Il Periodico News - GENNAIO 2019 N°138

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Antonio Denari capì per primo ciò che oggi in Oltrepò hanno capito in pochi: il Metodo Classico doveva diventare il traino di tutta una zona

Anno 13 - N° 138 GENNAIO 2019

20.000 copie in Oltrepò Pavese

pagina 19

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

CASTEGGIO «Guardie civiche: ora che si può arruolarsi mancano richieste»

pagina 37

BRESSANA BOTTARONE «Dalla minoranza solo dei non facciamo»

Nelle scorse edizioni del “Periodico” ha dato conto di numerosi temi che le forze di opposizione hanno posto all’attenzione... pagine 42 e 43

CASEI GEROLA «Ex zuccherificio, area divisa in due per facilitarne la vendita»

Insieme al 2018 per il comune di Casei Gerola è finita la possibilità di vedere attuata la famosa riconversione dell’ex zuccherificio... pagina 24

LUNGAVILLA

pagina 25

ZAVATTARELLO «Tiglio? La vera “speranza” è quella che finalmente se ne vada…»

«Il sindaco ci avrebbe ridato la speranza? Per alcuni è probabilmente quella che finalmente lui se ne vada». Il capogruppo di minoranza... pagina 33

VALVERDE «Non è importante chi fa il sindaco e chi no»

Il 1° gennaio è nato ufficialmente il Comune di Colli Verdi, dalla fusione fra Canevino, Ruino e Valverde. Un passaggio storico per questi territori... pagine 34 e 35

Ad assistere alla 6 Giorni d’Enduro arriveranno persone di ogni nazionalità Paolo Buscone nato a Voghera il 04 aprile del 1994 e residente a Voghera. La sua è una famiglia “da corsa” padre e fratelli appassionati e praticanti di rally ed enduro, 4 e 2 ruote, per non farsi mancare niente nel motorsport. Paolo appassionato da sempre di enduro, attualmente corre per il Motoclub Pavia, ricorda con un pizzico di nostalgia la prima gara del settembre del 2011, ma a Paolo Buscone brillano gli occhi quando gli si chiede di raccontare la sua partecipazione alla 6 Giorni di Enduro nel 2017, a Brive la Gaillarde, in Francia. Per ogni “endurista” essere selezionato per partecipare alla 6 Giorni è un sogno, un traguardo sportivo... pagine 26 e 27

La situazione dell’Oltrepò nel 2019 non si prevede molto più rosea rispetto a quella degli ultimi 10/15 anni, anzi per certi aspetti sarà un anno duro, anzi durissimo per alcuni settori e per alcune località. La punta dell’iceberg dei problemi oltrepadani può essere a titolo esemplificativo ma non esaustivo Salice Terme, che con il fallimento preannunciato e prevedibile delle Terme, alla luce degli ultimi anni di gestione, ha gettato la località termale in una crisi profonda. Un altro settore da sempre trainante per l’economia oltrepadana è quello del vino, che però è anche lui in crisi, travolto da scandali, furberie... pagina 3

news

Godiasco Salice Terme o Godiasco Salice de’ Dossi? Fallite le Terme arrivano i dossi!

oltre

I giovani e l’agricoltura: #oltrepochefunziona Da sempre, quando si parla di Oltrepò, si parla di vino e difficilmente dell’agricoltura di pianura dove già i Liguri coltivavano...

Nicola Affronti – Laureato in Giurisprudenza all’Università di Pavia, lavora a Milano presso l’ufficio legale di una grande azienda di Informatica e Telecomunicazioni... pagina 4

OLTREPò PAVESE, IL 2019 NON SARà TUTTO ROSE E FIORI

il Periodico

L’assessore alla polizia locale del Comune di Casteggio Milena Guerci tira le somme della sua decennale esperienza amministrativa...

«Una mia candidatura a sindaco? Mai dire mai… »

In Oltrepò pavese esiste Bastida de’ Dossi, che fino ad alcune settimane fa era l’unica che poteva fregiarsi, per ragioni storiche, del titolo “De’ Dossi”, perchè attorno al XIV° secolo prese il nome di Loco Dossorum, dal nome dei suoi signori, probabilmente subfeudatari del monastero del Salvatore. Anche Salice, da qualche settimana, potrebbe fregiarsi del titolo De’Dossi e chiamarsi Salice de’Dossi, non per ragioni storiche ma perché nella località ex turistica oltrepadana e nel territoritorio del capoluogo, Godiasco, sono stati istallati 13, mica pizza e fichi, 13 nuovi dossi, che per ragioni... pagina 31

Editore



ANTONIO LA TRIPPA

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OLTREPò PAVESE, IL 2019 NON SARà TUTTO ROSE E FIORI La situazione dell’Oltrepò nel 2019 non si prevede molto più rosea rispetto a quella degli ultimi 10/15 anni, anzi per certi aspetti sarà un anno duro, anzi durissimo per alcuni settori e per alcune località. La punta dell’iceberg dei problemi oltrepadani può essere a titolo esemplificativo ma non esaustivo Salice Terme, che con il fallimento preannunciato e prevedibile delle Terme, alla luce degli ultimi anni di gestione, ha gettato la località termale in una crisi profonda. Un altro settore da sempre trainante per l’economia oltrepadana è quello del vino, che però è anche lui in crisi, travolto da scandali, furberie, divisioni e litigi. Sicuramente un volano economico per l’Italia ed anche per l’Oltrepò sono gli appalti pubblici, ma anche qui la situazione è triste: strade che sembrano percorsi da motocross, frane e smottamenti a destra e a manca e aziende pubbliche e parapubbliche che funzionano a singhiozzo. L’industria in Oltrepò ha avuto momenti in cui aveva importanza primaria per l’economia, ora anche lei per molti versi e in certi settori cede il passo, molte industrie hanno chiuso in questi anni e molte altre hanno chiesto la cassa integrazione. Dire che tutto va bene, che non bisogna esternare i problemi dell’Oltrepò perché altrimenti si fa cattiva pubblicità e sottolineare solo le cose positive è una corrente di pensiero che seppur in minoranza, oggi esiste in Oltrepò. Esiste anche chi al contrario sottolinea solo le cose negative dell’Oltrepò: per questi tutto va male e non vedono la luce in fondo al tunnel, anzi per loro il tunnel non ha vie di uscita. Quest’ultima corrente di pensiero è maggioritaria in Oltrepò. Ottimisti e disfattisti: chi delle due parti ha ragione lo dirà solo il tempo, certamente nascondere la polvere sotto il tappeto sperando che nessuno se ne accorga è bambinesco, dire che c’è un temporale quando in realtà si è solo rovesciato un secchio d’acqua è puerile. La realtà a mio modesto giudizio è leggermente differente: è vero che il 2019 sarà un anno duro ma è altrettanto vero che segnali e sintomi di speranza se ne vedono. Se è pur vero che a Salice Terme le Terme hanno chiuso i battenti, è altrettanto vero che lo stabilimento termale di Rivanazzano Terme non è in crisi, anzi… È altresì vero che a Salice Terme i locali notturni e l’indotto che ne consegue, grazie all’impegno e alla fantasia organizzativa dei gestori, stanno funzionando, così come è vero che tanti locali, ristoranti, agriturismi e compagnia cantando in Oltrepò Pavese stanno facendo un buon lavoro, in diversi casi ottimo, per portare gente e turismo. Nell’ambito delle speranze nel 2019 a livello turistico non bisogna dimenticare chi organizza eventi, siano essi Pro Loco o società con o senza fini di lucro. A onor del vero alcuni

degli eventi organizzati lasciano perplessi in quanto poco c’azzeccano con l’Oltrepò e sono più eventi tattici che strategici, ma è altrettanto vero che molti eventi sono invece strategicamente mirati e ben organizzati. Devo dire che il livello degli eventi, non ovunque ma in alcune zone dell’Oltrepò, è propositivo alla crescita turistica del territorio. Il mondo del vino grazie a semi piantati anni orsono da alcuni illuminati imprenditori, ha prodotto e sta producendo risultati, in alcune o meglio in diverse cantine si fa della qualità l’ obbiettivo primario e se da una parte la quantità di vino prodotta in Oltrepò è preponderante rispetto alla qualità, è pur vero che questa quantità giorno dopo giorno è sempre meno prevalente rispetto alla qualità. In buona sostanza anche se i numeri non sono precisi, il concetto è: in Oltrepò c’è più voglia di produrre vino in bottiglia che vino sfuso, poi riuscirci non è così semplice, la quantità di vino prodotto è considerevole, quindi, forse nel breve-medio termine venderlo tutto in bottiglia è senz’altro utopistico, ma da più parti la voglia di invertire la tendenza c’è. Il mondo industriale negli anni ha visto chiudere importanti realtà, anche storiche, ma nel contempo ne sono sorte altre che pur in un’Italia in crisi stanno tenendo il mercato. Oggi fare l’imprenditore o l’industriale è veramente un lavoro difficile, lo è nel mondo, in Italia e ancora di più in Oltrepò, ancora di più perché l’Oltrepò come molte parti d’Italia, ma noi siamo in Oltrepò e di quello dobbiamo parlare, la mentalità del posto fisso e del posto pubblico o parapubblico ha purtroppo per molti anni tarpato la voglia di fare l’imprenditore, la voglia di mettersi in proprio e di rischiare. Ora che i posti pubblici e le pensioni facili stanno diminuendo, molti figli di quella generazione stanno prendendo atto che quello che ha permesso ai loro genitori di vivere bene attraverso un posto pubblico o parapubblico non è più permesso, ora molti di questi figli stanno “mettendo la pelle al sole” e stanno tentando la strada imprenditoriale nelle sue più svariate forme. Magari anche piccole, ma è proprio da queste piccole realtà imprenditoriali che può rinascere la voglia di “fare” in Oltrepò. La nota dolente sono le strade, i ponti, le frane e gli smottamenti. Da anni si parla di questo problema, da anni i politici dicono: “Abbiamo ottenuto i finanziamenti per mettere a posto quel tratto di strada, quel ponte o quella frana… “ o ancora “I lavori partiranno la prossima primavera…”. La realtà dei fatti è che alcuni lavori sono stati fatti e anche quest’anno grazie alle imminenti elezioni dove molti comuni oltrepadani sono chiamati al voto, verranno fatti dei… lavori..., forse per i ponti bisognerà aspettare qualche anno in più e qualcosa in

più dei semplici proclami di vittoria per i finanziamenti annunciati. Aspettiamo che arrivino… poi vedremo. Dicevo… molti ... lavori... per le strade verranno fatti nella prossima primavera, si spera, si dice… Molti lavori invece verranno fatti nella stagione fredda in autunno ed in inverno quando è noto ai più che effettuare i lavori stradali non è il massimo dal punto di vista tecnico, perché l’asfalto messo in inverno tende a non essere affidabile e duraturo. Ma non è solo il periodo in cui fare i lavori stradali la discriminante, ne esistono altre: forse servirebbero maggiori controlli da parte di tecnici veramente indipendenti sia dal punto di vista politico che economico per controllare veramente che i lavori effettuati siano stati realizzati veramente e sottolineo veramente, come da capitolato e che le aziende che hanno avuto l’appalto abbiano utilizzato tutti i soldi incassati, una parte per il loro giusto profitto, ma la restante e preponderante parte per il lavoro eseguito, e che nessuna parte dei soldi incassati per l’appalto, ma questa rimane solo forse un’utopistica speranza, non sia stata elargita a politici o tecnici vari sia per ottenere il lavoro che successivamente per chiudere un occhio su ad esempio lo spessore del manto stradale o su come il lavoro non sia stato fatto a regola d’arte. L’ Italia è piena di casi di “sensibilizzazione” economica saliti agli onori delle cronache con politici e tecnici inquisiti e qualche volta condannati, in Oltrepò ovunque ma veramente ovunque si dice, si sussurra, che i nostri asfalti, non tutti ovviamente ma molti sì, non durano perché fatti con troppi costi di “sensibilizzazione” aggiuntivi. Saranno gli organi competenti se ne avranno voglia a stabilire se quanto si dice sia cosa vera o no ma una cosa è certa di strade ridotte in uno stato pietoso, di fossi senza manutenzione, di frane e smottamenti continui, ciclici direi e mai risolti, di ponti in continua manutenzione in Oltrepò ne abbiamo a bizzeffe, direi che ci sono poche altre parti d’Italia come l’Oltrepò. Che sia colpa di “sensibilizzazioni” ai politiche, “bustarelle” ammorbidenti ai tecnici o incapacità nel fare i lavori, questo pur essendo importante non è fondamentale, fondamentale rimane il fatto che la situazione viabilistica in Oltrepò è disastrosa. Anche per il 2019 l’inversione di rotta tanto auspicata non ha dato segni, prevedo piuttosto interventi che come al solito dureranno dalla mattina alla sera. Ci sarebbe la politica che potrebbe fare qualcosa nel 2019, ma

anche qui ho seri dubbi: in Oltrepò cavalli di razza politici all’orizzonte ne vedo pochi, piaccia o non piaccia e al di là della accuse di interessi privati in atti d’ufficio fondati o infondati, fino a 15, 10 e forse anche 5 anni fa l’Oltrepò era ben rappresentato o mal rappresentato, dipende dai gusti politici, ma certamente era presente nelle stanze dei bottoni, oggi meno. Nell’ultima tornata elettorale l’Oltrepò ha espresso parlamentari che sembra si stiano dando da fare, è altrettanto vero che la classe politica media al di là di alcune eccezioni e al di là dei selfie o di articoli promozionali su media compiacenti, non esprime molto e questo è un problema, perché in qualsiasi situazione politica sia essa democratica o dittatoriale, le scelte che condizioneranno il futuro di un paese, di una regione, di una provincia e di un comune sono date dalla classe politica che governa ed in Oltrepò in questo momento, salvo alcune eccezioni, la classe politica è ben poca cosa. Più che una classe politica abbiamo un mix tra modesti mestieranti interessati all’occupazione della misera poltrona quando va bene o dello sgabello nella maggior parte dei casi, fans, ultras, urlanti che parteggiano per una delle varie fazioni politiche esistenti. Nel 2019 l’Oltrepò può risolvere la situazione? No. Può migliorare la sua situazione? Sì, e la può migliorare se gli industriali, gli imprenditori, gli artigiani e i lavoratori dell’Oltrepò, soprattutto i più giovani, continueranno a credere nella nostra terra e credere che è possibile invertire la tendenza. Se nel 2019 al contrario l’Oltrepò aspetterà assistenzialismo e aiuti o idee dalla politica, ho la ragionevole certezza che ben poco di buono succederà. di Antonio La Trippa


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VOGHERA

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«Una mia candidatura a sindaco? Mai dire mai… » Nicola Affronti – Laureato in Giurisprudenza all’Università di Pavia, lavora a Milano presso l’ufficio legale di una grande azienda di Informatica e Telecomunicazioni. è Presidente del Consiglio comunale della città di Voghera dal 2010, eletto nella lista dell’UDC (Unione Di Centro). A lui abbiamo rivolto alcune domande: Affronti il suo ruolo di Presidente del Consiglio è stato diverso rispetto a quello dei suoi predecessori? «Ritengo che il mio sia un ruolo non solo istituzionale, ma di partecipazione attiva alla risoluzione dei problemi della città in quanto sono stato nel 2015 il consigliere più votato tra tutte le liste, un onore, ma soprattutto un impegno, verso chi mi ha votato, al non essere spettatore o solamente istituzione, ma partecipe all’attuazione del programma che ci ha permesso di rivincere le elezioni. Ricordo in questi anni il mio impegno, mio e dei rappresentanti del mio partito, l’UDC, impegnati nell’amministrazione comunale (Gianfranco Geremondia, Alida Battistella, Daniela Galloni, Elisa Piombini e Simona Panigazzi) ad esempio contro la chiusura della Compagnia Carabinieri di Voghera, per la salvaguardia degli uffici dell’Agenzia delle Entrate che ora grazie alla nostra amministrazione mantenuti a Voghera e nel 2018 trasferiti nell’ex tribunale (recuperando gran parte dell’edificio), per il mantenimento degli asili nido comunali (assumendo nuovi educatori per garantire il servizio), abbiamo evitato la vendita delle farmacie comunali con l’affidamento In House ad ASM, per la riapertura dopo lo stop dovuto al commissariamento dello sportello lavoro del Comune, da ultimo, non per importanza, c’è stato il ruolo attivo mio e del mio partito su Recology e su molte altre problematiche di cui mi sono attivamente interessato per cercare di svolgere al meglio il mio ruolo». Proprio su Recology, tema caldo degli ultimi mesi, vuole dirci qualcosa in più? «Io, il sindaco e l’assessore all’Ecologia ed Ambiente, Simona Panigazzi, (che ha confezionato la richiesta di finanziamento con un progetto dettagliato redatto dall’ufficio ecologia del Comune) ci siamo proattivamente attivati per ottenere il finanziamento regionale per coprire i costi della bonifica della Recology. Sia ben chiaro comunque che l’assessore regionale all’Ambiente, Raffaele Cattaneo, ha proposto alla giunta regionale il finanziamento in accoglimento del progetto presentato proprio dal Comune di Voghera. Comune che, a differenza di quanti sostengono il contrario, era stato investito del problema, sostituendosi alla provincia che aveva la responsabilità fino al gennaio 2018. Da subito, appena c’è stato il passaggio di competenze, ci siamo subito

«Sono stato nel 2015 il consigliere più votato tra tutte le liste, un onore, ma soprattutto un impegno»

Nicola Affronti, Presidente del Consiglio comunale dal 2010

attivati come amministrazione comunale per risolvere il problema che preoccupava non poco i residenti di Medassino (con il suo comitato spontaneo) e la città. Sia ben chiaro che il contributo regionale, unitamente alla fidejussione già escussa, non esclude poi la possibilità di eventuale rivalsa». A dicembre 2018 per la prima volta Voghera ha avuto la sua premiazione dei cittadini con la Benemerenza “Summa Viqueria”, una benemerenza di cui aveva proposto lei l’istituzione. «Esattamente, con il sindaco avevo parlato della necessità di dotare Voghera di una cerimonia per ringraziare i cittadini che in diversi campi avevano portato agli onori il nome della nostra città, l’idea ci era venuta dopo aver fatto, a fine 2017, in sala Consiliare la cerimonia per premiare l’olimpionico e campione mondiale di tiro con l’arco, l’amico concittadino Mauro Nespoli. Ho presentato in commissione Affari Generali la proposta di delibera con il relativo regolamento per l’assegnazione delle benemerenze, poi approvata l’estate scorsa dal consiglio comunale». I problemi della Sanità per l’UDC Vogherese sono sempre stati argomento di discussione. Il suo impegno e quello del suo partito? «Vorrei ricordare un consiglio comunale aperto, da me convocato e presieduto, alla presenza dell’allora assessore regionale lombardo alla sanità per discutere in merito all’urgenza di risolvere alcune problematiche urgenti dell’ospedale di Voghera (ad esempio per l’apertura del reparto di

