Il Periodico News - DICEMBRE 2018 N°137

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Per fare il tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero, per fare il vino ci vuole l’Oltrepò?

Anno 12 - N° 137 DICEMBRE 2018

20.000 copie in Oltrepò Pavese

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Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

«Malumori con Ghezzi?

CASTEGGIO «Arnese: «Callegari arrogante, ma tace le sue magagne»

Un po’ di zucchero nel caffè e passa tutto»

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BRESSANA BOTTARONE Una cava sull’area golenale del Po minaccia Bressana Bottarone Nuova questione ambientale per il Comune di Bressana. Si tratta di una cava che, pur trovandosi nel comune di Cava Manara... pagine 46

GODIASCO SALICE TERME Fondazione “Varni Agnetti” Onlus : 20 anni di attività

Una folla di persone (più di 500) hanno presenziato alla cerimonia di inaugurazione degli A.P.A. Alloggi Protetti per Anziani... da pagina 25

VAL DI NIZZA

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ZAVATTARELLO «Aver visto la speranza negli occhi e negli atti di tanti concittadini...» Una parola emersa dalla chiacchierata con il sindaco di Zavattarello Simone Tiglio colpisce: “speranza”. Dizionario alla mano... pagine 36 e 37

MORNICO LOSANA La pancetta con cotenna: «Ci sono pochi produttori, solo tre o quattro» Nella narrazione delle tipicità dell’Oltrepò Pavese un posto di rilievo spetta alla pancetta. E non parliamo in questa sede di una pancetta... pagina 45

«In questo Consorzio, Torrevilla non si riconosce nel modo più assoluto» Torrevilla, storica cantina sociale dell’Oltrepò Pavese con sede a Torrazza Coste e Codevilla, è stata oggetto negli ultimi tre anni di un importante lavoro di ristrutturazione. I risultati sono notevoli. E non a caso, in seguito a questa fase espansiva per le idee, oltre che per gli indici meramente economici, sta diventando sempre più un punto di riferimento anche per gli altri produttori. Nuove adesioni di una certa caratura si sono registrate nella compagine associativa, fra le quali alcune delle più importanti cantine dell’Oltrepò Pavese. Tutte accomunate da obiettivi qualitativi non sempre scontati nel passato anche recente. È soprattutto da questi rapporti di collaborazione, e prima ancora pagine 20 e 21

Il 2020 si presenterà come un anno fortunato per Rivanazzano Terme e per l’Oltrepò Pavese, le speranze dei mesi scorsi si sono trasformate in realtà: la Sei Giorni di Enduro 2020, su domanda da parte del Moto Club Vittorio Alfieri di Asti alla Federazione Motociclistica, è stata accettata. Sede a Rivanazzano Terme e molto probabilmente la logistica sarà nell’area dell’aeroporto ed i percorsi della gara in prevalenza in Oltrepò. Per il Moto Club Vittorio Alfieri di Asti che in collaborazione con il moto Club Pavia, il moto Club Varzi, il moto Club Valli Oltrepó ed il moto Club Valle Staffora... pagina 3

news

Varzi e il prossimo sindaco, per ora sembra corsa a due

oltre

Risarcimento danni per il gelicidio «All’Oltrepò solo le briciole» Arrivano dalla Regione i risarcimenti per il gelicidio dell’anno scorso e l’Oltrepò si rivela subito una cenerentola. “Solo” 180mila gli euro...

Alessandra Bazardi è stata confermata alla guida della segreteria vogherese del Partito Democratico. Eletta con il 90% dei consensi, seppur in una “corsa” dove era l’unica concorrente, avrà il compito di guidare il partito alla difficile sfida delle elezioni comunali del 2020. Recuperare consensi e terreno sui rivali... pagina 4

il Periodico

Chiamato in causa e sentitosi denigrato dal sindaco Lorenzo Callegari nell’intervista apparsa sullo scorso numero del nostro giornale...

Il 2020 sarà un nno fortunato per Rivanazzano Terme e per l’Oltrepò

Le Elezioni comunali 2019 si terranno in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno nei Comuni con scadenza naturale del mandato degli organi eletti nel primo semestre del 2014 ed in quelli alle elezioni anticipate perché commissariati o per motivi diversi. Varzi tra circa 6 mesi dovrà eleggere il nuovo sindaco e la sua “squadra”. ll 25 maggio 2014 i varzesi avevano riconfermato il sindaco uscente Gianfranco Alberti. pagina 31

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ANTONIO LA TRIPPA

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Il 2020 sarà un anno fortunato per Rivanazzano Terme e per l’Oltrepò Il 2020 si presenterà come un anno fortunato per Rivanazzano Terme e per l’Oltrepò Pavese, le speranze dei mesi scorsi si sono trasformate in realtà: la Sei Giorni di Enduro 2020, su domanda da parte del Moto Club Vittorio Alfieri di Asti alla Federazione Motociclistica, è stata accettata. Sede a Rivanazzano Terme e molto probabilmente la logistica sarà nell’area dell’aeroporto ed i percorsi della gara in prevalenza in Oltrepò. Per il Moto Club Vittorio Alfieri di Asti che in collaborazione con il moto Club Pavia, il moto Club Varzi, il moto Club Valli Oltrepó ed il moto Club Valle Staffora, che ha sede proprio a Rivanazzano Terme, ed altri moto club italiani che si aggiungeranno certamente in un prossimo futuro, sarà un grande impegno. Per l’Oltrepò Pavese e per Rivanazzano Terme una grande opportunità turistica ed economica. Certo ospitare una Sei Giorni di Enduro considerata “l’Olimpiade della moto”, è un evento che si racconterà ai nipoti! Si tratta di un evento internazionale che si svolge ogni anno in una nazione diversa, quest’anno si è svolto in Cile e assegna il titolo di campione del Mondo Enduro a squadre Nazionali. Dal punto di vista sportivo è una grande sfida, ma in un Oltrepò in crisi turistica, mi preme sottolineare, come questo evento di carattere mondiale, può e deve essere una grande opportunità turistica, economica e pubblicitaria. I partecipanti provenienti da tutto il mondo, in base ai dati statistici delle ultime Sei Giorni organizzate, saranno circa 700, ogni partecipante avrà al suo seguito circa tre meccanici, i partecipanti arrivano una settimana prima della gara e quindi soggiorneranno in Oltrepò per circa 12 giorni. Questo vuol dire 8.400 pernottamenti! I meccanici, statisticamente 3 per ogni partecipante, quindi circa 2100 persone soggiorneranno in Oltrepò per 8 giorni, quindi 16.800 pernottamenti. A questi bisogna aggiungere lo staff organizzativo, i giornalisti, i team manager, per un totale di circa altre 400 persone che rimarranno per almeno 7 giorni, quindi altri 2.800 pernottamenti. In base ai dati storici delle località che hanno ospitato la Sei Giorni di Enduro negli ultimi anni, i pernottamenti previsti sono circa 27-28 mila. In Francia, nel 2017 alla Sei Giorni, svoltasi a Brive la Gaillarde, a titolo esemplificativo, il pilota vogherese Paolo Buscone, che ha partecipato con l’Husqvarna 300, ha pernottato a circa 100 km da Brive la Gaillarde, perché più vicino non c’era posto. Chiaramente oltre ai partecipanti, ai meccanici, ai tecnici ed ai membri dello staff organizzativo, la gara sarà seguita da tantissime persone, appassionati ed anche semplici curiosi, si stimano almeno 5.000 persone ogni giorno che assisteranno alle

Edizione della Sei Giorni Enduro in Portogallo

Edizione della Sei Giorni Enduro in Francia varie prove speciali. Per l’Oltrepò e per Rivanazzano Terme la 6 Giorni deve essere vista quale vetrina internazionale attraverso cui può promuoversi avendo a disposizione un’ineguagliabile opportunità di marketing turistico. È acclarato che accanto alle più tradizionali e diffuse forme di turismo, negli ultimi anni si è andata affermando una pratica turistica innovativa legata al mondo dello sport che ha generato interessanti risultati sia in termini economici che di movimento turistico. Un evento sportivo come la Sei Giorni possiede un intrinseco potere di comunicazione ed in quest’ottica si propone come vetrina per Rivanazzano Terme e per tutto l’Oltrepò, poiché permette una sovraesposizione a livello globale, un mezzo per creare landmark, un punto di riferimento, necessario ad attirare investimenti a livello pubblicitario, così da agevolare e accelerare lo sviluppo e la promozione non solo del nostro territorio, ma anche dei nostri pro-

dotti, siano essi, vino, salumi, formaggi e prodotti tipici. La Sei Giorni può attribuire un marchio di fabbrica sinonimo di dinamismo, di vitalità e di creatività, un’immagine di efficacia e di efficienza alla zona che la organizza, è un’occasione per promuovere l’accoglienza. L’impatto economico risulta essere costituito da almeno due diverse dimensioni valoriali: 1) Valore diretto: generato dal comportamento di spesa dei partecipanti e degli spettatori per partecipare all’evento. Le spese per il viaggio, per il pernottamento, per il vitto e per i servizi vari. A queste vanno aggiunte anche le spese imputabili all’organizzazione vera e propria della manifestazione: costi relativi all’allestimento degli spazi, alla comunicazione e promozione, alla fornitura di materiali, etc. etc.etc. Tutte queste attività genereranno in Oltrepò dei flussi finanziari che non si sarebbero manifestati in assenza della 6 Giorni.

2) Valore indiretto: generato dall’intero tessuto economico locale. Rappresenta le spese sostenute, sia dagli organizzatori, sia da tutte le imprese che hanno beneficiato degli effetti diretti legati alle spese dei visitatori. In pratica per rispondere alla crescente domanda di servizi, queste imprese hanno necessariamente implementato le loro attività economiche in termini di approvvigionamento, risorse umane, etc.etc. etc. andando così a stimolare, a loro volta, l’economia locale rivolgendosi ai fornitori presenti nell’area ospitante. La gara si svolge nel corso di sei giorni ed è composta da prove di varia natura: “prove speciali” denominate: Enduro Test, CrossTest e Test Estremo. Durante le giornate verranno fatti dei trasferimenti, tratti questi che partono da un punto A ad un punto B del percorso in fuoristrada, dove i piloti devono rimanere all’interno di un determinato tempo imposto dagli organizzatori, sforando il tempo massimo, i piloti rischiano una penalità. Particolarità della gara è il fatto che i piloti partecipino su motociclette di varie cilindrate coprendo tutte le categorie del mondiale Enduro. Il termine enduro deriva dall’inglese “endurance”, cioè “resistenza”, infatti tale disciplina si pratica principalmente su strade sterrate e mulattiere con qualsiasi condizione del terreno e meteorologica, richiedendo quindi una notevole resistenza fisica ai piloti. Le motociclette da enduro devono rispettare le norme imposte dal codice della strada. Possono infatti circolare sulle strade aperte al traffico, essendo provviste di impianto di illuminazione, indicatori di direzione, targa, terminale di scarico e pneumatici omologati. In ultima analisi occorre ricordare che organizzare un grande evento comporta notevoli pressioni sull’ambiente e per la sua salvaguardia e siamo ragionevolmente certi che gli organizzatori porranno a questo aspetto la massima attenzione. Certamente esiste la concreta possibilità che sentieri in disuso ed ora impraticabili vengano riaperti e resi utilizzabili non solo durante la 6 Giorni, ma anche per chi vorrà fruirne successivamente. Certamente alcuni parleranno d’impatto paesaggistico ed ecologico, di rumore fortissimo, di gas di scarico, lacerazione del suolo e del cotico erboso, distruzione dell’habitat naturale di alcuni animali, etc. etc. etc. Tutto da mettere sul piatto della bilancia, ma è anche vero che ospitare una gara di enduro, importante come la 6 Giorni, porterà gente, lavoro, soldi, che in un periodo non proprio roseo per il turismo dell’Oltrepò, sono una boccata d’ossigeno. E pensate se la Sei Giorni venisse fatta in qualche località a noi vicina, ma non in Oltrepò.... Quanto ci saremmo rammaricati di aver perso l’ennesima occasione! di Antonio La trippa


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«Malumori con Ghezzi? Un po’ di zucchero nel caffè e passa tutto» Alessandra Bazardi è stata confermata alla guida della segreteria vogherese del Partito Democratico. Eletta con il 90% dei consensi, seppur in una “corsa” dove era l’unica concorrente, avrà il compito di guidare il partito alla difficile sfida delle elezioni comunali del 2020. Recuperare consensi e terreno sui rivali del centrodestra in città non sarà facile. Una sfida che, considerati i numeri di una città da quasi vent’anni “azzurra” come Voghera, risulta ardua quanto quella del piccolo Golia contro il gigante Davide. Bazardi, partiamo dalla sua conferma alla guida del partito. è stato difficile convergere su una candidatura unica? «Non so se, come fu nel 2015 per la mia prima elezione, in questo caso si possa parlare di candidatura unitaria, io ho presentato il mio programma e progetto per la città che è stato condiviso da tanti e che ha aggregato la quasi totalità del partito. Non so dire se ci fosse la volontà di candidare anche qualcun altro, penso di sì, è naturale quando occupi un ruolo avere avversari, forse non sarebbe stato male confrontarsi all’interno, ma di fatto nessuno lo ha fatto». Perché secondo lei? «Forse perché ha capito che non avrebbe avuto i numeri per vincere oppure perché ho lavorato bene in questi anni e si è deciso di portare avanti il progetto iniziato per completarlo. Sono stata eletta con 106 voti, oltre il 90% dei consensi. Ed è una grossa responsabilità, lo ammetto. Poche schede bianche o nulle, una decina, hanno stimato chi non era d’accordo col progetto. A me il compito di convincere anche loro». A proposito di persone da convincere. Si dice che il suo rapporto con Pier Ezio Ghezzi non sia idilliaco. Può spiegare che rapporti di forza ci sono all’interno del PD vogherese e come stanno le cose tra lei e l’attuale leader dell’opposizione in consiglio comunale? «In un partito ci possono essere discussioni, confronti, punti di vista diversi e forti personalità che si scontrano, ma non deve mai mancare il rispetto per le persone, i ruoli e gli organismi. Io questo rispetto l’ho sempre avuto o almeno ci ho provato con tutti e spero che la cosa sia reciproca. Poi certo Voghera è maestra nel creare gossip, nei bar si sente di tutto. Servono lavoro e consensi, non rapporti di forza. Per il resto un bel cucchiaino di zucchero nel caffè e passa tutto». Lei condivide la linea di Ghezzi? «Esiste una linea del partito, condivisa e portata avanti da tutti, non una linea dei singoli. Tutto il gruppo dirigente vogherese sta lavorando per un nuovo progetto che ha come obiettivo vincere le prossime amministrative. Pier Ezio Ghezzi è stato il nostro candidato sindaco e ha dimostrato di essere competitivo assieme al Pd e alla

Alessandra Bazardi lista civica arrivando a 200 voti dalla meta. Ora è impegnato nel progetto quartieri e in consiglio comunale e resta una preziosa risorsa per il partito». Parliamo della vostra recente azione relativa al caos bollette in Asm. Facendo prima un passo indietro: può spiegare che cosa è accaduto e a chi crede vadano imputate le responsabilità? «Asm Vendite e Servizi è sempre stata una società fiore all’occhiello e ben gestita, poi qualcosa si è rotto, alcuni dipendenti hanno lasciato l’azienda, sono stati improvvisamente cambiati i vertici del Cda e inserite persone tramite agenzie interinali che però non sono riuscite a gestire gli imprevisti causando disservizi per gli utenti, fatturazioni strane, bollette a emissione non regolare. Una situazione di emergenza che va avanti da mesi e che ultimamente ha portato addirittura a una riorganizzazione interna come dichiarato dalla presidente Monica Sissinio (alla quale va dato atto di essersi impegnata) e l’annuncio di un nuovo responsabile». Avete iniziato una raccolta firme su questa situazione. A quale scopo? «Lo scopo è raccogliere il malumore dei cittadini per renderlo palese agli occhi dell’Amministrazione, alla cui attenzione la raccolta firme sarà poi sottoposta. Nessuno è contento della situazione di ASM, tutti dobbiamo contribuire alla risoluzione del problema, ma è indubbio che il caso bollette assieme a quello della nuova raccolta differenziata sia il tema che tiene banco. Nell’ultimo consiglio comunale sono state presentate alcune interpellanze a cui i vertici di Asm hanno risposto in modo parziale e non del tutto soddisfacente, specie sulla parte relativa ai rinnovi dei contratti. E pertanto continueremo a “interpellare” per avere risposte, a fare accesso agli atti, a batterci per arrivare a una soluzione.

Sui giornali se ne è parlato tanto, ma alla gente non basta sapere che il problema esiste e leggere promesse. Vuole vedere i fatti». Non crede che la raccolta firme possa essere considerato un mero atto propagandistico? «No, perché ha lo scopo di dare forma alla voce e al disagio della gente quantificandolo e sensibilizzare l’amministrazione comunale e i vertici di Asm. Vedere la gente chiedere dove si firma e avvicinarsi al nostro banchetto conferma che il problema esiste in città e non va sottovalutato. Il ruolo dell’opposizione è fare politica sollevando i problemi laddove ci sono, con fine ultimo il bene della città». Quante firme avete raccolto? «Abbiamo appena iniziato. In due mercati di circa due ore hanno firmato oltre 130 persone, ma stiamo proseguendo la raccolta in sede, organizzeremo altri momenti per tutto il mese di dicembre. Credo che ne raccoglieremo parecchie». Passiamo al destino del centrosinistra vogherese in vista del 2020. Facessimo dei sondaggi oggi, ammesso che la Lega non decida di “tradire” la coalizione di centrodestra, non avreste molte chance... «Le elezioni a Voghera saranno nella primavera del 2020. Un tempo medio lungo. E in politica le cose cambiano molto rapidamente. Ora il vento della destra soffia in tutta Europa, in Italia e quindi anche su Voghera. Non dimentichiamoci però quello che accadde nel 2015 e che oggi registriamo: il centro destra andò alle elezioni spaccato, con due candidati. Ora in città abbiamo una situazione strana e per certi aspetti singolare: Lega e 5 Stelle sono insieme all’opposizione di una giunta di Centrodestra, insieme come al governo».

Alessandra Bazardi confermata alla guida del PD iriense. «Io candidata unica? Nessun altro si è fatto avanti»

Lei crede in un possibile asse Lega-5 Stelle anche in città? «No, secondo me si punterà a una coalizione a destra. La Lega è forte e non penso rinuncerà al candidato sindaco. Occorre vedere se il resto del centrodestra è disposto ad avere un ruolo da comprimario o se

Raccolta firme sul caos bollette in Asm: «Porteremo i malumori dei vogheresi al sindaco»

vuole continuare ad essere protagonista in città. Un partito come Forza Italia che a Voghera ha una percentuale maggiore al nazionale e che al momento guida la città lascerà lo scettro alla Lega? I segnali arriveranno anche dal nazionale e dalle prossime amministrative, in primis a Pavia, anche se Voghera fa sempre un po’ a parte». Da anni in città la sinistra non ha un “uomo” forte da contrapporre al candidato della destra... Nel 2020 sarà la volta di una donna? Magari proprio lei? «Siamo reduci da un congresso in cui abbiamo eletto una donna Segretario Provinciale, ma prima dei nomi ci vogliono i programmi. O meglio i progetti. Abbiamo bisogno di gettare le basi per un grande progetto di centro sinistra per la nostra città che sia il più possibile inclusivo e aperto. Un progetto così ambizioso non deve avere solo come tappa le primarie. Deve nascere dalla base, dai contenuti e dal radicamento in città prima che dai nomi». Avete una strategia? «è da tre anni che lavoriamo nei quartieri con iniziative che hanno come finalità quella di trovare consensi e persone, in una modalità civica ma che sia di apertura e non di sostituzione. Dobbiamo avere l’umiltà di ascoltare gli elettori e di porci in modalità ascolto anche con le altre forze politiche e civiche della città laddove ci siano punti di unione. Anche se il partito deve tornare ad essere il punto di partenza, il punto da cui ampliare i consensi». Da ormai 20 anni Voghera è una roccaforte del centrodestra. Dove è mancata la sinistra in questo lungo periodo? «è mancato il radicamento sul territorio, con il mondo della società civile, c’è stato un allontanamento del nostro elettorato storico popolare e il mondo del sindacato. Il profilo dell’elettorato è cambiato e abbiamo perso quello che per anni ci dava fiducia. E poi se si analizzano i dati delle precedenti elezioni nel Centrodestra ci sono alcuni “portatori di voti” eccellenti che la sinistra non ha avuto. Quindi occorre trovare punti di riferimento territoriali e politici». di Christian Draghi


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La Mairie en rose Ho voluto dare un titolo in lingua francese, d’Oil e non d’Oc, a questo testo che tratta di responsabilità, di potere, di incarichi al femminile. Parlare di responsabilità, incarichi e potere suona, negli annali ed archivi storici, sempre, o quasi, decisamente maschilista; ne fanno particolarità più o meno recente, rara ed evidente, per quanto concerne la nostra Nazione, probabilmente Marisa Bellisario nel Mondo Industriale e Susanna Agnelli, Nilde Iotti e Tina Anselmi nel Mondo Politico, l’Agnelli non solo nel Mondo Politico (i caratteri maiuscoli vogliono sottolineare essenzialmente l’alta caratura professionale ed altrettanta fama e ruoli storici), e, “Grandeur maximale”, le Famiglie Reali Inglesi ed Olandesi. Ritengo possa, la titolazione francese, essere più chic, più elegante, più sobria, e nel contempo solare, di un qualsivoglia titolo in lingua italiana. “Il Municipio in rosa”, come la vita cantata da Edith Piaf, già di per sé è certamente un’evocazione innovativa, moderna, contemporanea: basti pensare a Roma, oppure Torino. Anche in altri piani di potere, istituzioni varie, centri di comando già siedono “Personnalités en rose”, poche, ma... a Voghera no. Qui da noi non è mai accaduto. Mai nella storia. Mai. Il nostro Municipio non è mai stato “Une Mairie en rose”. Mi sto ovviamente riferendo allo scranno più alto, senza scendere nei camerini. Forse non lo sarà ancora, ma... se solo nel 2020... ?! Se il Terzo Decennio del Terzo Millennio si aprisse agli occhi della nostra Città con “Une Mairie en rose” ?! Qual cambiamento! Gli appassionati di esoterismo ed alta religiosità potrebbero addirittura leggere in tutto ciò la realizzazione, seppur iniziale, del messaggio subliminale arrivatoci per via letteraria da Dan Brown nel suo celeberrimo “Il Codice Da Vinci”, ove, oltre alla controversia sulla deriva meretrice della Maddalena, in realtà citata come l’Apostolo preferito essendo stata la prima a vedere il Cristo risorto, oltre al dolce ed enigmatico sorriso della Gioconda vinciana (da studi recenti, possibilmente forse, una Marchesa Malaspina con alle spalle il Borgo di Bobbio) utilizzato nella ricerca del Sacro Graal, proprio nella discussione sul Graal e la sua forma “a calice”, che parte largo per restringersi ad imbuto come il ventre materno, che ne impone una nuova nomenclatura quale “il Potere del Femminino Sacro”, qui troviamo il messaggio politico-religioso occidentale: non uomini, bensì donne al Governo! In barba ai Templari ed al Priorato di Sion, che ne hanno difesi, secondo Brown, tesori e segreti nei secoli, la sentenza conclusiva chiosa con : il Potere va dato alle Donne !!! Tornando al nostro “Mairie en rose”, noi non abbiamo a disposizione il Graal, ahimè: gli unici calici

che abbiamo a disposizione sono quelli degli aperitivi nei bar cittadini, e su quelli costruiremo la nostra enciclica. Pare che, e sottolineo “pare”, Palazzo Gounela nel 2020 potrebbe effettivamente tingersi “en rose”. E devo dirvi, tra calici ed in vino veritas, che tutte le possibili “Dames” godono anche di positivi attributi estetici non contestabili! Mesi or sono, alcuni calici cittadini avrebbero già timidamente brindato all’idea, possibilista, che una bellissima donna, Signora Bene all’interno dell’estesa comunità iriense, la famiglia di provenienza della quale avrebbe da molti decenni straordinariamente illuminato interni ed esterni nel mondo, potesse guidare l’ascesa femminile. Si narra però, già, ahimè... di gentil diniego. Ma in politica, si sa, il temporaneo ritiro è talvolta preparazione al “Grand Jetè” final, un salto in spaccata che tutto e tutti supera... Nel bar di fianco, quasi in contemporanea, i 4 amici di Gino Paoli amabilmente discutevano sulla possibilità di cambiare il mondo, in vino veritas nuovamente, e più approfonditamente sulla possibilità che l’incarico Presidenziale dell’avvenente assicuratrice ed imprenditrice “Pret-a-porter” non fosse altro che la prova generale all’arrembaggio del primo “Mairie en rose” voghere-

se. Ma ancor si narrò illo tempore, ahimè, d’un distaccato “Come avessi accettato. Grazie.”. E, nel fuori-onda... “Si, mi scusi, diceva... Polizza, numero? Taglia, numero? Contatore, numero? Fattura, nume... ah no... aspetti...”. L’armata ex-Sion si rivolse probabilmente allora, sempre levando i calici ma in un locale non centralissimo, ad una bella, raggiante, simpatica ma anche temibile, per forte personalità, … locandiera. Imprenditrice della buona tavola e della buona cantina, che negli “Affaires Politiques” non guasta mai, gode certamente di maggior simpatia e Charme, dal basso-popolare fino alla medio-alta “Bourgeoisie”, rispetto al maschil-Chevalier del partito “Toujours” duro! Di lei, al momento, non si ha notizia, no rumors, no gossip, … ma chissà... Rientrando quindi verso Place Vendôme,... ah no, scusate... Piazza Duomo, un altro nutrito gruppo di avventori, al canto Verdiano del “Libiamo ne’ lieti Calici”, in attesa che il Teatro ospiti l’Opera integrale, sta sottolineando l’irreale possibilità che non sia la Cultura a farla da “Soprano” in tal gentil tenzone! E con tal raccolta di deleghe, possa mai venir escluso “L’Assesseur/Conseiller” più … passionné ! Jamais, pour Dieu! Ancor qui, a calici calati, taluni agitano

lo spettro, sulla Rive Gauche, la sponda di Sinistra, delle concorrenti: la bionda “Secrétaire” del Gauche Partito, o magari, perché no, la Rossa di lei amica Bald...anzosa. Anche se, per dirla tutta, sulla Rive Gauche s’è rivista la Classica Professoressa il cui “grado natatorio”, unitamente all’esperienza in... opposizione, potrebbe rivelar novità, sulla Rive al di là della competizione... Quasi sul finir del tramonto, tra un’operazione immobiliare ed un Evento ambiental-gastronomico autoctono, un’altra “Belle Blonde” viene invitata a degustar dai calici leggiadri, sondatori di possibilità. Il Capo-spiritual della procace “Promoteur immobilier” in verità, senza vin neppur brulè, ha in dote un patto generazionale, peraltro “en carrière”, ma se la scelta “en rose” dovesse gradir... chissà... Mi scuso se qualcuna ho “oublié”, scordato, ma già così, mi pare, il “Parterre” possa venir ben considerato! Ah si, in effetti... un’altra Personalità “en rose” ci sarebbe, ma si sa... Fine anno è tempo di Bilanci: la lascerei tranquilla tra soldi, numeri e clienti, rimandando più in la magari un brindisi, a calici... traboccanti! Con amore e simpatia a tutte le mie amiche, ed amici, che ho qui coinvolto! di Lele Baiardi


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«La politica di oggi è solo conquista del consenso»

Pietro Para, vicedirettore del Giornale di Voghera, non è solo un pezzo di storia del giornalismo locale. Ex docente di Economia aziendale al Baratta con tendenze filosofe, Bocconiano dei mitici anni ’60, ha preferito la vita di provincia alle sirene universitarie. Democristiano (laico) doc, è uno di quelli che le vicende della politica, locale e non, le ha osservate da molto vicino per tanti anni. “Amico” di quasi tutti i volti noti oltrepadani, è stato consigliere comunale nella Voghera degli anni ’70, presidente di Asm a fine anni ‘80, uomo di fiducia di Paolo Affronti all’epoca in cui fu sindaco a inizio anni ’90 e assessore della giunta Scotti tra il 1996 e il 2000. Quella fu la sua ultima esperienza in politica, lui che per principio non ha mai voluto ricoprire lo stesso incarico in un ente istituzionale più di una volta perché «occupare le posizioni per troppo tempo non va bene, il meglio se si hanno le qualità lo si esprime subito». Una posizione, quest’ultima, che potrebbe farlo passare da “grillino per caso” anche se lui le etichette le rifiuta. Oggi segue la politica da spettatore disilluso o, al più, da giornalista che ne ha viste tante e da diverse prospettive senza perdere la voglia di mettersi in gioco. «Ho accettato questa intervista – ci dice - perché è sempre un buon modo per guardarsi allo specchio e capire a che punto del proprio percorso si è». Detto da chi il prossimo 27 maggio compirà 79 anni senza aver smesso di cercare e cercarsi può suonare come una lezione di vita. «Non sono ancora sicuro di aver capito bene chi sono» dice, ma se i filosofi insegnano che ciò che conta è il percorso e non la mèta, si può dire con sicurezza che Pietro Para di strada ne ha macinata tanta.

«A Voghera nessuno parla più dei Sinti. Vivono in un ghetto fuori dalla società»

Pietro Para, ex consigliere comunale ed ex presidente di Asm

Lei è nato nel 1940…che ricordi ha di quella Voghera? «Io sono nato a Pragate, nella valle Schizzola, dove sono rimasto fino al 1947 quando poi sono arrivato a Voghera. Ricordo che si giocava tra le macerie, io ero nella banda dell’oratorio del Duomo, mentre i Barnabiti erano i “rivali”. Facevo parte dell’Azione Cattolica, di cui sono stato anche presidente per la diocesi, quando avevo una ventina d’anni». è allora che è avvenuto l’incontro con la DC? «Ho iniziato perché conoscevo tante persone che si muovevano in quell’ambiente. Una su tutte Antonio Airò, che veniva dai Barnabiti, il cui gruppo nel ’47 aveva ripreso il Giornale di Voghera, primo motore della DC. Airò divenne sindaco nel 1967, io già da prima avevo iniziato a muovermi e a seguire la politica insieme a lui, facendo la campagna elettorale». Da quanto tempo è parte del Giornale di Voghera? «Ho iniziato a scrivere nel 1961».

«Barbieri campa di rendita: ha imparato bene a fare il mestiere di sindaco» Come è successo? «Conoscevo Airò, gli consegnai una mia recensione di uno spettacolo teatrale a Medassino. La pubblicarono e così la Siae si accorse di quello spettacolo, di cui non avevano avuto notizie!». Con la politica “diretta” invece iniziò più tardi. Quale fu la prima esperienza? «Diventai consigliere di minoranza per la DC all’inizio degli anni ’70, feci opposizione per 6 anni alla giunta di Ernesto Gardella». Che politica era quella di allora? «Tutti avevano un grosso background alle spalle e il partito contava moltissi-

mo in confronto ad oggi, dove contano solo le logiche clientelari e il saper fare presa immediata sull’elettorato. Ricordo che all’epoca facendo anche il giornalista mi “infilavo” alle riunioni del PC e, con l’amico Stefano Gatti, assistevo alle lotte interne tra i “giovani” militanti e i “grandi vecchi” che ruotavano intorno a Riccardo Dagradi». Poi l’impegno amministrativo più vicino risale alla fine degli anni ’80, quando è stato presidente di Asm… «Sì, diventai presidente essendo stato revisore dei conti in precedenza». Cosa ricorda di quell’esperienza?


VOGHERA «Ricordo che dissi a chi avevo sotto di non dirmi tutte le cose che avrebbero potuto causare un lancio di monetine ai miei danni, altrimenti avrei portato tutti in via Plana (allora sede del tribunale ndr) senza problemi!». Poi fu stretto collaboratore di Affronti e, infine, l’esperienza come assessore con la giunta Scotti. «Sì, dal ’96 al 2000 fui assessore al bilancio». Quel periodo storico per Voghera fu contraddistinto dal caso-nomadi, con la ferrea battaglia per opporsi alla creazione del campo…

M5S, «A livello locale non possono fare numeri»

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«Scotti smise di fare il sindaco a causa di quella questione, poi il campo nomadi lo realizzarono gli stessi che vi si erano opposti usando il referendum come strumento di consenso. Già uno specchio di quello che sarebbe accaduto dopo». E cioè? «Una politica basata essenzialmente sulla costruzione del consenso. Quel campo nomadi divenne un ghetto, e lo è tutt’oggi, con la differenza che nessuno vuole saperne più nulla. Dei Sinti a Voghera non parla più nessuno eppure sono sempre lì e vivono al di fuori della società. Nascono bambini e non si sa neppure chi sia il padre. Non c’è mai stato né voluto essere alcun modello di integrazione». Cosa si sarebbe dovuto fare secondo lei? «Bisognava creare un altro modello, investire in risorse che potevano cambiare la qualità della vita, ma servono soldi e farlo costerebbe oltretutto voti. Oggi che la politica vive solo di consensi personalizzati, nessuno si azzarderebbe a muoversi in una direzione simile». Dell’Amministrazione Barbieri cosa ne pensa? «Barbieri campa di rendita, ha imparato bene a fare il mestiere di sindaco. Il centrodestra ha un bacino di voti ampio che poi porta al loro boss (riferimento a Giovanni Alpeggiani ndr) che alla fine decide e mette tutti d’accordo. Non possono perdere, adesso c’è anche la Lega». Come vede il futuro politico di Voghera? «Non lo so, ma credo che la Lega vorrà il

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«Io avevo appoggiato Ghezzi, che mi sembrava uno con competenze» sindaco». Lei oggi chi sosterrebbe? «Io avevo appoggiato Ghezzi, che mi sembrava uno con competenze». E a livello nazionale? «Non mi resta che il PD ». Che è ai minimi storici però… «Andreotti diceva che il potere logora chi non ce ‘ha, ma il PD è stato la prova che vale anche il contrario». Dei 5 Stelle cosa ne pensa? «Che a livello locale non possono fare numeri perché non hanno precedenti in politica, non hanno le conoscenze e la rete necessaria per poter avere successo. Non c’è nessun nome che sia davvero conosciuto». Lei i politci oltrepadani li ha conosciuti tutti, più o meno. Uno che l’abbia colpita? «Azzaretti aveva indibboamente tante qualità. Era anche un bel “furbo”, ma sapeva trattare la politica con grande credibilità». La figlia ha ereditato qualcosa da lui? «Di sicuro i contatti con la Fondazione Cariplo».

Il politico più importante per la storia di Voghera? «Dico Italo Betto. Il suo merito principale è stato risanare le periferie, partendo dal Villaggio, San Vittore, grazie alle case popolari. Bisogna ricordarsi che Voghera, dopotutto, è una città di immigrati». In che senso? «Nel senso che non esistono o sono pochissimi i vogheresi di almeno tre generazioni. Ci faccia caso: sono tutti arrivati qui dall’esterno, che fosse Veneto, Calabria, Sicilia o dalle colline vicine». Chiudiamo con il mestiere che ha fatto per più tempo, il giornalista: com’è lo stato di salute del giornalismo locale? «Pessimo. Direi che è finito, come la carta stampata. Non esistono più le redazioni locali, intese come luogo di aggregazione e confronto. Il Giornale di Voghera resiste ancora, ma non ci sono più i gruppi di lavoro. Un peccato, e pensare che Voghera è sempre stata una fucina di giornalisti». di Christian Draghi


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“La zanzara” punge ancora Da alcuni anni è un seguito “Blogger” sui principali Social networks, grazie alla sua Pagina Facebook “La Zanzara”, originariamente titolata “La Zanzara di Voghera”. Il riferimento specifico alla località oltrepadana è stato poi rimosso, per dar maggior respiro e copertura d’intenti allargata a problematiche, o comunque notizie, anche extra-territoriali, nazionali ed internazionali. È lampante il riferimento immaginario, o forse anche non immaginario, ad un’entità... pungente! Abbiamo incontrato il “pungente” Renato Faller. Abbiamo saputo che alcune settimane or sono è stato Ospite della nostra Ambasciata a Beirut, città che lei ha militarmente pattugliato ad inizio anni ‘80... «Ringrazio voi de Il Periodico, mai come questa volta! Siete l’unico organo d’informazione del territorio che mi ha contattato e mi ha dato la possibilità di parlare di questo importante accadimento, sia della Storia sia della mia vita, a differenza dei vostri, se posso dire, colleghi...». Sulla sua Pagina “La Zanzara” Lei attacca sovente gli Organi d’Informazione... «Non è esatto: io non “attacco”. Semplicemente esprimo un dissenso quando ritengo ve ne siano valide motivazioni, come in questo caso». Andiamo però per ordine: perché questo invito ufficiale a Beirut? «Dal 1982 al 1984, l’Esercito Italiano, unitamente agli Eserciti Francese, Inglese e Statunitense, con la Sigla “Missione Italcon” (l’Operazione unificata degli Eserciti suddetti andava sotto l’acronimo MFL, Forza Multinazionale in Libano, n.d.r.), partecipò ad una Missione di Pace in Libano. Io presi parte, in quanto militare di una Forza Speciale, a due periodi della stessa, tre mesi nell’82 ed altrettanti l’anno successivo. Lo scorso fine Ottobre,

Renato Faller

l’Ambasciatore Libanese ha invitato parecchi ex-militari della Missione ad una 3 giorni molto emozionante a Beirut, in ricordo appunto della Missione di Pace. Siamo stati ospiti della nostra Ambasciata, ed abbiamo ripercorso molti “tragitti” di quei giorni, valicato ancora quella zona di Beirut che all’epoca era diventata famosa come “Green Line”, Linea Verde: una zona che abbiamo interamente smilitarizzato, consentendo ai palestinesi superstiti di poter passare incolumi in Siria ed in altri Paesi Arabi... mi vien la pelle d’oca ancora adesso, raccontandoglielo...». Fu una Missione di Pace costellata, ahimè, di vere azioni di guerra, se è vera la versione che Oriana Fallaci ne diede nel

suo libro “Insciallah”... «Conobbi Oriana Fallaci a Beirut, era l’inviato in Libano per l’Europeo... purtroppo sì, tutto era assolutamente reale! Si sparava, piovevano bombardamenti ed attacchi suicida ogni giorno! Con il mio contingente rimanemmo ostaggi accerchiati, all’interno di un cortile di una costruzione già parzialmente distrutta, per un giorno ed una notte: ci liberarono le Forze alleate all’alba del secondo giorno, con gli elicotteri, quando le nostre munizioni erano ormai ridotte al minimo... a me restava solo la pistola con un caricatore...». Le notizie che arrivavano in Italia all’epoca, però, non rendevano giustizia a questa situazione così estremamente

cruenta... «Per parlare di Organi d’Informazione (sorride), alcune testate ricordo fossero assolutamente sincere, in questi termini. Più probabilmente, altre notizie “dal fronte” non venivano, per segreto di Stato, divulgate». Ad esempio? «Le posso dire che l’Ambasciatore ci ha rivelato proprio in occasione di quest’ultimo incontro a Beirut che noi italiani, che avevamo in carico un grandissimo Ospedale da campo, avendo i nostri militari donato più volte il sangue in favore di feriti palestinesi, in qualche modo, in qualche momento, grazie a qualche “annuncio” negli altoparlanti che scandivano le preghiere della sera... qualche situazione profondamente pericolosa l’abbiamo scampata, a differenza di altri... Ma a noi queste cose non sono mai state dette, negli anni, né alcuno le ha mai scritte, allora, che io sappia. Capisce, credo, che questa era una commemorazione importante, uno stralcio di storia mondiale vissuta dal sottoscritto, in mezzo a migliaia di altri militari e civili, che, a mio parere, andava pubblicato dalla stampa locale, così come hanno fatto giornali di miei commilitoni di Padova, di Ferrara, di Alcamo... io ho contattato un “poverino” per un giornale che pubblica dei pifferi di qualche località e/o la raccolta dei funghi, ma questo manco m’ha risposto! Forse, fa fede il suo cognome...». Lei, però, mi permetta, è un po’ parte in causa, visto il suo seguito Gruppo facebook “La Zanzara”... «Io ritengo che la comunicazione sia importante quando viene recepita! Se vuoi comunicare qualcosa, innanzitutto devi “far sorridere”: oggi non puoi essere morigerato! Devi magari essere un po’ dissacrante, satirico. Ce lo insegna “Alto Gradimento”, ce lo insegna “Lo Zoo di 105”, il programma radiofonico più seguito


VOGHERA d’Italia... Devi osare, andare oltre lo schema, la barriera. Così ho fatto, nell’ambito locale, cercando di far interagire le persone divertendole!». E ci riesce? «A volte sì, a volte no... poi, ho tanti osservatori, diciamo, ma avverto una certa reticenza all’iscriversi, ad esempio. Certo molti si divertono, lo vedo dai dati di lettura, quando pubblico qualcosa, ad esempio, di satirico su Ghezzi, che è una fucina di ispirazione enorme...». Ma solo lei può pubblicare, o anche gli iscritti? «Tutti gli iscritti possono pubblicare, certamente! E non vado, comunque, ad esempio solo a “pungere” Ghezzi... anche Barbieri! Io sono di Destra, ma non vado a colpire solo la Sinistra, assolutamente bipartisan! Poi, essendoci molti iscritti di Destra, ad esempio la Vicini non entra, eh vabbè, è così. Però Alessandra Bazardi ed Ilaria Balduzzi si, ad esempio. Che sono persone splendide e dicono tranquillamente “la loro”! A Pier Ezio probabilmente “non vado giù” perché due o tre volte l’ho punto nel modo giusto... Io non sto zitto, non avendo “cambiali da incassare”, quindi... Politicamente, personalmente ho appoggiato Barbieri ed ho gioito quando ha vinto, perché quella era la squadra nella quale mi riconoscevo. Pier Ezio è una multinazionale con la frangia! Adesso stanno facendo una politica su ASM che francamente … non so se la stanno buttando giù di valore per venderla a meno, ma stanno tirando fuori storie allucinanti: comincio a pensare che quel bug che ha mandato in tilt la fatturazione sia stato fatto apposta per svenderla. Son bravi a fare queste cose... Anche la scelta di Monica (Sissinio, n.d.r.): lei è aziendalmente esperta, è brava, ed anche buona d’animo, ma non è uno squalo! Allora la metti dentro per approfittartene? Testa di legno? Fammi capire... Capro espiatorio? Tutto può essere. Poi anche sulla differenziata... non ti piacciono i cas-

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«Politicamente, personalmente ho appoggiato Barbieri ed ho gioito quando ha vinto... Pier Ezio è una multinazionale con la frangia!» sonetti, sono disegnati male, sono scomodi: capisco tutto, ma la differenziata nasce così. Ci son città e paesi che non sono riusciti a farla, nei quali questo sistema è fallito: altri dove è andato benissimo! Come in Emilia Romagna, ad esempio. Che sia difficoltoso imparare può essere, ma insomma: se i pensionati imparano a giocare alle slot-machines... non è che i cassonetti siano poi una cosa così strana! Ci sono poi comunicatori come Giacomo Lorenzo Botteri, che è la faziosità in persona, che pubblicano poi tutto ciò che della Sinistra va bene e tutto ciò che va male della Destra. Ma fai il giudice: dovresti essere super-partes! Non ti mettere in evidenza, usa uno pseudonimo... Una volta mi disse “Pensa che ho assolto uno della Lega!”: ovviamente da lì nacque uno sfottò...! Lui interagisce molto su La Zanzara, è un contraddittorio “rosso”; a me piace questa cosa, è giusto che ci sia. Io ho invitato anche Ghezzi, la Vicini. Alla Vicini avevo anche detto di pubblicare tranquillamente sulla Pagina le notizie di “Voghera è”, oppure Alessandro Traversa, che adesso si è fissato con la Sinistra. Gestisce il gruppo “Politica@Voghera”: se si pubblica qualcosa inerente alla Destra non va bene perché “non riguarda Voghera”, magari... se però pubblichi del Congresso del PD

a Canicattì va bene! Cioè... due pesi, due misure... Questa è una comunicazione sbagliata, completamente sbagliata. Montanelli diceva che il giornalista asettico è un demente: uno deve avere le proprie idee. Ma è anche vero che tu non puoi abbattere quelle degli altri, o fare quello che sta solo da una parte... poi, in politica il marcio ed il bravo stanno ovunque. Guardi come stanno massacrando i poveri 5 stelle! Parlando con Romaniello (Cristian, On. Deputato del Movimento 5 Stelle, n.d.r.), che è un amico, mi ha detto molte cose sulla stampa, e come ci gioca... Ma guardi che è facile, sa?! Bastano particolari per manipolare menti semplici. Ecco perché, secondo me, la comunicazione vincente è quella di far ridere le persone! Non esattamente far ridere, ma, diciamo, tranquillizzarle». Sulla sua pagina non succede sempre, però... «No, perché io lascio massima libertà d’espressione, non faccio “selezione all’ingresso”. Quindi, ogni tanto, partono anche delle liti, magari tra razzisti, classisti... gente che considero un male aggiunto alla Destra ideologica. Ecco, diciamo che quando qualcuno pubblica qualcosa di cruento, o di forte ma che va oltre, allora cancello, a tutela della leggerezza... Ma

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se entra Traversa e mi canta “Bella Ciao” non lo cancellerò mai!». Come si lega però, mi scusi, tutto ciò con il suo dissenso per la non avvenuta pubblicazione della notizia della recente trasferta libanese? «Io reputo il nostro quotidiano locale un Organo di Partito: ciò è sbagliato, perché prende soldi dallo Stato, quindi anche da chi di Sinistra non è, e non è giusto. Però, cosi va l’Italia... Ritengo venga pubblicato ciò che impone il capo della linea editoriale. Nel caso locale, potrebbe essere che non pubblichino la mia notizia perché magari sto sui “cosiddetti” al giornalista di turno... Ad esempio, il 12 novembre passato c’è stato il tragico anniversario di Nassiriya: dopo due giorni ancora non vedo pubblicare nulla, allora “denuncio” la cosa sulla mia Pagina. Dopo un giorno, di articoli ne escono ben due! Nel mio caso, penso di essere stato vittima di un “personalismo”: ma io non rappresento me stesso. Rappresento una Forza Armata in una Missione Internazionale, in questo caso». Velatamente sta dicendo che il problema potrebbe essere antipatia nei suoi confronti e/o de La Zanzara? «Io ho tentato di contattare diversi giornalisti, uno non mi ha mai risposto: allora ho trasmesso la notizia a viva-voce ad un altro giornalista, che mi ha espresso interesse alla cosa, chiedendogli di informare la redazione del giornale. Ed ancora nessuna risposta. Considerando che il locale quotidiano finisce spesso tra le risate dei lettori della mia Pagina... Talvolta sono apparse notizie che han rischiato di far andare a gambe all’aria Aziende della zona, come la volta che pubblicarono dell’avvenuto sequestro, mai avvenuto, di alcune strutture del Cowboys’Guest Ranch! Poi si pubblicarono, in un trafiletto, la smentita, però... resta comunque un danno d’immagine e, facilmente, economico». di Lele Baiardi


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Terzo appuntamento con la “Storia” a cura dell’amico Giorgio Grandi

