perché il movimento aiuta, ho convinto mio padre a farmi giocare a calcio. È stato il più duro da convincere, ma alla fine ce l’ho fatta!» Hai iniziato quindi a giocare… «Sì, io sono di Redavalle e ho iniziato a giocare nella squadra del Pinarolo, una squadra mista. Così è iniziata la mia avventura che è durata fino all’anno scorso. All’età di 15 anni le ragazze devono passare nelle squadre femminili e la squadra dove potevo andare a giocare era troppo lontana, quindi mi sono fermata». Ma ti sei subito buttata in un’altra impresa, giusto? «Sì, ho fatto il corso per diventare arbitro e sto facendo questo! Ho arbitrato i Giovanissimi e da settembre salirò di categoria e arbitrerò gli Allievi». Com’è arbitrare e “stare dall’altra parte”? «è molto bello, perché se si ha la passione per il calcio quando si entra in campo il profumo è quello… non lo dimentichi più. Anche se naturalmente è diverso da arbitro a calciatore. Ci sono gli insulti… ma non da parte dei ragazzi: quelli arrivano dai genitori, dalle madri soprattutto. In campo invece è tutto bello».

«Ci sono gli insulti… ma non da parte dei ragazzi: quelli arrivano dai genitori, dalle madri soprattutto»

gazze a “Stelle della moda” e mi ha proposto di partecipare al concorso. Per me era la prima volta, ho partecipato e ho vinto alla terza selezione. Dopo quella esperienza sono stata contattata per “Miss Mondo Lombardia”: la prima volta che ho partecipato ho subito vinto la corona della semifinale e sono quindi andata alla finale a Gallipoli». Com’è andata? «Ero una delle nove ragazze che rappresentavano la Lombardia nelle 150 totali per Miss Mondo Italia. Una bella soddisfazione. Adesso sono ricominciate le selezioni: posso partecipare di nuovo, non essendomi classificata prima. A settembre ricomincerà il tutto e spero di farcela ancora». Sabina Defilippi, arbitro per passione Come giudichi questa tua esperienza? Hai qualche rimpianto per non aver «Molto bella. Si conoscono persone nuoproseguito la carriera da calciatrice? ve, siamo solo noi ragazze del concorso e «No e non penso di poter riprendere. Ades- così ci responsabilizziamo. Si riesce a conso mi piace molto quello che sto facendo… frontarsi con le altre ragazze ed è un’espevorrei poter proseguire la carriera da arbi- rienza che voglio rifare». tro e arrivare in Serie A. Vorrei poter essere Pensi ad un futuro anche in questo setla prima donna arbitro nella massima serie tore? maschile: finora non ci sono e per me sa- «Di sicuro mi piace. Però il mio obiettivo rebbe un sogno. È uno dei miei obiettivi principale è sempre quello di diventare nella vita, insieme a quello, più importan- medico. Poi c’è quello dell’arbitraggio che te, di diventare medico». ben si può conciliare con il lavoro. Il setUna professione importantissima… tore moda e televisione sì, mi interessa e «Il mio sogno è quello di poter frequentare se dovesse arrivare qualche proposta lavola facoltà di Medicina. Purtroppo, a causa rativa non la rifiuterei, soprattutto perché dei miei problemi di salute, sono costret- mi permetterebbe di pagarmi gli studi. Lo ta a frequentare gli ospedali molto spesso: farei principalmente per quello. Poi sono a questa età il diabete è ballerino. Vorrei ancora giovane, c’è tempo! Intanto prendo diventare medico, aiutare le persone che hanno la mia patologia, e naturalmente patologie diverse, e farle stare meglio». Oltre allo sport, però, al momento hai anche un’altra bella passione: la moda. «A dir la verità è nato tutto per caso. Io, per una soddisfazione mia personale, lavoro in un bar d’estate e d’inverno durante i weekend, per mettermi via qualche soldino. La facoltà di medicina all’Università costa e vorrei in un futuro non pesare completamente sui miei genitori e contribuire quindi a pagarmi un po’ gli studi. Un giorno stavo lavorando ed è entrata al bar Simona Merli, la signora che si occupa delle ra-

quello che viene, faccio sfilate, ho fatto la valletta durante un concerto della cantante Fiordaliso, servizi fotografici…». A volte si sente dire che l’ambiente della moda è particolare. Tu che hai avuto esperienza cosa puoi dire? «Personalmente posso dire che non è vero. Io, a dire la verità, ho sempre mia madre che mi accompagna, perché sono ancora minorenne. Le ragazze non ancora diciottenni devono essere seguite sempre da un genitore che deve anche firmare le varie delibere per i consensi. Non mi è mai capitato però di vedere cose particolari e posso assolutamente dire che è un ambiente pulito. Per esempio a “Miss Mondo” eravamo anche molto controllate e quindi posso dire che è un settore serio». Oltre a queste passioni sei anche una bravissima studentessa. «Inizierò a settembre il terzo anno di liceo. Mi piace molto studiare e adoro soprattutto le materie scientifiche. Sono brava a scuola e non faccio fatica a conciliare studio, sport e moda. Quando le cose vengono fatte con passione è tutto più semplice, non è per niente un peso». Dimostri una maturità fuori dal comune… «Sono dovuta diventare grande in fretta, purtroppo con i miei problemi di salute ho dovuto imparare a gestire il mio corpo e un po’ tutto il resto: devo essere responsabile di me stessa. L’unico rimpianto che ho è che non ho fatto la vita normale di una ragazzina della mia età… vorrei essere come le altre, spensierate… invece ho altre cose a cui pensare. Quindi la moda e le altre passioni sono uno svago. Un modo per evadere dalla mia routine. Come anche il mio lavoro al bar: vedere gente e chiacchierare è bello». I tuoi genitori ti seguono e ti sostengono in tutte queste tue passioni? «Mi segue soprattutto mia mamma, perché mio papà lavora tutto il giorno. Lui mi segue da lontano, però guarda con soddisfazione le mie foto e i miei video. Sono contenti anche perché rispetto i miei impegni, soprattutto scolastici. Non ho mai dato problemi». di Elisa Ajelli


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BRONI

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Giovani oltrepadani crescono: dalla vendemmia all’e-commerce, alla ricerca del posto fisso In un periodo storico segnato dalla triste consapevolezza giovanile della mancanza di lavoro, o quantomeno della mancanza di uno che porti soddisfazione, abbiamo intervistato alcuni giovani dell’Oltrepò orientale, area nota per il boom delle logistiche. Sono giovani di Broni, Stradella e colline, che attraverso le loro opinioni, anche se a volte discordanti, mostrano un generale malessere nel giudicare le effettive possibilità offerte dalla nostra zona, anche se la loro intraprendenza e positività dà grandi speranze per il futuro di questo territorio. 1) Quali erano le vostre aspettative lavorative ai tempi della scuola? 2) Finita la scuola avete avuto esperienze di lavoro stagionale? 3) è stata un’esperienza soddisfacente o vi siete sentiti in qualche modo “sfruttati”? 4) Credete sia possibile riuscire a realizzarsi nel lavoro in un contesto come quello dell’Oltrepò? 5) è stato difficile trovare lavoro? 6) Nella ricerca di lavoro vi siete sentiti soli o siete stati supportati da istituzioni o enti presenti nel territorio? 7) Consiglio che dareste ad un giovane oltrepadano che ha da poco concluso il suo percorso scolastico? 8) Vivere in Oltrepò limita le effettive aspettative di realizzazione personale? 9) Quali sono i lavori più facili da trovare nel nostro contesto? Federico Donazza 23 anni, di Broni, ha frequentato l’Istituto Tecnico Faravelli. Attualmente lavoro presso la piscina comunale di Broni come insegnante di nuoto e presso l’azienda Lab Analysis. 1) «Sinceramente non ho mai avuto grandi sogni ai tempi della scuola, ho sempre vissuto alla giornata sapendo che stiamo attraversando, da parecchio tempo, un periodo non facile per il lavoro. Avevo iniziato scienze motorie, ma visto che il lavoro scarseggiava in quel campo, ho deciso di lasciare gli studi e cercare un altro tipo di impiego». 2) «Ho lavorato per un anno e mezzo presso la piscina di Broni come bagnino e successivamente mi hanno preso come istruttore di nuoto». 3) «Sì, assolutamente positiva anche perché mi piace lavorare in un contesto pieno di bambini e sportivo». 4) «Per quanto riguarda quella che è la mia occupazione, se le istituzioni non investono un minimo nel nuoto e quindi anche più in generale, nello sport, non avverrà quel salto di qualità che auspichiamo e quindi ci sarà poca possibilità di crescita anche per il nostro lavoro di istruttori». 5) «Il mio primo lavoro è stato quello di bagnino e l’ho trovato grazie alle conoscenze che ho all’interno della struttura.

Ho fatto i dovuti corsi di formazione, alla fine del quale ho preso il brevetto; in piscina c’era carenza di personale e la mia passione per il nuoto mi ha ulteriormente spinto a voler entrare in questo mondo. Il mio secondo lavoro è presso la LabAnalysis, un’azienda chimica di Casanova Lonati e l’ho trovato grazie ad un mio amico che mi ha invitato a inviare il curriculum vitae all’azienda. Ho dovuto cercare questo nuovo lavoro perché purtroppo le ore che mi venivano richieste in piscina scarseggiavano sempre di più, ma non ho comunque lasciato l’ambiente perchè tutt’ora alleno una squadra». 6) «Sinceramente non ho mai sentito l’esigenza di essere aiutato dal mio comune, però vedo che comunque organizzano degli incontri con i ragazzi per aiutarli nella ricerca, con corsi di formazione... quindi mi sembra che qualcosa venga fatto». 7) «Noi abbiamo la fortuna di abitare in una zona d’Italia benestante dove si trova in genere molto lavoro (soprattutto nel milanese ovviamente). Se un giovane ha voglia di fare e non si abbatte facilmente può trovare lavoro da un momento all’altro. Ai miei coetanei e agli altri ragazzi consiglio di non mollare mai e di rimboccarsi le maniche, perché il futuro è nelle nostre mani». 8) «Nel suo piccolo l’Oltrepò offre importanti aspettative di realizzazione personale (basti pensare a quante aziende vitivinicole ci sono sulle nostre colline), ma come detto prima, la vicinanza con le grandi città aiuta i nostri coetanei che magari ricercano altre aspettative di lavoro… che qui non sono attuabili». 9) «Viene naturale vista la zona pensare al settore agricolo, anche se l’agricoltura fra i giovani sembra quasi significare una specie di “retrocessione” ad una classe sociale inferiore. Il lavoro sicuramente qui in Oltrepò c’è, sta a noi cercarlo e soprattutto adattarci». Ezio Roveda 25 anni, di Pietra de Giorgi,

«Viene naturale vista la zona pensare al settore agricolo, anche se l’agricoltura fra i giovani sembra quasi significare una specie di “retrocessione” ad una classe sociale inferiore»

ha studiato presso il liceo scientifico Giovanni Verga di Pavia, attualmente lavora come operaio presso Tecno Food di Santa Maria della Versa. 1) «Il mio pensiero iniziale era rivolto all’Università ed ad una facoltà sportiva, come scienze motorie, ma già dal quarto anno delle scuole superiori ho deciso di lasciare quell’idea e finita la scuola sono andato a lavorare nell’azienda agricola dei miei zii. Il mio sogno attuale è quello di riuscire a trovare un lavoro che mi permetta di arrivare a fine giornata senza troppi pensieri, sapendo di avere un lavoro sicuro e normalmente sotto contratto». 2) «Finita la scuola sono andato a lavorare da Amazon, con contratto settimanale; sono stato poi aiuto chef di un bar-ristorante di Pavia; inoltre non ho mai saltato una vendemmia da quando sono piccolo, in varie aziende di Pietra de Giorgi; infine ho lavorato per un’azienda agricola molto grande in Oltrepò». 3) «Qualsiasi esperienza lavorativa, nonostante le difficoltà e le possibili incomprensioni con i vari datori, a mia opinione, è sempre positiva. Spesso ho trovato di fronte a me persone non disposte a mediare nei discorsi e non disponibili a creare un equilibrio sul lavoro. Non è facile sentirsi soddisfatti in lavori in cui non si può avere contratti stabili e duraturi, ho lavorato anche in partita IVA in un ambiente in cui non è sempre stato chiaro quello che doveva essere il mio ruolo, spesso facevo lavori extra da ciò che mi competeva e molto di più di quello che dovevo. Inoltre le tasse erano il risvolto peggiore del mio lavoro, non è facile lavorare in proprio al giorno d’oggi». 4) «Frequentando l’Università, secondo me, un giovane non ha possibilità qui in Oltrepò. Potrebbe lavorare in qualche ufficio prendendo stipendi da miseria… ma poco dopo non reggerebbe e dovrebbe trasferirsi a Milano o nell’hinterland. Tralasciando invece gli studi, è possibile trovare dei buoni lavori tramite magari qualche amico, qualche conoscenza in qualche azienda. Realizzarsi completamente può essere difficile qui da noi, ci sono lavori come cameriere, barista, operaio... ma non è molto facile trovarne di migliori». 5) «A parte Amazon, per il quale mi sono recato all’agenzia per il lavoro di Stradella, gli altri lavori li ho trovati tramite conoscenze e passaparola, come penso avvenga ovunque e per qualsiasi lavoro». 6) «Non credo che in generale in Oltrepò ci siano molti servizi dedicati ai giovani nella ricerca del lavoro. I piccoli Comuni, soprattutto quelli sulle colline, spesso fanno fatica a gestire ben altri servizi, anche più importanti… ed è difficile che di conseguenza si occupino di altro. Non mi

sono mai sentito solo comunque nella ricerca di lavoro, grazie alle persone che mi stanno vicino». 7) «Io credo che un giovane già alle superiori debba pensarci bene prima di iscriversi all’Università: per farlo dovrebbe avere un’idea molto precisa di ciò che vorrebbe e potrebbe fare finiti gli studi. Ci sono molte alternative all’Università, come un bel viaggio studi all’estero, per imparare le lingue; la ricerca di lavori diversi che non necessitano di ulteriori studi ma che permettono di immettersi subito nel mondo del lavoro senza perdere tempo». 8) «L’Oltrepò non è limitante, c’è meno lavoro, forse poco in alcune aree, ma c’è. In città come Milano credo che ci sia la stessa, se non peggiore, disoccupazione. Sicuramente è difficile la realizzazione personale, fare esattamente quello per cui si ha studiato, ma in Oltrepò credo ci siapiù possibilità di trovare un lavoro, qualunque esso sia e non restare disoccupati». 9) «Da noi ci sono molto industrie che ricercano operai di tutti i gradi, aziende vitivinicole e la possibilità di svolgere piccoli lavori stagionali come la vendemmia o la

«Il mio sogno attuale è quello di riuscire a trovare un lavoro che mi permetta di arrivare a fine giornata senza troppi pensieri, sapendo di avere un lavoro sicuro e normalmente sotto contratto» stagione estiva nel bar». Gloria Aduani 24 anni, abita a Stradella diplomata al liceo D’Annunzio di Voghera, impiegata in uno studio contabile di Stradella. 1) «Il mio sogno ai tempi della scuola era quello di fare l’avvocato, poi avendo cambiato indirizzo scolastico ho cambiato idea sul mio percorso personale e ora il mio obiettivo è quello di riuscire a realizzarmi a livello lavorativo in un contesto anche differente». 2) «Terminata la scuola mi sono subito iscritta all’Università e in parallelo ho iniziato a lavorare in un bar di Stradella come barista/cameriera, portando avanti questo lavoro per un anno». 3) «Le mie esperienze passate sono state


BRONI quasi tutte positive poiché, nonostante i piccoli problemi che generalmente si possono riscontrare in ogni ambito di lavoro, ritengo che imparare a relazionarsi e comunicare con molte persone possa essere utile per il futuro». 4) «Secondo il mio parere, anche in un contesto come il nostro credo che sia possibile realizzarsi in qualche modo, tutto dipende comunque dalla volontà e dagli interessi di una persona». 5) «Al momento lavoro presso uno studio contabile e in generale credo che da qualsiasi lavoro che ho svolto ho imparato tanto e continuo ad imparare ancora!». 6) «Personalmente ho trovato da sola i lavori che ho svolto fino ad ora, ma credo che le agenzie del lavoro sul nostro territorio lavorino molto bene». 7) «Sicuramente consiglierei, cosa fondamentale, di imparare un’arte o un mestiere, soprattutto se non si è completamente sicuri di quello che sarà il proprio percorso di studi post-diploma. Ci sono numerose agenzie che si occupano di collocamento e orientamento per i ragazzi e credo che sia importante anche consultare il loro parere e sfruttare i loro consigli». 8) «Se si parla di un Oltrepò che limita le

E-commerce, «La mia esperienza non è stata per niente positiva, in quanto credo che sia un ambiente di lavoro generalmente negativo a causa dell’obbligo di eseguire ore di lavoro straordinario» eventuali possibilità di realizzazione personale, no, io non credo che sia vero». 9) «Personalmente credo che l’Oltrepò offra sicuramente maggiori possibilità nel contesto rurale e dell’agricoltura, ma che non sia poi così inferiore a paragone di una grande città!». Marika Di Giacomo 24 anni, abita a Stradella e ha frequentato il liceo linguistico internazionale a Piacenza, lavora presso Trenitalia. 1) «Il mio sogno nel cassetto da piccola era un po’ confuso a dire il vero, con gli anni ho iniziato ad interessarmi alla politica e alle relazioni internazionali, infatti mi sono iscritta al primo anno di università proprio in questo corso di studi presso la facoltà di Scienze Politiche. Avevo interesse a proseguire e avevo anche valutato l’idea di intraprendere un master post-laurea, ma i costi di quel percorso di studio

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erano davvero elevati e soltanto con un grande aiuto avrei potuto poi riuscire a trovare un posto di lavoro: per questo motivo ho deciso di interrompere quel percorso». 2) «Ho fatto numerosi lavori dopo il diploma; ho fatto l’animatrice presso un centro estivo, ho lavorato in autogrill a Stradella e subito dopo ho fatto la vendemmia qui dalle nostre parti. Diciamo che non mi è mai piaciuto stare ferma e non lavorare, mi sono sempre cercata dei lavoretti che mi permettessero di togliermi i miei sfizi, anche se spesso non si trattava di lavori molto remunerativi». 3) «Dopo le prime esperienze lavorative stagionali a cui ho accennato prima ho trovato dei lavori nell’ambito dell’e-commerce in aziende come Amazon e Zalando, che sono fra le più grandi qui da noi. Da Zalando, gestito da una cooperativa sociale, la mia esperienza non è stata per niente positiva, in quanto credo che sia un ambiente di lavoro generalmente negativo a causa dell’obbligo di eseguire ore di lavoro straordinario, del caldo del magazzino in estate senza aria condizionata, dello stress procurato da un tenore lavorativo così elevato; fortunatamente ai tempi vivevo con mia madre e non avevo grandi problemi economici che mi obbligassero ad accettare quelle condizioni, quindi mi sono rifiutata e sono stata chiaramente lasciata a casa per questo motivo. È stata leggermente migliore l’esperienza in Amazon, ma comunque sono lavori molto meccanici che non facevano per me e non ho resistito oltre gli otto mesi che ho fatto. Ogni esperienza lavorativa comunque ha il suo perché e ci insegna ad aprire gli occhi su quello che è realmente il mondo del lavoro oggi, quali sono le difficoltà… sicuramente ai tempi della scuola non pensavo che sarebbe stato così». 4) «Riuscire a realizzarsi qui non è facile, soprattutto per chi parte da zero. Chi ha aziende o attività di famiglia è più facilitato, non parte con le spalle scoperte ma ha alle spalle qualcuno che lo può aiutare. Dovrà comunque farsi il mazzo, ma è sicuramente più “fortunato”di chi deve trovare la propria strada da solo». 5) «Io dal mio Comune non ho riscontrato un grande aiuto, sono sicuramente utili invece le agenzie del lavoro, anche se personalmente non ho trovato molto allettanti le proposte che mi sono state fatte ai tempi, visto che si trattava più che altro di tirocini e stage in luoghi piuttosto lontani da dove abito». 6) «Io credo che vivere in un posto come il nostro sia un fattore scoraggiante fin da subito per un giovane che finisce le scuole superiori e deve fare delle scelte riguardo al suo futuro. Bisogna avere le idee chiare perché non è sempre possibile riuscire a fare il lavoro per cui si ha studiato, bisogna spesso accontentarsi e adattarsi a quello che si trova. Un discorso a parte andrebbe fatto per il genere di contratti che vengono offerti solitamente. Vengono proposti più che altro contratti di stage e apprendistato poco remunerativi e breve termine che non garantiscono quasi niente per il futuro. Io sono stata fortunata ad aver provato e passato il concorso di Trenitalia due anni fa e ora mi trovo bene nel

mio lavoro». 7) «Non è facile dare un consiglio su questo argomento...sicuramente credo che un ragazzo giovane debba, da principio, capire cosa vuole realmente fare nella vita, cercando di rimanere coi piedi per terra e, quindi, concentrarsi sui propri obiettivi». 8) «Io credo che vivere in un posto come

«Non ho mai saltato una vendemmia da quando sono piccolo, in varie aziende di Pietra de Giorgi» il nostro sia un fattore scoraggiante fin da subito per un giovane che finisce le scuole superiori e deve fare delle scelte riguardo al suo futuro. Bisogna avere le idee chiare perché non è sempre possibile riuscire a fare il lavoro per cui si ha studiato, bisogna spesso accontentarsi e adattarsi a quello che si trova. Un discorso a parte andrebbe fatto per il genere di contratti che vengono offerti solitamente. Vengono proposti più che altro contratti di stage e apprendistato poco remunerativi e breve termine che non garantiscono quasi niente per il futuro. Io sono stata fortunata ad aver provato e passato il concorso di Trenitalia due anni fa e ora mi trovo bene nel mio lavoro». 9) «Sicuramente l’ambito dell’agricoltura offre qualche possibilità in più nella nostra zona, rispetto ad altri settori». Irene Vercesi 26 anni, abita a Stradella e ha frequentato il liceo linguistico a Pavia, Humane Resourcer presso una multinazionale di Pavia. 1) «Il mio sogno ai tempi della scuola era proprio un sogno, volevo frequentare una scuola di recitazione finiti gli studi ma poco dopo, tornando un po’ più coi piedi per terra ho deciso di iscrivermi ad economia presso l’Università di Pavia e mi sono laureata alla triennale anni fa». 2) «Non ho mai lavorato durante l’Università in quanto non sarei riuscita a frequentare le lezioni in quel caso, ma subito dopo la laurea ho iniziato a lavorare in un negozio di abbigliamento a Pavia, aspettando di trovare un posto di lavoro che più si addicesse a quelle che erano le mie aspettative». 3) «La mia prima esperienza lavorativa è stata positiva in quanto ho potuto approcciarmi per la prima volta in un ambiente lavorativo molto frenetico e sempre a contatto con le persone ed è una cosa che consiglierei di fare a chiunque voglia iniziare a lavorare, per imparare a rapportarsi con la clientela e con i colleghi. Non è stata molto positiva per quanto riguarda il contratto, visto che si trattava di un contratto a chiamata e non sapevo mai esattamente quale sarebbe stato il mio orario lavorativo settimanale, ma poteva variare o comprendere straordinari (che non mi venivano pa-