Stroke Unit con attrezzature all’epoca inutilizzate e giacenti da svariati mesi) denunciate anche dai sindacati e dagli operatori oltreché dalle forze politiche. Denunce politiche significative nei confronti della direzione generale del tempo dell’allora Azienda Ospedaliera di Pavia che hanno avuto poi positivo riscontro con l’assunzione del personale del comparto sanità. Positivo riscontro che ha permesso, tra l’altro, la tanto attesa e da noi sollecitata apertura della Stroke Unit». Oggi la situazione? «Dal 2015 la situazione è decisamente cambiata. Premesso che all’UDC compete anche l’assessore all’Osservatorio Sanità, delega tra le altre (Bilancio, Personale, Sport, Lavoro …) di Gianfranco Geremondia. Con l’attuale Direttore Generale, l’assessore competente ed il sottoscritto dialogano. Gli amministratori non solo vogheresi hanno un buon rapporto con la Direzione dell’ASST di Pavia ed i risultati per il nostro ospedale non mancano, basti ricordare negli ultimi mesi l’inaugurazione del nuovo CUP, il restailing di Psichiatria (da noi fortemente richiesto) e da ultimo, ma non per importanza, l’avvio dei lavori del nuovo Pronto soccorso. Non va dimenticato anche l’impegno dell’ASST in materia socio-sanitaria con l’importante attività di lotta alle dipendenze (droga, ludopatia, alcol, etc), svolta anche a Voghera con importanti risultati, da non sottovalutare. Sul piano mediatico, le strutture ospedaliere dell’Oltrepò Pavese, grazie a medici stimati e anche alle amicizie ed alla stima di cui gode personalmente in quel mondo il Dottor Garavelli, sono diventate

anche punto di riferimento per i circensi di tutta Italia che si rivolgono e si fanno curare nei nostri ospedali. La riconferma di Michele Brait alla Direzione Generale dell’ASST, anche da noi auspicata, appare un significativo presupposto per un ulteriore rilancio delle nostre strutture sanitarie e per il rafforzamento del ruolo di Hub per l’ospedale di Voghera che negli ultimi tempi ha visto, oltre a specialisti di valore già in servizio, l’arrivo di nuovi importanti specialisti che portano ulteriore motivo di richiamo per il nostro ospedale punto di riferimento di un territorio più vasto rispetto a quello tradizionale dei confini regionali (basti pensare all’attrazione che oggi la nostra struttura ha nei confronti degli utenti della zona del tortonese e non solo)». Nel 2020 Voghera andrà al voto per rieleggere il consiglio comunale ed il sindaco. Quali sono secondo lei i possibili scenari? è possibile una sua eventuale candidatura a sindaco? «Gli scenari oggi appaiono più complessi rispetto al passato, a mio avviso bisognerà comunque partire dall’alleanza che ha condotto questa amministrazione alla vittoria per ben tre volte in due anni (contando il rifacimento del ballottaggio), alleanza composta da Forza Italia, UDC, ex NCD e liste civiche. Certo non sempre è facile trovare la sintesi delle rispettive posizioni. Tutti insieme però ci siamo prodigati per rispettare il programma presentato nel 2015 agli elettori ed i risultati positivi cominciano ad avere concreto riscontro. Un’alleanza non chiusa in se stessa, ma che parta dalla volontà di lavorare insieme per la città. Una mia candidatura a sindaco? Mai dire mai… , ma ora ritengo sia prematuro parlarne. Comunque le eventuali candidature nascono sulla base dei programmi e degli eventuali accordi tra i partiti che compongono la coalizione». di Silvia Colombini


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Prc in lotta per la sopravvivenza «Non abbiamo risorse per mantenere una sede» Anche se ridotto ai minimi storici (paragonato al “glorioso” passato della Voghera operaia) e costretto dalle difficoltà economiche, il circolo vogherese di Rifondazione Comunista intitolato al partigiano Ermanno Gabetta continua ad operare. «Ci mancano le risorse necessarie per mantenere una sede e non abbiamo potuto organizzare la tradizionale Festa di Liberazione, perciò la discussione politica risulta ristretta ad iscritti e simpatizzanti e non ha, purtroppo, visibilità esterna» spiega la segretaria Antonietta Bottini, ex candidato sindaco con L’Atra Voghera a Sinistra alle elezioni del 2015. «Nonostante questo il nostro impegno rimane costante. Abbiamo dato sostegno operativo alla raccolta firme per la Lip Scuola e, nei mesi più recenti, fatto alcuni volantinaggi contro i provvedimenti del Governo. Siamo presenti anche nella mobilitazione contro il risorgere del neofascismo , il razzismo, la xenofobia e ci impegnamo sul terreno sociale con campagne su pensioni, lavoro, sanità, scuola, diritti. Sosteniamo le iniziative e le lotte a tutela dell’ambiente, contro le grandi opere». Bottini, Voghera è una città tradizionalmente operaia, in cui la sinistra ha fatto la storia. Oggi in tanti si chiedono che fine abbiano fatto i comunisti e se esistano ancora… «Voghera non è mai stata e non è certo un’isola rispetto ai processi politici che hanno investito il nostro paese negli ultimi 25 anni. Anche qui il tessuto sociale si è smagliato, con il venir meno di insediamenti produttivi e di strutture pubbliche. La realtà che rimane è quella di un afflusso costante di pendolari verso Pavia, Milano, Genova». Dove ha sbagliato la sinistra per perdere così tanto appeal? «Questione difficile da riassumere in poche righe. Ci sono delle dinamiche sociali innescate in questi anni anche dai governi del cosiddetto “centrosinistra” (precarietà, smantellamento di diritti e sicurezze sociali, a partire dalle pensioni…) che hanno aperto la strada alle politiche della destra – oggi nella versione leghista che domina l’attuale governo – che fanno leva su malcontento e paura per raccogliere consensi immediati ma senza indicare vere soluzioni che non siano la guerra dei penultimi contro gli ultimi». A Voghera però che ne è stato della sinistra “radicale”? «Resto convinta che a Voghera vi siano non poche elettrici ed elettori, con esperienze e conoscenze di tipo amministrativo, gestionale, culturale o ambientalista in grado di raccogliere il testimone e dar vita ad una nuova lista. Vi sono energie cittadine, che emergono talvolta come un fiume carsico ma che sono in continuo

movimento. Mi riferisco ad esempio alle associazioni di volontariato, o anche ai gruppi quali gli amici dell’Arlecchino, gli amici del Teatro Sociale, gli appassionati di fotografia che hanno gradualmente ampliato il campo d’azione ad altre forme d’arte figurativa, gli ambientalisti che puliscono le rive dello Staffora, attivisti che si occupano di beni comuni, di scuola, di sanità, donne e uomini impegnati sul terreno della solidarietà e dei diritti dei migranti». La vostra esperienza alle ultime elezioni però non è stata positiva… «Credo che il risultato elettorale deludente sia derivato dalla scarsa capacità del gruppo organizzativo della lista di estendere il coinvolgimento a persone e gruppi che pur ne condividevano l’ispirazione. Eppure l’Altra Voghera a Sinistra nel 2015 ha rappresentato la volontà, purtroppo premiata da pochi elettori, di orientare l’amministrazione comunale a valori di democrazia e di partecipazione, di solidarietà, di condivisione al fine di assicurare decisioni e scelte a favore della collettività e del benessere di tutti i cittadini».

A Voghera la sinistra non Governa dal 2000: «Città impoverita da questa Amministrazione» Parliamo della città. Dopo quasi 10 anni di governo Barbieri, come vede Voghera oggi? «Più povera, più disoccupata, più chiusa e meno solidale rispetto agli scorsi decenni. Il centro storico è desertificato, aumentano le saracinesche chiuse mentre si sono moltiplicati gli spazi commerciali lungo tutti i principali assi viari esterni, con presenze di sale giochi e di catene di negozi che si ripetono in ogni regione. Si è cementificato suolo agricolo (o destinato dai precedenti PRG a spazi verdi urbani), anche pregiato come nel caso del parco Baratta, solo a parole si enfatizza la vocazione agro-turistica a sostegno dell’economia oltrepadana. L’officina ferroviaria declassata da OGR a OM, prestigiose fabbriche scomparse e mai sostituite da nuove manifatture produttive. Per non parlare

Antonietta Bottini, ex candidato sindaco con “L’Atra Voghera a Sinistra” alle elezioni del 2015

delle reti informatiche inesistenti quando si straparla di attrattività, dello stato di abbandono di un bene patrimoniale prestigioso come l’ex Ospedale Psichiatrico Provinciale (nonostante una campagna di sensibilizzazione messa in atto da molti cittadini) e della offerta in vendita a lotti della ex caserma di cavalleria (come risulta dal sito regionale AttrACT). Per forza che, alla fine, la città diventa un dormitorio». In Asm non sembrano passarsela troppo bene di questi tempi. Che idea si è fatta del caso bollette sbagliate? «Il caos bollette potrebbe dipendere da un sistema informatico di gestione e controllo obsoleto, oppure mal utilizzato. Ho letto che il Codacons parla di ‘lassismo burocratico’, anche questo fattore può aver contribuito. Ma il nodo “politico” che mette allo scoperto è quello di una preoccupante trascuratezza circa una corretta gestione del servizio pubblico. Eppure da decenni ci dicono che le aziende pubbliche erano carrozzoni, che le Spa di diritto privato sono più efficienti , che le gestioni devono produrre utili e risparmiare sulle competenze e sul personale. Io insisto, e sostengo con forza, che i servizi pubblici locali devono essere gestiti tramite aziende pubbliche comunali (o consortili) con bilanci, indirizzi e programmi

discussi e approvati in Consiglio Comunale». Come vi state muovendo in vista delle prossime elezioni? Correrete ancora con una nuova formazione civica, oppure credete che sia ora di puntare di nuovo su falce e martello e il vecchio nome? «In vista delle elezioni europee e del prossimo turno di elezioni amministrative e regionali proponiamo la costruzione in Italia di uno schieramento di sinistra e popolare alternativo ai poli esistenti. Come Partito continuiamo a lavorare per un coalizione sociale e politica che ci veda uniti sul terreno elettorale con le tante liste civiche di sinistra e tutte le realtà politiche antiliberiste. Lavoriamo per una lista unitaria collocata sul piano europeo in alternativa tanto a nazionalisti e razzisti quanto ai trattati UE e alla governance neoliberista». Rapporti con il PD? Manco a parlarne? «Da oltre un decennio il PRC partecipa esclusivamente a liste di alternativa alle politiche liberiste e neoliberiste. Confermiamo la necessità di una collocazione in alternativa anche al PD e a quel che rimane di un centrosinistra ancora incapace di rimettersi in discussione sul piano programmatico e avviare una credibile rottura col passato». di Christian Draghi


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«Caos Asm? Succede quando si dà spazio ad amici e parenti»

Questionari, appuntamenti nei quartieri, una capillare opera di ascolto della popolazione. Il 2019 di Pier Ezio Ghezzi e del centrosinistra che rappresenta si apre all’insegna di una sfida che a Voghera, da anni, è più proibitiva che ardua: raggiungere e superare i consensi dell’amministrazione di centrodestra. «Di fatto tra la gente abbiamo già sostituito l’Amministrazione comunale da sempre assente e grazie alla nostra opera di ascolto entro l’estate avremo la mappatura completa dei bisogni della città» dice Ghezzi, che punta poi il dito su quello che chiama il «disastro Asm» dovuto al caos bollette, a suo dire nefasta conseguenza del nepotismo in azienda. Ma andiamo per ordine. Iniziamo da “casa vostra”, Ghezzi: il PD è un partito con i suoi bei problemi, soprattutto interni e non lo si può negare. Alessandra Bazardi è stata appena riconfermata al vertice della segreteria vogherese e le voci sul fatto che fra di voi i rapporti non siano idilliaci si rincorrono. “Basta un po’ di zucchero” per addolcire il caffè (la metafora si riferisce al commento della Bazardi stessa nell’intervista rilasciataci per lo scorso numero) oppure la situazione è più complicata? «Io ho votato Alessandra Bazardi come segretario cittadino che ha raccolto, di fatto, l’unanimità. Non vi sono mai state tra noi posizioni differenti sui temi politici che hanno segnato la strategia del PD (referendum, elezioni nazionali), sulle iniziative locali (quartieri, raccolta firme, …), né sull’attività in Consiglio Comunale. Le attività del Partito sono condivise in segreteria e coordinamento.

«Io e la Bazardi in conflitto? Ma se l’ho votata come segretario cittadino…»

termine». Passiamo ad ASm. Lei ha più volte criticato l’azienda per il caso del caos bollette. Quali sono le cause di quanto accaduto e perché secondo lei è successo quel che è successo? «La gestione di ASM è lo specchio della “delinquenza politica” del centro-destra. Non escludo che nei prossimi mesi intervenga la Corte dei Conti. Il Gruppo è stato ed è saccheggiato con continuità. Ad oggi circa un milione di euro sono andati in fumo per la loro irresponsabilità. La causa è sotto gli occhi di tutti. La Direzione generale ha reso la “vita impossibile” a quattro dipendenti storici di alta professionalità per sostituirli con figli e figlie di consiglieri comunali o amici della campagna elettorale. Risorse senza alcuna esperienza, se non quella della diffusione dei santini per le elezioni.

Gioco d’azzardo: «Voghera come Las Vegas e non abbiamo un regolamento. Ancora un po’ metteranno le Slot in Comune!» Pier Ezio Ghezzi

Esistono, ovviamente, diversità personali che hanno però sempre trovato una sintesi nei fatti concreti». Il 2019 sarà un anno decisivo per la costruzione di un team che possa in qualche modo ambire a sfidare il centrodestra nel 2020. Voghera però è una roccaforte azzurra. Quante e quali chance vi date di sovvertire i pronostici? «Voghera è stata città del centrodestra con un largo margine di consenso che nel ballottaggio del gennaio 2017 è venuto a mancare. Barbieri, pur con l’appoggio di Lega e Fratelli d’Italia ed uno schieramento di mezzi senza precedenti ha prevalso per 200 voti: un’inezia. La fotografia politica cittadina è cambiata. Da allora la distanza tra città e Giunta è ulteriormente aumentata, non diminuita. Barbieri, con decine di migliaia di metri quadri commerciali del Parco Baratta, ha sepolto il centro storico, che sta in piedi

per la resistenza dei commercianti. Nei quartieri la Giunta non si è più vista: “passata la festa, gabbato lo santo”. Esistono forze civiche, stanche di questa Giunta, come la lista Torriani, che non demordono. Quando faccio vedere la fotografia degli assessori, la gente mi chiede chi sono. Potremmo essere alla vigilia di un grande cambiamento». Sta dicendo che i commercianti non sono nelle priorità di Barbieri? «Quei commercianti di Voghera che hanno avuto il solo torto di fidarsi, ancora una volta, delle promesse di questa coalizione facciano i conti con la realtà. Come nel passato, alle promesse elettorali non sono seguiti fatti. Anzi, non esistono iniziative che portino le persone a frequentare le vie del centro. Non c’è nessuna idea di come attirare turismo e ricchezza alla città e ai commercianti e non mi riferisco a programmi di intrattenimento. Mi riferisco ad un piano cittadino di rilancio a lungo

Le conseguenze sono state tremende per gli utenti. Ne avremo ancora per dei mesi. Abbiamo chiesto le dimissioni del direttore generale di ASM e del Consiglio di Amministrazione della società di vendita. Il Sindaco ha risposto che “va tutto bene”. In una azienda privata sarebbero già stati licenziati con richiesta di danni. Centinaia di famiglie che non hanno i soldi per pagare tre bollette al mese, non sono un problema per Barbieri. Per noi e i pensionati invece sì. Un patrimonio depredato dalla superficialità degli amministratori». Del nuovo manager pro-tempore di Vendita e Servizi cosa ne pensa? Una persona sola saprà riordinare un puzzle tanto complesso? «Il puzzle non è per niente complesso, è molto semplice. ASM Vendita & Servizi è una piccola società, gestita da sempre con dieci persone. Basta essere responsabili e la società funziona bene.


VOGHERA Un nuovo manager era indispensabile: non si poteva farne a meno, visto il disastro. Chi lo ha assunto deve proteggerlo». Lei, da ex manager, come si sarebbe mosso? «Avrei fatto il contrario di ciò che hanno fatto. Avrei difeso i dipendenti, tenuto lontano la politica dalla società e lavorato a favore degli utenti». Parliamo della raccolta differenziata con i cassonetti “intelligenti”, sulla quale il Comune ha investito molto. Dopo questi primi mesi come le sembra stia andando il servizio? «La raccolta differenziata è partita male: girando la città ce ne accorgiamo subito. Tre mesi di ritardo, tessere non ancora consegnate a centinaia di famiglie, sacchetti dell’immondizia accatastati all’aperto. ASM non esprime più da anni efficacia. Il modello scelto è il più costoso e il più complicato: lo dicono tutti gli esperti. Nonostante queste premesse abbiamo dato il nostro appoggio alla nuova raccolta. Voghera ha la maglia nera della percentuale di raccolta differenziata di tutta la Lombardia: 36%. Siamo responsabili e non vogliamo che i nostri figli vivano in una città senza rispetto per l’ambiente. La raccolta deve funzionare bene e le responsabilità sono solo del Comune. Controlliamo giorno per giorno l’andamento». Un altro tema scottante è costituito dal gioco d’azzardo. Voghera, con circa 80 milioni di euro giocati ogni anno, ha il triste primato di Las Vegas Italiana. Si può porre rimedio? «Certo: basta volerlo. Il Comune deve approvare il regolamento che metta fine all’apertura di nuove sale e limiti gli orari di apertura e la vicinanza a luoghi sensibili. Siamo forse la sola città lombarda senza regolamento. Abbiamo, come partito, presentato la nostra proposta in Consiglio comunale. Nessuna risposta dalla Giunta. Avanti di questo passo installeranno le slot anche a Palazzo Gounela!»