Giorgio Grandi In questo numero parleremo di Festività Natalizie e Veglioni di Capodanno: com’erano, allora, e come oggi si sono trasformate! Giorgio, ormai, praticamente, una Rubrica del nostro giornale... «Mi fa molto piacere!». Ricordiamo qualche tradizione del periodo natalizio? «La prima che mi sovviene erano i “Tè Danzanti”, la maggior parte tra i mesi di Dicembre e Gennaio. Ricordo il mio primo, al quale ho partecipato: sarà stato il ‘76. Radio Voghera aveva organizzato il Tè Danzante all’Ariston, ed invece di presentare in consolle i d.j. della Radio, facemmo intervenire 2 giovani milanesi, che avrebbero poi avuto uno straordinario successo radiofonico nei decenni successivi, ma che all’epoca erano proprio due ragazzi agli inizi: Alex Peroni e Max Venegoni, di “Studio 105”, l’antesignana dell’attuale 105 Network che tutti conosciamo! Fecero prima una diretta a Radio Voghera, poi ci fecero ballare al Tè Danzante, rigorosamente pomeridiano, ed infine... andammo a mangiare la straordinaria pizza del celeberrimo Luigi alla sua “Bella Napoli”!». Erano costume diffuso il Tè Danzante pomeridiano? «Era un appuntamento imperdibile! C’erano quelli delle scuole, dei Licei Classico e Scientifico, di Ragioneria, dell’Istituto Santa Chiara, credo...». Dell’Istituto Agrario “C. Gallini”... «No! L’Agraria organizzava “La Veglia”! Era l’unico istituto scolastico che già organizzava la Veglia serale! Come non organizzavano il Tè Danzante, bensì la Veglia, tutti i Bar cittadini! Sempre all’Ariston. Ospitavano Orchestre e Cantanti famosi dell’epoca». L’Ariston è stato famosissimo in quegli anni per gli Ospiti di assoluto livello che ha portato in scena... Tutte queste feste dove sono poi confluite una volta chiuso l’Ariston? «Beh... ricordo certamente il Tucano 185 di Codevilla, dei Fratelli Marini. Ricordo ad esempio, non però in occasione di una Veglia studentesca, un mercoledì o giovedì sera, forse del 1980 o 1981, che capitammo, io e l’inseparabile Lele Albani, al Tucano... una serata infrasettimanale qualunque e sul palco cantava... Vasco Rossi con

la sua Band!». In prossimità delle Festività Natalizie, cosa accadeva in zona? «Erano sentitissime! La via Emilia di Voghera era bellissima, ancor più del solito, ed ancor più piena del solito (sorride). I bar esponevano i loro tanti cesti natalizi pieni zeppi da scoppiare! Le drogherie, ne ho un ricordo vivissimo, erano un trionfo di colori, di pacchetti, di composizioni... era già solo questo un piacere per gli occhi! C’era un’atmosfera straordinaria, proprio di calore Natalizio! Un’atmosfera che poi, nei decenni a seguire... niente...». C’era una tradizione imprescindibile, obbligata? «La scansione degli avvenimenti obbligatori era: il 24 sera aperitivo “ricco”, la Messa di Mezzanotte, con un’eleganza che pareva di stare alla “Prima” della Scala, dopo la Messa tutti nei bar a brindare e tagliare i panettoni, ed il 25, in tarda mattinata, prima del luculliano pranzo familiare... i maschietti a portar fortuna nelle case degli amici (ride di gusto...)!!!». Scusi?! «Sì! Il 25 mattina la visita di un maschio portava fortuna, si diceva così... no femmine, assolutamente! C’erano famiglie che alle persone di sesso femminile, la mattina del 25 Dicembre, non aprivano la porta per alcuna ragione! (ride ancora). Solo i maschietti... e dovevi farlo! Altrimenti, nei giorni successivi, incontravi amici e parenti che ti rimproveravano: “Non sei passato a portarmi fortuna...!”». Nei locali notturni non si organizzava nulla di particolare? «A ridosso del Natale no, c’era un importante appuntamento fisso teatrale, secolare, che era la rappresentazione dell’Opera di origine piemontese “Gelindo”, bellissima storia, per metà comica, di questo pastore che, con agnello trasportato sulle spalle a giro-collo, lascia su ordine dell’Imperatore la sua casa in Monferrato e si ritrova, per magia nel suo vagare, a Betlemme. Gelindo aiuta Maria e Giuseppe a trovare la grotta dove nascerà Gesù bambino, quindi è il primo uomo a vedere Gesù appena nato, trattando il tutto e tutti, non rendendosene conto, con la tipica semplicità contadina... Un testo bellissimo che Beppe Buzzi e Peppino Malacalza, grandi amici di mio padre ed impareggiabili attori ed Artisti, hanno portato in scena per decenni». Vincente, a differenza forse di oggi, o forse molto più sentita, era comunque l’atmosfera che circondava quei giorni? «Beh... credo non ci sia neppur bisogno di dirlo... Chi ha vissuto quegli anni si è certamente accorto dell’impoverimento generale d’intenti, anche per quanto riguarda le Feste di Natale e Fine Anno! Ah scusi... dimenticavo La Cena della Sette Cene! In Oltrepò non si festeggiava la cena del

24, originariamente quasi di digiuno, bensì il pranzo del 25, che era certamente più “ricco”. Nella tradizione, fin dal medioevo, il 23 Dicembre, da noi da sempre definita “l’antivigilia”, bisognava “riempirsi” per arrivare al pranzo del 25. Così il 23 si faceva, appunto, la Cena delle Sette Cene, composta da sette portate, come i Peccati Capitali, i Giorni della Creazione e le ore di luce invernali! Si trovano ancora ristoranti in zona, pochi, che seguono questa tradizione secolare! Io me la ricordo benissimo...». Invece cosa ricorda di quelle feste di Capodanno? «Dunque: anche qui c’erano differenze. Oggi molti locali da ballo organizzano cenoni, con catering, etc. etc. etc. Nei ‘70, ‘80 ed anche ‘90, il Cenone lo si consumava nei ristoranti, oppure organizzando feste private, o ancora in case di amici e parenti, e poi, dopo la mezzanotte, si affrontava la lunga maratona, fino alle colazioni del mattino, in discoteca. Straordinari Capodanni sono stati quelli dell’Ariston, del San Francesco di Rivanazzano, del Club House di Salice Terme e del Tucano, e poi ancora, in ordine puramente cronologico, quelli del Fontanile e dell’Amarcord di Redavalle, dello Sporting di Rivanazzano, del Mayerling di Castellar Guidobono... Ricordo che la mattina del 1° Gennaio, a Voghera, il primo bar che apriva, per le colazioni, era il “solito”, perché stava sempre praticamente aperto, forse chiudendo solo dalle 2.00 alle 4.00 di notte, Bar Cevenini di Via Emilia». Ed a livello di stile, di moda... con quale abbigliamento si affrontavano questi appuntamenti? «Facilissimo da ricordare (sorride)! Le ragazze e le signore, sia per le Veglie sia per le notti di Capodanno, almeno fino all’inizio degli ‘80, erano rigorosamente in Abito da Sera lungo! Era il trionfo dell’elegan-

za! Anche gli uomini, nella quasi totalità, erano in abito, non dico Smoking, anche se parecchi lo indossavano, ma certamente con abiti di alta qualità! Sui biglietti d’invito era sempre specificato! Le sartorie vogheresi, e più in generale della zona, hanno molto lavorato in quei decenni (sorride)... Mentre a livello musicale la differenza era enorme! Partendo dagli anni ‘70, la serata di divideva, a scansione regolare, tra balli movimentati e lenti! Diciamo, come esempio, quattro balli veloci e quattro balli lenti! E quando si abbassavano le luci sulla pista da ballo ed arrivavano i “lenti”, i maschi giravano per la sala, o si indirizzavano direttamente verso “l’amata”, per chiedere alle possibili partner se volesse ballare... quanti rifiuti!!! (ride di gusto). Come diciamo noi, era la sagra dei “2 da picche”!!! E come ricorda il mio amico Renato Ciamballi, che in quegli anni lavorava all’Ariston, dato che erano molti di più di oggi i tavoli nei locali da ballo che venivano prenotati, per essere “figo”, una volta arrivato al tuo tavolo prenotato, dovevi avere già lì, pronta, la bottiglia di Martini Rosso!!! Altroché gli Champagne!!! Si beveva “meno”, in giro per i locali, ma certamente molto meglio di ora a livello qualitativo... E comunque, una cosa che ricordo certamente, e della quale noto l’esponenziale differenza con l’attualità, è il fatto che noi eravamo tutti raggruppati in enormi compagnie! Sia tu fossi accoppiato o single, appartenevi, facevi parte in modo familiare, alla tua compagnia di 40, 50 ed ancor più ragazzi, e questi battaglioni si spostavano uniti, durante quelle giornate istituzionali di Festività in modo particolare, maschi e femmine insieme, ovunque si decidesse di andare... Ci spostavamo “in spedizione”, organizzati in 10, 15 automobili piene! Sì, devo proprio dire che eravamo una società meravigliosa!!!». di Lele Baiardi


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Il senso civico, un “perfetto sconosciuto” Il senso civico è avere cura. Cura delle cose che ci circondano, delle persone che condividono con noi una comunità. Non sta scritto da nessuna parte che a raccogliere una cartaccia per strada debba essere solo ed esclusivamente il Comune, così come non va dato per scontato che si debba lasciare un porcile sul tavolo di un bar solo perché poi passa il cameriere a ripulire. Il servizio è una cosa che esula dal senso civico e dall’educazione. Avere rispetto di un luogo che non sia solo casa nostra è doveroso. Uno sforzo possiamo farlo anche noi. Oggi ci giriamo tutti dall’altra parte, come non mai. Ci sono persone che puliscono l’uscio di casa, il fossato fuori dall’ingresso, il pezzo di marciapiede o di strada davanti al proprio negozio o alla propria abitazione. Sono rare, ma ci sono: sono quelle che godono ancora dell’educazione dei vecchi italiani, che da sempre hanno tenuto in ordine la loro piccola porzione di città. Il vecchietto vogherese che curava le aiuole gratuitamente in via XX Settembre è diventato famoso per questo e i ragazzini si fermavano spesso da lui ad ascoltarlo. Perché non possiamo farlo anche noi? Perché entriamo in casa indifferenti a cartacce, lattine, fogliame autunnale e muri luridi davanti all’ingresso? Ci sono portici rigenerati dal Comune a Voghera, che hanno ritrovato il loro splendore, ma ci sono anche portici davvero in pessimo stato: di recente impressionante è stata la vista di quelli di via Cavour: sotto a quei portici vi sono attività commerciali ed addirittura un supermercato. Sicuramente il maleducato di turno che fa fare pipì al proprio cane sul marmo di una soglia, quello che spegne la sigaretta nei vasi, quello che bivacca e lascia la bottiglia di birra sul pavimento sono presenti, ma una domanda sorge spontanea: cosa costa dare una spazzata e una pulita anche al suolo comunale da parte di chi ha un’attività? Cosa costa togliere decine di sigarette dai propri vasi piantumati? Niente. Si tratta solo di educazione e senso civico, oltre che di senso della pulizia. Sporco comunale sicuramente, ma anche per indifferenza di cittadini sporchi. Non tutti, ovviamente. Pochi giorni fa presso un centro commerciale si vedevamo adulti che lasciavano saltare i propri figli su poltrone comuni, adibite alle soste o all’uso della wi-fi. Sicuramente non è facile tenere a bada un bambino nella noia mortale di una giornata di shopping in un centro commerciale, ma ci si chiede: a casa propria i bambini saltano sui divani e sulle sedie come scimmie in branco? Dove sono finite le regole basilari di un comportamento corretto? Se cade una gruccia con una maglia in un negozio, cosa costa raccoglierlo e rimetterlo al suo posto? La maleducazione e l’indifferenza,

la sordità e il menefreghismo aumentano a vista d’occhio. Il compito dei genitori è quello di crescere, educare e tutelare i figli. Questo importante ruolo non riguarda solo l’ambito familiare, ma anche quello sociale, nel rispetto delle persone e delle regole di una comunità. La grande famiglia di tutti noi dovrebbe essere rappresentata dallo Stato e dalle relative Istituzioni, in assoluto l’esempio della tutela e della sicurezza nel rispetto delle leggi e delle regole. Il condizionale non è casuale. Gli Italiani non hanno una grande famiglia in cui sentirsi sicuri, esempi di rettitudine ed educazione a cui fare riferimento. Viene più comodo dire che “non lo abbiamo nel DNA” piuttosto che ammettere che siamo un Popolo con una Famiglia che ci ha insegnato a rubare, a sporcare, a non seguire regole, a vivere di espedienti. Lo scrive un’italiana, che cerca di avere senso civico e rettitudine, ma che a volte si demotiva e che si chiede “perché lo dovrei fare io quando poi sono proprio loro che non lo fanno”. Credo che questo pensiero sia sorto a tutti nonostante le nostre famiglie ci abbiano insegnato a rispettare il prossimo, ad essere educati, ad amare il nostro Paese nella sua immensa bellezza. Mentre crollano ponti, terremotati aspettano una casa da anni, mentre la Campania diventa una discarica a cielo aperto e la costa pugliese piange morti di tumore, mentre Roma affonda nel degrado e nella sporcizia, i nostri politici si azzuffano in modo infantile e gretto e perdono ore sui social a scrivere per mesi di una nave non gradita e di un reddito che tutto ha, tranne che di aiuto dignitoso ad un Popolo in difficoltà. La vergogna sale, insieme alla rabbia: noi italiani, un tempo invidiati in tutto il mondo, destinati ora a

diventare finti patriottici di una madre di cui in verità ci si vergogna e anche molto. Si preferisce puntare il dito sullo straniero piuttosto che prendersela con chi ci governa: si mettono nel cassetto le vergogne e si estraggono nemici nuovi, quando il vero mostro è in famiglia. Certamente non è questo giornale locale a dover essere sede di pensieri così vasti e generali, ma nel piccolo l’immagine riflessa è la stessa. Ponti sul Po che vacillano da decenni, degrado, sporcizia, tangenziali con voragini, occupazione del suolo senza ritegno, case abusive, famiglie che godono di assegni familiari e case popolari che passano giornate alle slot, maleducazione, violenza verbale sui social e omertà assoluta nella vita reale, lavoro in nero, pronto soccorso fatiscenti ed indegni e avanti fino a paginate di robaccia. Sia chiaro: ci sono anche buone iniziative, ma, come ben si sa, non si vive di pensieri e filosofie, ma di lavoro. Abbiamo il diritto di poter andare a lavorare senza sfasciare la macchina o senza partire un’ora prima, così come abbiamo il diritto di vivere nella pulizia e nel decoro, di essere curati in strutture dignitose.

A proposito di pulizia e decoro, quale miglior esempio per esprimere il concetto di questo articolo rispetto a quello che ci sta insegnando la nostra Grande Famiglia. Parliamo di senso civico vogherese. I cittadini pagano la tassa sull’immondizia, detta TARI, in base ai metri quadrati e al numero di persone residenti. Nell’ immaginario collettivo non dovrebbe esistere una tassa sull’immondizia in quanto sarebbe come creare una tassa sulla vita: “chi inquina paga” sarebbe un principio correttissimo se rivolto solo a coloro che non rispettano le regole, ma non ai cittadini diligenti che per forza di cose creano immondizia vivendo. Dovrebbe essere compito dello Stato smaltire i rifiuti con la stessa diligenza con cui dovrebbe farlo il cittadino. Paghiamo e le Istituzioni ci danno un servizio: il servizio

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c’è, peccato che abbia dei limiti enormi, così come le imboccature dei cassonetti “intelligenti”. Con rinato senso civico ed altrettanta predisposizione al cambiamento, da “tutto in uno” ci si abitua a dividere la spazzatura in modo ordinato e consono. Va bene. Ci mancherebbe. Rispettiamo il nostro paese ed impariamo a diventare più ambientalisti (poi tu Stato stai a guardare discariche abusive, ma non importa: io sono un figlio che cerca di andare oltre la tua maleducazione). Ci si organizza i bidoncini con i relativi sacchetti che, essendo davvero di limitata capienza per una famiglia con figli, ci si preoccupa di buttare ogni giorno. Lavoriamo, rispettiamo e cerchiamo di aiutare l’ambiente. Nonostante questo paghiamo una tassa salata. E poi che succede? Tu permetti che la nostra città, la nostra Regione e il nostro Paese siano un concentrato vergognoso di sporcizia e degrado? C’è qualcosa che non torna. Eh sì caro Stato: ci hai insegnato tu a fare i furbetti facendoci del dolo da soli senza accorgercene, a buttare la spazzatura nel cassone fuori città o peggio ancora sul ciglio della strada, a girarci dall’altra parte e a guardare solo il nostro orticello. Il tuo Popolo neanche si rende conto di quanta inciviltà abbia. Lo sanno i civili, ma ormai si contano sulle punte delle dita. Non rimanerci male. Ci hai ridotto tu così, facendoci credere a promesse non mantenute e guardando solo il bene delle tasche dei tuoi portavoce. Siamo bambini indisciplinati, maleducati, che vogliono attirare la tua attenzione, perché ci hai sempre ignorato. Ci hai fatto promesse non mantenute, ci hai dato cattivo esempio, hai deturpato coste e città, hai abusato di noi, della nostra onestà. Non ci hai mai castigato quando era necessario: parlavi e parlavi e poi le tue parole morivano in processi decennali che portavano al nulla. Continui a chiaccherare e a brontolare, ma non fai nulla. Noi facciamo come te. Non è solo colpa nostra. “L’orgoglio di essere la TUA azienda”, motto di una famosa azienda municipalizzata, lascia un po’ a desiderare. Noi non siamo orgogliosi di pagare sempre di più rispettando delle regole. “Più inquini e più paghi” dice un altro motto: DOVREBBE essere così in effetti, peccato che invece a pagare di più saranno quelli che rispetteranno le regole e nulla dovranno coloro che, incivili ed indegni di godere del nostro Paese, butteranno il sacco della spazzatura nei campi dei contadini o, sotto gli occhi di tutti, nelle vie del centro storico della città. Diminuite le tasse a chi ha senso civico e multate salatamente chi non lo ha, a partire da voi stesse Istituzioni, voi che avete più intelligenza di un cassonetto. di Rachele Sogno



CYRANO DE BERGERAC

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Per fare il tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l’albero, per fare il vino ci vuole l’Oltrepò?

Cosa rappresenta la parola «tavolo» per il mondo del vino dell’Oltrepò Pavese? L’apostrofo rosa tra una crisi e l’altra, tra una falsa partenza e l’altra, tra la svendita di una denominazione e quella successiva, tra una vendemmia con le uve sottopagate e quella dopo in cui le stesse uve valgono ancora meno per colpa della contingenza. Ti pisciano in testa e ti dicono che piove. Ora si cerca di partire in modo roboante, dopo l’incontro di ottobre risultato positivo al quale si è trovata una sostanziale unità sulla costituzione all’interno del Consorzio di tavoli di denominazione che riguarderanno, secondo quanto comunicato nella nota ufficiale di Regione Lombardia le seguenti tipologie di prodotto: spumante Metodo Classico DOCG e le DOC Riesling, Bonarda, Buttafuoco, Pinot nero e Sangue di Giuda. Questi organismi, che il Consorzio attiva oggi ma che aveva già progettato tempo fa, avranno il compito di gestire in maniera autonoma i disciplinari e la produzione dei prodotti, nonché il codice etico di autogoverno per consorzi e consorziati. I tavoli dovrebbero essere a breve al lavoro «per confermare le variazioni sui disci-

plinari», si legge sul blog dell’assessore regionale all’Agricoltura, Fabio Rolfi. Il Consorzio sui disciplinari ha lavorato per 3 anni. Adesso è giusto pensarci ancora un po’: non si sa mai che riflettendoci altri vent’anni non si possa tornare all’età dei dinosauri e delle damigiane giganti. In conclusione si è poi stabilita la composizione in seno a Ersaf di un pool tecnico di esperti che avrà il compito di affiancare il territorio e la filiera vitivinicola nella redazione di un piano di valorizzazione dei vini e del territorio. Ersaf è la società di scopo di Regione Lombardia che non è riuscita a dare un senso e uno sviluppo vero al Centro Riccagioia né alla strada martoriata per arrivarci, ma che tuttavia ora punta addirittura a essere una guida per la Babele Oltrepò: speriamo ci riescano facendo lo slalom tra una buca e l’altra. Tutto questo accade mentre nell’ambito di un accordo tra Regione Lombardia e Assessorato all’Agricoltura e Unioncamere - Camera di Commercio di Pavia si finanzieranno nel triennio 20192021 azioni di promozione dei prodotti, di formazione enogastromica, di marketing territoriale e altre necessità del sistema.

Tante parole per dire che l’Oltrepò riparte ancora dal «via», come al Monopoly, in questa eterna tessitura della tela di Penelope. Dare una proiezione a vent’anni al Centro Riccagioia di Regione Lombardia (eredità Carlo Gallini, l’ultimo mecenate dell’Oltrepò) e all’Enoteca Regionale della Lombardia (eredità Giancarlo Abelli, l’ultimo politico dell’Oltrepò) pareva poco a Regione Lombardia, che ha preferito inventarsi altri passatempi. Mentre l’Oltrepò tesse sono altri a godere del frutto di strategie di territori maturi, in cui ognuno fa il suo senza essere attaccato alle giacchette dei politici e dei funzionari. Nelle terre in cui il vino è impresa sono i produttori a chiedere cose alla politica, qui si agisce sotto dettatura. Il tema è sempre quello da trent’anni: «Come farà l’Oltrepò a svilupparsi facendo sistema?». Che poi il sistema è sempre il solito: una mega cooperativa e i suoi “supermegaclienti” che il vino non lo producono né lo posizionano ma lo assorbono per farlo evaporare o quasi per moltiplicarlo quando serve con l’aiuto di mediatori con un fiuto da segugio. Niente ha mai successo in una terra del

vino in cui le cose interessano solo quando portano utilità dirette; niente funziona in una terra del vino in cui se un prodotto ha successo viene cannibalizzato. L’ex presidente del Consorzio vini, Paolo Massone, ha scritto sul blog «Buon Appetito Oltrepò» che l’Oltrepò non ha identità, pur forte di tanta storia e tante eccellenze. Ha spiegato che tutti i progetti produttivi sono sempre abortiti, nonostante la loro bontà e una dimensione strategica che spesso c’era. Ha spiegato che bisognerebbe puntare davvero sul «vino edonistico». Tutti concetti che andrebbero però tradotti ai soci del cantinone che vorrebbero rese da doppio rimorchio e che a dire la verità non sono i soli, perché in Oltrepò Pavese ci sono produttori che vanno sui giornali come paladini della qualità ma che poi tra le loro quattro mura fanno giochi di prestigio che neanche il mago Silvan… Buon Natale, Oltrepò, tanto a livello nazionale berranno ancora Prosecco, Franciacorta e Trentodoc (a parte i clienti del discount). di Cyrano de Bergerac


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LETTERE AL DIRETTORE

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Stradella,”Pratiche contro i cittadini”

Gentile Direttore, vista la lettera della Sig.ra Dellafiore Nadia pubblicata sul “Periodico News” del mese di novembre si precisa quanto segue. Per una corretta esposizione dei fatti, la Sig.ra Dellafiore Nadia, alla quale è stata notificata ingiunzione di pagamento per violazione ai sensi del Codice della Strada, in data 29 agosto 2018 si presenta al Comando Polizia Locale esponendo le rimostranze per il provvedimento emesso a seguito di un ritardato pagamento in misura ridotta della sanzione nei termini di legge. L’Agente presente in Ufficio risponde esponendo le disposizioni di legge applicate e se ritiene il provvedimento non regolare di procedere nei termini a proporre ricorso. Nella stessa data la Sig.ra scrive una e-mail al Sindaco di Stradella, riproponendo quanto esposto in Coman-

do. Nella lettera, testuale “...ho effettuato un versamento in misura ridotta di 127,60 euro (1 gg in ritardo rispetto ai 5, per un mio disguido di home banking, ma questo è problema mio)” e chiedeva di essere riammessa al pagamento di 30,50 € pari alla somma dovuta per il non pagamento in misura ridotta nei termini, adducendo che nei 60 gg non gli era pervenuta nessuna richiesta. In pari data il Sindaco comunica alla Richiedente che riceverà puntuale risposta dal Comando Polizia Locale. La Sig.ra Dellafiore ringrazia, richiedendo sempre al Sindaco di intervenire e chiede audizione. In data 30 agosto 2018 il Comando Polizia Locale risponde puntualmente con e-mail alla richiesta della Sig. ra Dellafiore, esponendo i termini di legge applicati e precisando che si tratta di meccanismi automatici, per i quali nessuna di-

Menconico: “Tartufo Gate” Egregio Signor Direttore, con riferimento all’articolo pubblicato sul suo periodico il mese scorso sul “Tartufo Gate” chiedo cortesemente spazio per una breve replica. Sulla giustificazione ribadita dal Sindaco del respingimento di una azienda del territorio, lascio il giudizio ai suoi lettori. Sul denaro pubblico da erogare eventualmente alle associazioni tipo la ProLoco ricordo che si devono rispettare le regole previste dallo Statuto comunale: le associazioni devono assicurare la pubblicità dei bilanci e degli atti degli organi sociali. Inoltre l’eventuale richiesta di fondi deve essere dettagliata e documentata. Tutto questo non è mai successo da quando sono consigliere e non debbo pertanto chiedere scusa ad alcuna persona. C’è invece da chiedersi come mai, nonostante le disposizioni statutarie, i consiglieri abbiano deciso di elargire così tanto denaro pubblico senza alcuna oggettiva motivazione. In generale sulla mia libera espressione di voto segnalo che l’attuale legge elettorale in vigore per i piccoli Comuni assicura al candidato sindaco vincitore una solida maggioranza (7 consiglieri contro 3). L’eventuale voto a favore dei consiglieri di minoranza non

è quindi determinante anzi è ininfluente e può dunque fare solo notizia. Francamente non capisco perché il Sindaco sia così ossessionato dai miei voti contrari. Ai tre consiglieri di minoranza lo Statuto comunale riserva invece un ruolo importante che è quello ispettivo e di controllo sulle iniziative assunte dall’Amministrazione e hanno diritto ad ottenere copia di atti, notizie ed informazioni utili all’espletamento del loro mandato. Segnalo inoltre che nell’approvazione delle delibere da me ritenute più rilevanti, il mio voto contrario è sempre stato accompagnato da una dichiarazione scritta motivata, come tutti i lettori potranno constatare visitando l’Albo pretorio del Comune. Infine, sulla delibera approvata il 31 luglio con il mio voto contrario comunico soltanto un particolare (sicuramente di scarso significato per i colleghi che l’hanno approvata): la mancanza del testo della delibera. Era disponibile solo il documento allegato! Ho appreso in seguito, l’11 ottobre scorso, giorno della sua pubblicazione, che la delibera era composta da ben tre pagine. E avrei dovuto votarla? Grazie per l’ospitalità. Alessandro Callegari - Menconico

screzionalità sussiste in capo al decidente in mancanza di un provvedimento dell’autorità amministrativa relativa al rigetto o accoglimento di opposizione. Veniva comunicato altresì che in tema di applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, l’audizione dell’interessato, che ne abbia fatto richiesta, va effettuata all’autorità competente a riceve il rapporto, come nel caso di violazione al Codice della Strada sono il Prefetto ed il Giudice di Pace e non il Sindaco, per le ingiunzioni di pagamento è ammesso ricorso al Tribunale. In pari data la Sig.ra Dellafiore risponde con email dove, testuale “È la modalità in cui applicate la normativa che non è trasparente. Non avevo dubbi che applicaste la normativa”. In data 5 settembre 2018 la Sig.ra Dellafiore richiede chiarimenti in merito all’emis-

sione del ruolo e, testuale “Ribadisco che l’applicazione di tale procedure è totalmente discrezionale da parte vostra e sono con la presente a chiedere un riesame in autotutela...”. In pari data con e-mail il Comando Polizia Locale risponde alla richiesta della Sig.ra Dellafiore esponendo i termini di legge per la determinazione della sanzione da pagare. Per quanto sopra esposto, ad ogni richiesta pervenuta dalla Sig.ra Dellafiore Nadia è stata data puntuale e immediata risposta, esponendo le procedure adottate e leggi applicate. La rivendicazione formulata dalla stessa non può essere accolta in quanto in contrasto con la norma giuridica vigente: era facoltà della Stessa procedere a ricorso nei termini di legge. Comando Polizia Locale - Stradella

Varzi, Oltrepò e Pian dell’Armà Gentile Direttrice, le scrivo perché lo scorso anno più o meno in questo periodo le scrissi una lettera inerente ad un caso di “morte assurda” avvenuta nel Comune di Brallo e dovuta anche al defibrillatore che aveva le batterie scariche. Ieri ho letto su di un quotidiano pavese che il giorno 20/11/2018 alle ore 8.00 circa, a causa di malore cardiaco moriva la moglie del gestore del Rifugio Pian dell’Arma posto ad una altitudine di 1470 mt. nel Comune di Santa Margherita Staffora, perché l’ambulanza di VARZI non è potuta intervenire. A quanto è stato riportato è stato chiesto un elisoccorso che giunto in località non ha potuto atterrare per la bufera di neve e quindi è stato chiesto l’intervento di una ambulanza a Bobbio in Provincia di Piacenza. Nonostante il prodigarsi del personale dell’ambulanza di Bobbio non è stato possibile salvare una vita. Ora mi chiedo, come mi ero chiesto, lo scorso anno se sono possibili certe situazioni, e perché il problema non venga affrontato dalle persone competenti della Sanità, della Sicurezza, dall’amministrazione comunale. è vero che ogni persona è legata ad un destino e l’imponderabile è sempre presente, ma molte volte l’imponderabile è dovuto e gestito da persone a cui interessa

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

il proprio profitto e che basano i propri interessi e guadagni sul fatto di non intervenire. Perché non si mettono dei presidi sanitari in località epicentriche con personale paramedico, magari aiutati da neolaureati in attesa di occupazione che si alternano settimanalmente (anziché andare a fare l’Erasmus in Spagna, Inghilterra, ecc. si riconoscano gli stessi crediti a chi lo effettua a Varzi, Condofuri, o alla Maiella). Ben venga l’elisoccorso ma chiediamoci a quanto ammontano e a chi vengono imputati i costi se non porta a compimento l’operazione perché il personale medico non è ancora sul posto e non ha potuto valutare i danni fisici dell’ infortunato. In modo approssimativo ogni intervento di elisoccorso servirebbe a mantenere una ambulanza, un paramedico rianimatore e un barelliere autista per un mese in un comune montano. Sinceramente le scrivo perché vorrei che facesse sul Suo giornale un articolo per sensibilizzare quelle persone che comandano e possono fare tanto per migliorare i servizi delle persone che abitano, lavorano e pagano le tasse in quei territori isolati ma che vengono regolarmente ignorati nei loro diritti. Cordialmente. Piccolino Pietro - Vigevano

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OLTREPò PAVESE

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«Dietro la crisi edilizia anche la rinuncia alla Broni-Mortara» Negli ultimi dieci anni è crollato il numero delle aziende che si occupano di costruzioni nel nostro territorio. Meno società, meno maestranze, meno esperienza: si sta perdendo un patrimonio di abilità e di conoscenze, quello che crea differenza fra un intervento realizzato bene e uno realizzato male. Fra un’infrastruttura duratura e una a rischio. Per comprendere le ragioni di questa situazione, i rischi connessi e le strategie per il rilancio, abbiamo scambiato alcune frasi con il presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili – Sezione di Pavia, dottor Alberto Righini. È un settore, quello dell’edilizia, che vive un momento di crisi prolungato. In Oltrepò, in particolare, si sta perdendo (o è già definitivamente perduta?) quella galassia di piccole imprese che ne rappresentavano la colonna vertebrale, anche da un punto di vista occupazionale. Qual è la situazione, dal vostro punto di vista? «È vero, abbiamo perso una parte importante del tessuto: sia grandi, sia piccole imprese. Con una modalità devastante, quasi come una sorta di terremoto. Una guerra. Abbiamo perso oltre il 50% delle imprese e oltre il 50% della forza lavoro, nella provincia di Pavia. Ed è effettivamente una situazione che si protrae da oltre dieci anni. La nostra è la provincia che ha subito di più, in Regione Lombardia, perché meno interessata da investimenti e priva di un occhio vigile per quanto riguarda l’infrastrutturazione del territorio». Qualche esempio? «Abbiamo detto di no a infrastrutture importanti come la Broni-Mortara, che noi abbiamo sempre sostenuto, e che poteva essere una via d’uscita importante, soprattutto perché non era oggetto di spesa pubblica ma vedeva investimenti privati. Poteva essere un vettore importante per il collegamento interno della nostra provincia, perché oltre a collegare tre autostrade, la A26, la A7 e la A21, poteva essere l’asse di una rete viaria importante, per un territorio che ha peculiarità diverse». Quanto alla Broni-Mortara, tuttavia, le resistenze erano molte e alla fine hanno prevalso. Perché? «Ancora oggi non ne capiamo il motivo. Ci si è nascosti dietro a un aspetto ambientalista, che per carità, è legittimo, ma purtroppo va a significare che non cambierà mai niente. In una zona come la Lomellina, con una forte industria, con il polo logistico di Mortara, francamente avere la viabilità di oggi è una follia. Soprattutto con un ente provinciale completamente destrutturato; allo sbando, oserei dire, che non ha la capacità né finanziaria né strutturale per provvedere alla manutenzione dell’esistente, né tantomeno di fare investimenti. Questo è il tema». Fra le imprese che hanno chiuso, molte

erano storiche, e alcune si occupavano specificamente delle strade. Non crede sia un grosso problema la perdita di know-how che la fine di queste realtà, non sostituite da altre, ha generato? «Il vero problema è che le aziende non sono fatte di scavatori e attrezzature varie, ma di capitale umano. Quello si forma nel corso degli anni. Quando si va a destrutturare un intero sistema aziendale, si perde, come ha detto lei, il know-how di aziende che sono storiche, radicate negli anni. Che hanno detto la loro in un sistema territoriale come il nostro. Capisce che quando noi andiamo a perdere questo vuol dire che c’è un problema. Magari gli imprenditori non sono stati bravi, in alcuni casi… ma non può essere sempre così». In effetti, non si può certo dare sempre colpa degli imprenditori… «Direi proprio di no. Secondo me c’è stata una visione miope di sistema: il nostro territorio non è stato tutelato. Anche dall’imprenditoria locale. È stato reso possibile che questa diventasse una terra di conquista dove la regola è: ‘‘Facciamoci invadere da chiunque e non facciamo lavorare le imprese locali’’. Oggi ci vuole la forza e il coraggio di dire: si difenda il territorio, si faccia lavorare il territorio. Quello che non avviene, e continua a non avvenire». Perché? «Per tante ragioni. C’è un problema oggettivo che si rispecchia anche nella corruzione, probabilmente in un sistema corrotto di appalti. Perché nessuno fa mai questa analisi: quanto costano, alla fine, i lavori pubblici? Abbiamo esempi eclatanti nel nostro territorio di situazioni incredibili, ma vedo che la lezione non la imparano mai». La colpa è della politica? «Abbiamo bisogno di un sistema politico che difenda il territorio. Difenda veramente il territorio, come fanno altre provincie, per esempio Brescia o Bergamo. Che difendono il loro territorio nella legalità. Qui invece continuano a morire imprese, e sembra non interessi a nessuno. Ma lo sa qual è il tema?».

I numeri della crisi: «Più di 5mila gli impiegati nel settore persi dal 2008 a oggi»

lette dall’altra. Non è una cosa logica». È vero che gli amministratori, spesso, non si parlano fra loro per giungere a programmazioni condivise. Ma in alcuni casi le decisioni sono un po’ ‘‘obbligate’’… «Tutto passa da grossi investimenti infrastrutturali. Ma le faccio anche un altro esempio. Prendiamo Alberto Righini, Presidente il dissesto idrogeodell’Associazione Nazionale Costruttori Edili logico. L’Oltrepò ha Sezione di Pavia presentato decine e Me lo dica… decine di domane in Regione Lombardia, «Se chiude un’azienda che ha sette o otto che ancora attendono di essere finanziate. dipendenti non interessa a nessuno. Se Ad oggi l’Oltrepò ha portato a casa poco chiude quella che ne ha cento o duecento più di tre milioni di euro per il dissesto arrivano tutte le autorità, perfino il Papa e idrogeologico. Il Bresciano ne ha portati il Vescovo. Ma se chiudono dieci imprese a casa oltre quindici. Facciamoci due doche danno lavoro a dieci dipendenti ciamande…». scuna, in totale fanno comunque cento poAl di là dell’urgenza di soluzioni definisti di lavoro in meno». tive, lei pensa che sul nostro territorio Possiamo dare dei numeri sulla perdita le manutenzioni dei ponti, fino a questo di posti di lavoro nel nostro territorio? momento, siano state affrontate in modo «In provincia di Pavia, dal 2008 ad oggi, si adeguato e tale da garantire uno stansono persi 5mila addetti, solo parlando di dard minimo di sicurezza? operai. Senza considerare gli impiegati, i «C’è stato un monito, dato dal mio amico tecnici, i geometri». e collega presidente di Confindustria: biMolti comuni stanno varando piani sogna fare presto. Non si può continuare a urbanistici a zero consumo di suolo. parlare di un ponte che ha cent’anni, come Questo è encomiabile dal punto di vista quello della Becca, o quello della Gerola, ambientale. È però anche un freno allo e non fare niente; anzi, continuare a dire: sviluppo, secondo il vostro punto di viadesso faremo qualcosa, presto i lavori sta, o esistono vie alternative da impleverranno finanziati… bisogna farli! Non mentare e magari sovvenzionare, a marpuò una provincia come la nostra avere gine di questa politica? tutti i ponti al collasso. Bisogna partire da «Bisogna passare dalla rigenerazione urquello. Ma sembra che nessuno ci dia retta bana. Quando una provincia come quella a livello politico nazionale». di Pavia, e l’Oltrepò in particolare, ha delle Forse non riuscite a fare abbastanza aree dismesse, e per anni non vengono tratlobby, non venite considerati fondamentate, per i problemi più vari, alla fine arriva tali per lo sviluppo del Paese, o magari sempre il momento in cui quei problemi non abbastanza appaganti dal punto di devono essere affrontati. Si dovrebbe anvista elettorale… dare a fare demolizioni e ricostruzioni: ma «Questo certamente. Ma nel momento in demolire per liberare il suolo, oggi, sembra cui bisogna fare lobby – e lobby non è una un’utopia. È chiaro che farlo deve essere parola brutta, perché è veramente necessaconveniente. A parte che ci sono zone e rio fare sistema territoriale - occorre che zone…». ci sia una politica, delle istituzioni che ci In che senso? considerino. Se fossimo un territorio unito, «Se io devo far partire un’industria, non non perderemmo la Camera di Commercio è che posso demolire un’area dismessa in a vantaggio di due provincie inferiori alla centro città e costruirla lì: devo farla fuonostra. È una follia. Ho chiesto più volte ri. La programmazione, in questi anni, è di convocare degli Stati Generali, ma degli stata gestita dalla politica, mica dagli imStati Generali veri, dove si prende un proprenditori. Gli imprenditori, per fortuna o blema e lo si porta fino alla fine». purtroppo, hanno costruito dove gli è stato Stati generali del territorio, intende? permesso di farlo. Prendiamo ad esempio «Certo, ma non una passerella politica di le logistiche: alcune aree sono state realizcircostanza. Un tavolo di lavoro operativo, zate con coscienza, altre a caso. In alcuni dove si prende un problema per volta, lo si casi sul confine fra due comuni, con i cavede, lo si affronta e si risolve». pannoni da una parte della linea e le vildi Pier Luigi Feltri



CORANA

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DICEMBRE 2018

L’occupazione in crescita «Siamo usciti dal baratro» Giunto alla fine del mandato, il sindaco di Corana Vittorio Balduzzi ha di che sorridere. All’epoca del suo insediamento il paese era oppresso da una pesantissima crisi occupazionale: la chiusura una dopo l’altra delle tre principali attività produttive (la Prefabbricati Valdata, la Diaspa e l’Italiana Pellet per ultima) aveva messo in ginocchio numerose famiglie rimaste senza lavoro e gettato nello sconforto chi il Comune doveva in qualche modo amministrarlo senza prospettive per il futuro. Oggi, a pochi anni di distanza, Corana non solo si è allontanata dal baratro, ma ha ripreso a camminare di buon passo in direzione dello sviluppo. A invertire la tendenza è stato l’arrivo in paese nell’ultimo biennio di due nuove attività produttive: la Chemo Biosyntesis, industria farmaceutica, al posto della ex Diaspa e la Agro Po, ditta che produce foraggio per bestiame, al posto dell’Italiana Pellet. A loro potrebbe aggiungersi all’inizio del 2019 una nuova realtà: i capannoni abbandonati della ex Valdata sono stati venduti all’asta. Una parte andranno ad Agro Po stessa, che aumenterà così la produzione, un’altra alla Logistica Fioravanti di Voghera, che aprirà un nuovo centro produttivo in paese. «Per un paese piccolo come il nostro, che ha vissuto momenti terribili, sono notizie che fanno davvero sorridere» dice Balduzzi. Sindaco, di lavoro in paese ce n’è oggi? «La Chemo al momento impiega circa una cinquantina di persone, buona parte residenti a Corana, ma sta ancora investendo in maniera importante sul proprio sviluppo, il che lascia intendere che presto o tardi il numero degli occupati salirà. La Agro Po è una piccola azienda, con meno di 10 dipendenti, ma è comunque importante perché la

Vittorio Balduzzi presenza di una attività simile rassicura». In che senso? «Perché è un’attività che non inquina e non è poco. Dopo la chiusura della Valdata e della Diaspa la nostra paura più grande era che siti produttivi così grandi e in un paesino così piccolo potessero diventare appetibili per “predoni” senza scrupoli. Di richieste “indecenti” ne abbiamo ricevute da più parti». Ad esempio? «C’era chi voleva portare un impianto pirolisi stile quello che poi avrebbero proposto anche a Retorbido per bruciare gomme, altri che volevano bruciare fanghi industriali e chissà che altre schifezze. Noi come comune ci siamo sempre opposti, ma con grande paura in cuore perché l’ultima parola, si sa, non spetta mai a noi ma alle varie commissioni che stanno nei palazzi lontani». Dell’arrivo di nuove attività cosa può dirci?

«Innanzitutto la vendita dei capannoni della ex Valdata è una notizia importantissima: si tratta di circa 20mila metri quadrati che saranno divisi in parti più o meno uguali da due attività serie, che si occuperanno anche della bonifica dell’area, eliminando ad esempio le coperture in eternit». Dal punto di vista occupazionale è previsto un ulteriore aumento del lavoro? «Questo non possiamo ancora dirlo perché non conosciamo le intenzioni di chi ha comprato. Certo è che chi si espande solitamente non progetta di restringere l’organico!». Passiamo al capitolo migranti. In paese c’è un centro accoglienza che ne ospita una ventina. Con il decreto Salvini rischia la chiusura? «Io mi auguro davvero di no, in primis per quelle persone. Non posso dire se il centro rischi o meno per il fatto che queste realtà sono sconnesse dal controllo dei Comuni. I migranti arrivano imposti dalla Prefettura, noi sindaci veniamo avvisati a fatto compiuto e il controllo non è di nostra competenza». Avete mai avuto problemi legati alla presenza di migranti? «No, si tratta di persone tranquille e rispettose. In parte cattolici, in parte musulmani, molti provenienti dalla Nigeria. Sono disposti a fare qualsiasi lavoro, anche se noi per ragioni di sicurezza (loro) non abbiamo potuto fare molto se non assegnare qualche mansione socialmente utile come pulire strade e giardini. Sono lì in attesa che la loro richiesta di soggiorno venga esaminata. Recentemente è cambiata la cooperativa che li gestisce, vedremo se ci chiederanno una collaborazione di qualche tipo».

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Lei è alla fine del secondo mandato. La legge, dato che il comune è sotto i 3.000 abitanti, le consentirebbe di farne un terzo. Si ricandiderà? «Non ho ancora deciso. Io e la mia squadra ci siamo dati appuntamento a dopo le feste per decidere. Di cose da fare ce ne sarebbero ancora tante, ma bisogna prima vedere se la squadra è unita». C’è un’opera portata a termine dalla sua amministrazione di cui va particolarmente fiero? «Di opere significative non se ne sono potute fare per il solito motivo delle scarsissime risorse a disposizione. Vado fiero dell’impegno che abbiamo profuso per agevolare il ritorno di realtà industriali e produttive in paese che era la cosa più importante». Qualcosa che avrebbe voluto fare e non ha fatto? «Il sogno nel cassetto era quello di poter realizzare la strada che collega l’area industriale alla strada provinciale per Pavia. Un’opera che permetterebbe di tagliare fuori dal centro del paese il traffico di mezzi pesanti che rappresenta sempre un problema. Purtroppo non ci sono i fondi necessari a disposizione». Visto che ormai le risorse sono poche per tutti i Comuni, non avrebbe più senso pensare a delle fusioni? «A dire il vero la mia impressione è che non siamo ancora pronti a questo passo. Il Comune è un punto di riferimento per tante persone. Tutti quelli che hanno bisogno vengono da noi a chiedere una mano, qui ci conosciamo tutti. Se perdessero questo riferimento molte persone potrebbero sentirsi perdute». di Christian Draghi



CODEVILLA

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Dallera Poggi: «Il primo negozietto a Codevilla risale al 1898» Carlo Dallera Poggi è il titolare di un’azienda, La Codevillese, che spegne quest’anno ben centodieci candeline. Un traguardo di notevolissimo spessore, che davvero poche imprese possono vantarsi di aver raggiunto. Praticamente nessuna nel nostro territorio. Nel 1908 l’Italia era ancora un giovanissimo regno; paesi come Codevilla non avevano ancora né telefono, né luce elettrica. Ciò nonostante, acuti imprenditori del tempo che fu riuscirono a mettere le basi di aziende capaci di superare più passaggi generazionali e di arrivare ai giorni nostri. Dallo spirito di questi pionieri si possono - e si debbono - trarre insegnamenti senza tempo. Domenica 2 dicembre La Codevillese è stata premiata dalla Camera di Commercio di Pavia, durante la giornata dedicata alla fedeltà al lavoro e allo sviluppo economico, proprio per questo traguardo. Abbiamo incontrato il titolare, e il direttore commerciale Silvana Salvo, che ci hanno raccontato la storia di questa impresa e i suoi valori, sedimentati nel tempo e rafforzati da una passione sempre salda, come il primo giorno. Quando ha avuto inizio la storia imprenditoriale della sua famiglia? «Mio nonno Poggi Lazzaro ha fondato la falegnameria anche prima del 1908. Almeno dieci anni prima, e si occupava anche delle onoranze funebri. Allora erano i falegnami a fare tutto, anche questo servizio. L’esercizio era nel cortile dove oggi è ubicato il bar Da Lucio, in via Umberto I. Mio nonno fondò lì il primo negozietto nel 1898». Di cosa si occupava, all’inizio, l’impresa? «Mio nonno faceva il falegname, e quando decedeva qualcuno produceva anche le bare. Come si vede nei film del far west: si trattava di quattro semplici assi di legno, costruite nel momento del bisogno. Tutti i paesi avevano un falegname, anche le frazioni. Alla Piana, piccolissima frazione di Codevilla, c’era il signor Fiori. Poi andavano con un carretto e con il cavallo al cimitero».

