«L’Oltrepò PAVESE? Non è vino da discount è discount del vino»
Anno 12 - N° 136 NOVEMBRE 2018
20.000 copie in Oltrepò Pavese
pagina 4 e 5
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV
BRESSANA BOTTARONE Droschi: «Di fatto siamo alla paralisi. Mi pongo come federatore»
pagine 35
TORRAZZA COSTE Centro di solidarietà «Il nostro aiuto ai bambini del Congo»
In tanti dicono “aiutiamoli a casa loro”. Alcuni (molti meno) lo fanno per davvero, come la decina di volontari della Onlus Aleimar... pagina 22
GODIASCO SALICE TERME Nuova differenziata con il freno a mano, «Serve tempo per abituarsi» è partita, a dire il vero un po’ in sordina, la raccolta differenziata dell’umido nel capoluogo di Godiasco. Così come i vicini di... pagina 24 e 25
MENCONICO
«Azienda allontanata dalla sagra del tartufo? E’ stato solo un malinteso». Il sindaco di Menconico Donato Bertorelli interviene sulla... pagina 31
LUNGAVILLA «Ci riteniamo in disaccordo sull’utilizzo che fanno delle risorse»
Viabilità da migliorare, welfare e disinteresse generale per la vita politica del paese. è tra questi argomenti che si districa la chiacchierata... pagina 21
PANCARANA Il Bosco Arcadia: «Non è come andare in Piazza Meardi…» È sempre una buona notizia quando un’area degradata viene ripulita dal più vario inquinamento e riportata allo stato naturale... pagina 20
Oltrepò Pavese: Enduro sì, Enduro no? Per una volta, seppure su una materia che penso di conoscere bene, ricorro a Wikipedia, perché è, probabilmente, la definizione più immediata di che cosa è l’Enduro: “L’Enduro, fino agli anni settanta denominato Regolarità, è una specialità del motociclismo che si concretizza in gare di regolarità su percorsi prevalentemente sterrate, con medie velocistiche e tempi d’impiego prefissati, nel rispetto del codice della strada vigente”. Ecco, in pochissime parole, l’essenza della specialità. Si parla di regolarità, di rispetto di codice della strada seppur su strade prevalentemente sterrate. Ed è qui che nasce il vero problema. Le strade sterrate, i relativi divieti e la tanta confusione. pagine 32 e 33
Gounela che per le tradizionali luminarie non metteranno a disposizione neppure un euro. Del Conte, tra i quattro responsabili, è sicuramente quello con il dente più avvelenato: «Il mercato cittadino è in costante declino e il Natale che arriva per la mia categoria sarà triste» attacca il numero uno di Apva. pagina 10 e 11
L’assessorato alla cultura del Comune di Varzi “tira la volata” in vista delle prossime elezioni provando a lasciare una traccia indelebile del suo operato: l’inserimento del paese tra “I Borghi più Belli d’Italia”. Del prestigioso club in Oltrepò Pavese fanno parte oggi soltanto Fortunago e i “rivali” di Zavattarello, e la riuscita dell’operazione consentirebbe a Silvia Giacobone di concludere... pagina 27
news
«Oltrevini? È finito di morte naturale: aveva un male inesorabile, il localismo» Piero Sarolli ha ricoperto incarichi di primissimo piano, come quello di Assessore all’Agricoltura e al Turismo di Regione Lombardia. Ma anche quello di coordinatore nazionale degli Assessori al Turismo e di vicepresidente dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo. Indubbiamente può vantare titoli ed esperienze con i quali in pochi possono competere. Da oltre vent’anni ha abbandonato la politica attiva; ma oggi, a 78 anni, sta lavorando per costruire un progetto di interesse collettivo che punta a creare nuovi spazi di attrattività in ambito cicloturistico. pagine 36 e 37
oltre
Il sindaco: «Tartufo Gate? Soltanto un malinteso»
«Non si può sempre chiedere e basta». Rocco del Conte, responsabile di Apva, una delle associazioni dei venditori ambulanti vogheresi, spiega così il senso della lettera inviata al Comune in cui le quattro associazioni di categoria (Apva, Acol, Ascom e Artigiani) hanno messo le mani avanti in vista del Natale, facendo sapere a Palazzo
Varzi tra “I Borghi più belli d’Italia”? «Abbiamo le carte in regola»
il Periodico
Le acque della politica bressanese sono ormai da tempo agitate, e la situazione non accenna a placarsi. Stiamo entrando nell’ultimo inverno...
«Niente soldi al Comune per le luminarie. Quest’anno investiamo su noi stessi»
Editore
POLITICA
il Periodico News
NOVEMBRE 2018
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«Cosa manca ai produttori d’Oltrepò? Andare d’accordo» Da Marzo 2018 è Onorevole Deputato della Repubblica tra le fila di Forza Italia, ma da anni è membro dell’Ufficio di Presidenza e Responsabile della Formazione del Partito. Dal 2009 al 2014 è stato Sindaco di Pavia, conquistandosi il titolo di “Sindaco più amato d’Italia”. Abbiamo per la prima volta incontrato Alessandro Cattaneo. Com’è la situazione nazionale che stiamo vivendo? «A livello nazionale, io credo che questa manovra economica segni un po’ uno spartiacque: se viene confermata così come ci è stata presentata, noi non possiamo che essere all’opposizione tout court! Siamo molto contrari a questa impostazione economica, che è anche un‘ impostazione culturale, che vìola, secondo noi, e tradisce molti valori del Centro-destra; quindi su quest’idea di Paese che si legge all’interno di questa manovra finanziaria siamo molto preoccupati e facciamo un’opposizione dura, a 360 gradi. Come Forza Italia abbiamo fin’ora un po’ distinto l’azione del governo, sostenendo le politiche sull’immigrazione e la sicurezza, per dirla tutta, con Salvini e attaccando, per esempio, il Decreto Dignità ed alcune follie, come la politica delle infrastrutture, anzi delle non infrastrutture, con i 5 stelle... ma questa manovra economica». Non ritiene congruo il messaggio di opposizione a questa tipologia d’Europa? «Credo che tutti vediamo che stiamo vivendo un grande malcontento rispetto all’Europa, e questo è vero, è un dato. Però, cominciamo a parlare di che idee ci sono. Noi come Forza Italia crediamo che vada cambiata da dentro. Io andrò ad Helsinki il 7 e l’8 novembre prossimi al Congresso Europeo del PPE. Sono uno dei delegati per scegliere il prossimo candidato al posto di Juncker, perché di Juncker ne abbiamo abbastanza anche noi di Forza Italia... si parla o di un tedesco, Weber, o di un Finlandese, però parleremo, al di là delle persone, delle idee, di come cambiare quest’Europa da dentro. Io non credo che possiamo tornare indietro ai nazionalismi, ai sovranismi: ci ritroveremmo più deboli, facendo anche il gioco delle superpotenze. La strada è segnata: sì ad un’Europa diversa, ma comunque con la prospettiva di stare insieme, trovando una sintesi diversa da quella che abbiamo visto. Che poi alla fine, alla resa dei conti, Orban e Macron sono egoisti allo stesso modo, due facce della stessa medaglia. Noi dobbiamo trovare un’altra chiave». In un’Unione Europea che non ha neanche uniformato le prese elettriche nei vari Paesi? «Sono d’accordo, è vero. Purtroppo oggi è una sommatoria di stati che hanno ceduto un po’ di sovranità, qualche euro, hanno deciso di adottare una moneta comune ma
Alessandro Cattaneo continuano a ragionare ognuno in maniera egoistica, anzi magari parassitando il vicino europeo. Forse paradossalmente è il momento in cui fare una grande Costituente europea in cui ci si guarda in faccia, ci si dicono le cose che non vanno, poi si sceglie una strada comune per lanciare una sfida che ormai è indifferibile, perché noi senza comunque una chiave per stare insieme veniamo mangiati!». Veniamo più verso il nostro territorio. Ruggero Invernizzi è presidente della Commissione Agricoltura in Regione Lombardia. Regione Lombardia ha avuto tre amministrazioni molto forti a firma Roberto Formigoni, poi Maroni, ed ora trova Fontana, che da la sensazione di essere più “debole”, mi passi il termine, rispetto ai predecessori. Lei cosa ne pensa? «Indubbiamente, gli anni di Formigoni sono ricordati da tutti, dal punto di vista amministrativo, come gli anni più belli e più importanti, terminati con eccessi ed errori di cui dobbiamo essere consapevoli, ma questo non toglie la sussidiarietà, la partnership pubblico/privato con le opere che sono state fatte in quegli anni... sono opere a cui tutti guardiamo oggi con grande positività. Per altro, il Centro-Destra vince da 6 Elezioni consecutive in Lombardia. Fontana l’ho conosciuto da sindaco, ho lavorato con lui in Anci a Roma e ne ho molta stima. è una persona riservata, sobria e, forse, in quest’era in cui viviamo male non fa. è un gran lavoratore, con quella meticolosità e laboriosità molto lombarda, sicuramente non sotto la luce dei riflettori, ma in silenzio. E dà le risposte che il territorio necessita. Quindi, secondo me è un ottimo Presidente. A Pavia, come Forza Italia, siamo contenti di essere riusciti ad imporre Ruggero Invernizzi alla Presidenza della Commissione Agricoltura: l’abbiamo imposto non perché siamo belli e simpatici, ma, come abbiamo raccontato in Campagna Elettorale, perché
questo territorio mancava da troppo tempo di Persone nei punti decisionali, e tramite, con un grande lavoro di squadra, la mia candidatura alla Camera ,come segretario provinciale, e Ruggero come candidato alle Regionali, abbiamo portato il Partito al 18%, la percentuale più alta per Forza Italia di tutte le province lombarde!». Invernizzi sta lavorando bene, secondo lei? «Ruggero sta lavorando soprattutto su due ambiti, che sono quelli in cui non c’è da inventare niente: riso e vino. è anche già da tempo competente in ambito di caccia ed altre tematiche; ha fatto per anni l’assessore provinciale alla caccia. Sul vino questo territorio ha enorme bisogno, c’è da passare ai fatti. Avendo anche il Ministro Centinaio alla partita, possiamo veramente fare bene, e quindi sul vino c’è bisogno di raccogliere le potenzialità che questo territorio ha». Cosa manca ai nostri produttori secondo lei? «In sintesi: andar d’accordo! E questo la dice lunga... Poi vede, esiste un paradosso: noi abbiamo 10.500 ettari di produzione; averne così tanta, rende non semplice trovare un equilibrio tra la qualità, oggi doverosa ed assoluta , ma anche la quantità! La Francia Corta ha 2.500 ettari, è piccolissima. Loro vendono bottiglie a 50,00 euro l’una, noi vendiamo a 50,00 euro le damigiane... Questo non va bene, e l’Oltrepò, secondo me, deve chiudersi in una stanza, decidere, fare un piano industriale, ed essere tutti uniti e percorrere una strada di marketing territoriale vero, dove c’è spazio per i piccoli agricoltori dell’Oltrepò ma anche per la Cantina importante che lavora sull’eccellenza, che ha tutte le carte in regola per competere con chiunque!». Alcune persone sostengono essere assolutamente ininfluente, ad esempio, che le strade siano in condizioni pietose: non è per questo che la gente non viene in Oltrepò. Cosa ne pensa lei? «Le strade fanno schifo, e qualche problema c’è. Anche per me, che frequento l’Oltrepò sia come Istituzione sia come cittadino con la famiglia, ormai arrivare dal mio amico di Zavattarello è un viaggio difficoltoso. è vero che la provincia di Pavia ha 2.500 km di strade che sono oggi un’infinità per un bilancio totalmente svuotato. Anche sulla provincia, mi spiace dirlo, si giocano delle contraddizioni del governo nazionale: ecco un esempio molto concreto in cui un governo che è un mostro, un matrimonio contro natura, non potrà in eterno continuare a non scegliere! Dovrà arrivare, ad un certo punto, a fare delle scelte...». Noi non avremo nell’immediato soldi per le nostre strade? «Temo di no, perché questo governo, sulle Province, non ha preso decisioni...»
Poi ci sono i ponti... «Sul Ponte della Becca ci giochiamo tutti un po’ di credibilità. Tutti i ponti sul Po sono malconci, a dir poco. E’ una vergogna. Sui temi del vino, dei ponti e delle strade, al di là della casacca del Partito, a Roma dobbiamo indossare la casacca del territorio». Lei che incarichi ricopre? «Dopo un po’ di esperienza, son 10 anni che amministro a livelli importanti, ho capito una cosa: si può stare in tante commissioni a far tanti bei discorsi, ma poi c’è la domanda chiave che arriva sempre, quando fai il pubblico amministratore di questi tempi... Chi paga?! Allora, per rispondere a questa domanda, sono andato in Commissione-Finanza. Quindi i pavesi sanno di poter contare su una persona che, laddove la borsa si riempia o si vuoti, sarà presente per tutti i bisogni che abbiamo sul territorio». Com’è la situazione del suo Partito, Forza Italia? «Io sono sempre molto sincero: Forza Italia è in difficoltà. Però, c’è una buona notizia. Lo spazio politico io lo vedo, in tre parolechiave, per il futuro di questo partito. Prima: politica liberale, liberalismo assoluto! Quando oggi si sente parlare di liberalizzazioni, statalismo, centralismo, noi dobbiamo invertire la rotta e innalzare la bandiera del liberalismo! Questo Paese riparte se ripartono i privati! Seconda: riformismo! Non dobbiamo avere paura di riformare il nostro Paese alla base. Invece vedo che siamo in un momento di conservazione: i 5 stelle non vogliono fare perché non vogliono prendersi responsabilità, e questo non va bene... Terza: valori di riferimento cattolici conservatori! Non c’è da inventar nulla, l’anima dell’Italia è cattolica ed ha valori ben delineati che dobbiamo tornare ad innalzare senza timore! Con queste parole d’ordine lo spazio politico c’è. Parliamo di meritocrazia, di valorizzazione delle persone che valgono. Vuol dire ascensore sociale, vuol dire che i nostri figli possano star meglio dei nostri padri, ma hanno bisogno di speranza, non di odio e di vendetta sociale! Questo non ci appartiene, come popolo: non voglio un paese ripiegato su sé stesso. Queste sono un po’ le premesse, ed allora Forza Italia potrà risollevarsi!». Se Berlusconi non dovesse presenziare alla Campagna Elettorale delle prossime europee, chi potrebbe essere il cavallo vincente? «Berlusconi ha già dato tanto all’Italia ed al Partito. Forse è il momento in cui dobbiamo essere noi a dare qualcosa a lui ed al Partito. I leader nascono sempre da lotte furiose, non da un pranzo di gala: io sono insieme a tanti altri su un ring che vuole rilanciare con coraggio l’azione di Forza Italia». di Lele Baiardi
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il Periodico News
CYRANO DE BERGERAC
NOVEMBRE 2018
«L’Oltrepò? Non è vino da discount. è discount del vino» L’altra sera mi ha folgorato così un amico invitato a cena che ne sa molto di prezzi e di marketing. Un amico che lavora in grande distribuzione e che ha quotidiani contatti con produttori, cooperative e imbottigliatori. Mi ha spiegato, facendomi esempi chiari, che il primo problema dell’Oltrepò Pavese, con la sua storia e il suo potenziale vitivinicolo, il suo essere capitale italiana del Pinot nero e della spumantistica Metodo Classico, risiede soprattutto nell’ignoranza di chi arma le invincibili armate. Ho chiesto cosa fossero e mi è stato risposto che sono quei capitani d’industria che prosperano assicurando di vuotare le cantine dei produttori sempre un po’ prima, precisando però sempre «venendosi incontro con il prezzo» e infischiandosene di quanto producano davvero i vigneti, tanto poi lo sanno tutti che in Oltrepò i conti li hanno fatti tornare come dimostrano le note inchieste che testimoniano solo come siano stati cresciuti ed educati grande parte dei viticoltori. Si tratta di folte schiere di persone che anziché portare le uve dove si lavorava bene, negli anni le hanno portate dove il canto delle sirene era più forte, dimenticandosi di essere loro stessi padroni di cantine sociali e di un mercato che poteva essere plasmato in maniera molto differente. Il mio ospite mi ha raccontato che negli anni ’90, suppergiù, il Bonarda più d’immagine dell’Oltrepò, la Rubiosa di Le Fracce, era venduta a 8.000 lire più IVA. Equivale a dire che oggi dovremmo trovare in circolazione buone bottiglie di Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC a 10 euro per ciascuna bottiglia. Nella realtà delle cose oggi di quel prezioso vino, che nasce dal nobile vitigno autoctono Croatina, sapete cosa ne è stato? Me l’ha spiegato il mio amico buyer: con 10 euro il consumatore che segue le offerte continuamente proposte dalle diverse insegne compra almeno 6 bottiglie proposte da imbottigliatori che acquistano un litro di Bonarda delle colline dell’Oltrepò entro una forbice di prezzo che oscilla tra 70 e 80 centesimi al litro, cioè a prezzi da acque minerali prestigiose in vetro senza scomodare quella di Chiara Ferragni come ha recentemente fatto il ministro dell’Agricoltura, Gian Marco Centinaio, spiegando dal canto suo che è incredibile trovare una minerale enormemente più cara di un vino quotidiano dell’Oltrepò. Davvero è solo colpa dei produttori? Io ho rimproverato al mio amico ospite a cena, molto divertito dal descrivere la «Fattoria degli Animali» che ai suoi occhi è il nostro territorio, che la “sua” grande distribuzione ha precise e pesanti responsabilità nella corsa al ribasso. Lui non si è scomposto,
ha sorriso e mi ha detto: «Noi facciamo il nostro mestiere, che ci deve portare a vendere e guadagnare il massimo, sapendo che ogni centimetro a scaffale per noi ha un costo. Certo, non tutti i territori fanno a gara per deprezzarsi come l’Oltrepò. Basta che io chieda e qualcuno che arriva al mio prezzo lo trovo sempre, senza eccezioni. Fuori dalla mia porta, si accalcano anche insospettabili che vedo poi dar lezioni ad altri di mercato, di testimonial e di strategie d’impresa». Io il mio amico l’ho mandato via senza dessert, ma l’amarezza nel sentire queste cose è rimasta a me che ho rimuginato a lungo sulle sue parole. Ne ho dedotto che l’oltrepadano è debole, senza orgoglio e che si beve qualsiasi storiella venga buttata lì da chi vuole alzare lo sconto. Mentre tutto questo accade sul nostro uscio di casa, a livello nazionale Unione Italiana Vini ha messo in guardia su quanto sta accadendo, come ha ripreso nella sua rubrica settimanale sul quotidiano Libero il produttore Pierangelo Boatti, patron di Monsupello, l’azienda più premiata dell’Oltrepò nella storia, non a caso rimasta fuori dal Cda del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese all’ultimo rinnovo cariche per evitare – si dice all’enoteca Il Pane di Rosa di Casteggio - di doversi rompere la testa a parlare di spumanti di alta gamma, prezzi giusti e quelle brutte robe lì che fanno andare la pizzata carbonara di traverso. Boatti nel suo corsivo domenicale ha ricordato che la Commissione Europea ha diffuso le stime sulla produzione di vino e mosti 2018, che confermano le previsioni vendemmiali dell’osservatorio del Vino di Uiv-Ismea, presentate al Ministero ai primi di settembre, da cui emerge che l’Italia sarà il primo produttore in quantità con 49,5 milioni di ettolitri, facendo registrare un +16% sul 2017, davanti a Spagna
(47) e Francia (46). Nonostante la bella notizia e a fronte di una vendemmia molto generosa in quantità, c’è un ingiustificato andamento al ribasso dei prezzi dei vini sui mercati. Lo dice Unione Italiana Vini: «Constatiamo con piacere che i dati forniti dalla Commissione Europea sono allineati a quelli diffusi dall’Osservatorio del Vino - commenta Paolo Castelletti, segretario generale di Unione Italiana Vini - . A fronte di questi dati - sottolinea ancora Castelletti - è doverosa una riflessione sull’andamento dei prezzi. Per quanto sia stata generosa questa vendemmia, infatti, denunciamo una riduzione delle quotazioni dei vini all’origine assolutamente ingiustificate e che sembrerebbero frutto di logiche speculative, assolutamente dannose per il settore». Secondo Castelletti, un guru del settore non un uomo da osteria come me, a fronte di una vendemmia leggermente superiore rispetto alla media degli ultimi anni, controbilanciata, però, da un dato sulle giacenze al 1 agosto inferiore del 10% rispetto al 2017, la disponibilità complessiva del prodotto non giustifica le tensioni al ribasso dei prezzi dei vini che si stanno rilevando sui mercati. In Oltrepò va peggio che altrove. Il giorno prima dell’assemblea di Terre d’Oltrepò, che quest’anno ha pigiato 500.000 quintali di uva (circa la metà dell’intero territorio), un gruppo di soci ha portato all’attenzione delle cronache locali la propria disperazione. I soci parlano di «vergognosa remunerazione» proposta per l’anno 2017 con una media di 59,5 euro al quintale per i conferitori totali e la raffrontano a quella di altre zone vinicole confinanti: 70 euro al quintale per il Gutturnio a Piacenza, 90 euro per l’Asti Barbera DOCG, 105 per l’Asti Moscato. «Se non è aumentato il prezzo dell’uva l’anno scorso, con una produzione di uva estremamente scarsa, temiamo
che non aumenterà più – hanno spiegato i dissidenti -. Per il 2018 la situazione sembra ancora più grave, considerata la grande massa di uve prodotte, e ci chiediamo quali saranno i prezzi e se ci saranno le risorse per liquidarci». Il gruppo di soci ha aspramente criticato anche l’acquisizione della cantina La Versa, in cordata con il colosso Cavit (quota 30%): sotto accusa i costi gestionali degli esercizi futuri (63 mila euro di perdita a bilancio 2017 e passivo di 436 mila nel 2018). Il comitato ha spiegato sui giornali: «Vogliamo dimostrare il nostro totale disaccordo nei confronti della dirigenza societaria e tecnica che con è in grado di conseguire l’obiettivo di aumentare il prezzo delle nostre uve, realizzabile solo con politiche di mercato più espansive e aggressive». Alla fine comunque la maggioranza ha votato diversamente, sperando di poter continuare a sopravvivere visto che le alternative sono poche dopo che la Cantina di Soave era stata indotta a ritirarsi dall’affaire La Versa. Semi monopolio era e semi monopolio deve continuare ad essere, perché piace così. Terre è il soggetto che in Oltrepò remunera meglio, tuttavia meglio non chiedersi quale sia stata a livello locale la curva calante della remunerazione delle uve da vent’anni a questa parte. Come si fa davvero a capire cosa vogliono i produttori? Le idee sono tante e spesso contraddittorie. Mi sono documentato su Internet. Sfogliando il sito del Consorzio ho trovato nell’area tecnica un interessante studio dell’Osservatorio Wine Marketing a cura dell’Università di Pavia nel quale si legge: «Su quali prodotti vogliono puntare e in quali mercati vogliono essere presenti le aziende vitivinicole oltrepadane nel prossimo triennio? Il Metodo Classico a base Pinot nero, in tutte le sue variazioni
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e declinazioni, è il vino che viene sentito come più rappresentativo da oltre la metà del campione. Segue il Pinot nero anche declinato in rosso. Il Bonarda è visto ancora da oltre il 40% del campione come vino di punta del territorio, declinazione di rosso fortemente legata alla tradizione e immagine vitivinicola dell’Oltrepò. Infine è significativa l’intenzione di molti produttori di puntare su un rosso fermo ‘importante’, un vino strutturato sia giovane che da invecchiamento, un blend che possa competere sui mercati nazionali e internazionali con i grandi rossi di altre regioni italiane. Prendendo invece in considerazione i mercati esteri verso cui sono orientate le aziende spiccano Stati Uniti, Germania e Giappone quali punti cardine; in particolare gli States sono stati indicati da oltre un terzo del campione». Si fa presto a dire “export”, purtroppo meno di un terzo delle aziende del territorio è strutturato per poter far fronte a ciò che comporta in termini di organizzazione, professionalità interne e investimenti. Per di più pesa un fatto: l’assenza assoluta di una percezione vino-territorio. Se dici Franciacorta dici spumante Classico. Se dici Barolo dici rosso di fama mondiale. Se dici Lugana dici bianco internazionale. Se dici Timorasso dici trend
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nazionale e storia di riscoperta. Se dici Valtellina dici Nebbiolo delle Alpi. Se dici Oltrepò cosa succede? Laqualunque. Per capirlo mi sono mimetizzato tra i produttori a una recente degustazione guidata e ho chiesto un po’ in giro. Mi sono reso conto di aver scoperchiato una vera Babele. C’è chi non essendo strutturato per produrre Metodo Classico, che richiede comunicare qualità e immagine aziendale (fatica), denigra tra le righe gli sforzi dei colleghi, demolisce il valore aggiunto territoriale del Pinot nero spumante Classico e spinge a fare concorrenza al Prosecco con trent’anni di ritardo, avendo magari il solo argomento di costare un po’ meno. C’è chi avendo molta Bonarda da piazzare e non conoscendo il valore collettivo di una denominazione con tanta storia alle spalle regala il vino della tradizione locale a grandi imbottigliatori professionisti del “primo prezzo”, spiegandoti però con fare democristiano deteriore che ognuno fa il suo lavoro e ha il suo mercato… sì, come se esistesse una Ferrari da 270.000 euro e una da 27.000 euro con lo stesso nome per un target più popolare (vedasi a quanto si vende l’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG al discount più noto per le svendite del vino). C’è poi chi non producendo Riesling critica chi lo fa, bene, nell’area ter-
ritoriale maggiormente vocata, spiegando che non si potrà mai arrivare a enormi numeri… sì, perché per l’oltrepadano medio necessita “inondare” non “produrre”. Ci sono poi i produttori di Buttafuoco che capiscono che il frizzantino al supermercato a basso prezzo con lo stesso nome toglie valore al loro rosso fermo importante, un vino da contemplazione, ma non chiudono il cerchio per non scatenare tempeste sui colli di Canneto Pavese. Non parlate poi di tracciabilità perché le cose sono due: o moltissimi non hanno capito quale sia l’importanza di combattere le frodi oppure a casa loro il sogno è sempre praticare l’aumma aumma… Nelle ultime settimane è poi riesploso il tema dei mediatori, quelli che secondo una base che ragiona così (cioè non ragiona), avrebbero anche loro gravi colpe sul mancato decollo a valore dell’Oltrepò. Al bar di Santa Maria della Versa ho sentito a tale riguardo una frase che non ho capito: «A furia di fare i furbi poi li pizzicano e… ne vedremo delle belle». Ci sono poi gli ultras del «si froda per disperazione». Ogni re ha il suo regno e ogni pagliaccio il suo circo. In realtà l’Oltrepò Pavese deve gioire perché ha realizzato alla perfezione il suo disegno: è il discount del vino che vuole essere, nonostante la
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foglia di fico del fatato Tavolo Regionale, dove si fabbricano parole e non arrivano investimenti, meritocrazia e riforme in termini di «contano tutti» e non «contano in pochi». A Broni, durante un pranzo di lavoro, ho sentito un signore sulla cinquantina che spiegava durante un’animata discussione che se la Regione avesse voluto far qualcosa per l’Oltrepò Pavese non avrebbe lasciato spegnere per anni il Centro Riccagioia, non avrebbe abbandonato al proprio destino la prima Enoteca Regionale della Lombardia a Cassino Po di Broni, non avrebbe trattato un problema politico come l’Oltrepò come un fatto tecnico: «All’Oltrepò non serve dire la sua, perché l’ha fatto per oltre trent’anni con risultati evidenti. All’Oltrepò servono una guida e regole ferree tra i produttori. L’autogoverno è impossibile. Il ministro Centinaio se la sente di dettarle? L’assessore Rolfi riesce a completare la trasformazione da Clark Kent a Superman e picchiare i pugni su quel tavolo al quale tutti sembrano andar d’accordo per finta? Qualcuno se la sente di prendere il toro ubriaco per le corna?». Senza un intervento forte si generano solo balletti e leccaculismi. Chi vive sperando… di Cyrano de Bergerac
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il Periodico News
VOGHERA
NOVEMBRE 2018
«CasaPound prende pochi voti, ma ha peso nelle strade» Da sempre riconosciuto uomo di cultura, anche se quando gliene fai un pregio nega in modo modesto e gentile, sia negli ambienti politici sia in quelli amicali, porta in modo giovanile i suoi 65 anni, molti di questi passati a leggere e studiare. E questa propensione l’ha trasferita nella sua attività, gestendo la sua famosa libreria cittadina. Abbiamo incontrato Giovanni Bottazzi. Bottazzi quando inizia il suo percorso politico? «Ho iniziato ad interessarmi di politica durante la campagna elettorale delle Regionali del 1970 (prima tornata elettorale regionale della storia d’Italia, n.d.r.), quando Almirante sostenne che l’istituzione delle regioni era un errore enorme». In quel momento c’erano solo le Province, oltre ai Comuni? «Sì. In quella campagna elettorale andai a sentire i primi comizi in Piazza Duomo, erano molto seguiti allora. Poi, i comizi Missini erano divertenti perché c’era uno sparuto gruppo di attivisti sotto il palco, intorno alla piazza uno schieramento di polizia, poi un folto gruppo di carabinieri, un folto gruppo di extraparlamentari di sinistra che contestavano il comizio anche violentemente, e poi tantissimi curiosi». Lei ha mai avuto un ruolo in Comune? «No, la mia carriera politica è assolutamente fallimentare, soltanto idealistica. Il massimo risultato ottenuto è stato quello di consigliere del Quartiere-Centro, credo fosse inizi anni ’90. Prima, tra l’85 ed il ’90, ero nella Legione Straniera, in Francia e dove mi hanno mandato, ed in cinque anni sono venuto a casa in licenza, abusivamente, 6 o 7 volte. Ero rimasto iscritto all’MSI, ma teoricamente non avrei mai potuto lasciare il suolo francese: seguivo la politica perché ero abbonato al Giornale, quello di Montanelli, che mi arrivava via-posta in caserma».
«La mia carriera politica è assolutamente fallimentare, soltanto idealistica»
rivista “Gerarchia”. Però la parola “fascista” ormai non significa più nulla, se usata politicamente in modo polemico: in politica non significa più niente». Chi le piace della città e dell’Oltrepò Pavese come figura politica? «Premesso che non sono in grado neanche di esprimere un giudizio, perché i politici attuali della nostra zona sostanzialmente non li conosco, ammiro i giovani di CasaPound e di Forza Nuova perché cercano eroicamente di contrapporsi a questo sistema. Elettoralmente hanno scarsissimi risultati, però sulle strade giocano il loro ruolo. Secondo me, è molto più difficile essere oggi posizionati come lo sono loro, rispetto agli anni ’70, perché in quegli anni solo per fare una battaglia difensiva rispetto al comunismo avanzante, tanti si ritrovavano anche inconsapevolmente nelle file del Movimento Sociale. Il resto lo guardo ma non posso dire di nutrire ammirazione per alcun leader politico». Neppure per un leader a livello nazionale?
Giovanni Bottazzi
Indubbiamente, in confronto a quegli anni, ci sono state delle trasformazioni radicali... «Certo! Per esempio, ai miei tempi ogni Partito politico aveva un suo movimento giovanile, una sua modesta biblioteca... Allora i giovani si interessavano molto di più alla politica: non so se fosse un bene o un male. In quegli anni, sotto l’influsso del ’68, la gran parte dei giovani era schierata a sinistra o all’estrema sinistra; però era molto più facile interessarsi alla politica e parteciparvi». Lei ritiene che la scomparsa delle federazioni giovanili nei partiti possa essere stata una cosa voluta dal sistema politico stesso? «Sicuramente il disinteresse per la politica é funzionale al sistema mondialista, cioè alle oligarchie finanziarie che governano l’Europa ed il mondo. Se i giovani non sono reattivi rispetto a questi disegni e a queste strategie, che poi pagano sulla loro stessa pelle, per loro è meglio. Bisogna anche dire che oggi si sta affermando un tipo di gioventù, che io chiamo polemicamente “la generazione Erasmus”, sradicata dal contesto familiare, nazionale e religioso, che vaga per il mondo: magari si ritiene più dignitoso fare il lavapiatti a Londra, sottopagato, che non l’agricoltore in Valle Staffora, quando esattamente la verità sta all’opposto!». Lei pensa che ci siano ancora una sinistra, una destra , un’estrema sinistra e un’estrema destra? «Sono termini largamente logori... La gente mi definisce fascista: io non mi offendo per questa definizione, però è sbrigativa. Quando hanno fatto questa scritta sulla
Bottazzi: «Si ritiene più dignitoso fare il lavapiatti a Londra che l’agricoltore in Valle Staffora» bacheca (vetrina della libreria imbrattata pochi giorni fa, n.d.r.) non c’erano libri provocatori esposti. Anzi, per combinazione c’era questo libro di Marta Bertazzone che è tutt’altro che schierata con la mia linea politica! Fa parte del Circolo Voghera Est, è completamente dall’altra parte! Sono certo sciocchezze rispetto a quello che è successo negli anni ’70, però...». Quando sente additare Salvini come fascista, cosa pensa? «Qui il termine fascista è sbagliato, ma attenzione: questa è una polemica! La sinistra ha sempre definito fascisti i suoi avversari: fascista Berlusconi, Fanfani, Andreotti! Quando c’era Fanfani, gli extraparlamentari di sinistra di Lotta Continua, che adesso magari sono in gran parte in Forza Italia e sono manager, banchieri, etc., cioè il peggio, chiamavano Fanfascismo il pensiero di Fanfani. Fanfani era un ex-fascista, come la gran parte dei democristiani, come parte anche del partito comunista: ad esempio Ingrao era un ex esponente del fascismo. Lo stesso storico locale, Ugoberto Alfassio Grimaldi, ha avuto un passato prestigioso nelle file del fascismo: collaborava e scriveva sulla
«Dal punto di vista della difesa degli interessi nazionali non posso non dire che Salvini in questo momento stia tenendo un atteggiamento dignitoso di fronte all’arroganza del sistema Europa, che è un sistema finanziario con il peggior capitalismo che sia mai esistito nella storia. Non è un’Europa delle nazioni e dei popoli, e sotto questo profilo lo rispetto, ma alla Lega imputo una colpa gravissima, perché se oggi non esiste quasi più un sentimento di identità nazionale, di patria, in questo processo ha giocato si un ruolo la cultura marxista del ’68, ma anche la sferzante critica politica che la Lega ha fatto con Bossi della bandiera, dell’unità italiana, per cose inconsistenti come la Padania ed il federalismo. Intelligentemente, Salvini ha cercato di riprendere, magari imitando la Le Pen, un respiro nazionale». Lei ha un ruolo attivo in politica, ora? «No, anche se il movimento CasaPound della provincia di Pavia posso dire che praticamente è nato in questa libreria con due miei amici. Quindi un minimo di prosecuzione politica c’è stata». di Lele Baiardi
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Antonella Dagradi si rimette in gioco «Darò una mano al PD» L’importante cognome è parte della storia vogherese dal dopo-guerra ad oggi. Suo padre Riccardo, al quale è intitolato il Centro natatorio cittadino, fu il primo sindaco di Voghera post-1945. Lei è stata consigliere comunale e candidato sindaco, oltre che apprezzata insegnante del Liceo Classico “Grattoni”, ora in pensione. Abbiamo incontrato Antonella Dagradi. Partiamo da lei: ad una signora non si chiede l’età, ma... più o meno? «Ne ho 66 (sorride)...». Complimenti! Veniamo alle cose serie: ovviamente la politica è sempre stata aria di casa... «Sicuramente. Mio padre è stato il primo sindaco del dopoguerra. Il mio coinvolgimento è stato proprio legato alla sua figura. Alle prime elezioni cui dovetti partecipare, lui era in ospedale ed aveva più di ottant’anni, non poteva per ovvi motivi più partecipare. Quindi mi chiese di entrare a far parte del mondo politico: non mi son sentita di rispondere no. Entrai in lista, come indipendente, nel Partito Comunista con la candidatura di Italo Betto, prima, e poi di Ernesto Gardella. è stata un’esperienza in cui, devo dire la verità, non ho dato molto dal punto di vista personale, proprio perché non era stata una scelta mia, era solo una volontà di rispettare mio padre. Non mi sono mai sentita parte del Partito, tanto che fino a più di 50 anni non mi sono mai iscritta». Non le piaceva completamente neppure Enrico Berlinguer? «Ma non è il fatto di persone... insomma, forse sentivo che il comunismo, così com’era, ed anche il socialismo, come si era trasformato da utopico, in un certo modo, a reale... non mi quadrava, c’era qualcosa che non tornava.. Per cui, dopo questa esperienza, non mi sono più candidata. Ho continuato a fare la mia vita di insegnante». In quella prima tornata lei non è stata eletta neanche consigliere comunale? «Sì, sono stata eletta consigliere comunale. Infatti, credo sia stata forse un’occasione sprecata da parte mia, perché allora c’erano le condizioni per “fare carriera politica”. Però, onestamente, l’esperienza non mi aveva coinvolto, e quindi poi ne son stata fuori. Il mio, se si può chiamare, ritorno voluto e sentito è stato nel momento in cui è nata “la Rete” di Orlando, in Sicilia. Questo perché allora a Voghera c’era Filippo Genola, ed un po’ di amici. Avevamo organizzato alcune serate, tra le quali una con il giudice Caponnetto, e coinvolto diversi giovani... Era un momento in cui ci si credeva, in effetti...». Quando fu candidato sindaco? «Nel 2000 c’è stato il mio coinvolgimen-
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Antonella Dagradi
to, su richiesta di Paolo Affronti, in una coalizione ampia, dopo la pausa del sindaco Scotti che non era stato più ricandidato dal suo Partito, La Margherita. Si stava andando verso il bipolarismo: ricordo che c’era l’esigenza di dare vita ad una coalizione che si contrapponesse al CentroDestra. C’è stata la richiesta esplicita di rendermi disponibile, ed ho risposto “ci penso, e se il mio nome può essere motivo di unione, va bene”. E dopo varie vicissitudini, non vissute da me in prima persona, si è arrivati alla mia candidatura a sindaco. Dall’altra parte c’era Torriani, e sappiamo che Torriani ha vinto, meritatamente, e che ha fatto il sindaco. Io ho continuato, direi data l’età, sempre più consapevolmente a vivere questo ruolo di consigliere comunale, però ho cominciato a rendermi conto che non avevo più forse né la voglia né il coinvolgimento di altri con cui fare davvero opposizione... e da lì ho smesso». E da quando si è iscritta al partito? «Mi sono iscritta al partito quando Veltro-
ni ha tentato di creare un PD diverso, con la possibilità aperta ad esempio ai Socialisti, che avevano vissuto un loro percorso difficile, con l’intento di fare un partito che fosse in grado di governare. Credo nel 2006». è ancora iscritta? «No. Mi ero iscritta non tanto per entrare nella politica vogherese, ma proprio perché, come momento storico, ritenevo che mi dovessi iscrivere a quel PD di Veltroni, ci ho davvero creduto. In realtà poi, Veltroni è stato spazzato via prima che potesse anche solo tentare di costruire qualcosa di buono, ed allora mi sono scocciata, e quindi non mi sono più iscritta». Lei è assolutamente europeista? «Sì, sì, decisamente! Meno male che c’è stata l’Europa e che c’è la Germania». Le piace Matteo Renzi? «Renzi non mi è mai piaciuto, però ho sempre pensato che in quel momento fosse l’unica persona in grado di poter svolgere questo lavoro, ed avesse la stoffa del leader. è inutile che dicano che il partito non
«Ero amica di Francesco Fiori, l’unico Europarlamentare vogherese, un dono che non ha mai sfruttato»
deve essere guidato! Ci vuole una persona che sia carismatica. Ritengo che adesso sia un momento estremamente difficile.. Allora con Veltroni lo era, ma con una prospettiva, cioè speravi di costruire qualcosa. Adesso di speranze non ne vedo. Quindi, ritengo che chi ha un minimo di interesse e di disponibilità forse dovrebbe di nuovo mettersi in campo... e siccome Alessandra Bazardi, la segretaria del PD di Voghera, che è anche stata una mia alunna, mi ha coinvolto, ho accettato, pensando che se posso in qualche modo esser loro utile... lo faccio con piacere». Quindi ha ripreso a frequentare la segreteria del Partito cittadino? «Frequentare non posso perché non ci sono mai: torno solo il fine-settimana. Ma se in qualche misura potrò contribuire, lo farò». Quale è stata, sul territorio, la figura politica che lei ha ammirato di più? «Non è una risposta facile. Io credo che una persona che ha lasciato il segno sia stato Giovanni Azzaretti. Al di là del giudizio personale, penso alle cose fatte da chi ha un ruolo istituzionale. Lui per l’Oltrepò credo che abbia fatto molto. A livello Regionale, ero amica di Francesco Fiori... però gli ho sempre detto che non ha mai sfruttato le possibilità che il destino gli ha offerto. Gli ho sempre detto “sei l’unico vogherese che è stato Assessore Regionale, poi eletto al Parlamento Europeo: quando mai un altro vogherese arriverà al Parlamento Europeo?”. Non ha sfruttato, a vantaggio del suo territorio, questo dono che il destino gli ha dato». di Lele Baiardi
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L’ex segretario della Lega: «Non vedo politici oltrepadani» Classe 1950, vogherese, con una grande passione: la politica. Ha vissuto la Lega Nord dagli inizi, ed oggi ne fa una lucida analisi, senza perdonare nulla a nessuno. Neppure, comunque... agli altri Partiti! Abbiamo incontrato Antonio Zanforlin. Zanforlin, lei per tanti anni è stato un noto e combattivo rappresentante della Lega cittadina. Quando è iniziata quest’avventura politica? «Cominciò nel 1992 quando, insieme al compianto amico Gigi Fronti, abbiamo iniziato a “collaborare” con Fassini, usciere del Comune e Segretario cittadino della Lega. In realtà, l’allora Segretario ci ha coinvolti perché doveva preparare il programma elettorale delle elezioni comunali vogheresi... che alla fine ho redatto tutto io “in solitaria”. In tutta sincerità, avevo già avuto un’esperienza, anni prima, di candidatura nelle fila del Partito Socialdemocratico, a me effettivamente molto lontano, ma era stato più che altro una cortesia, un “riempi-lista”, fatta al mio medico curante d’allora... Comunque, ritorniamo alla Lega. Fassini ci chiese di metterci in lista: Fronti non poteva, essendo un funzionario comunale dell’Ufficio Case, e così accettai io». Come fu quella prima esperienza? «Guardi, pensavamo di avere un buon successo, invece... vincemmo! Entrai in Comune come consigliere comunale con la Giunta che vedeva sindaco il compianto Maurizio Ferrari. Feci anche il capo-gruppo, per un certo periodo». Partenza con grande successo, quindi? «No! Facemmo la nostra bella figuraccia, cadendo anzitempo senza molta gloria né onore ed andammo “a casa”. Anche perché, all’epoca, eravamo come i 5 Stelle di oggi. Quando ho visto nascere i 5 Stelle ho proprio avuto questa sensazione: è la Lega di allora! Supponenti, ignoranti, impreparati.
Il leghista della prima ora cui non piaceva Bossi, «Salvini è come un Balotelli, che può far la sua figura perchè non ha rivali»
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«I 5 Stelle oggi come noi leghisti di allora: supponenti, ignoranti, impreparati»
Antonio Zanforlin
Le faccio un esempio “pratico”: oltre alle amministrative, dovevamo sostenere anche le elezioni regionali di lì a breve. Quindi, chiedemmo “ai Nostri” cosa “sapessero fare” e fu una tragedia. Stravincemmo dappertutto, e non avevamo uomini in grado di andare ad occupare “i posti”. A quel punto fummo obbligati a reclutare “esterni” da sedere nei posti-chiave, che, ovviamente, si fecero gli affari loro! Ricordo un nostro... si fa per dire, assessore di quella giunta che, una volta finita l’avventura, finì tra i comunisti... le ho detto tutto! In assoluto, comunque, il peggior difetto d’allora fu la presunzione, esattamente come la vedo in Di Maio oggi, ancorché moltiplicata, se possibile. Noi avevamo quantomeno “l’alibi” di avere gente semplice, ignorante ma semplice. Questi non hanno neppure quell’attenuante... mi sovviene Toninelli, ad esempio. Comunque, noi eravamo presuntuosi, e con uno spiccato atteggiamento da Savonarola! Se arrivava un laureato in economia per ricoprire l’assessorato al bilancio dicevamo “No! Tu sei un poltronista, allora!”, e mettevamo una persona che di bilanci non capiva nulla! Tant’è vero che parecchia gente in gamba che aveva sposato la filosofia-Lega presto se ne andò. E così, ripeto, vedo i 5 Stelle, allo stesso livello, amplificato». Lei non pensa che questa nuova generazione possa essere una “formula studiata a tavolino”?