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gati come veri straordinari). Penso che al giorno d’oggi si sappia che i giovani sono sempre più bisognosi e sempre alla ricerca di lavoro, quindi il datore di lavoro tende ad approfittarsi della grande domanda di lavoro che c’è proponendo contratti sempre più brevi e con meno garanzie, sapendo che al rifiuto di uno ci sarà sicuramente la risposta positiva di un altro». 4) «Io non credo che sia impossibile realizzarsi in Oltrepò, ma che sia molto più difficile che in cittadine come Pavia. Qui c’è poca offerta di lavoro, soprattutto per chi ha studiato. Dopo la laurea mi sono stati offerti solo contratti di stage presso commercialisti della zona senza possibilità di essere assunta poi regolarmente. Personalmente io non sono riuscita a realizzarmi qui da noi, perché non ho alle spalle dei genitori commercialisti e non conosco nessuno che possa aiutarmi ad entrare in banca o in qualche ufficio e le conoscenze e le amicizie, in ambienti come il nostro, purtroppo, sono fondamentali. La meritocrazia non esiste». 5) «Il lavoro che svolgo ora, addetta alla ricerca personale per un’azienda chimica di Pavia, l’ho trovato da sola inviando il curriculum personalmente tramite il sito internet dell’azienda». 6) «Non mi sono mai sentita molto aiutata dal mio comune, ma credo che funzionino bene le agenzie del lavoro della zona… anche se fanno quello che possono vista la penuria e la scarsa qualità dell’offerta di lavoro. 7) «Io credo di aver scelto una delle poche facoltà che al giorno d’oggi ancora aprono qualche porta del mondo del lavoro a noi giovani. Purtroppo credo che non sia molto possibile seguire i propri sogni, soprattutto se molto grandi, a parte rare eccezioni! Bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare per trovare il giusto compromesso a seconda delle proprie aspirazioni e delle proprie capacità. Sicuramente consiglio di studiare all’Università a chi interessa davvero, ma di sondare bene il “terreno lavorativo” su cui poi dovrà cimentarsi per non sbagliare il proprio percorso formativo». 8) «Sì, credo che limiti fortemente, soprattutto in alcuni settori». 9) «Sicuramente ci sono molte logistiche che offrono numerosi posti di lavoro, mentre credo che per il settore agricolo, a meno che l’azienda non sia tua, non penso che offra così tanti posti di lavoro». di Elisabetta Gallarati

«Io credo che vivere in un posto come il nostro sia un fattore scoraggiante fin da subito per un giovane»



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BRONI

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«La cultura per questa Amministrazione è un investimento, mentre per la minoranza è un semplice costo»

Antonio Riviezzi Broni sempre più pulita, Broni a prova di trasgressori. è così che è nata “Operazione decoro”: un’iniziativa fortemente voluta dal sindaco Antonio Riviezzi e dalla sua Giunta, per riportare la città in una fase di splendore. Sindaco Riviezzi, ci vuole parlare di questo nuovo progetto? «Nelle scorse settimane è partita una serie di interventi finalizzati a garantire più pulizia e decoro per la città. In particolare, abbiamo dato il via ad un’intensificazione dei controlli da parte degli agenti di Polizia locale, anche in orario straordinario, per sorvegliare alcuni dei luoghi indicati come più a rischio di abbandono rifiuti, come ad esempio l’incrocio tra viale Gramsci e via Privata Aurora, Piazza libertà, Via Cavour e il parcheggio del campo sportivo. Inoltre, installeremo nei prossimi mesi nuove videocamere nei luoghi a rischio di abbandono rifiuti; queste azioni si affiancano a quelle già realizzate, tra cui la raccolta gratuita a domicilio per i rifiuti ingombranti, nuovi cestini e maggiormente diffusi nelle vie, un volontario di leva civica comunale addetto alle piccole manutenzioni di marciapiedi ed aree verdi. Infine, per contrastare l’abbandono di escrementi animali nelle vie e sui marciapiedi, sono stati installati numerosi distributori gratuiti di sacchetti». Come mai avete sentito il bisogno di intraprendere questa iniziativa? «Innanzitutto una città pulita e in ordine rappresenta sempre il miglior biglietto da visita per contribuire a rilanciarne la vocazione turistica. Una città curata invoglia tutti a farsi una passeggiata per le sue vie, dagli abitanti al turista del fine settimana, con beneficio per le attività commerciali e i titolari di esercizi pubblici. In secondo luogo abbiamo ricevuto segnalazioni da alcuni cittadini di zone della città in cui l’abbandono di rifiuti sembre-

rebbe essere una pratica consuetudinaria. Per questo motivo, non possiamo più tollerare che pochi incivili e maleducati menefreghisti che non hanno a cuore la nostra città, continuino a sporcarla e a deturparla. D’ora in avanti saremo intransigenti con i trasgressori e chi sbaglia verrà punito. La battaglia contro la sporcizia è una questione di civiltà ed amor proprio, non solo per quanto riguarda l’abbandono di rifiuti e le deiezioni canine, ma anche per i mozziconi di sigaretta. Pensate, ad esempio, alla difficoltà di pulire una strada in porfido, con tutti i mozziconi incastrati tra i cubetti. In città ci sono numerosi raccoglitori di immondizia con il posacenere incorporato: buttare al loro interno le sigarette terminate è un gesto che costa poca fatica, ma che rende molto più semplice l’operato di chi deve tenere pulita Broni». Cosa si sente di dire ai trasgressori delle norme e al resto della cittadinanza bronese? «Ai trasgressori delle norme in vigore che saranno puniti con le sanzioni previste. Alla comunità, invece, mi sento di dire che come Amministrazione stiamo cercando di fare il possibile per evitare episodi di incuria della città: la nostra parte l’abbiamo fatta, mettendo i cittadini nelle condizioni di poter vivere la città senza sporcarla. Adesso mi appello al loro senso civico perché collaborino nel tenere pulita Broni, considerato che d’ora in poi comportamenti scorretti non saranno più tollerati. Allo stesso tempo siamo consapevoli che non è sempre possibile controllare, in ogni momento, le azioni di questi cittadini trasgressori, soprattutto nelle ore notturne, dove molto spesso si verificano questi episodi di abbandono di rifiuti. Lancio quindi un appello a tutti gli abitanti, chiedendo a chi rispetta le regole e ci tiene a vivere in una città pulita di aiutarci, segnalandoci eventuali comportamenti scorretti, così che si possa provvedere a sanzionarli. Ricordo anche, a tutti i cittadini che non hanno possibilità di recarsi un mezzo proprio alla piazzola ecologica di Stradella, che il gestore del servizio Broni - Stradella spa, effettua il sevizio gratuito di ritiro a domicilio per rifiuti ingombranti, previo contatto telefonico». Oltre al decoro quali altri azioni l’Amministrazione ha intrapreso o intraprenderà per il rilancio della città? «Oltre all’Operazione decoro da poco lanciata, ci stiamo prendendo cura di Broni anche tramite operazioni di manutenzione ordinaria, con circa 300mila euro investiti in due anni. Proprio in questo periodo stanno per partire tre lavori di asfaltatura, che riguardano la via Enzo Togni, il parcheggio del Campo Sportivo, e la strada intercomunale per San Cipriano Po: una manutenzione mirata ogni anno permette di mantenere in ordine il manto stradale

senza continuare a rattoppare buchi. L’altra via intrapresa riguarda la realizzazione di eventi di qualità che cerchiamo ogni anno di riproporre ed innovare. Anche per il 2018 sono stati confermati il mercatino di Forte dei Marmi, lo ‘Street food’, ‘Cioccovillage’, e siamo in fase di ultimazione della preparazione della Festa dell’Uva, che si svolgerà da venerdì 7 a domenica 9 settembre. In anteprima, posso già dire che quest’anno sono previste alcune novità importanti rispetto al passato». Enoteca Regionale e Teatro Carbonetti, due fiori all’occhiello dell’amministratore comunale ma anche due punti di forte critica da parte della minoranza. Cosa si sente di dire a tal proposito? «Riguardo all’importanza del Teatro per la nostra Città, vorrei che a parlare siano i fatti, nelle fattispecie i numeri, sempre in crescita, non solo della migliaia di persone entusiaste che ogni anno riempiono la platea del Carbonetti, a anche delle scuole di danza e delle associazioni sportive che sempre più trovano nel nostro teatro lo

Enoteca Regionale, «L’alternativa quale sarebbe stata? Lasciare una cascina con un alto valore storico culturale inutilizzata e vuota?» spazio ideale per poter far esibire i propri ragazzi. I Consiglieri di ‘Broni in testa’ si sono lamentati sui media, anche recentemente, che a Broni non sarebbero sufficienti le iniziative promosse dall’Amministrazione per i giovani, le famiglie e per sostenere il commercio, e poi criticano il teatro Carbonetti, che negli anni sta diventando non sempre più una vera e propria vetrina a disposizione delle eccellenze del territorio; un luogo non solo di intrattenimento e di promozione culturale, ma anche uno spazio a disposizione di tutta la comunità

di Broni e dintorni dove proporre prodotti, progetti e collaborazioni agli spettatori del luogo ma anche a quelli, sempre più numerosi, che ci raggiungono, oltre che da Milano e dintorni, dal Varesotto, dal Piacentino, dal Cremonese, dal Piemonte e perfino dalla Liguria, con ricadute positive anche per gli esercizi pubblici cittadini. Francamente la trovo una posizione inconcepibile. Senza dimenticare il lavoro che con il Teatro stiamo facendo per favorire il sempre maggiore coinvolgimento dei giovani, per dare loro maggiori alternative per trascorrere il tempo libero in un ambiente sano, stimolante e divertente. Ricordo che alle scuole e alle associazioni culturali viene data disponibilità di utilizzare il Teatro una volta l’anno gratuitamente. Inoltre il trend del teatro è sempre in crescita, a dimostrazione del sentimento di affetto che gli utenti hanno sviluppato verso il Carbonetti. La cultura per questa Amministrazione è un investimento, mentre per la minoranza è un semplice costo». Enoteca Regionale... «L’Enoteca Regionale Lombarda, da quasi tre anni, rappresenta un valore aggiunto non solo per la Città ma per tutto l’Oltrepò, per quello che il territorio rappresenta da secoli in termini di cultura della vite e del vino; Per l’importanza economico - culturale che riveste, la caratura internazionale dei servizi offerti, l’appeal mediatico e l’unicità della sua posizione e della cornice naturale in cui è inserita, l’Enoteca rappresenta un unicum non riscontrabile in altri contesti, e nel tempo si rafforzerà il suo ruolo di polo agroalimentare d’eccellenza con ricadute positive per tutto il territorio. Inoltre, la partnership con Università dei Sapori di Perugia, una delle più importanti nel settore enogastronomico, contribuirà ulteriormente a rafforzare il ruolo di guida del rilancio del territorio proprio dell’Enoteca con l’apertura, tra qualche mese, della prima ‘Scuola di Hospitality italiana’, dove gli studenti saranno inseriti in un percorso formativo di altissimo livello, ampliato con corsi di lingua straniera, principi di management, conoscenza dei principali software e hardware, alimentazione funzionale e di valorizzazione del territorio e delle materie prime. Il livello di preparazione raggiunto dagli studenti permetterà così ricoprire ruoli centrali e di management sia in ambito turistico che alberghiero. L’alternativa quale sarebbe stata? Lasciare una cascina con un alto valore storico culturale inutilizzata e vuota? Noi abbiamo preferito, tenendo conto anche della situazione difficile sotto il profilo economico che rende più complicato questo tipo di operazioni, cogliere questa opportunità». di Elisa Ajelli


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STRADELLA

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«Stradella è abbastanza dinamica dal punto di vista delle locazioni e degli acquisti» Stradella, da un punto di vista immobiliare, com’è? Il periodo di crisi è passato o esiste ancora? E soprattutto il boom delle logistiche ha portato un vantaggio in questo senso oppure no? Abbiamo chiesto a due agenzie immobiliari della città: Mathia Delmonte e Annamaria Cavalli hanno delineato il loro bilancio. Mathia Delmonte è il titolare dello studio “Immobiliare Stradella” da otto anni. La sua avventura però parte quasi vent’anni fa da Milano. Delmonte racconta il suo pensiero sulla situazione stradellina e collinare in base alla sua personale esperienza. Locazioni, il boon delle logistiche ha portato ad un aumento delle richieste di case in affitto? «Per quanto riguarda le locazioni c’è stato un aumento, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di appartamenti in affitto, perché le logistiche hanno portato tante persone, quindi desiderio di case e appartamenti. Non sempre si riesce ad accontentare tutti per svariati motivi… e spesso i contratti non sono a tempo indeterminato. Abbiamo davvero parecchie telefonate di persone che chiamano da varie parti d’Italia che chiedono case in affitto da un periodo di due mesi fino all’anno, dicendo che devono venire a lavorare in zona. Spesso e volentieri chiedono anche info sul territorio, se è vicino alla logistica . Chiedono affitti brevi visti i contratti che a loro volta sono brevi. Se poi il contratto diventa più lungo e duraturo la situazione cambia. Oltre che con le logistiche, lavoro con gente che ha occupazione nell’ospedale e nelle scuole». Le vendite come vanno? «Si lavora anche con gli acquisti, anche in questo caso con persone che arrivano da fuori. In questo caso le trattative sono un po’ più lunghe perché devono conoscere il territorio, devono già essere inserirti e ovviamente, a livello di lavoro, avere dei contratti a tempo indeterminato o comunque arrivano dalla stessa azienda ma magari ubicata in luoghi diversi e si tratta quindi solo di un trasferimento». Al di fuori delle persone che lavorano nelle logistiche, che piazza è Stradella? «Si lavora bene. Nel senso che Stradella è abbastanza dinamica dal punto di vista delle locazioni e degli acquisti. C’è ovviamente ancora un po’ il periodo buio e di crisi economica, ma piano piano vedo che c’è un po’ di risveglio e oggi si riesce a far acquistare e vendere un po’ più di immobili rispetto agli anni precedenti. Io ho anche uno studio a Casteggio da un po’ di tempo: là la clientela è un pochino diversa, perché siamo su immobili di un certo tipo, si parla più di villette… a Stradella invece c’è un mercato più misto di villette ma anche

tanti appartamenti. Qui tra l’altro stanno anche risanando un pochino il centro storico: ci sono ancora alcuni palazzi in centro che sono un po’ fatiscenti e meriterebbero di essere sistemati, almeno da un punto di vista di facciata. Sarebbe carino avere il centro storico con le facciate tutte messe a posto, tenute bene». La sua clientela che età ha? «Ci sono tanti giovani. Io lavoro molto con le coppie che vogliono andare a convivere, che si sposano. Ci sono poi anche single che acquistano appartamenti più piccoli, con un target di metratura più piccolo. Vado a prendere comunque un po’ tutte le fasce d’età… dai venticinquenni in su, fino ad arrivare alle persone un po’ più anziane, che magari si spostano dalla villa all’appartamento per un discorso di comodità e praticità oppure dalle colline alla cittadina per un discorso di servizi». Il suo studio si occupa anche delle colline? «Sì, diciamo che stanno tornando le seconde case. Ci sono stati anni in cui non erano così richieste e ben viste, invece adesso un po’ di vendite si stanno facendo, con persone della città e anche che arrivano da fuori, come Milano. Sono arrivati anche stranieri, olandesi, francesi, inglesi che acquistano nella prima collina o in alta collina. Le colline comunque funzionano… vedo che anche i giovani iniziano a spostarsi un po’ lì… mentre le persone più anziane, come detto prima, preferiscono fare il contrario. I prezzi sono più bassi rispetto alla città e quindi ci si può permettere qualcosina in più a livello di immobile con lo stesso budget». La situazione di Stradella quindi è buona? «Non è malvagia. In realtà io ci ho sempre lavorato. Poi diciamo che quando si riesce a lavorare quotidianamente e si hanno delle soddisfazioni, personali e non, a me va bene. Ci sono stati sicuramente momenti migliori, faccio questo lavoro dal 2000… quindi ne ho viste di cose…». Dove ha iniziato? «A Milano in un’agenzia immobiliare. Ho fatto il venditore di palazzi interi a Milano. Sono nato e cresciuto in città, quindi mi hanno addestrato bene a fare il venditore là. Mi sono fatto le ossa, è una bella giungla lavorare in quell’ambiente! Dopo un po’ sono tornato al paesello, volevo vivere più a misura d’uomo, più sereno: anche per quanto riguarda i colleghi, qui è tutta un’altra cosa e si riesce a collaborare, a lavoricchiare insieme. Là invece era concorrenza spietata. La grande città comunque ti insegna tanto, se ti sei formato là è più facile poi arrivare nei posti piccoli. Comunque ci sono stati anche momenti peggiori: nel 2009 per esempio, a Milano, si iniziava a sentire non proprio la crisi ma

Mathia Delmonte, dello studio “Immobiliare Stradella”

diminuiva un po’ la volontà delle persone di impegnarsi a acquistare qualsiasi cosa, figuriamoci una casa… Dallo scorso anno si è iniziato a lavorare di più, grazie ai prezzi che si sono calmierati e soprattutto si è riusciti ad entrare in un’ottica di mercato di far capire al venditore che il prezzo non è più quello di qualche anno fa: nel momento in cui capisce che il prezzo si è assestato su un valore di mercato diverso, il venditore ti segue e la casa viene venduta». Annamaria Cavalli, titolare dal 2003 insieme a Loredana Malito dello studio “Malito & Cavalli”, è nel mondo immobiliare dal 1998. Forte di una grossa esperienza, traccia un bilancio della situazione vendite e affitti a Stradella. «Una volta era diverso, si è passati da un periodo in cui si vendeva bene e c’erano anche molte visite in collina. Poi è arrivata la crisi e un po’ di cambiamenti ci sono stati. Adesso c’è una ripresa ma, per quanto riguarda le vendite, le trattative sono molto lunghe. Le vendite sono abbastanza bloccate invece gli affitti vanno bene». C’è una relazione tra gli affitti e il boom

«La maggior parte dei nostri clienti arrivano dalla Ceva e da Amazon»


STRADELLA

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Loredana Malito e Annamaria Cavalli, dello studio “Malito & Cavalli”

delle logistiche in zona? «Sicuramente sì. La maggior parte dei nostri clienti arrivano dalla Ceva e da Amazon. La logistica Amazon, in particolare, è a Castel San Giovanni,ma il paese è abbastanza saturo e quindi il personale viene verso Stradella. Consideriamo anche il fatto che Stradella offre di più rispetto a Broni, Castel San Giovanni e paesi limitrofi. Oltre poi alle logistiche poi ci sono centri come Ovs e Scarpamondo, per esempio, dove vengono personale e dirigenti che

stanno qui per un breve periodo. Quindi posso dire che gli affitti sono aumentati rispetto a sette/otto anni fa, mentre negli ultimi anni il trend positivo è rimasto costante. Il problema delle logistiche è quando danno contratti a brevissimo termine, di pochi mesi. In quel caso il proprietario è un po’ restio ad affittare a persone che possono rimanere solo per due/tre mesi… quindi in quel caso la gente si rivolge a bed and breakfast o in collina dove ci sono case che vengono affittate anche per poche

settimane». Sono tanti gli stranieri che chiedono una casa in affitto? «Sì, molti che lavorano nelle logistiche e abbiamo anche musulmani, visto che a Stradella c’è la moschea». I costi degli affitti sono aumentati? «Assolutamente no. Anzi, quando hanno aperto le logistiche, ci sono state persone che si sono trasferite qui da Milano e dintorni e sono rimaste impressionate dalla differenza di prezzo con la città. In generale comunque sono rimasti invariati negli ultimi anni. è forse vero che gli affitti qui sono più cari rispetto a Broni, ma pensiamo anche a cosa offre Stradella in più di Broni o anche a Castel San Giovanni… Un grosso problema rimane quello legato al mancato pagamento degli affitti: tanti proprietari si rivolgono a noi per cercare di riscuotere la cifra». Per le vendite invece? «Su quelle si fa più fatica, a partire dalla trattativa stessa. Se si conclude una vendita si riesce dopo parecchi mesi. Ci sono tante richieste per appartamenti sui 50/60 mila euro. Ma se lo si vuole ristrutturato è difficile trovarlo a questi prezzi». Seguite anche le colline intorno a Stradella? «Sì, ma siamo ancora fermi. Non è più come dieci anni fa che le colline attiravano gente». Qual è il vostro target di clientela? «Per quanto riguarda gli affitti siamo su una clientela molto giovane, dai 20/21 anni in su. Quelli che lavorano nelle logi-

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«Chiedono affitti brevi visti i contratti che a loro volta sono brevi. Se poi il contratto diventa più lungo e duraturo la situazione cambia»

stiche sono davvero molto giovani. Diciamo in generale, dai 20 ai 35 anni, ed è molto legato alle logistiche. Anche per gli acquisti, chi si propone è giovane. è difficile al giorno d’oggi trovare gente più grande che magari vuole investire per il figlio, come accadeva anni fa. La clientela è completamente cambiata. Prima c’era anche chi veniva dalla collina verso Stradella per investire, adesso non più molto…». di Elisa Ajelli



STRADELLA

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«Prima della chiusura del mio mandato voglio che la città sia tutta, completamente, illuminata» Il sindaco di Stradella si appresta a svolgere l’ultimo anno di mandato, prima delle elezioni del 2019 e parla della situazione cittadina tra raccolta differenziata, ospedale, cooperative e lavori pubblici. è di poche settimane fa il comunicato ufficiale del Direttore Generale di ASST Pavia, Dottor Michele Brait, in cui viene assicurata la permanenza del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale stradellino. «C’è piena soddisfazione da parte nostra per questa decisione. Tutto l’ospedale è un vanto per noi e questo reparto è un fiore all’occhiello: per fortuna le cose sembrano essersi risolte. Abbiamo l’impegno formale del Direttore Generale con un comunicato stampa, in cui si esclude qualsiasi ipotesi di chiusura di questo reparto che rimane comunque sopra i 500 punti nascita. Non voglio assolutamente pensare ad un’ipotesi diversa. Ribadisco che non solo questo reparto funziona, ma anche tutti gli altri…». Un argomento che tiene sempre banco a Stradella è la raccolta differenziata. Dopo un po’ di mesi di rodaggio, cosa si sente di dire in merito? «Abbiamo rilevato anche i dati di giugno e sono tutti visibili sul sito del nostro Comune. Avevamo prefissato di arrivare almeno al 50% di differenziata quest’anno e siamo già al 59%, dato di giugno. Le pesature di giugno sono in aumento, ciò vuol dire che la gente si sta abituando. Il fenomeno da sconfiggere è sempre la migrazione del rifiuto: alcuni non si rassegnano a questo nuovo metodo e continuano a portare i loro sacchi nei comuni vicini. Questo deve finire! E i comuni limitrofi dovranno, credo, fare anche loro una scelta di questo tipo… Comunque il fenomeno è in diminuzione e questo fa ben sperare».