La Codevillese: 110 anni e non sentirli

Carlo Dallera Poggi

Era un’epoca in cui c’era tutta un’altra cultura di lavoro… «Ma c’era anche un materiale diverso. Odiernamente il legno viene tutto coltivato; allora se ne usava molto meno di adesso, mentre con il consumo che c’è oggi quella della coltivazione è l’unica via possibile. Oggi per esempio si usano per i serramenti le assi prismate, che provengono spesso dall’estero, dalla Svezia o dalla Cariglia, in buona parte. All’epoca invece il legname era locale, le assi si producevano direttamente con l’albero acquistato dall’agricoltore. Qualche giorno fa mi è capitato di passare nei pressi di un’abitazione, nella via principale di Codevilla. Ci sono ancora le persiane che aveva fatto mio nonno. Sono lì dal 1905…». Il falegname era un punto di riferimento per il paese… «Mio nonno, con la collaborazione dei figli, ha fatto moltissimi lavori in paese. Per la chiesa per esempio. Come le cornici delle vetrate sugli altari laterali, sotto la direzione dell’architetto Carlo Codebue. Che sono anche un lavoro artistico. Altri lavori nel palazzo comunale, presenti e utilizzati ancora oggi. Ma ce ne sono tantissimi». Quando l’attività della falegnameria ha iniziato a separarsi da quella delle onoranze funebri? «Nel 1932 hanno iniziato ad acquistare le bare da un’azienda di Alessandria, la Carlo Baliano. Abbiamo ancora tutti i documenti in azienda. Venivano trasportate col treno; arrivavano qui con la ferrovia Voghera-Varzi. Abbiamo ancora tutti i

documenti anche di questo periodo: una cassa costava 65 lire. Cifre irrisorie… Nel 1933 mio nonno è deceduto e hanno preso l’attività due fratelli, i suoi figli Poggi Luigi e Poggi Pietro». Lei quando è subentrato? «Io sono subentrato in azienda come coadiuvante quando avevo 14 anni, nel 1966, e come socio di mio papà nel 1973, quando sono tornato dal militare. Per un certo periodo le onoranze funebri erano state lasciate in stand-by. Uno degli input che ho dato è quello di riprendere questa attività insieme alla falegnameria. Mio papà Pietro non se la sentiva… così abbiamo riacquistato tutte le attrezzature, dato che non c’erano più la carrozza e i cavalli». Quali input ha dato lei all’attività, una volta subentrato nella titolarità? «Ci sono stati degli investimenti importanti. Ho cambiato tutte le attrezzature, cosa che dovevo fare per forza, dati i tempi. Poi una ventina di anni fa ho dismesso la falegnameria per seguire completamente l’altra attività». Oggi chi sono le persone chiave dell’azienda? «Oggi siamo alla quarta generazione. C’è mia moglie Silvana che con tanta fatica porta avanti l’impresa, insieme ad altri soci». Domenica è arrivata questa premiazione che, immagino, sia stata una grandissima soddisfazione. Vuole raccontarci i pensieri di quei momenti? «Non me lo aspettavo. Sono stato molto contento, perché si è trattato di un riconoscimento che comunque mi ha fatto molto

piacere, perché pur avendo l’azienda ben centoventi anni, sono anche ben cinquantadue che io ne faccio parte». Quale pensa sia il segreto per condurre un’azienda capace di raggiungere un traguardo così importante? «La prima cosa è l’onestà. Il non essere esosi nei prezzi. E una certa serietà, anche nella gestione degli operai. Bisogna che il personale sia qualificato. Oggi è richiesta la partecipazione a diversi corsi, peraltro. E poi è fondamentale che l’imprenditore non pensi che tutto il denaro che entra sia il suo. Prima deve pensare ai creditori, a non fare il passo più lungo della gamba. Tanti si rovinano per questo motivo…». Pensa che un giovane che oggi dovesse partire da zero, potrebbe riuscire a raggiungere un orizzonte temporale così lungo con la propria impresa? «Penso di no, odiernamente. È difficile fare andare d’accordo tante generazioni successive. Una volta per i genitori era un orgoglio che il figlio potesse continuare la propria professione. Oggi non è più così. Sono cambiati i tempi…». C’è mai stato un momento di sconforto nel quale ha pensato di abbandonare l’attività? «No, mai. Assolutamente. Anzi, quando ero a fare il militare non vedevo l’ora di tornare a casa e prendere in mano gli attrezzi da falegname. Il falegname è uno che crea. È un lavoro anche di fantasia. Noi facevamo lavori anche molto particolari. Per esempio, ho sempre tornito. Una cosa che ormai non fa nessuno». Non le capita mai di riprendere in mano gli attrezzi del falegname, anche per diletto? «Sempre. Sto insegnando al mio bambino, Matteo, a tornire! Ho ritrovato il tornio che mio papà Pietro aveva preso per me. Abbiamo fatto proprio ieri un martelletto, come quello dei giudici…». Lei è noto per essere un gran lavoratore, che non si è mai risparmiato nella propria attività professionale; rinunciando spesso al riposo anche nei giorni festivi, per esempio. Ma ciò nonostante, so che è sempre riuscito, comunque, a ritagliarsi del tempo per gli hobby. Diceva Aristotele che ‘’lo scopo del lavoro è guadagnarsi il tempo libero’’… «Uno degli hobby grandissimi che ho è la collezione e ristrutturazione di trattori d’epoca. Qui nei dintorni non ci sono altre raccolte come la mia. Ho venticinque macchine, più svariate attrezzature». Il trattore preferito? «Il Landini Testacalda. Non ne costruiranno mai più così. Ha un fascino incredibile, che nessun altro trattore ha». di Pier Luigi Feltri


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«In questo Consorzio, Torrevilla non si riconosce nel modo più assoluto» Torrevilla, storica cantina sociale dell’Oltrepò Pavese con sede a Torrazza Coste e Codevilla, è stata oggetto negli ultimi tre anni di un importante lavoro di ristrutturazione. I risultati sono notevoli. E non a caso, in seguito a questa fase espansiva per le idee, oltre che per gli indici meramente economici, sta diventando sempre più un punto di riferimento anche per gli altri produttori. Nuove adesioni di una certa caratura si sono registrate nella compagine associativa, fra le quali alcune delle più importanti cantine dell’Oltrepò Pavese. Tutte accomunate da obiettivi qualitativi non sempre scontati nel passato anche recente. È soprattutto da questi rapporti di collaborazione, e prima ancora di amicizia, che passano i destini di un comparto, quello vitivinicolo, che vive un momento di travaglio prolungato; che tuttavia potrebbe essere il preambolo a un periodo di riforme strutturali finalmente decisive. E Torrevilla, con il suo presidente Massimo Barbieri che abbiamo incontrato in questa intervista, è pronta a giocare un ruolo da protagonista. Presidente, ci descriva il momento attuale di Torrevilla. «Torrevilla si è rafforzata molto nell’ultimo triennio. Nell’ultima fase sono state portate tante innovazioni, a livello interno prima di tutto, con una ristrutturazione aziendale sia dal punto di vista del personale, sia in relazione ai livelli di efficienza e di produttività. Razionalizzazione, soprattutto, con un forte risparmio sui costi di gestione». Quali sono stati i punti di partenza per questa ristrutturazione? «Bisogna partire dal fatto che è cambiata la direzione, è cambiata la presidenza, ed è cambiato il Consiglio d’Amministrazione. Questo ha dato nuovi input alla gestione, con un impegno molto gravoso, sia per la direzione, sia per le risorse interne». Ci sono state resistenze interne al cambiamento? «Diciamo che sì, qualche resistenza c’è stata, ma non in senso negativo. L’impostazione che è stata data era tesa a una responsabilizzazione che ha anche premiato chi ha capito il passaggio. Da parte dell’amministrazione non c’è la volontà di penalizzare, anzi: in parte è già stato fatto ed in parte vorremo premiare i nostri dipendenti, adeguandoci a una visione meritocratica. Questo alla fine è una piccola azienda, con un numero limitato di dipendenti: una grande famiglia dove tutti devono dare il meglio di sé». In cosa si concretizza questo efficientamento? «Un dato inequivocabile: pur mantenendo costante la produzione abbiamo diminuito del 75% gli straordinari. Questo è un segnale di efficienza. Addirittura abbiamo

Massimo Barbieri, Presidente di Torrevilla eliminato il lavoro di imbottigliamento nella giornata di sabato. Si lavora in anticipo, non in emergenza.Tutti questi dettagli ci avvicinano sempre più a quella che deve essere la gestione di una pura e semplice azienda privata. E non abbiamo licenziato nessuno». Anche i collaboratori esterni sono stati premiati, di recente, in una giornata dedicata… «Abbiamo rivoluzionato la catena agenti, con l’inserimento di nuove figure, che sono più rivolte a una vendita di prodotti di qualità. L’approccio è diverso, fra l’agente che propone il fusto o la bottiglia di qualità. Questo è stato reso possibile anche grazie al responsabile del nostro canale Ho.re.ca., il dottor Piva, inserito in organico due anni fa, e al cambiamento della vision aziendale. Oggi nel canale Ho.re.ca. ci proponiamo quasi in via esclusiva con Genisia, la nostra linea di alta gamma, e con gli spumanti. Dietro questo c’è anche un lavoro di miglioramento qualitativo». In cosa consiste? «In parte nell’aver utilizzato in modo maggiore la consulenza del professor Valenti, che già era in azienda e che ha incrementato il suo impegno con noi. E poi dall’importante lavoro del direttore Picchi, proprio sulla lavorazione dei prodotti, e dall’importantissima collaborazione della base sociale a livello produttivo. Oggi Torrevilla usufruisce di un grande lavoro di zonazione. La vendemmia viene effettuata con la prenotazione da parte di Torrevilla delle uve: non sono più i soci che conferiscono in modo spontaneo, ma

lo fanno secondo un calendario fatto di scelte tecniche, che tiene conto di diversi fattori come esposizione dei terreni, altitudine, campionamenti… è Torrevilla che sceglie, in modo da ottenere basi qualitative uniformi». La zonazione è stata, certamente, una svolta per l’azienda, che è sempre più orientata a una produzione di qualità. Quasi un miracolo, considerando l’entità del cambiamento e lo stravolgimento di procedure condivise e cristallizzate da decenni… «Non voglio dire che in questi tre anni si siano fatti miracoli. È stato un percorso più lungo, la zonazione è un lavoro che ha richiesto dieci anni, ed è stato fatto in modo serio. Negli ultimi tre anni questa impostazione è stata implementata in modo anche intransigente». Da parte dei soci, invece, si sono alzate barricate? «Guerre no, ma non è stato un passaggio così scontato. Sicuramente si sono creati alcuni mugugni, ma quando si cambiano abitudini consolidate è comprensibile». Quali risultati si sono ottenuti con questo periodo di riforme? «Innanzi tutto questa razionalizzazione ha portato anche a un maggior dividendo sulle uve, che poi è la finalità principale della nostra azienda. Rispetto a tre anni fa la retribuzione delle uve è aumentata del 90%, anche perché si partiva da molto in basso. Stiamo operando in modo molto intenso perché questi prezzi possano essere anche superiori, in aumento; per renderlo possibile stiamo lavorando tantissimo per

impostare, e diciamo identificare l’azienda sempre più con la produzione spumantistica. Quindi una valorizzazione specifica sul Pinot Nero, anche vinificato in rosso». Due bandiere, per Torrevilla. «Dobbiamo identificare l’azienda in primis, ma sarebbe auspicabile tutto il territorio, su questi prodotti. A tal fine è stata inserita anche una collaborazione fissa con un’agenzia di comunicazione, la ‘‘Multimedia”». Perché avete deciso di acquisire questa collaborazione? «Dobbiamo imparare sempre più a comunicare. A trecentosessanta gradi. Ci stanno aiutando molto, ed è molto importante, siccome non pensiamo di essere dei tuttologi, qui. Questa è oggi un’azienda strutturata. Abbiamo un responsabile commerciale, un enologo, un responsabile della comunicazione, uno studio legale, e abbiamo la collaborazione di figure come quella del professor Valenti, fra i numeri uno a livello nazionale. Questo per dire che il presidente fa il presidente: io non faccio i vini, non faccio il commerciale, non faccio il comunicatore. Faccio il presidente, con tutto quello che compete a questa carica». Non sia modesto: sarà pur sempre la governance aziendale a dettare la linea. «È logico che esercito un controllo su tutto quello che succede in azienda e mi riservo l’ultima parola, ma ogni compito e ogni responsabilità è ben definita. Il presidente tira la linea ogni mese. E si impegna per la parte più istituzionale, politica dell’azienda».

«Torrevilla effettuerà il primo acconto per il 20 dicembre. Sicuramente non sarà inferiore a quello dell’anno scorso»


TORRAZZA COSTE Parliamo della vendemmia appena trascorsa e del momento attuale in cui versa il comparto vitivinicolo. «Il contesto dell’anno in corso non è sicuramente un contesto economico e commerciale positivo, a livello nazionale. La grande produzione di uva, non solo in Oltrepò ma sul territorio nazionale, ha fatto sì che ci sia un calo dei prezzi notevole. Per tanti motivi. Chiaramente il territorio Oltrepò è a maggior rischio, per via di una mancanza di immagine territoriale. Ciò nonostante vorrei far notare che la posizione di Torrevilla è abbastanza tranquilla». Vogliamo scendere più nello specifico? «Non andrò a fare dei prezzi per l’anno prossimo perché sarebbe prematuro, ma diciamo che Torrevilla non ha problemi a livello commerciale, e che il nostro prodotto per la parte sfusa che non commercializziamo direttamente è tutto sotto contratto e con prezzi in linea con quelli della vendemmia dell’anno scorso. L’unico timore che abbiamo sono le politiche di basso prezzo attuate dalle aziende concorrenti, che potrebbero creare qualche problema anche a Torrevilla. Comunque stiamo operando su tutti i fronti, compreso l’estero, per far sì che i soci siano soddisfatti anche dei dividenti della vendemmia 2018». E per quanto riguarda gli acconti? «Torrevilla effettuerà il primo acconto per il 20 dicembre, come ormai di consuetudine. Per quanto riguarda la cifra, posso dire che sicuramente non distribuiremo un acconto inferiore a quello dell’anno scorso. A giorni si riunirà il CDA e l’intenzione, se possibile, è di riconoscere qualcosa in più sul prezzo al quintale, proprio in considerazione della difficile annata 2017 dove si ha avuta poca produzione, e quindi cercheremo di far sì che il valore, nel limite del possibile, soddisfi l’esigenza dei soci». Superiore o inferiore ai 10 euro? «Sicuramente superiore». Se posso permettermi, sembra non esserci nulla da invidiare agli altri attori del comparto… «Ripeto: questa è una piccola azienda, perché non ci riteniamo a livello dimensionale un colosso. Certo non siamo un’azienda famigliare». E questo significa, d’altra parte, che la macchina amministrativa abbia un grado di complessità elevato, difficile da apprezzare nelle sue infinite sfaccettature. Lei come ‘‘nuota’’ in questo mare aperto, dove sembra difficile individuare punti di riferimento? «Ritengo per me sia stata una fortuna avere un percorso nel CDA come quello che ho avuto, partendo da consigliere per poi divenire vicepresidente con deleghe e infine presidente. Questo percorso mi ha fornito una conoscenza massima di quello che accade in azienda. Il direttore che si è inserito in azienda due anni fa vi collaborava già da tredici. Quindi diciamo che c’è stato un cambiamento nella continuità. Stiamo ponendo dei correttivi su alcune cose che potevano essere migliorate, usufruendo anche di una serie di consulenti. Certo, il cambiamento è avvenuto nella continuità. Non denigriamo e non cancelliamo ciò che è stato finora, ci mancherebbe: se Torrevilla ha 120 anni diciamo grazie a chi c’è stato finora. C’è stato un adeguamento ai

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tempi». Un pensiero al futuro? «Speriamo di continuare così… la mia posizione sarà di passaggio, poi speriamo ci possa essere qualcuno migliore di me». Quanto tempo passa in azienda? «Secondo mia moglie anche troppo… diciamo che c’è una presenza molto costante, cosa di cui Torrevilla ha bisogno. Fino a tre anni fa non esisteva nemmeno un ufficio del presidente…». Passando alle vicende che involgono i rapporti che Torrevilla intrattiene con gli altri operatori, è d’obbligo una domanda sui travagliati rapporti che intercorrono con il Consorzio, dal quale Torrevilla è uscita pochi mesi fa. Vuole dirci la sua su quanto è accaduto? «Riteniamo il Consorzio, almeno teoricamente, la struttura principale di confronto e di tutela. Però in questo Consorzio Torrevilla non si riconosce nel modo più assoluto, perché si tratta di un’organizzazione che, come stabilito dalle norme - e non in modo illecito, per carità - è basata sulla quantità di prodotto, e non rappresenta se non in modo marginalissimo le aziende virtuose e votate alla qualità». Per cambiare le regole ci vorrebbe un intervento ministeriale. Centinaio ormai bazzica con una certa frequenza nelle principali cantine dell’Oltrepò… «Questo cambiamento, sicuramente, ci auguriamo succeda. Ci giunge notizia siano in essere alcune valutazioni a livello ministeriale. D’altra parte, non è da ieri che ci battiamo. In questo Consorzio già da anni avevamo tenuto posizioni di contrasto, tanto è vero che ne eravamo già usciti tre anni fa. Poi eravamo rientrati perché c’erano proposte che condividevamo ed eravamo arrivati a un minimo di accordo trasversale». Lo scorso inverno l’accordo sui nuovi disciplinari pareva essere una svolta sincera e decisiva… «Noi eravamo entrati proprio in merito a quell’accordo. Poi Torrevilla aveva chiesto la possibilità di inserire oltre al proprio rappresentante anche tre persone di nostro gradimento, che pur essendo in minoranza ci avrebbero dato una forma di garanzia su certe scelte future. Questo non è stato accettato, Torrevilla ne ha preso atto e ha deciso di uscire». (i membri del CDA sono quindici, eletti in proporzione paritetica dalle tre categorie dei produttori, degli imbottigliatori e dei vinificatori, ndr)

«Servono nuove regole, sistemi innovativi per garantire a tutti di lavorare nel migliore dei modi»

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«Nel corso dell’ultimo anno c’è stata l’adesione di un buon numero di nuovi soci. Fra questi anche aziende importanti dell’Oltrepò, come Monsupello, Montelio, Frecciarossa» Si riconosce nella definizione di ‘‘dissidente’’? «Il presidente di Torrevilla è molto coerente e trasparente. Non pensa di obbligare altri su scelte non condivise, ma rivendica l’autonomia di fare le proprie scelte. Logico che la nostra posizione ha creato non poche complicazioni, perché è venuto meno l’erga omnes sulle varietà di uvaggio. In pratica il Consorzio, se rimane come oggi, diventa una semplice associazione di produttori. Per questo Regione Lombardia, con l’assessore Rolfi, ha organizzato un tavolo per vedere di ricomporre la situazione». Non sarà che queste continue scissioni finiscano per diventare, alla fin fine, un bene per tutti? Pensa sia stata utopistica e superata l’idea di mettere nello stesso calderone aziende e territori perseguenti obiettivi così diversi? «Spero il Ministero ne prenda atto. Però oggi ci relazioniamo con le normative esistenti. È difficile mettere insieme chi ha nel suo DNA un certo tipo di vendita, quella in cisterne, chi invece vende in bottiglia, e gli imbottigliatori. Sono realtà diverse. Difficilmente si possono trovare punti in comune. Servono nuove regole, sistemi innovativi per garantire a tutte le realtà la possibilità di lavorare nel migliore dei modi. E non ultimo un occhio di riguardo per i produttori, gli agricoltori, che devono poter vivere decorosamente. Spesso ci si dimentica che tutte queste situazioni vanno a ricadere in modo negativo su chi poi è alla base della piramide». E a proposito di produttori, chi sono i soci di Torrevilla, oggi? Quanti sono anche conferitori? «Circa 200 soci, di cui 170 conferitori. Negli scorsi 7/8 anni c’è stata una diminuzione della base sociale, determinata da tanti fattori, fra cui la remunerazione delle uve, e il fatto che alcune aziende sono state dismesse. Nel corso dell’ultimo anno c’è stato, invece, un cambio di tendenza, con l’adesione di un buon numero di nuovi soci. Fra questi anche aziende importanti dell’Oltrepò, come Monsupello, Montelio, Frecciarossa, e poi anche aziende di produzione; come Sisti, che è uno dei più grandi produttori dell’Oltrepò. I nuovi soci sono una dozzina, fra normali produttori e realtà di una certa caratura come quelle descritte, e questo ci fa piacere perché pensiamo di impostare una collaborazione importante a livello territoriale. Anche altre importanti aziende, come

Adorno, sono soci storici». A proposito di scelte strategiche e di sistema: vuole raccontarci perché avete scelto di puntare con decisione sul pinot? «Innanzi tutto perché fortunatamente l’Oltrepò Pavese ha delle condizioni pedoclimatiche che favoriscono questo vitigno. Siamo uno dei più grandi produttori al mondo di ottimo pinot ed è un prodotto che può essere valorizzato per far sì che a trarne giovamento sia tutto il comparto. C’è spazio di mercato, non ci andiamo a scontrare con altre realtà; la spumantistica sta funzionando, il pinot vinificato in rosso verrebbe riconosciuto anche all’estero. E poi bisogna che questo territorio si identifichi con due prodotti, non con cento. Come capita da altre parti, deve essere identificato con un bianco e un rosso». Il pinot sembra fatto apposta per questa visione. «Noi abbiamo la fortuna che questo vitigno si addica a essere vinificato sia in bianco, sia in rosso. Detto questo, non è che si vogliano abbandonare bonarda, riesling e cortese; proprio valorizzando un territorio e alcuni prodotti si fa sì che questi facciano da traino per tutti gli altri. Oggettivamente non saremmo in grado di fare diversamente». Mi pare che in Oltrepò ci sia una tendenza piuttosto rapida a cambiare idea sul prodotto cui puntare. Ad esempio: uno storico ed importante direttore del Consorzio di qualche anno fa, Carlo Alberto Panont, credeva molto nelle potenzialità del Rosso Oltrepò… «Se ne sta parlando ancora oggi. È stato proposto e riproposto da forse un decennio. Sarebbe un ottimo prodotto, in linea teorica, ma non ha mai avuto successo». E perché non il bonarda, che è ancora un vino rappresentativo, secondo molti? «Il bonarda personalmente è il vino che preferisco, ma non abbiamo i quantitativi per competere su un mercato nazionale o addirittura internazionale. Poi è stato distrutto a livello di immagine da parte di alcune aziende che lo hanno un po’ svenduto in termine di immagine e di prezzo. Mi è capitato di vedere nella GDO offerte di bonarda a prezzi inferiori all’euro e cinquanta. Questo è un dato che parla da solo. Pensare di riportarlo a un certo tipo di valorizzazione nel breve tempo è impossibile». di Pier Luigi Feltri


BY TATO


RIVANAZZANO TERME

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Emilio Limonta lancia un appello: «Le piante sono belle, sono forti e ci aiutano a respirare» Quasi trent’anni fa ha introdotto a Rivanazzano (allora non era ancora “Terme”) la giornata “Scopri verde Rivanazzano Terme”, un’iniziativa di volontariato che da allora porta avanti, seppur con partecipazione alterna, ogni anno. Emilio Limonta, oltrepadano doc, è più che un semplice amante della natura e del verde. La stessa etichetta di “ambientalista” potrebbe non calzargli a pennello. Il suo rapporto con la natura si potrebbe quasi definire “simbiotico”. «L’ambiente è tutto ciò che abbiamo – dice - e andare in giro per le strade e per il paese e vedere tutta quell’immondizia, per me azzera tutto il resto, cancella tutto quello che di buono c’è e che è stato fatto». Così ogni anno si rimbocca le maniche e, insieme a un numero mai preventivabile di volonterosi, si dedica alla riscoperta del verde cittadino, raccogliendo carta e plastica dai suoli dei parchi, giardini e strade vicinali. Oggi il suo obiettivo non è più solamente la raccolta di quanto persone incivili abbandonano nei fossi, ai lati della strada o addirittura nelle fioriere. Limonta punta il dito sulla scarsa manutenzione e cura

generale del verde pubblico nel territorio oltrepadano, dove recentemente e di continuo vengono tagliate alcune piante. «Se si visitano le città del nord Europa – spiega Limonta - si rimane colpiti dalla grande attenzione rivolta alla cura del verde pubblico in termini di mantenimento dell’esistente, ma soprattutto è evidente il grande impegno profuso nella messa a dimora di nuovi alberi. Ma non serve neppure andare lontano, è sufficiente attraversare la stessa Milano per rendersi conto di quanta importanza abbiano avuto queste iniziative». Per Limonta la situazione in Oltrepò Pavese è diversa: «qui non sembra proprio ci sia lo stesso atteggiamento nei riguardi del verde pubblico, si continuano ad abbattere alberi che nella maggior parte dei casi non vengono poi rimpiazzati da nuovi esemplari. Quando poi si mettono a dimora nuove piante queste vengono spesso abbandonate al loro inesorabile destino senza prendersene cura. Si vedono quindi fioriere con cespugli rinsecchiti che finiscono per diventare vere e proprie pattumiere piene di cartacce e di mozziconi ed alberelli lasciati alla mercè di siccità e

vandalismi». Quello che Limonta rivolge alle istituzioni, ma anche e soprattutto vista la sua storia personale ai privati cittadini, è un appello accorato. «Il contributo che il verde urbano produce in termini di bellezza, di salute e quindi di qualità della vita è fondamentale. I giardini pubblici, i viali, le aiuole sono un bene di tutti e tutti ne possono godere. Le piante sono belle, sono forti e ci aiutano a respirare». Riguardo al taglio di alcune piante nei Comuni oltrepadani dice:«Si sente dire che gli alberi disturbano perché perdono le foglie oppure che sono pericolosi per i veicoli che escono di strada. Con quest’ultima motivazione sono stati abbattuti i Prunus che fiancheggiavano la strada che va da Rivanazzano Terme a Voghera cancellando così lo spettacolo della fioritura che questo viale ci regalava ad ogni primavera, per non parlare del parco di Salice Terme un vero gioiello arboreo che anno dopo anno si sta “spegnendo” in modo preoccupante. Questa tendenza deleteria va contrastata con l’impegno costante delle amministrazioni locali e dei cittadini per salvaguardare il nostro pre-

«Si continuano ad abbattere alberi che nella maggior parte dei casi non vengono poi rimpiazzati da nuovi esemplari» zioso patrimonio verde». Sul modus operandi, Limonta ha le idee chiare e mette in campo tutto il suo senso pratico di “uomo d’azione”. «Comizi, bandierine, gadget non fanno per me. Noi ci rimbocchiamo le maniche e facciamo. Il giorno dopo, il nostro intervento è tangibile e si vede che il paese è più pulito». di Silvia Colombini



FONDAZIONE VARNI AGNETTI

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Fondazione “Varni Agnetti” Onlus : 20 anni di attività 18 dicembre 1998/18 dicembre 2018 La Fondazione Varni Agnetti è una residenza socio assistenziale (R.S.A.), autorizzata al funzionamento per 86 posti letto in esercizio) complessivi ed accreditata (per n. 84 posti a contratto e n. 2 posti solventi) da Regione Lombardia per l’assistenza di anziani non autosufficienti parziali e totali. Offre un Centro Diurno Integrato per anziani (C.D.I.) autorizzato per n. 40 posti; servizi di assistenza domiciliare (voucher socio-sanitari; voucher sociali, servizi domiciliari a pagamento); un Servizio di “R.S.A. Aperta” (La RSA Aperta è una Misura innovativa che offre la possibilità di usufruire di servizi sanitari e sociosanitari utili a sostenere la permanenza al domicilio della persona il più a lungo possibile, con l’obiettivo di rinviare nel tempo la necessità di un ricovero in una struttura residenziale. Le prestazioni si rivolgono a persone che si trovano nelle seguenti condizioni: a)demenza certificata da un medico specialista geriatra o neurologo di strutture accreditate/equipe ex U.V.A. (Unità Valutazione Alzheimer) ora C.D.C.D (Centri per Deficit Cognitivi e Demenze); b)anziani non autosufficienti di età pari o superiore a 75 anni, riconosciuti invalidi civili al 100%.. Conta di un Servizio di erogazione pasti a domicilio alle persone anziane in stato di fragilità (Servizio sperimentale nel solo Comune di Godiasco Salice Terme); alloggi protetti per anziani per 26 posti letto. Dal 1998 ad oggi: apertura R.S.A. accreditati per n. 60 p.l. (I.P.A.B. Varni Agnetti); • 2001 – Convenzione con Comune di Milano per n. 12 posti letto aggiuntivi ai 60 • 2003 – Accreditamento di n. 12 posti letto per un totale di n. 72 p.l.

Il Presidente Elio Berogno alla cerimonia inaugurale degli alloggi A.P.A • 2003 – accreditamento servizio A.D.I. (voucher socio-sanitari) • 2003 – Apertura C.D.I. n. 5 posti • 2004 – Trasformazione della I.P.A.B. “Varni Agnetti” in Fondazione di diritto privato senza scopo di lucro – ai sensi l.r. 1/2003 • 2004 - certificazione di Qualità secondo la UNI EN ISO 9001:2008 • 2005 – Autorizzazione C.D.I. n. 10 posti • 2007 – Autorizzazione C.D.I. n. 22 posti • 2008 – Autorizzazione C.D.I. n. 40 posti • 2008-2009 – Ampliamento R.S.A. e C.D.I. “Varni Agnetti” (investimento oltre euro 1.000.000,00); • 2009 – Accreditamento R.S.A. Varni Agnetti di ulteriori 12 posti per complessivi 84 p.l. accreditati • 2012 - certificazione OHSAS 18001:2007

del Sistema di Gestione per la salute e la Sicurezza sul Lavoro (prima R.S.A. in Lombardia ad ottenere questa certificazione); • 2013 – Accreditamento servizio “RSA Aperta” servizio a domicilio per le persone al di sopra dei 75 anni in situazioni di fragilità • 2013 – Acquisizione di n. 1 lotto terreno lottizzazione Galò e di un Area di terreno agricolo adiacente R.SA. Varni Agnetti (800 mq) • 2013 – 2015 – Concessione in diritto di superficie area adiacente RSA «Varni Agnetti» da parte del Comune di Godiasco S.T. (800 mq) • 2015-2016 – Ampliamento R.S.A. per un totale di n. 6 posti letto (di cui n. 2 posti letto RSA “solventi” e n. 1 appartamento

residenziale) • 2016 – Candidatura progetto A.P.A. al Bando Emblematici maggiori di Fondazione Cariplo • 2017 – Avvio lavori per progetto A.P.A. – mese di giugno 2017 • 2017 – Acquisizione di n. 2 lotti terreno adiacenti RSA e futura APA (1.500 mq); • 2017 – riconoscimento da parte di ATS PAVIA come ente gestore ed erogatore della presa in carico dei pazienti cronici (territorio di riferimento Oltrepò Pavese) •10 novembre 2018 Inaugurazione APA – Alloggi Protetti per Anziani e soggetti in situazione di disagio n. 26 posti letto (n. 16 alloggi) •Nr. Lavoratori diretti ed indiretti impiegati nel servizio: oltre 120


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La prima struttura, nel suo genere, ad essere realizzata in Oltrepò Godiasco Salice Terme circa 4,5 milioni di euro di cui neppure 1 euro di soldi pubblici!.... ed ha erogato sul solo territorio della CMOP almeno 15 milioni in stipendi e pagamento di collaborazioni! Presente anche il Senatore Giuseppe Guzzetti Presidente della Fondazione Cariplo, che ha sottolineato, l’importanza di questi alloggi protetti per la Comunità di Godiasco e come gli stessi siano un’opera in continuità con la RSA “Varni Agnetti” inaugurata proprio da lui 20 anni fa. Presenti anche i Sindaci di Bagnaria, Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Cecima, Fortunago, Godiasco Salice Terme, Montesegale, Il Vescovo Monsignor Viola durante la benedizione dei nuovi alloggi Ponte Nizza, Rocca Sula sfera legata ad una nuova residenzialità sella, Val di Nizza che hanno sostenuto il essere realizzata su tutto il territorio della leggera. Era presente anche il Vescovo di Progetto della Fondazione “Varni AgnetComunità Montana dell’Oltrepò Pavese e Tortona Monsignor Francesco Viola che ti”, erano presenti anche i Sindaci di Menanche nel restante territorio della provinha sottolineato come la realizzazione di conico, Ruino, Codevilla e Voghera oltre cia di Pavia, non esiste al momento una questi alloggi protetti, nati grazie anche che il Sen. Alan Ferrari, l’Onorevole Lucstruttura di questa tipologia avente carattea donazioni di privati cittadini, siano un chini e l’Assessore Regionale Silvia Piani. ristiche così innovative dal punto di vista esempio di come il dono possa generare Tutti hanno sottolineato che gli APAdella qualità architettonica, degli impianti, un beneficio per l’intera Comunità. Alloggi Protetti per Anziani della Varni dell’utilizzo della domotica e della creaIl Presidente Berogno ha espresso la graAgnetti rappresentano per il territorio una zione di una rete di protezione integrata. titudine Sua e del Consiglio di AmminiL’opera realizzata completerà tutta l’assirisposta innovativa di garanzia dei servizi strazione della Fondazione, nei confronti alla persona anziana del nostro territorio. stenza socio-sanitaria del territorio collidel personale della Fondazione, di tutte le «I più sentiti ringraziamenti ad Eliseo Donare della Comunità Montana dell’Oltrepò associazioni, le istituzioni, le ditte, i colminioni che, come ho già detto pubblicaPavese e permetterà di ampliare l’offerta laboratori ed i benefattori che hanno reso mente, ha fatto una importante donazione di servizi esistenti coprendo e servendo possibile la realizzazione degli Alloggi alla Fondazione senza la quale non avremA.P.A. mo potuto dare avvio ai lavori - afferma La Fondazione nei suoi primi 20 anni di atBerogno - a Monsignor Rino Mariani, il tività ha erogato oltre 560.000 giornate di nostro Arciprete, e tutti gli altri benefattori assistenza in RSA, circa 160.000 giornate che, tramite il 5 per mille con atti diretti di di assistenza in C.D.I., inoltre ha assistito donazioni hanno permesso il miglior funcirca 2.000 Utenti a domicilio, erogato cirzionamento della “Varni Agnetti”. ca 60.000 pasti, sempre a domicilio, ecc. Da parte nostra garantiamo che la Mission La R.S.A.- Residenza Socio Sanitaria della Fondazione è quella di dare efficaci Assistenziale ad oggi, conta 534 persone risposte assistenziali e sanitarie alle persoin lista di attesa, il nostro Centro Diurne anziane ed ai soggetti in situazioni di no per Anziani è praticamente saturo, il fragilità dando al contempo una opportu98% dei nostri dipendenti sono a tempo nità di lavoro ai nostri giovani che così indeterminato, ogni Ospite della nostra riescono a rimanere sul territorio. R.S.A. risparmia in un anno circa 5.000,00 Vogliamo - prosegue il Presidente - insieeuro rispetto alla retta media territoriame a tutto il nostro personale, assicurare le delle R.S.A. dell’ATS Pavia e circa un ulteriore passo in avanti nel costruire 7.300,00/7.500,00 rispetto alla retta media un modello di Fondazione che sia, sempre delle RSA della Lombardia. La Fondaziopiù, espressione della Comunità che rapne solo negli ultimi 8 anni compresa la representa e capace di essere protagonista alizzazione degli A.P.A. che inauguriamo, del cambiamento nei nuovi scenari che ha investito sul territorio del Comune di vanno disegnandosi». Il Senatore Azzaretti alla cui memoria è dedicata la nuova struttura

Una folla di persone (più di 500) hanno presenziato alla cerimonia di inaugurazione degli A.P.A. Alloggi Protetti per Anziani della Fondazione “Varni Agnetti” Onlus di Godiasco dedicata alla memoria del Sen. Giovanni Azzaretti. Si tratta di alloggi autonomi, innovativi ed ecosostenibili, antisismici e sicuri, tecnologicamente avanzati con l’utilizzo della domotica per la gestione degli impianti, ma anche per la gestione di servizi rivolti all’utenza finalizzati soprattutto alla sicurezza ed alla tutela dell’utente e ospite della struttura residenziale. «Con la realizzazione di questi Alloggi la Fondazione intende promuovere interventi che garantiscano una domiciliarità in grado di coniugare l’assistenza sociale e socio-sanitaria, con il rispetto del bisogno di privacy, il mantenimento dell’autonomia abitativa in un ambiente sicuro, la tutela dell’identità personale e la libertà di autogestione» dice il Direttore Carlo Ferrari. Si tratta di una struttura composta da 16 alloggi, tra monolocali e bilocali, dotati di tecnologie che garantiscono sicurezza ed elevati comfort abitativi. Il progetto prevede anche la creazione di ulteriori alloggi pilota sul territorio della Comunità Montana, collegati attraverso la domotica collettiva, per assicurare, alle persone fragili destinatarie dell’iniziativa, autonomia e protezione, che rappresentano le due “parole chiave” che riassumono la finalità del progetto. Il costo totale dell’opera è di circa € 2.800.000,00 di cui € 1.000.000,00 è stato il contributo di Fondazione Cariplo, mentre la rimanente quota è stata finanziata con donazioni e con risorse della Fondazione Varni Agnetti. Questo tipo di struttura sarà la prima ad


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I destinatari, le modalità d’accesso e i servizzi accessori su richiesta L’Alloggio Protetto è destinato prioritariamente a persone di età superiore ai 65 anni che conservano un sufficiente grado di autonomia e per le quali sia impraticabile o improponibile l’ambiente familiare e necessitano di vivere in un ambiente controllato e protetto per prevenire il rischio di emarginazione o ricoveri impropri in strutture residenziali. L’Alloggio Protetto può accogliere anche persone di età inferiore ai 65 anni, che si trovano nella situazione sopra descritta e, per le quali, l’inserimento nell’Alloggio Protetto rappresenta una risposta adeguata ai propri bisogni sociorelazionali. È esclusa l’accoglienza di persone anziane non autosufficienti necessitanti di assistenza sociosanitaria continua che trovano la loro migliore collocazione nella rete di unità d’offerta sociosanitarie. MODALITÀ DI ACCESSO Presentazione della domanda L’accoglienza nell’Alloggio Protetto avviene previa presentazione della domanda compilando l’apposita modulistica (da richiedere all’ufficio amministrativo della Fondazione o scaricabile dal sito www. varniagnetti.it) che raccoglie tutte le informazioni di tipo anagrafico, sociale e sanitario necessarie ad una valutazione complessiva del bisogno del richiedente. Il richiedente può presentare domanda o di persona, all’Ufficio Amministrativo della Fondazione situati in Via Ardivestra, 3/5 a GODIASCO SALICE TERME (PV) negli orari di apertura al pubblico, o inviando tutta la modulistica richiesta via e-mail all’indirizzo info@varniagnetti.it. La domanda può essere presentata direttamente dall’interessato o da un suo familiare o dai Servizi Sociali dei Comuni per le

situazioni che si trovano in condizioni di emarginazione o di disagio sociale. In caso di comprovata impossibilità da parte dell’utente a sostenere l’intero onere economico, il caso verrà segnalato al Comune di residenza che si farà carico di valutare la quota di compartecipazione al costo delle prestazioni in base a quanto sancito dalla normativa vigente. I principali SERVIZI degli Alloggi Protetti per Anziani: assistenza medica, infermieristica e riabilitativa, telemedicina, prenotazione di visite specialistiche ospedaliere e prelievi del sangue, cura della persona con personale qualificato, servizio di pulizia e sanificazione ambientale, servizio di animazione, attività ricreativa, gite, servizio parrucchiera/estetista, servizio di ristora-

zione, servizio lavanderia, assistenza fiscale ecc. Inoltre gli utenti degli alloggi protetti possono accedere ai servizi accessori su richiesta individuale ed a libera scelta. Il costo dei servizi accessori costituisce la parte variabile del canone secondo l’uso effettivo degli stessi. -Servizio in camera per i tre pasti principali (colazione, pranzo e cena); -Pasto supplementare ospite; -Cambio della biancheria piana al di fuori del cambio settimanale; -Pulizia supplementare dei locali su richiesta dell’ospite; -Visite mediche specialistiche (Geriatrica e/o Fisiatrica) su richiesta; -ECG di controllo su richiesta; -Prelievi ematici al domicilio;

-Medicazioni, somministrazioni terapie, controlli infermieristici oltre a quelli inclusi nella retta; -Trasporto sanitario; -Assistenza e supervisione per bagno assistito; -Servizio di trasporto su richiesta con mezzi della Fondazione; -Servizi di animazione e socializzazione volti alla stimolazione relazionale e sociale; -Partecipazione alle attività motorie di gruppo al di fuori da quelle previste contrattualmente; -Fisioterapia e terapia fisica; -Servizio parrucchiere e barbiere; -Servizio di podologo; -Maggiordomo di comunità



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16 Alloggi Protetti, 10 bilocali e 6 monolocali Gli A.P.A. - Alloggi Protetti per Anziani realizzati sono 16 per complessive 26 persone ospitate; di cui n. 10 bilocali (da circa 65 mq) e n. 6 monolocali (n. 4 da circa 30 mq e n. 2 da 45 mq). Il costo totale dell’opera è di circa € 2.800.000,00 per la sola struttura di Godiasco; a gennaio 2019 verrannno accolti i primi Ospiti, molte sono già le prime adesioni! Il servizio sarà rivolto a persone anziani autosufficienti e/o persone in situazione di disagio e si integrerà con i servizi che già eroga la Fondazione. Il servizio che intende offrire l’alloggio protetto è quello di fornire all’anziano tutta la libertà e l’indipendenza che desidera, liberandolo invece dalle incombenze quotidiane che spesso costituiscono fonte di preoccupazione e disagio, garantendogli una rete di protezione e sostegno sia sociale che sanitario. Si tratta in sostanza di alloggi autonomi, innovativi ed ecosostenibili, antisismici e sicuri, tecnologicamente avanzati con l’utilizzo della domotica collettiva. Ogni appartamento è dotato di SISTEMA DI CHIAMATA DI EMERGENZA collegato all’impianto domotico e costituito da pulsanti di chiamata posizionati in ogni ambiente in prossimità del letto, del divano, della doccia, del WC e del tavolo e da un pulsante di ripristino in prossimità dell’ingresso della casa quali: • allarmi provenienti dal sensore di presenza installato nell’alloggio, qualora non vengano rilevati movimenti all’interno dell’appartamento per un periodo di tempo definito e personalizzabile a seconda dell’alloggio e dell’ospite e gli allarmi provenienti dai contatti presenti su porte e finestre;

• allagamento degli appartamenti, della centrale termica e della lavanderia; • fughe di gas dalla centrale termica; • segnali dall’impianto di rilevazione incendi. Tali allarmi vengono remotati tempestivamente alle figure di competenza (medico, infermiere ecc). Sono dotati di arredo completo di tutto l’alloggio. Gli utenti possono comunque scegliere di allestire l’appartamento con parte di proprio arredamento, previa autorizzazione della Fondazione. Questo non comporta alcuna variazione del costo fisso della retta. Esternamente è prevista un’area di parcheggio di circa 500 mq ed alcune aree verdi, per un totale di 529 mq da destinare ad attività di giardinaggio e di ortocoltura da parte dei residenti. Gli impianti speciali e l’impianto domotico, finalizzati alla sicurezza ed alla tutela dell’utente e ospite della struttura residenziale, sono strutturati per essere replicabili anche all’esterno dell’edificio in progetto, con l’intento di creare una rete di protezione integrata caratterizzata dall’utilizzo della domotica collettiva. Questo intervento permetterà di: - Mantenere la persona sul proprio territorio di residenza:, rinforzando e arricchendo l’offerta dei servizi socio assistenziali locali, permettendo alla popolazione locale di rimanere nel proprio territorio di origine in un contesto nuovo ed innovativo, in cui coesistono in modo efficiente ed efficace l’autonomia abitativa della persona e la presa in carico in una rete assistenziale integrata; - Garantire l’Autonomia dei residenti:, in

un alloggio sicuro, a cui si aggiunge la possibilità e la certezza di usufruire di protezioni aggiuntive ed assistenza in caso di bisogno. - Facilitare la Socializzazione fra persone: offrire alle persone residenti dei minialloggi, le quali, è importante ricordarlo, provengono da situazioni di solitudine e disagio sociale, importanti ed ampie possibilità di socializzazione e aiuto fra i condomini, grazie anche alla promozione e organizzazione di numerose attività di animazione; - Garantire la Sicurezza della persona: assicurando un comfort ambientale ad elevata tecnologia, in un contesto di sicurezza e controllo.

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- Contrastare le situazioni di emergenza sociale: attraverso la collaborazione con i Comuni convenzionati del territorio garantendo una sinergia di forze e di intenti per gestire situazioni eccezionali di disagio sociale che interessano periodicamente soggetti svantaggiati e i Comuni in cui risiedono. - Garantire la Sicurezza strutturale e il risparmio energetico: costruendo una struttura antisismica e riducendo la dispersione energetica tramite l’adozione di tecnologie innovative, contribuendo alla diminuzione dell’impatto ambientale grazie ad un significativo contenimento dei consumi.


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VAL DI NIZZA

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Risarcimento danni per il gelicidio «All’Oltrepò solo le briciole» Arrivano dalla Regione i risarcimenti per il gelicidio dell’anno scorso e l’Oltrepò si rivela subito una cenerentola. “Solo” 180mila gli euro stanziati in favore dei Comuni martoriati dal maltempo, una cifra che, se paragonata ai 10milioni ottenuti da Piacenza, mette in evidenza ancora una volta come il peso specifico di questo territorio sui tavoli della politica sia inconsistente. Il sindaco di Val di Nizza Franco Campetti è uno di quelli che dovranno accontentarsi delle briciole. «A Val di Nizza arriveranno 5.000 euro, che corrispondono al rimborso delle spese di prima emergenza che il Comune ha sostenuto per garantire la viabilità sulle strade che collegano le frazioni. Di questo ringrazio Regione Lombardia e l’Assessore Fioroni che hanno recepito le nostre richieste e ci ha rimborsato di quanto come comuni abbiamo anticipato. Purtroppo però – siega Campetti - i danni sia diretti che indiretti sono stati molto consistenti e occorrerebbero per il territorio della Comunità Montana almeno dieci milioni di euro». Sindaco, come mai non si è potuto ottenere risarcimenti più congrui secondo lei? «Siamo rimasti per un giorno praticamente isolati, senza luce, telefono e acqua potabile, una situazione veramente surreale che credo non è stata recepita nella sua globalità, tanto è vero che il Governo di allora non ci ha riconosciuto lo stato di calamità naturale, cosa che peraltro è stata riconosciuta nella vicina Piacenza». Con questi pochi soldi cosa si può fare? «Poco. Ovviamente occorrerebbero altri fondi, sia per il Comune che per gli agricoltori per intervenire nei boschi dove si sono registrati i danni maggiori. La viabilità principale nei boschi è garantita perché squadre di volontari (in particolare agricoltori, cacciatori e motociclisti) si sono resi disponibili a lavorare soprattutto nei fine settimana, coordinati dal Comune. In questo modo oltre a rendere fruibile i boschi, abbiamo garantito, in caso di incendi, la possibilità di accesso e di intervento da parte delle squadre antincendio e dei vigili del Fuoco». Com’è la situazione a Val di Nizza in vista dei rigori invernali? Avete preso contromisure? «Come ogni anno come giunta comunale predisponiamo il piano neve, abbiamo un trattore di proprietà comunale munito di lama spartineve e di spargisale, al quale affianchiamo un analogo mezzo messo a disposizione da un privato. Con i due mezzi riusciamo a garantire il servizio sia di spargisale a prevenzione del ghiaccio che il servizio spazzaneve a tutte le frazioni, che sono 23 per un totale di 25 KM di strade, spesso strette e ripide». L’impressione è che troppo spesso in Oltrepò si preferisca piangere il latte versa-

Franco Campetti to... In estate sono stati effettuati lavori di pulizia dei boschi a lato delle strade in modo da prevenire anche in caso di nuovo gelicidio danni ingenti? «Premettendo che il gelicidio è stato un evento eccezionale veramente non prevedibile, che spero non si ripeta, dico che sulle strade comunali siamo intervenuti, sia direttamente che sollecitando i privati, che hanno provveduto a rimuovere le piante in fregio alle strade, mettendo in sicurezza la viabilità. Ma pulire i lati delle strade eliminando tutto ciò che si trova a 10 metri dalla carreggiata come imporrebbero certe norme non sempre è possibile: va considerato che in alcune situazioni, mi riferisco ad esempio nella frazione di Poggio Ferrato, dove la strada che collega a Oramala passa nel bosco, fare un taglio di piante deciso porterebbe conseguenze ben peggiori per il dissesto idrogeologico». Parliamo di Aree Interne. Un progetto di cui da tempo ormai si parla...ma quando arriveranno i fatti? Quali progetti avete messo in campo come Comune? «Effettivamente di Aree Interne si parla da tempo, ma l’iter burocratico di approvazione delle risorse non è ancora stato completato, anche se oramai siamo in dirittura di arrivo. A Val di Nizza abbiamo previsto la ristrutturazione della ex-scuola di Sant’Albano, nell’ambito del progetto Comunità ospitale, che prevede la ristrutturazione di due appartamenti che saranno destinati ad ospitare potenziali turisti. Abbiamo previsto inoltre un punto per il noleggio di biciclette (mountain bike), anche a pedalata assistita, per le quali stiamo studiando la segnaletica di percorsi adatti in prospettiva di promuovere questo tipo di sport e conseguentemente di turismo. Infine abbiamo previsto il rifacimento dell’illuminazione pubblica con il posizionamento di lampade a led, con due obbiettivi: ridurre i costi di manutenzione e funzionamento e potenzia-

re il servizio». Si vociferava di una possibile chiusura a giorni alterni da parte di Poste Italiane degli uffici nei comuni più piccoli. Ha notizie al riguardo? «Sì, ho partecipato recentemente, insieme ad altri colleghi Sindaci della Valle Staffora, ad un convegno organizzato da Poste Italiane a Roma. Erano presenti il Presidente e l’Amministratore delegato di Poste, il Premier Conte, i Ministri Buongiorno e Salvini ed oltre 3000 Sindaci dei piccoli comuni o meglio come ci ha definito il Presidente Mattarella, comuni meno densamente popolati. Da quanto emerso le politiche di Poste Italiane sono ora differenti con un’ inversione di tendenza rispetto al passato. Infatti l’AD ha dichiarato, tra l’altro, che non intende chiudere nessun Ufficio Postale. Una notizia che ho appreso con piacere, anche perché in passato Poste ha tentato di

5mila euro destinati al comune di Val Di Nizza: «Coperte solo le spese per la prima emergenza» chiudere a giorni alterni l’ufficio di Val di Nizza, in contrasto con la normativa vigente, tanto che come Comune abbiamo dovuto ricorrere al TAR per vedere riconosciuto i nostri diritti. Siamo un Comune senza banche, per cui la presenza di un ufficio postale diventa essenziale. Sono lieto di poter rassicurare i miei concittadini». di Christian Draghi


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Varzi e il prossimo sindaco, per ora sembra corsa a due Le Elezioni Comunali 2019 si terranno in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno nei Comuni con scadenza naturale del mandato degli organi eletti nel primo semestre del 2014 ed in quelli alle elezioni anticipate perché commissariati o per motivi diversi. Varzi tra circa 6 mesi dovrà eleggere il nuovo sindaco e la sua “squadra”. ll 25 maggio 2014 i varzesi avevano riconfermato il sindaco uscente Gianfranco Alberti. La Lista Civica - Insieme per Varzi che lo sosteneva aveva ha ottenuto 1227 voti ( 56,43%), mentre la Lista Civica Ricostruiamo Varzi con Luigi Antoniazzi candidato primo cittadino “avversario” aveva ottenuto 947 voti (43,56). A detta dei “politologi” esperti, 280 voti di differenza (12,87%) non sono stati tanti e avrebbero dimostrato come dopo tutto la gente, il popolo, non starebbe troppo a seguire le indicazioni di voto dei “capataz” politici varzesi e della Valle Staffora. 280 voti di scarto non erano tanti anche perché la lista civica che aveva riconfermato Alberti sindaco era una coalizione a “larghe vedute” che aveva visto uniti come non mai Forza Italia, Lega e Pd. Altro dato non trascurabile è che nel 2014 Alberti aveva potuto contare sull’appoggio degli ex sindaci Querciolli e Tevini, di Elio Berogno e di Bruno Tagliani, rispettivamente uno ex e l’altro, al momento del voto, Presidente della Comunità Montana d’Oltrepò. è poi (forse) superfluo ricordare che Alberti era ed è uomo di Giovanni Alpeggiani, che qualche voto a Varzi e in Valle Staffora lo muove...