«No, ritengo sia tutta farina del proprio sacco! Purtroppo stiamo vivendo un’epoca dove abili politici non ce ne sono. L’unico che emerge un po’ è Matteo Salvini, ma che è un Balotelli che può far la sua figura perché non ha rivali...». A lei piaceva Umberto Bossi? «Così e così... Vede, io non ho mai avuto la capacità d’illudermi: le cose le ho sempre viste per com’erano e le ho sempre chiamato con il loro nome. Quando Bossi disse di Berlusconi che era un Galantuomo ed io avevo un manifesto riportante un incappucciato con scritto “Tessera n. 1822 della P2”, che era il Galantuomo, mi scusi ma... mi stai prendendo in giro; e solamente perché ti ha dato i soldi per comprare Via Bellerio ?! E poi ancora quel tizio che sparisce con una valigia con 200 milioni delle vecchie lire... Bah!, veda lei...». Il Professor Miglio e Franco Castellazzi invece le piacevano? «Miglio era persona altamente competente, certamente preparatissimo politicamente! Castellazzi... no comment! Ci stava, all’epoca, vendendo in blocco ai Socialisti! A quanto ricordo, aveva già con il PSI un accordo in Regione Lombardia di trasferimento di voti... Bossi lo spazzò via per questo motivo». Chi apprezzava della politica cittadina di allora? «Beh, gli altri Partiti avevano al loro interno persone davvero competenti. Io ho conosciuto Betto, Gallina, Gazzaniga: questi
erano in gamba e sapevano fare politica! E pensi che ho ricevuto, in seguito, più stima da loro che dai miei!». Che incarichi ha ricoperto nel Partito? «Sono stato diverse volte segretario cittadino, capo-gruppo e consigliere comunale, ed una volta candidato sindaco, proprio appena caduta la giunta Ferrari della quale abbiamo prima parlato. Persi contro Scotti». Oggi Salvini ha spazzato via Bossi ed i suoi... «Certo. La Lega, oggi, è un altro Partito certamente! Strutturato, efficiente... prende voti al Sud. Per noi sarebbe stato impensabile. Credo che, in quest’ottica, Salvini abbia escluso anche l’ultimo bossiano sopravvissuto, per altro bene, al vecchio Partito, che è stato Roberto Maroni, che a mio parere è una persona in gamba, forse poteva essere recuperato. Di quella Lega, parzialmente, della prima ora rimane Giorgetti, che apprezzo in quanto abile stratega; mi ricorda, nel suo modo di lavorare non in prima linea, Gianni Letta. Allo stesso modo tiene le fila del Partito sia all’interno sia all’esterno. Ed ancora rimane Calderoli, che non commento... ma Speroni, Borghezio, etc. via tutti! Borghezio credo sia tornato all’origine, in Forza Nuova. Devo riconoscere a Salvini l’abilità nell’aver impedito che Berlusconi potesse fare accordi con il centro-sinistra, e, nella fattispecie del Governo in carica, non aver praticato l’alleanza di Governo, bensì un accordo sul programma di governo, cosa ben diversa: le iniziative rimangono distinte, pregi e difetti pure!». Cosa pensa della Lega vogherese? «Non li conosco». Quale politico oltrepadano apprezza? «Non ne vedo...». di Lele Baiardi
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Natale “triste” per gli ambulanti «Mercato abbandonato a se stesso» «Non si può sempre chiedere e basta». Rocco del Conte, responsabile di Apva, una delle associazioni dei venditori ambulanti vogheresi, spiega così il senso della lettera inviata al Comune in cui le quattro associazioni di categoria (Apva, Acol, Ascom e Artigiani) hanno messo le mani avanti in vista del Natale, facendo sapere a Palazzo Gounela che per le tradizionali luminarie non metteranno a disposizione neppure un euro. Del Conte, tra i quattro responsabili, è sicuramente quello con il dente più avvelenato: «Il mercato cittadino è in costante declino e il Natale che arriva per la mia categoria sarà triste» attacca il numero uno di Apva. Del Conte, cosa non funziona? «Il mercato è abbandonato a se stesso, non c’è controllo su chi espone, ci sono banchetti cui mancano le certificazioni per le merci ma nessuno lo verifica, si vedono due vigili alle 8 e basta. Non c’è neppure sicurezza: l’altro giorno un ambulante ha parcheggiato il furgone nel cortile della Caserma e al ritorno non l’ha più trovato, gli è stato rubato. Per non parlare di quando si prova a organizzare qualcosa, uno sforzo per lo più vano». Cosa vorreste organizzare che non si riesce invece a fare? «Visto che Natale quest’anno cade di martedì abbiamo chiesto al Comune il permesso per fare un mercatino che copra l’intero weekend precedente e resti in piazza Duomo fino al 25. Ci hanno detto che si riuniranno per decidere a metà novembre ma è troppo tardi, queste non sono cose che si organizzano premendo un bottone, serve più tempo. Senza con-
rossi
tare la faccenda dei costi che Asm e Comune richiedono per plateatico e cauzione luci». Troppo alti? «Certamente. In ottobre volevo organizzare un mercatino europeo in piazza Duomo ma Asm e Comune hanno chiesto cifre spropositate e logicamente gli ambulanti non hanno accettato. Soprattutto tenendo conto che quei soldi che si devono anticipare li vedranno restituiti magari in otto mesi o più. In questo modo la gente si fa scappare da Voghera anziché portarcela». E così avete dato picche al Comune per le luminarie… «Non si può sempre chiedere o aspettarsi che i commercianti collaborino se non ci vengono incontro loro per primi. Fossi un Amministratore, e lo sono stato, mi chiederei perché la gente da Voghera se ne va». Usa toni più concilianti il numero uno di Acol Giancarlo Maconi, anche se il senso dell’«abbiamo già dato» riferito alla missiva per il Comune resta invariato. «Visto che l’anno passato per il discorso luminarie alla fine qualcuno aveva detto che i commercianti si erano “tirati indietro”, quest’anno abbiamo preferito essere meno ingenui e mettere le mani avanti. Una grossa mano al Comune – spiega Maconi – l’abbiamo già data questa estate organizzando e finanziando i giovedì sera in città che altrimenti non si sarebbero neppure fatti. Delle luminarie, che sono per tutti i cittadini e non solo a beneficio del commercio, si faccia carico il Comune». La crisi è proprio nera? «Diciamo che oggi spendere soldi a Vo-
Rocco Del Conte, Apva
ghera è un grosso problema, per cui non è possibile per i commercianti, nonostante la buona volontà, poter anticipare per le manifestazioni soldi che tra l’altro sarebbero restituiti mesi dopo. Per cui se decideremo di raccogliere dei fondi come associazione lo faremo solo per progetti fatti dai commercianti per i commercianti». La categoria intende comunque organizzare delle manifestazioni nel periodo natalizio? «La nostra apertura a collaborare con il Comune resta e siamo aperti a proposte. Per quanto riguarda l’associazione ci saranno delle singole iniziative e dei proget-
Rocco Del Conte attacca Comune e Asm: «Costi troppo alti per luce e plateatico, così la gente scappa» ti che coinvolgeranno negozi che vendono magari articoli di uno stesso genere, cose che però al momento sono in fase di definizione e quindi non si possono ancora presentare. Singole iniziative che comunque cercheremo di finanziare per quanto possibile». Crede che le iniziative dell’Amministrazione per aiutare il commercio, come ad esempio l’istituzione dei parcheggi liberi il sabato, siano efficaci? «I parcheggi gratis il sabato sicuramente una mano l’hanno data, ma in generale di grandi cose il Comune non può farne di fronte a una crisi generalizzata. I commercianti devono fare fronte comu-
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VOGHERA ne e usare l’inventiva per restare a galla. Il Comune potrebbe aiutare di più nelle piccole cose, come ad esempio snellire la burocrazia, rinnovando i regolamenti. Faccio un esempio. Chi in estate vuole far suonare all’esterno del proprio bar ha il limite alle 23:30 e ogni volta bisogna chiedere il permesso per andare avanti fino a mezzanotte. Ci sono alcune regole ferme agli anni 70 che potrebbero essere svecchiate e dare una pur piccola mano concreta, ascoltando le esigenze, anche “piccole” ma concrete, delle associazioni». La viabilità cittadina vi soddisfa? «La viabilità di Voghera, per essere una cittadina piccola, è piuttosto caotica ma è un problema annoso. Io vedo certi paradossi, come quello di via Bidone che dovrebbe essere chiusa al traffico mentre invece le auto sfrecciano». Chi punta molto sul Natale per aumentare il giro d’affari sono gli iscritti di Ascom, rappresentati da Cristina Palonta. «Solitamente per il comparto del commercio le vendite natalizie rappresentano una buona fetta del bilancio annuale, a seconda dei generi merceologici offerti la variazione oscilla tra il 30 e il 70% dei volumi». Per il Natale 2018 vi aspettate sempre questi numeri? «è ancora presto per prevedere gli andamenti, in quanto negli ultimi anni si è visto concentrare il giro di affari negli ultimi 10-15 giorni antecedenti le festività». Quest’anno non contribuirete alle spese per le luminarie natalizie. Come mai? Polemica con il Comune o crisi nera? «Essendo a contatto giornalmente con la realtà commerciale cittadina in questi ultimi anni è molto diminuita la propoensione ad una partecipazione economica da parte degli esercenti per vari motivi, quindi si è voluto comunicare subito all’Amministrazione la non intenzione a partecipare, tutto qui». Ci saranno però delle manifestazioni a fare da contorno alle feste? Pensate di organizzare qualcosa? «A seguito della non disponibilità comunicata per la gestione delle luminarie ci siamo resi disponibili nei confronti dei Commercianti a valutare proposte di organizzazione eventi ed animazioni a corollario dello shopping natalizio».
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che una richiesta di grandi operazioni procommercianti assomiglierebbe oggi alla classica letterina a Babbo Natale. «L’unica manovra che potrebbe dare una svolta alla situazione potrebbe essere un deciso intervento sulla fiscalità locale, per ridurre le tasse sulle attività, ma d’altra parte se i trasferimenti statali sono in perenne diminuzione è logico che per il Comune è impossibile pensare di intervenire in tal senso in maniera netta». Ci sarà pure però un piccolo “regalo” che la sua categoria si aspetterebbe sotto l’albero… «Quello che abbiamo già chiesto anche alla giunta precedente e che chiederemo anche ai prossimi candidati sindaco: un pass per le emergenze che consenta agli artigiani di poter arrivare con il loro veicolo all’interno dell’area pedonale del centro quando richiesto per interventi straordinari». di Christian Draghi
Cristina Palonta, Ascom
Parcheggi e viabilità vi soddisfano? «L’Amministrazione ci ha concesso già da tempo il parcheggio gratuito il sabato pomeriggio in piazza Duomo, facilitando così l’accesso al centro. Per quanto possiamo dire noi la situazione complessiva dei posteggi cittadini soddisfa l’utenza. Per quanto riguarda invece la viabilità non è facile accontentare tutti, tenendo conto che non ci sono solo le esigenze del comparto commercio ma anche quelle degli altri servizi cui occorre facilitare l’accesso come ospedale, poste e uffici vari». Mario Campeggi, presidente dell’Associazione Artigiani Oltrepo Lombardo è un altro dei firmatari della missiva che però, tiene a specificare, «non aveva nessun intento polemico nei confronti dell’Amministrazione». Secondo Campeggi, che rappresenta una categoria che conta circa 650 iscritti, la situazione in città è sì critica, ma deve esserci la consapevolezza che il Comune «non ha la bacchetta magica per risollevare le sorti del commercio» e
Giancarlo Maconi, Acol
I commercianti: «Niente soldi al Comune per le luminarie. Quest’anno investiamo su noi stessi» Mario Campeggi, Artigiani Oltrepò
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Fatturazioni sbagliate, «Iniziato un servizio personalizzato di rateizzazione ad interessi zero» Dopo una quasi triennale esperienza come consigliere, dal 2 Maggio 2018 Monica Sissinio ha accettato di assumere la Presidenza di ASM Vendita e Servizi. Ma gli inizi sono stati problematici con il “caso” delle bollette sbagliate ed il polverone che ne è conseguito. Abbiamo incontrato, per una Sissinio un inizio di mandato di Presidenza piuttosto tormentato... «Non posso negarlo, ma guardi, al di là di tutto, le voci dei detrattori mi pare si perdano nel nulla! Le faccio un primo esempio, della più assoluta banalità. ASM Vendita e Servizi ha acquistato, in un’ottica di implementazione dei servizi e per meglio organizzare e rispondere alle richieste dei clienti, il Taglia-code. Lei sa cos’è? è quella “colonnina” con una sorta di cilindro in testa che distribuisce i biglietti numerati per delineare una coda d’attesa, “colonnina” comprensiva di display elettronici che segnalano il numero di riferimento del biglietto. è uno strumento presente nelle Poste Italiane, nei supermercati, ed in tanti altri posti, pubblici e privati, ove l’afflusso di clienti può generare confusione. Bene: siamo stati accusati di aver “dovuto” acquistare il Taglia-code in virtù dello smisurato aumento delle proteste! Ma non è assolutamente vero! Al contrario, essendo passati da 2 sportelli aperti al pubblico a 10, da Luglio 2018, abbiamo voluto evolvere, percorrendo una strada di più civile rispetto per i clienti in attesa. Gli sportelli attualmente aperti al pubblico sono, inoltre, dislocati, separati in due tronconi all’interno della struttura: mi sembrava doveroso mettere a disposizione uno strumento “tecnologico” migliorativo del servizio! è vero che, con l’empasse di fatturazione verificatosi la scorsa primavera, ci sono stati clienti che si sono recati agli sportelli chiedendo informazioni, ma è anche vero che presso gli stessi sportelli si aprono nuove utenze, si effettuano volture di con-
tratti già in essere, si spostano contatori, si effettuano aumenti di potenza delle forniture, e, da quest’anno, ci si rivolge per scegliere il fornitore, passando dal mercato di tutela al libero mercato. Sono 48.000 posizioni, tra energia elettrica e gas! Al 31 Dicembre 2017 ancora ASM non aveva operato alcuna soluzione commerciale per questa prassi, ma l’Autorità lo pretendeva! E fortunatamente, oltre che per fidelizzazione e gratificazione, la quasi totalità dei nostri clienti, ai quali la cosa viene spiegata e proposta, sceglie di rimanere con ASM!». Quando è partita questa operazione commerciale di, mi passi il termine, fidelizzazione? «Abbiamo iniziato lo scorso Maggio, in occasione della Fiera dell’Ascensione, perché allora la scadenza era Giugno 2019, mentre poche settimane or sono è stata prorogata al 2020. Calcoli che la mia Presidenza è iniziata il 2 Maggio scorso! Quindi ho avuto, insieme ai miei uffici tutti ed al personale più che efficiente che fortunatamente abbiamo, 15 giorni circa per organizzare questa promozione! Ed in quei 3 giorni di Fiera abbiamo davvero fatto un Boom di sottoscrizione di contratti...». Nei giorni scorsi, su di un social network, si è aperta una, chiamiamola, polemica sull’acquisto di bottiglie di vino di locali produttori a sostegno di questa campagna promozionale, ed anche a riguardo la spesa effettuata per lo stand fieristico dell’Ascensione. Lei lo conferma? «Assolutamente sì. Non abbiamo acquistato casse di vino per festini privati: abbiamo omaggiato i clienti che decidevano, e decidono, perché ancora oggi lo facciamo, di rimanere con ASM nel libero mercato con una bottiglia di ottimo vino delle aziende del territorio. Pensi che, avendo effettuato circa 200 contratti nel primo
«Non abbiamo acquistato casse di vino per festini privati: abbiamo omaggiato i clienti che decidevano e decidono di rimanere con ASM nel libero mercato con una bottiglia di ottimo vino delle aziende del territorio»
Monica Sissinio, presidente ASM Vendita e Servizi
giorno di promozione durante la Fiera dell’Ascensione di Maggio 2018 appunto, ed avendo la sottoscritta firmato una richiesta per 200 bottiglie totali per tutti e 3 i giorni, la sera del primo giorno, d’urgenza, abbiamo dovuto richiedere ulteriori bottiglie, arrivando ai 600 contratti del terzo ed ultimo giorno! Non ci trovo nulla di scandalistico, né tanto meno scatenante sterili polemiche». In verità, la “polemica-vino” verteva sui 4 “Giovedì di Sera” estivi... «Posso immaginare, perché effettivamente, durante quelle 4 serate, avendo la nostra Società aperto un temporary infopoint nella struttura comunale adiacente al Municipio in Piazza Duomo, ove abbiamo continuato a far promozione e “firmare” clienti, le Aziende produttrici di vino ci hanno richiesto di poter effettuare una pubblica degustazione omaggio, con costi e spese a loro carico, sotto i portici antistanti il nostro info-point! Mi sembra un’iniziativa assolutamente da lodare, non da condannare...!». E per quanto riguarda lo stand in occasione della Fiera cittadina? «Abbiamo voluto e dovuto, in termini di presenza commerciale, allestire uno stand ampio e confortevole, con un certo appeal nei confronti della cittadinanza. Le pare che potevamo proporci come valida alternativa nel libero mercato con una postazione piccola e brutta?! E le dirò che abbiamo optato per la scelta vincente, tant’è vero che il nostro era lo stand più “affollato”, con il salottino per i clienti in attesa ed i giochi per i bimbi, che potevano trascorrere i minuti che vedevano i genitori impegnati a colloquio con il nostro personale disegnando e colorando con i pastelli! Ritengo sia stata una bella
scelta anche questa». Veniamo al “tasto dolens” d’inizio della sua Presidenza: cosa è successo con le famigerate fatturazioni? «Ha ragione: vero “tasto dolens”... Si è verificata questa situazione. La precedente gestione, intendo quella antecedente alla mia Presidenza, era più... come dire... “ad personam”. Non era, così come l’abbiamo trasformata in questi mesi, interamente digitalizzata e computerizzata, a livello amministrativo. Era una commistione tra tecnologico ed “amanuense”, dal normale retaggio precedente. A Febbraio 2018 la fatturazione comincia a rallentare... Viene deciso, quindi, di renderla completamente automatizzata, e dalla tarda primavera si va in questa direzione, installando strumenti hardware e software di grande affidabilità, ma che ahimè non riescono completamente a “risolvere” il problema creatosi precedentemente, avendo bisogno di ulteriore consulenza informatica, legata ovviamente alla conoscenza aziendale “storica”... mi spiego meglio: i nuovi strumenti informatici di automazione ci hanno richiesto, per tornare a lavorare in condizione di normalità, un grandissimo impegno di inserimentodati manuale per ricostruire situazioni, personali e/o comunque diciamo di gestione generale aziendale. Quando accettai l’incarico e mi insediai, il 2 Maggio scorso, ancora era in atto questo lavoro. Dal periodo estivo abbiamo ripreso a fatturare, e siamo ritornati alla normalizzazione dei ritmi. Ci tengo a dire, per comunicarlo pubblicamente ai nostri clienti, che ASM Vendita e Servizi riconosce a sé, certamente, l’empasse creatasi in questi mesi, e, per meglio accudire appunto i nostri clienti, abbiamo iniziato un servizio personalizzato di rateizzazione del pregresso, entro il 31 Gennaio 2019, ad interessi zero. Questo anche perché, come già successo, è possibile che l’attuale fatturazione del pregresso sia “stretta”, cioè, è possibile che il cliente si veda recapitare 2 o 3 fatture a mensilità ravvicinata. Con la rateizzazione si cerca di rendere il più indolore possibile il raggiungimento della parità economica e tempistica». La Società è, come si dice nella nuova terminologia, congrua? «Assolutamente sì! Il bilancio 2017 si è chiuso con più di 1 milione di Euro di utile, a fronte dei 300.000,00 Euro di chiusura del bilancio 2016! Stiamo crescendo, cercando investimenti anche nei paesi della valle e dell’Oltrepò in generale, ci stiamo modernizzando, stiamo attuando politiche di promozione tese all’acquisizione di nuovi clienti e nuovi servizi! Ci crediamo, insomma». di Lele Baiardi
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«Long Train Running dei Dobbie Brothers, la prima canzone di Radio Voghera» Ci eravamo lasciati il mese scorso con l’invito a rivederci, se del caso... Bene: la prima intervista è stata un vero successo, di letture e commenti positivi! Così, la Redazione de Il Periodico ha deciso di continuare questo “Viaggio” amarcord con il nostro narratore: Giorgio Grandi! Grande successo ha riscosso la nostra intervista del mese scorso, e così... riprendiamo da dove ci eravamo congedati ed aggiungiamo contenuti? «Che piacere! Grazie davvero! Per me è un modo, in forma intima, di rivivere, raccontandoli, anni davvero meravigliosi. Felice che questo mio entusiasmo abbia contagiato i lettori! E allora... dunque, si! Proseguiamo. Anzi no! Facciamo un passo indietro, una piccola rettifica. Quando abbiamo parlato del premio “il più stupido del bar”, ho sbagliato vincitore». (ride di gusto!). Scusi ?! «Guardi alcuni giorni fa ho incontrato l’amico da sempre e stimatissimo medico il dottor Massimo Terziani, che mi ha sonoramente corretto, dicendomi “Giorgio, guarda che quel premio non l’ha vinto il Maestro Ghigini: l’ho vinto io!!! Quando il Maestro, nudo, nello shock generale, è arrivato alla porta del Bar Italia, io, invece invece di fermarlo e tentare di riportarlo alla ragione, guardando i ‘gioielli di famiglia’ ho sentenziato ‘Però, Maestro: complimenti davvero !!!’. E lì, Ragu Balestrero, ha a sua volta sentenziato ‘Basta! Hai vinto tutto! Dopo questa, chiudo il Premio!!!’. E ti dirò, caro Giorgio, che fu proprio quello il periodo in cui decisi di fare Medicina all’Università: forse il Premio mi incoraggiò pure, in quella decisione...”». Dovremmo forse chiedere il permesso alla pubblicazione al dottor Terziani... «Già fatto! Anzi! Dall’alto della sua eterna genialità, intelligenza, simpatia, ironia ed autoironia, è stato Massimo a richiedere, goliardicamente, questa precisazione, tra le sonore risate del nostro incontro e della nostra conversazione! In effetti, devo dirle che gli amici comuni conosciuti in quegli anni, tra quelle compagnie, l’ironia intelligente l’hanno sempre avuta, diciamo, nel dna. E certamente l’hanno coltivata fino ad oggi, agli anni della maturità...». Qui ci stiamo riferendo sempre al “primo” Bar Italia, vero? «Sì. Poi con Remo e Walter Lucchini, come abbiamo detto nel numero precedente, sono cambiate alcune cose, in primis la generazione frequentante. Del primo Bar Italia, per quanto riguarda le ragazze, che nel numero precedente abbiamo un po’ snobbato (sorride), ricordo, ad esempio, le bellissime Marina Cantù, Jurema, Raffaella e Simonetta Balma, Daniela Rolla, alla quale rivolgo un commosso ricordo af-
Prove tecniche di trasmissione di Tele Radio Voghera durante una manifestazione in Piazza Duomo Da sinistra: Daniela Rolla, Marina Cantù, Jurema Balma
fettuoso (scomparsa recentemente, n.d.r.) unitamente al dolce ricordo di Elena Sozzè, che arrivò a seguire insieme a Rosanna Leone, Cristina Taverna, Maurizia Codevilla, Flavia Torriglia, Marina Pessina... ed ancora, immediatamente dopo, ad inizio ‘80, arrivarono Lorenza Lugano, Monica Sissinio, Elena Ghiozzi, Giulia Pernetti, Daniela Botti, anche a lei va il mio affettuoso ricordo, ahimè...». Alcune di queste ragazze le ricordo, però, più presenti al Bar Cervinia in Piazza Meardi... «Vero, parzialmente, in effetti, alcuni tra noi, anche maschi, erano “trasversali” ad altri bar, come il Cervinia, il Teatro... del Cervinia ricordo Giacomo e Giovanni Rossi, Ettore Orsi, il compianto e caro Alberto Bosi, suo fratello Franco, Adriano Rosolen, Guido Sozzani, Gianfranco Cifarelli, Gelso Moroni, l’indimenticabile Silverio Riva...». Come locali notturni, invece? Dove si ballava, all’epoca? «Opus di Casei Gerola, dove l’amico Jimmy Ragazzon era d.j., ed Alcatraz di Voghera, il primo Alcatraz in Via Sant’Ambrogio di proprietà del famoso, istituzionale Mimmo Bartilucci e dei compianti Augusto Moroni e Daniele Barbieri, quest’ultimo proprietario dell’immobile. Era bellissimo e molto ben frequentato, uno dei primi disco-bar con d.j., che qual-
che volta ho fatto anch’io, aperto praticamente tutte le sere... era un’altra vita...». Lei lavorava anche come d.j.? «No, veramente... ma sa, con mio padre, giornalista pubblicista, a Radio Voghera... ma di questa cosa parleremo tra breve. Non ero un d.j., ma all’epoca contava divertirsi (sorride)! Pensi, ad esempio, che io sono stato il primo d.j. de La Foresta di Pozzol Groppo, proprio la prima apertura del locale inventato da Lallo Rosa! Ricor-
«All’epoca si ballava all’Opus di Casei Gerola, Jimmy Ragazzon era il d.j.».
do come fosse ora: era un giovedì, orario aperitivo; incontrai il Lallo, che mi chiese cosa avessi in programma per la serata. Risposi che avrei partecipato all’inaugurazione del locale. Mi ribattè: “No. Tu vai a casa, prendi tutti i dischi che hai e vieni a fare il d.j., stasera!”. Io tentai di giustificare il fatto che non fossi in possesso di dischi da ballare, il mio gusto era più rock-soul-blues... Niente. Alle 20.00 mi ritrovai a preparare la mia postazione di d.j. al locale! L’impianto era così composto: un tavolo “instabile”, due giradischi, uno diverso dall’altro, e due casse della Montarbo con potenziometri! Dovevo abbassare ed alzare il volume della cassa tramite il potenziometro, senza pre-ascolto in cuffia... insomma, un delirio!». Non si festeggiava ancora Halloween, ma c’erano Feste di Carnevale indimenticabili, vero? «Halloween non sapevamo neanche cosa fosse (ride di gusto)... Noi avevamo, e per quanto mi riguarda ancora abbiamo, il Carnevale! Strepitose le feste allo Sporting Club di Rivanazzano, e poi il celeberrimo Carnevale di Varzi! Per anni ed anni, in compagnia, a Varzi si frequentava la domenica sera ed il successivo lunedì, che noi chiamavamo “la serata delle sposate”! Tutte le ragazze e le donne si mascheravano, il lunedì sera, e noi maschietti ovvia-
VOGHERA mente, no! Sicché capitava qualsiasi cosa, anche che la tua ragazza ti facesse ballare, ammiccando, per mettere alla prova la tua fedeltà, chiaramente! Ricordo un lunedì sera con Beppe Sannino e Maurizio Lucchetti, le due star calcistiche della grande Voghe dell’epoca, davvero troppo divertente! Mentre il martedì sera non si andava a Varzi ma, ad esempio, allo Sporting dove anche noi ragazzi ci travestivamo! Erano feste stupende! Si cenava al piano superiore, al Ristorante dell’indimenticabile Bruno Gazzaniga, e poi si faceva mattina in discoteca. Ricordo un Carnevale, con l’amico Alex Lanfranchi, travestiti con tuta bianca integrale riportante la dicitura “Siamo belli come il Sole” ed un grande sole raggiante a coprirci faccia e testa! Peccato che ad un certo punto della serata, dall’elevato tasso alcolico, Alex diede la sua maschera ad uno sconosciuto, con il quale io conversai amabilmente per un sacco di tempo non accorgendomene assolutamente... Oppure un altro Carnevale, quando con i compianti Manuele Albani ed Enrico “Chicco” De Giorgi andammo a Milano, dall’allora in voga Brigatti, ad affittare tre costumi, perfetti ed identici, da giocatori di baseball americani!». Aveva accennato prima a suo padre e Radio Voghera... «Giusto! Dunque: il 5 Dicembre 1975 inaugurò Radio Tele Voghera di Mario e Gino Orsi, e la prima voce che “uscì” fu la mia annunciando il primo disco in trasmissione, Long Train Running dei Doobie Brothers. Mio padre, appunto giornalistapubblicista, ne era il direttore, ed un altro “fondatore” fu Luigino “Stereodisco” Alpago. Ma il vero tentativo era di creare Tele Voghera, in quanto in Italia si stavano facendo le prime prove di Tv private! La prima era stata Tele Biella, attorno al ‘73. Ho una foto del primo tentativo sperimentale di trasmissione di Tele Voghera durante una manifestazione cittadina in
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una gremita Piazza Duomo, con un televisore di fronte all’ingresso del Municipio che appunto ne trasmetteva le immagini! L’idea televisiva venne presto abbandonata, e ci si concentrò sulla radio, la cui prima sede fu in Via Scarabelli, all’ultimo piano mansardato, nel palazzo dove al piano terra era presente il famosissimo negozio Portobello! A proposito del sopracitato Silverio Riva, amato scultore, insegnante dell’Accademia delle Belle Arti di Brera ed Artista a tutto tondo, decisamente, le voglio raccontare questa “particolarità”. Anche Silverio fu una delle prime voci di Radio Voghera, e, per chi l’ha conosciuto di persona, questa cosa potrebbe aver dell’incredibile, perché il Maestro Riva aveva una, chiamiamola, “difficoltà espressiva verbale”, che non era proprio balbuzie, ma... come dire... spesso le sue frasi si “inceppavano” in forma strana. Ebbene: davanti al microfono, con le cuffie in testa, Silverio parlava speditamente, e con un timbro vocale estremamente radiofonico, bellissimo! Era la nostra voce più bella! Alla sua amicizia con il grafico milanese Francesconi, mi pare si chiamasse così, si lega anche il logo, la R e la V stilizzate ed unite, che ha sempre accompagnato la Radio per tutta la sua vita. Ricordo perfettamente il giorno che con Silverio, appunto, Jimmy Ragazzon e Paolino Canevari, voce e chitarra dei celeberrimi Mandolin Brothers, andammo a Milano a casa di Francesconi, sui Navigli, a ritirare il logo... che il grafico ci omaggiò ! Ah! Nell’appartamento di fronte viveva Enzo Jannacci!». In quegli anni, la città, ed in generale la zona, presentava un’offerta ristorativa davvero eccezionale... «Assolutamente ! Erano tanti i ristoranti e tutti di ottimo livello! Mi ha fatto tornare alla mente un “menù del giorno” di Ferragosto fine anni ‘70, che ancora da qualche parte in casa devo avere, del Ristorante Albergo Italia, che si trovava di fronte al
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Giorgio Grandi
Teatro Sociale in Via Emilia, menù che appunto, scritto a macchina con la Olivetti “Lettera”, riportava un’infinita serie di prelibatezze, trasversali anche stagionalmente! Si andava dalla trippa ai piatti di qualsiasi tipo di pesce ai piatti “carnivori” della tradizione, eccetera eccetera, ma in quantità numerica davvero stupefacente! Il Ristorante Albergo Italia del Cav. Torti era davvero un’istituzione!». E quali altri ancora? «C’era l’imbarazzo della scelta! Il Ristorante Cristina, con il suo storico Carrello dei Bolliti, il Ristorante Giardino, il Leon D’Oro in Piazza Duomo, Il Torino in Via Don Minzoni, la Trattoria del Ponte Rosso, dove oggi c’è il Ristorante dell’amico Mimmo, il Rallye, il vecchio Impero... Le dico: c’era solo l’imbarazzo della scelta! A differenza nostra, come città intendo, allargando la visuale alla zona altri ristoranti dell’epoca hanno “resistito” negli anni. Mi riferisco, ad esempio, ai Ristoranti Guado e Caminetto in Salice Terme, al Cavallino
San Marzano e Cerchi in Tortona...». Probabilmente il cambio epocale, a livello generale, tra gli anni ‘70 e gli ‘80 ha spostato gli interessi su altre attività e professioni? «Magari sì, non saprei... certo, stiamo parlando di un mondo lontano ed irripetibile. Per darle il polso del cambiamento, ricordo da bambino il suono del “corno”, in strada, che annunciava l’arrivo del ghiaccio! Era un addetto appunto alla vendita, casa per casa, del ghiaccio. Scendevamo in strada a prendere un pezzo di ghiaccio spaccato e lo tenevamo in un mobile in legno, un po’ “coibentato”. C’erano frigoriferi piccoli e senza freezer, quindi...». Grazie Giorgio, ci ritroviamo per il prossimo numero del Mese di Dicembre e l’atmosfera di quelle Festività natalizie? «Con piacere! Grazie a lei, e buona lettura ai vostri lettori!». di Lele Baiardi
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LETTERE AL DIRETTORE
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Stradella «Pratiche “contro” i cittadini» Egregio Direttore, la contatto perchè mi sono trovata, mio malgrado, a dover trattare e comprendere gli usi e le procedure dell’amministrazione locale di Stradella, polizia locale e sindaco. Ecco cosa mi è accaduto. Nel 2015, per un verbale del “famoso” semaforo rosso molto discusso sulla via Emilia, ho preso una multa ed effettuato un versamento in misura ridotta di 127,60 euro per il verbale (1 gg in ritardo rispetto ai 5, per un mio disguido di home banking purtroppo). La differenza dovuta rispetto alla multa completa di euro 176,50, quindi euro 30,50 non mi è stata richiesta, nè tanto-
meno entro i 60 giorni, nè è stata mandata all’agente della riscossione Equitalia. Un mese fa, 3 anni dopo, ricevo un’ingiunzione di pagamento di euro 310,00 che applica una “normativa vigente di richiesta del massimo edittale” e interessi semestrali del 10% rispetto alla massima sanzione applicati per ben 3 anni. Quindi per un ritardo di 1 giorno, la “cara” polizia locale di Stradella si è ben vista di mandarmi un avviso bonario della differenza (mi hanno detto che non erano tenuti) ma per ben 3 anni mi ha fatto accumulare multe e sanzioni... portando il verbale da euro176,50 a euro 486,50, quindi 310
euro in più!!! Io le scrivo per dare evidenza di tale pratica che porta i cittadini inconsapevoli ad accumulare degli pseudo dovuti debiti... Ho chiesto più volte di avere un’udizione alla polizia locale ed al sindaco visto che ritengo quello che mi è accaduto gravissimo, ma nulla... non si sono degnati di ricevermi. Alla fine io ho pagato con rabbia. Ma mi sono quanto meno ripromessa di dare evidenza e risonanza di quanto successo. Alla faccia della vicinanza ai cittadini. Spero che lei mi possa aiutare in questo. Poveri stradellini .... chi vi amministra!! Nadia Dellafiore - Rovescala
La rotonda “della discordia” Egregio Direttore, mi riferisco all’intervista apparsa sul vostro giornale nel mese di Ottobre all’assessore ai lavori pubblici del Comune di Stradella, Agostino Mazzocchi, nello specifico all’ultima domanda posta all’assessore e che riporto: “In grandi città, come ad esempio Bologna, esistono dei ‘patti’ tra cittadini per la manutenzione del verde pubblico. La vostra giunta ci ha mai pensato? Pensa che possa realizzarsi in un paese come Stradella?”. La risposta del signor Mazzocchi si apre in questo modo: “Che io sappia non sono mai state richieste del genere....”. Ebbene pare proprio scordata dal Comune di Stradella sia l’origine
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che la storia di una delle prime rotonde stradelline; nello specifico mi riferisco alla rotonda sulla strada per via San Cipriano Po, di fronte alla ditta Sabrina Srl, che curiosamente appartenendo a 3 Comuni diversi (Broni, Stradella, San Cipriano Po) ha ben 3 nomi diversi mandando in confusione pure i satellitari. Ma la confusione pare proseguire e cade nel dimenticatoio l’accordo del bravo Visponetti con la sottoscritta che concedeva a titolo gratuito tale rotonda. Sebbene mi fu consegnata senza una presa d’acqua, con grande sforzo del mio povero dipendente, essa veniva infiorata, bagnata e curata in tutte le stagioni. Il Comune di Stradella da subito impedì che fosse posto come da mia richiesta un cavallo in plastica a grandezza naturale addicendo che impediva ‘la visuale’ ai conducenti. E ubbidii come sempre. Poco tempo dopo fu eseguita la rotonda sulla via Emilia, davanti alla Stazione dei Carabinieri di Stradella... rotonda bellissima che imitava le colline oltrepadane con onde ricoperte di moquette simil-prato-sintentico alta ben oltre il mio presunto cavallo trai cui arti si sarebbe potuta vedere l’auto proveniente dal lato opposto. Lì devo ammettere che il mio livello di gradimento italiano iniziò a sprofondare ma convincendomi che il mio nuovo Stato estero di residenza (Stato povero ma con insito il bene pub-
blico) era stata una gran scelta. Non per ciò abbandonai quella che consideravo oramai “la mia rotonda”. Continuai a curarla al meglio e sempre senz’acqua. Poi il degrado colpì i cubetti del marciapiede già in origine mal fatti che la circondavano. Scrissi al Comune di Stradella affinchè venisse riparata e perchè i cubetti di porfido in mezzo alla strada costituivano un pericolo. La risposta fu un fottio di presunte richieste di tasse, immemori dell’accordo scritto e registrato, a cui risposi semplicemente: “Tenetevela”. Oggi la situazione della rotonda, della strada, del contorno della strada è pari al paesello del sud Africa ( anzi... nemmeno... quelli sono meglio); stato di completo degrado, da cui spuntano i ciuffi di quelle piante che sono sopravvissute all’incuria di Amministrazioni che non conoscono nemmeno il loro territorio di competenza. Quindi l’Assessore Mazzocchi ritengo non possa permettersi di affermare: “... se si dovesse proporre l’esempio da lei citato...”. Per ciò mi permetto di scrivere dato che il Comune di Stradella percepisce fior di soldi dall’Imu delle Logistiche senza ritornare il minimo indispensabile al territorio e non imputi ai cittadini la mancanza di senso civico... semmai inizi a darsi da fare come è doveroso! Eleonora Calvi - Broni
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
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«Spedire» i nonni al Pronto Soccorso Gentile Direttore, sono stata un’infermiera per diversi anni e so bene quanto gli anziani necessitino di cure assistenziali continue e precise... Sempre più arrivano nei Pronto soccorso, anziani che potrebbero ricevere cure e consigli presso i loro medici di base e, fino a poco tempo fa non capivo perché non lo facessero. Da circa un anno le condizioni di mio nonno sono peggiorate, non è più indipendente e le sue numerose patologie necessitano di attenzioni continue ed attente . Come spesso accade in soggetti pluripatologici ed ultra ottantenni, il suo equilibrio è molto precario e nonostante l’assistenza 24h/24h di un badante e la collaborazione di tutta la famiglia, talvolta è necessario l’intervento del medico di base. Medico di base che, contattato telefonicamente per una visita domiciliare mi ha consigliato “vivamente” che le persone anziane si devono portare in Pronto Soccorso se hanno dei problemi. A questo punto mi metto nei panni di centinaia di altre persone che hanno parenti in condizioni simili. Capisco che, non essendo del settore, si trovino costrette a dover portare il loro caro ad un Pronto Soccorso anche per una «banale» tosse/influenza/difficoltà a scaricarsi, mettendolo in una situazione di disagio, oltre al fatto che si va a creare una situazione di sovraffollamento e di attese cospicue per tutti, quando non ve ne è la necessità! Da professionista, ho la possibilità di contattare medici che visitino privatamente il nonno ma non mi pare comunque corretto il comportamento di questo medico. Conosco molti medici e posso assicurare che, per fortuna, sono ancora numerosi quelli che operano secondo scienza e coscienza. Mi chiedo però come si possano arginare soggetti che oltre a non fare il proprio lavoro, lo tolgono ai tanti nuovi medici che hanno voglia di «mettersi in gioco». Lettera Firmata - Voghera
Rettifica
In riferimento all’articolo pubblicato alle pagine 22 e 23 del nostro giornale nel mese di ottobre, vogliamo precisare che, nel corso dell’intervista, parlando in generale dei rapporti con gli uffici pubblici dell’Oltrepò, la frase “Che cosa ci siete venuti a fare qui in un posto così brutto?” è stata erroneamente attribuita alla figura dell’impiegata comunale senza riferimento specifico ad enti né tantomeno a nominativi. Precisiamo inoltre che da parte nostra non vi è mai stata alcuna intenzione di ledere nè l’immagine professionale nè tantomeno il buon nome degli impiegati pubblici, nè di esprimere opinioni negative su alcun Comune.