Raccolta differenziata, «Le pesature di giugno sono in aumento, ciò vuol dire che la gente si sta abituando»

C’è quindi soddisfazione. «Sì, il servizio funziona bene. Abbiamo anche dato il via al servizio aggiuntivo del mercoledì per quanto riguarda l’indifferenziata, per pannolini e pannoloni, e per gli esercizi commerciali che la domenica sono chiusi. Abbiamo spostato alla sera, invece della mattina, la raccolta del verde che ha registrato un boom incredibile. Abbiamo cambiato tutti i contenitori dell’olio: adesso sono molto belli e c’è la possibilità di inserire direttamente la bottiglia con dentro l’olio, non c’è più bisogno di versare. Nei prossimi giorni, inoltre, usciranno venticinque nuovi cestini rossi per le deiezioni canine, nei punti dove occorrono di più. Abbiamo potenziato le campane del vetro, mettendone venticinque in più e più avanti potenzieremo anche i cestini. L’unico grosso problema riguarda ancora i condominii: abbiamo scritto agli amministratori che abbiamo iniziato a fare delle verifiche e proseguiremo in tal senso. L’indifferenziata qui viene fatta male, nel senso che viene riscontrata sempre una parte di umido che non ci dovrebbe essere. È un punto dolente e devono intervenire gli amministratori prima che partano le nostre sanzioni. La città, comunque, in generale è più ordinata e pulita: c’è qualche eccezione, ma stiamo andando a norma». Serve sempre la collaborazione dei cittadini. «Bisogna che la gente capisca l’importanza del lavoro che sta facendo differenziando la spazzatura. E dobbiamo proseguire in questa direzione, perché con questa frazione non siamo ancora in grado di dire che il prossimo anno diminuiremo la tassa Tari. Perciò occorre un servizio ancora migliore. Siamo sulla buona strada e bisogna continuare. E dopo l’estate riprenderemo anche gli incontri nelle scuole e le assemblee pubbliche, per dare riferimenti e far capire alla gente l’importanza di proseguire in questo modo». Cambiando decisamente argomento, ultimamente c’è stato un polverone sulle cooperative, con lavoratori sfruttati: un’operazione della Guardia di Finanza ha addirittura portato all’arresto di parecchie persone. «Finalmente si è intervenuti dove si doveva intervenire. Mi ricordo che nelle varie volte che ho partecipato ai Tavoli in Prefettura legati al tema delle logistiche e durante il Tavolo che avevamo fatto a Stradella con il Prefetto, io ho sempre sollevato un aspetto: il problema di andare a vedere bene cosa facevano le cooperative, sempre e sistematicamente. Parecchi anni fa era stato mandato un dossier, dall’allora sindaco Pierangelo Lombardi, alla Guardia di Finanza: c’era stato un blitz e un primo intervento. Si vede poi che, con il pas-

Piergiorgio Maggi

sare degli anni, la cosa si è autoriprodotta. Che ci fossero episodi di caporalato lo sapeva tutto il mondo, però non si pensava a un lavoro di delinquenza così estesa. Questo deve essere un punto di partenza e non di arrivo: non tutte le cooperative sono così, ma bisogna radiografarle tutte. Ce ne sono di buone, e io ne ho la testimonianza, ma probabilmente ce ne sono in giro altre che vanno sanzionate. è già un lavoro particolare e pesante quello che si svolge all’interno di quei luoghi e non è neanche retribuito magnificamente… ma almeno che i lavoratori siano trattati con la dignità che meritano e con il rispetto delle loro esigenze. Purtroppo o per fortuna è l’unico lavoro che in zona c’è e anche nei paesi vicini c’è un’esplosione delle logistiche: non siamo noi amministratori a decidere, è l’economia che gira così. Al momento è questa, poi magari tra vent’anni cambierà ancora. Però se al momento è questa, bisogna fare in modo che il tutto sia governato con rispetto dei contratti di lavoro e rispetto della dignità dei lavoratori, condizioni di vita normali e decenti ed evitare queste cose indecorose. Approfittiamo di questa brutta cosa che è successa per fare una panoramica su tutto il mondo cooperativo. Capisco che tra il dire e il fare non sia così semplice, ma va fatto. È così difficile chiedere il rispetto della legge in Italia? Non sarà una richiesta così assurda». L’anno prossimo ci saranno le elezioni amministrative: come si sta preparando? «Stiamo procedendo con i lavori. Anche nel mese di agosto non si fermeranno quelli di rifacimento dell’impianto di illuminazione. C’è ancora tanto da fare, ma la ditta è presente con più squadre: ad agosto di solito si ferma tutto, ma noi andiamo

Logistiche, «Che ci fossero episodi di caporalato lo sapeva tutto il mondo, però non si pensava a un lavoro di delinquenza così estesa» avanti perché dobbiamo recuperare. è un impegno che mi sono preso: prima della chiusura del mio mandato voglio che la città sia tutta, completamente, illuminata. In più ci sono 44 telecamere e due vigili in più. Ci sono stati tanti ritardi, è vero, ma l’importante è portare a casa il risultato. Infine, si stanno chiudendo in questi giorni le gare di appalto per gli asfalti e partirà la gara di appalto per la seconda tranche di marciapiedi. Poco a poco le cose vanno avanti». di Elisa Ajelli


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MEZZANINO

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Ponte della Becca: «Le vicende recenti non mi permettono di pensare che sia arrivato il momento tanto atteso». Mezzanino piccolo comune di circa 1400 abitanti, lo scorso giugno ha visto concludersi il mandato di Gianluigi Zoppetti (in carica dal maggio 2013) e l’insediamento del neo Sindaco Adriano Piras. Gianluigi Zoppetti non demorde... ha ancora delle “battaglie” da portare avanti, tra cui la questione del Ponte della Becca, argomento per il quale, durante questi cinque anni, si è battuto su tutti i fronti. Zoppetti si aspettava la sconfitta a queste ultime elezioni? «Certamente no». A suo giudizio perchè non è stato riconfermato? «L’affermazione seppure di stretta misura della lista avversaria è da attribuire, a mio parere, al suo apparentamento con la Lega che nella tornata elettorale del 04 marzo ha ottenuto il 30,54% dei voti imponendosi largamente come primo partito a Mezzanino e alla dispendiosa campagna elettorale realizzata con delle modalità spettacolari mai avvenute prima nel paese, che evidentemente hanno fatto presa nell’elettorato». Trovarsi ora a far parte dell’opposizione, come vede questo ruolo? «Si chiama democrazia. Ho perso le elezioni e chi perde sta all’opposizione. Come ho affermato nella mia comunicazione in occasione dell’insediamento del nuovo consiglio comunale, l’opposizione sarà costruttiva senza pregiudizi ma ferma, risoluta, attenta e vigile». Zoppetti su quali punti insisterà maggiormente? «L’opposizione porrà molta attenzione sui programmi e sugli atti. Uno dei primi atti deliberati dalla nuova giunta comunale è stato quello di aumentare lo stipendio del Sindaco al massimo previsto dalle leggi in vigore € 1.301,47 lorde. (Per la cronaca io percepivo € 1.1.01,47 lorde in quanto ho lasciato nelle casse del Comune per tutti i 5 anni € 200 mensili - delibera di GC n 2 del 18/06/2013). Abbiamo potuto apprendere dagli atti fino ad ora compiuti che la nuova maggioranza ha adottato, in grande parte, il DUP 2018/2020 (Documento Unico di Programmazione) da noi predisposto che è stato deliberato dal consiglio comunale a novembre 2017 che naturalmente porta alla realizzazione del nostro programma: riqualificazione illuminazione pubblica, videosorveglianza, tensostruttura polifunzionale, marciapiedi al Tornello, allargamento incrocio via Roma/via Malpensata di Sotto, rimozione amianto al centro sportivo, piantumazione viale cimitero e asfaltature. Ci sono però alcuni punti che non fanno parte del programma della maggioranza che come gruppo d’opposizione abbiamo già portato all’attenzione del Consiglio. Un primo punto è quello relativo al rinnovo dell’AIA (Autorizzazione Impatto

Ambientale) della società Monticelli del Tornello che ci ha visto impegnati come maggioranza durante tutto il mandato precedente».

«Uno dei primi atti deliberati dalla nuova giunta comunale è stato quello di aumentare lo stipendio del sindaco al massimo previsto dalle leggi in vigore, € 1.301,47 lorde». Ci spieghi più nel dettaglio «Si tratta di una questione di massima importanza sul piano ambientale per il nostro paese. Per trattare la materia con il massimo del rigore, nella passata consiliatura da me presieduta, ci si è affidati a due consulenti, un legale e un tecnico ambientale. Con il rinnovo dell’AIA, la società intende riottenere la realizzazione di un impianto di separazione dell’acqua dall’olio nelle emulsioni oleose tramite bollitori, autorizzato con l’AIA della regione Lombardia nel 2007 e ribadita nel 2012 rilasciata dalla Provincia di Pavia, ora in fase di rinnovo, ma per politiche aziendali mai realizzato, che qualora venisse costruito porrebbe seri dubbi circa lo smaltimento dei residui di lavorazione e per le conseguenze che deriverebbero da un eventuale inquinamento dell’aria, dell’acqua e del terreno. Su questo punto come gruppo di minoranza abbiamo presentato una interrogazione che dovrà essere esaminata nel prossimo consiglio comunale». Ponte della Becca: la maggioranza si è gia mossa in questa direzione? «è un altro punto che non fa parte del programma della maggioranza, e per il quale come maggioranza ci siamo battuti per tutta la passata consiliatura e che ha visto impegnato il sottoscritto come Coordinatore del (GDLP) Gruppo Di Lavoro Permanente che attualmente è in stand by». Le si può contestare qualunque cosa,

ma non che non abbia a cuore la situazione Ponte della Becca. Le ultime notizie sono positive. Crede che sia realmente arrivato il momento tanto atteso? «A seguito della grande marcia sul Ponte del 11 marzo 2017 il GDLP è udito il 29/06/2017 presso la V Commissione Regionale alla quale è stato chiesto il finanziamento dello studio di fattibilità del nuovo ponte della Becca che la Giunta Regionale ha deliberato con uno stanziamento di € 800.000 il 17 ottobre 2017. Il 09/01/2018 è stato convocato presso il MIT a Roma un tavolo tecnico al quale erano presenti oltre al vice Ministro, i massimi dirigenti di ANAS e Strade e Autostrade, l’assessore Regionale Lombardia ai trasporti alle Infrastrutture e Mobilità, il Presidente della Provincia di Pavia e i Sindaci di Pavia, Mezzanino e Linarolo. In quella occasione si è concordato: la realizzazione del nuovo Ponte della Becca è una opera di primaria importanza; la SP 617 passerà in gestione alla ANAS nell’ambito della costituenda società Lombardia Mobilità; nell’ambito della costituenda società Lombardia Mobilità la Regione si farà carico di tutta la fase progettuale del Nuovo Ponte della Becca dal Progetto preliminare a quello esecutivo; infine la realizzazione del nuovo Ponte della Becca verrà finanziata nell’ambito del nuovo piano poliennale ANAS del 2020. Con l’avvicendamento dei nuovi esecutivi Regionale e Nazionale a seguito della tornata elettorale del 04 marzo occorre rivedere alcuni punti dell’accordo del MIT del gennaio 2018. Innanzitutto la nuova giunta regionale ha accantonato la costituenda società Lombardia Mobilità lasciando insoluto il passaggio della SP 617 alla ANAS che è un fattore estremamente importante dell’accordo del MIT. L’altra questione che si pone con l’accantonamento della società Lombardia Mobilità, è sapere chi si farà carico del finanziamento di tutto il progetto del nuovo ponte visto che durante il tavolo al MIT si è parlato di un costo di circa 8 milioni di euro e infine da ultimo ma non come importanza rimane il problema che l’ANAS avrebbe inserito nel piano 2020 la realizzazione dell’opera naturalmente al verificarsi delle altre condizioni (passaggio SP 617 ad ANAS e finanziamento progetto in accordo ANAS Regione Lombardia). Le vicende recenti non mi permettono di pensare che sia finalmente arrivato il momento tanto atteso. Posso dire che ci sono tutte le condizioni politiche perchè quel momento avvenga. Rimango della opinione che bisognerà comunque vigilare e sollecitare i nostri rappresentanti territoriali sia Regionali che Nazionali ha portare a soluzione le problematiche che ho sopra descritto». Attualmente cosa manca, a suo pare-

Pier Luigi Zoppetti

Fiume Po: «renderlo navigabile, ma ci vorrebbero investimenti notevoli dei quali al momento non ne ho alcun sentore». re, in questo territorio per poter fare il “salto di qualità”? «Il nuovo Ponte della Becca! Ricordo le domeniche con la SP 617 strapiena di milanesi che si recavano a fare la gita nelle nostre colline, improvvisamente sparite con le chiusure del ponte a partire dal 2012». A suo parere, Zoppetti su cosa le amministrazioni dovrebbero puntare maggiormente? «Un’amministrazione comunale di un paese di circa 1370 abitanti in continuo calo, con le poche risorse che ha a disposizione, non può che occuparsi del suo territorio ponendo particolare attenzione alla sicurezza, sia quella ambientale che quella della popolazione e alla viabilità senza tralasciare di continuare a creare un tessuto sociale, avvalendosi anche delle associazioni che operano nel territorio, che permetta di sostenere le persone in difficoltà e i tanti anziani che vivono soli». Il Fiume Po è una fonte di grande valore per il nostro territorio... come, secondo lei potrebbe essere valorizzato? «Bisognerebbe pensare di renderlo navigabile, ma sono perfettamente cosciente che ci vorrebbero investimenti notevoli dei quali al momento non ne ho alcun sentore». di Silvia Cipriano



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17-24 agosto: AGOSTO MONTUESE

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Agosto Montuese: «Non è solo una festa di paese, ma molto di più» L’Agosto Montuese ha una lunga storia, dal 1964 ha sempre avuto un forte richiamo su tutto il territorio. In questi 54 anni ha anche cambiato nome: una volta si chiamava Settembre Montuese, a servire i commensali c’erano bellissime ragazze montuesi che indossavano lunghi abiti fiorati, internet ancora non esisteva e quei giorni erano davvero di festa. Oggi sono cambiate molte cose, le fotografie non sono più in bianco e nero, le strutture non sono più le stesse, a servire i commensali i nipoti e le nipoti delle fanciulle in abito fiorato. Una cosa però non è cambiata: la voglia di far festa. «Con l’edizione 2018 ci supereremo! – dichiarano entusiasti il gruppo della Pro Loco di Montù - La tradizione vuole che a Montù si mangi bene, davvero bene, e anche quest’anno non vi deluderemo. Le scelte artistiche? Otto serate con musiche per tutti i gusti e tanto, tantissimo divertimento. E poi una grandiosa pesca di beneficenza con tantissimi premi in palio!». Il vino sarà il grande protagonista di queste otto serate con una mostra interamente dedicata. «La Mostra dei Vini è un vanto per la Pro Loco di Montù Beccaria: oltre 150 etichette in degustazione di circa 50 aziende agricole del territorio comunale esposte in una cornice unica all’interno dell’edificio scolastico di Montù. A seguire nelle degustazioni il “mitico” Sommelier, Cavaliere Carlo Aguzzi, amico e stimabile professionista». Agosto Montuese è anche... arte! All’interno dell’edificio scolastico una mostra di quadri raffiguranti l’Oltrepò e tutte le sue meraviglie, a cura dell’artista Cesare Marigo, inoltre per tutte le sere dell’Agosto Montuese la poetessa Anna Vercesi sarà presente con i suoi libri nei quali canta le bellezze dell’Oltrepò. «Anna scrive da sempre ma solo da qualche anno ha deciso di proporre al pubblico i suoi scritti pubblicando: Forse non sono io, Trasparendo, Mi t’aspet chi ed Ecletticamente». Per concludere la pesca di beneficienza il cui ricavato sarà interamente devoluto alla parrocchia di Montù Beccaria. «La pesca di beneficenza di Anna è una garanzia. Da anni lei e un nutrito gruppo di amiche volenterose si adoperano nell’allestimento della pesca di beneficenza, ricchissima di premi e bellissima da vedere! Se passate da noi non potete non fare un tiro». La presidente della Pro Loco in carica è Katia Delmonte, Katia Delmonte, presidente in carica da due anni, inizia il suo percorso nella Pro Loco comunale all’età di nove anni. Aiuta le ragazze più grandi, che le insegnano tutti i trucchi del mestiere. Oggi è un presidente molto attento: negli anni (il suo primo mandato come presidente risale al 2010) ha imparato come gestire al meglio l’organizzazione di eventi importanti che richiedono un’accurata pianificazione. Il gruppo guidato da Katia, dieci persone interne al consiglio più una quarantina di

Il gruppo della Pro Loco di Montù Beccaria giovani volenterosi, supervisionati da una decina di amici storici della Pro Loco, è ormai una macchina prefetta. Katia, perché una persona dovrebbe passare una serata all’Agosto Montuese? «Perché la nostra festa è differente! Non è solo una festa di paese, è molto di più. Per prima cosa i nostri unici “concerti sotto le stelle”: la qualità dell’audio, la potenza delle luci, la scelta di gruppi musicali dal grande valore artistico, la nostra pista da ballo in acciaio. E poi la qualità dei nostri piatti: Daniele, Massimo e Alessandro sono dei professionisti e si sente quando si assaggia un loro piatto. Un vero e proprio “ristorante sotto le stelle”: ogni sera proposte diverse, materie prime di qualità e un ottimo servizio al tavolo. Non si può proprio non passare da Montù!» La Pro Loco di Montù ha un numero considerevole di giovani aiutanti, come ha fatto a creare questo bel gruppo? «è stato semplice perché sono tutti dei ragazzi fantastici! Nonostante il grande impegno non si sono mai tirati indietro ed è nata una grande amicizia che va oltre le otto sere di festa». Pensa che per un piccolo territorio come quello di Montù queste iniziative siano importanti? «Ne sono convinta! I nostri piccoli centri hanno sempre più bisogno di queste iniziative, che sono dei veri e propri mezzi per unire persone. In questo periodo storico, dove siamo tutti un po’ distratti e dove spesso ci dimentichiamo degli altri, passare serate in festa ci permette di socializzare e di ritrovare il piacere in due chiacchiere scambiate davanti a un buon piatto!»

Il programma Otto serate, dal 17 al 24 agosto, una meravigliosa mostra dei vini giunta alla 54° edizione, menù originalissimi con portate servite ai tavoli, veri e propri concerti sotto le stelle e un gruppo di giovani “bellissimi” che faranno la differenza. Inoltre, tutte le sere, accurato servizio bar e ristorante. Si inizia venerdì 17 (sì, a noi la superstizione ci fa un baffo) con l’inaugurazione della 54° Mostra dei Vini accompagnati dalle note del Complesso Bandistico Montuese – Orchestra di fiati. A seguire si balla con la musica di Katia e Attilio e la loro orchestra spettacolo. Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, risotto con pasta di salame al Bonarda, vitello tonnato, grigliata mista con patatine fritte. Sabato 18 sarà la notte rock!Il mitico Marco Rancati, sul palco con gli Shout, ripercorrerà insieme a noi gli anni d’oro del rock e ci farà sognare con la sua voce unica!Lo chef propone salumi misti, polpo con patate, calamarata ai frutti di mare, pasta al pomodoro, calamari ripieni, grigliata mista con patatine fritte. Gli amanti degli anni ‘60 non potranno mancare domenica 19. Sul palco l’amico Gino Poma con i The Sixties! Dai Nomadi a Celentano, passando per i più grandi gruppi stranieri, una serata per veri intenditori. Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, gnocchi al gorgonzola, ganassino di maiale in umido, grigliata mista con patatine fritte. Ballerini di liscio preparatevi a lucidare le

scarpe! Lunedì 20 si ballerà sulle note della meravigliosa musica di Paolo Bertoli e la sua orchestra spettacolo!Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, ravioli con brasato, cinghiale in umido, grigliata mista con patatine fritte. Martedì 21 una vera e propria tradizione per Montù: sul palco gli scatenatissimi Dejavù!I migliori successi dell’estate e tanta altra bella musica pop per una serata all’insegna del divertimento puro. Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, pasta con salsiccia e funghi, porchetta con patate al forno, grigliata mista con patatine fritte. Mercoledì 22 sarà la volta di una delle migliori orchestre spettacolo in circolazione: Graziano Cianni e la sua orchestra vi faranno ballare tutta la serata!Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, lasagne al forno, roast beef, grigliata mista con pastine fritte e trippa. Giovedì 23 una novità assoluta per Montù. Una strabiliante serata disco anni 90 con i mitici Sux90 Party. A seguire Dj set con Federico Maga. Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, pasta speck e zucchine, grigliata mista con patatine fritte, roast beef. Venerdì 24 si chiude in bellezza con un’altra novità: un stupefacente tributo agli 883 con i mitici Time Out!Lo chef propone salumi misti, pasta al pomodoro, pasta dello chef, scaloppine al limone, grigliata mista con patatine fritte.


17-24 agosto: agosto montuense

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Il sindaco: «Un successo che ci

invidiano in tanti»

Lasciato alle spalle un giugno positivo, in cui Montù Beccaria è riuscito a valorizzare la produzione vinicola locale attraverso la manifestazione BeviAMOntù, realizzata in collaborazione da Pro Loco e altre associazioni, il paese si prepara a bissare con la Mostra dei Vini, storica kermesse con oltre mezzo secolo di vita che si prepara a diventare l’appuntamento numero uno dell’estate. Il “contenitore” sarà l’Agosto Montuese, che ogni anno richiama in paese molti giovani. Una manifestazione di cui va fiero il primo cittadino Amedeo Quaroni. Che importanza ha l’Agosto Montuese per il suo comune? «L’Agosto Montuese è un appuntamento fisso da molti anni, è la nostra festa per eccellenza ed è la vetrina del nostro prodotto principe che è il vino, con la Mostra dei Vini che quest’anno è giunta alla 54° edizione. Nata come Settembre Montuese, questa manifestazione fa ormai parte della nostra tradizione e della nostra storia. È diventata un appuntamento irrinunciabile per tantissimi amici e turisti che vengono da fuori. Una grande festa che ci ha permesso di farci conoscere e apprezzare». è un buon modo per attirare giovani? «I giovani a Montù sono i protagonisti principali di questa manifestazione, e lo sono in due versioni: da operatori-organizzatori e come ospiti. È un rincorrersi di gioventù e questo rende la festa gradita e appetibile a tutti, un successo che ci invidiano in tanti e che si ripete ogni anno». Si valorizza adeguatamente il vino del territorio? «Per la valorizzazione del vino e del territorio il discorso sarebbe lungo e certo

«Una volta si diceva che un paese per essere veramente tale doveva avere tre cose: l’orologio (il comune), la chiesa e la Pro Loco». bisognerebbe fare molto di più e meglio in tutte le direzioni. L’aver mantenuto comunque un appuntamento fisso per 54 anni è sicuramente un vanto e un bel biglietto da visita per il nostro paese». Da un paio d’anni la Pro Loco, in collaborazione con le altre associazioni del paese, propone nel mese di giugno un altro momento particolarmente legato alla produzione locale che ha già avuto un grande successo, BeviAMOntù. Da Sindaco apprezza il lavoro della Pro Loco?E da cittadino?

Amedeo Quaroni, sindaco di Montù Beccaria «Ho sempre apprezzato tantissimo il lavoro della Pro Loco di Montù Beeccaria e delle Pro Loco in generale, sia come cittadino che come amministratore, e nel passato ne ho fatto anche parte attiva.Una volta si diceva che un paese per essere veramente tale doveva avere tre cose: l’orologio (il comune), la chiesa e la Pro Loco. Le prime due sono istituzionali e rendono per questo importante il paese, la Pro Loco è la gente, è l’impegno e la voglia di fare e misura la vitalità e il gradimento di un paese; a Montù i valori sono entrambi molto alti».

Un augurio per il futuro del suo paese e delle sue associazioni? «L’augurio è che ci sia sempre più collaborazione fra le associazioni e che insieme si possano realizzare tante belle cose per il nostro paese. Da parte dell’Amministrazione ci sarà sempre la massima collaborazione e il massimo aiuto nelle diverse forme possibili. Il Paese è vivo, bello e attrattivo se lo vogliamo tutti insieme e se spingiamo tutti nella stessa direzione, non basta solo il Sindaco!».


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Pesca di beneficenza:«Tutti gli anni il ricavato va alla parrocchia di Montù» Non c’è Agosto Montuese senza la Pesca di beneficenza di Anna De Martini, capofila di un gruppo affiatatissimo di volontari. Anna, da quanto esiste la pesca di Montù e chi fa parte dell’organizzazione? «La pesca di beneficenza di Montù Beccaria è nata circa 30 anni. Con impegno abbiamo portato avanti questa attrattiva che negli anni è diventata una vera e propria tradizione per l’estate montuese. Ad organizzare tutto nei minimi dettagli un gruppo di signore (e un signore) del paese: Alma, Tiziana, Ferruccia, Sonia, Vanessa, Ermanna, Marilena, Carla, Carlina, Vittorio, Ermanna, Ercolina». Come si organizza la pesca di beneficenza? «Noi ci riuniamo circa un mese prima dell’evento, anche se tutto inizia molto prima con il reclutamento dei premi: si inizia dalla logistica, si pensa alla disposizione dei premi, al posizionamento minuzioso di addobbi, alla numerazione di ogni premio». Come reclutate il materiale? «I premi, che negli ultimi anni sono arrivati a circa 3000, sono selezionati e raccolti con l aiuto dei residenti. La cosa che più rende orgoglioso il gruppo è la motivazione dei cittadini, delle persone del paese, che per tutto l’anno raccolgo oggetti, li selezionano, li recuperano e li devolvono alla pesca di beneficenza. Gli oggetti, di

Anna De Martini, affiatatissima volontaria di Montù Beccaria

qualsiasi tipo, dagli utensili per la cucina, ai libri, passando per meravigliosi pezzi di recupero, vengono sottoposti ad un rigidissimo controllo: se utili, carini e ancora

in buono stato sono utilizzati ed esposti». A chi vengono devoluti i soldi? «Il ricavato va alla parrocchia di Montù Beccaria, ogni anno.Negli ultimi anni

abbiamo contribuito alla ristrutturazione della vecchia canonica».