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«Osservo un grande attivismo della Lega, baldanzosa dei risultati elettorali. Suppongo che la Lega rivendichi la carica di Sindaco» Quando si parla di Voghera ultimamente sono 3 i temi più citati: città dormitorio, piazza San Bovo (e questione sicurezza in generale), Teatro Sociale. Un pensiero e una proposta su tutti e tre. «Teatro Sociale. Il Teatro è l’investimento più importante di dieci anni di Giunta. Una struttura risanata di tali dimensioni e storia deve “fare la differenza” per la città, altrimenti abbiamo buttato al vento milioni di euro. Stiamo aspettando il progetto culturale che accompagni quello edilizio e prepari la comunità al suo utilizzo: ad oggi non è pervenuto. Piazza San Bovo: è un luogo sensibile della città come la stazione ferroviaria. I cittadini che ci vivono sono esasperati. I luoghi si risanano facendoli vivere, riempiendoli di iniziative e controllandoli con la vigilanza quotidiana. I proclami non servono. Città dormitorio. Turismo, facilitazioni per l’industria, finanziamenti dalla Comunità Europea, fronte comune con gli 80 sindaci dell’Oltrepò. Da anni Barbieri annuncia gli Stati generali del Territorio, ma non riesce a realizzarli perché non ha credibilità. Le ultime elezioni provinciali lo hanno testimoniato: fuori da Voghera non lo vogliono». Giochi all’analista politico. Che scena-

rio immagina per le elezioni 2020 a livello di alleanze? Spera che il centrodestra possa correre di nuovo il rischio di dividersi? «Le previsioni si fanno con gli elementi oggi disponibili. Osservo un grande attivismo della Lega, baldanzosa dei risultati elettorali. Suppongo che la Lega rivendichi la carica di Sindaco. Oggettivamente non le si può dare torto. Ha raddoppiato dal 2015 al 2018 i suoi voti in città con 5000 suffragi alle politiche di marzo. Non bisogna essere politologi per constatare che è, anche in città, la forza trainante del centro-destra. Aggiungo due variabili: gli accordi provinciali e l’esito delle elezioni a Pavia e Varzi». La Lega ha un nome forte per la carica di Sindaco? «Forza Italia non vuole cedere la poltrona e questa contesa va risolta al loro interno. Non sta a me, ovviamente, dare indicazioni. Oggi rilevo che il capogruppo Albini è molto attivo contro Barbieri e si pone, di fatto, come suo alter ego nel centrodestra». E delle vostre strategie cosa dice? Cosa farà il PD per guadagnare consensi in città? «La mia posizione personale è che serva

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un ampio, esteso e forte “Patto Civico per Voghera” che raccolga, indipendentemente dal posizionamento politico nazionale, le migliori intenzioni per la città. Un’alleanza che accomuni singoli cittadini, associazioni, organizzazioni sociali e culturali. L’alleanza tra PD e “Lista Civica Ghezzi Sindaco” ha funzionato ed ha raccolto l’adesione di altre forze, laiche e cattoliche, anche dopo le elezioni. Ritengo che vada sviluppata questa azione da subito, condividendo i temi centrali, per realizzare una “grande e bella alleanza” tra soggetti che vogliano dare una nuova speranza alla città. Serve un raggruppamento alla pari tra alleati, senza preclusioni e steccati. Credo fortemente in questa strategia». di Christian Draghi

Ghezzi attacca: «Giunta assente. Quando mostro le foto degli assessori la gente mi chiede chi sono»



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«Il mio sogno nel cassetto è terminare la tangenziale di Voghera» Manca poco più di un anno alla prossima tornata elettorale vogherese che deciderà chi sarà il nuovo sindaco ed il nuovo gruppo dirigenziale cittadino, e manca qualche mese alla kermesse delle votazioni europee. Ne abbiamo parlato con un professionista del settore, la cui storia parte da lontano, dal sindacato, dalle sedi di partito, dal lavoro nelle piazze, dalla gavetta tra la gente, senza social networks, pc e smartphones, ma solo con concetti convincenti, possibili e realizzati, in gran parte. Abbiamo incontrato il Segretario vogherese di Forza Italia, Gianpiero Rocca. Rocca partiamo dai macro-numeri... com’è la situazione nazionale del suo partito? è corretta la sensazione di crisi profonda? «Guardi, più che di sensazione vorrei parlare di realtà, e di ciò che negli anni, almeno negli ultimi, ho sempre sostenuto: o si fa un partito vero, oppure, continuando a fare un insieme di “nominati”... questo è il risultato. Io provengo dal sindacato, e nel sindacato, come nei partiti, bisognava rispettare uno schema, a cascata, che era identico: si fa il tesseramento, si riuniscono e si candidano persone che il partito vuole e delle quali necessita, sulla base di regole chiare e ben definite. Il partito non può essere un luogo di svago, una giostra sulla quale si sale e scende in un attimo ed a proprio piacimento personale... Lo ribadisco continuamente anche nel nostro Direttivo Provinciale, con l’On. Cattaneo e gli altri dirigenti. Non abbiamo nulla da imparare da nessuno, anzi! Bisogna impegnarsi nel ritrovare una struttura di Partito vero. Lega e 5 Stelle attuano questa struttura, ma l’hanno imparata da noi, da come eravamo. Chi non segue la linea di partito è fuori, chi sbaglia è fuori, etc... come certamente, d’altra parte, si premiano impegno e risultati... perché si deve fare così. Cosa che sto facendo in città: i nostri appartenenti al partito che entrano in ruolo in enti devono tesserarsi, come è sempre stato. Ci vuole ordine». Perché è andata smarrita questa prassi? «Perché negli ultimi anni, il modello che il presidente Berlusconi aveva in mente, cioè un uomo solo al comando che sceglie e nomina direttamente, ha portato a questa dissoluzione d’intenti. Così è stato fatto anche dalla segreteria regionale...». Se si votasse domani per le politiche a livello nazionale, Forza Italia secondo lei che risultato otterrebbe? «Posso dirle se andassimo oggi?! … Saremmo attorno al 10%». Tajani le piace? «Sì, mi piace, abbastanza diciamo. Oggi Forza Italia deve ridarsi un’identità, senza rincorrere, ad esempio, la Lega, che di per se stessa, quando aveva piccole percentuali, non ha comunque mai rincorso nessuno.

Noi oggi, piaccia o no, siamo all’opposizione, e dobbiamo farla in modo intelligente. Tajani mi pare abbia chiaro questo concetto in mente. Forza Italia, a Voghera, governa insieme ad Udc, insieme alle Liste civiche: noi siamo la maggioranza espressa. Questo è il mio modello. Oggi, in città, la Lega è in minoranza, e l’unica forza con la quale posso cercare un dialogo, perché la ritengo una risorsa, è il gruppo di Aurelio Torriani, che è in realtà un Centro-destra come noi, ma separato, che potrebbe, e dovrebbe, riunirsi». Ha parlato prima di Direttivo Provinciale con l’On. Cattaneo, con il quale, nel recente passato, ci sono stati momenti, chiamiamoli, di criticità... «Le devo dire che, per quanto mi riguarda a livello istituzional-partitico, questa criticità non c’è mai stata. A livello territoriale certamente si, ma, ad esempio, nella rosa dei candidati regionali, se è a quel periodo che si riferisce, il partito e l’On. Cattaneo mi avevano inserito dal primo giorno, correttamente seguendo la vita del partito, s’intenda. Poi io ho fatto un passo indietro, coerentemente anche per via dell’età anagrafica, degli impegni già assunti, etc. etc. etc.». E dal vostro gruppo, mi passi il termine, è emerso Ruggero Invernizzi, attuale presidente della Commissione Agricoltura in Regione Lombardia... «Invernizzi è certamente una persona per bene, che conosco da tanti anni, ed è da sempre persona seria e rispettosa, con lunga esperienza decennale come assessore Provinciale all’Ecologia ed Ambiente, e meritatamente, oggi, attivo nel ruolo che ricopre. Non è un politico alla ricerca di palcoscenico a tutti i costi, ma un esperto professionista dalla costante applicazione. Forse, e lo dico anche per l’On. Cattaneo che è in Commissione Finanze alla Camera, dovrebbero comunicare di più tramite i media, avere più penetrazione a livello stampa sul territorio». Voghera e le Elezioni 2020: la Lega correrà sola, a suo parere? «Non le so rispondere, è un quesito non presente nella mia Agenda... come le ho detto prima, noi oggi siamo in maggioranza con la nostra coalizione suddetta, e la Lega è all’opposizione...». Ma non avete neppure instaurato un contatto reciproco? «La mia segreteria di partito assolutamente no, io personalmente neppure. Continuo ad occuparmi della nostra coalizione e della nostra amministrazione. Se la Lega, dall’opposizione, ha qualcosa da dire e/o proporre, batta un colpo... non saprei cos’altro dire né fare, né tanto meno perché dovrei». Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia? «Meloni mi piace, ed il suo partito potreb-

be invece essere motivo di contatto, in vista delle prossime amministrative vogheresi». Ha già un candidato in mente, lei? «No, e sarebbe prematuro citare nomi possibilisti. Abbiamo iniziato con alcune riunioni, con consiglieri ed assessori, al fine di aver ben chiaro in mente cosa bisognerà fare durante questo anno per preparare le elezioni, ma di nomi per il candidato sindaco non ne sono ancora emersi... ho letto il suo ironico, divertente editoriale del mese scorso sulla possibilità di un sindaco donna, se è questa la risposta che stava attendendo (sorride), ma le assicuro che non si è ancora parlato di alcun nome. è davvero prematuro. Prima dobbiamo oltretutto eseguire tutta una serie di lavori e di iniziative cittadine, sulle quali siamo assolutamente concentrati». Rientrano anche il manto stradale e le infrastrutture , ad esempio, in questi prossimi lavori? «Per quanto riguarda strade ed infrastrutture provinciali, davvero, non so cosa dire... vedo e capisco Poma che sta facendo salti mortali, ma sinceramente non posso che fermarmi qui, con il commento, ritenendo impresa davvero ardua portare a compimento positivo quelle problematiche nel breve periodo. Io ho il sogno di sistemare alla perfezione la tangenziale cittadina, ad esempio, terminandola oltretutto del tratto mancante. Voghera ne ha bisogno». C’è un altro settore, oltre a quello politico-amministrativo, ove lei ha lunga e profonda conoscenza ed esperienza: l’energia. Cosa mi dice di Asm? «Asm, lo ripeto da sempre, è una bellissima Azienda con una bella impostazione, economicamente molto sana, gestita bene. Si è verificata, nel 2018, questa empasse in Asm Vendita & Servizi dovuta alla fuoriuscita, praticamente contemporanea, di forze-lavoro esperte che hanno provocato una stasi gestionale nel reparto contabilitàfatturazione. Ahimè, la ripartenza dopo quelle defezioni, il nuovo decollo è stato a rilento, non subitaneo. Ma oggi in via di definitivo assestamento! Ho sempre ripetuto di non fare la caccia alle streghe, però l’Opposizione, credo non avendo altri argomenti di contraddittorio, nella caccia si è scatenata. Ciò mi conforta, l’assenza di argomenti, perché significa certamente che abbiamo governato e stiamo governando bene! Asm è la cassaforte cittadina, ha la fiducia dei vogheresi ed anche non vogheresi... cerchiamo di sostenerla tutti, indistintamente. Il Cda, a mio avviso, ha fatto del proprio meglio per uscire dalla suddetta situazione e sono convinto farà bene in futuro. E quest’anno indiremo i concorsi al fine di assumere personale in organico stabile, a differenza dei numerosi interinali

Giampiero Rocca odierni». è inoltre entrato in forze un nuovo Direttore, in Vendita & Servizi... «Io non ho ancora incontrato il neo-Direttore, al quale con l’occasione faccio il mio più sentito in bocca al lupo, ma mi è stato riferito essere persona estremamente capace. Permettiamogli di insediarsi, e poi ne sapremo tutti di più, non crede?». Tasto dolente, in città, è la contrazione del commercio al dettaglio. La politica e l’amministrazione possono dare una decisa mano alle attività cittadine private? «La politica deve certamente mettersi al servizio degli imprenditori, ma può operare, ad esempio, rifacendo le strade, rivedendo il Piano-regolatore, aggiornando gli orari di apertura e chiusura degli esercizi, concedere i parcheggi. Ed organizzare eventi a supporto dell’imprenditoria. Mi sembra che l’assessore Marina Azzaretti si sia profusa a dismisura in ciò, con poche risorse, che speriamo aumentino nel breve futuro, realizzando anni di stagioni di eventi bellissimi! Ma certamente, anche i commercianti devono sviluppare idee nel loro privato, aziendalmente, anche da condividere con l’amministrazione, ma investire sulle proprie attività attivamente. Chiedo anche a chi affitta spazi commerciali di mettersi una mano sulla coscienza, ovviamente...». Sarebbe anche auspicabile che un insediamento industriale scegliesse la nostra zona, magari? «Sì, sarebbe assolutamente benvenuto un insediamento produttivo, non più commerciale, senza nulla togliere a nessuno, s’intenda. Auguriamocelo per questo 2019 appena partito!». di Lele Baiardi


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«Voghera deve diventare la Capitale oltrepadana» Vogherese, Classe 1985, è membro del Direttivo provinciale del Partito “+Europa”, entità politica neonata, all’ultima tornata elettorale nazionale, che fa capo all’On. Emma Bonino. Abbiamo incontrato, per parlare di Politica, di Social networks, e di Politica sui Social networks, Alessandro Traversa. Traversa partiamo dalla politica e dal suo incarico provinciale? «Volentieri. Insieme ad altri membri, compagni di partito, abbiamo fondato il direttivo del partito “+Europa”, a Pavia, circa 4 mesi or sono. Il partito è nato dall’accorpamento, essenzialmente, di tre formazioni, guidate da Benedetto della Vedova, da Bruno Tabacci, ed appunto, da Emma Bonino, strutturatesi in “+Europa” nel corso del 2017. Ad oggi siamo ufficialmente un partito, che ha raggiunto la percentuale nazionale del 2.7%». Percentuale, a suo parere, a salire nel prossimo appuntamento europeo? «Puntiamo al 4% alle europee. Questo è il nostro obbiettivo imminente. Insieme alla costituzione di gruppi locali di partito ed all’espansione della presenza territoriale». Siete già presenti in Oltrepò? «Al momento non ancora. L’Oltrepò è compreso nel mio direttivo pavese, ora. Siamo attualmente 35 iscritti, che non è male, nella media partitica, per una formazione liberal-radicale. Non abbiamo alcun rappresentante amministrativo, ancora, ma contiamo di ottenere presenza sul territorio ed incarichi presto, visto che a Voghera, ad esempio, siamo già in una decina a sviluppare il lavoro sul territorio». Ritiene che il mondo radical-pannelliano italiano confluirà in “+Europa”, in futuro? «Non credo tutti... I Radicali Italiani, che hanno come punto di riferimento l’On. Bonino e Cappato, ovviamente sì. Altri invece sono entrati nel partito Radicale Transnazionale, che fa capo a Rita Bernardini. Sono scontri della galassia radicale del passato dei quali, però, so veramente poco». Perché la sua origine politica non è Radicale? «Provengo dai, diciamo, vicini Liberali. Avevo seguito Della Vedova in “Futuro e Libertà”, sperando in un Centro-destra liberale, quando anche Berlusconi si professava tale. Essendo da sempre concorde sui temi delle Coppie di Fatto, Fecondazione eterologa, etc., mi avvicinavo comunque al mondo Radicale, sicuramente. Mi dissociai dal Centro-destra, seguendo Della Vedova, con l’opposizione fatta al caso Englaro». Si trova, però, oggi sbilanciato verso il Centro-sinistra, quindi? «Guardi, io non condivido proprio nulla di ciò che afferma Matteo Salvini, ma

Alessandro Traversa, amministratore del gruppo Facebook Politica@Voghera

son d’accordo con lui nell’affermare in questo momento storico, queste etichette hanno davvero poco senso... Non perché non esistano più le ataviche differenze, ma perché oggi lo scontro si è dimensionato essenzialmente tra Globalisti e Sovranisti, Società aperta e Società chiusa. L’accordo con il Centro-sinistra, per risponderle, ritengo sia stato comunque giusto, oggi. La nostra visione è Globalista, con L’Europa unita come strumento politico. Ci battiamo per ottenere gli Stati Uniti d’Europa: ogni Nazione deve rispettare le proprie individualità, ma senza egoismo antieuropeo. La nostra mission è potenziare il Parlamento Europeo, a discapito delle Commissioni Europee, ottenendo un’Europa unita più forte». Riprendo una critica, che è sotto gli occhi di tutti, dell’amica bronese Rosanna Gariboldi, vedova dell’indimenticato On. Giancarlo Abelli, quando, in un’intervista per il nostro mensile, dichiarò ironicamente che questa Europa è talmente unita che, in vent’anni, non sono ancora state unificate le prese di corrente ai muri di casa, introducendo solamente una moneta comunitaria, o quasi... «Effettivamente, noi siamo i primi a dire che questa Europa ha seri problemi ai quali deve immediatamente mettere mano, proprio su queste cose, partendo dalle radici del vivere comune, dei popoli che la compongono! Ma riteniamo che in primis bisogna superare le paure e gli egoismi nazionalistici, non fermandosi a questa grigia visione del presente. Europa e Nato, comunque, ci hanno al momento garantito più di 70 anni di pace, ad esempio: e molti problemi nostri interni che vengono attribuiti all’Unione Europea sono invece, a mio giudizio, solo atavici italiani! Nep-

pure Mario Monti, con una schiacciante maggioranza parlamentare, è riuscito ad imporre riforme strutturali, ad esempio». Scendendo, o salendo, veda Lei, parodiando l’allora scontro verbale Berlusconi-Monti, nel nostro Oltrepò, quali criticità nota? «Già da alcune tornate amministrative, ho sempre sentito ripetere che Voghera, per propria natura, dovrebbe essere, o diventare, la capitale oltrepadana, ma questo non mi pare sia attualmente ancora successo, forse a causa di scarse idee politiche e/o campanilismi privati». Un giovane politico come Lei come agirebbe, in questa direzione? «Investirei ogni possibile risorsa, geografica, fieristica, promozionale e sociale nell’espansione dei marchi dei nostri prodotti tipici, con grande battage ed insistenza, ad esempio...». Che gradimento dà all’Amministrazione Barbieri? «Come partito Liberale, ho appoggiato la prima amministrazione quinquennale, che ritengo abbia fatto un discreto lavoro per la Città. Mentre il secondo mandato, postcommissariamento, è stato assolutamente immobile, anzi, con maggiori problematiche, si legga viabilità o caos Asm...». Lei ha spesso parlato delle problematiche cittadine, spostandoci sul fronte social networks, sulla pagina Facebook che gestisce “Politica@Voghera”... «Sì. La pagina, il gruppo facebook è nato circa 3 anni fa da un’idea dell’amico Matteo Para, dedicato esclusivamente alla politica della Città, come detto nel nome, senza deroghe. Abbiamo circa 1.000 iscritti, molti meno partecipanti alle discussioni sui post, ma, dal numero di letture effettuate, tutti molto attenti ed affezionati. Il gruppo è aperto, cioè tutti possono leg-

gere, ma solo gli iscritti possono commentare. Io ne sono amministratore da più di un anno, sostituendo Matteo Para per suoi impegni professionali, ma con lui sempre interfacciandomi». Nello scorso numero de Il Periodico, lei si è risentito per alcune critiche mosse dall’amministratore di un altro gruppo, sempre su Facebook, e cioè “La Zanzara” di Renato Faller. Per l’affermazione in se stessa o per precedente dissenso politico? «Per l’affermazione in se stessa, certamente. O meglio, per l’attacco alla mia posizione politica effettuato citando il mio nome nell’argomentare la cattiva gestione, a suo parere, del gruppo, e quindi la cattiva comunicazione, chiosando con un preciso riferimento al fatto che se io pubblicassi “Bella Ciao” su “La Zanzara”, il mio post non verrebbe rimosso: come se io rimuovessi post o commenti di persone non in linea con il mio pensiero politico! Questo è assolutamente falso». Lei è iscritto a “La Zanzara”? «Non più. Lo sono stato, ma poi ne sono uscito. E non leggo neppure. Non è di mio gradimento». In realtà, il tono generale dell’intervista a Renato Faller verteva più sulla modalità d’interpretazione nell’esposizione più o meno seria, seriosa e/o leggera, ironica delle notizie. Politica@voghera predilige quindi una modalità più austera? «No, assolutamente austera no. Anche sul nostro Gruppo appaiono satiricon, alcuni proprio anche di Renato (Faller, n.d.r.), magari anche suoi attacchi personali a me (sorride), che mai sono stati rimossi. Così come anche lui fa su “La Zanzara”, anche noi talvolta moderiamo nei toni alcune discussioni... raramente, poche volte, mi sono trovato nella condizione di dover temporaneamente sospendere alcuni profili, un po’ troppo audaci. In generale, Politica@voghera predilige, però, il confronto concettuale serioso». Si presenterà “+Europa” alle amministrative vogheresi del prossimo anno? «Ci stiamo lavorando. Non sono oggi in grado di dirle nulla, neppure sull’idea di un possibile candidato sindaco di qualsivoglia schieramento, però. Penso che, in virtù della forza a livello nazionale, la Lega andrà sola, tentando di avere il proprio sindaco, ma ritengo che anche il Centro-destra, al contrario invece del livello nazionale, in città sia ancora forte. Vedremo gli sviluppi dei prossimi mesi. Per quanto mi riguarda, dopo il Congresso nazionale, e dopo aver valutato le eventuali potenzialità a livello locale, la aggiornerò sul nostro futuro». di Lele Baiardi