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ELEZIONI PROVINCIALI
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Voghera decisiva, eletti quattro consiglieri dell’Oltrepò Cambiano i rapporti di forza in Consiglio Provinciale. Con le elezioni di medio termine, svoltesi mercoledì 30 ottobre, il Centrodestra conquista un consigliere in più rispetto alla tornata precedente, a discapito della controparte targata PD. Il Partito Democratico conserva, invece, la maggioranza relativa. Non cambia il presidente: la carica detenuta da Vittorio Poma, sostenuto due anni fa dal Centrosinistra, ha infatti una durata di quattro anni. Tre erano le liste in competizione. Quella del Centrodestra, unitaria nel 2016, è infatti stata ‘‘spacchettata’’ per l’occasione, con la Lega che ha corso con il proprio simbolo. La lista ‘‘La casa dei comuni’’, proposta dal Partito Democratico, ha ottenuto il 44% dei voti e conferma cinque dei sei consiglieri uscenti. Si tratta di Emiliano Scolè, Paolo Gramigna, Emanuele Corsico Piccolini, Pier Giorgio Maggi e Marcello Infurna. Milena D’Imperio, già vicepresidente del consesso provinciale, aveva deciso di non ricandidarsi. La Lega, con il 24,4%, porta in Piazza Italia Andrea Sala, Marco Facchinotti, e Angelo Bargigia, sindaci di Vigevano, Mortara e Magherno. ‘‘Una forza in comune’’, la lista appoggiata dagli altri partiti del Centrodestra, ha ottenuto il 31,6% dei voti ed elegge Carlo Barbieri, Barbara Lucia Longo, Daniela Bio e Giovanni Amato. Erano soltanto due i consiglieri forzisti durante lo scorso mandato. «Abbiamo marciato divisi per colpire uniti»: commenta così il risultato delle urne
Piergiorgio Maggi
Vittorio Poma
Alessandro Cattaneo, parlamentare di Forza Italia e fra i principali registi delle operazioni. Il Centrodestra, fra le due liste, porta a casa sette consiglieri contro i cinque del Centrosinistra. Cinque di questi sono anche sindaci: oltre ai tre leghisti, anche il vogherese Barbieri e Amato, primo cittadino di Magherno. Maggi (Stradella) e Infurna (Certosa) sono invece i primi cittadini eletti fra le file del Centrosinistra. La carica di consigliere provinciale non prevede alcun emolumento; nemmeno il classico ‘‘gettone di presenza’’. Restano a loro vantaggio, per così dire, solo eventuali rimborsi per le spese di viaggio o a favore dei datori di lavoro, nei casi in cui siano dovute. La provincia, in seguito alla riforma Delrio, è un ente di secondo livello. La partecipazione alle votazioni (in qualità di elettori o di candidati) era consentita ai soli
consiglieri comunali e ai sindaci in carica nel territorio. I voti espressi sono stati, come previsto dalla normativa, oggetto di una ponderazione: gli amministratori di Pavia, Voghera e Vigevano (città di oltre 30mila abitanti) avevano in dote 375 voti ciascuno; quelli dei paesi sotto i tremila abitanti soltanto 18. Per quanto riguarda le altre fasce: 147 voti per elettore per le città fra i 10 e i 30mila abitanti (Mortara e Stradella); 96 per quelli fra 5 e 10mila; 55 per quelli fra 3 e 5mila. Non ha sorpreso dunque il cambio negli equilibri, dal momento che Voghera, terzo centro della provincia, nel 2016 non aveva partecipato al voto a causa del noto commissariamento. La città iriense è stata dunque determinante per modificare gli
Emiliano Scolè
Carlo Barbieri
equilibri provinciali. Il dato dell’affluenza è stato, invece, inferiore alle attese. Gli aventi diritto al voto erano in numero pari a 2.160; ha preso parte alle operazioni il solo 56,58%, contro il 70,06% di due anni fa. Non ha aiutato ai fini della partecipazione la scelta di una data infrasettimanale, stabilita dal Governo centrale - in occasione del Decreto Milleproroghe - in modo da contenere i costi. Gli scrutatori addetti ai seggi sono stati, infatti, i dipendenti dell’Amministrazione Provinciale. Inoltre i tre seggi erano allestiti nel medesimo luogo, il Palazzo delle Esposizioni di Pavia, mentre altre amministrazioni provinciali, nella stessa tornata, hanno dislocato le urne anche nei principali altri centri del proprio territorio. Per quanto riguarda la rappresentanza territoriale, l’Oltrepò vede aumentare il proprio peso. Il PD mantiene, infatti, i tre oltrepadani già presenti nel consesso provinciale: Scolé, consigliere di Casatisma; Gramigna, consigliere di Bagnaria; Maggi, sindaco di Stradella. Forza Italia ha invece messo il carico, proponendo sindaco di Voghera, Carlo Barbieri, che è anche l’unico rappresentante della sua città e l’unico oltrepadano elettro nelle due liste di Centrodestra. Spetterà a loro portare in Piazza Italia le esigenze di un territorio che forti esigenze negli ambiti rimasti di competenza della provincia dopo quella che è stata una riforma incompiuta: edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell’ambiente, trasporti, strade provinciali. Il risultato per l’Oltrepò avrebbe anche potuto essere più significativo, e
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Nicola Affronti
Paolo Gramigna sono numerosi anche i malumori nel Centrodestra. Fra gli altri è rimasto escluso il sindaco di Zavattarello Simone Tiglio (in quota Forza Italia), cui non sono bastati i 1710 voti ottenuti in seguito alla ponderazione. Il sistema ha penalizzato lui ed i molti amministratori dei piccoli comuni che lo avevano sostenuto, dato che in termini assoluti era stato il secondo più votato. Questo il suo commento a caldo: «Sono soddisfatto per il riscontro avuto in termini di voti di consiglieri e sindaci della zona, che hanno sostenuto la mia
candidatura, sia in Comunità Montana che in Valle Versa e nel Casteggiano.» «Sarebbe stato auspicabile», prosegue Tiglio, «un maggiore coordinamento nei grandi centri per una ripartizione dei voti che andasse a garantire rappresentanza anche ai territori marginali. Faccio i complimenti a chi andrà a rappresentarci in provincia, a partire dal sindaco di Voghera che ha ottenuto un pieno di voti assolutamente indiscutibile. Rimane un gap di rappresentanza per tutta la zona montana e dell’Oltrepò orientale: questo è un problema che nel Centrodestra andrà affrontato e discusso.» Restano fuori, fra i vogheresi, il presidente del Consiglio Comunale Nicola Affronti e
Pierfelice Albini
il capogruppo leghista Pierfelice Albini. Quest’ultimo si è dichiarato molto critico su quella che avrebbe dovuto divenire Area Vasta (‘‘area devastata’’, come la definisce lui), un ente ‘’poco funzionale’’ e retto da un presidente non legato inscindibilmente al Centrodestra. «È la prima volta che mi sono candidato al Consiglio Provinciale e la considero un’esperienza positiva», dichiara inoltre Albini, «che mi ha permesso di entrare in contatto con tante piccole realtà. Ho capito una cosa importantissima: l’unione dei comuni non funziona, a meno che non venga imposta. Nessuna sorpresa riguardo al conteggio dei voti: si sapeva che Barbieri avrebbe stravinto, avendo 13 consiglieri dalla sua parte.’» Per il Partito Democratico
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Simone Tiglio
commenta il risultato Paolo Gramigna, al terzo mandato, che con 5685 voti si conferma fra i più votati: «Il risultato è per il PD eccezionale, in un momento politico così difficile per il Centrosinistra. Ringrazio sindaci e consiglieri per avere premiato con la fiducia il lavoro comune che nel corso di questi anni abbiamo portato avanti per il bene del territorio al di là della appartenenza politica. Ora siamo pronti a proseguire questo importante lavoro.» Ed è proprio questo ciò di cui avrà bisogno l’Oltrepò: un lavoro di squadra rivolto davvero al territorio e alla sua gente, al di là della casacca indossata. Perché le casacche spesso cambiano, ma i problemi restano… di Pier Luigi Feltri
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PANCARANA
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Il Bosco Arcadia di Pancarana: «Non è come andare in Piazza Meardi…» È sempre una buona notizia quando un’area degradata viene ripulita dal più vario inquinamento e riportata allo stato naturale. La notizia è ancora migliore quando l’area viene messa a disposizione del pubblico e mantenuta in ordine. Obiettivo minimo ma non affatto scontato. Non nel 2018, non in Italia. Questa è la storia della famiglia Almangano e del Bosco Arcadia a Pancarana, lungo il grande fiume. È Marco Almangano, in rappresentanza della famiglia, a raccontarci qual è il loro impegno quotidiano. Almangano, qual è il suo ruolo in questo bosco? «Sono il figlio del gestore del bosco, che è mio papà Piero. Si tratta di una realtà a conduzione famigliare: ad occuparcene siamo io, le mie due sorelle, mio padre, appunto, e mia madre. Mia sorella maggiore, Elena, cura più la parte social e gli eventi: le ‘‘public relations’’. Io e mio padre ci occupiamo del bosco più nell’aspetto pratico». Il resto della famiglia? «L’altra mia sorella, Carla, ci dà una mano nell’organizzazione degli eventi: dal volantinaggio, alla presenza nelle fiere, cui partecipiamo per far conoscere il bosco, e poi nei giorni degli eventi a gestire l’accoglienza dei visitatori, ad aiutarli nelle loro esigenze». Come è stato creato questo parco? «Noi abbiamo un’azienda agricola e possediamo alcuni campi lungo il fiume. Ogni volta che mio padre passando verso il campo vedeva quest’area abbandonata - per la maggioranza demaniale - cercava un modo per valorizzarla e per renderla fruibile. Nel 2009 Regione Lombardia ha aperto il bando ‘‘10mila ettari di nuovi boschi’’, che finanziava idee che potessero dare un’altra vita ad aree demaniali come questa. Mio papà ha contattato lo Studio Terraviva di Vigevano ed è nato il progetto. Nel 2010 sono iniziati i lavori». Cosa prevedeva il progetto? «L’area è di 84 ettari totali. Il progetto prevedeva di lavorare su circa 50 ettari, e di lasciare allo stato naturale gli altri 34. Nella prima porzione abbiamo tagliato tutte le piante secche e malate e abbiamo ripiantumato circa 70mila esemplari di vario tipo, sia arbusti, sia ad alto fusto. Ci occupiamo di tenere tutto in ordine; di tagliare l’erba, di rimuovere i rami secchi, per esempio. Inoltre sono state posizionate panchine ed aree picnic». Quanto tempo vi richiede la gestione dell’area? «La maggior parte del lavoro è concentrato fra marzo e ottobre. Di norma noi lavoriamo tutta la settimana circa una decina di ore al giorno per tutti i giorni, dal lunedì al sabato. Poi dipende sempre un po’ dalle condizioni climatiche della stagione».
Marco Almangano Quanto è stato investito da Regione Lombardia per la realizzazione di questa area? «Nei primi sei anni sono stati investiti circa settemila euro. La Regione investe il 90%, noi privati cofinanziamo il 10%». Quali essenze caratterizzano il bosco? «Tra gli arbusti abbiamo il salicone, il pallondimaggio, il sanguinello, e la selenella. Tra le piante ad alto fusto pioppo nero, pioppo bianco, salice, quercia, faggio. La maggioranza sono pioppi e salici, perché essendo area di espansione del fiume sono quelle che resistono meglio agli stress causati dalle esondazioni. Il fiume esonda circa due volte l’anno in questo bosco, e l’acqua copre quasi completamente l’area. I pioppi inoltre presentano accrescimento veloce, quindi dopo pochi anni abbiamo già alberi alti 15 metri». A proposito: qual è la situazione degli argini del Po in questa zona? «Direi buona, gli argini attualmente non presentano buchi o crepe». Che orizzonte temporale ha il progetto e quali risultati ci si vorrebbe aspettare? «Abbiamo in concessione questo terreno per cento anni, quindi dal 2009 fino al 2109 la nostra famiglia ha il compito di prendersene cura. L’obiettivo era quello di dare una seconda vita a questa zona. Prima c’erano frigoriferi, pneumatici, rifiuti abbandonati di ogni tipo. Ora può essere disponibile per persone che vogliono staccare dalla solita attività frenetica, e passare mezz’ora o anche l’intera giornata a passeggio nella natura. Ci sono quelli che portano a spasso il cane, che si fanno un giro in bicicletta, o semplicemente si fermano a scrutare il fiume o a fare un picnic, specialmente nel weekend». Quali sono le modalità di fruizione? «L’ingresso al bosco è gratuito: chiunque può entrare e usufruire dei sentieri e dei tavoli o delle panchine. Essendo zona di
espansione del fiume non abbiamo strutture fisse, quindi si può usare solo quando le condizioni atmosferiche lo permettono». Come si articolano i sentieri? «Sono circa 7 chilometri in totale. C’è un sentiero principale, che dall’ingresso va fino al Po, e poi ci sono vie secondarie, che si diramano da quella principale e permettono di visitare il bosco in tutte le sue parti. Abbiamo circa venti panchine disseminate nel bosco, e tre punti per aree picnic». Quali servizi mettete a disposizione? «Mettiamo a disposizione un noleggio di biciclette e siamo a disposizione per eventi, come feste di compleanno. Abbiamo tavoli, gazebo e sedie per questi casi». Quando è avvenuta l’inaugurazione? «Il 19 giugno del 2016, alla presenza del sindaco di Pancarana, Maurizio Fusi, e di alcuni politici e funzionari di Provincia e Regione, fra cui Giuseppe Villani e Paolo Gramigna». Che tipo di eventi proponete agli utenti? «Facciamo eventi di ogni tipo. Di norma nel numero di sei all’anno. Anche di tipo sportivo. Quest’anno, per esempio, abbiamo avuto due corse podistiche». Non solo eventi sportivi, però… «Anche attività culturali-ricreative. A maggio è venuta Legambiente; con alcuni volontari abbiamo raccolto i rifiuti abbandonati ed è stato svolto un laboratorio per dare una seconda vita agli oggetti di plastica, come le bottiglie, che sono stati ritrovati abbandonati. Per Pasqua lo scorso anno abbiamo organizzato una ‘‘caccia all’uovo’’. L’obiettivo è far capire ai più piccoli la bellezza della natura, avvicinarli alla bellezza del verde». Sono state realizzate collaborazioni con altre associazioni o enti del territorio? «Abbiamo proposto un evento in collaborazione con il Gruppo Micologico Vogherese. Il loro scopo era quello di educare le persone a distinguere funghi commestibili da non commestibili. I partecipanti hanno potuto raccogliere chiodini, orecchielle, e portarseli a casa». Questo bosco è stato anche di ispirazione per un’opera letteraria… «È stato rappresentato qui il libro ‘‘Silenzio in Arcadia’’. La scrittrice, Elisa Contardi, quando ha visto questo bosco se ne è innamorata e l’ha utilizzato come location per questo suo romanzo. Si tratta di un giallo, dove il protagonista, il commissario, deve risolvere un caso di omicidio e ‘‘parla’’ con gli alberi per cercare di ricostruire la scena del crimine. ‘‘Le piante sono gli unici testimoni che hanno visto tutto’’, dice il commissario, e in effetti dall’osservazione di un ramo spezzato riesce, magari, a ricostruire un evento». Quali feedback le capita di ricevere dal pubblico? «Trovo gli utenti trovo felici di aver visto
il bosco e sorpresi dalle cose che sono state fatte. A volte qualcuno arriva pensando di trovare un parco come fosse in piazza Meardi a Voghera. Ma si tratta di un’area naturale, a volte anche brulla, che muta e cambia in continuazione, anche perché ci sono animali e quindi magari una strada normalmente pianeggiante può trovarsi erosa dal giorno alla notte. Quando piove molto i sentieri diventano impraticabili. Bisogna ricordare che si tratta di un’area naturale, ecco». E che l’uomo, qui, è un ospite. «Esatto. Un ospite. Gli animali ci sono, e si fanno anche vedere. Abbiamo lepri, a volte qualche cerbiatto che arriva dalle colline; talpe, volpi. Questo è il loro territorio, il nostro compito è soltanto quello di tenere pulito, per quello che è possibile». Quali regole sono prescritte per usufruire di questa area? «Non si entra con i veicoli a motore, non si può cacciare, è vietato gettare rifiuti. Ciò che è normale per un parco. Anche per questo abbiamo messo a disposizione bidoni per la raccolta differenziata».
«Abbiamo in concessione questo terreno per cento anni, quindi dal 2009 fino al 2109 la nostra famiglia ha il compito di prendersene cura. L’obiettivo era quello di dare una seconda vita a questa zona» Crede si possa replicare questa esperienza in altre aree, nell’Oltrepò Pavese? «Per fare progetti di questo tipo ci vuole tanta passione, pazienza, e anche credere davvero in quello che si fa. Altrimenti si rischia di iniziare e di chiudere in un paio di anni, lasciando l’area in uno stato di abbandono. Non so se Regione Lombardia farà altri bandi di questo tipo, ma ci sono certamente altre aree di questo tipo lungo il fiume». Nei pressi del parco passa anche il tracciato della pista ciclopedonale VenTo. Vuole parlarci di questa opera? «VenTo, che collega Venezia e Torino, passa proprio sull’argine accanto al parco, che quindi può anche diventare un luogo di sosta su questa direttrice. Questa parte del percorso non è ancora attrezzata, ma lo sarà nei prossimi anni. Pare che in futuro questo tracciato diverrà parte di un progetto più ampio che collegherà la Spagna all’Est Europa». di Pier Luigi Feltri
LUNGAVILLA
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«Apprezziamo lo sforzo dell’amministrazione, ma ci riteniamo in disaccordo sull’utilizzo che fanno delle risorse» Viabilità da migliorare, welfare e disinteresse generale per la vita politica del paese. è tra questi argomenti che si districa la chiacchierata con i tre esponenti della minoranza tutta in “rosa” di Lungavilla. Sono tre donne, le consigliere Paola Orlandi, Maria Carla Nai Oleari e Piera Quaglini, ad animare l’opposizione all’Amministrazione comunale guidata da Andrea Daprati. Tre donne in consiglio di minoranza. Come mai? «Siamo un consiglio di minoranza che non rispetta la parità di genere. Inizialmente non era così, poi il nostro capogruppo si è visto costretto a dare le dimissioni per motivi familiari e purtroppo poco più di un anno e mezzo fa ci ha prematuramente lasciato». C’è qualcuna tra di voi che è alla prima esperienza politica? «Tutte e tre siamo al nostro secondo mandato e, ad essere sincere, ogni tanto la frustrazione rischia di prendere il sopravvento, data la difficoltà costante a dialogare con i nostri colleghi di maggioranza in un’ottica di confronto costruttivo». Come reputate il vostro percorso finora? Un bilancio di questi anni… «Il nostro precedente capogruppo, a inizio mandato, aveva offerto piena collaborazione all’amministrazione, peccato che il nostro attuale Sindaco ci abbia risposto di farlo “secondo gli strumenti forniti dalla legge”… ovvero ci abbia invitato a non intrometterci. Perciò la nostra attività principale è stata sempre quella di controllare. Nonostante ciò, anche quando facciamo azione di controllo, chiedendo di chiarire dubbi sui documenti che vengono portati in consiglio, spesso non riceviamo risposte. Siamo consapevoli che in alcuni casi sia difficile ricevere risposte immediate, ma non ci spieghiamo perché spesso le risposte alle domande fatte non arrivino mai. Soprattutto quando i dubbi riguardano aspetti importanti, come questioni di bilancio, che il più delle volte non solo non vengono risolti ma lasciano adito a dubbi ancora più grandi». Come sta gestendo il paese l’attuale amministrazione secondo voi? «L’amministrazione attuale ha fatto delle opere, che però riteniamo fossero doverose visto lo stato di degrado del nostro paese. Sta di fatto beneficiando di risorse accantonate dell’amministrazione precedente (che era praticamente la stessa) grazie alle politiche di bilancio che ha potuto attuare con l’unione. Ci chiediamo come affronterà il futuro ma pensiamo anche che forse sarebbe stato il caso di spendere a suo tempo questi soldi senza aspettare di ridurre il paese allo stato
La minoranza contro la giunta: «Strade senza marciapiedi, piene di buche e scarso interesse per i problemi sociali»
Maria Carla Nai Oleari
di degrado in cui era. Apprezziamo lo sforzo fatto dall’attuale amministrazione per partecipare ai Bandi regionali, strada che anche noi abbiamo sempre ritenuto essere l’unica possibile per realizzare grandi opere. Apprezziamo questo, ma ci riteniamo sempre in disaccordo sull’utilizzo che fanno delle risorse».
che non sono state ancora minimamente affrontate. Ad esempio ci sono vie del paese completamente prive di marciapiedi, come ad esempio tratti di Via Alberti e il tratto di via Roma che collega il paese alla stazione ferroviaria, oltre a tratti di manto stradale pieni di buche…». Quali sono altre cose di cui il paese necessita secondo voi? «Quello che riguarda i servizi sociali: riteniamo che alcune problematiche anche delicate siano state gestite con scarso interesse, con modalità poco etiche e scarsa conoscenza della situazione clinica e delle normative vigenti».
Piera Quaglini
«L’assenza totale di partecipazione ai consigli comunali denota lo scarso interesse per come il paese viene amministrato» Come mai? «Come sempre detto in campagna elettorale, sappiamo tutti che se le risorse sono poche bisogna impegnarsi per sfruttarle al meglio, facendo scelte oculate e maggiormente proficue. È inutile continuare a lamentarsi che non ci sono soldi se poi alla fine si sceglie di finanziare opere per niente prioritarie». Qual è a vostro parere la vera priorità per Lungavilla? «Così com’era nel nostro programma elettorale diciamo la viabilità e, nonostante sia stato inaugurato un piccolo tratto di strada, i problemi non sono stati risolti. Ci sono ancora situazioni che riteniamo urgenti e
tivo, culturale), mettono a disposizione il loro tempo per la comunità». di Elisa Ajelli
Paola Orlandi
La gente che dice? è soddisfatta di come vanno le cose in paese? «Le persone che ci fermano ovviamente appoggiano il nostro punto di vista e criticano quello dell’amministrazione attuale, ma comunque possiamo constatare che l’assenza totale di partecipazione ai Consigli Comunali denota una scarso interesse alla vita politica del paese e a come questo viene amministrato. Finché una situazione pubblica non lede un interesse personale nessuno si espone e il paese “si anima” solo qualche mese prima dell’avvicinarsi delle elezioni». Ritenete Lungavilla un posto sicuro? «Diciamo che hanno “solo” fatto esplodere l’ingresso della Banca giusto qualche giorno fa…». Qual è un vanto per il vostro paese? «Le persone. Tutte quelle persone, e sono tante, che, in ambiti diversi (sociale, spor-
«Lungavilla un posto sicuro? Diciamo che hanno “solo” fatto esplodere l’ingresso della Banca giusto qualche giorno fa…».
TORRAZZA COSTE
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Torrazza Coste centro di solidarietà «Il nostro aiuto ai bambini del Congo» In tanti dicono “aiutiamoli a casa loro”. Alcuni (molti meno) lo fanno per davvero, come la decina di volontari della Onlus Aleimar del nucleo operativo di Torrazza Coste che dal 2010, con il Progetto Congo, si occupa dei bambini più sfortunati in una zona molto delicata dell’Africa. Aleimar è un’organizzazione di volontariato che, attraverso l’adozione a distanza e i progetti di sviluppo dà una mano ai minori in difficoltà: bambini di strada, orfani, profughi, discriminati o abbandonati. «Senza distinzione di religione, razza e cultura» specifica Francesco Moroni, che fa parte dell’associazione ormai dal 2005 ed è responsabile del Progetto. «Il nome Aleimar – racconta – è stato dato nel ricordo di un ragazzino brasiliano della città di Belem che portava questo nome, aiutato dal gruppo e ucciso dalla polizia del posto per un piccolo furto». La presenza del gruppo Aleimar nella Repubblica democratica del Congo risale ormai al 1994, quando è entrata in collaborazione con le suore Figlie di Maria Ausiliatrice in un centro di accoglienza denominato Maison Laura Vicuna, a Lubumbashi, capitale del Katanga con cui collabora tutt’ora. Lì Aleimar aiuta chi dà asilo e assistenza a oltre cinquanta bambine e più recentemente ha iniziato anche a supportare un centro per disabili e l’ospedale Policlinico Don Bosco di Lubumbashi.
La Onlus Aleimar attiva in Africa: «In Congo grandi ricchezze preda delle multinazionali cinesi»
Moroni, solidarietà a tutto tondo. Che tipo di problematiche hanno le bambine di cui vi occupate? «Possono essere le più svariate, che vanno dall’essere orfane all’essere abbandonate o anche ripudiate perché considerate streghe». Prego? «è proprio così. In certi villaggi ci sono ancora credenze e superstizioni e il capo villaggio ha ancora diritto di vita e morte sui suoi sottoposti. Non è affatto infrequente che bambini piccoli vengano allontanati perché ritenuti portatrici di disgrazia». Però non vi limitate a mandare aiuti economici, che pure sono una parte im-
Francesco Moroni, responsabile Progetto Congo portantissima… «No, perché la nostra idea di base non è semplicemente tamponare i problemi, quello che vorremmo è creare pian piano le condizioni perché queste persone possano avere un futuro migliore nel loro paese. Dal 2012 è iniziata una collaborazione con le suore Agostiniane del luogo alle quali vengono inviati aiuti per le scuole gestite da loro ma anche attrezzature mediche e medicinali per il dispensario. Quest’anno abbiamo donato al villaggio di Sambwa 8 macchine da cucire e pedali per la scuola di taglio e cucito che è senza corrente, oltre a latte specifico per bambini malnutriti dando il via ad un progetto che speriamo prosegua nel tempo, con obiettivo la cura e il monitoraggio di questi bambini. Allo stesso modo da diverso tempo stiamo fornendo all’ospedale Don Bosco di Lubumbashi apparecchi e attrezzature come un grande generatore di corrente, sedie a rotelle, un ecografo, medicine e altro». In che modo riuscite a finanziare l’attività? «Diciamo innanzitutto che le forme di aiuto si distinguono in due categorie: una è il sostegno a distanza, attuato dalle famiglie che adottano a distanza un bambino e provvedono economicamente al suo mantenimento ricevendo periodici aggiornamenti e fotografie. La seconda forma di sostegno la mettiamo in atto noi attraverso l’organizzazione di mercatini e manifestazioni in cui raccogliamo offerte, senza contare le generose ma imprevedibili donazioni private che ogni tanto riceviamo».
Quanto si riesce a recuperare mediamente in un anno? «Possiamo dire che al momento siamo in grado di procurare all’incirca 10mila euro di aiuti annui. Quest’anno con orgoglio posso dire che 5.500 sono arrivati dalla sola Torrazza Coste».
creare condizioni di vita che permettano a quelle persone di poter trovare fortuna nel loro paese? «Secondo noi sì. Istruzione e piccolo artigianato sono delle risorse importanti unite al miglioramento della sanità. Non bisogna poi dimenticare che il Congo è un paese ricchissimo». In che termini? «In termini di risorse minerarie. è ricco di diamanti e possiede circa il 70% del Coltan disponibile al mondo: un minerale formato dall’unione di colombite e tantalio, fondamentale per la realizzazione degli apparecchi come cellulari e computer. Una grande ricchezza che però finisce tutta nelle mani delle multinazionali, soprattutto cinesi, e che non resta in alcun modo sul suo territorio di origine». Come si fa a cambiare la vita di chi deve fronteggiare condizioni tanto disagiate? «Con pazienza e sacrificio, partendo dalle basi: quest’anno abbiamo avviato il progetto per la realizzazione di un orto, un allevamento di polli e maiali e la produzione di mais, che in Congo sostituisce il grano ed è alla base della alimentazione. Il nostro obiettivo è portare all’autoproduzione di cibo, dato che l’indipendenza alimentare è chiaramente un passo fondamentale». Ogni quanto andate in Congo? «Una volta l’anno, restandoci per circa 3 settimane». In quanti vi chiedono di poter venire in Italia?
«Quest’anno con orgoglio posso dire che 5.500 euro sono arrivati dalla sola Torrazza Coste» Sono tanti o pochi? «Quando si parla di solidarietà non si può dire. Di sicuro non è mai “abbastanza”, perché più si ha più si può fare. Ad esempio abbiamo nel cassetto un progetto molto importante che speriamo di poter finanziare tra non molto». E sarebbe? «Portare il fotovoltaico sul tetto dell’istituto che ospita le bambine: sarebbe per tutta la piccola comunità un aiuto notevole, permetterebbe di risparmiare moltissimo visto che l’attuale caldaia è a gasolio, che ha un costo quasi pari a quello italiano con la differenza che in Congo lo stipendio medio è di 100 dollari». “Aiutarli a casa loro” si dice spesso parlando di immigrati. è davvero possibile
«Tanti, ma noi lo sconsigliamo a tutti, perché qui non è il paradiso che si immaginano da là. Il viaggio è lungo, pericolosissimo e costoso. La contropartita per chi arriva in Italia è poi davvero misera nella maggior parte dei casi. Si può avere una vita dignitosa restando nel proprio paese se si viene aiutati nel modo giusto, con pazienza e solidarietà». Avete in programma iniziative per raccogliere fondi? «Il 21 dicembre al Cowboy’s Guest Ranch di Voghera ci sarà una serata musicale benefica che coinvolgerà diversi artisti del territorio. L’ultimo appuntamento del 2018 per raccogliere offerte». di Christian Draghi
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GODIASCO SALICE TERME
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Nuova differenziata con il freno a mano «Serve tempo per abituarsi» è partita, a dire il vero un po’ in sordina, la raccolta differenziata dell’umido nel capoluogo di Godiasco. Così come i vicini di Salice e Rivanazzano Terme, anche il piccolo borgo nel cuore della Valle Staffora si è adeguato affidando il servizio ad Asm Voghera. La nuova raccolta ha previsto l’introduzione di cassonetti stradali specifici per la raccolta dell’umido, apribili solo con una chiave speciale, che la ditta ha iniziato a consegnare alle famiglie, insieme al kit, fin dalla fine di agosto. «Lo scopo – spiega Asm – è quello di portare notevoli miglioramenti nella qualità del servizio con l’obiettivo di aumentare la percentuale di raccolta differenziata e diminuire così la tassa rifiuti. Il principio è semplice: più inquini e più paghi, più ricicli più risparmi e tuteli l’ambiente. Migliorare la divisione dei rifiuti prodotti in base alla loro tipologia – continua l’azienda – evita il conferimento presso un termovalorizzatore che costa di più. Inoltre i materiali si recuperano, dandogli una nuova vita». Federico Scabini
«La mia impressione è che serva qualche cassonetto in più»
Se la teoria non fa una grinza, la pratica potrebbe riservare qualche complicazione in più, tenendo conto dell’elevato numero di anziani ma anche, più in generale, della innata renitenza al cambiamento insita nel tessuto sociale. Detto in parole più povere ma dirette: pigrizia e insofferenza allo “sbattimento” potrebbero giocare contro la buona attuazione del servizio. Il metodo è semplice ed è stato spiegato alla popolazione anche attraverso lo stru-
mento degli incontri pubblici, rafforzati dalla consegna di un apposito volantino esplicativo. Ma cosa ne pensa la gente? A farsi un giro per Piazza della Fiera l’accoglienza è un po’ freddina. In pochi ci rilasciano dichiarazioni “ufficiali”, ma si capisce che questa nuova differenziata è ancora in qualche modo un oggetto misterioso. Qualcuno confessa candidamente di non avere ancora iniziato a farla, qualcun altro
ha appena provato a vedere come funzionano i cassonetti con la chiave. Qualcun altro ancora ci dice che di scarto umido ne produce pochissimo perché «da tavola non si avanza niente». Se il buongiorno si vede dal mattino. La prima ventata di ottimismo arriva entrando al Bar Lalla, dove il titolare Federico Scabini è invece positivo. «Tra i miei clienti noto entusiasmo per questo nuovo servizio, che personalmente ritengo molto utile e positivo, oltre ad essere stato spiegato adeguatamente. Non credo rappresenti un grande problema per nessuno adeguarvisi». Scabini mette però in guardia contro lo scarso senso civico. «Ho notato che in frazione Gomo qualcuno ha lasciato il cassonetto aperto, non so se per pigrizia o “ignoranza” relativa al funzionamento. Spero che non si diffondano cattive abitudini». Più in là, lungo via Vittorio Emanuele, c’è l’edicola di Domenico Lo Giudice, un luogo dove l’andirivieni di godiaschesi fa del suo titolare un buon “teste”. «Il servizio è sicuramente positivo ed è stato anche ben spiegato. Se si riesce a metterlo in pratica bene si può davvero ottenere una riduzione della tassa rifiuti e, almeno personalmente per me che ho una attività, sarebbe un aiuto, oltre al fatto che bisogna iniziare ad avere una coscienza “ecologica”. Il problema secondo me sarà quello di abituare la gente ad attuarlo. Sento molti lamentarsi, più che altro per insofferenza al cambiamento. Capisco che cambiare abitudini ben radicate, come quella a disfarsi della spazzatura in modo semplice e immediato, per alcuni e soprattutto
GODIASCO SALICE TERME
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Alberto Bertelegni
gli anziani possa essere difficile. Ci vorrà tempo». Alberto Bertelegni, della Pasticceria Pini, è un altro degli “entusiasti”, ma ritiene
Domenico Lo Giudice
che in generale il servizio di raccolta differenziata dovrebbe essere potenziato. «La mia impressione è che serva qualche cassonetto in più, soprattutto nelle vie
BY TATO - RIVANAZZANO TERME
principali. Non parlo solo dell’umido ma anche di carta e plastica». di Christian Draghi
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«Ho notato che in frazione Gomo qualcuno ha lasciato il cassonetto aperto, non so se per pigrizia o “ignoranza” relativa al funzionamento. Spero che non si diffondano cattive abitudini»
VARZI
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Varzi tra “I Borghi più belli d’Italia”? «Abbiamo le carte in regola» L’assessorato alla cultura del Comune di Varzi “tira la volata” in vista delle prossime elezioni provando a lasciare una traccia indelebile del suo operato: l’inserimento del paese tra “I Borghi più Belli d’Italia”. Del prestigioso club in Oltrepò Pavese fanno parte oggi soltanto Fortunago e i “rivali” di Zavattarello, e la riuscita dell’operazione consentirebbe a Silvia Giacobone di concludere il mandato con la proverbiale ciliegina sulla torta. Assessore, partiamo proprio da questa richiesta avanzata a nome di Varzi. Come mai avete deciso solo oggi, a fine mandato, di inoltrarla? «Non è una questione di inizio o fine mandato: l’importante è portare avanti ciò in cui si crede. Penso che Varzi abbia le caratteristiche per essere riconosciuto tra i Borghi più belli d’Italia. E a tal proposito ringrazio le Associazioni presenti sul nostro territorio, e in particolare “Varzi Viva”, per aver sollecitato e supportato questa richiesta». Quali sono i requisiti per poter entrare a far parte del club? «Ci sono due criteri da soddisfare: avere una popolazione che nel Borgo antico non superi i duemila abitanti e possedere un patrimonio architettonico e o naturale certificato, con edifici storici che devono prevalere sull’insieme della massa costruita e dar luogo ad un complesso esteticamente omogeneo». Come funziona l’iter burocratico? Qualora la domanda venisse accolta quando Varzi sarà parte dell’élite ufficialmente? «Il Comune deve inviare al Club “I Borghi più belli d’Italia” la delibera del consiglio comunale con la condivisione dello Statuto del Club e della carta di Qualità, insieme a una lettera di accompagnamento in cui viene descritta la peculiarità del borgo. La richiesta viene poi inserita in una lista di attesa, per essere valutata dal comitato scientifico. Una volta approvato l’elenco delle visite (in base al criterio delle esigenze di copertura regionale e alla data di ricezione della richiesta), viene comunicata la data in cui viene effettuata la visita di certificazione». Parlare di ammissione e di tempistiche, mi sembra prematuro. Siamo appena all’inizio dell’iter». Quali benefici si ottengono essendo uno dei “Borghi più belli”? «Il beneficio maggiore che potrebbe derivare dall’appartenenza alla rete dei borghi più belli è senz’altro quello di ottenere visibilità e, di conseguenza, un impulso allo sviluppo turistico. Inoltre, favorisce nei cittadini la consapevolezza di far parte di una piccola comunità dove si può ancora trovare un modello di vita che vale la pena di “gustare” in tutti i sensi».
L’assessore Silvia Giacobone inoltra la richiesta «L’inserimento darebbe visibilità e impulso al turismo»
Silvia Giacobone, assessore alla cultura del Comune di Varzi Più in generale in questi 5 anni di mandato di quale progetto va più fiera? «Domanda difficile… È come chiedere a una madre del figlio preferito. In questi anni le iniziative dell’assessorato hanno spaziato su diversi fronti, interessando diversi ambiti: arte, letteratura, storia, cinema, teatro. Hanno registrato una buona affluenza di pubblico e consenso, grazie anche al contributo delle associazioni locali e di tutti coloro che, con grande competenza, si sono resi disponibili a collaborare. Se mi devo sbilanciare, direi forse la mostra dei documenti dell’archivio dell’abate Fabrizio Malaspina che è stata allestita in occasione delle diverse edizioni della festa medievale… Per un motivo personale: ho lavorato al riordino del fondo e la possibilità quindi di far conoscere al grande pubblico l’estrema varietà di quei documenti, raccolti dall’abate in qualità di studioso o posseduti dai Malaspina nel corso dei secoli quale famiglia signorile, mi rende particolarmente orgogliosa». Cosa la sua gestione lascia in eredità
alla cittadinanza? «Uno spazio museale, un archivio digitale e multimediale, che verrà realizzato nella struttura denominata il “Casone”, un edificio a cui il nostro Comune è molto legato per storia e tradizione poiché rappresenta da sempre uno dei principali punti di accesso al nucleo antico. Sono particolarmente grata al sindaco Gianfranco Alberti che, con il suo contributo determinante all’interno della Strategia Aree Interne, è riuscito a far percepire ai componenti del parternariato (Stato, Regione, Territorio) l’importanza storicoculturale-artistica del progetto e a ottenere il finanziamento di una cifra importante per la sua realizzazione. Ma rimane anche un’altra testimonianza molto importante, frutto di un’iniziativa coordinata in diversi anni tra Amministrazione, ANPI, assessorato alla cultura attuale e precedente: la Medaglia d’Oro al Valor Militare conferita, il 25 settembre, dallo Stato italiano alla città di Varzi. Il riconoscimento di una preziosa esperienza di liberazione dal nazifascismo e di demo-
crazia: a ricordo e monito per le giovani generazioni». La stagione estiva appena trascorsa ha lasciato qualcuno soddisfatto e qualcun altro meno. Lei che bilancio si sente di fare? Quali iniziative ha realizzato con il suo assessorato? «A Varzi e in tutte le frazioni e i comuni della valle è un susseguirsi di sagre e di eventi, che coinvolgono i residenti e i turisti. C’è l’imbarazzo della scelta… Il mio assessorato ha contribuito con l’iniziativa della mostra dell’archivio Malaspina, che si è svolta nelle giornate della Festa medievale. Per riprendere poi a pieno ritmo da settembre». Si era puntato molto sulla riapertura della torre delle streghe del castello Malaspina per il rilancio del turismo. Com’è la situazione oggi? «L’Amministrazione Comunale, grazie al finanziamento della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia e ai tanti piccoli contributi di singoli cittadini, associazioni e società, ha potuto riaprire al pubblico la Torre. La cerimonia di inaugurazione si è svolta il 29 aprile, insieme alla presentazione della nuova Guida Turistica (che mancava da diversi anni), strumento fondamentale per promuovere e valorizzare il nostro territorio. Con una convenzione è stata affidata in gestione sperimentale alle associazioni presenti sul territorio, “A tutta Varzi” e “Varzi Viva”, che si sono impegnate ad aprirla al pubblico e a organizzare visite guidate. Il bilancio è tutto sommato positivo. Si sono registrati momenti di grande affluenza, in concomitanza con eventi di grande richiamo, come la festa del primo maggio e la festa medievale, e altri più tranquilli. Come tutte le cose, occorre tempo per calibrare il tiro». di Christian Draghi
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Nata l’associazione per rilanciare Nivione: «Inutile aspettarsi aiuti dalle istituzioni» Hanno ripreso il nome medioevale del piccolo borgo e hanno lanciato un’associazione di “promozione sociale” per farlo rivivere. è così che i giovani animatori di “Nuvun” si sono rimboccati le maniche e si daranno da fare per donare a Nivione, piccola frazione di Varzi, una nuova vita. «Siamo consci che con i tempi che corrono di spending review e bilanci risicati non ci si può certo aspettare che sia il Comune ad elargire fondi ed organizzare eventi per mantenere vivo il tessuto sociale in una valle dimenticata» spiega il presidente della neonata associazione Nazareno Dirotti. «Abbiamo quindi deciso di fare da noi. Il primo evento si è svolto lo scorso 14 ottobre e ha visto la partecipazione di un buon numero di curiosi, rifocillati con la pizza secondo la tradizione dell’antica sagra del pane casereccio e condotti per un itinerario attraverso i calanchi per far vedere le bellezze del paese e dintorni. Abbiamo già sottoscritto una cinquantina di tesseramenti». spiega sempre Dirotti, che rappresenta il piccolo direttivo. Come e quando è nata l’idea di creare questa associazione? «L’idea ci ronzava in testa da oramai più di un anno, da quando ci siamo accorti che a Nivione, piccola frazione del Comune di Varzi di cui Nuvun altro non è che il nome medievale, non si facevano più né feste né incontri che portassero le persone insieme, giovani (sempre meno) e anziani (sempre di più). Allora ci è venuta l’idea di creare un’associazione, senza scopo di lucro, per far tornare a vivere questo paese». Di che tipo di associazione si tratta e qual è il suo scopo? «Si tratta di un’associazione di promozio-
AGIERRE
Nazareno Dirotti ne sociale, il cui obiettivo è di portare insieme le persone per il mutuo beneficio e per la valorizzazione di un territorio che ha tanta bellezza da offrire: paesaggi, frutta e verdura a km 0, storia, cultura, tradizioni. Senza pretese, ci si incontra e si decide cosa fare, cercando di coinvolgere i locali (per il momento per la verità non molto partecipi) ed i cosiddetti “forestieri” (che ho visto letteralmente meravigliati dalla bellezza del paesaggio lunare dei calanchi, e della vecchia chiesa di San Marcellino alla scorsa festa di inaugurazione). Una scusa per incontrarsi, confrontarsi, passare del tempo insieme; se poi da questo nasceranno possibilità, ben venga: il nostro sogno è di far rivivere il paese, di tenere concerti nella piazzetta e riportare le emozioni delle vecchie feste di paese, come la festa del pane casereccio, che fino a pochi anni fa è stata una felice bellissima occasione annuale di incontro».
Come mai avete sentito l’esigenza di muovervi in prima persona? «Non ci si può aspettare che siano le istituzioni a farlo, visto che nemmeno hanno i soldi per tagliare l’erba ai lati della strada o aggiustare le buche... e nemmeno chi ha già lavorato una vita e organizzato sagre in passato, oramai prossimo (se non già) alla pensione. Siamo noi giovani desiderosi di rimanere in valle a doverlo fare». Come pensate di finanziare le vostre attività? «Le nostre attività vengono finanziate attraverso il tesseramento annuale dei soci (una quota annuale da 10€) e attraverso offerte e donazioni. Non vogliamo che le nostre attività vengano imposte dall’alto, e non vogliamo legarci a doppio filo a qualsivoglia realtà politica perché questo avvenga. Budget limitati che come le proposte di attività e approfondimento vengono dal basso, dagli associati e dal consiglio direttivo, composto da persone del luogo». Quando e dove sarà il prossimo evento? «Stiamo lavorando, grazie agli sforzi e alla passione del nostro consigliere Federico Lazzati, ad un incontro di approfondimento storico su Nivione e la vallata; con Claudio (vicepresidente) e Clara (socia volontaria) stiamo organizzando invece per la primavera 2019 una serie di escursioni, a Nivione e non solo». Da giovani varzesi, come giudicate la realtà del paese? Che cosa vi offre? «Il nostro è un paese di collina, dimenticato da tutti e ben al di sotto delle proprie potenzialità. Senza voler crocifiggere nessuno, credo che la politica degli ultimi decenni abbia fatto ben poco per invertire questa rotta.
Varzi offre comunque molte comodità, scuole, palestre, attività commerciali, decine di bar, supermercati aperti fino alle 24, diversi eventi e sagre estive tra Varzi e le sue varie frazioni. Noi pensiamo che ci siano le carte in regola per fare anche di più e avere un bel flusso di turisti anche dall’estero nella nostra Valle Staffora e perché no anche nella valle della Lella (il nostro torrente). Il nostro obiettivo a lungo termine - nel nostro piccolo - va visto in questa direzione: dare visibilità alla vallata e lasciare un buon ricordo a chi magari viene su per una gita domenicale perché possa tornare». Cosa manca a Varzi e come si può migliorare? «Una pista ciclabile che la colleghi alla pianura. Una rete che possa creare sinergia tra le varie imprese e associazioni». L’associazione ha un colore politico? «Non abbiamo nessun colore politico e crediamo che il futuro della nostra vallata passi dalla rivalutazione di ciò che è locale. La politica ed i partiti si muovono su di una macro-dimensione, ed è inutile fare marchette di qua o di là e andare a discutere di TAP o TAV, si crea solo ostilità e attrito. Promozione sociale vuol dire non creare categorie di divisione. Quando camminiamo o mangiamo in compagnia, non ci sono colori o discriminazioni: si parla di territorio, si mangia una mela di un contadino del posto che non è né al governo né all’opposizione. Lasciamo la diatriba politica ai canali preposti per tali discussioni e stiamo insieme godendoci ciò che la natura ci offre». di Christian Draghi
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LA “NOSTRA” CUCINA
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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!
