Servirebbero un redivivo Duca Denari, un Carlo Boatti, un Domenico Mazza, un Angelo Ballabio...
Anno 12 - N° 134
SETTEMBRE 2018
20.000 copie in Oltrepò Pavese
pagina 19 Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV
BASTIDA PANCARANA L’ex sindaco Bernini: «Protezione Civile lasciata senza sede»
«Nessuna cessione di ASM è in previsione!»
pagine 23
RIVANAZZANO TERME «Rivanazzano ha un’ identità di paese più forte. A Salice si sente meno»
news
Sette parrocchie e tre paesi importanti da seguire. Il compito di don Stefano Ferrari si fa ancora più impegnativo da quando.. pagina 26
PONTE NIZZA «Servono più fusioni e una nuova Comunità montana» Nel Comune di Ponte Nizza le manovre in vista delle elezioni del prossimo anno sono già cominciate. Il gruppo di minoranza capitanato... pagina 27
CASTEGGIO
«Accendere un mutuo da quasi un milione e mezzo di euro per comprare qualcosa che già era tuo di diritto è un’assurdità che finiranno... pagina 39
BRESSANA BOTTARONE «Il Po è una tavola da biliardo, non è un fiume» Tre anni fa la passione per la pesca ha portato Gabriele Selvatico a ricreare, in un luogo prima abbandonato, un’oasi di pace rivolta... pagina 40
canevino - ruino - valverde Colli Verdi è un nuovo Comune dell’Oltrepò
Un nuovo comune Oltrepò Pavese: si tratta di Colli Verdi, che nascerà dalla fusione fra Ruino, Canevino e Valverde... pagine 32 e 33
Con Paolo Affronti abbiamo oggi tralasciato di parlare dei temi per lui più usuali, quelli della politica vogherese e non solo, per affrontare insieme un argomento sempre di attualità per la nostra zona: stato di salute del turismo in Oltrepò, potenzialità della Valle Staffora... pagina 4
Fine estate 2018 caratterizzata socialmente, politicamente, industrialmente e, persino, clericalmente da un’enorme tragedia come il crollo del Ponte Morandi in Genova e la nave Diciotti all’attracco in Catania con divieto di sbarco, alla fine concesso...
Estate di magra Oltrepò Pavese Turismo e per i commercianti motorsport... «Ai varzesi non #oltrepochefunziona quello Pavese, quello delpiacciono i turisti» L’Oltrepò, la parte sud della provincia di Pavia, Musi lunghi, facce tirate, poca voglia di parlare. La stagione estiva 2018 al commercio varzese sembra aver dato poche ragioni per sorridere. Secondo alcuni, addirittura, non è neppure cominciata. Sarà l’estate arrivata in ritardo, il più che esiguo numero di eventi organizzati, la scarsa attitudine del paese e dei suoi operatori ad una collaborazione attiva per rendersi attrattivi dal punto di vista...
pagine 30 e 31
quello del vino, del salame, delle terme, quello che pochi conoscono ma tanti criticano, quello che... Quello che, per gli appassionati di motori, rappresenta la più alta concentrazione di impianti sportivi: un motodromo polivalente, un circuito pronto per la SBK e le gare automobilistiche più impegnative, un kartodromo che ospita il Campionato Europeo e un lago artificiale trasformato in pista di allenamento per gli amanti delle moto d’acqua... pagine 20 e 21
oltre
Scuole fantasma: «Dovevano essere del Comune, ma ci fu corruzione»
il Periodico
A poco più di un anno dall’insediamento della nuova Amministrazione, l’ex sindaco e capogruppo di minoranza Marina Bernini traccia...
«Ritengo che l’Oltrepò con Voghera, la Valle Staffora e la montagna abbia grandi potenzialità»
pagina 16 e 17
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L’EDITORIALE
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Oltrepò pavese: il silenzio dei permalosi Una delle prerogative del nostro giornale è sempre stata quella di dare spazio, in maniera il più possibile bipartisan, alle varie realtà istituzionali sparse sul territorio: sindaci, assessori, maggioranze e opposizioni. Abbiamo cercato – e continuiamo a farlo – di sentire tutti, con particolare attenzione all’etica che impone di concedere il diritto di replica alle parti chiamate in causa. Non abbiamo la presunzione di avere sempre operato bene, abbiamo fatto degli errori, ma in buona fede. Qualche lettore attento avrà notato che da un po’ di tempo sulle nostre pagine mancano alcune “voci” istituzionali, sindaci o politici locali le cui ultime interviste o dichiarazioni si trovano stampate su carta ormai sbiadita. Il medesimo lettore, attento e magari curioso, potrebbe essersi chiesto il perché di certe latitanze… “come mai il mio sindaco non parla mai?” oppure “ma perché non danno mai spazio alla minoranza del mio paese?”, oppure ancora “la situazione qui è uno schifo ma perché non dice niente nessuno?”. Tutte domande legittime che qualcuno di voi lettori potrebbe essersi fatto. Per non la-
sciare che le risposte, come cantava Bob Dylan, “soffino nel vento”, teniamo a specificare che la ragione di certe assenze non dipende tanto dalla nostra volontà o dall’intenzione di discriminare, quanto dalla renitenza al confronto da parte di alcuni. Le ragioni sono le più disparate. C’è chi si dice in disaccordo con la politica del nostro giornale, chi si è sentito offeso da un articolo o da un editoriale per non dire da un semplice titolo, magari quello della sua stessa intervista. Il campionario della permalosità è ampio e variegato. C’è chi accorda interviste ma poi non accetta le domande, come se queste dovessero essere concordate a suo beneficio, oppure chi non risponde più al telefono, o ancora chi dice che prima di rispondere deve consultare i colleghi di partito o di consiglio, il suo segretario, la moglie o l’oracolo di Delfi. Secondo altri poi siamo “troppo comunisti” oppure “troppo fascisti”, “filoanimalisti” oppure “filocacciatori”. Ci sarà anche chi, forse, non parla perché non ha semplicemente qualcosa da dire. Beninteso: il non parlare con noi è una scelta legittima che non contestiamo nella misu-
ra in cui rientra nella libertà personale di ciascuno. Nessuno è tenuto a parlare con la stampa “brutta e cattiva” se non ne ha voglia o se reputa il nostro un giornale non valido. Quello che invece discutiamo e che dovrebbe invitare a riflettere un po’ tutti, giornalisti compresi, è la “strana” concezione che alcuni politici mostrano di avere del rapporto con la stampa, spiegabile a parer nostro da una parte con un discutibile senso delle istituzioni e dall’altra con un’idea distorta del ruolo del politico nei confronti dell’opinione pubblica. L’impressione è che il rapporto con la stampa venga troppo spesso vissuto più come una occasione di propaganda che come un confronto con il pubblico mediato da una figura, quella del giornalista, che avrebbe anche il diritto-dovere di mettere in difficoltà il suo interlocutore. E qui un mea culpa lo dovremmo fare anche noi giornalisti, perché se alcuni politici si sono disabituati alla prassi di un rapporto con la stampa basato su un confronto anche acceso ma costruttivo, la responsabilità è soprattutto della categoria. Forse troppo presi dalla crisi, dalla preoccupa-
zione di riuscire a vendere tutti gli spazi pubblicitari (fondamentali per la sopravvivenza di una testata, soprattutto se free press), forse per non avere troppe grane o semplicemente per riuscire a campare in un mondo dove il precariato - ahi noi - sembra essere diventato regola, ci siamo dimenticati alcune regole fondamentali di questo mestiere, come ad esempio il fare anche le domande scomode. Siamo diventati troppo accondiscendenti, ci siamo un po’ impigriti, messi in panciolle, a disposizione dell’interlocutore di turno. Se il ruolo del giornalista deve essere quello del cane da guardia e non da compagnia ecco, diciamo che, probabilmente a causa della troppa vicinanza tra istituzioni e stampa in una realtà piccola e provinciale come la nostra, ci siamo un po’ lasciati addomesticare. Tanto che qualcuno deve aver confuso il nostro ruolo con quello degli uffici stampa non comprendendone più la differenza e decidendo con un’alzata di spalle di poter rinunciare al dialogo o al confronto con chi, da “Fido” disobbediente, non riporta il bastone dopo il lancio. di Christian Draghi
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«Ritengo che l’Oltrepò con Voghera, la Valle Staffora e la montagna abbia grandi potenzialità» Con Paolo Affronti abbiamo oggi tralasciato di parlare dei temi per lui più usuali, quelli della politica vogherese e non solo, per affrontare insieme un argomento sempre di attualità per la nostra zona: stato di salute del turismo in Oltrepò, potenzialità della Valle Staffora e della nostra montagna. Potenzialità ed opportunità da cogliere per lo sviluppo di questa nostra zona della Lombardia? «Potenzialità ed opportunità esistono per la storia di questi luoghi, anche quella più recente, per la bellezza del paesaggio, per i buoni prodotti del territorio e una cucina genuina che è comunque una grande attrazione, non dimenticando la posizione al centro tra quattro regioni». Analizzi le ragioni della crisi «L’Oltrepò va considerato secondo due contesti differenti: quello orientale da sempre vocato al vitivinicolo e quello occidentale attratto oggi da un turismo “mordi e fuggi” proveniente da Milano, Lodi, Pavia, dal Piemonte e dall’Appennino ligure. Ieri per alcune zone era qualcosa di diverso. Ospitalità legata al termalismo (Salice era un riferimento per il nord Italia) con una offerta alberghiera di grande qualità. L’alta borghesia frequentava le nostre terme per i periodi di cura. Poi l’avvento del “termalismo sociale” con i grandi numeri e locali funzionanti a pieno ritmo. I centri del nostro Appennino e della montagna erano invece meta di vacanza per le famiglie. Strutture alberghiere accettabili ma ben frequentate, case in affitto o di proprietà e periodi di lunga permanenza nel periodo estivo. Oggi invece tutto ridimensionato o ridotto ai minimi termini. Salice ha chiuso il suo stabilimento principale, aperte solo le Terme President che suppliscono solo in parte alle esigenze di chi era abituato a frequentare Salice. Per Rivanazzano diventato nel frattempo Rivanazzano Terme, note positive con un stabilimento rimodernato e di grande funzionalità». Quale è la maggiore criticità che si riscontra per il nostro turismo? «Certamente la difficoltà di raggiungere luoghi interessanti del nostro Appennino per la disastrosa situazione delle strade spesso sconnesse. Un territorio tanto interessante alla fine diventa poco invitante». Passiamo in esame i centri della nostra montagna. «Immaginiamo Brallo negli anni ottanta, con cima Colletta e dintorni, certo un centro importante per il turismo della provincia e non solo. Nell’ultimo ventennio purtroppo la situazione è risultata ribaltata per diverse concause da quelle più globali a quelle locali. Oggi segni di risveglio anche importanti si notano, ma alla fine appaiono come “oasi”: la moderna struttura del Park Hotel Olimpia, il moderno Hotel Prodongo, pochi chilometri distante dotato di cen-
tro benessere con un contesto residenziale a contorno in un pianoro che non ha nulla da invidiare a località montane importanti. Importante invece da sempre la presenza del Centro Federale Tennis per le nuove leve a Pregola. A Casa Matti di Romagnese un albergo ristrutturato ed efficiente. A Monte Penice, crocevia di quattro regioni, ogni domenica centinaia di motociclisti si danno appuntamento, ma riescono a trovare ben poco. Un albergo chiuso ormai da anni, un solo bar ristorante per soddisfare le esigenze di tante presenze festive. A Scapparina di Menconico un hotel apprezzabile ma poco frequentato, La Pernice Rossa. Tra Varzi e Pietragavina sorge Ca’de Figo, un moderno residence con piscina e servizi di qualità, Pian del Poggio comune di Santa Margherita grazie alla riattivazione della seggiovia, realizzata grazie anche al contributo del Comune di Voghera fortemente caldeggiato dal compianto assessore al turismo Avv. Di Valentino, è oggi una realtà turistica importante. Si mangia ottimamente e i proprietari degli immobili (moltissimi i vogheresi) curano molto l’ambiente circostante. Purtroppo la viabilità per raggiungere Pian del Poggio è davvero problematica. A Sant’Alberto di Butrio ha chiuso l’albergo ristorante, ma i monaci dell’eremo, seguaci del Beato Frate Ave Maria, assicurano un punto ristoro al turismo religioso». E di Borghi e Valli in Oltrepò? «Le iniziative dell’associazione sono seguite con grande attenzione per la professionalità dei protagonisti e tendono sempre con musica di grande livello a valorizzare i luoghi con un richiamo culturale importante. Serate dedicate alla lirica si tengono a Valverde, mentre Zavattarello con riferimento al suo castello punta a serate di grande richiamo. Non si può dimenticare Varzi punto di riferimento e borgo importante che offre servizi efficienti all’intera valle. Tra i borghi più belli non si può oggi non citare Fortunago una perla del nostro Oltrepò con un ristorante albergo di grande richiamo per l’ottima cucina».
Alta Valle Staffora, «Oggi segni di risveglio anche importanti si notano, ma alla fine appaiono come “oasi”»
Paolo Affronti La rete museale di cui si parla in che cosa consiste? «è una delle risorse che ha avuto sviluppo territoriale. I musei riconosciuti sono quello naturalistico di Voghera e quello archeologico di Casteggio esistono raccolte museali interessanti come quella del cavatappi e della fisarmonica rispettivamente a Montecalvo Versiggia e a Stradella. Raccolta di reperti archeologici a Romagnese, molto visitata nei festivi e a Montalto. Il museo naturalistico di Voghera ,molto ben curato registra circa ottomila visitatori nell’anno. Una citazione a parte merita il Museo Storico Beccari che custodisce tanti reperti storici della grande guerra ( visitato anche dal Presidente del comitato delle celebrazioni, Sen Marini). Grande interesse per un reperto di una storia abbastanza recente: la A 112 in cui trovarono la morte ad opera di un attacco mafioso il Generale Dalla Chiesa e la consorte. La signora Beccari continua in maniera encomiabile l’opera del marito». Voghera capoluogo dell’Oltrepò cosa fa per favorire il turismo e le attività museali in Oltrepò? «C’ è un progetto proposto vieni a vivere a Voghera e in Oltrepò. Gli immobili costano poco e la qualità della vita è buona e a pochi chilometri di autostrada si può raggiungere Milano. Nel concreto abbiamo finanziato la seggiovia di Pian del Poggio, abbiamo organizzato convegni sul turismo ed i prodotti tipici valorizzando agri turismi e buona cucina nel quadro della nostra fiera la più antica di Lombardia. Greenway (costruita con il contributo importante del Comune di Voghera) e percorsi escursionisti vengono valorizzati da varie associazioni vogheresi. E poi non dimentichiamo che l’enoteca regionale di Broni è ospitata in una cascina donata a suo tempo alla fondazione da un grande vogherese Carlo Gallini». C’è una iniziativa del Touring per moni-
torare le risorse del territorio e proporre una guida della nostra zona? «Il Touring con Camera Commercio, Fondazione Cariplo, Regione Lombardia e Fondazione per lo sviluppo dell’Oltrepò sta lavorando per ampliare il bacino degli operatori interessati al turismo, auguriamoci che il lavoro porti risultati concreti». Il ruolo dei prodotti tipici per il rilancio del nostro turismo? «Salame, mostarda, miele, buon vino e prodotti della nostra agricoltura sono la cartina al tornasole, il nostro biglietto da visita». Il senatore Centinaio, di diversa estrazione politica dalla sua, è ministro con delega alle politiche agricole e al turismo. Secondo lei potrà avere un ruolo importante per il nostro Oltrepò? «Il mio partito l’UDC era nella coalizione di centro destra e Centinaio era il candidato unitario, quindi in quella occasione è stato eletto anche con il nostro apporto, senz’altro il ministro può essere una opportunità per il territorio e la sua presenza va avvertita in termini concreti e non solo come un fatto di campagna elettorale. Sappiamo che la persona è seria e quindi penso che non ci deluderà». Tiri le conclusioni «Ritengo che questo nostro Oltrepò con Voghera, la Valle Staffora e la montagna abbia grandi potenzialità, occorre però un’inversione di tendenza per far sì che i vari attori del territorio possano condividere e collaborare per ricercare risorse, fare investimenti significativi e rivalutare così una zona ed i suoi prodotti che hanno possibilità di fare marketing comunque. È certo che occorre fare squadra e dovrà esserci una risposta anche dalle istituzioni per migliorare strade ed infrastrutture. Occorrono interventi significativi per fronteggiare situazioni viabilistiche divenute in questa provincia insostenibili». di Silvia Colombini
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«Non riappoggerei Barbieri perché è chiaro che è distante dalla città e dai suoi veri problemi» Assente dal “campo” della politica vogherese da alcuni anni, l’ex assessore e consigliere provinciale Luigi Bassanese si mantiene in allenamento esercitandosi da battitore libero soprattutto sui social. Politica nazionale ma anche locale, attraverso la sua pagina facebook non risparmia bordate a destra (ma soprattutto) a sinistra. Il bersaglio preferito sono quelli che lui chiama i “pdioti” (esponenti del Pd), ma non lesina critiche neppure a destra, soprattutto se si parla di politica locale. Polemiche e scontri fioriscono sulla sua bacheca, recentemente ha ricevuto anche qualche insulto per aver criticato la gestione dei fondi per l’iniziativa “Voghera di Sera”. Se il 2020 sarà l’anno delle nuove elezioni lui ci sarà. «Stavo preparando una lista mia già nel 2015, poi l’amico Carlo Belloni mi chiese di farmi da parte per appoggiare Barbieri e decisi di giocare di squadra. Viste come sono andate le cose, un’operazione che non ripeterei». Partiamo da qui Bassanese. Nel 2015 lei si fece da parte per appoggiare Barbieri e poi? Vinse ma non le trovarono un ruolo? «Io non ho chiesto seggiole e non ne ho ricevute. Non riappoggerei Barbieri perché è chiaro che è distante dalla città e dai suoi veri problemi. C’è una crisi del lavoro profonda che investe il tessuto sociale ma che risposte vengono date? Questa Amministrazione è assente, il sindaco o è incapace o forse semplicemente ha altri interessi rispetto ai problemi quotidiani della cittadinanza.
«Stiamo già lavorando ad una lista civica, insieme ad alcuni amici, perché questa ormai è l’esigenza».
La maggior parte dei consiglieri comunali regge il gioco perché è stata accontentata con posti nelle varie società. Questa non è politica, è un gioco delle parti, sono affari. La politica dovrebbe essere sacrificio, mediazione, capacità di risolvere i problemi della gente non solo a parole in campagna elettorale». Tornerà in campo in prima persona dunque? «Stiamo già lavorando ad una lista civica, insieme ad alcuni amici, perché questa ormai è l’esigenza». Facciamo una panoramica sulla situazione politica in città. Partiamo da Forza Italia, di cui è stato esponente anche se molti anni or sono. Come vede il suo ex partito? «Un partito lontano dalla gente che non si è mai rinnovato. D’altra parte se si continuano ad eleggere le stesse persone che sono lì da vent’anni è evidente che il rinnovamento non è un interesse primario. I cittadini lo hanno già condannato alle urne mi pare». La Lega ha fatto un boom alle scorse elezioni, anche qui a Voghera. Come vede il partito di Salvini? «La gente è stufa di un certo modo di fare politica, per cui penso che la Lega guadagnerà nuovi consensi. A livello locale però, se vogliono esprimere un loro candidato sarebbe ora che iniziassero a lavorare per trovare un nome forte e credibile». Elena Lucchini, che è pure deputato, non potrebbe esserlo? «Lei sicuramente sì. Sta facendo un ottimo lavoro, è una donna e sarebbe forse la candidata ideale per Voghera». A giudicare dai suoi commenti su facebook, forse questa domanda sarebbe meglio non farla ma… Del Pd che dice? «Peggio di Forza Italia. Se pensano solo agli immigrati non faranno alcuna strada. D’altra parte sono stati pure abbandonati dal loro elettorato, questo è indice di quante ne abbiano combinate. A Voghera poi ho visto che ogni tanto votano pure insieme alla maggioranza e questo dà da pensare. Capisco che su alcuni punti si possa anche convergere ma francamente mi pare che la loro opposizione non sia per nulla incisiva». I Cinque Stelle invece? «Vanno bene a livello nazionale, qui no, per cui vuol dire che hanno qualche problema interno. Adesso che hanno anche un parlamentare vogherese gli auguro di riuscire ad avere una svolta anche a livello locale». Lei ha fatto parte della prima giunta Torriani, di cui fino al 2003 è stato assessore all’urbanistica. Il centrodestra governava allora e oggi è sempre lì. Grosso modo con gli stessi volti, almeno dietro le quinte. Ci sono differenze tra
Luigi Bassanese, dal 200 al 2003 assessore della prima giunta Torriani
la politica di allora e quella di oggi? «Forse all’inizio c’era più dialogo, più mediazioni. Oggi mi sembrano più un gruppo di amici che amministra in una certa maniera, mantenendo i consensi e acquisendone di nuovi accontentando un po’ tutti. Per vivacchiare». Qualcosa di buono all’Amministrazione dovrà pur riconoscerlo… almeno la restituzione del Teatro Sociale alla città ammetterà che è un obiettivo raggiunto importante. «Quello sì ma non risolve certo i problemi della città. Anzi, bisognerà anche saper gestire il dopo riapertura, sciogliendo il nodo della gestione». Lei cosa si augura? «Beh, che se ne occupi chiunque tranne che il Comune! Una fondazione, magari». Non si fida dell’assessorato alla cultura? «Beh, il livello della proposta culturale è piuttosto bassa. Anche qui si accontentano più che altro gli amici, per cui non si fanno grandi cose. Nei paesi vicini, anche quelli molto più piccoli, si fanno manifestazioni migliori». Recentemente ha battibeccato su facebook a proposito della spesa per l’organizzazione di “Voghera di Sera”. Cosa non le è piaciuto? «Mi sono limitato a controllare le voci di spesa. La manifestazione è costata 17mila euro di cui quasi la metà sono spese d’ufficio e di cancelleria, spostamento delle transenne, fotocopie. Mi sono limitato a dire che se c’erano già pochi soldi sono stati anche spesi male, ma apriti cielo, sono subito intervenuti i paladini dell’as-
Teatro Sociale, «Lo gestisca chiunque tranne che il Comune! Una fondazione, magari» sessore, che neppure erano stati chiamati in causa, e ho ricevuto anche insulti». Quali sono secondo lei i problemi della città cui bisognerebbe mettere mano subito? «Il centro è vuoto, si facciano politiche per diminuire le tasse e per incentivare le attività commerciali ad investire. Poi la città è sporca, trasandata. Basta guardare la stazione, un brutto biglietto da visita per la città. Manca proprio l’ordinaria gestione della cosa pubblica. Chiediamoci perché la gente, vogheresi compresi, preferisce andare nei paesini limitrofi anziché stare qui». di Christian Draghi
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«Il turismo non riparte perchè l’ Oltrepò è senza regia»
Un parlamentare deve essere scelto dal proprio territorio, deve rappresentare le istanze di quel territorio, quello che la gente dell’Oltrepò chiede è che i rappresentanti parlamentari oltrepadani possano avere un occhio di riguardo verso l’Oltrepò e lavorino per far crescere questa nostra terra, che ha buone possibilità di sviluppo ma è “frenata” sia da una litigiosità atavica della sua gente, sia dal fatto che di rappresentanti dell’Oltrepò che abbiano veramente rappresentato il territorio a Roma... ne abbiamo avuti ultimamente pochi. Al deputato Cristian Romaniello, trentenne vogherese, attivista del Movimento 5 Stelle dal 2014, una laurea in psicologia, eletto alla Camera con il sistema proporzionale, di professione dottore in ricerca, la gente oltrepadana chiede di ricercare e possibilmente trovare, la strada e il modo per far ripartire e crescere l’Oltrepò. In un’intervista a caldo il giorno dopo la sua nomina a deputato del M5S, lei ha dichiarato: «Sicuramente sul territorio mi occuperò di ambiente che è il problema più grande che abbiamo... Abbiamo soluzioni a portata di mano per tutti questi problemi, ma abbiamo bisogno del supporto dei cittadini e di una classe politica locale meno superficiale». Sono passati soli quattro mesi ma c’è qualcosa di concreto “che bolle in pentola” in ambito ambientale in Oltrepò? «In Oltrepò abbiamo vinto una grossa battaglia contro l’insediamento di un inceneritore a Retorbido, grazie alla vicinanza della compianta Iolanda Nanni e ad una grande sollevazione popolare pacifica che ha dimostrato, ancora una volta, come i cittadini siano in grado di prendere le decisioni adatte per il proprio territorio.
«è inaccettabile avere aree con siti di trattamento rifiuti di ogni sorta ogni cinque chilometri»
Cristian Romaniello, deputato vogherese del M5S Ritengo che per proseguire in questa direzione, non solo occorra limitare ecomostri e progetti non in linea con la vocazione agricola e naturalistica di questo territorio, ma anche valorizzare la nostra terra nel Mondo. Il pavese e la lomellina presentano problemi rilevanti, e per questi occorre una grande attenzione. Grazie alla competenza del Ministro Costa e dei nostri membri della Commissione Ambiente, già i primi provvedimenti del Governo e del Parlamento sono volti a porre rimedi essenziali. A Luglio, era stato depositato un ordine del giorno sulla prevenzione e sul contrasto dei roghi agli impianti di trattamento rifiuti. L’ODG impegna il governo ad adottare 3 strumenti operativi per contrastare questo fenomeno: i controlli a sorpresa, i monitoraggi del suolo e il censimento delle aree a rischio. Il Ministro Costa ha ottenuto le deleghe necessarie per intervenire come unico regista sulle terre dei fuochi e sul dissesto idrogeologico, ha aumentato l’attenzione sui siti di stoccaggio rifiuti, avviato un protocollo straordinario di controllo contro gli incendi, pianificato la campagna #plasticfree per ridurre drasticamente l’inquinamento da plastiche e avviato una competenza organica sullo sviluppo dell’economia circolare. Insomma, sul piano ambientale si cambia registro e la promessa di una classe politica non superficiale è già realizzata. Una piaga territoriale su cui mi impegnerò riguarda la concentrazione di impianti di trattamento rifiuti in alcune zone. è inaccettabile avere aree con siti di trattamento rifiuti di ogni sorta ogni 5 chilometri. Oc-
corre rendere omogenea la distribuzione a livello territoriale e impedire nuove installazione o ampliamenti di siti esistenti, come nel caso dell’impianto di incenerimento A2A di Corteolona. Per me, a livello di impianti di trattamento rifiuti, la provincia di Pavia è Off-limits». Dopo i recenti tragici eventi di Genova un pensiero va anche ai ponti oltrepadani, perennemente oggetto di lavori in corso, ristrutturazioni, messe in sicurezza.. Il ponte Morandi di Genova per i tecnici era un ponte sicuro, pertanto percorribile, così come per gli addetti ai lavori lo sono i ponti sul fiume Po. Lei “si fida” dei tecnici che sostengono la non pericolosità dei ponti in Oltrepò? «I fatti di Genova evidenziano responsabilità singolari. Il Ponte Morandi non era sicuro per “i tecnici”. Lo era per qualche tecnico che avrebbe dovuto garantirne la sicurezza prima del profitto, ma ha fatto il contrario. Autostrade, per bocca del direttore del tratto che comprendeva il Ponte Morandi - Marigliani- ha dichiarato che non c’erano avvisaglie di pericolo e che il crollo era inaspettato. Negli anni scorsi, però, il problema del Ponte Morandi è stato sollevato in molte sedi, tra le quali il Consiglio regionale ligure, il ministero delle Infrastrutture sotto la guida di Del Rio, il Parlamento italiano, la Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali, il Provveditorato per le opere pubbliche, Autostrade per l’Italia. Addirittura, alcuni resoconti mostrano come proprio le pile crollate fossero oggetto di discussione di questi soggetti. In Parlamento sono stati presentati diversi atti
ispettivi all’allora Ministro Del Rio sulle condizioni del Ponte Morandi. Ingegneri e Università evidenziavano le criticità del ponte, ma nessuno ha deciso di chiuderlo. Se quel ponte fosse stato considerato un servizio per i cittadini, e non di un business, sarebbe stato chiuso all’istante e sistemato o sostituito. Pertanto la mia risposta è: sì io mi fido dei tecnici. La politica deve chiarire una volta per tutte - e noi lo stiamo facendo - che il lavoro dei tecnici è quello di massimizzare la sicurezza e non il risparmio. Ma per fare questo, occorre che opere di tale genere non finiscano in mano ai privati, che si pongono come obiettivo il profitto, per l’appunto, privato». A suo giudizio i ponti della Becca, della Giarola, di Bressana, per citare i più evidenti esempi di “mettiamoci una pezza” vanno ristrutturati o sarebbe opportuno costruirne di nuovi? «Per quanto riguarda il ponte della Becca, il MoVimento 5 Stelle, prima con Iolanda Nanni ed ora con Simone Verni, si è battuto in Regione per ottenere gli stanziamenti per gli interventi di sistemazione e quelli per lo studio di fattibilità per il nuovo ponte. Dopo essere stato eletto, io stesso mi sono interessato direttamente alle nostre infrastrutture. Il Ponte della Becca è stato il primo sul quale ho preso impegni e, parlando col Ministro Toninelli, ho avuto modo di evidenziare le pessime condizioni in cui versa il ponte. Il Ministero è disponibile per la pianificazione e la realizzazione di un nuovo ponte che possa assorbire il traffico pesante ma il buon andamento
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«Trovo preoccupante il legame che a volte gli amministratori locali instaurano con i potentati locali, allo scopo di ottenere una buona poltrona...» dell’iter dipenderà da Regione Lombardia, che dovrà consegnare il piano di fattibilità. Dopo le elezioni del 4 Marzo,“Lombardia Mobilità” - società voluta da Maroni che avrebbe dovuto risolvere ogni problema infrastrutturale lombardo - è stata chiusa. Visto il pasticcio, occorre rispettare i tempi di un iter che prevede prima il piano di fattibilità, poi l’inserimento dell’opera nel piano quinquennale di ANAS e, infine, la realizzazione attraverso l’intervento del Ministero. Nel caso dei ponti di Gerola e di Bressana, uno studio di Eupolis del 2013 li classificava, il primo, tra quelli necessitanti di ispezioni periodiche ed interventi specializzati ed il secondo tra quelli per i quali valutare l’opzione della dismissione e sostituzione con uno nuovo - peraltro, essenziale nel quadruplicamento della linea ferroviaria che interesserebbe le stazioni da Milano Rogoredo a Tortona. Credo che si debba partire da qui per le conseguenti decisioni politiche. C’è ancora qualcuno che ci accusa di essere dei “signor no”, ma per noi è semplicemente fondamentale la distinzione tra grandi opere e piccole/grandi opere. In Italia si voleva il Ponte sullo Stretto, la Pedemontana o altre opere enormi il cui beneficio è dubbio, e si trascuravano milioni di cittadini che si ritrovano ponti a rischio, strade dissestate, trasporto pubblico locale non funzionale, e così via. Noi siamo per gli interventi diffusi che portano beneficio ai cittadini, il rilancio economico del territorio, e la garanzia di un sistema di viabilità fluido, sicuro e rispettoso delle esigente dell’ambiente». Le “buche” dell’Oltrepò sono diventate un elemento che purtroppo contraddistingue il nostro territorio. Il fatto singolare è che se si abbandona la provincia di Pavia e si entra in quella di Piacenza o in quella di Alessandria, la situazione è tutt’altra: pochi chilometri ed il manto stradale assume tutt’altra connotazione. Eppure di soldi in Oltrepò e provincia per le strade ne sono arrivati e tanti. Cosa non ha funzionato? C’è chi sostiene che sono state utilizzate materie prime di scarsa qualità, c’è chi sostiene che
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siano stati fatti interventi non ottimizzati.. Lei che idea si è fatto e soprattutto qual è allo stato attuale la soluzione? «Le cause dell’attuale situazione possono essere molteplici, da troppo tempo si è sottovalutato questo tema e mi sembra evidente che si sia agito con sufficienza. La soluzione è quella di investire maggiormente prevedendo cicli programmati e vigilando al contempo sulla qualità dei lavori, introducendo penali severe nei casi di lavori non eseguiti a regola che, oltre a non risolvere i problemi, si traducono in uno spreco di risorse pubbliche. L’Italia non è il Paese dei furbi. L’Italia è il Paese di chi sa lavorare e lavora bene». Per la promozione del turismo in Oltrepò esistono una diversità di associazioni ed enti più o meno no profit, più o meno pubblici. Secondo lei è un aspetto positivo questa pluralità di soggetti o sarebbe auspicabile una scrematura con la creazione di un ente o di un’associazione unica per ogni settore (Turismo, Vino, Salame, Prodotti tipici)? «Personalmente ho sempre apprezzato la pluralità di operatori in un settore. Tuttavia, questa pluralità deve trovare la capacità di cooperare e di visualizzare obiettivi per il bene di un territorio. Il problema della promozione del turismo in Oltrepò lo studio da anni insieme al gruppo del M5S di Voghera. I risultati di un’analisi strutturata che abbiamo eseguito indicavano diverse criticità che impediscono di seguire questa opportunità di rilancio come si deve. La mancanza di una regia generale, il dispendio di risorse per iniziative isolate e non organiche, l’assenza di sinergie tra player del settore, la mancanza di un’identità riconoscibile e la la mancanza di iniziative promozionali e di comprensione dell’evoluzione del mercato rappresentano gli ostacoli principali. Tuttavia, con l’offerta eno-gastronomica di primo piano, i paesaggi incontaminati, la presenza di castelli, i collegamenti infrastrutturali favorevoli e molto altro, è possibile invertire la rotta creando una strategia complessiva che possa partire da un brand “Oltrepò’” che riesca a coinvolgere in modo armonico le diverse anime del nostro territorio. è tema che mi sta molto a cuore. Per questo nei prossimi mesi incontrerò i principali organi locali e istituzioni». Il taglio dei vitalizi è certamente un “cavallo di battaglia” del M5S. Da Roma alla politica locale: lei ritiene che i compensi dei sindaci e degli amministratori dei Comuni oltrepadani siano cosa giusta o andrebbero tagliati? Se sì in che percentuale? In tutti i Comuni o con una distinzione in base al numero di abitanti? «Il taglio dei vitalizi è il taglio ad un privilegio rubato il 21 Dicembre 1954 in una seduta segreta dell’Ufficio di Presidenza della Camera. Il 21 Dicembre, mentre le persone pensano alle meritate feste natalizie e alla famiglia. Insomma, qualcosa di rumoroso è stato emesso mentre il rumore di fondo era molto più alto, per non lasciare che venisse percepito. I compensi degli amministratori locali che nulla c’entrano con i vitalizi, sono indennità che spettano a chi svolge un incarico
per la collettività. Chi lo fa per se stesso, o per esigenze di potere del proprio partito o di qualche lobby, dovrebbe essere fermato alle urne. Nessun cittadino dovrebbe cedere a ricatti o persuasioni di alcun tipo, in modo da essere ripagato dal buon funzionamento dei servizi di cui necessita. Ma, al di là degli aspetti politici, trovo che un amministratore locale debba percepire il giusto compenso per le attività che svolge. I consiglieri comunali dei piccoli Comuni percepiscono un gettone di presenza che, di certo, non li ripaga del tempo e dell’impegno che mettono per il bene collettivo. Spesso, i nostri Consiglieri comunali donano anche quel gettone. Fino a quando i compensi non risultano come spreco o furto - come nei casi di consigli Comunali convocati molte volte in un giorno al solo scopo di aumentare le indennità dei consiglieri, casi passati agli onori delle cronache - non ritengo che occorra intervenire. Trovo più preoccupante il legame che a volte gli amministratori locali instaurano con i potentati locali, allo scopo di ottenere una buona poltrona in qualche consiglio di amministrazione in favore di parenti, amici, amici degli amici, “porta-voti” locali, o per se stessi alla fine del mandato. Anche su questi casi sono state fatte fiori di inchieste». Una digressione: avete festeggiato il taglio dei vitalizi stappando un noto spumante piemontese…Lei auspica per un prossimo eventuale vostro successo di poter brindare con un bollicine dell’Oltrepò? «Assolutamente sì. Per l’occasione del Bye Bye Vitalizi ho portato qualche bottiglia di metodo classico dell’Oltrepò per mostrarne la qualità.
«Di Maio si è stupito che in Oltrepò si bevesse vino anche alle 10 della mattina, poi l’ha assaggiato e ha capito perché» Sono rimasti tutti soddisfatti del prodotto e Di Maio ha detto: “Quando sono stato in Oltrepò mi ha stupito il fatto che si bevesse vino anche alle 10 del mattino. Poi l’ho assaggiato e ho capito perché”. Chissà che per il taglio alle pensioni d’oro…». Il 2019 sarà un anno importante per la politica locale, si voterà infatti in alcuni dei più importanti comuni dell’Oltrepò: Stradella, Casteggio, Varzi, Bressana Bottarone… Il M5S presenterà una propria lista indipendente o si prospetta
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un apparentamento con la Lega come al Governo? «Ai tempi delle consultazioni era necessario trovare il modo di dare un Governo al Paese, visto il pasticcio di legge elettorale voluta e pensata per ostacolare la nostra vittoria alle urne, e in campagna elettorale eravamo stati chiari: qualora non avessimo raggiunto la maggioranza da soli avremmo aperto alle forze parlamentari interessate ad intraprendere un percorso di cambiamento vero per il Paese. A livello locale non c’è il rischio di paralizzare un Comune. Un vincitore c’è sempre. Il M5S nasce per mettere al centro le persone e vogliamo che siano i cittadini responsabili ad amministrare le nostre città. Con questi cittadini vi sarà sempre dialogo e una ricerca di competenze che perseguano il bene comune. Credo sia bene che il M5S mantenga questa sua propria identità». Voghera è la sua città, pertanto si presume che il suo apporto alle prossime elezioni comunali sarà importante. Verrà riconfermata Caterina Grimaldi come vostro candidato? «La decisione spetterà al gruppo locale di Voghera. Caterina sarebbe sicuramente, e ancora una volta, un’ottima candidata da schierare. Se dovesse avere il desiderio di ricandidarsi, al netto dei processi di democrazia diretta, potrebbe essere ancora la nostra candidata Sindaco. è evidente a tutti che, nel 2015, il 10% sia stato un risultato ingeneroso, e Caterina lo sta ampiamente dimostrando nella sua attività consiliare». Anche Casteggio alle ultime elezione regionali ha avuto il “suo” candidato eletto, Simone Verni. Chi sarà il candidato M5s per Casteggio? «Anche in questo caso è ancora presto per potersi esprimere». è indubbia l’ascesa del M5S alle ultime elezioni politiche nazionali, di contro però a livello oltrepadano dove tendenzialmente si vota la persona e non il partito, il vostro consenso si mantiene sempre su percentuali piuttosto besse. Secondo lei perché? Forse i vostri candidati in Oltrepò non sono abbastanza “riconoscibili”? Come pensate di affrontare questa problematica? «I nostri candidati sono spesso comuni cittadini che si prestano alla politica, hanno molte competenze ma non sono portatori di voti. Dobbiamo essere presenti e far conoscere la nostra idea di comunità e il nostro progetto politico a livello locale. Sono certo che gli elettori dopo averci conosciuto e aver conosciuto il nostro programma, saranno più consapevoli e ci voteranno. Per concludere, il M5S porta avanti l’idea del cambiamento in ogni realtà. Noi vogliamo portare nelle Istituzioni cittadini di buona volontà che abbracciano le nostre battaglie e i nostri valori di onestà, trasparenza, lealtà, condivisione, legalità. Pertanto, invito chiunque si rispecchi in tutto questo ad avvicinarsi ai nostri gruppi locali per rivalutare il modo stesso di intendere la politica. Non più delega ad altri ma decisioni dirette da parte dei cittadini, per il solo bene collettivo». di Silvia Colombini
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«Dimenticati da tutti, persino dai delinquenti!» Un quartiere di Voghera dimenticato dalle istituzioni, che versa in condizioni di pesante degrado. Il quadro che Gianni Ferro, residente e portavoce, dipinge di San Vittore è tutt’altro che edificante. è per questo che due anni fa alla viglia di Ferragosto lui e altri 13 cittadini volenterosi decisero di rimboccarsi le maniche per dare vita al progetto che prese il nome di “Volontà San Vittore”, un comitato oggi molto attivo nel rione, ma con un “format“ che altri starebbero già valutando di adottare in altre zone della città. Non solo pulizia delle aree più sensibili o interventi di manutenzione qua e là ma una vera e propria integrazione del welfare: servizio di consegna della spesa e dei medicinali a domicilio, trasporto gratuito a chi ha bisogno di visite in ospedale e assistenza per le più svariate esigenze quotidiane. Forte di questa esperienza il comitato non esclude un impegno concreto in vista delle prossime elezioni anche se, come spiega Ferro che ne è il portavoce, «non faremo una lista civica». Come è nata l’idea di creare Volontà San Vittore? «Un paio d’anni fa abbiamo deciso di mettere in piedi questo comitato per dare una risposta pratica alle problematiche del rione e non soltanto per inoltrare delle richieste al Comune, che oltretutto non solo non sembrava intenzionato a risolverle, ma cercava anche di nasconderle, come se
«L’associazione Volontà SanVittore da 2 anni si sostituisce al Comune nella manutenzione del quartiere» non esistessero». Come è iniziata la vostra avventura? «Siamo partiti dal piccolo campo da calcetto di via Turati che versava in condizioni pietose, le reti rotte, scritte sui muri, uno strato di terra e sporcizia sulla pavimentazione che nemmeno ricordavamo esistesse e come fosse fatta da tanto era coperta. Poi ci siamo spostati sui giardi-
Gianni Ferro, portavoce di “Volontà San Vittore”
netti vicini, dove anche lì mancava manutenzione, così abbiamo riverniciato i muri, messo in ordine e ci siamo organizzati per controllare che nessuno li vandalizzasse». Prima di muovervi in questo senso però avrete chiesto al Comune di intervenire, oppure no? «Da tanto chiediamo al Comune più attenzione. Ci sono state le elezioni due anni e mezzo fa e, come sempre, i politici sono venuti a chiederci il voto in cambio della promessa di fare loro quei lavori che poi alla fine abbiamo fatto noi. Una volta vinte le elezioni però le promesse non sono state mantenute e anzi, i lavori da fare non sono neppure stati presi in considerazione nonostante di fatto si trattasse di un impegno economico davvero irrisorio che posso testimoniare dato che i lavori li abbiamo fatti noi». Non si è più visto nessuno dell’Amministrazione da queste parti? «Il primo a farsi vedere è stato Ghezzi del Pd che ha portato in consiglio comunale una interpellanza basata su nostre istanze. Durante la seduta il nostro gruppo era presente e quando il segretario di Forza Italia e l’assessore alla sicurezza hanno detto che i problemi non esistevano ci siamo piuttosto alterati. Poco dopo allora sono venuti qui il consigliere Taverna e l’attuale vicesindaco Salerno. Con loro abbiamo fatto un giro e abbiamo indicato alcune problematiche, come quella di un cancello arrugginito e pericolante. Il giorno dopo sono usciti degli articoli di giornale dove si diceva che il problema sarebbe stato risolto. Quel cancello, però, è rimasto dov’era,
all’ingresso delle case popolari. Per il resto hanno rimpiazzato la rete dietro le porte da calcio e cambiato la lampadina di un lampione, senza però tagliare i rami che lo coprivano, per cui è inutile». Spesso nelle vostre azioni siete aiutati dai ragazzi di Casa Pound. C’è un’appartenenza politica nel comitato? «I ragazzi di Casa Pound ci danno una mano come comuni cittadini. Noi apprezziamo l’aiuto da chiunque venga e ringraziamo tutti quelli che fanno qualcosa per noi senza esservi legati politicamente, ognuno nel comitato ha le sue idee». Quali sono oggi i problemi principali del quartiere? «Ci sono topi ovunque, tanto che alcune persone ci chiedono di buttargli la spazzatura perché hanno paura a scendere. In generale poi c’è un’illuminazione scarsissima e mancano attraversamenti pedonali sicuri, come in prossimità del campo da calcetto di fronte al mio bar, dove i bambini rischiano di essere investiti. Va poi risolta la questione del campo da calcio più grande, quello di fronte ai vigili del Fuoco, che è un po’ il biglietto da visita di chi entra nel quartiere, che è in stato di abbandono». Il campo è di proprietà del Comune. Avete chiesto un intervento? «Lo scorso 25 aprile abbiamo inoltrato una lettera al Comune attraverso Casa Pound per chiedere che venga dato in gestione a qualcuno, con la condizione che, almeno per un periodo di tempo nell’arco della giornata, rimanga a disposizione gratuita dei ragazzi del quartiere visto che lo hanno realizzato anni addietro i nostri nonni. Ad
oggi non abbiamo ricevuto una risposta». Tempo fa la mancanza a San Vittore di una Farmacia è stato un tema caldo nel dibattito politico vogherese. è una problematica davvero sentita? «Secondo me no. Lo dico perché noi consegniamo anche medicinali a domicilio e posso dire che la richiesta per questo servizio è bassissima. Ci sono molte più persone che richiedono la spesa a casa ad esempio. A voler vedere mancherebbe anche l’ufficio postale, ma la realtà è che anche volendo non ci sarebbero neppure i locali per realizzare queste strutture. Quella della farmacia mi è parsa più una storia legata a giochi politici per accaparrarsi dell’elettorato». A proposito del servizio di consegna a domicilio che effettuate. Come è nata l’idea e come vi finanziate? «Dalla necessità di darsi una mano tra di noi. Il Villaggio è come un piccolo paesino e tutti conoscono i problemi di tutti. Così dopo esserci formati abbiamo organizzato una festa che ci serve per raccogliere fondi da destinare a questo servizio e che ripetiamo ogni anno». Riguardo la sicurezza? Ci sono problemi? «Non abbiamo particolari problemi di questo genere. Diciamo che siamo dimenticati da tutti, anche dai delinquenti!». Il comitato scenderà in campo politicamente? «Vogliamo sicuramente entrare in consiglio comunale per poter dire la nostra». Lista civica? «Non credo, più probabile che ne appoggeremo una già esistente». di Christian Draghi
Gianni Ferro: «La Farmacia? Un falso problema. Qui ci sono topi ovunque e illuminazione scarsa»
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Giovanni Sandi, uno dei capotecnici del motomondiale più vincenti di sempre Lo sport è da anni è diventato testimonial per promuovere la cultura, turismo, conoscenza del territorio e delle sue peculiarità. è impossibile limitarsi a parlare solo di sport se un campione visita o frequenta o partecipa a delle manifestazioni o ad eventi opportunamente organizzati in una determinata area geografica. L’Oltrepò con la sua terra, con i suoi vitigni e le note cantine avrebbe potuto e potrebbe sfruttare lo sport come un ottimo biglietto da visita per valorizzarsi e promuoversi. Ho sempre creduto nel valore dello sport e dei suoi campioni, per gli effetti positivi, che potrebbero avere per promuovere l’Oltrepò. Alcune settimane orsono un amico, Franco Santinoli, di Salice Terme, gestore di numerosi locali pubblici, mi parla di Giovanni Sandi. Ho conosciuto Giovanni Sandi sul finire degli anni ‘70, so perfettamente chi è e cosa rappresenta nel mondo del motociclismo mondiale, in breve uno dei capotecnici o come si dice oggi technical leader più vincenti di sempre, molto probabilmente il più vincente di quelli oggi in attività. Sandi è nato a Santa Margherita Staffora nel 1949, vive da “sempre” a Voghera. Una carriera nel mondo del motorsport iniziata nel 1969 «Quando le moto erano ancora per pochi». Ha lavorato, ha vinto e soprattutto ha stretto legami d’amicizia con i più grandi campioni del motociclismo, conosce tutti quelli che noi abbiamo visto e vediamo in televisione sfidarsi ogni giorno nel motomondiale. Ha un figlio, di talento, che corre a livello internazionale. Dopo queste riflessioni mi sono posto una domanda, ma perchè nessuno è andato in questi anni da Giovanni e gli ha chiesto:
«Nè io nè mio figlio nè campioni olimpici di altri sport, abbiamo ricevuto dal territorio aiuto o riconoscimento» “Giovanni tu che conosci tanti campioni, tutti i big del motomondiale perchè non ci dai il tuo aiuto per organizzare un evento, per far venire in Oltrepò qualcuno che possa promuovere attraverso la sua notorietà la nostra e la tua terra?” Oppure “Giovanni
Giovanni Sandi con la moglie Rosaria Marzano non abbiamo tanti soldi, ma qualcosa abbiamo, puoi consigliarci la miglior soluzione per promuovere il marchio Oltrepò sulla tuta o sulla carena di una moto di un campione che possa così essere nostro testimonial?” E ancora “Giovanni tuo figlio corre ad altissimo livello cosa possiamo fare per sfruttare il suo talento sportivo e promuovere il marchio dei nostri vini o dei nostri salami o dei nostri prodotti tipici?” Dopo essermi posto queste domande ho incontrato Giovanni Sandi e la sua “paziente” moglie, che magari si sarà anche stufata di sentirci parlare, a Voghera , in un bar di piazza del Duomo... Sandi, l’ Oltrepò non è una terra di motociclisti come la Romagna ad esempio. Come è nata questa “strana” sua passione? «È una passione che è iniziata in adolescenza. A 14 anni come premio per i miei buoni rendimenti scolastici mi regalarono una bicicletta, avrei voluto una moto… A 16 finalmente è arrivata e con gli amici di allora si facevano le famose sfide tra le nostre strade. Da lì, dalla strada, ho scoperto quanto questa passione fosse forte e quanta fosse grande la voglia di gareggiare». La sua prima corsa, dove e con quale moto? «È stata una gara in salita denominata Doria Creto sulle colline genovesi, era il 1969 ed io gareggiavo con un Ducati 125 che era già allora una moto d’epoca.. non attuale per fare le gare, ma nonostante questo ho fatto una buona gara, sfortunata perché forai poco prima dell’arrivo.