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«Non c’è Agosto che tenga! Ogni anno, puntuali come un orologio svizzero, l’Agosto Montuese» A proposito dell’Agosto Montuese anche Carlo Aguzzi sommelier stradellino e ambasciatore del talento enologico dell’Oltrepò Pavese, “dice la sua”. Essere recensiti da un personaggio del calibro di Carlo Aguzzi, diventato Cavaliere della repubblica, onorificenza attribuitagli da Giorgio Napolitano, è motivo di orgoglio e di vanto. Aguzzi non solo ha lavorato molto in provincia, ambasciatore da sempre del marchio La Versa. Con la cantina di Santa Maria ha impreziosito cinque Giri d’Italia, eventi legati alla Formula 1, Europei di tennis, golf e pattinaggio su ghiaccio, ma anche all’estero. Ad esempio ha rappresentato l’Italia al parlamento europeo di Strasburgo nel 2004, in occasione dei brindisi ai nuovi ingressi all’interno dell’Unione. E’ stato Cicerone nel corso di serate enogastronomiche con prodotti pavesi a Varsavia (Polonia), in Lituania (proponendo abbinamenti tra vini oltrepadani e piatti locali) e poi in Germania. A Pavia ha servito due capi di Stato, Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi. Sempre a Pavia ha accolto il Papa Benedetto XVI. «Non c’è Agosto che tenga! Ogni anno, puntuali come un orologio svizzero, l’Agosto Montuese e il complesso musicale dei Vat 69 (ora The Sixties) si ritrovano. L’Agosto Montuese è una rassegna tipica di fine estate, dove il connubio vino e buona cucina si incontrano e si sposano mirabilmente. Ogni anno passo una serata a Montù per degustare vini e cibi e per ascoltare buona musica, ringraziando di buon cuore la verve e lo spirito di iniziativa che anima il gruppo della Pro Loco e dell’Amministrazione Comunale. Senza contare le piacevoli rimpatriate tra amici: Amedeo che produce un Rosso Oltrepò superbo, Marco, Ernesto e tanti altri ancora, produttori di vino, esperti vignaioli o impagabili sommelier. Nel corso dell’ultima serata trascorsa a Montù mi sono abbuffato di una profumatissima pancetta e di un salame veramente eccezionale, lasciando da parte la coppa che ho reputato ancora un pochino giovane. Anche la malvasia che mi è stata servita ha appagato i miei sensi gusto olfattivi: delicata, fragrante, dal caratteristico sentore di mandorla. Alle lasagne ho assegnato un bel voto: almeno otto e mezzo; non ero al ristorante bensì nel cortile della scuola, dove i cuochi si sono impegnati, su cucine da campo, quindi con tutti i problemi che inevitabilmente possono sorgere. Con le lasagne mi è stato proposto un barbera leggermente mosso ma asciutto e strutturato. Un vero piacere berlo come è stato piacevole degustare la bonarda ferma con il grana e gorgonzola. Un complimento va fatto anche al perso-

Carlo Aguzzi, sommelier

nale di servizio in sala, pardon, di cortile: bei ragazzi, scattanti e attenti, hanno svolto il loro lavoro in modo encomiabile, con le comande giuste, puntuali ed esatte, sempre con il sorriso sulle labbra, nonostante i chilometri...a piedi, considerato che tutti i tavoli (ed erano tanti) erano occupati da gioiosi novelli Pantaguel! Poi, finalmente, è arrivato il momento della musica. Sul palco Gino, Pier, Beppe, Aldo ed Aurelio per un meraviglioso ritorno alle musiche degli anni sessanta-settanta. Rigorosamente dal vivo senza ausilio di play-back, mi sono gustato le musiche di Battisti, di Morandi, dei Giganti, dei Dik Dik, dei Rokers...musiche perfettamente abbinabili al vino di Montù: canzoni dolci (come “Gli occhi verdi dell’amore) da accostare al delicato Pinot nero vinificato in bianco; canzoni della contestazione giovanile (come “Che colpa abbiamo noi”) da collegare al corposo e ruvido Barbera; canzoni briose (come “Bisogna saper perdere”) da affiancare al vivace Bonarda. Ma quello che mi ha reso più felice è stato il vedere che i “ragazzi” del complesso Vat69 (oggi The Sixties) – a dispetto della nota marca di whisky- si sono ammorbiditi l’ugola con un buon bicchiere di vino rosso: evviva l’Oltrepò, evviva i Vat69 e, se permettete, evviva gli anni sessanta, gli anni della mia spensierata giovi-

nezza!». Lettera di Carlo Aguzzi pubblicata nel libro “Montù Beccaria, Mons Acutus Beccariorum – Tasselli per comporre una storia” di Padre Celeste Raffaele Vecchi. Celeste Raffaele Vecchi, padre francescano montuese, in quest’opera racconta l’importante storia di Montù Beccaria. Frutto di una decennale ricerca tra archivi e biblioteche, la narrazione si sviluppa dalle

origini del paese, passando attraverso la storia dei Beccaria, ai Barnabiti, fino agli eventi delle due guerre mondiali arrivando ai giorni nostri. Il libro presenta anche una parte dedicata alla geo-morfologia di questa zona di Oltrepo (in collaborazione con un geologo locale), una sulla vitivinicoltura e una sulla storia della biblioteca comunale, intitolata a Mariuccia Vecchi, cugina dell’autore di libro.


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17-24 agosto: AGOSTO MONTUESE

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Perchè vivere a Montù...

Montù Beccaria è un paese ricco di storia che affonda le sue origini prima dell’anno mille e che nei secoli a seguire ha legato in maniera indissolubile il proprio nome a quello della famiglia Beccaria. Si raggiunge facilmente lasciandosi alle spalle la pianura Padana imboccando la Valle Versa da Stradella. Dopo un paio di chilometri, salendo per le colline in mezzo ai vigneti, si arriva al centro del paese. Percorrendo a piedi il centro storico, si distingue la struttura del borgo medioevale con la strada del Circonvallo, un tempo Via delle Muraglie, che delimitava la cinta muraria ora non più visibile. Del castello ad oggi rimangono una porzione del mastio, il rivellino e la corte rustica. La bellezza delle colline fa da cornice al nostro paese e fa capire con le sue vigne, come l’economia locale si basi principalmente sul vino. Montù offre anche molto altro. Negli ultimi anni le strade del centro storico, la

chiesa parrocchiale e la annessa canonica sono state “restaurate” e riportate al loro antico splendore. Il paese, di appena 1700 anime, può godere inoltre del Teatro inaugurato nel 1902 e recentemente riconsegnato alla popolazione dopo decenni di inattività. La presenza della banda musicale fondata nel 1974 e la corale giovanile istituita nel 2004 permettono ai bambini e ai giovani di inserirsi e di imparare uno stile musicale in totale gratuità. La presenza delle scuole, a partire dal nido fino alla scuola media, permette ai genitori di seguire il percorso scolastico più delicato dei propri figli, in un ambiente più raccolto e controllato. La Biblioteca Comunale è anch’essa un fiore all’occhiello del nostro paese. La recente inaugurazione dell’Enoteca Comunale esprime concretamente la vocazione del nostro territorio. Pro loco, Associazione di volontariato Mons Acutus,

Circolo Insieme, Associazione del Teatro, Complesso Bandistico Montuese, Lions Club “Le Vigne”, Corale Parrocchiale San Michele Arcangelo, Società Operaia, Biblioteca, Associazione Alpini, tutte queste realtà contribuiscono, chi da un punto di vista culturale chi ludico e chi sociale, a rendere Montù un paese ricco di iniziative ed estremamente vivibile. Inoltre le attività commerciali del paese, la presenza della Farmacia, l’Ufficio Postale e la Caserma dei Carabinieri concorrono a completare i servizi nel paese. Per raccontare la storia di questo paese, Montù Beccaria, o meglio Mons Acutus come era chiamato in origine, bisogna fare un salto indietro di diversi secoli. Il primo documento, assolutamente il più antico riguardante tutto l’Oltrepò Pavese, fatto salve l’archivio del monastero di Bobbio, risale al 23 giugno dell’anno 870 e tratta di una permuta di un terreno a vigneto in località Tassarole. Un altro do-

cumento del 965 nomina la località Bergamasco. Il nome di Mons Acutus appare ufficialmente per la prima volta il giorno 8 agosto 1164 in un diploma di Federico Barbarossa che riconosce la fedeltà da parte della citta di Pavia nella guerra contro Milano e per gratitudine concede alla città il controllo dei diversi paesi tra i quali Mons Acutus già facenti parte dell’Agropiacentino. La certezza dell’esistenza del Castello si ha invece in un documento datato 15 novembre 1184 in cui è scritto che il console di Mondonico invia numerosi carri trainati da buoi a Mons Acutus per portare pietre al castello . Nei secoli successivi si verificano diversi scontri molto cruenti tra milanesi, piacentini (Guelfi) e pavesi (Ghibellini) che portano ripetutamente alla distruzione e successiva ricostruzione del castello. Durante uno di questi episodi nasce la leggenda legata alla Chiesa parrocchiale.


17-24 agosto: agosto montuense Nell’anno 1303 Manfredino Beccaria, braccato dai nemici che avevano espugnato il castello, fugge e trova rifugio in una boscaglia poco distante. In quel momento fa il voto che, se si fosse salvato, avrebbe fatto costruire una chiesa proprio in quel luogo. Questo è il motivo per cui la Chiesa parrocchiale di Montù si trova ribassata rispetto al piano stradale e non in posizione dominante. Scorrono i secoli e la potente e nobile famiglia pavese dei Beccaria resta sempre legata a Montù. In quell’epoca era molto importante per la nobiltà riuscire a trasmettere il proprio cognome alla discendenza e mantenere cosi il feudo. Il Conte Aureliano Beccaria ebbe un’unica figlia, Lucrezia Antoni, che sposata due volte non diede eredi e il ramo della famiglia Beccaria si interruppe. Per questo motivo Aureliano Beccaria decise, ancora in vita, di lasciare il castello, 6000 pertiche di terra e quantità ingenti di denaro ai padri Barnabiti. Sofferente del “mal della pietra” (calcoli renali), venne curato amorevolmente dai padri Barnabiti e così, ancora in vita, nel 1589 lasciò quanto specificato precedentemente, ponendo alcune condizioni: - edificare una Chiesa intitolata a Sant’ Aureliano (di cui oggi si possono vedere l’ingresso e l’abside) - edificare un convento capace di ospitare sei Padri che istruissero circa una quindicina di novizi (il Castellazzo) - istituire una farmacia (spezieria) per distribuire medicinali ai poveri - distribuire gratuitamente una certa quantità di pane ai poveri - fornire una dote ad alcune ragazze povere in età da marito, scelte tra le più meritevoli e moralmente integerrime e altre indicazioni che dimostrano quanto il conte Aureliano fosse un grande benefattore. Gli ultimi due anni di vita li passa a Venezia presso il convento dei Barnabiti dove il 4 dicembre 1590 muore. Viene tumulato nel convento dove era ospite e nel febbraio dell’anno seguente viene traslato a Pavia. Il feretro viene nascosto in mezzo a casse di cera per candele appositamente acquistate e caricate su un barcone che risalendo il Po riporta il Conte a Pavia in tutta segretezza. Qui viene celebrato il funerale in pompa magna. La notizia della morte arriva velocemente alle orecchie della figlia che non avendo accettato la estromissione dall’asse ereditario e la perdita del castello di Montù, esce dal convento in cui era stata fatta rinchiudere dal secondo marito (motivo per cui verrà scomunicata) si accorda con i parenti Beccaria, che erano interessati al patrimonio e ingaggia uno squadrone di 60 armigeri per scacciare i Barnabiti dal castello. Il tutto avviene 5 giorni dopo la morte del padre. I Beccaria dopo l’assalto si rimpossessarono del castello e i Padri Barnabiti vennero allontanati da Montù. Seguì una causa legale che si concluse dopo 14 anni a favore dei religiosi che rientrarono in possesso del castello. Nel 1607 le spoglie di Aureliano vengono portate a Montù nella chiesa di San Aure-

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Scorcio di Montù Beccaria

liano al castello (oratorio dei Disciplinati acquistato dai padri nel 1589 e utilizzato solo dopo il ritorno dei padri a Montù nel 1604). Dal 1614 al 1802 i barnabiti continuarono la loro opera di carità nei confronti della popolazione montuese. Nel 1701 edificarono la nuova Chiesa a pianta ottagonale al posto della precedente chiesetta. Il Castello, di forma triangolare con una torre ed il rivellino, venne utilizzato per più di un secolo dai Barnabiti adattandolo alle proprie esigenze con lavori saltuari, finchè nel 1730 decisero di smantellare il castello dando inizio alla costruzione del convento (che doveva essere tre volte più grande). Quando Napoleone Bonaparte scese in italia, soppresse gli ordini minori religiosi, e così la storia dei barnabiti a Montù ebbe la sua conclusione. I francesi impossessatisi dei beni dei frati distrussero la chiesa, vendettero i mobili da sacrestia e l’altare maggiore alla parrocchia di San Michele Arcangelo, e il convento alla famiglia Vercesi il 23 settembre 1809. Durante il secondo conflitto mondiale, il 14 novembre 1944, i tedeschi, convinti della presenza dei partigiani al Castellazzo, spararono dalla collina di Belvedere 27 cannonate sventrandone la facciata. Ad oggi del castello rimangono una parte del mastio, il rivellino, ed è leggibile la cinta muraria che si evidenzia nel circonvallo. Della Chiesa, intitolata a Sant’Aureliano, restano l’abside e l’ingresso. Il convento è conservato per intero.

Bibliografia: Marco vercesi Montù Beccaria Note Storiche - Milla Giacoboni Aureliano Beccaria - Padre Celeste Vecchi

Archivio Famiglia Vecchi Archivio FamigliaVercesi

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SANTA MARIA DELLA VERSA

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Mangiare in Oltrepò: considerazioni di un ‘‘etrangère’’

Sul bancone dell’osteria di Sannazzaro, piccola frazione di Santa Maria della Versa, è esposto, ma con discrezione, un romanzo di Mino Milani: ‘‘L’uomo venuto dal nulla’’. La dedica all’interno, vergata dall’autore, è ‘‘Al mio protagonista’’. Il protagonista in questione è un ex soldato della Légion étrangère, ‘‘che porta nel cuore un po’ di malinconia, molto coraggio e comprensione per tutti’’. Caratteristiche che Milani ha rivisto in Romano Boccasile, ex legionario; oggi titolare, insieme alla moglie Valentina Degl’Innocenti, della trattoria Mondo Piccolo. Non sappiamo fino a che punto il Boccasile sia veramente così comprensivo: non tollera che nel suo locale si fumi, si bestemmi, si alzi la voce, ci si rivolga scortesemente alle signore. Ovvietà? Non dovunque, e non dovunque in Oltrepò. E non accetta nemmeno che si passi il tempo, a tavola, con in mano il cellulare, quando fuori dalla veranda il panorama a disposizione mozza, e letteralmente, il fiato. Questi sono i lineamenti di un ristoratore che non esita a mettere alla porta chi non rispetta le regole. Quelli dell’uomo sono ancora più istruttivi, come istruttiva è la sua storia. ‘’Mi raccomando: manteniamo un profilo basso nell’intervista, quando parliamo della Legione’’, si raccomanda il nostro interlocutore, prima di iniziare a raccontarsi. Ma non è semplice smussare il personaggio e certe sue esperienze indimenticabili. Come quella volta, a Beirut, che con i suoi compagni mise in salvo decine di bambini rimasti all’interno della loro scuola durante un bombardamento.

Da Milano alla Legione Straniera, dalla Toscana alla Val Versa. I mille mondi di Romano Boccasile, professione ristoratore

Dove nasce Romano Boccasile? «Io sono milanese. Sono figlio di un pittore artistico (e nipote dell’illustratore Gino Boccasile, ndr) e di un’assistente sociale, quindi non vengo da una famiglia di militaristi. Poi per uno di quei casi della vita, ancora molto giovane, quando mio padre era deceduto da poco, ho conosciuto una Francese molto più anziana di me, e l’ho seguita in Francia. Non avevo ancora diciott’anni». Una nuova vita… «Già. Ma il mio diplomino italiano lì non aveva nessun valore. Per un po’ me la sono sentita di far il “mantenuto”, dato che lei era molto abbiente. Poi quando stava per arrivare il figliolo ho incominciato a farmi un po’ di domande e ho deciso, pur di dimostrare qualche cosa, di ingaggiarmi nella Legione Straniera. Dapprima è stata molto dura, ma poi ci ho fatto l’abitudine». La celeberrima Legione Straniera, un corpo di combattenti provenienti da tutto il mondo, alle dipendenze della Repubblica Francese. Che ancora oggi esercita grande fascino anche nei nostri connazionali, nonostante si tratti di una vita per niente semplice. In che anno è divenuto legionario? «Era il 1980. Allora era tutta un’altra cosa. Non c’era la tecnologia: oggi come oggi un ‘‘seconda classe’’ che prende quattro sberle da un caporale e ha un occhio nero, si fa un selfie, lo invia a Paris Match e la Legione deve renderne conto. Questo ha cambiato le cose perché l’istruzione militarista, ai tempi, era di tipo molto più coercitivo rispetto ad oggi». Come l’ha cambiata questa esperienza? «Sono rimasto per più di un decennio nella Legione. Sono entrato che ero un ragazzino di 18 anni e sono uscito uomo fatto. Avevo un figlio, una ex moglie - dato che in quel periodo divorziammo - e un bagaglio di esperienze differente da tanti altri. La cosa che più ti rimane attaccata sono i traumi, la vita del militare. Non si può capire dall’esterno». Una vita tutt’altro che sedentaria. In quali teatri è stato impiegato come militare? «Ciad, Nouvelle-Calédonie (Nuova Caledonia), Repubblica Centrafricana, Togo, Senegal, Afghanistan, Kuwait, India…» Perché ha deciso di uscirne? «Per paura e per le esperienze vissute». E la passione per la cucina come è nata? «L’idea della cucina partì perché per un periodo rimasi inadatto al servizio militare, e quindi ero bloccato in caserma. Naturalmente non avevo niente da fare, un po’ annoiato, così iniziai a partecipare agli stage che il reggimento organizzava. A un certo punto fra gli altri uscì quello sulla cucina, ci andai e mi accorsi che avevo passione per questa attività».

Un colpo di fulmine… «In realtà dopo quel corso la cosa era rimasta latente. Durante le licenze, quando mi ritrovavo con amici, mi divertivo a cucinare per loro e apprezzavano. Poi una volta rientrato definitivamente in Italia mi ero messo a fare l’autotrasportatore. Ero da solo, non avevo bisogno di dovermi rapportare continuamente con altre persone, ed era quello che volevo in quel momento». Serviva un periodo di scarico? «In realtà la Legione è molto avanti in questo, prevede dei periodi di “soulage” (sollievo) di tanto in tanto; ti mandano in posti tranquilli, per esempio ero stato per un periodo a Tahiti, o per un altro in Thailandia».

«In Toscana diventavano matti se gli portavi la bottiglia di Bonarda. Il vino, quello rosso soprattutto, per loro è un vino fermo. Proporgli un vino rosso vivace, ma di corpo, per loro era straordinario» Ma quella dell’autotrasportatore non era la sua vera vocazione. «Dopo un po’ di anni avevo accumulato un po’ di risorse, e così ho iniziato a collaborare con alcuni locali. Iniziando da un pub di Milano il cui proprietario era un mio amico. Mi occupavo, all’inizio, anche di sicurezza. Poi sono finito in Toscana con altri amici a dare mano nella gestione di un bar che poi divenne una trattoria. Tutto è iniziato durante quelle licenze nelle quali i miei amici mi incitavano a provarci in

prima persona. Poco a poco, con vari passaggi, sono entrato in società, dapprima con poca percentuale, poi sempre un po’ di più e alla fine con il primo locale totalmente nostro, mio e di mia moglie, qui in Val Versa». Un legionario in Toscana. Dove, di preciso? «A Terricciola, vicino a Pisa, dove gestivo la cucina all’interno di una trattoria». Faceva cucina toscana, quindi? «Cucina toscana come base, poi come da mia abitudine aggiungevo qualche piatto francese. Ma anche la caseoula, il ragò… Diventavano matti, perché non sono piatti ai quali sono abituati. Come diventavano matti se gli portavi la bottiglia di Bonarda. Il vino, quello rosso soprattutto, per loro è un vino fermo. Proporgli un vino rosso vivace, ma di corpo, per loro era straordinario. Stiamo parlando degli anni ’90». Vini dell’Oltrepò in Toscana. Inusuale. Come mai? «Avevo già acquistato casa qui in Oltrepò, in località Francia - neanche a farlo apposta - quando ancora facevo l’autotrasportatore. Era la mia residenza principale. Nel periodo in cui lavoravo in Toscana venivamo qui solo nel weekend, comunque apprezzavo molto la zona e i suoi vini. Come lo apprezzavano i clienti in Toscana. L’Oltrepò ha fatto delle cose uniche in fatto di vinificazione». Quindi alla trattoria attuale è giunto perché qui possedeva già un’abitazione. Ma la domanda, a questo punto, è un’altra: lei, milanese di nascita, francese di adozione e toscano per professione, perché ha deciso di vivere in Oltrepò Pavese? «Per un certo periodo, quando facevo l’autotrasportatore, ho collaborato con un’azienda di Corteolona. Una volta alcuni colleghi mi hanno proposto di venire a mangiare in collina, e ho scoperto l’Oltrepò Pavese. Che è una zona da scoprire, poco conosciuta. Molti milanesi non sanno che c’è l’Oltrepò: vanno in Toscana perché non sanno che prima c’è qualche cos’altro. Un bacino utenza di 11 milioni di persone lasciato a sé stesso: i turisti vanno dappertutto, in Trentino, in Umbria, in Salento, in Emilia-Romagna… ma qui no. Ci sarà un motivo?». Cominciamo ad elencare qualche differenza - o punto in comune - fra l’Oltrepò e la Toscana. Un compito forse improbo… «Ad esempio è molto più verde, qui. Soprattutto nel periodo estivo. In Toscana brucia tutto. L’erba ai lati delle strade, che qui è verde, là è gialla». Perché l’Oltrepò non funziona come la Toscana? «Perché hanno capacità di accoglienza. Sono riusciti a capire che la grande peculiarità del loro territorio è lo stesso territo-


SANTA MARIA DELLA VERSA rio. E lo tengono in grande cura. Se tu vai a fare un impianto vitivinicolo in Toscana, ti dicono: ah che bell’idea! Dove lo fai? Ma come lo fai l’impianto? Guarda che il boschetto che c’è in quel posto lo devi lasciare. Guarda che i pali li devi mettere in legno. Ma devi usare il legno delle foreste di Miemo, non quello polacco. Devi far lavorare la gente del posto. E se devi mettere a posto la casa, non la rasi al suolo per farti una villetta stile Dolomiti. La rifai benino, con la facciata in pietra o mattoni a vista. Se tagli l’erba nel prato la tagli anche sulla strada. E non la bruci: la conferisci». Una differenza, invece, con il milanese. «Prima di tutto parliamo di cose positive. Recentemente sono stato per questioni di famiglia a Milano. Il mio figlioccio mi ha voluto portare in un nuovo locale, una nuova birreria eccezionale… un posto in cui, di lunedì sera, c’era da scannarsi per poter entrare, tanta era la gente che c’era. Ho bevuto un’ottima birra, servita anche bene, tenendo conto della marea di gente che c’era in quel locale. Ma io guardavo le persone che stavano lavorando: impazzivano. Un locale come il mio, in questo territorio, mi permette uno stile di vita eccezionale». Un aspetto negativo di questo territorio? «L’unica cosa di cui potrei lamentarmi sono gli ‘‘épandage’’, i trattamenti sulle viti, anche vicino al locale. Ma le persone, qui, sono talmente gentili che vengono a chiamarmi prima di iniziare… Effettivamente quando utilizzano questi prodotti è un po’ un problema, ma si tratta di un ristretto periodo dell’anno, e per di più mi avvertono, come dicevo. Io ovviamente ho chiesto agli agricoltori vicini, per cortesia, di non farli il sabato e la domenica, perché ho gente che mangia in veranda: non l’ho mai più dovuto ripetere. Dunque sto di incanto. La sera qui sento gli assioli e la mattina mi svegliano gli uccellini. Altro che stare a Milano…». Effettivamente c’è qualche differenza… «Penso che non potrei più vivere in un altro posto che non fosse questo. È veramente ancora un’atmosfera bucolica. Ho ancora dei clienti che fermano il trattore davanti per entrare nel locale. Io sono felice se arrivano dei turisti inglesi e mi entra il Nello di Montarco, vedono anche loro che la nostra è davvero ancora una realtà rurale. Non siamo come la Toscana, che sembra un presepio, con i paesi tutti lucidati. Certo, però, le strade sono veramente