Questo mese parliamo di castagne, frutto tipico della stagione autunnale che si trovano in abbondanza nei boschi sulle colline del nostro Oltrepò in questo periodo. C’è chi ama quelle da sgranocchiare in strada, chi le cuoce nel camino di casa, chi le fa saltare in padella e chi le preferisce lessate: le castagne, che per l’elevato contenuto di carboidrati e la facile accessibilità erano chiamate anche pane dei poveri dai nostri nonni, non possono mancare sulle tavole d’autunno. Anche perché in quello scrigno bombato e compatto, ricoperto da una buccia lucida e leggermente lanosa, si nascondono proprietà nutrizionali insospettabili che fanno della castagna un vero toccasana anche contro i malanni di stagione. Le castagne contengono il 7% di proteine, il 9% di lipidi e l’84% di carboidrati. Come tutti gli alimenti di origine vegetale, sono prive di colesterolo. 100 grammi di castagne forniscono 81 mg di fosforo, 30 mg di calcio, 0,9 mg di ferro e 395 mg di potassio. Sono dunque una fonte importante di sali minerali preziosi e sono un alimento ad alto valore energetico, utile in autunno e in inverno per recuperare le
forze. Inoltre contengono fibre utili per l’attività intestinale. Per la ricetta di questo mese, le utilizzeremo in un modo un po’ insolito perché diventeranno uno degli ingredienti di un condimento saporito per condire la pasta. Pappardelle con castagne, pancetta e porri Come si preparano: In una casseruola mettiamo a bollire l’acqua abbondante per lessare la pasta. Nel frattempo prepariamo il nostro condimento. In una padella antiaderente versiamo qualche cucchiaio d’olio, aggiungiamo un ciuffetto di rosmarino e rosoliamo il porro tagliato a fettine sottili a fuoco lento. Uniamo la pancetta, la lasciamo soffriggere per qualche minuto e poi aggiungiamo le castagne lessate tagliate grossolanamente. Mescoliamo bene, saliamo e versiamo il vino bianco. Lasciamo evaporare l’alcool e poi copriamo con un coperchio cuocendo a fiamma dolce per qualche minuto. A questo punto, dopo aver salato l’acqua, cuociamo le pappardelle e le scoliamo al dente, le versiamo le pappardelle nella padella con le castagne, la pancetta e il porro
e le mantechiamo bene aggiungendo un po’ di acqua di cottura della pasta. Serviamo con una macinata generosa di pepe e decoriamo con un ciuffetto di rosmarino. Un primo piatto autunnale insolito ma molto appetitoso! YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni di Gabriella Draghi
Gabriella Draghi
Pappardelle con pancetta e porri
castagne,
Ingredienti per 2 persone: 150 g di pappardelle all’uovo secche 100 g di castagne lessate e sbucciate 1 porro 100 g di pancetta dolce tagliata a dadini mezzo bicchiere di vino bianco fermo un rametto di rosmarino olio extravergine d’oliva sale e pepe
MENCONICO
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Il sindaco: «Tartufo Gate? Soltanto un malinteso» «Azienda allontanata dalla sagra del tartufo? E’ stato solo un malinteso». Il sindaco di Menconico Donato Bertorelli interviene sulla questione sollevata dal consigliere di minoranza Alessandro Callegari, che aveva denunciato come ad un’azienda agricola del territorio, quella di Davide Simonetti, fosse stato prima concesso e poi impedito di partecipare alla manifestazione del settembre scorso. «Il malinteso – spiega Bertorelli – è dovuto al fatto che era stata concordata la partecipazione alla sagra del tartufo dell’azienda agricola Simonetti per il 2019 e non per il 2 settembre 2018, in quanto in tale data la raccolta e la vendita del tartufo era vietata e pertanto per partecipare alla fiera con vendita del tartufo necessitava di una autorizzazione che Simonetti non possedeva ancora, ma che sicuramente riuscirà ad avere per il 2019. Inoltre Callegari criticava l’Amministrazione per i rapporti in essere tra Comune e Pro Loco, definiti «poco trasparenti ». «Quando Callegari critica la Pro-Loco – attacca Bertorelli - critica tutte quelle persone che con solo spirito di volontariato operano all’interno medesima facendo grossi sacrifici e dedicando parecchio del loro tempo ad organizzare manifestazioni atte a far conoscere ed apprezzare il nostro comune ed i nostri prodotti: tutto questo fatto da un consigliere comunale è vergognoso e scandaloso». Il sindaco poi ricorda:«Nel nostro comune, oltre alla Pro Loco, ci sono due circoli Aspi: a San Pietro Casasco il circolo organizza diverse ottime manifestazioni durante l’estate ed a Menconico il circolo offre
accoglienza con l’apertura del relativo bar. A tutte quelle persone che operano in queste associazioni deve andare il nostro ringraziamento. Spero solo che il consigliere Callegari si ravveda e chieda scusa». Secondo Bertorelli quella di Callegari è un’opposizione portata avanti “a prescindere”, con uno spirito che non ha nulla di costruttivo. «Ha sempre cercato di mettere in cattiva luce l’amministrazione comunale scrivendo decine e decine di lettere alla Regione Lombardia, alla Prefettura , all’URT, all’ATS nelle quali criticava pesantemente il nostro operato. Non ha mai condiviso e votato a favore un ordine del giorno in consiglio comunale, addirittura ha votato contro anche un ordine del giorno riguardante la Casa Di Riposo che lui stesso aveva proposto dicendo che la minoranza deve sempre votare contro a prescindere. Ha sempre criticato – continua Bertorelli - ma mai ha speso una parola per le emergenze del nostro territorio quali la frana di Cà del Bosco, la frana di Ghiareto che rischiava di isolare le frazioni di Carrobiolo e Ghiareto, la frana vicino a Vigomarito , la frana ancora in atto a Giarola come quella del cimitero di San Pietro. Mai una parola quando nel 2017 abbiamo avuto le frazioni di Montemartino e San Pietro senza acqua potabile». In vista delle elezioni del prossimo anno Bertorelli apre poi le porte alla minoranza auspicando la creazione di una lista unica: «Per me è molto negativo quando gli abitanti, anche di piccole frazioni, si dividono e sostenendo liste contrapposte creano divisioni che
Donato Bertorelli
Il sindaco spiega: «Il permesso a partecipare si riferiva al 2019, per quest’anno mancava l’autorizzazione» durano nel tempo. è per questo – conclude il primo cittadino - che spero ci sia una sola lista composta
dall’attuale maggioranza e minoranza unite». di Silvia Colombini
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ALTO OLTREPò
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Oltrepò Pavese, Enduro sì? Enduro no? Per una volta, seppure su una materia che penso di conoscere bene, ricorro a Wikipedia, perché è, probabilmente, la definizione più immediata di che cosa è l’Enduro: “L’Enduro, fino agli anni settanta denominato Regolarità, è una specialità del motociclismo che si concretizza in gare di regolarità su percorsi prevalentemente sterrate, con medie velocistiche e tempi d’impiego prefissati, nel rispetto del codice della strada vigente”. Ecco, in pochissime parole, l’essenza della specialità. Si parla di regolarità, di rispetto di codice della strada seppur su strade prevalentemente sterrate. Ed è qui che nasce il vero problema. Le strade sterrate, i relativi divieti e la tanta confusione. L’emendamento approvato che determina la revisione degli articoli 2, 3 e 194 del Codice della strada, porterebbe alla definitiva morte di questa specialità, riservando la circolazione su strade sterrate inferiori ai mt 2,5 ad animali, pedoni e velocipedi. Pare che ora qualcosa si stia muovendo per arrivare ad una civile convivenza tra chi vive il bosco, la collina o la montagna per passeggiare o pedalare e chi lo fa per la grande passione motoristica. In Oltrepò sono davvero tanti i praticanti questa disciplina. I diversi MC locali hanno lavorato molto bene negli anni, organizzando importanti gare nazionali ed internazionali ed attirando sul territorio centinaia di fuoristradisti. Ma, per il momento, fuori dalle manifestazioni organizzate, nessuno potrebbe circolare, salvo autorizzazioni particolari ricevute dai singoli comuni. Vorrei non entrare nel merito della gestione delle gare, ma mi piace pensare all’Enduro come un modo per presentare e far conoscere il nostro Territorio ad amici ed appassionati che ancora non lo conoscono. Personalmente lo utilizzo nei percorsi stradali con centinaia di motociclisti accompagnati ogni anno e, per quanto riguarda il fuoristrada, il più convinto sostenitori di questa interpretazione è Umberto Milone. Umberto, la sua voglia di promuovere il territorio oltrepadano è certamente conosciuta da tanti. Ci può raccontare qualcosa di lei? «Sono un endurista amatoriale “vecchio stampo”. Penso che questo termine identifichi appieno i veri enduristi che non guardano il compagno di giri come un avversario e quindi non cercano mai la competitività quando si esce in moto, bensì il piacere della compagnia e dell’aggregazione. Mi sono trasferito in Oltrepò Pavese da diversi anni ormai; un giorno, uscendo da uno sterrato, ho trovato casa mia e dopo poco ci sono andato ad abitare, senza neanche sapere dove fosse posizionata nel territorio e a che distanza stava dal posto di lavoro. Quell’immagine apparsa alla fine dello sterrato, con il panorama mozzafiato circostante, con la nebbia a mezza collina
Umberto Milone, endurista amatoriale di Ruino mentre io stavo al sole, mi ha stregato… ma in che posto ero? Ma che fortuna aveva la persona che abitava lì? L’Oltrepo è sempre stato un territorio da mordi e fuggi, senza picchi di turismo, senza nessuna pretesa se non per gitarelle fuori porta, che inducono i visitatori a trascorrere solo qualche ora in un posto che ha tutto e molto di più di tanti altri posti rinomati. Forse la vicinanza con le grandi città non ha mai portato i referenti a cambiare mentalità ed i risultati si vedono. Non è una critica, forse è una conservazione mirata, ma mentre altri possono vantare afflusso di turisti, qui da noi dobbiamo andare a cercarli di notte come i funghi». Come la sua passione per l’enduro ha “incontrato l’Oltrepò? «Ho cercato di coinvolgere amici e “i cosiddetti amici di Facebook” o altri social (che ritengo sia, se usato con cervello, un’eccellente piattaforma pubblicitaria) per far conoscere questo territorio che amo e che ha delle potenzialità che altri non hanno. Da qui ho intrapreso ottimi rapporti con tutti, comuni, agricoltori amici; si sa che gli enduristi sono malvisti come banditi, questo è ormai il pensiero di pochi che vogliono chiudere le porte al futuro dell’Oltrepò, ma col passare del tempo molti hanno capito che possono essere anche una sana forma di ricchezza economica per il territorio. Pian piano conoscendo sempre più i sentieri percorribili e quelli vietati, insieme ad altri enduristi del posto, è balenata l’idea di realizzare dei giri turistici per trasmettere ad altri appassionati come noi la bellezza dell’Oltrepò ben cercando di non fare come il turista frettoloso che arriva in agriturismo ci sosta per 5 ore e poi, pieno ed assonnato, ritorna a casa senza aver visto o saputo che magari a 1 km da dove si è riempito il pancione si poteva anche vedere qualche posto particolare di cui troppo pochi ne conoscono l’esistenza. L’enduro turistico che stiamo tentando di intraprendere è prettamente finalizzato allo sviluppo del turismo dell’Oltrepo, senza
trarre per questo guadagni per noi stessi; questi guadagni devono andare al territorio, ai commercianti, ai Comuni e soprattutto alla Comunità Montana che preserva questo piccolo paradiso dove viviamo». Lei è riuscito a far arrivare a Ruino decine di appassionati da tutta Italia. Come ci è riuscito? «Sempre tramite i rapporti con diversi motociclisti conosciuti nei vari viaggi o uscite tra amici in Piemonte, Abruzzo, Puglia, Toscana ed estero come Marocco e Tunisia e affidandomi ai social. Insieme all’ormai gruppo fidato di amici enduristi del posto siamo riusciti a raggruppare un bel numero di persone per una due giorni di enduro turistico; la base era il Comune dove risiedo in quanto, come prima esperienza per il gran numero di partecipanti, avevo la certezza di poter dare, attraverso i commercianti del paese, una buonissima sistemazione per il pernottamento e per la ristorazione. In quel caso, su moto mono e bicilindriche, eravamo 83 motociclisti che hanno soggiornato dal venerdì sera alla domenica a Ruino, tre b&b ed agriturismi, oltre al bar, ben contenti dell’evento; per la cena invece avevamo preso accordi con la Pro loco di Ruino che ha soddisfatto (ma questo era ovvio in quanto sono al top) le nostre aspettative.
«L’Oltrepò è sempre stato un territorio da mordi e fuggi, senza picchi di turismo, senza nessuna pretesa»
Per i vari pranzi del sabato e della domenica invece, trovandoci in giro, abbiamo optato per il ristorante L’Appennino del Brallo e ristorante Da Vinci a Salice Terme dell’amico Vincenzo endurista filosofo d’eccellenza. Naturalmente il giro non è stato fatto con tutte le moto al seguito ed in fila, per ovvie ragioni di sicurezza e ordine; alcuni hanno fatto giri stradali tra Brallo, Penice, Bobbio e lungo il Trebbia, altri amici abruzzesi hanno allungato il tour fino a visitare la Certosa di Pavia e Pavia stessa, mentre il resto dei motociclisti ha girato a piccoli gruppetti in fuoristrada, guidati e seguiti dagli amici del posto. Eravamo quindi sparsi su tutto il territorio ed anche oltre, per poi ritrovarci, come punti di riferimento, ai due ristoranti ad abbuffarci e conoscerci più a fondo. Devo dire che la soddisfazione dei partecipanti al giro l’abbiamo capita nei giorni a seguire, quando tutti hanno fatto complimenti a noi, e soprattutto ai commercianti coinvolti». Riscontro più prettamente turistico del vostro operato in Oltrepò? «Un risultato che tengo molto a sottolineare, è stato che il giro l’avevamo fatto a giugno e, con grande nostra sorpresa (ma non troppa) almeno 4 famiglie dei partecipanti, nei successivi mesi di agosto e settembre, hanno trascorso le vacanze in Oltrepo, meravigliati dalla bellezza dei posti. Vacanze brevi tipo we lungo o una decina di giorni, ma comunque per me una grande soddisfazione per avergli fatto conoscere un posto da loro mai sentito. Questo è lo scopo del nostro gruppo. Successivamente abbiamo creato altri giri con meno partecipanti, quasi sempre intorno alle 10-20 moto per i motociclisti delle zone vicine…alla fine si sono aggregati ragazzi che si facevano 200 km per venire in Oltrepo …all’improvviso un sabato mattina all’orario di partenza si è fatto trovare un pazzoide fenomenale che era partito presto da Perugia per farsi una giornata da noi, personaggi immensi che hanno la nostra stessa visione dell’enduro: amicizia, natura e rispetto per tutto». Come ha reagito il Comune di Ruino a tale evento? «Il Comune ha reagito ottimamente, anzi da quell’evento abbiamo avviato un discorso un po’ più approfondito ma di questo per ora preferisco non dire nulla in quanto è in crescendo e per scaramanzia meglio stare coi piedi per terra, terra non asfalto. Ringrazierò sempre Comune e commercianti di Ruino per la gran bella figura che ci hanno fatto fare a giugno». Ha in programma altri eventi? «Realizzeremo altri eventi a breve, sicuramente in primavera in quanto si sa che con l’inizio delle piogge è sempre meglio evitare di girare in moto per sterrati per non rovinare il fondo, il rispetto della natura è
ALTO OLTREPò prioritario nel nostro comportamento. è inutile dire che anche gli enduristi puliscono i sentieri o che tagliano le piante per tenere ottimi i rapporti con Comunità Montana e Comuni. Facciamolo e basta. Non dobbiamo dimostrare nulla del bene che si fa per l’Oltrepò, dobbiamo dimostrare invece di non arrecare mai un danno ad altri ed al territorio. D’altronde la nostra passione è andare in moto, in strada o in sterrato è un’ottima passione sana e pulita, siamo sempre compagni della stessa età più o meno, i più siamo dai 50 anni in su quindi prepensionati o già pensionati che non hanno più la grinta di fare i piloti anche se molti lo sono stati ed anche ad altissimi livelli, ma ormai l’unica cosa che li fa salire su è proprio la moto... gli altri, i giovani, vanno dai 25 ai 50 anni e anche se hanno la grinta, hanno sempre come esempio il seguire i vecchi del gruppo, che oltre ad insegnargli cosa vuol dire fare enduro, gli sottolineano l’amore per la natura. Molto meglio girare in moto e godersi l’Oltrepo Pavese meraviglioso che passare il tempo a Voghera capitale dell’Oltrepo e capitale delle sale slot». Lasciamo il “caldo” Umberto Milone alla sua passione di incontri tra amici per far conoscere l’Oltrepò. è ora la volta di chi il bosco, il sentiero, la mulattiera la vive e la ama anche per lavoro. Federico Bertone, di Oltrepo Trail, è coach e istruttore di Nordic Walking, trekking estremo e trail run. Un “verde” appassionato che sui sentieri ci vive, portando decine di appassionati che, nel suo caso, sono anche preziosi clienti. Federico, quali problemi le crea il motociclista che pratica l’enduro? «Frequento quasi quotidianamente i sentieri di tutto l’Oltrepò collinare, per tracciare percorsi per gli eventi di Oltrepo Trail o per altri, e incontro spesso enduristi e sportivi motorizzati in genere. Mai avuto problemi, anzi noto con piacere che si sta sviluppando una certa etica dell’andare in moto, che porta ad atteggiamenti rispettosi dell’ambiente e degli altri sportivi outdoor. Vedo però una grande differenza di atteggiamento tra i gruppi organizzati, e quelli dei professionisti del settore, e i singoli o i piccoli gruppi di hobbisti dove le regole diventano più elastiche e i danni più ingenti. Certo il rumore delle moto e i gas di scarico possono infastidire, ma si tratta di pochi istanti, e per contro si tengono aperti sentieri che verrebbero presto sommersi dalla vegetazione. Discorso diverso per chi esce con il fango e provoca danni ingenti ai sentieri, o si muove a qualsiasi ora del giorno e della notte nelle aree protette; questi sono i classici “pochi” che rischiano di generare divieti per “tutti”». Il diffondersi delle e-bike, con il conseguente incremento dei praticanti, può essere paragonato, in termini di rischi, a quello dei motociclisti in off road? «Per quanto riguarda le e-bike guardo al mondo della mobilità elettrica in generale con entusiasmo e aspettative, e sogno di avere un auto elettrica nel garage e una e bike come grande aiuto nella tracciatura e verifica dei percorsi. Non sono un esperto del settore ma penso che l’elettrico sia già adesso una buona opzione per il motorsport di breve durata. La e-bike sta aprendo la
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pratica a persone che sarebbero scoraggiate dalle “muscolari” tradizionali, e permette di livellare le diversità di performance all’interno di un gruppo e di percorrere più km. Più turismo, niente rumore, niente inquinamento: per me è il futuro!!! Il prossimo problema è che ci saranno in giro veicoli silenziosi che si muovono a velocità considerevoli. Penso che ci abitueremo e troveremo delle soluzioni tecnologiche a tutto ciò, ma bisogna assolutamente cogliere questa opportunità di crescita». Secondo lei quale potrebbe essere una valida soluzione per una civile convivenza? «Il segreto della convivenza? Due concetti: il primo, la mia libertà finisce dove comincia quella del prossimo, quindi conviene cercare di andare d’accordo; il secondo, il territorio non è di nessuno: siamo tutti ospiti e dobbiamo cercare di convivere. Sogno il rispetto delle regole, dove già esistono, e sportivi guidati dal buon senso e dalla consapevolezza e che è meglio cooperare piuttosto che arrivare alla contrapposizione e creare divieti per tutti.
«Sono fiducioso perché ultimamente si respira aria buona in Oltrepò: c’è voglia di conoscersi tra i diversi attori del turismo, e di “fare volano” tutti insieme» Io stesso detesto francamente alcune categorie di “fruitori” della natura, ma ho visto che in ambito professionale mi è molto più utile collaborare con loro piuttosto che cercare lo scontro a tutti i costi. Ognuno rimane delle proprie idee ma si cerca di far crescere il territorio insieme. Sono fiducioso perché ultimamente si respira aria buona in Oltrepò: c’è voglia di conoscersi tra i diversi attori del turismo, e di “fare volano” tutti insieme, voglia di concentrarsi sulle tante mission e punti in comune piuttosto che sulle differenze. A livello molto pratico ritengo utile incentivare la creazione di aree dedicate alle varie pratiche: piste da cross, da downhill, running park, bike park, percorsi di slow tourism, falesie di arrampicata, riserve faunistiche, di caccia... e incentivare la loro fruizione. Regole chiare di pratica e di convivenza, e loro divulgazione da parte dei promotori e professionisti dell’outdoor, insieme alla stigmatizzazione dei comportamenti scorretti». Una delle aree più amate dagli enduristi svizzeri, tedeschi e austriaci è l’Alto Oltrepo. Come tutti gli sport motoristici, anche e soprattutto l’enduro M stanca parecchio ed ecco perché la scelta di un buon hotel fa parte della programmazione del week dei fuoristradisti. Sulle vie più alte si trova lo Sport Hotel Prodongo, il proprietario è Paolo Tornari. Paolo cosa ne pensa dell’endurista come cliente?
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Federico Bertone e un gruppo di runner «Io dividerei gli enduristi in tre categorie: l’endurista che gareggia che io definisco l’endurista A, l’endurista della zona che pratica questo sport nei fine settimana o nei giorni liberi, il tipico endurista B e infine l’endurista straniero che gira nei nostri sentieri, endurista C. La distinzione è stata fatto in quanto l’endurista tipo A gira sui nostri sentieri durante la settimana (periodo in cui sui nostri sentieri non vi è nessuno) e soprattutto nel tardo pomeriggio perché finita la giornata di lavoro, esce ad allenarsi per la gara del fine settimana. Le gare sono sempre regolamentate e vengono utilizzati alcuni sentieri ben distinti. Le gare portano turismo in quanto si parla di concorrenti che arrivano da tutta la Regione o Italia e utilizzano le strutture ricettive per poter dormire, i negozi, i bar ecc. L’endurista B invece utilizza solo il weekend per girare e purtroppo il fine settimana è anche il momento in cui i nostri sentieri sono percorsi dagli amanti del Trekking, e dalle famiglie. Questi non vanno in parallelo L’endurista C invece è quello che arrivando da territori dove è vietato questo sport, utilizza il nostro territorio nella maniera peggiore fregandosene dei danni provocati dall’enduro nei prati, in caso di pioggia etc.etc.etc.». Favorevole o contrario a questo sport? «Premesso tutto ciò, sono pienamente favorevole all’enduro organizzato per le gare, e per poter risolvere le problematiche di convivenza in montagna, a mio avviso bisognerebbe disegnare un percorso ben distinto, dove lasciar divertire gli appassionati di questa disciplina. Il percorso, essendo segnalato, non andrebbe a gravare sui trekking, sulle MTB, sulle famiglie, che sarebbero libere di girare per tutti gli altri sentirei. Ovviamente il tutto andrebbe regolamentato e i trasgressori puniti con multe e tutto ciò che ne concerne». Quindi la sua clientela, composta anche dagli amanti del trekking e da chi usa la mountain bike, cosa dicono gli uni degli altri? «Come anticipato, questi non vedono di buon occhio gli enduristi, ma creando un percorso esclusivo all’ enduro, si potrebbe convivere sui nostri crinali in piena armo-
nia». Paolo, cosa rappresenta per voi, in termini di passaggi e di turismo, l’enduro nell’Alto Oltrepo? «Per la mia struttura, ad essere sincero, poco, ma viceversa, quando vengono organizzati eventi di enduro, siamo una meta ambita dei concorrenti delle gare». Cosa si sente di dire a chi vorrebbe non avere mai più le moto sui nostri sentieri? «Dobbiamo ricordarci che la montagna è di tutti. Abbiamo il diritto di utilizzarla, ma soprattutto abbiamo il dovere di lasciarla in condizioni migliori di quando siamo arrivati. Da un lato capisco chi non li vorrebbe più sui sentieri, (parlo da ex endurista che per motivi di tempo ha deciso di non praticare più questo meraviglioso sport) perché in giornate di pioggia gli enduristi distruggono i sentieri, ma come loro anche gli appassionati di off road e di quad, per questo motivo, oltre a delimitare un percorso, lo regolamenterei evidenziando i periodi dell’anno dove è vietato girare, metterei una sorta di biglietto a pagamento dove tutti i ricavi, potrebbero essere incassati dalla Comunità Montana, utilizzati per la sistemazione dei sentieri danneggiati e per altri lavori utili ai singoli Comuni che lamentano sempre la mancanza di denaro». Paolo Tornari ha citato la Comunità Montana, responsabile del rilascio permessi in alcuni territori oltrepadani, i più adatti a questa pratica sportiva. La Comunità Montana potrebbe trasformare il problema in opportunità, come fatto in altre aree italiana; un piccolo contributo, versato dai molti appassionati, se ben utilizzato, potrebbe bastare a manutenere i sentieri e ad attirare nuovi appassionati e le loro famiglie. Il divieto in giornate particolari, per esempio dopo piogge particolarmente intense, insieme a maggiori controlli, scoraggerebbe chi pratica questo sport in modo non idoneo. Insomma, la civile convivenza, il rispetto delle regole e una buona gestione porta sempre e comunque a risultati positivi. Enduro Sì quindi? Dite la vostra. In ogni caso, viste le risposte degli intervistati, ancora un #oltrepochefunziona. di Gianni Maccagni
BRESSANA BOTTARONE
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Droschi: «Di fatto siamo alla paralisi. Mi pongo come federatore» Le acque della politica bressanese sono ormai da tempo agitate, e la situazione non accenna a placarsi. Stiamo entrando nell’ultimo inverno prima delle elezioni comunali: ciò che accadrà nei prossimi mesi deciderà i risultati elettorali del prossimo anno. Un ruolo determinante nella costruzione del clima d’opinione sarà svolto dalle realtà associative; siano esse storiche, o costituite in tempi recenti, esse coinvolgono un numero di cittadini non trascurabile da chi si candida a guidare la macchina amministrativa. Bressana, sotto questo profilo, è un paese in fermento. Sarà rilevante, inoltre, l’appoggio che i gruppi politici del livello provinciale verranno a proporre agli schieramenti; a tale proposito si è registrata, di recente, la presenza di un gazebo della Lega in paese, al quale diversi cittadini si sono avvicinati non solo per una semplice conversazione, ma per iscriversi formalmente al partito. Molti guardano con attenzione alla posizione di Filippo Droschi, capogruppo di minoranza e, secondo i rumors, candidato in pectore di un’ampia coalizione. Abbiamo discusso insieme a lui di alcuni temi di attualità, con un occhio particolare alla programmazione. Sul numero di ottobre, ‘‘Il Periodico’’ ha parlato dello stato di incertezza che riguarda Viale Resistenza a Bressana Bottarone, con i suoi pioppi secolari. In seguito a sfavorevoli eventi atmosferici, la pista ciclabile che costeggia il viale è stata e rimane tuttora chiusa per il pericolo di caduta di questi alberi, mentre le automobili transitano senza limitazioni a pochi metri di distanza. Monica Sacco, cittadina di Bressana ed esponente della Lega, ha chiesto delucidazioni alla Polizia Locale a proposito di questa incongruenza. La risposta ha lasciato perplessi molti: la Polizia Locale dice di non adottare provvedimenti se non su richiesta dall’Ufficio Tecnico. Che, in linea generale, si muove su input dell’Amministrazione. «Di fatto siamo alla paralisi, in quanto l’incapacità della maggioranza di prendere decisioni tempestive al riguardo, crea caos anche negli altri uffici comunali, che si trovano in una evidente condizione di anarchia. Chi deve fare cosa e in quali termini, attualmente è un rebus. Sulle tematiche importanti questa amministrazione non riesce a dare risposte concrete ai cittadini. Nel caso di viale Resistenza, la cui pista ciclabile è chiusa dallo scorso mese di luglio, è evidente che si è incapaci di correre ai ripari con le tempistiche giuste. Peraltro siamo in una stagione particolarmente inclemente con raffiche di vento improvvise e violente; cosa aspettano ad intervenire? Perché nessuno si prende a cuore il problema che a questo punto diventa contingente? Il problema di viale
Filippo Droschi
Resistenza coinvolge non solo i residenti di Cascina Bella, ma tutti coloro che quotidianamente percorrono quel viale. Il sindaco non ci sente, ma il problema rischia veramente di ingigantirsi, non si sa con quali risvolti». Cosa dovrebbe succedere per chiudere questa vicenda che va avanti, ormai, dal mese di luglio? «Al momento si è in attesa che il tecnico incaricato dal comune prepari la perizia. La maggioranza avrebbe dovuto condividere la scelta del tecnico quantomeno con i comitati che in questo frangente si sono compattati intorno al problema di viale Resistenza, invece ha deciso tutto in autonomia. Per quanto riguarda i pioppi empiricamente abbiamo accertato che c’è il rischio di caduta, per cui a mio avviso dovremmo pianificare un piano di sostituzione graduale con esemplari clonati della stessa essenza arborea. Cosi nell’arco di alcuni anni avremmo l’intero viale con alberi giovani. Questa operazione, auspicabilmente, si dovrebbe finanziare utilizzando contributi europei». Continuiamo a parlare di attualità. Il Consiglio Comunale ha appena adottato un nuovo Regolamento Rifiuti. Cambierà qualcosa, nel concreto? Cosa, invece, dovrebbe - e potrebbe - cambiare, secondo il suo punto di vista, in quanto alla gestione dei rifiuti?
«Il regolamento rifiuti appena approvato non ha nulla di particolare, l’unica curiosità sta nel fatto che è stato approvato a dieci mesi dalla fine della legislatura. In pratica siamo stati quattro anno e mezzo senza un regolamento. Ancora una volta ravvedo un’evidente mancanza di un disegno politico, si naviga a vista verso l’ultimo semestre di mandato. Mi spiace evidenziare solo che per i cittadini nulla è cambiato dal punto di vista dei costi in quanto la TARI, che nei comuni dove si fa la differenziata diminuisce, a Bressana continua a salire».
«La TARI, che nei comuni dove si fa la differenziata diminuisce, a Bressana continua a salire». L’opposizione, su tutti i temi della politica bressanese, ha dimostrato di essere compatta; tant’è che sono cresciuti i consensi e anche gli endorsement. Quali sono le prospettive, in vista della sca-
denza elettorale del prossimo anno? «La minoranza da quattro anni lavora con obiettivi condivisi e lungimiranti per il bene della comunità, cercando anche di dare risposte a scelte della maggioranza che per noi erano incomprensibili: la gestione dei rifiuti, la pista ciclabile, gli attraversamenti pedonali e non da ultimo il problema delle piante di via Resistenza, per citarne alcuni. Così con Felice Ciardiello e Daniela Guardamagna abbiamo creato un gruppo unico di opposizione che negli anni ha saputo confrontarsi con tutti: associazioni e singoli cittadini. In vista del prossimo appuntamento elettorale del 2019 mi pongo come federatore di una lista civica di cui faranno parte tutti quei bressanesi che, a prescindere dall’appartenenza politica, vogliono costituire un gruppo capace di migliorare Bressana e renderlo un comune più efficiente, che sappia dare risposte concrete alle richieste dei suoi cittadini». Come reagirà il mondo del civismo a questo nuovo soggetto politico? Penso in particolare alle associazioni… «Negli ultimi anni i comuni si sono visti ridurre le risorse in modo drastico. Questo ci deve far capire che la collaborazione con le associazioni è fondamentale. Noi pensiamo di andare oltre la semplice collaborazione creando una vera e propria sinergia con le associazioni. Bressana, ad esempio, ha un Auser che è il fiore all’occhiello a livello provinciale. Con questa associazione va creato un coordinamento costante di idee e risorse, cosi che il comune possa essere aiutato in tutte quelle attività che possano essere svolte da volontari. Vogliamo poi estendere questo modello ai cittadini. Bressana ha tanti pensionati, penso all’idea di trovarne uno per ogni via che tenga i rapporti con il comune, cosi da segnalare in tempo reale problemi o proporre idee». Gianfranco Ursino, la scorsa estate, si è dimesso dal suo assessorato e ha intrapreso una linea di opposizione, autonoma ma intransigente. Dopo aver allacciato rapporti quasi “fraterni” con l’altro sfidante alle scorse elezioni, Felice Ciardiello, e dopo aver promosso la nascita di un gruppo di lavoro quanto mai inclusivo e affiatato, pensa incontrerete anche con Ursino temi su cui collaborare, e soprattutto una linea comune? «Con Felice i rapporti sono di grande amicizia in quanto entrambi siamo mossi solo ed esclusivamente dal desiderio di fare il meglio per il paese in cui viviamo. Anche in Gianfranco è evidente l’operare per il solo bene del paese». di Pier Luigi Feltri
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«Oltrevini? È finito di morte naturale: aveva un male inesorabile, il localismo» Ha ricoperto incarichi di primissimo piano, come quello di Assessore all’Agricoltura e al Turismo di Regione Lombardia. Ma anche quello di coordinatore nazionale degli Assessori al Turismo e di vicepresidente dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo. È Piero Sarolli, e indubbiamente può vantare titoli ed esperienze con i quali in pochi possono competere. Da oltre vent’anni ha abbandonato la politica attiva; ma oggi, a 78 anni, sta lavorando per costruire un progetto di interesse collettivo, che punta a creare nuovi spazi di attrattività in ambito cicloturistico per l’Oltrepò Pavese. Sarolli, così le è venuta voglia di rimettersi in gioco. Come mai? «Guai se non fosse così! Per rimanere giovani, bisogna ogni tanto reinventarsi in una nuova attività; prendere atto dei cambiamenti della società e di conseguenza adeguarsi a fare qualcosa di diverso». I suoi famigliari si occupano di turismo già da tempo, per la verità. «Non tutta la famiglia, ma mia moglie e mia figlia in effetti sono in questo campo da tempo, con l’agenzia Clastidium Viaggi. Recentemente ho cercato di imprimere a questa struttura un aspetto di innovazione. Puntando sull’incoming, perché ritengo che la nostra provincia, pur tra mille problemi e difficoltà abbia delle notevoli potenzialità in questo settore». Un esempio? «Il nostro è un territorio che, non avendo avuto un forte sviluppo industriale, ha mantenuto le sue peculiarità di tipo ambientale e paesaggistico. Di conseguenza, il trovarsi a poche decine di minuti da Milano rappresenta un’opportunità formidabile per chi vivendo tutta la settimana a contatto con il caos della grande città ricerca qualcosa di diverso per ritemprare spirito e morale, ma anche per trovare qualcosa da mangiare ancora come una volta, attraverso i prodotti a ‘‘km zero’’ che qui da noi esistono». Pensa a una proposta appetibile anche all’estero? «Anche all’estero cercano molto queste opportunità. Tant’è che in questi giorni ho partecipato a Pavia al workshop Mirabilia, che raggruppa 14 camere di commercio e le aziende di queste aree territoriali che offrono opportunità a buyer stranieri. Una manifestazione collaudata, che incrocia la domanda con l’offerta». Non la preoccupa la cronica carenza di servizi che è tipica del nostro territorio? «Trovo negativo, in particolare, lo spezzettamento delle strutture turistiche. In Oltrepò, con la crisi di Salice, non abbiamo più una struttura ricettiva degna di questo nome, se non recentemente quella che si è realizzata a Montebello della Battaglia all’interno della Villa Lomellini, dove esiste un’ottima struttura ricettiva, che è poco
conosciuta qui da noi. Devo dire che tre anni fa, durante l’Expo, l’unica struttura che ha funzionato e che ha registrato un buon lavoro è stata quella». Forse anche perché, date le condizioni della viabilità secondaria, sono in pochi ad avventurarsi oltre la Via Emilia… «La difficoltà nel raggiungere l’alta collina dalla strada statale è uno degli elementi frenanti che impediscono di sviluppare le potenzialità esistenti. Insieme ad altre questioni, legate anche alla natura di noi oltrepadani, che siamo fortemente caratterizzati dall’individualismo, quando non sconfina nell’antagonismo; per cui si preferisce vedere le difficoltà del vicino piuttosto che pensare ai benefici che si potrebbero ottenere. Ma a proposito di strade, dobbiamo avere l’onestà intellettuale di dire che il nostro territorio, avendo una costituzione geologica particolare, è fortemente interessato da fenomeni franosi; per cui gli stessi investimenti che vengono realizzati qui, se fossero fatti in altre aree territoriali, avrebbero durate nettamente superiori. Questo senza voler scusare nessuno, è un dato di fatto». È vero, ma è anche vero che l’Oltrepò non è l’unico territorio collinare d’Italia. C’è anche chi sta meglio… «C’è un secondo elemento. Ricordo quando i comuni per scaricare i loro costi chiedevano la provincializzazione delle strade. Si è arrivati ad avere uno sviluppo stradale per la provincia di Pavia - e per l’Oltrepò in particolare - praticamente unico in Italia. Abbiamo avuto un incremento eccessivo di strade e stradine provinciali di calibro molto ridotto, che oggi non a caso sono in uno stato veramente negativo». Tanti chilometri di strade richiedevano e richiedono tanti soldi per mantenerle. Le strade sono rimaste, i soldi no. «I sacri testi della politica dicevano che programmare vuol dire scegliere: laddove ci fosse la copertura finanziaria per tutto non ci sarebbe la necessità di programmare. Programmare significa avere la capacità e la forza necessarie ad individuare priorità e tempistiche. Ad esempio, pensare di risolvere in un solo tempo tutto il problema della viabilità oltrepadana è assolutamente impossibile. Bisogna allora avere una programmazione sul territorio e sapere bene cosa si vuole realizzare; di conseguenza attrezzare le infrastrutture più necessarie e svolgere su queste gli investimenti, che vanno fatti per gradi». Una politica ben diversa da quella dei rattoppi, per cui si aggiusta sempre un po’ di tutto per non aggiustare, in fondo, mai niente. «Perfetto. Ovvero rifare il fondo stradale per qualche centinaio di metri, quando i tratti precedenti e successivi rimangono in una situazione invariata. Si dovrebbero individuare gli elementi portanti capa-
ci di consentire una penetrazione corretta e razionale sul nostro territorio e lavorare su quelli. Programmare. Questo vorrebbe dire avere una classe politica adeguata, in grado di elaborare un’iniziativa di questo tipo». Una classe politica adeguata: manca solo sul nostro territorio o manca in generale nel panorama regionale e nazionale? «Manca in generale, quindi manca sul nostro territorio, dove da qualche tempo sono venute a mancare quelle figure che erano in grado di trascinare il territorio a certi traguardi».
tura paradossale: è la politica degli annunci. Con la politica degli annunci si fa poca strada e si ha un respiro molto breve». Parliamo allora di un annuncio concreto ed entriamo nel merito della sua proposta, che riguarda l’offerta turistica del nostro territorio. Cosa ha in mente? «Sto cercando di costruire un progetto cicloturistico che possa godere essenzialmente di due supporti principali: una ricettività alberghiera in grado di ospitare il cicloturista e la sua bici, che è un bene essenziale; poi, la presenza di punti nei quali il cicloturista possa appoggiarsi per
«Sto cercando di costruire un progetto cicloturistico che possa godere di una ricettività alberghiera e di punti di appoggio per le manutenzioni e le riparazioni» Alcuni dei grandi nomi della politica provinciale sono venuti a mancare; altri si sono, magari, defilati dall’attività. Ma abbiamo anche moltissimi sindaci che sono in sella da decenni e, quindi, amministravano anche negli anni che ora tutti sembrano rimpiangere. Si sono dimenticati la formula magica? «No. Noi abbiamo potenzialmente dei buoni amministratori, ma si trovano davanti a un sistema di rapporti fra i governi centrale, regionale e periferico che è totalmente cambiato. Pensare di affrontare certe nuove situazioni completamente diverse rispetto a un tempo, un sistema che non è più quello di prima, vuol dire dichiararsi perdenti in partenza». Lei contesta, insomma, le novità introdotte dalla riforma del Titolo V intrapresa dal 1999. «Ad un ordinamento statale che, nonostante ognuno possa avere il proprio parere, era stato costituito per dare risposte, si è sostituito un sistema non compiuto. La riforma del Titolo V è stata un’enunciazione, cui però non ha fatto seguito la costruzione di un sistema in grado di recepirne le idee formali, che andasse alla sostanza dei problemi. Purtroppo lo verifichiamo tutti i giorni, negli ultimi mesi in modo addirit-
le manutenzioni, le riparazioni, gli interventi necessari al suo mezzo. È un’applicazione innovativa delle opportunità offerte dall’incoming, attraverso il tentativo di operare in rete con taluni soggetti per aumentare la visibilità del territorio: soggetti istituzionali e privati che sappiano ribaltare la propria presenza anche all’estero. Cercando di rimanere all’interno di uno sviluppo viabilistico che consenta di spostarsi agevolmente». Siamo all’anno zero o qualcosa di questa opportunità è già sperimentabile? «Prima di pensare a lanciare un territorio dal punto di vista turistico è importante costruirvi una rete di strutture a supporto di questa idea. Se riteniamo che l’attività cicloturistica, con i sentieri di media, alta colina e montagna, rappresenti una ricchezza, dobbiamo creare delle infrastrutture per offrire al turista quello che questi cerca, anche in termini di assistenza. Queste cose nell’Oltrepò sono tutte da costruire. Oggi in Oltrepò esistono pochissime strutture ricettive che hanno al loro interno le attrezzature necessarie per ospitare i cicloturisti, e soprattutto le loro biciclette. Se qualcuno vuole sposare l’idea, io dico che noi, io e la mia famiglia con la nostra struttura, siamo pienamente disponibili a
CASTEGGIO collaborare su tutti i fronti». La Greenway, che oggi unisce Voghera a Salice Terme, dovrebbe arrivare presto a Varzi; e la ciclovia Venezia – Torino, a sua volta, è già un po’ più di un semplice sogno. Quindi il momento potrebbe essere azzeccato per questa scommessa cicloturistica. Basteranno queste due direttrici ciclopedonali per assicurare appetibilità al territorio? Saprà il territorio giocare di squadra e non perdere l’ennesimo treno? «Le risorse sono limitate, molto più rispetto al passato. Se noi non le utilizziamo in modo razionale e intelligente rischiamo di non dare nessuna risposta. Anche qui voglio fare un esempio. Partiamo da Voghera e percorriamo la Voghera-Varzi: arrivando a Ponte Nizza incontriamo la strada della Val di Nizza, che è in ottimo stato. Un quadrivio di strade che permette il ritorno verso bassa collina, oppure di raggiungere Valverde, Zavattarello e Romagnese. Le ho già delineato un itinerario già disponibile». Chi conosce il territorio certamente potrà facilmente ipotizzarne decine di altri. «Se io individuo dei percorsi attorno ai quali costruire un’offerta di tipo turistico - e più in generale economica e sociale devo avere la capacità di scegliere alcune direttrici rispetto ad altre, e poi il coraggio di investire su queste. Quando nel 1992/1993 proposi di riconvertire la Voghera-Varzi in pista ciclopedonale fui ricoperto di improperi da parte di molti, anche amministratori locali. Del resto ero molto attratto dai sogni, e anche in altri settori vedo soltanto in tempi recenti applicare le idee che io proponevo trent’anni fa».
«Quando nel 1992/1993 proposi di riconvertire la Voghera-Varzi in pista ciclopedonale fui ricoperto di improperi…» Quali? «La tracciabilità dei prodotti agroalimentari è un esempio. In Lombardia fu approvata e successivamente affossata una Legge Regionale voluta dal sottoscritto che, se avesse avuto seguito, avrebbe posto in prima linea Regione Lombardia, con 15 anni di anticipo rispetto all’Unione Europea». Lei, come San Giovanni, predica nel deserto. Un deserto non di sabbia, ma di idee. Oppure no? «Devo dire che, presi singolarmente, ci sono privati e soggetti istituzionali che si danno da fare. Purtroppo la mancanza di una coralità di rapporti impedisce di raggiungere i risultati».
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Piero Sarolli, ex Assessore all’Agricoltura e al Turismo di Regione Lombardia Coralità: un termine poco di moda in molti settori; quello vitivinicolo, per esempio. «Il mondo vitivinicolo è un paradigma da questo punto di vista: riesce a dividersi su qualsiasi cosa». Quanto può essere grave la mancanza di un contenitore che presenti unitariamente i prodotti enogastronomici del territorio? Mi riferisco, se vuole, anche alla chiusura di Oltrevini, manifestazione che lei ha contribuito a far nascere e che è rimasta senza eredi. Proprio pochi giorni fa nell’Area Truffi, dove si svolgeva la rassegna, si è svolto un evento di promozione delle birre artigianali. I produttori di birra sembrano andare d’amore e d’accordo. È così difficile far incontrare su un terreno comune e fertile anche quelli vitivinicoli? «Mi ritengo uno dei padri di questa manifestazione, che è finita di morte naturale: non l’ha fatta morire nessuno. Aveva un male inesorabile, contro il quale io ho combattuto, senza riuscire a vincerlo: il localismo». Cioè? «Dalla prima edizione, nel lontanissimo 1971, io mi sono battuto perché questa manifestazione diventasse la rassegna vitivinicola di tutto l’Oltrepò. Cercando criteri di partecipazione che coinvolgessero tutte le realtà territoriali e imprenditoriali. Ho sempre sostenuto che la rassegna di Casteggio, piuttosto che quelle di Canneto, Rovescala o San Damiano, prese singolarmente fossero come un bicchiere d’acqua versato nel mare. Sostenevo allora e ritengo ancora oggi che non vadano assolutamente demonizzate, ma che abbiano
«In Oltrepò, con la crisi di Salice, non abbiamo più una struttura ricettiva degna di questo nome…» una funzione, quella di festa popolare, che non è la prima necessità. Dal punto di vista economico di un settore trainante come è la vitivinicoltura in Oltrepò bisogna riuscire ad ottenere una visibilità che regga il confronto almeno a livello nazionale. Questa strada non è stata presa e ne è derivata la morte naturale della manifestazione». Chi avrebbe dovuto prendere questa decisione? Si è tanto parlato, già in tempi antichi, della necessità di creare un’organizzazione che si occupasse in pianta stabile ed esclusiva di curare la manifestazione e di svilupparne le entrature. Pensa anche questo aspetto sia da annoverare fra le cause della fine? «Le ragioni principali sono quelle che ho detto prima. E non posso non dare atto al primo presidente Guarnaschelli, mio amico e collega, di avere messo l’anima, e senza interessi personali, per la buona riuscita della manifestazione. Ma era la manifestazione stessa a non avere il respiro sufficiente per resistere ai tempi che
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cambiavano». Quindi, per il futuro, se qualcuno volesse reipotizzare una rassegna vitivinicola in Oltrepò, lei guarderebbe con favore non più alla formula della rassegna popolare, bensì a quella di una fiera rivolta agli operatori economici. «Riuscire a coinvolgere intorno alla manifestazione il mondo vitivinicolo oltrepadano: qui sta il difficile, dato il grande desiderio di frazionarsi nel mondo vitivinicolo. Chiaramente non pensando di fare la guerra al Vinitaly o manifestazioni di questo tipo, ma andando a trovare collegamenti con i livelli superiori. Bisogna avere un orientamento economico. E soprattutto lavorare in rete». Non succederà mai? «Sogniamo…». Forse è anche la presenza di troppi galli nello stesso pollaio a rendere impossibile il reperimento di soluzioni condivise. Cosa pensa dell’idea di frazionare l’Oltrepò in alcune sottozone, come nel Chianti (che pure da quasi un secolo ha adottato un simile modello, seppure per ragioni diverse)? «Qui si entra in questioni che sono più di carattere tecnico che politico. Io non voglio insegnare che cosa fare alle persone validissime che svolgono questo lavoro e che abbiamo in Oltrepò, perché sarei un presuntuoso. Però a mio avviso uno dei limiti della vitivinicoltura oltrepadana è l’eccessiva varietà dei vini. Non si riesce a svolgere una politica che riesca a dare visibilità ad un unico, determinato tipo di vino, creandogli tutti i supporti necessari». Posso chiederle perché ha detto basta con la politica attiva? «Ho capito che la politica sarebbe diventata un’altra cosa rispetto a quella che avevo imparato a conoscere e in cui mi ero sempre mosso la sera in cui Giulio Andreotti, vedendo i cittadini di Berlino che demolivano il muro, ha delineato con una lucidità incredibile quelli che sarebbero stati gli scenari futuri, all’interno dei quali l’Italia sarebbe diminuita sempre di più di importanza. L’Italia non avrebbe più avuto lo spazio che aveva ottimamente occupato fino ad allora. I fatti, da allora, gli hanno dato ragione». Non le manca? «Non sono mai stato bene come da quando ho lasciato la politica: nessun rimpianto». Dopo la caduta della DC e la fine della Prima Repubblica lei non ha più preso alcuna tessera di partito, diversamente da molti altri politici che hanno cambiato casacca, anche più volte. La DC le è rimasta nel cuore… «Io mi sento totalmente democristiano. Sono orgoglioso e fiero di essere ancora democristiano, con i pregi e i difetti che quel partito aveva. Non sono fra coloro che non ammettono gli errori; ho avuto il tempo di riflettere, per cui ho anche approfondito e capito che ne sono stati commessi molti; ma la somma algebrica delle cose fatte bene e di quelle fatte male dà comunque luogo ad un risultato estremamente positivo. Un partito dotato di una tale capacità di guidare il Paese non è più venuto alla ribalta». di Pier Luigi Feltri
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«Era il 1985 quando decisi di mettermi in lista, presi 459 preferenze» Ha il carattere del vero combattente, l’autoironia del satiro e l’ironia di chi “sa”. Medico stimato da decenni, sindaco e politico dalla metà degli anni ‘80, chiuderà, la prossima primavera, il sipario della sua vita professionale per, riteniamo, dedicarsi a tempo pieno alle due grandi passioni che da sempre lo accompagnano: l’arte e l’antiquariato. Il sindaco di Casteggio, Lorenzo Callegari. Un salto a trentacinque anni fa: ci racconta l’inizio della sua passione politica? «Non avevo nessuna passione. Venivo dal Movimento Sociale Italiano con Michelini, prima di Almirante. Non ero molto interessato alla politica, neppure alla vita amministrativa di Casteggio. Erano nove anni che facevo il medico, e tra i miei pazienti avevo l’onorevole Mario Campagnoli: nel 1985, Sarolli e Campagnoli vennero spesso in ambulatorio per chiedermi di candidarmi alle elezioni di quell’anno. Io non avevo voglia perché la DC non era il mio partito, l’avevo combattuta per tanti anni, e poi perché temevo, col mestiere che facevo, che potesse crearmi delle antipatie: nei paesi, l’appartenenza politica è molto sentita. Decisi di mettermi in lista, preso per sfinimento, per non vederli più in ambulatorio (ride), premettendo che mi sarei candidato ma non avrei mai fatto l’amministratore. Presi 459 voti di preferenza, risultando primo tra gli eletti, e, alla presentazione delle liste, mi sedetti di fianco al Geometra Renzo Guarnaschelli, detto Mimino.