Giovanni Palli varzese, nella convinzione che il popolo di Varzi sia ormai disaffezionato alla politica dei “soliti noti” con e loro indicazioni di voto? Ad oggi l’unica certezza è che Alberti, per legge, non si potrà più ricandidare. Il resto, è bene precisarlo, sono voci di corridoio e analisi fatte nei bar, nella piazza del mercato, nei ristoranti dell’Alto Oltrepò e nelle più svariate sedi. C’è chi sostiene che Alberti ad oggi non abbia ancora ben deciso quale potrebbe essere l’uomo da appoggiare come candidato sindaco. Molti si aspettano che un sindaco uscente nomini e appoggi un suo “delfino” scelto per le capacità e le abilità dimostrate all’interno del gruppo amministrativo che in questi ultimi 5 anni ha governato il paese. Questa non presa di posizione da parte di Alberti mette in circolo voci su una scarsa compattezza della maggioranza, che non

Gianfranco Alberti e Don Gianlula Vernetti La domanda è: se Alberti nel 2014 con l’appoggio del suo padrino politico Alpeggiani, di Berogno, Querciolli, Tagliani, Tevini e dei partiti più importanti, quelli che fanno i numeri, aveva ottenuto 280 voti in più del candidato sindaco avversario, i prossimi candidati sindaci, alle prossime elezioni del 2019, seguiranno la strada di Alberti, (quella dell’appoggio politico trasversale) oppure ne prenderanno le distanze e si rivolgeranno direttamente alla gente

riuscirebbe a mettersi d’accordo sul nome del possibile futuro candidato sindaco. In politica si parla fino allo sfinimento di far squadra e di gioco di squadra ma in realtà, proprio come nel calcio, alla fine i goal li fanno quasi sempre i solisti. Quelli dell’attuale maggioranza, con o senza l’appoggio di Alberti, sono due: Giovanni Palli e Giulio Zanardi. Palli, classe 1981, è il Responsabile Provinciale degli enti locali della Lega nonché consigliere di maggio-

Giulio Zanardi

Giuseppe Fiocchi ranza e membro del cda della Fondazione San Germano di Varzi, nonché fidanzato dell’Onorevole Elena Lucchini. Proprio dalle pagine di questo giornale sulla possibilità di essere lui il nuovo sindaco di Varzi aveva dichiarato tempo fa: «è ancora presto per fare certe valutazioni. Certo che per ogni persona che fa un percorso politico come il mio, che ama il proprio territorio, sarebbe un onore fare il sindaco del proprio paese». La sua sarebbe una candidatura forte non solo perchè la Lega a livello nazionale e locale ha il vento in poppa, non solo perchè fidanzato della Lucchini, ma anche perché sembrerebbe essere l’espressione più rappresentativa dei giovani varzesi. L’altro “solista” dell’attuale squadra di maggioranza è Giulio Zanardi, figlio di una delle più importanti famiglie a livello imprenditoriale di Varzi e della Valle Staffora, attuale Assessore al Turismo, Commercio, Personale e Lavori Pubblici, che sembra essere l’uomo, per ora, sostenuto e fortemente voluto da Giovanni Alpeggiani. Se da una parte l’attuale maggioranza parrebbe poco coesa sul candidato sindaco, l’attuale minoranza che farà? Secondo molti non sarebbe neppure pervenuta, nel senso che Alberto Brignoli attuale consigliere di minoranza e Leandro Tambussi, che è l’altro nome che circola, ex assessore ai lavori pubblici della giunta Querciolli, nel 2009, se pur mossi dalle più nobili intenzioni pare che non riescano a trovar il numero sufficiente di uomini e donne dalla

loro. Attenzione però perché le medesime voci di corridoio allertano sulla presenza di un terzo “incomodo”, varzese doc ed ex leghista (magari in pectore): l’avvocato Giuseppe Fiocchi, già assessore del Comune Varzi dal 2004 al 2009 ed ex vicesindaco del Comune di Voghera. Andreotti diceva che “A pensare male si fa peccato, ma spesso si indovina”, per cui il nostro “peccato” a questo giro è ipotizzare che la candidatura di Fiocchi potrebbe essere una mossa per togliere voti leghisti a Palli e dirottarli sull’avvocato al fine di favorire l’elezione a sindaco di Zanardi. Inoltre l’avvocato Fiocchi, da sempre molto sensibile e attento al sociale, potrebbe guadagnarsi le simpatie di quella fetta di popolazione più bisognosa o attenta ai problemi del welfare. In questo scenario Fiocchi potrebbe diventare l’ago della bilancia per far pendere le possibilità di vittoria da una parte o dall’altra. Il quadro non può essere completo però senza considerare Don Gianluca Vernetti: anche a Varzi come in tutt’Italia fin dai Patti Lateranensi vale il precetto “libera Chiesa in libero Stato” e anche se non siamo più alla fine della seconda guerra mondiale quando alle prime votazioni della neo proclamata Repubblica il clero dava precise indicazioni di non votate i comunisti perché mangiano i bambini… è altrettanto vero che la Chiesa in determinate zone rurali anche grazie alla popolarità, in alcuni casi, dei parroci all’interno della comunità, ha un suo peso. Un peso trasversale che va dalle pie donne ai giovani che frequentano l’oratorio. A Varzi don Vernetti è un parroco certamente popolare e trasversalmente amato. Sarà pur vero che sempre di meno i parroci si occupano di politica ma qualche volta dalla Cei (Conferenza Episcopale Italiana) in giù dicono comunque la loro e chissà che anche a Varzi, seduto a un tavolo con una bella tovaglia imbandita, Don Vernetti da uomo e da cittadino italiano non finisca per dire la sua. Come andrà a finire? Chi saranno i candidati Sindaci? In molti sperano che il nuovo sindaco di Varzi, chiunque venga eletto, non sia, ovviamente, solo un politico, ma un amministratore in senso stretto e molto concreto. Uno che vorrà ascoltare e risolvere, o almeno provarci, i problemi. Il prossimo sindaco dovrà lavorare con le mani e con gli occhi, non con fumose parole, ma soprattutto dovrà essere disponibile al confronto, senza paure tattiche o congenite. Varzi è la capitale dell’Alto Oltrepò e della Valle Staffora, il suo ruolo a livello sociale ed economico è importante e forse anche fondamentaleper tutto il territorio. Chiunque sarà il successore di Alberti dovrà sviluppare con coraggio quanto è stato fatto fin’ora. Tanto o poco che sia. di Silvia Colombini



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Ex-Zincor, al via la bonifica: «Ora possiamo tirare un sospiro di sollievo» Lo scorso 20 novembre ha avuto avvio la bonifica dell’area ex-Zincor di Varzi, di proprietà di ILVA Spa. Una svolta epocale ed un risultato eccezionale per il comune di Varzi e per la Valle Staffora, che vedono allontanarsi il potenziale pericolo di un’area dismessa che avrebbe costituito punto di degrado e pericolo per i cittadini. Sono trascorsi dieci lunghi anni da quel fatidico 15 dicembre del 2008, quando i cancelli dell’area industriale si erano chiusi definitivamente. Le attività erano iniziate nel 1963, e negli anni migliori erano addirittura 250 i lavoratori all’opera nell’opificio, dove veniva prodotta, fino al 1980, anche la gloriosa autovettura ‘‘Varzina’’. Nel 1997 avvenne il passaggio dell’area alla società ILVA. Nel 2012 si tornò a parlare di una ripresa delle attività, quando la proprietà richiese il rinnovo dell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Ciò che è successo a ILVA Spa nei mesi e negli anni successivi è tuttora sulle pagine di tutti i giornali. Abbiamo incontrato il Consigliere Provinciale Paolo Gramigna e il Vicesindaco di Varzi Roberto Antoniazzi, che hanno da sempre seguito il progetto e tenuto i contatti con la proprietà dell’area. Consigliere Gramigna, come ha avuto avvio il progetto di bonifica? «Il percorso per arrivare al progetto esecutivo di bonifica ha avuto avvio nel 2014. ILVA Spa, commissariata da alcuni anni, aveva delocalizzato le produzioni prima effettuate a Varzi nel sito di Novi Ligure. Pur non essendo più presente alcuna attività produttiva nel sito, era giacente in provincia (ente competente) una richiesta di rinnovo di AIA (autorizzazione integrata ambientale).

«Il costo totale per le fasi di progetto è di oltre due milioni di euro»

Paolo Gramigna consigliere provinciale

Roberto Antoniazzi Vicesindaco

L’Amministrazione di Varzi, principalmente nella persona del Vicesindaco con delega all’Ambiente Roberto Antoniazzi, e il circolo locale del PD facevano emergere e segnalavano alla Provincia lo stato di degrado e abbandono dell’area ex Zincor. Anche in considerazione di queste segnalazioni l’Amministrazione provinciale allora presieduta dal Sen. Daniele Bosone diniegava il rinnovo dell’AIA ordinando il ripristino dei luoghi». Un atto di coraggio rigettare la richiesta di ILVA rischiando un ricorso. Ma l’iter per arrivare alla bonifica avvenne senza ostacoli? «Fu una scelta coraggiosamente responsabile per il bene dei cittadini e del territorio. Tuttavia presa con il supporto e con il parere favorevole del team di tecnici della Provincia che seguivano la pratica. Persone competenti che vanno ringraziate. In ogni caso sin dall’inizio si cercò di mantenere un rapporto tecnico/politico con ILVA, per condividere le fasi di progettazione. La Dirigente del settore Ambiente della provincia, dottoressa Anna Betto, si fece carico di convocare ripetutamente tavoli tecnici di lavoro con i rappresentanti della proprietà e gli Enti Competenti ARPA per il sottosuolo, Comune e ATS per l’amianto presente sulle coperture dei capannoni». Buoni rapporti, quelli che lei cita, che sono stati fondamentali anche in una fase successiva… «Un’ulteriore difficoltà si palesò nel momento in cui venne avviata la fase di vendita del gruppo ILVA ad Arcelor-Mittal Italia, ma proprio le buone relazioni con ILVA Spa e lo stato avanzato di condivisione progettuale hanno permesso il mantenimento del sito nelle disponibilità commissariali e il finanziamento della bonifica».

Parliamo di ciò che avverrà da qui in avanti. Che tempi sono previsti per la conclusione dei lavori? E i costi? «È da sottolineare che come prima cosa è stata tenuta in considerazione la salvaguardia della salute dei cittadini. Infatti è stato da subito installato un sistema di monitoraggio per la captazione di fibre di amianto o residui vetrosi aerodispersi i cui risultati hanno dato esito negativo. Il 18 ottobre scorso è stata presentata presso il comune di Varzi da parte di ILVA Spa la Denuncia di inizio attività. Sono previste tre fasi distinte». Quali? «Nella prima fase, che ha avuto inizio lo scorso 20 novembre, verranno smantellati gli impianti presenti all’interno dello stabilimento e le lavorazioni richiederanno alcuni mesi di tempo. Nella seconda fase, il cui inizio è previsto per la prossima primavera, verranno rimosse le coperture in amianto.

Nella terza fase saranno abbattuti i manufatti fuori terra. Il termine di queste attività è previsto per l’autunno del prossimo anno. Quindi si procederà ad effettuare 32 carotaggi e due trincee in corrispondenza dei siti dove venivano eseguite le lavora-

zioni più a rischio di contaminazione del sottosuolo. Il costo totale per le fasi di progetto è di oltre due milioni di euro». Vicesindaco Antoniazzi, lei ha le deleghe all’ambiente e al territorio. Una bella soddisfazione aver avviato la bonifica del sito ILVA di Varzi. Come commenta questo importante risultato? «Sono particolarmente orgoglioso di avere contribuito a questo importantissimo risultato. Varzi e il territorio montano da anni perseguono un modello di sviluppo green ecosostenibile che punta sulla qualità della vita, la promozione e valorizzazione delle tipicità, del paesaggio e dell’ambiente. Una filosofia incompatibile con la presenza di ciò che, senza giri di parole, può essere definito un ‘‘ecomostro’’ potenzialmente dannoso anche per la salute dei cittadini non solo varzesi. Ora possiamo tirare un sospiro di sollievo. Un risultato anche conseguito grazie alla scelta a suo tempo fatta dal comune di Varzi che aveva inserito nel vigente PGT una destinazione urbanistica dell’area non industriale una volta dismessa dal gruppo ILVA». Che cosa verrà fatto in questa area, una volta effettuata la bonifica? «Questa è la nuova sfida che ci attende. La gestione commissariale dell’area ha il compito di valorizzarla. Certamente completata la bonifica l’area sarà appetibile per investitori privati. Impegno dell’Amministrazione Comunale è quello di accompagnare l’attuale proprietà nella ricerca di capitali per insediare attività ecologicamente compatibili e generatrici di indotto e di reddito con ricadute positive per il nostro comune. Non solo sarà in tal senso da tenere in considerazione l’arrivo a Varzi della pista ciclabile Greenway, le risorse che verranno impiegate per realizzare le progettualità delle aree interne, ma anche le possibilità

date dalla revisione del PGT che prenderà avvio dopo l’approvazione del PTR da parte di Regione Lombardia prevista entro la fine di quest’anno». di Pier Luigi Feltri



BRALLO DI PREGOLA

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«I clienti milanesi rimangono allucinati dallo stato di conservazione e di sicurezza delle strade» L’alta Valle Staffora conserva una naturalità particolare ed affascinante: i versanti, più ripidi e meno ospitali per abitazioni e coltivi, sono quasi totalmente interessati dai boschi di carpino nero e frassino che lasciano il posto al faggio ad altitudini maggiori. La strada che costeggia lo Staffora, partendo da Casanova Staffora, coincide con l’antica Via del Sale, ed è come un “serpente” che si sviluppa lungo il fianco del monte, accompagnato da una vegetazione folta e rigogliosa. Qua è là si intravedono i piccoli paesi, oggi quasi completamente abbandonati, sospesi sulle pendici dei monti, attorniati dalla vegetazione originaria. Una natura si potrebbe dire quasi selvaggia e incontaminata che permette al viaggiatore di godere di bellissimi paesaggi montani a pochi chilometri dalla città. Arrampicato su una di queste pendici, quasi un balcone affacciato sulla stretta valle del fiume Staffora, troviamo Cencerate, piccolo borgo di poche anime appartenente al comune di Brallo di Pregola. Ed è proprio qui a circa mille metri di altitudine, in un territorio praticamente abbandonato dall’agricoltura, che è partita l’avventura dell’azienda agricola “Molino del sole” di Marco Rossi. Abbiamo intervistato la figlia Giulia, giovane perito agrario che si occupa a tempo pieno dell’azienda per farci raccontare la sua esperienza. Giulia, lei è originaria di Cencerate? «Io sono nata a Varzi e risiedo attualmente a Rivanazzano Terme dove mio papà ha sempre svolto la sua attività. Mio papà è di Cencerate e mio nonno abitava e coltivava la terra in questo bellissimo paese, quindi fin da piccola trascorrevo i fine settimane e le vacanze estive con i nonni ed è partita da lì la mia passione per la natura e gli animali.

«Avevamo un po’ tutti contro, ed eravamo considerati un po’ strani»

Dopo la scuola media mi sono iscritta all’Istituto Agrario “Gallini “ di Voghera perché volevo approfondire le mie conoscenze in materia e sperimentare in campo agricolo le competenze acquisite. Devo dire che questa scuola superiore mi è molto servita per lavorare poi in azienda». Com’è nata l’esigenza di tornare a coltivare la terra in montagna, in un territorio impervio e diciamo ormai quasi del tutto abbandonato? «Il progetto è partito proprio da mio papà che ha voluto evadere dai ritmi frenetici del suo lavoro qui a Rivanazzano e ha deciso di tornare indietro e fare quello che facevano i suoi genitori. A lui poi piangeva il cuore nel vedere che i boschi stavano prendendo il sopravvento sui terreni incolti e nel 1997 ha iniziato a pulire qualche campo e a seminare il grano, un grano antico, l’Aquileia che è una varietà ad alto fusto già coltivata dai miei nonni, più soggetta per questo motivo ad allettamento ma che aveva il vantaggio di poter essere tagliata con la vecchia BCS di mio nonno. Avevamo un po’ tutti contro, ed eravamo considerati un po’ strani. Tutto è partito quindi a livello famigliare, mio padre voleva fare il pane in casa e aveva deciso di prodursi autonomamente la farina acquistando un mulinetto a pietra. Abbiamo iniziato a macinare il nostro grano e poi, attraverso alcuni amici, siamo stati invitati, non ricordo più se un anno o due dopo, alla fiera del Primo Maggio a Varzi a fare una dimostrazione di macinatura e in quell’occasione abbiamo regalato qualche sacchettino della nostra farina. Da lì è partito tutto, richieste su richieste e quindi abbiamo poi acquistato un mulino più grande e abbiamo iniziato la produzione di farine, abbiamo aggiunto la farina gialla per la polenta proveniente dalla coltivazione del mais otto file e malghin, una varietà a pannocchia molto piccola». Siete poi passati anche alla trasformazione delle vostre farine? «Certamente, abbiamo iniziato la produzione dei nostri biscotti con le varie farine qui a Rivanazzano seguendo un po’ le esigenze del mercato aggiungendo anche biscotti per intolleranti. Oltre al grano abbiamo poi intrapreso la coltivazione delle patate e delle fagiolane sempre nei nostri campi a Cencerate. La fagiolana ha il suo ambiente ideale di coltivazione perché ha bisogno di clima fresco e tanta acqua e il risultato è un prodotto eccezionale. Le patate hanno ottenuto quest’anno la certificazione DECO (denominazione comunale di origine), un valore aggiunto a questo prodotto che è coltivato in modo assolutamente naturale senza fertilizzanti chimici né anti parassitari, il terreno viene fertilizzato solo con il letame e non utilizziamo irrigazione».

Giulia Rossi, a Cencerate svolge la sua attività di imprenditrice agricola

Quali sono le difficoltà che avete incontrato a coltivare il terreno in un territorio così scosceso e isolato? «Dal punto di vista della dislocazione del terreno, gli appezzamenti sono piccoli però abbiamo molta acqua a disposizione in alcuni e negli altri seminiamo il grano e le patate che non richiedono irrigazione. Le lavorazioni sono praticamente quasi tutte a mano, tranne l’utilizzo di piccoli macchinari. Devo dire che non abbiamo problemi di conservazione di prodotti come ad esempio le patate, perché lavoriamo praticamente su prenotazione. Cerchiamo ogni anno di incrementare la produzione perché si aggiungono sempre clienti nuovi. Un grosso problema sono però i cinghiali e i caprioli. Abbiamo dovuto recintare tutti i terreni con le reti elettrosaldate alte due metri perché i caprioli saltavano al di sopra dei recinti e distruggevano tutto. Comunque dietro a tutto questo c’è la grande passione di mio padre e di conseguenza mia perché altrimenti non avremmo potuto proseguire la nostra attività. Anche mio fratello più giovane ha appena terminato l’Istituto Agrario e partecipa attivamente al progetto con molta passione». Dove vendete i vostri prodotti oltre che nel vostro punto vendita di Rivanazzano? «Facciamo le fiere dei prodotti tipici nei vari luoghi ma non abbiamo ancora programmato la vendita on-line perché temiamo di non riuscire a soddisfare tutte le richieste. Siamo molto soddisfatti del nostro lavoro e personalmente mi piacerebbe ampliare quello che sto facendo viste

le continue esigenze di mercato. Il fatto di essere riuscita a creare, grazie a mio padre, tutto questo, a Cencerate, a casa mia mi dà veramente una grande gioia. Se lei pensa che durante l’inverno in questo piccolo paese vivono circa sei persone posso dire di aver ottenuto dei grandi risultati». Secondo lei la Comunità Montana aiuta in qualche modo questi paesi che si stanno spopolando? «I nostri paesi sono quasi abbandonati a sé stessi, ci vorrebbero dei progetti per farli conoscere meglio e farli visitare almeno nel periodo estivo. Il grandissimo problema sono le strade che sono in uno stato pietoso. Lungo il percorso che va da Fego a Pianostano, ad esempio, sono caduti tutti i guardrail e chi si occupa della manutenzione invece di sostituirli ha messo delle fettucce bianche e rosse. Ho molti clienti che arrivano da Milano, vengono a Cencerate a vedere dove vengono coltivati i nostri prodotti e rimangono letteralmente allucinati dallo stato di conservazione e di sicurezza delle strade. è veramente un peccato perché è un territorio bellissimo dal punto di vista naturalistico con un clima ideale durante l’estate ma abbandonato a sé stesso. Ci sono ancora alcune piccole aziende in quella zona però devono fare affidamento solo sui propri mezzi per superare le difficoltà. Devo dire però, come nota positiva, che la festa della patata che si è tenuta al Brallo quest’anno è stata molto frequentata e secondo me bisogna proprio lavorare per cercare di promuovere sempre di più il nostro territorio con manifestazioni e iniziative originali». di Gabriella Draghi


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«Aver visto la speranza negli occhi e negli atti di tanti concittadini, che in molti casi e negli ultimi anni, l’avevano smarrita» Una parola emersa dalla chiacchierata con il sindaco di Zavattarello Simone Tiglio colpisce: “speranza”. Dizionario alla mano, sperare significa “Aspettare fiduciosamente qualcosa che porterà un bene o un vantaggio, oppure credere nella realizzazione di un desiderio”. Tiglio, uno dei più giovani sindaci dell’Oltrepò, piaccia o non piaccia, ha rivitalizzato Zavattarello, per quanto possibile con le risorse a disposizione e ha in buona sostanza ridato “speranza” agli abitanti e agli operatori economici di uno dei più importanti Comuni dell’Alto Oltrepò, che oggi è anche uno dei più vivaci dell’ intero Oltrepò Pavese. Tra pochi mesi ci saranno le nuove elezioni comunali e dopo due mandati come sindaco, in molti si domandano se Tiglio si ricandiderà. Alcuni, magari anche qualche suo compagno di avventura politica, nutrono la speranza che non si ricandidi, ma nessuno dei possibili papabili, forse per paesana tattica politica, forse per mancanza di coraggio, forse per “far finta” di non essere interessati alla carica di primo cittadino, per ora si espone. Sindaco tra sei mesi ci saranno le elezioni comunali, lei si ricandida? «Io sono arrivato ormai al decimo anno della mia esperienza amministrativa come sindaco e penso di aver formato un gruppo, una squadra di giovani preparati che potranno anche con il mio aiuto se lo vorranno, andare avanti senza di me. Ritengo che ogni esperienza abbia un inizio ed una fine e non sarebbe serio, visto che 5 anni fa avevo detto chiaramente che non sarei andato oltre i due mandati, tornare adesso sui miei passi. L’unica circostanza che potrebbe cambiare le carte in tavola e quindi anche l’esito della mia decisione potrebbe essere l’assenza di persone che abbiano la reale volontà di andare avanti. Sono dell’idea che, pur rimanendo unita e compatta la squadra che ha gestito, credo bene, il Comune sino ad ora, si possa e si debba pensare, anche in vista di una crescita delle persone che ne fanno parte, ad un avvicendamento che potrebbe far bene al paese stesso». Dieci anni di amministrazione sono tanti e in dieci anni i risultati si devono “portare a casa”. Qual è il risultato che più l’ha gratificata in questo decennio da sindaco? «La speranza. Aver visto la speranza negli occhi e negli atti di tanti concittadini che in molti casi e negli ultimi anni l’avevano smarrita. Il paese aveva ed ha tanti problemi come ogni piccolo centro di collina dell’entroterra oltrepadano, ma in questi anni posso affermare di aver assistito ad una crescita del paese a 360 gradi, una crescita nella notorietà, nei numeri, nel turismo e nella qualità della vita dei cittadini, elementi che ritengo possano far propendere per un giudizio positivo su questa amministrazione». Tutto merito Vostro?

Simone Tiglio «Ritengo che il fermento socio culturale ed economico che a differenza di altre realtà c’è stato a Zavattarello in questo decennio sia dovuto innanzitutto alla buona volontà e all’impegno di tanti concittadini che si sono spesi in vari campi, dal sociale all’economico, dando vita a nuove associazioni e aprendo nuove attività commerciali, animando il paese, ma direi, anche grazie all’iniziativa facilitatrice che l’amministrazione comunale ha messo in campo in tutti i settori». Il suo più grande rammarico in questi dieci anni? «È stato di non aver potuto esprimere tutte le potenzialità di cui sono certo il paese sarebbe stato protagonista ed artefice a causa delle circostanze che a livello nazionale ed internazionale si sono prodotte e che hanno fatto sì che la crisi economica, che è stata anche culturale e che tutt’ora prosegue nel nostro paese e nel nostro territorio, non abbia dato quelle opportunità al nostro paese come tanti altri, di fare meglio di quanto fatto». Il Castello Dal Verme è da sempre elemento identificativo di Zavattarello, riconosciuto da tutti come uno dei simboli della ritrovata o accresciuta notorietà del paese. Com’era al suo arrivo e com’è oggi alla fine del suo mandato il turismo legato al Castello? «Il Castello è stato fatto oggetto di importanti interventi di restauro negli anni precedenti rispetto alla mia amministrazione e quando sono arrivato mi sono trovato in una situazione di grandi potenzialità inespresse, in quanto il numero di visitatori annui del Castello era attorno a duemila, duemilacinquecento unità, un numero non esaltante. Dopo 10 anni i risultati sono buonissimi, credo che grazie ad una serie di iniziative che hanno prodotto un incre-

mento costante del numero di visitatori paganti, tanto che posso dire senza tema di smentita, che oggi il Castello di Zavattarello non solo è l’unico monumento aperto e fruibile di proprietà pubblica dell’Oltrepò Pavese ma anche il monumento maggiormente visitato dell’Oltrepò, numeri alla mano. Il numero di visitatori è cresciuto costantemente e quest’anno ha superato ormai ufficialmente i 10mila paganti nella stagione turistica che è andata da inizio aprile a fine ottobre. 10 mila visitatori che uniti alle varie iniziative culturali che si svolte, hanno consentito di portare una quantità di introiti tale da rendere finalmente autonomo dal punto di vista gestionale il Castello, che quindi dall’anno scorso riesce a sostenersi da solo ed in prospettiva io ritengo possa crescere ancora, ovviamente se non si devia dalla strada tracciata». Le polemiche in questi dieci anni non sono mancate neanche a Zavattarello, le

«La minoranza mi ricordo che c’era, mi ricordo di aver dovuto scontrarmi con un’altra lista e so di vedere qualcuno da parte della minoranza ogni qualvolta facciamo un consiglio comunale, ma non so qualificarne il ruolo». ultime riguardano le scuole. Com’è andata e a che punto siamo? «I lavori che sono in corso di realizzazione presso la scuola primaria di Zavattarello erano e sono lavori ineludibili e improcrastinabili, la scuola, fin dalla sua realizzazione negli anni ’60, presenta problemi strutturali e tutte le amministrazioni che si sono succedute in questi 50 anni hanno dovuto fare i conti con un edificio che presentava problemi di portata dei solai e di completa vulnerabilità sismica, in una zona che seppur a basso rischio, è comunque

zona sismica. Gli interventi messi in campo sono interventi importanti che vanno ad incidere proprio sulla reattività al sisma e sulla portata dei solai della scuola e nel contempo agiscono sull’efficientamento energetico. Per arrivare alla realizzare di questi interventi abbiamo dovuto presentare diverse domande di contributo, tutte cofinanziate dal Comune, domande che purtroppo anche se tutte inerenti lo stesso edificio hanno dovuto seguire tre canali di finanziamento differenti con tre tempistiche differenti che nel complesso risultano complementari ma che in concreto rischiano di confliggere con le possibilità di funzionamento dell’edificio stesso, almeno per i primi mesi di quest’anno scolastico. Abbiamo così dovuto decidere di trasferire temporaneamente lo svolgimento delle lezioni presso un altro edificio che ha sempre ospitato la scuola materna almeno per le attività pomeridiane e che poi è stato destinato ad oratorio parrocchiale, per consentire un più veloce e agevole svolgimento dei lavori, che adesso sono in via di completamento e che presto consentiranno, prima di Natale, la riapertura del plesso scolastico, con arredi nuovi, una maggiore efficienza energetica, una maggiore funzionalità degli spazi e una maggiore sicurezza dal punto di vista della staticità e della sismicità. Si tratta di interventi che in totale valgono 350 mila euro e che sono stati al 90% circa, finanziati con contributi ministeriali e regionali». Ma è vero che il sindaco di Zavattarello “dà l’acqua sporca da bere” ai suoi concittadini? «Sì lo ammetto, il sindaco di Zavattarello non è stato in grado di fornire un’acqua completamente potabile ai propri cittadini per diversi periodi dell’anno. Chiedo però a coloro che si limitano a esprimere questo giudizio o a fare questa annotazione, di spiegare al sindaco di Zavattarello come e con quali strumenti egli avrebbe potuto fare qualcosa di differente rispetto agli interventi emergenziali che ha sempre messo in campo in questi anni, per tentare di limitare i danni. Come avrebbe potuto il sindaco di Zavattarello o un qualunque altro sindaco che aveva in gestione temporanea il servizio, in attesa che una società consortile di ambito provinciale prendesse in gestione effettivamente tutta la rete idrica, fare interventi di potabilizzazione o di filtrazione, che sono interventi necessari, tali da consentire nell’arco di qualche anno o di qualche mese, la risoluzione di problemi che sono esistenti da almeno 30 anni? Come avrebbe mai potuto un sindaco di un paese qualunque dell’Oltrepò che non aveva e non ha a disposizione le risorse per poter eseguire investimenti sulla rete, e neppure la competenza e le autorizzazioni necessarie, effettuare investimenti sulle proprie reti idriche? Se qualcuno sarà in grado di spiegarmi


ZAVATTARELLO questo allora sarò pronto ad assumermi in toto questa responsabilità». Quante critiche che lei ha ritenuto “giuste” ha ricevuto in questi 10 anni? «Io penso almeno una al giorno, visto che sono una persona che è sempre stata in mezzo alla gente, ha sempre dialogato con tutti, sia con i sostenitori che con gli oppositori e non ha mai fatto neanche differenze di trattamento tra gli uni e gli altri. Oltre ad aver ricevuto numerosi elogi, mi sono state mosse diverse critiche che in molti casi ritengo fossero fondate. Sono una persona umana soggetta alla fallibilità e alla possibilità di compiere errori. Quello che posso dire è di aver tentato da sindaco sempre di limitare il più possibile i miei errori e di impegnarmi quotidianamente per superarli e di fare tutto ciò sempre in buona fede, senza che gli errori sorgessero da interessi o da cattiva fede in generale». Castello ma non solo… Abbinato al castello c’è un grosso sforzo che viene percepito dalla gente e dai media relativo al miele. Qual è la strategia attorno al miele e quanto di positivo può portare? «Ciò che caratterizza il miele di Zavattarello è la qualità del prodotto che negli ultimi anni perlomeno, ha premiato il paese rispetto ad altre realtà dell’Oltrepò e non solo. Nell’ultimo decennio il “nostro” miele ha ricevuto tramite i suoi produttori, le maggiori certificazioni di qualità a livello nazionale nei vari concorsi che si svolgono annualmente per assegnare gli standard qualitativi ai mieli prodotti in Italia, le Gocce d’Oro ad esempio nel caso del concorso di Bologna o altri attestati simili. Questa particolarità ha dato vita ad un’idea di unicità legata al prodotto miele nel territorio di Zavattarello e di tutto l’Oltrepò Montano e a partire da questa annotazione c’è stata un’ intuizione da parte di alcuni produttori che è sfociata nella volontà di costituire un’associazione con l’obbiettivo di creare un marchio dedicato e un disciplinare di produzione connesso a questo marchio per arrivare a realizzare un brand “Miele di Zavattarello” che possa ambire a competere con altri brand del miele a livello nazionale.

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Per cui l’Associazione Apicoltori dell’Oltrepò Montano che ha sempre avuto ed ha l’appoggio da parte del Comune di Zavattarello, sta compiendo un’ opera fondamentale anche di formazione degli apicoltori tramite dei corsi specifici , tramite una serie di iniziative legate al prodotto miele che hanno dato lustro al paese anche a livello nazionale, vedasi in ultimo il concorso letterario sulla connessione tra api, miele e territorio che si è svolto nel corso dell’ultimo anno e che è culminato nella premiazione da parte di una giuria qualificata dei racconti migliori che sono entrati a far parte di una pubblicazione che è stata presentata il 13 novembre a Milano in

«Sì lo ammetto, il sindaco di Zavattarello non è stato in grado di fornire un’acqua completamente potabile ai propri cittadini per diversi periodi dell’anno» Galleria e che quindi ha avuto anche una visibilità di primo livello». La democrazia si basa su maggioranza e minoranza. In molti piccoli comuni però, finite le elezioni, la minoranza si squaglia. A Zavattarello la minoranza c’è, è stata fattiva o ha fatto ostruzione in questi 10 anni? «La minoranza mi ricordo che c’era, mi ricordo di aver dovuto scontrarmi con un’altra lista e so di vedere qualcuno da parte della minoranza ogni qualvolta facciamo un consiglio comunale, ma non so qualificarne il ruolo». C’è stato un momento dove l’immigrazione anche in Oltrepò è stata percepita

come un problema. A Zavattarello c’è una struttura per l’accoglienza dei profughi e a differenza di altri paesi non ci sono state manifestazioni in piazza e non sono giunte sui media voci che questi immigrati abbiano creato problemi. Almeno fino all’altro giorno, quando la protesta “in piazza” l’hanno fatta gli immigrati stessi. Come giudica l’accaduto? «Negli ultimi giorni si è verificata una protesta da parte dei migranti, i quali hanno per qualche ora tentato di bloccare il traffico lungo la provinciale 412. Si è trattato del primo episodio di disordine in tre anni di attività del centro. Le forze dell’ordine e il sottoscritto sono intervenuti per riportare la calma e capire i motivi della dimostrazione». Lamentavano cattive condizioni della struttura e il mancato pagamento delle diarie da 2 mesi a questa parte… Ha verificato i motivi della protesta? «In effetti, invitato a recarmi all’interno della struttura, ho potuto constatare diverse carenze di manutenzione e sporcizia diffusa. Probabilmente la società che ha in gestione il centro sta risentendo della riduzione del corrispettivo giornaliero e dei ritardi di pagamento del ministero. Penso che questa situazione dimostri quanta speculazione ci fosse alle spalle dell’accoglienza, in quanto fino a che i margini di guadagno erano elevati, sembrava che tutte queste società e cooperative fossero animate dai migliori propositi, quasi delle organizzazioni non profit. Ora che i margini si sono molto ridotti, vengono fuori le magagne e si scopre chi ha fatto la formica e chi la cicala, ma soprattutto si scopre come alla maggior parte di queste realtà non importi un fico secco della sorte dei migranti, ma solamente di far quadrare i conti, magari dismettendo via via le strutture più costose da mantenere». Normalmente i sindaci più autorevoli indicano un loro successore, a differenza di quelli meno autorevoli delle nostre vallate a cui viene invece indicato… Lei ha già un’idea? «Come ebbe a dire un noto medico di base della zona, del Brallo per l’esattezza, nell’

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anno 2011, io sono un po’ atipico come sindaco, sono un lupo che corre a fianco del branco anziché allineato con gli altri del branco e anche in questo credo di essere un pochino originale, nel senso che non sono dell’idea di avere o dover designare un successore, ma sono convinto del fatto che chi ambisce a ricoprire la carica di sindaco dopo di me, deve avere l’onestà intellettuale di riconoscere se ne ha la possibilità, le capacità e la volontà. Dal punto di vista razionale devo dire che, quando si farà la scelta e la farà il gruppo di amministratori che ha amministrato il Comune in questi anni, bisognerà decidere tra chi avrà il coraggio di proporsi, tenuto conto di queste premesse e di optare per chi avrà più possibilità di prendere voti e poi di impiegare questi voti per produrre dei risultati positivi per paese. Non si scappa da questa dinamica». A Zavattarello c’è una casa di riposo. Sulla gestione le voci sono contrastanti. Ben gestita o mal gestita secondo lei? «Ritengo che sia ben gestita. è una casa di riposo che pratica ancora oggi le rette più basse di tutta la Regione, dove la retta media mensile di una casa di riposo è di 2300 euro al mese, mentre la nostra è di 1400 euro al mese e riesce a garantire nonostante tutto gli standard di assistenza previsti dall’Asl. è una struttura che impiega più di 30 persone e ha una lista d’attesa maggiore di 30 persone e riesce a produrre ogni anno un avanzo di oltre 100mila euro che viene reimpiegato nelle politiche a favore dei cittadini. Quando sono arrivato rischiava di chiudere, oggi grazie ad essa, il Comune guadagna. Serve però in prospettiva uno sforzo ulteriore per potenziarla, ampliarla per andare in contro alle esigenze che sono sempre mutevoli degli anziani di oggi, diverse da quelle di 10/20 anni fa. Credo che il modello casa di riposo intesa come Residenza Sanitaria Assistenziale (Rsa) pensato negli anni ’90, debba andare verso un sistema maggiormente improntato sull’assistenza domiciliare». di Nilo Combi



CASTEGGIO

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Arnese: «Callegari arrogante, ma tace le sue magagne» Chiamato in causa e sentitosi denigrato dal sindaco Lorenzo Callegari nell’intervista apparsa sullo scorso numero del nostro giornale, il consigliere di minoranza di Casteggio Francesco Arnese replica alle affermazioni del primo cittadino, partendo proprio dall’ironia utilizzata nei confronti del titolo onorifico di Cavaliere della Repubblica di cui l’ex maresciallo si fregia. “Data la statura può cavalcare giusto un ippocampo” aveva detto Callegari in un passaggio dell’intervista in cui si riferiva ad Arnese. «Con questa affermazione infelice e puerile il sindaco dimostra non solo la sua arroganza ma anche lo scarso rispetto per le istituzioni – replica l’esponente della minoranza –. Il titolo mi è stato conferito dal Presidente della Repubblica e non si riferisce certo all’equitazione. Forse Callegari non sa che nella mia attività di carabiniere ho combattuto la mafia e ho dovuto anche lasciare la Sicilia anni or sono per mettere al sicuro la mia famiglia». Tolto il primo sasso dalla scarpa, Arnese prosegue: «Passando a cose più concrete, ritengo che nell’autoglorificarsi in quanto amministratore capace abbia omesso di parlare delle sue défaillance e di tutti gli episodi che hanno messo in luce la sua gestione dell’Ente come fosse cosa privata». Il primo punto oggetto di contestazione è la ricostruzione della vicenda del plesso scolastico di viale Montebello. Le cosiddette “scuole fantasma”.

Il Cavaliere schernito: «Battute infelici: ho combattuto la mafia e rischiato la vita»

«Callegari afferma che all’inizio del suo attuale mandato aveva riscontrato una situazione economica disastrosa generata dall’ assurda ed inutile costruzione di una scuola e di una palestra. Il danno conseguente è stato da lui calcolato prossimo ai 300 mila euro l’anno. Non ha però detto che gli immobili erano stati costruiti a “scomputo degli oneri di urbanizzazione” e che in virtù di una legge regionale

Francesco Arnese, consigliere di minoranza

vigente dovevano essere di proprietà del Comune di Casteggio. Il che non si è verificato perché, per aggirare la citata legge i Lottizzanti avevano chiesto ed ottenuto che il Comune di Casteggio autorizzasse, con apposita delibera di Consiglio, una convenzione “capestro” che permetteva loro di riscuotere un canone mensile pari a 180mila euro annui a partire dall’ 8 maggio 2009 (data della stipula), somma che ammontava ad € 300mila per l’aggiunta di spese correlate. Tutto ciò a prescindere dall’onere di aver provveduto alla consegna dei manufatti. Per effetto di questa convenzione – continua Arnese – il Comune non ha percepito né gli oneri di urbanizzazione e neppure la proprietà delle scuole. Anziché segnalare il tutto sterilmente alla Corte dei Conti l’Amministrazione avrebbe dovuto rivolgersi alla magistratura per denunciare i responsabili di un tale disastro economico. Non si capisce perché non l’abbia fatto, se non forse per evitare che possibili avvisi di garanzia potessero portare al commissariamento della sua amministrazione, dato che alcuni consiglieri protagonisti di quella precedente hanno finito per farne parte». Arnese poi sposta l’attenzione sul riacquisto di Palazzo Battanoli da parte dell’Amministrazione Callegari. Secondo il sindaco “un affare”, secondo l’ex maresciallo invece un’operazione scriteriata. «I conti di Callegari - attacca Arnese sembrano un gioco da illusionista. L’amministrazione aveva ceduto palazzo Battanoli per il valore di 750mila euro, che in questo modo entravano, seppure virtualmente, nelle casse del Comune. Quando Callegari ha riscontrato che la ditta non aveva eseguito i lavori pattuiti per 400mila euro, anziché riacquisire il palazzo avrebbe dovuto cercare di recuperare anche quei soldi a vantaggio delle casse comunali, andando così a scalare il debito enorme che abbiamo contratto. L’operazione Callegari

ha invece peggiorato la situazione, perché oggi potevano esserci in cassa 1 milione e 100mila euro (i 750 mila della vendita più i 400mila “recuperati”) che invece, per via di un’operazione scriteriata non ci sono. La decisione è stata oltretutto presa senza delibera del consiglio comunale, per tanto in modo irregolare». A supporto dell’accusa di gestione “privata” dell’Ente che contesta, Arnese porta alcuni esempi di decisioni amministrative. «Nel lontano ’96, con la prima Amministrazione Callegari appena insediata, l’edificio che è contiguo a palazzo Battanoli, (e mi riferisco a quello che ora contiene l’ambulatorio medico del Dr. Callegari stesso), di proprietà del Comune di Casteggio, quindi patrimonio dei Casteggiani era stato alienato e posto in vendita mediante asta pubblica. Ad aggiudicarsi l’asta, mediante offerta segreta, era stata una persona molto vicina a Callegari che non avrebbe potuto partecipare dato che la legge vieta, per ovvie ragioni, che alle aste possano prendere parte parenti, amici o prestanome di chi gestisce le aste stesse.