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Romano Boccasile con la moglie Valentina Degl’Innocenti

orribili». Cosa pensa del modo in cui oggi viene gestito il territorio dell’Oltrepò? «Prima di tutto i miei sono appunto pareri personali, non voglio dare lezioni a nessuno. Sono convinto che la cura del territorio e l’impatto che potrebbe avere un turismo vertente sull’aspetto enogastronomico in una zona con queste peculiarità particolari sarebbe stupefacente. Nei vecchi libri di cucina sono classificate più di 300 ricette

«Uno dei tentativi per acquisire lustro è stato chiamato Cruasé, che in francese vuol dire ‘‘incrocio’’. Ma perché? Una parola francese, quando i francesi sono i nostri nemici giurati in fatto di vino!»

di pesce, perché una volta tutti questi nostri affluenti che vanno a sfociare nel Po erano pescosi. Tinche, carpe, salmorini, trote, gamberi di fiume… c’era una tipologia di gambero di fiume tipico della Valle Versa. Distrutto completamente, o quasi, quando è stato rifatto il letto del fiume». È strano pensare al pesce come piatto tipico dell’Oltrepò… «Molti credono che il piatto tipico dell’Oltrepò sia il branzino al sale. Lo dico come battuta, ovviamente. Ma in realtà capita spesso che mi chiedano di cucinare il pesce. Manca la cultura del territorio. Sono rimasti i ravioli e il brasato, e i ravioli non sono più quelli di una volta». Qual è stato l’impatto che ha avuto con il territorio? «C’è un grosso fattore di sfiducia in questa zona. Non tutti capiscono che un piccolo locale come questo, finché resterà aperto, terrà viva la frazione. Ho visto un sacco di locali chiudere da quando siamo qua. Aperti, poi richiusi, poi riaperti, poi cambio gestione… I motivi possono essere molteplici». Come dovrebbe essere la ristorazione

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tipica del nostro territorio? «Io credo che bisognerebbe rifarsi a una certa tradizione rurale e popolare, con prezzi contenuti. Poi bisognerebbe vedere la singola realtà particolare». Facciamo un esempio di quei piatti che non dovrebbero mancare in un ristorante tipico dell’Oltrepò. Magari qualche piatto che lei propone. «Prima di tutto non dovrebbero mancare i salumi di qualità. L’Oltrepò Pavese è famosissimo per questo. Poi chiaramente l’antipasto classico li prevede in abbinamento ai sottoli, preparati in casa. Come primi solitamente proponiamo tagliatelle, pappardelle, con ragù classico, ragù di bondiola, che è un salume tipico di questa zona ed è caduto nel dimenticatoio. La leggenda dice che sia nato durante la Seconda Guerra Mondiale, perché nascondevano la coppa, il pezzo più pregiato del maiale, all’interno dei tini dove fermentava l’uva. Questo diede fragranze particolari. Prima dell’affinamento, quando è ancora fresca, ci si fa un ragù molto saporito, intenso. Che fa parte nostre tradizioni. Poi i risotti, non possono mancare». Con i porcini. «Solo se li trovo freschi». E a livello di secondi? «Carni: brasato, tipico dell’Oltrepò, arrosto di coppa, carni grigliate». È facile trovare salumi di buona qualità in Oltrepò? «È possibile, ma a volta devi andare un pochino al di là di quello che è proprio strettamente Oltrepò. In realtà Oltrepò piacentino e pavese sono molto simili. Le divisioni sono state fatte politicamente. La Bonarda e il Gutturnio, in pratica sono la stessa cosa, ma anche la mentalità era la stessa». Come vede la situazione dell’Oltrepò fra dieci anni? «Penso resterà così e sotto un certo punto di vista è un bene. Ma da un punto di strettamente vista commerciale il divario è veramente tanto e alcune scelte mi appaiono assurde. Uno dei tentativi per acquisire lustro è stato chiamato Cruasé, che in francese vuol dire ‘‘incrocio’’. Ma perché? Una parola francese, quando i francesi sono i nostri nemici giurati in fatto di vino! L’Oltrepò non si fa riconoscere, e non viene riconosciuto. Le capita mai di guardare il meteo al TG3?». Qualche volta. Di norma viene tagliato prima che finisca per lasciar spazio ad altre programmazioni. «Alpi, Prealpi, Pianura Padana. Fine. L’Oltrepò non esiste nemmeno per il meteo, mai. Dovrebbero dire: Alpi, Prealpi, Pianura Padana, Appennino. C’è anche l’Appennino in Lombardia: siamo noi!». Turisti in Val Versa: se ne vedono? «Durante tutte le estati noi siamo in contatto con alcuni agriturismi o residence che lavorano molto con gli olandesi, che garantiscono una forte presenza. Poi inglesi, tedeschi, qualche francese… c’è una buona base; ci si potrebbe lavorare sopra, se ci fosse la capacità del territorio di gestire questa grossa potenzialità. Con la presenza di professionalità». di Pier Luigi Feltri


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SAN DAMIANO AL COLLE

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«Il Consorzio non è più rappresentativo del panorama vitivinicolo del nostro territorio» Residente a Volpara, ma ‘‘prestato’’ durante la tornata elettorale dello scorso giugno a San Damiano al Colle, dove ha fatto parte della compagine guidata da Cesarino Vercesi, tornata alla vittoria per il secondo mandato: Claudio Mangiarotti, coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia, affianca così l’impegno amministrativo in un piccolo comune della Valle Versa a quello come uomo di partito. Non si può dire che il Vercesi-bis, a San Damiano, non fosse nell’aria (ha vinto con il 95% di preferenze, ndr). Mangiarotti, da cosa nasce questo suo impegno in prima persona? «Era una vittoria annunciata. Avevo già collaborato con Cesarino Vercesi, che comunque è iscritto al mio partito, nella passata legislatura. Per questo mi ha chiesto un impegno in prima persona, per continuare a dare una mano. Devo dire che ho esitato un attimo a rispondere, perché in genere credo debbano essere in primo luogo i residenti ad occuparsi della vita amministrativa del proprio paese. Poi alcuni amici di San Damiano mi hanno convinto, hanno sciolto loro le mie riserve. È iniziata quindi questa avventura». Si tratta del suo primo incarico in prima linea, dal lato dell’Amministrazione Comunale? «È il primo incarico, dopo tanta vita di partito. Mi sono iscritto a 16 anni ad Alleanza Nazionale, nel circolo Gabriele D’annunzio di Santa Maria della Versa, oggi eliminato. Da lì il mio impegno politico non si è più fermato». Come è stato il primo impatto con la realtà di San Damiano? «Vivo in Val Versa, e ne conosco bene la realtà. Me ne sono occupato negli anni passati anche nel ruolo di coordinatore provinciale, così come mi sono occupato delle varie realtà e problemi di tutto l’Oltrepò. Conosco quindi anche San Damiano, realtà che comunque sto imparando a conoscere sempre meglio». Il suo ruolo potrebbe essere quello di facilitare i rapporti con gli enti sovraordinati ad un comune piccolo come San Damiano, che corre il rischio, come tante altre piccole realtà, di rimanere isolato. Si vede in questa dimensione? «Ci sono rapporti ottimi cono gli altri segretari dei partiti del centrodestra, c’è dialogo e ci si sente costantemente. Penso sia importante un’interfaccia fra i piccoli comuni e le realtà politiche, perché in questo momento in cui dilaga il fascino della realtà civica poi spesso viene a mancare quell’anello di congiunzione con la politica dei piani alti. Ma viene a mancare proprio perché ci si dimentica di cercarla, o manca la volontà di farlo». Le possibilità ci sarebbero, o quello di rimanere isolati è un destino quasi inelluttabile per i piccoli comuni periferici?

Claudio Mangiarotti, coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia

«Penso che soprattutto da Regione Lombardia ci sia piena disponibilità ad aiutare ed ascoltare le piccole realtà, ma tante volte proprio da queste c’è una sorta di timore o titubanza nell’avvicinarsi alla politica e alle istituzioni. Tanto più oggi che la nostra provincia, come le altre del resto, è desautorata e povera di fondi». Che contorni assume, nei nostri territori, la debolezza di questo ente intermedio? «Quello provinciale è un gradino molto importante, che la riforma Delrio ha snaturato. Non si è ancora capito cosa succederà, siamo in una specie di limbo. È una situazione disastrosa: non si capisce più di chi siano competenze e compiti. Ad esempio nella gestione delle strade provinciali si è creato un enorme disagio con il problema degli spazzaneve. Per fortuna in Oltrepò non era particolarmente nevicato quindi non abbiamo subito quel disagio che hanno subito altre zone. Purtroppo resta un grave problema». Anche il ruolo di “Casa dei comuni” sembra non essersi concretizzato. «Penso ai sindaci dei più piccoli paesi, come il mio: se prende in mano il telefono e chiama un funzionario della Provincia per risolvere un problema, questo, bene o male, sa precisamente dove è ubicato quel comune. In Regione sanno dove si trova; magari in modo più approssimativo. A livello dello Stato centrale, il funzionario che risponde da Roma ha sicuramente

maggiore difficoltà. Come già accaduto può avere anche difficoltà a collocare la Provincia di Pavia in Lombardia. Più ci si allontana, più si perde la conoscenza del territorio e quindi diventa sempre più difficile intervenire. Per FDI la provincia doveva rimanere. Se bisognava scegliere di eliminare un ente, anche se con dispiacere, si sarebbe dovuto forse pensare più alle regioni. Già ai tempi quando si discusse per l’introduzione delle Regioni ricordo la contrarietà del Movimento Sociale Italiano». Il 31 ottobre gli amministratori comunali della nostra provincia torneranno ad eleggere il Consiglio Provinciale. Cosa accadrà? Il voto di Voghera, che alle scorse votazioni non aveva partecipato causa commissariamento, sarà decisivo. «Altra cosa totalmente sbagliata è che la formazione del Consiglio Provinciale sia stata portata ad essere un’elezione di secondo livello, senza più il voto diretto dei cittadini. Questa volta si rinnova solo il Consiglio e non il presidente, che resta in carica. Sicuramente gli equilibri sono variati rispetto a due anni fa». Ma nonostante il periodo di vacanze, immagino che la sfida sia già cominciata… «I contatti con gli altri partiti di centrodestra ci sono già stati, abbiamo già iniziato a elaborare un dialogo. Sicuramente l’obiettivo di FDI è quello di presentare almeno

un nome, un proprio rappresentante anche in questa istituzione, bistrattata e dimenticata, in cui vogliamo essere rappresentati e rappresentativi, perché credo che sia importante la voce della destra». Come Fratelli d’Italia come vi muoverete in questa partita? «A breve riuniremo tutti i nostri amministratori, per capire un po’ quale strada prendere e su chi puntare in caso di una lista che sarà unitaria». Il Segretario Provinciale, ora che è anche Consigliere Comunale, rientra anche nell’elettorato passivo, oltre che in quello attivo. Ovvero, può essere eletto Consigliere Provinciale… «Devo essere sincero, non ho ancora valutato la mia posizione in questi termini. Sicuramente quello che cercheremo di presentare sarà un consigliere iscritto al nostro partito». Non deve essere poi così ambito il ruolo di consigliere provinciale. I problemi di questo ente sono tanti, a cominciare dalla viabilità. E a meno di non avere la bacchetta magica, partendo da una tale situazione di disastro, sarà difficile fare bella figura… «Il problema delle strade sicuramente è importantissimo per l’Oltrepò, perché la rete della viabilità attuale limita in modo notevole l’espandersi di ogni attività. Sia dal punto di vista produttivo che commerciale che del turistico. I pochi turisti, dopo aver sperimentato uno di quei memorabili viaggi per le nostre disastrate strade, magari scelgono per la domenica successiva un’altra meta. Qui tante volte si rischia di rompere un cerchione e non solo. Non dimentichiamo poi il disagio per chi vive qui quotidianamente». A chi imputa la colpa di questa situazione? «Purtroppo si è arrivati a questo livello perché per troppi anni ci si è dimenticati di svolgere la manutenzione ordinaria, e a volte anche quella straordinaria è stata appena appena tamponata. Purtroppo il territorio dell’Oltrepò, estremamente franoso, non depone a favore di una rete viaria in perfette condizioni: questa è una cosa che oggettivamente bisogna dire. Ma i lavori troppo spesso si sono rimandati, nelle passate amministrazioni. Bisogna anche dire che le risorse, tante volte, si sono impiegate per altre opere pubbliche. Ma queste opere, senza una rete viaria funzionale, purtroppo restano inutilizzate». E in quanto a ponti? È di poche settimane fa l’ennesimo annuncio che il nuovo ponte della Becca si farà. Questa volta a mettere il cappello sul progetto è stata la Lega, per voce della deputata Elena Lucchini. Ma sarà la volta buona? «La situazione dei ponti è un limite per lo sviluppo dell’Oltrepò. Si parla sempre della Becca perché è il caso principale, ma


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SAN DAMIANO AL COLLE non dimentichiamo che anche altri ponti sono chiusi al traffico pesante o con limitazioni di traffico. Nella Provincia di Pavia, che di fatto è tagliata a metà dal corso del fiume Po, e con questi gravi problemi per attraversarlo, le aziende vedono una criticità e sono titubanti nel fare investimenti, dal momento che trovano difficoltà nel trasporto dei loro prodotti per la commercializzazione. Dall’esterno non arrivano investitori in questa situazione, ma anche gli imprenditori locali sono in difficoltà ad investire con questa situazione. A tutto questo si aggiungono i disagi dei pendolari». Una soluzione credibile era stata individuata: un anno fa era stato firmato un protocollo che avrebbe dovuto portare alla creazione di una società, partecipata da Regione Lombardia e Anas, che si sarebbe dovuta fare carico di 350 chilometri di strade pavesi, ponti compresi. Progetto andato in fumo dopo l’insediamento della nuova giunta regionale. «Alla creazione di una nuova agenzia non sono molto favorevole, perché comporterebbe inevitabilmente dei costi. Bisognerebbe piuttosto mettere le nostre strade direttamente in capo all’Anas, oppure dislocare fondi direttamente alla Regione, così che sia questa ad occuparsene in prima persona. In questo momento in cui la Provincia è in questo limbo non si può pretendere che sia questo ente a risolvere tutti i problemi. L’attuale amministrazione e la precedente, d’altra parte, hanno dimostrato poca attenzione al problema e poca lungimiranza, consentendo che si creasse una situazione davvero problematica». Quella dell’Oltrepò, tuttavia, è una rete viabilistica ontologicamente inadatta: se anche venisse riasfaltata completamente, sarebbe comunque insufficiente a risolvere le criticità da lei indicate (attrattività, necessità di nuovi posti di lavoro, benessere dei pendolari). Non crede? «Parliamo di Valle Versa: ieri rientravo a casa dall’autostrada A21, da Stradella mi sono ritrovato davanti un autotreno e sono arrivato a Santa Maria senza riuscire a superarlo, e con una colonna lunghissima di altre autovetture al seguito. Su 15 chilometri di strada non ci sono 500 metri con la linea tratteggiata. Ci sono strade provinciali che hanno la larghezza di una mulattiera. È chiaro che non possono essere adatte allo sviluppo economico del territorio». Qualche tentativo, tuttavia, è stato fatto dall’Amministrazione Provinciale passata, nonostante il grave momento di crisi. Penso, per esempio, alla variante di Bagnaria, sulla ex Statale del Penice. «È stata fatta per facilitare l’accesso a Varzi, ma non ha velocizzato il traffico, dal momento che anche in quel punto non si può sorpassare in sicurezza. Se si fa una strada nuova bisognerebbe farla in modo che porti un miglioramento sensibile». I membri di un consiglio provinciale devono, per poter essere eletti, avere la carica di sindaco o consigliere in uno dei comuni della relativa provincia. Un impegno ulteriore, quindi, che probabilmente passa in secondo piano rispet-

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to ai precedenti, anche perché tutti gli incarichi politici a livello provinciale non prevedono remunerazione. Trova corretto questo aspetto? «Nonostante la politica venga vista oggi con accezione negativa, io da sempre penso che se uno la fa in modo serio, per cercare di risolvere i problemi del proprio territorio e della propria gente in modo onesto e disinteressato, essa diventi la prima forma di volontariato. Credo che però non sia possibile a certi livelli fare politica in modo totalmente gratuito. Una persona deve pur vivere e deve poterlo fare onestamente; deve necessariamente pensare in primis al proprio lavoro e al sostegno della propria famiglia, e quindi potrà dedicare solo il tempo libero alla politica». Questo problema si riscontra quindi anche sul nostro territorio… «Come abbiamo detto i problemi della nostra provincia sono davvero tanti e occorrerebbe davvero tanto tempo per potersene occupare. Essendo inoltre un’elezione di secondo livello in cui possono essere eletti solo amministratori locali i due incarichi si sommano. Oltre all’impegno a livello locale si somma quello provinciale. Per poter svolgere i ruoli in modo serio sarebbe necessario un impegno a tempo pieno. Quindi la situazione attuale è un controsenso». A Voghera abbiamo assistito, poche settimane fa, al passaggio di Marco Sartori dalla Lega al vostro partito. Dati anche i temi di cui parla Sartori, che travalicano i confini vogheresi, c’è stata una regia a livello provinciale per questo passaggio? «Il tutto nasce dopo le elezioni del 4 marzo, quando il nostro segretario cittadino Vincenzo Giuliano e Sartori hanno avuto alcuni contatti. In seguito io stesso ho in-

«Ci sono strade provinciali che hanno la larghezza di una mulattiera. È chiaro che non possono essere adatte allo sviluppo economico del territorio»

«Il motto del nostro partito è ‘‘Prima gli italiani’’. Il ‘‘Modello Sartori’’ sposa alla lettera questo concetto» contrato Sartori, abbiamo dialogato, e ci siamo accorti che i punti in comune erano molti, tra quello che era il modello dal lui proposto e le idee di Fratelli d’Italia. D’altra parte, il motto del nostro partito, fin dalla nascita, è ‘‘Prima gli italiani’’. Il ‘‘Modello Sartori’’ sposa alla lettera questo concetto. I contatti sono proseguiti con i vertici provinciali e regionali, Sartori ha incontrato anche Giorgia Meloni». Cosa pensate della sua proposta di attuare il cosiddetto ‘‘Modello Voghera’’? «Tutti abbiamo apprezzato questa sua proposta, che cercheremo di portare avanti; lui ha dato una disponibilità a farlo insieme a noi ed è per questo entrato in FDI. Una scelta che può sembrare strana sotto certi aspetti. Nel momento in cui la Lega è nel pieno dei consensi, lo scegliere di spostarsi verso un partito più piccolo è una scelta che ho apprezzato molto. L’ho visto come un segnale di disinteresse nei confronti di qualche poltrona. Come scelta di militanza, fatta per portare avanti un progetto, un valore, delle idee. Tutto quello che purtroppo è venuto a mancare nella politica degli ultimi anni». Come porterete avanti il progetto di Sartori su Voghera? «È stata iniziata una raccolta firme nei gazebo, per presentare al Sindaco la ‘‘proposta’’ per adottare questo modello. La “Proposta’’ è uno strumento di democrazia diretta, simile al referendum. Con 500 firme di cittadini di Voghera si può presentare questa istanza al Sindaco, che deve valutare o meno se attuare questo ‘‘Modello Sartori’». Fino a questo momento l’accoglienza da parte dell’amministrazione vogherese è sempre stata tiepida. Cosa cambierebbe se il modello venisse applicato? «Il ‘‘Modello Sartori’’, di fatto, ribalterebbe le graduatorie dell’assegnazione di contributi e di aiuti economici a favore dei cittadini italiani, perché gli stranieri che si avvicinano a questi strumenti di aiuto sociale non dovrebbero più semplicemente produrre un’autocertificazione per dimostrare la loro condizione, ma dovrebbero fornire una documentazione ufficiale prodotta nei loro Paesi, la quale attesti che essi non possiedano immobili di proprietà nelle loro nazioni d’origine. Si passerebbe quindi a uno strumento certo e

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non ipotetico, che garantirebbe un po’ più di equità nei confronti di cittadini italiani che rischiano di finire sempre in secondo piano». Vogliamo, data anche la sua professione, spendere qualche parola di commento per la situazione del comparto agricolo e vitivinicolo della Val Versa? «Anche alla luce del fatto che in Provincia di Pavia oggi come oggi risiede il Ministro dell’Agricoltura, Gianmarco Centinaio, il settore direi che può essere speranzoso e felice. Vado un po’ in controtendenza, ma dico che purtroppo le risorse al mondo agricolo nel corso degli anni ci sono state, come ci sono state anche per il settore della viabilità. Purtroppo sono state utilizzate male in passato. Oggi il fatto di ricevere aiuti economici non è più il nodo cruciale». E qual è questo nodo cruciale? «La richiesta principale non è quella di avere un aiuto economico di 20 o 30 mila euro per l’acquisto di qualche attrezzo nuovo, ma quella di vedere una proposta politica per qualche progetto che valorizzi maggiormente le produzioni del territorio. Assegnare fondi, come spesso accaduto in passato, è assistenzialismo; fare una progettazione nel mondo agricolo è qualcosa che porta verso una remunerazione, un miglioramento dell’attività produttiva, una crescita economica, che darà nel tempo un ritorno sicuramente migliore rispetto a quanto avvenuto sinora». Cosa chiede al nuovo ministro, come agricoltore? «Il mondo agricolo della Valle Versa è totalmente vitivinicolo. È vero che non è direttamente compito del ministro Centinaio, però la revisione dei disciplinari passa anche attraverso l’avallo del Ministero dell’Agricoltura». Cosa va cambiato, secondo il suo punto di vista? «Va rivista tutta la struttura e quindi l’impianto normativo. Altra cosa importante: bisognerebbe pensare anche al fattore di studio e di crescita, mi riferisco a quello che era Riccagioia. Avevamo un centro di ricerca che era fiore all’occhiello e abbiamo lasciato che andasse a spegnersi, invece di valorizzarlo. Tante scelte del Consorzio non sono andate nella direzione di valorizzare le produzioni di eccellenza del mondo vitivinicolo oltrepadano. Questa serie di uscite mostra un malessere tangibile ed evidente, ed evidenzia il fatto che va rivista questa organizzazione, che non è più rappresentativa del panorama vitivinicolo del nostro territorio». Intende dire che il Consorzio avrebbe bisogno di un restyling? «Non è più così rappresentativo: forse nella revisione del mondo agricolo oltrepadano è necessario mettere mano anche al Consorzio. La soluzione non è nemmeno la creazione di un nuovo soggetto, una scissione, insomma. Diventa sempre più difficile dialogare e giungere a una sintesi, finché ognuno rimane arroccato sulle proprie posizioni. Occorre che il Consorzio possa davvero essere rappresentativo di tutte le realtà dell’Oltrepò». di Pier Luigi Feltri