«Così, io, Guarnaschelli ed altri tre o quattro “trombammo”, cioè votammo, contro il velodromo. Quel milione e 250 mila euro vennero utili per ristrutturare la Certosa Cantù e un tratto di fognatura»
Lorenzo Callegari
Ci fu subito intesa e simpatia con lui, proprio con lui che era contro la “corrente” di Campagnoli e Sarolli! Quindi, per essere conforme al mio modo di essere, scelsi subito la parte debole, non chi comandava. Per dieci anni sono stato parte della maggioranza, ma della maggioranza dissidente. Determinante per la mia votazione quando, negli anni ’90, il coni ci diede un miliardo e 250 milioni per costruire un velodromo a Casteggio». (Il sindaco mi anticipa e si pone la domanda sé...) «Noi avremmo dovuto costruire un velodromo a Casteggio?! Io ero abbastanza scettico, e andai a parlare con Alcide Cerato, storico gregario di Fausto Coppi, delle pompe funebri di San Siro. Così, io, Guarnaschelli ed altri tre o quattro “trombammo”, cioè votammo, contro il velodromo. Nel ’95, non identificandomi più né nella Democrazia Cristiana né in nessun’altra formazione politica, aderii a FI e fui eletto per pochi voti. Essendo io considerato il perdente, misi in fila tutti e prendemmo in mano il comune e da allora non l’ho più abbandonato, salvo per un periodo. Quel milione e 250 mila euro
vennero utili per ristrutturare la Certosa Cantù e un tratto di fognatura». Gli anni ’90, verrebbe da dire, furono tempo di “vacche grasse” per Casteggio, e non solo... «Andammo persino in TV! Partecipammo a “I Fatti Vostri”, una cassa di risonanza importante per Casteggio. In quegli anni abbiamo fatto tante cose... eravamo “figli” di Giancarlo Abelli». Cosa ritiene avesse Giancarlo Abelli che mancava agli altri politici del territorio? «Abelli era il più concreto, non lo dico per amicizia. Giancarlo ha reso possibili tante cose. Gli ultimi soldi che mi ha dato prima che mi ritirassi per cinque anni, periodo di interregno, servivano per fare la teleferica per andare al Pistornile, che sarebbe stato molto importante per ripristinare il valore e l’abitabilità di quella zona, ma quelli che ho fatto eleggere dopo non hanno capito nulla e li hanno spesi altrimenti e malamente. Hanno acquistato un bus, che è costato una barbarità, mai usato, e costruito due rotondine. Con gli stessi soldi avrebbero fatto la teleferica e un percorso per cie-
chi che avevo concordato con Stilla della Regione Lombardia. Questo percorso, affiancato alla teleferica, avrebbe fatto si che ad ogni rampa il non vedente, attraverso un’essenza odorosa, capisse dove si trovava. Questo è visionario, se vogliamo, ma se non viviamo di visioni… di che cosa si vive? Perché siamo così piatti? Perché non c’è più fantasia!». Fino a dove l’hanno spinta la sua “fantasia” ed il suo essere visionario? «La statua che c’è in piazza Cavour: sono stato l’unico Sindaco di un comune Italiano che è riuscito a farsi “regalare” qualcosa da un museo! La statua che troneggia in piazza Cavour è in concessione per 99 anni dal comune di Firenze e dall’allora assessore Clemente. Quella statua è stata a New York, Tokyo, è una delle due copie esistenti dell’Opera “Giuditta e Oloferne”. La vera è a Palazzo della Signoria, l’altra copia è in esposizione fuori dal Palazzo. Il Comune di Casteggio si è inoltre aggiudicato il primo posto, con i complimenti di Regione Lombardia, per un progetto sulla Promozione del Territorio, “Equal Casteggio”. Ed ancora, siamo arrivati 4° in un concorso, a livello Europeo, grazie
CASTEGGIO ad un impianto di depurazione biologico! Anche in questo caso, con i complimenti di Paolo Baratta, ex-ministro, originario di Casteggio. Questi sono bei ricordi che ho, ma si può sempre fare di più». Il rapporto con la minoranza? «La minoranza non ci ha mai aiutato, non ha mai aiutato nell’interesse di Casteggio ed ha sempre cercato di denigrare. La cosa è inutile! Mentre, oltre al Geometra Guarnaschelli, vicesindaco per due mandati, voglio ricordare tutti gli assessori e consiglieri che ho avuto al mio fianco in questi anni». Che cosa può dirci sull’esposto di Arnese? «Il cavaliere, ex maresciallo, vista la “statura” può cavalcare giusto un ippocampo... Finita l’amministrazione Manfra venuta dopo di me, amministrazione che ha cercato di pormi in cattiva luce in ogni modo anche con una denuncia per la piscina coperta immediatamente archiviata. Decido di ricandidarmi, ritorno sindaco e ci siamo trovati io e la mia giunta con 4 milioni di euro di debiti mal contati... Avevano “creato” una scuola, sulla base di un accordo tra Provincia, Comune ed Istituto Santa Chiara, senza che ci fosse nulla di scritto, e noi ci siamo così ritrovati con una scuola fatta e finita, che sarebbe costata 182 mila euro di affitto più 40 mila euro di utenze, più altre spese… circa 300 mila euro l’anno di costi! Il Comune chiama allora i presunti partner, che non sono disposti a tirare fuori una lira, ed in più il Santa Chiara voleva
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che i docenti venissero pagati... Ma dovremmo riuscire a risolvere anche questa: il mio ultimo regalo al comune di Casteggio per la mia “dipartita”... Noi già nel 2009 avevamo presentato una denuncia alla procura della Corte dei Conti, chiedendo danni per 2 milioni e 400 mila euro. Sommando questa minus-valenza di introito al debito che abbiamo trovato… soldi che il comune ha dovuto fronteggiare senza avere più gli introiti dell’acquedotto, del depuratore, del cimitero...». Ha qualche rimpianto? «Non per il comune di Casteggio: sono dispiaciuto di aver fatto in questi ultimi dieci anni, a causa del dazio che abbiamo dovuto pagare, quello che è stato realizzato nei miei primi dieci di mandato… di tutto e di più, davvero grandi opere. Quello che mi rende orgoglioso è di essere riusciti ad aver risanato quasi tutti i debiti e quindi l’amministrazione che verrà dopo partirà a cuor leggero e potrà programmare lo sviluppo». Chi sarà il suo successore? «Ho detto ai “miei” che il prossimo candidato o candidata dovrà essere il frutto di una loro mediazione interna, condivisione. Se non agiranno in modo sinergico, perderanno le elezioni». Perché non è più stata fatta la Rassegna dei Vini? «Questo è un altro capitolo negativo per il territorio oltrepadano. Abbiamo inaugurato la Fiera della Birra, mentre quella del vino è morta. L’ideatore della Rassegna dei Vini, Renzo Guarnaschelli, voleva nel
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Callegari risponde all’esposto presentato da Arnese: «Il cavaliere, ex maresciallo, vista la “statura” può cavalcare giusto un ippocampo...» suo intento dare uno strumento, legato a quei tempi, di promozione del prodotto. Uno dei primi esempi di marketing territoriale. Naturalmente, non è stato apprezzato dai produttori, che non hanno mai creduto fino in fondo in questa manifestazione, che sicuramente andrebbe aggiornata e rivista perché ciò che era valido nel ’76 oggi non lo è più. Tutte le volte che noi come Comune (e non nell’interesse del Comune), organizzavamo questo evento e andavamo a chiedere 200€ al produttore, ci sentivamo rispondere che era troppo. Quella che era una volta una bella manifestazione ora è morta e ha lasciato spazio ad altre che non rappresentano l’animo vitivinicolo del territorio. Il risultato è che l’Oltrepò, ad oggi, nella panoramica nazionale del vino, rispetto ad
una volta, conta praticamente zero». Non ha mai pensato, in carriera, di andare oltre? In Regione, a Roma... «Il merito che mi ha riconosciuto Abelli per me è stato sufficiente. Io amo il mio prossimo, ed i miei pazienti lo sanno. Ho vinto a Casteggio perché i miei pazienti, ai quali ho dato tanto, lo hanno capito. Sono “al dutur”, non il sindaco...». Vuole aggiungere qualcosa? «Il futuro di Casteggio dipenderà da chi governerà, e se avrà la forza di far sentire le proprie ragioni. Io ci ho provato: alcune volte mi hanno ascoltato, altre volte no...». Progetti per il 2019? «Continuerò a fare il medico e mi dedicherò alle cose belle». di Lele Baiardi
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Spopola in paese la “spesa solidale”, «Questo modo di acquistare ci permettere di evitare gli sprechi» G.A.S. non è solo una fonte di energia, è anche l’acronimo di Gruppo di Acquisto Solidale, un metodo di selezione e acquisto dei più svariati generi alimentari privo di quelle macchinazioni industriali che spesso possono danneggiare gli alimenti stessi. Da anni a Santa Giuletta ma anche, a livelli diversi, in altri centri d’Oltrepò, un gruppo di persone si impegna a fornire un servizio sempre più indispensabile al giorno d’oggi. Susanna Denicolai di questo gruppo di acquisto è una dei referenti e spiega con quali metodologie e secondo quali processi si svolge il lavoro. I prodotti vengono acquistati scegliendo i produttori e fornitori con attenzione mirata alla solidarietà sociale, all’etica e alla sostenibilità ambientale. Ad operare questa scelta è «un semplice gruppo informale di famiglie che ha in comune il consumo critico, la ricerca del biologico e del km0 con la voglia di fare rete con altre famiglie. Lo scopo finale è condividere il più possibile una nuova possibilità di acquistare in maniera differente alcuni prodotti essenziali per chiunque. Denicolai, quando è nato qui in Oltrepò il G.A.S. e di chi è stata l’idea? «Il GASGiuletta è il terzo in Oltrepò ed è nato quattro anni fa dalla volontà di due famiglie di sensibilizzare la comunità su questi importanti temi. Ad oggi sono 25 le famiglie che fanno la spesa in modo “insolito”». Chi ne fa parte? Siete tutti abitanti di Santa Giuletta? «Per lo più sì, siamo abitanti di Santa Giuletta e dintorni: altri invece abitano lontano e si affidano ad amici o parenti che hanno qua in Oltrepò per gestire le varie consegne».
Il G.A.S. (Gruppo di Acquisto Solidale) di Santa Giuletta «Un modello etico e alternativo alla logica dei supermercati» Che cosa vendono le aziende? Si tratta di materie prime (frutta, carne, ecc) oppure si possono trovare anche prodotti artigianali come dolci, pane, insaccati? «Abbiamo iniziato con alcuni prodotti semplici di genere alimentare a km0 e in seguito abbiamo cercato di ampliare sempre di più: ora possiamo acquistare prati-
Il gruppo di Acquisto Solidale (G.A.S.) di Santa Giuletta camente tutto! Verdura, frutta, uova, pane, trasformati, miele, carni bianche e rosse, tonno, formaggi, olio, prodotti del commercio equo e solidale, pasta, farine, caffè, riso, prodotti naturali per la casa e per l’igiene personale, ma anche altri ancora» Esistono degli standard qualitativi particolari da rispettare? «I prodotti sono tutti di ottima qualità. Solitamente scegliamo di sostenere aziende attente all’ambiente, che hanno la certificazione biologica, oppure che sostengono a loro volta progetti solidali. Sono presenti anche aziende che adoperano uno stile privo di quelle tecniche invasive e dannose per la natura e per gli animali di cui si sente spesso parlare. I generale favoriamo quelle aziende che si avvalgono di un metodo biologico nell’affrontare la produzione di ogni alimento». Ci sono dei vantaggi di tipo economico nel fare parte del vostro gruppo? «Acquistare direttamente dal produttore significa saltare tutti i passaggi intermedi (quindi trasporti, supermercati, ecc) e conoscere direttamente chi produce quello che mangi o utilizzi. Questo modo così diretto di acquistare è possibile solo unendoti ad altre persone per acquisti cumulativi, dando certamente la possibilità di risparmiare». Quali sono i prodotti più venduti, soprattutto in questo periodo dell’anno? «Solitamente in questo periodo dell’anno si tratta più che altro di prodotti come frutta di stagione ma per quanto riguarda il resto, gli acquisti sono costanti tutto l’anno e hanno scadenze annuali, semestrali, trimestrali o bisettimanali in base al tipo di conservazione: si va quindi ad acquista-
re in genere tutto ciò che è di necessità e non solo la frutta che è disponibile in un dato periodo dell’anno, ma anche prodotti artigianali di pasticceria, uova, latte, pani, farine». Che genere di acquirenti si presentano alle vostre riunioni? «Oltre ai gasisti aderenti al gruppo di Santa Giuletta partecipano coloro che sono incuriositi, a volte anche alcuni fornitori e ci si confronta e si gusta la bellezza di far gruppo e di condividere anche solo una cena! Spesso i fornitori elencano i loro prodotti e spiegano quali sono i metodi di coltivazione o allevamento». Parlando dei mezzi che utilizzate per farvi pubblicità, quanto è importante il classico passaparola nella vostra attività? «Il passaparola è l’unico modo che abbiamo utilizzato in questi anni per far conoscere il GASGiuletta ad amici, parenti e conoscenti... i gasisti (Così si chiamano gli aderenti) sono molto entusiasti e oltre a parlare del gruppo e dei loro acquisti, fanno anche proprio assaggiare i prodotti ad amici e parenti, magari, raccontandone la storia e la provenienza: la bontà e genuinità parlano da sé e siamo sicuri che siano sufficienti per avvicinare nuove persone al nostro gruppo». è vero che attraverso gruppi come il vostro si potrebbe fare a meno dei supermercati? «I supermercati sono sempre più una risposta alla mentalità del “tutto e subito” che dilaga in questo periodo storico e finché non ci sarà un cambio di questa mentalità crediamo sia difficile che la modalità di fare la spesa attraverso Gruppi d’acqui-
sto Solidali possa essere una risposta per i molti». Crede possibile che il vostro tipo di commercio si espanda e che venga accettato dai molti? «La nostra speranza è che un numero sempre maggiore di persone si fermi a riflettere chiedendosi dove vanno a finire i propri soldi nel momento in cui si fa la spesa e che scelga responsabilmente le realtà che va a sostenere: grandi catene o piccole aziende del territorio? Produttori vicini o lontani (o lontanissimi? Ad esempio frutta e verdura dall’estero)? Aziende che sfruttano i lavoratori o attente al benessere dei dipendenti? Grandi allevamenti intensivi o realtà in cui gli animali non vengono maltrattati? Il G.A.S. si impegna a scegliere in modo responsabile e critico chi lavora per un mondo migliore, pulito e giusto». Quanto è importante, per voi del G.A.S., evitare lo spreco? è uno dei vostri principi fondamentali? «Assolutamente sì! Questo modo di acquistare ci permettere di evitare gli sprechi sia riutilizzando gli imballaggi rendendo i vuoti direttamente al produttore (evitando plastica usa e getta), sia acquistando da aziende che sono, già di loro, assolutamente attente all’ambiente. Si spreca anche meno cibo perché gli acquisti sono mirati: non si tratta più di acquistare prodotti alla rinfusa senza uno schema logico per ammassarli in un armadio e aspettare che scadano, ma si fanno le scorte necessarie alle proprie esigenze e ci si “affeziona” talmente tanto a certi prodotti che sicuramente, poi, non verranno dimenticati nella dispensa, ma cucinati e mangiati». di Elisabetta Gallarati
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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI
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MEMORIE DI CACCIA “PASQUÄLÒN” Nell’estate del millenovecentosessantotto, giovane studente universitario, decisi di chiedere il porto d’armi uso caccia, per poter esercitare tale attività negli anni futuri. In Agosto non partecipai all’apertura in quanto la Questura di Pavia non mi rilasciò in tempo utile l’attestato che mi avrebbe permesso di “fare l’apertura”, come si usava definire il primo giorno di caccia. Il porto d’armi uso caccia mi fu recapitato verso la fine di settembre ma, nel frattempo, era avvenuto un incidente di caccia che aveva tragicamente coinvolto un mio carissimo amico. Il ventotto di agosto di quell’anno cambiò radicalmente il mio modo di concepire la caccia come sport o sano divertimento: era stata il motivo e l’origine di un dramma che per anni non riuscii ad accettare. Il tempo come dicono i saggi, guarisce anche le ferite più profonde e, dopo dieci anni dai fatti menzionati, una domenica pomeriggio mi lasciai convincere da mio cugino Mario, ad accompagnarlo a caccia: intendeva mostrarmi le meraviglie di una sua giovane cagnolina di nome Mìrca. Uscimmo e, vuoi l’armonia dell’autunno oltredano, la bellezza e i colori della campagna che si apprestava al riposo invernale, vuoi le azioni ancora acerbe della cagnolina che già prometteva molto bene, mi riempirono l’animo di una serenità e di una pace che raramente avevo provato. Ribadivo a Mario che comunque non avrei mai ripreso in mano un fucile ma improvvisamente, dopo una splendida guidata e ferma statuaria della Mìrca, mentre si involava una fagianella tenebrosa, mi ritrovai in mano il fucile che mio cugino senza proferire parola mi aveva quasi gettato. Istintivamente lo afferrai, sparai e, mentre la cagnolina effettuava uno splendido riporto, capii che il mio destino era segnato: il vecchio amore nato con i cani e proseguito con la voglia di provare l’emozione della caccia, aveva avuto ragione di un impedimento causato da un fatto dolorosissimo il cui ricordo non mi avrebbe comunque mai abbandonato. Si cementò in quell’istante il sodalizio tra me e mio cugino che, negli anni, crebbe condiviso con un ristretto numero di amici per i quali lo stare assieme, affrontare serenamente le varie vicissitudini della vita, mangiare e bere in compagnia, dividere momenti belli e brutti, divenne più importante del motivo primario della caccia. C’era anche la caccia, ma gli altri motivi continuavano ad avere un posto importante nel nostro modo di concepire la vita. Tanti, troppi anni sono passati da quei giorni lontani e i ricordi di tante avventure si affastellano nella mente sino a diluire in immagini offuscate da un presente che non trova più spazi per
la semplicità e la poesia di un mondo lontano superato dalla fretta e dall’aridità odierne. Mario era spesso impegnato nei molti lavori a cui attendeva e, conseguentemente, mi ritrovai a cacciare spesso da solo con la fida Mìrca sempre più attenta e brava in tutte le fasi di caccia: era un bracco tedesco massiccio e robusto che fermava magnificamente, recuperava e riportava benissimo ma si distingueva per la calma olimpica in ogni frangente e per un innato senso del selvatico che la faceva decisamente emergere dalla media. In realtà non ero io che andavo a caccia con lei, ma era lei che mi portava a caccia con la sua sagacia, con la sua pazienza e con certi atteggiamenti compiaciuti che assumeva nei casi in cui, e non erano molti, le cose andavano bene. Una fresca mattina di settembre dopo aver fermato tre fagiani di cui uno involato prima che riuscissi ad imbracciare il fucile portato stancamente in spalla, e due vergognosamente sbagliati, il cane mi si parò davanti guardandomi quasi a rimproverarmi o a chiedermi cosa succedesse. La accarezzai dolcemente e quindi le dissi “Hai ragione, non è la mattina giusta, forse è meglio andare a casa”. Il cane senza guardarmi e senza mugolare come di solito faceva quando smettevamo di cacciare, prese a seguirmi senza più accennare alla pur minima azione venatoria, quasi a sottolineare la sua delusione per i miei scarsi risultati, e così continuò per il resto della mattinata. Solo chi ha avuto la fortuna di avere un cane speciale sa che certi atteggiamenti razionalmente poco comprensibili, sono la normalità o per questi splendidi animali. Il territorio di caccia abitualmente frequentato, era vario e multiforme ma, sostanzialmente, alternavamo i terreni o i vigneti di fondovalle ai boschi oltre il torrente Ardivestra su verso il crinale che dominava la valle sovrastante l’abitato di Sant’Eusebio. Nel primo caso la fatica era minore ma la concorrenza maggiore, man mano che le difficoltà aumentavano verso il crinale in alto o, per meglio dire, verso gli altopiani che dominavano la valle per degradare successivamente verso una ulteriore profonda valle percorsa da un torrentello a nome Tizzone, le difficoltà aumentavano in modo esponenziale ma i concorrenti diminuivano drasticamente sino ad annullarsi nei posti più impervi e scoscesi. L’altopiano che domina la valle verso l’Ardivestra era la mia destinazione abituale sia perché l’età mi permetteva escursioni di questa difficoltà, sia perché i selvatici residenti da quelle parti erano di caratura diversa rispetto a certi fagianelli liberati al piano e decisamente poco stimolanti per chi provava l’emozione di
Giuliano Cereghini incontri diversi. Su quell’altopiano ebbi la ventura di vivere momenti di caccia che non ho dimenticato e che non dimenticherò mai. La parte dell’altopiano che degradava verso la vallata, era un vecchio campo incolto di proprietà del signor Bagini Camillo di Sant’Eusebio; le erbacce dominavano il terreno e costituivano un hàbitat naturale e una fonte inesauribile di semi e sementi a disposizione della selvaggina che, in quei luoghi remoti, era eccezionale. In quel luogo di magia, oggi frequentato quasi esclusivamente da cinghiali, vissi con la fedele Mìrca, avventure stimolanti e diverse ma, di queste, una indimenticabile. Nell’esteso incolto era facile incontrare branchi di starne veraci, fagiani nati in quelle remote località o lepri che, l’hàbitat e la presenza vicina del bosco, smaliziava e rendeva difficili da insediare. Una mattina di ottobre, splendida come solo sanno essere le mattinate in Oltrepò quando il tempo è buono, con la mia “professoressa” che ispezionava meticolosamente il bosco, giunsi in vista della parte bassa dell’altopiano ed il cane, dopo cento metri di cerca spasmodica, rallentò guidando per alcuni attimi per cadere in ferma catalitica. Io avevo imparato dall’animale a non fermarmi incantato dall’azione, ma a seguirlo attento per essere pronto alla bisogna; in caso contrario il cane mi sbirciava di sottecchi invitandomi a chiudere l’azione. Segui quindi con ansia e trepidazione la cagna che guidava e fermava, saliva , scendeva non raccapezzandosi dello strano incontro con un animale scaltro e determinato a non farsi impallinare. L’ho definito genericamente animale perché ancora non avevo capito, come avrei dovuto, che dato il tanto cammino, non poteva che essere
un fagiano smaliziato. Lo scaltro pennuto, dopo aver risalito zigzagando l’incolto facendo letteralmente impazzire il cane e il cacciatore che lo seguiva, infilò velocemente il sentiero che correva sul crinale e, dopo pochi metri, si involò rimanendo per pochi attimi alla luce del sole e gettandosi successivamente in una picchiata mozzafiato tra gli alberi del ripido pendio. Era uno splendido fagiano maschio di piumaggio scuro con lampi iridescenti nelle piume del collo e del petto, frutto di un raro incrocio tra un fagiano mongolia e un tenebroso. Rimasi inebetito mentre il cane furiosamente percorreva gli ultimi tratti prima dell’involo non rassegnandosi ad averlo perso e senza guardarmi con aria di rimprovero perché cosciente del fatto che il selvatico non mi aveva neppure lasciato il tempo di guardarlo, non già di colpirlo. Sceso a valle raccontai a Mario e a suo padre l’accaduto ricevendone comprensione e buoni auspici per il futuro. Camillo sentenziò che ogni selvatico che resta libero e’ buono per l’indomani. Il giorno dopo tornai sul luogo dei fatti ma non trovai l’animale che ormai popolava i miei sogni; tre giorni dopo ero in zona e, mentre mi accingevo a scendere a valle a caccia finita, vidi il cane fermo sull’altopiano verso il crinale superiore. Guidate e ferme mozzafiato percorrendo
«Quello che invece può essere successo è che il mio amico, pur lasciandoci le splendide penne, non mi abbia voluto concedere il privilegio di accarezzarlo come si accarezza un essere degno del rispetto che lui meritava»
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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI
in lungo ed in largo l’incolto senza riuscire a vedere lo ormai mitico e scaltrissimo fagiano. Improvvisamente il cane partì verso il bosco che confinava con il lato inferiore dell’altopiano e prima ancora di vederlo tra gli alberi, sentii il rumore metallico delle ali del mefistofelico essere che si involava insalutato ospite verso la libertà della vallata sottostante. Guardai il cane stravolto dalla fatica e dalla tensione e non verificando rimproveri nei suoi occhi, conclusi che anche questa volta Päsqualòn, così l’avevo battezzato nei miei incubi notturni, era riuscito a buggerarmi senza mie colpe specifiche. Tornai a raccontare i fatti a Mario e ad altri cacciatori esperti che, sorridendo, mi incitavano ad insistere garantendomi, nel contempo, che quel selvatico non l’avrei dimenticato mai. Dopo altri tentativi miseramente falliti secondo il medesimo canovaccio, un pomeriggio convinsi Mario a far visita comune a Pasquale, come da tutti era ormai conosciuto. Non appena il cane accennò ad una ferma, immediatamente ci ponemmo ai suoi lati per impedire al mitico fagiano di involarsi dalla parte opposta rispetto alla posizione del cacciatore. Come al solito guidate accorte della Mìrca, ferme statuarie, rotture attente per reiniziare la guidata e di nuovo ferma solida. Continuammo per ore sotto un sole al tramonto ma ancora caldo, sino a che le lunghe ombre delle piante del vicino bosco, lasciarono campo al primo crepuscolo. Profittando di questo, della stanchezza del cane e della nostra, Päsqualòn si infilò nel bosco laterale disdegnando i luo-
ghi di involo sino ad allora seguiti, fece una rapida pedinata e si involò coperto dalle fronde dei molti alberi e dall’incipiente oscurità. Non riuscimmo neppure a scorgerlo: udimmo solamente il rumore metallico delle ali che battevano furiosamente ed il classico co-co-co-co... che sapeva di leggera presa in giro. Ricordo che dopo un attimo di sconcerto cominciai a ridere mentre Mario mi guardava inebetito e impressionato dalla scaltrezza del selvatico. Pasquàl o Päsqualòn come era da tutti ormai chiamato, divenne un mito per gli altri e un’ossessione per me che, giovane cacciatore, avevo la possibilità di dimostrare la mia valentia in caso di successo sulla sua scaltrezza. Le vicende si protrassero per qualche tempo con i noti risultati che, per verità, non raccontavo più per paura d’essere canzonato sino a che, una freddissima mattina di novembre, mentre mi avvicinavo al luogo fatidico elaborai un piano di battaglia che coinvolgeva anche la mia buona cagna; in silenzio mi portai nella parte alta del bosco confinante con l’incolto, ordinai a gesti alla Mìrca di sedere ed aspettare nuove indicazioni, mi incamminai in assoluto silenzio verso la parte bassa del bosco, uscii dallo stesso richiamando a gesti l’attenzione del cane che si mosse cominciando a cercare lontano da me che ero fermo nel bordo inferiore dell’incolto. Solita manfrina di guidate, ferme, ricerche affannose ed ancora ferme; io, contrariamente al solito, senza seguire il cane rimasi fermo e in silenzio in fondo al pianoro. Dopo un pò di tempo lo scaltro animale, avendo il cane a monte, iniziò la manovra
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per fregarlo involandosi a valle: sfortunatamente questa volta c’ero io prima del bosco e, non potendo tornare indietro, l’animale si involò davanti a me in direzione del bosco. Chiaramente un simile infernale arnese partì, senza cantare questa volta, a modo suo: sembrava un aereo supersonico da combattimento piegato su un fianco e desideroso di portarsi fuori tiro. Sparai quando il maestoso avversario era sopra le piante, lo vidi traballare ed ebbi la netta sensazione che stesse cadendo nel bosco. Mentre il cane partiva verso il folto per il riporto, rimasi come inebetito non provando soddisfazione per un gesto che avevo più volte sognato; ripensai in un attimo a tutte le avventure che avevo vissuto con Pasquale e provai una stretta al cuore sapendo che non avrei più vissuto momenti come quelli senza il mio amato formula uno. Intanto Mìrca non tornava e dopo averla chiamata un paio di volte, mi sedetti sulla sponda umida senza minimamente dubitare che il cane, specialista nel riporto, potesse perdere il selvatico. Ad un tratto la sentii persino abbaiare nel bosco e, dopo poco, tornò bagnata, stanca, stravolta dalla fatica e dalla delusione senza il luciferino animale. La guardai incredulo e, dopo un attimo, mi addentrai nel bosco seguito da lei, per verificare la misteriosa sparizione di persona. Mìrca si rimise di nuovo alla cerca ispezionando ogni centimetro di bosco seguita dalla mia ansia che stava mutando in delusione. Provai persino a riavvolgere mentalmente il filmino degli avvenimenti: riandai al momento dell’involo, a quello dello sparo, all’impressione di vederlo
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cadere ma, dopo un’ora di affannosa ricerca sempre meno retta dalla certezza di un risultato utile, mi arresi; accarezzai il cane e mestamente feci ritorno a casa nonostante l’orario permettesse ancora di cacciare. Non ho più incontrato Pasquale: ho pensato che, stanco delle continue molestie, potesse aver cambiato zona, ma la cosa e’ decisamente improbabile. Quello che invece può essere successo e’ che il mio amico, pur lasciandoci le splendide penne, non mi abbia voluto concedere il privilegio di accarezzarlo, come si accarezza un essere degno del rispetto che lui meritava. Come abbia fatto ancora me lo domando e, fino alla sua morte, penso se lo sia domandato anche la Mìrca che ritengo, abbia lasciato sul terreno di caccia solo quell’infernale pennuto in tutti i suoi quattordici anni di caccia. Il gerbido di proprietà di Camillo per me e per i miei amici e’ diventato “al s˘èrb ad Päsqualòn” e il ricordo di quello splendido animale non si e’ mai allontanato dalla mia mente come avevano giustamente pronosticato gli amici. Oggi Päsqualòn c’è ancora, ne sono certo, è lassù nei beati territori celesti di caccia di Manitù a confrontarsi con gli indiani, con gli Angeli in cerca di svago o, perché no, a far impazzire Mario, Camillo, Tulio, Giancarlo, Piero e Angelino, amici fraterni che ci hanno lasciato e che come me e spesso con me, hanno condiviso una passione nata in tempi e luoghi che segnano per sempre la grama esistenza di noi comuni mortali. di Giuliano Cereghini
BARBIANELLO
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La Confraternita del Cotechino: ‘‘Ragazzi, si vive una volta sola!’’ Ci siamo recati a Barbianello, presso la sede di uno dei ristoranti storici d’Oltrepò: quel ‘‘Da Roberto’’ che ha perso il Roberto (Scovenna), ritiratosi dall’attività dopo trentacinque anni di eccezionale carriera, ma che ha mantenuto i punti fondamentali. A cominciare dal suo tradizionalissimo insaccato. Nacque in questo locale, nel 1986, la ‘‘Confraternita del cotechino’’. Chi mai ne ha sentito parlare non s’immagini un gruppo di vegliardi avvoltolati in mantelloni purpurei; un sodalizio, invece, assai lungi da questa risma. Un gruppo di amici di vecchia data, appassionati del buon mangiare e del buon bere. Ma cosa resta, nel 2018, di una tale sacrosanta cultura? I sondaggi dicono che la cucina tradizionale è, oggi più che mai, la più apprezzata dagli Italiani; a Barbianello lo avevano capito trent’anni fa. Quando ancora non erano nemmeno in ipotesi i ‘‘millennials’’ che, sempre secondo i sondaggi, sarebbero fra i più convinti sostenitori della tradizione gastronomica. Dovremmo sfatare, prima o poi, un certo mito: perché i giovani non mangiano solo ‘‘fast’’, come si dice in giro. Almeno, non a queste latitudini. Gli amici della confraternita, oggi, sono rimasti in pochi; il cotechino di Barbianello, però, è ancora in prima linea fra i piatti tipici. Grazie alla determinazione di Barbara Dagradi, nuova ‘‘profetessa’’ del cotechino, oggi al timone dello storico locale. Barbara, dopo oltre trent’anni dalla nascita della Confraternita, il Cotechino è ancora un simbolo, qui a Barbianello. Perché? «Il cotechino è una tradizione dell’Oltrepò. Il perché di questa tradizione in particolare a Barbianello è dato dal fatto che Roberto aveva un gruppo di amici che si trovava spesso qui a mangiare, fra i quali alcuni produttori, ma anche persone di estrazione molto diversa: il notaio, il professionista, il pasticcere, gli amici d’infanzia. Tutti con la passione della cucina e dei prodotti di nicchia. È nata così l’idea della Confraternita del cotechino. Ha avuto un notevole successo, perché è stata fra le prime». Una compagnia di amici… «Sì, con una certa componente anche di goliardia. Ecco, questo è il ‘‘registro delle presenze’’ (sfoglia un librone ben tenuto, ndr). Con molte dediche… Eccone una: ‘‘Ragazzi, si vive una volta sola. E allora godetevela, fate che non finisca mai. Fate che si ricordi per tutta la vita’’». Lei ha ereditato questo gioiellino dalla precedente gestione, storica, del ristorante. E porta avanti la tradizione, nel segno della continuità. Cosa ha di particolare questo cotechino, che lo rende diverso dagli altri?
«Ne facciamo fare di due tipi: uno 100% maiale, e uno con un 10% di carne di manzo, che lo sgrassa un po’. C’è una ricetta naturalmente, ed è un segreto che intendo mantenere!». Come viene servito il vero cotechino alla barbianellese? «Con la polenta e la fonduta. Polenta taragna macinata a pietra, noi ne utilizziamo una macinata da un mulino di Casatisma. Quando fa più freddo utilizziamo anche una taragna piemontese, di quelle che si mangiano in alta montagna. Un po’ più dura, mentre l’altra è più delicata». Dopo il sodalizio storico, come continua la storia del cotechino? «Resta un punto di riferimento, qui. Alcuni dei vecchi amici sono morti, altri invece vengono ancora a degustarlo. E lo apprezzano, oggi come allora. Molti li conosco personalmente da molti anni, io d’altra parte sono di Broni. Avevano iniziato a proporre anche serate a tema, sempre con il cotechino come protagonista. Eventi che continuiamo, riprendendo anche antiche ricette». La confraternita si pose fra i suoi obiettivi, in generale, la salvaguardia della cucina tradizionale dell’Oltrepò. Ma l’Oltrepò, che è sempre stato terra di confine, ha spesso attinto le proprie ricette dalle aree limitrofe. Quali sono, secondo lei, i piatti che nel comune immaginario sono davvero tipici e univoci dell’Oltrepò Pavese? «Salame e pancetta di sicuro. I ravioli, anche questi, sono in Oltrepò diversi rispetto agli altri. In Piemonte li fanno con un misto di carni, il nostro è col brasato. Ripieni di carne se ne trovano un po’ dappertutto, ma il nostro raviolo è proprio particolare. Poi, qui, c’è un occhio di riguardo per tutto ciò che è stagionale e selvatico. In primavera, per esempio, si fa uso di gallinella, di dente di cane. Castagne, funghi in autunno; brasati, bolliti, quando fa freddo. La ‘‘buseca’’». Pensa che sulla promozione delle ricette tradizionali esista, nell’Oltrepò gastronomico, una coscienza? «Io sono dell’idea che, senza nulla togliere a nessuno e senza voler fare una critica, molti lavorino bene ma alcuni non siano così veri con il cliente. Soprattutto qui in basso. Meno in collina. Questa tendenza è soprattutto, secondo me, tipica dei giovani; per una questione di comodità. Escono da una scuola che propina piatti molto elaborati. Ma senza nulla togliere agli studi
Barbara Dagradi
che magari ci sono dietro certi piatti stellati… secondo me non abbiamo bisogno di inventarci niente. L’uomo ha sempre cucinato e mangiato. Certe ricette consolidate da millenni non hanno bisogno di innovazioni. Se poi un giorno arriveremo a nutrirci con la pillolina… pazienza». Cosa pensa, in linea generale, dell’offerta gastronomica in Oltrepò? È preponderante la tendenza a considerarsi concorrenti e magari anche a farsi la guerra, o esistono forme di collaborazione? Magari proprio la Confraternita poteva essere un tentativo in questo senso. «Personalmente non mi ritengo una persona invidiosa, però in generale c’è la tendenza a guardare un po’ il proprio orticello. Ognuno va un po’ per sé. Io sono figlia di commercianti e sono sempre stata nel commercio. Ora non so se succede in tutta Italia o solo in Oltrepò, ma secondo me i commercianti qui non collaborano, sono un po’ per conto loro.» Per esempio? «Sono arrivata un anno e mezzo fa qui a Barbianello, e in paese, come in tutti i paesi, ci sono alcune realtà associative. Si occupano di feste, di sagre. Io, quindi, sono l’ultima arrivata. Ora io sono molto a favore delle sagre di paese, perché non tutti vogliono andare al ristorante. E devo dire che anche a me piacerebbe partecipare a queste iniziative. Speriamo ci siano occasioni in futuro. In Oltrepò, comunque, ci
sono un po’ delle fazioni e qualche problema generale…». In che senso? «Arrivo da un’altra esperienza di ristorazione, e da quando sono qui ho l’impressione che siamo un po’ in troppi. Tutti si buttano sulla ristorazione». E magari, con la diluizione dell’offerta, cala anche l’impatto qualitativo… «Rispetto al passato, invece, secondo me è più curato, secondo certi aspetti, l’Oltrepò. Un po’ è cresciuta la consapevolezza di guardare alla qualità e non solo alla quantità. Anche per quanto riguarda il vino. Ci sono alcuni giovani che fanno vini ottimi. Secondo me è giusto far lavorare i giovani, anche se non è facile proporre un vino nuovo. A priori il cliente è un po’ unilaterale, non si lascia consigliare». La sua attività è situata in un piccolo paese contadino, lontano dai grandi punti di interesse. Le capita, comunque, di avere turisti fra i suoi ospiti? Magari spinti qui da qualche guida editoriale… «Ho scoperto l’anno scorso - vedendo molti stranieri, clienti da Torino, da Piacenza…- dell’esistenza di una guida che si chiama Fuoricasello, dove si propone la cucina della tradizione vera a pochi chilometri dall’uscita dell’autostrada. Uno si trova in zona intorno a mezzogiorno, sulla A21, consulta la guida, esce al casello e passa da queste parti. Ci sono moltissime persone che si fidano solo di queste guide». Quali sono i feedback che le capita di ascoltare circa le nostre pietanze tipiche? «Trovano stupendo il cotechino. E i ravioli: se sono fatti a mano e considerando con attenzione quello che ci si mette dentro, sono strepitosi. A volte, dopo averli mangiati come primo, ce li chiedono anche come secondo…». Trova questo apprezzamento anche sui canali digitali come Tripadvisor? «All’inizio mi arrabbiavo, adesso rido di queste recensioni. Naturalmente ai clienti, di solito, chiedo se va tutto bene. Se qualcosa non è stato perfetto, sono la prima a scusarmi. So di aver preso un locale difficile. Ma mi fa ridere che se qualcuno ha qualcosa di cui lamentarsi lo faccia dietro un nickname. A volte leggo cose veramente assurde, quindi ho iniziato a rispondere. Per le rime. Almeno a quelli che secondo me hanno torto. Non dico di essere sempre perfetta e di non sbagliare mai, ma dal momento che chiedo sempre se le cose vanno bene, mi aspetterei una reciproca onestà. Se arriva uno e mi scrive che preferisce i ravioli del supermercato, scusate, ma lo mando a quel paese…». di Pier Luigi Feltri
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BRONI
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«Giorgi ci ha nascosto una realtà che adesso si sta palesando» In un Oltrepò, che spesso dice, ma non vuole dire, in un Oltrepò che spesso vorrebbe dire, ma spesso ha paura di dire, d’esporsi, in un Oltrepò che spesso dice “gandas che un quai duna la zas, parchè mi pos no dil” (bisognerebbe qualcuno lo dicesse perché io non lo posso dire), insomma un Oltrepò che spesso, anche nel vino, con alcune, non molte a dir il vero eccezioni, fatica a dir di quello che pensa, giusto o sbagliato esso sia, perché depositari della verità assoluta non c’è nessuno, l’Architetto Bagnoli, di Broni socio del “Cantinone” ha voluto dire la sua opinione e sottolineare la sua posizione, riguardo alla più realtà vinicola dell’Oltrepò Pavese. Lei, socio di Terre d’Oltrepò, ha mai avuto incarichi operativi all’interno della Cantina? «No, mai». Lei si è presentato alle ultime elezioni? «Sì, per la prima volta». Ha vinto Giorgi. Lei ritiene l’elezione di Giorgi positiva o negativa per la Cantina? «Premetto che nella prima elezione del 26 giugno 2016 io avevo appoggiato Giorgi, insieme ad altri. In seguito abbiamo visto che Giorgi, dopo essersi insediato, ha iniziato prendere delle decisioni opinabili dal nostro punto di vista, come affidare incarichi professionali molto costosi a gente che si è rivelata non essere adeguatamente preparata. Inoltre abbiamo riscontrato che Giorgi iniziava a fare il “super uomo”, il piccolo dittatore e così ci siamo riuniti e abbiamo costituito un comitato che ha preso il nome di “Gruppo insieme”. L’intento di questo gruppo non era quello di fare la guerra al presidente, ma bensì di aiutarlo ad amministrare la Cantina in modo collaborativo; il fine era quello di attuare quelle promesse che erano state fatte in assemblea riguardo al rinnovamento, alla partecipazione dei soci e soprattutto al famoso “giro di boa” necessario dopo lo scandalo». Qual è la più grossa accusa che lei muove nei confronti della gestione attuale della Cantina? «Non ho dubbi sull’onestà dei consiglieri, ma ne ho tanti sulla loro capacità di gestire la Cantina. L’unica che rivolgo a Giorgi è di non aver mantenuto le promesse fatte, sia nella prima che nell’ultima elezione del 26 ottobre. Ripeto, la partecipazione dei soci alla gestione della Cantina, un gruppo consigliare attivo che cerca di risolvere i vari problemi, in quanto quello della remunerazione delle uve non è l’unico. Il Giorgi non ha mantenuto le varie promesse e quindi noi ci siamo ribellati. Altra divergenza con la gestione Giorgi riguarda l’acquisto “La Versa”, noi non
Antonio Bagnoli, socio della cantina di Broni
eravamo d’accordo, tant’è che quattro o cinque consiglieri hanno votato contro». Perché eravate contrari all’acquisto di “La Versa”? «Non siamo dei veggenti, ma abbiamo capito che se fosse arrivato un socio “forestiero” ad esempio Soave, avrebbe creato concorrenza, noi avevamo già la materia prima, l’uva della Valle Versa e con quella potevamo rifare lo spumante. Era il periodo in cui iniziavamo a pagare l’uva che ci avrebbe permesso di accedere a dei finanziamenti extra e già eravamo in una situazione non florida dopo lo scandalo e le multe che dovevano arrivare e che forse ancora devono arrivare. Perché allora andarsi a impelagare in un’altra realtà? Noi, che siamo una “formica” rispetto alla Cavit, dobbiamo contribuire con il 70% per rilanciare una società fallita e per farlo ci vogliono dei soldi, per poi vederne i risultati tra dieci anni. Io dico, perché? Abbiamo Broni e anche Casteggio». Però i programmi su “La Versa” presentati da Terre d’Oltrepò non parlano di dieci anni per riportare in utile la cantina. «I consiglieri che hanno dato voto negativo è perché Giorgi non ha presentato un
piano industriale, noi volevamo la dimostrazione, lo ribadisco, all’interno di un piano industriale, della rinascita di “La Versa”. Non comperare così alla belle e meglio “La Versa”. La nostra richiesta era: fateci vedere cosa bisogna fare e i costi per realizzare il piano industriale». Perché secondo lei non vi è stato presentato il piano industriale? «Perchè se ce lo avesse fatto vedere i consiglieri avrebbero detto di no. Giorgi ci ha nascosto una realtà che adesso si sta palesando». Voi avevate il potere legale per chiederne la visione? «Non lo so, so che noi in assemblea lo avevamo chiesto e sarebbe stato utile che il piano fosse stato presentato a tutti i soci. Volevamo una maggior trasparenza che rendesse tutti più partecipi». Terre d’Oltrepò, tra vicissitudini e problemi, arriva il Nuovo che avanza. In questi ultimi due anni la situazione di Terre d’Oltrepò è migliorata oppure no dopo la vicenda Cagnoni? «No, non è migliorata. Ritornando al “Gruppo insieme”, noi ci siamo presentati , tra Natale e i primi di gennaio di due anni fa, al presidente volendo dare una mano,
perché il suo comportamento stava creando malcontento. Abbiamo fatto due o tre riunioni, volevamo fare delle proposte per aiutarlo non per dichiarargli guerra. Lui ci ha quasi riso in faccia. Allora ci siamo ritirati e abbiamo incominciato a dire come stanno le cose».