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«Do il mio personale benvenuto al nuovo Direttore» L’avevamo incontrata lo scorso autunno, in piena buriana di fatture “in ritardo”. Lei, con i suoi modi affabili e gentili, ci aveva assicurato e rassicurato: assicurato il massimo impegno, rassicurato della veloce soluzione all’empasse. Siamo ritornati, proprio ad inizio anno nuovo, per capire se le rassicurazioni e le assicurazioni, tradizione di famiglia oltretutto... sono andate a buon esito. Abbiamo incontrato la Presidente di Asm Vendita & Servizi, Monica Sissinio. Presidente ci eravamo incontrati alcuni mesi or sono, con il massimo impegno, da parte sua, profuso alla normalizzazione della fatturazione: in che condizioni siamo ora? «Attualmente, la cosa importante, che è importante anche a livello ovviamente nazionale, è l’innovazione della Fatturazione Elettronica: noi non siamo ancora “partiti” con questa nuova modalità, che inizierà, ritengo, dal prossimo mese. Al momento, siamo arrivati a fatturare sino alle scadenza di Ottobre 2018. Dobbiamo fatturare l’ultimo bimestre, Novembre e Dicembre 2018. Temo, mia opinione personale ma per la quale ho già richiesto chiarimenti tecnici, che non riusciremo a portare a termine la fatturazione suddetta nei termini temporali perfetti... probabilmente avremo ancora un piccolo ritardo...». Se non ci fosse ritardo, si rientrerebbe nei termini giusti? «Per essere perfettamente nei tempi, dovremmo fatturare Novembre 2018 entro il 15 di Gennaio 2019». Si potrebbe quindi dire che, a seguito di quest’ultimo ritardo, diciamo nei termini di 30 giorni, la fatturazione rientrerebbe nelle tempistiche normali? «Esatto. Siamo comunque vicini al traguardo della ripresa della normalità, con mio grande piacere ed orgoglio... se penso all’anno che ho ed abbiamo trascorso...». Non voglio intristirla né smorzare il suo giusto entusiasmo, ma si è presentato anche il problema della doppia fatturazione... «Ahimè sì. A causa di moduli Mav mal numerati, abbiamo dovuto riemettere alcune fatture, stornando quelle abbinate ai Mav invalidati. Le fatture online, purtroppo, hanno subito doppia emissione, ma solo le bollette! Gli addebiti bancari sono comunque stati singoli, non doppi! Come è sempre stato, sia chiaro! Anche tra gli errori ed i ritardi dell’anno passato, gli addebiti contabilizzati sono sempre stati corretti! Sono altresì consapevole che ci sia stato disagio, soprattutto ritengo emotivo, creato da un’inattesa confusione, all’epoca. Capivo che il cliente avvertiva soprattutto l’empasse del dubbio per il futuro, a cosa potevano andare incontro... e di questo mi sono sempre, unitamente al mio

«La tattica delle “code agli sportelli per le contestazioni” urlata ai quattro venti è stata davvero, poi, la punta dell’iceberg!» staff, immensamente scusata con i nostri clienti, storici e nuovi. E molti clienti non sono mai stati toccati da questo disagio, ricevendo puntualmente le nostre fatture, come nulla stesse accadendo...». Facciamo un passo indietro, alla fatturazione online: quindi, il suddetto problema non ha toccato le emissioni cartacee, solo quelle online? Sono molti gli utenti privati, non aziende, intendo, ad aver richiesto l’emissione online della propria fatturazione? «Le fatture cartacee con Mav errato sono state stornate e sostituite da quelle valide, quindi le prime non sono andate in spedizione. Sì, parecchi clienti hanno aderito alla formula di fatturazione online. Mi pregio, a seguito d’intelligente riflessione suggeritami dal neo Direttore di Asm Vendita & Servizi, di citare i cittadini che ci scelgono come clienti e non utenti: l’utente è un soggetto che “distaccatamente” paga un servizio, il cliente è una persona con la quale si instaura un rapporto di fiducia, prima, e di servizio, consequenzialmente, ma in un contesto di rapporto personale più stretto, più accudente, con un diverso appeal tra le parti...». Veniamo allora anche alla persona da lei citata, altra novità dell’anno burrascoso appena conclusosi: il nuovo Direttore... «Il nuovo Direttore si chiama Michele Chiappa. Proviene dal settore, da un’azienda di maggior volume d’affari rispetto ad Asm, 45enne manager d’assalto ma che, dagli inizi del suo percorso, ha effettuato proprio una completa gavetta nei vari comparti aziendali! Grande esperto delle problematiche amministrative, le devo dire che si è oltremodo rivelato un ottimo motivatore nei confronti dei subalterni aziendali: sia i nostri esperti impiegati sia i nuovi entrati, con meno esperienza sul campo intendo, hanno respirato un’aria decisamente nuova grazie alla fiducia che il Direttore infonde loro! Una squadra, per brava che sia, ha certamente sempre bisogno di un grande allenatore per diventare una grande squadra, ed io sono certa

di averlo trovato! Tutti i nostri dipendenti sono già, seppur in poche settimane, più, come dire, sicuri ed appassionati delle ed alle loro mansioni! In più, abbiamo potenziato anche le mansioni dell’ingegnere Bedini, che ha attualmente in carico la gestione di tutto il back-office». Quando è iniziata la collaborazione con il nuovo Direttore? «Per l’esattezza il 20 Dicembre 2018, a ridosso delle festività natalizie. A seguito dell’ottima impressione che ci ha dato, io ho fortemente voluto che iniziasse prima del nuovo anno, essendo comunque la nostra emergenza si in fase di risoluzione ma, parlo per me in quanto Presidente, ben presente nei miei costanti pensieri quotidiani... Devo dire che il Direttore è immediatamente piaciuto a tutti, come credo si sia capito anche dalla precedente risposta, con un felice approccio immediato! Ha subito infuso fiducia ed un senso di “protezione” a tutto lo staff, che sta lavorando decisamente meglio rispetto agli scorsi mesi, e possibilmente con carico di lavoro maggiorato». Si parla di imminente concorso: è vero? «Sì, corrisponde a verità. Nei prossimi giorni cominceremo a stendere un “fabbisogno” del personale, insieme appunto al nuovo Direttore, capendo di quali figure abbiamo necessità, e faremo il tanto atteso concorso». è previsto nell’arco del 2019? «Personalmente cercherò e mi impegnerò affinché venga svolto entro la metà del 2019! Vorrei arrivare alla fine del mese di Giugno con il concorso già effettuato! Anche perché, dall’ultima legge uscita, diminuiscono drasticamente le possibilità di proroga contrattuale delle attuali forze in campo, e non vorrei doverne ancora formare di nuovi, operazione che costerebbe tempo e denaro». L’opposizione politica all’attuale maggioranza amministrativa guidata dal Sindaco Barbieri ha, a sua parere personale, espresso una qualsivoglia verità nella critica all’operato gestionale dell’Azienda? «Dalle fila dell’opposizione politica, anche in Consiglio Comunale, ove sono andata per rispondere ad interrogazioni a riguardo, certamente si sono alzate critiche, e più in generale commenti, che mi hanno fatto capire solamente che i detrattori della maggioranza amministrativa hanno fatto “bene il loro lavoro”, adducendo però motivazioni estranee alle vere difficoltà gestionali: un po’ come se l’Azienda non riguardasse anche loro, dal punto di vista cittadino, tanto per intenderci. O come non sapessero che, ad esempio, la Legge Madia, il Decreto Dignità, etc. sono stati veri bastoni tra le ruote... o la richiesta di annullare il Cda da me presieduto!

Monica Sissinio

In questo momento? Lasciando così davvero tutto allo sbaraglio?! La tattica delle “code agli sportelli per le contestazioni” urlata ai quattro venti è stata davvero, poi, la punta dell’iceberg! Tra rinnovi, switch, potenziamenti, e tante altre pratiche d’ufficio, le posso assicurare che la percentuale di contraddittori agli sportelli, nei tempi più “caldi” fortunatamente passati, non ha mai superato il 20% ! Chiederei a questi Signori, in virtù dei cambiamenti recentemente effettuati e del percorso ostico affrontato in questi mesi, di darmi il tempo necessario, così come fa la maggioranza comunale, per dimostrare l’ottimizzazione dell’Azienda. Nei momenti bui non mi sono nascosta, attenendomi con responsabilità al ruolo che mi è stato assegnato». Ultimo argomento: gli indennizzi. Perché sono dovuti e come avverrà il rimborso? «Dunque... Sto attendendo il dato finale. Ecco, questo è un “consiglio”, amicale e professionale che faccio mio, ricevuto anche da un esponente dell’opposizione, come lei mi ha prima chiesto, esperto del settore energia: non mi sono fermata al primo calcolo, a riguardo indennizzi, ma ho preteso di sentire più voci, come fossero pareri medici... Quindi, insieme al mio Cda, al Direttore ed al Collegio Sindacale, decideremo come rimborsare questi indennizzi diretti, che sono dovuti in virtù del ritardo di fatturazione». Concludendo: l’Azienda è sempre sana, e lei è più soddisfatta e serena in questo inizio di 2019? «Assolutamente! L’Azienda è sanissima e sempre nel cuore dei cittadini oltrepadani, che ce lo dimostrano quotidianamente! Io si, sono decisamente più sollevata, in confronto ai mesi passati, e determinata e pro-attiva nel condurla a futuri successi!». di Lele Baiardi



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La bassa politica a Voghera: dagli insulti su Facebook alle risse, il livello intellettuale è ormai a zero Negli ultimi anni sulle pagine social locali si leggeva a sfinimento, vicini al periodo natalizio, la grande polemica sulle luminarie natalizie: si partiva solitamente da una semplice critica e si arrivava a un tripudio di commenti di tal ignoranza da mettere in imbarazzo quei pochi informati che ormai si contano sulle dita delle mani. In questo passato Natale 2018 il discorso luminarie è stato solo sfiorato, anche perché i negozi aperti in centro a Voghera sono così pochi che forse ciò non interessa più neanche ai pochi tenaci rimasti. è stato più interessante per il Natale 2018 parlare di spazzatura e di bollette. Sì, di differenziata, di relativa puzza e di degrado. Di TARI e di multe. Per poi finire alla raccolta firme per le fatturazioni sbagliate di ASM. Qualche sfumatura diversa ha preso il discorso Recology, ma sempre di “rudo” si è parlato. Da una parte per prendersi meriti, dall’altra per scrollarsi demeriti, non si sono mai viste così tante donne fotografate su montagne di spazzatura. Chi lo avrebbe mai detto che la spazzatura avrebbe tirato più di una borsa di Hermès? Nessuno. Un’ avvenente dama ha scoperto di recente che Medassino esiste e che ci sono cataste di rifiuti da anni: innocui, ma ci sono. Ci sono anche persone che in quel quartiere hanno lottato per avere l’area ripulita, ma si sa… anni fa la signora faceva altro e i fotografi lì non c’erano ancora. Sempre seguita dal prode cavaliere, l’avvenente dama può oggi impegnarsi maggiormente nelle presenze alle diverse manifestazioni corredate da selfie, da bicchierate e si spera, anche dall’informazione che, fino ad oggi, ha lasciato un po’ superficiale. Fra un rito di iniziazione e l’altro, non bisogna dimenticare il dì in cui colei gridò alla “solidarietà fra donne” esternato su Facebook. Brava, fantastico: peccato però che anche questa volta si sia limitata al “copia ed incolla” di una frase, forse, sentita da Barbara D’Urso. Poco lontano infatti c’è chi non tratteneva la felicità di fronte a insulti scritti su Facebook alla odiata Boldrinida da parte di qualche intelligentone di turno. Sì: un esponente politico che apprezza un insulto a una donna… Campioni di politica, di coerenza, di rispetto e di etica. Non da poco sono le offese a due “cugini” vogheresi: si chiama cyberbullismo e non viene fatto solo fra stupidi ragazzini. Sappiatelo. Il cyberbullismo è un’arma diffamatoria che gioca sull’ignoranza delle persone che, come chi lo mette in atto, gode nello sfottìo altrui e nella cattiveria assoluta. Tutto a titolo gratuito, sempre. Non sono sfoghi o liti. Sono colpi studiati dettagliatamente con tanto di mandanti e branco pronto ad intervenire. Non è un tifo da stadio. è una bomba che ti spiazza, ti

lascia senza parole. Contro la menzogna e la cattiveria, difficilmente ci si riesce a difendere. Nel caso specifico forse una querela, ma spesso chi colpisce non ha nulla da perdere, perché poco è riuscito ad ottenere dalla vita se non cattiveria accumulata. Forse ha ragione chi dice che oggi la politica si fa anche su Facebook, ma bisognerebbe capire e usare questa piattaforma anche per controllare e soprattutto scartare da un gruppo le mele marce, quelle che portano danni più che consensi. Un buon esempio ci viene da una donna dalla chioma bionda che ben conosce le doti di calma e fermezza e che fa uso di tutto ciò con eleganza e cordialità, senza tralasciare mai anche l’informazione. Questa sua cultura spesso infastidisce chi invece altre armi non ha se non la diffamazione e il pettegolezzo, e badate bene che questo non riguarda solo le dame, politicanti o avvenenti uomini che si credono i Cruciani di Voghera, ma anche “fior di politici” che biondi i capelli non hanno, ma altre acconciature… e che proprio usando male i social si sono oscurati da soli fra un aperitivo, una cena e un dopocena. Post che spuntano e spariscono come bicchieri di champagne, supercazzole e post indecifrabili composti sotto uno stato di delirio di onnipotenza. La spazzatura fotografata dilaga anche nei post di privati cittadini che, cadendo nell’ennesima esternazione della più totale ignoranza, incolpano ASM per qualsiasi cosa ormai, anche per l’inciviltà di chi butta sacchi di spazzatura indifferenziata negli imbocchi dei cassonetti della plasti-

ca. Salendo di livello apparente, si spera in qualcosa di meglio da parte dei politici, ma anche qui si cade nel ridicolo: compaiono i sondaggi sui social suggeriti dagli stessi cittadini che si selfano vicino ai cassonetti. Le domande sono “trovi difficoltà”, “trovate comoda ed accessibile” nel nuovo sistema? Sì, la troviamo comoda e troviamo scomodi i non pagatori della Tari che, insieme agli incivili, buttano tutto dove capita. Credo che come risposta sia sufficiente ed esaustiva anche se poco politica. Ben diverse sono le liti invece per il potere vero: quello dei cassonetti. Quello delle bollette andate a rotoli. Lì si lotta seriamente. Pare ci si insulti, si nascondano carte, nomi, soprattutto ci si sputtani per un chissà quale obbiettivo. Quanto ne vale la pena finire sui giornali tutti i giorni? Probabilmente ci viene da pensare “tanto”, oppure, senza voler mal pensare, la follia sta dilagando tenendo per mano l’ignoranza e si prendono persone nel mucchio che farebbero di tutto per un anno di potere guidato da burattinai che guardano dall’alto. Ci piacerebbe sapere quali di così elevati dirigenti abbia mai letto un articolo di quotidiano che non fosse la gita di Corona nel boschetto di Rogoredo. L’istinto mi dice nessuno. L’opposizione in questa lotta non è da meno: si chiedono giustamente spiegazioni e dettagli che rimangono perennemente nell’oscurità: una lotta apparente e di una mollezza infinita se si pensa che dal lontano Gennaio 2017 le parole non hanno portato a nessun fatto. Entra nel frattempo a gamba tesa nel caos ASM

colui che che si reca alla Corte dei Conti con tanto di post e foto su Facebook: chissà quale botta per amici e parenti che fino a pochi mesi prima brindavano alla Sensia con politici e dirigenti. Finisce per la seconda volta fra selfie e brindisi, la “verde” storia d’amore che tanto aveva appassionato il pubblico vogherese, spuntano cartelli MetroMinuto con segnata la Questura che a Voghera non esiste, sorgono nuovi gruppi Facebook con notizie e commenti così imbarazzanti da ricordare quelli del lontano 2013, si fa ancora del becero classismo fra vip, figli di papà e raccomandati, delinquenti e mafiosi, senza accorgersi che l’atteggiamento mafioso è proprio nella POLITICA, non nel dipendente di ASM che ha già abbondantemente pagato con la legge da tempo. Oggi “sapere” ed ascoltare non va più di moda. La gente vuole solo il gossip, quello cattivo: si gode dei fallimenti altrui, si insultano le persone civili ed educate, si cerca la lite, lo schiaffo, l’amante e il vizio. Don Camillo e Peppone, le loro liti e i loro scherzi sono un miraggio, un sogno. La nostalgia di chi conosce la storia e la vecchia politica sale: forse sì, si mettevano le mani nella marmellata come oggi, ma le lotte si facevano in piazza, i telefonini non entravano nelle stanze dei politici e la parola era data alla gente in altro modo: chi lottava, lottava davvero e non godeva nel rispedire al mittente una nave con esseri umani disperati, ma nel vedere una rinascita di un paese ormai sfatto. di Attilio Covini


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Festivalbar a Salice Terme ed altri racconti

Lo storico Caffè Impero di Piazza San Bovo Ebbene sì, ci abbiamo preso gusto! Quel gusto malinconico dell’Amarcord dei bei tempi, come ripetono spesso i diversamente giovani, ma anche quel gusto da non perdere di una cultura e di una storia del territorio da coltivare e mantenere viva nelle memorie, di chi c’era e, nell’immaginifico, di chi è sopraggiunto in seguito. Abbiamo disturbato ancora una volta l’amico Giorgio Grandi, ma stavolta insieme a due storici amici strettissimi: Renato Ciamballi e Claudio Carocci, che sentitamente ringraziamo! Partiamo dal posto ove siamo a cena, oggi Ristorante “La Muraglia” in Piazza San Bovo a Voghera, ma un tempo... «Noi abbiamo memoria di questo posto, il Bar Impero, dagli anni ‘60, ma c’era già prima di noi, ed era di proprietà della Famiglia Giudici, gli stessi che, dopo averlo ceduto, avevano rilevato il Motel Agip, dove oggi sorge il Commissariato di Polizia, e l’attiguo distributore di benzina. L’Impero era stato ceduto a Lucio Lodigiani ed a Mario della Casa, ex Barman dell’Ariston e del locale estivo di Franco Santinoli in Piscina comunale, sempre a Voghera. Mio fratello Maurizio (interviene Claudio Ca-

rocci, n.d.r.) lo acquistò nell’88, dopo varie gestioni, e lo tenne fino al 1993». Ritornando agli anni ‘60, è vero che in quegli anni Salice Terme godeva di un appeal e di un successo assolutamente irripetibile? «(Ciamballi) Assolutamente! Inverno ed Estate! Gli Ospiti del Grand Hotel erano tutte stars del mondo dello spettacolo nazionale ed internazionale. Il concorso ippico richiamava clientela altissima da tutta Europa... Io ricordo (interviene Grandi), circa alla metà dei ‘60, una finale del Festivalbar, in estate presso La Buca, con Rocky Roberts e Dionne Warwick, tra gli Ospiti! Il tutto in diretta televisiva su Rai 2! Se è per questo (Ciamballi), anche negli anni successivi all’Ariston, a Voghera, a livello di Ospiti famosi ne ho visti davvero un sacco! E di altrettanti ho saputo nell’adolescenza, perché erano stati all’Ariston che ero troppo piccolo!». Mi faccia qualche nome... «Possiamo stare qui tutta la notte! Mina, un capodanno, Giorgio Gaber, Ombretta Colli, Adriano Celentano, Ornella Vanoni... poi, che ho visto io, mentre anche lavoravo al locale, Bruno Lauzi, in occasione di

una Veglia dell’Istituto Gallini, I Nomadi, i Camaleonti, i Dik Dik, Vince Tempera, all’epoca direttore d’orchestra della Rai, in occasione di una festa dell’Inter, ed in un’altra festa dell’Inter Fred Bongusto, la Premiata Forneria Marconi, il Banco del Mutuo Soccorso, le Orme». Io vorrei però fare un salto in avanti, e parlare con il Sig. Ciamballi del bar Nube... «Ma certo! (risata collettiva)... Il Bar Nube nasce nel ‘75, a mano dei due soci Umberto Nativi ed Ermanno Bianchi, sostituendo il precedente Bar Madama. Il Sig. Umberto poi uscirà dalla gestione, e proseguirà Ermanno in solitaria, … oddio no... con la sua famiglia». Si raccontano alcune leggende metropolitane... «No, non lo erano (risata colossale) ! Raccontarle, talvolta, suscita la sensazione che fossero irreali... Inizierò dicendole che un giorno, inizio anni ‘80, festeggiammo l’arrivo di una friggitrice per le patatine a livello industriale, per la gioia di tutti noi. Al versamento del 10mo litro d’olio, solo allora e non prima, chi stava eseguendo il lavoro si accorse che l’olio non raggiunge-

va il livello dovuto a causa della mancanza del tappo alla base della macchina... : lei può immaginare dieci litri d’olio sparsi su tutto il pavimento del bar ??!?! Ci vollero tre giorni di pulizie, e forse non bastarono!!! Oppure la sera d’estate che due buontemponi... (interviene Grandi) chissà chi erano... (riprende Ciamballi) chissà... (risata generale)». Grandi, lei frequentava il Bar Nube? «No, io no». Diceva, Ciamballi... «Questi due buontemponi, mi pare di ricordare paracadutisti a Pisa, mentre il titolare era salito a casa, sopra al bar, per prendere un pacchetto di sigarette, con la promessa di controllare l’attività in sua assenza, catturarono un gatto, randagione del quartiere, rinchiudendolo nel sotto-frigo dei gelati, ove si tenevano le vaschette di scorta. Nel frattempo, cominciavano ad arrivare gli avventori della prima parte di serata, ed i due buontemponi invitavano tutti coloro che richiedevano un gelato a scegliere il cioccolato, per terminare in fretta la vaschetta. Cosa che avvenne nei successivi 20 minuti, circa.