ROCCA DE’ GIORGI

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«Siamo il Comune in Italia con il più alto numero di stranieri» Paolo Fiocchi, classe 1961, è al suo primo mandato da sindaco; è stato eletto nel maggio del 2014 e traccia ad oggi un bilancio del suo operato e parla del suo piccolo paese, Rocca de’ Giorgi. Come si sente di definire il suo ruolo da sindaco finora? «Sinceramente posso dire che è un’esperienza positiva, ma non mi trovo del tutto a mio agio…». Perchè? «Perché ci si scontra con la burocrazia e con qualcosa di molto complesso che è l’amministrazione pubblica. Questa è davvero molto ricca di leggi grandi e piccole, di sentenze della Corte dei Conti e di altri Istituti italiani. Per una persona che sta sempre in prima linea è un po’ difficile. Diciamo che sto capendo adesso dopo 4 anni come funziona». è la sua prima esperienza politica? «Diciamo che in politica mi sono sempre mosso, ma non ho mai partecipato alle attività, non sono mai entrato in consigli comunali o in altre sedi istituzionali». Lei amministra un paese veramente piccolo… «Come dimensioni è abbastanza grande, ma come abitanti arriviamo a 80… è comunque difficile amministrare, come in qualsiasi altro posto, perché ci si scontra con il bilancio. Abbiamo sempre meno soldi che arrivano “dall’alto”». Sarebbe favorevole alla fusione tra Comuni? «Sì,sicuramente! Anche se vedo nella zona delle perplessità perché l’identità territoriale andrebbe persa. Sono dell’idea che la decisione di fusione dovrebbe arrivare dai piani alti. Ogni Comune ha le

Paolo Fiocchi, sindaco di Rocca de’ Giorgi dal 2014

sue necessità e peculiarità e quindi ovviamente gli abitanti magari fanno fatica ad accettare dei cambiamenti; se arrivasse un “diktat” dallo Stato sarebbe più semplice far abituare le persone. Io comunque vedo la fusione come una cosa positiva». Con quale Comune a suo giudizio Rocca De’ Giorgi potrebbe fondersi? «Io, da sindaco di Rocca, vedevo bene una fusione con Lirio per esempio, ma non abbiamo continuità territoriale, pur essendo Comuni molto simili, se non altro come numero di abitanti. Sarebbe stata una bella cosa, perché realtà piccole più o meno della stessa zona si somigliano e hanno le stesse esigenze». Nel suo Comune c’è un alto numero di

residenti stranieri... «Sì, moltissimi. Come percentuale siamo quasi più del 50%. Nella classifica Istat siamo il Comune in Italia con il più alto numero di stranieri. Sono persone legate al mondo agricolo: se non ci fossero stati albanesi, rumeni e marocchini, le aziende agricole del territorio non avrebbe avuto futuro». L’integrazione funziona senza intoppi? «Sì, si sono integrati benissimo. Addirittura abbiamo un signore in consiglio. Diciamo in generale che a Rocca ci sono anche tanti italiani non nati qui e che arrivano da tante e diverse parti d’Italia. Sono veramente pochi quelli che abitano qui e che sono nati qui». Voi siete però già in unione con qualche comune, vero? «Con Pietra de’ Giorgi e Lirio. In questo modo cerchiamo di dare supporto per vari servizi, come il pullmino, l’Auser… Ce la mettiamo tutta per garantire un minimo di servizio ai nostri concittadini. Essendo in unione riusciamo a risparmiare qualche soldo, ma soprattutto garantiamo servizi». Nel suo paese esiste un turismo legato alle seconde case? «Assolutamente. Ci sono molte cascine vuote, che sono state ristrutturate e che sono di proprietà dell’azienda Conte Vistarino e che sono state rese disponibili per le persone che vogliono passare il weekend o un periodo più lungo. Il paesaggio dal punto di vista naturalistico da noi è veramente bello. D’estate quindi aumentiamo gli abitanti: ci sono circa 30 persone in più che tengono vive le cascine. Poi con l’azienda agricola vorremmo organizzare qualcosa, ad esempio degustazioni per

«Io, da sindaco di Rocca vedevo bene una fusione con Lirio»

portare più gente sul territorio. Sarebbe un beneficio per l’azienda e per tutte le altre attività che possono esserci nella valle». D’estate organizzate qualche manifestazione? «Non moltissime a dire il vero. Organizziamo più che altro eventi culturali, legati a San Colombano, perché la nostra Chiesa di San Michele è legata al miracolo di San Colombano: verso l’anno 1000 c’era stato il passaggio della salma del Santo. Noi abbiamo organizzato parecchi eventi che ricordano questo fatto. Poi ne abbiamo organizzato uno ultimamente sulla viticoltura nel Medioevo e secoli successivi: sono venuti professori da noi a spiegare la storia delle viticoltura in generale e dell’Oltrepò». di Elisa Ajelli


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«Amo la regia perchè mi dà in mano la responsabilità artistica e morale dell’opera»

Haikel Amri, salicese laureato al DAMS di Bologna L’Oltrepo Pavese è terra ricca di vigneti, di campi, di verdi terre dense di alberi da frutta, di colline e paesaggi ed albe e tramonti mozzafiato, di esercizi pubblici, di piccole e medie imprese, alcune note a livello nazionale ed internazionale, e di alcune grandi imprese, famose nel mondo. Così come alcuni nomi dell’industria, della moda e della musica, partendo da questo territorio, hanno scalato, fino in cima, la piramide dei valori assoluti, mondiali, delle loro attività. Ma in questi ultimi anni ci sono oltrepadani appassionati, dediti ed impegnati in un settore sin’ora poco noto in Oltrepò: il cinema. Abbiamo incontrato un giovanissimo nuovo esponente di questa straordinaria Arte: Haikel Amri. Parliamo subito di cinema! Quando è nata questa passione in lei? Innanzitutto, lei si è laureato quest’anno al DAMS di Bologna nel corso di “Discipline dell’arte, della musica e dello spettacolo” . Ce ne vuole parlare? «Volentieri. Per 3 anni ho studiato in questa facoltà che non tratta solo cinema ma tutto ciò che riguarda il mondo dell’arte.

Al 1° anno sono obbligatori 5 esami, di 5 indirizzi artistici diversi: letteratura italiana contemporanea, storia dell’arte, cinema, musica e teatro. Sono stati corsi molto belli perchè mi hanno fatto capire quanto l’arte sia legata al mondo nelle varie epoche: ad esempio, ciò che è successo negli anni ‘60 nelle varie arti è tutto omogeneo, perchè dipende dalla concezione dell’uomo nel mondo, in quel determinato periodo. è una cosa che non si riesce ad intuire studiando in qualsiasi scuola media superiore». Questa decisione di finire il liceo scientifico e di scegliere il DAMS, come facoltà universitaria, da dove nasce? è quella per il cinema una passione che lei ha da sempre? «Se intende per quanto riguarda il cinema, non da sempre. Però posso dirle che è una passione che coltivo da quando sono adolescente. Quando ho iniziato a vedere i primi film, mi sono accorto che ognuno aveva qualcosa di diverso dall’altro. Il primo film che ho visto e mi ha colpito sotto questo punto di vista è stato “Arancia Meccanica”; per quanto riguarda la musica, sono

passato dall’ascolto della radio ai Beatles (il primo album che mi ricordo, è Rubber Soul). Per quanto riguarda il percorso di studi che ho scelto, la rivelazione è nata un giorno che sono stato convocato dalla Preside, da studente indisciplinato. Dopo 3 minuti di ramanzina, abbiamo passato gli altri 50 a vedere che cosa avrei potuto fare nella vita. Lei mi ha mostrato varie alternative, tra cui c’era il DAMS di Bologna. L’ottica di andare il più possibile “lontano da casa” mi allettava, anche proprio come esperienza umana, e così in 4^ superiore avevo già deciso che avrei voluto studiare cinema». Qual è la differenza tra il DAMS ( come istituto universitario) e l’accademia? «Il grande problema dell’istruzione italiana è che l’accademia è formativa dal punto di vista pratico, mentre l’università lo è dal punto di vista teorico. Non si riesce a trovare una via di mezzo congrua, in modo da poter fare entrambe le cose. Se tornasi indietro, sceglierei nuovamente di studiare dal punto di vista teorico, perchè credo che la pratica si impari “facendo”. Al con-

trario, nessuno ti può insegnare ad avere un’idea o un’aspirazione». Ma lei vorrebbe fare lo sceneggiatore, il regista, il fotografo o l’aiuto regista... Qual è la sua proiezione professionale? «Sicuramente la regia, perchè ti dà in mano la responsabilità artistica e morale dell’Opera. Dal punto di vista tecnico non saprei. Non c’è una risposta univoca, è come un gruppo musicale in cui ogni componente ha il suo ruolo, suonando lo strumento che più gli compete». Quali sono i suoi registi preferiti? «Dal punto di vista sentimentale le dico Sergio Leone. è il mio regista preferito perchè lo guardi e vedi qualcosa di meraviglioso, sempre poetico. è come vedere un poema epico in immagine. Dal punto di vista umano, mi sento molto vicino a Quentin Tarantino, perchè è grazie a lui che ho scoperto gran parte del cinema che amo. Lui è uno dei registi più conosciuti e mainstream. Mi sono appassionato cercando tra le numerose fonti e ho scoperto che condividiamo anche la scelta del film preferito, che per entrambi è “Il buono, il brutto e


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ARTE E CULTURA il cattivo”, e anche i generi da cui prende ispirazione... Grazie a lui, ed all’accurata ricerca delle fonti, sono riuscito a scoprire dei titoli di film che altrimenti avrei avuto difficoltà a ritrovare, riscoprendo delle chicche». E per quanto riguarda gli altri grandi registi italiani, come Zeffirelli, De Sica, Fellini, Visconti, Rossellini? «Ne ho già detto uno, Sergio Leone. I registi italiani credo che abbiano avuto una grande “fortuna” perchè sono conosciuti in tutto il mondo e sono unici anche per le loro voci e personalità. Citarli tutti sarebbe impossibile perchè sarebbe come fare un torto a qualcuno. Ci sono anche registi meno conosciuti, come Mario Bava, uno dei più grandi geni horror italiani, ora finito un po’ nel dimenticatoio perchè non ha vinto premi o Festival». In che posizione classificherebbe Kubrik, tra i mostri sacri? «Kubrik non è posizionabile, perchè non è stato abbastanza approfondito dai libri di storia del cinema, se non molto rapidamente. E’ un artista a sè stante, che non ha un periodo storico preciso. Ad esempio, film come “Rapina a mano armata” è comunque 40 anni avanti rispetto ai noir degli anni ‘50. “Arancia meccanica” è difficile da inserire in un contesto storico. Se c’è l’horror anni ‘60, i film migliori sono quelli che rimangono dentro a un genere. Trascendendo l’idea di genere e usandola a modo suo, è difficile contestualizzarlo, nonostante abbia comunque avuto un pe-

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riodo storico». Sta per iniziare le riprese della sua prima produzione, che è un mediometraggio. Ce ne vuol parlare? «Nell’indecisione, non avendo le possibilità di gestire il ritmo di un lungometraggio ( che è molto complesso) ma anche avendo le difficoltà di mettere una storia intera in un cortometraggio ( che dura fino a un massimo di 20 minuti), ho optato per questa misura. Quando verrà montato, glielo saprò dire (sorride). Ovviamente la durata dipende anche dal budget a disposizione. Ho un crowfounding in corso, ove ho scelto una cifra massima di 7500 euro in modo che vi sia la possibilità di fare determinate scelte. Ma comunque, anche non raggiungendo una cifra del genere, possiamo pensare di fare qualcosa anche con meno. è ovvio che, come la censura fa diventare intelligenti gli artisti, anche i limiti ci impongono di ingegnarci e compensare. Che è la fortuna del cinema italiano: avere dei limiti e riuscire, con essi, a rendere meglio, che far vedere. è uno dei motivi per cui l’horror italiano è il più conosciuto nel mondo. Infatti la sua prima regola è che “la paura si ha quando non si mostra qualcosa”. Noi, non avendo molti soldi, non facciamo vedere quasi nulla... l’immaginazione è la cosa più spaventosa che l’essere umano possa avere. Motivo per cui l’horror si distingue dallo splatter, che è un exploitation di violenza! Hitchcock faceva paura senza mostrare violenze efferate. Eppure c’era un alto tasso di tensione, da

creare terrore, senza mostrare qualcosa». Come si sta attrezzando per raccogliere questi fondi di crowfounding? «Sto operando con un metodo di lavoro che è quello che impongono questi tempi. Il crowfounding è un’ottima cosa, è una democratizzazione delle possibilità artistiche, perchè ognuno può avere la possibilità di incidere un album o girare un piccolo film. Però per fare ciò è necessario agire con la sponsorizzazione, offire visibilità con i social, mezzi tramite i quali viaggia la pubblicità. Cercherò di fare in modo che, almeno per i primi mesi, la distribuzione venga fatta in sale cinematografiche e non su piattaforme web, perchè è inamissibile il fatto che il cinema venga spesso scambiato con la tv, a qualsiasi livello». Non è quindi favorevole alle series trasmesse da Netflix? «Le series sono un vecchio media riportato in auge da necessità più tecniche e sociali per il pubblico, (lo spettatore fruisce di un film con maggiore comodità a casa piuttosto che al cinema). è ciò di cui si lamentava Fellini quando parlava dello zapping! Non succede nulla di diverso rispetto agli anni ‘50, con la differenza che in quegli anni il cinema riusciva a sopravvivere. Spero che ciò sia possibile anche adesso, perchè penso non sia necessario avere delle conoscenze di un certo tipo per capire che c’è differenza tra guardare un episodio di un film a casa piuttosto che in una sala. è il motivo per cui i Lumière sono stati gli

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inventori del cinema. La proiezione era già stata inventata, loro l’hanno resa pubblica, in modo che più persone ne potessero fruire insieme, nello stesso tempo e luogo. Se non fosse così, sarebbe stato Edison l’inventore del cinema». Quante persone sono coinvolte all’interno di questo suo primo lavoro, e quando si chiuderà il crowfounding? «Di passaggio, tra le 10 e le 20. Gli attori sono tutti ragazzi che appartengono al teatro. I musicisti mi aiutano con la registrazione del suono, l’equalizzazione e la masterizzazione (ambito del quale io non ho le competenze necessarie)... e poi altri, più tecnici, con un trascorso meno artistico ma maggiori competenze dal punto di vista tecnico (cameraman, montatore, make up artist... ) . Il progetto si chiude il 15 Settembre, quindi c’è ancora tempo». Ha un messaggio da dare ai lettori, per coinvolgerli in questa iniziativa di crowfounding? «Il titolo del mediometraggio sarà “Out of them” , che ha anche una pagina fb in cui vengono pubblicati dei contenuti, stando il più lontano possibile dal dichiarare news prima del tempo. La piattaforma è www. produzioni dal basso.com, sulla quale sono inserite tutte le informazioni e si può fare una donazione libera, che avrà anche delle ricompense. Il crowfounding ha proprio questo scopo, partire dal basso, rivolgendosi al pubblico piuttosto che alle produzioni». di Lele Baiardi



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«Il dialetto spesso con una o due parole riesce a spiegare un concetto per il quale ci vorrebbe una frase articolata in italiano» Il dialetto vogherese viene ancora parlato oppure sta pian piano scomparendo con le nuove generazioni? Il vogherese è un dialetto interessante perché si trova al centro di tre aree linguistiche diverse, quella emiliana e quella piemontese, oltre alla lombarda occidentale cui appartiene. Queste tre aree con quella genovese costituiscono la famiglia dialettale gallo-italica. Da questa comune origine deriva la somiglianza col francese. La maggior parte dei suoi vocaboli deriva dal latino. Non dimentichiamo che la prima invasione del territorio iriense risale al 222 a.C. con la sconfitta nella battaglia di Clastidium (Casteggio) quando il latino venne imposto alle popolazioni sottomesse e si sovrappose alla lingua locale. La conquista romana non fu certo l’ultima in ordine di tempo. E cosi abbiamo termini presi da altri popoli che ci sottomisero e attraverso i quali si può ripercorrere la storia delle invasioni, come i Longobardi e gli Spagnoli. Ma se le conquiste portarono innovazioni lessicali, lasciarono il vogherese invariato per millenni, perché si trattò di dominazioni di breve durata. Un tempo parlato dalla maggior parte della popolazione locale il dialetto è diventato poi negli anni del Regno d’Italia un simbolo di ignoranza e poi via via sempre meno usato. I giovani spesso non lo conoscono e non lo capiscono e a parlarlo sono rimaste le generazioni del dopoguerra. Negli ultimi anni si sono costituite alcune compagnie teatrali amatoriali facenti capo alle Unitre che portano in scena alcune commedie in dialetto vogherese. Abbiamo incontrato Flavio Gandini, vogherese doc che fa parte della compagnia teatrale dell’Unitre di Casteggio e che cura i testi in dialetto vogherese delle varie commedie. Signor Gandini lei che lavoro fa nella vita? «Io faccio il pensionato e il nonno che è il lavoro più bello che possa esistere. Sono andato in pensione da poco e prima mi occupavo di logistica, trasporti nazionali e internazionali. Mi sono diplomato all’Istituto Agrario “Gallini” di Voghera ma poi ho trovato lavoro in un ambito diverso. Una delle mie passioni è sempre stata il dialetto vogherese». Come mai questa sua passione per il dialetto? «Ho incontrato nella mia vita forse le persone giuste. Sono stato scolaro del maestro Lusardi e fino all’età di 14 anni sono cresciuto all’ombra della Madonnina dei Padri Barnabiti e, da un certo punto di vista, non si poteva evitare di parlare dialetto. Frequentando l’oratorio sono finito a far parte del locale teatro dell’oratorio recitando nel “Gelindo”». Nella sua famiglia c’era qualcuno che

«Il dialetto è stato combattuto, si parlava l’italiano per distinguersi. Magari si continuava a parlarlo in casa ma fuori si preferiva l’italiano».

Flavio Gandini, appassionato di dialetto vogherese

parlava il dialetto? «Sono stato cresciuto da mia nonna paterna che era figlia di un contadino dei Conti Meardi, aveva la terza elementare che a quell’epoca era già un titolo di studio, e mi ha sempre parlato in dialetto. Durante le serate, passava molto tempo nella biblioteca del Conte a leggere e mi raccontava, ovviamente in dialetto, molte storie che aveva letto in italiano. Mio papà parlava anche lui il dialetto, mia mamma che è di origine veneta ma è venuta qui da bambina lo parlava bene anche lei. Quindi io sono cresciuto con questa passione. Che il dialetto sia cultura però l’ho capito un po’ più avanti e quando tra gli anni ’80 e ’90 con il maestro Lusardi abbiamo iniziato a parlare di mettere in scena commedie dialettali, mi son buttato nel progetto con entusiasmo. Poi quando son venuti a mancare i trascinatori, la cosa è finita un po’ lì e io ho continuato per conto mio a leggere testi in dialetto». Com’è nata la sua collaborazione con l’Unitre di Casteggio? «Avendo la passione per la recitazione, tramite alcuni conoscenti e amici ho iniziato a frequentare questa associazione e a collaborare con il gruppo teatro, traducendo i testi teatrali dall’italiano al dialetto vogherese, oltre naturalmente a recitare nella compagnia. Oltretutto per scrivere

in dialetto vogherese bisogna conoscerlo bene perché nel giro di pochi chilometri ci sono tantissime variazioni di pronuncia. Devo dirle che il dialetto di oggi non è né il dialetto di mia nonna né quello di mio padre, ci sono state diverse contaminazioni nel dopoguerra con le immigrazioni provenienti dall’Appennino Ligure-lombardo e soprattutto si è persa la lettera ” erre” negli articoli. Per esempio mia nonna diceva “ra via Emilia”, (la via Emilia). I testi del Maragliano contengono tutti l’articolo “ra” ma questo è anche logico perché il dialetto è una lingua viva come tutte le altre». Perché, secondo lei, si è un po’ abbandonata la cultura del dialetto? «Ma guardi, secondo me, intorno agli anni ’80 la persona che parlava il dialetto non era fine, elegante. Il dialetto è stato combattuto, si parlava l’italiano per distinguersi. Magari si continuava a parlarlo in casa ma fuori si preferiva l’italiano». Lei non ritiene che alcuni espressioni dialettali siano molto più caratteristiche e calzanti di quelle in italiano? «Certamente. Le faccio un esempio. Se io dico “La lù l’è strupi”, ci vuole un panegirico per indicare le problematiche fisiche di quella persona. L’espressione “ta ma smii Dario” (assomigli a Dario) per tante persone non significa nulla perché non

hanno conosciuto questo personaggio degli anni ’60 carico di spille e medagliette che si aggirava in Piazza Meardi. Il dialetto spesso con una o due parole riesce a spiegare un concetto per il quale ci vuole una frase articolata in italiano. E poi è una lingua colorita, allegra, spontanea. Io a volte lo intercalo con l’italiano perché arricchisce il discorso. Appena ne ho la possibilità, magari con qualche amico, io parlo il dialetto cosa che non riesco a fare con mio figlio perché non lo capisce. Il dialetto è anche molto musicale e bisogna parlarlo molto bene oppure astenersi». Torniamo al teatro. Lei quindi ha iniziato a scrivere commedie in dialetto vogherese? «No, io non scrivo in dialetto, faccio l’interprete e traduco i testi italiani in dialetto vogherese, cosa che non è molto facile e richiede del tempo. Infatti non si trova un dizionario Italiano-dialetto vogherese, esiste il contrario e quindi è più complicato. Però la cosa mi diverte molto e quindi lo faccio con passione. Da quattro anni all’Unitre ci divertiamo a mettere in scena questi piccoli lavori teatrali che riguardano fatti di vita quotidiana. Un esempio è “Tùt pr’una statua” (Tutto per una statua) che riguarda il fatto di una statua decapitata in un paese collinare. Con quello che raccogliamo dalle rappresentazioni cerchiamo di aiutare la Parrocchia». Finiamo con una citazione tipica del dialetto vogherese. Quale le piace ricordare? «Le dirò una frase del maestro Lusardi che io recito. “L’amur l’è no pulenta, as pò no tajal a fat, sa t fè tant da piag sul visi, t’è pù bon da smat». ( L’amore non è come la polenta, non lo puoi tagliare a fette, se fai tanto da prenderci il vizio, non riesci più a smettere). di Gabriella Draghi


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Nessuna correzione, respiri out of time, 10 tracce: «Live in Studio» Una delle voci più apprezzate della nostra terra, interprete dei maggiori cantautori nazionali e delle più calde voci internazionali, da anni solca i palcoscenici dei più prestigiosi locali del Nord-Italia, e quest’anno arriva all’esordio discografico! Abbiamo incontrato Michela Bonelli. Come nasce la sua passione per la musica? «Ho scoperto la bella musica a 5 anni in famiglia da mio papà, che era un chitarrista e cantante e mi faceva ascoltare davvero buona musica, come Sinatra ed Elvis! A 15 anni ho poi conosciuto per caso Lidia (Mingrone, n.d.r.), in una serata al ranch con amici, e su suo invito, imboccata dai miei amici (sorride), ho cantato “Pensiero Stupendo” di Patty Pravo, che è stata la mia prima canzone. Da li ho imparato cosa significasse stare su un palco, anche perchè le prime serate con Lidia le facevo spalle al pubblico!». Già a 15 anni i suoi gusti musicali erano di genere cantautorale? «Sì, ma lo sono sempre stati. Probabilmente è per quello che inizialmente avevo difficoltà a rapportarmi con un pubblico che chiedeva principalmente qualcosa di più commerciale e ballabile». Chi sono i suoi autori preferiti? «Pino Daniele, Fabio Concato, Roberto Vecchioni, Ivano Fossati, Claudio Baglioni, Alex Baroni, Amy Winehouse». A seguito dell’inizio con Lidia, ha poi proseguito cantando come solista? «Sì... dopo parecchio tempo, anche se non ricordo quando. Dopo qualche anno di collaborazione mi sono fermata, per decidere che strada intraprendere». In questo periodo di pausa è nata la passione per la fotografia? «Esatto, nel 2003. in quell’anno ho conosciuto anche Luca Jurman, ad un suo concerto a cui ero andata perchè lo sapevo essere l’insegnante di Alex Baroni! Da lì ho iniziato la scuola con lui, grazie ai sacrifici di mia madre, che è durata un paio d’anni» è stata un’esperienza positiva o negativa dal punto di vista vocale? «Utile! Non parlerei di positività o negatività. Utile perchè mi ha insegnato delle cose». Poi avviene questo richiamo della musica Live, della band... «Sì, perchè volevo essere più libera di scegliere quali brani fare e come farli, senza sentirmi costretta in un brano con sempre la stessa metrica e melodia. Le basi, essendo preconfezionate, mi obbligavano ad una stesura obbligata». Chi sono stati i primi musicisti con cui ha lavorato? «Cesare Chiesa, Giacomo Lampugnani, Mario Zara, Alessandro Balladore... Poi avevo fatto un bellissimo omaggio a Mia Martini con Mario Zara, Eugenio Mori, Loris Stefanuto, Balladore. Era il 2013...».