«Premetto che nella prima elezione del 26 giugno 2016 io avevo appoggiato Giorgi, insieme ad altri»
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E come stanno le cose? «Siamo venuti a conoscenza di una ristrutturazione a Casteggio ed è su questo che ho fatto scaldare il nostro gruppo: a Casteggio hanno fatto una demolizione di vasche interrate per creare un grande spazio e mettere dei serbatoi, erano vasche vecchie. Io, un geometra e un avvocato ci siamo recati sul cantiere ed abbiamo riscontrato che tutto ciò che riguardava la progettazione e la direzioni dei lavori, dei cementi armanti e della sicurezza erano ad appannaggio della committenza. Questo l’ho detto in assemblea più volte: “qui si arriva che l’impresa può fare tutto quello che vuole e Terre d’Oltrepò non può fare niente. A mio avviso e per la competenza che ho, si va a raddoppiare l’importo. Tant’è che la precedente amministrazione aveva fatto fare un progetto con un computo metrico estimativo, in base ai valori di mercato, pari a 550 mila euro. Dalla precedente amministrazione il costo a Giorgi è lievitato, anzi quasi raddoppiato, si parla infatti di 1 milione». Per cui per il lavoro è stato speso più del dovuto? «Circa il doppio, essendo architetto ho la competenza e l’esperienza per dire che quel progetto effettivamente risultava essere eccessivamente costoso». Qual era l’errore fatto? La Cantina Sociale Terre d’Oltrepò
«Abbiamo riscontrato che Giorgi iniziava a fare il “super uomo”, il piccolo dittatore e così ci siamo riuniti e abbiamo costituito un comitato che ha preso il nome di “Gruppo insieme”»
«Dovrei entrare nello specifico, abbiamo già ampiamente spiegato nelle due relazioni tecniche presentate e in una contro relazione che il lavoro in quel modo era sbagliato. Il dramma è che dopo aver presentato queste relazioni al presidente e a tutti i consiglieri non abbiamo avuto riscontro, è stata una delusione. Ho chiesto in assemblea un confronto all’americana, con Bagnoli contro i tecnici dell’impresa». E non è stato fatto… «No, non è stato fatto». Perché non è stato fatto, quali sono state le motivazioni?
«Bagnoli lasuma perd, ti dis di bal” (Bagnoli, lasciamo perdere, dici delle balle), mi dicevano. Io ho anche presentato al presidente le 26 voci all’interno del progetto che i che potevano non essere fatte e ciò avrebbe rappresentato un importante risparmio». In soldoni, non potendo entrare nel tecnico… «Gliela faccio semplice, se suo figlio le chiede di tirargli il triciclo lei vai a prendere uno spago da pancetta o un cavo di canapa per agganciare un piroscafo? Non parlo io, ma le schede tecniche». C’è stato un momento in cui lei e Giorgi avete collaborato. Un dialogo, uno scambio di idee? «Dopo la vittoria di Giorgi lui mi ha chiesto aiuto ammettendo di aver sbagliato e di voler davvero mettere in pratica le famose promesse sopracitate. Io gli avevo preparato, nel mese di novembre dieci giorni dopo le elezioni, una lettera in cui chiedevo per far funzionare il consiglio e per portare avanti le promesse fatte , l’istituzione di quattro commissioni: una per la zonazione delle aree vocate nei comuni, per rendere fattivo il progetto qualità; una commissione per il territorio e ambiente; una per le iniziative promozionali ad esempio mostre, convegni, dibattiti; infine, una per il rapporto con i soci e la revisione dello statuto. Queste commissioni dovevano essere presiedute da un consigliere, aiutato da un secondo consigliere, per dare quella famosa partecipazione ai soci all’interno della gestione della Cantina. Avevo anche previsto un gruppo giovanile di lavoro,
accessibile a chi non avesse superato i 30 anni e la costituzione di un gruppo femminile “Donne del vino a Terre d’Oltrepò” aderenti all’associazione nazionale “Donne del vino”. Tutto questo Giorgi non lo ha portato avanti. Non accuso Giorgi ma l’incapacità e la non volontà di lavorare da parte di alcuni consiglieri. Tenevo molto alla creazione del gruppo femminile, al punto che potrei quasi travestirmi io ed andare a chiedere di formare questo gruppo che avrebbe una notevole risonanza a livello nazionale ed anche europeo. È così che si fa la famosa promozione, è così che si vendono le bottiglie che creano plus valenza. Ho messo la mia professionalità per la Cantina: avevo detto a Giorgi che gratuitamente avrei quantificato il costo per trasformare la sala delle vecchie riunioni, adibendola a spazio per mostre e convegni, che fosse agibile e rispettasse le norme di sicurezza. Il presidente ha preferito non fare niente e la dice lunga sulla sua volontà di rilanciare e promuovere la Cantina. Preferisce fare le riunioni sotto i torchi, spazio non agibile. Avevo preso contatti con i vigili del fuoco con il Comune di Broni, teniamo presente che questo lavoro l’ho fatto e gratis. Il presidente senza sapere i costi di questo intervento ha deciso di non fare niente, quindi il presidente ha dato ampia prova che lui i convegni, le mostre e il rilancio promozionale della Cantina non gli interessano». Prima ha parlato di aumentare il volume delle bottiglie vendute per accrescere il plus valore. Posso interpretarlo
come una posizione contraria, la sua, alla vendita in cisterna? «Dal bilancio risulta che i costi per la trasformazione dell’uva in vino sono il 40, il 45% rispetto alle somme accreditate ai soci. Avendo pigiato 270 mila quintali di uva l’incidenza va a 16 milioni ai soci, 9 milioni ai costi di trasformazione. Teniamo pure il 40 % il conto è molto semplice. Se continuiamo a vendere il vino a cisterne un vino normale, chiamiamolo pure anche doc ma non parliamo dell’Igt, calcoliamo circa 0.80 al litro, 70 litri per 0.80 fa 56 euro. Rimarchiamo queste cose così da far capire agli agricoltori. il 40% di 56 è circa 23 euro, che sono le spese di trasformazione. L’uva dovrebbe essere pagata,se continuiamo a vendere il vino in cisterne, a 56 meno 23 cioè a poco più di 30 euro. La paga è di 56 quindi questi 20 euro vengono presi da prestiti dalle banche e allora in questo modo noi iniziamo a percorrere la strada della vecchia “La Versa” che ha accumulato a suo tempo 24 milioni di euro e poi è fallita». Come vede il futuro del gruppo Terre d’Oltrepò e La Versa, come partecipata di Terre e Cavit? «è indispensabile una svolta radicale sull’imbottigliamento, basti pensare che nella nostra zona i bar e i ristoranti non hanno bottiglie a marchio La Versa. È un conto matematico. Quest’anno abbiamo pigiato oltre 500 mila quintali di uva, per 20 euro, noi dobbiamo avere dalle banche 10 milioni di euro». di Nilo Combi
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«Il progetto Torre Civica va avanti, anche a rischio di stancare» L’anno prossimo, nel mese di maggio ci saranno le elezioni amministrative a Stradella. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con chi la città la conosce alla perfezione e l’ha amministrata per tanti anni. Professore universitario e uomo di grande cultura, Pierangelo Lombardi è legato indissolubilmente alla storia stradellina. Sindaco per diverse legislature, ha ricoperto anche l’incarico di vicesindaco e attualmente è consigliere di maggioranza. Andiamo dritti al punto. Si candiderà a sindaco il prossimo anno? «Io sono a disposizione se c’è da dare una mano per costruire un progetto. Quindi dare una mano al sindaco e al progetto. Io sento di aver fatto il mio tempo per svariate ragioni, ma se la mia esperienza può servire per dare una mano io ci sono. Il mio impegno sarà di un certo tipo, non ho intenzione di assumermi certe cariche e incarichi… ma vedremo. Non sono a sbavare per un posto, ma rimango a disposizione. Anche perché ci credo ancora nel provare a tenere in piedi il progetto di Torre Civica». Quindi il candidato sindaco sarà ancora Piergiorgio Maggi? «Sì. Io ho finito la mia esperienza nel 2014, questo deve essere chiaro e senza dubbi. Piergiorgio ha fatto un mandato e, anche per le caratteristiche della legge, oltre che per i suoi meriti, ha chiesto al gruppo di potersi riproporre. Noi dovremo essere bravi a riuscire a comprendere e interpretare, come siamo sempre riusciti a fare in tutti questi anni, una società che cambia. Che cambia sempre più tumultuosamente, sia dal punto di vista politico che sociale, che culturale in senso lato. Il punto di partenza non può non essere per noi l’esperienza di Torre Civica». In che senso? «Una esperienza che ha garantito una continuità amministrativa che, a nostro avviso, è un valore aggiunto. Lasciando stare le premesse, partiamo dall’anno 1995: adesso Torre Civica tenterà di ricandidarsi per la sesta volta ininterrottamente. Bisogna riuscire a capire oggi, con questa società che si modifica di continuo, cosa può rappresentare ancora Torre Civica, ma soprattutto, riuscire a vedere come sappiamo interpretare questo mondo che cambia. Una formula che si caratterizza per una forma e una storia radicata, ma che ogni volta non ha presentato un semplice restyling, ma ha sempre cercato di confrontarsi con nuovi interlocutori e si è sempre messa in discussione». Non crede che questo essere sempre presenti possa anche essere un rischio? «Certo, non lo nego. Il rischio è che di fronte al “nuovismo” possiamo sembrare quelli che “Ah, ci sono ancora loro! Bi-
Pierangelo Lombardi
sogna cambiare”: questo è da mettere in conto, ma mi rifiuto di credere che sia così. Bisogna sicuramente far emergere e utilizzare il meglio della nostra esperienza passata, con il coraggio di mettersi in discussione, laddove ci sono cose che non hanno funzionato o hanno funzionato meno, e comunque fare in modo di adattare il tutto alla realtà che sta cambiando. Insomma, valorizzare una grande esperienza e avere il coraggio di non chiudersi, mettersi a disposizione delle novità, delle nuove leve, con la consapevolezza di avere da dire ancora qualcosa di importante». In questo vostro lungo percorso ci sono state criticità… «è ovvio. Ci sono cose che ci sono riuscite bene, altre meno. Dobbiamo cercare, infatti, di recuperare da questa lunga esperienza il meglio che abbiamo fatto. Rilanciare questi aspetti positivi, coniugare esperienza e innovazione. Faccio l’esempio dell’ambito sociale: l’esperienza che abbiamo costruito in tutti questi anni sul welfare è molto importante. Al giorno d’oggi deve essere un welfare inclusivo, molto attento alle fragilità, che non esclude e non discrimina, e si misura con una società sempre più egoista e
chiusa. È su queste cose che si costruisce un progetto civico, che guarda al mondo, che è aperto al mondo, che guarda a questa Europa tanto bistrattata, che guarda ai grandi scenari ma ha i piedi ben radicati nella sua realtà. Poi logicamente ci sono
L’ex sindaco Lombardi tira la volata a Maggi: «La mia esperienza per dargli una mano»
state fasi più critiche, in cui il nostro spirito ha faticato un po’ di più, però direi che oggi è il caso di rilanciare questa nostra esperienza, di andare al di là degli schemi rigidi politici. Noi abbiamo molto da mettere in campo». Qual è la vostra scommessa? «Quella di rilanciare un progetto politico-amministrativo capace di ampliare a nuove culture politiche, a nuove realtà associazionistiche e di categoria, a singoli cittadini che magari hanno voglia di impegnarsi su alcuni elementi ben precisi. Magari recuperando chi “si è perso per strada”, alcune figure che sono state con noi per un certo periodo. Non c’è nulla di certo, ma nel momento in cui si ragiona in termini inclusivi, in cui non ci si restringe, ma ci si allarga, a quel punto ci si può misurare con tutto. Lo slogan delle mie campagne elettorali era “Un’idea di città, la città delle idee”: un’unione in cui costruire un’idea di città e dall’altra parte, per costruire un’idea di città, devi riempirla di idee. Oggi la sfida è quella di mettere in campo inclusioni, solidarietà e di non adagiarsi. La politica deve avere anche una funzione pedagogica, non deve solo andare dietro ai sondaggi, ma deve anche proporre idee». Voi sapete bene cosa significa governare Stradella… «Sì, ci siamo ampiamente misurati con la fatica del governare. E quando ci si misura con questo, con la fatica e le contraddizioni del governare, ci si misura anche con i limiti, quelli delle risorse e delle normative, quelli che vengono dalla capacità più o meno della macchina amministrativa di funzionare. Bisognerebbe poter avere una bacchetta magica e far provare ad amministrare qualche mese una città a chi critica sempre, anche sui social network…visto dall’esterno sembra tutto facile, ma non è così. è faticoso gestire tutto, soprattutto l’ordinario, la manutenzione dell’ordinario». In tutti questi anni avrà visto sicuramente cambiare la città e la politica in generale. «Sicuramente. Ma ho visto cambiare anche il modo di comunicare. Io non ho Facebook perché non mi interessa, io voglio vedere le persone in faccia e ragionare con loro, ma al giorno d’oggi questo non è efficace. Bisogna rendersi conto di questo: è per questo che ribadisco ancora una volta che è necessario mettere in campo la propria esperienza e contemporaneamente l’innovazione. Io sono un uomo della Prima Repubblica: una volta i partiti erano uno strumento di selezione e di formazione. Oggi non è più così e si improvvisa molto». di Elisa Ajelli
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L’Ammiraglio Faravelli, da Soriasco alla conquista di Tripoli Luigi Giuseppe Faravelli nacque a Stradella, il 28 ottobre 1852. Originario di Soriasco, questo ramo dei Faravelli fu tra le famiglie borghesi più influenti della vallata tra la fine del ‘700 e i primi del ‘900. Il padre Carlo era fratello dell’Avv. Giuseppe, titolare della storica Az. F.lli Faravelli di Soriasco, mentre la madre Antonia era la sorella (da parte di padre) del Primo Ministro Agostino Depretis. Sebbene stradellino di nascita, visse parte della sua gioventù nella frazione soriaschese di Madonna della Versa, che alcuni decenni dopo diventerà capoluogo di comune con il nome di Santa Maria della Versa (Villa Faravelli, residenza mariese della famiglia, dagli anni ’30 diventerà sede fissa del Municipio). Si avvicinò alla Marina per merito dello zio Agostino e dell’amico di famiglia Nino Bixio, i quali spinsero il quattordicenne ad iscriversi alla Scuola Navale di Genova nel 1866. Dalla stessa si diplomò il 26 febbraio 1871 con il grado di Guardiamarina. La sua prima esperienza di navigazione fu a bordo dell’Euridice, passando poi alla Re Galantuomo ed infine alla Terribile. Promosso sottotenente di vascello nel 1875 diventò tenente il 13 marzo 1881, anno in cui iniziò saltuariamente a partecipare, fino al 1888, alla Direzione generale di artiglieria e torpedini con lo scopo di aggiornare l’organizzazione centrale della Marina. Qui il Faravelli maturò nuove esperienze su armi moderne in via di sviluppo, tra i quali siluri, torpedini, artiglieria a canna rigata e meccanismi di caricamento. Venne promosso capitano di corvetta il 28 giugno 1890 e poi capitano di fregata il 6 marzo 1896. Durante la crisi di Creta operò come comandante di seconda sulla corrazzata Morosini, mettendo in risalto le proprie doti di comando, evitando agli avversari di ricevere ulteriori rinforzi. Nel 1900 prese il comando della Morosini e in un secondo momento della Regina Margherita.
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Iniziò così la sua scalata nelle gerarchie militari, fino a diventare vice-ammiraglio. Faravelli e la Guerra Italo-Turca (19111912) Con l’inizio delle ostilità il viceammiraglio Aubry, che aveva il comando della seconda squadra, composta da sette corrazzate e quattro incrociatori, ordinò di dirigere la flotta verso Tripolitaina. Durante la navigazione fu però costretto a deviare verso Bengasi, in quanto erano giunte voci fondate che la marina turca volesse attaccare le navi italiane. Rientrato l’allarme, il 1 ottobre 1911 le navi italiane raggiunsero il porto di Tripoli.
Caserma Faravelli
Villa Faravelli a Santa Maria della Versa
Valutata la fattibilità dell’attacco ai forti, Aubry chiese immediatamente l’invio da Roma di tremila uomini dell’esercito per effettuare lo sbarco e la presa di Tripoli. Roma però temporeggiò, chiedendo la resa di Tripoli prima dell’invio di uomini. Dato che le trattative con le autorità turche erano in fase di stallo, Faravelli avvertì i consoli delle varie nazioni, concesse tempo per lo sgombero dei profughi e il 3 ot-
tobre, dopo aver riorganizzato le forze navali in tre gruppi, iniziò il bombardamento dalla corrazzata Benedetto Brin. Il giorno successivo ordinò il “cessate il fuoco”. Faravelli, non avendo alcun ordine da Roma, si trovò costretto a prendere una decisione importante: attendere ordini superiori, e rischiare una controffensiva turca o effettuare lo sbarco e la presa di Tripoli con pochi uomini?
STRADELLA La scelta non fu facile. Faravelli riunì circa 1700 uomini e ordinò lo sbarco, lasciando il coordinamento delle operazioni del capitano Cagni. Il 5 di ottobre, accettò dal console tedesco e dai notabili locali la resa di Tripoli, e il 6 ottobre emanò il celebre proclama ai libici: “A nome di S. M. il Re d’Italia vi assicuriamo non solo il rispetto alla più completa libertà vostra, alla vostra religione, ma anche il rispetto di tutti i vostri beni, delle vostre donne, dei vostri costumi. Vi annunciamo che sarà abolita la coscrizione, vi saranno elargiti i possibili miglioramenti economici e che vi consideriamo fin d’ora strettamente legati all’Italia” La situazione però rimase delicata. I turchi erano di numero superiore rispetto a marinai italiani. S’inventò così uno stratagemma: divise i suoi uomini in molte unità, facendole marciare continuamente per la città in modo da renderli più numerosi agli occhi del nemico. Finalmente l’11 ottobre arrivarono i primi contingenti dell’esercito e Faravelli poté tirare un sospiro di sollievo.
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Successivamente Faravelli ordinò bombardamenti e lo sbarco dei reparti presso Marsa, Tobruk, Derna, Bengasi e Homs. Il 4 marzo 1912, con la morte dell’ammiraglio Aubry, assunse il comando dell’intera flotta e iniziò a pianificare un’azione verso oriente tale da poter accelerare la conclusione del conflitto. Non riuscì però a concludere la sua strategia: venne colpito da una grave malattia e chiese immediatamente di lasciare il comando, lasciando il suo posto all’ammiraglio Viale Dopo essere rientrato in Italia, venne nominato senatore del Regno il 17 marzo 1912. Successivamente fu presidente del consiglio superiore della Marina, ricevendo inoltre numerose onorificenze legate alle sue imprese, una su tutte quella di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia, in merito a decisione di sbarcare a Tripoli. Sebbene la sua iniziativa inizialmente fu molto criticata, accusandolo di aver abusato del potere conferitogli (ma allo stesso tempo di essere stato troppo clemente con la popolazione occupata) venne poi riscontrato che l’operato di Fa-
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ravelli oltre aver facilitato lo svolgimento delle operazioni future per la presa di Tripoli, evitò una quasi certa sconfitta per superiorità numerica del nemico. Morì a Roma prima dello scoppio della Grande Guerra, il 22 marzo 1914, a soli 62 anni. Le spoglie riposano nella cappella di famiglia nella zona “monumentale” del Cimitero di Stradella circondate, insieme a quelle di altri personaggi celebri oltrepadani di fine ‘800, da un totale stato di degrado e abbandono. In sua memoria vennero intitolate l’Istituto di Istruzione Superiore di Stradella e la Caserma Faravelli di La Maddalena in Sardegna. Attorno al 1880 convolò a nozze con Teodolinda Cattaneo, dalla quale nel 1884 ebbe un figlio. Tra i suoi ultimi discendenti va ricordato Don Tancredi Faravelli, morto ad 88 anni nell’ottobre 2016, che nonostante i suoi quasi quarant’anni di reggenza a Fontanegli (Provincia di Genova), non aveva mai dimenticato il suo legame familiare con Santa Maria della Versa. di Manuele Riccardi
L’Ammiraglio Luigi Giuseppe Faravelli
1912, Inaugurazione della X esposizione d’arte di Venezia
9 Marzo 1912 - Il Giornale d’Italia Carriera militare 26 febbraio 1871 – Guardiamarina di Vascello 10 giugno 1875 – Sottotenente di vascello 13 marzo 1881 – Tenente di vascello 28 giugno1890 – Capitano di corvetta 6 marzo 1896 – Capitano di fregata 22 novembre 1900 – Capitano di vascello 9 luglio 1905 – Contrammiraglio 26 gennaio 1911 – Viceammiraglio 1912 – Ammiraglio Incarichi 1881-1888 - Direzione generale di artiglieria e torpedini 1904-1905 - Vicecomandante dei corpi degli equipaggi marini 1904-1905 - Capo di stato maggiore del
primo dipartimento 1905-1907 – Direttore generale del personale dei servizi militari (incaricato) 1907-1908 - Capo di Stato Maggiore della forza navale del Mediterraneo 1908-1910 - Direttore generale del personale dei servizi militari (titolare) 1910-1911 - Comandante della piazza marittima della Maddalena 1911-1912 - Comandante del terzo dipartimento e della piazza marittima di Venezia 1912 – Presidente del Consiglio superiore di marina 1912 – Comandante in capo della Prima squadra e comandante delle Forze Navali 1912-1914 - Senatore del Regno d’Italia
1913-1914 - Membro della Commissione Finanza al Senato 1913-1914 – Socio della Società geografica Italiana 1914 – Membro del Consiglio dell’Ordine militare di Savoia Onorificenze 28 giugno 1888 - Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia 16 gennaio 1898 - Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 28 dicembre 1902 - Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia 9 giugno 1904 - Ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 7 gennaio 1906 - Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia
24 gennaio 1909 - Commendatore dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 11 novembre 1909 - Grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia 29 dicembre 1912 - Grande ufficiale dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro 28 dicembre 1913 - Gran cordone dell’Ordine della Corona d’Italia 16 marzo 1913 - Grande ufficiale dell’Ordine militare di Savoia Decorazioni Croce d’oro per anzianità di servizio Medaglia d’onore per lunga navigazione Medaglia mauriziana al merito militare di dieci lustri Medaglia commemorativa della guerra italo-turca
STRADELLA
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«è ovvio che sia la Lega ad esprimere il candidato sindaco» Se a Stradella c’è una forza politica che scalpita in vista delle prossime elezioni comunali quella è la Lega Nord. Forte dell’onda di consenso a livello nazionale la sezione locale ha già avviato le “grandi manovre” per spodestare il centrosinistra da palazzo Isimbardi. Correrà da sola o in coalizione? Pretenderà, come più volte dichiarato dal suo segretario Andrea Scagni, di esprimere lei il candidato sindaco o accetterà mediazioni? La logica dell’ “uniti si vince” Scagni sembra averla assimilata, insieme alla consapevolezza che questa per il centrodestra stradellino potrebbe davvero essere la sfida decisiva. 48 anni, fresco di riconferma nel ruolo di segretario cittadino, è anche coordinatore della Consulta Agricola Nazionale del Carroccio. Nel tempo libero coltiva i campi e la passione per i motori, essendo anche il presidente del motoclub “I siluri del Po”. Scagni, la Lega è una forza politica che ambisce a “un posto al sole” in vista delle nuove elezioni. Quanto “al sole” deve essere questo posto? Correrete, come si dice, con un vostro candidato? «Alla luce dei risultati elettorali, dell’indice di gradimento ma anche a fronte delle capacità e delle preparazione politica ed amministrativa dei militanti e dei tanti sostenitori, oltre che a garanzia del buon operato, diventa ovvio e fondamentale per il nostro Movimento esprimere il candidato Sindaco». Alle scorse elezioni il centrodestra a Stradella ha ottenuto il 50% delle preferenze alla Camera, con la Lega primo partito in città al 26%, mentre le forze di centrosinistra si sono fermate a 1700 voti, con il Pd al 20%, quasi raggiunto dal Movimento 5 Stelle (19,5%). Il che lascia intendere che un’alleanza con le forze di destra vi darebbe ottime possibilità di successo. Qualora gli alleati vi chiedessero un passo indietro prevarrà la logica dell’uniti si vince o preferite rischiare in solitaria ma con un vostro candidato? «I risultati elettorali dello scorso marzo hanno lasciato il segno e oggi, merito anche della buona politica a livello nazionale, le percentuali dei sondaggi ci danno in ulteriore crescita, addirittura il primo partito a livello nazionale. Nell’ambito di un progetto comune e in uno schieramento in coalizione con altre forze politiche, movimenti e associazioni civiche, ogni scelta dovrà essere però condivisa: io dico che uniti si vince». A livello locale vede possibile un’alleanza con i 5 Stelle stile governo? «Ad oggi, se a monte vi è un progetto comune, ritengo possibile qualsiasi alleanza politica e, allo stesso tempo, considero fondamentale per l’apporto che possono dare al risultato finale (vincere e governare), la capacità e l’importanza delle singole persone anche estranee a pure logiche di
La Lega lancia la bagarre elettorale: «Giunta pessima, chiunque le sia contro ha possibilità di vittoria» partito». Più in generale, da segretario nonché “addetto ai lavori”, come giudica il quadro politico della sua città? Quali sono i “cavalli” più in forma ai nastri di partenza? «Stradella è sempre stata una città particolare, terra di compromessi storici, patria di politici lungimiranti e capaci, che con il loro operato alteravano i risultati elettorali nazionali; oggi queste capacità politiche sono venute meno e di conseguenza, non garantendo “consolidati standard” si respira diffusamente un’aria di cambiamento. Tutti gli schieramenti contrari all’attuale governance hanno buone chance». Riguardo il vostro candidato sindaco si sono fatti tre nomi. Uno è il suo, l’altro quello di Daniele Moscatelli e l’altro ancora di Daniele Frustagli, che sarebbe il pupillo di Ciocca. Può dirci almeno “acqua” o “fuoco” per uno di questi nomi? «Dico “acqua!” per tutti. è pur vero che sono usciti sulla stampa nomi e cognomi di possibili candidati alla carica di sindaco, ma da Segretario, senza nulla togliere alle capacità delle persone interessate, ritengo le news solo “chiacchere da Bar”. Il candidato alla carica di primo cittadino dovrà essere condiviso dalle forze politiche e dalle persone che aderiranno al progetto di cambiamento». Dopo cinque anni di governo Maggi perché crede sia necessario un cambiamento in Amministrazione? «Stradella se vuole risalire la china e tornare a determinati standard qualitativi (ormai da tempo venuti meno), deve rinnovarsi completamente. La gente deve superare preconcetti, vecchie ideologie e retaggi ormai superati; i nuovi amministratori dovranno affrontare nuove sfide e proporsi su nuovi palcoscenici. L’attuale amministrazione se negli anni a venire verrà ricordata, verrà ricordata per tutto quello che non ha fatto».
Dove questa giunta è stata più mancante? «Da addetto ai lavori, ho visto personalmente la peggior giunta da quando ne ho memoria, amministratori (eccezion fatta per una vecchia volpe...) totalmente immobili, lontani dalla gente, incapaci di affrontare anche i più semplici problemi». Qualcosa di buono l’avranno pur fatto… «Purtroppo per Stradella non vedo particolari meriti, hanno affrontato solo l’ordinarietà e con non poche difficoltà». Quali sono secondo lei i problemi principali di Stradella oggi? «Elenco senza addentrarmi nello specifico le principali criticità di Stradella che i prossimi amministratori dovranno affrontare e risolvere: degrado civico, decoro urbano, viabilità, controllo del territorio, politiche ambientali e i giovani». Della raccolta differenziata che ne pensa? «La raccolta differenziata a Stradella così com’è stata concepita deve essere modificata e migliorata: è un disastro! Gli unici aspetti positivi per l’amministrazione sono il collocamento mirato dei nuovi addetti
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Andrea Scagni, segretario Lega Nord Stradella alla raccolta e la riduzione del rifiuto raccolto, in quanto il 25% circa dello stesso, viene portato nei cassonetti dei comuni limitrofi, generando di conseguenza una probabile riduzione della tariffa a scapito di un aumento della tariffa nei comuni coinvolti». di Christian Draghi
STRADELLA
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«In Oltrepò c’è alta qualità, ma bisogna cercarsela»
Lo Chef Alessandro Proietti Refrigeri e lo staff di Villa Naj
Da Copenaghen a Stradella il passo non è lungo, di più. Dal miglior ristorante del mondo a uno rinomato, ma pur sempre nel cuore dell’Oltrepò Pavese, la strada può invece accorciarsi se a fare da ponte sono la tecnica, la passione per la cucina come forma d’arte e la scelta rigorosa delle materie prime. è così che è iniziata in terra oltrepadana, a Villa Naj, l’avventura dello chef romano Alessandro Proietti Refrigeri, per due anni alla corte di René Redzepi, mastermind del famoso Noma di Copenaghen, per quattro volte eletto primo ristorante al mondo. A definire Alessandro un astro nascente della cucina gli si farebbe torto: ha appena 30 anni ma un curriculum da fare invidia al più incallito Stakanovista. Prima la scuola alberghiera a Roma, in contemporanea con il lavoro nei ristoranti 5 stelle della capitale come stagista, «per imparare sul campo». Poi l’esperienza da capopartita nel pastificio San Lorenzo e quella da sous chef nelle isole Eolie in un resort di lusso. Poi il ritorno a Roma allo Splendid Royal, un altro 5 stelle con ristorante di lusso sulla terrazza che ha fatto da trampolino di lancio per arrivare al prestigioso Noma. Un’esperienza durata 2 anni, al termine della quale Proietti Refrigeri è tornato a Roma alla Pergola, unico 3 Stelle Michelin della capitale, per poi occuparsi del food cost per contò di Berberè, la catena di pizzerie gourmet dei fratelli Aloe, «per capire cosa c’è dietro un piatto, come si determinano i suoi costi e come si gestisce il personale di un ristorante». Alla fine è tornato ai fornelli. Fosse un calciatore, sarebbe uno di quelli che hanno
giocato in serie A fin dall’inizio e sempre al top sono rimasti, passando da una “grande” all’altra con soluzione di continuità. Dopo aver militato nel “Real Madrid” dei ristoranti è però sceso in Provincia, in un territorio, l’Oltrepò Pavese, che di stelle Michelin non ne ha nemmeno una, ma che rappresenta per un giovane chef ambizioso «una nuova grande sfida» da portare avanti con determinazione. Oggi l’obiettivo, «ma non un’ossessione», è portare a casa la prima stella. Sua, ma anche di tutto l’Oltrepò. Chef, come ci è arrivato a Stradella? «Un amico mi ha contattato per dirmi che un ristorante che poteva fare al caso mio cercava qualcuno cui affidare la cucina, così sono venuto qui a visitarlo e mi ha subito convinto. Una bella location, pochi coperti, un’atmosfera adatta per una nuova sfida». Conosceva l’Oltrepò Pavese prima di metterci piede? «No, non ne avevo mai sentito parlare». E come le sembra? «Beh, io ero abituato alle grandi città, al caos. Qui mi trovo bene perché quando voglio ho a disposizione la tranquillità di cui ho bisogno per staccare la spina: una cosa fondamentale se si vuole recuperare energia e trovare nuovi stimoli in cucina». Immagino che i ritmi tra qui e il Noma siano un po’ diversi… «Al Noma era pazzesco: lavoravo dalle 6 del mattino all’una di notte, ma ho imparato tantissimo. Quando sono tornato in Italia andavo al doppio della velocità degli altri colleghi, ho dovuto riabituarmi a dei ritmi più umani». Come ci è finito al miglior ristorante del
mondo? «Un po’ per gioco, un po’ per sfida. Avevo un amico che faceva lo stage là e mi ha detto “perché non fai domanda”? Io ero interessato a un’esperienza estera anche per imparare la lingua, così mi sono preparato una lettera di presentazione visto che non parlavo inglese, ho comprato un biglietto di sola andata per Copenaghen e ho bussato alla porta. Non mi interessava fare lo stage, volevo essere assunto. Mi hanno concesso due settimane di prova, poi mi hanno comunicato l’assunzione». Nonostante non conoscesse l’inglese… «Mi hanno detto che andavo bene perché sapevo lavorare e quella per loro era la cosa più importante». Cosa l’ha convinta ad accettare la “sfida” di Stradella? «La location è perfetta per il mio progetto, ambiente adatto, pochi coperti». E dei prodotti dell’Oltrepò che ne pensa? «Penso che esista alta qualità, ma che sia poco sponsorizzata e pertanto bisogna cercarsela. Quando sono arrivato qui ho passato un mese a girare e visitare varie aziende del territorio per cercare quelle che potessero garantirmi gli standard qualitativi che cercavo». Ne ha trovate? «Sì. Riso, farine per la panificazione, formaggi e verdura verranno da qui». Niente carne? «Quella sarà di razza piemontese». Il salame di Varzi lo conosce? «Sì ma non sarà in carta, come d’altra parte nessun altro salume “da tagliere”. La mia sarà una cucina di ricerca e non tradizionale: per quella esistono già le trattorie
Dopo 2 anni al Noma lo chef romano Alessandro Proietti Refrigeri ricomincia da Stradella: «Qui ho la tranquillità che cercavo» e altri ristoranti». Il Noma è famoso per la sua cucina improntata alla pressoché completa località dei prodotti. Farà qualcosa di simile anche a Stradella? «No, qui non sarebbe possibile credo: sarebbe troppo per una clientela che ancora non è pronta a un simile “estremismo”. Utilizzerò anche prodotti che non hanno a che fare con questo territorio. La mia cucina vuole essere innovativa e non solo tradizionale, una commistione di sapori, consistenze e temperature diverse. Chi viene qui non deve farlo solo per mangiare, ma per un’esperienza più ampia». Che ne pensa dei vini d’Oltrepò? Saranno in carta? «Di quello si occupa il nostro sommelier, ma posso dire che tra gli oltre 300 vini disponibili molti sono locali. La qualità esiste anche qui, basta cercarla». di Christian Draghi
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BOSNASCO
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«Videosorveglianza “intelligente” contro i furti in paese» Dopo i recenti furti a Bosnasco scatta l’allarme sicurezza e il capogruppo del consiglio di minoranza, Rosemary Corinne Hillegonda Bruins, propone di fare ricorso alla tecnologia per arginare il problema. «Vorremmo sapere se è possibile controllare con telecamere le vie di accesso al paese, registrare la targa, sapere chi è entrato e chi è uscito, di giorno e di notte come si fa ad esempio nell’area C a Milano» dice l’esponente della minoranza. «Così facendo, nel momento di un furto o di una irregolarità, si potrebbe vedere chi è stato… Può essere una soluzione innovativa, si potrebbe fare un progetto pilota… per vedere se può funzionare anche a livello nazionale». Le telecamere in paese non ci sono già? «è vero, ma sono a bassa risoluzione: non registrano la targa e non fanno riconoscere un viso, quindi non sono molto utili per la sicurezza». Delle vigilanza notturna, invece, cosa ne pensa? «Avevamo pensato a una cassa comune per pagare la vigilanza privata, sempre in collaborazione con le autorità, per avere qualche controllo in più e per dare una mano alle forza già operanti… I cittadini sarebbero sicuramente più tranquilli». Consigliere sono passati cinque mesi dalla rielezione di Fabio Vercesi a sindaco. Cosa può dirci dell’attività amministrativa dopo questo avvio? «Finora non ci sono stati molti riscontri, la questione è ancora abbastanza “formale”…abbiamo fatto solo due consigli comunali…». Avete chiesto qualcosa come minoranza? «Sì, abbiamo fatto la proposta di creare dei gruppi di lavoro per aprire il dibattito e lavorare un po’ insieme. Nei paesi piccoli come il nostro si fa opposizione ma ci conosciamo tutti e sarebbe bello poter lavorare in gruppo. Abbiamo quindi proposto questa cosa per poter affrontare insieme i
palmente realizzare? «Migliorare sicuramente il parco giochi per i bimbi più piccoli, ma soprattutto creare un’area per gli adolescenti, per andare loro incontro e evitare la noia che possono subire. Un posto con wifi, magari con un’area barbecue, dove possano trovarsi, dialogare, stare insieme e fare qualcosa insieme, senza ovviamente mettere in pericolo la comunità. E poi ancora, pensiamo alla terza età: ci piacerebbe che venisse realizzato un “circuito” per loro, dove possano passeggiare e fare movimento fisico, magari introducendo delle strutture in legno dove fare ginnastica, con le relative spiegazioni. Una cosa semplice, adatta al nostro piccolo comune, che però può migliorare la qualità di vita dei nostri anziani». di Elisa Ajelli
Rosemary Corinne Hillegonda Bruins, capogruppo di minoranza
vari punti del programma, ma la proposta non è stata accettata… Ci è spiaciuto molto». Come mai secondo lei? «Non lo so…vedremo in futuro se il Sindaco vorrà più dialogo con noi». è un peccato… «Sì, perché si poteva arricchire il dibattito, potevano uscire idee nuove. Non importa chi realizza le cose, ma che si facciano… Sarebbe stato bello lavorare insieme… per
adesso non vedo cose realizzate del loro programma però devo anche ammettere che è molto presto, quindi è normale». Cosa ne pensa della fusione dei comuni, ipotesi che si era ventilata prima delle elezioni? «Noi come opposizione siamo d’accordo sulla questione se questa ci può portare più fondi per realizzare progetti per il nostro comune». Qual è il progetto che vorreste princi-
La proposta della minoranza: «Telecamere che registrano gli accessi sul modello dell’area C a Milano»
MONTù BECCARIA
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«Sto creando dei vigneti che serviranno a fornire le basi per produrre spumante» Il lavoro manuale, la gestione consapevole del territorio e la tutela dell’ambiente sono alla base di un’agricoltura responsabile che rispetti la salute dei consumatori, un’agricoltura che parta dal rapporto uomo - natura ricercando tecniche tradizionali o innovative che siano il meno invasive possibili per arrivare a ripristinare gli equilibri, un’agricoltura da sostenere finché non diventi la norma per tutti. è questo in sintesi il progetto di un giovane agricoltore oltrepadano, Augusto Andi, classe 1998, che ha deciso di gestire la sua azienda agricola a Montù Beccaria, in frazione Moriano. Augusto, quando è nata la sua passione per l’agricoltura? «Ho avuto la passione per il lavoro dell’agricoltore da sempre perché sono nato qui in campagna, in una famiglia di agricoltori e fin da bambino ho sempre partecipato all’attività dell’azienda che era di mio nonno ed è stata avviata ai primi del novecento. Era la classica azienda dell’Oltrepò ad indirizzo misto, poi, agli inizi degli anni ’70 con mio padre, è diventata ad indirizzo prevalentemente vitivinicolo. Ho frequentato l’Istituto Tecnico Agrario “Carlo Gallini” di Voghera, mi sono diplomato all’indirizzo Vitivinicolo e nel 2017 c’è stato il passaggio della gestione da mio padre a me». La sua è un’azienda vitivinicola non tradizionale, ci vuole spiegare di che cosa si tratta? «La mia azienda, di circa otto ettari è coltivata per la maggior parte a vigneto e poi per il resto a seminativo e frutteto per creare la biodiversità. Da circa un ventennio è biodinamica, cioè un’evoluzione dell’agricoltura biologica, che, pur essendo rispettosa dell’ambiente, permette l’uso di alcune sostanze che si trovano in natura come lo zolfo e il rame ma che la biodinamica cerca di non usare.
Augusto Andi ra organica e l’utilizzo dei microorganismi facciamo una lotta ai parassiti del vigneto, e non usando da anni insetticidi, siamo riusciti ad avere un equilibrio ottimale». Che tipo di vitigni coltivate? «Oltre agli autoctoni storici, abbiamo come esclusiva lo storico vitigno moradella che coltiviamo in campo sperimentale ed ora stiamo impiantando dei nuovi vigneti con delle nuove varietà che stiamo selezionando per la produzione di vini spumanti. Mio padre si è sempre dedicato a vitigni storici come vespolina, uva della cascina oltre alla produzione di vini rossi come croatina e barbera. Io, oltre a portare avanti la produzione dei rossi mi sono dedicato a questa nuova esperienza della spumantizzazione. Sono sempre stato appassionato di spumanti e sto creando dei vigneti che serviranno a fornire le basi per produrre spumante». Quali tipi di uve sta usando per i suoi esperimenti di spumantizzazione? «Nell’annata 2017 ho usato la barbera ed è stata miscelata con il pinot per avere un
«Il metodo che sto sperimentando non è né uno charmat né un metodo classico, è un metodo innovativo» Infatti abbiamo dei prodotti che hanno addirittura un’efficacia maggiore sulle piante e da qualche anno stiamo sperimentando l’agricoltura organica che si basa prevalentemente sull’utilizzo di microorganismi. Attraverso la biodinamica abbiamo fatto un percorso di anni per ottenere un ambiente naturale adatto e ora con l’agricoltu-
quantitativo che ci permettesse di fare una prova. Ora sto selezionando in campo sperimentale dei nuovi vitigni non autoctoni ma molto particolari per la produzione di spumante. Il vitigno barbera a mio avviso si presta poiché il pinot nero nella nostra zona non ha più quelle caratteristiche di acidità e freschezza che può avere in altre
zone più vocate , sia per il cambiamento climatico, sia per le annate sempre più siccitose». Quindi il suo spumante sarà prodotto con il metodo classico? «Il metodo che sto sperimentando non è né uno charmat né un metodo classico, è un metodo innovativo che sto mettendo a punto che mi permette di fare la completa vinificazione in bottiglia. Il vino viene imbottigliato quando è ancora mosto, fa una prima fermentazione in bottiglia, poi viene sboccato e fa la rifermentazione nella stessa bottiglia senza aggiunte di nulla. Abbiamo uno spumante “corto” con 9 mesi di lavorazione il cui obiettivo enologico è quello di esaltare al massimo le caratteristiche di freschezza e uno spumante con 36 mesi di lavorazione con una base molto più importante e strutturata sempre con caratteristiche di freschezza ma con dei sentori più fini dovuti all’invecchiamento sui lieviti. Utilizzo sempre il remuage come nel metodo classico ma più frequentemente perché si hanno molti più sedimenti in bottiglia. A novembre qui nelle sale dell’agriturismo dell’ azienda presenterò due spumanti con annata 2016 che ho chiamato “Giubilo”». Diventando titolare di azienda agricola così giovane quali problematiche le ha creato? «Devo dire innanzitutto che mi ha dato molte soddisfazioni perché mi sento realizzato e più partecipe nell’azienda anche se ci ho sempre lavorato ma con meno responsabilità. Si incontrano anche molti problemi dovuti alla gestione e alla burocrazia. Devo dire che la scuola che ho frequentato è stata molto importante per capire le problematiche del mio lavoro e mi ha dato delle competenze teoriche fondamentali». Ha partecipato a progetti di finanziamento per giovani agricoltori? «Sì, ho partecipato a bandi per mettere l’azienda in condizione di essere all’avanguardia con le strutture per la produzione.