Da Palazzo Battanoli agli “affari privati”: «Il Comune gestito senza rispetto delle regole»

Il palazzo è poi stato immediatamente venduto ad un imprenditore edile del luogo, con una parte destinata ad ambulatorio medico. Tutto quello che dico – afferma l’ex maresciallo - è documentabile e fu in

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verità già oggetto di denuncia a suo tempo». Arnese rievoca poi l’episodio della “sparizione” di un rivestimento in marmo pregiato di un camino murale collocato in un appartamento ricavato all’interno di Palazzo Battanoli che era stato occupato dal segretario Comunale Ferretti. «In quell’occasione – ricorda Arnese – Callegari fu smentito dai Vigili Urbani stessi: disse che il Comando dei Vigili aveva presentato denuncia di furto al Comando stazione Carabinieri (di cui tra l’altro io facevo parte). Peccato che i vigili stessi dissero che non era così, precisando che qualora ci fosse stata notizia di furto avrebbe informato direttamente la Magistratura senza avere l’onere di informare i Carabinieri del luogo. Del destino di quel rivestimento in marmo non si è più saputo nulla». Arnese cita anche il caso di Largo Colombo. «Una piazzetta prospicente allo studio medico del sindaco Callegari già destinata ad area mercatale e poi anche a parcheggio auto, ma trasformata in altro senza i previsti consensi maturati in sede di pubblico consiglio comunale. La piazzetta è stata dotata delle cosiddette “vele”, il cui costo di impianto e le spese di manutenzione di circa 5000 euro annuo prevedevano per essere approvate una delibera di Consiglio e non di Giunta. Orbene, in tale area il Callegari ha fatto installare una specie di gazebo con sei colonne in ghisa che se fosse stato utilizzato come vespasiano avrebbe avuto un senso, ma così com’è non serve a niente. Per tale opera sono stati spesi circa 50mila euro, versati a un fabbro locale che a sua volta l’aveva acquistata da una donna amica del Callegari stesso. Altro episodio questo che avevamo segnalato alla Guardia di Finanza». La maggiore nota di demerito che il consigliere di minoranza riconosce al primo cittadino è però la gestione del caso AB Mauri e il problema dell’inquinamento del torrente Coppa. «Il processo – attacca Arnese - si è concluso con una sentenza che escludeva le responsabilità del legale rappresentante dell’ASM Voghera SpA, società che gestiva il depuratore all’epoca, ma con chiare e precise responsabilità dell’A.B.Mauri SpA e del Comune di Casteggio, colpevole di essere rimasto “sordo” alle segnalazioni che inoltrava il responsabile della gestione del depuratore. Segnalazioni che rendevano evidente come i liquami della lavorazione industriale avessero parametri di inquinamento che superavano i limiti tabellari consentiti e che, per effetto di una “deroga” a lei concessa, il depuratore si collassava ed inquinava così il Coppa». di Silvia Colombini




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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI

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“Pierin” il pastore Era un uomo sulla sessantina, bergamasco, rotto ad ogni avventura e ad ogni stratagemma, pur di far pascolare le sue pecore nei prati abbandonati ai rigori dell’inverno ma ancor ricchi d’erba o, per meglio dire, di steli secchi comunque preziosi per i suoi poveri affamati animali. Un gregge di un centinaio di pecorelle smagrite e perennemente belanti che, dopo le nascite di gennaio-febbraio, raddoppiava quasi di numero. Provvedevano la moglie e un figlio del povero Pierino detto Pierìn, a sfoltire il gregge: raggiungevano il congiunto a ridosso delle festività pasquali, caricavano su un capace camion tutti gli agnellini che il pover’uomo aveva allevato amorevolmente, li vendevano ai macellai traendone giusta mercede che il pastore non vedeva neppure in foto. Il buon uomo aveva un fisico minuto e in apparenza non adeguato ai sacrifici che abitualmente affrontava, le mani invece, nodose e forti, denunciavano ciò che l’uomo era: un robusto filo d’acciaio difficilmente malleabile ed impossibile da spezzare. Gli occhi e il viso quasi privo di rughe, esprimevano la natura vera di un uomo buono e conciliante. Talmente buono da non trovare la forza di opporsi ai voleri della strega, come Lui definiva la moglie, che, per pura cupidigia, vendeva tutti gli agnelli senza permettere l’auspicato e necessario ricambio di alcuni animali del gruppo ma tant’è: gli agnelli avevano mercato e le pecore no. Dopo la scrematura del gregge la vita del vecchio pastore seguiva ritmi diversi: primavera inoltrata, suggeriva a Pierìn di spostarsi in montagna dove per tutta l’estate e parte dell’autunno le sue pecore, l’asino da lui chiamato Ugo e tre fedelissimi cani buoni in sua presenza, addirittura feroci se di guardia al gregge in sua assenza, avrebbero pascolato nelle malghe alpine o accudito alle diverse mansioni assegnate. Nel tardo autunno sarebbe sceso dalla montagna per tornare a girovagare in pianura e in collina per tutto l’inverno, confidando nella clemenza del tempo. Uno dei cani, chiamato Ferro, esibiva un ghigno che non aveva nulla ne’ di umano, ne’ di canino: era luciferino, sembrava guatarti, sorridere e ripromettersi di spolparti se solo azzardavi avvicinare le sue preziose pecore. Preziose si, ma sue, e se non ubbidivano prontamente ad ogni suo pur tenue latrato o ad ogni sua indicazione, venivano rincorse e sollecitate con piccoli morsi alle zampe posteriori sino a che non rientravano nei ranghi sottomettendosi ai voleri del duce. I ‘piccoli’ morsetti alle gambe delle pecore, avevano costretto il pastore, così raccontava, a limare le punte dei denti del povero Ferro che in tal modo, non feriva più gli animali da lui custoditi. Il pover’uomo aveva preso una lima da ferro, da qui il nome, ed aveva provveduto

a limitare gli strumenti di difesa o di offesa del malcapitato cane. Anche il ghigno che esibiva e che poco aveva di naturale, era probabilmente frutto di quell’intervento... odontoiatrico. Il rapporto tra i due si era però mantenuto saldo e molto tenero, tranne nei momenti in qui l’uomo rinfrescava la spuntatina ai coriacei canini dell’animale, provocando grugniti risentiti sia alle operazioni del pastore, sia alle sue suadenti parole volte a tranquillizzarlo ed anzi a convincerlo che la limatina era per il suo bene. Erano diversi anni che frequentava le nostre zone ed i nostri campi, la gente lo tollerava perché non faceva nulla di male, usava erba secca ormai abbandonata nei prati alle intemperie e, cosa importante, era un buon uomo con il solo debole di qualche bevutina serale e una parlata in stretto dialetto bergamasco ai più incomprensibile. Accettava qualche bottiglia di vino, mai cibo o ricovero. Mangiava il suo formaggio che trasportava nelle bisacce dell’asino, qualche salamino o salsicciotto da cuocere sulla brace che si procurava nei paesi che attraversava, raramente cucinava una specie di minestra in un pentolino appeso ad un trespolo di legno improvvisato; era cittadino delle strade del mondo e dormiva sotto le stelle, come diceva Lui, anche quando non c’erano. Da noi era presente solo nei periodi freddi: pascolava gli animali nei campi del paese e la notte, dopo una parca cena, si avvolgeva in un lungo mantello di panno nero, si sdraiava sulla nuda terra con il cappellaccio calato sugli occhi, si copriva con un altro pesante mantello e, chiamati i suoi tre cani che si accucciavano vicinissimi a Lui, si addormentava beatamente in un tripudio di russate proporzionali al tenore alcolico della serata. Le prime luci dell’alba, a volte lo sorprendevano con uno spesso strato di candida neve sul largo mantello e sulla folta pelliccia dei cani che, svegliandosi, sgrullavano allegri liberandosi del candido fardello. E a nulla valevano le offerte di portici, stalle o magazzini in cui passare le notti ghiacciate di inverni lunghi, freddi e carichi di neve: la risposta era sempre - no! - il vecchio era convinto che l’abitudine all’addiaccio, era motivo della sua salute che sfoggiava salda e costante a dispetto delle tante primavere e della vita errabonda e tribolata che conduceva. Il legame con Sant’Eusebio fu rafforzato un tremendo inverno di tanti anni orsono allorché il pover’uomo, cercò e trovò negli abitanti del paese, aiuto e conforto in una situazione che stava per divenire drammatica; tutto era cominciato tre giorni prima, Pierìn, con le sue pecore, era in Val di Nizza; pascolava nei radi campicelli della valle e, dato che la permanenza si protraeva da alcune settimane, decise che era giunto il

Giuliano Cereghini tempo di muovere le truppe essendo esaurita la poca erba lungo le sponde del torrentello e nei campetti. La meta era la valle Ardivestra raggiungibile percorrendo la strada che salendo da Pratolungo a Casa Grossi scendeva poi verso Sant’ Eusebio. Era un freddissimo dicembre ma con pochissima neve per cui il pastore, contò di compiere il viaggio in una giornata pur rallentato dalle strade fangose e ghiacciate dei boschi che avrebbe attraversato. Si procurò due micconi di pane, due buone bottiglie di Barbera generoso e una bella “rèsta ad salamê”, fila di salamini, Ripose le salmerie in una delle capaci sacche appese al basto dell’asino e, con passo lento seguito dalle pecorelle belanti, da Ugo e dai tre cani, uno per lato e il luciferino Ferro a chiudere la fila, si mise in marcia di buon mattino contando di raggiungere il paese di destinazione il tardo pomeriggio dello stesso giorno. Il gelo di un’alba livida e fredda scricchiolava al passaggio della strana armata, Pierìn si voltava di tanto in tanto controllando che tutto procedesse regolarmente, avvicinava l’asino vuoi per spezzare un “crugnë”, angolino della micca, e consumarlo a morsetti leggeri, vuoi per bere un goccetto di barbera, vuoi infine per controllare i due agnelli che facevano capolino dalla seconda sacca dell’asino. Di tanto in tanto rallentava quasi a fermarsi, per permettere alle pecore di brucare l’erba sulle ripe delle stradine che percorrevano o per lasciarle bere nei ruscelletti che attraversavano. Verso le dieci del mattino fece uno spuntino, fornendo un poco di pane e cacio anche ai fedeli cani stranamente nervosi ed inquieti. Mentre stava per riprendere il cammino, capì a cosa era dovuta l’agitazione dei suoi fedeli animali: cominciava a nevicare. Ma non al modo solito con radi e leggeri fiocchi che a poco a poco si infittivano diventando sempre più numerosi, nulla di tutto ciò:

improvvisamente iniziarono a scendere farfalloni bianchi, numerosi e veloci, a soffiare un vento gelido e trasversale che toglieva il respiro e la volontà di procedere. Dopo un’oretta di quell’inferno, Pierìn giunse a Casa Grossi, cascina poco abitata se non d’estate, a non più di metà strada dall’agognata destinazione, con le bestie stremate dalla fatica e dall’incedere lungo una strada ormai coperta da uno strato di neve che andava crescendo rapidamente; gli stessi animali avevano una spanna di neve sul vello e le sacche dell’asino erano di tanto in tanto svuotate dal pover’uomo che non sapeva più a che santo votarsi. Decise di fermarsi, ricoverò gli animali sotto un portico abbandonato ai limiti del bosco, scaricò il pesante basto dall’asino stremato dalla fatica e lo poggiò in un angolo riparato dalla tormenta, asciugò con una manciata di paglia i cani e si apprestò a portare i due agnellini alle rispettive mamme per una giusta poppata. Ultimata tale doverosa operazione, pur preoccupatissimo per la neve che continuava a scendere quasi a recuperare le pregresse scarse precipitazioni, si accinse a mangiare un pò di pane e formaggio ma, voltandosi verso le sacche dell’asino che aveva appeso ad uno spuntone del pilastro del portichetto, vide che il buon Ugo, vinto dai morsi della fame che non poteva soddisfare per mancanza di fieno, si era servito dalle sacche brucando allegramente ciò che restava delle due mìcche di pane, della maggior parte del formaggio e, in quel momento, stava affrontando la rèsta di salamê che ormai aveva in parte biascicato. Il vecchio con un balzo felino e ululando un nooo! disperato, si lanciò sulla mala bestia, strappò dai denti tre salamini superstiti, allontano con un calcione il fedifrago e dopo aver rovistato nel profondo della tasca del basto, recuperò una crosta di pane, un pezzetto di formaggio sfuggito alle mobili labbra dello scaltro animale, i citati tre salamini malandati e due pere invernali dure come le pietre. Divise il tutto con i cani mentre scendevano sia la notte che la neve, in compenso il vento non soffiava più ed un silenzio quasi irreale abbracciava il gregge che si stringeva riparandosi sotto il portichetto dimenticando i morsi della fame manifestati da qualche breve belato che scomparve del tutto dopo qualche ora. Il vecchio pastore dopo aver bevuto a garganella ciò che restava del buon barbera e gettata la bottiglia nella neve, avvolto nei suoi pastrani e riscaldato dai suoi cani che dormivano a Lui poggiati sul mantello, non riusciva a prendere sonno pensando alla strada che ancora restava da percorre, alle sue povere bestie stanche ed affamate ad esclusione di quel maledetto di Ugo che si era abbondantemente satollato, mentre la neve continuava a scendere a larghe


C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI falde. La stanchezza, la fame ed il freddo ebbero ragione dei pensieri ed il vecchio si addormentò. Il chiarore dell’alba lo svegliò mentre la neve continuava a scendere anche se il vento era calato vistosamente. Non fosse stato per la disperazione del momento e la situazione drammatica che si presentava a uomo e bestie, lo spettacolo era veramente da fiaba: un pastorello, un gregge che cominciava a farsi sentire debolmente quasi rispettando il riposo del capo, tre cani fedeli con Ferro che sorrideva in modo quasi umano data la fame e il freddo, un asino infingardo, due agnellini tranquilli nei pressi della mamma ed un bosco con le sue piante e le sue radure coperte da un manto candido e soffice e la neve che cadeva silenziosa. Per tutto il giorno continuò a nevicare seppur con ridotta intensità immobilizzando l’uomo e le sue bestie: verso le quattro del pomeriggio smise di colpo e, all’orizzonte, comparve un pallido sole che, ben presto, calò dietro la linea delle montagne all’orizzonte. Il pastore nonostante le traversie passate, sorrise al tempo rimesso al bello, si apprestò a trascorrere con i suoi animali la seconda notte digiuno ed infreddolito, contando di riprendere il cammino e rifilando di tanto in tanto, un bonario calcetto all’asino involontario artefice della fame che gli attanagliava lo stomaco. Sollevato, si addormentò alle prime ombre della notte, dormì saporitamente e la linea dell’aurora all’orizzonte lo trovò già sveglio e felice per il tempo buono e la prossima partenza. Lo spettacolo era sublime: piante grondanti neve, prati e radure candide e rilucenti alla livida luce dell’alba, la strada che si snodava bianca ed immacolata nel bosco sino all’orizzonte, radi uccellini vagavano di pianta in pianta becchettando improbabili semi invisibili sotto la neve. Gli animali del gregge sembravano percepire l’agitazione dell’uomo, erano in piedi pronti a partire e desiderosi di lasciare quel posto incantato in mezzo al bosco, di giungere al più presto nel paese vicino, mangiare, bere e riposarsi. La neve era abbondante ma il gelo notevole della notte aveva creato una robusta patina ghiacciata sulla quale uomini e animali camminavano agevolmente senza sprofondare; solo Ugo di tanto in tanto lasciava un’impronta più marcata tribolando alquanto nell’incedere. Il pastore lo guardò, sorrise e pensò che era la giusta punizione per la mala azione che aveva fatto. Tra scricchiolii, abbaio di cani, belate prolungate per la fame e la fatica, la brigata iniziò la transumanza e dopo diverse ore cominciò a scendere verso il paese; giunta a fondovalle il dramma: il minor gelo ed il sole che cominciava a riscaldare l’aria, rendevano lo strato di neve alto più di mezzo metro, friabile: gli animali sprofondavano sino al ventre nel molle strato e non riuscivano più ad avanzare. Il pover’uomo si agitò, tentò di aiutare gli animali in difficoltà ma non cavò risultato alcuno: abbandonò nella neve gli animali immobili e stravolti dalla fatica, raggiunse il paese silenzioso nel candido abbraccio dell’abbondante nevicata, chiese aiuto al primo che incontrò ed assistette commosso alla più bella gara di solidarietà a cui fosse mai capitato di vedere: dopo

un breve conciliabolo, diversi uomini con due carri a cui avevano aggiogato i migliori buoi, si recarono nella località dove il pastore aveva momentaneamente abbandonato gli animali a circa un chilometro dal paese. Fermarono i carri ad un centinaio di metri dai poveri animali che non avevano quasi più forza di belare, si liberarono dei cani prontamente richiamati da Pierìn prima che Ferro sbranasse il primo malcapitato che gli era giunto a tiro, ed iniziarono ad estrarre letteralmente le pecore ormai privi di forza dalla neve e a trasportarle sui carri. Condotte in paese, foraggiate ed abbeverate dopo poche ore avevano ripreso sembianze di un gregge, mentre Ferro aveva ripreso a minacciarle se non eseguivano prontamente gli ordini. Quella sera veder mangiare il pastore all’osteria fu operazione da sconsigliare ai deboli di cuore: letteralmente divorò, dopo due giorni e due notti di digiuno, tutto quello che “ Ärnësta “ l’oste in gonnella del paese, gli metteva sul tavolo, fosse solido o liquido; affrontava cibi e bevande con metodo e determinazione, spazzolò in un paio d’ore ciò che un uomo normale mangia e beve in una settimana. Si ricordò dei cani e persino dell’asino che ormai aveva perdonato. Satollo come un otre pieno di derrate alimentari e di buon vino s’intende, si soffermò a lungo con gli avventori dell’osteria che l’avevano aiutato continuando a raccontare che quel maledetto Ugo l’aveva affamato per giorni ed a ringraziare chi l’aveva tratto da una situazione veramente drammatica: poche ore e le sue pecore sarebbero morte di stenti nella neve alta. Prima di andare regolarmente a dormire sotto le stelle, abbracciò tutti traballando un poco nello scorrere i soccorritori, diffondendo zaffate vinose che avrebbero at-

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terrato anche le mosche che per fortuna in quella stagione non c’erano. Per un po’ di tempo pascolò i suoi animali nei prati del paese; i bambini pur impauriti dai cani, avvicinavano il gregge attratti in particolare dagli agnellini che rallegravano con la loro nascita il buon Pierìn che si dedicava anima e corpo al loro benessere, alle loro ciucciatine rumorose e frequenti ponendo nelle sacche di Ugo più piccoli e deboli. Di tanto in tanto il pastore faceva una capatina all’osteria per farsi una bottiglia di vino o per altri piccoli acquisti rifiutando regolarmente gli inviti a giocare a carte. Improvvisamente scomparve e per un po’ di tempo nessuno vide il gregge e l’amico pastore che, stranamente, se n’era andato senza salutare nessuno. Dopo una settimana si capì il perché dell’assenza: ricomparve sulle alture a nord del paese dopo aver pascolato gli animali in zona poco frequentata e visibile. Non venne all’osteria e verso le ventitré in luogo di rincasare, alcuni giovani del paese decisero di andare dal pastore ormai addormentato: dopo aver procurato il pane, un paio di bottiglioni, un robusto cartoccio di salamini e due fascine di legna, decisero di svegliare Pierìn che dormiva nella zona dove era stato avvistato la sera stessa, mangiare i salamini e bere in compagnia. Risalirono rapidamente la collina con la luna che rischiarava il candido manto di neve, sostarono al limite del bosco e mentre cercavano il gregge, iniziarono ad urlare nella notte gelida il nome di Pierìn. Per fortuna il buon uomo si svegliò appena in tempo: si era accasato in una piccola radura sgombra di neve perché protetta da una gigantesca quercia, richiamò Ferro che stava per azzannare il primo visitatore e iniziò a ridere come un matto

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osservando i giovani scaricare le provviste al seguito; ripiegati i mantelli e riposto il cappellaccio, iniziò con l’accendere nello spiazzo senza neve un buon fuocherello e ad insegnarci ad arrostire i salamini alla pecorara: dopo pochi minuti ci trovammo a seduti per terra in cerchio attorno al fuoco con in mano un bastoncino appuntito nel quale avevamo infilato, guidati dal vecchio, il salamino che stava arrostendo sulle braci. Il silenzio del bosco e della notte ci impediva quasi di parlare: ruotavamo di tanto in tanto il bastoncino ed il piccolo insaccato sfrigolava spargendo nell’aria un po’ di fumo e un profumino che attirava i cani comunque sospettosi nonostante la presenza del padrone. Mangiammo e bevemmo in allegria ma il più felice fu sicuramente il vecchio pastore contento che gli amici si fossero ricordati di lui. Se ne andò di lì a poco, girovagando di paese in paese sino alle sue montagne all’inizio dell’estate, con le sue pecore, con i suoi agnelli, con i cani ed Ugo che lo seguiva ubbidiente e con la famosa limetta da ferro gioia e dolore del suo preferito Ferro. Un inverno non si presentò in paese e neppure in quelli vicini. Alcuni dissero che era malato, altri che era ricoverato in casa di cura, altri ancora che fosse morto: non si vide più. Probabilmente il buon vecchio data l’età e la vita tribolata, dopo tanto girovagare sulle strade del mondo, si era stancato di dormire sotto le stelle ed aveva deciso di dormirci sopra! di Giuliano Cereghini VOCABOLARIO Pierìn al pastùr: Pierino il Pastore Sgrullare: scuotere Rèsta ad salamê: fila di salamini annodati Crugnë: angolo della micca



MORNICO LOSANA

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La pancetta con cotenna: «Pochi produttori, ne abbiamo solo 3 o 4» Nella narrazione delle tipicità dell’Oltrepò Pavese un posto di rilievo spetta alla pancetta. E non parliamo in questa sede di una pancetta qualunque: bensì della pancetta con cotenna. Non sarà forse il salume più conosciuto del territorio, ma è apprezzato se non amato incondizionatamente dai più; e trova spazio in tutti i vassoi di antipasti, nessuno escluso. Di frequente, tuttavia, in declinazioni che non rappresentano alcunché di tipico. Ebbene: esiste in quel di Mornico un’associazione che si propone di valorizzare e diffondere la cultura della pancetta con cotenna di qualità, e di mettere in contatto i produttori con gli utilizzatori. Si tratta, per l’appunto, dell’Ordine della pancetta con cotenna dell’Oltrepò Pavese. Uno dei membri più noti è Enrico Morlacchi, anche noto come il ‘‘Don Chisciotte dell’Oltrepò’’. Il perché di questo titolo è presto detto: mille e più sono le storie che racconta ai suoi amici e a quanti hanno modo di fare la sua conoscenza nelle più tipiche osterie collinari, come nelle trattorie di pianura. D’altronde un territorio, per esistere, ha bisogno di essere raccontato. Morlacchi, ci spieghi: perché la Pancetta con cotenna dell’Oltrepò Pavese è unica e diversa dalle altre? «Per il semplice motivo che tutta la pancetta viene avvolta nella cotenna e cucita anche nel finale. Il prodotto è ottenuto dalla parte ventrale di suini del peso vivo minimo di 180 chili e di età superiore a 9 mesi, allevati in Italia». Il pubblico conosce la specificità del prodotto che vi proponete di valorizzare? «Il pubblico lo conosce ancora poco. Ci sono pochi produttori, ne abbiamo solo tre o quattro. Il fatto che si richieda una stagionatura di 18/24 mesi significa che la pancetta, una volta prodotta, debba restare lì ferma per parecchio tempo: mentre oggi le pancette tradizionali vendute nella grande distribuzione sono stagionate dai 4 ai 5 agli 8 mesi. In queste pancette industriali, poi, i tasselli finali vengono aggiunti dopo, non fanno parte della pancetta. I costi, come è ovvio, sono diversi. Questi sono i motivi per cui la pancetta con cotenna è da un lato non facile da trovare, e dall’altro è difficile da far capire». Al netto della disponibilità, si tratta di un prodotto particolarmente ricercato? «Dipende anche dal periodo. Adesso, che siamo in inverno, è il periodo in cui la pancetta va di più, perché d’estate è considerata un po’ grassa. È più considerato un salume invernale. Di certo posso dire che è un prodotto che piace. La pancetta è un salume che non si taglia in solitudine ma sempre in compagnia. È simbolo di gioia, di allegria». Esiste un disciplinare? Come viene prodotta la vera e inimitabile pancetta

Enrico Morlacchi dell’Oltrepò? «La pancetta, con la relativa cotenna, viene salata a mano ed a secco con sale marino di giusta grana, con aggiunta di pepe nero in grani interi e a mezza grana, pepe bianco in polvere e spezie varie. La pancetta viene poi arrotolata, cucita lungo tutta l’estremità alla maniera antica e legata; in seguito viene forata con l’ago di cucitura per la fuoriuscita dei liquidi e sali in eccedenza. Dopo l’asciugatura inizia la fase di stagionatura che non può essere inferiore a 18 mesi. La diminuzione di peso dopo la stagionatura è di circa il 20-30% del peso di confezionamento». Qual è il territorio di produzione? «Tutto il territorio dell’Oltrepò Pavese. È un prodotto della terra e della cultura locale, che porta dentro i segni di conoscenze consolidate e maturate nel corso del tempo e tramandate da artigiani macellai del territorio». Quando è nato l’Ordine? «L’Ordine è nato l’8 giugno del 2008 dalla passione di un piccolo gruppo di amici, cultori delle tradizioni e in particolare della pancetta con cotenna. Lo scopo dell’Ordine è far conoscere per non far morire la tradizione di un salume spesso sottovalutato». Ben più antico è il rapporto che il nostro territorio tiene con il variopinto universo degli insaccati. Pare che già i Longobardi allevassero il maiale… «Il passaggio della salumeria italiana dalle incertezze romane alle realtà attuali avvenne con i Longobardi, che arrivarono in Italia nel 569 d.C. Fu proprio il popolo di Alboino a fissare le regole della conservazione, consentendo il passaggio dalla carne cotta ai salumi crudi. Per ricordare quanto sia forte il legame dei nostri salumi con la storia ed il territorio, non possiamo non ricordare che la capitale del Regno Longobardo era Pavia e che oggi abitiamo in una regione che richiama nel nome ancora questo popolo».

Fino al Secondo Dopoguerra, tradizionalmente, si allevavano sul nostro territorio suini di razza Russo di Modena. Oggi non è più così. Vuole spiegarci il motivo per cui l’inserimento nel solco della tradizione della Pancetta con cotenna trascende il duro e puro aspetto della razza? «La tipicità in questo caso non è nella materia prima, ma nelle condizioni ambientali della zona di produzione, capace di influire notevolmente sui prodotti, e soprattutto nell’arte della trasformazione. E per questo non ringrazieremo mai abbastanza quello sparuto numero di artigiani che hanno portato avanti la tradizione fino ad oggi e la tramandano». Può dirci come riconoscere una pancetta di qualità? «Guardare la cotenna è uno degli aspetti fondamentali. Sicuramente quelle industriali sono belle tirate, belle lisce; di cotenna ce n’è un po’ poca…». È stata avviata una valorizzazione del prodotto da parte di alcuni ristoranti? «Certo. Abbiamo proposto la pancetta ad alcuni ristoranti, alcuni di un certo prestigio, situati in ottime posizioni. Col tempo si affezionano a questo prodotto e non possono più farne a meno. A quelli che si distinguono particolarmente diamo gagliardetto con il simbolo della nostra associazione; il ristorante diventa così un po’ come un nostro affiliato. Cerchiamo con questo anche di far conoscere il nostro brand».

Ordine della pancetta con cotenna, «Far conoscere per non far morire la tradizione di un salume spesso sottovalutato» Dove altro è possibile incontrare il gagliardetto e, quindi, acquistare la Pancetta con cotenna dell’Oltrepò Pavese? «Per esempio anche nei negozi di prodotti a km0, dove appunto si trova esposto anche il gagliardetto». Quali iniziative svolgete per valorizzare il prodotto? «Facciamo spesso iniziative di vario tipo, che coinvolgono anche realtà esterne al nostro territorio. Questo per far conoscere il prodotto e valorizzarlo il più possibile. La peculiarità, a livello di confraternite o

di ordini che dir si voglia, è proprio quello di far conoscere i prodotti della tradizione e non farli finire nel dimenticatoio. Poi io, da buon Don Chisciotte, quando vado in giro anche per lavoro cerco di far capire il nostro prodotto, un salume che ha una certa territorialità ma soprattutto che viene fatto in un certo modo». Sono state messe in atto operazioni per valorizzare unitariamente il vostro prodotto e altre produzioni tipiche dell’Oltrepò? «Abbiamo collaborato, ad esempio, con la Confraternita della Raspadura, poi con quella del Cotechino caldo di Barbianello». Con quale frequenza avvengono i vostri incontri? «Tre o quattro volte all’anno con ospiti esterni. Noi, internamente, all’incirca ogni mese». Quanti e chi sono i membri dell’Ordine? «I membri effettivi dell’associazione sono una dozzina. C’è qualche produttore e qualche utilizzatore; qualche ristoratore; un sommelier come Carlo Aguzzi». A proposito di sommelier: la pancetta è un prodotto che si presta ad abbinamenti interessanti e sorprendenti. Ma non penso solo ai vini… «La polenta, per esempio. La polenta calda con la pancetta che si scioglie… lascio pensare a lei il resto. La provi: ne mangerà in qualità industriale». Parliamo anche dell’aspetto ludico e goliardico, che è tipico di ogni confraternita gastronomica. Qual è la vostra simbologia? «Normalmente tutte le confraternite hanno un mantello o qualcosa di simile. Noi, per non fare le cose troppo in pompa magna e come fanno tutti, abbiamo scelto come divisa il vecchio grembiule da macellaio, a righe bianche e rosse. La indossiamo in occasione degli eventi. Poi abbiamo un collare che regge un medaglione con lo stemma dell’Ordine». Siete disponibili a organizzare eventi in collaborazione con altre realtà o a mettere in contatto i potenziali clienti con i fornitori? «Certo. Anzi, è quello che vogliamo fare. Nel territorio ho già preso alcuni contatti, vogliamo mettere in piedi alcune serate a tema dove noi parleremo della pancetta dell’Oltrepò, la descriveremo in tutte le sue caratteristiche, e ne faremo assaggiare una stagionata tre anni. È un’esperienza da provare. Pensi che non molto tempo fa abbiamo tagliato una pancetta di sei anni: era una bontà assoluta». Come trovarvi? Dove è situata la vostra sede sociale? «La nostra base è situata presso il ristorante Il Feudo Nico di Mornico Losana». di Pier Luigi Feltri


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BRESSANA BOTTARONE

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Una cava sull’area golenale del Po minaccia Bressana Bottarone Nuova questione ambientale per il Comune di Bressana. Si tratta di una cava che, pur trovandosi nel comune di Cava Manara, è ubicata sulla riva sud del fiume Po. Cosa succederà al termine delle estrazioni? Quanto aumenterà il traffico di mezzi pesanti all’interno di Bressana Bottarone? Il consigliere Gianfranco Ursino esprime il suo (preoccupato) punto di vista. In cosa consiste questa minaccia? «La cava è prevista in località Chiavica, che ricade nel Comune di Cava Manara pur essendo in area golenale della riva sud del Po. Nell’ultimo Piano Cave provinciale del 2017 viene individuata con la sigla ATE G74 con una specifica molto importante, ovvero che il tracciato di trasporto del materiale di cava alla viabilità primaria deve escludere l’attraversamento del territorio di Bressana. Mi chiedo allora: per quale motivo la sindaca nel partecipare alla conferenza dei servizi che si è svolta il 7 giugno 2018 si è detta disponibile a stipulare una convenzione per far transitare i mezzi pesanti dalle vie di Bressana?». Nel Consiglio Comunale del 6 novembre scorso lei ha presentato un’interpellanza urgente in merito. Cosa ha chiesto? «Ho chiesto quali siano gli intendimenti dell’Amministrazione alla luce di quanto emerge dal verbale della Conferenza dei servizi, che chiedo di pubblicare sull’Albo Pretorio del Comune per renderlo pubblico. Non si possono prendere decisioni di tal portata senza comunicarle preventivamente alla popolazione. Stiamo parlando del transito di mezzi pesanti che, oltre a mettere a dura prova il manto stradale, creerà disturbi per le abitazioni e l’ambiente circostante, con possibili pericoli per la salute dei cittadini». Verrà pubblicato questo verbale? «Ho chiesto di pubblicarlo almeno expost, insieme all’interpellanza che ho presentato. Ma ad oggi negli atti del Consiglio non c’è traccia. La stessa mia interpellanza occorre scovarla tra gli atti allegati alla delibera del Consiglio n°46 inerente il regolamento per la disciplina delle rateizzazioni per il pagamento di entrate comunali. Non aggiungo altro». Cosa ha chiesto il Comune in cambio per acconsentire al transito? «È una delle domande che ho posto alla Sindaca, ma non ha risposto. Ho chiesto anche se ha preso in considerazione la possibilità di emettere un’ordinanza per vietare il passaggio dal viale di Cascina Bella dei mezzi pesanti oltre un certo peso, in modo da impedire un disastro annunciato. Ma anche in questo caso non ha risposto. Mi ha solo trasmesso delle precisazioni che il funzionario responsabile delle attività estrattive in Provincia ha inviato su richiesta al Comune, dove si afferma che il traffico dei mezzi pesanti è escluso nel centro abitato di Bressana, ma che – come

Gianfranco Ursino emerso nella conferenza dei servizi – transiterà lungo Viale della Resistenza e proseguirà lungo Via I Maggio». Non proprio due autostrade… «Pensano di non ottemperare all’impegno a non attraversare Bressana riportato nel Piano Cave, ritenendo fuori dal centro abitato queste vie che incrociano anche la centralissima Via Depretis. Non so cosa pensino, invece, le decine e decine di famiglie che abitano in quella zona. E poi nel Piano Cave non c’è scritto semplicemente che non devono attraversare il centro abitato, ma che non devono attraversare Bressana. Stiamo parlando di strade già molto trafficate da camion di una certa stazza». La Provincia ha dato altre informazioni nel documento che lei cita? «Il tecnico della Provincia ribadisce che il dettaglio della movimentazione dei mezzi sarà comunque oggetto di Convenzione con la ditta che gestirà la cava, come peraltro il Comune ha richiesto nella conferenza del giugno scorso. Un accordo che dovrà essere concluso prima del rilascio dell’autorizzazione all’attività di scavo. Solo la Sindaca può fermare un disastro annunciato. Ma dalla risposta a caldo che mi ha dato in Consiglio Comunale non nutro molte speranze». In che senso? Cosa ha risposto? «Che non possiamo dire sempre ‘‘no’’. Le ho ricordato che forse dobbiamo iniziare a dire ‘‘no’’ qualche volta. Anche nell’ultima conferenza dei servizi sulla centrale a biomasse la Sindaca ha espresso parere positivo, senza ottenere nulla a favore del Comune. Eppure, la società che gestisce la centrale non ha neanche realizzato le compensazioni inizialmente previste all’avvio dell’attività nel 2013 con la precedente Amministrazione. Mi chiedo perché dargli ancora credito». Ma le trattative sono in corso? «Ad espressa domanda rivolta con l’interpellanza, Sindaca e tecnico comunale han-

no risposto che successivamente alla conferenza dei servizi del 7 giugno scorso non hanno avuto contatti con rappresentanti della ditta che gestirà la cava». Quanti saranno i mezzi pesanti che attraverseranno ogni giorno Bressana diretti alla cava? «Spero nessuno. Ma è solo una speranza. Nel Consiglio Comunale del 6 novembre scorso la Sindaca ha detto che in conferenza dei servizi hanno prospettato 8-9 al giorno. Ma nel verbale della stessa conferenza viene riportato che ‘‘stante l’attuale situazione di mercato si ipotizzano al massimo 20 mezzi in entrata ed in uscita al giorno’’. Quindi 40 al giorno. Un numero che potrebbe tranquillamente aumentare in caso di necessità, dipende solo dalle richieste del mercato». A che punto è l’iter? «Per fortuna abbiamo un po’ di tempo per fermare la minaccia che incombe sul paese, perché alla Conferenza sono emersi degli intoppi che hanno rallentato per il momento il rilascio dell’autorizzazione per l’inizio dell’attività di scavo dei previsti 600.000 mc di sabbia». A cosa fa riferimento? «Solo in conferenza dei servizi i progettisti hanno appreso che le strade interessate non sono più provinciali, ma da qualche anno sono state declassate e ora sono ora comunali. Fino a quel momento pensavano di riconoscere compensazioni solo alla Provincia di Pavia e al Comune di Cava Manara. Entrando in gioco anche Bressana occorre in qualche modo far quadrare nuovamente i conti. Inoltre, nell’aprile scorso la Provincia aveva stabilito di escludere questo progetto dalla Valutazione di impatto ambientale. Peccato però che, ricadendo l’Ate G74 in area golenale del Po, per la V.I.A. è competente Regione Lombardia. Adesso tocca ai tecnici regionali esprimersi sull’esonero dalla procedura». È coinvolto anche l’A.I.P.O.? «Questo è un altro mistero della vicenda. Alla conferenza dei servizi non era presente alcun rappresentante dell’A.I.P.O., per intenderci l’ex Magistrato del Po. Addirittura risulta che non sia stato neanche invitato, pur ricadendo la cava in ambito di tutela paesaggistica del Po. Strano, ma vero. Anche per questo chiedo di garantire la massima trasparenza sulle procedure. Chi decide, per Bressana la Sindaca, deve prendersi le proprie responsabilità nei confronti dei cittadini e coinvolgerli su una decisione che va ad impattare sulla qualità della vita del paese». Sono state considerate vie alternative per il tragitto da far percorrere ai mezzi pesanti? «Si è tentato di considerare il transito su un tracciato più breve che percorre la strada interpoderale che costeggia il Po, per uscire direttamente sulla SP 35 all’altezza del

«Occorre scongiurare la possibilità di un futuro utilizzo della cava da parte di malintenzionati che potrebbero cogliere l’opportunità per smaltire rifiuti di ogni genere» ponte sul Po. Ma è un’ipotesi non percorribile per via dei costi che la ditta non pensa lontanamente di sostenere. Si dovrebbe praticamente rifare il ponte alla foce del torrente Coppa». Si ipotizza già come sarà riempita la cava una volta completato lo scavo? «Dal verbale della conferenza dei servizi emerge che la sistemazione finale prevede un laghetto con area boschiva. Ci sarebbe un interesse della Lipu per la gestione. Ma sappiamo benissimo che dal dire al fare c’è di mezzo il mare. In questo caso il fiume. Tra le pieghe dei termini utilizzati nel Piano Cave potrebbero annidarsi pericoli legati alla rinaturalizzazione dell’area una volta portata al livello originario». Si spieghi meglio. «Mancano indicazioni specifiche sulla riqualificazione del fondo della cava. Un domani potrebbe essere contemplato un riempimento, anche con trattamento di rifiuti di ogni genere. Tutto può cambiare. Occorre quindi evitare ogni interferenza della cava con la viabilità di Bressana, in più occorre scongiurare la possibilità di un futuro utilizzo della cava da parte di malintenzionati che potrebbero cogliere l’opportunità per smaltire rifiuti di ogni genere». Qualche timore in particolare? «Sappiamo per esempio che Cociv, il consorzio cui è affidata la realizzazione del Terzo Valico dei Giovi, sta cercando sfoghi dove seppellire il materiale roccioso contenente amianto proveniente dai cantieri liguri e piemontesi. Ci hanno provato anche a Casei Gerola e nella vicina Castelletto di Branduzzo. Un pericolo per il momento scongiurato, ma chi ci garantisce che non ci riproveranno a Bressana? Occorre stare molto vigili, anche perché i Piani Cave regionali cambiano e nel 2022 è prevista una revisione. E per una cava in essere ci vuole poco per chiedere un allargamento, finanche un diverso riempimento. Sappiamo che l’appetito vien mangiando…». di Pier Luigi Feltri


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Pendolari e sindaci, nasce il fronte comune contro i disservizi La situazione dei pendolari è ormai tristemente nota. Ogni giorno tantissime persone percorrono la tratta Stradella-Milano a bordo di treni sporchi, vecchi e puntualmente in ritardo. Nell’ultimo periodo però, grazie alla tenacia dei pendolari stessi, stanchi del perdurare della situazione critica, i sindaci oltrepadani si sono messi in moto per aiutarli facendo fronte comune e impegnandosi a portare in Regione le loro istanze. Tra i promotori dell’iniziativa c’è il sindaco di Broni Antonio Riviezzi. Sindaco, com’è nata l’dea di farsi portavoce di un’azione condivisa con gli amministratori locali dell’Oltrepò in difesa dei pendolari del territorio? «I disagi e le difficoltà quotidiane che i pendolari affrontano purtroppo sono sempre più frequenti: credo che il sindaco di una città, anche se non ha poteri o competenza in merito al trasporto ferroviario, debba sempre avere a cuore il benessere dei cittadini, per cui ho deciso di fare tutto quello che è nelle mia possibilità per perorare la loro causa presso gli enti gestori». Qual è stato il primo passo? «La prima cosa che ho fatto è stato di incontrare in Comune una delegazione di pendolari del territorio, per approfondire i problemi relativi al trasporto ferroviario locale, in special modo sulla tratta Piacenza – Pavia – Milano, nell’ottica di progettare un’azione condivisa di sensibilizzazione nei confronti della Regione e degli enti gestori. Lo scorso mese ho ricevuto in Comune le due portavoce Anna Musselli e Valentina Salvini». Com’è andato quel primo incontro? «è stato un incontro molto utile per andare a fondo dei problemi che affliggono il sistema di trasporto locale. Mi hanno riferito di un grandissimo numero di pendolari che, stanchi dei continui disagi patiti, si sentono abbandonati al proprio destino. D’ora in poi non saranno più soli nella battaglia per avere un sistema di trasporti più dignitoso e decoroso: alle soglie del 2019, credo fermamente che non sia più ammissibile che centinaia di pendolari, studenti, genitori con bambini ed anziani siano costretti a viaggiare quotidianamente in convogli sporchi, sovente in ritardo e super affollati. Insieme ai Sindaci del territorio, ho accolto la loro richiesta di aiuto per aprire un dialogo con le società che si occupano del servizio di trasporto pubblico ed affrontare insieme a loro le criticità esistenti». Quali sono i maggiori problemi che riguardano in particolare la tratta ferroviaria oltrepadana e i collegamenti con Milano? «Il problema maggiore è il ritardo dei treni, ormai all’ordine del giorno: sia sulle tratte mattutine che su quelle serali, dove ogni giorno si accumula un ritardo standard di

Antonio Riviezzi venti minuti. I ritardi sono poi aggravati dal problema di precedenze in prossimità del passaggio a livello di Pinarolo Po, che sembra non possa risolversi; un’ulteriore criticità è costituita dal fatto che il treno in partenza da Stradella alle 7,24 e diretto a Bressana, che dovrebbe consentire di prendere il treno della tratta Asti – Milano, è costantemente in ritardo, facendo perdere ai pendolari la coincidenza». Di quali altre criticità le hanno riferito i pendolari? «Mi hanno fatto presente che ci sono problematiche non indifferenti riguardanti le carrozze e il materiale rotabile. La capienza dei treni delle tratte mattutine è insufficiente a contenere il numero di pendolari che usufruiscono del servizio; chi sale da Stradella in poi viaggia costantemente in piedi fino alla stazione di Pavia. Senza dimenticarci della sicurezza dei viaggiatori e degli operatori: purtroppo capita sempre più spesso di viaggiare su treni senza luce, con porte rotte, senza riscaldamento d’inverno e aria condizionata d’estate. La situazione sembra non avere una soluzione, visto che ogni giorno si verificano le stesse e reiterate criticità». Qual è stato il passo successivo? «Dopo aver ricevuto la delegazione dei pendolari, mi sono fatto promotore per incontrare in Comune tutti i Sindaci del territorio, una prima volta il 24 ottobre, ed una seconda, insieme a Consiglieri regionali, lo scorso 13 novembre.

Riviezzi: «Siamo in tanti e faremo pressione perché il servizio migliori» è stata una serata molto proficua, che ha visto la partecipazione di numerosi Sindaci, amministratori locali e dei Consiglieri regionali eletti nella nostra Provincia, al termine della quale abbiamo deciso all’unanimità di pianificare un’azione condivisa volta a sensibilizzare la Regione e le società che gestiscono il servizio in merito alle istanze poste dai pendolari». C’è qualche buona notizia per loto? «Una molto piccola per ora: alcuni treni nuovi saranno operativi a partire dal 2020». Come mai gli enti gestori non riescono a garantire un servizio decente? «I nostri consiglieri regionali non hanno mancato di sottolineare alcune criticità emerse durante i vari incontri che si sono svolti tra Regione Lombardia e il gestore Trenord. La principale problematica emersa riguarda la mancanza di personale, che influisce negativamente sia sulle corse che

rispetto alla comunicazione con gli utenti, che il più delle volte non sanno a chi rivolgersi per chiedere informazioni in caso di problemi o guasti. Ci sono poi gli investimenti effettuati per Trenord, considerati insufficienti e non bilanciati tra gli attori coinvolti, considerato che Regione Lombardia ha investito circa 3 miliardi e 600 milioni mentre Trenitalia solo 170 milioni». Voi sindaci cosa avete chiesto? «Sono state sollevate diverse problematiche e posti dei quesiti. Franco Provini, assessore allo sviluppo economico del Comune di Stradella, ha proposto di allargare il bacino dell’iniziativa estendendolo a tutto il territorio oltrepadano, non solo ai Comuni che hanno una stazione sulla linea interessata. Maria Teresa Torretta, sindaco di Bressana Bottarone, ha sottolineato come i paesi in cui è presente un passaggio a livello vivono una situazione di disagio doppia perché i disservizi della linea ferroviaria creano problemi anche alla circolazione su strada, oltre a sollevare la questione relativi ai rimborsi: visto che è stato stimato che ogni 100 abbonamenti, ci sono 40 rimborsi, si è chiesta come possa sopravvivere una società che ogni mese deve coprire una spesa così ampia. Alessandro Zocca e Michele Pini, sindaci di San Martino Siccomario e Cava Manara, hanno fatto presente come la stazione dei treni rappresenti un asset strategico per i cittadini non solo dei Comuni che le ospitano, ma anche dei comuni limitrofi. Per questo motivo entrambi hanno fatto significativi investimenti per migliorarne l’accessibilità e favorire il trasporto ferroviario, e di conseguenza si aspettano che anche la Regione e gli enti gestori si muovano di conseguenza per migliorare il servizio ed adattarlo alle esigenze dei pendolari». Quali saranno le prossime mosse? «Abbiamo concordato all’unanimità di presentare una richiesta di incontro ufficiale con l’assessore regionale ai trasporti Claudia Terzi per discutere delle criticità del trasporto ferroviario nel nostro territorio. In questi giorni stiamo terminando la raccolta delle adesioni dei sindaci e degli amministratori, oltre che dei comitati dei pendolari che hanno dato la propria disponibilità. Successivamente, tramite i consiglieri regionali che hanno dato la propria disponibilità, invieremo la richiesta di incontro ufficiale all’assessore. La buona notizia, per tutti coloro che ogni giorno prendono il treno, è che all’iniziativa intrapresa stanno aderendo anche sindaci di comuni che non avevano partecipato all’incontro del 13 novembre. Il fronte si sta allargando». di Elisa Ajelli



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L’intelligenza artificiale nei negozi «La mia sfida all’Oltrepò» Ha ideato una piattaforma online che potrebbe rivoluzionare il concetto stesso di commercio in Oltrepò, ma si sta confrntando con una realtà «rassegnata, diffidente e senza umiltà». Paolo Pedrazzi, vogherese di nascita (il padre è stato direttore della Biblioteca Ricottiana per 15 anni), ha presentato recentemente a Broni in anteprima la nuova creatura messa a punto insieme agli studenti del MiBe (Master in International Business e EntrePreneurship). Un “sogno” tirato fuori dal cassetto del suo creatore che sta diventando realtà e che potrebbe cambiare per sempre non solo il rapporto tra clienti e commercianti ma anche le strategie di vendita e gestione portando l’intelligenza artificiale nei negozi. Fare acquisti da casa attraverso l’utilizzo di visori elettronici, sincronizzazione dei canali di vendita online, scontrini elettronici e commercializzazione delle informazioni ai brand sono solo alcune delle opportunità offerte dal servizio ad utenza e addetti ai lavori. Un linguaggio non semplice per l’Oltrepò, territorio spesso restìo al cambiamento e all’innovazione. «Siamo gente bizzarra – spiega Pedrazzi - ci facciamo la guerra nel nostro orticello, anziché creare sistema e far crescere il nostro valore investendo in Comunicazione, siamo tante piccole one-man-band che non andranno mai da nessuna parte». Ciò nonostante la nuova startup può annoverare l’adesione di una ventina di negozi e interesse ad approfondimenti da parte dei comuni di Vigevano e Pavia. Da Voghera, per ora, neanche un cenno. «Ho cercato di organizzare una presentazione scrivendo al Comune, ma per ora nessuno mi ha risposto». Da sempre appassionato di informatica, il 38enne vogherese con un passato da editore e il pallino dell’e-commerce ha lanciato una sfida molto innovativa partendo proprio da casa sua, l’Oltrepò. Come si chiama la nuova piattaforma e come è nata l’idea di realizzarla? «Si chiama “1ClickFashion” ed è un progetto che mi porto dietro da anni. Ho sempre avuto passione per l’e-commerce e ho sempre cercato di ascoltare le esigenze, gli sfoghi, le problematiche dei commercianti. Dopo aver chiuso l’attività editoriale mi sono rimesso a studiare, ho preso certificazioni, fatto corsi, passato il giorno e la notte a imparare qualunque linguaggio di programmazione esistente. Quest’anno, a 38 anni suonati, ho deciso di iscrivermi di nuovo all’Università e per caso, a Ingegneria, sono venuto a sapere dell’iniziativa Univenture, promossa dal MiBe, dal Polo Tecnologico e Comune di Pavia e mi sono lasciato convincere a tirar fuori dal cassetto questo progetto, nonostante le enormi delusioni e la sfiducia di fondo che nutro nel sistema startup italiano. Sono stato selezionato tra un centinaio di imprese e, dopo una prima fase, il progetto è passato

Paolo Pedrazzi in finale». Come funziona e quali vantaggi offre ai commercianti? «1Clickfashion nasce per potare l’intelligenza artificiale nei piccoli negozi, aprendo loro le porte del web e delle vendite online in maniera semplice e assistita, ma soprattutto… Omnicanale. La problematica principale che incontro quando parlo con i commercianti è quella di non avere il tempo per gestire le vendite su più canali. Grazie all’uso dell’Internet of things, l’Internet delle cose, abbiamo creato un punto cassa intelligente che consente ai negozi di caricare l’intero inventario in poco tempo e di tenerlo sincronizzato in tempo reale con Amazon, Ebay, un sito di proprietà, brand, grossisti, agenti e, ovviamente sul portale 1clickfashion.com». Qualcuno potrebbe obiettare che il commercio online già esiste. Che differenza c’è tra voi e, ad esempio, Amazon? «Sostanziale. Amazon è un servizio online. Noi consentiamo ai negozianti di scalare e di vendere anche su Amazon, ma la nostra finalità è aiutare il commercio fisico attraverso le più evolute tecnologie». Come cambia il modo di fare acquisti per il cliente con la vostra piattaforma? «In primis l’utente può cercare un prodotto in una determinata area e conoscerne la disponibilità in tempo reale.