Il ’69 fu però nel complesso una stagione positiva: andavo alle gare con la mia macchina sulla quale mettevo la mia “motorina”, gare in salita e qualche circuito, ricordo Cuneo e Ospedaletti, durante i quali mi sono fatto apprezzare per le mie capacità tant’è che mi avevano promesso allora buone opportunità per l’anno successivo». Ha mai pensato “Ce la posso fare a sfondare come motociclista”? «Sicuramente ci ho creduto e con l’esperienza maturata ci ho creduto sempre di più, consapevole che con l’esercizio fatto come collaudatore in Guzzi avevo quel qualcosa in più, quella conoscenza tecnica che pochi altri piloti avevano. Velocità e conoscenza, quindi potevo farcela. A conti fatti posso dire che ce l’ho fatta a metà, ho dovuto fare i conti con il tempo, il lavoro ed i mezzi, mezzi che nella nostra zona era molto, troppo difficile reperire e questo mi ha fatto riflettere». Quando si è detto “Lascio perdere la carriera da pilota perché non riesco a realizzare il mio sogno”? «In realtà non l’ho quasi mai pensato, figuriamoci dirlo… ho sempre pensato di poterlo realizzare, fino alla fine e nel 1980 mi sono definitivamente rassegnato». Dalle moto alle ferrovie un bel salto… «Esatto, dopo l’esperienza in casa Guzzi ho vinto un concorso in ferrovia ed ho accettato, rendendomi subito conto che non era il lavoro adatto a me, alla mia mentalità e al mio modo di essere: ero abituato alla libertà, a girare in moto e questo mi ha portato dopo 7 anni di “patimento” a lasciare,
rientrando nel mondo del motorsport». In che modo è rientrato? «Del tutto casualmente, attraverso un concessionario di Vigevano che organizzava gare per moto di serie e gare a livello mondiale. Mi chiese di partecipare ad un campionato che stava vincendo ed io che avevo ancora in mente le moto, ho accettato, era il 1979. Quell’anno ho disputato qualche gara, facendo bene. L’anno successivo invece ho corso tutto il campionato vincendo, ma siccome la Federazione non aveva ben chiaro il regolamento, delle dieci gare si è deciso di scartarne tre, senza entrare nella polemica del perché, a conti fatti arrivai secondo, disputando comunque un ottimo campionato». Quando ha appeso definitivamente “il casco al chiodo”? «Nel 1980 ho chiuso l’unico Campionato che ho fatto per intero nella mia carriera e in quella circostanza ho avuto l’opportunità come ingegnere di pista di gestire altri piloti e quindi iniziare un nuovo percorso. L’anno successivo il Team per cui lavoravo in veste di capotecnico, mi ha dato la possibilità di “festeggiare” l’addio ufficiale alla carriera da pilota con una moto “vera”, la Suzuki 500 4 cilindri che si usava per il mondiale. Ho partecipato ad una gara di Campionato Italiano ma purtroppo la moto si è rotta quindi ho chiuso male e non come avrei voluto». È indubbio che ha ottenuto più soddisfazioni come ingegnere di pista che come pilota. Nella sua professione di capo tecnico quanti mondiali ha vinto tra piloti e marche? «Titoli mondiali piloti ne ho vinti 7 ma ne ho perso altrettanti qualificandomi al secondo posto, come marche 45 vittorie totali nella mia carriera credo di averle raggiunte». Oggi ci sono molti team ad altissimo livello e gestiti da altissime professionalità. Esiste al mondo qualcuno che ha vinto come lei? «Ma qualcuno credo di sì anche se a differenza mia attualmente non è più in attività, onestamente non ho mai guardato questa statistica, dovrei andare a spulciare per saperlo con esattezza, ho sempre e solo guardato a vincere». Per chi ha una certa età l’MV Augusta grazie a Giacomo Agostini e alle vittorie ottenute è un mito. Lei è stato capotecnico di questo team quando è ritornato nella Moto Gp, allora chiamata Moto 500… «Ho dei bellissimi ricordi, era il ‘90 quando Castiglioni patron della Cagiva aveva acquisito anche il marchio MV Augusta. Ho lavorato con Castiglioni due anni e sono stati due anni indimenticabili duranti i quali abbiamo messo insieme una grande squadra con tecnici molto preparati, due
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Nato a Santa Margherita Staffora nel 1949 Da capotecnico ha vinto 7 mondiali piloti anni bellissimi che mi hanno permesso anche di partecipare alla Parigi Dakar, avventura indimenticabile anche perché durante quella gara è scoppiata la guerra del Golfo. Sono poi ritornato in MV nel 2015 per disputare una gara del 600 Super Sport e Super Bike e ho lavorato con il figlio di Castiglioni, due generazioni a confronto prima il padre e poi figlio. Molto positivo». Il suo nome è indissolubilmente legato all’Aprilia. Quanti anni è rimasto in Aprilia? «Sono rimasto in Aprilia per 20 anni e più… Ci sono andato perché fortemente voluto dall’ingegnere Witteveen che allora gestiva il reparto corse e ho sempre avuto nel corso degli anni un buon feelling, con tante soddisfazioni, gestendo i migliori progetti che andavano in pista. Le dirò di più, qualche mese fa sono stato ricontattato per andare a gestire l’attuale Moto Gp con il pilota Andrea Iannone, questo a testimonianza che ho lasciato un buon ricordo in tutta la squadra». Lei è andato in pensione nel 2011 per quanto tempo è rimasto pensionato prima di ributtarsi nella mischia? «Praticamente mai, non mi hanno lasciato il tempo di godermi la pensione perché mi hanno contattato per una nuova avventura, la famosa Grt che non è durata molto, la categoria per giovani piloti della Moto Gp. In pochi mesi abbiamo costruito io ed il mio staff una moto da zero, fatta con le nostre idee, portata in pista con il pilota Petrucci che l’anno prossimo sarà il pilota ufficiale della Ducati nel mondiale. Esperienza positiva sia per aver assistito alla crescita di un giovane pilota che si stava mettendo in mostra sia per noi tecnici che da soli abbiamo “messo insieme” la moto». Ora di cosa si occupa? «Gestisco il Team Italtrans in Moto 2 con due giovani piloti, Pasini e Locatelli un giovane che si spera possa arrivare lontano». Lei è stato capo tecnico di tanti campioni da Mamola a Barros a Biagi per citarne alcuni. Quale le è rimasto più nel cuore sia a livello sportivo che umano? «Il primo vero grande campione con il quale ho corso è stato il giapponese Tetsuya Harada che all’esordio nel ‘93 ha vinto il mondiale. Nel 94/95/96 tre mondiali di
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seguito con Max Biagi, due mondiali con Jorge Lorenzo nel 2006/2007, poi sempre con Biagi nel 2010 nella Super Bike. Un po’ tutti mi sono rimasti nel cuore, con tutti ho sempre avuto ottimi rapporti, mi piaceva il giapponese, molto tecnico che oltre ad andare forte ci capiva di moto, idem Biagi un gran collaudatore con il quale tutt’oggi siamo in contatto. Quello con cui sono stato meno in rapporto extra corse è Lorenzo, cambiando i tempi è stato solo un rapporto di pista ma non di amicizia e di frequenza come con gli altri piloti». Lei è vogherese, c’è mai stato durante la sua lunga carriera un pilota vogherese che a suo giudizio avrebbe potuto farcela? «Sinceramente non c’è mai stato un pilota locale di livello, quello che ce la poteva fare e ce l’ha fatta è mio figlio perché è l’unico pilota che ha partecipato per tanti anni al mondiale.
che i piloti molto spesso hanno partner pubblicitari della propria zona. Suo figlio ha mai avuto sponsor locali, dell’Oltrepò, che lo hanno sostenuto e che volessero quindi avere visibilità nazionale e internazionale? «Purtroppo no ed è stata a mio parere una grave mancanza di questa zona: avere “in casa” un ragazzo giovane che partecipa al campionato del mondo, che in più studia al liceo classico con mille sacrifici è un esempio e andava riconosciuto, non dico osannato ma se non altro andava aiutato. Un esempio su tutti di piloti che correvano con lui, Simoncelli “venerato” dai suoi compaesani ed in più aiutato dalle aziende locali perché orgogliosi di avere un pilota così. In Oltrepò non capiscono, non hanno capito con me, con mio figlio o con tanti altri campioni anche olimpici, di altri sport, che non hanno ricevuto dal territorio nessun aiuto e riconoscimento. Pensi a Carlo
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mai visto alcun prodotto dell’Oltrepò, si possono contare sulle dita di una mano chi conosce il vino dell’Oltrepò o il salame di Varzi». Lei ha conosciuto tanti campioni e oggi i testimonial sono fondamentali per la promozione di qualsiasi prodotto. Nessuno di questa zona le ha mai proposto una sinergia? «A dire la verità uno ci è stato ma in modo troppo superficiale e mai approfondito e dico che è stato un peccato, poteva essere una chance per valorizzare questo nostro Oltrepò. Mentalità aperta per fare queste cose zero…». In Oltrepò abbiamo 3 circuiti. Può essere questa una speranza per il futuro del motorsport per far crescere come ad esempio la Romagna, un mondo, quello del motorsport che crea posti di lavoro e indotto? «Non c’è la stessa mentalità che c’è in Ro-
Giovanni Sandi, autodromo Magione, 2 Giugno 1974 Anzi diciamo che la sua è stata una carriera di quelle che fanno in pochi: a 13 anni è andato a correre in Spagna dove ha partecipato con una moto 125 al Campionato Sport Production, campionato che ha corso gratis grazie al fatto che aveva vinto la selezione internazionale. Parlo del 2003 ed in Italia allora a quell’età, 13 anni, non si poteva partecipare a campionati. Dalle minimoto alle 125, a 13 anni mio figlio ha avuto così la possibilità di fare il campionato spagnolo dove è arrivato quinto, e nello stesso anno ha vinto la Coppa Repsol dove ha battuto campioni diventati poi campioni del mondo. A 15 anni ha partecipato al mondiale con la 125 per tre anni e poi, come sempre succede è passato alla 250 ma non ha fatto tutto il campionato non avendo alle spalle grandi sponsor importanti, era quella l’epoca in cui se si voleva correre si doveva portare del budget». Suo figlio è certamente riconosciuto come pilota di fama nazionale e internazionale. Chi guarda il motosport vede
Bandirola che pur avendone le possibilità non è mai diventato un campione del mondo e le ragioni sono queste, il non aiuto». Voghera può vantare di avere un capotecnico tra i più vincenti al mondo. Normalmente per emulazione o per furbizia quando c’è qualcuno che tira la volata a livello lavorativo-professionale si cerca di seguire la sua scia. Qualcuno in Oltrepò ha seguito la scia del successo? «Mio nipote è l’unico che mi ha seguito ed ha fatto una buona carriera con un proprio team con il quale ha anche partecipato al mondiale, ma nessun altro ha chiesto di usufruire della mia esperienza. Su questo non ho spiegazioni logiche e plausibili in merito. Non lo so proprio». Lei ha girato il mondo per decenni in largo ed in lungo. L’Oltrepò fuori dalla nostra zona è conosciuto? «Assolutamente no, neanche a livello italiano è conosciuto figuriamoci fuori dai confini… Dico questo perchè negli allestimenti catering durante le gare non ho
magna o in altre regioni d’Italia. Non esiste in Oltrepò questa cultura, la mia speranza è che arrivi qualcuno che la capisca, l’Oltrepò non è al momento preparato a questo sport». Dopo tutto quello che ha vinto e le esperienze ad altissimo livello che ha avuto, ha ancora un sogno nel cassetto da realizzare? «L’unica cosa che vorrei realizzare da tecnico e da padre… è portare mio figlio a seguire le mie orme. Ha fatto il collaudatore e ha esperienza di gare, per cui essere stato un pilota aiuta nel mio lavoro, vuol dire sapere e capire le esigenze di un pilota, vuol dire conoscere non solo i tecnicismi ma anche le sensazioni per cui puoi aiutare il pilota a ritrovare feeling con la moto o a ritrovare le maggiori potenzialità per esprimersi. Portare mio figlio a prendere il mio posto sarebbe aver fatto qualcosa almeno per lui visto che per il motosport in Oltepò non ci sono riuscito». di Antonio La Trippa
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Arrivano “Quelli delle 3P” «Porteremo grandi eventi a Voghera»
è nata da poco ma ambisce a far parlare di sé e a portare nella città di Voghera eventi di una certa caratura. Ha un nome goliardico che in qualche maniera “sublima” la vogheresità dei componenti che l’hanno scelto con orgoglio per omaggiare la loro appartenenza alla città: l’associazione “Quelli delle 3P” si è costituita a metà del luglio scorso ed ha tenuto il proprio battesimo durante la festa rionale di Medassino. Ne fanno parte un folto gruppo di volontari della Croce di San Francesco e il presidente è un volto noto in città sia per la sua attività commerciale che per l’appartenenza politica: Francesca Miracca. Come è nata l’idea di creare l’associazione? «L’Associazione è nata quasi per caso dall’ incontro tra un gruppo di volontari della Croce di San Francesco e della Croce Rossa durante una manifestazione a sfondo benefico. Parlando tra noi abbiamo capito che c’erano la voglia e la necessità di unirsi per fare qualcosa di buono per la nostra città». Quanti siete ad oggi? «Attualmente siamo venti soci quasi tutti provenienti da attività di volontariato e ci autofinanziamo per organizzare le nostre attività».
Francesca Miracca, presidente dell’Associazione “Quelli delle 3P”
Che obiettivi avete? «L’ obbiettivo che ci siamo posti è quello di creare degli eventi per raccogliere fondi da destinare ad Associazioni benefiche della zona. Vogliamo essere protagonisti a Voghera, il nostro obbiettivo è quello di arrivare a organizzare degli eventi di una certa rilevanza senza mai dimenticare la nostra finalità: la beneficenza». In tanti si chiedono come mai a Voghera, rispetto a realtà limitrofe come Tortona, o più piccole e in luoghi più disagiati
come Zavattarello, non si organizzino manifestazioni o eventi con artisti di livello internazionale. Secondo voi come mai? «Io credo che il Comune da solo non possa impegnarsi economicamente in certe direzioni. Un ruolo importante dovrebbe averlo la Pro Loco, che a Voghera esiste ma è davvero poco attiva. Se il Comune organizzasse un evento del genere dovrebbe poi fare pagare il biglietto e sarebbe giustamente criticato». Volete provarci voi a organizzare qualcosa di “grosso”? «Come detto, siamo molto ambiziosi. Per adesso iniziamo dalle feste di quartiere, si parte sempre in qualche modo dal basso. Non pensiamo assolutamente di andare in concorrenza al Comune di Voghera, vogliamo solo essere un aggiunta positiva agli eventi pubblici. Certo, per ottenere risultati ci vorranno tempo e volontà». Quali crede che saranno i problemi principali con cui dovrete confrontarvi? «Uno di questi sarà la mancanza di spazi. A Voghera non ce ne sono molti. Piazza Duomo è difficile da utilizzare, si creano problemi alla viabilità e si suscitano facilmente proteste. La Caserma sarebbe un buono
spazio ma non viene quasi mai sfruttata e oltretutto non è neppure in grandi condizioni. Il PalaOltrepò non è una struttura adatta ad attività che non siano sportive. L’altro problema sarà la mentalità vogherese, restìa al cambiamento o alla partecipazione attiva». Pazzi, peperoni e puttane. Sono queste le “3P” di Voghera, che di nobile hanno ben poco. Come mai la scelta di questo nome? «è stata una scelta goliardica accettata da tutto il gruppo, memori che è un preciso riferimento alla nostra città. Non bisogna mai prendersi troppo sul serio». Lei è ristoratrice ma anche un esponente piuttosto in vista della Lega Nord. L’associazione ha un colore politico? «L’ Associazione è apolitica, il fatto che partecipi in modo attivo è per via delle mie esperienze commerciali e pubbliche. Al momento in cui abbiamo deciso di costituirci tutti i soci sono stati informati preventivamente della mia posizione politica e hanno deciso di accettare la situazione. In ogni modo non si parla mai di politica tra di noi, solo di sociale». di Christian Draghi
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L’ex Tennis diventa ‘‘Country club’’. A Ottobre l’inaugurazione Aveva destato un certo sconcerto in Voghera la chiusura, che sembrava essere definitiva, dello storico Tennis Club di via Sturla. Ma lontano dai riflettori si è svolta e conclusa positivamente una trattativa che ha portato la famiglia Montalba ad acquisire la struttura e a mettersi in gioco direttamente per il suo rilancio. I coniugi Stefano Montalba e Patrizia Rana, anime dell’iniziativa, sono già in grado di delineare la road map dei prossimi mesi. Da cosa nasce questo vostro impegno nel nuovo Country Club? «Siamo una famiglia che ha una passione per il tennis e fino ad oggi la nostra vita non aveva nulla a che vedere con questo direttamente, se non l’accompagnare i nostri figli a lezione. A un certo punto si è presentata questa occasione, e parallelamente all’attività principale di famiglia abbiamo deciso di diversificare, o comunque di occuparci di qualche cosa che avesse a che fare col pubblico e al contempo con il mondo dello sport». La notizia è arrivata forse inaspettatamente, ma è stata accolta con entusiasmo nell’ambiente cittadino. Siete d’accordo? «Questo tennis ha un’importanza storica e sociale all’interno della comunità vogherese. È interesse di tutti, quindi, che questo posto venga sviluppato e potenziato. Tutti quelli che ci hanno incontrato o chiamato per avere informazioni ci hanno subito ringraziato dopo aver conosciuto il nostro progetto e per avere iniziato a renderlo una realtà. Sicuramente la chiusura della struttura, socialmente, pesava». Come si è svolto il passaggio di consegne? «Vorrei fare due ringraziamenti. Alla signora Zella, al figlio Andrea e al Consiglio Direttivo del Tennis Club per aver creduto nel nostro progetto e per come hanno saputo gestire la vicenda e condurre in porto la trattativa. E poi all’Amministrazione comunale e in particolare al sindaco Barbieri per come ha saputo coinvolgere Il Demanio mettendo in contatto privato e pubblico e proponendo diverse soluzioni all’annosa questione della divisione del terreno». Quando è iniziata la vostra ‘‘avventura’’ vogherese? «Siamo entrati ai primi di giugno, non appena si è conclusa la trattativa successivamente alla chiusura del precedente contratto di gestione. La prima cosa che abbiamo cercato di fare è stata quella di sistemare i campi, ripulire gli spogliatoi e dare un minimo di servizi in modo da garantire la sopravvivenza della struttura evitando che rimanesse totalmente abbandonata nel periodo estivo accelerandone il decadimento». Qual è il punto di partenza per il rilancio? «Fino ad oggi la struttura del tennis era
composta da 4 campi in terra battuta, di cui due coperti, più un palazzetto con superficie in erba sintetica. Erano poi presenti due campi polivalenti in erba sintetica, scoperti. Ovviamente c’era una club house, con un bar ristorante, e una sala riservata ai soci, oltre a una piscina e agli spogliatoi. Il tutto era ormai inadeguato allo scopo per cui era stato costruito e anche dal punto di vista della sicurezza era necessario intervenire in modo sostanziale». Quali sono i progetti che avete in serbo? «Abbiamo fatto una scelta precisa: quella di non chiudere la struttura durante la ristrutturazione. La faremo in vari step, così da mantenere un’apertura continua. Questo farà sì che la globalità del progetto si svilupperà tra l’anno 2018 e il 2019 in varie fasi, sempre garantendo un minimo di servizio e di qualità. La prima fase, quella più semplice, è già in parte realizzata. Tutte le superfici dei campi in terra rossa sono state rifatte: le righe e le reti da gioco sono nuove, ed è stata sostituita l’illuminazione con nuove lampade led conformi agli standard della FIT e del CONI».
«Abbiamo fatto una scelta precisa: quella di non chiudere la struttura durante la ristrutturazione. La faremo in vari step...» Quale sarà il prossimo passaggio? «Il prossimo step sarà la realizzazione di un campo coperto da tennis ‘‘play it’’, una superficie sintetica di nuova generazione. Oltre alla terra rossa ci sarà, quindi, la possibilità di giocare su un campo veloce. Poi ci sarà un campo da paddle modello panoramico, coperto e riscaldato. Una piccola area verrà attrezzata a palestra e sarà dedicata non soltanto agli agonisti tennisti, ma anche a chi vorrà fare del semplice esercizio e questo senza fare concorrenza ad altre palestre che hanno dimensioni, attrezzature e target ben diversi. Verrà completata la ristrutturazione di tutti gli spogliatoi e l’impianto di illuminazione per il viale di accesso». Quest’inverno i lavori continueranno… «A seguire ci saranno gli interventi sulla piscina e sulla club house che ad oggi sono in fase di progetto, così come la gradinata del campo 1. A parte questi ultimi interventi, tutto quello di cui abbiamo discusso in precedenza, invece, sarà pronto al massimo per il 10 di ottobre.
Nella fase finale ci sarà anche un secondo campo da paddle scoperto e un secondo campo in ‘‘play it’’ e la copertura di un terzo campo in terra rossa. E il campo da paddle coperto, riscaldato in inverno, verrà climatizzato in estate e quindi sarà utilizzabile tutto l’anno, in ogni condizione meteo. Verso la fine del 2019 abbiamo in previsione anche di realizzare una piccola spa, in una struttura dedicata». Cosa avete in programma per la piscina? «Di renderla un po’ più attuale e a disposizione degli utenti. Più fruibile, più godibile, più accattivante. Nei weekend estivi la piscina sarà illuminata nelle ore serali e sarà messo in funzione un bar, così da offrire al pubblico un’area relax dove bere qualcosa e rilassarsi per un aperitivo o un dopo cena, ascoltando musica, in compagnia». La gestione della struttura, abbiamo detto, sarà diretta. Come verrà gestita, invece, la club house? «La club house sarà sempre gestita direttamente. Entro ottobre metteremo a disposizione un bar temporaneo per soddisfare le esigenze minime degli ospiti, e nel frattempo procederemo con la ristrutturazione vera e propria dell’immobile, che a regime ospiterà un bar ristorante con annessa al piano primo una sala riunioni, dotata delle attrezzature necessarie per conferenze o per incontri tecnici tra istruttori e atleti». Altre novità? «A breve, entro fine mese, verrà lanciata un’app dove chiunque potrà vedere quali campi sono disponibili, quando lo sono e prenotare direttamente il proprio campo e le proprie ore». Per arrivare a questa progettazione avete preso spunto da altre realtà esistenti? «Due anni fa eravamo già andati molto vicini all’acquisto del tennis di Voghera. Negli ultimi due anni avevamo comunque continuato a guardarci in giro perché cercavamo una struttura di questo tipo, e abbiamo girato diversi centri e circoli, sia in Italia che all’estero. Onestamente da molti abbiamo preso spunto e idee». Quale filosofia guiderà la vostra attività? «Per Voghera il Country Club rappresenterà qualcosa di diverso. Vogliamo dare alla struttura una propria identità, quella di un posto dove si pratica lo sport tennistico con i suoi affini - paddle e minitennis - ma anche quella di un posto aperto a tutti: non solo agli amanti dello sport, ma anche a quelli del relax, semplicemente, perché la struttura permette anche questo. Ma soprattutto a rendere questo luogo diverso sarà la cura del cliente. Il nostro obiettivo principale sarà quello di far stare bene le persone, di farle sentire a proprio agio». Chi si occuperà delle attività didattiche?
Patrizia Rana, moglie di Stefano Montalba
«Ci sarà uno staff seguito dal maestro Andrea Valdetara, che sarà il direttore tecnico. Attualmente si trova all’estero ma ci saranno altre occasioni in cui Andrea racconterà più nel dettaglio quelle che saranno le attività della scuola tennis e le modalità con cui saranno svolte. Conoscendo la professionalità del maestro e dei suoi collaboratori possiamo affermare che lo staff sarà di buon livello, affidabile e preparato. Possiamo anticipare che si sta organizzando un open day nel mese di settembre per raccogliere le iscrizioni e descrivere nel dettaglio le attività». Pensate di portare a Voghera eventi tennistici, tornei in particolare? «Non nascondiamo che il nostro desiderio è quello di ospitare tornei di un certo livello, già nel 2019. Cercheremo di accontentare un po’ tutte le categorie. Una volta all’anno se sarà possibile vorremo proporre anche un torneo ad invito di livello particolarmente alto». Quale può essere il bacino di utenza al quale rivolgersi? «Noi cercheremo di ampliare il più possibile il bacino dei nostri utenti. Ci si augura che vengano a trovarci anche persone da fuori». Spendiamo qualche parola a proposito del nuovo centro che nascerà, a breve, a Codevilla. Cosa pensate di questo presunto dualismo che verrebbe a svilupparsi? «Nel momento in cui abbiamo intrapreso questa attività, eravamo consci che ci fosse in procinto la realizzazione di un progetto molto importante come quello che si sta facendo a Codevilla. Sono due realtà che hanno due identità ben definite e obiettivi ben distinti; si tratta di due progetti diversi che non possono essere concorrenti, ma piuttosto pensiamo possano esserci punti in comune per future collaborazioni e sinergie; crediamo che sia più utile fare gioco di squadra che giocare come singoli concorrenti. Ovviamente quanto sopra esprime la nostra personale opinione». di Pier Luigi Feltri
VOGHERA
il Periodico News
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“Farina Oltrepò” in crescita «Vendiamo su larga scala un prodotto del territorio» Una storia unica che dura da più di 400 anni. è la storia della “Molini di Voghera S.p.a” di via Retorbido,18, un’azienda, oggi guidata dal giovane proprietario Alberto Bertuzzi Borgognoni, che è cresciuta sul territorio utilizzando il grano coltivato dagli agricoltori dell’Oltrepò Pavese. Il particolare microclima della fascia pianeggiante incuneata tra il Po e le colline che mutano in Appennini oltre le quali si apre il mar Ligure, in linea d’aria solo 100 km, favorisce una grande escursione termica tra giorno e notte che rende questo territorio ottimale per la coltivazione del frumento. E dalla sinergia con gli agricoltori questa azienda è diventata un vero e proprio fiore all’occhiello per la produzione di farine del nostro territorio. Abbiamo incontrato l’amministratore delegato della “Molini di Voghera” Davide Rezzoli. Quando è iniziata la storia dei “Molini di Voghera”? «I primi insediamenti del molino risalgono al 1610 e durante gli anni ci sono state diverse famiglie che si sono avvicendate fino all’attuale ragione sociale che è del 1949». Quanti dipendenti avete? «Oggi siamo 19 dipendenti che lavorano alla produzione di farina di grano tenero nello specifico solo per prodotti lievitati. Sono farine che hanno una discreta quantità di glutine ma soprattutto una grande qualità di questo glutine perché, per nostra politica aziendale, noi non aggiungiamo nessun enzima, nessun additivo. Per la produzione delle nostre farine ci basiamo principalmente sulla qualità dei grani che trasformiamo».
«I nostri produttori locali sono circa 250 e fanno parte di una filiera che da quest’anno abbiamo anche certificato»
Davide Rezzoli, amministratore delegato della “Molini di Voghera”
Voi trasformate solo grani italiani? «Abbiamo due linee di produzione. Una linea è la trasformazione delle farine convenzionali usate per i prodotti lievitati della panificazione, della pizzeria e della pasticceria. I grani che utilizziamo per la produzione di queste farine sono grani di altissima qualità che provengono da tutto il mondo. Poi abbiamo una seconda linea di farine che nascono dalla trasformazione dei grani del territorio. Per fare una buona farina non basta avere un buon grano, bisogna averne tanti diversi e saperli miscelare con maestria. Noi abbiamo scelto i grani del nostro territorio, coltivati dai nostri produttori di fiducia, che ci garantiscono qualità e tracciabilità della materia prima con cui lavoriamo». Quanti produttori dell’Oltrepò avete che vi forniscono il frumento? «I nostri produttori locali sono circa 250 e fanno parte di una filiera che da quest’anno abbiamo anche certificato e chi partecipa a questo progetto si vede remunerare la sua produzione con un premio ed è vincolato a limiti di coltivazione imposti da noi». Voi scegliete anche la tipologia di frumento da coltivare? «Sì, noi indichiamo una rosa di varietà di frumento che sono qualità che a noi servono per raggiungere l’obiettivo e l’agricoltore partecipa scegliendo all’interno di questa rosa di varietà e coltivando secondo le nostre direttive. Oltre al premio che noi riconosciamo ai nostri agricoltori, forniamo anche la collaborazione di un tecnico di campo che fa l’interesse dell’azienda effettuando controlli durante la coltivazione e nella fattispecie dà un servizio all’agricoltore per esempio per quanto riguarda la problematica delle malattie fitosanitarie. C’è quindi un rapporto
molto stretto con l’azienda che ci sta dando molte soddisfazioni». Il vostro progetto quindi è un incentivo a coltivare il frumento nella nostra zona? «Certamente. La coltura del grano tenero in Oltrepò ha una storia lunghissima. Negli anni era un po’passata in secondo piano a causa della ricerca di colture più redditizie dal punto di vista economico come la barbabietola da zucchero che per un certo periodo ha rappresentato il fulcro delle aziende agricole. Venendo a mancare lo zuccherificio e di conseguenza la necessità di produrre barbabietole da zucchero, negli ultimi anni il frumento è ritornato ad avere l’importanza che aveva un tempo. E devo dire che da che abbiamo iniziato il progetto nel 2012 i produttori locali sono sempre aumentati». Negli ultimi tempi c’è un ritorno alla coltivazione dei grani antichi, voi cosa state facendo in questo senso? «Noi guardiamo con il massimo rispetto e con la massima collaborazione tutti coloro che si stanno impegnando nel rilancio di questo genere di coltivazioni. Sicuramente hanno una loro nicchia di mercato che è importante e va seguita. C’è un progetto per la produzione di grani antichi che è nato con il comune di Montesegale e di cui fanno parte degli agricoltori che sono tuttora anche nostri fornitori. Non penso però che possa essere attuabile su vasta scala per un’azienda come la nostra. Noi puntiamo più che a un discorso di ritorno ai grani antichi, alla garanzia della grande qualità delle materie prime. Detto questo io devo dire che ho molta stima di questi progetti che stanno nascendo perché sicuramente vanno tutti nella direzione di una nuova valorizzazione dei terreni della collina dove effettivamente tutto ciò può
essere un modo per rilanciare l’economia. Noi puntiamo soprattutto a vendere su larga scala un prodotto di qualità che abbia un’origine certa e devo dire che abbiamo grandi soddisfazioni perché tutti gli anni il prodotto “Farina Oltrepò” sta sempre più aumentando». Avete sempre avuto uno spaccio aziendale ma da qualche anno siete anche presenti nella grande distribuzione? «Sì, abbiamo utilizzato il discorso della “Farina Oltrepò” per raggiungere direttamente i consumatori. Abbiamo iniziato la collaborazione con la catena degli Iper e ora siamo stati qualificati per Coop e per Carrefour oltre che per Gulliver e forniamo diversi negozi. Siamo presenti con la farina 00, la farina 0 e con la farina integrale tutte della linea Oltrepò e poi abbiamo una miscela di farine per pizza, una rustica e una semola rimacinata della linea degli altri grani». Progetti futuri? «Incrementare ancor di più la “Farina Oltrepò”. Da quest’anno abbiamo fatto diversi campi sperimentali dove testare le varietà nuove in collaborazione con gli agricoltori. Abbiamo progetti di sviluppo nella capacità di produzione del mulino, vogliamo crescere perché comunque, guardando all’estero, abbiamo riscontrato molto interesse verso le nostre farine soprattutto negli Stati Uniti con i quali abbiamo iniziato a commerciare. Speriamo quindi in futuro di avere una struttura che sia in grado di affrontare sempre di più il mercato estero». La vostra azienda riesce quindi a dare una bella immagine dell’Oltrepò al di furi del suo territorio. Come si potrebbe fare altrettanto con altri prodotti della nostra zona? «Secondo me l’Oltrepò non riesce a chiudere il cerchio e ad avere un prodotto bandiera. Per esempio il Piemonte ha concentrato l’interesse verso il suo territorio con il vino al quale poi ha collegato tutto il resto dell’enogastronomia che ha fatto da traino a tutto il discorso turistico. Noi non riusciamo a mettere insieme tutto questo. Forse è anche retaggio della nostra cultura per via del nostro territorio che è un cuneo fra diverse regioni. Un progetto che mi piacerebbe nascesse è quello di un piccolo consorzio formato da noi, dal mondo del salame e del vino. A Piacenza, per esempio, è nato il consorzio Piacenza Export di cui fanno parte salumifici, mulini, produttori vinicoli e caseari che serve da volano per le esportazioni. Penso che questo progetto debba nascere dalla spinta di produttori privati che consorziandosi potrebbero ottenere risultati importanti. di Gabriella Draghi
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OLTREPò PAVESE
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«Nessuna cessione di ASM è in previsione!» Fine estate 2018 caratterizzata socialmente, politicamente, industrialmente e, persino, clericalmente da un’enorme tragedia come il crollo del Ponte Morandi in Genova e la nave Diciotti all’attracco in Catania con divieto di sbarco, alla fine concesso. Ne abbiamo parlato, tra altri argomenti oltrepadani, con l’esponente politico in loco di maggior esperienza, anche in tattica e strategia politica, e da sempre scettico sull’attuale Governo, o quantomeno su alcuni rappresentanti dello stesso, e, in forma allargata, sull’attuale governance politica generale. Giovanni Alpeggiani. Partiamo dalla Politica nazionale. La tragedia di Genova... «Una vera tragedia a mio parere, al contrario di alcuni commenti letti, non annunciata. O meglio: io sono convinto che uffici e tecnici preposti al controllo di queste importanti strutture bevano più caffè di quanti controlli effettuino! Che qualcuno, però, in sentore che il ponte potesse cedere non abbia avvertito... faccio fatica a crederlo, insomma... Purtroppo una tragica fatalità. Anche perché in Italia di ponti più vecchi del Morandi genovese ce ne sono un’infinità. Non parliamo di quelli della nostra Provincia!!! Se poi, in assenza di argomenti, i politici dibattono sui ponti... questa è un’altra storia». A partire dallo scorso 14 Agosto, infausta data del suddetto crollo, si è però scatenato, a livello politico, un continuo battibeccare sulle concessioni governative tutte, circa 24, che andrebbero, a detta di alcuni esponenti di Governo, ritirate e/o almeno ridiscusse... «Fino alla scadenza, le concessioni non le ritirano a nessuno! è come la questione Tav. Son tutti discorsi che non stanno in piedi. Son davvero “ponti” che non stanno in piedi! Io non ho presente, di tutte le concessioni citate in queste settimane, se tutte sono in corso regolare o alcune in proroga; ma sta di fatto che fino a scadenza le concessioni non le ritireranno a nessuno. è solo gran retorica, anche fatta male... Purtroppo, la prima tragedia di questa nazione sono i defunti del crollo del ponte ed i loro familiari, ma la seconda è che si fa politica su queste cose, non avendo argomenti “possibili” da discutere e realizzare!». Legge come retorica politica anche la massiccia presenza del centro-sinistra a Catania per la problematica del divieto di sbarco della Nave Diciotti? «Il Pd ha questo strano atteggiamento: sta con un piede, leggi Renzi, tutto nel centromoderato, e con l’altro ancora nelle vecchie problematiche del artito Comunista! Figuriamoci se un partito nazionale deve avere, come unico problema per svariati
Giovanni Alpeggiani
giorni, il fatto di andare al porto di fronte ad una nave a protestare! Problematica alla fine poi risolta dalla Chiesa, che non ha problemi di confronto elettorale». Che consiglio darebbe oggi alle opposizioni? «Il Pd, come tutta l’opposizione, deve, ad esempio, chiedere di vedere i conti di questo aese! Perchè, ad esempio, se a qualcuno venisse davvero in mente di “toccare” la Legge Fornero... il PIL dove andrebbe a finire?! Le tasse al 20%? Quando le abbassano?! Quel Reddito di Cittadinanza che i cittadini di Scampia, ad esempio, nella loro profonda conoscenza politica invocano a gran voce?! I miliardi già investiti nella Tav... cosa facciamo ora? La lasciamo così, incompiuta?! Il nostro vero problema politico nazionale, oggi, è che noi non siamo affatto considerati, come Paese, in Europa! Quando vedono il Primo Ministro italiano a Strasburgo o Bruxelles... non sanno cosa dirgli! Ed in quanto al Governo... l’unica novità è il ritorno al passato dei Cinque Stelle, che basta stare attaccati alla poltrona ingoiano qualunque rospo! E l’unico argomento di cui si parla sono le navi che “ferma” Salvini: per il resto, di nuovo non vedo nulla. Anche perché, da parte di Salvini, è l’unico argomento che lui sa di poter usare come scaramanzia di fronte a problematiche future che verranno a galla. Prossimamente dovrà toccare la Legge Fornero, dovrà abbassare le tasse... se con le tasse al 40 per cento crollano i ponti, con le tasse al 15 per cento cosa succederà?! Attendo di giudicarli su argomenti adulti, sulle medicine che somministreranno alla Nazione per migliorare le infrastrutture, per incentivare il turismo, per la sicurezza, per la Giustizia... li vo-
glio veder discutere i Conti dello Stato. E qui temo che “il nano non cresca”, come si dice... rimarrà corto di femori». Nelle scorse settimane ci sono state precisazioni sulla gara per l’acquisizione dell’Ilva di Taranto: l’acquirente ha presentato un piano di svariati miliardi di euro, che però prevede una riduzione di circa un terzo dei lavoratori. I Sindacati potrebbero accettare questa ipotesi? «Guardi, temo sia un’altra battagli di facciata dei Cinque Stelle e di Di Maio! I Sindacati cosa vuole che facciano? Hanno come obbligo di salvaguardare il maggior numero di posti di lavoro! In una situazione poi d’emergenza come questa anche loro metteranno in conto che ci saranno alcune perdite di posti-lavoro, ma la vera battaglia è che non si perdano tutti i posti di lavoro, magari all’inseguimento delle fantasie del Ministro del Lavoro... oppure cosa si fa? L’Ilva viene rilevata dallo Stato come le Concessioni?! Ma questi signori, nella loro breve storia politica, almeno le tabelline aritmetiche le sapranno fare?! Bisogna vederli, i numeri del Bilancio... e faranno una bella gestione stile-Iri? Ci ricordiamo quando le gestioni statali costavano cento volte tanto... Sono tutti alibi, in assenza di soluzioni politiche serie, per mantenere il livello elettorale!». Ritiene che la stessa, chiamiamola, pratica possa riguardare anche Regione Lombardia? Ad esempio lei prima citava i nostri ponti... «La Regione non ha ancora “battuto un colpo”, al momento, anche se, magari, prossimamente qualcosa farà. Tra gli eletti della nostra provincia girano zombie, mi sembrano solo fantasmi. Di conseguenza, è difficile fare una previsione».