Michela Bonelli, fotografa e cantante vogherese

Ha avuto però, in questi anni, a livello trasversale, un rapporto di collaborazione con Mattia Goggi, come duo, “The Bonelli’s”. «Sì, abbiamo iniziato a collaborare e ci siamo innamorati musicalmente a vicenda. Con i “The Bonelli’s” , anche se è un progetto iniziato 3 anni fa, ed ora ho anche

altre situazioni. Collaboro con Luca Meneghello (chitarra e voce). Il gruppo si è ampliato con Andrea Civini, Mattia Goggi, Giacomo Lampugnani, Mirko Taurino e Andres Villani. E con un altro grande saxofonista: Michel Monestiroli». Prima di Goggi, c’è stata qualche altra formazione?

«No, prima di Mattia mi ero fermata per un periodo per esigenze legate alla maternità. In quel periodo non cantavo più, ma lavoravo come fotografa freelance». Nel corso di questi anni, sono cambiati anche i suoi gusti musicali? «Sicuramente interpreti come Sinatra o Dean Martin rimarranno sempre, pur facendo parte del mio primo repertorio. I gusti si sono ampliati, anche se non riesco ancora ad ascoltare la musica contemporanea, nè italiana nè straniera. Ascolto solo Jamie Cullum, Paolo Nutini, Sam Cooke, Natalie Cole, Bruno Mars. Come pietre miliari Lionel Richie, Stevie Wonder. Marvin Gaye. A livello italiano, ad esempio, Niccolò Fabi e Max Gazzè». Arrivando agli ultimi mesi, ora c’è una particolare dedizione al lato commerciale del suo talento artistico. è gia in vendita dal 18 Luglio questo progetto, composto con Eros Cristiani, altro grande musicista della nostra zona, e sono 10 tracce di un album realizzato in studio, dal titolo appunto “Live in Studio”. «Sì, perchè è realmente un Live in studio. Nessuna sovraincisione, correzione... nell’album infatti ci sono dei respiri out of time, e sono ben contenta che ci siano perchè testimoniano la vena autentica di questo lavoro. L’abbiamo registrato al Music Factory di Tortona, tipo in un pomeriggio. Eros ha fatto alcune tracce con il piano, Mattia con la chitarra, Andrea con la batteria. Pur essendo un album di cover riarrangiate, stiamo avendo dei buoni risultati. è un progetto fatto in previsione di un album di inediti, che mi auguro esca prima della fine del 2018». Ha qualche progetto di promozione Live? «In realtà tutto ciò che riguarda la promozione non avrà un grande investimento di tempo... questo lavoro rimane un biglietto da visita perchè è il primo lavoro distribuito su tante piattaforme digitali (Spotify, Google Play, Itunes...). Riguardo invece al progetto di inediti, io sto scrivendo i testi e ho chiesto ad amici di musicarli. (Goggi, Meneghello, Alù..)». In una previsione futura, se ti venisse proposto di partecipare al Festival di Sanremo o ad una Kermesse nazionale, accetteresti? «Sarebbe assurdo dire che non lo farei. è chiaro che poi il mio fine è un altro, non è la musica italiana di oggi». Che consiglio vorrebbe dare ad un giovane che vorrebbe iniziare la carriera artistica? «Di avere un lavoro in banca e di avere le spalle coperte perchè la vita dell’artista è dura. E di investire tutte le energie che ha in ciò che vuol fare, considerando anche i limiti, di ogni tipo». di Lele Baiardi


MUSICA

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«T’se propi un gratäcù» così nasce il nome Piracanta Piracanta è un gruppo dialettale cabarettista composto da Pierluigi Dezza di Montecalvo Versiggia, Marco Ricotti, bronese, e da Dario Torretta di Bosnasco. Pierluigi e Marco si sono conosciuti al liceo, mentre Dario suonava come bassista in un gruppo punk ed, insieme a Pierluigi, è capitato si esibissero nello stesso gruppo. Pierluigi quando nasce il gruppo Piracanta? Perché questo nome? «Il gruppo si è formato circa quattro anni fa... abbiamo iniziato a fare un po’ di musica dialettale, ma anche qualcosa di italiana classica, e tutto è nato quasi per caso. Anche il nome è nato per caso: una sera stavamo suonando in un noto locale a Torricella Verzate e un “vecchio” si rivolge ad un altro dicendogli: “T’se propi un gratäcù”, così ci è venuta l’idea! Per renderlo meno volgare, abbiamo optato per Piracanta, termine in italiano di questa pianta con le spine». Da chi è composto il gruppo? «Principalmente il gruppo è composto da Pierluigi Dezza e da Marco Ricotti (percussionista) e, impegni di lavoro permettendo, da Dario Torretta (chitarra classica). In realtà, noi puntiamo ad esibirci durante le “baraccate”, perciò chi vuole può unirsi, nel senso che, chiunque conosca canzoni popolari è ben accetto! Per esempio, durante un’esibizione a Rovescala è capitato che un signore sapesse una strofa dello “spazzacamino” (che noi non conoscevamo), ma insieme l’abbiamo intonata». Pierluigi quindi la vostra musica è improvvisazione? «La maggior parte sì, non facciamo mai scalette. L’obiettivo dei Piracanta è fare “baracca” e, soprattutto puntiamo alla rivalutazione del panorama musicale-vitivinicolo dell’Oltrepò Pavese... la musica è un mezzo! La nostra attrezzatura durante le esibizioni richiede tovaglia a quadri e due o tre fiaschi di vino. In base al pubblico che ci troviamo di fronte, a volte diventa quasi più un cabaret che uno spettacolo musicale e sempre tutto improvvisato!».

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Bosnasco, Broni e Montecalvo Versiggia: «L’obbiettivo è fare “bararacca”»

“I Piracanta”, gruppo dialettale cabarettista Che genere suonate? A chi vi ispirate? «Ci ispiriamo a Nanni Svampa... una mia amica mi regalò un cd de “I gufi” (gruppo musicale italiano degli anni ‘60) che appunto faceva dialettale milanese misto cabaret. Noi siamo partiti da qui, ora facciamo anche Gaber, Jannacci, Pozzetto e Cochi». Siete nati e cresciuti dell’Oltrepò Pavese. Offre spunti e occasioni? «Il territorio dell’Oltrepò Pavese offre molti spunti dal punto di vista musicale popolare... in qualunque osteria del posto, se hai con te una chitarra, è molto facile tirare in piedi una “baraccata”. Il nostro obiettivo iniziale era questo: noi volevamo andare in giro nelle osterie e animare “a tradimento”, senza neanche che l’oste lo sapesse (la nostra storia è iniziata davvero così); è molto facile con del buon vino e del buon cibo, intonare “camarer portam

un mes litar” per ordinare il vino». Quindi è proprio la gente a darvi gli spunti musicali? «Metà del nostro attuale repertorio musicale lo abbiamo creato da richieste della gente o da canzoni cantate e improvvisate durante le esibizioni... una volta, per esempio, sono andato ad aiutare un amico fiorista durante un matrimonio, avevo con me la chitarra (la porto sempre con me, non si sa mai...) questo matrimonio è stata una vera fonte d’ispirazione: insieme allo sposo abbiamo intonato “io le toccai i capelli”, che da allora è entrata in maniera persistente nel nostro repertorio». Piracanta è una passione o qualcosa di più? «Ad ora è una grande passione... abbiamo già degli ingaggi, quindi potrebbe diventare qualcosa di più». Qual è il messaggio più importante che

volete lanciare con le vostre esibizioni? «Prima di tutto ci piace suonare e cantare, amiamo il buon vino, ma soprattutto vogliamo far divertire le persone. Abbiamo scritto una canzone “Milanes in Oltrepò” (in stile Beagles – noto gruppo folcloristico della Valle Versa), questa canzone ha uno sfondo culturale dove (in senso ironico) gli abitanti dell’Oltrepò sfottono il milanese che guida a due all’ora. A prescindere dai messaggi delle canzoni, vogliamo far divertire le persone e, soprattutto, rendere l’Oltrepò un posto migliore! Noi siamo estremamente legati a questa terra». Come gestite la musica con le vostre vite private? «Ovviamente noi abbiamo altri lavori, però non mancano le occasioni per ritrovarci e provare... il nostro appuntamento fisso una volta a settimana, non manca mai». Dove vi esibite solitamente? «Dove capita, qualunque posto è adatto alle “baraccate”; la cosa importante è riuscire a coinvolgere le persone». Pierluigi cosa avete in cantiere? «A breve presenteremo una nuova canzone... i progetti in cantiere ci sono. Chi vuole può seguirci sulla nostra pagina Facebook, che aggiorniamo frequentemente in modo che tutti possano essere informati sulle date e luoghi delle nostre esibizioni».

di Silvia Cipriano



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BoxeVoghera: «Per noi insegnanti avere un gruppo di allievi di tutte le età, è come crescere dei figli» Alessandro Buratto è Maestro e Tecnico della ASD Boxe Voghera. Nella sua attività è affiancato da Livio Lucarno, Maestro e Dirigente della Scuola e da Andrea Maspero. Nata nel 1955, la Scuola ha avuto come fondatore Livio Lucarno, che ha allenato anche il compianto Campione Giovanni Parisi. Lo Staff è composto da: Francesco Ceniccola (Presidente), Enzo Zanellini (Segretario), Mario Cacciatore (Direttore Sportivo) e i Consiglieri. Ad oggi, la ASD racchiude una fascia d’età molto varia, che va dai bambini in età prescolare agli adolescenti (Settore Giovanile), oltre agli agonisti in età adulta. Buratto, quando è nata la ASD Boxe Voghera, e a che pubblico si rivolge? «L’ASD Boxe Voghera è nata nel 1955 e racchiude un pubblico eterogeneo, di tutte le età». Quanti iscritti contate? «Attualmente contiamo 200 iscritti». Chi sono gli allenatori? «Gli allenatori siamo io e il Maestro Livio Lucarno, che svolge anche il ruolo di Dirigente della struttura». Come sono strutturati i corsi, a livello di tipologia e durata? «I corsi sono divisi in vari turni: gli Agonisti dalle 16 alle 17.30 e dalle 17.30 alle 19.00; per quanto riguarda il Settore Giovanile, gli allievi dai 9 ai 14 anni si allenano il Martedì e il Giovedì, mentre i bambini dai 5 ai 9 anni il Lunedì e il Mercoledì, dalle 18.00 alle 19.00. I corsi ricominceranno il 3 Settembre, dopo la chiusura estiva di Agosto».

livello fisico, essendo la Boxe uno sport individuale, vi è una divisione in categorie, che varia in base ai kg». Quanto costa iniziare a praticare la Boxe? «è prevista una prova gratuita di una settimana. L’iscrizione costa 25 Euro all’anno (compresa di assicurazione), 40 Euro la mensilità». è uno sport adatto ai bambini? Se sì,

Livio Lucarno e Alessandro Buratto

«Ad oggi, possiamo dire che siamo al 55-45%, perchè è cresciuta la percentuale delle donne che si è avvicinata a questo sport».

Quante ore è necessario dedicare all’allenamento? «A livello amatoriale sono sufficienti 3 ore a settimana, suddivise in due allenamenti; a livello agonistico, 6/7 ore ( un’ora e mezza tutti i giorni)». Per chi si approccia per la prima volta a questa disciplina, quali sono i requisiti fondamentali richiesti? «Volontà, costanza e determinazione. A

qual è l’età migliore per iniziare? «Con la Boxe siamo arrivati a partecipare anche all’attività giovanile, che va dai 6 ai 14 anni. Questa fascia d’età è divisa in varie categorie: cuccioli (dai 6 ai 7 anni), cangurini (dai 7 ai 9), canguri (dai 9 agli 11), allievi ( dagli 11 ai 14).

Clarissa Pallavicini categoria junior 66, Yassir Rafiyi categoria youth 64 e il gruppo amatori

Gli allievi sono gli unici che partecipano a tutte le attività Nazionali. A livello psicologico, il bambino che pratica Boxe prende sicurezza in se stesso e un miglioramento della coordinazione. Chiaramente, il bambino non salirà sul Ring fino ai 13 anni. Fino a quell’età, l’attività svolta sarà di tipo anaerobico e aerobico, con esercizi finalizzati a migliorare il funzionamento degli arti e la preparazione fisica». Com’è il rapporto che si instaura tra Maestro e allievo? «Molto bello, perchè per noi insegnanti avere un gruppo di allievi di tutte le età, è come crescere dei figli». La Boxe ha una percentuale di iscritti maschile o femminile? «Ad oggi, possiamo dire che siamo al 5545%, perchè è cresciuta la percentuale delle donne che si è avvicinata a questo sport». Quali sono i vantaggi che si hanno sul benessere fisico e psicologico? «In primis la sicurezza di se stessi, il movimento del corpo e l’agilità, data dal fatto che la Boxe è uno sport completo». Ci sono rischi legati a questo sport? «è chiaro che questo sport non è per tutti, perchè un ragazzino che sale sul Ring deve sostenere delle prove fisiche e attitudinali, finalizzate alla giusta preparazione e alla sicurezza». Come vede proiettata in futuro questa disciplina, a livello locale e nazionale? «Siamo cresciuti molto sia a livello locale che Nazionale perchè io, da insegnante e professionista, ho avuto la fortuna di essere formato a livello professionale e psi-

cologico dal Maestro Livio Lucarno, che mi ha accompagnato nella crescita per 15 anni. Dopo aver smesso di combattere, ha voluto che seguissi le sue orme, arrivando a prendere il suo ruolo». Come vi siete qualificati negli ultimi campionati Regionali e Nazionali? «Nel 2018 siamo arrivati 5° in tutta la Lombardia. Nel 2017 abbiamo portato a casa il torneo Regionale Junior Femminile e quello Esordienti Junior. Inoltre, abbiamo vinto il Torneo Regionale Youth, nelle Categorie 64 e 60 kg e le Semifinali e Finali Regionali Senior, nella Categoria 69 kg. Dopo anni, abbiamo avuto successo nel settore femminile, grazie a Clarissa Pallavicini, che a 16 anni ha partecipato anche al Torneo Nazionale. Inoltre, ci siamo classificati primi in Germania a un importante torneo femminile a livello Internazionale. Al momento, stiamo preparando quello Europeo, che sarà a Ottobre». Ci sono dei talenti nella scuola che potrebbero emergere? «Oltre a Clarissa, ci sono delle promesse anche tra i bambini. Ad esempio Giuseppe, che a soli 11 anni ha già partecipato alla Coppa Italia». Organizzate una giornata o un evento in memoria di Giovanni Parisi? «Sì. In genere organizziamo la manifestazione a Dicembre, in occasione del suo compleanno. Nel 2017, l’evento si è svolto al Palaoltrepò, nell’ambito di una serie di incontri». di Federica Croce


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“Ruino senza frontiere”, tra amicizia, solidarietà e rispetto

Si é svolta presso il Centro Sportivo Culturale “I Campi” della frazione Carmine, la quarta edizione di “Ruino senza frontiere”, manifestazione basata su giochi singoli, a squadre, tornei e gastronomia, riservata a bambini e ragazzi dai 5 ai 14 anni, promossa dall’assessorato allo sport di Ruino e dall’associazione Dilettantistica Sport e Cultura CLIO (fondata da Valentina Domenichetti, Andrea Piccolo, Hadir Elbastawisi in collaborazione con Alessandro e Edoardo Alessi) che per la stagione estiva 2018, ha organizzato un outdoor centre all’insegna dello sport, della cultura e del divertimento. Il modello al quale CLIO si ispira risponde ai bisogni, agli interessi collettivi e individuali di ogni partecipante: un percorso all’insegna della cultura del territorio e delle varie attività sportive proposte e soprattutto nel divertimento, nel cui contesto si è appunto svolto sabato 14 luglio, l’ormai tradizionale “Ruino senza frontiere”. L’evento, ha avuto il patrocinio del Coni provinciale, del Panathlon Club Pavia e dall’Automobile Club Pavia. Sapiamo che praticare uno sport non solo fa bene a livello fisico ma aiuta i ragazzi ad apprendere valori come l’amicizia, la solidarietà, il rispetto e il lavoro di squadra. Seppure nella sua contenuta dimensione, Ruino Senza Frontiere, si é mostrata un’iniziativa che crede nello sport come un efficace strumento di cambiamento sociale il cui obiettivo primario, è garantire il diritto allo sport, renderlo accessibile a chi più ne ha bisogno, per diffonderne i principi e i valori che sono alla base di qualsiasi attività sportiva.

Alcuni dei ragazzi protagonisti premiati dal Panathlon Club Pavia

Come noi tutti ben sapiamo, lo sport infatti, occupa un ruolo molto importante nella vita dei giovani: grazie ad esso “si cresce”, si provano nuove sensazioni ed emozioni. Da piccoli è vissuto come un gioco a tutti gli effetti, un modo per socializzare, per imparare ad ascoltare, ad osservare le regole e ad avere rispetto per i compagni. Negli adolescenti lo sport consiste invece nel mettersi alla prova, nel superare i propri limiti e nel realizzare i propri sogni. è quindi considerato dai giovani una delle ruote più importanti dello sviluppo della vita; svolge un ruolo importantissimo nella formazione, per molti è un opportunità

con cui tenere in allenamento il fisico e la mente, per altri ancora è una guida educativa. All’iniziativa, a cui hanno aderito piccoli gruppi di giovani atleti in rappresentanza di paesi e frazioni limitrofi, come prevedibile, ha vissuto il suo momento clou con la disputa del torneo di calcetto, la cui finale si é svolta sotto lo sguardo attento di Roberto Mura, Presidente della Commissione Speciale Rapporti con le Istituzioni Europee per la Regione Lombardia. Per la cronaca, la vittoria é andata alla compagine in rappresentanza di Santa Maria della Versa, la quale ha superato la squadra locale di Ruino-Golferenzo.

La giornata si é conclusa con la consegna dei riconoscimenti ai partecipanti in cui, Marisa Arpesella, Presidente del Panathlon Club Pavia, ha assolto il compito di premiare i protagonisti ai quali, oltre agli omaggi previsti dall’organizzazione, sono stati consegnati gagliardetti del Panathlon Club Pavia e volumi di cultura sportiva editati dal Panathlon stesso, il cui scopo è l’affermazione dell’ideale sportivo e dei suoi valori morali e culturali, quale strumento di formazione ed elevazione della persona e di solidarietà tra gli uomini e i popoli. di Piero Ventura


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Rally di Roma Capitale, il vogherese Scattolon “ottavo re di Roma” Un grande Giacomo Scattolon con Matteo Nobili e la Skoda Fabia s’impone nel rally della città eterna. Quella del 22 luglio non è stata e non lo sarà mai una domenica come le altre per il driver vogherese Giacomo Scattolon e per il co-driver di Casatisma, Matteo Nobili. Non può essere una domenica come le altre quando si chiude uno dei rally più blasonati: il Rally di Roma Capitale, valido per il campionato Italiano ed Europeo Rally, sul gradino più alto del podio. Un traguardo importante, riservato a pochi eletti, una meta raggiungibile solamente con grande umiltà e spirito di sacrificio, ma anche con indispensabili grandi doti di guida. La grande storia della capitale è fatta da grandi personaggi come Romolo il primo Re di Roma, Gaio Mario che ne riformò l’esercito, Gaio Giulio Cesare il più grande generale, Publio Cornelio Tacito lo storico della libertà perduta, Lucio Domizio Aureliano l’imperatore che salvò l’impero… fino ad oggi in cui lo straordinario destino di Roma va a incocciare con il suo ottavo re, un “condottiero” oltrepadano che l’ha coccolata e conquistata. “Scattolon: ottavo re di Roma”, si dice tra Casteggio e Voghera, dov’è conosciutissimo, ma anche in tutto il pavese e non solo, in cui vanta tantissimi tifosi. Autore di una gara impeccabile, sebbene iniziata subito in salita per una foratura, Gioacomo Scattolon e Matteo Nobili hanno da subito mostrato doti di grande sinergia, nonostante quest’ultimo sia salito sulla Skoda Fabia R5 solo all’ultimo momento per sostituire l’abituale e per l’occasione impossibilitato Paolo Zanini, al fianco di Scattolon. «Quando domenica Scattolon-Nobili sono transitati sulla linea del fine prova della Super Speciale del Lido di Ostia (ultima frazione cronometrata in programma), sono stato colto dalla sindrome di Stendhal: davanti ai capolavori mi commuovo e d’altra parte vedere Giacomo in gara è come vedere un’opera d’arte» - ha dichiarato un tifoso che ha chiesto di rimanere anonimo, che partito dall’Oltrepò, ha raggiunto la capitale per vedere all’opera il suo amico e beniamino. L’equipaggio portacolori del Road Runner Team di Casteggio ha ottenuto una straordinaria vittoria nella classifica CIR portando a casa punti preziosi in ottica Campionato Italiano Rally assoluto e per la classifica Rally Asfalto, dove ora Scattolon si installa in seconda posizione nella generale di campionato a ridosso del capoclassifica. «Sono felicissimo per questa mia prima vittoria assoluta in una gara di Campionato Italiano Rally – afferma Scattolon – è stato davvero un rally molto duro sotto tanti aspetti, ad iniziare dal caldo torrido, alle prove speciali davvero impegnative, fino agli avversari di grande levatura internazionale. Insomma, una gara massacrante piena di insidie e di fora-