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Claudio Carocci, Renato Ciamballi e Giorgio Grandi All’attimo che il titolare si chinò per prendere la seconda vaschetta di gelato al cioccolato, all’apertura dello sportello del sotto-frigo, una palla gigantesca di ghiacciolini gli si catapultò sulla testa, cominciando poi a correre all’impazzata per i muri del bar, finché non riuscì a guadagnare l’uscita, con miagolii acutissimi !!! Punizione esemplare del padre del titolare al figlio, in presenza di tutti gli avventori, che rese il tutto … direi... all’”Amici Miei” Atto quarto!!! Oppure ancora quel giorno che due buontemponi in moto da cross e perfetta tenuta da gara entrarono, senza spegnere i moto-

ri, fermandosi al banco bar per richiedere i loro due caffè... O ancora un pomeriggio, quando si presentarono al Bar due sorelle della Voghera-bene, gran belle ragazze. Una si sedette al tavolino esterno, sotto i portici, l’altra entrò per ordinare... Ordinò un gelato per se, ed una bevanda per la sorella seduta fuori. Il titolare, abbagliato probabilmente da cotanta avvenenza, non si accorse di aver estratto due coni, non uno. Alla seconda palettata di gelato, la crema, molto instabile, partì a mo’ di proiettile, infrangendosi sulla camicetta della signorina! In preda al panico, con lo straccio umido del bancone, il titolare

infilò deciso una mano sotto la camicetta della sventurata, con grande imbarazzo della stessa e degli astanti, all’urlo di “ci penso io”, trasformando quel mezzo centimetro quadrato di macchia in una pozza di mezzo metro quadrato! La gentil donzella svicolò, bisbigliando un improbabile “non c’è problema, faccio un salto a cambiarmi”... Nel tentativo almeno di soddisfare la richiesta di bibita dell’altra sorella, il nostro si affrettò verso l’uscita con braccio e vassoio in tensione, inciampando rovinosamente su non si è mai capito cosa, ma inondando l’inerme signorina seduta al tavolino all’esterno di bibita ghiacciata, ed assestandole, nel contempo, una bella bicchierata sulla nuca! Strike! Le due sorelle non le rivedemmo mai più». Mi scusi Ciamballi, devo fare una pausa perché le risate mi stanno soffocando... (dieci minuti dopo...) Prego Ciamballi, riprendiamo, con moderazione, cortesemente... «Una sera, orario aperitivo, entrò un signore, distinto ed elegante. Probabilmente invitato a cena da amici, voleva una tortagelato. Nella vetrinetta delle torte-gelato ne erano rimaste due, una grande ed una piccola... Il titolare chiese “quale desidera delle due?” Il distinto signore chiese quante porzioni se ne potessero ricavare, ed in base alla risposta scelse quella più grande. Estraendo il vassoio con gesto ampio, la torta volò quasi immediatamente sulla pavimentazione: senza batter ciglio, il titolare guardò l’avventore esclamando “ora mi è rimasta quella piccola”... Qualcuno udì la fugace risposta del distinto Signore, un laconico “grazie, arrivederci”, ormai di spalle all’esterno della porta del bar. Non rivedemmo mai più neppure costui». La prego, Ciamballi... «Per Pasqua, ad esempio, arrivavano le colombine, le colombine pasquali piccole, di pasta sfoglia, che venivano posizionate sul bancone per le colazioni. Qualche bontempone, che ritengo di non aver mai conosciuto personalmente (risata generale), mentre gli “amici miei” distraevano

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il titolare, mangiava solo le testine delle colombine, facendo in modo che rimanessero ben visibili i segni delle dentate, riposizionando poi i “corpicini mutilati” nella confezione. Quando la mattina successiva venivano esposte, le facce disgustate dei clienti che le estraevano dal vano-colazioni erano, oserei dire, imperdibili». Altri bar storici vogheresi? «Posso raccontarle della cremeria Duomo, celeberrima già in quegli anni fantastici, e del suo “gelato al Rondone”». Scusi? «Sì... lei sa che il rondone, quella rondine più grossa, di taglia, del normale, ha la particolarità, data la lunghezza e pesantezza delle ali, in confronto al corpo minuto, che se tocca terra non riesce più a volare. Deve sempre fermarsi in alto, sui rami, o comunque ad una distanza da terra che le consenta di decollare. Un giorno, alcuni buontemponi, sconosciuti... (risata ormai deflagrante), trovarono un rondone ahimè deceduto sul selciato della Piazza. Immediato fu il desiderio di dar sepoltura allo sventurato volatile: e quale miglior cripta se non la macchina del gelato?! Era in lavorazione il gelato alla vaniglia. Diversi buontemponi, per caso ivi di passaggio (lascio all’immaginazione la reazione...), ordinarono una quantità industriale di gelato “al gusto rondone”, in dialetto vogherese “al gust ad rundò”, indicando il gelato alla vaniglia, ovviamente immediatamente riversa nel cestino della spazzatura, al sempre più incredulo e stizzito titolare, Giulio Montagnoli, che non comprese questa stranissima richiesta continuativa sino al termine della quantità lavorata, ritrovando un’ala, lunga e ben conservata, nella vasca di lavorazione... !!!». Molto bene, Signori... Grazie di cuore. Alla prossima... «Grazie a lei (coro dei tre moschettieri)! Felici che si sia divertito!» di Lele Baiardi


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LA “NOSTRA” CUCINA

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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro! Quando si parla di merluzzo spesso ci si ritrova con un po’ di confusione in testa. Si tratta del pesce fresco o di quello conservato? E poi, conservato come? La differenza è molto semplice e tutto parte dal merluzzo, il pesce fresco tipico dell’Atlantico settentrionale da cui si ottengono 2 prodotti diversi: il baccalà e lo stoccafisso. La differenza tra questi due è facile da individuare: il baccalà è merluzzo salato; lo stoccafisso è merluzzo essiccato all’aria. Sia lo stoccafisso che il baccalà sono lavorazioni ittiche tipiche dei paesi del Nord Europa, zona in cui viene pescato il merluzzo. La lavorazione di questo pesce inizia già sui pescherecci: in barca vengono ricavati subito i filetti dei merluzzi che, una volta a terra, verranno appesi all’aria aperta o messi sotto sale. Il baccalà viene prodotto in diverse nazioni del nord Europa come la Norvegia, la Danimarca e l’Islanda. Il merluzzo in salagione è da sempre conosciuto per la ricchezza delle sue proprietà nutritive: sin dai tempi antichi, infatti, si pensava che il baccalà fosse un valido alimento energizzante, nonché un tonico muscolare. Quel che la tradizione popolare ha per secoli tramandato, trova conferma sia dall’analisi organolettica che dal contenuto in microelementi. Innanzitutto, il merluzzo sotto sale è una fonte di proteine migliore rispetto alla carne. Ricco di proteine e povero di grassi il baccalà è un pesce magro adatto a tutti, a questo si aggiunge una bassissima disponibilità di grassi, solo 1 grammo per etto, qualità che lo rende una pietanza perfetta anche nelle più rigide delle diete. Dati i microelementi di cui abbonda, il baccalà è davvero un toccasana per la salute. E non solo d’inverno, quando il suo consumo aumenta, ma anche per aiutare alcuni dei disturbi che si manifestano tutto l’anno. Il basso contenuto in sodio nonché gli Omega 3 hanno un effetto benefico sul sistema cardiocircolatorio, sia riducendo la pressione sanguigna sia agendo attivamente sul contrasto di trigliceridi e colesterolo LDL, ovvero quello cattivo. Questo si traduce in una maggiore protezione di vene e arterie, soprattutto dal rischio d’infarto e di ictus. Al contempo, il contenuto in fosforo ha effetti specifici sulle capacità dei neurotrasmettitori del cervello, non solo aumentando memoria e concentrazione, ma anche ritardando gli effetti delle malattie degenerative che colpiscono soprattutto durante la terza età. Prodotto elaborato dalla cucina del nostro Oltrepò e spesso accompagnato con polenta, il baccalà si trova comunemente sulle nostre tavole e questo mese l’abbiamo utilizzato in abbinamento alle patate per la preparazione di un antipasto sfizio-

so con una presentazione elegante. Delizia di baccalà e patate Come si prepara: Mettiamo il filetto di baccalà in un tegame, lo copriamo con il latte e lo cuociamo a fuoco lento per circa 20 minuti. Nel frattempo cuociamo anche le patate in acqua salata. Scoliamo le patate cotte e le schiacciamo con lo schiacciapatate in un tegame, aggiungiamo il burro e qualche cucchiaio di latte caldo e mescoliamo, ottenendo una purea. A questo punto aggiungiamo la rapa rossa e amalgamiamo molto bene con una frusta fino ad ottenere un bel colore rosa acceso. Scoliamo ora il baccalà e lo mettiamo nel bicchiere del mixer, aggiungiamo qualche cucchiaio del latte di cottura ed un po’ d’olio extravergine. Frulliamo bene fino ad ottenere una mousse. Siamo pronti per la presentazione della nostra ricetta. Utilizzeremo dei bicchieri. Sbricioliamo sul fondo tre taralli integrali che ci daranno la parte croccante.

Con l’aiuto di un sac a poche aggiungiamo prima uno strato di purea di patate e poi uno strato di mousse di baccalà. Decoriamo con alcune uova di salmone e qualche germoglio di rapanello. Buon appetito!! YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni

Gabriella Draghi

Delizia di baccalà e patate Ingredienti per 4 persone: 300 g di baccalà ammollato 2 patate 1 cucchiaio di rapa rossa cotta e frullata 250 ml di latte alcuni taralli integrali alcune uova di salmone germogli di rapanello 20 g di burro olio extravergine d’oliva sale


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«Con la produzione industriale c’è stata la massificazione del gusto» Sono entrate in vigore le nuove norme per distinguere in etichetta il pane fresco da quello “conservato o a durabilità prolungata” con specifiche prescrizioni in merito alla denominazione e alla modalità di esposizione in vendita. La Coldiretti ha sottolineato che «il pane che ha subito processi di surgelazione e congelamento o che contiene additivi chimici e conservanti non potrà essere più venduto per fresco e dovrà obbligatoriamente avere una etichetta con la scritta ‘conservato’ o a ‘durabilità prolungata’. Il pane fresco è solo quello preparato secondo un processo di preparazione continuo, vale a dire che dall’inizio della lavorazione alla messa in vendita al consumatore, non debbono trascorrere più di 72 ore e deve essere privo di additivi o trattamenti conservanti». Un tempo Voghera e l’Oltrepò erano rinomati per la produzione del pane artigianale, non si poteva pensare di mangiare del buon salame di Varzi senza una bella fetta di micca o miccone. Oggi i panifici artigianali sono rimasti in pochi in città. Abbiamo incontrato Stefano Sari, che con la sorella Stefania è il titolare del Panificio Sari di Voghera. Da quanti anni il vostro panificio sforna pane fresco quotidianamente a Voghera? Stefania: «Nostro padre è arrivato a Voghera da Milano nel 1961, prima per alcuni mesi nella zona di Pombio e poi si è trasferito qui in via Plana, ha preso la panetteria in gestione da Ratto e nel 1963 l’ha rilevata, quindi sono ormai 55 anni. Era un forno a conduzione famigliare dove lavoravano mio papà, mio zio e forse un paio di dipendenti. Nel 1966 si è sposato ed anche mia mamma Rita e mia nonna hanno iniziato ad aiutarlo con la vendita. Io e mio fratello si può dire che siamo nati qui in questo forno. Circa 20 anni fa mio papà ha lasciato l’attività ed è subentrato mio fratello che attualmente è coadiuvato da 2 dipendenti per la produzione del pane, mentre io mi occupo dei dolci e della vendita con l’aiuto di una commessa. Personalmente svolgo l’attività da 30 anni». Che cambiamento c’è stato nella produzione di pane da quando vostro padre ha incominciato? Stefano: «C’è stato un notevole cambiamento. In quel periodo si vendeva tantissimo pane grosso del tipo miccone e micca tradizionali della zona e panini, semolini e le rosette soffiate perché venendo mio papà da Milano, sapeva farle molto bene. Quindi non c’era molta varietà e si vendeva solo pane. Poi negli anni la vendita è diminuita perché il pane è stato un po’ demonizzato dalle diete, le persone hanno iniziato a mangiarne meno e abbiamo iniziato la produzione di vari prodotti salati come pizza e focaccia e di dolci.

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«A Voghera ai tempi di mio papà c’erano 37 forni artigianali, oggi ne sono rimasti 7» Stefania e Stefano Sari, portano avanti l’attività del padre iniziata 55 anni fa

Negli ultimi anni c’è stata anche un’evoluzione nella varietà delle farine, abbiamo iniziato ad utilizzare farine integrali, macinate a pietra, multi cereali, farro, insomma le persone hanno incominciato diciamo a seguire un po’ “le mode” e le dimensioni delle varie forme di pane si sono rimpicciolite». Dove acquistate le vostre farine? Stefano: «Cerchiamo di rimanere sul territorio. A seconda della tipologia compriamo le farine dai Molini di Voghera, Molino del Conte e Molino Pagani. Per la lievitazione usiamo il lievito di birra, posso dire non in grandissima quantità perché preferisco fare lievitazioni lunghe, il pane è molto più digeribile. Ad esempio il nostro pane medievale, fatto con la farina macinata a pietra, ha 3 giorni di lievitazione, lo impasto il giovedì per cuocerlo il sabato. Purtroppo la tendenza oggi in genere è il voler ottenere una lievitazione molto veloce ed è per questo poi che le persone non tollerano più i lieviti». Il lavoro del panettiere è molto impegnativo, a che ora si alza? Stefano: «Apro il forno all’una di notte e lavoriamo fino all’una di pomeriggio. Sforniamo prima il pane grosso e poi via via le pezzature più piccole e le focacce. Mia sorella si occupa poi dei dolci nel pomeriggio». Si fa fatica a trovare dei giovani che vogliono fare questo lavoro? Stefano: «Ultimamente sono stato fortunato perché ho trovato un ragazzo giovane molto volenteroso che sta imparando molto bene, però i ragazzi oggi, anche dopo un corso di panificazione, non hanno manualità, non hanno idea di come funziona la professione. Hanno poi difficoltà a fare gli stages perché gli allievi possono venire alle 7.30 del mattino mentre noi

lavoriamo di notte. è un lavoro che però dà grandi soddisfazioni. Il problema è che con il pullulare di panifici industriali siamo rimasti in pochi. Pensi che a Voghera ai tempi di mio papà c’erano 37 forni artigianali ed oggi ne sono rimasti 7. Le persone che comprano il pane fresco però lo trovano molto buono, gustoso e profumato e in più c’è il vantaggio che può essere consumato a casa anche dopo qualche giorno, senza nessun spreco. Con la produzione industriale c’è stata infatti un po’ la massificazione del gusto come per molti altri generi alimentari». Cosa mi dice del prezzo del pane? Stefania: «Da quando il prezzo del pane non è più calmierato ed è libero, ognuno può mettere il prezzo che vuole. Ci sono costi di lavorazione e di materie prime e poi più il pane è preparato con farine particolari più diventa costoso per via del loro prezzo più alto. Il pane comune è quello che costa meno». Voi sfornate due prodotti di nicchia: la focaccia dolce e un pane che avete chiamato pane di Carlo Alberto o Carletto. Che origini hanno? Stefania: «La focaccia dolce ritengo sia nata proprio a Voghera. Nel corso degli anni si è diffusa un po’ in tutto l’Oltrepò ma noi l’abbiamo sempre prodotta, con molto zucchero in superficie. Noi siamo un po’ territorio di confine, la nostra focaccia salata ci viene dalla Liguria ma è diversa, è più alta, meno unta. Quella dolce è stata forse un’evoluzione, sa, un tempo le merendine non c’erano e i bambini a merenda o a colazione mangiavano o il pane con burro e marmellata o la focaccia dolce. Dal Piemonte invece arriva il pane di Carlo Alberto. Mio papà aveva trovato circa 30 anni fa su di un libro la ricetta di questo pane che lo aveva molto interessa-

to. Pare che il re Carlo Alberto di Savoia, quando soggiornava in una riserva di caccia in Piemonte si facesse cuocere un pane particolare molto saporito, impastato con noci, acciughe e pepe. Era probabilmente una variante del più comune pane con le noci. Lo producevamo in forma di filone una volta alla settimana, mentre ora lo cuociamo solo in occasione delle feste principali in forma di panino perché i gusti delle persone sono cambiati, non piacciono più molto i sapori forti». Per quanto riguarda la produzione di dolci voi seguite molto le tradizioni locali, quali sono i dolci tipici? Stefania: «Iniziamo dai panettoni classici che facciamo per Natale insieme alle busele, le bambole di pasta dolce che produciamo ancora in forma tradizionale. Tra poco ci dedichiamo alle chiacchiere perché la tradizione dell’Oltrepò dice chiacchiere a Carnevale e frittelle a San Giuseppe, poi le colombe per Pasqua e poi iniziamo a metà settembre con la produzione dei giallini perché mio papà, venendo da Milano, iniziava a farli non appena arrivava la farina gialla nuova, perché diceva che solo in questa zona erano un dolce legato ai morti. Da una decina d’anni poi mi diletto a preparare e mettere in mostra per Natale un presepe realizzato con il pane o con la pasta frolla e quest’anno ho realizzato il calendario dell’avvento con tutte le piastrelle fatte con il pane. è un mio divertimento personale. Mio fratello ed io abbiamo continuato l’attività dei nostri genitori perché abbiamo una grande passione per questo lavoro, lavoriamo tanto, con tanto amore ma siamo anche molto contenti della nostra clientela affezionata». di Gabriella Draghi