Ad esempio per il Ponte della Becca, da anni in condizioni limite, si è già arrivati ad una stima, anche economico/ finanziaria, per la “sistemazione” e/o riscostruzione. Ma non sarebbe d’uopo, e più logico anche a livello di tempi, costruire una struttura ex-novo, magari in prossimità? «Questo è quello che gli attuali rappresentanti politici del nostro territorio, del nostro popolo, dalle feste di quartiere alle pro loco, come in Regione o in Parlamento, hanno il dovere di “portare a casa”! Qui stiamo assistendo al fatto che per tutti parlano Salvini o Di Maio: non c’è più rappresentanza locale, non c’è cultura locale di “governance”, e sembra che tutti debbano stare zitti in virtù di quel posto in lista, senza particolari meriti o addirittura senza alcun storico, garantito in fase elettorale. Tutti dritti sull’attenti a rispettare gli ordini e, a differenza del passato, nessun rappresentante locale che parta per Roma per richiedere qualcosa per il proprio territorio: tutto tace! Non ho letto, ultimamente, nessun pensiero politico locale: solo propaganda nazionale. Di conseguenza, il Primo d’Aprile diventa di 365 giorni!». Ruggero Invernizzi, eletto in Regione Lombardia all’ultima tornata, è il Presidente della Commissione Agricoltura, montagna, parchi e foreste. La Lomellina ha già un florido commercio che fa capo alla produzione di riso: per il resto dell’Oltrepò il Presidente Invernizzi potrebbe essere valido interlocutore nella ricerca di sviluppo? «Che Ruggero Invernizzi possa diventare un valido interlocutore dipende da come gli operatori dei settori citati si rapporteranno con lui. Intendo, mentre la Lomellina gode certamente di abili manager che gestiscono il comparto del riso, rimane sempre aperto, inspiegabilmente sempre aperto il discorso del vino in questo territorio, che pur avendo una particolare vocazione, unica in tutta Italia, non ha quel ritorno che aree del Paese, anche decisamente più ridimensionate, hanno. Sono reduce da un soggiorno in Toscana, dove c’è una tradizione di valorizzazione dei prodotti locali davvero esponenziale! Al di là degli scorci paesaggistici splendidi, ma che anche noi abbiamo, magari non allo stesso livello, in quella regione si respira davvero ancora la Tradizione, in maiuscolo! Ho anche rivisto vecchie bacheche murarie, magari in fianco a monumenti storici di paesini, con conservati i manifesti elettorali dei partiti della Prima Repubblica: i toscani tengono alle loro tradizioni, qualsivoglia queste siano. Quì è un territorio invece di continue lamentele... ma dobbiamo ricordarci che la storia cammina sulle gambe degli uomini: noi
OLTREPò PAVESE invece abbiamo una mentalità messicana, ma siamo costantemente all’ombra!». Nello scorso numero del giornale abbiamo intervistato Gianpiero Rocca che, e i numeri lo confermano, ha dichiarato che a Voghera lui è il Segretario di Forza Italia che non ha mai perso. Oggi la configurazione politica nazionale è completamente diversa dalla struttura “governativa” della nostra città: tra un anno e mezzo si voterà per il nuovo sindaco e la nuova Giunta. Cosa prevede a riguardo? «Rocca ha detto certamente la verità per quanto riguarda Forza Italia a livello cittadino. A livello nazionale, Berlusconi non sta facendo politica: troppi gli interessi personali, ritengo. Lui sa di aver dato già la miglior performance politica in passato, probabilmente, ed ha ora ingessato il Partito. E di occasioni per esprimere pareri politici, oggi, ne avrebbe in quantità... Localmente però la situazione è favorevole: la segreteria è attiva, e la maggioranza sta facendo politica per la città. L’elezione locale differisce sempre, o può differire dalla visione nazionale. Ma se Forza Italia
by TATO
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ottiene un risultato a Voghera, lo ottiene per il lavoro svolto sul campo direttamente, non certo per il riflesso nazionale!». Lei ha da sempre un’immagine trasversale, quasi super partes rispetto ai partiti: pensa che nel 2020 la proposta del centro-destra per la città rimarrà la stessa, con gli stessi Partiti in alleanza? «Indubbiamente! Una coalizione uscente ha il dovere di farsi giudicare dai cittadini! Potrebbe, in aggiunta, esserci un reingresso della Lega, con il centro-destra dal 2000, ma che nel 2015 ha preteso di “sbancare il Casinò”, uscendone senza un euro... Un centro-destra unito ha una logica politica, anche per onestà d’intenti di fronte agli elettori». Alcune voci di sostenitori della minoranza attuale, non parlo dei rappresentanti, insistono sul tema ASM: dal problema creatosi delle fatturazioni all’apertura di una nuova società all’interno del gruppo, dagli inserimenti di personale a termine alla prossima ufficializzazione d’assunzione... insomma, si teme che ASM possa addirittura arrivare a cambiare proprietà. Lei ha
sentore di ciò? «Non ne ho sentore: ho la certezza! Nessuna cessione di ASM è in previsione! Il problema fatturazione deriva da guai tecnici e tecnologici, non voluti e non addebitabili ad alcuno: stanno lavorando per sistemare il tutto. Ritengo che il Direttore Generale stia lavorando bene. D’altronde, ASM ha anche sofferto di un’emorragia di personale, che se ne è andato, sostituito da provvisori: sarebbe molto singolare formare nuove forze, magari per due anni, e poi “allontanarle” per ripetere il lavoro d’istruzione con neofiti del settore... Lei cosa penserebbe?». Estate 2018 agli sgoccioli e nessuna novità neppure per le Terme di Salice... «Le Terme sono un retaggio del passato, di quando la mutua mandava in vacanza per 15 giorni i convenzionati. Abbiamo le acque termali, sulfurea e salsobromoiodica, e le relative concessioni: serve un’imprenditoria che, partendo da queste basi, investa su qualcosa di diverso... magari creando un Resort à la page?...». di Lele Baiardi
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«Nessun rappresentante locale che parta per Roma per chiedere qualcosa per il proprio territorio: tutto tace»
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LETTERE AL DIRETTORE
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«Non lamentiamoci sempre, cerchiamo tutti di essere più civili» Egregio Direttore, leggo sui social di vogheresi che si lamentano per il rumore prodotto, al mattino, dall’azienda incaricata dal Comune per lo svuotamento e la pulizia dei cassonetti. Prescindo dalla situazione concreta, che non conosco e mi limito ad alcune considerazioni di carattere generale. A me pare che ci sia una pericolosa tendenza di noi cittadini alla tolleranza zero. Anziché apprezzare che l’ente pubblico provveda alla pulizia, ci si lamenta del rumore dei macchinari impiegati. Anni fa ci sono state lamentele di alcuni cittadini per il rumore, di mattino presto, del camion per lo svuo-
tamento dei cassonetti dello sporco, parallelamente ci si lamenta se l’operazione avviene a metà mattina. Si scatenano lamentele di cittadini che protestano perché rimangono bloccati con la macchina dietro al camion che carica l’immondizia. Ci si lamenta per la coda provocata dai lavori di manutenzione sulle strade e poi siamo i primi a lanciare accuse se si rompe un tubo non controllato e sostituito a tempo debito. In altre circostanze leggiamo di cittadini che si rivolgono ai tribunali per far cessare il suono delle campane. Mia moglie e i suoi fratelli sono vissuti all’ombra di un campanile e nessuno è diventa-
to nevrotico. La mia nipotina di due anni abita di fronte al campanile e fa del suono delle campane e del rintocco delle ore un motivo di festa. Certo quando la mamma (che è mia figlia) sta mettendo a dormire la piccola e la cameretta è invasa dal suono delle campane, a volte può scappare un accidente, ma poi, con il buon senso, ci si rende conto che è la normalità del vivere nostro e della convivenza della comunità. Lasciamo la macchina in divieto di sosta, ma subito ci autogiustifichiamo perché è solo per un paio di minuti. Facciamo fatica a passare sul marciapiede a causa dell’auto degli altri e ci domandiamo perché non
Silvano Pietra, «Tutto va bene madama la marchesa» Gentile Direttore, Ho letto sul Periodico di Agosto 2018 a pag.18 - 19 l’intervista al sindaco di Silvano Pietra, Luciano Calderini, a firma di Pier Luigi Feltri. Una bella cosa e una lunga intervista. Fatta bene e alla fine sembra che il paese sia una “bella fata” per il sindaco. Ci sono solo piccole cose da sistemare e, come dicono certi politici in televisione “tutto va bene madama la marchesa”. Ci sono cose da mettere a posto e il sindaco lo sa bene o altrimenti fa finta di non sapere: c’è il problema dei conteggi imu che sono stati appaltati a una ditta e arrivano nelle famiglie sbagliati, pagati con
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soldi dei cittadini, addirittura alcuni hanno dovuto pagare ancora per il conteggio, e questa cosa va avanti da anni; poi ci sono i cassonetti dei rifiuti della carta, del vetro e del verde che sono pieni e non si può versarvi nulla e devi portare indietro tutto, non c’è bisogno di Roma per vedere certe cose... Poi c’è il problema delle bombe d’acqua in diversi punti del paese: in via Fermi ci sono case che hanno problemi e hanno (abbiamo) speso soldi per risolvere qualcosa, ma la fognatura respinge l’acqua e allaga i cortili. Il Comune è al corrente di questo o fa finta di nulla? L’ultima bomba ha fatto danni e come... e non solo al te-
atro. Queste cose sono da risolvere ma il Comune guarda altrove. C’era un signore, un politico che anni fa diceva: “Mai più alluvioni”. L’hanno fatto Ministro e le alluvioni ci sono più di prima. Questo era il ministro Galletti. I problemi se ci sono si cerca di superarli se è possibile, con tutte le problematiche politiche e no, altrimenti sono sempre lì. E questo un sindaco lo deve alla cittadinanza, sia quella che lo elegge sia quella che non lo ha votato. Non mi dilungo ulteriormente. Spero che il sindaco legga questa mia. Martin Otello - Silvano Pietra
«Io non posso donare ma voi che potete fatelo»
Caro direttore, nei mesi scorsi mi sono recata al centro Avis per diventare donatrice ma dagli esami è emerso che purtroppo, a causa di una mia patologia pregressa, non sono risultata idonea. Così ho provato a vedere se potevo diventare donatrice di midollo osseo ma anche in questo caso la patologia mi esclude. Ho sofferto molto di questa impossibilità di donare e mi è venuto spontaneo pensare a quante persone sono nella mia stessa situazione... vorrebbero poter donare ma, per motivi non colpevoli, sono impossibilitate
a farlo. Con questa lettera vorrei quindi invitare chi è (ed è stato) più fortunato di me (di noi) e che gode di ottima salute a donare il sangue o il midollo o, perché no, entrambi! È un gesto gratuito ma che può fare davvero la differenza. Quando si dona non viene chiesto a chi vorremmo donare... è come un appuntamento al buio! Ma dall’altra parte c’è un essere umano che grazie a questo piccolo ma grande gesto potrà avere una speranza di sopravvivere o di vivere meglio. Claudia B - Broni
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
ci sia lì un vigile a dare la multa. Non mi piace questo nostra Voghera che si impoverisce nella tenuta dei suoi sentimenti collettivi e dei valori condivisi, che spesso vive relazioni improntate al rancore, dove mormoriamo contro il vicino che ha riparato la casa in nero senza pagare l’Iva, ma se lo facciamo noi... tanto lo fanno tutti. Mi pare sia più giusto che ci impegniamo a praticare e a far emergere quei comportamenti, che pure ci sono nelle nostre comunità, per rivendicare diritti insieme alla consapevolezza dei doveri. Luigi Valle - Voghera
«Nessuno sa quanto dureranno le opere in cemento armato» Gentile Direttore, non sono un esperto di costruzioni, ma tengo a mente le frasi celebri delle persone intelligenti, modeste e con il proprio senso del limite. In occasione della presentazione del progetto Musil un relatore tedesco disse: «I Romani (con la R maiuscola) hanno costruito opere che sono giunte fino a noi. Noi non sappiamo se quello che costruiamo ci sarà tra cento anni». Alludeva al cemento armato e al precompresso. Giovanni Vercesi - Casteggio
Le previsioni meteo e le feste patronali Signor Direttore, in questo periodo sui social si è evidenziato quello che possono significare le previsioni meteo per i flussi delle persone che desiderano partecipare alle serate patronali organizzate dalle diverse associazioni oltrepadane, quasi non si dovesse mai arrivare a dover prevedere annunci negativi, che potrebbero far desistere a programmare una serata di festa in una determinata località dell’Oltrepò. Avendo la fortuna di avere mio cugino, che da sempre è appassionato di meteorologia, ho scoperto i lati positivi della meteorologia, il che mi ha permesso di evitare di scegliere o non scegliere determinate mete. È vero che la meteorologia può ancora essere considerata non sempre esatta, anche se oggigiorno sono numerosi i satelliti nell’atmosfera, ma è anche pur vero che nel breve periodo le previsioni quasi sempre ci azzeccano e di questo non possiamo che prenderne atto, anche se per certi versi possa a taluni dispiacere. Claudio Villani - Stradella
CYRANO DE BERGERAC
il Periodico News
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Servirebbero un redivivo Duca Denari, un Carlo Boatti, un Domenico Mazza, un Angelo Ballabio...
In Oltrepò Pavese è un proliferare di eventi, mentre gli altri - succede persino nel vicino piacentino - li mettono tutti in un cartellone unico per promuoverli insieme con maggiore forza, senza rinunciare al dare notorietà alle diverse località coinvolte. Perché succede? Difficile da spiegare. Forse perché in Oltrepò ogni vallata è un mondo, ogni comune uno Stato e ogni frazione una regione. Eppure basterebbe poco, magari anche solo una guida politica illuminata di quelle che non adempiono al loro ruolo solo con qualche cicaleggiante post sui social network al termine di qualche consiglio o di qualche riunione. Siccome non succede ciò che dovrebbe, ecco che tutti vanno per la loro strada. Ultimamente in Oltrepò ci sono anche le Pro Loco, che come ricordava la giornalista e scrittrice Cinzia Montagna dovrebbero lavorare “per il luogo” ovvero per le eccellenze che danno identità al territorio, ormai si buttano su feste della birra e addirittura sul pesce: come si sa sulle colli-
ne d’Oltrepò i pesci sono moltissimi, così come i pescherecci in porto. Non fanno eccezione alcuni sedicenti ristoratori locali che inondano i social network con proposte esotiche e abbinamenti incredibili da pensare nella patria dei salumi, delle paste fatte in casa, del Bonarda, del Pinot nero, del Metodo Classico e dei formaggi artigianali. è come se in Alto Adige i ristoranti promuovessero eventi con protagoniste le trenette al pesto e il Pigato. Là non succede, sarà che in Oltrepò sono tutti più furbi. è anche divertente andare nei bar e chiedere un Metodo Classico dell’Oltrepò oppure anche solo un Metodo Classico. Provateci e in 8 casi su 10 vi guarderanno come se foste marziani. In media i camerieri sanno che ci sono tipologie di vini: bianco, rosso o rosé; qualcuno con le bolle e gli altri senza. Stop. Non sapranno raccontarvi la storia di un’etichetta o di un produttore né avere dimestichezza con l’arte di fare cultura in materia di abbina-
menti, il che favorirebbe anche i consumi e il volume d’affari dei titolari di quei pubblici esercizi in maniera importante. Come mai succede tutto questo? Per ignoranza, sì, ma anche per assoluta mancanza di amor proprio. Chi è nato e cresciuto in una terra avrebbe il dovere di spingere a conoscerla e ad amarla, qui non accade. Dietro al bancone si mettono robot che colmano i calici, a macchinetta, sempre con le stesse referenze senza un commento, una parola, una guida. Una guida, appunto, ecco cosa manca in Oltrepò. Non sto parlando di “Guidando con Gusto” della Strada del Vino che è stato un buon primo passo per fare turismo raccontando le imprese di vino sapori e accoglienza, ma di un leader. Servirebbero un redivivo Duca Denari, un Carlo Boatti, un Domenico Mazza, un Angelo Ballabio… servirebbe gente capace di andare controcorrente sradicando luoghi comuni, credenze errate e stereotipi superati da cent’anni. Quando si sente dire «in Oltrepò si facevano damigiane» si par-
la di un’epoca con le tv in bianco e nero. Sono rimasti in pochissimi a vendere in damigiana. Oggi Oltrepò significa qualità in bottiglia. Ma avete visto i vigneti che ci sono sulle colline dell’Oltrepò Pavese. Andatene a trovare di simili in Lombardia e cercatene bene in tutta Italia perché quelli ben condotti non temono concorrenza. Il problema vero è che il vino buono nasce dalla vigna, mentre invece il concetto di territorio investe la popolazione ad ogni livello e soprattutto chi fa accoglienza e ristorazione. Non si pretende siano tutti Piera Selvatico o Giorgio Liberti, non si pretende un’isola dei vini locali come da Bazzini, ma con un po’ d’impegno si può riuscire a trovare un’ispirazione giusta. Basta poco, come iniziare a mettersi in discussione per ottenere anche maggiori consensi. Nei ristoranti e nei bar fotocopia si va meno volentieri che non in quelli che hanno un’anima. di Cyrano de Bergerac
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OLTREPò PAVESE
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Oltrepò Pavese: Turismo e motorsport... #oltrepochefunziona
L’Oltrepò, quello Pavese, quello della parte sud della provincia di Pavia, quello del vino, del salame, delle terme, quello che pochi conoscono ma tanti criticano, quello che... Quello che, per gli appassionati di motori, rappresenta la più alta concentrazione di impianti sportivi: un motodromo polivalente, un circuito pronto per la SBK e le gare automobilistiche più impegnative, un kartodromo che ospita il Campionato Europeo e un lago artificiale trasformato in pista di allenamento per gli amanti delle moto d’acqua. Il tutto in pochi chilometri quadrati, in soli due comuni: Castelletto di Branduzzo e Cervesina. L’Oltrepò è da sempre terra di campioni dei motori. Fare un elenco completo è sempre difficile, perché c’è il rischio di dimenticare qualcuno. A pensare ai più noti viene in mente Carlo Bandirola, vogherese doc, nato il 24 settembre del 1915 e morto il 21 settembre 1981. Un pilota che ha lasciato il segno nei campionati nazionali, continentali e mondiali, con la prima presenza nel 1949 al Gran Premio delle Nazioni. Oltre a svariati ottimi piazzamenti, vinse una gara di Mondiale nel 1953, classe 350, al GP di Germania. C’è poi Carlo Prati, oltrepadano di Stradella, protagonista del Campionato Italiano del 1977 e poi ancora nel Motomondiale sfidare campioni del calibro di Marco Lucchinelli e Franco Uncini. Ha lasciato le corse dopo un drammatico incidente al Nurburgring ma i veri Campioni lo sono anche fuori dalle piste. Dopo quell’incidente è iniziato un suo lungo impegno per aiutare negli sport motoristici piloti diversamente abili. Venendo ai giorni nostri, si può citare Fabio Fasola, classe 1961, altro Vogherese doc, 8 volte medaglia d’oro alla 6 Giorni di Enduro, sette volte campione italiano Raid Marathon, tre Parigi Dakar sulle spalle e tanta voglia di insegnare ai giovani talenti la sua specialità, e poi ancora Federico Sandi in Moto GP e SBK e Matteo Traversa pluri campione italiano in Supermotard. Non bisogna dimenticare chi sta dietro al muretto da sempre, con svariati titoli mondiali come manager o capo tecnico, come Giovanni Sandi e Luca Montiron. E poi i Rally. Qui l’elenco è davvero lungo… dall’indimenticato Alberto Alberti a Filippo Musti e Giorgio Buscone, ad Alessandro Ghezzi, Michele Tagliani, Matteo Musti, fino ad arrivare ai giorni nostri con i giovani Giacomo Scattolon, Riccardo Canzian e Davide Nicelli. Questo Oltrepo che funziona ha nomi, cognomi e volti. Come quello di Adriano Monti, classe 1953, ideatore del primo impianto di Supermoto in Italia, portando la sua esperienza e professionalità in una specialità agli esordi. Adriano, cosa l’ha spinta a dedicare tutte le sue energie a questa struttura?
Adriano Monti patron del Castelletto Circuit
«Arrivo dal mondo della logistica, che richiede capacità organizzative, velocità di esecuzione e fantasia per la soluzione dei problemi. In Francia, e parliamo di fine anni ‘90, ho partecipato ad alcune gare di supermotard, da appassionato e non certamente da professionista. Ho creduto in quella specialità e nel 2001 ho deciso di creare un impianto fisso per questa disciplina motociclistica. Dove oggi sorge il Castelletto Circuit c’era semplicemente il nulla, anzi peggio: una discarica. Il gruppo di lavoro che ho creato ha portato a risultati incredibili in brevissimo tempo e ancora oggi siamo il riferimento per questo sport. Ma non solo moto: Castelletto Circuit ha l’esclusiva per l’Italia di Legend Car, l’affascinante specialità con vetture davvero speciali. Per capire basta provarle». Un impianto di questo livello ha richiesto certamente investimenti importanti. Suppongo ci sia stato un aiuto anche dalla istituzioni. «In questi 18 anni ho investito circa 5.000.000 di euro, senza alcun intervento pubblico regionale e nemmeno del Credi-
Maurizio Pedrazzini, patron del 7 Laghi Kart International Circuit
Giorgio Traversa patron del Tazio Nuvolari
to Sportivo. Ne vado fiero. Anche questo è per me un successo». Chi sono i frequentatori del Castelletto Circuit? «Alla nostra pista accedono appassionati di moto di vario livello, scuole di guida sportiva, squadre professionali per i test e, per quanto riguarda le specialità automobilistiche, diverse squadre di rally, che utilizzano il tracciato per la preparazione delle vetture. Castelletto Circuit è anche base per allenamento di svariati campioni motociclistici, attualmente impegnati nel Campionato Mondiale Velocità. Sono davvero tanti: Pecco Bagnaia, Luca Marini (ndr: fratello di Valentino Rossi), Andrea Locatelli, Nicolò Bulega, Tony Arbolino. Per Marco Melandri, Castelletto Circuit è pista di casa. E tra i piloti che ho visto nascere e crescere vi segnalo un nome che certamente salirà presto sui podi mondiali: Riccardo Trolese, non ancora undicenne! Alla sua prima uscita al Campionato Europeo Ohvale subito la vittoria». Qualche altro numero relativo ai frequentatori? «Ogni anno circa 50.000 accessi di pubblico, 6.000 motociclisti in pista, 1.500 auto. E le ultime modifiche al circuito mi fanno ben sperare per il futuro. Nel nostro impianto ospitiamo mediamente 20 meeting aziendali all’anno, con oltre 1500 partecipanti che soggiornano almeno una notte nelle strutture oltrepadane disponibili. Normalmente gli accompagnatori visitano il Territorio in una delle giornate di attività». Percorriamo poche centinaia di metri ed entriamo al 7 Laghi Kart International Circuit. è uno dei circuiti di riferimento nel panorama internazionale. Incontriamo Maurizio Pedrazzini, Amministratore e socio nella società proprietaria del circuito, e a lui chiediamo di… dare i numeri: «Ogni anno entrano nella nostra pista oltre 12000 kart, 50.000 appassionati che riempiono le tribune, si effettuano circa 12 gare di cui due Internazionali». Ci parli della pista «Il tracciato è complesso, direi quasi irregolare, con una piacevolissima sequenza di curve (nove a destra e cinque a sinistra) e con forti accelerazioni con una percorrenza totale di 1256mt. è per questo che è molto amato dai professionisti e piace tanto anche a chi vuole passare qualche ora a sfidare gli amici. Il tracciato ha una omologazione nazionale ed internazionale, ospitiamo eventi di vario genere: dai Campionati regionali alle gare titolate ACI e gare internazionali CIK/FIA». Sono passati e passano dalla vostra pista grandi campioni. Le va di svelarci qualche piccolo segreto? «Abbiamo avuto modo di ospitare grandi Campioni della Formula 1 e del Motoci-
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Circuito Tazio Nuvolari di Cervesina, con 2805 mt di tracciato è uno dei circuiti di velocità più belli in Italia. clismo, solo qualche nome: Verstappen, Stroll, Alesi, Hakkinen, Fittipaldi, Lorenzo, Stoner e, non ultimo, Daniel Ricciardo per la promozione della omonima linea di telai “Ricciardo”». Cosa trova nel vostro circuito un appassionato? «Il complesso sorge su oltre 220.000 mq e include tutti i servizi indispensabili per le gare titolate: Ristorante, Pizzeria, Bar, sala meeting, motel, parcheggio e un fornitissimo kart shop. C’è inoltre un lago artificiale utilizzato come circuito per le moto d’acqua per soci e appassionati. In particolare, il Circuito Internazionale 7 Laghi è aperto agli appassionati di tutte le età, amatori e/o professionisti, in quanto offre l’accesso sia a chi ha il kart di proprietà sia a coloro che vogliono noleggiare un mezzo. è stata una grande soddisfazione in questi anni vedere piccoli campioni crescere fino ad arrivare in vetta, come nel caso di Verstappen, ma allo stesso modo, è un piacere vedere tanta passione e grinta anche nei piloti comuni che trascorrono la domenica in pista con la famiglia». La varietà di servizi offerti ha richiesto certamente investimenti importanti. Me li può quantificare? «Certamente la società ha investito tanto nel progetto, e continua ad investire. Ci crediamo e questa è la cosa più importante». Apprezzo la diplomazia della riposta... Mi può dire se parte degli investimenti sono stati finanziati da Regione o altri enti pubblici? «No, non abbiamo ricevuto alcun finanzia-
mento». Lasciamo Castelletto e puntiamo verso Cervesina. Sotto l’argine maestro del Po, sorge uno dei circuiti di velocità più belli in Italia. Il Tazio Nuvolari. 2805 mt di tracciato, 6 curve a destra e 5 a sinistra con un rettilineo di 870 metri. L’impianto, completato ed inaugurato nel 2014, è oggi sede di eventi sportivi importanti, sia motociclistici che automobilistici. Qui ha girato per i suoi corsi auto Arturo Merzario, l’ACI di Genova ne ha fatto la sede per tutti i corsi di guida sicura, MOTORACE richiama ogni anno oltre 12000 motociclisti appassionati della velocità e 1.000 quelli che amano il mototurismo. Da Cervesina, infatti, partono i tour verso le colline dell’Oltrepò Pavese, destinati al perfezionamento della guida sicura su strada. Complessivamente, tra appassionati, accompagnatori e visitatori, il pubblico che ogni anno visita il Tazio raggiunge le 60.000 unità. A Giorgio Traversa, classe 1954 patron dell’impianto, chiediamo quali sono i progetti futuri. «è ormai definito il progetto di ampliamento dell’impianto, con il nuovo tracciato che raggiungerà i 5000 mt, il nuovo paddock con i nuovi box, il ristorante e un piccolo hotel. Ci stiamo preparando per gare mondiali. Il circuito, già omologato Moto2, sarà presto omologato per MotoGP e per la Formula 1». Progetti ambiziosi che richiedono forti investimenti. Circolano voci relative a cifre veramente importanti. Ha ottenuto qualche contributo pubblico per
I numeri degli impianti motorsport in Oltrepò:
160.000 il pubblico che assiste alle varie giornate di attività; 32.500 gli sportivi praticanti le varie discipline; 2.500 le camere occupate sul territorio; 17.000.000 (circa) gli euro investiti ad oggi; 0 gli euro di finanziamento pubblico elargito per le attività.
quest’opera? «Ad oggi abbiamo abbondantemente superato i 7.000.000 di euro di investimento che arriveranno a circa 15 quando il nuovo Tazio Nuvolari sarà completato. Non ho richiesto e quindi non ho ricevuto alcun contributo pubblico». Cosa l’ha spinta verso questa avventura? «Da sempre convivo con una grandissima passione per i motori. Dalle motoslitte agli elicotteri. Ho sempre trasformato le mie passioni in lavoro ed essere titolare di una delle più importanti aziende che si occupano di strade ed asfalti mi ha certamente spinto al grande passo». Giorgio, potendo tornare indietro, rifarebbe tutto? «Sì».
Miky Orione, neo acquisto del Tazio e responsabile della comunicazione, ci anticipa «Innovazioni anche sotto il punto di vista del marketing e comunicazione, a partire dal sito web, alle promozioni e tanto altro per far sempre più divertire i frequentatori del Tazio Nuvolari». Finito il giro tra i motori e la passione vera, proviamo a tirare le somme e a dare i numeri anch’io: 160.000 il pubblico che assiste alle varie giornate di attività; 32.500 gli sportivi praticanti le varie discipline; 2.500 le camere occupate sul territorio; 17.000.000 (circa) gli euro investiti ad oggi; 0 gli euro di finanziamento pubblico elargito per le attività. Sì, mi sembra di poter affermare che questo è un #oltrepochefunziona. di Gianni Maccagni
BASTIDA PANCARANA
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L’ex sindaco Marina Bernini attacca la giunta «Protezione Civile lasciata senza sede» A poco più di un anno dall’insediamento della nuova Amministrazione, l’ex sindaco e capogruppo di minoranza Marina Bernini traccia un bilancio non positivo della gestione del comune di Bastida Pancarana portata avanti dal primo cittadino Renata Martinotti, che nel giugno scorso era uscita vincente dalle urne per soli 15 voti. «Scarsa trasparenza negli atti amministrativi, investimenti non certo urgenti, protezione civile abbandonata a se stessa e tribuna del campo sportivo chiusa». Queste le accuse che l’ex sindaco lancia nel finale d’estate. Bernini, partiamo dalle opere “fatte male” o non urgenti. Quali sarebbero secondo lei? «Potremmo cominciare dai due attraversamenti pedonali rialzati che si sono rivelati di scarsa qualità e irrilevante funzionalità. Uno era già deteriorato nel manto stradale dopo neanche un mese dalla realizzazione mentre l’altro non permette il deflusso dell’acqua piovana, che così va a ristagnare nell’area parcheggio in prossimità del dosso stesso. Per la videosorveglianza poi è stato attivato un mutuo, per progetto e posizionamento di quattro telecamere, lavori ultimati da mesi ma il sistema non è ancora attivo. è stata poi impegnata una cifra pari a circa 18.000,00 euro per le linee telefoniche, passaggio da Telecom ad altro operatore, spese sicuramente non urgenti e determinanti».
«Dei 28 volontari solo 13 sono operativi» Voi di cosa vi sareste occupati invece se foste al governo? «Fossimo stati eletti avremmo dedicato più attenzione all’area servizi sociali che rappresenta una priorità. Avremmo iniziato le opere per il superamento delle barriere architettoniche, incentivato le attività legate alle associazioni e al volontariato, adeguato l’illuminazione pubblica e avviato la sistemazione delle strade, potenziato la videosorveglianza nei punti strategici del paese».
Marina Bernini, ex sindaco, ora capogruppo di minoranza
Cosa è accaduto alla storica tribuna del campo da calcio? Perché è chiusa? «Perché l’attuale Amministrazione, avendo escluso dalla SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per la pratica antincendio la tribuna “vecchia” ma agibile, come da documentazione agli atti, ne ha determinato la chiusura, privando di fatto il campo sportivo comunale di una pertinenza che ha segnato la storia sportiva bastidese». Cosa è accaduto al nucleo di Protezione Civile? Dei volontari iscritti solo pochi sono operativi, e non c’è più una sede, è così? «Sì è così, infatti, il Magazzino Aipo (Agenzia Interregionale Fiume Po ndr) è ritornato in uso al Demanio perché l’attuale Amministrazione voleva destinarlo quale sede del Museo contadino e non più sede della Protezione Civile. Nei 5 anni della mia Amministrazione la Protezione Civile è stata riorganizzata e potenziata, il gruppo di volontari è stato determinante per fronteggiare le emergenze soprattutto quelle legate alle piene del Po e di tutto il reticolo idrico minore. Avevamo acquisito come sede il Magazzino Aipo situato in via Lungargine, concesso solo ad esclusivo utilizzo della Protezione Civile e avviato un rapporto di collaborazione proprio con Aipo che aveva messo a disposizione le proprie competenze per esercitazioni in territorio comunale, esercitazioni regolarmente svolte tutti gli anni sul nostro territorio e non solo. Purtroppo la nuova Amministrazione ha altre vedute, dei ventotto volontari iscritti solo tredici risultano operativi cioè
noi del “vecchio gruppo” gli altri sono registrati come non operativi. Comunque non siamo mai stati attivati neanche in occasione del nubifragio del 20 luglio. Che ci sia un calo di attenzione nei confronti del prezioso contributo che possono dare questi volontari è innegabile». Lei ha parlato anche di scarsa trasparenza negli atti amministrativi. A cosa fa riferimento in particolare? «Riscontriamo persistenti ritardi nelle pubblicazioni di atti ufficiali all’albo pretorio e mancate risposte immediate ai quesiti posti dalla minoranza in Consiglio Comunale, con il sindaco che si riserva sempre di rispondere nelle sedute successive, quindi anche a distanza di mesi. Inoltre l’Amministrazione non svolge un’attività informativa nei confronti della popolazione come sarebbe giusto e doveroso dimostrando una sorta di fastidio persino nei confronti della partecipazione dei cittadini ai consigli comunali, che vengono convocati in orari che limitano la partecipazione». Il comune di Bastida è in Unione con altri? Cosa ne pensa delle fusioni? Quale sarebbe per lei la strada da percorrere? «La mia Amministrazione aveva sottoscritto convenzioni con i paesi limitrofi che avevano consentito un risparmio per l’Ente e un miglioramento dei servizi. Delle convenzioni in essere l’attuale Amministrazione ha mantenuto Polizia Locale, Servizio Finanziario-Sociale, Segreteria mentre ha revocato la convenzione con il Servizio Tecnico, in ogni caso rispetto al tema della collaborazione tra i comuni personalmente sono sempre stata convin-
ta che il processo di integrazione istituzionale ed economico-sociale dovrebbe procedere ben più velocemente ma purtroppo non esiste ancora in generale un’ adeguata cultura e consapevolezza dei vantaggi non solo economici che unioni ben costruite e fusioni, se nascono dal basso senza imposizioni, potrebbero produrre per le nostre popolazioni». Chiudiamo con un tema d’attualità: il ponte sul Po sotto al quale passa la ferrovia si trova sul vostro territorio comunale. Per maggior sicurezza del fabbricato - si è detto - è stato posto il limite di transito a 60 km orari per i veicoli. Lei è al corrente delle condizioni in cui versa quel ponte? La situazione è monitorata con attenzione? «Posso dire che personalmente ed insieme alla mia Amministrazione sono stata particolarmente attenta ai problemi della viabilità e sicurezza sul ponte del Po tanto è vero che abbiamo sempre tenuto costantemente i contatti con l’assessore provinciale Paolo Gramigna, oggi consigliere e con lo stesso Presidente che ha partecipato ad una affollata assemblea pubblica a Bastida dove sono emerse criticità e proposte. Così come ci siamo informati presso RFI individuando i principali settori di intervento. Abbiamo lavorato per creare una sinergia tra Amministrazione provinciale e Ente gestore di FS con la partecipazione attiva dell’Amministrazione Comunale. Inoltre per quanto possibile abbiamo cercato di fare la nostra parte in relazione ai temi della sicurezza e della vigilanza». di Christian Draghi
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GODIASCO SALICE TERME
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«Nella nostra zona, essere avanti di due anni ti fa fallire ed essere indietro di un mese ti fa sopravvivere» Ha modi di fare garbati, un sorriso dolce, una perfetta educazione sulla quale spicca l’innata gentilezza. è un vulcano di argomenti interessanti: impossibile annoiarsi in sua compagnia. Il suo linguaggio è forbito, ricercato, talvolta maniacale nelle esposizioni. Indubbia la sua intelligenza, che supporta una furbizia così fine da apparire aristocratica. Ma è anche un imprenditore dalla caratteristica decisionista, come i grandi leader, ed in alcuni frangenti, sempre con educazione e senza mai “urlare”, dimostra spesso una verve accesa; come quando si sente dire una... bugia. è la cosa che proprio non può ammettere, e spesso non può perdonare. Da oltre dieci anni gestisce i locali di famiglia, il nome della quale la fa ormai apparire al pari d’una Dinastia, con solido successo: Leo Santinoli. Partiamo dalle prime esperienze professionali? «Le primissime esperienze risalgono ai miei 19 anni. Facevo le stagioni al Club House di Salice Terme come barista. In quegli anni studiavo Economia e Mercati internazionali all’Università Bocconi... però non mi piaceva, ed ho abbandonato. Sa, da adolescente non ero molto appassionato della vita notturna e frequentavo poco i locali, nonostante la mia attività di famiglia». Ed a quando risale l’inizio delle vere e proprie gestioni? «Tre anni dopo, circa. Ho iniziato organizzando le Veglie studentesche, e poi, di conseguenza, ho iniziato a gestire il sabato sera del Club House, prima che diventasse l’attuale “Korova”, invernale, e “Banana” estivo, nei giardini all’aperto. La mia serata più longeva è certamente questa». Un altro locale che ha riaperto lo scorso anno, ma che da decenni è di famiglia, è lo Sporting Club di Rivanazzano Terme... «Avevo già aperto anni fa lo Sporting come “Leobardo”... pensi che fu la versione estiva del Leobardo nell’estate 2006 a dare il via al “Banana”! Feci un tentativo, come Leobardo estivo, con ingresso dal parco ed il “Banana” a mo’ di pub: ingresso libero e consumazione facoltativa. Un’idea molto carina, ma ahimè, allora, di poco successo... Ed a distanza di 2/3 anni abbiamo iniziato il “Banana” come vero sabato sera in discoteca. Serata pensata per i ragazzi...». Lei ha iniziato a 24 anni a gestire il sabato sera dei giovani, e poi si è ritrovato a 30 anni a gestire anche le serate degli adulti, di una clientela over, dividendosi tra le due gestioni con il venerdì “Disco Doc” degli adulti ed appunto il sabato per i giovani. Come si è trovato?
Leo Santinoli
«L’impatto in primis sul venerdì adulto, glielo confesso, è stato traumatico... (sorride)... perchè è stata un’operazione nata da una quasi imposizione, in senso ironico, di mio padre Roberto che desiderava riportare gli adulti al Club House di venerdì sera, storica serata di successo del locale negli anni, per tanti anni. Poi però le dico: mi è piaciuto! Probabilmente anch’io avevo bisogno e desiderio di ascoltare un palinsesto musicale diverso da quello a cui ero abituato... a questo palinsesto musicale non ero preparatissimo, lo ammetto, anche se non era di “primo ascolto”: ho avuto la fortuna di passare tanto tempo con i miei genitori in tenera età, ed entrambi mi hanno trasmesso la passione per la musica». L’estate 2018 è stata quella del grande successo del Tortuga: sbaglio o è il primo anno che per tutti i mercoledì è sempre pieno? «No (ride)! è stato cosi anche negli anni passati, ma per il primo anno l’assenza di precipitazioni atmosferiche ci ha permesso di aprire sempre! Gli anni passati, piovendo spesso, ci sono state meno serate...». Suo padre, in un’intervista che ha fatto per noi l’anno scorso, mi disse di avere in casa una cartolina con i saluti da Ri-
vanazzano che suo nonno Leone, quindi il bisnonno per lei, spediva ai clienti con le immagini del San Francesco, locale in Rivanazzano che gestiva, datata 1905! Il Signor Roberto sostiene di aver visto però addirittura una cartolina datata 1903! Quindi una dinastia lunghissima! Ho saputo che suo nonno Leo è stato direttore delle Terme di Salice e di Rivanazzano, che è una cosa che mi ha stupito quando suo padre me l’ha detto... «Sì, certamente ho curiosità sugli episodi familiari accaduti nel passato, ma i ricordi che abbiamo, come memoria storica, sono talvolta un po’... frammentari. Questo anche perché la parte maschile della mia famiglia è da sempre abituata, per via di questa professione, a vivere la contestualità, la quotidianità, cercando di essere “avanti” di sei mesi... Nella nostra zona, essere avanti di due anni ti fa fallire ed essere indietro di un mese ti fa sopravvivere: devi essere avanti di 6 mesi per tentar di aver successo. Personalmente non m’importa quanto tempo fa sia successa un’iniziativa: l’importante è che sia successo e che mio padre me l’abbia detto. Tante volte lui mi chiede se mi ricordo alcuni episodi relativi a feste a tema e serate: questo è certamente
molto importante che io lo sappia, non è importante quanto tempo fa sia successo, perchè la ciclicità esiste ma non è temporale precisa; potrebbe essere una moda che riappare dopo 5 anni come 50, però devi sapere che è stato fatto perchè puoi ritentare con più facilità. è il motivo per cui siamo più concentrati sui concetti che sulle date». Tre anni fa, circa, lei è stata la prima persona che mi ha parlato di “sponsorizzazioni” sui Social Network. Non sapevo cosa fossero, né tanto meno pensavo che un locale notturno potesse servirsene. Trovo che questo sia molto in linea con il suo pensiero: lei è molto attivo dal punto di vista tecnologico. Come pensa evolverà il fenomeno di questa forma pubblicitaria, ormai non più al legata al cartaceo? «Concordo con lei, anche se mi piace fare una riflessione al contrario: io guardo gli esercizi di grande successo, anche attività di ristorazione. Alcune riescono a lavorare bene, con un’utenza sempre in crescita, senza appoggiarsi alle pubbliche relazioni ed alle sponsorizzazioni di qualunque tipo. Questo perchè si sono concentrate prima sul prodotto. Io ho fatto sempre molta attenzione alla sponsorizzazione, ma nell’ultimo periodo, avendo osservato il fenomeno opposto, mi sono reso conto di quanto sia importante per il successo di un’attività concentrarsi un pochino di più sul contenuto, senza sottovalutare il cliente. Se tu ti concentri troppo sulla pubblicità e sui social spesso sottovaluti il gusto del cliente che, nel momento in cui percepisce quanta differenza ci sia tra quanto appare di te su internet rispetto alla realtà, poi non ti sceglie più. Ogni cliente deluso, per il tuo esercizio, diventa un fallimento molto superiore rispetto ad un cliente “acchiappato”. Noi non siamo un prodotto che si acquista on-
«La serata del Tortuga rappresenta il mio modo di “fare serata”»
GODIASCO SALICE TERME line, ma un luogo in cui tu devi divertirti e portare a casa un buon ricordo: non esiste social che possa farti cambiare idea». Il web però, oltre alla gestione dei locali, è un mondo che l’affascina probabilmente. Mi aveva accennato tempo fa ad una nuova iniziativa che stava coltivando, appunto sul web... «Ha buona memoria! Sì, è vero. Da sempre, fin da bambino, sono un super appassionato di tennis, sport che ho emulato da mio padre e nel quale sono arrivato ad ottenere soddisfacenti risultati agonistici negli anni, oltre ad aver gestito per anni una scuola-tennis a Sale (in Provincia di Alessandria, n.d.r.) con un altro amico, grande agonista, Andrea Vaggi: alcuni mesi or sono, parlando con il caro amico Andrea Aschei, anch’egli appassionato tennista in carriera ma, nella fattispecie, straordinario ingegnere informatico, mi sono innamorato di una nuova azienda, futuribile, che Andrea stava creando! Se lei va a ricercare uno o più tornei, oppure classifiche e giocatori, sul sito web della Federazione Italiana Tennis, si accorgerà in breve che la sua ricerca richiede grande pazienza e tempo a disposizione: deve passare di pagina in pagina prima di arrivare alla meta, talvolta interpretando i dati forniti e/o, comunque, prestando particolare attenzione a non confondersi. Per ovviare a questi “inconvenienti”, alcuni tecnici informatici hanno creato una piattaforma, consultabile da pc e smartphone, dal nome TennisTalker, che anch’io, come molti altri giocatori ed appassionati, da
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tempo utilizzo. Un giorno Andrea Aschei, appunto, mi parlò di una sua idea a riguardo: costruire un sito web sul genere, ampliandone le possibilità e migliorandone l’appeal e la facilità di consultazione. Andrea ci stava alacremente lavorando, ed io mi innamorai della cosa offrendo tutta la mia possibile collaborazione!». è già in funzione questo nuovo sito? Come si chiama? Quali obbiettivi vi prefiggete? «Il sito, e l’applicazione per il telefono, sono già attivi, sempre in work-in-progress nella ricerca del massimo raggiungibile! Il nome è “Tennis Agenda”, e la nostra mira è quella di farlo diventare il nuovo portale della F.I.T. ! Noi offriremmo, a quel punto, il servizio di manutenzione e consulenza. Ed è un’idea che si può estendere ad altri sport». Quest’anno è stato bello per lei anche dal punto di vista agonistico... «Sono arrivato quest’anno ad avere questi ottimi risultati in campo per tre fattori: perchè avevo in testa questo progetto nel quale Andrea Aschei mi ha coinvolto ed ho ricominciato a “parlare di tennis”, e perché questo mi ha riportato a volerlo praticare, a volermi confrontare con i giocatori che incontravo e con cui parlavo del progetto! Ed ancora, perché ho iniziato a concentrarmi sui particolari chiedendo aiuto al mitico Maestro Roberto Garbin, che oltre agli allenamenti in campo, mi ha detto questa frase che mi ha aperto il mondo: “Ricordati Leo... la tattica non
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««Noi non siamo un prodotto che si acquista on line, ma un luogo in cui tu devi divertirti e portare a casa un buon ricordo: non esiste social che possa farti cambiare idea» migliora la tecnica, ma la tecnica migliora di gran lunga la tattica”». Ci elenchi i risultati... «Ho giocato 5 tornei, due di terza categoria, vinti entrambi senza perdere un set. Uno ad Arenzano e l’altro a Sale. Il primo torneo della stagione l’ho giocato ad Asti, dove ho stabilito un record a livello mondiale (ride), perchè ho vinto 4 partite consecutive senza perdere nemmeno un punto: i miei avversari mi hanno dato forfait! Mi ero iscritto alle “Antiche Mura” facendo qualche partita per capire a che punto stessi con il fisico. Il bello di questi tornei è che sono ad inserimento, che per arrivare a giocare contro quelli molto forti devi vincere molte partite. Ad Asti mi sono trovato in finale senza giocare una partita... Poi ho giocato a Piacenza, e poi sono andato ad Alassio ed ho giocato il più bel torneo di quest’anno, perchè ho
giocato con un 3-5 la prima partita, poi un 2-8, un 2-7, un 2-6, e mi hanno messo in finale a giocare di mattina, contro un 2-4». Ci lasciamo con due domande ancora sul suo lavoro notturno: quale clientela preferisce, quella del venerdì o del sabato sera? «Quella del mercoledì del Tortuga, perchè rappresenta il mio modo di “fare la serata”! Rappresenta il mio modo di uscire, di conoscersi, di non fare divisioni sugli spazi ed i tempi ma sulla voglia di stare insieme, anche se con interessi differenti». Per quanto riguarda la stagione invernale, meglio lo Sporting o il Club House? «Il meglio sarà quello che succederà questo prossimo inverno...». di Lele Baiardi
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RIVANAZZANO TERME
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«Rivanazzano ha una identità di paese più forte, radicata. A Salice invece si sente meno» Sette parrocchie e tre paesi importanti da seguire. Il compito di don Stefano Ferrari si fa ancora più impegnativo da quando, in seguito al pensionamento di don Rino Mariani, ha ereditato anche quel di Godiasco, che si aggiunge così ai paesi di Rivanazzano e Salice Terme. «Le realtà coinvolte sono di più perché le chiese si trovano su un territorio vasto» spiega don Stefano. «Alcune di queste però sono chiuse, come quella di Nazzano che ha problemi strutturali, in altre invece non si dice messa in maniera regolare e l’impegno più gravoso è rappresentato dalla manutenzione». Don Stefano, fa tutto da solo o c’è chi l’aiuta? «L’unico altro parroco che può darmi una mano celebrando qualche funzione è don Alfredo, che nonostante abbia ormai 89 anni ha una tempra eccezionale essendo stato missionario in Burundi e Repubblica del Congo per molti anni. Per il resto ho diversi collaboratori a Rivanazzano, un po’ meno a Salice. Adesso sto cercando di connettermi con la realtà di Godiasco, per arrivare a chi aiutava don Rino». La sua gestione è improntata a valorizzare in modo particolare l’oratorio, soprattutto quello di Rivanazzano. Quello di Salice invece, tanto caro al suo predecessore, che destino avrà? «L’oratorio di Salice è la struttura con i locali migliori e più adatti ad attività didattiche, quindi si è deciso di dedicarlo al catechismo ogni mercoledì, venerdì e sabato. Su Rivanazzano invece da un paio d’anni abbiamo investito dedicando la struttura alle attività ricreative e le feste. Quest’anno siamo riusciti a fare tre settimane di grest con i più piccoli di cui siamo
Quanti catechisti avete? «Una dozzina, fortunatamente la parrocchia esprime un buon numero di volontari». A Rivanazzano invece chi la aiuta? «Devo dire che sono molto contento di notare che ci sono numerosi genitori volontari che decidono di dedicare parte del loro tempo alla vita dell’oratorio, che apre ogni sabato e domenica proprio grazie al loro impegno e generosità. Siamo una comunità piccola Don Stefano Ferrari, sono 7 le parrocchie ma piuttosto unita». che deve seguire Secondo lei l’oratorio molto soddisfatti. ha ancora quel ruolo di centro di aggreLa riorganizzazione delle attività è dovugazione giovanile che lo ha sempre conta al fatto che sarebbe impossibile con le traddistinto? forze esigue che abbiamo mantenere le «Certo non è più quello di una volta, ma medesime attività in tutti e tre gli oratori, perché il mondo è cambiato e i bambini servirebbe molto più personale. Per questo sono diversi. Prima diciamo che le altersi è deciso di concentrare la parte dedicata native erano veramente poche o forse nesalla ricreazione a Rivanazzano, lasciando suna. Oggi ce ne sono talmente tante che a Salice la catechesi». noi non possiamo neppure permetterci di C’è molta richiesta per il catechismo? sognare di poter entrare in competizione. «Sì, attualmente abbiamo più di 200 bamQuello che puntiamo ad offrire semmai è bini da gestire e ancora non sappiamo un di più in preparazione cristiana». quanti iscritti porterà Godiasco. Il merIl suo ruolo di sacerdote la mette in concoledì e il venerdì sono i giorni dove c’è tatto con diverse realtà del tessuto somaggiore richiesta e sono saturi. L’appelciale. C’è povertà in questa zona d’Ollo alle famiglie è di appoggiarsi di più al trepò? Se sì a quale livello? sabato mattina. Il grosso della richiesta è «Io vengo da Novi Ligure, una città di sempre per il mercoledì, dove arriviamo 28mila abitanti molto più industriale che ad avere anche 120-130 bambini non senha sofferto tanto la crisi, che era percepiza difficoltà». bile dal 2007-2008 in poi. Qui mi pare che
la si sia sofferta un po’ di meno. Questo non significa che non ci sono famiglie in difficoltà, se mai direi che il fatto di vivere in una zona più di campagna, agricola, offre magari più possibilità per cavarsela, o comunque delle alternative. Ci sono comunque persone che vengono a chiedermi aiuto per trovare un lavoro, una quindicina di nuclei famigliari circa. Il problema però è che oggi un imprenditore o chi cerca personale da assumere non va più dal parroco a chiedere consiglio. Per questo mi risulta difficile fare da punto di incontro tra domanda e offerta, quindi demando alcuni casi ad associazioni di volontariato». Parliamo di immigrazione. Ha conosciuto i migranti di Salice e Godiasco? «Con la realtà di Godiasco devo ancora entrare bene in contatto. Quelli di Salice invece, che erano circa una ventina, li ho incontrati. Brave persone, alcune ora hanno trovato lavoro e si sono trasferite altrove. La maggioranza era musulmana, ma due o tre di loro erano cattolici. Mi ha colpito molto il fatto che uno di loro ha chiesto di ricevere il battesimo. Lo ha ricevuto la notte di Pasqua dell’anno scorso, dal vescovo in cattedrale a Tortona». Che differenza trova tra Salice e Rivanazzano? «Rivanazzano ha una identità di paese più forte, radicata. A Salice invece si sente meno, probabilmente perché negli ultimi venti o trent’anni è stato popolato da chi aveva radici altrove. Probabilmente servirà ancora una generazione perché anche Salice costruisca la sua identità». di Christian Draghi
PONTE NIZZA
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SETTEMBRE 2018
«Servono più fusioni e una nuova Comunità montana» Nel Comune di Ponte Nizza le manovre in vista delle elezioni del prossimo anno sono già cominciate. Il gruppo di minoranza capitanato da Giuseppe Daglia sta lavorando alla composizione di una lista che rappresenti «una soluzione alternativa all’attuale amministrazione, che campa di ordinaria gestione neanche fatta bene». In agenda le priorità per il futuro del paese sarebbero la fusione con comuni limitrofi e la creazione di una nuova Comunità montana, «passaggi obbligati per il rilancio del territorio». Daglia dove credete che l’Amministrazione Pernigotti sia stata mancante? «Il vero limite dell’attuale amministrazione è la mancanza di una visione per lo sviluppo del territorio che vada oltre il problema del giorno. Lo dimostra il bilancio che abbiamo approvato qualche mese fa. Definibile con una sola parola: “povero”. Nelle risorse e negli investimenti. Infatti, al di là della preventivata costruzione di due nuove cappelle cimiteriali e del risanamento dell’edificio scolastico realizzato con fondi regionali, regna il deserto più assoluto. è evidente, mancano la capacità di reperire risorse, il coraggio di investire e una lungimiranza nell’attività amministrativa. La Sala Polifunzionale, che è la struttura più utilizzata di tutto il patrimonio comunale, era stata realizzata dalla precedente amministrazione che fu subissata dalle critiche di chi adesso amministra e ne fa ampio uso».