Il progetto presentato a Broni. «Dal Comune di Voghera nessuna risposta»

Cerchi un paio di scarpe nere taglia 45 su Voghera? Il sistema ti fa vedere quali sono effettivamente disponibili all’acquisto. Ma non ci fermiamo qui: abbiamo creato un sistema di intelligenza artificiale in grado di riconoscere, grazie ad un visore in dotazione ai commessi, i clienti che entrano in negozio dal volto, semplicemente guardandoli in faccia. Il cliente può così avere sempre la massima cortesia e professionalità da parte del commesso che, senza bisogno che dica nulla, conoscerà per esempio, vedendolo attraverso il visore, le sue taglie, gli acquisti pregressi, se sta cercando qualcosa di particolare, quali sono i suoi gusti, le sue passioni, potendo così garantire un livello di servizio sempre più costruito intorno al cliente. Ma non solo… l’intelligenza artificiale riconosce anche un campione di circa 3 milioni di capi di abbigliamento, profilati e catalogati. Così un commesso guardando come sei vesito può conoscere le marche che preferisci, i colori che indossi più spesso e consigliarti abbinamenti e taglie, sapere se quel prodotto è a magazzino o se lo deve ordinare». In Oltrepò questa sembra più che altro fantascienza… I commercianti cosa ci guadagnano, al di là dell’offrire un servizio diciamo così “personalizzato”? «I dati di cui entrano in possesso grazie a questi visori e camere sono oro per i negozi del futuro, che potranno monetizzare attraverso lo scambio dati e facendosi pagare questi dati dai brand. La piattaforma infatti è collaborativa, riunisce utenti e influencers, brands e designer, negozi e grossisti in un unico ecosistema basato sulla fisicità. Avranno altri vantaggi indiretti come snellire i processi di caricamento prodotti e schede, poter incassare istantaneamente i proventi delle loro vendite online grazie alla nostra partnership con Paypal, potranno farsi trovare in un motore di commercio di prossimità e fare marketing sul territorio grazie a mappe, tool e strumenti integrati all’app e al sito. Inoltre abbiamo già integrato lo scontrino elettronico, che dal 2019 sarà legge, allo stesso modo la fatturazione elettronica SDI per facilitare la comunicazione tra brand e negozi. Insomma, è una sfida che chiunque voglia restare al passo con I tempi e quindi - dico io – continuare a esistere, non può non raccogliere». La piattaforma è già operativa? «Stiamo già abilitando i primi negozi, partendo dall’Oltrepò perché partire da casa è sempre più facile e ci ha consentito di tastare un pochino il polso della situazione. Il 17 Dicembre presenteremo la cosa all’openSummit di StartupItalia, l’evento più importante dell’anno per la community degli innovatori italiani. Da lì vedremo cosa succederà». Non credo vogliate limitarvi al solo Oltrepò… «No, abbiamo già in agenda appuntamenti

«Qui c’è scarso interesse per l’innovazione: tutti troppo impegnati a vendere bocce di Bonarda ai milanesi» a Milano, Roma e Bologna». Come si fa per aderire al circuito? Ha un costo? «Ci sono diversi abbonamenti di cui un free Plan gratuito che prevede solo la percentuale sul venduto». La nuova iniziativa è stata presentata recentemente a Broni. Come è stata accolta? «Una dozzina di commercianti hanno partecipato alla serata da Casteggio Stradella e Castel San Giovanni oltre che Broni. Altrettanti ci hanno richiamati in seguito. Ho cercato di organizzare qualcosa anche su Voghera scrivendo al Comune stesso, ma per ora nessuno mi ha risposto. Mentre a Pavia e Vigevano ci hanno dato massima disponibilità ad organizzare eventi coinvolgendo i negozianti». Torniamo sulle difficoltà del far attecchire una simile innovazione sul territorio: come mai crede che in Oltrepò certe sfide siano tanto ardue? «Mancano la cultura del rischio e dell’impresa. Faccio un esempio: La stessa piattaforma che è 1ClickFashion è declinata anche per il settore turistico-alberghiero, enologico ed enogastronomico: si chiama Oltrepop, è pronta all’uso, ma ho desistito perché purtroppo nessuno è interessato a darmi una mano. Tutti quando parli di Oltrepò ti dicono “Ah no, troppo difficile”. Vorrei creare un incubatore di impresa per startup innovative a sfondo vinotech ed enogastrotech: proprio qui in Oltrepò ho bussato a tante porte, ma non c’è interesse per la tecnologia evidentemente, sono tutti troppo occupati a vendere bocce di Bonarda ai milanesi. Peccato, si perdono le occasioni così. L’innovazione non ti aspetta in eterno, un territorio come il nostro dovrebbe fare quadrato attorno ad un progetto comunicativo forte e investire in comunicazione. Come ha fatto altrove Napa Valley per esempio. Io nostri vini e il nostro territorio non hanno nulla in più o in meno rispetto a Napa Valley». di Christian Draghi


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Gioielleria Novelli, una storia raccontata da tre generazioni È il lontano 1928, anno in cui Giuseppe Novelli, dopo aver frequentato diversi corsi di orologeria e dopo anni di tirocinio, decise di aprire il suo negozio a Voghera. Si occupa di riparazioni di orologi dell’Ottocento, attività che richiede passione e una formazione specifica, ma i suoi sforzi sono stati premiati: il negozio infatti ha resistito agli urti del tempo e negli anni si è affiancata alle riparazioni di orologi anche la vendita di gioielli. Il Signor Giuseppe è riuscito a infondere questa sua grande passione ed esperienza ai tre figli, che a loro volta, contribuiscono ad ampliare l’attività. Nel 1968 Angelo, uno dei figli, arriva a inaugurare un altro punto vendita a Broni e nel 1987 ha aperto la gioielleria a Stradella che ancora oggi si trova in Via Trento. All’attività subentrerà poi nel 2013 anche Andrea, figlio di Angelo e Maria: figlio d’arte e perito gemmologo qualificato che si è specializzato in perizie legali e commerciali, nell’analisi e certificazione internazionale di diamanti e pietre di colore. La storia della gioielleria Novelli parte da molto lontano, ma a distanza di 90 anni l’attività, che si è trasformata in una vera e propria tradizione famigliare è ormai parte integrante della storia vogherese, è stata premiata come negozio storico dal Comune. Angelo, un’attività che parte da molto lontano, grazie a suo padre, e che le ha regalato soddisfazioni. «Sogni e soddisfazioni. Pensi che abbiamo anche ricevuto un premio dal comune di Voghera, una pergamena, tanti anni fa. Siamo stati premiati con altri negozi storici della città, è stata una soddisfazione enorme, anche per mio padre che aveva ormai più di novant’anni». A che età ha iniziato a lavorare nel negozio di suo padre? «Avevo 28 anni». Ci sono stati momenti in cui la vostra attività ha vacillato? «Ci sono stati anche momenti brutti, ad esempio quando sono venuti i ladri o quando c’è stata la crisi del ‘29». Avete però resistito. «Si, abbiamo resistito bene». Una domanda rivolta a tutta la famiglia. Com’è cambiato il vostro lavoro negli anni? «è migliorato e peggiorato allo stesso tempo. Negli anni Settanta si lavorava molto bene, erano anni buoni, ma per quanto riguarda gli ultimi anni… Penso che molto stia anche sul come si è investito nel settore. Chi investiva tanto nell’oro negli anni indietro adesso magari ha le spalle un po’ più coperte». Sentiamo Andrea, il rappresentante dell’ultima delle tre generazioni. Lei ha iniziato qualche anno fa, fin da giova-

Andrea, Angelo e Maria Novelli

nissimo si è dedicato all’attività di famiglia. «Sì, ma andavo in negozio anche da piccolo quindi ho respirato quest’aria da sempre. Poi da quando avevo 18 anni sono venuto più spesso in negozio… Non tutti i giorni, ma comunque spesso. E poi dal 2013 ho iniziato veramente». Non tutti i figli amano seguire le attività di famiglia. Un suo pensiero a riguardo? «Secondo me è perché magari vogliono introdursi troppo velocemente e i genitori, forse, dovrebbero lasciare i figli liberi di sbagliare e soprattutto di fare. Siamo nell’epoca dei social: una volta si dava peso ad altre cose, invece adesso si guarda la moda. I giovani dovrebbero avere la possibilità non dico di stravolgere il lavoro, ma magari di aggiungere qualche piccola cosa, qualche dettaglio che al giorno d’oggi funziona sicuramente. Avere un altro punto di vista, un’altra ottica può essere molto importante». La visibilità sui social, oggi, è importante per un’attività. «Credo che noi abbiamo iniziato nel momento migliore. Adesso è già cambiato il modo di pubblicizzare le cose, forse perché anche tante altre aziende si sono “mosse” in questo senso. Io mi sono fatto aiutare e ho creato anche un brand mio: lo pubblicizzo, vendo le creazioni ai negozi. Faccio braccialetti». Segue l’attività di famiglia, ha creato una linea di braccialetti. Un giovane creativo e pieno di idee. «Ho iniziato anche a studiare Gemmolo-

gia nel 2011 a Milano e sono quindi gemmologo. Ho fatto anche studi a Madrid. Al momento faccio perizie per notai, ufficio dell’entrate, per clienti privati: stime di gioielli». Ha ereditato la passione per questo settore da suo padre e da suo nonno, ma “ci ha messo del suo”. «Ho una passione grande, è vero. Il lavoro me lo sono trovato, ma ho voluto studiare e andare a fondo, capire tutto». Maria, la donna di casa, cosa dice? Anche lei è in questo mondo da tantissimi anni. «Io prima facevo l’impiegata, poi a 30 anni mi sono sposata con Angelo e ho iniziato a lavorare in negozio. Ho lavorato con mio suocero, una persona meravigliosa che mi ha sempre trattata come una figlia. Questo non lo dimenticherò mai». Ha visto tanti cambiamenti negli anni? «Sono stata fortunata a lavorare negli anni Ottanta e Novanta. A Voghera e a Stradella si lavorava benissimo, c’erano tante fabbriche e il lavoro girava. Pagavano anche a rate. Avevamo intere famiglie che venivano a comprare da noi, sono bei ricordi. Servivamo le generazioni: mi ricordo quando nascevano i bambini: compravano di ogni! Adesso questa usanza si è persa, non si fa quasi più neanche al diciottesimo anno. Ricordo, a Voghera, quando i nonni venivano a comprare l’orologino d’oro per il nipote che faceva la Comunione o la Cresima, mentre adesso c’è la tecnologia è cambiato il mondo. Non rimane più il ricordino, non ci sono più ricordi, tutto si

è modificato. Una volta c’era anche la fiducia tra orefice e cliente, tra negoziante e cliente; oggi non è più così e parlo per qualsiasi settore». Ha sempre lavorato con la famiglia Novelli. «Sì, sempre con mio marito, i suoi fratelli e con mio suocero. Un rapporto bellissimo. Così come è stato con tanti clienti, con cui poi si è creato un rapporto di amicizia». Adesso non è più così? «No, si è perso il contatto, la fiducia. Mi ricordo che tanti clienti venivano in negozio a Natale e dicevano a mio marito “Novelli, dammi qualcosa per mia moglie!” e quando lui chiedeva cosa preferivano, la risposta era sempre “Lo sai meglio tu di me!”. C’era amicizia, c’era fiducia, c’erano rapporti umani ed erano sempre contenti di quello che acquistavano. Ci sono clienti da una vita che ci ringraziano ancora per gli oggetti che gli abbiamo venduto vent’anni fa. Sono queste le soddisfazioni più belle». Cosa ne pensate dei tanti negozi che stanno chiudendo? «Sicuramente Amazon e simili hanno inciso molto sulle decisioni, anche perché c’è una lotta di prezzi pazzesca. Noi con i tempi che corrono lavoriamo, non sono di certo gli anni Ottanta, ma non ci possiamo lamentare. Poi qui arrivano anche tanti clienti dalle colline, agricoltori soprattutto». di Elisa Ajelli


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«Lista rinnovata, ma servono più giovani» A maggio Stradella rinnoverà il consiglio comunale e il sindaco uscente Piergiorgio Maggi sarà regolarmente alla guida della coalizione che punta al bis, con una lista rinnovata al 50%. Attaccato sullo scorso numero dal segretario della Lega Andrea Scagni, restituisce al mittente le critiche. Il numero uno del Carroccio stradellino aveva definito la sua giunta “pessima” e politicamente inconsistente. «Noi siamo una forza civica, lui fa politica mentre noi facciamo amministrazione» dice Maggi. «Torre Civica si impegna da anni per il bene di Stradella, e Scagni non ha dimostrato né savoi fare né fair play, un po’ come il suo leader nazionale. Dire che la giunta è pessima è un giudizio pesante, ma è comunque un’opinione che ci può stare. Dire invece che chiunque ci farà opposizione ha la possibilità di vincere è un po’ esagerato». Scagni ha anche azzardato dei pronostici basandosi sui dati nazionali. Cosa si sente di dire? «Gli direi di evitare di fare pronostici, perché a volte ci si azzecca, ma a volte no. Fare le sommatorie con i voti delle elezioni politiche del paese non ha senso: un conto sono le elezioni politiche, un altro le amministrative. Un conto sono le liste civiche, un conto sono gli schieramenti con i simboli. Noi da cinque legislature abbiamo fatto la scelta della lista civica. Capisco che qualcuno faccia fatica a capire questi ingranaggi». Parliamo invece di quello che sta facendo lei per la sua città. Da tempo ormai ha iniziato incontri con la popolazione… «Abbiamo iniziato con le assemblee per

spiegare la differenziata porta a porta: da lì i cittadini hanno ovviamente chiesto anche altre cose che riguardano la città e ho proseguito con questi incontri. I nostri incontri si articolano in due momenti: prima si parla dei problemi, delle cose fatte e si cerca di capire il grado di soddisfazione. Poi ci sono delle domande che faccio io a loro e chiedo cosa vorrebbero che venisse fatto in città e per la città». E riuscite ad accontentare la popolazione? «Il problema purtroppo è sempre di risorse, se avessimo quelle di dieci anni fa sarebbe diverso e sarei per tutti un sindaco molto più bravo! Ma purtroppo non è così. Non si può fare tutto e servono delle priorità. Logicamente in questi anni abbiamo fatto dei lavori e messo le basi per il futuro: una legislatura sola non basta più per portare a casa risultati soddisfacenti perchè non ci sono le risorse adeguate». Dagli incontri fatti ha percepito soddisfazione per il suo operato? «Da quello che vedo io, le scelte che ha fatto questa amministrazione sono condivise.

Su Scagni (Lega): «Sarebbe meglio non facesse pronostici, perché a volte si sbaglia»

Piergiorgio Maggi

Come ho detto prima, cinque anni sono un tempo breve, bisogna saper impostare il lavoro anche per gli anni successivi». Vi rimane qualche punto del programma da attuare? «A voler vedere, l’area sgambamento per i cani. Ne avevamo individuate due ma le persone che abitavano vicino si sono un po’ risentite e quindi abbiamo dovuto cercare altrove». Tornando sulla raccolta differenziata, Scagni della Lega l’ha definita un vero disastro… «Questa me la deve spiegare. Siamo a partiti a marzo con un 30% di differenziata e siamo a novembre al 60%...lo chiamiamo

disastro? Non direi proprio. Abbiamo già raggiunto l’obiettivo che era prefissato per il secondo anno. Ma questo non è un merito mio, è un merito dei cittadini. Non tutti, certo, ma la maggioranza collabora e lo fa nel migliore dei modi». Per le prossime elezioni sono previsti molti volti nuovi? «Assolutamente sì. Rinnoveremo almeno il 50% la lista». Punterete sui giovani? «Per quanto riguarda i giovani, devo dire che sono sempre i primi che cerco di contattare, ma non è semplice. Agli incontri ne ho visti due, solo due. I giovani interessati alla vita amministrativa della città sono davvero pochissimi…ma spero che capiscano che le scelte e il futuro della città di Stradella sono nelle loro mani. Se hanno amore per la loro città devono dimostrarlo e mettersi in gioco. Non si chiede loro di candidarsi a sindaco, ma di iniziare un percorso che magari un domani potrà portarli a quello». Pensa che lo scarso interesse sia una colpa da imputare ai giovani? «Faccio fatica a criticarli, perché in realtà penso che sia stato fatto loro un grande torto a livello di scelte politiche in generale dal dopoguerra ad oggi: non ci si è mai occupati abbastanza dei loro problemi e, negli ultimi anni, non si è stati in grado di garantire loro dignità e lavoro. Secondo me il loro disinteresse parte da lì. Sono poi dell’idea che i giovani devono fare anche degli sbagli e devono ragionare con la loro testa, non con la nostra». di Elisa Ajelli


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stradella

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Un tempo il lavoro a maglia era considerato una mansione necessaria nell’universo femminile domestico. L’immagine un po’ sfocata era quella della nonna, un dondolo, una coperta sulle gambe, un gatto ai piedi che giocava con i gomitoli di lana e un serbatoio di creatività ereditata. Oggi questo lavoro manuale, viene tracciato anche come una forma di meditazione; un meritevole metodo per eludere le richieste stressanti della vita quotidiana. Molte star di Hollywood , da Julia Roberts a Cameron Diaz, da Sharon Stone a Sarah Jessica Parker, che si portava dietro ferri e gomitoli anche sul set di Sex and the city ,da Uma Thurman che sferruzza fra i platani di Central Park, a Catherina Zeta Jones, considerano lo “sferruzzare” un passatempo rilassante più dello yoga. Addirittura coinvolge, a sorpresa, sempre più uomini, e del tipo non certo effeminato, a giudicare dal loro alfiere, il gladiatore Russell Crowe. Inoltre il lavoro a maglia non è più un’attività relegata dentro le mura domestiche, ma esce risolutamente di casa e sono nati molti gruppi a riguardo. A Stradella abbiamo visitato “La bottega dei filati “ il fornitissimo negozio della signora Mariarosa Bianchi, l’ultimo negozio di questo genere dell’Oltrepò Pavese, per chiedere ad un’esperta del settore se anche nel nostro territorio non si è spenta la passione per l’hobby della maglieria fai da te. Signora Bianchi, quando ha iniziato la vendita di filati qui a Stradella? «Ho aperto il mio primo negozio a Pavia nel 1980 e subito dopo ho inaugurato il negozio di Stradella, nel periodo del boom dei filati quando andavano per la maggiore anche le macchine per maglieria e quindi c’era molta richiesta di lane pregiate molto sottili oltre alle classiche da utilizzare con i ferri. Avevo smesso di lavorare quando era nata mia figlia ma dopo due anni sentivo l’esigenza di fare qualcosa e così è partita questa attività». Lei era già appassionata di lavoro a maglia? «La mia passione è nata con l’attesa di mia figlia, quando ho iniziato a lavorare a maglia per preparare il corredino per la

«La mia passione è nata con l’attesa di mia figlia»

Mariarosa Bianchi sua nascita. Allora abitavo a Pavia e avevo imparato a sferruzzare frequentando un negozio di filati locale. Le lane con il loro arcobaleno di colori e la varietà di morbidezze mi hanno subito attirato e da lì non le ho più abbandonate. Mi piace molto questo lavoro e , anche se attualmente non sono più giovanissima, non lo lascerei a meno che, in tarda età , mi venissero a mancare le forze per continuare». Dagli anni ’80 ad ora ha notato un cambiamento nelle sua clientela? «In quegli anni il lavoro a maglia era molto di moda ma devo dire che anche adesso ci sono molte persone che hanno questo hobby. Prima avevo tante clienti avanti con l’età, adesso ho tante clienti giovani. è cambiato il modo direi di fare la maglia. Prima si seguivano di più le riviste o i modelli classici della nonna, oggi le clienti entrano in negozio con il tutorial sul cellulare scaricato da Youtube. Adesso le posso dire che è diventato più difficile reperire le lane in Italia, c’è meno assortimento di prima, io mi rifornisco molto in Spagna che è all’avanguardia nella produzione di filati». Che tipi di filati scelgono le sue clienti?

«Le mie clienti cercano sempre filati pregiati, in pura lana vergine merinos extrafine, alcuni dei quali non hanno il trattamento al cloro perché c’è la tendenza ad andare verso prodotti sempre più anallergici. Al secondo posto viene il mohair, molto morbido e leggero con una grande nouance di colori fino ad arrivare a filati con il lurex e da ultimo anche i cachemire che sono i più pregiati. Io poi sono molto appassionata anche di bottoni e ne ho un bell’assortimento così le clienti possono abbinare anche il bottone adatto al tipo di indumento in lana che vogliono realizzare». Le sue vetrine sono sempre piene di colore e invogliano ad entrare nel suo negozio, ci sono persone che pur non sapendo lavorare a maglia sono attirate dalla magia dei filati e le chiedono di imparare? «Sì, ci sono persone di tutte le età che entrano e chiedono informazioni per poter realizzare qualcosa di semplice con la lana e trovano indicazioni per acquistare dei pattern per eseguire una sciarpa, uno scalda-collo o un cappello. Poi sono nati alcuni gruppi che fanno corsi di lavoro a maglia all’Unitre di Stradella e Broni. Io ne ho fatti per tanti anni ma ora non riesco più per la mancanza di tempo. Da alcuni anni periodicamente ospito alcuni stilisti di maglieria che rimangono qui da me per una giornata intera e aiutano i clienti a scegliere il modello da realizzare elargendo molti consigli. Naturalmente poi tutti i progetti possono essere trovati online. La difficoltà maggiore che incontrano le persone che lavorano a maglia sono le misure. Bisogna essere precisi, fare un campione con la lana che si sceglie e poi decidere il numero di gomitoli da acquistare».

è molto costosa la lana pregiata oggi? «In questo ultimo anno il prezzo della lana è salito molto perché i cinesi hanno comprato moltissimi filati di ogni tipo. La maglieria è molto di moda ultimamente e addirittura alcuni stilisti famosi fanno realizzare a mano determinati capi in lana. Comunque un gomitolo di pura lana vergine parte come costo da un euro e trenta e poi si sale secondo la tipologia e il pregio della lana. Si può realizzare un capo con lana pregiata senza spendere molto». Quali sono i colori di moda quest’anno? «Il bordeaux e il senape in Italia mentre in Spagna vanno molto di moda il rosso e il verde nelle varie gradazioni. Poi l’ultima tendenza della moda è il lurex abbinato ai diversi colori. Una mia cliente mi ha appena portato per far vetrina un bellissimo scialle realizzato con questo filato. Il Natale si avvicina e un’idea regalo originale potrebbe essere il kit per realizzare una sciarpa o uno scalda-collo con il tutorial per eseguirlo». Lei è una signora molto dinamica e piena di idee, qual è il segreto del successo del suo negozio che è rimasto l’unico nel suo genere qui in Oltrepò? «Il segreto del mio successo è la grande passione per i filati e il continuo lavoro di ricerca del prodotto di qualità. è un lavoro molto faticoso ma che mi ha dato molte soddisfazioni. La gestione di un’attività come questa è molto cambiata nel tempo, ora richiede molte più competenze anche dal punto di vista amministrativo. Però posso dire che il negozio ormai è diventato la mia vita e cercherò di essere sempre al passo con i tempi per avere sempre clienti nuovi. di Gabriella Draghi


BOSNASCO

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«La minoranza si informi: le telecamere funzionano perfettamente» «Le telecamere in paese funzionano benissimo e sono già state utili per indagini di Polizia». Il sindaco di Bosnasco Flavio Vercesi replica alle dichiarazioni del consigliere di minoranza Rosemary Briuns, «evidentemente disinformato e in maniera preoccupante, perché diffondendo certe falsità crea oltretutto un danno anche concreto». Che cosa intende? «Dire che “…le telecamere esistenti sono a bassa risoluzione, non registrano le targhe e non consentono di riconoscere i visi delle persone…” è cosa assai grave per vari motivi. Sarebbe grave pure se la rivelazione fosse vera, questo perché una delle funzioni delle telecamere è quella deterrente e spargere la voce che non funzionano fa scemare questa importante funzione. Mi rifiuto di pensare alla malafede di chi parla e quindi devo constatare una preoccupante disinformazione per chi svolge un ruolo (prevalentemente di controllo…) in seno alla Amministrazione Comunale». Queste telecamere, alla fine, funzionano e svolgono adeguatamente il loro ruolo? «Le telecamere in funzione sul nostro comune, posizionate sul territorio sui cosiddetti “punti sensibili” individuati in collaborazione con Vigili e Carabinieri, sono tuttora assolutamente confacenti al loro scopo». L’accusa era però riferita al fatto che riprendessero immagini a bassa risoluzione e pertanto non attendibili… «Le sei telecamere lettura targhe sono in grado di filmare e registrare le targhe di macchine che viaggiano fino a 180 km orari e non sono quindi a bassa risoluzione mentre le altre telecamere aventi funzioni di riprese ambientali, così come l’occhio umano, perdono ovviamente di definizione mano a mano che le immagini sono distanti ma hanno consentito negli anni scorsi (e tuttora) importanti apporti ad indagini di polizia giudiziaria». C’è però esigenza di migliorare il sistema di videosorveglianza?

«Concordiamo sulla esigenza di migliorare e le nostre intenzioni sono ampiamente documentate sul programma elettorale, depositato e votato dai cittadini, sul quale stiamo lavorando. Tale programma infatti prevede l’istallazione di ulteriori telecamere lettura targhe su ogni accesso al nostro Comune a tal proposito informiamo che il progetto che abbiamo preparato (valore € 40.000,00 – finanziamento a fondo perduto) è stato sottoposto alla Prefettura che lo ha valutato positivamente ed è al momento al vaglio economico. Abbiamo fatto anche altro… Abbiamo infatti presentato un ulteriore progetto avente valore di € 10.000,00 (anche questo con finanziamento a fondo perduto) per l’acquisto di telecamere mobili posizionabili secondo le esigenze del momento da utilizzare per indagini di polizia (abbandono immondizie; spaccio; reati contro la pubblica amministrazione, ecc...). Questo progetto è stato accolto e da gennaio “10 nuove telecamere mobili” saranno disponibili per le attività per cui sono destinate. Sempre sul versante sicurezza abbiamo assegnato il progetto tecnico per la conversione a led dell’impianto esistente di illuminazione pubblica». Sul discorso vigilanza notturna, invece, cosa ci può dire? «Su questo non sappiamo quali informazioni siano state raccolte dal consigliere Bruins sulla sostenibilità economica del progetto (nell’intervista leggiamo di una “cassa comune” sufficiente a sostenerne i costi). Dal canto nostro, nel mese di Settembre, come da programma elettorale, abbiamo affrontato l’argomento in un incontro in Municipio tra la Giunta e una delegazione dei “Baschi Blu” proprio per capire la fattibilità di un progetto di vigilanza notturna sul territorio comunale. Purtroppo i costi preventivati sono stati elevatissimi, assolutamente insostenibili per le casse comunali poiché si parla di migliaia di euro all’anno. Nello specifico, circa 30€ al mese per famiglia, che all’an-

no diventano 70mila euro». La minoranza ha dichiarato comunque di voler collaborare con voi… «Ci fa sicuramente piacere. Ricordiamo però che la prima richiesta di collaborazione è stata fatta dalla amministrazione uscente alla signora Bruins e agli altri della minoranza prima delle elezioni, partendo dal presupposto che in un piccolo comune le persone di buona volontà che si vogliono spendere per il bene comune potevano stare dalla stessa parte. Emersero delle incompatibilità e la risposta fu negativa…. La campagna elettorale ha evidenziato enormi differenze programmatiche e i primi confronti in consiglio comunale sono stati caratterizzati da richieste di deleghe che per legge non potevano essere accolte e da istanze di costituire “tavoli di lavoro” su tematiche spettanti per natura alla maggioranza. Quindi, dal canto nostro, auspichiamo una presa di coscienza del ruolo che le elezioni hanno attribuito ai consiglieri eletti e una volontà collaborativa che si manifesti non solo a parole ma nei fatti. Noto invece con rammarico che la politica è arrivata anche a Bosnasco». Che cosa intende? «Parlo del metodo in uso nella politica moderna che consiste nello screditare l’avversario dando in pasto all’opinione pubblica delle notizie false e tendenziose che poi vengono ripetute e rilanciate nei bar e paiono vere al punto che nonostante le smentite (e a volta le querele…) la gente non sa più a chi credere.

Flavio Vercesi Chi ricopre incarichi amministrativi non dovrebbe mai dimenticare che è grazie alla fiducia ricevuta dagli elettori che si ricoprono questi ruoli e ogni volta che in mala fede si dicono falsità si tradisce proprio quella fiducia e lo spirito del mandato. Ricordo che per tutti coloro che hanno incarichi istituzionali informarsi presso gli uffici comunali prima di “parlare” in generale e, ancor più prima di rilasciare interviste, è un dovere oltre che un diritto. Per i non “addetti ai lavori” forse risulta strano che dopo sei mesi non si veda ancora il programma attuato, ma dati i tempi che richiede l’amministrare sarebbe un po’ come dire ad una donna incinta di sei mesi che non si vedono i figli. Cercheremo comunque di migliorare nella comunicazione, aumentando l’informazione e spiegando cosa stiamo facendo, cosa sarà realizzato e in che tempi. Questo eviterà che si faccia disinformazione».

Il sindaco Vercesi replica alle accuse: «Immagini ad alta definizione. La videosorveglianza sarà anche potenziata»

di Elisa Ajelli



CANNETO PAVESE

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“Campo delle dediche”, «è nato tutto un po’ per caso» Stefano Rossi - classe 1946 - originario di Villanterio, si è trasferito a Canneto Pavese quarant’anni fa, nel territorio di origine della moglie Mariangela Carini. Con la collaborazione di un gruppo di amici del paese (Bruno Grassi, Giorgio Bazzini, Lina e Lucia Truddaiu) in un campo ereditato dal suocero, Stefano realizza, su richiesta, dediche personalizzate di qualsiasi genere. Con questo cuore nella collina, negli anni sono riusciti ad aiutare l’asilo e la scuola di Canneto Pavese. Rossi come è nata quest’idea del “campo delle dediche”? «Diciamo che è nato tutto un po’ per caso. Cinque anni fa, tagliando l’erba in questo campo, che mi è stato lasciato dal suocero (prima c’erano le viti), ho formato involontariamente un cuore... mi piaceva ed ho deciso di lasciarlo. Inoltre, quello era il periodo delle celebrazioni (festa della donna, festa del papà, festa della mamma...) ed ho iniziato a scrivere questi auguri generici». E poi ha iniziato con le dediche personalizzate... «Sì. Dopo qualche tempo mi ha contat-

Giorgio Bazzini, Lina Truddaiu, Bruno Grassi e Stefano Rossi tato una signora chiedendomi di scrivere gli auguri per il primo compleanno della figlia; non avevo mai fatto queste cose, ma certamente non potevo non realizzare questo desiderio di una mamma! Questo è stato l’inizio della storia». Cosa chiede in cambio? «Diciamo che io non chiedo nulla in particolare. Acquisto personalmente le lettere di polistirolo, ci metto il mio tempo per realizzare le scritte e lo faccio molto volentieri. Tuttavia, le persone mi lasciano sempre delle offerte, che io giro all’asilo

Il “Campo delle dediche” di Canneto Pavese

e alla scuola di Canneto Pavese. In questi cinque anni siamo riusciti a far tanto. Ogni volta che realizzo una dedica mi faccio lasciare nome e indirizzo, in modo tale da inviare all’interessato il ringraziamento da parte di chi ha ricevuto la sua offerta». Per chi volesse realizzarne una come può mettersi in contatto con lei? «Semplicemente telefonandomi oppure può venire al Bar Le Colline, qui a Canneto, dove trova le Signore Lina e Lucia Truddaiu. In realtà siamo un gruppo! Io mi occupo dell’allestimento, ma ci sono tante persone che contribuiscono a questa attività, tra cui Bruno Grassi e mia moglie Mariangela Carini». Mediamente quanto tempo le occorre per realizzare queste dediche? «Dipende... all’incirca un paio d’ore. Le lettere di polistirolo vanno fissate bene, infatti sotto c’è una rete che mantiene il tutto». Per quanti giorni lascia visibile la dedica? «Solitamente mantengo la dedica dal giorno prima fino al giorno successivo all’evento... ovviamente dipende se ho subito un’altra dedica da preparare». Il suo “campo delle dediche” è finito anche in Tv, nel programma di Maria De

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Filippi... «Sì! Nel programma pomeridiano di Maria De Filippi partecipa Rocco Fredella (di Canneto Pavese), che per corteggiare Gemma Galgani, ha voluto che realizzassi una dedica per lei. Ovviamente non mi aspettavo nulla da tutto ciò, però nelle scorse settimane sono stato contattato da una signora di Bergamo, che ha voluto che realizzassi una scritta per i suoi amici durante una gita domenicale qui a Canneto». Questo campo è motivo d’orgoglio per Canneto Pavese. Dopo di voi ci sarà qualcuno che porterà avanti questa tradizione? «Finché riusciamo la porteremo avanti, però io ho già 72 anni... per il momento nessun giovane si è fatto avanti; se qualche ragazzo fosse interessato, noi saremo entusiasti nel “passargli il testimone”». Grassi, dal suo punto di vista si può affermare che si vive ancora bene a Canneto Pavese? «Assolutamente! Io ci abito da settant’anni; quando ero giovane facevo il rappresentante (giravo il nord Italia), ma alla sera mi piaceva tornare a casa... a Canneto Pavese. Si vive ancora bene; forse è uno dei paesi in cui ancora è possibile trovare tutti i servizi: abbiamo le scuole, la farmacia, il Comune, la Posta, la Banca...». E i giovani ci sono? «Non si vedono, ma ci sono! Tornano a casa alla sera, dopo il lavoro. Canneto Pavese è davvero un paese abitabile». Bazzini, lei insieme a suo fratello per anni avete gestito un ristorante storico qui a Canneto. Cosa pensa di questo paese? «È il Re dei paesi... è la prima collina! Per anni è stato simbolo dell’Oltrepo Pavese. Si vive molto bene qui e saremo felici se tutto tornasse come una volta». di Silvia Cipriano


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CASTANA

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«Pronta ad incentivare le aperture di nuovi esercizi» Castana è un antico comune dell’Oltrepò Pavese, situato tra la Valle Versa e Valle Scuropasso che oggi conta circa 740 anime. Il sindaco Maria Pia Bardoneschi, genovese di nascita ma ormai da oltre 30 anni in Oltrepò, va fiera del suo territorio e mette tutto il suo impegno e la sua volontà nel provare a far emergere Castana a livello turistico. In carica dal 2009, in virtù del fatto che regge un Comune inferiore ai 3mila abitanti, potrà correre l’anno prossimo per un terzo mandato. Prima di terminare quello in corso ha però ancora un obiettivo da raggiungere: la realizzazione di un’enoteca e dei laboratori nei locali antichi sottostanti alla sede comunale. Sindaco, la sua amministrazione in questi anni è riuscita a realizzare gli obiettivi che si era prefissata? «Direi di sì, mancherebbe solo un’enoteca dei produttori locali ed eventualmente dei laboratori. Qualche tempo fa abbiamo partecipato ad una bando per ottenere dei fondi, che sarebbero stati destinati alla sistemazione dei locali che si trovano al di sotto della sede comunale, ma purtroppo non lo abbiamo vinto. All’inizio del 2019 riproporrò sicuramente la proposta nel nuovo bilancio. Spero di riuscire a realizzarlo prima della fine del mio operato. Tuttavia, sono orgogliosa perchè durante questi anni siamo riusciti a sistemare il Parco Giochi, la Sala Polivalente e il Parco Comunale, dove durante il periodo estivo si concentrano tutti gli eventi». Castana è in Unione con Canneto Pavese e Montescano. Come sono le collaborazioni? «Direi buone, ci diamo una mano l’uno con l’altro per sopperire ad eventuali mancan-

Maria Pia Bardoneschi

ze. Ad esempio, insieme ci stiamo organizzando per la riqualificazione energetica delle luminarie, che entro l’anno prossimo prevede la sostituzione totale con quelle a led a basso impatto ambientale. Inoltre, insieme agli altri due comuni dell’Unione, l’Amministrazione di Castana ha partecipato tramite la Prefettura al bando indetto dal Ministero degli Interni per l’incremento del sistema di videosorveglianza ed è proprio di questi ultimi giorni la notizia che abbiamo ottenuto il finanziamento. L’importo totale della spesa è di 160mila Euro: il Ministero ci ha finanziato 120mila Euro, mentre il cofinanziamento dell’Unione è di 40mila Euro. In questo modo con le telecamere già installate arriveremo a dodici occhi elettronici e saremo in grado di coprire l’intero territorio». Per quanto riguarda le priorità da affrontare nel suo Comune, quali sono quelle che occorre considerare per prime?

«Il mio obiettivo principale sarebbe quello di sviluppare ampiamente il turismo. Sarebbe bello se tutti contribuissero alla realizzazione di questo obiettivo...le cantine e i produttori locali si stanno impegnando, ma purtroppo non è sufficiente. Serve ancora più coraggio... sarei pronta a sostenere e ad incentivare, ad esempio, l’eventuale apertura di ristoranti e agriturismi e strutture ad hoc. In generale, penso che questo desiderio sia sentito un po’ da tutti i comuni dell’Oltrepo Pavese, che negli ultimi dieci anni hanno visto ridursi notevolmente il turismo». A parte l’enoturismo, secondo lei Castana cos’altro ha da offrire ai turisti? «Castana è un Comune molto antico, il borgo medievale è ricco di storia. Il territorio di Castana vanta dei pozzi antichi, sulla base dei quali sarebbe possibile costruire un sentiero turistico. Ad esempio, questo itinerario potrebbe essere proposto durante la “Mangia, Beva, Lenta” - manifestazione che organizziamo insieme a Canneto e Montescano - passeggiata durante la quale è possibile fare tappe enogastronomiche nelle attività vitivinicole dei tre Comuni». Dei giovani castanesi cosa si può dire? «Diciamo che negli ultimi due anni ci sono molte coppie di giovani che stanno tornando a ripopolare il paese... essendo Castana a pochi km da Stradella e Broni, magari è preferibile venire ad abitare in collina, piuttosto che nelle periferie delle città. Anche nell’amministrazione il loro contributo è molto significativo... i Castanesi è il gruppo dei giovanissimi, che insieme alla Pro Loco e al Gruppo degli Arceri s’impegnano per realizzare eventi di vario genere

nel nostro comune». I rapporti con la Pro Loco come sono? «Ottimi. La Pro Loco di Castana è attivissima e insieme riusciamo ad organizzare un sacco di eventi. Dal 2009 la Pro Loco è ritornata a funzionare egregiamente. Quest’anno ad ottobre hanno organizzato, proprio nel nostro comune, la Gara dei Carrettini di Rivanazzano, un evento a livello nazionale che ha portato gente da tutta Italia». Sindaco Bardoneshi cosa si augura per il futuro di Castana? «Mi auguro che riesca ad essere valorizzata e conosciuta non solo a livello territoriale, ma magari anche a livello nazionale. Mi sarebbe piaciuto essere sindaco in anni diversi, quando i comuni avevano a disposizione un sacco di risorse... allora sì che avrei potuto realizzare grandi cose! Purtroppo oggi le amministrazioni vivono situazioni economiche davvero disastrose e ovviamente i sindaci sono tenuti a fare delle scelte ben ponderate». di Silvia Cipriano

Il sindaco di Castana: «Serve più coraggio per rilanciare l’enoturismo»


SAN DAMIANO AL COLLE

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Imondi, minoranza: «Sto facendo scuola, ma non vorrei essere sindaco di San Damiano» San Damiano al Colle sembra essere uno di quei paesi dove maggioranza e opposizione vanno a braccetto e collaborano per il bene del paese. Nessuna scaramuccia, nessuna polemica. Tutto sembra filare liscio. Sergio Imondi è il capogruppo della minoranza di San Damiano al Colle. A qualche mese di distanza dalle elezioni comunali, che hanno visto ottenere la carica di primo cittadino da Cesarino Vercesi, il quadro del paese che viene dipinto è a dir poco idilliaco. «Sta andando bene, le cose stanno procedendo bene e tutto quello che c’era da fare si sta facendo… e il sindaco Vercesi è un grande primo cittadino». I rapporti con l’amministrazione sono quindi davvero buoni… «Assolutamente sì. Con Vercesi si può dialogare sempre e in modo molto tranquillo. Il sindaco è sempre presente, anche in Comune, per il paese». Fa piacere sentir dire queste belle parole dalla minoranza verso la maggioranza. Non accade spesso… «Dico solo quella che è la verità! Il sindaco è una persona squisita, che si dà tanto da fare per il proprio paese. Le cose in un paesino così piccolo funzionano bene e

non ho davvero motivo per lamentarmi. Le cose sono oggettive. Capita poi a volte che faccio notare qualcosa, ma non ci sono mai problemi. Se mai in futuro ci dovessero essere problemi scatenerò l’opposizione! Scherzo... è proprio un paese in cui c’è molto dialogo e quindi si possono dire le cose in modo civile e tranquillo». In passato San Damiano è stato preso di mira per quanto riguarda i furti, come molti altri paesi oltrepadani. Adesso la situazione com’è? «Stiamo mettendo le telecamere e facendo

lavori per aumentare la sicurezza dei cittadini, come per esempio l’aumento dell’illuminazione pubblica. Ci stiamo dando tutti da fare… e grossi problemi non ce ne sono. Anche perché il sindaco Vercesi è molto vigile e controlla molto bene tutta la situazione del paese». Ci saranno altri la-

vori da fare? «Qualche lavoro di potatura, la sistemazione del cimitero… è tenuto abbastanza bene, ma qualche lavoretto serve». Il tema della raccolta differenziata tiene banco in molti paesi della provincia. Lei cosa ne pensa? «Non abbiamo in programma un porta a porta per la differenziata, ma se in futuro si deciderà di farla ci penseremo. Stiamo attenti che i cittadini osservino bene le norme di comportamento e mettano i sacchetti nei bidoni giusti e che non si lasci in

giro spazzatura per le strade». Lei è alla sua prima esperienza politica? «Sì, non avevo mai fatto politica prima d’ora». Le piace? «Sì, decisamente. Perché si affrontano i piccoli problemi quotidiani e tutte le varie situazioni che possono succedere. Sono una persona determinata, con un carattere forte. Mi trovo bene a lavorare con tutti: ribadisco, le pochissime volte che ho deciso di esprimere la mia opinione contraria a quella della maggioranza, sono sempre stato ascoltato». Le piacerebbe un giorno diventare sindaco? «Eh beh… sì, devo ammetterlo. Sto facendo scuola con questa attuale esperienza… ma non vorrei essere sindaco di San Damiano… lasciamo passare un po’ di tempo e nella prossima intervista le dirò dove vorrei candidarmi!». Aspettiamo gli aggiornamenti che Sergio Imondi vorrà rilasciarci su quel che accade nel, verrebbe da dire, “perfetto” Comune oltrepadano di San Damiano. di Elisa Ajelli



SANTA MARIA DELLA VERSA

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«Non abbiamo più imprenditori e gestori con un’ottica adeguata per la night life» Frederick Magha, all’anagrafe Federico Maga, ha 29 anni ed è titolare già da diversi anni di un bar nel centro di Santa Maria della Versa. A “Santa” ci è cresciuto ed è qui che ha deciso di investire pur continuando a svolgere l’attività di Deejay che lo ha portato lontano dal comune oltre padano, negli ultimi anni ha collaborato con i migliori locali del nord Italia e con noti personaggi dello mondo dell’intrattenimento. Spesso ci si chiede se la realtà di paese possa rappresentare un limite per giovani, non è questo il caso. Federico è andato ben oltre i confini oltrepadani senza però mai dimenticarsi di casa. Iniziamo la nostra intervista approfondendo alcune tematiche, tutte oltre padane, appellandoci all’esperienza come Dj di Federico nonché conoscitore della vita notturna, non solo locale. Agua, Life, Cecil, locali che hanno fatto la storia degli anni 2000 ormai tutti chiusi. Attualmente, cosa manca all’Oltrepò come intrattenimento e qual è il male che ha colpito in particolare la zona di Stradella? «Tutto, per non dire di più... La crisi dell’Oltrepò ha colpito notevolmente l’area di Stradella e dintorni. Purtroppo è stata gestita male, molto male. Gestori, PR, ma anche gli stessi clienti, hanno preso i locali in un’ottica completamente sbagliata. I clienti sbagliavano non dando il giusto valore al prezzo del biglietto e chiedendo omaggi e free drink a dismisura; I gestori e i PR hanno permesso tutto questo e i locali, per rimanere in piedi, erano costretti a chiamare ospiti per dare valore al prezzo dell’ingresso. Ospiti sempre più costosi e di grosso calibro, facendo poi molta fatica a pagare l’intera serata al deejay e allo staff. Quindi era sufficiente sbagliare tre o quattro serate nel corso di una sola stagione per fare grossi danni al locale e alla proprietà. Questa è in buona parte la spiegazione! L’Agua (di Broni, ndr) invece era un locale piccolo, con poche spese, che stava in piedi con le sole consumazioni, ma senza neanche l’obbligo “di bevuta”, l’ingresso era gratuito e i ragazzi potevano arrivare all’ora che volevano. Faceva addirittura tre serate a settimana: il martedì, il venerdì e sabato. Questa formula funzionava, e funzionava bene. Però poi, nonostante tutto, è stato trasferito altrove…» L’Oltrepò occidentale invece sembra tenere botta. «Sicuramente c’è da dare un grosso premio ad un bravissimo gestore, che è Leo Santinoli. Lui ha saputo affrontare questa crisi al meglio, portando il suo Club House a fare numeri incredibili. C’è anche da dire che la clientela del vogherese ha la fortuna di avere molta più scelta e Salice Terme, per quanto possa essere criticata,

Federico Maga

nel bene e nel male è sempre una zona turistica, che è sempre una carta in più rispetto a Broni, Stradella o Santa Maria della Versa». Secondo lei, come potrebbe uscire da questa situazione di stallo? «Non vedo la luce fuori dal tunnel. Non abbiamo più imprenditori e gestori con un’ottica adeguata per la night life. Abbiamo solo tanti bar che lavorano discretamente bene e hanno prontamente abituato i loro clienti a passare alcune ore in più nei loro locali, organizzando intrattenimento nelle serate del weekend». Sebbene i locali si siano dimezzati la gente non ha perso la voglia di ballare. L’estate scorsa ti abbiamo visto impegnato a far ballare parecchie piazze… «Sì, è vero. Sono già due anni che sto investendo sulla mia persona nelle piazze, cercando di sfruttare al meglio il periodo estivo, cavalcando molti palchi tra Oltrepò, Valtidone e Pavese. Sfrutto il periodo estivo in questo modo, proprio perché ho notato che negli ultimi anni la voglia di divertimento è salita notevolmente. L’estate è un forte asso nella manica perché il clima permette di rimanere fuori fino a tardi. Proprio per questo molte proloco mi hanno contattato per portare il mio dj set e format nei loro paesi. Collaborando con Mediastar Service, siamo riusciti a portare tanto divertimento nelle loro piazze. Così ho capito che nelle piazze c’è ancora voglia di divertimento». Lei è anche membro della pro loco di Santa Maria. «Da due anni sono membro del comitato pro loco di Santa Maria della Versa con cui sono riuscito a creare, insieme ai ragazzi che hanno creduto nell’iniziativa, una “Beach Silent Disco”. Con 12 colleghi deejay, che si alternavano tra di loro, abbiamo fatto ballare su una vera spiaggia nel centro di Santa Maria della Versa, tra gonfiabili e ombrelloni, dando vita ad una

magica notte che si ripeterà tutti gli anni». Federico parliamo un po’ di te e di come è nata la passione per la musica che ti ha portato ad intraprendere la carriera da Dj. «Ho iniziato ad avvicinarmi alla musica dance fin da piccolo perché mia mamma era molto appassionata di quel mondo. Poi però ho iniziato ad amare un po’ tutti i generi. Le prime mixate le ho fatte nel 2003, quando ho comprato la mia prima console e da lì ho iniziato a mettere i primi dischi nei bar della Valle Versa. Dopo anni di gavetta sono riuscito ad entrare in una vera discoteca nel 2008 in un club di Vigevano, il Grillo Verde (oggi Grillo Beat ndr). In seguito ho fatto la mia prima apparizione in una festa del Collegio Valla in zona Carbonara Ticino, e subito dopo il golf Club di Salice Terme. Dal 2009 ho avuto modo di suonare nelle migliori discoteche della provincia di Pavia, come: Nirvana, Sole luna Beach, Mulino della Frega, Justin di San Genesio, Golf Club e La Spiaggia di Salice Terme, Milleluci di Zavattarello, Agua, Cecil e Life… e altri locali del piacentino e del lodigiano. Successivamente ho fatto molte apparizioni anche nella Milano by night dove ho collaborato con Hollywood e Alcatraz. Questo mi ha portato a collaborare con i migliori locali di Madonna di Campiglio (Zangola, Rifugio Patascoss, Jumper, Ober1, Cliffhanger), l’Orizzonte di Varazze e Lido di Bellagio, per dirne alcuni; permettendomi di fare serate con molti musicisti, personaggi dello spettacolo e con i rapper attualmente in voga, nomi del calibro di Gabry Ponte, J Ax, Marco Ravelli, Gemitaiz, Tedua, Shade, Sfera Ebbasta e Fabrizio Corona». Dal punto di vista lavorativo, qual è stata la sua più grande soddisfazione? «Uno dei locali che mi ha regalato più soddisfazioni è stato sicuramente l’Orizzonte di Varazze. Anche suonare in Piazza della

Vittoria a Pavia davanti a 15.000 persone è stata una grandissima soddisfazione». E la più grande emozione? «Sicuramente è stato tornare a suonare, dopo due anni, al Segreta, praticamente la mia discoteca di casa. La sera in cui sono tornato in console mi è stata fatta una grandissima festa con una bellissima sorpresa. Però, a dire il vero, ogni serata è un’emozione per chi ama il divertimento e la musica; ogniqualvolta che vedi ballare una persona con la tua musica è un momento emozionante, perché sai che tu gli stai trasmettendo qualcosa di forte». Quali sono le differenze sostanziali tra la vecchia figura del dj e quella attuale? 1Purtroppo sono partito, e sto tuttora vivendo, in una situazione che è una via di mezzo tra le vecchie guardie e le nuove generazioni. Certo che c’è stato un abbassamento della qualità non indifferente. Prima nelle discoteche si vedeva veramente chi era di qualità, senza l’utilizzo eccessivo della tecnologia. Era il deejay che selezionava i dischi e i vinili, comprati personalmente. Ora basta aprire il computer e tutti possono essere deejay, e per noi far valere la nostra professionalità e la nostra qualità è sempre più difficile, anche perche i professionisti hanno costi e sono molti. I ragazzini, invece, promettono di portare “X” persone nei locali pur di farsi vedere in console e il locale, essendo coperto da spese eccessive, spesso decide ti tagliare la parte del deejay professionista favorendo così queste nuove generazioni». Non solo dj set, ma anche producer… «Sì, ho prodotto il mio primo disco insieme al mio socio-collega-fratello Claude Le Boy, vocalits e grande appassionato di musica. Insieme abbiamo pubblicato “Adamathio”, prodotto dalla Bliss&Co. Questo disco prende il nome dalla lega indistruttibile presente nei fumetti Marvel, indistruttibile come la nostra amicizia. Successivamente, sempre insieme, abbiamo prodotto un disco più in versione EDM, “Back in Usa”». Prossimamente dove la vedremo impegnato? «Prossimamente ci sarà l’evento di Capodanno di Santa Maria della Versa, serata che abbiamo organizzato anche l’anno scorso con grande successo. Per l’estate faremo tante piazze, cercando di ripetere il successo di questi anni». Concludendo, cosa direbbe a un giovane che decide di intraprendere una carriera come la tua? «Ad un giovane gli direi che la gavetta è una delle cose più importanti, è essenziale. Il deejay deve farlo ai fini del divertimento, non per l’apparenza e crederci. Crederci fino alla fine». di Manuele Riccardi


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Dolci di Natale, tutte le delizie a tavola

Il Natale è sicuramente la festività per eccellenza che ci fa sentire più buoni e ci invoglia a trascorrere maggior tempo insieme ai nostri cari ed amici. Proprio per questo diventa importante portare un dono che possa infondere tutto il nostro calore alla persona, ma anche per far gustare qualcosa di diverso e tipico di questo periodo dell’anno. I dolci delle feste di Natale evocano i ricordi dell’infanzia e della famiglia che, sotto la guida esperta delle nonne, custodi di antiche ricette, si riuniva per prepararli. Partiamo proprio da qui, dalla tradizione per darvi qualche idea per le prossime feste. I dolci che proponiamo sono una rivisitazione delle ricette tradizionali dell’Oltrepò con una presentazione più adeguata ai tempi e adatta anche a un regalo economico ma sicuramente molto gradito.