Scattolon-Nobili sul palco d’arrivo ture che hanno penalizzato tantissimi concorrenti. Per me è stata ancora più difficile in quanto era tutto completamente nuovo; dal percorso, in cui non avevo fatto neppure un chilometro di test pre gara, al navigatore, il bravissimo Matteo Nobili, con il quale ho diviso per la prima volta l’abitacolo. Abbiamo cercato di correre con un buon ritmo gara dopo la foratura patita sulla prima frazione cronometrata del sabato. Penso di essere riuscito a gestire la corsa con la testa e con il cuore. Come sempre un ruolo importante l’ha svolto il team PA Racing affidandoci una vettura perfetta e il materiale tecnico fornito da Pirelli è stato come al solito eccezionale». Se per Scattolon-Nobili l’avventura romana é terminata tra baccanali, non così é stato per Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti, in gara sulla Peugeot 208 R2B della Vieffecorse (recenti vincitori del Rally Race), impegnati nel CIR Junior, per i quali, la quarta posizione finale va vista con il sorriso di chi pensava di aver perso ogni possibilità. Il duo è partito con un piglio arrembante già dalla Ps1 al punto da guadagnare la vittoria di speciale. Nel primo tratto cronometrato del sabato però, sulla Ps Pico, il driver piacentino e la naviga pavese sono usciti di strada urtando un muretto e perdendo parecchio tempo prima di rimettersi in carreggiata, sostituire una ruota e riuscire a completare la speciale. «Abbiamo commesso un errore sottovalutando una curva destra che abbiamo affrontato troppo forte – spiega Mazzocchi – andando a sbattere ruota e cerchio contro un muro e rimanendo incastrati sui sassi di contenimento. Solo dopo parecchi minuti siamo riusciti a rimetterci nelle condizioni di proseguire senza uscire dal tempo limite. A quel punto però la gara era compromessa». I ben ventisette minuti persi (nell’Europeo il limite è superiore ai 15’ consentiti per le gare italiane) hanno reso impossibile qualsiasi discorso di lotta per il vertice ma non hanno tolto comunque grinta al duo che si è rimboccato le maniche e ha provato a segnare tempi di rilievo. Obiettivo raggiunto dato che da lì in avanti sono arrivati un altro successo parziale, cinque secondi, quattro terzi e due quarti tempi, frutto dell’alto

tasso di competitività dell’equipaggio. Al termine della gara, complice anche la dura selezione alla quale sono stati sottoposti anche alcuni rivali, Mazzocchi e la Gallotti hanno colto un insperato quarto posto di Cir Junior che regala loro 8 punti importanti in ottica campionato. Con questo risultato i due salgono così a 38 punti confermandosi in seconda piazza dietro al leader De Tommaso. Soddisfatto invece della sua trasferta romana lo stradellino Davide Nicelli che assieme al suo navigatore Mattioda a bordo della Peugeot 208 R2B, ha conquistato un secondo posto di rilievo nella speciale classifica riservata alle vetture due ruote motrici, nonché il primo nel trofeo Peugeot ed secondo nel CIR Junior. «Credo di aver fatto bene migliorandomi, prova dopo prova, lottando sempre con i migliori – afferma Nicelli – ottenendo alla fine ottimi risultati, questo grazie anche a un pizzico di fortuna. Ma, come si dice, le gare finiscono sotto la bandiera a scacchi. Questa era posta sul lungomare di Ostia in uno scenario altrettanto suggestivo e li non siamo giunti in un’ottima posizione». Il Rally di Roma Capitale ha ivece chiuso con una gara di anticipo la lotta per il titolo nel Trofeo Renault CLIO R3T In cui é impegnato il pilota di Broni Riccardo Canzian, ma la vittoria finale é andata all’emiliano Ivan Ferrarotti con Giovanni Agnese al suo fianco, che ha costantemente guidato la classifica precedendo il pavese Canzian, in coppia con il friulano Andrea Prizzon. Canzian, frenato nelle battute iniziali da una foratura, ha costantemente cercato l’attacco sul rivale, strappandogli alcune speciali, senza però riuscire a scavalcarlo. La seconda piazza conquistata nel rally laziale consente comunque a Canzian di confermare la seconda posizione assoluta nel trofeo senza lasciare chance nella prova finale di Verona ad Emanuele Rosso. Il 6° Rally di Roma Capitale, gara valida per il Campionato Italiano Rally e per il FIA European Championship, si è deciso negli splendidi scenari della zona del frusinate tra Fiuggi, Guarcino, Pico, Roccasecca, Santopadre e conclusosi sul lungomare di Ostia con la gara ed i suoi protagonisti sommersi dall’abbraccio di una folla immensa. Due corse nella corsa che hanno visto gli “europei” fare comunque la parte del leone con la sola eccezione della splendida gara di Giandomenico Basso, l’unico capace di lottare con la sua Skoda Fabia R5 fino al traguardo per la prima posizione. R Giacomo Scattolon, primo del CIR. La prima posizione è andata alla fine ai russi Alexey Lukyanuk e Alexey Arnautov (Ford Fiesta R5), che nei fatti hanno dominato la gara dimostrando che comunque il passo dei migliori dell’europeo è davvero alto. Secondo assoluto, come detto, il veneto Giandomenico Basso, insieme a Moira Lucca, non iscritto al CIR, è stato l’uni-

co ad interrompere la parata degli stranieri a bordo di una Skoda Fabia R5 che è poi proseguita con il polacco Grzegorz Grzyb, il tedesco Fabian Kreim, il portoghese Bruno Magalhaes, tutti su Skoda Fabia R5. Primo dei protagonisti del Campionato italiano che prende punteggi importanti del CIR é appunto Giacomo Scattolon (ottavo nella classifica assoluta), un pilota che sta dimostrando di possedere tante potenzialità. Scattolon-Nobili hanno preceduto il reggiano Antonio Rusce, navigato da Sauro Farnocchia su Ford Fiesta R5, e gli svedesi Ahlin-Stoberg (Skoda Fabia R5) a completare la top ten. CLASSIFICA ASSOLUTA RALLY DI ROMA CAPITALE FINALE: 1. Lukyanuk-Arnautov (Ford Fiesta R5) in 1h 48’03.5; 2. Basso-Lucca (Skoda Fabia R5) a 7”5; 3. Grzyb-Wrobel (Skoda Fabia R5) a 1’04”2; 4.Kreim-Christian (Skoda Fabia R5) a 1’16”5; 5.MagalhaesMagalhaes (Skoda Fabia R5) a 1’41”2; 6. Ingram-Whittock (Skoda Fabia R5) a 2’ 32”2; 7. Nordgren-Suominen (Skoda Fabia R5) a 2’34”7; 8. Scattolon-Nobili ( Skoda Fabia R5) a 2’56”2 ; 9.Rusce-Farnocchia (Ford Fiesta R5) a 3’08”4; 10. Ahlim- Sjoberg (Skdoa Fabia R5) a 3’17”0. Classifica CIR ASSOLUTO: Andreucci 57; Scandola 35; Campedelli 34; Crugnola 33; Scattolon 26; Panzani 20.

di Piero Ventura

CIR - Nel precedente impegno tricolore, sulle strade bianche del Rally San Marino, si é vissuta una gara straordinaria per intensità e imprevedibilità per gli Junior. L’ha vinta Jacopo Trevisani, che oltre alla vittoria per il TOP 208, si è aggiudicato anche le classifiche CIR Junior e CIR 2 Ruote Motrici davanti a Lorenzo Coppe. Andrea Mazzocchi con la rivazzanese Silvia Gallotti, invece, grazie i punti conquistati con il 4° posto tra le R2B, ha raggiunto al vertice della classifica generale Tommaso Ciuffi, quest’ultimo grande protagonista nella prima parte della gara, ma alla fine con la sola consolazione dei punti ottenuti con la vittoria nella Power Stage vista la decisiva uscita di strada che l’ha costretto al ritiro poco dopo metà gara. Bene il debutto su terra dello stradellino Davide Nicelli con alle note Matteo Nobili che ottengono la quinta piazza nella R2B con la Peugeot 208.


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Gallotti: «Per noi “piccolini” è stata un po’ l’impresa di Davide contro Golia» Finale pirotecnico e poco adatto ai deboli di cuore quello del Rally Race – Terre del Timorasso Derthona. Infatti la gara si è decisa solo nell’ultima prova di giornata, la Dernice 3 in cui, con una zampata leonina, il giovane piacentino Andrea Mazzocchi navigato dalla rivazzanese Silvia Gallotti sulla piccola Peugeot 208 R2 centrano la loro prima vittoria assoluta in carriera. è accaduto qualcosa di unico sul palco d’arrivo a San Sebastiano Curone in cui i vincitori, con gli occhi lucidi di gioia ed emozione hanno ricevuto il meritato tributo dal numeroso pubblico accorso. Scelta dai due come gara test in vista dei prossimi impegni tricolori, ha vissuto un finale veramente appassionante, decisa negli ultimi metri, con Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti, autori di un sorpasso epico che proprio nel finale ha permesso loro di scavalcare gli esperti oltrepadani Michele Tagliani e Daniele Mangiarotti, su Renault Clio Super 1.6 della Eurospeed battuti per soli 9 decimi di secondo. La lotta è stata serrata ed è iniziata quando Mazzocchi, sulla seconda prova speciale, ha ottenuto il miglior tempo, facendo capire agli avversari che avrebbero dovuto fare i conti con lui. «Non ho parole, sono emozionatissimo e felice - ha detto Mazzocchi a fine gara è la prima vittoria assoluta in carriera che arriva proprio su queste strade che videro il mio debutto nel 2014. Sono al settimo cielo… ancora non me ne capacito…». «Noi volevamo disputare questa gara per riprendere familiarità con l’asfalto in vista del Rally della Capitale a Roma... e poi ci siamo ritrovati a lottare per la vittoria – dice soddisfatta l’esperta Silvia Gallotti, tradendo quella giusta punta d’emozione che un simile traguardo trasmette - Per noi “piccolini” è stata un po’ l’impresa di Davide contro Golia. Scherzi a parte siamo stati bravi, costanti e ci abbiamo creduto fino all’ultimo metro. La prima vittoria assoluta l’abbiamo raggiunta insieme e questo ci aiuterà sicuramente nel nostro cammino. Poi, vincere pressoché a casa.... mi mancava tanto correre su queste strade e con i miei amici a tifare, è stato ancora più bello». Sul terzo gradino del podio sono saliti il vogherese Ronny Di Stefano navigato da Gloria Santini, su Renault Clio Super 1.6 della Giesse Promotion, autori di una gara regolare nelle prime posizioni. Quarta piazza per Diego Donato e Luca Culasso, su Renault Clio Super 1.6 del VM Motor Team. Completano la top five, l’oltrepadano Andrea Zucconi con Davide Pisati, su Renault Clio Super 1.6 della Eurospeed. Proprio Zucconi, sul podio, ha consegnato all’amico Michele Tagliani il Primo Memorial Cristian Zucconi, in ricordo del giovane figlio recentemente scomparso, il tutto in un momento davvero toccante ed indimenticabile. Continuando a scorrere la

Rally Race: il podio classifica troviamo in sesta posizione assoluta e primo posto tra le R3 il piacentino “Iceman” e Debora Malvermi su Renault Clio della Media Rally e Promotion, seguiti da Marco Petracca e Fabrizio Soncin, su Peugeot 106 K10 del VM Motor Team. Ottava posizione per Pierluigi Sangermani e Lorenzo Paganin, su Mitusbishi Evo IX N4 della Efferre, davanti a Pieluigi Davico e Fabrizio Piccinini, su Renault Clio Super 1.6 della Pro Rally. La Top Ten è stata chiusa da Paolo Curone e Matteo Raggi, che dopo molti anni di stop sono tornati a correre sulle strade di casa, su una Renault Clio Super 1.6 della Pro Rally. Silvia Gallotti, primo navigatore classificato, ha ricevuto il Memorial Massimo Concaro, mentre il Trofeo Corri con Caki, dedicato a Marco Massone, è andato ad Alessandro e Luca Guglielmetti, vincitori della classe N2. Degna di nota, l’ottima prestazione fornita da Costanza Pericotti e Paolo Zanini la quale porta la Clio R3 al 21° posto assoluto e terza di classe. Gara da dimenticare invece per AvogadriBariani con la Clio RS finiti forzatamente nelle posizioni basse della classifica. Soddisfatta invece la scuderia EfferreMotorsport di Romagnese che piazza nella top ten vincendo il gruppo N, Pier Sangermani e Lorenzo Paganin, con la Mitsubishi Evo IX. Riccardo Chiapparoli e Mattia Domenichella, correvano nella classe più nume-

rosa con 15 iscritti, la N2 che commemorava Marco “Caki” Massone nel trofeo “Corri con Caki”. Si sono classificati al 7° posto di classe. Gara solitaria e vittoria in A5 per Renato Paganini e Carmen Razza su MG Rover 105 A5, Infine l’unica nota “stonata” arriva dal ritiro di Marco Stefanone e Riccardo Filippini su Renault Clio

N3. Gli oltrepadani sono partiti fortissimo e nelle prime due prove erano in vetta alla classifica di classe e secondi in gruppo N. Purtroppo nella ps 3 si sono girati perdendo, ma un’uscita di strada sulla ps 4 li ha fermati.

di Piero Ventura

Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti vincono il Rally Race a bordo della piccola Peugeot 208 R2B by Vieffecorse.


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Al Rally di Alba brilla il pilota bronese Riccardo Canzian Al termine dell’edizione 2018 del Rally di Alba, dal format particolarmente intenso, il risultato sportivo che ne é scaturito é abbastanza chiaro: un film già visto lo scorso anno con Alessandro Gino, pilota gentleman che negli ultimi anni ha collezionato parecchie vittorie assolute, che ha controllato la gara dal primo all’ultimo metro, accelerando quando gli avversari si facevano troppo sotto; Elwis Chentre, alla fine secondo, è ritornato con il solito piede pesante anche se le prime prove le ha passate ad adattarsi alla vettura; Andrea Minchella (terzo), è stata la vera sorpresa di questo rally, dove ha pagato alla fine solamente l’inesperienza per queste strade che se non le conosci ti tradiscono quando non te lo aspetti. Al quarto posto si è piazzato Jacopo Araldo, navigato da Lorena Boero su Skoda Fabia che si lasciano alle spalle, per poco più di 7 secondi, Luca Cantamessa e Lisa Bolito su Hyundai i20. Eccellente come sempre la prova fornita dall’oltrepadano Riccardo Canzian, che al volante della Clio R3T, oltre a mettersi alle spalle parecchie vetture più accreditate, come Fiesta R5 e Skoda R5, ha colto il 19° posto assoluto e primo di classe, con alle note Andrea Prizzon. Il pilota di Broni ha letteralmente polverizzato la concorrenza. Il secondo arrivato, Serena, é giunto a oltre 5 minuti, mentre il ritardo del terzo classificato ha sfiorato i 12 minuti da Canzian. Rimanendo in tema oltrepadani, poca fortuna per Costanza Pericotti e Paolo Zanini, costretti al ritiro con la Clio R3C nelle prime battute di gara. Due equipaggi al via e due al traguardo per la scuderia Efferre Motorsport: 18° assoluto e 9° di classe Alberto Biggi e Marco Nari con la Ford Fiesta R5, che vale un buon piazza-

Riccardo Canzian mento nel Trofeo Pirelli che consente loro di raggiungere la 4° posizione nel 1° raggruppamento e la 7° nella generale. Al 54° posto assoluto e 5° di classe hanno chiuso Davide Melioli e Davide Morando con la Peugeot 106, ma ciò che più conta per l’equipaggio della scuderia di Romagnese, é aver conquistato ulteriori punti nel trofeo Pirelli di Coppa Italia che li vede al 2° posto del 5° raggruppamento. di Piero Ventura

Top ten Assoluta:1.Gino (Fiesta WRC); 2.Chentre (Fiesta R5) a 25.2; 3.Minchella (Fiesta WRC) a 26.8; 4.Araldo (Skoda R5) a 40.0; 5.Cantamessa (Hyundai R5) a 47.9; 6.Miele (Fiesta WRC) a 56.1; 7.Gagliasso (Skoda R5) a 59.3; 8.Il Valli (Hyundai WRC) a 1.45.7; 9.Carosso (Fiesta R5) a 1.52.8; 10.Ronzano (Fiesta R5) a 2.16.9. Classe R5: 1.Chentre 2; Araldo a 14.8; 3.Cantamessa a 22.7; 4.Gagliasso a 34.1; 5.Carosso a 1.27.6.

Classe R3C: 1.Pulvirenti; 2.Cecchini a 15.1; 3.Becuti a 32.6; 4.Cocino a 1.30.8 Classe R3T: 1.Canzian; 2.Serena a 5.33.9; 3.Romano a 11.46.3. Classe R2b: 1.Bernardi; 2.Vacchetto a 18.6; 3.Giordano a 25.6; 4.Baravalle a 1.51.0; 5.De Filippi a 2.30.7. Top Five Vetture due ruote motrici: 1.Vescovi (Clio 1600); 2.Bernardi (208 R2b); 3.Canzian (Clio r3t); 4.Vacchetto (208 R2b); 5.Giordano (208 R2b).


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Rally Lana Storico, Marcia trionfale per l’equipaggio di Ruino

Marcia trionfale per l’equipaggio di Ruino composto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi al Rally della Lana valido quale quinta tappa del CIR Auto Storiche. A bordo della loro Fiat 127 Sport by Media Rally, hanno piegato la resistenza della numerosissima concorrenza andando a vincere il Gruppo 2 del terzo raggruppamento, classe 1150 cc, con oltre un minuto e mezzo sull’A112 Abarth del Team Bassano condotta da Marc e Stephanie Laboisse, mentre completano il podio a 2’35” Ezio Rubino e Camilla Gallese su Fiat 127 Sport Winnes Rally. Per far intendere il ritmo imposto dall’equipaggio oltrepadano basta guardare la classifica in cui il primo (Ruggeri) ed il decimo (Di Marco) sono divisi da oltre 13 minuti. Ecco la top ten del 3° Rag. Gruppo 2, classe 1150 cc: 1° Ruggeri Daniele - Marzi Martina Fiat 127 Media Rally in 1:48’39.5; 2° Laboisse Marc Laboisse Stephanie A 112 Abarth Team Bassano a 1’32.0; 3° Rubino Ezio-Gallese Camilla Fiat 127 Sport a 2’35.0; 4° Borlotti Simone - Barbera Roberto Fiat 127 Sport a 3’10.2; 5° Arrigo Riccardo-Moncada Antonello Fiat 127 Eurospeed a 4’56.4; 6° Margarito Paolo-

Rally della Lana valido quale quinta tappa del CIR Auto Storiche.

Daniele Ruggeri e Martina Marzi, A bordo della loro Fiat 127 Sport Accaroli Marco Fiat 127 Sport Novara Rally a 8’39.7; 7° Pitetti Luca-Grassone Valentina A 112 Abarth Meteco Corse a 8’59.7; 8° Binati Marco-Guelpa Rossetto Corra Fiat 127 Biella Corse a 10’24.7; 9° Corsi Alberto-Mazzocchi Alessandro A 112 Abarth Novara Rally a11’00.5; 10° Di Marco Michele-Zambelli Francesco Fiat

127 Winners Rally 13’12.6. Nella classifica assoluta, al termine di una gara incredibile, caratterizzata da continui colpi di scena che hanno determinato più volte lo scambio di posizioni di vertice, sono stati “Lucky” - Pons a emergere a bordo della Lancia Delta Integrale. Forti di una gara tutta d’attacco nella prima tappa,

dagli asfalti più vicini alle caratteristiche della Delta, la coppia della Rally Club Team, ha vinto amministrando la gara nelle ultime quattro prove speciali, quando hanno accusato problemi alla frizione. Per loro, la vittoria è venuta al termine di un serrato e incerto confronto. Secondi al traguardo sono i valtellinesi Da Zanche e De Luis, su Porsche 911 SCRS Gruppo B Piacenza Corse, e terzi Bossalini e Ratnayake, anche loro su Porsche Gruppo B ma della Island Motorsport.

di Piero Ventura


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Personaggio onnipresente nel mondo rallystico olrepadano, Andrea “Tigo” Salviotti Personaggio onnipresente nel mondo rallystico olrepadano, Andrea “Tigo” Salviotti traccia il suo bilancio alla vigilia della seconda parte di stagione. Un’annata sportiva la sua, iniziata in primavera al Pavia Motors Rally Show, al volante di una Fiat Grande Punto Abarth nella categoria Racing star plus, vettura di proprietà del team Forniautocorse di Max Settembrini - auto prestante ma ancora in fase di sviluppo ottenendo la vittoria di classe ed il terzo posto di gruppo. Sempre con la Fiat Grande Punto Abarth del team Forniautocorse partecipa al Rally Pizzocchero. In Valtellina bissa la vittoria della gara pavese vincendo la classe e agguantando il 5° posto di gruppo, nonostante qualche piccolo errore di troppo. Il momento clou della stagione di Salviotti, giunge a giugno al Rally 4 Regioni Storico, in cui si schiera al volante dell’Autobianchi A 112 Abarth del Team Madama Autostoriche. è senza dubbio una vettura al top della categoria, spremuta al massimo durante 4 giorni intensi di gara, la piccola

Tigo Salviotti ritratto con il due volte campione del mondo rally, Miki Biasion.

“scorpioncina”, non ha dato il ben che minimo segno di cedimento, permettendo a Salviotti di portare a termine il prestigioso impegno con una bella vittoria di classe, il quinto posto di raggruppamento ed il 12° posto nella classifica generale assoluta, nonché, di affermarsi nello speciale trofeo riservato alle A112. Poca fortuna invece all’altra gara di casa, il Rally Valleversa disputato a fine giugno, in cui Salviotti si é schierato al via al volante della Mini Cooper S RS TB 1.6, fermato purtroppo da problemi tecnici nelle prime fasi di gara. Dopo le meritate vacanze estive, la stagione agonistica di “Tigo” Salviotti, portacolori della EfferreMotorsport di Romagnese, ripartirà i primi di settembre dalla Valtellina con la sessantaduesima edizione della Coppa omonima. Anche in questa seconda parte di stagione, Salviotti potrà contare sulla collaborazione alle note, sia di Giorgio Invernizzi, che di Mattia Domenichella, come avvenuto nella prima parte dell’annata agonistica.

di Piero Ventura

Rally Ville Lucchesi, Il 1° Remembrance ancora allori per Antonio Contento Ghezzi - Benenti memory Massimo Sala Continua la serie positiva nei rally per auto storiche di Alessandro Ghezzi e Agostino Benenti. Dopo il successo ottenuto al recente Rally 4 Regioni, l’equipaggio vogherese si é imposto nel 2° raggruppamento nella prima edizione del Rally Ville Lucchesi, ottenendo anche un ottimo quarto posto assoluto al volante della Porsche 911 RSR by Ova Corse. La vittoria nella classifica generale é andata al pilota di casa, Rudy Michelini, con Michele Perna alle note sulla Porsche 911 SC con cui il driver locale ha concretizzato al meglio una condotta di gara che lo ha visto insediare le alte sfere della classifica assoluta fin dal primo giro di prove speciali, quando al comando vi era la Porsche 911 RSR di Alberto Salvini. Michelini, sotto alla bandiera a scacchi, ha preceduto la Porsche 911 SC di Gianmarco Marcori e Barbara Neri, vincitori nel 3° Raggruppamento, mentre sul terzo gradino del podio sono saliti Riccardo De Bellis, con Andrea Sarti, anch’essi su di una 6 cilindri di Stoccarda 911 RSR. Da segnalare l’ottimo ottavo posto assoluto per i portacolori della Scuderia Piloti

L’Equipaggio Ghezzi - Benenti Oltrepo, Beniamino Lo Presti e Flavio Zanella a bordo della seconda Porsche 911 by Ova Corse. Un piazzamento, quello di Lo Presti, che gli é valso il gradino più basso del podio nel terzo Raggruppamento.

di Piero Ventura

Si terrà domenica 9 settembre a Bagnaria il 1º Remembrance Antonio Contento Memory Massimo Sala, manifestazione riservata alle vetture storiche, per ricordare due grandi appassionati entrambi scomparsi prematuramente: Vito Antonio Contento, rallysta conosciutissimo in zona e Massimo Sala, fotografo di San Giovanni di Godiasco, molto legato al mondo rallystico. L’evento si svilupperà su di un percorso collinare dal panorama suggestivo di circa 100 chilometri. I partecipanti si raduneranno in prima mattinata a Godiasco da dove prenderanno il via da Piazza della Fiera per affrontare le prime prove di abilità a San Giovanni da ripetere 2 volte su strade chiuse al traffico. Raggiungeranno poi Bagnaria con l’allettante transito panoramico nel centro storico, prima di effettuare altre prove di abilità, sempre da ripetere due volte su strade chiuse al traffico. Altro momento di incantevole interesse i concorrenti lo vivranno a Casanova Staffora in cui affronteranno la “strade bianca”, un tratto di strada sterrata (conosciuta come la via delle cantine) prima dell’arrivo a Cegni per poi fare ritorno a Bagnaria con

Antonio Contento

Massimo Sala

passaggio dei partecipanti in sfilata dinnanzi alla casa di Antonio Contento, quindi arrivo finale al Centro Sportivo di Bagnaria in cui ci sarà la cerimonia di premiazione e la successiva cena. Sempre nel Centro Sportivo, verrà allestita una mostra fotografica riguardante Antonio Contento e Massimo Sala. La serata sarà allietata dalla musica di Ermanno Calatroni. Ma non é tutto qui, sono infatti all’esame altre interessanti iniziative che sorprenderanno positivamente i partecipanti.

di Piero Ventura





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