Unione “Terre dei Malaspina”, «è evidente il fallimento politico dell’operazione» A proposito di strutture. Il museo della ex ferrovia Voghera-Varzi è chiuso e inutilizzato. Come mai? «Bisognerebbe chiederlo a chi amministra oggi. Posso immaginare che siano mancati l’interesse, la volontà e la capacità di mettere in funzione il museo. Il museo rappresenta un opera unica nel suo genere, testimonianza di una infrastruttura, l’ex ferrovia Voghera – Varzi, che ha rappresentato un pezzo di storia
Giuseppe Daglia, capogruppo di minoranza importante del nostro territorio. All’epoca della realizzazione del museo vi erano molte aspettative che avrebbero dovuto incentivare la presenza di turisti e visitatori, come ad esempio le visite scolatiche. Aspettative rimaste lettera morta, purtroppo». I vostri “vicini” di Ruino, Valverde e Canevino si sono recentemente fusi in un unico nuovo comune. Lei crede che Ponte Nizza dovrebbe fare lo stesso? «Penso che le fusioni tra i Comuni ed una nuova Comunità Montana siano passaggi obbligati per il rilancio del nostro territorio. è un’occasione storica. Ci sono importanti risorse economiche destinate ai Comuni che si fondono. Si realizzerebbero sinergie con benefici per tutti i cittadini, ma perché questo avvenga è necessario che le fusioni siano coerenti ad una logica territoriale e rispettose delle esigenze delle collettività coinvolte. Le fusioni, infatti, se mosse da inutili e anacronistici campanilismi locali rischiano di diventare un diverso modo per fare cassa e alla lunga si rileverebbero fini a loro stesse, vanificando buona parte dei loro effetti». Con quali Comuni ritiene che dovreste fondervi? Quali sarebbero i vantaggi? «In virtù di quanto ho appena esposto penso che per il Comune di Ponte Nizza sia prospettabile una fusione con i limitrofi Comuni di Cecima, Bagnaria e Val di Nizza. I vantaggi sarebbero, innanzitutto di carattere economico. Arriverebbero trasferimenti di risorse finanziarie che i nostri Comuni non vedono più da anni. Vorrebbe dire poter sistemare strade, rea-
lizzare nuovi marciapiedi, fornire servizi migliori ai cittadini. Inoltre si avrebbe un risparmio di spesa generato dalle sinergie nascenti, e si creerebbe un ente comunali con un numero di cittadini più elevato e quindi con un maggior peso politico». Il Comune è attualmente parte dell’Unione “Terre dei Malaspina” con il Comune limitrofo di Cecima. Inizialmente però gli enti in Unione dovevano essere quattro. Cosa è accaduto poi? «Inizialmente, il progetto Unione Terre dei Malaspina prevedeva la partecipazione di quattro comuni: Ponte Nizza, Cecima, Bagnaria e Val di Nizza. Si era arrivati alla redazione di una bozza dello statuto a quattro Comuni. Ma alla fine l’Unione è stata fatta solo, come citato in premessa, tra Ponte Nizza e Cecima. Al di là di quelle che sono state le motivazioni che hanno spinto gli altri due Comuni ad abbandonare è evidente il fallimento politico dell’operazione che ad
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oggi, ridotta in questi termini, ha prodotto ben pochi benefici». C’è stata polemica in paese riguardo alla situazione dei cimiteri. Quali sono i problemi che ravvisate? «Come gruppo di minoranza, di recente, abbiamo presentato un interpellanza sulla modifica alle tariffe per la retrocessione dei loculi cimiteriali operate dall’attuale amministrazione. Posso immaginare che visto da fuori potrebbe sembrare una polemica futile, ma così non è. Anzi, ha messo ulteriormente in evidenza una situazione di criticità per quanto riguarda la gestione dei cimiteri dovuta ad una preoccupante carenza di loculi. Aggiungo al riguardo che gli interventi ventilati dall’amministrazione comunale e consistenti nella realizzazione di due nuove cappelle cimiteriali, risultano del tutto insufficienti rispetto alle reali esigenze e tardivi. Andavano programmati e realizzati prima». Cosa pensate del bando Aree Interne? Ponte Nizza ne trarrà benefici? Ci sono dei progetti relativi presentati dal vostro comune o che vi coinvolgono direttamente? «Il bando Aree Interne rappresenta indubbiamente un’occasione importante per il nostro territorio che va sfruttata al meglio. Per quanto riguarda Ponte Nizza, mi risulta che si è deciso di convogliare le risorse sull’edificio dell’ex stazione, che è stato acquisito dalla precedente amministrazione comunale. Come gruppo di minoranza abbiamo sempre pensato che l’edificio dell’ex stazione e la relativa area pertinenziale, vista la loro collocazione in centro paese e lungo il percorso della green way, andassero indubbiamente riqualificati. Ad oggi comunque non c’è ancora nulla di concreto. Inoltre, va ricordato, onde evitare fuorvianti slogan elettorali, che si tratta di risorse che hanno dei vincoli di destinazione ben precisi, volti alla valorizzazione turistica e culturale del nostro territorio». di Christian Draghi
Il consigliere di minoranza Giuseppe Daglia attacca la giunta: «Non ha una visione a lungo termine»
BAGNARIA
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SETTEMBRE 2018
In arrivo l’autovelox sulla variante di Bagnaria Fa discutere la notizia del “trasloco” dell’autovelox fisso sulla ex Statale del Penice dal comune di Rivanazzano a quello di Bagnaria. A partire dalla metà di settembre, infatti, l’impianto oggi collocato all’altezza dell’ex deposito militare per carburanti lungo la dritta che porta a Godiasco sarà posizionato nel rettilineo che precede la frazione Ponte Crenna, lungo la nuova variante di Bagnaria. Sarà in funzione 24 ore su 24 e rileverà le infrazioni per eccesso di velocità di guida in direzione di Varzi. Limite: 70 chilometri orari. La decisione è stata presa dal comando di Polizia provinciale in seguito alle numerose richieste giunte dall’Amministrazione comunale di Bagnaria. «Da tempo i residenti di Ponte Crenna mi chiedono un intervento importante per limitare la velocità delle auto che sfrecciano entrando nel centro abitato» spiega il sindaco di Bagnaria Mattia Franza. «Da quando è stata realizzata la variante stradale che dall’uscita del capoluogo in direzione Varzi arriva proprio a Ponte Crenna i cittadini hanno paura dato che le auto approfittando della strada più scorrevole arrivano nel centro abitato a velocità pericolosamente alte». La risposta alle richieste di Franza è arrivata con la mossa “tattica” del comando di Polizia provinciale: «Quello di spostare le postazioni fisse lungo determinate tratte stradali è una pratica che abbiamo già sperimentato con buoni risultati in diverse situazioni» spiega il comandante Mauro Maccarini. L’inghippo che può innescare la polemica arriva però dal fatto che il velox non sarà posizionato all’ingresso del centro abitato di Ponte Crenna - come sarebbe logico data la volontà di rallentare le auto che entrano in paese - ma al termine
Punto in cui entrerà in funzione l’autovelox nel Comune di Bagnaria della frazione Casa Arcano, in pratica nel mezzo di un rettilineo, ad una distanza effettiva dal centro abitato di oltre 500 metri. Comandante Maccarini, capirà che qualcuno avrà pensato che si voglia fare cassa… «Immagino che qualcuno possa pensarla così, ma la realtà è diversa e c’è un motivo preciso per cui l’autovelox si troverà a Casa Arcano e non all’ingresso di Ponte Crenna». E quale sarebbe? «Si tratta di un motivo legale. Gli autovelox fissi sulle strade extraurbane non possono essere posizionati arbitrariamente. Devono trovarsi su tratti di strada che sono indicati con precisione dalla Prefettura. Nel caso specifico il prefetto aveva decretato che sulla Sp461 si potessero installare velox dal chilometro 8,200 al chilometro
24, che è proprio dove noi posizioneremo l’apparecchiatura tra pochi giorni». Non sembra molto sensato però. Come mai un limite proprio al km24 e non invece all’ingresso del paese dove il deterrente sarebbe di sicuro maggiore? «Il fatto è che la realizzazione della variante ha modificato la lunghezza della strada, per cui il chilometro 24 non corrisponde più allo stesso punto cui coincideva prima dei lavori. Per modificare la situazione servirebbe una nuova decretazione del Prefetto. Noi ci siamo avvicinati al centro abitato per quanto la legge ci consente». D’accordo, ma crede che l’autovelox lì sarà ugualmente efficace? «Posso dire che dietro il posizionamento degli autovelox ci sono diversi studi e raccolta di dati statistici e solitamente è attestato che si rallenta molto prima dell’appa-
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recchio e l’effetto rallentamento continua per circa un chilometro dopo. Per cui ragionevolmente direi di sì. Lasci però che dica una cosa». Prego… «è vero che a volte si fanno scelte che possono essere considerate opinabili, ma sempre appoggiandomi ai dati statistici rileviamo che nei tratti di strada in cui sono posizionati gli autovelox fissi il livello di sicurezza cresce in maniera esponenziale e gli incidenti si riducono praticamente a zero. Posso portare come esempio il tratto di strada che collega Carbonara Ticino a San Martino Siccomario o quello tra Sforzesca, nel comune di Vigevano, e Cassolnovo. Entrambi erano stati teatro di incidenti mortali e lungo entrambi, dopo avere posizionato gli autovelox, il numero degli incidenti è sceso a zero. So che le multe da autovelox sono le più odiate da tutti, ma penso anche che tante volte non possiamo sapere quante vite abbiano salvato». L’altro punto che ha fatto discutere è il limite di velocità su quel tratto di strada. Se si tiene conto che la variante di Bagnaria è stata realizzata proprio per snellire un po’ il traffico su una strada altrimenti poco scorrevole, 70 km orari sembrano un po’ pochi. Perché non 90 come sul rettilineo dove si trovava prima? «Il limite di velocità su quel tratto di strada era di 70km orari prima della realizzazione della variante ed è stato mantenuto tale. Ci sono degli incroci che immettono nelle frazioni lungo la strada ed evidentemente i progettisti hanno ritenuto di mantenere questo limite». In attesa di valutare gli effetti dello spostamento sulla sicurezza stradale, automobilisti e motociclisti dovranno fare attenzione al tachimetro quando arrivano in località Casa Arcano, all’altezza della vecchia casa cantoniera. L’autovelox sarà posizionato lì. di Christian Draghi
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VARZI
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Estate di magra per i commercianti «Ai varzesi non piacciono i turisti» Musi lunghi, facce tirate, poca voglia di parlare. La stagione estiva 2018 al commercio varzese sembra aver dato poche ragioni per sorridere. Secondo alcuni, addirittura, non è neppure cominciata. Sarà l’estate arrivata in ritardo, il più che esiguo numero di eventi organizzati, la scarsa attitudine del paese e dei suoi operatori ad una collaborazione attiva per rendersi attrattivi dal punto di vista turistico, sta di fatto che rispetto al 2017 il segno di fronte ai calcoli è quasi per tutti un meno. Qualcuno si è mantenuto a galla, qualcuno si è improvvisato ufficio turistico e ha raccolto il passaggio anche dall’estero. Altri si chiedono che fine abbia fatto la Nuova Pro loco, alcuni additano la litigiosità o la generale renitenza ad essere accoglienti. A parlare con baristi e ristoratori, che più di tutti sono esposti al “passaggio” e hanno una visione globale di quelli che sono i flussi turistici, viene da chiedersi come mai il paese non riesca mai a cambiare marcia. Se lo chiedono anche gli operatori stessi, ormai talmente sconsolati che non hanno neppure voglia di prendersela, neppure con la politica che di solito è il più comodo dei capri espiatori. Il paese sembra afflitto da una sorta di strana patologia cronica che potremmo definire “varzismo”: sforzandoci di scimmiottare la Treccani si potrebbe definirla come una “inclinazione alla scarsa cooperazione contraddistinta da una generalizzata apatia e un pessimismo congenito”. Secondo alcuni il problema sarebbe la tendenza a «mettersi le dita negli occhi gli uni con gli altri», per qualcun altro il varzese preferirebbe la lamentela al cambiamento, un po’ come i “Dubliners” descritti da Joyce nel suo famoso romanzo.
«Tolta la Festa Medievale per cui dobbiamo ringraziare i ragazzi di “A Tutta Varzi”, non c’è stato nulla»
Alessandra Scabini
Stefano Bucellini
te che in passato, vedevo i ristoranti vuoti». Come fare per migliorare? Comegna usa l’ironia «Affidiamoci a quelli di Bosmenso, visto che ormai è Varzi ad essere diventata una loro frazione. Anche se sono convinta che un’iniziativa come La Notte qui non funzionerebbe». Perché? «Se là sono in 100 lavorano in 100. Qui di solito per organizzare lavorano in tre». Anche per Patrizia Rapallini del bar Sport la stagione è partita molto tardi. «Da Ferragosto in poi, prima neanche si può parlare di una stagione». Sulle ragioni però è più serafica. «Questo è sicuramente l’anno più brutto degli ultimi tre ma mi pare più che altro una tendenza generalizzata, non una situazione che riguarda solo Varzi. Anche in giro mi pare non ci sia stato
«L’assessore al turismo lo vedo solo alle feste, alla politica credo non interessi più molto, tanto il prossimo anno ci sono le elezioni e il sindaco non è più ricandidabile» Cristina Comegna «Al varzese fondamentalmente non piace la gente, preferisce il piccolo tran tran quotidiano, non siamo un paese che vuole davvero attrarre turisti» dice Alessandra Scabini del bar Ombra commentando una stagione che rispetto all’anno scorso è stata molto negativa. «D’altra parte se non organizzi eventi la gente perché dovrebbe venire qui? Quest’anno a parte la Festa del Primo Maggio e la Festa Medievale non c’è stato nulla. Il mercatino patisce la concorrenza impari de La Notte di Bosmenso, che si svolge la sera prima. Dopo aver partecipato a quella festa chi ha voglia di tornare il giorno dopo per il mercatino?». Un lato positivo, trovato con ironia, c’è: «Non abbiamo avuto i soliti problemi con vicini e forze dell’ordine a causa della movida». A fare un giro in piazza della Fiera l’umore non sale. Stefano Bucellini, del bar L’Angolo, se fa il paragone con la stagione 2017 lamenta un calo del giro di affari «di quasi il 25%. La stagione per noi è partita a metà luglio, prima il tempo era trop-
po freddo e incostante. C’è in giro meno gente, il lavoro si è concentrato tutto nelle settimane a cavallo di Ferragosto, prima ben poca cosa». Come mai? «Troppo poche iniziative». Colpa della Pro Loco o di altri? «La Pro Loco possiamo dire non sia pervenuta, in generale il problema è che tra noi commercianti in primis ci mettiamo le dita negli occhi gli uni con gli altri anziché collaborare davvero». Un po’ meglio è andata al bar pasticceria Zuffada. «Grosso modo abbiamo mantenuto la mole di lavoro dell’anno scorso, anche se probabilmente noi trattando pasticceria abbiamo una clientela più stabile» spiega Cristina Comegna. «Tuttavia in giro si è vista meno gente rispetto all’anno scorso, soprattutto durante la settimana, mentre nel weekend per fortuna si è lavoricchiato». Come mai? Poche manifestazioni? «In pratica non si è fatto nulla. Tolta la Festa Medievale per cui dobbiamo ringraziare i ragazzi di “A Tutta Varzi”, non c’è stato nulla se non il mercatino cui ha partecipato molta meno gen-
un gran movimento. Mi auguro che si lavori almeno a settembre». Da piazza della Fiera ci si sposta nelle vie interne del Borgo. Chi proprio non trova ragioni per sorridere è Alessandro Deglialberti, chef dello storico ristorante Caffè del Centro. «Sono dell’idea ormai che Varzi sia un paese da abbandonare. Ogni anno vedo un declino progressivo. Tolte la Festa Medievale e il mercatino non c’è stata praticamente gente in giro. La Nuova Pro Loco? Avevano lanciato proclami dicendo di voler collaborare con tutti, poi hanno organizzato una piccola manifestazione con musica dal vivo nella via dove ho il ristorante e non mi hanno neppure portato la locandina da esporre. L’assessore al turismo lo vedo solo alle feste, alla politica credo non interessi più molto, tanto il prossimo anno ci sono le elezioni e il sindaco non è più ricandidabile. Unirci tra noi commercianti? Avevamo anche lanciato l’idea qualche tempo fa, poi come al solito tutti hanno detto sì salvo tirarsi indietro al momento di passare
VARZI ai fatti». A pochi passi dal Caffè del Centro c’è La Compagnia delle Merende di Riccardo Brignoli. «Ad agosto non è andata male, si è lavorato grosso modo come l’anno scorso soprattutto nel fine settimana. A luglio, anche se noi facevamo solo i weekend, si è vista invece meno gente in giro». La clientela resta la stessa, con una pesante mancanza all’appello: i giovani. «Vengono famiglie, più che altro persone di mezza età. I giovani, se non qualcuno del paese, non arrivano perché manca attrattività, mancano manifestazioni. A partire da una festa del salame, fatta bene su una due giorni dedicata al prodotto tipico e alla vitivinicoltura». Ma perché questa benedetta fiera non si riesce a fare? «Domanda da 100milioni di euro. Varzi è un paese con una mentalità un po’ particolare. Sono stato alla Fiera di Monleale ed era molto carina ma, senza nulla toglierle, dico che a Varzi con la bellezza del borgo si potrebbe fare qualcosa di molto più bello. Qualsiasi altro paese con un potenziale uguale al nostro farebbe almeno dieci volte più di quel che si fa qui». In mancanza di un ufficio turistico c’è chi ha provato a creare un locale che offra in qualche modo un servizio analogo. è il Jimmy’z Bar, nei vicoli della Varzi medioevale. «Siamo riusciti ad attirare i turisti perché offriamo un servizio un po’ particolare in un luogo caratteristico» spiega Grazia Chiappano. «Offriamo merende a km0 con prodotti del territorio e lavoriamo quasi esclusivamente con
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Riccardo Brignoli
Alessandro Deglialberti turisti, anche stranieri. Il problema è che scoprono questa parte di Varzi per caso dato che non ci sono segnalazioni. La gente spesso passa e va perché non sa che Varzi non è soltanto piazza della Fiera. Inoltre abbiamo notato come ci sia una richiesta insoddisfatta di informazioni turistiche per cui nel locale distribuiamo guide e ci intratteniamo quando possibile raccontando ai clienti curiosità e cenni storici sul posto. E questo viene molto apprezzato». di Christian Draghi
Grazia Chiappano
«Affidiamoci a quelli di Bosmenso, visto che ormai è Varzi ad essere diventata una loro frazione...»
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CANEVINO, RUINO, VALVERDE
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Colli Verdi è un nuovo Comune dell’Oltrepò Un nuovo comune Oltrepò Pavese: si tratta di Colli Verdi, che nascerà dalla fusione fra Ruino, Canevino e Valverde. L’istituzione del nuovo soggetto è stata approvata dalla popolazione delle tre località attraverso un referendum consultivo, svoltosi lo scorso 31 luglio. Il risultato della votazione ha evidenziato come i favorevoli fossero in assoluta maggioranza: l’89% a Ruino, l’88% a Canevino e il 71% a Valverde. Quello di Colli Verdi è il secondo comune a nascere per fusione nell’Oltrepò, in tempi recenti, dopo Cornale e Bastida (istituito nel 2014). L’esempio di questi ‘‘pionieri’’ potrebbe essere seguito da altre realtà, dati i molti vantaggi che la fusione porta con sé. Sentiamo il commento del sindaco di Ruino, Sergio Lodigiani. Come commenta il risultato del referendum consultivo? «Dobbiamo ringraziare i cittadini dei tre comuni, che hanno capito l’importanza di questo referendum, indipendentemente dal nome che è stato scelto (tanta gente non voleva cambiarlo). Hanno capito che si tratta di un’opportunità per i nostri piccoli paesi: si tratta di una cosa non da poco. A Ruino e Canevino abbiamo raggiunto il 90% di favorevoli, si è andati proprio al di là di quello che è il normale campanilismo fra i comuni. È molto positivo». È stata proprio una novità, o fra i cittadini dei tre comuni esisteva già una qualche forma di vicinanza, al di là di quella geografica? «Un attaccamento c’era già da prima. Dal 2009 eravamo in unione con Valverde, dal 2013 anche con Canevino. L’unione, qui, era partita seriamente. Con il massimo impegno da parte di tutti, e i risultati si sono visti. Sono ormai quasi dieci anni che i nostri uffici lavorano come se fossero un ente unico. Questo ha aiutato certamente il processo di integrazione». Quando si è iniziato a parlare di fusione? Era un punto del suo programma elettorale? «Abbiamo iniziato a parlarne circa un anno fa. L’idea è nata dai sindaci dei comuni coinvolti, ma abbiamo coinvolto tutti gli amministratori. In seguito a questa ipotesi sono state organizzate diverse riunioni rivolte a tutti i cittadini, che hanno visto una partecipazione abbastanza cospicua. Se non fosse stato presentato adeguatamente quello che sarebbe stato il programma da attuare, con i vantaggi che la fusione avrebbe potuto portare, ci sarebbe stato il rischio, per i nostri cittadini, di non recepirne la portata. È un tipo di scelta che deve essere condivisa il più possibile».
Sergio Lodigiani, sindaco di Ruino e il vice sindaco Ilaria Bono
A chi darebbe i meriti di questo risultato? «Si tratta di un lavoro di squadra. È stata come una campagna elettorale, di quelle che portano a girare casa per casa. Anche gli uffici hanno lavorato parecchio. Il merito poi va anche ai cittadini che a nostro avviso hanno fatto la scelta corretta». È stato realizzato uno studio per valutare gli effetti della fusione? Quali sono i risultati attesi? «È stato realizzato uno studio, grazie alla collaborazione con il dottor Antelmi, che segue gli enti locali. Da un punto di vista economico, avremo a disposizione 400mila euro annui che non saranno vincolati: potremo utilizzarli, quindi, per qualsiasi lavoro, nei prossimi dieci anni. L’obiettivo è ridurre la tassazione comunale per favorire la popolazione, gli esercizi commerciali e artigiani del nuovo comune. Poi si potranno implementare i servizi offerti ai cittadini, l’assistenza agli anziani. Un impegno è quello di mantenere il plesso scolastico (materna, elementari e medie), di offrire agevolazioni sul trasporto degli alunni da e per le scuole superiori». Pensa che i vostri territori, con la formazione di un macrocomune, possano avere maggiore voce in capitolo nei rapporti con terzi? «Certamente. In Comunità montana saremo il quarto comune per popolazione. L’estensione raggiungerà i 41 kmq di estensione. Un territorio molto grande: avremo tantissime frazioni, ognuna con i suoi problemi ma anche con i suoi punti di forza». Ora la palla passa al Consiglio Regionale. Quali saranno i prossimi passaggi? «Non abbiamo ancora informazioni preci-
se, ma appena riprenderanno i lavori della Regione dopo le ferie prenderemo contatti con chi di dovere. Fino al 31 dicembre rimarranno in carica le tre amministrazioni esistenti. Poi arriverà un commissario prefettizio, e intorno al mese di maggio dell’anno prossimo ci saranno nuove elezioni, per la nomina della nuova amministrazione».
ci hanno chiesto informazioni». Zavattarello poteva essere della partita: non è stato così. «Ma non è esclusa, in futuro, anche una fusione con Zavattarello.» Non temete che le identità delle singole realtà territoriali giungano a un deterioramento? «Intanto il nome dei paesi rimane, perché ci sarà il comune di Colli Verdi ma le singole località manterranno le proprie caratteristiche. Aiuterà il fatto che gli uffici rimarranno aperti in tutti e tre i paesi, quindi rimarrà un servizio importante e anche un presidio». A questo proposito, il vostro municipio ha subito di recente grossi lavori di ristrutturazione, conclusisi proprio negli ultimi giorni. Un investimento che, quindi, non rischia di restare inutilizzato. Di cosa si tratta? «Il progetto interamente finanziato da Regione Lombardia, per un importo complessivo di 237.000 euro, ha previsto la completa coibentazione della struttura che ospita il municipio oltre alla sostituzione di tutti gli infissi posti al pian terreno. Compresi nei lavori anche la sistemazione del tetto e la ristrutturazione della palestra scolastica dove è stata effettuata una controsoffittatura.
Favorevoli alla fusione: l’89% a Ruino, l’88% a Canevino il 71% a Valverde. Si è recato alle urne all’incirca il 50% degli aventi diritto. Il nuovo comune conterà 1.100 abitanti Farà ancora parte della partita, nel segno della continuità? «Personalmente penso possa essere il momento di proporre persone giovani, anche per la carica sindaco. Sicuramente sarò disponibile a dare ancora un supporto, secondo le necessità». Quello di Colli Verdi è il secondo comune a nascere in Oltrepò in seguito a una fusione, in tempi recenti. Pensa che questa via verrà seguita prossimamente da altri territori? «Sicuramente. Altri comuni della provincia si sono interessati alla nostra fusione e
L’operazione durata qualche mese consentirà il contenimento delle spese energetiche nonché un Anche Luigi Chiesa, sindaco di Canevino con esperienza quarantennale, è comprensibilmente molto soddisfatto dell’esito delle urne. Sindaco Chiesa, come si è arrivati a questa fusione? «L’amministrazione di Canevino già nel 2001 aveva attivato l’unione con Santa Maria e Rovescala. Siamo stati precursori delle unioni, per poter dare servizi migliori e mettere in convenzione le funzioni im-
CANEVINO, RUINO, VALVERDE portanti per il funzionamento del comune. Per esempio il servizio tecnico. Nel 2012 è uscita dall’unione Rovescala: siamo rimasti soli con Santa Maria della Versa. I servizi messi in unione hanno sempre funzionato bene fino al 2013, quando si è sciolta la vecchia unione e siamo passati con Ruino e Valverde, mettendo in comune tutte le funzioni». Perché questo passaggio? «Nel frattempo era nata l’unione fra Volpara, Golferenzo e Montecalvo, che ci sbarrava la strada rispetto a Santa Maria; ovvero che si frapponeva fra noi e loro, come territorio. Nel 2010 l’unione dei comuni di Canevino e Santa Maria aveva tentato, in verità, di fare un’unione più vasta in Val Versa inserendo anche Montecalvo, Volpara e Golferenzo nel soggetto esistente. Questi comuni a quel tempo risposero di non essere interessati a questa prospettiva, che sarebbe potuta sfociare in una fusione dell’alta Valle Versa, dato che eravamo tutti contermini». Quindi il divorzio da Santa Maria… «L’unione con Santa Maria si è sciolta, anche perché i contributi iniziavano a venir meno, e Canevino si sarebbe trovato isolato per quanto riguarda servizi basilari come la scuola e il medico, per esempio. Un’isola sperduta in mezzo alla Val Versa. La scelta di fare l’unione con Ruino e Valverde è stata quindi un po’ obbligata, ma alla fine si è rivelata giusta perché è diventata una fusione. Avevamo già tutti i programmi unificati; funzionava già come una fusione, di fatto. Pur non avendo ancora i contributi che invece ora otterremo». Canevino, grazie alla fusione, ritorna ad essere compreso nella Comunità Montana. Pensa possa essere un vantaggio per il territorio? «Canevino ritorna in comunità montana dopo il periodo dal 1993 al 2008. Ci aspettiamo qualche vantaggio sia economico sia soprattutto fiscale. Il nuovo comune, contando 1.100 abitanti e un’estensione territoriale di 41 chilometri quadrati, avrà certamente anche un altro peso politico sia nella comunità montana, sia nei confronti di altri soggetti». Cosa cambierà per i cittadini di Canevino? «Il comune di Canevino così strutturato, con 108 abitanti e un impiegato, e tutti i servizi da continuare a garantire, si sarebbe trovato sempre più in difficoltà. Ora invece sarà possibile pensare al futuro più tranquillamente. Verrà mantenuto un presidio per la collettività grazie alla figura del pro-sindaco, posizione terza rispetto al sindaco e alla giunta, che rappresenterà il territorio del vecchio comune. Non avrà diritto di voto in Consiglio Comunale, ma di parola sì. Inoltre verranno mantenuti i municipi. Dal punto di vista della nomenclatura, i tre comuni esistenti diventeranno frazioni, e le precedenti frazioni diventeranno vie comunali. Quindi non si perderà l’identità del territorio». La mente di questa fusione è stata quella del sindaco di Valverde, Giovanni Andrini. Onore e merito che, tuttavia, non hanno minimamente interrotto la sua vo-
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Luigi Chiesa, sindaco di Canevino
glia di progettare e continuare ancora a lavorare per cambiare il destino di questi territori. Andrini, esisteva già un’unione ben avviata, fra i vostri comuni. La fusione era un passaggio naturale… «È un passaggio epocale, non proprio naturale, perché vuole comunque dire sopprimere i comuni precedenti e crearne uno nuovo. Guardando i dati, i trend socioeconomici e demografici, ci si rende conto che nei comuni, soprattutto in montagna, lo spopolamento sta continuando inesorabilmente. Oggi c’è una spinta economica da parte dello Stato che in qualche modo ha accelerato questa riflessione: fondersi è la prospettiva migliore per mettere in campo più servizi, e per dare una qualità della vita ai cittadini dignitosa e anche con una qualche ambizione. Questa è la scommessa che stiamo facendo». Il nuovo comune avrà un territorio molto ampio da gestire. Come raccogliere questa sfida? «Il lavoro da realizzare è immane. Apro una parentesi: di fusioni ad oggi ce ne sono pochissime; ma in montagna credo si tratti della prima, in Regione Lombardia. In montagna è un po’ più difficile fare fusioni: anche se i comuni sono piccoli in quanto al numero degli abitanti, sono molto estesi come superficie. Da Bozzola a Canevino c’è un viaggio. I cittadini sono sparsi. Per questo abbiamo declinato un modello gestionale che verrà recepito dallo statuto del nuovo comune». Quale modello? «Un modello che punta a non creare periferie, sostanzialmente. Noi manterremo tutti i municipi aperti, con un front-end ai cittadini, e con più servizi erogati. Inoltre in ogni frazione ci sarà un pro-sindaco con un consiglio di municipio, esterno all’amministrazione del comune. Un presidio politico, che si farà carico di portare in consiglio comunale quelle che saranno le esigenze puntuali e precise del territorio». Quali altri punti?
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zione dei tre comuni. Manteniamo l’identità di ogni frazione, ma allo stesso tempo pensiamo a una comunità allargata, che diventerà una comunità unica negli anni.» Ci può essere prospettiva di altre fusioni? «Credo proprio di sì. Il futuro è l’aggregazione, tenendo conto dei bacini idrografici». Come è stata la risposta dai cittadini? «A Valverde ho fatto tre riunioni e ho seguito anche quelle negli altri comuni. Non ho fatto campagna elettorale: ho semplicemente spiegato a tutti che cosa significava la fusione. I cittadini sono venuti a votare in massa, hanno votato sì, per cui hanno capito che era importante e che si tratta di una scelta epocale e di prospettiva, che guarda avanti». L’iter che ha portato alla fusione è durato circa un anno. Come si è svolto questo periodo? «Dopo aver preso questa decisione, e dopo aver fatto riunioni e rimuginato, mi sono dato degli obiettivi chiari: definire il progetto, condividerlo, approvare la bozza, discuterne con la popolazione e con tutti gli attori.
«Il progetto di fusione, che si può leggere sul sito del nostro comune, è diviso in tre capitoli: premessa, obiettivi e modello di gestione. Nei primi punti ho messo l’infrastruttura digitale, perché ritengo sia fondamentale. Nel 2020 è previsto che arrivi anche da noi la banda ultralarga, ma solo in alcune zone. Il nostro obiettivo è portarla in tutte le case. È necessario, se vogliamo attrarre o mantenere qualche giovane e far partire qualche startup. L’infrastruttura digitale è più importante anche delle strade. Entrambe sono essenziali per qualsiasi tipo di progetto di sviGiovanni Andrini, sindaco di Valverde luppo e di mantenimento o di efficientamento di un territorio». Ho fatto riunioni con tutti: con i direttori Come incentivare la coesione sociale? generali di ASST, ATS, Comunità Monta«Con i consigli di municipio, se saranno na, Consiglieri Regionali, con le associacoordinati e gestiti in maniera ottimale, si zioni e i sindacati, con cui abbiamo fatto avvierà anche un percorso che aggregherà anche un accordo. Sono tutti entusiasti di le attuali comunità. Poi ovviamente ognuquesto progetto». na manterrà le proprie specificità. C’è Che tipo di accordo? anche un problema di mobilità interna: il «La mia idea è quella che i cittadini di territorio è vastissimo e abbiamo l’esigenColli Verdi non si devono più spostare per za di creare una mobilità interna facile. avere i servizi. A Valverde diamo già un Penso a un taxi interno a chiamata. In più sostegno che va oltre il compito dell’istibisognerà pensare a una serie di iniziative, tuzione, ma io voglio proprio invertire la per mettere a sistema tutto quello che absituazione. Non voglio più che i cittadini biamo a disposizione». vadano a valle a perdere giornate intere Per esempio? con le ovvie difficoltà di spostamento. «Per esempio mettere in relazione il nuoDevono essere i soggetti che hanno le vo centro polivalente di Valverde e il suo competenze sui servizi a venire sul nostro ostello con il centro sportivo di Ruino. territorio, perché potremo mettere loro a Organizzare un torneo di calcetto itinedisposizione gli spazi, gli strumenti tecrante, perché così le persone si muovono, nologici per lavorare, e anche qualche e hanno la possibilità di aggregarsi. contributo, dato che ne avremo la possibiCreare momenti di socializzazione, cerlità: questo è il punto». cando comunque di favorire l’aggregadi Pier Luigi Feltri
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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI
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La vendemmia: “Spòrt, cäsët e cävàgn” La bellezza struggente e melanconica dell’autunno, era ed è sublimata dai colori dei vigneti e dalle tinte pastello dei boschi d’Oltrepò. In autunno i boschi, filtri dei venti di tramontana e di levante, artefici segreti della maturazione del maestoso salame della tradizione oltrepadana, mutano colori e forme per preparare l’alta collina ai rigori ed ai silenzi dell’inverno. Una magia di colori e sfumature laccate, pervade l’ambiente circostante con tinte calde e morbide che contrastano in parte con i vivaci colori dei vigneti. La vite, nella sua saggia concretezza, prima di presentarsi al letargo invernale, riassorbe dal terreno tutte le impurità che le radici hanno scaricato durante l’anno, trasferendole alle foglie destinate presto a cadere. Colori rossi sgargianti, gialli ocra o paglierini, verdi brillanti, cupi neri screziati da vivaci pennellate di rosato o violetto, sembrano ribellarsi all’inverno ed al triste destino dei loro supporti, quasi ad accendere un mondo rurale ormai votato agli oscuri e spogli silenzi dell’inverno. I temporali sempre più numerosi, dilavano uomini e cose, la collina respira un’aria nuova: silenziosa arriva la vendemmia mentre le foglie ormai stanche, rabbrividiscono ai primi fremiti d’autunno. Poi, il silenzio si impadronirà di quei filari che, sino a pochi giorni prima, erano pervasi da attività frenetiche, grida gioiose, incitamenti e canti che da sempre accompagnano questo lavoro. La poesia della vendemmia manuale, la poesia della vendemmia di una volta, dove gli attori erano i familiari, qualche parente e i vicini di casa. La poesia dello stare assieme, la voglia di chiacchierare perché l’attività lo permetteva, i canti che a volte si levavano dal luogo di un lavoro che, se pur piacevole, era molto faticoso. “L’ arsadù” cominciava con il preparare la cantina: “la tëna” il tino, “i vasê” le botti, “i sgàs” i setacci e quant’altro occorrente per la pigiatura. Riempiva d’acqua la “navàsâ”, bigoncia, per verificarne la tenuta o per scoprire le eventuali perdite che venivano prontamente riparate applicando un particolare mastice che, dopo le opportune verifiche, serviva anche per il tino e le botti. Il contadino provvedeva successivamente ad un metodico controllo delle ceste, prima di vimini o listarelle di castagno poi di plastica, delle cassette, delle cestine e di ogni altro contenitore usato per la raccolta. “Spòrt, cäsët e cävàgn”. L’attività vera e propria, seguiva un calendario prefissato dall’agricoltore che teneva conto della varietà e della destinazione del prodotto: prima si provvedeva alla raccolta del moscato, poi dell’altra uva bianca ed infine dell’uva nera. Nel contempo, prima si coglieva l’uva destinata alla vendita diretta, poi al conferimento alla cantina so-
ciale e da ultimo il prodotto da pigiare che risultava in tal modo più maturo e quindi, avrebbe dato un vino di qualità speciale. L’agricoltore nei tempi andati, raramente vendeva il vino, pigiava la giusta quantità d’uva per le proprie esigenze ed al massimo quelle dei tradizionali aiutanti che, per l’attività prestata, gradivano qualche damigiana di buon vino in luogo di altre mercedi. L’inizio ufficiale della vendemmia era generalmente stabilito dagli acquirenti, stanchi delle continue pressioni degli agricoltori circa la necessità di provvedere al più presto alla raccolta per il pericolo di maltempo. In merito alla paura di danni causati dal tempo cattivo, in Oltrepò si affermava che il vignaiolo passava quasi
tutto l’anno con lo sguardo rivolto al cielo temendo avversità che avrebbero potuto danneggiare il raccolto. In primavera le gelate potevano compromettere l’annata bruciando i germogli della vite, in estate eventuali grandinate potevano compromettere non solo il raccolto dell’anno ma anche quello futuro danneggiando anche i tralci oltre che i grappoli ed infine in autunno, la nebbia e la pioggia poteva portare a marcescenza l’uva determinando una cattiva raccolta, un prodotto scadente, un prezzo di vendita inferiore ed infine un vino di scarsa qualità. L’uva destinata alla cessione sul mercato, era rigorosamente controllata dal proprietario che non voleva grane o contestazioni future da parte dell’acquirente
che, spesso, era presente e verificava in prima persona la qualità e la maturazione dell’uva raccolta. Le cassette o le ceste allineate in fondo al vigneto in un luogo di facile accesso, erano man mano riempite dai raccoglitori o per meglio dire, da uomini addetti a questa specifica attività molto pesante, in modo da evitare di sottoporre donne, bambini ed anziani, che recidevano i grappoli, a sforzi eccessivi e pericolosi. Col bel tempo si lavorava di lena e in allegria anche se la stanchezza fisica accompagnava i lavoratori ad un rapido sonno appena ultimata Ia scarna cena. Spesso i vendemmiatori rompevano la monotonia e la ripetitività del lavoro, raccontando chi storie di vita, chi innocui pettegolezzi e, i più anziani tra gli uomi-
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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI ni, storie militari della loro gioventù che spesso aveva intersecato guerre tra le più tragiche e sanguinose. Nelle giornate migliori, spesso una canzoncina intonata sottovoce, si alzava gradatamente di tono sino a coinvolgere tutti in un’armoniosa canzone che pareva alleviare la fatica di grandi e piccoli. Giovani ragazze falsamente timide e baldi giovanotti, tragicamente illusi di conquistare alcunché se non voluto dalle sunnominate timidone, si lanciavano sguardi, frecciatine e piccole attenzioni che spesso popolavano di dolci sogni le solitarie notti. Nei tristi anni in cui il tempo in vendemmia era cattivo, il lavoro oltre al fatto di essere più pesante, era più lungo, più faticoso e non portava i risultati sperati al contadino: tanta fatica per raccogliere un prodotto deprezzato, di qualità scadente, ormai deteriorato dell’acqua e dall’umidità, che avrebbe dato un vino di scarsa qualità e di difficile conservazione. Ultimata la raccolta dell’uva destinata alla vendita a privati o a commercianti, si iniziava a raccogliere il prodotto da consegnare alle cantine sociali; l’attenzione alla qualità era in questo caso minima anzi, si consegnava il prodotto più scarso, più deteriorato dell’azienda mettendo in condizione la cantina sociale di lavorare sempre in sofferenza: quando il prodotto era scadente lavorava male, troppo ed a costi alti per la difficoltà di mantenere sano il vino, per contro quando il prodotto era ottimo lavorava poco pur mantenendo inalterate le capacità ed i relativi costi fissi della società. è un’amara considerazione per un Oltrepò che ha avuto le prime cantine sociali della storia non solo italiana ma europea e che oggi non riesce a renderle produttive e qualificate. Da ultimo ma non per importanza, si raccoglieva l’uva da pigiare. Per la verità “l’arsadù o l’arsadùra”, con cestina al braccio, già avevano effettuato alcuni giretti nei diversi vigneti per la raccolta dei grappolini migliori nelle parti più arretrate del tralcio “i stòmbar” dove l’uva maturava prima e meglio. A questa veniva aggiunta l’uva di qualche piccolo appezzamento, spesso impianto molto “anziano”, riservando molta attenzione alle giuste quantità per ogni varietà impiegata. Si lasciava qualche tempo il prodotto nelle ceste per meglio asciugarlo dalla rugiada e, finalmente, si dava l’avvio alle successive lavorazioni. Prima si procedeva alla pigiatura dell’uva destinata alla produzione del vino da pasto, poi si pigiavano le famose sportine con il prodotto selezionato dal padrone di casa per ricavarne il vino da bottiglia, com’era denominato. In tempi molto andati le operazioni “mustà” - pigiare - si svolgevano interamente a mano o, per meglio dire, a piedi. Questi erano infatti l’utensile usato alla bisogna. Baldi giovani in calzoncini corti si inerpicavano sul carro dove troneggiava la bigoncia ricolma d’uva e, a piedi scalzi opportunamente lavati, iniziavano a pigiare: letteralmente pestando di buona lena sui grappoli sodi sino a spremerne il nettare raccolto ad un capo della bigoncia che era opportunamente inclinata per per-
«In Oltrepò si affermava che il vignaiolo passava quasi tutto l’anno con lo sguardo rivolto al cielo temendo avversità che avrebbero potuto danneggiare il raccolto» mettere lo scolo del mosto. Qui uomini e donne, raccoglievano la parte liquida e le bucce che, tramite canaline spesso improvvisate, venivano convogliate nel capace tino nella cantina sottostante. Quando era impossibile canalizzare il nettare divino, si provvedeva a trasportarlo con un contenitore a spalla detto “brénta” recipiente di legno alto circa un metro e mezzo e con una capacità di circa sessanta litri. Il lavoro cominciava in assoluta allegria ma si concludeva dopo ore di durissima fatica: a volte qualche scivolata sul fondo viscido della “navàsâ” e conseguente rovinosa caduta sull’uva o sul mosto, alleviava in parte la fatica con una risata generale. Qualche cesta d’uva raccolta tardivamente perché dimenticata durante la vendemmia normale, “gräpulà o sgräpulà”, veniva definita tale operazione, era riservata ai teneri piedini dei bambini di casa che uscivano da IL DIZIONARIO “L’arsadù o l’arsadùra”: il padrone di casa o la padrona. letteralmente i reggitori delle sorti familiari “La tëna”: il tino “I vasê”: le botti “I sgàs o sdas”: il setaccio “Navàsâ”: bigoncia “Spòrt, cäsët e cävàgn”: ceste, cassette e cestine “I stòmbar”: i tralcetti arretrati “Mustà”: pigiare “Brénta”: contenitori in legno per il trasporto del vino “Gräpulà o sgräpulà”: raccolta di piccoli grappoli “Sgûràdûra”: pulitura profonda con l’uso di materiale abrasivo
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quell’esperienza stravolti dalla stanchezza ma vocianti e felici pur con i piedini violacei che avrebbero mantenuto tale colore, per molti giorni ancora. Ricordo un bambino di otto anni che ebbe tale avventura presso i nonni paterni miei vicini di casa. La felicità del pargolo aveva contagiato i due vecchietti che avevano consentito al nipotino di cimentarsi con gli amichetti in quell’avventura così insolita e stimolante. Per la nonna il problema nacque appunto quando affrontò il tema pulizia dei piedi: non poteva permettersi di presentare alla nuora due affarini di quel colore ma, purtroppo, non poteva neppure strofinare molto i piedi del nipote perché soffriva il solletico e durante la “sgûràdûra” continuava a ridere in modo preoccupante. La soluzione venne trovata dal nonno con l’uso della candeggina diluita e con il succo di limone che, a suo dire, puliva e profumava. La sera della pigiatura l’arsadù si sarebbe recato in cantina e, alla fioca luce di una candela avrebbe controllato al capê, livello superiore del mosto, nel tino, verificando che i raspi e le bucce formassero uno strato superficiale che doveva essere rotto di tanto in tanto, per evitare la formazione di muffe indesiderate e nocive. Con la pigiatura il contadino concludeva l’avventura della vendemmia, per ricominciarne un’altra iniziando di nuovo a lavorare con passione nel vigneto, potandolo, vangandolo, accudendolo e disinfestandolo in ogni modo possibile ed in ogni mese dell’anno.