TORTA DI ZUCCA MELE E NOCI La torta di zucca veniva mangiata alla vigilia di Natale ed era un dolce molto semplice e antico. La mia mamma me la cucinava tutti gli anni e la sua ricetta degli anni ‘60 è molto gustosa e anche adatta ad una bella presentazione. Ingredienti: 1 kg di zucca gialla non acquosa 6 cucchiai di zucchero 3 bucce di mandarino 6 mele renette 2 hg di uva sultanina 100 g di noci sgusciate 100 g di farina bianca 1 bustina di lievito per dolci mezzo bicchiere di marsala qualche fiocchetto di burro pane grattugiato Come si prepara: Tagliamo la zucca a pezzi, la sbucciamo e la lessiamo in acqua salata. Ammolliamo l’uva sultanina nel marsala per circa mezz’ora. Scoliamo la zucca cotta e la schiacciamo con la forchetta fino a ridurla ad una purea. Aggiungiamo lo zucchero, l’uva ammollata e scolata e le noci tritate grossolanamente. Laviamo accuratamente le bucce di mandarino, le tritiamo finemente e le aggiungiamo all’impasto con la farina. Se la zucca non è molto soda, aggiungiamo ancora un po’ di farina.

Mescoliamo bene. Ora sbucciamo le mele, le tagliamo a fette e le aggiungiamo all’impasto. Amalgamiamo bene, uniamo una bustina di lievito per dolci e mescoliamo con cura. Ungiamo con il burro una tortiera bassa e larga dal fondo in aderente, spolverizziamo con un po’ di pane grattugiato e stendiamo bene l’impasto con il cucchiaio. Aggiungiamo qualche fiocchetto di burro e alcune noci per guarnizione. Cuociamo in forno precedentemente scaldato a 180° per 1 ora e, a 150° per ancora mezz’ora. Lasciamo raffreddare e serviamo. BUSELA (dolce a forma di bambola) Nel periodo natalizio il pane di tutti i giorni si arricchisce e alle paste lievitate si dà la forma di questi pupazzi che si mangiano a Santo Stefano e portano fortuna. I nomi di questi dolci derivano dalla tradizione orale delle nostre nonne e la pasta per il confezionamento di questi pupazzi può anche essere di pasta frolla o comunque di pasta dura dolce. La forma che veniva data era molto semplice e la bùsela era decorata con l’uva sultanina. Io la regalo ai bambini di famiglia a Natale in una versione un po’ più moderna, decorata con zuccherini colorati. Ingredienti per 4 bambole: 600 g di farina bianca 150 g di burro 350 g di zucchero 2 uova intere 2 cucchiai di cacao amaro mezza bustina di lievito per dolci scorza di un limone grattugiata qualche cucchiaio di latte zuccherini colorati per la decorazione Come si prepara: Facciamo ammorbidire il burro a temperatura ambiente. Mettiamo sulla spianatoia la farina, aggiungiamo lo zucchero, il burro, le uova, la scorza grattugiata del limone, il lievito e impastiamo bene. Aggiungiamo il latte solo se il composto risultasse troppo duro e difficile da manipolare. Prendiamo una parte dell’impasto e aggiungiamo il cacao ,amalgamando bene. L’impasto al cacao ci serve per la decorazione. Scaldiamo il forno a 180 gradi. Dividiamo l’impasto in quattro parti. Con ogni parte modelliamo un pupazzo a forma di bambola. Formiamo una treccia utilizzando anche l’impasto al cacao e formiamo i capelli. Utilizzando gli zuccherini colorati formiamo occhi, naso e bocca e decoriamo a piacimento , seguendo la fantasia. Mettiamo le bambole sulla placca del forno imburrata e infarinata e le cuociamo per 30 minuti. Lasciamo raffreddare. CESTINO DI CROCCANTE Il croccante di mandorle è un dolce tipico natalizio della Valle Staffora. Veniva cuci-

nato e servito tagliato a barrette. Un’idea per presentarlo in modo diverso è quella di formare con l’impasto un cestino da riempire poi con biscottini natalizi. Ingredienti: 500 g di zucchero 500 g di mandorle spellate Come si prepara: Mettiamo in una casseruola di acciaio lo zucchero e lo facciamo fondere a fuoco dolcissimo, mescolando con un cucchiaio di legno. Quando lo zucchero ha un bel colore biondo, aggiungiamo le mandorle tritate grossolanamente e mescoliamo finché il composto non avrà assunto un bel colore biondo scuro. Togliamo la pentola dal fuoco. Stendiamo la carta da forno su un piano,versiamo il composto, copriamo con un altro foglio di carta da forno e, con il mattarello, lo riduciamo ad uno spessore di circa un centimetro prestando attenzione a mantenere una forma rotonda. Rovesciamo il cerchio di croccante, mentre è ancora caldo, utilizzando i due fogli di carta su di una ciotola e facciamo aderire tutt’intorno per dare la forma del cestino. Lasciamo raffreddare. Possiamo ora togliere la ciotola e le due carte delicatamente. Il nostro cestino è pronto per essere riem-

pito con i biscotti natalizi e le palle di neve. BISCOTTI NATALIZI DECORATI Ingredienti: 500 g di farina bianca 250 g di burro 250 g di zucchero 2 uova intere la buccia grattugiata di un limone mezza bustina di lievito per dolci un pizzico di sale confettini colorati per la decorazione Come si preparano: Impastiamo il burro ammorbidito a temperatura ambiente con lo zucchero, aggiungiamo le uova, la farina , la buccia grattugiata del limone e un pizzico di sale. Lavoriamo bene aggiungendo il lievito e lasciamo riposare ½ ora. Stendiamo l’impasto con il matterello allo spessore di ½ centimetro sulla spianatoia infarinata e ricaviamo con le formine di varie dimensioni i biscotti. Decoriamo a piacere con i confettini colorati. Adagiamo i nostri biscotti sopra una placca da forno imburrata e infarinata e li cuociamo in forno caldo a 180° per 10 minuti. PALLE DI NEVE Ingredienti: per circa 25 palle di neve 250 g tra mandorle e nocciole spellate 250 g di zucchero a velo 100 g di cacao dolce 2 albumi burro q.b. Come si preparano: Tritiamo finemente le mandorle e le nocciole, le mescoliamo al cacao e le amalgamiamo con un po’ di burro e due albumi leggermente battuti. Formiamo tante palline grosse quanto noci. Le passiamo più volte nello zucchero a velo e quando saranno completamente bianche, le allineiamo su una teglia foderata di carta da forno. Scaldiamo il forno a 150° e cuociamo le palle di neve che saranno pronte quando saranno gonfie e asciutte.


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PANDOLCI NATALIZI Un tempo le nonne delle nostre colline preparavano un pandolce semplice, aggiungendo alla pasta lievitata un po’ di burro, due uova e qualche uvetta e lo servivano al pranzo di Natale. Io vi propongo una versione rivisitata del pandolce in piccole porzioni che possono essere confezionate e regalate ,oppure utilizzate come segnaposto al pranzo di Natale. Ingredienti: 3 uova intere 100 g di burro morbido 200 g di zucchero 350 g di farina 0 130 g di latte intero scorza grattugiata di un mandarino succo di un mandarino scorza grattugiata di un limone 1 bustina di lievito per torte salate 100 g di uvette ammollate nel rum qualche lamella di mandorla e granella di zucchero per la decorazione Come si preparano: In una ciotola, montiamo gli albumi a neve, con un po’ di zucchero. In un’altra ciotola, lavoriamo con le fruste i tuorli con lo zucchero ed il burro morbido. Profumiamo con la buccia grattugiata degli agrumi. Uniamo la farina, il latte ed, infine, il succo di mandarino. Uniamo anche le uvette rinvenute nel rum ed il lievito. Infine, incorporiamo delicatamente i bianchi a neve. Riempiamo dei pirottini dorati a metà, mettiamo sopra le mandorle tritate e la granella di zucchero. Inforniamo a 160170 gradi a forno caldo per 35-40 minuti.

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CIAMBELLE AL BONARDA E NOCCIOLE Queste ciambelle hanno come ingrediente il vino tipico dell’Oltrepò Pavese, il bonarda, un vino rosso fermo o mosso che troviamo spesso sulle nostre tavole. Possono essere usate come goloso fine pasto oppure confezionate in scatole di latta e regalate a Natale, saranno molto gradite.

Ingredienti: un bicchiere di olio di semi di mais un bicchiere di vino bonarda mosso due bicchieri di zucchero mezzo cucchiaino di semi di vaniglia in bacche 500 g farina 0 200 g di nocciole tritate e tostate in padella per 2 minuti una bustina di lievito per dolci un pizzico di sale Come si preparano: In una terrina capiente uniamo l’olio, il vino, un bicchiere di zucchero e i semi di vaniglia. Mescoliamo tutto con un cucchiaio di legno fino ad ottenere un liquido omogeneo. Aggiungiamo la farina setacciata un po’ alla volta , il lievito e impastiamo fino ad ottenere un composto liscio, morbido ed elastico. A questo punto uniamo le nocciole tritate e tostate, e lavoriamo con le mani fino ad ottenere una pasta omogenea: la granella di nocciole dovrà

essere ben distribuita. Dividiamo ora l’impasto in tanti pezzi e formiamo delle ciambelline. Mettiamo su di un piatto lo zucchero rimasto , impaniamo le ciambelle su entrambi i lati e le adagiamo su una teglia rivestita con carta da forno. Inforniamo a 180 gradi in forno preriscaldato per circa 20 minuti, poi sforniamo, lasciamo raffreddare e serviamo. TORTA PAESAGGIO NATALIZIO Un altro regalo molto gradito ai bambini ma anche agli adulti, è la Torta paesaggio natalizio. Io la regalo tutti gli anni e la decoro in modo sempre diverso, seguendo la mia fantasia. Provate a prepararla e sarà un vero successo!! Tantissimi auguri di buon Natale!! Ingredienti: Per la torta base 500 g di farina 00 200 g di farina di nocciole 200 g di zucchero a velo 300 g di burro 1 tuorlo 1 tavoletta di cioccolato fondente sale 2 cucchiai di farina di cocco per decorare per la casetta e l’alberello: 125 g di farina00 80 g di burro 80 g di zucchero 1 tuorlo un pizzico di sale per la glassa: 1 albume 200 g di zucchero a velo

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per la decorazione: confettini colorati, personaggi di zucchero, cioccolatini a piacere. Come si prepara: In una ciotola capiente mettere la farina bianca, la farina di nocciole il burro ammorbidito a temperatura ambiente, lo zucchero, il tuorlo e un pizzico di sale. Amalgamare bene gli ingredienti con le mani fino ad avere un composto sodo e modellabile. Lasciare riposare mezz’ora in frigorifero. In un’altra ciotola prepariamo l’impasto per la casetta. Mettiamo la farina, lo zucchero, il burro ammorbidito, il tuorlo e un pzzico di sale e lavoriamo bene. Lasciamo riposare l’impasto per mezz’ora in frigorifero. Riprendiamo ora l’impasto per la torta e lo stendiamo in una teglia foderata con carta da forno. Bucherelliamo con una forchetta, ricopriamo con un altro foglio di carta e versiamo qualche cucchiaiata di riso. Cuociamo in forno caldo a 180° per 30 minuti. Sforniamo, togliamo il riso e la carta e lasciamo raffreddare. Stendiamo ora l’altro impasto e ritagliamo le parti della casetta e le stelline per comporre l’albero di natale. Cuociamo in forno a 180° per 20 minuti e facciamo raffreddare. Sciogliamo il cioccolato a bagnomaria e lo versiamo sulla base della nostra torta, cospargendolo con la farina di cocco che servirà a simulare la neve. Prepariamo ora la glassa. Mescoliamo l’albume con lo zucchero a velo fino ad ottenere un composto morbido che metteremo in una sac a poche. Utilizzando la glassa come collante, costruiamo la nostra casetta e l’albero di Natale e li fissiamo sulla torta. Ora possiamo sbizzarrirci nella decorazione con confettini, pupazzi e cioccolatini a piacimento. YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni di Gabriella Draghi



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Decorazioni natalizie Semplicità e tradizione vincono sempre Con l’inizio del mese di Dicembre riviste, web e social si riempono di immagini di focolari domestici adornati con meravigliose decorazioni natalizie. Ambienti caldi ed accoglienti, quasi magici. Diversa è la realtà purtroppo perché rientrando a casa ci si rende conto che non si ha il camino con la cornice in marmo, non si hanno le travi in legno a vista nel soffitto, il salotto di settanta metri quadrati, il soffitto alto quattro metri, gli infissi in legno antico o quelle enormi pareti libere a cui dedicare queste decorazioni. Non si ha la vista nemmeno su quel bosco incantato. Un po’ come quando ci si domanda “in quel magazzino di arredo low cost era bellissimo questo allestimento e a casa mia sembra un’altra cosa”. Certo! Avete notato che le deliziose ambientazioni nelle esposizioni di cui sopra non hanno finestre, porte, termosifoni e soprattutto sapete su che cosa si costruiscono? Sul prodotto. Le nostre case sono diverse. Sono costruite per noi. Non abbiamo prese ovunque, tanto meno appoggi o davanzali profondi da farci stare ciò che ci mostrano le patinate. Tutte queste decorazioni che cadono dall’alto necessitano dei tasselli a soffitto e non credo che tutti noi foreremmo con tanti buchi il soffitto per creare quell’effetto che durerà un mese o poco più. La stessa cosa vale per i fori nel muro. Bellissima la parete di casa tempestata di ghirlande, ma poi che ne sarà del nostro muro pieno di chiodi? Spazi a parte un altro problema sono i costi: le decorazioni natalizie hanno tutto tranne che il sapore di un regalo: sono molto costose. Fare un albero di Natale e decorarlo con palline, lucine ed addobbi vari non costa meno di trecento euro, spesso con un risultato impersonale e poco soddisfacente. Non parliamo di pinguini e renne a dimensione naturale con luci a led perchè la Finlandia è lontana e noi, per ora, siamo ancora in Italia. In questi freddi weekend, possiamo dedicarci alle nostre decorazioni, comprando ciò che ci manca e riutilizzando vecchi oggetti che abbiamo in casa. Se avete un vecchio albero di Natale “spennacchiato”, tagliate in tanti pezzi i rami di pino artificiale con delle tenaglie. Prendete poi dei classici barattoli con chiusura ermetica (tipo i famosi Bormioli). Riempiteli con i pezzi di pino ed inserite aggrovigliandoli col pino i lumini a batteria. Con della fettuccia in cotone o velluto abbinato al colore del vostro arredamento avvolgete il barattolo all’imbocco e fate un fiocco, magari adornato con pigne o bacche. Di sera sul tavolo, sui davanzali delle finestre o sulle credenze o le librerie di casa daranno un effetto bellissimo. Utilizzabili anche come centro tavola tutti insieme. Se non avete il pino, ma del-

le vecchie palline di Natale, potete usarle. L’effetto sarà ugualmente bello. In ultimo anche rametti secchi e bacche potrebbero essere un’alternativa di riempimento dei nostri barattoli. Se avete vecchie enciclopedie inutilizzate o vecchi libri potete costruire un magnifico albero di Natale. Disponeteli a cerchio tenendo una base di novanta centimetri e poi fate tanti piani di libri diminuendo ad ogni piano di dieci centimetri fino ad arrivare alla fine con un solo libro. Avvolgetelo di lumini a led. In questo periodo i rami secchi sono faci-

li sa trovare. Prendetene una decina dello stesso diametro e tagliatene 9 pezzi da 90, 80, 70, 60, 50, 40, 30, 20, 10 centimetri. Fissateli a una parete libera della casa, magari che sia in vista entrando: tenete la stessa distanza uno dall’altro e create la forma di un albero di Natale. Aggiungete i lumini a led facendo uno zig zag e con picchioli chiodini aggiungete a vostro piacimento palline ed addobbi di tessuto. Se non avete palline, potete fare semplicemente dei grandi fiocchi con un nastro alto. Come punta sopra l’ultimo ramo più piccolo, sempre alla stessa distanza, fissa-

te del pino con una pigna o un fiocco come preferite. Fare una ghirlanda natalizia è davvero semplice: prendete una gruccia di quelle di ferro che danno in lavanderia. Date alla parte in ferro una forma tonda tenendo integro solo il gancio per appenderla. Con la colla a caldo incollate pigne della stessa dimensione fino a fare in modo che non si vedano spazi fra una e l’altra. Una leggera spruzzata di vernice bianca, un grande fiocco sull’apice e la ghirlanda è pronta per essere appesa. Tempeste e gelicidi hanno spezzato rami nelle nostre zone. Raccogliete rami di una certa altezza (dai 90 ai 200 cm o più). Togliete foglie, date una passata leggera con la carta vetrata ed eliminate l’umidità tenendoli per qualche giorno in un posto asciutto all’interno. Potete poi verniciarli del colore che preferite rimanendo nei colori neutri, anche se vi consiglio di tenerli del loro colore naturale. Prendete una cesta, un vaso in metallo o in ceramica (la cosa impostante è che siano alti almeno 70 cm per tenerli fermi e stabili) : inserite i vostri rami e adornateli con palline e decorazioni che ricordino legno, sughero, bacche o lana, sempre nei colori adatti all’arredo della vostra casa. Se siete arrivati all’ultimo momento e proprio non avete nulla a portata di mano, ma vi rendete conto che la vostra casa non ha nulla che ricordi il Natale per l’aperitivo che avete organizzato per gli amici, potete creare un centro tavola “dell’ultimo secondo”: prendete calici di altezze diverse, appoggiateli al contrario sul tavolo ed usate la base dei calici come come appoggio per delle candele. Sotto ai vuoti dei calici inserite pungitopo, bacche, pigne, palline. Accendete le candele. Come base per le colate di cera potete mettere una pezza di tessuto o di feltro. Non allarmatevi: una volta raffreddata, la cera si toglie facilmente dal vetro. Importante! Le luci del Natale sono calde. Comprate luci bianche a led, ma di tono caldo e mai quelle di colore freddo che tendono all’azzurro e danno l’effetto Las Vegas che ricorda di più un Luna Park, che un’atmosfera di festa familiare. Cercate di scegliere le decorazioni anche in base allo stile della vostra casa. Una decorazione shabby chic, stonerà sempre dentro una casa arredata in stile contemporaneo. A Natale pensate ai bambini. La magia del Natale è per loro, prima di chiunque altro. Lasciamoli sognare anche in casa, con un’atmosfera serena, coinvolgendoli con noi nei preparativi delle nostre decorazioni casalinghe: facciamoli lavorare con le mani, facciomoli sporcare, pasticciare, sbagliare. A lavoro finito, saranno felicissimi. Buon Natale a tutti. di Rachele Sogno


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Da Stradella a Rai 2: «Adoro il mio lavoro, ma le mie origini non le dimentico» Gilberto Savini, classe 1989 originario di Stradella. La passione per il mondo dello spettacolo ci confessa essere un suo “pallino” fin da piccolo. «Mi è sempre piaciuto, ho avuto sempre il pallino fin da quando ero molto piccolo. Diciamo che adoravo fare le recite scolastiche, amavo stare sul palco e parlare davanti ai compagni e ad altre persone. Tutti i bambini hanno un sogno, c’è chi vuole diventare astronauta, chi pilota. L’astronauta non mi interessava, di fare il pilota avevo paura e allora ho sempre sognato di fare spettacolo! Ho sempre tenuto questo sogno in un cassetto fino a quando, due anni fa, per una serie di situazioni favorevoli, mi sono ritrovato a farlo per davvero». Passione coltivata nel tempo che lo ha portato a realizzare il suo sogno e a diventare un inviato in un noto programma della Rai. Fin da bambino ha avuto esperienze in ambito televisivo «Ho fatto anche pubblicità, ma l’ho sempre visto come un hobby, un passatempo…». Ci raccontava di quanto le piacesse stare sul palco, non ha mai pensato di intraprendere un percorso illuminato dalla luce dei riflettori? «Ho fatto diversi corsi di recitazione. Ma non sono mai riuscito a concludere qualcosa di grosso con la recitazione, probabilmente perché non ero così portato. Allora ho deciso di lasciar perdere quella strada». È riuscito comunque a farsi largo nel mondo televisivo, ci racconti di come ha mosso i primi passi. «Dopo gli studi universitari ho iniziato a lavorare con mio fratello, che gestisce dei bar a Stradella. A 26 anni pensavo quindi che la mia vita fosse dietro ad un bancone. Poi un giorno mi trovavo per caso in giro e ho iniziato, per gioco, a fare cose con il telefonino, a fare piccoli video divertenti. Mi sono appassionato così al mondo del video e a studiare in quel settore. Ho fatto un master in “Produzione audiovisiva” e mi sono detto che volevo assolutamente che quella fosse la mia vita! Ci ho creduto tanto e ho voluto vedere cosa poteva succedere stando dall’altra parte della telecamera». Dallo smartphone alla Rai. «Ho fatto un colloquio come tanti, non sono il primo né l’ultimo. Ma durante questo incontro, quasi per sbaglio, ho fatto vedere un mio video, il famoso primo video che avevo girato in centro a Milano. La produzione del programma mi ha detto che di videomaker ne avevano tanti ma mi hanno fatto una domanda precisa: “Ma se ti mandiamo in giro con un telecamera a intervistare le persone sul tema dell’influencer cosa ne pensi?”… Ho accettato subito! A quel punto mi sono giocato tutte le mie carte ed è andata bene».

Gilberto Savini

Inviato e videomaker. Cura tutta la produzione del video, non ci mette solo la faccia. «Faccio l’inviato per la trasmissione “Detto fatto” su Rai2. Faccio l’inviato e sono anche videomaker. Il mio idolo è sempre stato il famoso Pif: quando mi sono laureato qualche anno fa in Comunicazione e Pubblicità avevo fatto la tesi proprio su di lui. Avevo anche avuto la fortuna di passare una giornata intera con lui e vederlo lavorare. La cosa che mi ha colpito di lui è che non è un attore, un regista, un inviato, ma è un insieme di tante cose. La stessa cosa ho cercato di farla io in questo programma: i video che faccio li scrivo io, li giro io, li monto io, li realizzo io e ci metto anche la faccia». Si è soliti fantasticare sui retroscena, il dietro le quinte della tv. Com’è veramente? «è un mondo difficile, perché ci sono secondo me due modi di fare televisione: o si ha la botta di fortuna, magari con un reality, di entrare in tv ma se non si hanno le capacità non si emerge, oppure ci si impegna tanto davvero, con studio e dedizione. Io ho avuto la fortuna di aver lavorato con persone veramente molto in gamba. Pen-

so subito ad Alfonso Signorini, che è un “drago”, instancabile, super disponibile e che mi insegna tanto». Continua a collaborare con Alfonso Signorini? «Sì, si chiama “361” e anche in questo caso faccio l’inviato e videoeditor. Si tratta di una web tv. Da fuori può non sembrare, ma ci sono davvero lavoratori instancabili dietro a questi programmi: è gente che lavora un sacco di ore al giorno e che insegna tanto». Abbandoniamo il lontano, per molti, mondo dello spettacolo per tornare in Oltrepò. È uno svantaggio provenire da una piccola realtà come può essere Stradella? «Io ho solo lo svantaggio di essere partito tardi, c’è gente che inizia molto molto prima. Io forse non ho mai creduto fino in fondo alle mie potenzialità. Quindi due anni fa, quando è iniziato tutto, ho dato davvero l’anima. Vedo però che quello che piace di me agli altri è che sono cresciuto in un paese piccolo e “non me la tiro”. Non è che tutto mi è dovuto, mi sono conquistato piano piano tutto quello che ho… ogni singola cosa che ho fatto».

Una domanda personale, forse scontata, la sua famiglia immagino sia particolarmente entusiasta. Non capita a tutti di vedere un figlio in tv. «Molto!… Spero un giorno di portare i miei genitori e mio fratello in trasmissione… io non ho mai fatto sport, non ho mai, per esempio, giocato a calcio con la famiglia che ti viene a vedere durante una partita, quindi ho il sogno di vederli in trasmissione a vedermi». Cosa si aspetta dal futuro? «Bella domanda! Nei prossimi anni vorrei continuare a fare questo lavoro per vedere cosa posso fare ancora in questo settore. Ho iniziato tardi e devo recuperare il tempo perso, anche se la cosa positiva è che andrò al doppio della velocità, proprio perché devo recuperare. Un domani mi piacerebbe anche tonare a Stradella e portare quello che ho imparato lavorando con grandi personaggi. Mai dare per scontate le proprie radici! Mi manca la mia terra, che nell’ultimo periodo vedo poco…più o meno una volta al mese. Adoro il mio lavoro e non mi pesa essere sempre in giro, ma le mie origini non le dimentico». di Elisa Ajelli


MUSICA

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Milano - Zavattarello, andata e ritorno: «Il primo amore non si scorda mai» Maurizio Popi, nasce a Milano ed è nella grande città che ha vissuto fino a 26 anni per poi trasferirsi a Trevozzo in Valtidone. È la Valtidone e lo storico Milleluci di Zavattarello che nel 1978 hanno visto un giovanissimo dj Popi muovere i primi dischi, che quest’anno festeggia 40 anni di carriera. «Non utilizzo nessun nome d’arte o per lo meno ho deciso di tenere il mio, in quanto ho un cognome Popi che potrebbe benissimo sembrare un nome d’arte». Inizia così la nostra intervista. Quando è nata la passione per la musica? «La passione per la musica l’ho avuta fin da piccolo. Ricordo che già all’età di 8 anni, con le poche tecnologie a disposizione, continuavo a registrare su cassetta tutte le canzoni ed i brani che proponevano sugli unici canali radiofonici disponibili all’epoca: quelli della Rai. Ricordo perfettamente fra queste alcune radiotrasmissioni del tipo Alto Gradimento di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni, Supersonic, Dischi Caldi; ricordo anche che aspettavo sempre con impazienza l’inizio di questi programmi per sentire le novità!». L’idea di farne una professione? «L’idea di fare il dj è scaturita invece all’età di 17 anni, quando partendo da Milano con alcuni coetanei, in auto o con la vespa, si andava a ballare al Milleluci di Zavattarello, dove per altro ci siamo sempre divertiti e dove uno dei miei amici d’infanzia aveva la casa dei parenti in zona. Li ho avuto la folgorazione. Alcuni mesi dopo, sempre al Milleluci, venivo a conoscenza del fatto che il dj del locale di allora Carlo Balestra avrebbe a breve terminato la sua esperienza lavorativa e, con uno stratagemma, mi feci raccomandare da un cugino del mio amico, quello che aveva parenti in zona, a Peppino Comaschi il proprietario del locale… Beh da lì è stato un gioco: Peppino chiamò il nipote Mauro Comaschi, ci presentammo, quattro chiacchiere e fissammo la prova per la domenica pomeriggio successiva. Era il10 dicembre 1978... all’epoca si ballava anche alla domenica pomeriggio!» Il mitico Milleluci è stato il primo di una lunga serie... «Da quel momento diventai il dj del Milleluci della domenica pomeriggio. Mauro capii che avevo voglia, passione e soprattutto, abitando a Milano, avevo la possibilità di reperire nei negozi le novità discografiche più all’avanguardia del momento, motivo per cui, nel giro di un mese diventai anche il dj del sabato sera, subentrando ad un ragazzo di Voghera poco più grande di me che aveva coperto per quel mese le serate del sabato. Si aprì per me da quel momento un periodo “musicale” fantastico che da 40 anni mi accompagna nella vita. Fra innumerevoli locali italiani, per citarne alcuni, che negli anni fecero storia

Maurizio dj Popi ricordo la mia esperienza al Tucano 185 di Codevilla, il Typhoon di Gambara (BS), il Mediterraneo di Casalpusterlengo (LO), l’Alcatraz di Milano e tanti, tanti altri... Per dirti la verità non potrei ricordarmeli tutti. Negli anni questa passione, mi ha aperto, nel tempo, la strada anche ad altre esperienze sia nel campo radiofonico e televisivo». 40 anni di attività sono un traguardo importante in un mondo in continua evoluzione, come ha intenzione di festeggiare? «Per festeggiare degnamente la mia carriera e non potrebbe essere diversamente, sarò al Milleluci. La mia storia è nata sicuramente dall’impegno ed il cuore che ho messo in tutti questi anni, ma questo è stato il locale dei miei albori, che mi ha dato visibilità e sicuramente la possibilità di emergere artisticamente. Quindi vi aspetto tutti per una grande festa... Dove ripercor-

rerò 40 anni di musica!». Com’ è cambiata negli anni la discoteca? «Secondo me la discoteca negli anni ha subito dei cambiamenti epocali, anche per via della miriade di locali che offrono intrattenimenti musicali senza essere discoteche. Diciamo che la discoteca vera e propria, tranne in alcuni casi, ha lasciato il posto a locali multifunzionali che possono essere Ristopub, Discopub: puoi mangiare, bere, ascoltare musica e in alcuni casi anche ballare… senza avere l’obbligo di accedervi con un ingresso. Sicuramente il fatto e’ dovuto al cambio generazionale, alla variazione delle mode e dal continuo bisogno di scoprire locali e gente diversa. Si, le differenze da quando ho iniziato le ho viste e vissute e continuo a vederle anche adesso in prima persona». Giovani di oggi e di ieri, come è cambiato il modo di vivere la discoteca dal 1978?

«Credo che i giovani di oggi vivano la discoteca diversamente da come la vivevo io ed i miei coetanei 40 anni fa. Ovviamente il mondo va avanti però in definitiva, per alcuni aspetti, la volontà di divertirsi c’è sempre. Si è perso un po’ il vero “rapporto umano”: una volta in discoteca ci si relazionava, ci si conosceva, ci si fidanzava e magari ci si sposava anche. Oggi la tastiera la fa da padrona e rende sia i ragazzi che le ragazze più timidi e restii al dialogo». Il ricordo più bello, il più brutto e… il più strano. «Ricordi belli in discoteca ne ho tantissimi, ricordi brutti nessuno per fortuna, ma più di una volta persone, magari sotto euforia alcolica, venivano a richiedere una canzone nel momento stesso in cui la canzone stava suonando… Ecco lì mi scatenavo in risposte molto pittoresche, oltre a rimanere sconcertato, però alla fine la cosa mi divertiva molto. Ricordi strani tanti e tutti divertenti! Ricordo un tipo che ha girato per il locale per due ore con la torcia del cellulare accesa, io non capivo e così gli domandai se potevo essergli utile in qualche modo e lui mi rispose “No, No, grazie. Stavo cercando la mia lente a contatto”. Non sapevo se ridere o no, ma sicuramente al buio e nel marasma… era come cercare il famoso ago nel pagliaio». Una domanda di rito, ma di cui forse conosco già la risposta: il locale a cui è più affezionato? «Sono affezionato ed ho bellissimi ricordi di quasi tutti i locali nei quali ho lavorato. È logico che il primo amore non si scorda mai, il primo locale che mi ha dato la possibilità di esprimermi non lo dimenticherò mai: in vetta c’è il Mille». Qualche domanda fa diceva che la consolle non è stato l’unico palco, oltre alla musica ha infatti avuto altre esperienze nel mondo dello spettacolo. «Nel tempo la musica ed il lavorare in questo campo mi ha dato la possibilità di conoscere tante persone e di poter lavorare e collaborare anche nel campo televisivo e radiofonico, nonostante io avessi sempre avuto un po’ di vergogna della mia voce... Anche qui ho avuto fortuna e grazie a questa voce sono riuscito nel marzo del 2000, grazie anche ad un incontro casuale con Nicola Savino il famoso conduttore televisivo e radiofonico, nonchè amico, a fare schetch comici; che fra l’altro continuo ancora a fare nella trasmissione radiofonica “Ciao Belli” di Radio Deejay condotta da Dj Angelo e Roberto Ferrari. Sempre per merito di Savino ed Angelo tanti gli anni di partecipazione su Rai 2 a “Quelli che il calcio”; ancora oggi sto partecipando ad altre trasmissioni di Rai 2 e di Italia 1, per citarne alcune: Scorie, Colorado, Lo Show dei Record». di Paola Nobile



SPORT

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Quando l’Oltrepò tifava Aristide Cavallini Per comprendere al meglio la carriera di Aristide Cavallini bisogna tornare indietro nel tempo e rivivere quegli anni. Siamo a cavallo dei due conflitti mondiali e il ciclismo è ancora agli albori. Sono gli anni del dominio di Alfredo Binda e Costante Girardengo e il Giro d’Italia si corre in sole dodici-tredici tappe, su strade polverose e sterrate. Non tutti avevano la fortuna di correre per una squadra, con tanto di sponsor, e di potersi permettere il lusso di avere l’assistenza e uno staff al seguito della carovana. Questo però non fermava alcuni temerari, i quali prendevano il via al Giro come isolati, gareggiando in una categoria dedicata. La Classifica degli isolati, in vigore dal 1910 al 1935, era una classifica accessoria (insieme alla Classifica degli indipendenti) a quella generale. Era riservata esclusivamente a questi corridori che, sebbene professionisti, avevano un altro impiego principale e correvano per arrotondare o per divertimento, finanziati per lo più da amici, compaesani e sostenitori. L’isolato, prima del via della gara, consegnava il suo bagaglio all’organizzazione del Giro d’Italia, che glielo faceva recapitare all’arrivo. A quel punto l’isolato doveva provvedere autonomamente al proprio vitto e alloggio nel proseguo dell’intera corsa, tappa per tappa. Anche Ottavio Bottecchia, prima di vincere due Tour de France, aveva gareggiato e vinto in tale categoria. In un secondo momento, per contraddistinguere il leader e vincitore di questa classifica, venne introdotta la Maglia Bianca (che tuttora rappresenta invece il leader della classifica dei giovani). Aristide Cavallini nacque a Corvino San Quirico, il 26 ottobre 1899. I genitori, commercianti, avevano un emporio fornito di ogni tipologia di prodotto e una ditta di trasporti a cavallo con i quali consegnavano i vini dell’Oltrepò Pavese a Milano. Nel primo dopoguerra iniziò a svolgere i primi allenamenti sulle colline oltrepadane, nella zona del casteggiano e del vogherese. Come dilettante, nel 1925, si aggiudicò in scioltezza il primo posto alla III^ Coppa Caldirola, vestendo la maglia dell’US Corsico. L’anno successivo diventò padre di Rina, nata dal matrimonio con Erminia Cignoli, moglie che lo assecondò nella sua carriera ricoprendo spesso la figura della massaggiatrice: sebbene non fosse la sua reale professione, imparò il mestiere dai massaggiatori professionisti che seguivano il marito durante le competizioni nei primi anni, per poi sostituirsi a loro durante gli allenamenti. Cavallini si dedicò completamente alla professione di ciclista, ma in famiglia il suo talento non venne mai compreso seriamente, risultando solo tempo sottratto ad un lavoro più serio, come spesso accadeva ad altri atleti ed artisti di quell’epoca. Nel 1927 intraprese la carriera da professionista, come individuale. Il 3 aprile giunse decimo alla

Cavallini vincitore degli isolati al Giro d’Italia 1927 Milano- Sanremo, secondo tra gli isolati ed il 15 maggio successivo prese il via per la prima volta al Giro d’Italia. Questa edizione, la quindicesima, è nota per aver avuto Alfredo Binda come unico detentore della Maglia Rosa sin dalla prima tappa e per aver visto al via per l’ultima volta, alla veneranda età di 45 anni, il pavese Giovanni Rossignoli (vincitore “morale” della prima edizione del 1909). All’arrivo a Milano, Cavallini giunse decimo, ma si aggiudicò la Classifica degli isolati. In quell’anno partecipò inoltre alla Coppa Placci, disputatasi a Imola il 3 luglio, classificandosi al secondo posto alle spalle di Aleandro Simoni, per soli 29’’. Nel 1928 corse per la Bianchi-Pirelli, ma si presentò al Giro d’Italia ancora una volta come isolato, giungendo ancora primo in questa categoria e sesto assoluto. Durante questa edizione si aggiudicò inoltre anche un terzo posto assoluto nella V^ Tappa Sulmona-Foggia. Successivamente giunse sedicesimo al Giro del Veneto e undicesimo al Giro dell’Emilia. L’anno successivo entrò a far parte dalla squadra La Rafale, con la quale partecipò alla Vuelta al Paìs Vasco (Giro dei Paesi Baschi), classificandosi sedicesimo assoluto e primo tra gli italiani. Rientrato in Italia, giunse ventesimo alla Milano-Sanremo e si presentò al via del Giro d’Italia, ma solamente nella terza e quarta tappa (FoggiaLecce e Lecce-Potenza) giungendo rispettivamente decimo e dodicesimo. Nel 1930 firmò un contratto con la DeiPirelli, che prevedeva la fornitura di una bicicletta e un compenso di 5.000 lire. Nonostante ciò, al Giro d’Italia giunse nuovamente primo nella Classifica degli Isolati, ottavo assoluto e secondo nella Classifica degli Indipendenti, alle spalle del compagno di squadra Antonio Pesenti. Nel giugno successivo strappò uno straordinario quarto posto al Giro del Piemonte. Insieme al suo compagno di squadra Pesenti divenne testimonial delle biciclette Dei, comparendo su numerose locandine e pubblicità: “Al pari di Pesenti, un puro isolato, Aristide Cavallini di Casteggio ha compiuto il Giro con la fida Dei con gomme Pirelli e, malgrado le difficoltà, tanto il Pesenti

quanto Cavallini si sono rispettivamente classificati primo e secondo nella categoria indipendenti. Il giovane Cavallini, rifulse in diverse riprese della lunga competizione per le doti di combattività, conquistò con la Dei freni Touriste il primo posto nella categoria isolati. Lo sportivo evoluto, sulla base di questi risultati sa trarre le sue considerazioni per scegliere la bicicletta più forte e scorrevole, la Dei con gomme Pirelli”. (da “La Sera” di Milano, 1930) A fine Giro d’Italia le doti di Cavallini vennero esaltate dalla stampa di settore: “La vittoria nella categoria isolati è toccata ad Aristide Cavallini, il piccolo ma estremamente energetico e combattivo atleta che non era alla sua prima prodezza del genere. Ora lo troviamo ottavo assoluto, primo degli isolati e secondo degli indipendenti. Risultati regolarissimi, che confermano le buone qualità possedute dal Cavallini in questo campo in cui ha fornito le migliori prove della sua carriera. Il fisico del Cavallini è modesto. Ma quanto forza di volontà, quanto ardore combattivo, quanta tempestiva audacia sono in lui. Nelle giornate di vena il minuscolo atleta diventa un gigante e tutti devono temerlo. Così fu nella breve ma aspra CatanzaroCosenza, che gli valse uno dei premi Shell. Cavallini ha dovuto attendere che la gara entrasse nella sua seconda parte per poter prendere il comando della classifica speciale. Ma poi fu incontrollabile e si dimostrò ben degno del primato”. (da “Il Corriere della Sera, 1930) Cavallini divenne molto popolare ed ebbe molti sostenitori tra i suoi compaesani, i quali lo supportavano nelle sue imprese. Basti pensare che un suo sostenitore di Verzate arrivò addirittura a battezzare il proprio figlio con il nome di Isolato in suo onore! Il 1931 fu l’anno delle soddisfazioni. Sempre tra le file della Dei, giunse quarto assoluto al Giro d’Italia, a soli 10’ dal vincitore Francesco Camusso, aggiudicandosi per la quarta volta la Classifica degli isolati e classificandosi terzo assoluto nella X^ Tappa Genova-Cuneo. Cavallini si guadagnò

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le prime pagine La Gazzetta dello Sport e Guerrin Sportivo. “Tutti i superstiti del Giro meriterebbero menzioni. Ecco gli isolati. Un giorno abbiamo detto che sono atleti e concorrenti adorabili. E sappiamo che nessuno di noi può adorare i “diseredati” di una corsa ciclistica a tappe. Ma è verità affermare che il comportamento e il valore dei concorrenti più oscuri ci hanno avvinto in più di una circostanza. Aristide Cavallini, il vincitore della categoria, si è classificato quarto assoluto. Il posto occupato indica la qualità e la classe del non più giovane difensore della Dei. Cavallini non è stato soltanto quest’anno lo svelto e agile arrampicatore che conoscevamo. In condizioni di forma sorprendenti il magro e minuscolo pedalatore si è distinto per la combattività spiegata contro gli avversari di categoria. Migliorato sul passo, migliorato nella resistenza, pronto nei recuperi, Cavallini è comparso forte anche al cospetto degli assi” (Emilio Colombo, Direttore de La Gazzetta dello Sport, 1 Giugno 1931) La stampa dell’epoca inoltre sottolineava come gli isolati mettessero spesso in crisi i corridori più blasonati. Il 27 Maggio 1931 il Guerin Sportivo intitolava in prima pagina “Binda, Guerra… e quelli che non li rispettano”, apostrofando questo Giro d’Italia “fantasmagorico” proprio perché gli isolati avevano steso al tappeto un Campione d’Italia e un Campione del Mondo, mettendo “in imbarazzo” la Direzione della “Corsa Rosa” Terminata l’esperienza rosa, portò a termine la Volta Ciclista a Catalunya (Giro della Catalogna), classificandosi quarto assoluto e primo tra gli italiani. Nel luglio tentò inoltre l’avventura Tour de France, che però terminò troppo presto, con un ritiro già alla seconda tappa. Il 1932 fu l’ultimo anno che lo vide impegnato come professionista. Tesserato per la Binda-Varese, giunse diciannovesimo alla Milano-Sanremo, ma vinse ancora una volta il Giro d’Italia “isolati”, concludendo tredicesimo assoluto. Nel settembre partecipò alla “Coppa del Duce” Predappio Roma e qualche settimana dopo prese il via alla Volta Ciclista a Catalunya, giungendo quinto assoluto. Corse successivamente come indipendente fino al suo ritiro, nel 1937. Nel 1934 e nel 1935 partecipò a due edizioni del Giro del Piemonte senza ottenere risultati di rilievo. Abbandonate le corse da ciclista professionista, si trasferì ad Agrate Brianza, dove venne assunto come daziere. Rimase però sempre legato al mondo del ciclismo. Strinse amicizia con Fausto Coppi e con le nuove generazioni di ciclisti del secondo dopoguerra e ricoprì diversi ruoli tecnici e dirigenziali: nel 1952 fu direttore sportivo della squadra Baracchi e nel 1953 istruttore per il CSI. Tra gli anni cinquanta e sessanta inoltre divenne commissario tecnico e di giudice di gara al Velodromo Vigorelli di Milano. Giunto il momento della pensione si trasferì a Pinarolo Po, dove trascorse gli ultimi anni, fino a morivi il 18 febbraio 1974. Aristide Cavallini fu il primo ciclista professionista ad indossare la Maglia Bianca al Giro d’Italia. di Manuele Riccardi