Nel 2007 mio padre ha smantellato una cantina che era ipertecnologica con acciai e resine e l’abbiamo rifatta si può dire con la stessa tecnologia ma in legno perché per la produzione dei nostri vini questo materiale ci aiuta molto. Abbiamo vasche di fermentazione e botti di rovere studiate nella progettazione e nella scelta dei legni per il miglior contatto tra legno e vino. Ogni vino ha la sua botte adatta e questo ci permette di dare una continuità organica tra natura e prodotto finale». Quante bottiglie produce l’azienda? «Produciamo circa 30.000 bottiglie che vendiamo sul territorio e da qualche anno anche all’estero, in particolare in Svizzera, Polonia e paesi nordici in generale». Come è riuscito a far conoscere un prodotto per così dire “di nicchia” all’estero? «Producendo dei prodotti così particolari siamo stati da subito interessanti per il mercato estero che è molto attento alle produzioni artigianali. Abbiamo presentato i nostri vini in alcune fiere di settore fuori dall’Oltrepò e anche all’estero e abbiamo avuto un buon riscontro. I nostri migliori vini rossi sono invecchiati in botti di rovere a botte scolma sui sedimenti, senza travaso. Per alcuni vini facciamo lunghe macerazioni sulle bucce (da uno a tre anni) e quindi il risultato finale è un prodotto molto equilibrato che va in bottiglia senza chiarifiche né filtrazioni. Un vino molto curato e pregiato che viene apprezzato dal cliente intenditore. In Oltrepò a mio avviso ci sono molte piccole e medie aziende che lavorano bene e producono grandi vini e la ricerca dell’unicità ,del prodotto di gran livello potrebbe essere il mezzo per far conoscere il nostro territorio». Lei è un giovane imprenditore che, a differenza di altri, ha creduto nel territorio ed ha portato innovazione nella sua azienda lavorando con grande passione. è soddisfatto del lavoro fin qui svolto e quali altri progetti ha per il futuro? «Sono molto soddisfatto del mio lavoro che svolgo con passione e sacrificio. I progetti sono molti ma bisogna fare una scelta in base alle possibilità che si hanno per realizzarli. Proseguirò con il mio progetto sulla spumantizzazione. I vitigni che abbiamo messo a dimora senza fare più come una volta lo scasso dei terreni e dando sempre un tempo di rotazione che va dai tre ai cinque anni con grande rispetto per l’ambiente, inizieranno sicuramente in cinque anni a dare una produzione di uve particolari che ci permetteranno di migliorare sempre di più la nostra qualità». di Gabriella Draghi
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CANNETO PAVESE
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«Il mio vino non è convenzionale perché io non sono una persona convenzionale» Per meglio comprendere quanto segue dovete allontanarvi dalla consueta concezione di vigna, una e vino. Il bicchiere è un mero contenitore, il vino non un semplice nettare inebriante, ma un concetto liquido che racchiude straripanti immagini profumate che esplodono al contatto con il palato. Le ombre, in Oltrepò, che si allungano e avvolgono le storie di vino in un manto oscuro, le conosciamo bene. Questa invece è una storia di luce, di Riluce: il luccichio negli occhi dell’Alchimista che ambisce alla trasmutazione del grappolo, lo specchio della sua anima, in oro. Per Mercandelli l’oro non è nient’altro che il vino, ciò che scaturisce dalla cura e dalla sinergia che solo Giorgio riesce a instaurare con la natura che lo circonda, usando se stesso come cassa di risonanza. Solo 5 ettari di terreno vitato e poche migliaia bottiglie, se l’annata è proficua, non si scende a compromessi. Il compromesso distruggerebbe l’unicità dei vini e dei prodotti di Agrispazio che scaturiscono dall’attenzione prestata a sole, terra e uomo.Tutto ciò a Canneto Pavese. Qual è la storia di Giorgio Mercandelli? «Una storia che nasce dalle difficoltà di essermi spesso sentito un problema per la famiglia. Fin da bambino non capivo il motivo per cui vivevo e questa domanda si è trasformata nel tempo in una profonda curiosità verso ogni cosa del mondo. Un mondo che ho scoperto a partire da una famiglia dove il vino era il motivo per tutto, per parlare, guadagnare, ridere e pregare, ed io mi incantavo a vedere la gente che quando beveva si trasformava, il vino per era magico. Dopo la morte di mio padre Giovanni ho sviluppato una sensibilità verso la natura con la quale oggi realizzo un vino che riflette il mio rapporto col mondo: un vino che non ha il sapore dell’uva, che fermenta e muore perché è mortale, ma della sua memoria, che fermenta e vive perché è eterna. Un vino che non ha il gusto della varietà e del territorio ma dell’esperienza che la pianta fissa nei frutti come un ricordo del suo rapporto col mondo. Il mio scopo è di trasferire nel bicchiere questa realtà, come l’esperienza più importante da lasciare alle persone di ciò che definisco: la “meraviglia del gusto”». Mercandelli è il nome di una famiglia legata al vino per tradizione. Lei si sente portatore di un’eredità spirituale? «No, perché la mia natura di produttore nasce da un bisogno assolutamente personale che non appartiene se non per un certo periodo di esperienza vissuta con mio padre, un uomo geniale per il quale riservo profonda stima e rispetto. Ma la mia visione del vino non appartiene
Giorgio Mercandelli con la moglie Sonia in cantina
a ciò che ho vissuto nell’azienda di famiglia perché nasce da una rivoluzione della mia stessa vita di uomo dalla quale ho sviluppato uno stile vitivinicolo del tutto personale». Perché la sua scelta di produrre vini non convenzionali? «Perché il mio modo di vedere il vino esprime totalmente chi sono e non ha nessun altro modello. Il mio vino non è convenzionale perché io non sono una persona convenzionale, non sono come gli altri, né migliore, né peggiore e nel rispetto che ho per il mondo riconosco che siamo tutti diversi pur avendo la stessa origine. Quello che ora amo della vita è esprimermi per questa diversità». Che differenza c’è tra i vini tradizionali e quelli che lei propone? «Una visione diversa della natura e del mondo che appartiene a un’espressione artistica del vino che riflette la personalità del produttore più che la varietà e il territorio, per i quali nutro comunque un profondo rispetto. Per me il vino è una pura espressione di gesti, pensieri e sentimenti che apparten-
«Produco vini universali, che superano il concetto di varietà e di territorio per esprimere nel gusto l’origine che unisce l’uomo alla natura, quella che definisco “la memoria liquida della pianta”» gono al senso più alto del terroir: la sensibilità dell’uomo. Un uomo che riconquista il suo ruolo di artefice, in cantina e nel vigneto, che restituisce al vino un valore di creativa artigianalità». Quali tipologie produce e perché le ha scelte?
«Produco vini universali, che superano il concetto di varietà e di territorio per esprimere nel gusto l’origine che unisce l’uomo alla natura, quella che definisco “la memoria liquida della pianta”, cioè tutto ciò che la pianta ha vissuto come un’esperienza che ogni anno cristallizza nei frutti. Esattamente come ogni creatura il frutto
CANNETO PAVESE è una memoria vivente che trasformo in vino per riportarla in vita con l’armonia del gusto. Un vino universale, perché appartiene al mondo, ma che si riflette diversamente in ognuno di noi perché siamo tutti diversi». Qual è il mercato dei suoi vini? «Inizialmente quello estero, ma da circa 3 anni, da quando ci siamo trasferiti a Canneto Pavese, abbiamo voluto realizzare una realtà per incontrare le persone e per raccontare la nostra storia a partire da questo magnifico territorio. Un territorio indispensabile per esprimere le nostre idee ed il nostro modo di pensare al vino e a tutte le cose che realizziamo in armonia con la natura, come il pane, le verdure e i cibi che produciamo dall’orto e dal bosco per portare alla luce il valore di questa straordinaria biodiversità». Come rispondono al suo messaggio i consumatori abituati ai vini convenzionali? «Ritengo senza alcun dubbio che, proprio perché siamo tutti consapevoli delle qualità del territorio, la vera qualità stia negli uomini. Più che emancipare i territori e le varietà, la cosa più bella sarebbe che i produttori potessero diventare strumenti viventi di questi territori, fenomeni creativi che esprimano la reale potenzialità del territorio, che diventerà importante solo quando diventeranno importanti gli uomini che lo popolano». Siete l’unica cantina alchemica al mondo? «Siamo stati la prima cantina alchemica al mondo. Ma non siamo gli unici, perchè offriamo l’opportunità ad altre aziende di trasformare alchemicamente le loro uve. Sviluppiamo anche un’attività di informazione vitivinicola per condividere questa nostra visione agricola. Quello che pensiamo è che il vino sia un’espressione di ciò che la pianta, e quindi la natura, riesce ad esprimere come un ricordo della propria esperienza nel mondo che diventando vino offre la possibilità di rivivere quest’esperienza con il piacere di un gusto che sviluppa le facoltà umane perché ci collega alle nostre stesse origini». Mi parli della scelta “minimalista” delle vostre etichette, ad esempio l’etichetta del vostro vino rosso Riserva 2006 è una lettera M, O oppure I e A per il 2007… «Nasce da un rapporto di tipo quantistico con la realtà, noi pensiamo che tutto quello che riguarda la nostra sensibilità si esprime totalmente quando non abbiamo pregiudizi. Le etichette sviluppano dei concetti legati alla sinestesia del gusto, dove ogni persona interpreta in modo personale tutto ciò che percepisce come un’espressione della propria unicità. La stessa unicità con cui viviamo il nostro rapporto con il mondo». Come mai ha scelto di essere così innovativo e controcorrente in Oltrepò Pavese, dove spesso i modelli sono ultra convenzionali? «È stata la cosa più naturale, per raccontare tutto quello che sentivo e tutto quello che colgo anche dalla grande qualità umana che appartiene a tanti produttori dell’Oltrepò, con l’augurio che ci saranno
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Giorgio Mercandelli nel vigneto
sempre più uomini ad esprimere i valori che porteranno il nostro territorio ad avere quel quid che l’Oltrepò è sempre stato in grado di raggiungere. Sono convinto che il territorio, la varietà e i rapporti che si ascrivono ad un concetto di terroir piuttosto ottocentesco, si potranno sviluppare attraverso la creatività e la personalità che ogni produttore è in grado di esprimere». Lei punta molto sul racconto della sua identità e di quella della terra da cui nascono i suoi vini. Il mercato ha più biso-
gno di vino o di emozioni? «Di emozioni e di uomini». In questi ultimi anni si parla molto di certificazioni volontarie: dai vini biologici ai vini vegani. Chi certifica i suoi vini? Che valore hanno queste certificazioni secondo lei? «Bios, un organismo di controllo biologico che ci certifica nel nostro personale rapporto con la natura che però non pubblicizziamo in etichetta ». Lei si definisce un vignaiolo, un arista o un filosofo?
«Queste tensioni appartengono ad un fenomeno che si può considerare in ultima analisi positivo, se quello che accadrà sarà un riassetto coerente a ciò che la nostra realtà produttiva ha bisogno di esprimere per armonizzarsi alle esigenze dei suoi estimatori, presenti e futuri».
«Nessuno dei tre, preferirei definirmi un uomo che va alla ricerca di se stesso attraverso il vino». Quali sono i suoi progetti per il futuro? «Stiamo realizzando in questa struttura un’attività che si chiamerà Agrispazio. Un luogo in cui sarà presto possibile degustare i nostri prodotti oltre che per condividere idee e esperienze di ciò che ognuno di noi sta sviluppando in questa casa come un modo personale di esprimersi attraverso la natura» Consorzio Tutela vini d’Oltrepò. Che idea si è fatto delle ultime bagarre? «Ritengo che proprio perché in natura non esistono ingiustizie le persone che cercano un rapporto armonioso con la natura non hanno contrasti col mondo. Sono certo che nella libertà delle scelte che ogni azienda può fare verso il proprio destino produttivo il Consorzio, nella sua prossima evoluzione, sarà in grado di accogliere le esigenze di chi vorrà realmente emancipare il valore del nostro territorio. Queste tensioni appartengono ad un fenomeno che si può considerare in ultima analisi positivo, se quello che accadrà sarà un riassetto coerente a ciò che la nostra realtà produttiva a bisogno di esprimere per armonizzarsi alle esigenze dei suoi estimatori, presenti e futuri. Parlo di estimatori e non di consumatori, per non utilizzare un termine che a mio parere non è una definizione coerente di chi ama il vino e a chi lo considera come un elemento importante per il proprio sviluppo». di Silvia Colombini
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SANTA MARIA DELLA VERSA
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Enrico Maini, un self made man dell’Oltrepò Enrico Maini, 64 anni, è un esempio di imprenditoria pavese di successo. Un vero “self made man” di straordinario valore, creando un gruppo enologico di interesse internazionale partendo da zero. Oggi le società di Maini sono presenti in tutti i paesi del Mondo dove si coltiva l’uva e si produce vino. Il suo impegno va oltre l’imprenditoria. Per due mandati, dal 1995, è stato Consigliere Provinciale, di cui uno ricoprendo la presidenza della Commissione Agricoltura. Dal 1999 Consigliere comunale a Santa Maria della Versa per un mandato, ed oggi Consigliere di Confindustria Pavia e Presidente dei Consiglio dei Probiviri. Nel dicembre 2016 la Camera di Commercio di Pavia gli ha conferito il premio “Una vita per…” come riconoscimento alla sua carriera imprenditoriale. Maini, come è iniziata la sua attività imprenditoriale? «Ho iniziato nel 1974 fondando la Italvibro, una delle prime aziende a fabbricare pali di cemento con anima in ferro. L’azienda inizia a svilupparsi velocemente, affermandosi come leader nel settore ed esportando in Svizzera. Pochi anni più tardi costituisco il Centro Enologico Valle Versa, per servire l’industria del vino che sta cambiando completamente volto. Nel 1992, con mio fratello Michele, fondo Tecnofood Italia, sempre con sede a Santa Maria della Versa, destinata alla creazione di prodotti enologici più performanti che verranno distribuiti in tutto il Mondo. Nel 2006 fondiamo la Bienol a San Cipriano Po, quasi in riva al Po, destinata alla ricerca e alla produzione di biotecnologie per l’industria alimentare». Lei, che ha ricoperto anche incarichi politici di rilievo, come vede l’attuale situazione oltrepadana? «La vedo abbastanza fosca, vedo più ombre che luci in questo periodo. Per quanto riguarda la situazione vinicola bisognerebbe cambiare un po’ di cose, ma il discorso è molto lungo e complesso. Non riguarda tanto la “politica di partito”, ma le “politiche” dei vari attori della filiera vitivinicola, che dovrebbero essere più coesi e condividere gli stessi obbiettivi. Cosa che mi pare non si riesca ad ottenere». Dov’è mancata la politica in questi anni? «Negli ultimi anni non frequento più attivamente la politica. Indipendentemente dal colore, la politica dovrebbe prendere l’impegno di trovare le risorse per investire in infrastrutture, perché stiamo finendo in una situazione di inciviltà». In Valversa, invece, cos’è mancato in livello imprenditoriale? «Il problema in Valversa è molto più ampio che a livello imprenditoriale. Innanzitutto manca la recettività. Quando arri-
Enrico Maini, imprenditore ed ex consigliere provinciale
vano le delegazioni estere non si sa dove mandarle. Poi ci sono problematiche non specifiche alla Valversa, ma a livello provinciale: noi imprenditori triboliamo parecchio perché c’è poco coordinamento tra i vari uffici e troviamo difficoltà per tutto quello che riguarda la burocrazia». Nella sua azienda assume solo persone o ragazzi della vallata. Perchè? «Sì, ho fatto questa scelta perché assumo solo personale giovane al primo lavoro. Hanno tutti più o meno l’età delle mie figlie, tra i 30 e i 40 anni, e hanno iniziato tutti dall’apprendistato. Come si dice… “Se vuoi sposare la figlia prima guarda la madre… che dopo diventano tutte e due uguali”, questo per dire che conosco le famiglie di provenienza perché sono tutte della zona e quindi conosco già chi vado ad assumere. Sono ragazzi che crescono condividendo le nostre idee e i nostri obbiettivi. Tra le due società abbiamo 24 dipendenti fissi più altri 5-6 stagionali nei periodi più intensi. Il numero di dipendenti è direttamente proporzionale alla crescita delle aziende, ma la cosa interessante è vedere impiegate nel gruppo intere famiglie».
Ha mai avuto la tentazione di trasferirsi in un centro più strategico? Cosa la spinge a resistere? «Non ho mai avuto la necessità di dislocare l’azienda. Anzi, dopo l’espansione avventura pochi anni fa, abbiamo comprato ancora 15000m di terreno qui accanto. La nostra azienda è un fiore all’occhiello a livello Provinciale. Quest’anno dovremmo arrivare a quasi 20mln di euro di fatturato, con un 60% di export e con un rating di assoluto rispetto che solo poche aziende possono fregiarsi. La Bienol, invece, l’abbiamo collocata a San Cipriano per una questione più strategica. è un’azienda tutta 4.0, interamente dedicata alla produzione di sintesi, dove noi trasformiamo materie prime in prodotti finiti. Ora la stiamo ampliando, costruendo un altro capannone di 1500m. In totale arriverà a 4000m». Pensa che ci siano possibilità per l’Oltrepò di riprendersi? «Sicuramente. Io come imprenditore sono ottimista per antonomasia, quindi sono ottimista anche sul futuro dell’Oltrepò» di Manuele Riccardi
«Quest’anno dovremmo arrivare a quasi 20mln di euro di fatturato, con un 60% di export e con un rating di assoluto rispetto che solo poche aziende possono fregiarsi»
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Fondazione Cariplo: 20 mila euro per la “Biblioteca della Biodiversità”
Testi che trattano di orticoltura, di allevamento, di apicoltura e ancora scritti sugli alberi da frutto e sulla vite, saggi, testi tecnici e di narrativa sul tema dell’ecologia e della biodiversità. Nasce così la “Biblioteca della Biodiversità” una raccolta di oltre 300 libri divisi per genere e per età, che hanno lo scopo di ampliare la conoscenza riguardo alla tematica della Biodiversità, applicando la cultura ecologica alla vita quotidiana. I libri sono stati vagliati da un gruppo di lavoro, composto da docenti e altre figure che hanno dato il loro contributo. I volumi sono disponibili nelle Biblioteche di Voghera, Varzi e Santa Maria della Versa, e la loro reperibilità nelle frazioni è garantita grazie al servizio Bibliobus. Paolo Paoletti Direttore della Biblioteca Civica Ricottiana di Voghera, capofila del Sistema Bibliotecario oltrepadano, spiega come è nato e come si è sviluppato il progetto. Paoletti, cosa significa “Biblioteca della Biodiversità “? «L’idea di questa biblioteca, intesa come insieme di libri, è nata con il progetto eleborato dalla Fondazione per lo sviluppo dell’Oltrepò Pavese, “Oltrepo(Bio)diverso, la natura che accoglie”. Inizialmente eravamo partiti pensando a pubblicazioni di tipo tecnico. Successivamente, guardando le caratteristiche del progetto, abbiamo pensato a una visione a 360°, intesa in questi termini: se in un contesto naturale abbiamo essere animati (umani, animali e vegetali) che convivono, già questa esistenza è una condizione di Biodiversità. L’obiettivo era una maggiore conoscenza della realtà. Questo discorso non poteva essere fatto con dei libri tecnici, rivolti esclusivamente a un pubblico specializzato. Così, da una parte abbiamo ampliato il pubblico potenziale, partendo dai bambini dai 4 anni in su, in un elenco ordinato per età, atto a favorire l’utilizzo nell’ambito della didattica, fino ad arrivare agli adulti; dall’altra, abbiamo allargato la tipologia dei libri, dividendoli per generi. Per cui partiamo dalla narrativa per bambini e ragazzi, e arriviamo ai testi specialistici (che possono riguardare la viticoltura, l’allevamento, gli impianti agricoli, la potatura) trattando anche tematiche sociologiche, filosofiche, sul senso del rapporto con la natura, l’etica dei rapporti ambientali; ad esempio, L’Enciclica del Papa è un trattato religioso-filosofico sull’Ecologia». Cosa la differenzia da una “normale” biblioteca? «La differenza con una normale biblioteca non c’è, nel senso che è una biblioteca tematica molto larga, aperta agli appassionati di questo genere. Lo scopo della collezione è quello di
Paolo Paoletti, direttore della Biblioteca Civica Ricottiana
provocare una riflessione su questo tipo di temi, vedere ciò che è già stato fatto e che potrebbe essere realizzato nel nostro territorio, dando degli strumenti di conoscenza volti all’approfondimento, perchè si parla in maniera abbastanza superficiale di certi argomenti». Attraverso l’istituzione di questa biblioteca si intende promuovere e “insegnare” la cultura ecologica nella quotidianità. Con quali criteri sono stati scelti i libri da inserire in questa nuova sezione? «Il criterio di scelta è legato all’attinenza al progetto generale, quindi chiaramente ci sono decine di titoli che trattano in modo più o meno specifico, secondo vari punti di vista, il tema della Biodiversità. Ad esempio, abbiamo alcuni volumi dedicati al lupo, in quanto specie ricomparsa nelle nostre zone, parte dell’ecosistema e con una funzione di controllo su altri ani-
mali selvatici che possono creare problemi, come il cinghiale». La Biblioteca della Biodiversità fa parte del progetto promosso dalla Fondazione Sviluppo dell’Oltrepò Pavese, “Oltrepò(Bio)diverso, la natura che accoglie”. Quanto è costato l’intero progetto e quanto tempo si è reso necessario per la sua realizzazione? «Il progetto è stato finanziato dalla Fondazione Cariplo e il budget impiegato si aggira intorno a 20.000 Euro, cifra che è stata utilizzata per acquistare i libri facenti parte della sezione. Una parte del denaro sarà utilizzata per iniziative promozionali e di conoscenza della struttura». Quante persone attualmente sono impegnate nel progetto? «Io sono il Direttore del Sistema Bibliotecario, ho coordinato un po’ tutto. Le persone impegnate nel progetto sono diverse e a vario titolo. Ci sono i docenti
delle scuole, con competenze diverse, che hanno dato dei suggerimenti; i conducenti dei Bibliobus, la Direttrice del Museo di Scienze Naturali... persone che avevano titoli ed esperienza per dare indicazioni. La caratteristica della Biblioteca della Biodiversità è quella di avere delle pubblicazioni effettivamente disponibili sul mercato librario, acquistate nell’ultimo anno». In quali biblioteche sono disponibili i libri? Solo consultazione o anche prestito? «I libri sono disponibili, oltre alla Biblioteca Civica di Voghera, presso le strutture di Varzi e Santa Maria della Versa, le due biblioteche di centro valle individuate in questo progetto, sede degli istituti comprensivi che coprono l’area dell’Oltrepò Pavese. Inoltre, si possono trovare anche sui 2 Bibliobus, in Valle Staffora e in Val Versa.
ARTE E CULTURA Ovviamente non sono tutti disponibili contemporaneamente su un mezzo, perchè un furgone ha dimensioni limitate. Sono però assolutamente richiedibili. Bibliobus ha il compito di far da tramite per il recupero delle varie richieste, portando nelle frazioni i libri che non sono reperibili. Vi è quindi totale disponibilità al prestito e alla consultazione». è disponibile una banca dati online? «Sì, sul sito del Sistema Bibliotecario dell’Oltrepò, sul catalogo Unico Pavese, cercandoVoghera Bibliobus e i libri disponibili. Non è però presente un elenco dei volumi, che è consultabile sul sito di OltrepoBiodiverso, dove è arricchito da una piccola presentazione per ogni testo con un aggiornamento ogni 15/20 giorni, perchè tanti testi sono in ristampa». Avete avuto già un riscontro di pubblico? «Sì, il progetto è partito quest’estate, quindi siamo ancora a un livello iniziale. Per quanto riguarda gli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, stiamo avendo un riscontro notevole, anche da parte degli insegnanti». Lei è il direttore della Biblioteca Ricottiana di Voghera. Chi almeno una volta, fino un decennio fa, non è stato in biblioteca per studiare, consultare o anche solo per “respirare” odore di libri… Quanto è cambiato il pubblico della biblioteca vogherese con l’avvento di internet? «Diciamo che il pubblico medio/adulto
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non è cambiato, sono cambiati i ritmi lavorativi che impone la vita moderna. Un cambiamento, purtroppo negativo, c’è stato per i ragazzi, che tendono a leggere meno e a utilizzare di più lo smartphone. Abbiamo pensato alla creazione di un ebook, ma è un progetto molto costoso. La nostra scelta è di investire su un progetto tradizionale, promuovendo il settore librario». è ancora uso e costume studiare in biblioteca? «Sì, tantissimo... con la differenza, rispetto al passato, che gli studenti vengono a studiare con il pc, utilizzando il collegamento wifi gratuito. Questo è il senso dello svecchiamento della biblioteca: non più solo un deposito di libri, ma uno spazio in cui si studia tramite dei supporti (cartacei, multimediali), interagendo con la rete». Quali sono i servizi che oggi la biblioteca per “svecchiarsi” rende ai fruitori? «Lo svecchiamento è stato fatto in coerenza con le richieste degli utilizzatori. Una biblioteca pubblica non nasce per se stessa, come può essere quella universitaria, ma per fornire un servizio agli utenti del territorio. Se questi hanno conservato l’abitudine al testo tradizionale cartaceo, è giusto che si segua questa tendenza. Il libro elettronico arriverà a conquistare una certa fascia, ma non oltre; non eliminerà il libro cartaceo, perchè questo porta a un approccio sensoriale, e la lettura del libro aiuta la memorizzazione. L’e-book ha il vantaggio di essere fruibile ovunque,
anche se a mio parere può essere riservato solo a certe tipologie testuali, come il romanzo. Il libro cartaceo costringe l’utente a relazionarsi con un tipo di interattività intellettuale, ed è questo che fa la differenza». Il servizio Bibliobus è attivo; in che modo “lavora” sul territorio? «Bibliobus è nato nell’800, in Inghilterra, con la carrozza a cavalli... noi abbiamo iniziato con un piccolo furgone, con all’interno degli scaffali con i libri. Ci troviamo ad operare su un territorio con tante piccole biblioteche, che restano aperte grazie ai volontari. Inoltre, nella zona collinare, vi sono tante Frazioni molto popolate d’estate, ma la gente non sempre ha la possibilità di scendere a valle. Prendiamo l’esempio di Varzi e della Frazione di Pietragavina... Bibliobus è nato con l’idea di fermarsi in queste frazioni e portare il proprio servizio, mettendo a disposizione un migliaio di volumi. Nel caso in cui il libro non fosse immediatamente disponibile, è possibile prenotarlo per il “giro” successivo. Questo è ciò che viene fatto nella stagione estiva, per i Comuni che aderiscono al Sistema Bibliotecario dell’Oltrepò. La primavera e l’autunno sono dedicati alle scuole (materne, elementari e medie inferiori), nel periodo che va da Ottobre a metà Novembre, e da Pasqua alla fine dell’anno scolastico. Il servizio è sospeso durante l’inverno, per via delle condizioni atmosferiche; in questo periodo continua il lavoro di riordino
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e catalogazione dei testi. Abbiamo in programma un piccolo progetto, avviato con il contributo di Regione Lombardia, con il quale vogliamo realizzare degli eventi culturali destinati ad un pubblico in età prescolare e scolare». di Federica Croce
«I libri sono disponibili, oltre alla Biblioteca Civica di Voghera, presso le strutture di Varzi e Santa Maria della Versa»
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«Le sette mostre esposte nel piano nobile sono state visitate da oltre 2.000 persone»
Il Presidente Arnaldo Calanca e i componenti del direttivo di Spazo 53
Da sempre la natura è fonte di ispirazione per gli appassionati di fotografia. Vivere in un territorio come il nostro è quindi una vera gioia per chi ama fissare con le moderne reflex o con le antiche macchine fotografiche a pozzetto, i colori intensi dell’autunno, i riflessi abbaglianti della neve e del ghiaccio, i colori tenui delle fioriture primaverili o quelli dominati dal giallo dei mesi più caldi. La fotografia non è però solo passione. è definitivamente considerata arte e, come tale, deve essere rispettata e proposta ad un pubblico sempre più vasto. Voghera ha dato i natali ad artisti famosi e, nel campo della fotografia, il più celebre è lo Studio Cicala (1863-1944): sue le immagini storiche della città più belle e note (http://www.lombardiabeniculturali.it/fotografie/immagini-fondi/FONLMD30-0000002/). Oggi la passione e l’arte fotografica è magistralmente gestita da un sodalizio molto conosciuto in tutto il territorio nazionale. Parliamo di Spazio53.
Nel 2011 Arnaldo Calanca, Guido Colla, Renzo Basora, Massimo Sartirana, Pierpaolo Cigagna e, di recente, Anna Zanini hanno dato vita a questa associazione no profit, che loro definiscono “un luogo d’incontro e interscambio tra gli appassionati e professionisti dell’immagine”. Arnaldo Calanca ne è il Presidente. Calanca qual è la mission di Spazio53 e quali sono le sue funzioni all’interno del direttivo? «La mia funzione di base riguarda la rappresentanza legale dell’associazione di fronte ai terzi e dirigere e curare le scelte del Consiglio Direttivo; inoltre mi occupo dei rapporti con i tanti importanti fotografi, conosciuti durante la mia pluriennale attività nel settore fotografico, per coinvolgerli ad esporre le loro fotografie a Voghera nella nostra Galleria in Piazza Duomo 53, compito delicato ma gratificante per la qualità delle proposizioni finora avvenute. La nostra mission è basata su pochi ma
importanti elementi a favore della divulgazione dell’imaging e delle arti visive: Spazio 53 è infatti un’area aperta per sviluppare e sostenere la conoscenza dell’immagine ospitando mostre di autori famosi e giovani che lavorano con la fotografia e, in contemporanea, desidera vedere i visitatori e i fruitori dello spazio i veri protagonisti attivi degli eventi promossi». Lei ha fortemente voluto questo progetto, che ha portato in città e nell’Oltrepò alcuni fotografi conosciuti a livello internazionale e, come nel caso di Guido Bissattini, campioni del Mondo. Cosa significa per la città organizzare mostre fotografiche e quante ne avete fino ad oggi allestite? «Organizzare una mostra fotografica non è solo appendere le foto di una mostra alle pareti della galleria ma selezionarle e alternarle secondo la tematica programmata, scegliere l’autore che porti immagini di qualità, promuovere adeguatamente la mostra per coinvolgere, con mailing mi-
rati e pubblicazioni sui social, in primis la cittadinanza vogherese e il maggior numero di appassionati di fotografia delle zone limitrofe che in questi anni hanno risposto con entusiasmo e presenza a tutte le nostre esposizioni. Spazio 53 nei sette anni di attività ha organizzato oltre 80 mostre esposte nella galleria, nella Sala Luisa Pagano e nel Castello Visconteo». Si è appena concluso uno degli eventi più impegnativi per voi: Voghera Fotografia. Com’è andata? «Direi molto bene. Le sette mostre esposte nel piano nobile sono state visitate da oltre 2.000 persone; inoltre nella restante area del Castello si sono avvicendati ben 26 eventi con conferenze, incontri, workshop, letture portfolio, presentazioni, visite guidate e video-proiezioni con una nutrita e costante partecipazione di utenti e spettatori; mentre nelle vie della città e del territorio circostante altre piacevoli iniziative hanno coinvolto direttamente un vasto pubblico di amatori, cittadini e per-
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nomici. Quali e quanti siete riusciti ad ottenere da finanziamenti? «Purtroppo è sempre più difficile reperire gli indispensabili supporti economici necessari per generare ogni qualsivoglia attività. Data la crisi economica generalizzata - molto sentita nella nostra zona - gli investimenti nell’area culturale si affievoliscono sempre di più ed è maggiormente problematico accedere ai finanziamenti delle Amministrazioni, degli Enti e delle Fondazioni; rimangono le sole, poche, risorse reperite tra gli sponsor locali, i corsi gestiti direttamente da noi e, non ultimi, gli autofinanziamenti societari». Grazie per averci trasmesso tanta passione per avermi permesso, ancora una volta, di scrivere #oltrepochefunziona. di Gianni Maccagni
«Incontro Nazionale Voghera Fotografia” ha centrato lo scopo che ci eravamo prefissati, cioè esportare la visibilità di Voghera e del suo territorio»
Galleria Spazio 53
sino i bambini. Questa prima edizione di “Incontro Nazionale Voghera Fotografia” ha centrato lo scopo che ci eravamo prefissati, cioè esportare la visibilità di Voghera e del suo territorio con attività di alto livello per incrementare l’interesse turistico-culturale fuori dagli schemi e circuiti classici. La prossima seconda edizione di Voghera Fotografia ci vedrà maggiormente impegnati per migliorarci e, perché no, raccogliere ancora maggiori consensi a tutti i livelli». Qualche numero per far capire la dimensione dei progetti e delle attività. Dal 2011 a oggi quante persone hanno visitato le vostre esposizioni e quanti fotografi ne sono stati protagonisti? «Non è facile quantificare il numero dei visitatori ma con buona approssimazione credo si possano identificare in migliaia a doppia cifra con circa cento fotografi che si sono alternati nei nostri spazi espositivi». Pubblichiamo in queste pagine tre foto-
grafie che lei ci ha proposto: ci racconta cosa rappresentano per Spazio53? «Il direttivo di Spazio 53 composto dal sottoscritto, Renzo Basora, Guido Colla, Pierpaolo Cigagna, Massimo Sartirana e Anna Zanini (non presente nella foto). Queste 5 persone dalla nascita della nostra associazione hanno dato e continuano a dare il loro grande supporto affinché Spazio 53 si migliori e serva di esempio, con la sua abnegazione, a tutta la città. La nostra Galleria Spazio 53 - Questo spazio, messo a disposizione dall’amicosocio Guido Colla nel suo negozio, ci permette di svolgere tutte le attività espositive e formative. La terza foto, giovani, e non solo, partecipanti ai nostri tanti corsi e workshop – sono loro che continuiamo a seguire e sui quali investiamo tramite le nostre attività e conoscenze per attorniarci di forze nuove e interessate al mondo della fotografia». So che per organizzare queste manifestazioni servono importanti fondi eco-
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Corsisti
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Broni: «L’influenza che ho ricevuto è tangibile nella nebbia» Mauro Negri e la passione, immensa, per la fotografia. Una passione talmente grande che è sfociata più volte nella scrittura. Per raccontare, spiegare, far capire il vasto mondo che si cela dietro ad una foto. L’ultimo libro si intitola “Guida terraquea per fotografasti. La fotografia, lo zen e l’arte…di farsi i cazzi propri” e si tratta del primo libro “narrato”. Mauro, non è la sua prima esperienza in veste di scrittore. «Ho fatto altre pubblicazioni fotografiche, una sui tatuaggi e una sul Santuario della Passione di Torricella Verzate, dove c’è una parte importante a livello fotografico, perché c’è stata tutta una ricerca dietro». Il nuovo libro di cosa parla? «“Guida terracquea per fotografasti” è un trattato, un’esternazione di pensieri che ho sviluppato negli anni con la passione per la fotografia e con lo studio dello zen. Nel libro poi è contenuta anche l’arte principale, che è quella “di farsi i cazzi propri”. Non c’è nessun intento di ergersi a guru su quanto espresso, a partire dall’insegnamento dello zen: pretendere di insegnarlo agli occidentali è cosa estremamente difficile, se poi a farlo è un altro occidentale questo tentativo potrebbe risultare praticamente impossibile. In buona sostanza, quindi, questo libro è un percorso che si basa sulla passione ancestrale per la fotografia e quello che nel corso degli anni, attraverso lo studio, la ricerca, la pratica e l’esperienza, ho imparato ad affrontare e a gestire nel modo a me più funzionale». è rivolto principalmente agli addetti ai lavori? «C’è una parte tecnica “base” per chi non ha mai preso in mano una macchina fotografic. è una parte più adatta a chi si approccia alla fotografia. Il resto invece è più per tutti, per trarre spunti che possono suscitare interesse e passione su determinati argomenti». Quanto tempo ha dedicato alla stesura di questo libro? «Tanto tempo! Diversi mesi, ho fatto diverse stesure, sono andato a rileggere tante volte quello che ho scritto, mi sono messo in discussione. E’ stato un percorso anche interiore. Sono partito da una base, poi ho aggiunto cose, poi altre ancora, sono tornato sui miei passi per alcuni argomenti...». Le foto sono suoi scatti, immagino... «Sì, a parte qualcuna che riporta i quadri di Picasso o Caravaggio». La passione per la fotografia quando nasce? «In tanti raccontano la storiella “ho trovato la macchina fotografica del nonno eccetera eccetera…”. Io niente di tutto questo! Non ho trovato nessuna macchina fotografica…giocavo con le macchine fotografi-
Mauro Negri, fotografo e scrittore di Broni E nel territorio Oltrepò ha messo in moche da piccolo ma non avevo la consapestra i suoi lavori? Le nostre zone ben si volezza di quello che facevo. La fotografia prestano, paesaggisticamente parlando, nasce dalla consapevolezza di tramutare in a servizi fotografici. immagini i propri pensieri, sogni ed incu«Partiamo dal fatto che nell’Oltrepò ci bi. Tutte le emozioni insomma. Io ho semsono nato e l’influenza che ho ricevuto è pre avuto la passione per le arti figurate, tangibile nella nebbia che nasconde e rivedalla pittura tradizionale, al fumetto poi la: un lavoro breve risalente al 2008 e a cui sfociate nella fotografia per permettermi sono particolarmente affezionato è proprio di esternare tutto ciò che avevo dentro. La su questo fenomeno, al quale abbinai un fotografia non è solo rappresentare o ripoesia di Hermann Hesse chiamata per produrre il mondo, è un indagare se stessi, l’appunto “Nella Nebbia”. Cosa più imè un’interpretazione del mondo. Per dare il pegnativa è stata, invece, la realizzazione proprio punto di vista è necessario fare un della pubblicazione “Visitatio Parrocchiapercorso dentro di sé. Poi dipende se uno lis Ecclesie Torricelle”». vuole mettersi in gioco oppure no. C’è chi Perché impegnativa? fotografa solo per se stesso e c’è chi inve«Nell’aprile del 2014, in una mattina ce si mette in gioco e va oltre, si espone piovosa, seguo la strada che mi porta al alle critiche (che arrivano sempre!), che sito e riscopro un posto fantastico, mistipossono essere anche costruttive e fare co e surreale nel suo insieme. Il silenzio quindi del bene oppure fini a se stesse e è ovunque ad ogni ora del giorno, solo quindi vanno scartate. le campane della chiesa rompono piaceSe le mie foto trasmettono emozioni sono volmente questa sensazione. L’impatto contento e sottolineo che le emozioni posin una mattina di pioggia è devastante ed sono essere sia positive che negative: ci amplifica la sacralità del posto, ma senza sono stati lavori che ho fatto che hanno nulla togliere alla bellezza recondita che suscitato sensazioni di angoscia, ma signisi manifesta nelle radiose giornate e nelle fica che il messaggio ha funzionato in quel notti che seguiranno questa mia visita. Ed caso. Qualcosa hanno trasmesso». è proprio la sera, dopo il tramonto, quanHa già presentato il libro ufficialmente? do si accendono le luci che la maestosità «Per il momento non ancora. Non ho andella struttura “Aedificata supra firmam cora avuto modo di fare una presentazione petram” assume una connotazione onicome si deve, ma l’idea c’è. Il libro corica, si assapora una atmosfera diversa, munque è disponibile online». quella diversità che ti estranea dal mondo Invece mostre di sue fotografie ne ha circostante, fatta di ombre immerse nel sifatte? lenzio e di pensieri che ti colgono dando «Sì, tante! L’ultima ufficiale è stata al vita a quel raccoglimento dimenticato di Castello di Bonassola: c’erano circa 150 cui tanto si va ricercando manifestazione, fotografie esposte con dieci progetti diverci si immerge in questa dimensione e se si…poi per qualche anno mi sono fermane rimane incantati. Così succede che mi to».
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lascio trasportare e attraverso i sensi cerco di cogliere quelle parti per me ricche di significato e di emozioni uniche, voglio documentare queste emozioni per trasmetterle o forse solo per non dimenticarle mai più. È Il Santuario della Passione di Torricella Verzate, chiesa parrocchiale intitolata alla Natività di Maria Vergine e uno dei più antichi dell’Oltrepò. Attualmente le fotografie inerenti alla parte del Sacromonte, quelle più significative per me, sono state donate dopo la mostra inaugurale di presentazione e resteranno in esposizione permanente all’interno della canonica. Di tutta questa possibilità che ho avuto non dimenticherò mai di ringraziare Don Luciano Daffra con la sua smisurata fede nonché cultura». Altre mostre in Oltrepò? «Tra le altre mostre in zona sicuramente devo ricordare quella del 2012 allo Spazio 53 di Voghera, dove presentai la pubblicazione “Ink, needles and passion” realizzata sul lavoro di un carissimo amico tatuatore Fabrizio Ofria». Qual è il suo soggetto preferito, se ne ha uno? «Dicono che sia bravo nei ritratti. A me piace sperimentare. Non mi piace l’idea che ci sia una fotografia singola in uno stile riconducibile a me. Quando ho sperimentato e sono arrivato a capire quello che facevo, ad addomesticare la macchina fotografica in quanto strumento, ne sono rimasto contento. Ho fatto diversi generi di cose dai paesaggi ai ritratti e tanto altro. Non so dire cosa mi appassiona di più, dipende dai momenti». Sta lavorando a qualcosa di particolare in questo momento? «Sì, sto lavorando su un tipo nuovo di ritratto, una cosa particolare su cui sono molto concentrato». Lei ha anche fatto parte, per tantissimi anni, del CFO, il famoso circolo fotografico di Broni… «Sì. A metà di questo novembre sono stato invitato dagli amici del circolo ad una serata in cui parlerò di qualcosa che potrebbe avere a che fare anche con la fotografia. La cosa mi onora parecchio anche perché è l’associazione nella quale iniziai a mettermi in gioco e fu tappa importante di un percorso che è ben lontano dall’essere concluso». Il fatto di arrivare da una zona piccola come l’Oltrepò le ha precluso qualcosa nella sua carriera fotografica? «Che dire…la realtà di provincia è una realtà di provincia, pregi e difetti, ma come tutte le cose bisogna saperci convivere e muoversi parecchio, a volte fisicamente e a volte, come diceva Jules Verne, l’importante è viaggiare almeno con la fantasia». di Elisa Ajelli
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XXXXXXXX MUSICA
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«A dire la verità, il gruppo avrebbe potuto chiamarsi “Verrua Band”»
I Nuovi Uragani
I Nuovi Uragani si conoscono da anni e si esibiscono nelle piazze e nei locali dell’Oltrepò Pavese. Questo gruppo è nato circa tredici anni fa ma, nel corso del tempo, la formazione si è modificata continuamente, fino a quella attuale che, da un anno a questa parte, suona insieme per passione e, soprattutto, per celebrare valori che nella vita di oggi sembrano essere scomparsi; uno dei valori che I Nuovi Uragani celebrano più di tutti è l’amicizia... quella con la “A” maiuscola! Quando nasco I Nuovi Uragani? «I “vecchi” uragani nascono circa tredici anni fa... nel tempo il gruppo si è continuamente modificato. Con tutte le persone che negli anni sono entrate a far parte della band, abbiamo sempre suonato insieme... il nostro gruppo si fonda sull’amicizia. I Nuovi Uragani sono nati circa un anno fa...». Da chi è composta la band attuale? «È composta da Tacconi Bruno (batteria), Cavalloni Claudio (tastiera), Andolfi Learco e Ivano Randi (chitarre), Calvi Maurizio (basso) e Parmeggiani Sergio (cantante)... apparteniamo a svariate classi che vanno dal ‘50 al ‘68!». I componenti sono tutti originari dell’Oltrepo Pavese?