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Giuliano Cereghini Mentre le prime nebbie avanzavano leggere ovattando genti e cose tra boschi sempre più spogli e tra vigneti che si preparavano ai rigori del tempo, gli uomini si affidavano al riposo invernale certi che la primavera sarebbe tornata con mano leggera ad accarezzare le avventure e i sogni di chi guarda in alto e confida nella benevolenza del buon Dio altro non potendo che lavorare e sperare.
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LA NOSTRA CUCINA
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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!
Settembre tempo di cambiamenti. Mentre la stagione estiva volge al termine e molti rientrano da vacanze tardive, la natura si cambia d’abito, accorciando le giornate e imbrunendo lentamente i colori di alberi, foglie e piante. Allo stesso modo, i prodotti estivi lasciano lentamente il passo a quelli autunnali, immergendoci in profumi e sensazioni quasi dimenticate. Settembre è il mese migliore per l’uva di qualità anche se oggi si trova ottima uva da giugno fino a Natale. Nell’ampio ventaglio di tipologie esistenti sul mercato, ognuno può trovare quella più affine ai propri gusti: la croccante, la dolce, con i semi o senza, con la buccia sottile o spessa... tutte accomunate dalle molteplici virtù salutari: l’uva è ricca infatti di polifenoli, che contrastano l’invecchiamento cellulare. L’uva contiene poi acqua (80%), carboidrati, fibre, sali minerali, vitamine e pochissimi grassi. È dissetante, purificante e nel contempo nutriente ed energetica: è una vera e propria miniera di virtù terapeutiche. Ha anche proprietà antiossidanti e anticancro, dovute soprattutto al contenuto di polifenoli presenti nella buccia dell’ uva
nera; ha inoltre proprietà antivirali, grazie al contenuto di acido tannico e di fenolo, in grado di contrastare il virus dell’herpes simplex. La ricetta di questo mese utilizza l’uva da tavola in abbinamento al formaggio fresco di capra per ottenere una preparazione molto semplice che può essere utilizzata per una colazione originale, una merenda o un fine pasto alternativo e d’effetto. Come si prepara: Lavoriamo il formaggio caprino in una ciotola con 1 cucchiaino d’olio extravergine d’oliva fino ad ottenere una crema consistente. In un pentolino versiamo lo zucchero di canna, aggiungiamo un cucchiaio di succo di limone, 2 decilitri d’acqua fredda e cuociamo a fuoco basso per circa 6 minuti per ottenere un caramello dorato. Laviamo ora gli acini d’uva, li asciughiamo bene e li aggiungiamo al nostro caramello, facendoli insaporire per alcuni istanti. Togliamo il pentolino dal fuoco. Mettiamo ora le fette di pane a tostare leggermente in una padella antiaderente per 1 o 2 minuti rigirandole spesso. Con l’aiuto di una sac a poche ricopriamo le fette di pane con ciuffetti di crema di ca-
prino. Aggiungiamo su ogni fetta gli acini d’uva caramellata, qualche gheriglio di noce spezzettato, alcune foglioline di timo e decoriamo con qualche bacca di pepe rosa. Il nostro piatto è pronto per essere gustato. Buon appetito! YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni di Gabriella Draghi
Gabriella Draghi
PANE CROCCANTE CON CAPRINO UVA E PEPE ROSA Ingredienti per 4 persone: 4 fette di pane ai cereali 150 g di formaggio caprino fresco 100 g di uva da tavola bianca 50 g di zucchero di canna 1 cucchiaio di succo di limone 40 g di gherigli di noci 2 dl d’acqua qualche bacca di pepe rosa in salamoia 2 rametti di timo olio extravergine d’oliva
BORGORATTO MORMOROLO
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«Probabilmente non ci sarà una seconda lista neanche alle prossime elezioni» Fabio Molinari, classe 1965, è il primo cittadino di Borgoratto Mormorolo. Alla sua prima avventura da sindaco, racconta come si trova e che cosa spera per il futuro del suo paese. Sindaco Molinari, com’è amministrare Borgoratto? «è abbastanza complicato, oltretutto avendo anche un’attività privata. Coordinare il tutto è impegnativo, anche se si cerca sempre di farlo bene». Aveva già avuto esperienze in politica? «Avevo già fatto il consigliere comunale nella precedente amministrazione, poi il sindaco di allora non ha più voluto ripresentarsi e sostanzialmente mi hanno proposto di candidarmi e così ho fatto. è difficile e laborioso conciliare tutto, ci vuole un bell’impegno, ma una volta iniziata l’avventura si cerca di portarla avanti nel miglior modo possibile, anche perché le circostanze attuali del panorama politico non sono proprio buonissime, anche per quanto riguarda Regione e Provincia, ma tutto sommato devo dire che ho instaurato ottimi rapporti con loro. Quello che siamo riusciti a fare per il nostro territorio non è moltissimo ma qualche soddisfazione è arrivata». Borgoratto quanti abitanti ha? «Circa 450 e si estende su una superficie di 16 chilometri quadrati: un’area molto vasta… e i problemi stanno anche in quello, nella gestione di un territorio ampio, con pochi abitanti e quindi pochi introiti. Bisogna quindi contare su fondi che arrivano da fuori». Siete in unione con altri comuni? «Sì, l’idea di unirci è arrivata nel 2015 e si è formalizzata ufficialmente a gennaio 2017. Siamo con Borgo Priolo, Montese-
gale e Rocca Susella». è un vantaggio per voi? «Decisamente. Grossi problemi non li abbiamo avuti. Se non altro con l’unione abbiamo la possibilità di avere dei contributi da parte della Regione, e in parte anche dallo Stato, che ci permettono di affrontare certe situazioni in modo un po’ più sereno». Che tipo di servizi avete in comune? «Sicuramente lo scuolabus. Stiamo organizzando e ottimizzando i mezzi che abbiamo a disposizione. E poi tutto quello che riguarda il personale, avendo costituito l’ufficio unico. Infine tutti quelli che sono i servizi amministrativi: siamo riusciti agevolmente a unificarli e quindi a ottimizzarli». I cittadini sono favorevoli all’unione? «Diciamo di sì. Abbiamo comunque fatto un percorso di informazione, e abbiamo spiegato loro i vantaggi della questione». Una cosa che si sente di aver apportato come sindaco in questi anni? «Sostanzialmente l’aver gettato le basi per una creazione di un sistema fra comuni anche non appartenenti alle unioni che potrebbe avere un futuro importante. Prima il comune di Borgoratto era abbastanza isolato nella sua amministrazione e nelle sue cose, adesso non è più così. La nuova ondata di sindaci relativamente giovani eletti nel 2014 ha gettato le basi per qualcosa di più importante, che ha visto l’unione come primo passaggio e poi ha messo le basi per creare un sistema fra le varie amministrazioni che possa dare un grande impulso verso le prospettive future». Manca poco alle prossime elezioni. State già lavorando per il prossimo maggio? «Non abbiamo ancora iniziato a parlare,
« La nuova ondata di sindaci giovani eletti nel 2014 ha gettato le basi per creare un sistema fra le varie amministrazioni»
Fabio Molinari, eletto sindaco nel 2014 ma cominceremo a breve. Io ero stato eletto a lista unica e probabilmente non ci sarà una seconda lista neanche la prossima volta. Comunque il mio programma elettorale verterà soprattutto sulla ottimizzazione dei fondi che arriveranno dallo Stato e dalla Regione per l’area interna, visto che noi siamo tra i 15 comuni che hanno ottenuto questo status di “area interna”, e potranno essere utilizzati per progetti che sono già stati presentati. I fondi saranno spesi per promuovere il nostro territorio, cercare di renderlo conosciuto e portare un po’ di gente a viverci». Come strade come siete messi? «Siamo messi come tutti! Abbiamo raggiunto un accordo con la Provincia per un certo numero di interventi: qualcosina è stato fatto e speriamo di continuare. È uno dei nostri problemi principali…nel nostro piccolo cerchiamo di fare qualcosa, ma se
non arrivano fondi è dura… è ovvio che una rete stradale messa meglio e un po’ più mantenuta sarebbe un incentivo in più per le persone a venire nelle nostre zone». Avere un ministro come Gian Marco Centinaio, che conosce bene il territorio oltrepadano, può essere un vantaggio? «Prospettive ce ne sono parecchie, anche perché siamo una zona in cui la viticoltura la fa da padrona. Stiamo cercando di studiare dei procedimenti e delle situazioni che possano permettere alle aziende agricole di essere un po’ più tutelate. Speriamo con Centinaio di riuscire a stabilire le prerogative che possano permettere a Comuni come il nostro di essere spronati, incentivati e migliorati. Adesso come adesso l’Oltrepò ha un grande patrimonio che non è sfruttato: siamo un pochino indietro e siamo ancora alla politica del “guardo il mio orticello e basta”… quando parlo di fare sistema intendo anche cambiare questo modo di vedere. Mettere quindi davvero a sistema le aziende, i produttori e tutta la filiera, anche con il merchandising che è importantissimo, per far conoscere i prodotti oltrepadani». di Elisa Ajelli
ACHILLI
CASTEGGIO
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Scuole fantasma, esposto in Procura «Dovevano essere del Comune, ma ci fu corruzione» «Accendere un mutuo da quasi un milione e mezzo di euro per comprare qualcosa che già era tuo di diritto è un’assurdità che finiranno per pagare i cittadini di Casteggio». Il consigliere comunale di minoranza Francesco Arnese torna alla carica sulla questione delle cosiddette “scuole fantasma” di Viale Montebello e del complesso edilizio che avrebbe dovuto ospitarle. Una struttura realizzata e mai utilizzata, che oggi rischia di costare al Comune quasi tre milioni di euro per via dei canoni d’affitto mai versati alla ditta costruttrice che ne vanta la proprietà. Arnese ha presentato una mozione per chiedere all’amministrazione Callegari di desistere dall’intenzione di comprare gli edifici accendendo un mutuo a tasso zero da quasi un milione di euro grazie ad un finanziamento erogato dal Coni, cui si aggiungerebbero altri 500mila euro di un ulteriore prestito. La vicenda della realizzazione di questa struttura e della sua proprietà entrano nel mirino di Arnese, che ne ha fatto oggetto di un esposto alla Procura della Repubblica per «corruzione». Consigliere, come mai ritiene che questa vicenda sia macchiata da un simile reato? «La storia è un po’ complessa e bisogna fare delle premesse: la costruzione dei due plessi è stata eseguita sulla base dello scomputo degli “oneri di Urbanizzazione” che la ditta costruttrice avrebbe dovuto al Comune di Casteggio rispettando la Legge della Regionale Lombardia numero 12 dell’ 11 marzo 2005, che contempla l’acquisizione della proprietà dei manufatti da parte dell’Ente locale, ossia da parte del Comune di Casteggio, qualora detti oneri non venissero versati. A quanto risulta il Comune non ha percepito né le somme a lei dovute per gli oneri di urbanizzazione e neppure la proprietà dei due immobili costruiti». Come mai questo? «L’artificio usato per aggirare la Legge si desume dagli atti d’ufficio acquisiti. Risulta, infatti, che i creditori abbiano richiesto agli Amministratori in carica di deliberare in consiglio comunale la volontà di destinare a loro la proprietà dei due immobili compreso il costo del canone d’affitto per entrambi, atto compiuto attraverso la delibera numero 30 del 2008». A questo punto cosa è accaduto? «Che i proponenti di quella che ritengo a tutti gli effetti una corruzione potevano legalizzare la loro proprietà presso lo studio di un notaio di Mantova che ha rogitato in favore dei lottizzanti proprio in forza della delibera comunale e si avvaleva anche di un rappresentante del Comune nella persona dell’Architetto Capo dell’Ufficio Tecnico».
Francesco Arnese, consigliere comunale di minoranza
Questi fatti però risalgono a 10 anni fa, sotto l’Amministrazione Manfra. La giunta Callegari che gli è succeduta in effetti deve aver avuto qualche dubbio su questa operazione tanto che ha inoltrato una segnalazione alla Corte dei Conti… «Che però è un organo amministrativo e chiaramente dal punto di vista formale la convenzione è regolare in quanto sottoscritta e accettata da entrambe le parti, con tanto di atto notarile e delibera di consiglio. Questa questione dovrebbe essere di pertinenza della magistratura». Dove starebbe però la corruzione? «Nel fatto che il consiglio comunale ha arbitrariamente deliberato per sovvertire
il senso di una legge regionale creando un vantaggio per i privati e un chiaro svantaggio per il Comune che oggi non solo ha maturato nei confronti di questa ditta un debito milionario, ma si appresta pure a ricomprare accendendo un mutuo, anche se a tasso zero, un immobile che sarebbe dovuto essere suo per legge». Se era, come dice, un contratto capestro per il Comune per quale motivo si deliberò in quel modo? Lo avete mai chiesto? «Nessuno ha mai risposto, un silenzio che non fa che aumentare i sospetti». Perché secondo lei allora la giunta Callegari non si è rivolta alla magistratura?
Arnese:«Il consiglio comunale nel 2008 consegnò la proprietà alla ditta costruttrice deliberando contro una Legge Regionale»
«Credo perché diversi membri dell’Amministrazione Manfra sono confluiti in quella nuova e, se la magistratura avesse inviato degli avvisi di garanzia, la giunta Callegari sarebbe caduta». Se però non le ricompra ora, il Comune rischia di dover pagare tutti gli arretrati alla ditta costruttrice... «Se le ricompra ora compie un’operazione insensata che genererà un danno economico notevole al Comune. Ho presentato una denuncia alla Procura che risulta ancora all’esame degli inquirenti e che potrebbe anche cambiare le carte in tavola». Cosa spera che accada? «Che la funesta delibera del 2008 sia annullata perché frutto di corruzione e che possa essere ripristinato quello che prevedeva la legge, cioè che il Comune rientri in possesso a titolo gratuito di ciò che doveva essere già suo». Se la magistratura non dovesse però vederla così? «Abbiamo già chiesto al Comune tramite mozione non solo di desistere dall’acquisto degli immobili, ma anche di votare la decisione di procedere a richiedere il rimborso dei danni a coloro che per la loro negligenza hanno generato gli ingenti danni patrimoniali all’amministrazione comunale di Casteggio. Non devono essere i cittadini a pagare». di Christian Draghi
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BRESSANA BOTTARONE
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«I corsi d’acqua sono abbandonati. Il Po è una tavola da biliardo, non è un fiume» Tre anni fa la passione per la pesca ha portato Gabriele Selvatico a ricreare, in un luogo prima abbandonato, un’oasi di pace rivolta ai pescatori, ma anche alle loro famiglie. È il laghetto della Cantalupa, a Bressana Bottarone. Salvato, in questo modo, dal rischio di trasformarsi in una discarica a cielo aperto. Selvatico conosce molto bene il mondo della pesca, che ha iniziato a frequentare da piccolissimo. Oggi, che ha 44 anni, sogna di insegnare ai bambini l’amore e il rispetto della natura, oltre alla passione per questo sport. Date le sue conoscenze ne abbiamo approfittato anche per parlare del grande fiume Po, dove oggi non sono più in molti a praticare questo tipo di attività. Perché ha deciso di lanciarsi in questa avventura? «Questa è sempre stata la mia passione, quasi da quando sono al mondo. A quattro anni avevo già in mano una canna da pesca. Il 3 ottobre 2015 ho inaugurato questo laghetto». Qual è l’origine di questo specchio d’acqua? «Questa in origine era una cava, che qualche anno fa è stata ridragata. Io venivo a pescarci ancora prima, più di vent’anni fa, ma allora aveva una forma diversa. C’era meno acqua». Qual era la situazione dell’area nel momento in cui ne ha preso possesso? «Era quasi una discarica a cielo aperto: ci sono voluti sei mesi per pulirla. Tutto un lavoro fatto a mano, grazie all’aiuto di alcuni amici e parenti». Che tipo di materiali ha rinvenuto nella pulizia? «Non c’era dell’inquinamento di rifiuti speciali, c’era proprio della spazzatura abbandonata nei dintorni del laghetto da chi veniva qui a pescare. Subito, appena partito, ho portato via ventotto sacchi di immondizia pieni di latte di mais. Proprio il più evidente». L’acqua del laghetto ha mai manifestato problemi di inquinamento? «No. Facciamo analisi tutti gli anni, come tutti dovrebbero fare. Le ultime il mese scorso: le acque sono risultate perfettamente idonee». Cosa può trovare qui l’appassionato di pesca? «Vorrei poter dire tutto… sarebbe importante per la salvaguardia delle nostre specie ittiche ormai in via di estinzione. Mi manca l’alborella». Alborella per la quale la Regione Lombardia ha istituito un divieto, per quanto riguarda la pesca nei fiumi, dove il numero di esemplari avrebbe subito un drastico calo. Un provvedimento tardivo? «Sicuramente sì. Ma il problema è quello di riuscire a diminuire l’inquinamento. La mancanza delle nostre specie ittiche è ve-
Gabriele Selvatico, ha “salvato” il laghetto Cantalupa di Bressana Bottarone nuta da due motivi: prima di tutto i fiumi non vengono dragati, poi crea molti danni l’uso dei pesticidi. Infatti sono venuti a mancare per primi, fra gli altri, il pesce gatto e la tinca, che vivono a diretto contatto con il fondo, dove va a depositarsi la percentuale più alta di pesticidi». Si vedranno anche alla Cantalupa le alborelle? «Ho cercato alborelle fino sul Lago di Garda, ma il problema è anche trasportarle vive. Comunque è una sfida che accetterei. Un altro aspetto di cui bisogna parlare è quello dei danni che possono fare altri animali. Ci si dovrebbe mettere nella testa che il cormorano qui da noi non è di casa, e crea solo problemi. Dieci cormorani man-
«Ho tirato grandi 4 figli con i pesci gatti del Canarolo!» giano un quintale di pesce in due ore. Se qualcuno non ci credesse, può venire qui il prossimo autunno a vederlo». Oltre agli appassionati di pesca, a chi altri si rivolge il suo laghetto? «Il sogno sarebbe quello di svolgere un grest estivo per i bambini, con una scuola estiva gratuita. Uno delle cose in cui credo è l’idea di tirare via i bambini dai tablet e riavvicinarli al mondo e alla natura. E poi di realizzare un’area dedicata agli anziani. Una cosa che mi è stata suggerita e che farei volentieri». Ad oggi quanti sono i soci? Quale la loro provenienza?
«Sono partito benissimo tre anni fa, essendo conosciuto nel mondo della pesca. Ora i soci sono 500. Tanta gente viene dall’Oltrepò, anche da Genova, da Milano, da Varese». Perché fare tanta strada per una giornata di pesca a Bressana? «Qui ci sono dei pesci che altrove non si trovano, come la trota marmorata. Penso di essere l’unico ad avere questo pesce». Perché? «Volevo provare a mettere nel lago le trote marmorate e l’allevatore me l’aveva sconsigliato: anzi mi aveva detto proprio che ero pazzo. La marmorata è la trota per eccellenza, di torrente. Non è facile che si adatti, anche se questi naturalmente sono ibridi di allevamento, nata in cattività, cosa che aiuta. Questo lago ha le condizioni ideali, ha la profondità e la temperatura giusta. Quando è a regime il lago ha 12 metri e mezzo d’acqua». Quali altre specie particolari si trovano nel bacino? «Sono arrivato a provare anche una reimmissione graduata di pesce gatto nostrano, che ormai è molto difficile da trovare in giro. Ci sono le tinche, che nell’acqua libera sono diventate mosche bianche. I lucci. Poi moltissimi altri, carpa, branzino d’acqua dolce, tilapia… pesci gatti americani, boccaloni… mi manca l’alborella per ricreare la catena alimentare e per riuscire ad ottenere la sopravvivenza anche del persico reale, che è anch’esso in via di estinzione. Queste saranno le tappe degli anni futuri». In Oltrepò si è un po’ persa tutta una tradizione culinaria, che riguardava i pesci nostrani. «Anni fa mi capitava spesso di parlare con persone più anziane anche della pesca che si faceva un tempo. Una di queste volte si parlava del Canarolo, e una signora incuriosita si è intromessa nel discorso e ha esclamato: ‘‘Ho tirato grandi quattro figli con i pesci gatti del Canarolo’’! La gente
non ci pensa, ma i nostri genitori o i nostri nonni si sono salvati dalla fame e dalla guerra anche grazie ai pesci che c’erano nei fiumi. Cosa succederebbe oggi se ci fosse una guerra?». A essere molto calata è anche la pesca sui grandi fiumi, come il Po. «C’è un’incongruenza bestiale. Da una parte viene fatta pagare una licenza, e dall’altra si vieta di attraversare gli argini in auto. Non tutti possono fare dei chilometri a piedi. E se uno sta male, come fa a essere raggiunto dall’ambulanza?». L’ambiente fluviale è sempre più lasciato a sé stesso, poi. «A livello di mantenimento i corsi d’acqua sono abbandonati. Quando i fiumi venivano dragati certi problemi non c’erano. Il letto del Po è alto di due metri in più rispetto a quando era trattato come dovrebbe essere trattato un fiume. Ormai è una tavola da biliardo, non è un fiume». Quali problemi, relativamente alla pesca? «Il pesce non ha più dove riprodursi. La corrente è triplicata… Come fa un pesce a depositare le uova? Le incolla con l’attak per tenerle ferme? Il fiume deve avere il letto e deve averlo sagomato bene, perché se ha il letto va via a una velocità più o meno costante. E se arriva una bomba d’acqua riesce a sostenerla. Poi si parla delle arborelle… Le specie vanno protette ma vanno anche integrate. Una volta realtà le guardie erano più presenti, si facevano tante attività, i ripopolamenti, c’erano dei divieti che andavano rispettati». È attiva alla Cantalupa anche una ‘‘scuola’’ per i più piccoli? «Sì, insegno sempre volentieri ai più piccoli a pescare. L’idea che avrei per questo laghetto di pesca non sarebbe quella del signore che viene qui a riempirsi il suo sacchetto di pesci da mangiare, ma di creare un punto rivolto alle famiglie. Il papà pesca, la mamma prende il sole e il bambino gioca, se non vuole pescare. Tutti insieme però possono passare qualche ora in mezzo alla natura e all’aria aperta». Cosa può imparare un bambino venendo alla Cantalupa e, più in generale, approcciandosi a questa passione? «Un bambino crescendo in questo modo può ricavare, in primis, il rispetto per l’ambiente. Capire che le cartacce non si abbandonano in giro, che l’inquinamento uccide i pesci. Può imparare anche a conoscere e a capire l’ambiente naturale, cosa che ti porta a rispettarlo ancora di più. E a vedere dal vivo gli animali, che non vedrebbero di certo in città. Un’altra cosa che mi piacerebbe creare qui è una specie di parco con gli animali: due oche, due galline, due anatre, un pony. Cose semplici che i bambini ormai non conoscono più». di Pier Luigi Feltri
PINAROLO PO
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Chimica Ponte Alto, «Non ci sono pericoli per la cittadinanza e per l’ambiente» Cinzia Gazzaniga, classe 1962, è il primo sindaco donna della storia nel comune di Pinarolo Po. è al secondo mandato consecutivo: donna energica e sensibile, traccia un bilancio del suo percorso da prima cittadina, in cui traspare l’amore per il proprio paese. Sindaco, ormai si avvia al decimo anno alla guida del paese. Ha maturato quindi una buona esperienza… «Diciamo di sì, anche se c’è sempre tanto da imparare». Com’è il paese di Pinarolo da amministrare? «Ci sono 1700 abitanti circa, è un paesino come tanti nella nostra provincia di Pavia. Devo dire che, se consideriamo le difficoltà generali che hanno tutti, come i problemi economici di questi anni, certo non è semplice. Dal punto di vista invece sociale e per quanto riguarda la risposta dei cittadini, devo dire che io sono soddisfatta. Non ho grandissime difficoltà». Voi siete in unione con qualche comune? «Sì, con quello di Barbianello. Fare questa unione ha sicuramente portato dei vantaggi e i servizi in questo modo si possono ottimizzare e migliorare. Abbiamo avuto opportunità in questi anni che se non fossimo stati in Unione non avremmo avuto…». Per esempio? «Abbiamo avuto, per esempio, il vigile che è andato in pensione e non avremmo potuto assumerne un altro: con l’unione invece abbiamo, per due giorni alla settimana, un vigile. Abbiamo potuto anche avere un responsabile per l’area tecnica, cosa che non avremmo potuto avere singolarmente come comune. Abbiamo sempre avuto un consulente, ma il responsabile era il Sindaco, quindi io. Ma a meno che il sindaco sia un geometra o un ingegnere non ha le giuste competenze tecniche: avere invece un vero tecnico alleggerisce sicuramente le responsabilità del Sindaco, che sono già davvero tante. Per fare un altro esempio, abbiamo potuto cambiare la nostra auto comunale con il contributo straordinario che ha l’Unione. Il fatto di essere in unione ci ha dato tante possibilità, poi sappiamo bene che non è semplice ragionare in questi termini, perché c’è ancora un po’ di campanilismo nel nostro territorio. Detto questo, bisognerebbe davvero ragionare in termini più ampi, perché il piccolo comune riesce sì a dare servizi, ma fino ad un certo punto. Noi siamo riusciti a mantenere tante cose, grazie anche al lavoro svolto dal sindaco che mi ha preceduta: ho colto un’eredità importante e siamo riusciti, nonostante dal 2009 in poi sia subentrata la crisi, a
Il sindaco Cinzia Gazzaniga con l’assessore Piera Cazzola
garantire un livello soddisfacente. Poi è naturale che si possa fare sempre meglio… in nove anni direi che si è fatto tanto e ho avuto anche una buona risposta dalla popolazione. Una risposta anche responsabile quando se ne è presentata l’occasione e abbiamo dovuto spiegare delle difficoltà: la stragrande maggioranza ha capito il momento e ha anche collaborato. Certo non si può andare bene per tutti, non si può piacere a tutti. Io cerco di amministrare il mio paese al meglio». Nel suo comune ci sono tante donne, sia nella Giunta che in minoranza. è bello vedere questa politica “rosa”… «Devo dire che mi trovo molto bene con tutte queste donne. A onor del vero devo dire che mi trovo bene anche con gli uomini, perché non ho mai riscontrato problemi, nonostante sia stata il primo sindaco donna di Pinarolo. A parte le mie donne in consiglio, comprese le signore della minoranza, in paese c’è anche una giovane donna Presidente dell’Auser e un’altra donna a capo dell’Anpi. Ci sono poi altre donne che ruotano attorno all’amministrazione, che lavorano in modo molto positivo: la collaborazione con le donne quindi per me è importantissima, perché non ci sono invidia e rivalità. Ci amalgamiamo bene. Nelle donne c’è anche tanta sensibilità che forse non si trova proprio sempre tra gli uomini, è normale che sia così… Poi bisogna usare il buon senso e un po’ di elasticità: il mondo non è solo bianco o nero, c’è anche il
grigio…e facendo così si riesce a lavorare bene e in modo sereno». Dal suo paese arriva anche un personaggio importante della politica, Giuseppe Villani: quanto è importante per voi avere un esponente del vostro territorio in Regione? «Sicuramente tanto. È importante anche averlo qui come collaboratore. È stato sindaco prima di me e conosce benissimo tutte le dinamiche e le problematiche del paese. Noi lavoriamo insieme da tanto tempo. Poi è una persona che non fa differenze e si dedica con passione a tutto il territorio. Lui dice sempre che l’esperienza di sindaco gli è servita tanto e credo anche io che sia un percorso molto importante, perché nei piccoli paesi si ha davvero a che fare con tutti i problemi, cosa che magari non succede in una grande città…». L’anno prossimo ci saranno le elezioni: c’è già aria di campagna elettorale? «Qualche riunione è già stata fatta… a settembre cominceremo a ragionare sul da farsi». La minoranza, in un’intervista pubblicata tempo fa sul nostro giornale, aveva parlato del bilancio pesante che gravava sul Comune e lamentava poca trasparenza. Cosa può dire lei in merito? «Se il problema per loro è la poca trasparenza io continuo a ribadire, come già detto anche a loro parecchie volte, che non è sufficiente per un amministratore arrivare in Comune solo quando c’è un consiglio
comunale. Quando si vuole entrare a capire veramente i problemi bisogna esaminarli in modo attento. Io sono a disposizione, il segretario è a disposizione, gli uffici sono a disposizione. Gli atti prima erano appesi all’albo pretorio in ufficio, adesso sono addirittura tutti online. Sa cosa c’è? Bisogna studiare tanto, bisogna capire tanto. Io ancora adesso, ogni volta che in consiglio si parla di bilancio, studio perché i cambiamenti durante gli anni sono stati davvero tanti. Bisogna davvero entrare nelle cose per capirle a fondo. Serve anche la volontà di capire. E ribadisco che c’è la possibilità di chiarire ogni cosa». L’altra questione calda sottolineata dalla minoranza riguarda la bonifica della Chimica Ponte Alto. «Altrochè calda… è una situazione che parte dagli anni Ottanta e io vorrei che fosse già terminata da tempo sinceramente. Purtroppo non è ancora finita, vuoi per questioni burocratiche, vuoi anche per ritardi da parte nostra. Detto questo, la questione più grave è già stata risolta da tempo: la bonifica deve essere conclusa e dovremmo avviare a breve un’altra procedura. Dopo avremo altri due step da fare. Per i tempi non mi sbilancio. Però ci stiamo lavorando e soprattutto teniamo la faccenda sempre sotto controllo. Tengo a sottolineare però che non ci sono pericoli per la cittadinanza e per l’ambiente». di Elisa Ajelli
MEZZANINO
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«Da oltre tre anni con il mio ristorante metto a disposizione un pasto quotidiano per le persone del paese meno abbienti» Il neo sindaco di Mezzanino, Adriano Piras, eletto nel giugno scorso, vuole replicare all’intervista fatta all’ex primo cittadino Zoppetti. «Ho preso visione dell’articolo del vostro giornale del mese di Agosto e vorrei provare a rispondere alle stesse domande poste all’ex sindaco Zoppetti per un doveroso confronto epistolare per fornire alla cittadinanza un quadro il più possibile completo dei fatti». Sindaco Piras, si aspettava la vittoria a queste ultime elezioni? «Certamente no. Principalmente perché l’idea di formare una lista elettorale in vista delle elezioni comunali di giugno è nata circa un mese prima della scadenza dei termini per la presentazione delle candidature e durante una cena con amici nel mio ristorante. Il motivo che ci ha spinti a ciò è stato il pericolo di dover andare alle elezioni con una sola lista. Il fatto di non poter avere alternative in una elezione ci sembrava lesivo del principio della democrazia. Senza contare che, in caso di voto con una sola lista, si poteva verificare che con una frequenza al voto inferiore al 50% sarebbe stato nominato un commissario per un periodo necessario a preparare nuove elezioni. Esperienza che il Comune di Mezzanino ha già vissuto nel passato e che non può essere annoverata fra le esperienze amministrative felici». A suo giudizio perché è stato eletto? «L’affermazione di larga misura (430 voti contro 340) credo sia dovuta alla capacità della lista di proporsi con idee innovative rispetto a quanto dimostrato dalla lista concorrente. Infatti siamo stati ostacolati in vari modi: un esempio è il rifiuto dell’Auser di incontrare la nostra lista con motivazioni di ordine burocratico facendo slittare l’incontro a dopo le elezioni. Segnalo inoltre che l’Auser di Mezzanino conta circa 250 soci, che rappresentano un terzo degli elettori e sarà un caso che il Presidente dell’Auser sia la moglie di Zoppetti. Secondo esempio, in occasione del pagamento della pensione del 1° giugno abbiamo ritenuto di omaggiare i pensionati del paese con un pensierino floreale… ebbene qualcuno, non certo della nostra lista, si è premurato di chiamare i Carabinieri richiedendo il loro intervento come se fosse in atto una rapina o un atto criminale. I Carabinieri intervenuti, dopo aver controllato i documenti e verificato la regolarità dell’operato, hanno salutato scusandosi per l’intervento maldestramente richiesto. Ci sarebbero altri episodi meritevoli di essere ricordati, ma non ritengo utile accendere polemiche su argomenti che fanno parte di un passato da dimenticare. è stato detto anche che la nostra lista è stata sostenuta dalla Lega, premesso che non ci
Adriano Piras, sindaco neo eletto sarebbe niente di male se fosse vero, però ritengo doveroso precisare che alcuni politici sono clienti del mio locale e che si sono sentiti in dovere di portare un saluto ed un augurio ad alcuni degli eventi organizzati. Infatti il nostro gruppo ha accolto con simpatia il Consigliere Regionale Mura ed altri hanno ospitato il consigliere Villani. Infine credo che i cittadini di Mezzanino, dopo l’esperienza quinquennale insignificante dell’amministrazione Zoppetti non abbiano voluto ripetere ed affrontare altri cinque anni come quelli trascorsi». Piras su quali punti insisterà maggiormente? «Per prima cosa voglio chiarire la vicenda dello stipendio che è fissato dalla normativa: per i comuni con popolazione fino 3000 abitanti, è di 1.301,47 euro. è vero che Zoppetti si era ridotto lo stipendio di 200 euro al mese, ma ognuno decide con quale modalità fare beneficenza. Il sottoscritto ha ritenuto di fare una scelta diversa; infatti da oltre tre anni con il mio ristorante metto a disposizione un pasto quotidiano per le persone del paese meno abbienti ed in difficoltà economiche, oltre a numerose altre forme di sostegno concreto in campo sociale in occasione di eventi, festività, tombolate etc.etc.etc. Attualmente fornisco quattro pasti giornalmente e ci sono stati periodi in cui ho fornito fino a dieci pasti giornalieri a persone sfortunate. Vorrei ricordare che se vogliamo valorizzare quanto viene destinato in opere caritatevoli si può fare un semplice calcolo: sono 4 pasti al giorno per 30 giorni equivalgono a 120 pasti mensili, valorizzati a prezzo Ticket 10/12 euro a pasto, sono circa 1.300 euro al mese. Si aggiunga, infine, che personalmente ho aiutato alcuni abitanti del paese in momen-
ti di particolare difficoltà economica ma che non avevano i requisiti per ricorrere agli aiuti ed ai sostegni sociali previsti dalla normativa comunale. Non è nel mio stile farmi pubblicità con la beneficenza elargita, ma essendo stato chiamato in causa ho ritenuto di fornire le spiegazioni necessarie per dovere di verità. Questa è la realtà e non ci tengo a passare per approfittatore, altro che i 200 euro al mese di Zoppetti!». Dall’opposizione vengono mosse critiche al vostro programma elettorale «A detta loro, avremmo copiato il programma dalla lista concorrente. Riteniamo doveroso precisare che in un paese come Mezzanino con meno di 1500 abitanti, le problematiche sostanzialmente sono quelle basilari di ogni piccola comunità e precisamente: viabilità, pulizia, illuminazione e sicurezza. Noi crediamo di aver proposto soluzioni più intelligenti ed adeguate, a differenza di quanto proposto dall’opposizione. Ecco perché i cittadini ci hanno votato. Riteniamo inoltre che se fosse stato avviato qualche progetto, da parte della precedente Amministrazione, ritenuto dal nostro gruppo meritevole di considerazione, non avremmo avuto problemi ad attuarlo per le parti di cui si condivideva la soluzione». Sulla vicenda Ponte della Becca cosa si sente di dire? «Sulla questione Ponte mi pare che l’ex sindaco stia facendo molte chiacchiere, infatti aldilà del corteo sul ponte di un sabato mattina, pur con la presenze di numerosi personaggi politici di vari livelli ed orientamento, mi sembra che non si sia cavato un ragno da un buco: anche perché la competenza non è in capo al Comune di Mezzanino ma la competenza è a livello provinciale/regionale/nazionale ancora in
fase di definizione. Siamo tutti concordi sull’importanza della struttura per Mezzanino e per tutto il bacino oltrepadano, però ritengo che sia difficile incidere su qualcosa di concreto per contribuire alla realizzazione del nuovo ponte». Altro argomento importante sul quale vuole fare precisazioni è il problema Monticelli, giusto? «Il precedente sindaco sembra ora voglia ergersi a difensore del mondo opponendosi al rinnovo dell’AIA della Monticelli, forse non ricorda che ha intrattenuto nel passato con la Monticelli ottimi rapporti nei primi anni di mandato, direi quasi amichevoli fino a sfociare nella messa a disposizione dell’Auser di Mezzanino, da parte della stessa Monticelli, di una autovettura in comodato d’uso gratuito. Precisiamo sempre che l’Auser è presieduta dalla moglie dell’ex sindaco. Dopo un certo tempo, e non è dato sapere le ragioni, si è giunti ad un cambiamento dei rapporti tali che hanno indotto la Monticelli a revocare il contratto di comodato all’Auser. Successivamente è stato messo in atto dalla precedente amministrazione una feroce opposizione contro la richiesta di rinnovo dell’AIA da parte della ditta, opposizione che risulta attualmente in essere. La mia Amministrazione si è già espressa in merito al problema dichiarandosi contraria fino a concreta dimostrazione, con tutte le garanzie del caso, che l’attività di cui al rinnovo dell’AIA richiesto dalla Monticelli dia la massima tutela e salvaguardia sia dell’ambiente, inteso come terra acqua e aria che della popolazione». di Elisa Ajelli
«è vero che Zoppetti si era ridotto lo stipendio di 200 euro al mese, ma ognuno decide con quale modalità fare beneficenza»
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7 - 8 - 9 SETTEMBRE: FESTA DELL’UVA - BRONI
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Broni, “Città Internazionale della vite e del vino”
Anche quest’anno è in arrivo la “Festa dell’Uva”, tanto attesa non solo dalla Città di Broni ma da tutto il circondario. Come sarà l’edizione del 2018? Ce ne parlano il sindaco Antonio Riviezzi, l’assessore al commercio, turismo ed istruzione Mariarosa Estini e l’assessore ai lavori pubblici con delega all’organizzazione di eventi, Christian Troni. «La Festa dell’Uva è sicuramente l’evento più importante ed atteso di Broni per via della sua tradizione storica e di quello che ha sempre rappresentato per questo territorio, che ha sempre vissuto dell’eccellenza dei prodotti della sue terra. Ricordo infatti che Broni è stata insignita del prestigioso riconoscimento di “Città Internazionale della vite e del vino” . L’edizione 2018 della festa ha in serbo tante novità e un ricco programma in grado di soddisfare i gusti di un vasto pubblico accontentando tutti i componenti delle famiglie che vorranno partecipare, dai più giovani a quelli meno giovani, grazie alla presenza di artista di livello di fama nazionale. Vorrei ricordare che l’organizzazione della festa è possibile grazie alla generosità dei vari sponsor, che ringrazio a nome di tutta l’Amministrazione comunale e di tutta la città, senza i quali non si potrebbe dare vita ad una manifestazione di questo tenore. Colgo l’occasione anche per ringraziare tutte le Associazioni che collaborano all’organizzazione di questa intensa “tre giorni”, tra cui la Nuova Pro Loco, Consulta Giovani, il Gruppo della Protezione civile, la sezione di Broni degli Alpini, il gruppo bandistico bronese, il circolo Contardo Barbieri, il circolo fotografico Oltrepò, oltre ad Ascom, agli esercizi pubblici e alle attività commerciali della Città. Infine, una menzione particolare anche alla squadra di volenterosi che si occuperà dell’organizzazione di questa festa, che farà il possibile per offrire un evento di qualità che possa attirare tra le vie cittadine il maggior numero di persone del circondario e di turisti del fine settimana». Come si inserisce la “Festa dell’Uva” e gli eventi in programma nell’opera di rilancio della vocazione turistica di Broni che sta portando avanti l’Amministrazione comunale? «La Festa dell’Uva e le varie manifestazioni ed eventi che vengono organizzati durante tutto l’arco dell’anno sono sicuramente alcuni degli strumenti utili per incuriosire sempre più famiglie e turisti ed invitarli a visitare la nostra Città, ma non sono i soli. Considerato che il turismo enogastronomico di qualità è sicuramente uno dei punti di forza di Broni e anche di tutto il territorio circostante, come Amministrazione stiamo puntando molto sulla
Antonio Riviezzi
valorizzazione dei prodotti di eccellenza grazie all’Enoteca Regionale della Lombardia di Cassino ed all’Università dei Sapori che aprirà a breve la prima “Scuola di Hospitality italiana”. Anche la cultura, grazie al Teatro Carbonetti e al polo culturale G. Soavi, è uno dei punti forti di questa Città, grazie ad una programmazione di spettacoli, eventi ed iniziative in grado di soddisfare un’ampia platea di pubblico. Cultura ed enogastronomia sono quindi al centro del progetto di continuo rilancio della vocazione turistica di Broni, e credo che debbano essere anche i punti di forza su cui puntare per il rilancio di tutto il meraviglioso territorio che è l’Oltrepò». Assessore Estini, come sta operando la Giunta comunale per quanto riguarda la realizzazione e l’organizzazione della “Festa dell’Uva” e delle altre iniziative in Città? «La ratio che stiamo seguendo è quella della collaborazione con le Associazioni di categoria, le associazioni di volontariato e tutti i commercianti presenti in Città. L’idea è di proporre ogni anno un calendario che possa soddisfare le esigenze di
Mariarosa Estini
tutti e che riesca ad attirare in Broni più persone possibili, in modo far conoscere la nostra amata cittadina e tutto quello che può offrire. Oltre al pilastro portante della Festa del’Uva, ogni anno ci diamo da fare per organizzare una serie di manifestazioni che stanno riscuotendo molto successo e che cerchiamo sempre di implementare e rinnovare. Posso dire che in questi ultimi anni, iniziative come Cioccovillage, lo Street Food e il mercatino di Forte dei Marmi sono state molto apprezzate dalla cittadinanza. Il calendario di quest’anno poi prevede una grossa novità per il periodo natalizio, che non posso ancora svelare e che, oltre a costituire una novità assoluta non solo per la Provincia di Pavia ma anche per tutta la Lombardia, sarà molto apprezzata da grandi e piccoli». Assessore Troni, dopo questa panoramica di quello che offe Broni, entriamo nel vivo della Festa, parlando un po’ del calendario e dei principali eventi che ne fanno parte. «Possiamo subito dire che il format è ormai quello consolidato negli anni, e che prevede tre eventi clou durante le serate da venerdì a domenica, correlati da numerose proposte ed iniziative che si svolgono in orario diurno, sia alla mattina che al pomeriggio. Quest’anno la novità è rappresentata dalla serata giovani che darà il via alla festa la sera del 7 settembre, con due DJ di fama internazionale quali Marvin e Prezioso. Sabato 8 settembre sarà la volta della ormai consueta “Notte bianca”, che vedrà l’apertura straordinaria notturna dei negozi della città animata dallo spettacolo del comico Flavio Oreglio con l’orchestra Staffora Bluzer. A conclusione della Festa, domenica 9 settembre, ci sarà la serata danzante con l’orchestra Katty Piva. Si parte dunque dai giovani, si continua con una serata pensata per divertire tutta la famiglia e si conclude con una serata danzante ideale per tutte le età». Cosa ci può dire a riguardo delle altre iniziative in programma durante i 3 giorni della festa? «La Festa dell’Uva ha come mission principale far apprezzare le eccellenze del nostro territorio ad una platea più ampia possibile e soprattutto di divertire e fare trascorrere ore liete ad un pubblico sempre più vasto. Per questo motivo, anche per questa edizione si è pensato ad una serie di eventi ideati per i più piccoli e per i loro familiari. Nel pomeriggio di domenica 9 settembre, a partire dalle ore 16, sarà possibile cavalcare i pony del centro ‘Quinto Equistrian Center’, e scoprire, tramite i giochi della tradizione proposti dalla Consulta Giova-
Christian Troni ni Broni e da Amref, come l’uva diventa vino, oltre a girare per tutta Broni a bordo del trenino panoramico. Per quanto riguarda la degustazione dei prodotti enogastronomici, a partire dalle 18,30 del sabato 8 saranno presenti, per le vie del centro, i Wine Point di alcune delle cantine più importanti e prestigiose della zona, oltre ad alcuni stand di gastronomia locale.