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LETTERE AL DIRETTORE

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«Con le nostre Istituzioni nemmeno i gatti han più 7 vite...» Gentile Direttore, mi riferisco al giornalino del virtuoso Comune di Broni che per voce del Consigliere Maggi a pag.20 scrive testualmente: “Un’attenzione ancora maggiore per le esigenze di chi vive nelle frazioni; continuare senza sosta contro l’incuria e la sporcizia a salvaguardia del decoro della Città”. Molte di queste parole sono state scritte in grassetto, tra cui la parola ‘sporcizia’. Ebbene concittadini questo bel gattone vi racconta una storia diversa e ... purtroppo sbugiarda il racconto a discapito della sua stessa vita! Eggià con le nostre Istituzioni nemmeno i gatti han più 7 vite. Ritorno, sperando di non annoiarvi, sempre su quel tratto di strada proprietà di tre Comuni e per questo dimenticato da tutti e 3: intendo l’ultimo ma proprio l’ultimo

dei pezzettini di Broni. Ma così ultimo che dopo l’articolo apparso qua, nello scorso numero... i Sindaci, per smentire la critica, si sono adoperati....asfaltando la strada oramai africana... ma... scordando sempre l’ultimo pezzo. E povero gatto attratto dalla pattumiera gettata da villani ai piedi del cassonetto che Broni Stradella Spa non raccoglie per oltre 2 settimane, perde la vita per ‘gola’ od ‘odore’ che son nella sua natura. Qualcuno telefona sia al Comune che alla Broni Stradella Spa senza che poi nessuno si occupi di dare degna sepoltura al povero micione. Sinchè arriva la beffa, per cui qui ancor scrivo: passa il camion dell’immonnezza e urlo: “Tirate su quella schifezza e il gatto!”... E l’autista sereno risponde pur avendolo a 2 mt dalla cabina: “Quale gatto?”. Povero gatto, spe-

Oltrepò Pavese e l’immondizia abbandonata sulle strade Egregio Direttore, chiedo ancora una volta a lei, direttore, uno spazio sul suo giornale per raccontare l’inciviltà delle persone e la latitanza delle amministrazioni comunali e degli enti preposti alla pulizia di strade e tangenziali. In occasione dei saldi, infatti, decido di fare un giro per i centri commerciali. Parto da Voghera e, già uscendo dalla città, balzano subito all’occhio fossi con erba triturata e con bottiglie, carte e borsine ben macinati. Mi immetto nella rampa della tangenziale e qui appare subito lo zenit dell’inciviltà: la spazzatura è veramente copiosa e bottiglie, lattine e borse di plastica spuntano dalle rive dei fossi come funghi, cosparse dal macinato di erba tagliata che spesso invade anche la carreggiata.

Vedo anche un copertone abbandonato che mi fa quasi compassione. Arrivo alla rotonda vicino al centro commerciale «Iper Montebello» e anche lì noto un miscuglio di erba triturata e rifiuti. Mi reco presso Decathlon e, lì vicino, trovo fossi invasi da rifiuti e dall’erba triturata. Mi sento impotente e sconsolato... Sulla via del ritorno a casa, per non farmi mancare niente, vedo un materasso scaricato nei pressi dei bidoni della spazzatura. Che dire? È uno schifo, l’unica crescita che vedo è quella dei rifiuti e non quella del Pil. Spero solo che nevichi e che la neve copra tutto. Almeno per qualche giorno potremo dire di essere in un ambiente normale. Tina Calderoli - Voghera

DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 27052 Godiasco Salice Terme (PV) - Tel. 0383/944916 www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto

cie amata da grandi e piccini che ancor restano incantati sotto Natale guardando gli Aristogatti oppure il Gatto con gli stivali per finire al cattivo di Gargamella! Ancor più amato dagli Egizi ma non dalla Asl del luogo che risponde: “Non lo tireranno su mai; prenda un sacco nero e lo butti nel cassonetto”. E così fu la fine del micio... ma... esistono i social network e il proprietario che soffre per la perdita del suo gatto va trovato! Non c’è più propaganda politica che tenga, il web si occupa dei sentimenti più di loro. Non importano più dichiarazioni inutili o nascondere l’incuria... il web si scatena in difesa del gatto. E per lui, bellissimo, famelico, fuggiasco, per lui vi scrivo e non per altro che non merita civiltà. Eleonora Calvi - Broni

Oltrepò: stop al lamento continuo! Signor Direttore, il 2018 se ne è andato, ma la lamentela in Oltrepò è sempre la stessa: i politici non mantengono le promesse etc. etc. etc. Ma scusate miei concittadini oltrepadani, siamo in democrazia! I politici li eleggiamo liberamente, per cui scaricare unicamente sul gruppo dirigente politico tutte le responsabilità della crisi che c’è in Oltrepò non mi convince. E cerco di spiegare. Se votiamo i politici sulla base di un programma clientelare una qualche responsabilità ce l’abbiamo anche noi cittadini! La storia insegna che tutte le conquiste politiche e sociali vanno mantenute con l’impegno e la vigilanza dei cittadini. Diversamente una società democratica non funziona o funziona male. Federico Piaggi - Voghera

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente. Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

Stradella: Quei botti «insani» che accompagnano il Capodanno Signor Direttore, «Semel in anno licet insanire» è un detto latino che tradotto significa come, una volta all’anno sia lecito fare cose pazze, uscire dalle usuali abitudini. Nella ricorrenza del Capodanno molti applicano questo detto festeggiando con fuochi e botti, ma il rito sta raggiungendo livelli sempre più esagerati! Un conto sono i fuochi pirotecnici un conto vere e proprie esplosioni, bombe carta che oltre a terrorizzare animali spaventano sinceramente anche gli uomini. Per non parlare di chi, anziano e magari alle prese con malanni, deve sopportare a lungo rumori assordanti e reiterati che assomigliano più a battaglie che feste. Forse è giunto il momento di fare una riflessione comune, sensibilizzare familiari e amici per contenere gli spari ben sapendo che non bastano le ordinanze dei sindaci, come pure rilevato dalla stampa, per convincerci a... insanire sì, ma con un certo giudizio! Carla Faravelli - Stradella

In Oltrepò, annunci e scritte esposti ovunque senza permesso Gentile Direttore, «I proprietari dei cani che insozzano i marciapiedi sono pregati di raccogliere le loro deiezioni!», «Fate sporcare i cani a casa vostra!», «Partecipate al salto della cacca!», «Il vero maleducato sei tu e non il tuo cane!», sono solo alcuni degli avvisi, e tra questi ho citato solo quelli con i toni meno violenti, che potete leggere semplicemente alzando lo sguardo dal marciapiede mentre passeggiate. Accanto a questi possiamo provare la nostra vista con i numerosi avvisi di vendita di case, di ricerca di terreni, di manifestazioni per l’oratorio, di spettacoli teatrali o mostre fotografiche, gatti smarriti, morti del giorno, avvisi di sospensione del gas, avvisi di elezioni, di acqua pubblica o privata, pedibus… insomma muri, cassonetti, cancelli, pali della luce, inferriate sono «addobbate» a festa con migliaia di avvisi, comunicazioni e intimidazioni. Concludo con una citazione non troppo poetica: «Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, vende o distribuisce o mette comunque in circolazione scritti o disegni, senza avere ottenuto l’autorizzazione richiesta dalla legge, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 51 a euro 309 (art. 633 del Codice penale)». Giusto per avvisare, ben inteso, senza minacce! Mauro Campagnoli - Voghera


CYRANO DE BERGERAC

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Antonio Denari capì per primo ciò che oggi in Oltrepò hanno capito in pochi: il Metodo Classico doveva diventare il traino di tutta una zona L’anno vecchio è finito ormai ma qualcosa ancora qui non va… il 2018 del mondo del vino in Oltrepò si è chiuso con l’abbraccione plastico tra gli antagonisti di sempre: il Distretto di qualità abbraccia il Consorzio sotto prezzo e (soprattutto) i politici della Regione. La motivazione è sempre la stessa: se la politica lo chiede meglio stare al gioco e leccare il retro delle figurine, chissà mai che arrivi qualche soldo per continuare a giocare con i soldatini. I soldatini sono gli ignari produttori e i contadini, che tutti quanti dispongono di qua o di là in base alla convenienza del momento. Nella realtà dei fatti non è cambiato niente a parte il nome dell’assessore regionale all’Agricoltura che, a differenza del suo predecessore che l’Oltrepò l’aveva misurato e sfidato anche in senso politico trovando una reazione degna di un museo delle cere, ha scelto – dicono gli addetti ai lavori - di ributtare soldi sull’incompiuto Centro Riccagioia e di abbandonare al proprio destino l’Enoteca Regionale della Lombardia a Cassino Po di Broni, nella quale a Milano non ha mai creduto nessuno se non il compianto Giancarlo Abelli, ultimo uomo politico dell’Oltrepò Pavese, un territorio oggi relegato al ruolo di colonia. Le festività di Natale sono trascorse così, tra belle fotografie e le solite distrazioni: spumanti svenduti sugli scaffali dei supermercati; il nuovo Testarossa di La Versa che doveva debuttare per fine anno – come da dichiarazioni rese a profusione dalla nuova proprietà Terre d’Oltrepò – ma che invece arriverà solo nel 2019; un finto tentativo di dialogo animato dal Consorzio (tanto i voti li avranno in tasca sempre i soliti noti); una finta intesa con il Distretto dei duri e puri. Niente di nuovo sotto l’albero, a parte le retribuzioni da fame offerte ai vitivinicoltori dell’Oltrepò, neanche raccogliessero tutto in pianura e a macchina. Nel mondo cooperativo locale, l’unico a essersi accorto che la vitivinicoltura di collina va pagata di più e che per farlo occorre fare progetti strategici sul vino a valore sembra essere il presidente di Torrevilla, Massimo Barbieri, che con la sua Cinquecento da corsa è partito e non si ferma. Non vuole farsi ammaliare dal canto delle sirene, anche perché il direttore d’orchestra lo conosce bene e sa che farebbe di tutto per se stesso e poco per gli altri. Un plauso per il lavoro svolto nel corso del 2018 va anche ad Alberto Carini, presidente della Cantina di Canneto Pavese, da sempre una sentinella anti monopolista e acceso sostenitore di un riequilibrio di pesi e contrappesi. Per quanto concerne Coldiretti… pardon (refuso), per quanto concerne il presidente

Andrea Giorgi, a capo del più grande polo cooperativo vitivinicolo della Lombardia, c’è da dire che in termini di tempo impegnato e di ore trascorse al telefono o su Whatsapp (con foto profilo e messaggi di stato eloquenti) è sicuramente da encomiare ma i risultati sono un’altra cosa: a Broni, Casteggio e Santa Maria della Versa i conti correnti dei soci sono al lumicino. Non basta fare spallucce e descrivere quanti protestano come un gruppo di decerebrati. Non fosse per Cavit insieme ai grandi imbottigliatori del “tutto a pochi euro” e il fatturato di sussistenza che garantiscono la maxi cantina sociale sarebbe, forse, un’ex cantina sociale. L’acquisizione di La Versa non ha cambiato la musica: lo scorso anno nemmeno

una grande manifestazione culturale per ricordare il decennale della scomparsa del Duca Denari, padre nobile di La Versa e uomo marketing ante litteram del Pinot nero Metodo Classico in Oltrepò. Denari ha segnato in modo indelebile la storia recente del vino oltrepadano: è lui, infatti, il fondatore del Consorzio poi divenuto di Tutela; è lui ad aver presieduto per oltre 20 anni, con impronta nobile, la Cantina sociale «La Versa» trasformata in uno dei marchi storici dello spumante. Negli anni Ottanta aveva vissuto il punto culminante di una missione che lo aveva impegnato a: far comprendere all’Italia e al mondo che il Pinot nero d’Oltrepò, prodotto pregiato e richiestissimo dai grandi spumantieri, meritava attenzioni speciali perché la competizione

era solo con lo Champagne e nessun altro in Italia. Nel 1971 divenne presidente della Cantina La Versa (non la sigla di adesso, quella di allora) di cui era uno dei soci più battaglieri sin dal 1951. Rimase poi alla guida del colosso delle bollicine locali fino al 1994. Nel 1977 con un manipolo di produttori (tra cui Carlo Boatti di Monsupello, l’azienda rimasta fuori dal Consorzio alle ultime elezioni perché non votata dai grossi) fondò il Consorzio Vini Doc. La sede storica era in piazzetta San Francesco a Broni. Denari fondò anche l’Ascovilo (l’associazione di tutti i consorzi del vino di Lombardia fatta eccezione per la Franciacorta che non ne fece mai parte). Per merito e standing venne eletto per acclamazione presidente dell’Istituto dello Spumante Classico Italiano. Nel 1987 Denari coronò il suo sogno portando al Castello Visconteo di Pavia la prima tappa di una mostra itinerante dedicata allo spumante italiano. Ancora oggi viene ricordato come l’evento più significativo per il vino d’Oltrepò. Negli anni Novanta, esausto, il Duca del vino uscì di scena da gran signore di un’epoca pre Facebook e pre fenomeni da Whatsapp. Antonio Denari capì per primo ciò che oggi in Oltrepò hanno capito in pochi: il Metodo Classico doveva diventare il traino di tutta una zona spingendo le aziende ad elevare il proprio impatto qualitativo e d’immagine sul mercato. C’era La Versa a sostenerlo, a dimostrare che i grappoli di Pinot nero potevano essere lavorati e finire nelle bottiglie in Oltrepò anziché in Piemonte o in altre zone di Lombardia. Ci voleva classe per affermarlo. Oggi l’Oltrepò è il quarto territorio produttore di vino in Italia, peccato lavori per gli altri, per pochi centesimi al litro, tradendo l’eredità calpestata del Duca Denari. Persino la tracciabilità è un problema e in merito alle riforme meglio riparlarne all’infinito che fare scelte con coraggio e lungimiranza. Bisogna che tutto cambi, perché tutto resti come prima, o forse peggio. Una buona notizia comunque c’è: l’anno che sta arrivando tra un anno passerà.



OLTREPò PAVESE

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Sono tante le eccellenze d’Oltrepò. E Paolo Massobrio le conosce tutte… Giornalista enogastronomico fra i più affermati, Paolo Massobrio è un fine conoscitore dell’Oltrepò Pavese, dove sono in molti a reputarlo un amico e a stimarlo. Nel corso della sua carriera non si è limitato alla semplice attività giornalistica, ma può annoverare nel curriculum importanti iniziative editoriali e manifestazioni ormai consolidate. Due su tutte: il Golosario (volume che ogni anno raccoglie ‘‘mille e più ghiottonerie e vini’’, oltre a consensi unanimi) e Golosaria, la fiera enogastronomica che tocca varie località del nord Italia. Ma l’elenco sarebbe davvero lungo. Proprio in virtù di tali esperienze e competenze, le sue opinioni godono di grande considerazione negli ambienti dell’enogastronomia. Se non un oracolo, poco ci manca. Abbiamo scambiato con lui qualche pensiero, alla ricerca - se non di qualche profezia - di una speranza: quella che l’Oltrepò Pavese non venga riconosciuto dagli osservatori come una terra di lotte senza quartiere e senza futuro; ma in virtù soprattutto delle cose buone che questo territorio riesce ad esprimere. Che sono tante. E il Massobrio le conosce tutte. Golosario, la guida enogastronomica che racconta le eccellenze enogastronomiche del nostro paese, compie con l’edizione 2019 il venticinquesimo compleanno. Dalle 100 realtà descritte nel 1994 oggi siete arrivati a ben 1670, con la segnalazione di ben 10mila referenze. Indice questo non solo che l’eccellenza (r)esiste nel nostro paese, ma pure che si è sviluppato un piccolo esercito di collaboratori, affidabili e di esperienza. Ci sveli, se può, un segreto: come fate a scovare le chicche che suggerite, poi, nel Golosario. «Il segreto è che intorno alla mia attività giornalistica, o meglio al giornale Papillon, è nato un movimento di consumatori, il Club di Papillon, che si è radicato in varie parti d’Italia. Questa è una vera e propria lente di ingrandimento sui territori che mi ha agevolato nei viaggi e nella conoscenza dei vari prodotti. Tuttavia Il Golosario è cresciuto in foliazione non per l’aumento dei collaboratori ma per il boom del settore che ha visto tanti giovani dedicarsi in varie forme all’agroalimentare». Ci anticipi almeno alcune delle eccellenze oltrepadane che è possibile trovare sulla guida. «Rischiando per qualcuno la banalità, dico che il Salame di Varzi è sempre una sorpresa. Lo abbiamo portato anche in Giappone ed è stato un successo. L’altro giorno sono stato nella miglior boutique del gusto d’Italia, dai fratelli Damini ad Arzignano ed erano entusiasti, come me, dei formag-

«Mi piacerebbe poter dare una mano, ma non si trova mai la maniera giusta o l’interlocutore che si appassioni a fare sistema»

Paolo Massobrio, giornalista enogastronomico

gi del Boscasso di Ruino che hanno raggiunto una sorta di perfezione. Il riso non lo annoverate fra i prodotti oltrepadani, ma è bene sapere che a Gropello Cairoli c’è il numero 1 assoluto del riso mondale che trae il riso dalla riserva San Massimo. E poi i vini dell’Oltrepò: tre annate consecutive di Bonarda strepitose; la grandezza del Buttafuoco; il Riesling che è una chicca tutta del territorio e naturalmente il Pinot nero nelle declinazioni brut. Fantastici. Alcuni campioni champagneggiano. E nessuno si fila il Sangue di Giuda, che a me personalmente piace molto». Golosaria, la fiera enogastronomica nata proprio dall’esperienza della guida, è una realtà che ormai macina numeri importanti, nelle sue varie declinazioni - milanese, monferrina, veneta. Crede che iniziative di questa risma potrebbero vedere la luce anche nell’Oltrepò Pavese, dove non esiste alcun grande evento enogastronomico, eccezion fatta per le sempre più piccole feste di piazza? «Non credo. E lo dico con rammarico. Ma il tasso di litigiosità che poi diventa scarsa operatività, in questo territorio, è davvero altissimo. Troppe iniziative fanno il passo del gambero. Mi piacerebbe poter dare una mano, ma non si trova mai la maniera giusta o l’interlocutore che si appassioni a fare sistema». Qual è per lei, che può osservare l’Ol-

trepò un po’ dall’esterno, la bandiera enologica del nostro territorio? Sa, non riusciamo a metterci d’accordo. Per molti è ancora la Bonarda (ferma o mossa?). Per altri è il Pinot - anche per una questione di superfici vitate – a dover fare la parte del campione, sia vinificato in nero che in bianco. Ma poi, è così importante avere una bandiera? «È importante avere un’identificazione, questo sì. Molti hanno abbandonato la Barbera e non si capisce perché. Comunque la Bonarda è una goduria assoluta, mentre i brut da Pinot nero in purezza sono davvero eccellenti. Quest’anno ne ho assaggiati moltissimi. Trovo invece una discrepanza fra produttore e produttore sul Pinot nero vinificato in rosso. Vertici davvero pochi».