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«L’Oltrepò, è adatto per gli allenamenti in cardio frequenzimetro» L’associazione di Santa Giuletta Walking Oltrepò è nata a maggio 2017. Fausto Abbà (51 anni) e Nicoletta Aldecca (39 anni) provengono da varie esperienze di running, nordic walking e trekking; l’anno scorso hanno deciso di creare la loro associazione e specializzarsi nella tecnica di camminata. Walking Oltrepo è un’associazione riconosciuta? «Sì assolutamente... abbiamo il nostro codice societario. I soci vengono tesserati con il CSI Pavia; noi, in particolare, siamo una ASD (Associazione Sportiva Dilettantistica)». Quanti soci contate fino ad oggi? «Nel 2018 abbiamo iscritto 76 soci». Avete un organigramma? «Certo, il Presidente è Nicoletta Aldecca, il Vice Presidente Maurizio Isoppo e Segretario-Tesoriere sono io (Fausto Abbà)». Abbà chi si occupa dei percorsi? «Nicoletta ed io. Noi organizziamo l’evento, ma anche i vari allenamenti; condividiamo con il Vice Presidente il programma e le varie uscite annuali». Quante uscite organizzate durante l’anno? «Iniziamo a fine gennaio con la prima uscita in Liguria (da Albisola-Celle Ligure “Passeggiata Degli Artisti), poi a febbraio prevediamo solitamente la “ciclopedonale maremonti” da Levanto a Framura (SP, circa 10 km). Iniziamo con questi percorsi extra Oltrepo, solo ed esclusivamente per il problema del clima... solo le prime quattro uscite sono verso il mare, mentre tutte le altre si concentrano nel nostro territorio». Quali sono i sentieri in Oltrepò che prediligete? «Prediligiamo le zone intorno a Santa Giuletta, Cigognola, Pietra De’ Giorgi, Redavalle, Torricella, Mornico, Corvino,

qui fino al Passo del Penice. A volte facciamo dal giardino botanico a Bobbio (pezzo finale della via degli Abbati). Circuito del Monte Lesima e quest’anno abbiamo fatto dal Brallo fino ai piani del Monte Lesima (8km). Per il 2019 stiamo cercando di organizzare la “via del sale”». Per aderire alla vostra associazione come si fa? «Per il momento è possibile contattarci alle nostre mail walkinginoltrepo@gmail. com camminatasportivainoltrepo@gmail. com, oppure tramite la nostra pagina Facebook, ma prossimamente apriremo il sito internet ufficiale, già in costruzione. Sia io che Nicoletta siamo istruttori nazionali di camminata sportiva e di Formazione Outdoor in Orienteering e tecnica di nordic. Utilizziamo anche il nuovo brevetto di bastoncini da nordic power (con i bastoncini appesantiti), ovvero una nuova tecnica che richiede un allenamento specifico. Il tesseramento annuale costa 15€ con copertura assicurativa al CSI di Fausto Abbà e Nicoletta Aldecca Pavia. PreveOliva Gessi e Montalto Pavese. Poi c’è la diamo anche un tesseramento sport con via Degli Abbati (da Pavia a Bobbio); da programma allenamento mensile persoMontalto Pavese c’è il percorso che parnalizzato da svolgere in autonomia, e un te dalla Madonna del Vento e arriva fino a tesseramento walk & power (2 uscite settiZavattarello (15 km). Da frazione Moline manali con l’istruttore)». al giardino botanico di Pietra Corva e da Serve una preparazione particolare per

Il gruppo Walking Oltrepò di Santa Giuletta poter affrontare queste camminate? «Per praticare la camminata sportiva occorre una tecnica precisa (ROI – Rullata - Oscillazione Intensità – tecnica della scuola italiana). La nostra è un’associazione basata sulla camminata amatoriale, dove noi controlliamo molto lo stato di salute dei partecipanti; non è agonistica, ma comunque promuoviamo le varie tecniche della camminata. Inoltre, nel nostro statuto c’è la promozione del territorio, in particolare dell’Oltrepo Pavese. In questo modo, mentre si fa del bene al proprio corpo è possibile nel contempo conoscere la chiesa o il castello dietro l’angolo, che vediamo passando in macchina, ma al quale non diamo alcun peso. Spesso veniamo invitati dalle aziende vitivinicole per promuovere la tecnica della camminata e al contempo promuovere i vini e i prodotti locali. Nel 2016 abbiamo organizzato insieme alla Pro Loco di Cigognola e Pietra De’ Giorgi camminata enogastronomica, dove hanno partecipato più di mille persone provenienti da tutta Italia. È capitato di organizzare delle camminate notturne. A piedi si possono conoscere tante informazioni sul nostro territorio che altrimenti rimangono sconosciute...». A proposito a suo parere qual è il sentiero più bello in Oltrepò? «Ce ne sono tanti, dipende dalla tecnica, però posso dire che l’Oltrepo ha un vantaggio enorme: essendo un territorio collinare, è adatto per gli allenamenti in cardio frequenzimetro. L’Oltrepo Pavese è un territorio adatto per allenare il cuore e la mente, ed è un peccato perchè potrebbe essere pubblicizzato solo per questo. Noi nei nostri allenamenti usiamo la tipologia del fartlek, e anche l’allenamento frazionato (vari esercizi), su distanza e

su frequenza cardiaca...sistemi molto conosciuti a livello agonistico, che però noi adattiamo ai nostri partecipanti. Ci tengo, inoltre, a far presente che la nostra divisa è arancione per accentuare l’importanza di sicurezza della visibilità sulla strada!». Se qualcuno vi chiedesse programmi di camminata personalizzati voi potete prepararli? «Assolutamente! Nel nostro programma abbiamo programmi per tutti. La differenza nostra rispetto all’attività di running è che si va a caricare un peso sulle articolazioni calcolato una volta e mezzo il peso corporeo. Non andando a correre, alleggeriamo il carico sulle articolazioni compensando con l’attività cardio circolatoria... noi facciamo un programma ad hoc. Le nuove tecniche di riabilitazione cardio circolatoria sono proprio orientate ai gruppi di cammino in un programma di fitness base a bassa e media velocità (programma di interval training). Ripresa dell’attività motoria senza danneggiare articolazioni. È più indicata la camminata rispetto alla corsa, a livello articolare, ma anche per dimagrire...camminando si bruciano molte calorie! Consigliato sia per l’obesità e altre patologie, ma anche per sconfiggere la pigrizia! L’OMS dice che per lo stato del benessere della persona, bisognerebbe camminare almeno mezz’ora tutti i giorni, ad un passo regolare e continuo». Lei e Nicoletta come vi siete avvicinati a questa pratica? «Sicuramente per passione, ma soprattutto per raggiungere un determinato stato di benessere psicofisico. Io ho iniziato da piccolo, mentre Nicoletta in età adulta...pero siamo sempre stati attivissimi». di Silvia Cipriano


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Castelletto di Branduzzo - Formula Challenge, pochi ma buoni i pavesi in gara Giancarlo Maroni Junior vince l’ottava edizione del Challenge del Lupo, ultima tapa del Campionato Italiano Formula Challenge andato in scena sulla pista di Castelletto di Branduzzo. Il giovane pilota di Lecco, per la sesta volta in altrettante competizioni valide per la serie tricolore, sale sul gradino più alto del podio al termine di una gara che lo ha visto protagonista assoluto, primo in tutte e tre le batterie del programma della competizione. Sommando i suoi due migliori tempi, quello di Gara 1 e quello di Gara 3, Maroni, al volante della Osella PA 21 JRB, chiude con un totale di 7’12” e 87 centesimi. Seconda piazza, a 16” e 81 centesimi per Erik Campagna, vincitore in solitario del Gruppo E2SS su Formula Arcobaleno. Tre secondi netti separano Christian Rapuzzi e Luca Veldorale in Gruppo E2SH regalando al primo, con pieno merito, un terzo posto assoluto conquistato mettendo le ruote della sua Polini 04 per due volte davanti a quelle della Autobianchi A112 del rivale. Quinto posto assoluto, secondo in gruppo a oltre trenta secondi da Maroni Jr, per Antonino Scolaro al via dei 1900 metri contro il tempo disegnati sul circuito pavese con una Elia Avrio. Dietro di lui la Polini 05 di Giacomo Gozzi, ultimo a scendere sotto il muro degli otto minuti nella somma somma dei due tempi di gara. Nella sfida tutta in famiglia tra i fratelli Giacomotti per il gradino più alto del podio del Gruppo VST su Kartcross, ad avere la meglio è Maicol, settimo assoluto, con 1” e 47 centesimi più veloce di Nicolas, ottavo. Lorenzo Pippa, spettacolare come sempre al volante della sua Lancia Delta Integrale, conclude in nona posizione, primo tra le vetture del Gruppo E1 Italia davanti a Christian Bussandri. Il pilota piacentino vince due gare su tre ma, complici un terzo passaggio con gomme non al top e la necessità di montare un serbatoio gas più pesante su una Peugeot 208 Ecometano assolutamente all’altezza della situazione, non gli basta per fare festa. Veniamo ai piloti di casa. Al 36° posto assoluto troviamo il portacolori del Road Runner di Casteggio Stefano Sangermani al volante della Citroen Saxo che ottiene il terzo posto nella classe N1600. Al 38° posto si é invece classificato Roberto Nespoli con la Clio con cui ha agguantato la vittoria nella classe A2000. Quarantesimo posto assoluto e secondo nella Racing Sport Plus per Andrea “Tigo” Salviotti su Mini Cooper S per i colori della Efferre di Romagnese. Tra le vetture storiche, ottima prova del portacolori della Scuderia Piloti Oltrepo, Matteo Cassinelli che oltre al 2° posto assoluto, si aggiudica la vittoria nella classe HST1-2000 al volante della Bmw 320, sempre nella stessa classe, terzo posto per Luca Albera su Alfetta GT America (Efferre Motorsport) con la quale ottiene il 5° posto assoluto.

di Piero Ventura

Matteo Cassinelli, portacolori della Scuderia Piloti Oltrepo, al volante della Bmw 320

Silvia Gallotti Regina al Supercorso Federale ACI Sport Rally

Silvia Gallotti e Andrea Mazzocchi Si è concluso in Sarcegna, a Tempio Pausania, il 15° Supercorso Federale ACI Sport settore rally, organizzato dalla Scuola Federale ACI Sport con la vittoria nella prima edizione dell’Italian Shoot-Out della rivazzanese Silvia Gallotti in coppia con il giovane piacentino Andrea Mazzocchi, pilota che ha affiancato per tutta l’edizione 2018 del CIR. Al termine delle fasi teoriche e ricognitive, i sei equipaggi in lizza all’Italian Shoot Out (oltre ai citati Mazzocchi-Gallotti): Cogni-Zanni, Lucchesi-Pollicino, Mabel-

lini-Lenzi, Nerobutto-Ometto e PederzaniBrovelli, sotto la guida del direttore della Scuola Federale Raffaele Giammaria e degli istruttori Paolo Andreucci, Alessandro Bettega, Piero Longhi, Anna Andreussi, Lorenzo Granai e Massimiliano Bosi, si sono misurati nell’ultima prova pratica percorrendo sei passaggi a testa, sulla celebre prova speciale sterrata di “La Prugnola” lunga 3,3 km. Che ha appunto sancito la vittoria di Mazzocchi-Gallotti ai quali come premio, l’iscrizione gratuita a tutte le gare del Campionato Italiano Ral-

ly Junior 2019. Grande soddisfazione nei vincitori; Andrea Mazzocchi ha dichiarato: «Una bella esperienza, perché gli istruttori sono stati molto bravi a farci capire quali fossero le nostre aree di miglioramento sia sulle note che nella guida». «è stato tutto molto bello – ha evidenziato la sua navigatrice, l’oltrepadana Silvia Gallotti – in particolare gli istruttori sono stati prodighi di utili consigli». di Piero Ventura



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Mombelli - Leoncini brillano al Tuscan Rewind Historic Sugli sterrati di Montalcino, la bellissima città medievale, a sud di Siena, in cui negli anni ‘90 il territorio veniva attraversato dal Mondiale Rally con i suoi piloti e le sue vetture ricche di fascino in grado di ammaliare quel pubblico affezionatissimo, che ieri come oggi accorre in gran numero, si è consumata l’edizione n° 9 del Tuscan Rewind, la cui vera anima è stata la parte “historic”, ispirazione di origine dell’avvenimento toscano. Evento in cui gli oltrepadani Domenico Mombelli e Marco Leoncini, a bordo della Ford Escort MK1 curata dalla CVM di Marco Vecchi, hanno ottenuto uno straordinario 6° posso assoluto, nonché primi di gruppo e di classe, in una gara in cui il “parterre de rois” dei piloti al via, era ricco di nomi altisonanti come Simone Campedelli, protagonista del tricolore rally in cui é giunto quarto assoluto, il quale ha voluto essere della partita con una vettura di quelle che hanno fatto la storia dei rally, una Ford Escort RS MK2. Ma oltre al cesenate, a Montalcino si sono presentati altri “nomi importanti” iniziando dal blasonato “Lucky”, Luigi Battistolli con Fabrizia Pons sulla Lancia Delta Integrale, vincitore assoluto del Trofeo tricolore rally storici 2018 e in precedenza nel 2016, titoli a cui ha affiancato due corone europee nel 2014 e nel 2017, per proseguire con il sammarinese Marco Bianchini (Lancia Rally 037), il locale Nicolò Fedolfi (Lancia Delta integrale), il giovane Alberto Battistolli (figlio di “Lucky”), all’opera sulla Fiat 131 Abarth, da non dimenticare poi la famiglia teutonica dei Burkart con Franck Burkart e Armin Zunftmeister sulla Lancia Delta e Stefan Burkart con Harald Korz a bordo della Mazda 323GTX oltre ai connazionali Gerd Gutersloh e Stefanie Fritzensmeier su Mitsubishi Lancer e Peter e Elke Goeckel su Opel Kadet GT/E. Anche Mauro Sipsz e Monica Bregoli, grandi protagonisti degli anni ottanta, non hanno voluto mancare all’appuntamento di Montalcino, “armati” con una bella Lancia Rally 037. Questi e molti altri sono stati gli attori di uno spettacolo rallystico d’altri tempi. Ma chi sono Domenico Mombelli e Marco Leoncini. Diciamo subito che non sono rallysti di vecchia data che hanno ritrovato nel rallismo storico sapori di vecchi tempi. Anche se non sono di “primo pelo”; poco più di 55 anni Mombelli e una decina in meno Leoncini, sono giunti ai rally solamente nel 2015. Mombelli, zavattarellese d.o.c., imprenditore nel settore alimentare, ha alle spalle parecchi anni come centauro delle ruote artigliate gareggiando nell’enduro. Leoncini, vogherese, operante nel settore siderurgico, oggi residente a Varzi, non aveva mai svolto in precedenza attività motoristica pur essendone immensamente appassionato. Ma come sono giunti ai

Domenico Mombelli e Marco Leoncini, a bordo della Ford Escort MK1 rally? è lo stesso Leoncini a svelarlo: «I mo un obiettivo non facile da raggiungere: che facciamo regalando solo un paio di rally rappresentano una passione che atla “top ten” assoluta. Al di là di questo, traversi ad un pubblico eroico, bagnato e trae entrambi da molti anni, ancor prima ci esalta anche il confronto con le altre 4 infreddolito, lo facciamo però solo dove la di conoscerci 10 anni fa. Sempre presenti Ford al via, sebbene modelli più recenti carreggiata lo permette. Chiudiamo questa ma come spettatori al 4 Regioni, al Sanredella nostra e guidate da pilotoni, “Cam- prova micidiale con il sesto tempo assolumo, al Montecarlo e in ogni luogo in cui pedelli” sopra le righe. La sfida inizia al to che ci porta ad un analogo piazzamento la trasferta ci era accessibile. Ma il camsabato con la disputa di due prove. Non nella generale. Chi l’avrebbe mai detto? biamento importante é datato 2015, quanpiove, c’é vento, grazie al quale, il fondo é Affrontiamo l’ultima prova di 7 km do ricevo una telefonata da Domenico, il andato pian pian ad asciugarsi nelle prime con 48” di distacco dalla veloce Bmw tono della chiamata è questo... “sei libero ore del mattino. Su questi tratti cronome- dell’espertissimo Muccioli, ormai troppo per il 4 Regioni Storico???”. Certamente, trati facciamo segnare il 10° e l’ 11° tem- lontano e con 59” di vantaggio sulla Lanfigurati se non vengo a vedere il 4 Regiopo assoluto, in linea con il nostro obiettivo cia Delta del tedesco Burkart. Con il buio e ni!!! - risposi. Dall’altra parte Domenico iniziale. Tre delle 4 Ford ci sono davanti con poca gomma non è il caso di rischiare, chiarisce: “Forse non mi sono spiegato... Pelliccioni, Baldacci e Campedelli e una, Sono 7 chilometri di passerella che ritengo intendevo: correrlo!” - Non ci pensai un atquella di Lazzaretto, é alle nostre spalle. di esserci meritati. Che dire? Siamo ovviatimo e accettai immediatamente. IniziamLa macchina gira bene, le gomme sono ot- mente molto soddisfatti di come abbiamo mo così, con il debutto al Rally 4 Regioni time e l’assistenza curata da Marco Vecchi affrontato una gara, impegnativa e resa Historic Regolarità Sport su di una Opel é super. La giornata di Domenica prevede ancora più difficile dalle pessime condiManta 1600 del 1972 una nuova fase della 6 prove, di cui due molto impegnative da zioni meteo. La macchina è stata sempre nostra vita, ottenendo la vittoria di Classe 24 km. Il fondo è bagnato dalla pioggia performante, le gomme indovinate “soft” a termine di un grande divertimento ricacaduta nella notte e scavato in solchi dal posteriore, e l assistenza è stata la nostra mato da alcuni traversi molto graditi dagli passaggio delle vetture del rally moderno, marcia in più, grande Marco Vecchi! Per spettatori. Beh fu un buon input per prosei tempi in prova si alzano per tutti, da Lu- quest’anno riteniamo conclusa in modo guire la strada intrapresa». cky, leader con la Delta, al locale Falchetti positivo la stagione. Due volte nella top Torniamo al Tuscan 2018, per Mombelliche con l’Alpine A110 chiude il gruppo ten, una sfiorata e 4 vittorie di categoria Leoncini, quella appena conclusa, é stata dei concorrenti. Riusciamo a mantenere hanno appagato i nostri sforzi, Per l ‘anno la terza partecipazione alla gara senese. La un buon ritmo e al termine del primo giro prossimo saremmo intenzionati a parteciprima é avvenuta nella categoria Regolaridi prove siamo soddisfatti della nona posi- pare al Campionato Terra Italiano historic. tà Sport con l’Opel Manta, la seconda, lo zione acquisita. Nel corso del secondo giro Date permettendo, la gara di casa “4 Rescorso anno portando al debutto nel rally inizia a piovere, facciamo la prima “Pieve” gioni” ci terremmo a correrla e a fare un storico la Ford Escort, conclusasi con un senza correre troppi rischi e con la testa già po di traversi sui nostri tornanti. Un ringraforzato ritiro per noie meccaniche quando alla “Torrenieri” da 24 km. La pioggia si ziamento particolare lo dobbiamo al nostro ormai erano in vista del traguardo, e poi, fa insistente proprio allo start di questa e mentore motivante “Dottor” Natalino Pequest’anno, in cui i portacolori di Paviaralla poca luce delle 16.30 che traspare da un relli, all’Ingeniere Ragaglia, agli amici di ly ottengono il miglior risultato da quancielo plumbeo, fa si che il primo tratto di Paviarally che ci seguono con tanto entudo corrono: il 6 posto assoluto, primo di speciale sia difficilissimo, contiamo ben siasmo e a tutti coloro che si divertono con gruppo e di classe. Come si è evoluta la 3 vetture, partite prima di noi irreparabil- noi». Per la cronaca, la gara è stata vinta per la quarta volta da “Lucky” Battistolli. loro gara? è sempre Leoncini a raccontarmente fuori strada. lo: «Con un parco partenti molto competiè il momento di tenere a freno l’esuberandi Piero Ventura tivo, sia per piloti che macchine, ci poniaza e regolare l’acceleratore. Ed è quello


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A Vernetti-Kalaja e Perelli-Roveda la vittoria di Divisione

Trasferta positiva per Paviarally Club Autostoriche in quel di Chieri per la quinta edizione del Rally Grande Corsa - Memorial Nino Fornaca. Nella categoria Sport, la prestazione migliore é stata fornita dal driver di Zavattarello Flavio Vernetti coadiuvato sulla Mini Cooper da Valmir Kalaja. I due, dopo una gara in crescendo, grazie ad un colpo di reni sferrato sull’ultima prova speciale, agguantano la vittoria nella quarta divisione ed un prestigioso 9° posto assoluto ai danni dei piemontesi Massimo e Matteo Migliore su Lancia Fulvia Coupè. Sempre per i colori Paviarally, al terzo posto in questa classe, troviamo il driver di Mezzanino Po, Carlo Verri navigato da Ventura sulla Fiat 125S, il quale, nonostante un avvio disastroso nella prima giornata di gara, con una buona rimonta, é risalito al 12° posto che, come detto, gli ha permesso di salire sul terzo gradino del podio nella classifica di divisione, precedendo i favoriti, Pinna-Bottan. Sedicesimo posto invece per l’Opel Manta GT/E di Germano Minotti e Fabiana Zago che ottengono il secondo posto nella divisione 8. Gara in salita per l’equipaggio di

Vernetti - Kalaja con la Morris Cooper Zavattarello composto da Natalino Perelli e Giuseppe Roveda. Dopo un avvio brillante (7° tempo assoluto e primo di classe) i due sono stati attardati pesantemente dalla rottura del cavo dell’acceleratore della loro Fulvia Coupè 1600 HF. Grazie al lavoro della squadra assistenza formata da Matteo Fusetto, Daniele Sperandio e Mar-

Perelli - Roveda con la Lancia Fulvia HF co Vecchi, il “dottore” ed il suo inseparabile co-driver, sono riusciti a riprendere la gara che alla fine li ha visti classificarsi al 17° posto assoluto e primi di divisione 5. Dopo due tentativi stoppati sul nascere da noie meccaniche (4 Regioni e Valli Piacentine), buono il debutto di Francesco Carrera al volante della A112 Abarth con

Ruino, Ruggeri - Marzi

quarti nel Trofeo Rally Si è concluso con il Rally “La Grande Corsa” il Trofeo Rally di Zona in cui erano impegnati l’equipaggio di Ruino composto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi a bordo della Fiat 127 Sport Gruppo 2 con i colori della Media Rally & Promotion ed i vogheresi Ermanno Sordi e Claudio Biglieri con la Porsche 911 (Romazzana Rally Team). Prima dell’evolversi della gara piemontese, Ruggeri-Marzi sembravano ormai destinati ad uno dei gradini del podio assoluto. Infatti, dopo le buone prestazioni al Sanremo, 4 Regioni e Lana, il gioco sembrava ormai fatto, ma un problema alla trasmissione della 127, ha fermato anzitempo la loro marcia proprio nell’ultimo atto del trofeo. Il loro campionato termina quindi con un onorevolissimo 4° posto assoluto incorniciato dal 1° posto tra le Turismo Corsa, il 1° di classe fino a 1150 cc ed il 2° di raggruppamento 3. Sordi invece, che al TRZ ha preso parte solamente dal 4 Regioni in poi, partendo addirittura con un passo falso nella gara pavese, costretto al ritiro sull’ultima prova speciale, ha rimediato un ottimo 7° posto assoluto ed

alle note papà Rodolfo (ottimo rallysta ed ex trofeista con le “scorpioncine”), all’esordio in veste di navigatore. Sfortuna invece per Domenico Gregorelli e Francesco Castellazzi la cui Opel Manta C, é stata fermata da un guasto meccanico quando viaggiavano in decima posizione assoluta e terza di classe. In una gara molto bella, ottimamente organizzata dall’Associazione “Amici di Nino”, resa ancor più impegnativa da pioggia e nebbia, il Club pavese chiude la trasferta in terra piemontese con un risultato globalmente positivo, tanto da meritarsi la vittoria nella speciale classifica riservata alle scuderie. Nella graduatoria assoluta, dopo il terzo posto dello scorso anno e trai favoriti dell’edizione 2018, a primeggiare sono stati gli specialisti aostani, Luigi Lanier e Diego D’Herin con la Lancia Fulvia HF 1.6 davanti a Gianluca Ferrari e Andrea Lumello su Fiat 124 Sport. A completare il podio, la Renault Alpine A110 di Marco Maiolo e Maria Teresa Paracchini, abbonati ai “tre gradini” della gara chierese dopo esser saliti nel 2016 sul quello più alto e lo scorso anno sul secondo. di Piero Ventura

il gradino più basso del podio nel Raggruppamento 3. La seconda edizione del rally storico chieresese ben organizzato dall’associazione Amici di Nino, atto finale del TRZ, Memory Fornaca e Michelin Cup, é stata vinta da Lucky-Pons con la Lancia Delta Integrale davanti a Salvini e Tagliaferri su Porsche 911 e ai francesi Valliccioni-Cardi su BMW M3. Dopo il repentino ritiro dello scorso anno, “Lucky” e Fabrizia Pons si sono presi la rivincita firmando ben 8 delle 9 prove speciali in programma. Daniele Ruggeri e Martina Marzi a bordo della Fiat 127 Sport Gruppo 2

di Piero Ventura


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Voghera: Ermanno Sordi e Claudio Biglieri... “Se son rose... fioriranno”

Ermanno Sordi, imprenditore vogherese, si é avvicinato al mondo dei rally storici lo scorso anno in occasione del Rally 4 Regioni, schierandosi al via con la Porsche 911 SC, iscritto nella regolarità sport con al fianco Filippo Natino. L’esperienza non é fortunata e termina la gara forzatamente quando mancano solo due prove dalla fine. Si rifà a ottobre al Rally di Como Storico in cui, sempre con Natino e la Porsche SC, é ottavo assoluto e quinto di classe. Chiude la stagione al Monza Rally Show Historic con Matteo Nobili sul sedile di destra della 6 cilindri di Stoccarda. Inizia la stagione 2018 in terra di Toscana al Historic Rally Vallate Aretine con al suo fianco Margherita Ferraris Potino sulla 911 SC. Il risultato che ne consegue non é eclatante; seppure é alle prime esperienze, il 20° posto assoluto ed il 9° di classe non entusiasma l’imprenditore vogherese. Al successivo Valsugana Rally Historic, i due non migliorano la posizione assoluta ma limano 2 posizioni in quella di classe. Giunge il momento della gara di casa, il 4 Regioni, questa volta affrontato nella versione Rally Nazionale. Sordi-Potino parono forte chiudono il Circuito di Cecima al 2° posto assoluto. Le sei prove della seconda giornata di gara sono molto combattute, Sordi giunge sull’ultima PS in programma, la Golferenzo, occupando la quarta posizione ancora in lotta per un posto sul podio assoluto, ma la prova gli é fatale e il vogherese é costretto ad alzare bandiera bianca. Al Lana Storico, Sordi-Potino sono quarti di classe. è poi la volta dell’Elba Storico in cui Sordi si schiera al volante della Porsche 911 RS con alle note Giuliano Santi. La partenza é tutta in salita. I due escono dalla PS1 in con il 48° tempo. Pensare di recuperare con tutti i migliori in campo é pura utopia, ma Sordi non demorde e prova dopo prova recupera ben 26 posizioni chiudendo al 5° posto di classe. Ad ottobre torna a Como. Per l’occasione, al suo fianco c’é l’esperto concittadino Claudio Biglieri. Sulle strade lariane la Porsche vola e alla fine per loro c’é il 6° posto assoluto e la vittoria di classe. è poi la volta della Grande Corsa il 3 e 4 novembre a Chieri, ultima prova valida per il TRZ in cui, sempre con Biglieri al fianco sulla 911 RS, al termine di una gara impegnativa, segnata anche da un piccolo errore costato purtroppo parecchio tempo, ha concluso al 12° posto assoluto e al 4° di classe. Un risultato che lo colloca al 7° nella classifica finale del Trofeo Rally 2018. Sulla gara piemontese di Sordi, Claudio Biglieri dice: «Prima esperienza su fondo estremamente viscido per Ermanno, malgrado ciò i tempi non erano male, infatti, pian piano aumentava il feeling con l’auto e l’adattamento alla tipologia delle prove. Purtroppo

sulla “Speciale” n° 6, c’é stata una banale scivolata che ci ha portato un fossetto laterale ad una curva lenta e sporca. La vettura non ha riportato alcun danno, ma nonostante il generoso aiuto del pubblico, abbiamo tribolato parecchio per rimettere la Porsche sulla sede stradale per riprendere la gara e continuare a fare apprendistato su fondo difficile. L’inconveniente ci é però costato parecchio in termine di tempo pari a tre posizioni nell’assoluta e a due posizioni nella classifica finale di campionato. Tutto é comunque utile per fare esperienza e migliorare il feeling». Claudio Biglieri, vogherese classe 1971, é sulla scena agonistica dal 1994 con all’attivo una novantina di gare disputate come navigatore e alcune come pilota in cui ha dimostrato talento. Trova il suo primo podio assoluto nel 1996 al rally dei Castelli di San Marino salendo sul 3° gradino del podio con Oriano Agostini e la Ford Escort Cosworth. Negli anni a seguire, al fianco del driver di Broni Lorenzo Capelli sulla Peugeot 306, da vita ad un binomio capace di ottimi risultati fino ai primi anni 2000, quando inanella una lunga serie di ritiri, ben 30. Riassapora la gioia del podio assoluto al Moscato Rally del 2008 in cui é 3° al fianco di Massimo Brega sulla Fiat Punto S2000. L’anno dopo, leggendo le note a Matteo Musti sulla Peugeot 207 S2.0, ottiene la sua prima vittoria assoluta al Rally Strade dei Mulini. Alla vittoria fa poi seguire il 2° posto, sempre con Musti sulla Citroen Xsara Wrc all’Appennino Reggiano ed un altro posto d’onore al Rally di Ferriere con Brega e la Clio S1600. Con Musti vince poi il Giarolo con la Peugeot 307 Wrc nel 2011 ed il 4 Regioni sto-

rico nel 2012 con la Porsche contribuendo alla conquista del titolo tricolore da parte di Matteo. A metà stagione, con Brega si

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ripete al Giarolo vincendo su Peugeot 207 S2.0 Sempre al fianco di Massimo Brega, Biglieri é primo al Valtidone nel 2014 e al Città di Stradella nel 2015, entrambe le vittorie ottenute con la Clio S1.6. Tradotta in cifre, l’attività agonistica da co-pilota di Claudio Biglieri, impegnato sia nel rallysmo moderno che storico, la si riassume in: 7 vittorie assolute, 5 secondi posti, 6 terzi posti, 18 volte sul podio assoluto, 22 volte nella top five e 33 presenze nella top ten. Tutto questo nonostante i 38 ritiri. Il binomio Sordi-Biglieri, attualmente ha tutte le prerogative per avere un interessante sviluppo nel settore storico della prossima stagione. Come si suol dire… “Se son rose... fioriranno”. di Piero Ventura


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Il Rally 4 Regioni ricomincia da Pavia e apre le porte alle vetture moderne

1971 - Barbasio-Sodano, muovendosi da Piazza Ghilseri in Pavia, danno ufficialmente il via alla storia del Rally 4 Regioni L’edizione numero 22 del Rally 4 Regioni, ricomincia da dove nacque nel 1971, Quando, a Pavia, Siropietro Quaroni, Benedetto Pelliccioni e un gruppo di amici, lavorando sodo, misero in scena ciò che sarebbe stato il “Rally” per antonomasia, la gara che per 15 anni tenne accesi su di se i riflettori del mondo rallistico europeo: il 4 Regioni, appunto. Nella mente degli ideatori, oltre proporre un prodotto sportivo d’alta qualità, vi era anche la volontà di far conoscere al mondo dei motori la bellezza della “città delle 100 torri”, ricca di storia, arte e cultura. Con il benestare dell’amministrazione comunale, ecco nascere quindi il progetto itinerante dei punti di partenza della manifestazione che sarebbero mutati di anno in anno tra le piazze storiche della città. L’anno del debutto (1971), la cerimonia di partenza della prima edizione del Rally 4 Regioni, si tenne nell’ampia piazza della città che i pavesi chiamano comunemente “Piazza del Papa”, ma che in effetti risponde al nome di Piazza Ghislieri e prese appunto il nome da San Pio V Ghislieri, battagliero pontefice della controriforma, che fece costruire l’omonimo collegio universitario alla fine del XVI secolo. Piazza in cui campeggia una statua barocca che

ricorda l’illustre pontefice (da lì, appunto, il nome semplificato e sbrigativo di “Piazza del Papa”). Ci fu un grande seguito di pubblico che dalla piazza, ben disposto sui lati delle vie, fece da cornice ai concorrenti sino alla periferia della città, prima che questi prendessero la direzione Stradella, Santa Maria della Versa, Martinasca, per affrontare le prove sul versante piacentino transitando per Pometo, Caminata, Nibbiano, Pecorara, ecc. Erano i primi chilometri dei 1650 in programma divisi in due tappe. Ebbene, dalle prime indiscrezioni, il Rally 4 Regioni storico 2019, abbandonerà la formula delle due gare (internazionale e nazionale attuate in questi ultimi due anni) per fondersi in un unico evento e uniformarsi alle normative nazionali che prevedono non più di 100 chilometri di prove speciali. La grande novità sta nel fatto che il Rally 4 Regioni 2019 ospiterà sia vetture storiche che moderne. Il settore storico prevede, oltre ai protagonisti del rally anche quelli della Regolarità Sport, le Hall Star e la parata. Di seguito, sullo stesso percorso si confronteranno i protagonisti del rally moderno in ciò che é definito: Trofeo Valleversa. Subiranno mutamenti anche il percorso, la località di partenza e il centro

logistico della manifestazione. Gli organizzatori, ispirandosi all’antico progetto itinerante dei punti di partenza della manifestazione che sarebbero mutati di anno in anno, lo attueranno già dal 2019, promuovendo di volta in volta, anziché piazze, nuove località vogliose di farsi conoscere per bellezza e ospitalità, abili a comprendere i vantaggi che il Rally produce, ovvero, oltre allo spettacolo, il rally é lavoro, commercio e turismo, argomentazioni ben più importanti di qualche piccolo e temporaneo disagio alla comune viabilità che questo possa arrecare. Ma andiamo per ordine. La gara si svolgerà venerdì 5 e sabato 6 del mese di luglio. Entrerà nel vivo il venerdì sera con un prologo basato su due prove speciali (una da ripetere), per concludersi (dopo il riordino notturno), nella giornata di sabato, quando i concorrenti avranno percorso i rimanenti tratti cronometrati. è intenzione di Aci Pavia, per il 2019, onorare il ricordo della prima edizione effettuando le operazioni di verifiche tecniche e sportive, non che la cerimonia di partenza, da Pavia. Poi, viaggiando in direzione sud est del capoluogo verso Stradella, i concorrenti raggiungeranno il territorio tra la provincia di Pavia e quella di Piacenza in cui si svolge-

ranno le prove speciali che ufficiosamente potranno essere da 8 a 11. Stradella sarà il fulcro della manifestazione, ospiterà: Direzione Gara, Parco Assistenza, Riordino e Arrivo. L’obiettivo degli organizzatori pavesi potrebbe essere il raggiungimento della validità per il TER (Tour European Rally) 2020, una serie di rally per auto moderne, finalizzata a unire le risorse di alcuni eccezionali eventi di rallistici del vecchio continente e creare una serie importante e spettacolare, in cui la classe di punta della serie stessa è la R5, oltre, ovviamente, per il TER Historic, la nuova serie indipendente basata su 6-8 round per auto storiche. Il TER Historic manterrà le stesse caratteristiche che rendono il TER un torneo di di successo, un mix tra grandi rally e eccezionali località, e offre a piloti, team e fan una promozione e copertura mediatica globale dedicata. Questo é al momento ciò che bolle in pentola in Piazza Guicciardi a Pavia, sede dell’Automobile Club Provinciale. I piloti pavesi e tutti gli appassionati sia dei rally storici che di quelli moderni, possono prendere queste anticipazioni come un piacevole regalo di Natale, di cui torneremo a parlare al più presto con indicazioni più dettagliate. di Piero Ventura


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Veteran Car Club Carducci “Tutti in pista” a Castelletto di Branduzzo

è di notte che si percepisce meglio la voce del motore, il ticchettio del cuore, il brusio dell’ansia, l’attesa del pubblico e il silenzio del mondo che ci sta attorno. Molti amano la notte perché non dà loro ragione, anzi, gliela toglie. Ed é forse per tal motivo che gli “attivisti” del Veteran Car Club Carducci di Casteggio, hanno lanciato lo scorso novembre, sul circuito di Castelletto di Branduzzo, una nuova tipologia di gara, sconvolgente per i regolaristi puri; un cocktail di Regolarità Sport/Classica e Media a cui non sono mancate le vetture in configurazione rally con rallysti a bordo, poco propensi ad allacciare un “rispettoso” rapporto amoroso con il cronometro. Si é trattato di un impegno divertente, innovativo, denominato “Tutti in pista”, valido quale atto finale campionato sociale del Club Casteggino, disputato alla luce dei fari, in cui l’asfalto bagnato dalla pioggia ha facilitato qualche spettacolare “traverso”. Trenta le vetture presenti, divise in batterie di 6 auto impegnate a compiere 5 giri a testa con tempo imposto e rilevamento dello stesso tramite trasponder. La classifica ha premiato, non la somma dei tempi ma il giro migliore. Al termine della contesa, il cronometro ha dato il seguente responso: 1° Zenesini-Guaita (Fiat 127 anno 1975); 2° Fronti-Ruggeri P. L. (A112 anno 1975) primi degli oltrepadani; 3° Curone-Cristina (Alfa Romeo Giulietta anno 1982); 4° Cassinelli-Lodigiani (Bmw 320 anno 1978) primo tra i gentleman e primo con vettura in configurazione Rally; 5° Crosignani-Crosignani (A112 – anno 1974); 6° Borgonovi-Mezzadra (Porsche 911 anno 1970); 7° Paghini-Longhi (Vw Golf Gti anno 1981- 2° tra i gentleman); 8° gli spettacolari Contardi-Partelli, terzi tra i gentleman con Opel Kadet Gt/e del 1976, quindi nell’ordine: 9° Pegoraro (Vw Golf Gti 1981) e 10° Piazzardi (Lancia Fulvia Coupé 1973) a completare la top ten assoluta. Seguono: Gatti-Gorini Opel Manta Gt/E 1979; Rossetta-Degliantoni Lancia Fulvia Coupé 1974; Mascheroni – Pisani Suzuki Swift 1992; Cavanna-Brignoli Alfa Romeo 75 1987; Zurli-Zurli Ford Fiesta; Maroni-Maruca Opel Ascona2000 1980; Madama-Sturla Renault Clio 1992; Carbonini-Mandri Mazda 323 Gtr 4wd 1992; Cantarini Mg B Gt 1966; Rossi-Serra Rover 114 Gti 1992; Serena Giuliano Triumph Spitfire Mk4 1973; Serena Alberto Fiat 500 L 1969; Ficarra-Garavani Marza Mx5; Albera-Albera Alfetta Gtv 2.0 1081; TortiTorti Opel Kadet Gt/E 1977; Saviotti-Saviotti Opel Kadett Gt/E 1978. Significativa la partecipazione del rinato Rally Club Oltrepo, presente con 5 vetture in allestimento rally. di Piero Ventura

Fabio Fronti e Pierluigi Ruggeri primi tra gli oltrepadani

Contardi-Partelli su Opel Kadett GTe - RCO

Montù Beccaria: tra allegria e solidarietà, il VCCC cala il sipario sulla stagione 2018 Erano più di cento i cultori dell’automobilismo d’epoca affiliati al Veteran Car Club di Casteggio che si sono ritrovati presso uno storico ristorante, fondato e gestito da più di mezzo secolo dalla famiglia Colombi, che sorge tra le ancora tenui colline dell’Oltrepò Pavese, per dare vita al rituale convivio di fine stagione. Al centro della serata non vi é stata, ovviamente, solo la cucina, che nel rispetto della tradizione, ha proposto piatti tipici stagionali, abbinati ai migliori vini locali, ben sì, la premiazione dei protagonisti del Campionato Sociale 2018. Quindi: allegria, festa e premi, senza però tralasciare una pregevole consuetudine che contraddistingue il Club guidato da Antonio Borgonovi: “la solidarietà”. Rifacendosi al drammaturgo greco antico Sofocle per cui: “L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo”, il VCCC, di anno in anno pone la sua attenzione ed il suo contributo ad associazioni operanti nel settore umanitario e benefico. Quest’anno la scelta del Club di Casteggio é caduta su “Pavia nel Cuore”, un’organizzazione di volontariato, che opera per la diffusione massiccia all’interno della popolazione di quelle poche e semplici manovre salvavita che chiunque può mettere in pratica nei primi minuti in caso di arresto cardiaco e ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo. Pavia nel Cuore svolge corsi di formazione gratuiti all’interno della rete formativa nazionale IRC Comunità ed Centro di Formazione riconosciuto da AREU Lombardia. Negli ultimi due anni, Pavia nel cuore ha installato un defibrillatore in ogni scuola pubblica superiore della nostra provin-

Cecilia e Oriano Crosignani campioni VCCC 2018 cia, formato tutti gli studenti degli ultimi anni ed il personale scolastico. Venendo all’aspetto puramente sportivo della serata, sono stati una mezza centuria gli specialisti del pressostato i quali si sono sfidati nelle prove di campionato tra cui spiccava il “Giro Notturno”, vero fiore all’occhiello organizzativo del sodalizio oltrepadano. Al termine del campionato, che ha purtroppo perso per strada alcune prove classiche, causa l’eccessivo prolungamento della fase elettorale per il rinnovo del Consiglio del Club, la palma della vittoria é andata a Oriano Crosignani, il quale, affiancato dalla giovane figlia Cecilia, firma per la terza volta l’albo d’oro del trofeo. «è stata una stagione molto soddisfacente, in cui, sia nel Campionato VCCC, che in altre gare lontane dal nostro territorio, Cecilia ed io abbiamo ottenuto risultati di cui andare fieri». Gli fa coro Cecilia la quale aggiunge: «Anno dopo anno, prova dopo prova, abbiamo scalato una vetta che all’inizio ci sembrava irraggiungibile. Siamo parti-

ti dal fondo per arrivare oggi, per la terza volta, al primo posto». Al secondo posto si sono classificati i campioni uscenti, Ivan Zinco e Pierluigi Ruggeri, i quali già hanno lanciato il guanto di sfida ai vincitori in occasione del prossimo campionato 2019. Sono invece tre gli equipaggi giunti ad occupare terzo gradino del podio a pari merito: BorgonoviMezzadra, Cavanna-Brignoli e Cantarini, quest’ultimo ha disputato l’intero campionato in solitario sulla sua bellissima MG B del 1966. Seguono nell’ordine a completare la top ten: Fronti-Ruggeri, Curone-Cristina, Pegoraro-Bianchini, Tamburelli-Adaglio e Guerrini-Sboarina, primi tra i gentleman. Classifica generale:1 Crosignani - Crosignani ; 2 Zinco – Ruggeri; 3 BorgonoviMezzadra; Cantarini; Cavanna -Brignoli; 6 Fronti – Ruggeri; 7 Curone – Cristina; 8 Pegoraro-Bianchini; 9 Tamburelli-Adaglio; 10 Guerrini – Sboarina; 10 Viola – Mussi; 11 Rossetta-Degli Antoni; 12 VernettiKalaya; 13 Barbieri – Marsiglia; 14 Berisonzi-Barbieri ; 15 Giorgi – Malaspina; 16 Lamagni – Lamagni; 17 Guatelli-Negrini; 18 Madama – Sturla; 19 Paghini-Paghini; 20 Albertoni-Rossini; 21 Verri-Ventura; 22 Minuzzo-Bernini; 23 Cerutti – Saviotti; 24 Del Vago-Perduca; 25 Mascheroni-Pisani; 26 Bellinzona-Benenti; 27 Ghia-De Paoli; 28 Saviotti – Provasi; 29 Moscato – Moscato; 30 Panizzardi-Panizzardi. Seguono altre 20 classificati. di Piero Ventura



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DICEMBRE 2018

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Paviarally in convivio a Varzi, premiati i protagonisti del Tuscan Rewind e della Grande Corsa Non c’era posto meglio adatto per dare sfogo alla loro proverbiale goliardia ricca di amicizia e baccanali, se non il noto ristorante “La Compagnia delle Merende” di Varzi, per ospitare il commiato alla stagione sportiva 2018 appena conclusa. Partendo dal presupposto che uno non può pensare bene, guidare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene, é li che il Club Paviarally Autostoriche ha salutato i suoi componenti, protagonisti attivi dell’annata agonistica 2018. Paviarally é anzitutto un club di amici che, amanti delle corse e della buona tavola, racchiude in se elementi in rappresentanza dell’intera provincia, iniziando dal capoluogo, capitale del regno longobardo e sede di una delle più antiche università italiane. Pavia è senza dubbio città dal passato importante, non solo storico e culturale, ma anche rallystico. Una ragione in più perché questo gruppo apprezzi anche la cucina pavese, ovviamente legata ai prodotti del territorio da cui emergono i piatti della tradizione: Zuppa alla pavese con uova e crostini, Risotto alla certosina, Anguilla alla borghigiana, varie pietanze a base di pesci del Ticino, Arborelle fritte, Rane fritte o in guazzetto, Zuppa di rane, Nervetti, Trippa alla pavese (buseca) ecc. C’é poi l’area territoriale della “Bassa pavese”, pressoché uniforme con un’altitudine media sul livello del mare di 65 metri e confina con tre province: Milano, Lodi e Piacenza. Tra le tante cose, si possono gustare: Ossobuco con piselli, Risotto con fagioli borlotti, Zuppa di ceci con costine e Ragò. Non da meno la Lomellina, un mosaico di 60 paesi, interamente pianeggiante, in cui si coglie molto bene il mutare

La premiazione di Perelli, Roveda e Vernetti delle stagioni: bianca di brina o di neve in inverno, con il “mare a scacchi”, come viene definito lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e molto verde d’estate, e “dipinta” con mille tonalità di colori in autunno. Vigevano è il centro più importante arricchito in bellezza con la meravigliosa Piazza Ducale ed il vastissimo Castello visconteo. Mortara poi, è oggi un moderno centro, fiorente di attività agricole, industriali e commerciali, ma la sua fama rimane legata ad un prodotto gastronomico genuino e prelibato. Parliamo del salame d’oca e delle specia-

lità culinarie legate a questo bipede, come i prosciutti ed i prelibati paté di fegato, preparati ancora con la cura e la genuinità di un tempo. Arriviamo in fine all’Oltrepò Pavese conosciuto anche come “Vecchio Piemonte”, una delle aree territoriali della provincia con caratteristiche proprie. Geograficamente si presenta come un cuneo di territorio dalla forma a grappolo, proprio come l’uva usata per i suoi vini sublimi e che si insinua fra l’Emilia e il Piemonte. Famosissimo per i salumi e la torta di mandorle di Varzi, la sua cucina é di ampia fantasia e varietà, spazia infatti da risotti con

tartufi o funghi, sino al Nusat o la Schita, dalla salsa Duls e brusc, alle tagliatelle alla Santa Giuletta, al merluzzo con cipolle o al pregiato Stoccafisso, che i titolare del ristorante hanno servito ai rallysti che ne hanno apprezzato la bontà. In questo contesto territoriale, la parte del leone l’hanno recitata gli equipaggi di Zavattarello iniziando dai tanti applausi riservati a Domenico Mombelli e Marco Leoncini, reduci da una prestazione maiuscola al recente Tuscan Reiwind Historic Rally, in cui “Russel Brooks e John Brown” come simpaticamente vengono soprannominati per la loro guida spettacolare dai colleghi di squadra, hanno fornito una prestazione eccezionale, da incorniciare. Pari trattamento é stato riservato a Flavio Vernetti e Valmir Kalaja unitamente a Natalino Perelli e Giuseppe Roveda, terminati tutti sul gradino più alto del podio nelle rispettive classi d’appartenenza al rally Grande Corsa a Chieri. Molto calore anche per Carlo Verri, Rodolfo e Francesco Carrera, Daniele Sperandio, Brunello Santi, Fabiana Zago, Germano Minotti e tanti altri ancora. L’occasione è stata propizia per redarre anche una bozza di programma in vista della stagione 2019 che vedrà Mombelli-Leoncini impegnati nel Campionato Italiano Rally Storici Terra, gare in cui ci sarà anche la partecipazione spot di Carlo Verri, mentre gli altri equipaggi hanno confermato il loro impegno nel settore della Regolarità Sport. Un momento toccante e molto gradito, é stato rappresentato dalla breve visita di saluto operata da don Gianluca Vernetti, da 12 anni titolare della parrocchia di Varzi. di Piero Ventura





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