Festa dell’Uva, «Si parte dai giovani, si continua con una serata pensata per divertire tutta la famiglia e si conclude con una serata danzante ideale per tutte le età» Ricordo che tutte le sere e la domenica a pranzo è previsto un servizio di ristorazione a cura della Nuova Pro Loco Broni, mentre per tutta la durata della festa sarà possibile degustare i vini dell’Oltrepò pavese nello stand dell’Enoteca regionale della Lombardia di Cassino. Anche arte e cultura saranno protagoniste di queste tre giornate, con una mostra fotografica curata dal circolo Oltrepò dedicata ad Alberto Ferrari, la mostra di alcuni quadri del pittore bronese Maestro Augusto Corbellini e la presentazione del nuovo libro della scrittrice Cinzia Montagna, intitolato “La vigna vecchia e la vigna nuova”».
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«L’obiettivo è quello di riempire la piazza di giovani e non solo» Gaia Achilli, 22 anni, studentessa del corso di laurea magistrale in bioanalisi, è la Presidente dell’Associazione Consulta Giovani, fondata a Febbraio del 2018 e da quest’anno parte attiva nell’organizzazione della “Festa dell’Uva”. Da quest’anno siete parte attiva dell’organizzazione della Festa dell’Uva: ci parli di quando è nata questa scelta. «L’idea è nata durante la scorsa edizione, quando avremmo dovuto occuparci dei giochi della tradizione, rivolti ai più piccoli e ideati per spiegare in maniera simpatica e divertente la trasformazione dell’uva in vino. Purtroppo il maltempo ci ha costretti ad annullare i giochi. Quest’anno,insieme all’Associazione Amref di Broni, abbiamo deciso di riprovarci, occupandoci dell’organizzazione dei giochi durante il pomeriggio di domenica 8 settembre; incrociamo le dita e speriamo che questa volta il tempo sia più clemente». Oltre ai giochi della domenica, di cosa vi occuperete durante la festa? «La nostra collaborazione riguarderà anche l’organizzazione della serata inaugurale del 7 settembre, rivolta prevalentemente ai più giovani, durante la quale si esibiranno i due famosi DJ Marvin e Prezioso. È la prima volta che una serata della Festa dell’Uva è dedicata interamente ad un pubblico giovanile: per questo abbiamo deciso di dare il nostro contributo, realizzando le locandine e promuovendo l’evento sia sui social che tramite la distribuzione di volantini. L’obiettivo è quello di riempire la piazza di giovani e non solo, contribuendo al successo della serata che – speriamo – possa divertire tutti». Oltre alla Festa dell’Uva, quali sono state e quali saranno le iniziative della Consulta per il 2018? «Siamo partiti collaborando con il Comune nel realizzare l’evento di prevenzione al cyberbullsimo che ha coinvolto i ragazzi delle medie ed i loro genitori. In primavera abbiamo realizzato la rassegna Nuovo Cinema Broni, che ha aperto le porte al Cinema Stellare, evento pilastro della nostra Associazione. In programma abbiamo un concorso fotografico, già aperto, che si concluderà nel mese di novembre con la premiazione prevista il 2 dicembre nel ridotto del Teatro Carbonetti. Chi volesse partecipare, trova le info sulla nostra pagina face book e sul nostro sito web www.consultagiovanibroni.it. Inoltre stiamo pensando ad altre due iniziative per l’autunno per continuare a coinvolgere i ragazzi del territori, tra cui una rassegna cinematografica presso il Teatro Carbonetti e una ancora da definire. Ricordo che siamo aperti a qualsiasi proposta, perché solo con la collaborazione e
Gaia Achilli, Presidente Associazione Consulta Giovani
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la condivisione delle idee si possono realizzare iniziative di qualità. Invito pertanto tutti i giovani di Broni e non solo, che sono interessati alle nostre attività, di contattarci sui nostri social». Per concludere, visto che l’Associazione è nata a febbraio, come sono stati questi primi mesi? «Diciamo che questi primi mesi sono stati molto positivi. Siamo partiti con un primo nucleo di 10 persone, ed oggi siamo circa 40 tesserati, quindi direi che il gruppo si è allargato e soprattutto continua ad interessare i giovani del circondario. I successi maggiori sono arrivati con il Cinema Stellare, dove abbiamo riempito i giardini di Villa Nuova Italia tutte e tre le serate. Naturalmente non ci fermiamo qui: l’obiettivo è far crescere il numero di tesserati e dei ragazzi che partecipano attivamente alla realizzazione di eventi».
«è sempre stata per la Nuova Pro Loco la festa per eccellenza»
Massimo Bellinzona, titolare di un esercizio pubblico, è il Presidente della Nuova Pro Loco di Broni dal 2011. Cosa rappresenta la Festa dell’Uva per la Nuova Pro Loco?
«La Festa dell’Uva è sempre stata per la Nuova Pro Loco la festa per eccellenza, un momento in cui tutto il paese aspetta con ansia e si mobilita. Allo stesso tempo è un evento che compor-
ta un grosso impegno da parte dei volontari non solo durante la giornate di festa, ma anche nelle settimane precedenti con l’organizzazione di tutti gli aspetti logistici e quelli legati agli acquisti relativi alla cucina». Quali sono gli aspetti fondamentali per organizzare eventi di questo tipo? «Per prima cosa occorre avere un numero adeguato di volontari. Anche quest’anno confidiamo, come è successo nell’edizione dello scorso anno, si riesca ad ampliare il gruppo di volontari che possa sostituire quelli che, per vari motivi, non riescono più ad essere dei nostri. Come tutte le edizione della Festa, la Nuova Pro loco si occupa sempre della ristorazione, quindi è fondamentale anche un po’ di fantasia e creatività in cucina per proporre menù a tema nelle diverse serate, senza dimenticare i piatti tipici della nostra tradizione». Durante questo 2018 quali sono state le iniziative che la Pro Loco ha organizzato a Broni? «Oltre alla festa dell’Uva, abbiamo organizzato, nel mese di luglio, la ormai consueta “Pesciolata” all’interno del parco Comunale di Via Eseguiti. Inoltre, assieme ai commercianti di Broni, ci siamo occupati della realizzazione delle luminarie natalizie della Città e dell’organizzazione del Broni By Night, l’evento che anima le vie del centro ogni mercoledì sera, a partire dal mese di giugno fino ad arrivare all’inizio del mese di agosto».
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Lo sport protagonista nei tre giorni di festa
La squadra di basket femminile PF Broni 93
Non solo uva e vino: anche lo sport protagonista nei tre giorni di festa Sono quattro le iniziative sportive che andranno ad impreziosire l’edizione 2018 della Festa dell’Uva. Si parte venerdì 7 settembre alle ore 21.00 con la presentazione ufficiale della squadra di basket femminile PF Broni 93, che milita nelle massima serie ormai da tre anni. Si prosegue sabato pomeriggio con la pedalata ecologica alle 15,30, affascinante escursione tra i vigneti e el colline che cir-
L’ASD Broni
condano la città, a cui seguirà la presentazione della squadra di calcio ASD Broni alle 17,45. Nel pomeriggio di domenica 9 settembre saranno ancora due le iniziative sportive. A partire dalle ore 16 sarà possibile cavalcare i pony del Quinto Equestrian Centre ed assistere all’esibizione di pattinaggio artistico proposta dall’Asd Roller Dream Broni – Stradella. Lo discipline sportive torneranno protagoniste in città sabato 22 settembre con l’edizione 2018 della “Festa dello sport”.
La tradizionale pedalata ecologica
I pony del Quinto Equestrian Centre
L’Asd Roller Dream Broni – Stradella
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Broni, il “Re di pais”
Sospesa tra il Po e le colline, con riccioli di vigneti a farle da cornice, al tempo stessa fiera e un poco timorosa, quasi fosse indecisa se avventurarsi lungo i pendii della valle Scuropasso o rimanere ai piedi di quelle splendide colline, Broni rappresenta da sempre un punto di riferimento per l’Oltrepò orientale. “Re di pais” (Re dei Paesi), insignita dal 1987 dall’ Office International de la Vigne et du Vin” del titolo prestigioso titolo di “Città Internazionale della vite e del vino”, Broni è una realtà che coniuga al suo interno tutte le comodità e le opportunità della città con la tradizione e l’ospitalità del borgo di provincia. Facilmente raggiungibile da Milano e posta sulla via Emilia tra Piacenza e Torino, rappresenta la meta ideale per un turismo non solo paesaggistico e culturale ma anche enogastronomico che punti sulla qualità e sulla genuinità. All’interno di una suggestiva cornice collinare l’eccellenza dei prodotti della terra, l’esistenza di vitigni autoctoni e la presenza di strutture ricettive all’avanguardia che sanno unire tradizione ed innovazione, come la prima Enoteca Regionale del-
la Lombardia, costruiscono un unicum in tutto il territorio circostante. Se si aggiunge la vivacità culturale ed artistica rappresentata dal Teatro Carbonetti e dal nuovo centro culturale “Giorgio Soavi”, la possibilità di dedicarsi allo sport grazie ad un’attrezzata piscina coperta, a numerosi itinerari collinari ideali sia per le camminate che per le mountain bike, Broni rappresenta una tappa imperdibile per chi si trova in questo incantevole angolo di Lombardia incastonato tra Piemonte ed Emilia. UN PO’ DI STORIA... Chiamata anticamente Cameliomago o Camillomagus, risulta fondata da una tribù di Liguri appartenente alla grande famiglia dei Celti. Le prime notizie certe si hanno dai tempi delle guerre puniche: infatti si parla di Broni intorno al 201 a.C. come territorio occupato dagli avamposti di Annibale. Nel 114 a.C. il Console Marco Emilio Scauro fa costruire la via Emilia e da allora questo centro assume maggiore importanza. Sotto la dominazione romana, Broni fa parte dell’Agro Piacentino e più tardi, sotto i Goti, dell’Agro Ticinese, di cui Ticinum (Pavia) era capoluogo.
Nel corso dei secoli Broni è teatro di saccheggi e spoliazioni (ad opera di varie signorie: Beccaria, Aicardio, Sforza, Visconti Scaramuzze, De Manfredi); di distruzioni (nel 1177 ad opera della Lega Lombarda); di incendi appiccati nel 1216 da Milanesi e Piacentini in guerra contro i Pavesi ed i loro alleati, nonché nel 1372 dalle truppe mercenarie del condottiero inglese Giovanni Acuto; subisce inoltre carestie, pestilenze (1575-76 e 1630-31), inondazioni e siccità. Il 1249 è un anno di importanza fondamentale per la storia di Broni: il 16 aprile vi muore Contardo principe d’Este, pellegrino diretto a Santiago di Compostela in Spagna: in seguito ad eventi miracolosi, proclamato santo, Contardo viene eletto Patrono di Broni. Solo nella seconda metà del 1600 Broni conosce un periodo di graduale ripresa: l’economia rifiorisce, la popolazione aumenta e la cittadina diventa, dopo Voghera e Stradella, il terzo borgo dell’Oltrepo Pavese per ordine d’importanza e per numero di abitanti. Nel 1700 l’intera Lombardia passa dal governo spagnolo a quello austriaco; l’amministrazione diventa più ordinata ed efficiente; ne risente favore-
volmente anche l’agricoltura: la viticoltura delle colline bronesi diventa intensiva e razionale e tale da poter rifornire buona parte del mercato vinicolo milanese. Con il trattato di Worms, del 1743, Broni fa parte del Regno di Sardegna diventandone l’ultima postazione; successivamente passa al Ducato di Parma. Nel 1801 Broni diviene sede di Sottoprefettura, a testimonianza della sua importanza rispetto ad altri paesi dell’Oltrepo; nel 1815 la Provincia di Voghera, con tutto l’Oltrepo Pavese e Broni, torna a far parte del Regno di Sardegna; infine, nel 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia, passa definitivamente alla Provincia di Pavia. Dopo la prima guerra mondiale, Broni ritorna attiva e fiorente cittadina, all’avanguardia per i suoi mercati e le sue fiere di tradizione secolare, nodo di comunicazione tra l’Italia nord occidentale e quella centrale. BRONI E I GEMELLAGGI Riguardo ai gemellaggi, Broni ha una tradizione importante. Nel 2012, la Città di Broni è stata scelta, tra tutti i comuni lombardi, per ricevere il premio dell’Aiccre, visto che è stato il primo in Lombardia ad attivare un gemellaggio fuori dai confini
7 - 8 - 9 SETTEMBRE: FESTA DELL’UVA - BRONI nazionali. Precisamente si trattava del 3-10-1955; il gemellaggio era stato stipulato con la cittadina tedesca di Oberlahnstein. In ricordo dell’evento, oltre ad un album fotografico, il Comune conserva anche un vaso donato dalla Borgomastro della città tedesca. Nel tempo, la cittadina di Oberlahnstein è cresciuta in termini di dimensioni; forse anche per questo motivo, il legame di gemellaggio non è stato rinnovato e al momento è inattivo per indisponibilità dell’attuale amministrazione tedesca, anche se nelle previsioni future di Broni c’è quello di provare a riallacciare i rapporti. Attualmente Broni vanta un gemellaggio prestigioso con la città di Ferrara, città facente parte della lista del Patrimonio Mondiale tutelato dall’Unesco. Il gemellaggio tra Broni e Ferrara ha le sue radici storiche nella figura di San Contardo, Patrono di Broni, nato a Ferrara e sepolto nella nostra città (la reliquia è ancora oggi conservata a Broni in Basilica di San Pietro Apostolo). La firma del patto di gemellaggio tra la città di Ferrara e la città di Broni risale alla fine di ottobre del 2001. Ispirandosi ai principi di unità nazionale e di riforma in senso federale dello stato, oltrechè ai valori generali di pace, democrazia, libertà e fratellanza, le due città intendono ricercare ogni possibile opportunità di collaborazione in diversi ambiti, come ad esempio la programmazione territoriale, i servizi sociali, le iniziative culturali, commerciali, sportive e del tempo libero. Negli anni il gemellaggio è stato rafforzato con numerose iniziative (a Broni c’è un parco intitolato alla città estense). Dal 2017 Broni ha sottoscritto un patto di amicizia con il Comune di Zocca, in Provincia di Modena: il filo conduttore che lega Broni alla cittadina modenese, famosa per aver dato i natali a Vasco Rossi, riguarda la figura del Santo Contardo, compatrono di Modena, il cui culto è molto sentito anche nel modenese e a Zocca, dove gli è stato dedicato l’oratorio cittadino.
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Teatro Carbonetti
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CURIOSITA’ Broni è la città natale del Prof. Paolo Baffi, ex governatore della banca d’Italia, a cui è dedicata la scuola primaria della città; altro personaggio illustre di Broni è il noto economista Alberto Alesina, Professore all’Università di Harvard, insignito della benemerenza civica nel 2009 e candidato al Premi Nobel; in questa città sono nati, tra gli altri, anche lo scrittore e creatore di Dylan Dog Tiziano Sclavi; Giorgio Soavi, scrittore, poeta e giornalista a cui è dedicato il polo culturale della città e padre del regista Michele; Mario Salvaneschi, in arte ‘lasaratt’, artista teatrale dialettale; Umberto Petrin, famoso pianista jazz insignito della cittadinanza onoraria nel 2016; il poeta dialettale Gino Cremaschi, il calciatore del Napoli Simone Verdi, la scrittrice Cinzia Montagna ed Isabel De Paoli, soprano di fama internazionale.
Basilica di San Pietro Apostolo Le Fonti di Recoaro
Enoteca Regionale della Lombardia di Cassino Po
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San Contardo, definito da molti Patrono dell’Oltrepò Pavese
Monte San Contardo, il colle di Broni dedicato al Santo
La storia religiosa di Broni è legata a San Contardo, un nobile del XIII secolo dell’illustre casato degli Estensi di Ferrara che si fece povero e pellegrino morendo a Broni ed entrando nella venerazione dei bronesi, che lo elessero loro patrono. «... Era egli della illustre famiglia degli Estensi e, per nascita e posizione sociale, destinato a sedere fra i principi dell’età sua. Ma l’amore della povertà e dell’umiltà, tanto inculcate dal divino Maestro, lo indussero a fuggire le umane grandezze e, quasi fosse persona di basso volgo, di poverissimi panni vestito, ad intraprendere (unitamente a due suoi compagni) a piedi ed limosinando un pellegrinaggio di devozione a San Giacomo di Campostella. Pervenuto a Broni che allora era soggetto alla Diocesi di Piacenza, ristette alquanto per riposare ed ascese il colle vicino ove, attratto dalla amenità del luogo chiese al Signore che, se mai egli avesse dovuto soccombere lungo il cammino quivi, e non altrove, lo cogliesse la morte. Pare che Dio esaudisse subito la sua preghiera poiché fu sorpreso da dolori che gli impedirono di proseguire il viaggio, onde dai suoi stessi compagni fu trasportato ad un albergo di Broni, mentre essi per di lui consiglio e viva preghiera proseguirono il cammino. Ma peggiorando vieppiù il male, l’albergatore che non voleva distorsi gli avventori e i forestieri dall’albergo per causa di questo sconosciuto lo fece trasportare nel tugurio di un vicino, ove fu posto a giacere sopra uno strato di paglia e quivi, dopo acerbissimi strazi sopportati con mirabile rassegnazione, morì il 16 aprile dell’anno 1249. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di San Pietro prima in basso luogo poi, già fatto chiaro per mi-
racoli, in luogo più elevato presso l’altare fatto segno di venerazione per i fedeli che vengono in folla ad onorarlo nell’ultimo sabato di Agosto...». Così scrisse il dott. Luigi Maini di Modena, che ricavò le date da una cronaca in pergamena di San Contardo, esemplare che andò distrutto o smarrito nel sacco di Broni del 1369 o nell’incendio nel 1372. Fu subito fatto riscrivere dall’arciprete di Broni sacerdote De Crosinis ed ancora oggi custodito nella Chiesa Parrocchiale. Sul giorno della morte di Contardo ci sono alcuni disaccordi nella storia. Nella ufficiatura ecclesiastica il giorno della morte del Santo è il 16 Aprile ma, essendo detto che Contardo morì in un sabato, appare che nel 1249 il 16 Aprile cadeva di venerdì e non di sabato. Per conseguenza alcuni affermano che il 16 Aprile sia il giorno della Traslazione di Contardo ma che veramente la morte del Santo sia stata il 28 Agosto che in quell’anno 1249 cadeva appunto in sabato. E infatti ancora oggi, anche in questo giorno (o meglio alla domenica che succede immediatamente) si celebra in Broni una seconda festa in onore di San Contardo. Nel giorno di San Contardo (16 aprile - 28 Agosto) era consuetudine distribuire a domicilio il così detto Pane Benedetto di San Contardo. Oggi il pane si distribuisce in Chiesa e nel Santuario in cima al Monte dedicato al santo. A Broni dove il Santo visse gli ultimi giorni una gran folla di devoti, provenienti dai dintorni ed anche da paesi lontani, veniva per intercedere grazie o per sciogliere voti. Si pensava che il Santo potesse liberare dal mal di capo e dal mal caduco od epilessia. è consuetudine ancora oggi avvol-
gere delle fettucce di lino benedette attorno al capo quando si soffrano dolori. Oggi il corpo del santo si trova nella Chiesa Parrocchiale che, per la sua importanza, ha titolo di Basilica, dedicata a San Pietro Apostolo. San Contardo nacque a Ferrara nel 1216, primogenito dei principi d’Este, signori della Città. Già nei primi anni della sua giovinezza Contardo sentì la voce di Dio che con forza lo chiamava ad abbandonare le ricchezze terrene e il diritto di successione, per vivere in povertà, pellegrino del Vangelo
sulle strade d’Europa, senza un luogo in cui trovare riparo, sull’esempio del Maestro Divino. Il giovane principe, lasciata Ferrara con alcuni compagni, si mise in viaggio verso il Santuario di San Giacomo di Compostela, edificando con la sua fede e semplicità chiunque incontrava. Giunto a Broni (Provincia di Pavia, Diocesi di Tortona), cadde ammalato ed espresse il desiderio di essere ivi sepolto qualora lo cogliesse la morte. E così avvenne il 16 Aprile 1249. Alcuni prodigi impedirono che tutto ciò avvenisse nell’anonimato e rivelarono la santità dello sconosciuto pellegrino (le campane si misero a suonare da sole e splendenti fiammelle si accesero accanto al corpo), suscitando la venerazione dei bronesi che tumularono il santo corpo con tutti gli onori, nella chiesa parrocchiale, già Collegiata, poi eretta in Basilica Minore. San Contardo fu venerato con culto approvato da Papa Paolo V e arricchito di indulgenze da Papa Urbano VIII. La memoria liturgica della salita al cielo è celebrata il 16 Aprile, mentre la memoria della traslazione del corpo all’interno della Basilica Minore di San Pietro Apostolo in Broni è celebrata, con grande concorso di popolo e processione, l’ultimo sabato di Agosto. Al Santo, definito da molti Patrono dell’Oltrepò Pavese, è stato dedicato un colle nel Comune di Broni, il Monte San Contardo, sulla cui cima è situata una antica cappella. La strada che percorre il colle è impreziosita da un’artistica Via Crucis di 15 stazioni composta dallo scultore Angelo Grilli. (Fonte: www.santiebeati.it).
STRADELLA
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«Migliorare la rete idrica per abbattere i costi» La Broni Stradella Spa è una società costituitasi nel 1994 per la gestione delle reti di collettamento e fognatura, impianti di depurazione, automezzi e altri beni patrimoniali del comprensorio territoriale. Dopo un’evoluzione societaria che ne ha visto la privatizzazione, dal 2016 è tornata ad essere totalmente pubblica e opera su vari fronti: dalla gestione della rete idrica alla raccolta dei rifiuti compreso il servizio di spazzamento, alla distribuzione del gas limitatamente alla città di Stradella, fino alla gestione delle piscine comunali e alla gestione della case di riposo di Ruino e Stradella. Da gennaio la svolta, con l’assorbimento di tre società: la vecchia Broni Stadella Spa, la Broni Stradella pubblica e Acoap Spa che era una partecipata di Pavia Acque. Da fine giugno ai vertici della nuova struttura siede il presidente Siro Lucchini, 53 anni, assicuratore ed ex sindaco di Arena Po. Forte di una pluriennale esperienza nel mondo delle municipalizzate, si è guadagnato l’elezione all’unanimità. Nel 2017 il patrimonio delle tre società ora fuse era di circa 14 milioni di euro, il fatturato è stato di circa 23 milioni con un utile per il gruppo di 161mila euro. Ora, sul piatto nuovi investimenti per potenziare la rete idrica e una filosofia aziendale che mira a includere nella partecipazione societaria un vasto numero di enti locali. Lucchini, da gennaio avete incorporato tre società che gestiscono diversi servizi per molti Comuni oltrepadani. Un impegno a tutto campo, quanti dipendenti avete? «In totale la Società occupa 131 dipendenti di cui 14 amministrativi, 49 impegnati nel servizio idrico integrato, 6 nell’area ecologica di Broni ed 8 in quella di Stradella, 4 i dipendenti nell’attività di spazzamento e 50 quelli impiegati nella raccolta rifiuti». Esattamente come funzione questa sor-
in questo comparto? «Premesso che il budget per gli investimenti è stabilito da Pavia Acque, possiamo dire che sono in cantiere una serie di progetti che porteranno ad un notevole salto di qualità nel servizio offerto, che ricordo interessa 55 Comuni oltrepadani e del basso pavese (per ultimo quello di Belgioioso). Con una gestione che è completa ed interessa sia il segmento depurazione che quello relativo alle fognature e all’acquedotto». Ci saranno ricadute sulle bollette per i cittadini? «Questo non sta a noi deciderlo, noi non incassiamo bollette. Posso dire che il nostro compito è quello di ammodernare Siro Lucchini, neo eletto Presidente gli impianti, portando della Broni Stradella Spa migliorie e per così dire ta di struttura sovracomunale? “aggiornandoli” alle ultime normative vi«La nostra principale peculiarità è legata genti. Il tutto finalizzato all’ottimizzazioalla partecipazione societaria degli enti ne del servizio che, se è più efficiente dal locali, ma nessun Comune può possedere punto di vista tecnico, può come è logico quote superiori al 20%, ciò comporta una permettere di valutare anche eventuali tapartecipazione reale secondo le regole gli dei costi. A noi in realtà non interessa dell’house providing. In sostanza gestiafare utili oltre il dovuto, il nostro obbietmo direttamente dei servizi per conto di tivo è di migliorare il servizio cercando di un gestore, come nel caso della rete idrica offrirlo a prezzi sempre meno gravosi per di Pavia Acque, per assicurarne il miglior il cittadino». funzionamento con un spirito da consorParliamo di raccolta rifiuti. In quanti zio, senza un socio di maggioranza». comuni la attuate e con quali metodi? Quanti sono i comuni che partecipano «Operiamo in 56 Comuni: sul territorio al momento? collinare si utilizza il sistema classico di «Oltre cinquanta». raccolta differenziata con cassonetti straLa rete idrica è il vostro business pridali; nei comuni del basso pavese si opera mario. Avete previsto degli investimenti con il porta a porta tipo di raccolta che a
«Nella società nessun socio di maggioranza. Forniamo acqua e servizi a oltre 50 Comuni in Oltrepò» marzo è partito anche per il comune di Stradella e per tutte le sue frazioni, attivando la raccolta notturna e mantenendo in essere solo le campane per il vetro. Per quanto concerne lo spazzamento delle strade, invece, interessa solo i Comuni di Broni e Stradella». La società si occupa anche di bonifica ambientale. Com’è la situazione all’ex Fibronit di Broni? «è in corso la bonifica del 2° lotto del sito bronese e stiamo per avviare il 3° lotto di lavori, così come ci stiamo occupando della bonifica dell’area ex Zeta Petroli che interessa l’Unione Comuni di Albaredo, Campospinoso». Avete rilevato anche la gestione delle piscine. La farete voi direttamente? «Mentre nel 2017 la gestione era stata data ad AcquaPlanet, di fatto controllata da noi al 95%, ad oggi è in corso una procedura di affidamento che interesserà sia la piscina coperta di Broni che quella estiva di Stradella». di Giacomo Lorenzo Botteri
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«La città è nel degrado e l’amministrazione aspetta le alienazioni» La minoranza stradellina torna a parlare a pochi mesi dal voto. A prendere la parola questa volta è Dino Di Michele, rappresentante del gruppo “Prima Stradella”. Di Michele, torniamo a parlare della città vista da lei… «Stradella ha situazioni di degrado diffuse, da molto tempo all’attenzione dell’opposizione ma apparentemente e nei fatti non all’attenzione dell’amministrazione. La maggioranza lega ogni progetto alle alienazioni, che ovviamente ora sono più che ferme per la situazione economica ed immobiliare contingente, così ogni lavoro viene rinviato e questo coinvolge le aree gioco dei bambini, fortemente degradate e pericolose, come i monumenti sporchi e colpiti da idioti con scritte. Io da anni ho portato all’attenzione di Torre Civica il problema decoro urbano, ma probabilmente la maggioranza non ha questa sensibilità sul bello e sull’ordinato». Lei si è esposto con molte interpellanze che riguardavano il degrado dei giardini… «Sì ne ho presentate diverse, l’ultima qualche mese fa. L’Assessore ai lavori pubblici Mazzocchi mi ha risposto che sono a conoscenza della situazione dell’area giochi e dell’area circostante, ma che la loro idea era quella di legare la questione alla vendita dei bar dei giardini (che sappiamo non essere andata a buon fine). La riqualificazione generale dell’area giochi e dell’area verde era legata alle alienazioni: la mia richiesta in sintesi era quando venivano sistemati perché davvero brutti e pericolosi e perché davvero tante famiglie mi hanno scritto chiedendomi di farmi portavoce di questa istanza. La risposta dell’amministrazione è stata che non ci sono i soldi, quando ci saranno si potrà fare». Uno dei problemi più discussi è la manutenzione dei marciapiedi e strade… «Da sempre promessi e mai eseguiti se non a pochi mesi dalle elezioni 2014 e così sarà nel 2019. Questo è un fatto quasi offensivo nei confronti dei cittadini che attendono soluzioni a problemi importanti e a volte a problemi banali che necessitano solo di assunzione di responsabilità e determinazione nell’agire, a costo zero per le casse comunali». Manca poco ormai alle prossime elezioni. Il suo gruppo come si sta muovendo? «Stradella nel maggio prossimo ci vedrà al voto: posso dire che il mio gruppo consiliare è l’espressione di una compatta lista di centro destra unita ad una positiva componente civica e ad oggi sta camminando positivamente per dare un punto di riferimento certo ai nostri concittadini. Io mi sono fatto promotore di incontri con tutte le forze politiche presenti sul territorio e con associazioni di categoria. Anche altri componenti del nostro gruppo hanno
Riqualifica area giochi, «Tante famiglie mi hanno scritto chiedendomi di farmi portavoce di questa istanza» Dino Di Michele, consigliere di minoranza
attuato la stessa formula con diversi soggetti rappresentativi del tessuto socio economico e del territorio. Stradella ha chiesto un cambiamento con le ultime elezioni comunali, dove la lista di Torre Civica ha avuto una emorragia di consensi ridistribuitisi nelle altre liste in corsa, e in più ha avuto in questo quinquennio un governo nei fatti e nell’apparenza stanco, annoiato e trascinato dagli eventi. Io vedo per Stradella un cambiamento. In questo cambiamento c’è la lista che stiamo creando». Cosa prevede il vostro programma? «Il programma è basato sull’evidenza dei fatti, non si possono in questi tempi fare programmi faraonici o illusivi, ma si deve concretamente rispondere al quotidiano bisogno dei cittadini, siano anziani, adulti o bambini... perché la città deve avere un respiro profondo che coinvolga in semplicità tutte le fasce e non deve lasciare nessuno indietro. Io voglio creare le condizioni al fine che questo obbiettivo venga raggiunto e si possa mantenere l’ordinario con un tono più decoroso, pulito e ordinato. Le regole del vivere civile e della sicurezza dovranno essere nel progetto che ho in mente, più determinati e incisivi di quanto non lo siano stati fino ad oggi. La nostra cittadina è un gioiello che va spolverato e risvegliato da un vecchio torpore, per farlo divenire nuovamente attrattivo al turismo e come punto cruciale dell’Oltrepo orientale, sia per cultura che per servizi e vivacità commerciale». di Elisa Ajelli
SAN DAMIANO AL COLLE
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«La denominazione in questo momento è una zavorra» Un ragazzo gentile, misurato, sorridente, con alle spalle un curriculum di tutto rispetto: laurea in Viticoltura ed Enologia presso la Facoltà di Agraria di Milano, laurea Magistrale in Scienze Viticole ed Enologiche presso l’Inter ateneo di Torino, Milano e Palermo, con una tesi dal titolo “Modelli di preferenza e scelta del consumatore per i vini dell’Oltrepò pavese”. Molteplici esperienze formative nella zona del Chianti Rufina, nonché alcuni stage presso alcune grandi aziende in Piemonte e in Oltrepò Pavese. Alessio Brandolini porta avanti le redini dell’azienda vitivinicola di famiglia: 10 ettari di vigneti situati nei Comuni di San Damiano al Colle per la maggior parte, mentre in minor quantità nei comuni di Rovescala e Montù Beccaria. Le varietà coltivate sono: Barbera, Croatina, Uva Rara, Pinot Nero da vinificazione in rosso, Malvasia, Riesling, Chardonnay e Pinot Nero da vinificazione in bianco. Tra i suoi avi vanta uno dei fondatori della Cantina La Versa. Parola d’ordine è qualità, in tutte le fasi della lavorazione «Metodo classico e raccolta in cassetta come l’amico Marco Bertelegni insegna...». Alessio Brandolini, storia di un giovane vitivinicoltore che cambia e fa evolvere l’azienda di famiglia. Ci racconti il suo percorso... «Io sono ormai la quinta generazione della mia famiglia che si occupa di viticultura. La mia è una famiglia di viticoltori da sempre, sia quella di mio padre che quella di mia madre. Esiste in azienda un contratto agrario che risale addirittura al 1870. Per me è stata una scelta del tutto naturale e così dopo aver terminato gli studi in enologia ed “essermi fatto le ossa” in giro per l’Italia, dal 2009 sono diventato operativo in azienda e ho deciso di fermarmi definitivamente in Oltrepò. Ho cercato di portare e anche un po’ di ”imporre” in azienda quelle esperienze e quelle situazioni che avevo visto altrove, con la consapevolezza che in Oltrepò grazie al microclima, alcuni vitigni come il pinot nero, ”vengono” particolarmente bene. Posso dire che ad oggi nella mia azienda non vengono utilizzati concimi di sintesi, coltiviamo un alto numero di ceppi per ettaro in modo da aumentare la competizione tra i ceppi e ridurre la quantità di uva per pianta; eliminiamo una parte del raccolto in modo da diminuire la produzione per ceppo e favoriamo l’inerbimento permanente che serve ad aumentare la competizione tra il manto erboso e i ceppi di vite in modo da ridurre la produzione e prevenire il pericolo di erosione del terreno. In cantina tutte le operazioni sono volte ad esaltare la qualità del vino con diverse tecniche, quali la criomacerazione
Alessio Brandolini
che è un abbassamento della temperatura fino 8° – 5° in modo da aumentare l’estrazione di sostanze aromatiche; la fermentazione a bassa temperatura: 12° – 14° nei bianchi, 16° – 20° nei rossi, in modo da preservare le sostanze aromatiche; lunghe macerazioni: contatto tra bucce e mosto, dai 20 giorni dei vini frizzanti ai 40 giorni delle riserve; infine l’affinamento in botte e in bottiglia». I suoi genitori come l’hanno presa? Le danno ragione o “si stava meglio quando si stava peggio”? «Inizialmente la mia famiglia non era particolarmente entusiasta della mia scelta, quello del viticoltore è un lavoro duro e faticoso, avrebbero preferito vedermi impiegato o meglio direttore di banca come tanti della mia famiglia, ma alla fine si sono rassegnati. Gli scontri più duri li ho avuti con mio padre, anche se da agricoltore della sua epoca era già avanti, ad esempio lui a differenza degli altri viticoltori non fresava. I battibecchi però c’erano, soprattutto sul modo di potare, io poto corto e lui preferiva il contrario, io opto per una vinificazione un po’ estrema e lui era più tradizionalista… Alla fine però vedendo che i risultati arrivavano e buoni, erano i miei genitori che oltre a spronarmi mi chiedevano qualche consiglio o “dritta”» La sua è la storia di una generazione
che vuole creare valore. In Oltrepò da dove si parte? «Crederci innanzitutto e amare l’Oltrepò. Capisco che vuol dire tutto e niente ma credere di potersi migliorare facendo inizialmente qualche prova è fondamentale. Non è facile soprattutto all’inizio quando ti devi scontrare con la realtà e con tutto il bagaglio purtroppo molto spesso negativo, che si porta dietro l’Oltrepò del vino, tante porte in faccia, tante chiusure dovute proprio al fatto che l’Oltrepò non è sinonimo di qualità. Per fortuna questa tendenza sta cambiando. L’Oltrepò sta iniziando a dare di sè una buona immagine e questo grazie al buon lavoro che stanno portando avanti diverse aziende di giovani». Ha questa percezione? «Sì assolutamente, non c’è più quella chiusura totale: i prodotti si stanno facendo conoscere e nel mio caso ho una gran fetta di mercato che si concentra nell’Italia centrale e le mia bottiglie servono ristoranti, vinerie ed enoteche di Roma e dintorni. Fino a qualche tempo fa era impensabile, a parte le poche aziende forti del territorio, per noi, piccoli produttori oltrepadani, poter entrare in un ristorante di un certo tipo». Lei punta sul vino e sul racconto del territorio. Si può comunicare l’uno senza l’altro? «Assolutamente no, come diceva Walter Massa, grande vignaiolo dell’azienda Timorasso, le persone migrano ma i territori rimangono, i vitigni possono migrare ma il territorio no». Allora perché diversi produttori non usano la denominazione puntando solo sul marchio aziendale? «Lo faccio anche io a volte sui metodi classici, questo perché il brand Oltrepò al momento non è un valore aggiunto, trovare nei supermercati allo scaffale vini a marchio Oltrepò non all’altezza, fa pensare ad un Oltrepò al ribasso. La denominazione è un po’ in questo momento una zavorra». Perché nelle altre zone d’Italia, ferme restando forbici di prezzo, il territorio e la sua rivendicazione in etichetta vengono prima dei distinguo? «Sono stati più bravi, hanno costruito un brand territoriale forte e riconoscibile, Piemonte e Trentino insegnano. Il risultato è che loro riescono a vendere anche all’estero, noi no. La storia dell’Oltrepò è quella di un territorio che vendeva l’uva al Piemonte o alla Franciacorta». Come mai in Oltrepò i prezzi di uve e terreni non crescono? «Perchè vince la quantità sulla qualità». Piccoli produttori di filiera da un lato, cantine cooperative e grandi clienti imbottigliatori dall’altro: ci può essere convivenza oppure un modello è antite-
si dell’altro? «Sì ma vanno messi dei paletti e su questo tema la FIVI., un’ aggregazione molto importante di vignaioli indipendenti di cui io faccio parte e dalla quale mi sento totalmente rappresentato, sta portando avanti un’importante battaglia: il concetto di una testa un voto, in modo che anche i vignaioli possano avere più voce e rappresentatività in Consorzio. Per quanto riguarda gli imbottigliatori esistono ovunque e fanno il loro lavoro, da noi forse in Oltrepò sono più estranei al territorio, meno inglobati». Secondo lei in Oltrepò esiste il necessario dialogo tra colleghi o si è ancora al “fratelli coltelli”? «Tra noi giovani e piccoli aziende abbiamo raggiunto un buon feelling, c’è sinergia. Ad esempio io faccio parte di un gruppo di giovani produttori chiamato “Oltrepò in Fermento”, collaboriamo e ci aiutiamo l’un l’altro. Siamo giovani, abbiamo tutti fatto lo stesso percorso di studi e non abbiamo quella rivalità che molto probabilmente avevano i nostri padri ed i nostri nonni». Lei è uscito dal Consorzio già alla prima tornata… «Esatto già allora non mi sentivo rappresentato come ora del resto. C’è stato un momento in cui ho un po’ ripensato alla mia posizione, c’era Marco Bertelegni, Matteo Bertè e anche il presidente Rossetti che sembravano voler davvero realizzare qualcosa di positivo e concreto tant’è che realizzarono il nuovo disciplinare del metodo classico con l’obbligo di raccolta in cassetta, 45% di resa in pressa, 24 mesi minimo sui lieviti. Una gran cosa, ma passata tutta la parte tecnica purtroppo ci si è arenati sul nome, era stato proposto Classese, che io tra l’altro condivido, ma è stato bocciato. Speriamo si riesca a riprenderlo». Bacchetta magica e un solo incantesimo. Cosa chiederebbe per il mondo vitivinicolo oltrepadano? «Spero passi la legge sulla più rappresentatività di noi piccoli produttori nel Consorzio perché comunque il Consorzio è l’unico vero ente che possa rappresentare il mondo del vino. Poi spero in più amore per questa nostra terra e che questo più volerle bene possa portare a più qualità e a meno quantità». Una curiosità, le sue etichette ricordano quadri futuristici... «Volevo qualcosa di particolare ed ho conosciuto un pittore della lomellina, Beppe Pasciutti che nasce come disegnatore orafo. Lui ha creato questi disegni geometrici che nelle forme e nei colori rappresentano le immagini dei vitigni e dei grappoli d’uva». di Silvia Colombini
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ROVESCALA
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«Se fossimo negli Stati Uniti questo sarebbe un luogo di eccellenza» Rovescala, pur trovandosi in territorio di prima collina, è situato a cinquanta minuti di automobile da Voghera, città riconosciuta come capoluogo dell’Oltrepò. Già questo dettaglio sarebbe sufficiente ad aprire un tema, quello della cronica carenza infrastrutturale, che più volte abbiamo avuto modo di affrontare su queste pagine. Luogo di singolari commistioni: è Piacentino, per i vogheresi; è addirittura Piemonte, per i piacentini. A suo modo una terra di confine; anche se appare arduo, oggi, tracciare una demarcazione etnografica ben precisa. Ci aiuta in questo tentativo Ben Pastor, affermata scrittrice naturalizzata statunitense (il suo nome, all’anagrafe, è Maria Verbena Volpi). Laureata in Lettere con indirizzo archeologico, a lungo ha insegnato presso prestigiose università americane. I suoi romanzi sono pubblicati in tutto il mondo; ma da alcuni anni ha scelto di eleggere Rovescala a propria dimora. Perché intervistarla su questo tema, e non a proposito delle sue tante e strepitose pubblicazioni? Perché chi arriva in Oltrepò da straniero, e si integra alla perfezione nelle comunità esistenti, può offrire un punto di vista certo ben diverso rispetto a chi vi è nato e vissuto incessantemente. Il dibattito sul rilancio del territorio non può prescindere da queste voci. Perché scegliere di vivere in Oltrepò, e in particolare a Rovescala? «Le decisioni che portano a scegliere il luogo dove vivere possono essere molto diverse, personali, professionali, legate alla salute anche, a volte. Nel nostro caso volevamo trovarci al di fuori di un contesto in cui né io né mio marito Gigi ci riconoscevamo. Dopo aver passato tutta una vita negli Stati Uniti (evitando sempre le città più grandi), fino a una decina di anni fa vivevamo a Monza, che per quanto sia provincia indipendente è parte integrante di Milano. Dove si va quando si è transfughi di Milano? Abbiamo iniziato a cercare prima più vicino, poi sempre un più lontano, fino a quando abbiamo scoperto l’Oltrepò». Cosa cercavate? «Cercavamo un luogo fuori dalla città ma non troppo lontano, che potesse offrire dei servizi basilari non troppo lontani. La possibilità di avere un giardino, una bella vista e soprattutto un contesto congeniale, cosa che la città non necessariamente è in grado di offrire». Conoscevate già, in precedenza, questo territorio? «Io conoscevo l’Oltrepò, ma ne avevo un’idea sbagliata. Quando ho scoperto che c’erano fior di colline, mi sono detta: caspita, qui c’è quello che cerchiamo. Vicino a importanti vie di comunicazione, alle ferrovie, che ti possono portare ovunque. Così abbiamo focalizzato la ricerca da
Ben Pastor, affermata scrittrice naturalizzata statunitense
queste parti». Pensa sia un territorio attrattivo, il nostro? Quali potrebbero esserne i punti di forza? «Del tutto sì. Dico spesso che se fossimo negli Stati Uniti questo sarebbe il luogo di eccellenza per chi vuole lavorare in città, cosa che mio marito ha continuato a fare per anni, come molti. Poi, qui c’è un mix di caratteristiche abbastanza interessante, se non addirittura inedito. Per esempio, c’è l’aspetto storico: l’Oltrepò è una delle regioni più incastellate d’Italia, più della Toscana. Cosa che per molti è un valore aggiunto. C’è una tessitura storica di notevole spessore, molto spesso sconosciuta anche ai locali». La stessa casa che avete scelto è un luogo storico. «La Campana di Ferro, la nostra casa, è del ‘500. Pur non essendo un castello, quindi, ha una certa età. Era dei Malvicini Fontana originariamente, una delle case di campagna costruite da Erasmo III il Pio. Sembra sia stata anche una dogana». La dogana del ‘’Vecchio Piemonte’’, regione storica di epoca savoiarda. «Ci chiamano ancora “piemontesi”, i vicobaronesi…». Punti di debolezza, invece, riguardo l’attrattività del territorio? «Ce ne sono ovunque, premetto. Forse, devo dire, una copertura veramente a macchia di leopardo per quanto riguarda l’alta velocità della rete digitale, ma anche le
comunicazioni telefoniche. Ci sono intere aree che non sono ben coperte o che non sono coperte affatto. Un problema anche per chi viaggia, per chi visita questi territori. Anche la copertura televisiva, del resto, non è delle migliori. Trasferendoci qui abbiamo perso d’emblée almeno trenta canali televisivi, perché la trasmissione del segnale dal Penice non è delle migliori». Però in Oltrepò, come in buona parte del resto d’Italia, è in arrivo la banda ultralarga (a Rovescala, entro il 2020, la velocità della rete sarà portata a 100 mbps nel 97% delle abitazioni). «Né mio marito né io siamo particolarmente attaccati alle televisioni, ma siamo molto interessati alla velocità della rete per poter scaricare documenti o filmati storici. Per noi è anche una questione di carriera. Mia figlia vive nel Vermont: uno stato lontano dai grandi centri, al confine col Canada, a otto ore da New York, dove però la rete è velocissima e tutto quello che si deve fare in rete è istantaneo. Sarebbe auspicabile, se non la stessa cosa, almeno un miglioramento». Non dimentichiamo, poi, le condizioni della viabilità, comuni a molte provincie. «Questo sicuramente! Chiunque debba andare da qui alla Campana di Ferro, come me, ne sa qualcosa. Il dilemma credo sia soprattutto legato al frazionamento delle responsabilità. Il Comune non è responsabile. La Provincia dice di non avere soldi.