«Il Salame di Varzi è sempre una sorpresa. Lo abbiamo portato anche in Giappone ed è stato un successo»

Quanto alle tipicità alimentari, vorrei affrontare con lei il tema delle De.Co. (Denominazioni Comunali), grande intuizione di Veronelli. Credo sempre più spesso vengano “male interpretate”, per così dire, rispetto all’idea originaria. Dovrebbe essere uno strumento ottimo per preservare quei prodotti che sono davvero parte della storia di una comunità, e metterne nero su bianco un minimo di disciplinare. Invece vengono trattate alla stregua di un marchio se non - e mi scuso per il francesismo - di una marchetta elettorale alla gelateria o alla panetteria di turno. In Oltrepò ne abbiamo alcuni esempi. Nota anche lei un po’ di svalutazione, cui occorrerebbe mettere mano? «Io spero che in questa legislatura il ministro Centinaio, che è di queste terre, voglia dire una parola chiara su questo bene collettivo che è la denominazione comunale. Che non è un marchio, ma un semplice riconoscimento, un censimento di ciò che caratterizza, produttivamente parlando, una comunità. È un flatus voci che poi può creare fenomeni più interessanti fra produttori, partendo proprio dal patrimonio storico del proprio comune. Ma finché da una parte ci sono i funzionari ministeriali che per non avere rogne dicono che non si possono fare e la politica che non dice una parola chiara su una cosa che esiste di fatto, come il nome e cognome che portiamo, restiamo nella condizione che lei denuncia. E nel chiaroscuro c’è sempre qualcuno che se ne approfitta». di Pier Luigi Feltri


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casei gerola

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«Ex zuccherificio, area divisa in due per facilitarne la vendita» Insieme al 2018 per il comune di Casei Gerola è finita la possibilità di vedere attuata la famosa riconversione dell’ex zuccherificio. Il 31 dicembre infatti scadeva l’autorizzazione, rilasciata dalla Provincia, per la costruzione e la messa in funzione di una centrale per la produzione di energia elettrica che utilizzasse materiale di origine esclusivamente vegetale. Un progetto di cui si è parlato molto negli anni successivi alla chiusura del maxi impianto, ma che è rimasto sempre sulla carta. Troppi i dubbi e troppo poche le reali prospettive di guadagno. «Probabilmente i proponenti, venuti a meno gli incentivi statali, non hanno più ritenuto l’iniziativa sostenibile dal punto di vista economico» commenta il sindaco Ezio Stella, giunto agli ultimi mesi di mandato. Se un capitolo si è chiuso forse definitivamente, per il piccolo centro oltrepadano resta da gestire la complicata eredità burocratica che il tentativo di riconversione ha creato, con numerosi terreni che nel corso degli anni erano stati trasformati, su richiesta dei proprietari, in aree destinate ad accogliere attività produttive. Sindaco Stella, ora che la riconversione non si fa più che ne sarà di quei terreni? «A febbraio sarà approvato dal consiglio comunale il nuovo Piano di Governo del Territorio, che prevede tra gli aspetti fondamentali proprio il ritorno ad una destinazione agricola di diversi terreni che in passato, su richiesta dei proprietari, avevano avuto un cambio in aree per attività produttive». E dei terreni su cui sorgeva lo zuccherificio invece cosa dice? è un’area mastodontica, da 400mila metri quadrati, per la quale risulta difficile intravvedere prospettive di recupero concrete… «Il destino di quell’area è interessato dal secondo provvedimento che verrà preso nel nuovo Pgt. La proprietà dell’area su cui sorgeva lo zuccherificio ha infatti chiesto che l’ambito di trasformazione produttivo sia suddivido in due sotto ambiti, mantenendo però l’attuale destinazione, ossia ambito di trasformazione produttiva». Un tentativo di “snellirla” sperando di incentivarne l’acquisto? «Uno scenario plausibile, probabilmente si ritiene che la soluzione proposta faciliti una futuro riutilizzo dell’area magari in momenti successivi». Cambiamo fronte. Fino ad ora di grandi piogge o nevicate non se ne sono viste, ma la doppia esondazione del Curone nel 2014 è ancora fresca nella memoria collettiva. Sono state effettuate opere importanti di prevenzione e messa in sicurezza? A che punto sono i progetti? «Dopo le due alluvioni del 2014 sono stati fatti interventi di consolidamento degli ar-

Ezio Stella, al suo ultimo mandato da sindaco

gini a difesa del centro abitato da parte di Aipo. Di primaria importanza è comunque la pulizia dell’alveo che deve essere ripetuta almeno ogni due anni, come d’altra parte sta avvenendo. Inoltre, grazie al procedimento avviato dall’amministrazione comunale, a molti privati sono stati erogati indennizzi per i danni subiti». La sua esperienza da sindaco volge al termine. Il suo futuro? «è ancora presto per parlarne». Se dovesse tracciare un bilancio, come sarebbe? «I bilanci vanno fatti tenendo conto del programma con cui ci siamo presentati cinque anni fa all’esame dei nostri compaesani. Preferisco parlare di cose concrete: ogni anno abbiamo predisposto un piano per la manutenzione delle strade. Diverse sono state asfaltate, sia nel capoluogo che nella frazione, e la sistemazione del porfido in via Mazzini, con una spesa nei 5 anni superiore ai 200 mila euro. è stato costruito un nuovo lotto di 54 loculi presso il Cimitero del Capoluogo, dove è stato anche sistemato l’ingresso principale. Si è provveduto alla ristrutturazione della Palestra Comunale compresi gli spogliatoi. Interventi anche agli edifici comunali con la sostituzione di tutti i serramenti esterni della biblioteca comunale e la verniciatura della scala del palazzo municipale. Sono stati resi agibili , e quindi assegnati, alcuni alloggi di edilizia residenziale pubblica fortemente danneggiati dall’alluvione del torrente Curone. Inoltre è stato realizzato un passaggio riservato ai pedoni sulla via

Mazzini in un tratto particolarmente pericoloso». Qualcosa di cui va particolarmente fiero? «Degli interventi in campo socio assistenziale. Sono continuati i servizi a favore degli anziani, dei minori e dei disabili, sia per quelli che hanno bisogno di assistenza presso il proprio domicilio e sia per quelli che hanno bisogno di assistenza presso strutture. è stato costituito in locali comunali, grazie alla disponibilità di una volontaria, un centro ricreativo per anziani. è continuata la collaborazione con l’Associazione Assistenziale Aiutiamoci Casei Gerola e con la fondazione Carena che gestisce il servizio di Scuola Materna e Asilo Nido. Ogni anno sono stati finanziati i progetti educativi proposti dagli Insegnanti della Scuola Primaria e Secondaria Inferiore: educazione musicale, attività motoria, sportello psicologico, lettorato di lingua inglese, progetto contro il bullismo. Sono stati confermati i servizi di scuolabus, mensa, pre e post scuola». Del centro sportivo che aveva sospeso le attività che dice? «L’attività è ripresa con l’affidamento del servizio ad una nuova società. Così pure è ripresa l’attività della Pro Loco con cui l’Amministrazione ha collaborato nella realizzazione di diverse iniziative. Collaborazione che c’è stata anche con le altre Società Sportive e Ricreative che operano in paese». Esistono progetti per il rilancio del Parco Le Folaghe?

Il sindaco Stella:«Con il nuovo Pgt i terreni circostanti torneranno a destinazione agricola» «Dopo l’approvazione del Piano del Governo del Territorio l’Amministrazione Comunale dovrà approvare il nuovo piano particolareggiato che riguarda proprio il Parco Locale di Interesse Sovracomunale le Folaghe. La Regione ha avviato un procedimento per un nuovo ordinamento dei parchi regionali, e noi abbiamo chiesto e ottenuto di mantenere l’autonomia del nostro parco. Ora nel nuovo piano particolareggiato occorrerà definire i nuovi interventi per migliorare ed incrementare l’utilizzo di questa importante area verde che è stata riconosciuta parco dalla Regione nel 1998». di Christian Draghi


LUNGAVILLA

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#oltrepochefunziona I giovani e l’agricoltura Da sempre, quando si parla di Oltrepò, si parla di vino e difficilmente dell’agricoltura di pianura dove già i Liguri coltivavano e raccoglievano cereali. Oggi più che mai, con un Ministro dell’Agricoltura pavese doc, dobbiamo dedicare la massima attenzione allo sviluppo di un’attività che, insieme a quella vitivinicola, rappresenta il fulcro dell’economia locale. Siamo abituati a pensare all’agricoltore come persona anziana, legato alla tradizione e non orientato all’innovazione. Nulla di più sbagliato. La testimonianza diretta arriva dalla nuova generazione, ben rappresentata da Riccardo Lodigiani, classe 1990, di Lungavilla. Riccardo, i suoi 29 anni parlano da soli della sua passione. Sul suo profilo Facebook capita spesso di apprezzare immagini bellissime delle nostre campagne. Da quando è nato il suo amore per l’agricoltura? «Sono nato e cresciuto tra campi e trattori e ho avuto la fortuna di poter fare della mia passione, il mio lavoro. L’azienda nasce negli anni ‘30 con mio nonno che ha iniziato come contoterzista, mio padre ha poi avuto il coraggio di fare il primo passo per creare una propria azienda ed è partito con la coltivazione di barbabietola da zucchero, cereali e foraggi. Io sono subentrato nel 2010, subito dopo il diploma di perito agrario conseguito al Gallini di Voghera. Dal 2014 l’azienda che ha un estensione di circa 120 ettari, è stata interamente convertita al metodo biologico».

Riccardo Lodigiani, classe 1990

all’aratura, alla preparazione del terreno e finendo con la semina dei cereali autunnali». Mi ha parlato dei grandi sacrifici, specialmente per un giovane, che sono richiesti in questa attività. Lei comunque riesce ad essere social, ad avere una bella compagnia, a vivere a stretto contatto con la sua famiglia e al tempo stesso dedicare ore e ore al lavoro: ma non dorme mai? «Le dico solo che in questi periodi si ha poco tempo per il riposo perchè si lavora 7 giorni su 7, a volte anche 20 ore al giorno sempre in balia delle condizioni climati-

Lino Fiorito Mi racconta la sua giornata tipo? che». «L’agricoltura segue i ritmi della natura; L’innovazione è possibile, anzi auspicainiziamo i lavori con le semine di Febbrabile, anche in agricoltura? io, Marzo e Aprile ma l’impegno maggio«Fino al 2017 potevo vendere il mio prore parte a Maggio con l’avvio della fiedotto soltanto sfuso, quindi per dare un nagione, continuando nei mesi estivi con valore aggiunto al mio lavoro, nel 2018 la raccolta dei vari prodotti, per passare ho realizzato un laboratorio polifunziona-

le in cui posso lavorare, confezionare ed etichettare direttamente la materia prima. Grazie a questo intervento è possibile acquistare da noi patate e confezioni di semi di lino, farro, ceci, ceci neri, lenticchie, fagioli borlotti, cannellini e dall’occhio e le farine macinate a pietra di grano tenero, farro e mais, tutto rigorosamente coltivato con il metodo biologico. Possiamo dire con orgoglio che oltre a clienti privati, i nostri prodotti sono stati provati e apprezzati anche dalle cucine di diversi ristoranti della zona». Lei fa parte del comitato di promozione della zucca berrettina, riscoperta grazie al suo impegno e a quello di Manelli. Il successo sempre crescente del prodotto a cosa è dovuto? «Otto anni fa ho iniziato a coltivare non solo prodotti destinati all’industria ma anche la famosa zucca Berrettina di Lungavilla. Fino a 40 anni fa era coltivata un po’ da tutti, poi è stata abbandonata perché si è visto che era un prodotto poco redditizio. Ad occuparsi della riscoperta di questo ortaggio è stata nel 2007 l’Associazione della Zucca Berrettina, che ha come presidente Emilio Manelli, avvalendosi della collaborazione di 2 prestigiosi enti, l’ENSE ed il CRA. L’Associazione si occupa anche della promozione di questo prodotto partecipando a eventi sparsi sul territorio e in primis attraverso quello che per noi è l’evento più importante dell’anno ovvero la Festa della Zucca Berrettina la quale si svolge tutti gli anni la prima domenica di ottobre e che nel 2018 ha raggiunto l’11 edizione. Ogni anno contiamo intorno alle 900 presenze per il pranzo a base di zucca e abbiamo migliaia di visitatori che arrivano

anche da lontano appositamente per venire a comprare il nostro prodotto. Ad affiancare l’Associazione della Zucca c’è l’associazione dei produttori composta oltre che dalla mia azienda, dalle aziende Chiossa, Campanini e Vidali; assieme dedichiamo alla zucca un totale di 4 ettari di terreno di cui circa 2 ettari sono parte della mia azienda e gli altri 2 sono suddivisi tra gli altri 3 produttori. Dalla zucca ricaviamo anche squisite confetture al naturale, con zenzero e con cioccolato e la Calcabir, una birra artigianale prodotta dal birrificio di Montegioco. Dopo aver visto il grande afflusso di persone che venivano da noi in azienda per comprare la zucca e i suoi derivati, ho deciso di introdurre nuove colture da proporre direttamente al consumatore finale. Il suo ultimo progetto? «Visto che l’inverno in genere è sempre stato un periodo tranquillo in cui ci si dedicava alla manutenzione e allo svolgimento della pratiche burocratiche, abbiamo pensato di trovare il modo per occupare le nostre giornate partecipando a mercatini e realizzando cesti natalizi con i nostri prodotti.

Fiore di zucca berettina

Queste composizioni hanno avuto successo perchè sono un regalo diverso dal solito, contengono prodotti biologici che servono anche a valorizzare il nostro territorio e generalmente piacciono a tutti. Vista il riscontro positivo che abbiamo avuto, stiamo già pensando a nuove idee e nuovi prodotti da proporre ai nostri clienti nella stagione che verrà». Grazie Riccardo, per averci trasmetto tanta passione per una attività importantissima per il territorio. è anche grazie a lei che possiamo affermare, ancora una volta che c’è un #oltrepochefunziona. di Gianni Maccagni


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Ad assistere alla 6 Giorni d’Enduro arriveranno persone di ogni nazionalità Paolo Buscone nato a Voghera il 04 aprile del 1994 e residente a Voghera. La sua è una famiglia “da corsa” padre e fratelli appassionati e praticanti di rally ed enduro, 4 e 2 ruote, per non farsi mancare niente nel motorsport. Paolo appassionato da sempre di enduro, attualmente corre per il Motoclub Pavia, ricorda con un pizzico di nostalgia la prima gara del settembre del 2011, ma a Paolo Buscone brillano gli occhi quando gli si chiede di raccontare la sua partecipazione alla 6 Giorni di Enduro nel 2017, a Brive la Gaillarde, in Francia. Per ogni “endurista” essere selezionato per partecipare alla 6 Giorni è un sogno, un traguardo sportivo. Paolo Buscone ha partecipato all’edizione numero 92 di questa fantastica ed iconica gara, la storia della 6 Giorni, una vera e propria olimpiade dell’Enduro, inizia nel 1913 a Carlisle nel Regno Unito e… nel 2020 l’edizione numero 95, avrà quartier generale a Rivanazzano Terme, e si svolgerà in gran parte in Oltrepò. Per Rivanazzano Terme e soprattutto per l’Oltrepò un “colpaccio”, a livello sportivo, ma soprattutto a livello pubblicitario, turistico e d’indotto economico che una manifestazione importante come la 6 Giorni porta. A Paolo, abbiamo voluto chiedere, non tanto l’aspetto sportivo inerente la gara, ma l’aspetto turistico, l’aspetto ambientale, cosa ha visto e recepito lui, durante la partecipazione all’olimpiade della moto a Brive la Gaillarde. Cosa vuol dire, per chi pratica da sempre l’Enduro ed è appassionato di questo sport, partecipare a una Sei Giorni? «È un sogno che si avvera, è come per un calciatore arrivare a giocare il mondiale». Traguardo raggiunto nel 2017 «Nel 2017 a Brive la Gaillarde, nel sudovest della Francia, vicino a Tolosa». Se dovesse descrivere, in poche parole, cosa vuol dire, dal punto di vista dell’impegno sportivo, partecipare a una Sei Giorni? «Un grosso sacrificio!». Perché? «Pensavo di non riuscire a finire la gara, dal punto di vista fisico ti mette alla prova. Credevo di essere molto preparato fisicamente, ma forse ero preparato per i primi due giorni. Non so i professionisti come abbiano fatto a raggiungere una preparazione del genere». Quanto tempo prima ha saputo di dover partecipare alla gara? «Un mese e mezzo prima, erano i primi di luglio. Ho sostituito un ragazzo che si era fatto male, forse avrei partecipato ugualmente, comunque mi sono preparato in un mesetto circa». Quanti giorni prima della gara è arrivato a Brive la Gaillarde?

Paolo Buscone

«Otto giorni prima, sono partito il 20 di agosto e la gara iniziava il 28. Complessivamente mi sono fermato in Francia un paio di settimane». Ci spieghi il “back stage”, dove eravate alloggiati e quanto ha speso il Motoclub? «Eravamo alloggiati in un residence a circa 60km, perché non c’era più posto nelle vicinanze. Bisogna riflettere sul fatto che il Motoclub ha iniziato un anno prima ad organizzare la trasferta, ma c’è gente che si muove ancora prima! Ogni pilota al Motoclub sarà costato all’incirca sui 3mila euro, per quindici giorni di trasferta». In quanti avete partecipato alla Sei Giorni, complessivamente? «Eravamo in 750, il limite massimo di partecipanti consentiti dal regolamento». Quanti meccanici c’erano? «Prendo il mio caso: noi eravamo in sei piloti, due squadre da tre piloti, e avevamo

circa 4 meccanici in totale». All’incirca, da quanti membri è composto il team che segue una moto? «Almeno dalle due o tre persone per pilota. Ci sono scuderie ufficiali che ne contano qualcuno in più». Seguono solo la gara o come i piloti arrivano sul posto con qualche giorno di anticipo? «Arrivano un paio di giorni prima della gara, complessivamente una decina di giorni contando la settimana della gara e il giorno seguente la fine». Voi piloti immagino che arrivavate a sera esausti, il vostro team? «Andavano a feste di paese, hanno visitato le città…». Tutti i paesini lì attorno organizzavano feste o manifestazioni per l’evento oppure no? «No, di eventi particolari non ne hanno fatti».