«A dire la verità, il gruppo avrebbe potuto chiamarsi “Verrua Band” (dice Sergio, scherzando). Sergio è di Broni e Claudio è di Pavia, mentre tutti gli altri componenti sono di Verrua Po. Ci capita molto spesso di suonare a Verrua Po, infatti la Pro Loco ci coinvolge nella maggior parte degli eventi e noi siamo ben lieti di partecipare alle loro iniziative!». Musicalmente a chi vi ispirate? «Il nostro repertorio è rimasto costante nel tempo... prendiamo spunto dagli anni ‘60 – ‘70. Noi facciamo molte canzoni italiane, tra cui I Nomadi (gruppo nato appunto nell’Oltrepo Pavese), soprattutto ci ispiriamo alle loro canzoni dei primi LP.». Quindi proponete solo cover o avete realizzato qualche pezzo vostro? «Negli anni è capitato di scrivere testi nostri - che abbiamo rivisitato - e qualcuno lo abbiamo proposto al pubblico. Siamo soddisfatti, perchè durante le esibizioni ci vengono richiesti...». La vostra musica è una semplice passione o qualcosa di più? «Con I Nuovi Uragani si è venuta a creare un’amicizia molto forte... ci sentiamo quotidianamente, non solo per le prove o per i concerti. Il nostro è un ottimo rapporto, non solo musicale...».
Quante volte a settimana vi ritrovate per suonare? «A meno che non gioca la Juventus, ci ritroviamo ogni martedì... rigorosamente!». Dove vi esibite solitamente? «L’Oltrepo Pavese è il nostro palco... non amiamo andare lontano. Le piazze e i locali della zona sono sempre disposti ad ospitarci. Il “RompiBar” di Rea Po, per esempio, ci ospita molto spesso perchè il proprietario ha creato questo locale che praticamente è uno studio di registrazione, con un’ottima acustica». Chi è il vostro pubblico? «Il nostro pubblico non è giovanissimo. Diciamo che varia dai trentenni... ai settantenni; quest’ultimi abbandonano la TV e vengono ad ascoltarci. È un pubblico amante della bella musica, della vita e dei grandi ideali che oggi sembrano essere sottovalutati, tra i quali l’amicizia appunto...». Negli avete avuto qualche riconoscimento? «Negli anni è capitato di partecipare a degli eventi benefici, ad esempio con Telethon un po’ di anni fa... in quell’occasione abbiamo cantato con I Camaleonti, con Maurizio Arceri e altri grandi cantanti». Progetti futuri?
«Con I Nuovi Uragani ci piacerebbe prender parte ad eventi benefici, ripetere l’esperienza con Telethon sarebbe per noi una gran bella cosa, partecipare a questo genere di iniziative ci entusiasma e poi piazza Duomo a Milano è un bel palco scenico... suonare per così tante persone e per un motivo così importante, è una grande soddisfazione!». Ai giovani cantanti e musicisti che vogliono mettere in pratica questa passione, cosa consigliereste? «Generalmente, ci fa un po’ specie vedere giovani cantanti che durante le loro esibizioni dal vivo, fanno uso di strumenti per migliorare la performance... noi da sempre suoniamo e cantiamo rigorosamente dal vivo. Non abbiamo basi ritmiche o canzoni pre-registrate. Purtroppo, oggi ci sono professionisti che fanno questo “mestiere” in modo venale (forse solo per i soldi). Non c’è il piacere di cercare il giovane che sa cantare/suonare bene per introdurlo in un’attività musicale. È comunque giusto che provino a fare musica... la musica è un valore importante, proprio come l’amore e l’amicizia!». di Silvia Cipriano
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«L’idea è nata per sostituire ciò che per noi comporta la massima scorrettezza, cioè le sale slot»
La palestra Boxe Station, con sede in Piazzale Marconi a Voghera, nasce dal desiderio di avere una realtà imprenditoriale volta allo sviluppo degli sport da Ring, come la Boxe, il K1, la Kick boxing e la Muay Thai. Inaugurata lo scorso 10 Settembre ha ricevuto numerosi consensi anche da parte delle autorità locali, soprattutto a fronte della “sconfitta” del fenomeno della ludopatia: non più slot machine, ma sacchi da prendere a pugni. è questa la sfida di due fratelli originari di Cecima, che hanno deciso di investire per riqualificare la zona della stazione di Voghera, aprendo una palestra di boxe dove fino a qualche tempo fa sorgeva una grande sala giochi. Loro sono Gianni e Vincenzo Gigliotti. Vincenzo ha vinto due titoli intercontinentali, il titolo italiano e ha disputato due mondiali e un europeo nei pesi supergallo, mentre Gianni ha disputato tredici incontri, da ragazzo, poi per il lavoro ha smesso. Lo staff è formato da Giovanni Gigliotti, 38 anni, Presidente della Società, Emanuele Fragetta (Vice Presidente), Paolo Battegazzore ( Direttore Sportivo e Segretario Tecnico), Vincenzo Gigliotti, Gabriele Vinciguerra, Francesco Pierro, Gianluca Di Vece ( Tecnici ). Gigliotti, quando è nata la scuola Boxe Station, e a che pubblico si rivolge? «L’idea di Boxe Station è nata nel 2017. Si rivolge prevalentemente a una fascia d’eta compresa tra i 7 e i 16 anni, anche se abbiamo anche un pubblico adulto. Cerchiamo di dare un servizio, inteso come disciplina sportiva, e al tempo stesso
Giovanni Gigliotti, Presidente della neonata palestra Boxe Station di Voghera proviamo a scoprire un talento». alle 18.00 e dalle 18.30 alle 21.30, il SabaDa cosa è nata l’idea di aprire una scuoto dalle 11.00 alle 13.00. la di Boxe in una zona definita da molti Crossfit/Functional Training è una moda“degradata” come quella della Staziolità di allenamento dinamica dove le capane? cità motorie complesse vengono sviluppa«Personalmente non mi piace definirla te sia attraverso dei movimenti evoluti che zona degradata, in quanto a mio parere attraverso l’utilizzo di strumenti specifici. sono le persone che degradano le zone. La Si svolge al mattino alle 9.30, ed è solitazona è bellissima e piena di opportunità. mente destinato alle signore che desideraL’idea di farla sorgere qui è nata per sostino perdere peso o mettersi in forma». tuire ciò che per noi comporta la massima Quante ore è necessario dedicare all’alscorrettezza, cioè le sale slot. Abbiamo lenamento? avuto successo perchè la gente ci adora, «Un allenamento adeguato richiede un’ora sia il vicinato che i pendolari». e mezza di preparazione». Che corsi tenete, oltre a quello di Boxe? Com’è il rapporto che si instaura tra «Teniamo i corsi di Muay-Thai, K1, Kickmaestro e allievo? Boxing e Crossfit/Functional training, te«Se interpretato in maniera seria è quasi nuto da Simone Contardi». un rapporto padre/figlio. Non dimentiQuanti iscritti contate? Under 18? chiamo che la Boxe professionistica è uno «Attualmente siamo a 100 iscritti. Ad sport pericoloso ed è sempre il maestro a oggi, abbiamo una media di 12 persone al decidere quando l’allievo si deve fermare giorno. Gli under 18 sono più della metà». o ha bisogno di essere spronato ad andare Quanto costa iniziare a praticare la avanti, nel momento in cui si trova in difBoxe? Sono previste prove gratuite? ficoltà». «Abbiamo regalato un periodo di prova La Boxe ha una percentuale di iscritti gratuito dal giorno in cui abbiamo aperto maschile o femminile? la palestra (10 Settembre) fino alla fine del «Devo dire che negli ultimi anni la Boxe mese. Comunque, la quota mensile si agfemminile, a livello amatoriale, sta dando gira intorno ai 40/45 Euro mensili». grandi soddisfazioni alle palestre. A livelCome sono strutturati i corsi, come conlo nazionale, era ora che le donne iniziastenuti e frequenza? sero a praticare questo sport!». «I corsi di Boxe si dividono in Corso Come si riconosce un talento? Bambini e Adulti. Si svolgono entrambi il «Penso che un talento si riconosca in base Lunedì, il Mercoledì e il Venerdì, rispetal cuore, cioè da quanto è disposto a dare a tivamente dalle 17.30 alle 18.30 e dalle questo sport. Sei tu che devi far capire chi 18.30 alle 21.30, il Sabato dalle 11.00 alle sei... Una volta che ciò accade, la Boxe ti 12.30. I corsi di Kick-Boxing, K1 e Muay dà tutto, in termini di soddisfazioni e riThai, il Martedì e il Giovedì dalle 17.00 sultati».
Ci sono degli allievi, nella scuola, che potrebbero emergere? «Secondo me, ad oggi, ci sono sette allievi che non farebbero fatica a conquistare un titolo Nazionale. Naturalmente è solo un mio pensiero, poi tutto dipende dal loro impegno». Avete in programma delle iniziative ed eventi con le scuole vogheresi? «Per ora abbiamo intrapreso con il Liceo Scientifico Galilei un programma rivolto alle classi Quinte, che per un periodo dell’anno scolastico verranno portate in palestra a praticare Boxe». Come vede proiettata in futuro questa disciplina, a livello locale e nazionale? «A livello locale penso che in futuro regaleremo a Voghera delle belle soddisfazioni. A livello nazionale spero che la Boxe si risvegli perchè ha bisogno una scossa. Dico questo perchè vedo tante persone che partono bene ma poi si fermano, invece questo è uno sport da rilanciare, anche perchè Voghera è stata Nazionale di grandi campioni di pugilato». Come sono i rapporti con l’amministrazione comunale? «I rapporti sono molto buoni. Non mi aspettavo tutto questo interesse nei confronti di questa struttura. Ho trovato un’amministrazione amica. Anche per loro aver combattuto la ludopatia è stato fondamentale, in quanto so che si sono impegnati molto per contrastare questo fenomeno». di Federica Croce
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Stradella:Tiro a Segno, si coltivano Campioni oltrepadani
Il Tiro a Segno di Stradella viene inaugurato il 19 marzo 1884 da Giuseppe Garibaldi, il quale ne assume anche la presidenza. Da allora la sezione è affiliata all’UITS (Unione Italiana Tiro A Segno) federazione sportiva del Coni e Ente pubblico sotto il controllo del Ministero dell’Interno e della Difesa con il duplice compito di sviluppare l’attività sportiva e l’attività istituzionale per l’abilitazione al maneggio delle armi. Sebbene l’attività istituzionale sia ben avviata, l’attività sportiva negli ultimi anni ha avuto un leggero calo di tiratori agonisti. Nel 2018 i tiratori di Stradella hanno ottenuto complessivamente quattro ori nazionali, in federazioni e specialità differenti. Claudio Zuffada, classe 1954 è residente a Soriasco, storica frazione di Santa Maria della Versa. Lo scorso 14 ottobre si è aggiudicato due Medaglie d’Oro al Campionato Italiano Unione Veterani dello Sport, svoltosi a Siena, tra le fila della sezione UNVS “Gino Grevi” di Pavia. Zuffada, in che anno ha esordito ufficialmente nel Tiro a Segno? «La prima gara ufficiale risale al 1972, una gara nazionale a Milano. Ma già nel 1969 avevo partecipato alla fase provinciale dei Giochi della Gioventù». Chi è stato il suo maestro? «Praticamente sono stato un autodidatta. La passione mi ha portato a procurarmi anche testi in lingua straniera, in inglese e tedesco. Poi, nel corso degli anni ho imparato anche dal confronto con gli altri tiratori». Quante ore di allenamento settimanale dedicava in passato? Ed ora? «Mediamente una decina di ore alla settimana durante il periodo lavorativo. Ora che sono in pensione almeno una quindicina». Quali sono stati i suoi risultati più importanti? «Sono stato campione italiano squadre (insieme a Claudio Lombardini) nel 1977, nella specialità olimpica carabina metri 10 per la Sezione di Stradella. Nel 1982, vicecampione italiano nella carabina libera 3 posizioni (120 colpi) in seconda classe. Nel 1981, inoltre, ho conseguito il diploma di Maestro tiratore. Nel 1992 ho vinto il Trofeo Nazionale a Torino, gara inserita nel programma di valutazione per le Olimpiadi di Barcellona ’92. Nel 2009, mi sono classificato al terzo posto nella classifica squadre di carabina metri 10 Master ai Campionati Italiani di Bologna (insieme a Valter Rossato e Giovanni Cordini) e nel 2016 sono stato primo nel ranking nazionale carabina metri 10 Master. Inoltre, nel corso degli anni, mi sono aggiudicato numerosi campionati regionali, provinciali e trofei nazionali». E a livello internazionale?
Claudio Zuffada, medaglia d’Oro UNVS in carabina 10 metri e carabina libera terra 50 metri
«Mi sono aggiudicato, sempre in categoria carabina 10 metri Master, il trofeo di Ginevra nel 2017». A livello federale, ha ricoperto qualche ruolo? «Ho acquisito il diploma di allenatore di terzo livello presso la scuola centrale dello sport Coni ed in seguito ho fatto parte dello staff di preparazione olimpica e del settore giovanile presso il Centro Federale dell’Unione Italiana Tiro a Segno di Civitavecchia dal 1992 al 2005». Cosa la appassiona del Tiro a Segno? «La ricerca continua della perfezione. Il Tiro a Segno è uno sport essenzialmente individuale, che spinge a migliorarsi a livello psicologico-mentale. Ma anche fisicamente, soprattutto nella carabina a tre posizioni a 50 metri (ginocchio, terra, piedi)».
A quante gare partecipa mediamente durante l’anno? «Circa 20, 25 gare all’anno (tra qualificazioni campionati italiano e trofei vari), distribuite sui 12mesi». Dopo questi importanti risultati, quali sono i suoi prossimi obiettivi? Eventi in programma? «Il prossimo evento a cui parteciperò è il 15eme Masters Internazional de Tir de Montpellier, trofeo internazionale di carabina metri 10 che si svolgerà dal 26 al 28 ottobre 2018, e a breve inizieranno le prime gare di qualificazione per i Campionati Italiani 2019». Franco Gelain, residente a Santa Maria della Versa, si è aggiudicato la medaglia d’Oro individuale ai Campionati Italiani Bench Rest Open 2018 per la Sezione di Stradella, stabilendo inoltre il nuovo re-
cord italiano. Gelain, come si è avvicinato a questo sport? In che specialità? «Ho iniziato nel 1975 iscrivendomi alla sezione di Pavia. Dopo qualche anno, nel 1998, mi sono iscritto a Stradella, dove ho iniziato con la pistola a metri 10». Autodidatta o allievo? «Autodidatta. Ho imparato da solo, supportandomi e confrontandomi con altri tiratori più esperti». Come mai ha cambiato totalmente specialità, passando da pistola a 10 metri a carabina 50 metri? «Con il passare degli anni i risultati con la pistola stavano calando. Poi, una decina di anni fa, è nata questa nuova specialità per carabina calibro 22, il Bench Rest Open a 50 metri e ho deciso di cimentarmi in questa avventura, ottenendo nuovi
SPORT stimoli». Negli ultimi Campionati Italiani, oltre la medaglia d’Oro, ha raggiunto un altro importante traguardo… «Sì, ho stabilito il nuovo record italiano individuale nella categoria Open, con 750 punti in 75 colpi. Praticamente 75 “dieci” consecutivi, di cui 19 “dieci mouche” (dieci perfetti, ndr). Il record precedente era di 18». Oltre al Campionato Italiano Bench Rest Open 2018, quali sono stati i suoi risultati più importanti? «Sempre nel Bench Rest, sono arrivato terzo ai Campionati Italiani 2017 e per cinque anni consecutivi vari secondi e terzi posti con la squadra di Stradella (insieme a Paolo Cagnoni, Giampaolo Aguzzi, Valter Rossato e Franca Cazzaniga)». Quante ore di allenamento dedica settimanalmente? «Non molte. Un paio d’ore mi bastano. Impiego molto più tempo nella ricerca delle munizioni adatte alla carabina». A livello nazionale, come si colloca la squadra Bench Rest di Stradella? «Negli ultimi anni siamo un po’ calati con il risultato a squadre. Quest’anno non siamo andati oltre il sesto posto nazionale. Negli anni precedenti eravamo costantemente sul podio». Cosa cambierebbe di questo sport? «Non molto. Ci vorrebbe solo una maggior serietà nell’applicazione del regolamento durante le gare». Prossime eventi in programma? «A novembre parteciperò alla finale del Campionato Intersezionale di Milano, e poi a partire da fine febbraio inizieranno le prime gare nazionali di qualificazione ai Campionati Italiani 2019». Antonio Pellegrino, classe 1959, residente a Stradella, lo scorso 16 settembre ha partecipato alle finali nazionali di tiro difensivo, organizzati dalla Federazione Italiana International Defensive Shooting (FIIDS), ottenendo la Medaglia d’Oro nella divisione “Custom Difensive”. Pellegrino, Lei ha vinto la Medaglia d’oro nella in questa specialità. Per i non esperti, di che cosa si tratta? «Il tiro difensivo viene realizzato su vari esercizi rigorosamente in movimento e con regole di ingaggio dei bersagli ben precise, dove la performance viene calcolata sia in base alla precisione e alla velocità di esecuzione. Nella divisione “Custom Difensive” si compete con attrezzi da tiro calibro 45 acp». Da quanto tempo frequenta questo sport? Come ha iniziato? «Ho iniziato nel 1979 a Pavia con il tiro accademico di pistola aria compressa e altre specialità a fuoco. Poi dal 2000 ho iniziato a partecipare a gare militari aperte anche al personale della riserva». Ha avuto qualche Maestro che le ha insegnato l’arte del tiro? «Sì. Un tiratore campione italiano nella pistola automatica, che mi ha insegnato l’equilibrio tra tempo di esecuzione e precisione del tiro, Federico Galbusieri». Nella sua carriera da tiratore agonista, quali sono stati i suoi migliori risultati? «Quest’anno mi sono classificato terzo
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Antonio Pellegrino medaglia d’Oro FIIDS Custom Difensive 2018
nel Campionato SSA, divisione Open, sempre con arma corta. Nel 2014 ho vinto il Campionato Europeo nella divisione
“Mini rifle” (carabine con calibro di arma corta, ndr)». Ha mai gareggiato all’estero?
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«Sì, ho partecipato a due Campionati Europei in Slovenia qualche anno fa». Ha sempre gareggiato per Stradella o per altre sezioni? «Ho sempre gareggiato per la Sezione di Stradella ma, allo stesso tempo, faccio parte di un club di tiratori, il Team Doppio Zero, che è la parte agonistica dell’UNUCI (Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia)». Lei è anche consigliere per la Sezione di Stradella. Qual è la realtà del tiro a segno in Oltrepò? «A livello agonistico la situazione è molto critica. C’è un calo di tiratori in tutte le categorie e l’età media dei partecipanti alle gare è molto alta. A livello di frequentatori, invece, si nota un certo incremento». Cosa si potrebbe fare per avvicinare di più i giovani a questo sport? «Il tiro a segno, indipendentemente dalla specialità e dalla categoria, è uno sport parecchio costoso. Le varie federazioni dovrebbero studiare un contenimento dei costi, magari con l’aiuto di sponsor, finanziando l’iscrizione alle gare, attrezzature sportive e le trasferte di gara». A quante gare partecipa mediamente in una stagione? «Diciamo che le gare ufficiali sono mediamente 25, distribuite nelle varie specialità, da gennaio a dicembre. Senza calcolare i trofei minori». Progetti per il futuro? «Continuerò a gareggiare sia con arma corta che con arma lunga. Anche se il prossimo anno passerò nella classe Super Senior, ovvero “over 60”, la passione continua…». Segnaliamo con piacere che, alcuni giorni dopo la conclusione della sua intervista, Claudio Zuffada si è aggiudicato anche la medaglia d’Oro ai il 15eme Masters Internazional de Tir de Montpellier, nella categoria Carabina Metri 10.
Franco Gelain al centro durante la cerimonia del podio dei Campionati Italiani Bench Rest 2018
di Manuele Riccardi
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Rally Castelli Piacentini, «Due obbiettivi, entrare nella top five assoluta e vincere il trofeo dedicato a Mariolino» Una gara dall’alto contenuto agonistico la prima edizione del Rally Castelli Piacentini che ha riportato in una zona ricca di tradizione sportive motoristiche una manifestazione ben accolta dagli enti e soprattutto dai piloti che si sono presentati alla gara promossa dalla Prosevent. Ci si aspettava bagarre e bagarre è stata con ben quattro equipaggi costantemente racchiusi in un fazzoletto di una decina di secondi e con sorpresa finale per l’assegnazione di un tempo imposto nella prima prova della gara che ha cambiato la classifica finale. A vincere alla fine, grazie ad una prestazione altisonante, é stato il giovane piacentino Andrea Mazzocchi che affiancato, come consuetudine dalla rivazzanese Silvia Gallotti, ha bissato il già straordinario successo che i due hanno ottenuto al Rally Race della scorsa estate. In gara con una piccola Peugeot 208 della V-Sport, MazzocchiGallotti hanno impressionato tutti fin dalle prima battute impostando un ritmo al pari, se non migliore, rispetto a quello dei concorrenti dotati di vetture più potenti.
Ghisoni - Castelli, per loro il terzo gradino del podio di classe Il finale thrilling lo ha regalato la direzione gara che solo all’ultimo ha assegnato i tempi imposti della PS1 (Mazzocchi era stato rallentato per un incidente davanti a lui) consegnando così la vittoria all’equipaggio della Leonessa Corse per solo 1”3 su Daldini. Se a luglio, in occasione della vittoria assoluta di Mazzocchi al RallyRace con una R2 si poteva parlare di un evento raro, con questa seconda affermazione si può dire che il driver piacentino abbia scritto una pagina di storia del motorsport italiano! Daldini, ritornato alla Clio R3T dopo la parentesi nella sua terra svizzera con la Skoda Fabia R5 delle settimane scorse, ha sempre mantenuto un passo di alto livello tanto che alla fine ha colto la piazza d’onore. Terzo gradino del podio per Tavelli che dopo un inizio in salita recupera con fermezza e riesce anche ad
Mazzocchi - Gallotti sul gradino più alto del podio aggiudicarsi l’ultima Prova Speciale. Poco sotto il podio gli esordienti, con la professionale Renault Clio R3, cugini Alessandro e Luca Guglielmetti che hanno ben impressionato e preceduto Roberto e Ruggero Tedeschi con la Renault Clio S1600 portacolori della EfferreMotorsport. Erano ben sette gli equipaggi della scuderia oltrepadana al 1° Rally Day Castelli piacentini, che si é sviluppato nell’Alta Valtidone Piacentina. «Con una presenza così nutrita, infatti è stata la scuderia con al via il maggior numero d’equipaggi, era impensabile di poter far bene ovunque – a parlare é Marco Bonini, addetto stampa del sodalizio di Romagnese – Purtroppo per noi – continua Bonini - i dolori sono arrivati già dalla prima prova speciale, poco dopo il via, infatti, per un problema meccanico, si fermano Alessandro Ghia e Nicolino Crevani in gara con la Renault Clio Rs N3, per loro solamente poche centinaia di metri ed il grande rammarico di doversi subito arrendere in una gara che li poteva vedere protagonisti». Sfortuna anche per Riccardo Chiapparoli e Alessandro Albertazzi, per loro una innocua uscita di strada dopo circa 1,5 km, senza danni fisici, ma la vettura ha patito la rottura del cambio li ha costretti ad un prematuro ritiro. Fortunatamente, per i rimanenti 5 equipaggi, a cui va aggiunto il navigatore Paolo Maggi, le cose sono andate meglio e sono riusciti a regalare alla scuderia note liete iniziando, appunto, dall’ottimo quinto posto assoluto, nonché vincitori in classe Super 1600 e di gruppo A, Roberto Tedeschi navigato dall’omonimo Ruggero Tedeschi, che sulla performante Renault Clio della V Sport si sono aggiudicati anche il Memorial Mariolino Crevani, riservato al vincitore della ps 2 di categoria S1600, un premio molto ambito in scuderia. «Mi ero posto due obiettivi – ha detto a fine gara Roberto Tedeschi - entrare nella top five assoluta e vincere il trofeo dedicato a Mariolino, entrambi sono stati raggiunti e sono veramente feli-
ce. Gara molto difficile e ben organizzata. Ci tenevo a fare bene sulle strade di casa». Buona prova anche per “l’ever green” del Brallo, Gianni Castelli con al fianco la navigatrice di Oliva Gessi, Susy Ghisoni, i quali hanno portato la Renault Clio Williams A7 al 15° posto assoluto, che è valso loro il terzo gradino del podio di classe. «Dopo 4 prove ero più vicino al ritiro piuttosto che al terzo posto di classe – ha detto Castelli - Abbiamo avuto un problema alla vettura, un semiasse che dopo ogni prova ci faceva sempre più preoccupare. Dopo l’ultima assistenza abbiamo invece deciso di proseguire la gara affrontando con le dita incrociate le due prove finali e con un un po’ di fortuna che non guasta mai, abbiamo visto il traguardo e con esso è arrivata la coppa di classe».
care di portare a termine la gara. Grazie alla tenacia e al suo spirito sportivo giunge al traguardo premiato con il 2° posto di classe tra le S1600. «Queste sono le gare a volte va bene a volte no – ha commentato Salviotti - Accettiamo quanto è successo. Normale ci sia del rammarico, speravo di fare ben altro tipo di gara. La vettura ha un grande potenziale, conoscendola meglio e un poco di sfortuna in meno si possono ottenere buoni risultati. ma é andata così. Ora pensiamo alla stagione 2019». Poco lontano in classifica si colloca Antonio Madama con Massimo Calatroni, sulla Renault Clio N3, si sono classificati in 27° posizione e 5° in N3. «Sono contento – ha affermato Madama - la gara non l’abbiamo iniziata con il passo giusto. Le ultime gare le ho disputate con le autostoriche e ho impiegato un pò a riusare la macchina in una gara come questa dove occorre fidarsi ed entrare in maniera “cattiva” nei tagli. Ho migliorato strada facendo e la macchina non ha avuto problemi. Tutto questo mi da soddisfazione». In 36° posizione Renato Paganini e Carmen Razza, anche per loro soddisfazione per la vittoria in classe A5 sulla MG Rover, segue in 37° posizione Paolo Maggi che ha portato al debutto il giovane piacentino Luca Bosini (FKP), su Citroen Saxo RS. Per loro la soddisfazione del 3° posto di classe in una gara che li ha visti in costante miglioramento. Degli altri oltrepadani in gara sottolineamo il 6° posto assoluto e 2° di classe R2b di Simone e Roberto Fugazza a bordo della Peugeot 208, poi il secondo in classe R3C di Costanza Pericotti e Paolo Zanini con la Clio, e il secondo di Marta Achino ed Elena Ber-
Ruggero e Roberto Tedeschi Hanno avuto la gioia di salire sul palco tolli in classe A5 con la Fiat Uno. finale ma anche il rammarico di una gara C’é poi il 5° posto in N2 per i portacolori poco fortunata Andrea “Tigo” Salviotti ed della Scuderia Piloti Oltrepo, Michele ed il presidente della Efferre, Riccardo FiEnrico Giorgi con la Citroen Saxo. lippini in gara con la Fiat Punto S1600, i In questa classe c’é stato purtroppo il riquali hanno rimediato una 24° posizione tiro di Paolo Burgazzoli e Giorgia Pertosa assoluta che non rispecchia certamente il con la Peugeot 106. Chiudiamo la nostra loro potenziale. Dopo due prove guardincarrellata con due sesti posti di classe quelghe, l’equipaggio viene attardato dalla lo di Nicolino Maruca ed Emilio Partelli rottura della leva del cambio. La corsa è (SPO) con la Clio in N3 e Narco Daglia ormai compromessa, altri avrebbero preso e Fabio Cadore su Opel Astra Rally Club la strada di casa, ma il pilota di Salice deOltrepo in A7. cide ugualmente di entrare in prova e cerdi Piero Ventura
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CIR amaro per il vogherese Giacomo Scattolon
Problemi elettrici fermano il giovane vogherese Giacomo Scattolon navigato da Matteo Nobili nell’ultimo atto del Campionato Italiano Rally 2018. Un finale tricolore amaro per il portacolori del Road Runner Team, che per tutta la stagione é stato in grado di entusiasmare i tifosi fornendo prestazioni di livello assoluto con la Skoda Fabia R5. Il Rally due Valli è stato vinto da Luca Rossetti e Eleonora Mori sulla Hyundai i20 R5della Friulmotor. Una performance eccellente da parte del Rox condita da ben sette successi di speciale. Una vittoria mai messa in discussione. I complimenti vanno fatti anche ad Andrea Crugnola e Danilo Fappani, molto veloci e sopratutto campioni del CIRA 2018 con la Ford Fiesta R5 della Gass Racing. Crugnola si è messo in evidenza vincendo le ps di Erbezzo e quella finale di Tregnano e concludendo la gara al secondo posto assoluto. Sul podio hanno chiuso i campione del CIR 2018 Ucci-Ussi che hanno preceduto un fortissimo Elwis Chentre, navigato da Giovenale, capace di vincere la prova Cà del Diaolo e di piazzarsi 4° assoluti con una Skoda Fabia R5. Solo 5° posto per Umberto Scandola, uno dei pretendenti al titolo 2018. Per Umberto la strada si è fatta in salita dopo una foratura nella PS4 con una pietra trovata in traiettoria. L’equipaggio di Skoda le ha poi tentate tutte ma è stato rallentato da alcuni problemini della macchina chiudendo poi alla fine a 1.06′
Scattolon - Nobili al Rally Due Valli
dalla vetta. A Verona erano di scena anche i contendenti al Trofeo R1. Alla fine della prova veneta, con Paris e Catalini sul po-
dio è salito anche il giornalista vogherese Daniele Sgorbini, ospite di Renault sulla Twingo, al suo esordio nei rally. Sgorbini
è stato affiancato in questa gara da Andrea Ferrari. di Piero Ventura
CIR Junior - Rally Due Valli, argento per la rivanazzanese Silvia Gallotti
Silvia Gallotti
Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti sigillano il secondo posto nel CIR Junior al Rally Due Valli. I due conquistano anche il secondo posto nel Trofeo Peugeot Competition. Ennesima trasferta vissuta da protagonisti per giovane piacentino Andrea Mazzocchi e per la pavese Silvia Gallotti impegnati a Verona nel Rally 2Valli, ultimo round del Campionato Italiano Rally. La gara superlativa dell’equipaggio targato Vieffecorse, si è concretizzata con un secondo posto di classe R2B e che gli ha permesso di confermare la “medaglia d’argento” sia tra gli Junior che nel Trofeo Peugeot 208. Si tratta di un grande risultato giunto a termine di una stagione agonistica molto intensa, profusa su più fronti che ha visto il veloce driver piacentino e l’esperta codriver di Rivanazzano Terme, non soltanto
grandi star della categoria, ma anche formazione vincente in gare extra campionato, capace da mettere nel carniere due sensazionali “assoluti” in Piemonte e in Emilia. Tornando al C.I.R. al termine della gara veneta i due hanno dichiarato a “one voice”: «Abbiamo dato tutto pur sapendo che la matematica non ci favoriva. All’inizio siamo stati penalizzati da un assetto poco congeniale, modificato e migliorato poi nel corso della gara. Il nostro compito era quello di fare il nostro dovere fino e lo abbiamo fatto. Si sa, le corse terminano sotto la bandiera a scacchi e tutto può succedere. Abbiamo ottenuto un altro bel piazzamento che, anche se non è arrivato il titolo tricolore, ci dà comunque morale, confermando che il nostro passo è quello dei primi!». di Piero Ventura
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Campionato Italiano Rally 2018, Davide Nicelli traccia il bilancio Con la conclusione del Rally 2 Valli disputato a Verona, é sceso il sipario sull’edizione 2018 del Campionato Italiano Rally che ha consegnato per l’undicesima volta lo scudetto tricolore a Paolo Andreucci. Per molti é ormai tempo di bilancio e tra i primi a redarlo, con risultato per lui positivo c’é il giovane pilota oltrepadano Davide Nicelli, il quale, nella gara veneta, ha portato a termine la sua prima esperienza nel prestigioso torneo rallystico nazionale. «Sembrava ieri che si iniziava con la prima tappa al Ciocco – dice Nicelli - invece la stagione si è già conclusa. Posso dire di essere migliorato ad ogni gara e anche il feeling con la macchina è cresciuto. Le gare erano tutte nuove per me, pertanto impegnative, in particolare quelle su terra, un fondo che ho conosciuto per la prima volta al rally di San Marino. Sono riuscito a limitare gli errori tenendo un passo sempre regolare, cercando di non farmi prendere dalla foga di competizione, utilizzando le mie partecipazioni per accumulare esperienza. Le basi per il 2019 credo siano buone, certo bisogna continuare a lavorare migliorandosi con sacrifici e umiltà». L’ultima prova di campionato è stata particolarmente impegnativa, con un parco partenti molto qualificato in cui Davide Nicelli era impegnato come sempre con la sua 208R2 del Team By Bianchi navigato da Alessandro Mattioda: «è stato un week-end non facile, sono partito male – racconta Nicelli – ho faticato a trovare il ritmo, poi, pian piano, siamo cresciuti, facendo segnare anche qualche buon tempo, ma i migliori avevano ormai preso un certo margine, difficile da neutralizzare.
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Ci siamo comunque divertiti facendo utile esperienza in una gara molto tosta, veloce e tecnica. Alla fine siamo arrivati quinti di Junior, quarti nel Trofeo Peugeot e terzi tra le 2 Ruote Motrici, un piazzamento che ci ha permesso di salire sul podio anche in questa occasione. Un’altra piccola coppa quindi, da dedicare a tutti coloro che mi hanno dato modo di affrontare questa splendida esperienza tricolore, iniziando dal Team By Bianchi che ha fatto un gran lavoro, fornendomi una vettura al top, proseguendo con Alessandro Mattioda al mio fianco ininterrottamente da metà stagione in poi, la scuderia La Superba e gli sponsor che mi hanno sostenuto ed in fine, ma non ultimo, un grazie immenso a “Nice” Senior, ovvero: papà Guglielmo che ogni anno mi segue, mi sostiene, mi consiglia, mi da la carica e soprattutto, mi permette di fare ciò che più amo: correre in macchina». di Piero Ventura
«Posso dire di essere migliorato ad ogni gara e anche il feeling con la macchina è cresciuto» Davide Nicelli
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Rallylegend da dimenticare per gli stradellini Covini e Brega
Al “Legend”, ha sempre fornito prestazioni eccellenti a cui ha fatto seguire risultati altrettanto eccellenti. Anche quest’anno, per Claudio Covini, il rallylegend era iniziato con una nota lieta, la gioia di sedere sulla propria Lancia Rally 037 in livrea Martini, al fianco del grande Markku Alen, a cui ne aveva affidato la guida nel corso della Martini Racing Parade che ha preceduto la gara. Uno spettacolo che gli appassionati presenti a Rallylegend non dimenticheranno presto. Una ventina di macchine cariche di gloria rallystica, tutte nella inconfondibile livrea Martini Racing e con al volante un gruppo di quei piloti: Biasion, Kankkunen, Alen, Patrese, Pirro, Cunico, Aghini etc, etc, etc che le hanno rese leggendarie, e in quel preciso momento hanno deliziato occhi e orecchie delle tante migliaia di spettatori assiepati sulla prova spettacolo “The Legend” per una celebrazione unica e esclusiva. Poi la gara entra nel vivo e gli stradellini Claudio Covini e Andrea Brega, questa volta a bordo della 037 in livrea Shell, iniziano alla grande. Danno battaglia già dai primi metri imponendosi nella prova d’apertura,“i laghi”, con una gran tem-
Covini - Brega a bordo della 037 in livrea Shell po, ma sulla seconda PS “San Marino”, i portacolori della Scuderia Piloti Oltrepo di Voghera, sono traditi del fango formatosi in traiettoria per la pioggia della sera precedente (un punto fatale anche a Romagna e Falcone), la 037 schizza fuori strada, l’impatto é violento, Covini e Brega rimangono incolumi, ma non la 037, che
riporta seri danni. Il Rallylegend per loro si chiude così in malo modo, mentre va in archivio con la vittoria di Totò Riolo, con Rappa sulla Subaru Legacy, siglando la sua quarta affermazione a Rallylegend. L’uruguaiano Gustavo Trelles, con “Bicho” Del Buono e la Toyota Celica St 205 ha combattuto, ma ha dovuto rassegnarsi
alla pur prestigiosa piazza d’onore. A chiudere il podio è andato alla fine Carlo Boroli, con Paolo Vercelli alle note, a bordo di una Subaru Impreza del 1998. Dietro a Fabio Galli, con Gabriele Romei, ottimi quarti con una Renault Clio Williams, solo quinto si è piazzato il sammarinese Marcello Colombini, con Selva, e la Bmw M3 E30, per un errore nella speciale spettacolo conclusiva della seconda tappa. Tra le Historic, é stata l’ultima prova speciale, la “The Legend” a decidere il duello all’ultimo secondo, tutto sammarinese, tra Stefano Rosati e Davide Cesarini, che ha tenuto banco per tutta la gara. Alla fine l’ha spuntata Stefano Rosati, con Sergio Toccaceli e la Talbot Lotus, con cui hanno vinto altri due Rallylegend in passato. Davide Cesarini, con Mirco Gabrielli (Ford Escort Rs 2000) hanno dovuto accettare il verdetto del cronometro, e dietro di loro, a chiudere un podio tutto bianco-azzurro, colori della Repubblica di San Marino, si è issato un felicissimo Nicola Bonfè, con Lorenzo Ercolani e la Ford Escort Rs del 1978, al suo miglior risultato a Rallylegend, corso in quasi tutte le edizioni. di Piero Ventura
Chiusura scintillante per i piloti di Zavattarello gorelli-Castellazzi (Opel Manta C), VerriVentura (Fiat 125 S) e Minotti-Zago (Opel Manta GT/E). Impegnati sugli sterrati toscani del Tuscan Rewind saranno invece i funambolici Domenico Mombelli e Marco Leoncini con la Ford Escort RS MK1, anch’essa nei colori del club del capoluogo, reduci da uno spettacolare rally di San Martino di Castrozza. Il Russell Brookes (Mombelli) di Zavattarello, troverà sotto le ruote della sua Ford il terreno congeniale per offrire grande spettacolo in una gara che ospiterà i migliori piloti internazionali
e nazionali, e anche molti VIP conosciuti dal pubblico e dai media più importanti. Il Tuscan Rewind, in programma dal 23 al 25 novembre, é un evento che riconferma il suo grande appeal commerciale, grazie alla sua vasta copertura mediatica, sia nazionale che internazionale. Le Prove Speciali, tutte su fondo sterrato, passeranno attraverso lo stesso percorso del Rallye Sanremo, quando era valido per il Campionato del Mondo Rally.
L’Equipaggio Perelli - Roveda Quando le luci della ribalta si stanno lentamente affievolendo sulla stagione agonistica 2018, a tenere accesi gli ultimi bagliori ci pensano i piloti di Zavattarello impegnati anche nel mese di novembre con il medesimo entusiasmo che li ha contraddistinti per tutto il corso della stagione agonistica. Il 3 e 4 novembre a Chieri in provincia di Torino, in occasione della quinta edizione del rally “La Grande Corsa”, organizzata
dall’associazione “amici di Nino” e premiata con la validità per il TRZ Trofeo Rally della prima zona assieme ai Rally Sanremo, 4 Regioni e Lana, torneranno in campo Natalino Perelli con Giuseppe Roveda sulla Lancia Fulvia Coupe HF 1600 nei colori della Paviarally, mentre al debutto rallystico con la Mini Cooper ci sarà Flavio Vernetti. Il club pavese schiera anche: Carrera-Carrera (A112 Abarth), Gre-
Mombelli - Leoncini
di Piero Ventura
MOTORI
il Periodico News
NOVEMBRE 2018
Il Veteran Car Club Carducci di Casteggio a cena da Chef Cracco
Periodo intenso di manifestazioni in cui il Veteran Car Club Carducci di Casteggio trova sempre modo di essere protagonista, sia sotto l’aspetto organizzativo che quello dei risultati raggiunti dai propri affiliati. Domenica 21 ottobre, il club presieduto da Antonio Borgonovi ha messo in scena l’annuale appuntamento con il “Corvino Storico” in cui gli specialisti del centesimo di secondo si sono affrontati mettendo in campo tutta la loro abilità sui pressostati che hanno delineato poi la classifica finale, la quale ha premiato Doriano e Cecilia Crosignani con la scattante A112 Abarth i quali hanno totalizzato 130 penalità e hanno preceduto Cantarini con la MG B di 7 penalità, quindi Zinco-Ruggeri (Fiat 128) di 12 penalità, Fronti-Ruggeri (A112 Abarth) di 35 penaòlità e Curone-Cristina (Fiat 600) a completare la top Five con 57 penalità. Crosignani-Crosignani si sono aggiudicati anche la speciale classifica riservata ai Top, mentre, Moscato-Moscato, con l’ingombrante Mercedes 500 SL si sono imposti nella classifica riservata ai gentleman. Sempre domenica 21, organizzata da “Vecchio Stile di Garlasco”, si é tenuta l’annuale edizione della “Folle Corsa” in cui ad eccellere sono stati i portacolori del VCCC, Giampietro Guatelli e Fulvio Negrini in gara con la Mini Cooper. Sempre Guatelli-Negrini, in quell’occasione a bordo di una bellissima Renault R4, nel primo fine settimana del mese, si erano aggiudicati la vittoria nel Trofeo Val Lemme svoltosi a Novi Ligure organizzato dal Club Bordino. Bene i vogheresi Roberto Tamburelli e Federico Adaglio all’Asi Giovani Show, l’evento milanese promosso dalla Commissione Giovani dell’Asi. I portacolori del Veteran Car Club Carducci, al termine di una giornata lunga, intensa, carica di emozioni, hanno ottenuto un lusinghiero terzo posto assoluto a bordo della piccola NSU Prinz. Quarantanove auto storiche appartenenti a giovani tra i 18 e i 40 anni si sono date appuntamento alle nove del mattino alla Pista-Centro di Guida Sicura Aci-Sara di Lainate: comincia così il sabato dedicato all’auto d’epoca e ai giovani, tra i rombi dei motori, i sorrisi e le battute dei convenuti, giunge il momento di mettere il casco in testa, dopo di che piloti e copiloti si sono messi alla prova al volante delle loro storiche tra i cordoli di un circuito corto (“solo” 1500 metri) ma molto tecnico (più d’una le varianti insidiose). Sessioni brevi – quindici minuti – ma sufficienti a inanellare da quattro a sei-sette giri, a seconda dell’auto (si va dalle piccole Fiat 1100 e NSU Prinz alle veloci Alfa Romeo Giulia GT e Porsche 911) e… del driver, ovviamente. Terminati i turni in pista, tutti i concorrenti si sono spostati presso Museo Storico dell’Alfa
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I vogheresi Tamburelli - Adaglio con la piccola NSU Prinz Negrini - Guatelli, vincitori del Trofeo Val Lemme
Romeo di Arese, per un abbondante buffet presso il ristorante intero in cui, tra i tavoli, sono esposti capolavori come l’ Alfa 6C. Nuovo spostamento da Arese a Rozzano, presso la sede di Quattrouote dove nel parco si sono svolte le prove cronometrate, solo dopo un breve incontro in Au-
ditorium con il direttore di Ruoteclassiche David Giudici. Terminato il confronte con il cronometro, il lungo corteo variopinto ha raggiunto “Garage Italia”, noto locale Milanese, dove oltre alla cena servita dallo staff dello Chef Cracco, sono state effettuate effettuate le premiazioni, in cui l’equipaggio vogherese é salito sul terzo gradino del podio. di Piero Ventura
Crosignani - Crosignani
Auto Storiche: il ritorno del Valli Piacentine Grande successo per la rievocazione storica del rally Valli Piacentine che ha visto ben 90 vetture al via. Con la riproposizione della grande classica emiliana in versione “revival”, sui tornati del Cerro, sulla tortuosità della Pradivera, a Farini, Bobbio, Bettola etc, etc, etc, sono tornate a ruggire le vetture protagoniste dei rally degli anni Settanta. Tra gli otrepadani, il miglior risultato l’ha ottenuto il driver di Mezzanino, Carlo Verri con la Fiat 125 S del 1970, in gara con i colori di Paviarally Club Autostoriche, il quale ha chiuso la competizione al settimo posto assoluto, penalizzato da un tempo imposto che gli ha fatto perdere due posizioni nella generale. Il Club pavese ha comunque registrato l’ottima prestazione di Germano Minotti e Fabiana Zago (Opel Manta GT/E), infatti, nel “Valli Nostalgia”, l’equipaggio portacolori di Paviarally ha chiuso al quinto posto, mentre al 7°, come detto, si sono classificati Carlo Verri e Walter Carena (Fiat 125 S), quindi all 11° posto Piero Ventura e Matteo Fusetto (Lancia Fulvia Coupè 1.3S), attardati da un problema meccanico e al 23° posto la
La Fiat 125 S del 1970 di Carlo Verri, driver di Mezzanino Fiat 124 Abarth di Rodolfo Carrera e Brunello Santi. Continua invece la serie negativa per Francesco Carrera navigato da Daniele Sperandio sull’Autobianchi A112 Abarth, fermato dalla rottura della pompa benzina. La vittoria é invece andata ai ge-
melli cremonesi Bardelli su A112 Abarth davanti a Bono-Celadin (Lancia Fulvia Montecarlo), e Bordi-Bisagni (Lancia Fulvia Zagato). di Piero Ventura