Il risultato è che nessuno ripara le strade e dopo un po’ le condizioni diventano difficoltose. C’è una buona cura, devo dire, delle acque. Almeno dalle nostre parti. Lungo le strade, lungo i vigneti, trovo ci sia ordine». Da parte dei privati, soprattutto. Mi riferisco a quegli agricoltori che, tenendo in ordine il terreno agricolo, hanno tutto l’interesse di mantenere anche una certa efficienza nella regimentazione delle acque. «Questo fa una grande differenza, perché si sa quali dissesti possano seguire l’incuria». Un senso di responsabilità che consegue il legame che la gente d’Oltrepò ha con le proprie tradizioni e con il proprio territorio. «In Italia siamo ridotti generalmente o a una grande agricoltura intensiva di carattere industriale, o dall’altra parte a una specie di giardinaggio aristocratico, persone che interpretano il ruolo di “campagnolo di elezione”. Qui, invece, ancora ci si guadagna da vivere lavorando in campagna. È interessante essere fra persone che realmente hanno l’agricoltura a cuore; cosa che accade molto spesso negli Stati Uniti, per esempio». Nel suo lavoro di scrittrice le è mai capitato di avere da questi luoghi, o da questa gente, un qualche spunto di ispirazione? «Non sono mai stata legata al territorio
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ROVESCALA nel mio lavoro. Ho vissuto e lavorato per 34 anni in maniera stabile (e ancora oggi alternata) negli Stati Uniti, e ho sempre dovuto mettere una distanza fisica e anche psicologica fra quello che vivo e che scrivo. Devo scrivere di altrove. Non è che non apprezzi questo genere di vita o di gente, in realtà molto spesso nei miei romanzi si parla di piccoli centri, ma in contesti diversi, mitteleuropei, generalmente bellici. Vero è che lo scrittore studia chiunque incontri. C’è sempre una peculiarità nella persona che ti trovi davanti, che poi ti torna in mente». Lei è abituata a descrivere molto minuziosamente i personaggi dei suoi romanzi. Ha avuto modo di notare qualche aspetto caratterizzante e tipico della gente d’Oltrepò? «Senza alcun giudizio antropologico ma come semplice osservazione, credo in parte che il carattere sia legato all’idrografia e all’orografia, ai fiumi e ai monti. Chi abita in pianura, e specialmente lungo il Po, è essenzialmente una persona legata ai mercati. I mercati delle vacche di una volta, luoghi di scambio culturale oltre che economico. Oggi con la rete autostradale questi luoghi sono aperti a un ventaglio che va dal confine francese a quello sloveno, per non parlare di Svizzera e Austria. Il riferimento caratteriale fa pensare a persone generalmente aperte, gioviali, interessate.» E la gente di collina? «Ma man mano che si sale, verso la collina e in particolare quella più impervia, si incontra un mix: c’è sempre apertura e spigliatezza, ma inizia anche un certo riserbo. Legato al fatto che le comunità sono spesso molto piccole. Una comunità piccola, ovunque nel mondo, funziona così. Le cose diventano interessanti man mano che si va verso l’interno, dove si incontrano posti amabili, ma sicuramente più legati a un punto di vista conservatore. Si sente molto, venendo da fuori, non lo sgarbo che qui non c’è mai - ma la sensazione di essere forestieri, stranieri, visitatori». In che misura lei, cittadina del mondo, si sente parte di tutto questo? «Ho vissuto in troppi luoghi per essere di un luogo, ma amo tutti i luoghi in cui ho vissuto. E in questo mi trovo evidentemente molto bene. È un fattore di età, probabilmente, ma anche di benessere. E di rapporti con le persone. Come dice mio marito, abbiamo fatto più amicizie qui in un anno di quante ne avessimo fatte nel milanese in quattro anni. Erano tutti molto più superficiali: buongiorno, buonasera, come sta, incontrandosi sulle scale. Qui non è così». Le capita di ospitare qui amici provenienti dall’estero? «Certo, assolutamente». Quali le impressioni? «Da parte degli americani le opinioni sono sicuramente non solo positive ma meravigliate, anche se si tratta di persone colte e viaggiatrici. Il Gran Tour americano è ancora orientato verso Firenze, Venezia e Roma. Qualsiasi luogo che non sia il Lago di Clooney o le Cinque Terre, che ormai sono diventate emblematiche, è per loro totalmente ignoto. Questo mette in discus-
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sione quanto l’Oltrepò sappia pubblicizzarsi al di là i confini regionali e italiani». Forse ben poco anche entro i confini regionali… «Diciamo che può essere anche un segreto da tenersi stretto, per potercelo godere così com’è! Però capisco che sia un forte limite per lo sviluppo». È un punto di vista legittimo anche il voler mantenere un certo rapporto primordiale con il territorio. Se non per egoismo, per banale gelosia. «I comportamenti sono stranamente difformi. Da una parte ci sono quelli che vogliono tutti i servizi della città senza la città. La critica che spesso muovono i milanesi è l’assenza di servizi. Dall’altra parte ci sono quelli che essendo venuti qui e avendo trovato una consonanza con il luogo, ne diventano in qualche modo gelosi, tanto quanto i nativi. Sono due interessanti risposte. Credo ci siano quelli che pur avendo lasciato città ne provano nostalgia, e quelli che essendo venuti qua ed amandola non vogliono diventi come la città. Fatto però salvo che per tutti, credo, è una vera fonte di preoccupazione la chiusura di banche, ospedali e uffici postali. Se non hai l’automobile in Oltrepò non puoi gestirti bene. Questo è un altro shortcoming». Questa è ancora una terra di confine? «Secondo me sì, totalmente. Le persone di qui non sono piacentine, e non sono pavesi: sono loro stesse. C’è una specie di identità collinare, ecco, pure con tutte le differenze e magari le inimicizie che possono esistere fra paesi vicini. È una realtà abbastanza singolare, dovuta credo al fatto di aver avuto qui, in passato, un confine di stato». Per molti decenni l’Oltrepò Pavese è stato visto come luogo di riposo per il fine settimana per quelle famiglie provenienti dalle grandi città che hanno acquistato qui la propria seconda casa. Un
«Chi abita in pianura e specialmente lungo il Po, è essenzialmente una persona legata ai mercati»
«Abbiamo fatto più amicizie qui in un anno di quante ne avessimo fatte nel milanese in quattro anni»
trend oggi arrestatosi. «Io lo chiamo ‘‘colonialismo immobiliare’’, e l’ho visto anche altrove, come in Abruzzo dove ho parzialmente le mie radici. Nei primi tempi che vivevamo a Rovescala ci chiedevano se fossimo qui solo per l’estate… Abbiamo, in realtà, dovuto anche rendere la casa vivibile per tutto l’anno. I milanesi che la possedevano prima avevano una piccola cucina che serviva solo per l’estate, non avevano messo i doppi vetri… abbiamo dovuto fare un winterizing della casa». Quando parla di colonialismo immobiliare pensa anche a un territorio che in qualche modo viene ‘‘depredato’’ di qualche ricchezza? «Guardiamo il bicchiere mezzo pieno. Spesso chi viene da fuori, e può permettersi una seconda casa, ne tiene cura. Molti rustici, molte casa vecchie se non antiche, e addirittura intere zone sono a rischio abbandono. Il recupero, che molto spesso è filologico, diventa molto importante. Il bicchiere mezzo vuoto sta nell’assenza, spesso, di una lealtà, principalmente economica, al territorio. Noi cerchiamo principalmente di comprare localmente, ci sembra importante». Cosa può dire a proposito dei suoi interessi archeologici? Nei prossimi giorni sarà impegnata proprio dalle nostre parti, negli scavi di Rivanazzano Terme. «Li ho scoperti per caso attraverso una mia ex vicina, specializzanda in Archeologia. Ci siamo riviste nella Biblioteca di Rovescala, e mi ha parlato di questa villa romana. Per me è l’occasione di ricordare o di reimparare alcune tecniche dell’archeologia. In realtà, tranne negli ultimi due anni, ho sempre cercato di portare avanti questo interesse. In Friuli, in Toscana, nella Piana di San Martino. Non conosco bene l’Oltrepò da un punto di vista archeologico, ma ho scoperto che esiste una realtà varia e significativa, non necessariamente valorizzata e studiata. Si tratta di un lavoro quasi inedito, benvenuto e benemerito». In effetti da molti decenni è venuto un po’ a mancare l’interesse per questo tema. Forse anche perché poche sono state, in questo lasso di tempo, le voci autorevoli provenienti dal nostro territorio in questo panorama.
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«Per Rovescala il nome di Fagnani è importante, perché è stato un docente e anche un grandissimo appassionato. Ha molto attentamente studiato il rovescalese». Cosa riguarderà il prossimo lavoro a Rivanazzano? «Per quanto ne so si tratta di una villa, con sezione rurale e signorile, che ha avuto una sua fioritura nel IV secolo dopo Cristo. Un periodo di passaggio, molto intrigante. Si trovava ai piedi della collina, vicino ad un’arteria importantante come la via Postumia, prosecuzione dell’Emilia. Quello che mi piacerebbe scoprire, partecipando come volontaria ad uno scavo molto ben avviato, è quanto emblematico possa essere questo sito. Capire come era la villa di Rivanazzano può darmi l’idea di quelle che potevano essere le dimore rurali dell’Oltrepò in generale. Per esempio in Friuli, dove c’erano esigenze diverse, ho osservato che le ville erano fortificate. Qui probabilmente no». Un’ultima battuta su un tema, quello della valorizzazione del territorio collinare, che aveva portato l’Amministrazione Provinciale, nel 2013, a lanciarne la candidatura a sito Unesco, sulla scia di un progetto portato avanti con successo nel Roero. Ha un’opinione in merito? «Una delle condizioni per ottenere il riconoscimento dell’Unesco è aprire il sito alla conoscenza estera. Credo che la prima domanda da porsi dovrebbe essere se questo aiuterebbe l’Oltrepò a ottenere certi risultati economici. Per esempio, nel Roero, che non è molto lontano da noi, c’è stato un ritorno notevole? Se sì, allora vale la pena. Ma per lo straniero, e in particolare per gli anglosassoni che conosco meglio, non basta la bellezza, la squisitezza, l’unicità del luogo. How do I get there? Come ci arrivo, dove sto e cosa faccio, cosa vedo? Non solo cosa mangio e cosa bevo. Forse qui siamo troppo avvitati intorno al tema delle specificità enogastronomiche. Ma lo straniero vuole anche altro. Dove passi la notte, come puoi andare dal punto a al punto b? Queste sono davvero cose basilari che però non sono mai in cima alla lista di chi richiede questi riconoscimenti». Peraltro, altri territori collinari hanno imitato questo tentativo. In rampa di lancio c’è il Chianti Classico, che punta a concretizzare la candidatura entro l’anno. A quali modelli guardare? «C’è anche un tema di marketing territoriale. Come vendiamo le nostre bellezze e i nostri prodotti all’estero? Esiste un websiting importante? Devo già conoscere un territorio prima di decidere di visitarlo, non vado a scoprirlo sul sito dell’Unesco. Per esempio, se io desidero visitare un luogo come la Bretagna, so che c’è un lavoro già fatto e disponibile, ancora prima di partire, in parte grazie alle guide e in parte grazie a quello che le comunità bretoni mettono a disposizione dei visitatori. Sono capacissime, seppur isolate - a seicento chilometri da Parigi! Se mai l’Oltrepò dovesse diventare diverso potrei trasferirmi in Bretagna…». di Pier Luigi Feltri
SANTA MARIA DELLA VERSA
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Don Bruno e l’oratorio chiuso «Sono disponibile a ridare i locali...» Don Bruno Scanarotti è arrivato a Santa Maria della Versa a fine ottobre del 1999; quando è arrivato in questa comunità aveva molto entusiasmo e voleva occuparsi della formazione e dell’educazione dei giovani, come già aveva fatto in altre parrocchie. Aveva molti progetti, ma non ha ricevuto il sostegno da parte dei genitori, come lui stesso afferma. Recentemente alcuni di questi genitori sono andati a chiedere al sindaco Ordali di riaprire l’oratorio di Santa Maria della Versa; Don Bruno non ha alcun problema a riguardo: l’unico vincolo che pone è che, chi decide di prendersi la responsibilità, «Siano persone serie, formate e consapevoli!». Don Bruno quando è arrivato a Santa Maria della Versa, l’oratorio funzionava ancora? «Quando sono arrivato io non funzionava già più; c’era solo un gruppo di ragazzi tra i 16 e i 18 anni che saltuariamente veniva a fare qualche partita di calcetto. I locali erano aperti, ma nessuno li gestiva». A suo parere, l’oratorio che tipo di esperienza rappresentava per i bambini del passato? «Per i bambini del passato penso che fosse un luogo d’incontro, di gioco e di aggregazione, mentre a mio parere l’oratorio dovrebbe essere anche un luogo di formazione ed educazione». Sacerdoti, educatori e animatori dovrebbero contribuire alla formazione dei giovani di una comunità insieme alle famiglie e alla scuola. Secondo lei, a Santa Maria questo bisogno non è più sentito? «A mio parere no e spiego anche il perchè: dopo circa un anno dal mio arrivo in questa comunità, avevo intenzione di acquistare una villa in vendita qui a Santa Maria della Versa, dove avrei voluto realizzare locali per il catechismo, campi da gioco (c’erano tre pertiche di terra intorno), un campo da bocce per gli eventuali nonni che avrebbero accompagnato i propri nipoti – quindi un luogo per grandi e piccini – c’erano tante possibilità! Eravamo riusciti ad ottenere un buon prezzo. Così ho convocato i genitori del paese (era presente anche il Vescovo Canessa), ma loro non hanno avuto il mio stesso entusiasmo, anzi mi è stato detto che non era una struttura necessaria. In quel momento avrei voluto lasciare questo paese, perchè volevo occuparmi dei ragazzi, ma senza l’appoggio dei loro genitori, mi è stato impossibile. Nello caso particolare dell’oratorio, per un po’ di tempo ho tenuto aperto i locali; avevo acquistato anche delle divise, perchè avrei voluto creare una squadra di calcetto, ma poi i pochi ragazzi che lo frequentavano sono diventati grandi...».
L’ex oratorio di Santa Maria della Versa
«In generale l’oratorio è aperto a tutti, senza distinzione di religione o razza; se a Santa Maria l’oratorio fosse ricreato, a me interesserebbe trasmettere i valori dello stare insieme, dell’amicizia e ovviamente della preghiera (non esclusivamente cristiana). Non ci sarebbe alcun problema per me. L’importante è che i ragazzi possano crescere e divertirsi educatamente». Come è cambiata l’esperienza dell’oratorio rispetto al passato? I ragazzi di oggi cosa chiedono e cosa cercano? «Cosa cercano i ragazzi di oggi non lo so dire. I pochi con cui ho a che fare ultimamente sono chiusi in sé stessi, sempre con in mano il cellulare, tu gli parli e
«Avevo intenzione di acquistare una villa qui a Santa Maria dove avrei voluto realizzare locali per il catechismo, campi da gioco, un campo da bocce... mi è stato detto che non era una struttura necessaria» Molti giovani della Valle Versa si recano presso l’oratorio di Stradella, che sembra essere molto efficiente. Secondo lei è giusto? «Non sarebbe giusto, ma almeno l’oratorio di Stradella funziona bene. C’è un prete che insieme agli assistenti e ai volontari maggiorenni sono preparati. A Santa Maria il prete c’è (io ci sono), ma ho 70 anni e, anche quando ne avevo 50, non avrei potuto occuparmi da solo dei ragazzi del paese. Mi piacerebbe che qualcuno si prendesse la responsabilità, ma ci deve essere serietà e preparazione!». Don Bruno l’oratorio come sappiamo vuole anche trasmettere valori cristiani; quindi come coinvolgere i tanti ragazzi non cristiani?
loro non ascoltano. Cosa pensino e cosa vogliano sinceramente non lo so. In passato, durante i miei primi anni da prete a Pozzolo Fomrigaro, non c’era l’oratorio, ma in qualche modo lo abbiamo creato: aiutati da alcune persone del paese e insieme ad alcuni risparmi ci siamo riusciti. All’epoca facevo anche l’insegnante di religione alla scuola media e mano a mano i ragazzi si sono avvicinati sempre di più alla parrocchia. Nell’estate successiva siamo anche riusciti ad organizzare un campeggio a Salogni: due gruppi di una ventina di ragazzi, stavamo via per una quindicina di giorni. Stavo con loro 24 ore su 24; preparavamo da mangiare, andavamo a fare delle escursioni, giocavamo, pregavamo... era tutto diverso! I valori
«L’oratorio non deve essere un luogo dove “parcheggiare” i figli per alcune ore» erano diversi». Don Bruno dal punto di vista educativo, quali difficoltà incontra chi decide di rapportarsi con i giovanissimi? «Le difficoltà per gli educatori, credo siano unicamente legate alla chiusura emotiva dei ragazzi... si potrebbe cercare di farli aprire al mondo. Anche il rapporto con la Chiesa (non solo qui a Santa Maria) è diverso, vengono a Messa quando devono fare la Prima Comunione e la Cresima, l’anno successivo e poi basta più». Secondo lei ci sarebbero i numeri (i giovani) per riattivare l’oratorio di Santa Maria della Versa? «Certo che sì, ma servono volontari e assistenti che se ne prendano cura e diano assistenza educativa. I ragazzi devono essere seguiti. Io ci sono, ma ho i miei impegni (ho altre parrocchie da seguire) e da solo non posso far nulla». Quindi se qualche giovane fosse interessato a riattivare l’oratorio, magari con anche il supporto dell’Amministrazione Comunale, lei sarebbe favorevole a riaprirlo? «Io sarei disponibile a ridare i locali, ma pretendo che chi si prende la responsabilità lo faccia con buon senso e serietà. I locali a disposizione sono tre, sono da risistemare (cose da poco), e un campetto». Le varie Amministrazioni Comunali degli ultimi anni, si sono mai interessate alla riapertura dell’oratorio? «Non proprio. L’anno scorso alcuni genitori sono andati a chiedere al sindaco Ordali di riaprire l’oratorio, ma non ho capito perchè non siano venuti direttamente da me. Se questi genitori vogliono l’oratorio, per me va bene, ma devono impegnarsi insieme alla Chiesa. L’oratorio non deve essere un luogo dove “parcheggiare” i figli per alcune ore». di Silvia Cipriano
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ARTE E CULTURA
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100 Castelli, Rocche e Torri in Oltrepò Lo sapevate? Non credo
Castello di Zavattarello
Fantastico! L’Oltrepò Pavese possiede un patrimonio di circa un centinaio fra castelli, rocche e torri. In occasione di queste belle giornate ho deciso di organizzare un percorso di visita con amici che ci permetta di vederne solo una parte, dal momento che molti sono ridotti a ruderi e di altri invece sono state sfruttate le mura in passato per costruire altre abitazioni. Il luogo di partenza sarà Voghera per ovvi motivi, ma già da subito mi rendo conto che il castello apre solo in occasioni di eventi culturali o di spettacolo. Fra Voghera, Montebello della Battaglia, Borgo Priolo, Pietra De Giorgi, Montecalvo Versiggia, Cigognola, Montù, Mornico Losana, Porana, Redavalle, Rivanazzano, Nazzano, Rocca Susella, Santa Maria della Versa, Ruino, Santa Giuletta, San Damiano al Colle, Godiasco, Montesegale, Valverde, Val di Nizza, Bagnaria, Oramala, Varzi, Zavattarello e Brallo di Pregola (solo per citarne i principali) mi ritrovo con due visite certe: Oramala e Zavattarello anche all’interno, Montesegale solo all’esterno. Gli altri monumenti o sono chiusi o sono di proprietà privata e comunque visitabili solo su prenotazione (prenotazioni quasi impossibili). Diciamo che l’entusiasmo comincia a scemare già dopo il primo step di ricerche. Non un sito unico che raccolga una mappa generale
con i numeri di telefono, ma tanti siti, con tanti orari diversi e numeri spesso non disponibili. L’impresa diventa sempre più ardua e dopo un’ora mi ritrovo al pc e al telefono a cercare di riempire il Sabato con almeno un castello nel basso Oltrepò. Impossibile. Poco male. La gireremo sul cibo e la natura Sabato e visiteremo Oramala e Zavattarello di Domenica. Il resto del tempo sarà contornato da panorami e scorci che vedremo dai finestrini delle nostre auto. A Settembre, si legge in certi siti, in occasione della festa del patrimonio, apriranno tutti i castelli. Beh, vediamo di spostare la gita in un altro fine settimana e di organizzarci per il mese in arrivo. Il buio. Non trovo menzione in nessun sito. Lascio perdere. Rimane buona l’opzione precedente. Non mi dilungherò nelle descrizioni dei due castelli visitabili e ben organizzati, ovvero Oramala e Zavattarello, ma piuttosto cercherò di capire come sia possibile poter donare a tutti la visibilità della cultura del nostro patrimonio anche su strutture private o in stato di abbandono. La mentalità, la mancanza di fondi, la burocrazia. Siamo sempre alle solite. Non è detto che debba essere obbligatorio o scontato che una persona proprietaria di un castello medioevale debba aprire per
Rocca del Castello di Oramala
forza le porte di casa a chiunque. Ci mancherebbe. Ci sono associazioni però che spesso si occupano proprio di questo per poter limitare il contesto di visita ad alcune sale e intanto raccontare qualche storia. Basti pensare ad Oramala in cui “Spinofiorito”, un’associazione senza finalità di lucro, porta avanti lo studio e la diffusione del patrimonio storico e culturale dell’Oltrepò pavese collinare e montano,
in particolare del territorio dominato dai Malaspina. Perché alla fine, a parte gli appassionati di arte ed architettura, la maggior parte delle persone che visitano un castello sono attratte dal racconto magico di quest’ultimo, dalle storie antiche ed oscure, come quella, ad esempio, della Regina d’Inghilterra, Carolina di Brunswick, che veniva nel castello di Montù dei Gabbi,
ARTE E CULTURA presso Canneto Pavese, per incontrare il suo amante e dare sfogo alle sue passioni. Così come la leggenda del fantasma di Pietro dal Verme, nel castello di Zavattarello: numerose sono le testimonianze di avvenimenti inspiegabili accaduti nelle sale del castello di Zavattarello: sedie spostate, strani rumori, porte aperte misteriosamente, spartiti scomparsi durante i concerti, voci maschili senza volto. Stiamo parlando di possedimenti di antiche famiglie molto importanti come i Dal Verme, i Malaspina, i Beccaria, i Visconti tutti legati da un nome: Federico I, detto Il Barbarossa. La storia ci porta anche alla seconda guerra mondiale che ha visto le truppe tedesche impossessarsi di alcuni castelli per trasformarli nei loro centri operativi: l’Oltrepò pavese ha visto dure battaglie e strenue difese da parte di partigiani ed abitanti che hanno dato spesso la loro vita per difendere queste terre. La famiglia Moratti, ultimi signori del Castello di Cigognola, pur chiudendosi in un riserbo assoluto, permettono la celebrazione di una messa e una cerimonia presso il famigerato pozzo in cui i fascisti gettarono i partigiani durante il periodo della Resistenza. La lettura del libro di Carlo Lavezzari, famoso imprenditore e Senatore della Repubblica, spiega dettagliatamente come era la vita in quegli anni nelle terre dei castelli e delle rocche, delle umili famiglie contadine sterminate senza avere colpe, delle atrocità dei “partigiani” del Terzo Fronte. Il patrimonio architettonico in quegli anni è andato in gran parte
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Castello di Montesegale
distrutto. Intorno ad una sala con un camino e una porticina, intorno ad un cunicolo, si possono ricamare storie reali di una vita lontana, segreta, di damigelle innamorate o di uomini in fuga da torture. Così fanno regioni a noi vicine: il Trentino Alto Adige ad esempio o la valle d’Aosta. Per carità: non si ha la pretesa di paragonare queste regioni alla nostra piccola terra, ma ogni paese, seppur piccolo, avrebbe il proprio castello o il proprio palazzo signorile da visitare: essere dentro ad un parco e toccare con mano mura antiche, non è come vedere da dietro una cancellata. Le Associazione nascono spesso pro-
prio per questo motivo: per la volontà di alcuni appassionati di storia medioevale con progetti di ricerca sul territorio e studi su strutture castellane cosidette “minori”. Molti progetti in Trentino Alto Adige fanno riferimento ad alcune aree geografiche, entro le quali vengono individuate attrazioni storiche architettoniche: in alcuni di questi vengono proposti spettacoli, concerti ed eventi con visite guidate, il tutto grazie alla collaborazione fra Associazioni varie ed Istituzioni Statali (la Provincia). Questi tipi di progetti si sviluppano spesso in una proposta appetibile da tutti, anche grazie alla possibilità di abbinare le
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Castello di Cigognola
visite ai castelli e ai monumenti alle tante altre attrattive del territorio: un concerto, uno spettacolo teatrale, un trekking, una gita in mountain bike, un bagno termale, la scoperta di parti del territorio meno conosciute e le tradizioni culinarie. Anche le strutture private costituiscono un patrimonio prezioso per l’intera comunità e una loro più ampia fruizione da parte del pubblico rappresenta un traguardo che sarebbe bello proseguire più diffusamente. Loro riescono, tutti insieme. Noi ci inceppiamo sempre. di Rachele Sogno
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Canneto Pavese, «La scultura è il mio hobby, l’Oltrepò l’ispirazione»
Marco Piovani, scultore per hobby Marco Piovani nato a Parma nel 1946, figlio di contadini, è stato proprietario di una salumeria storica a Milano; negli anni ‘80 ha scelto l’Oltrepò Pavese come meta dei sui week end fuori porta, acquistando la seconda casa in una piccola frazione di Canneto Pavese, dove attualmente si è stabilito dopo aver terminato la sua attività lavorativa in città. Marco Piovani ha l’hobby della scultura e fin da piccolo ha provveduto a realizzarsi i giocattoli; non è un professionista, ma negli anni ha affinato la sua tecnica e ha ottenuto soddisfazioni e riconoscimenti. La sua passione per il legno è fortemente appoggiata dalla moglie Gianna Turchetti e dal figlio Massimo. Chi è Marco Piovani? «Sono nato a Parma e mio padre era molto ambizioso: voleva farmi fare il veterinario perchè aveva una piccola stalla, ma nel tempo si è reso conto che non era la mia strada, così mi ha mandato da mio zio a Milano per lavorare in una salumeria. Ho imparato questo lavoro dai migliori salumieri di Milano e dal 1964 fino al 2009 abbiamo gestito la salumeria di famiglia». La sua passione per la scultura è iniziata come hobby... ci racconti. «L’hobby del legno l’ho sempre avuto, anche se tempo ne avevo poco. Questa mia passione nasce lontano, da bambino, quando soldi per comprare i giocattoli non ce n’erano... così me li realizzavo da solo. Mi costruivo la pistola, il fucilino, il pugnale, l’arco, un fortino del far west...in
«Negli anni ‘80 abbandonammo Milano per goderci le colline» campagna disponibilità di legno ce n’era molta! Negli anni ho affinato la mia tecnica, senza fare scuole. Ho incominciato ad informarmi sulle tipologie di legno da utilizzare, piano piano ho comprato l’attrezzatura adatta. Quando vivevo a Milano, non si poteva far rumore di notte e allora mi rifugiavo in una cantinetta. Quando è nato mio figlio Massimo gli ho realizzato la culla (ci ho messo 3 mesi... tutta intarsiata). Poi nel 2009, terminata la mia attività lavorativa, ci siamo trasferiti in Oltrepò Pavese e qui ho avuto più tempo e più materiale». Come mai vi siete trasferiti in Oltrepo Pavese? «Attualmente vivo con la mia famiglia nella Frazione di Casa Zambianchi a Canneto Pavese. Abbiamo deciso di trasferirci qui perchè già avevamo la seconda casa. Negli anni ‘80 facevamo i “pendolari della do-
menica”, abbandonando Milano durante il week end, per goderci lo spettacolo di queste colline». Negli anni che idea si è fatto di questo territorio? «Sono stato salumiere e gastronomo per anni e mia moglie Gianna è un’ottima cuoca, perciò quando ci siamo trasferiti in Oltrepò, siamo entrati a far parte della Pro Loco del paese... eravamo entusiasti! In qualche modo abbiamo dato il nostro contributo, poi per ragioni e impegni vari abbiamo dovuto abbandonare, in ogni caso, il nostro è sicuramente un bel ricordo, perchè da subito siamo stati accolti e benvoluti. Ci siamo sentiti come a casa». Da buon emiliano come vede quindi la gente dell’Oltrepo Pavese? «Noi emiliani siamo più aperti, invece in questa terra le persone sono un po’ più diffidenti. Mi sono informato e mi è anche stato spiegato il motivo: questa era una “terra di passaggio” e nei secoli questi abitanti hanno vissuto e subito di tutto, la loro diffidenza è comprensibile!». Tornando alla sua passione per il legno, a quali soggetti o temi s’ispira per realizzare le sue opere? «I più vasti direi! Faccio ritratti, però m’ispiro a persone adulte – quasi vecchie – perchè i loro volti sono ricchi di elementi particolari (ad esempio le rughe). Recentemente ho realizzato in rilievo un vendemmiatore del 1200 in abito del tempo. Fra poco lo metterò sulla strada di Monteveneroso. Il settore che amo di più è la realizzazione di opere direttamente da un tronco trovato “casualmente”. Quando vado in campagna cerco dei tronchi che possano ispirarmi nella realizzazione... quando lo trovo, cerco di immaginare cosa poter realizzare. È il tronco stesso a darmi l’idea!». Attualmente quanto tempo dedica a questa attività? «Negli ultimi anni ho potuto dedicare più tempo a questa attività, nonostante ciò aiuto mio figlio nell’azienda agricola, perciò da fine aprile ad agosto sono impegnato. In attesa della vendemmia ho un po’ più di tempo, quindi riesco a dedicare pomeriggi interi alla mia passione. Tendenzialmente non ho un tempo preciso, ho il mio laboratorio sotto casa e li mi rifugio per dedicarmi alla scultura». Ha realizzato sculture a cui è legato o a cui tiene particolarmente? «Direi proprio di sì! Una volta ho trovato un legno molto buono e mi sono realizzato un Tex Willer; leggo questo fumetto da quando ero bambino e me lo sono voluto realizzare “fisicamente”. Inoltre, vado molto fiero della Musa del Buttafuoco: questo tronco di noce da quasi un quintale, realizzato due anni fa, mi ha richiesto molto tempo (quasi tutta l’estate)». L’Oltrepò Pavese è dunque per lei fonte
«Questa mia passione nasce lontano, da bambino, quando soldi per comprare i giocattoli non ce n’erano... così me li realizzavo da solo» d’ispirazione? «In circa dieci anni che vivo qui ho “colonizzato” un po’ questo territorio. Ho realizzato alcuni crocifissi e un San Colombano (visibili a pochi km da casa mia); quest’ultimo è stato esposto anche durante l’Expo 2015 nel padiglione irlandese. La Musa del Buttafuoco, di cui ho accennato prima, è un nudo di una donna a grandezza naturale che versa il vino da un fiasco su una spalla, in un mastello. Ho realizzato anche lo stemma comunale della Castana». Lei non è un professionista, quindi come le vengono commissionate le opere? «Non essendo un professionista non chiedo remunerazioni, al massimo chiedo un contributo per il materiale. Sono disponibile, in base al tempo, a qualsiasi richiesta. Recentemente ho realizzato per il Comune di Montescano un espositore fatto a forma di grappolo per la rassegna dei vini...capita che le amministrazioni comunali chiedano il mio contribuito e ne sono davvero felice!». La sua famiglia contribuisce a questa sua passione? «Decisamente! Mia moglie Gianna mi ha sempre spronato e appoggiato in tutto ciò che ho fatto nella mia vita. Per quanto riguarda la scultura, mi segue in ogni mia opera, dalla ricerca del legno fino alla realizzazione finale! È un grosso sostegno per me. È sempre entusiasta di ciò che faccio». Ha dei progetti per il futuro? «Adesso sto realizzando Madre Teresa di Calcutta; mi è stata suggerita da un ragazzo albanese che viene ad aiutarci durante la vendemmia...così ho deciso di provare. Tenterò di fare anche il ritratto di una nipote di mia moglie...io non sono professionista, mi piace mettermi in gioco e ci provo!». di Silvia Cipriano
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TENDENZE
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Voghera, “Become”: «Approccio innovativo al benessere ed alla forma» è nata a Voghera, in Corso Rosselli, una nuova, innovativa azienda di coaching. Il termine, usatissimo negli ultimi anni a livello sportivo, agonistico ed amatoriale, quasi all’abuso, significa letteralmente “istruire”, cioè trasmettere conoscenza. I titolari, in prima impressione, sembrano tre modelli di Abercrombie & Fitch prestati al wellness, o i soggetti appena usciti da uno spot pubblicitario: tutta la loro prestanza fisica scompare nel momento in cui cominciano a parlare del loro progetto. Preparazione, entusiasmo, consapevolezza ed idee chiare ci hanno dato la sensazione di star già meglio solo colloquiando in un pomeriggio di ferie. Questa è “Become”! Andrea Galvan, 24 anni, Antonello Baldaro, 25 anni e Amedeo Valassi Fasanotti, 24 anni. Andrea come e quando nasce “Become”? «“Become” è una nuova azienda, nata circa un anno fa. L’idea è partita da me, e per dar vita a questa nuova attività, ove necessitavo di collaborazione, mi son rivolto ad Antonello ed Amedeo, tre storie professionali, le nostre, parallele che si sono ora unite. Amedeo ed io ci allenavamo insieme in palestra, ed io già stavo progettando in realtà “Become”, come personal coach, sia nel trasmettere la consapovolezza sul cibo, sulle abitudini di vita, etc. per andare poi nella sfera vera e propria dell’allenamento fisico. Ma avvertivo che, all’interno di un progetto così importante, da solo non bastavo. Così, quando decisi circa 1 anno e mezzo fa di impegnarmi nella start-up aziendale, mi rivolsi ai personal trainer che reputavo capaci... in effetti la scelta cadde subito su Antonello, che proprio nello stesso periodo stava cercando collaborazioni allargate ad altri ambiti: pensi che il giorno che lo chiamai per esporgli “Become”, lui mi disse che quello stesso giorno pensava di chiamarmi per propormi una collaborazione!». Amedeo anche lei svolgeva la stessa attività? «No. Io sono laureato in fisioterapia, ora al terzo anno di osteopatia, con particolare attenzione alla medicina di prevenzione in ambito sportivo, non solo come prestazione agonistica ma soprattutto benessere fisico e mentale. Condividendo con Andrea lunga amicizia, oltre alla stessa data, mese ed anno di nascita, quasi gemelli (sorride), ho immediatamente accettato con entusiasmo il progetto “Become”, ovviamente!». Ed infine si inserisce Antonello... «Nel mentre, direi. Quasi una triade che si è formata simultaneamente... io sono al termine della Facoltà di Scienze Motorie, al traguardo finale». Andrea, anche lei è laureato? «Sto terminando la Facoltà di Psicologia, e nel frattempo ho già svolto collaborazioni di mental coaching e food coaching anche
Andrea Galvan, Antonello Baldaro e Amedeo Valassi Fasanotti all’estero, ad esempio in California in alcuni studi in Los Angeles...». Nel momento in cui un potenziale cliente si rivolge a ‘ Become ‘, come si svolge l’approccio? è il cliente che richiede o voi proponete? Andrea: «In primis, sono io colui che si occupa dell’aspetto preliminare, indagando le abitudini del cliente. Si inizia con una prima chiacchierata informale in cui si cerca di capire le esigenze della persona e le sue aspettative. Da lì si parte con appuntamenti che prevederanno sedute di coaching, food coaching, in cui valutare la persona nel dettaglio, indagando nell’insieme gli aspetti della sua vita, familiari, relazionali, etc, etc, etc. Talvolta, ad esempio, una persona arriva da noi perché in sovrappeso, quindi si attende un cambiamento sulla dieta quotidiana ed una tabella di allenamento: magari, però, si ritrova a scoprire che questo cambiamento non è sufficiente! Allora si lavora, caso per caso, sul vero completamento, sulla trasformazione... anche magari di stile di vita, magari semplicemente nell’eccessiva sedentarietà... Le preciso che io non sono nè dietista e/o nutrizionista nè psichiatra o, ancora no al momento ma abreve, psicologo. Quindi nel caso in cui fossero presenti vere problematiche legate all’ambito alimentare, patologie e/o intolleranze e via dicendo, inviamo il cliente ad una dietologa o nutrizionista. Nello stesso modo, se ritengo che il punto di malessere in partenza appartenga ad un problema della psiche, anche qui invio il cliente prima ad un professionista del settore. Per quanto invece strettamente ci compete, il particolare fondamentale che ho notato molto spesso è che il nostro lavoro obbligatoriamente dev’essere di con-
trollo sull’adesione del programma stabilito: è fondamentale per noi riuscire a fissare nell’obbiettivo primario del nostro cliente la vera adesione a ciò che viene stabilito come regola di abitudini, alimentazione, allenamento... Si analizziamo la persona sotto i 3 aspetti, tecnici, pratici e mentali, ma è stato evidenziato da vari studi che uno dei fattori che porta a sviluppare la motivazione intrinseca è l’autonomia. E la motivazione intrinseca, cioè che nel cliente si sviluppa dal suo ego in senso positivo e non critico, è il vero motore che spinge alla riuscita ed al raggiungimento del traguardo preposto!». Una volta stabilito questo programma, diciamo, di massima, cosa succede? Amedeo: «Subentro io, prima dello step finale, meglio complementare, di Antonello ed il suo metodo di allenamento. Dopo il primo coaching di Andrea di valutazione generale, io prendo in carico il cliente per assicurarmi e rassicurarlo sulla prevenzione da incidenti d’allenamento, valutando prima la sua situazione fisica e tutto ciò che ne concerne... in caso ci fossero problematiche da risolvere, prima di inviare il cliente ad Antonello, intervengo alla risoluzione delle stesse. Naturalmente il trattamento fisioterapico/osteopatico non esclude l’allenamento e la valutazione psicologica. Dico questo per i casi che clienti si rivolgano solo a me in cerca di risoluzione a problemi fisici... Antonello: una volta che tutto ciò è avvenuto, il cliente con me inizia un percorso d’allenamento atto a raggiungere gli obbiettivi stabiliti. Ovviamente sempre in stretto contatto e continua consulenza sia di Andrea sia di Amedeo». Voglio fare l’avvocato del diavolo: se io
fossi un lavoratore a tempo pieno, con poco tempo da dedicare settimanalmente a “Become”, come viene suddiviso il tempo destinato all’allenamento? Andrea: «Grazie per questa domanda. Uno degli aspetti fondamentali di questo approccio, la filosofia di “Become” è lavorare su obiettivi a lungo termine di reale cambiamento: non è una “corsa” ! Per quanto una persona possa essere impegnata, si affronta tutto con molta calma. Solitamente si può anche fissare una seduta alla settimana. Spesso il primo mese viene speso tutto solo per la conoscenza e la valutazione della persona. Non abbiamo una media fissa nei tempi di visione del cliente. Mediamente io vedo il cliente una volta al mese per un controllo ed un feedback. Antonello: dei tre, sono forse io quello che, una volta iniziato il percorso d’allenamento tende a vedere il cliente più spesso almeno nelle primissime settimane, proprio per cercare di fissare in lui la corretta tabella da rispettare, le modalità in sicurezza, per non farsi “male”, ed infondere sicurezza sul percorso da affrontare. Il tutto per imparare ad allenarsi, con adesione ed autonomia come dicevamo prima. Il cliente infatti, non viene qui ad allenarsi sempre: nella nostra palestra impara, coaching, come allenarsi, ma gli allenamenti li effettua nella sua palestra, o a casa». Quanto costa affrontare un percorso con “Become” ? Andrea: «Essendo un sistema molto complesso che vede incrociato il lavoro di diverse figure professionali, essendo diverse le esigenze dei clienti, spesso molto diverse anche per lo stesso cliente nell’arco dei mesi, abbiamo valutato e deciso di proporre un prezzo fisso che includa tutto, cioè comprendente un trattamento a lungo termine personalizzato. Anche per Amedeo ed Antonello, dovendo conoscere a fondo le peculiarità del cliente, alcuni appuntamenti non hanno un limite d’orario, e magari non si riesce precisamente a decidere un numero di appuntamenti, nell’ottica di realizzare il totale cambiamento appunto. Fin’ora abbiamo utilizzato un pacchetto di 4 mesi, ma da questo mese diventerà annuale, proprio in virtù del concetto di adesione prima esposto...». Cosa manca alla nostra intervista? Andrea: «Voglio precisare un aspetto importantissimo. Non ci configuriamo come un’attività meramente commerciale, ma di ricerca. è un innovativo approccio al benessere ed alla forma, al wellness globale. Il nostro punto cardine è definire un sistema di cambiamento completo, e veramente efficace, per chi a “Become” si rivolga. Anche il prezzo, di conseguenza, è davvero alla portata di chiunque, per questo motivo». di Lele Baiardi
MUSICA
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è di Fortunago il “Vasco” dell’Oltrepò: Ermanno Calatroni Ermanno Calatroni - classe 1953 - ama la sua terra d’origine, in particolare Fortunago, dove è nato e cresciuto; in Oltrepò Pavese è molto conosciuto e apprezzato, poiché da sempre s’ispira a Vasco Rossi. Ad agosto ha festeggiato i suoi “primi” cinquant’anni di carriera... una carriera fatta di musica, lavoro, studio, sacrifici e due figli a cui Ermanno è molto legato! Il mondo di Ermanno è genuino e casalingo, con il suo entusiasmo riesce a coinvolgere le persone, a farle cantare ed emozionare, proprio come Vasco Rossi. Ermanno, recentemente ha festeggiato 50 anni di carriera. Come è iniziata? «La mia carriera è iniziata nel lontano 1968, in estate...». Nella sua vita ha sempre e solo cantato? «No, sono stato dipendente, ma la musica è sempre stata una parte importante della mia vita». è sempre stato un solista? «Assolutamente no; ho suonato con molti gruppi ed orchestre dal ‘68 fino all’89, anno in cui ho intrapreso la carriera solista». Nelle sue performance si ispira a Vasco Rossi. Cosa rappresenta per lei? «Com’è noto, Vasco Rossi lo amo da sempre, sia per i testi che per le musiche...diciamo che rappresenta in parte anche il “ribelle” che c’è un po’ in me. Come i milioni di fans che si rivedono nelle sue canzoni, ovviamente anche per me vale la stessa cosa». Quali altri generi musicali o cantanti hanno influenzato la sua carriera artistica? «Provengo da un mondo musicale magico, rappresentato nei fantastici anni ‘60, ‘70 e
Ermanno Calatroni ‘80, quindi stilare una lista di artisti che mi hanno influenzato è molto complicato; erano anni davvero produttivi, fatti di ottima musica, internazionale e non, che ha fatto scuola allora e la fa tutt’oggi. Sicuramente ho trovato ispirazione in band straordinarie come Beatles, Rolling Stones, Deep Purple, Led Zeppelin o artisti come Joe Cocker e Bob Dylan, solo per citarne qualcuno. Ovviamente la musica italiana era la base e cultura per la nostra generazione di musicisti; fondamentale è stata l’influenza della “scuola genovese”, De Andre in primis, ma non posso non citare artisti che hanno cavalcato e quel fantastico trentennio come De Gregori, Battisti, Zucchero,Vasco, etc. etc.etc.». Solitamente dove si esibisce? «Mi esibisco ovunque, passando da bar, ristoranti, pub, piazze, perfino in carcere o, (a scopo benefico) in ospedale per i bambini malati». Molti la conoscono come “il Vasco
dell’Oltrepò”. Il suo territorio è solo l’Oltrepò Pavese o in questi anni è capitato di esibirsi altrove? «L’Oltrepò sicuramente è un territorio in cui sono molto richiesto e affezionato, anche se la provincia di Pavia la giro in lungo e in largo. Quando ero più giovane suonavo molto anche nel Piemonte e a Milano. Belle sono state anche le esperienze musicali avute in Svizzera». Ha mai incontrato Vasco Rossi di persona? «Purtroppo no, non l’ho mai incontrato, anche se spero prima o poi di poterlo fare». Adesso che ha festeggiato il cinquantesimo, quali saranno i suoi progetti? Continuerà a cantare? «Sicuramente continuerò a cantare... in fondo sono solo i primi 50 anni! Credo di poter dare ancora molto e la richiesta mi dà fiducia e perché no, anche ragione». Ha qualche episodio o ricordo particolare che vuole raccontare della sua car-
riera? «Ce ne sono davvero molti; per esempio, tornando al periodo in Svizzera, ci fu una volta in cui mi chiesero un autografo ed io non glielo feci, credendo mi stessero prendendo in giro...». La sua famiglia e i suoi figli che ruolo hanno avuto nella tua vita artistica? «Sicuramente la mia famiglia ha avuto un ruolo decisivo; quando avevo sei anni mio padre mi indirizzò a studiare violino prima e pianoforte poi, col professor Borsari di Casteggio e successivamente mossi i “primi passi” nel mondo delle sei corde, studiando chitarra con il grande Piero Riccardi. Successivamente divenni bassista e cantante in svariate band e orchestre, senza dimenticare l’amore per la chitarra, che tutt’oggi suono nelle esibizioni. Ho due figli che nutrono passione per la musica: Cristian suona chitarra e basso ma non “pratica” l’attività live (se non per un breve periodo quando era più piccolo), diversamente da Riccardo che suona la batteria e sta seguendo le mie orme, si esibisce un po’ ovunque con diverse formazioni. Sono per me un supporto fondamentale». Cos’è il progetto “Ermano and the 50 fifty”? «L’arrivo dei “primi” 50 di carriera, ho deciso di festeggiarli - come da tempo volevo fare - con una band! Durante l’estate 2018, la mia Band ed io abbiamo fatto diverse esibizioni in Oltrepò Pavese, presentando uno spettacolo fatto completamente dal vivo, proponendo i classici del repertorio che sono solito a fare nelle mie serate, con l’aggiunta di molte novità». di Silvia Cipriano
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Vito Romito, la fama delle sue infradito lo ha preceduto è probabile che, negli anni, la fama delle sue infradito lo abbia preceduto. O forse no. Sta di fatto che le indossa da sempre, estate ed inverno, in abbinamento sempre a look di gran gusto. Di lui si percepiscono immediatamente, appunto, buongusto, vivace simpatia, grande ironia ed autoironia, merce rara di questi tempi, ed una valanga di energia! Lavora nella moda da anni, ma le passioni che lo accompagnano sono la danza, dall’infanzia, e musica e canto, negli ultimi anni, riconosciutegli da un pubblico sempre in aumento. All’anagrafe il cognome è Macaluso, ma, usando il cognome della famiglia materna, il nonno si chiamava proprio così, tutti pubblicamente lo conoscono come Vito Romito! So che la danza è stata le prima vera passione artistica... «Diciamo che tutto è comunque partito dalla musica e dal gradimento per il palcoscenico. Nelle recite a scuola, già a 6 anni, mi trovavo a mio agio. E sempre a quell’età chiesi entusiasta ai miei genitori di iscrivermi a lezione di danze Standard e Latino-americani. Feci quei corsi fino a 10 anni presso il Centro Sociale di Voghera. Qui poi cambiai disciplina, rivolgendomi alla Danza Moderna: mi spostai al C.d.m., sempre in Voghera, passai il provino d’ammissione, ed iniziai questo splendido percorso, che durò per 15 anni, con un altrettanto splendida insegnante britannica, che oggi è una coreografa importante a livello nazionale, che si chiama Gillian Bruce. Ho fatto molte esibizioni, saggi, performance, ed ho una cassapanca piena di attestati e diplomi. Le devo dire, con orgoglio, che i miei voti erano sempre alti! E pensi che in occasione dell’esame di Maturità, come Operatore d’Azienda presso l’Istituto Maragliano di Voghera, questi diplomi di danza mi hanno dato ulteriore punteggi!». Ha poi proseguito con gli studi? «Mi sono iscritto all’Ateneo di Pavia in Giurisprudenza, che poi ho cambiato in Lettere ad indirizzo Psicologico, ma mi è arrivata una proposta di lavoro che ho subito sentito mia, ed ho abbandonato». Era arrivata una proposta dal mondo della Moda? «Esatto. Fin da bambino ho sempre guardato con particolare attenzione quelle bellissime foto sulle riviste di Moda, e già da piccolissimo dichiaravo che avrei lavorato in questo settore. Quella prima proposta arrivò da un negozio di arredo per la casa, tuttavia, che era comunque materia a me interessante anche se in minor misura rispetto all’abbigliamento. Dopo qualche tempo, però, accettai la proposta di una storica cara amica, Miranda, a mio parere la più brava coiffeur della zona che aveva allora per prima importato in città il marchio Aldo Coppola, e feci un periodo alle sue dipendenze come receptio-
Vito Romito nist del Salone. Però il richiamo primario era forte, e così cambiai ancora, ed entrai nel reparto arredo di Piero Melchionni, un nome che non ha certo bisogno di presentazioni». Il settore era sempre l’arredo-casa, però... «Fino al 2005, quando lasciai l’azienda Melchionni per inaugurare, facendo parte dello staff, il punto vendita Zara presso l’Iper di Montebello. Lì rimasi per circa un anno, perché nel frattempo avevo sostenuto un colloquio da Etro, azienda importantissima nel Made in Italy dagli anni ‘60, che mi assunse nel 2006 per la propria boutique all’Outlet di Serravalle Scrivia, ove ancora oggi lavoro sempre con immutato entusiasmo e gradimento! Devo dirle che nei primi anni da Etro, dove lavoravo part-time a cavallo dei fine settimana, mantenni ancora per parecchio tempo un rapporto di collaborazione con Melchionni ed il settore arredi, operando nell’infrasettimanale, perché ero affezionato davvero a quell’azienda». Ma nel 2010 un’altra passione, da sempre, prende forma nella quotidianità... «Sì! Parliamo sempre di musica, ma dal 2010 non più ballata bensì cantata (sorride). Devo fare un passo indietro, però... Cantare mi è da sempre piaciuto, ma l’idea di farlo in pubblico mi venne dopo che nel 2006, alla Notte Bianca di Tortona, conobbi un’icona della musica italiana degli
anni ‘80 con la quale strinsi un particolare rapporto di affetto ed amicizia: Virginia Minnetti, in arte Viola Valentino! In realtà, per sincerità, la voglia di cantare su di un palcoscenico non era proprio legata ad un desiderio personale di carriera nel settore: avevo semplicemente deciso, in onore alla nostra bella amicizia che si era creata, di proporre nei locali della zona un piccolo tributo a Viola, facendo però conoscere particolarmente quello che era venuto dopo, come produzione discografica, rispetto agli anni ‘80 di “Comprami”, “Romantici”, “Sola”... perché lei, caso raro per artisti di quel periodo, ha continuato a produrre nuovi brani ed album a livello discografico, ed ancora oggi continua! E questa era ed è una cosa che io apprezzo moltissimo». E così nasce “Vito in Viola”? «Sì! Viola mi invia per email le basi originali dei suoi brani, parecchi, in alta definizione e perfetto mastering, comprese di cori... insomma, gli originali pubblicati! Cosa che le ho sempre riconosciuto come attestazione di amicizia vera! Ed io, un lunedì sera al Cowboys’ Guest Ranch di Voghera, ospite di un amico cantante sul palco, ne propongo 5: tre i famosi già citati più due novità». Ed il pubblico apprezza? «Quella prima sera, anche se ero parecchio teso, invitai tanti amici e vennero tutti (ride)! Fu una bellissima serata con davvero tanto pubblico! Format che riproposi, in quel primo anno, affiancandomi in serata sul palco ad altri amici cantanti, alcuni anche strepitosi professionisti quali Nico & Franz, Mary Montesano, la compianta ahimè Lidia Mingrone... amici che sempre ringrazierò! Mi accorsi che, al contrario di ciò che inizialmente pensavo, cioè che quell’idea sarebbe durata non a lungo come proposta di spettacolo, si era invece creata una magia particolare attorno a questo mini-tributo alla mia amica Valentino». Tutto ciò però, negli anni, poi si trasforma... «Sulla scia di quelle serate, sempre amici cantanti mi propongono di allargare il repertorio ad altri brani di mio gradimento e di iniziare un vero percorso personale. E così ho fatto. Il mio lavoro nella Moda rimane ovviamente sempre il caposaldo della mia vita, ci tengo a precisarlo, ma la passione per il canto è diventata presenza costante dei miei giorni». Con Viola Valentino, anche, l’amicizia aggiunge collaborazione sul palco «4 anni fa, in occasione del concerto di Viola al Club House di Salice Terme, propongo a Leo Santinoli, che ringrazio per l’opportunità concessami, di “aprire” il concerto cantando io un brano dell’Artista, un estratto praticamente da “Vito in Viola”. E da quella sera, Viola mi ha proposto e mi propone spesso di condividere il
«Fin da bambino ho sempre guardato quelle bellissime foto sulle riviste di Moda, e già da piccolissimo dichiaravo che avrei lavorato in questo settore. palco, con mia enorme felicità ed onore! Siamo io ed un altro cantante, Daniel Missori, nel ruolo di coristi/vocalist, anche se la mia partecipazione è legata alla distanza chilometrica del luogo del concerto, non potendo effettuare lunghi spostamenti in virtù del mio lavoro». Da quella sera al Club House di 4 anni fa inizia però anche un altro tipo di collaborazione sua, con il locale e con altri artisti... «Infatti comincio ad inoltrare proposte per altri possibili ospiti, ed ho realizzato altre serate tra le quali, ad esempio, quella con Eva Robins ed un’altra con Pamela Petrarolo, la Pamela di “Non è la Rai”, mio mito dell’adolescenza legato a quel programma che ha davvero fatto storia! Con Pamela nasce anche una bellissima amicizia, che nell’ultimo periodo è sfociata in collaborazione: gestisco, insieme ad un altro amico, la sua pagina Facebook. Se posso, ne approfitto per comunicare che il 28 Settembre uscirà il nuovo Album di Pamela Petrarolo, ed ancora che Pamela, dal 3 Settembre tutti i lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 19.00 alle 20.00, condurrà un suo programma su Radio Italia Anni ‘60 dal Titolo “Non è la Radio ma molto di più” ». Quindi potremmo anche sentire lei in radio, magari? «Può essere, può essere... al momento sto tentando di organizzare un’intervista per un’altra amica artista vogherese alla quale tengo molto, Michela Bonelli, che ha appena pubblicato il suo Album “Live in Studio” di bellissime cover ed entro fine anno pubblicherà l’Album di inediti!». Quale desiderio ha ancora nel cassetto Vito Romito? «Glielo rivelo: vorrei far parte del Cast di un Musical! Mi piacerebbe da morire! E credo di essere pronto: dopo 25 anni di danza e questi ultimi 8 anni di canto. Ed entro il nuovo anno (sorride), contatterò Gillian Bruce!». di Lele Baiardi
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MUSICA
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Voghera, gli Spigoli Trio: «Il disco che non c’è (era)»
«Fu così che in principio era un punto. Una nota musicale che non sapeva che fare. Poi girandosi ne vide un altro: Io sono un Punto – No, guarda... Sono io il Punto!... mentre i due litigavano, uno da lontano: Belin! Sono io il Punto!!!... I due Punti si fiondarono verso di Lui: Ah, ma sei tu! Vorremmo farti un Appunto! - A me un Appunto, due Punti che non siete altro? Tornate a casa vostra!... Per la corsa, sudando, si crearono due rette e da lì fu Spigolo... Trio». Questa breve introduzione è ad opera del Maestro Alessio Zanovello, stimato insegnante di musica e teatro di Voghera, che abbiamo incontrato in occasione della produzione di un nuovo Album in uscita a breve. Diplomato in Clarinetto presso il Conservatorio Vittadini di Pavia, giusto? A che età ha iniziato? «Sì, corretto. Ho iniziato a 12 anni, quando chiesi al mio insegnante di musica alle scuole medie, trombettista, di insegnarmi a suonar la tromba: mi disse che aveva in casa un clarinetto... così fu amore a prima vista! Nel corso degli anni ho studiato al Conservatorio per 7 anni, anche se gli ultimi 3 li ho fatti con il nuovo ordinamento, che prevedeva il conseguimento del Diploma di Laurea. Ho studiato contemporaneamente al Liceo Linguistico G. Galilei di Voghera. Ho finito di studiare clarinetto a 24 anni, un po’ tardi in realtà, perchè in quel lasso di tempo avevo fatto un tour nazionale con un Musical, con ‘ Shrek’, con l’attuale gestore del Teatro Nuovo di Milano». A 24 anni poi che succede? «A 24 anni avevo già partecipato a laboratori di propedeutica per le scuole elementari e materne, mentre da bambino studiavo teatro a Lungavilla, mia città natale. Nel corso degli anni mi sono poi appassionato ed ho anche seguito un corso di regia a Parma, con il ‘ teatro del cerchio’ di Mario Mascitelli, in collaborazione con Zanoletti, un attore del Piccolo Teatro. Tornato poi dal tour, ho fatto il primo laboratorio con Histoire du Soldat di Stravinsky con i ragazzi del Liceo Linguistico, uno spettacolo in 6 lingue con la parte finale in russo, comprensivo di balletto! Da li ho iniziato a fare tutti i laboratori teatrali e musicali, un ambito molto interessante perchè non ha confini». Insegna ancora al Galilei? «Sì, anche se dipende dai progetti che sto seguendo. Ora insegnerò di pomeriggio al laboratorio di teatro e musica. Da due anni facciamo una piccola rassegna di concerti in cui i ragazzi suonano e i docenti parlano dei legami esistenti tra la musica e altre materie, con 50 minuti di pratica. è un modo per far entrare la musica nei licei... E due anni fa, sempre, ho inziato anche il
Spigoli Trio: Alessio Zanovello, Lorenzo Guacciolo e Gabriele Montanari
laboratorio all’Istituto Gallini..». E fa la stessa cosa come al Liceo Galilei? «No, al Gallini insegno laboratorio corale. E già da quest’anno abbiamo fatto un piccolo laboratorio anche all’Istituto Maragliano sul tema dell’ex ospedale psichiatrico... ». Dall’anno scorso arriva anche questa nuova formazione in trio, Spigoli Trio: lei al clarinetto, Lorenzo Guacciolo alla chitarra e Gabriele Montanari al violoncello... «Sì, che in realtà è nato nel 2014. Questa musica nasce dall’improvvisazione insieme e viene pian piano strutturata, a costruire quelli che noi definiamo “i nostri paesaggi sonori”. I nostri brani principali, che saranno anche nel disco, sono legati al luogo dove sono nati, una frazione di Pinarolo Po, Logo, dove vivono i miei genitori... Ad esempio, uno dei nostri pezzi si chima “Logoritmi”». Che genere di musica fate? «è una bella domanda dalla risposta non facile. Possiamo dire che sia una musica di base jazz, con tanta improvvisazione e creazione di paesaggi estemporanei, ricerca e connubbio di idee. Il violoncellista è di stampo classico e legato molto alla musica mediterranea, araba, con idee popolari e mediorientali. Infatti “Passacampi”, la passacaglia scritta nei campi a Logo, che è il nostro primo brano, si ispira alle sonorità turche. è un Album strumentale...». Come si chiama l’album, per la produ-
zione del quale avete anche avviato un crowdfunding, vero? «La nostra campagna di crowdfunding sulla piattaforma Musicraiser si chiama “Il disco che non c’è (ra)”, l’idea è nata cosi, pensando di dare un contenitore alle nostre idee musicali. Sono 10 brani, di cui due cover: Dyin’ day e Moonglow. Abbiamo aperto la campagna il 23 di Luglio e si chiuderà il 19 di Settembre». Come sta andando la raccolta? «Molto bene! Siamo al 115%, abbiamo superato il budget previsto! Arrivati a 30 raiser, che abbiamo già superati, c’è la promozione sui canali Social di Musicraiser, a 50 c’è la possibilità di ottenere una “Promozione Community” con un banner dedicato sulla loro pagina, newsletters, etc., ed a 70 raisers l’opportunità di un Live, che è il traguardo che ora stiamo puntando, dove farci conoscere.
«Stiamo già registrando il disco, speriamo che la distribuzione inizi entro Natale, sia sui digital-stores sia su un’etichetta discografica»
Andando in studio, ci siamo accorti che per fare un disco servono tanti soldi, anche perchè suoniamo tutti gli strumenti, acustici, senza nulla di elettronico. Ci stiamo appoggiando al Pits Studio di Stefano Resca, un conosciuto batterista di Tortona. Sostanzialmente, avevamo pensato a Musicraiser per ampliare il nostro pubblico». Quale era il vostro target come budget? «1.500,00 euro: ora siamo a 1.760,00». A quanto ammontano le cifre di partecipazione, cioè i premi che ritornano ai Raisers? «Con 10 euro una copia cd, con15 euro cd e spilla, con 20 euro cd e spilla e bonus-track con dedica, con 25 euro cd e Le Fiabolacce, libro di fiabe scritto da me, edito da Primula Editore e spilla, con 30 euro cd e “la Cenetta Spigolosa, una cena in compagnia dei nostri Raisers, con 100 euro cd e una canzone scritta apposta per il raiser o un riarrangiamento a modo nostro di un brano dal raiser desiderato, con 150 l’House Concert, il concerto privato, e con 300 euro il Live, opzione pensata per locali, eventi, etc.etc.etc.». Una volta chiuso il crowdfunding il 19 Settembre, quale sarà il tempo di realizzazione dell’album? «Stiamo già registrando il disco, speriamo che la distribuzione inizi entro Natale, sia sui digital-stores sia su un’etichetta discografica... avremmo già in mente la Splash Records, conosciuta etichetta di jazz, su cui puntare per la commercializzazione». di Lele Baiardi
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Ritorna il nostro concorso che premia i migliori calciatori e allenatori dell’Oltrepò
Ritorna dopo un “anno sabbatico” il nostro concorsone dedicato al calcio dilettantistico in Oltrepò Pavese. Sono 40 i giudici, 20 allenatori, che dal mese di Ottobre ci comunicheranno i loro nominati: un portiere, un difensore, un centrocampista, un attaccante, e 20 capitani che invece dovranno “nominare” 3 allenatori. Abbiamo incontrato i due campioni in carica, Giovanni Bruscaglia e Mister Fabio Tondo che ci hanno spiegato le loro impressioni sulla nuova edizione. Giovanni Buscaglia In che squadra giocherà quest’Anno? «Bastida, é il terzo anno in questa squadra e sono molto fiero di esserne diventato da questa stagione anche il capitano». Dopo un anno di stop ritorna il Pallone&Panchina Blu, lei è il campione in carica tra i calciatori, chi pensa sia il favorito? «Il favorito quest’anno penso sia Leonello. L’anno scorso ha avuto molti problemi fisici e non é stato mai al top, ma fisicamente e tecnicamente é una spanna sopra tutti e penso sia il suo anno». E tra gli allenatori? «Tra gli allenatori dico spareggio finale tra Balestra, Pagano e Tondo». Obbiettivi della stagione? «Gli obiettivi della stagione sono quelli di lottare fino all’ultimo per i play off e di dare fastidio a tutte le big. Ci stiamo allenando bene e abbiamo allestito una rosa molto competitiva e affiatata, oltre al fatto di essere in una società come il Bastida dove la serenità, serietà e la voglia di migliorarsi con continuità fanno parte dell’ordine del giorno. In più penso che il mister Balestra sia la persona giusta per il salto di qualità». Fabio Tondo Che squadra allenerà quest’anno? «Come gli ultimi 5 anni, sarò l’allenatore della Portalberese». Dopo un anno di stop ritorna il Pallone&Panchina Blu, lei è il campione in carica tra i gli allenatori, chi pensa sia favorito? «Penso sia favorito Pagano del Varzi, anche se ho molta stima per Balestra del Bastida». E tra i giocatori? «Per i giocatori, faccio il tifo per un mio giocatore, il mio capitano Manuel Cobianchi». Obbiettivi della stagione? «L’obbiettivo della mia squadra è quella di eguagliare la posizione dell’anno scorso, dobbiamo arrivare tra le prime 5 in classifica».
di Nicolò Tucci
Giovanni Bruscaglia, vincitore Pallone Blu 2017
Fabio Tondo, vincitore Panchina Blu 2017
REGOLAMENTO E CONDIZIONI
La condizione necessaria per poter partecipare è che tutti i nominati e i giudici devono militare in squadre dell’Oltrepò pavese. IL PERIODICO PALLONE BLU VOTO DEI GIUDICI ALLENATORI: Mensilmente gli allenatori indicheranno: 1 portiere, 1 difensore, 1 centrocampista e 1 attaccante assegnando loro un punteggio: primo nominato saranno assegnati 40 voti, al secondo 30 voti, al terzo 20 voti e al quarto 10 voti. VOTI PRESTAZIONI Ogni mese I nominati dagli allenatori riceveranno voti sulla base delle prestazioni di squadra e individuali.
SQUADRA: ogni punto guadagnato in campionato dalla propria squadra varrà 10 voti. INDIVIDUALI: ogni giocatore potrà ricevere dei voti ad ogni gol fatto e in base al proprio ruolo corrisponderà un punteggio diverso: ogni gol segnato dal portiere corrisponderà a 250 voti, dal difensore a 120 voti, dal centrocampista 60 voti e dall’attaccante 30 voti. Se il portiere riuscirà a mantenere la porta inviolata avrà un bonus di 100 voti a partita. La vittoria del proprio campionato porta un bonus di 100 voti a tutti i giocatori della squadra. VOTI FACEBOOK
Dal 15 al 25 di ogni mese sarà possibile votare i nominati sulla pagina Facebook de “ILPERIODICONEWS” ogni mi piace corrisponde 1 voto, da quest’anno il tetto massimo di mi piace per ogni figurina è di 200 like, al raggiungimento del traguardo saranno aggiunti 20 voti bonus al giocatore. E necessario affinché il voto sia convalidato mettere mi piace sulla nostra pagina www.facebook.com/ ilperiodiconews IL PERIODICO PANCHINA BLU VOTO DEI GIUDICI CAPITANI: Mensilmente i capitani indicheranno 4 allenatori assegnando loro un punteggio. Al primo nominato saranno assegnati 40 voti, al secondo 30 voti, al terzo 20 voti e al quarto 10 voti. VOTI PRESTAZIONI Ogni mese gli allenatori nominati dai capitani riceveranno voti sulla base delle prestazioni di squadra: ogni punto guadagnato in campionato dalla propria squadra varrà 10 voti, ogni gol segnato varrà 10 voti e in caso di porta inviolata l’allenatore riceverà un bonus di 50 voti. In caso di vittoria del proprio campionato all’allenatore verrà assegnato un bonus di 100 voti. VOTI FACEBOOK Dal 15 al 25 di ogni mese sarà possibile votare i nominati sulla pagina Facebook de “ILPERIODICONEWS” ogni mi piace corrisponde 1 voto, da quest’anno il tetto massimo di mi piace per ogni figurina è di 200 like, al raggiungimento del traguardo saranno aggiunti 20 voti bonus all’allenatore. è necessario affinché il voto sia convalidato mettere mi piace sulla nostra pagina www.facebook.com/ ilperiodiconews.
SPORT
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Parapendio Voghera, «Voliamo a Borgo Priolo, Montalto Pavese, Ca’ del Monte, Cecima...» La ASD Parapendio Voghera, con sede in Via Tortona, nasce nel 2009 come Associazione Sportiva Dilettantistica e si aggrega sin da subito all’AeroClub D’Italia. Il suo scopo principale è la diffusione al pubblico del parapendio, per far sì che chiunque possa avvicinarsi alle emozioni che caratterizzano questo sport. Esso si svolge per mezzo di voli in tandem e, per quanto riguarda l’attività didattica, corsi base e avanzati. Nicolò Pacco è il Presidente e fondatore dell’Associazione nonchè Istruttore qualificato. La sua attività inizia nel lontano 1992, con 3000 voli in tandem all’attivo, destinati ad aumentare. Nella sua attività è affiancato dagli istruttori Nicola Villano e Flavio Bertarini e dagli assistenti Andrea Andrisano e Cristina Regis. Quanti iscritti conta l’Associazione? «Gli iscritti variano di anno in anno, perchè tutti quelli che superano l’esame finale si allontanano un po’ dall’associazione. Alcuni arrivano da località distanti come Sondrio, e quando riescono ad ottenere l’attestato di volo tornano nella loro zona d’origine. Quindi, in media, abbiamo una ventina di iscritti all’anno». Come sono strutturati i corsi, a livello di tipologia e frequenza? «I nostri corsi sono divisi in due livelli: base e avanzato. Il primo, che prevede la preparazione a terra, è finalizzato ad avvicinare l’individuo alla pratica del volo. Ci si esercita su collinette con un dislivello di 10-20 metri, di solito nella zona di Sella del Monte. Questa è la parte più pesante del corso, in quanto richiede un impegno maggiore. Già con la lezione iniziale si compiono i primi passi, anche se la preparazione completa richiede un paio di mesi. Diciamo che quando si entra nell’ottica di voler volare, più ore si dedicano meglio è; rimanere fermi per un lungo periodo può provocare un blocco, o al contrario una ripresa mal ponderata. La nostra attività si basa sulla preparazione dei corsi didattici e turistici, che permettono anche a personale non specializzato di provare l’ebrezza del volo, con una breve preparazione preliminare di 10 minuti. Il secondo livello, che prevede il possesso di un’attrezzatura propria, è finalizzato al conseguimento dell’attestato di volo». Quante ore è necessario dedicare all’allenamento? «L’allenamento varia in base alle esigenze degli allievi. Noi istruttori siamo disponibili a fornire il servizio tutti i giorni, anche se le presenze maggiori si concentrano nel weekend. La durata dell’escursione dipende dalla località in cui ci troviamo e dalle condizioni atmosferiche della giornata. Sfruttando le correnti ascensionali, può capitare di decollare anche da dislivelli di 200 metri, ad
esempio Borgo Priolo. La catena del Monte Lesima ci offre la possibilità di decollare anche sul versante Est, con i venti verso la Val Trebbia. Qui è presente un dislivello di 1200 metri».
pagamento di un’assicurazione. è uno sport riservato solo agli adulti, o può essere praticato anche dagli under 18? «L’età minima, secondo il decreto DPR/10, è fissata a 16 anni con il consenso dei genitori. Inoltre, sono requisiti obbligatori l’assenza di pendenze penali (comprovata dal nullaosta, rilasciato dalla Questura di residenza) e l’idoneità fisica». Quali sono i rischi legati a questo sport? «Nel volo si può quasi azzerare il rischio, se si pone molta attenzione a ciò che si sta facendo. Il rischio si alza se, in fase di decollo, non si tiene conto dei propri limiti e delle condizioni atmosferiche». Come insegnate a gestire le emozioni legate a questo sport, l’adrenalina che si prova mentre si vola?
se, Ca’ del Monte, Cecima. Tocchiamo il territorio di Pavia, Piacenza, Alessandria, Genova, Savona e Torino». Organizzate eventi o partecipate a delle manifestazioni? «Sì, ci sono delle manifestazioni alle quali partecipano le aziende produttrici dell’attrezzatura, che prendono parte a gare di livello Nazionale e Europeo. Tra le tante, ricordiamo il Festival della Alpi o la manifestazione che si terrà nelle Dolomiti il prossimo Ottobre». Come vede proiettata in futuro questa disciplina, sia a livello locale che nazionale? «Bene, soprattutto a livello Nazionale, perchè il parapendio verrà inserito come disciplina olimpica. Inoltre, in Italia stanno ipotizzando un abbassamento del limite
è uno sport costoso? «Tendenzialmente sì, anche se tra quelli di volo è il meno caro. Con una spesa che comprende corso e attrezzatura, ci aggiriamo intorno ai 4500 euro, cifra in cui è compreso anche l’attestato di volo. L’attrezzatura è composta dal parapendio e dall’imbrago (con paracadute di soccorso). Il corso costa 1200 euro, diviso in due rate. La prima parte prevede la preparazione ai primi voli (alti e a terra) con l’attrezzatura della scuola; la seconda parte è finalizzata all’acquisizione dell’attestato di volo e richiede il possesso dell’attrezzatura personale. è prevista una prova gratuita, organizziamo un open day rivolto a coloro che vogliono conoscere questo sport o avvicinarsi alla pratica. Inoltre, è richiesto il
«L’aspetto più importante da considerare, al di là dell’adrenalina del volo, è l’alterazione dell’equilibrio psicologico che può verificarsi nel momento in cui si inizia a praticare questo sport. Per questo è molto importante spingere l’allievo a rimanere vigile e a imparare a gestire le emozioni. In modo particolare, quando si prende l’attestato di volo, arriva la parte più difficile... si invitano gli allievi a volare sempre con l’istruttore, per evitare di commettere errori». La vostra associazione è di Voghera; avete iscritti anche in altre parti del territorio o solamente oltrepadani? «Abbiamo molti allievi che arrivano da altre zone, soprattutto Milano e Hinterland». Le vostre attività dove si svolgono principalmente? «Voliamo a Borgo Priolo, Montalto Pave-
di età dai 16 ai 14 anni, per aiutare la preparazione dei giovani atleti». Lei pensa che in Oltrepò si possa sviluppare una sorta di turismo legato a questa pratica? «Con la nostra collaborazione viene organizzata una manifestazione a Ca’ del Monte, con cadenza annuale, in cui si ritrovano appassionati e amatori. Quindi sì, penso che questo sport possa essere un catalizzatore per il turismo». In che modo vi finanziate? Ci finanziamo con le quote dei partecipanti. La scuola di parapendio richiede il pagamento di una quota associativa annuale pari a 2mila euro all’AereoClub d’Italia, che sovraintende al volo libero».
Nicolò Pacco, Presidente e fondatore dell’Associazione ASD Parapendio
di Federica Croce
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MOTORI
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Rally: in aumento le quote rosa, da Oliva Gessi Susy Ghisoni La presenza femminile nel mondo rallystico è felicemente in costante aumento e questo accade anche nella nostra provincia fin dagli arbori della specialità, quando la tenace vogherese Enrica Vistarini al volante della mastodontica Citroen DS21, si metteva alle spalle, nei rally di grande levatura, il fior fiore dei piloti di grido. Dal 2000 a tutt’oggi, c’é invece Costanza Pericotti, brava e veloce, cosi come la giovane Arianna Corallo, sulla scena dal 2015 o l’appassionatissima Marta Achino. Invidiabilmente strabocchevole é invece il numero delle navigatrici che può vantare il nostro Oltrepò. Ci limiteremo a citarne solo alcune tra le più conosciute nell’attuale scena sportiva, come ad esempio Silvia Gallotti, vincitrice del Trofeo A112 Abarth 2015 e oggi impegnata nel Campionato Italiano Rally, oppure Marty Marzi, campionessa italiana rally storici Gruppo 2 Classe fino a 1150 cc, Claudia Musti vincitrice del rally 4 Regioni Historic International nel 2017 e 2018 al fianco del fratello Matteo, Ilaria Maggi, vincitrice del Rally 4 Regioni Storico 2017 leggendo le note a Giorgio Buscone e ancora: Claudia Spagnolo, Cristina Pastorelli, Claudia Riboldi, Anna Sabadin, Graziella Uberti e tante altre fino alle ultime arrivate tra cui Giorgia Pertosa e Susy Ghisoni. Quest’ultima, mamma di una ragazza ormai adolescente, che da 4 anni é mamma a tempo pieno, (Essere una madre a tempo pieno è uno dei più bei lavori stipendiati… dato che il pagamento è puro amore - Mildred B. Vermont) riesce ora a ritagliarsi un po’ di tempo da dedicare ai rally, non molto, ma quanto basta a tenere viva quella sua passione, che nonostante la giovane età, parte da parecchi anni addietro, dalla fine degli anni ‘80, quando alla tenera età di 3 anni, grazie alla passione dei genitori, ha conosciuto i rally con le sue vetture e i suoi piloti che sfrecciavano sulle strade di casa tra le colline dell’Oltrepò pavese. Da signorinetta, a 14 anni, é iniziato il suo avvicinamento a questo mondo rumoroso, pieno di colori e di passione in cui, tuttavia, si muove con guardingo entusiasmo. Arriva poi l’agognata maggiore età ed eccola pronta a fare il suo debutto rallystico sul sedile di destra, ma per una serie di circostanze sfavorevoli, quel momento tanto atteso non va a buon fine. In lei c’è tanta amarezza, ma la passione è grande e non é stata scalfita dal contrattempo. Siccome la pazienza é la virtù dei forti, ecco finalmente che per Susy, l’occasione per il debutto si presentata quest’anno su di un piatto d’argento, proprio nella gara di casa: il Rally Valleversa. Ma come ha vissuto Susy Ghisoni tutto questo lungo lasso di tempo intercorso tra il mancato debutto e l’esordio vero e proprio? è proprio la ragazza di Oliva Gessi a raccontarcelo: «In questi anni che hanno separato il mancato
Susy Ghisoni, navigatrice di Oliva Gessi debutto dall’esordio vero e proprio, pur rimanendo sempre dietro le quinte, vuoi per il lavoro, vuoi per la famiglia, sono rimasta costantemente nell’ambito rallystico, questo grazie a parenti, amici e conoscenti vari che il mondo dei rally lo vivono giorno dopo giorno». Poi, cos’é accaduto? «è accaduto che nel 2016, ho deciso di frequentare, con soddisfazione, il corso per navigatori promosso dalla Scuderia Piloti Oltrepò e quest’anno, che ho trovato più tempo tempo da dedicare alla famiglia e anche a me stessa, ho potuto finalmente coronare un sogno covato per lunghi anni e questo grazie agli amici citati, ma soprattutto ad Alberto Moroni che mi ha dato fiducia e mi ha voluta al suo fianco al Rally Valleversa. Una grande gioia e ciliegina sulla torta siamo riusciti a portarci sul terzo gradino del podio in classe N3». Come ha vissuto la gara del suo debutto? «è stata una grande emozione. Sono tutt’ora quasi incredula: primo rally e già una coppetta da mettere in bacheca. Un’esperienza veramente bella, vissuta oltretutto al rally di casa, davanti ad amici e parenti, quindi ancora più emozionante no-
nostante i vari problemi patiti con la macchina, ma alla fine siamo riusciti a portarla fino sotto alla bandiera a scacchi, pertanto la soddisfazione è stata ancora più grande. In classe avevamo Marco Stefanone e Riccardo Filippini, portacolori della scuderia Efferre alla quale appartengo, di cui lo stesso Filippini ne é presidente, quindi è stato ancora di più bello e divertente». Ora che il primo passo l’ha compiuto e il primo sogno realizzato, ne ha un altro in serbo? «Certamente sì. Un mio grande sogno è quello di salire su un Super 1600, ma la strada è ancora lunga e ho molto da imparare». Ci sono molte donne che scalpitano per entrare nel mondo dei rally. A loro cosa consiglierebbe? «L’unico consiglio che posso dare è di credere molto in se stesse e di affidarsi a persone e scuderie competenti». Impegni futuri? «Prossimo impegno Rally di Carmagnola storico in cui leggerò le note a Fabio Saviotti sulla Peugeot 205. Poi, in futuro….. per scaramanzia non li dico». Siamo giunti alla fine della chiacchierata, ha qualcosa da aggiungere? «Sì. Vorrei approfittare dello spazio che mi avete dedicato, per ringraziare la scuderia Efferre che mi supporta molto e mi sopporta soprattutto, ma un ringraziamento doverosissimo va al presidente del sodalizio Riccardo Filippini che ha creduto tanto in me e si fa in quattro per tutti noi. Ha molta passione nel cuore e in quello che fa».
di Piero Ventura
L’Equipaggio Moroni - Ghisoni al Rally Valleversa 2018
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Zavattarello: Andrea Botti ai nastri di partenza del Rallye Elba Storico Una “passionaccia” per i rally sempre repressa per dare spazio al lavoro, poi una Lancia Beta Montecarlo che da lontano gli fa l’occhiolino e lui che se ne innamora. Ecco inizia così la fresca storia rallystica di Andrea Botti da Zavattarelo imprenditore nel settore del trasporto pubblico. Fatte le giuste lavorazioni, ecco che la vettura, il 25 giugno 2017 é pronta per il debutto agonistico, sia suo che del suo pilota. La gara prescelta é il Rally della Lana che affronta con Ruggero Tedeschi come navigatore e i colori di Paviarally, ma per la berlinetta a motore centrale di casa Lancia (derivata però da una collaborazione tra Fiat e Pininfarina destinata alla realizzazione di una vettura sportiva da cui far derivare facilmente, attraverso il reparto sportivo Abarth vetture da gara), non c’é molta fortuna ed é costretta a lasciare la compagnia anzitempo. A Luglio, Botti-Tedeschi e la Montecarlo si schierano al via del Rally 4 Regioni. Partono male, poi Botti da vita ad una lenta ma proficua rimonta sino alla PS n° 9 quando il propulsore si ammutolisce. Per la stagione 2018, Botti fornisce di un nuovo motore la sua Beta, ma anche questo lo tradisce alla vigilia del Sanremo. Al 4 Regioni Storico l’ordine tassativo era: “vedere il traguardo”. Obiettivo centrato. Nonostante un grave problema all’idroguida emerso già dalle prime battute di gara, Botti-Tedeschi, con tenacia, hanno raggiunto il traguardo finale cogliendo la vittoria di classe. Sarà invece dal 20 al 22 settembre prossimi che Andrea Botti e l’inseparabile Ruggero Tedeschi, ottimo navigatore di casa Efferre di Romagnese, si schiereranno ai nastri di partenza del 30esimo Rallye Elba Storico, gara che aggiunge nuove pagine di storia sportiva sul-
Botti - Tedeschi, Lancia Beta Montecarlo la scorta della tradizione di un luogo, l’Isola d´Elba, che più di ogni altro ha segnato in modo indelebile il cuore e la mente di chiunque, anche per semplice curiosità si sia interessato di auto da corsa. A bordo della Lancia Beta Montecarlo per i colori della Paviarally Club Autostoriche affronteranno la gara valida come settimo e penultimo appuntamento sia del Campionato Europeo Rally Storici che del Campionato Italiano. Inoltre, ha validità anche per il Trofeo A112 Abarth, che si gioche-
rà il gran finale stagionale con due tappe che saranno due gare distinte, per il Trofeo Michelin Historic Cup ed il Memory Nino Fornaca. Un’offerta agonistica a tutto tondo, quello del rallye Elba Storico che tornerà a proporre nuove ed esaltanti sfide con le vetture che hanno caratterizzato gli ultimi trenta anni della produzione automobilistica mondiale, come hanno scritto entusiasmanti cronache sportive. Una costante oramai da anni che peraltro sull’Isola più grande dell´arcipelago toscano va a
e favorire l’allungamento della stagione turistica unendo le bellezze del territorio al vero e proprio profumo di storia sportiva tra le più appassionanti al mondo. Previsti tre giorni di sfide su 9 Prove Speciali. La distanza del rally sarà 417,63 chilometri, di cui 135,33 di prove speciali. La partenza della gara avverrà da Capoliveri, alle 19,00 di giovedì 20 settembre, mentre l’arrivo é previsto, sempre a Capoliveri, sabato 22 settembre alle ore 15,00. di Piero Ventura
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MOTORI
SETTEMBRE 2018
Rally di Salsomaggiore: Pier Sangermani e Lorenzo Paganini i migliori tra gli oltrepadani Finale palpitante sulle strade parmensi del 1° Rally di Salsomaggiore Terme. L’iniziale leader De Stefani allenta la presa a metà gara e viene rimontato da D’Arcio e tallonato da Vittalini. Al via dell’ultima prova i tre sono staccati di solo di 1”6 ma Vittalini segna lo scratch decisivo con D’Arcio che si piazza al secondo posto. Lontani dalle posizioni di vertice gli equipaggi oltrepadani che rimediano buone performance nelle rispettive classi di appartenenza. “Finale non adatto ai deboli di cuore”… questa frase, più volte utilizzata per incontri di calcio o pallacanestro, calza a pennello per il 1° Rally di Salsomaggiore Terme, gara organizzata magistralmente dalla Media Rally e Promotion e dalla Salso Rally&Promotion. Sono Alex Vittalini e la compagna (di vita e di abitacolo) Sara Tavecchio a brindare al successo dopo una gara che ha vissuto di colpi di scena a dir poco elettrizzanti: partito al comando il cremonese Mauro De Stefani in coppia con Davide Pisati (Renault Clio S1600 Top Rally), dopo due speciali è stato proprio Vittalini ad imporsi nella ”piesse” tre. Se nella quarta il driver di Cremona riprende le redini della gara, è nella quinta che inizia il “terremoto”: D’Arcio - autore di una sbavatura in Ps1 vince scavalcando nella generale De Stefani per solo 0”1. Lotta a due per il finale? Manco per sogno perché “Vitta”, dietro di solo 1”6 piazza la zampata finale rifilando 2”5 a D’Arcio e 4” a De Stefani che in quest’ordine completano il podio. Per gli oltrepadani in gara, la migliore posizione nella classifica assoluta é stata col-
Sangermani - Paganini a bordo della Mitsubishi Lancer by Efferre di Romagnese
ta da Pier Sangermani e Lorenzo Paganini a bordo della Mitsubishi Lancer by Efferre di Romagnese, quattordicesimi assoluti, terzi di Gruppo N e secondi di classe N4, mentre la R2B, dopo la bella cavalcata di Cogni (poi attardato da una foratura) e Gualandi (errore in Ps2) a primeggiare é l’esperto Vallino con Vitali (Peugeot 208 Effemme) davanti al milanese Musci navigato dall’oltrepadano Andrea Covini (id
Autotecnica2). Sempre in questa classe, Stefano Sangermani e Fabrizio Soncin su di una vettura gemella per i colori del Road Runner Team di Casteggio hanno chiuso l’impegno al 4° posto. Dopo la bella prova fornita al Rally Valleversa, ci si attendeva qualcosa di più del 7° posto in classe A7 da Pietro Tronconi e Claudia Riboldi con la Clio Williams, rallentati da qualche problema di troppo. Sergio Ros-
si, alle note di Giuseppe Sartori sulla Clio N3 si é dovuto accontentare del 6° posto di classe, mentre l’unica vittoria di classe l’ha ottenuta il nostro Paolo Maggi alle note del cremonese Andrea Compagnoni sulla Cooper S RSTB-W1.6. Dei 121 partenti sono stati 96 i concorrenti che hanno visto il traguardo finale. di Piero Ventura
MOTORI
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SETTEMBRE 2018
Auto d’epoca a Bobbio: bene gli oltrepadani Continua il successo della Bobbio Penice, valida per il Trofeo Renati, istituito in memoria di colui che nel 1929, creò questo evento che anno dopo anno ha assunto caratura internazionale. La competizione, oggi riservata alle auto d’epoca, é un appuntamento ormai abituale che vanta una storia di prestigio e di nomi illustri, basti pensare a quell’Enzo Ferrari che il 14 giugno 1931 conquistò a bordo dell’ Alfa Romeo 8C 2300 il podio: era la sua ultima corsa come pilota. Da quel momento si sarebbe dedicato anima e corpo a quella che sarebbe diventata la scuderia automobilistica più famosa del mondo. Tornando all’attualità, l’evento organizzato dall’Associazione C.V.S.P. (Club Veicoli Storici Piacenza) ha presentato un percorso interessante e nel contempo molto suggestivo distribuito sulla distanza di 140 km con 46 prove cronometrate, 4 Controlli Orari e 3 Controlli Timbro, sul quale si sono confrontati 67 equipaggi provenienti da tutta Italia e dalla vicina Svizzera. La gara, ha visto salire sul podio assoluto tre “pezzi da 90”: Rapisarda, Bonfanti e Fontana. Tra gli equipaggi in gara appartenenti al sodalizio di Casteggio Veteran Car Club Carducci, nella classifica generale della gara che non tiene conto dei coefficienti, ha primeggiato quello formato da Giampietro Guatelli e Fulvio Negrini su Innocenti Mini Cooper del 1966, davanti alla piccola Fiat 500 del 1965 di TamburelliAdaglio e alla Porsche 911 S del 1970 di Borgonovi-Mezzadra seguiti nell’ordine da: Verri-Ventura (Fiat 124 Spider del 1971), Vernetti-Kalaja (Fiat 124 Spider del 1970), Giorgi-Malaspina (MG A del 1957), Rosetta-Degliantoni (Lancia Fulvia Coupè del 1974) e Cigalino-Manfrin ( Opel Kadet Gsi del 1991). è importante sottolineare che con l’attribuzione dei coefficienti, gli autori della migliore performance sarebbero Tamburelli-Adaglio. La gara, ha avuto la validità quale terza prova del Campionato VCCC 2018, dopo “Tutti al Golf” e “Giro Notturno”. è stata una manifestazione bella e vivace che si é svolta su di un percorso tecnico e spettacolare, passato agli annali per essere stato calcato da grandi rally come il 4 Regioni ed il Valli Piacentine. Nomi quali: Penice, Bobbio, Coli, Pradovera, Santa Barbara, Farini d’Olmo, Ferriere, Passo del Mercatello, Marsaglia ecc, che profumano ancora di storia motoristica, sono state solo alcune località toccate dalla gara.
La Bobbio Penice: 140 km con 46 prove cronometrate, 4 Controlli Orari e 3 Controlli Timbro, sul quale si sono confrontati 67 equipaggi provenienti da tutta Italia e dalla vicina Svizzera
Vernetti - Kalaja, Fiat 124 Spider del 1970
Giorgi - Malaspina, La MG A del 1957
di Piero Ventura Tamburelli - Adaglio, Fiat 500 del 1965
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Borgonovi - Mezzadra, Porsche 911 S del 1970