Avete riscontrato questa tendenza solo in Francia o accade normalmente? «Non vorrei dire una stupidaggine, ma credo che sia la normalità. Detto da un pilota che era esausto dopo la giornata di prova e che andava a letto presto perchè la sveglia suonava all’alba!». Secondo lei potrebbe essere un valore aggiunto organizzare eventi o feste per gli appassionati? «Sì, perché al di là dei piloti c’è molta gente che assiste alle gare e che potrebbe la sera partecipare a queste manifestazioni». Normalmente quanti spettatori, tifosi o appassionati, si muovono per seguire le gare di enduro? «Avevo letto che giornalmente assistono circa 20.000 persone». Immagino che non fossero solo francesi, gente del posto. «Arrivavano da tutte le parti, svedesi con il camper, danesi. La cosa che mi è rimasta impressa è che transitando nel percorso, in mezzo al paese, tutti gli abitanti erano fuori ad incitarti ed indicarti la strada giusta». Per cui c’era una grande partecipazione anche da parte degli abitanti del luogo. «Sì, un tifo indiavolato, facevano foto, filmati… insomma una partecipazione molto calorosa». Crede che possa succedere anche in Oltrepò questo? «Me lo auguro! In Francia erano tutti lì ad incitarti, qui da noi di gente che ti incita… mentre passi… ne ho vista poca. Ma è pur vero che gare importanti e coinvolgenti come la 6 Giorni, qui da noi non ne sono mai state organizzate». Una perplessità: l’Enduro si corre su strade sterrate e sentieri, in Oltrepò ce ne sono moltissimi, di cui molti impraticabili. Pensi che gli organizzatori renderanno praticabili sentieri ad oggi mal messi? «Sicuramente, oltre al percorso di gara potrebbero creare dei tagli in base alle condizioni climatiche, se piove devono esserci delle strade alternative. Puliranno e allargheranno, molto probabilmente, le strade ed i sentieri già esistenti». Dopo la gara si dice che questi percorsi vengono ripristinati, ci spieghi meglio. «In alcuni sentieri, dopo la gara, possono formarsi buche e gli organizzatori si impegnano a ripristinare “i danni” causati dalle moto». È normale, si verifica sempre, questa operazione post-gara? «Questo di norma dovrebbe essere il modus operandi, io sono stato abituato dal Motoclub a procedere in questo modo. Si pulisce la strada prima della prova e la si riassesta dopo, anche perché non lasciare il percorso come lo si è trovato compor-


RIVANAZZANO TERME terebbe dei problemi per la gara successiva». Questi sentieri o percorsi che voi utilizzate per le vostre gare sono solo percorribili da pedoni o anche da fuori strada, macchine in generale? «Anche da veicoli, si passa da piccoli sentieri a tratti percorribili anche da fuori strada di grosse dimensioni, anche trattori…». Per i moto club dell’Oltrepò, per l’Oltrepò e per Rivanazzano, quartier generale della prossima Sei giorni è un colpaccio! Secondo lei questo può essere un colpo pubblicitario anche per l’Oltrepò Pavese? Mi parli, per fare un paragone, di quando è stato in Francia: che risonanza ha avuto sui giornali, sulle televisioni la gara di Enduro? «Spero che sia un trampolino di lancio per l’Oltrepò. In Francia le televisioni ed giornali hanno dato ampio spazio alla gara, ma questo non solo i giornali ed i media francesi, ma quelli di un po’ tutto il mondo, insomma c’era attenzione per l’evento». Gli appassionati di enduro oltre all’acqua, bevono? Mi spiego meglio, potrebbero apprezzare il vino oltre padano? «Penso di sì… se i prodotti sono validi potrebbero anche essere acquistati e portati a casa. Vi dirò di più, molti secondo me potrebbero tornare in vacanza dopo la gara. Io sono andato in Francia e sicuramente tornerò a visitare i luoghi in cui ho corso, ma anche i posti bellissimi che ho avuto l’occasione di conoscere. Purtroppo stavo partecipando ad una gara molto importante e non ho avuto modo di guardarmi troppo in giro e per questo dico che sicuramente farò ritorno». Tra i partecipanti alla gara del 2011 quanti erano stranieri? «60% stranieri, la restante parte francesi». I tifosi? «40% stranieri». L’appassionato tipo che segue la gara? «C’erano tanti ragazzi giovani ed anche famiglie… comunque seguire la gara è faticoso bisogna fare tanta strada. Secondo me vicino alle prove speciali bisognerebbe creare dei punti di ristoro per i tifosi e per quelli che seguono i piloti che devono stare lì, magari tutto il giorno, ad aspettare i piloti. Va bene la passione però…». Anche in Oltrepò la gara prevederà lunghi spostamenti o sarà più concentrata? «Secondo me sarà più concentrata, perché la conformazione del territorio è diversa”. Lei che ha vissuto l’esperienza da pilota con tanto di cerimonia di partenza, cerimonia d’arrivo. Ha visto un coinvolgimento dei politici della zona oppure no? “Politici che si sono messi in mostra no, ne all’arrivo ne alla partenza». Si dice che il parco assistenza, il quartier generale di questa manifestazione sarà l’aeroporto di Rivanazzano Terme. Tutta gente che gravita intorno alla manifestazione dove mangia, dove beve? «In Francia c’era un grande ristorante vicino al parco assistenza e molti andavano lì. Noi che eravamo sempre in giro per le prove e ci fermavamo nei ristoranti dei paesini a mangiare, durante i giorni di visionamento prima della gara. Inviavamo la posizione del ristorante dove ci eravamo

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fermati ai nostri meccanici così, durante la gara sapevano dove andare a mangiare vicino al percorso della prova». Nell’Enduro si usa benzina “normale” avete fatto rifornimento sul posto? «Abbiamo fatto rifornimento sul posto, anche gli americani che sono soliti portarsela, hanno fatto rifornimento ai distributori francesi». In Francia il movimento dei Verdi è molto forte, ha visto manifestazioni o contestazioni da parte dei Verdi durante la sei giorni? «No, forse perché l’Enduro in Francia è particolarmente sentito. Comunque ho notato, ad esempio, che il percorso era delimitato da fettucce biodegradabili, c’è stata grande attenzione all’aspetto ambientale». Sono tanti i Motoclub dell’Oltrepò e della provincia di Pavia che parteciperanno alla manifestazione, ma va da sé che la gara sarà a Rivanazzano e quindi sarà il Motoclub di Rivanazzano ad avere maggiore visibilità. «Il Motoclub ValleStaffora è l’ultimo nato quindi dovrebbero organizzare insieme al Motoclub Pavia e il Motoclub Alfieri, con l’aiuto anche di tutti gli altri motoclub oltrepadani. Sicuramente il Motoclub di Rivanazzano darà un contributo importante all’organizzazione della gara, anche se è l’ultimo nato è formato da gente appassionata e preparata, sono certo che sarà in

prima linea ad aiutare e a dare il proprio contributo». Secondo lei i Motoclub dell’Oltrepò parteciperanno alla 6 Giorni di Rivanazzano? «L’iscrizione e la possibiltà di partecipare alla gara è in base al ranking. Il Ranking è un sistema introdotto dalla Federazione Motociclistica come metodo di calcolo della posizione di un pilota all’interno di una lista di livello nazionale ed internazionale. Esso si basa infatti sui risultati ottenutidi ogni singolo pilota. Il vantaggio tecnico di tale sistema consiste nel fatto di ottenere automaticamente un censimento completo di tutti i piloti partecipanti alle gare di enduro, semplificando per i motoclub organizzatori le operazioni di iscrizione e di gestione dei piloti. Ritengo che alcuni Motoclub dell’Oltrepò potrebbe partecipare, in base ai valori del ranking anche, magari , solo con una squadra». A lei e ai suoi sponsor quanto è costata la sei giorni, al di là delle spese sostenute dal Motoclub Pavia? «Sono state tante le spese sostenute dal Motoclub, più o meno 5mila euro, mille di iscrizione, mille di spese per vivere là quindici giorni escluso l’albergo, la revisione della moto millecinquecento, benzina, gomme… poi io ho speso, cercando di non buttare soldi, altri mille euro. Riten-

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go che ogni pilota spenda dai 7 ai 10mila euro». Normalmente ogni pilota da quante persone è seguito? «Almeno due o tre, in media». C’erano prove in torrente? «No, in Francia c’era solo un tratto di trasferimento in un torrente, ma normalmente le prove nei torrenti ci sono». Qui ci saranno prove nei torrenti? «Potrebbero benissimo farle, lo spazio c’è». Ci sono state polemiche l’anno scorso a Rivanazzano per la manifestazione KTM organizzata a Rivanazzano, sono stati creati danni allo Staffora? Lo Staffora è stato lasciato in condizioni migliori o peggiori rispetto l’inizio della manifestazione? «Ho visto che non è stato deviato assolutamente il corso dello Staffora. Il torrente prima della prova è stato pulito e questo fa solo bene, forse si sono create delle piccole buche o piccoli avvallamenti, che sono stati cancellati con l’azione dell’acqua del torrente». Le polemiche sono state pretestuose quindi? «Assolutamente, le avrebbero fatte in qualsiasi caso, è gente che è pronta a polemizzare a prescindere». di Nilo Combi


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Dossi, «Nei mesi tra novembre e febbraio non si fanno le asfaltature, è come andare a sciare in spiaggia» Franco Da Prada, ex consigliere comunale a Voghera, membro del cda e per un breve periodo anche presidente di Asm, ha sempre amato considerarsi più un tecnico che un politico. Socialista, craxiano convinto e mai pentito, ha alle spalle un’esperienza 40ennale da imprenditore edile e costruttore: di strade, asfalti, ponti e opere in muratura se ne intende. Oggi che è entrato nel 75esimo anni di vita si gode la pensione nella villa che si è costruito nella parte alta di Salice, ancora sita nel territorio comunale sotto la giurisdizione di Rivanazzano Terme. Le vicende d’Oltrepò le continua a seguire da spettatore interessato con l’occhio critico e certi errori da “matita blu”, lui che è stato costruttore per anni, non riesce proprio a digerirli. A finire nel suo mirino è l’asfaltatura di alcuni tratti di strada a Salice e la realizzazione, fatta in fretta e furia appena prima di Natale, di alcuni dossi anti velocità lungo le direttrici principali del paese. «Asfaltare nei mesi più freddi dell’anno è un errore che un addetto ai lavori non dovrebbe mai fare». Da Prada, in che cosa consiste lo sbaglio? «Nei mesi tra novembre e febbraio non si fanno le asfaltature, è come andare a sciare in spiaggia. L’asfalto non si amalgama come dovrebbe sotto certe temperature e il risultato è che si rovinerà molto presto. Anziché durare 20 anni ne durerà magari un paio, oppure 5 se va bene. In qualche punto ho notato addirittura che si sta già sbriciolando, figuriamoci». Come mai crede sia stato fatto un errore tanto grossolano? «La fretta è stata motivata dal fatto che la Regione ha concesso dei finanziamenti di cui il Comune avrebbe beneficiato solo se avesse eseguito i lavori entro la fine dell’anno. Non mi sento di biasimare il sindaco visto che dire di no a dei finanziamenti, in questi tempi di vacche magre, è molto difficile, piuttosto credo che sarebbero da verificare le competenze dei tecnici della Regione che non si rendono conto di quello che fanno. In questo modo si sprecano soldi e si fanno lavori in malomodo». A Salice e frazioni sono stati anche costruiti diversi passaggi pedonali per dissuadere dal correre troppo. Che ne pensa di queste opere? «Che sono viziate dallo stesso difetto delle asfaltature, quindi dureranno meno di quanto potrebbero e non saranno probabilmente efficaci come dovrebbero. Prima di tutto bisognerebbe segnalarli meglio e poi, mentre alcuni sono addirittura troppo alti, altri sono bassi e probabilmente i giovani d’oggi che in macchina corrono un po’

Franco Da Prada

troppo, li voleranno via». Da Prada, lei è un costruttore ma anche ciclista. La greenway l’ha provata? «Sì, moltissime volte, nella tratta che collega Voghera e Salice». Cosa ne pensa? «Che è stata fatta un po’ al risparmio. Per garantire la sicurezza di pedoni e ciclisti la strada sarebbe dovuta essere un po’ più larga, almeno mezzo metro. Il problema principale poi è la manutenzione. Le radici delle piante, in particolar modo le robinie, stanno creando problemi all’asfalto, che, non essendo previsto il transito di automobili o mezzi pesanti in generale, è un po’ troppo leggero. Io le eliminerei visto che tra l’altro hanno anche le spine, e sostituirei con altro tipo di pianta. Detto questo è un bene che ci sia e non vedo l’ora che sia completata la tratta che collega a Varzi». Da costruttore, del Ponte di Salice messo a nuovo che giudizio ha? «è un’opera ben fatta, il problema è che i circa due anni di chiusura hanno creato disagi e danni immensi e potevano essere evitati abbastanza facilmente. Bastava mettere in sicurezza la struttura con delle putrelle in ferro da 50, quelle che per intenderci in America tengono su i grattacieli. Così si sarebbe potuto riaprire al traffico in 15 giorni anziché in due anni, ed eseguire poi con comodo i lavori». Degli altri ponti d’Oltrepò che ci dice? «Che sono un disastro. Penso soprattutto alla Becca e a quello sul Po a Bressana. Mi auguro davvero che vengano controllati spessissimo, quasi tutti i giorni». Facendo i dovuti scongiuri, teme un “Morandi” d’Oltrepò? «Mi auguro di no, ma di sicuro i continui rattoppi non risolvono davvero i problemi.

Il problema alla base è sempre la manutenzione, ma con tutti i soldi spesi mi chiedo se non si sarebbe potuto costruirne uno nuovo, fatto a regola d’arte». Lei ha origini valtellinesi, ma si è trasferito a Salice da oltre vent’anni. Come vede il paese? «In costante declino. Quando dicevo dove abitavo all’inizio i miei amici e conoscenti erano impressionati. Adesso quando vengono a trovarmi si chiedono cosa sia successo». Che idea si è fatto del motivo? «Io credo che lo sviluppo urbanistico sia stato sbagliato. Colpa soprattutto degli edili, dei costruttori. Io lo dicevo che la strada giusta era quella di collegare Salice a Rivanazzano costruendo un grande viale lungo la cui dorsale, da una parte e dall’altra, ci sarebbero dovuti essere i negozi. Oggi la gente che viene da fuori si chiede dove siano finiti. è stata sicuramente un’occasione persa. Poi la fine delle Terme ha dato il colpo di grazia». Che idea si è fatto di questa chiusura? «Personalmente che le acque non fossero buone io lo avevo già immaginato 30 anni fa, quando avevo fatto fatica a farmi saldare 200mila lire che mi venivano per un lavoro». Che destino vede per le Terme oggi? «Non buono, io credo che l’unica speranza sia attrarre qualche grosso investitore, americano, russo o cinese. Qualcuno che abbia una trentina di milioni di euro da investire per un rilancio in grande stile. Le piccole operazioni, piccole gestioni di “cabotaggio” non risolvono nulla, sono come i rattoppi nell’asfalto e si è visto». Come mai pensa che sia così difficile trovare un acquirente di un certo tipo? «Posso solo dire che tutte le persone con cui ho parlato, per conoscenze che ho in giro, hanno sempre lamentato i troppi vincoli burocratici. Facevano incontri ma poi perdevano interesse. è chiaro che se uno decide di fare un investimento tanto importante vuole poi avere le mani libere di fare quel che crede». Parliamo della sua carriera politica, anche se lei dice di averla sempre vissuta da “tecnico”. Cosa intende? «Intendo che non ho mai accettato incarichi per cui non avessi alcuna competenza. Quando entrai in Asm contribuii a far risparmiare circa 200mila euro in lavori, perché in quel campo avevo competenza. Quando mi chiesero se fossi voluto andare al Policlinico San Matteo risposi di no, proprio perché non era il mio campo». Al Comune di Voghera questa sua esperienza è mai tornata utile? «Io sono stato consigliere di opposizione a inizio anni ’90, con Affronti sindaco,

Il declino di Salice: «Scelte urbanistiche sbagliate. Si doveva collegare il paese a Rivanazzano con un viale e i negozi» quando l’accordo tra comunisti e democristiani estromise i socialisti. Ricordo che all’epoca c’era il caso Fergomma (la vicenda della bonifica dell’area dismessa di Oriolo, satura di rifiuti gommosi e plastici, che si trascinò per anni fra arresti, processi, condanne e successive assoluzioni ndr) e, prendendomi del matto, consigliai di smaltire i rifiuti “seppellendoli”, in maniera ovviamente legale, sotto la tangenziale che allora era in costruzione, dato che non si trattava di elementi nocivi. Pochi anni dopo fu lo stesso Giovanni Azzaretti a dire pubblicamente che la mia idea sarebbe stata giusta e che, se avessimo fatto come dicevo, nessuno sarebbe neppure finito nelle grane». Lei si dice craxiano convinto… «Sì, lo sono, ho sempre pensato che Craxi fosse uno che aveva le qualità per riuscire a risolvere tanti problemi. Era uno capace e gli piaceva lavorare, ma ha avuto intorno gente troppo ingorda». Come altri ex socialisti, è poi finito in Forza Italia. La sua ultima apparizione come candidato risale al 2015, nella lista che sosteneva Carlo Barbieri. Come ha vissuto quell’esperienza? «Non ne ho un bel ricordo. A Voghera non mi ricandiderei mai più. Il mio bacino di voti era di 120-150, ma ne presi meno della metà. Un po’ perché forse non mi spesi abbastanza in campagna elettorale, un po’ perché fui tradito da parte del mio elettorato. Ci furono anche errori grossolani nella scrittura del mio nome su alcune liste e questo contribuì a creare confusione e a farmi perdere preferenze. Finii con 76 voti alla pari di Isabella Comolli, che entrò in consiglio al posto mio. Barbieri e i suoi mi avevano fatto promesse e proposte, paventandomi anche un futuro ruolo in Asm, poi non ho sentito più nulla. Un’esperienza da non ripetere». Adesso che farà? Con la politica ha chiuso? «Ho 75 anni, per adesso penso a godermi la mia casa e faccio il nonno». di Christian Draghi



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Godiasco Salice Terme o Godiasco Salice de’ Dossi? Fallite le Terme arrivano i dossi! In Oltrepò pavese esiste Bastida de’ Dossi, che fino ad alcune settimane fa era l’unica che poteva fregiarsi, per ragioni storiche, del titolo “De’ Dossi”, perchè attorno al XIV° secolo prese il nome di Loco Dossorum, dal nome dei suoi signori, probabilmente subfeudatari del monastero del Salvatore. Anche Salice, da qualche settimana, potrebbe fregiarsi del titolo De’Dossi e chiamarsi Salice de’Dossi, non per ragioni storiche ma perché nella località ex turistica oltrepadana e nel territoritorio del capoluogo, Godiasco, sono stati istallati 13, mica pizza e fichi, 13 nuovi dossi, che per ragioni amministrative, e forse i maligni dicono anche di sperpero di danaro pubblico, sono stati chiamati “passaggi pedonali rialzati”, ed uno direbbe in dialetto ....”ma va a ciapà di rat” ; dossi, dicevamo che di fatto servono esclusivamente a limitare la velocità delle autovetture. Costo “dell’operazioncina”... circa 100mila, dicasi 100mila euro, come dichiarato dal Sindaco, nonchè geometra, il buon Fabio Riva. 100mila euri... pardon euro, di danaro pubblico, un idiota risponderebbe, NO! Il costo a carico del comune di Godiasco e frazioni annesse, tra le quali Salice, è del solo 30%, pertanto di soli 30mila euro; il resto è un finanziamento della Regione Lombardia. Dunque un idiota, direbbe, al comune di Godiasco i dossi costano solo 30mila euro. Chiamali poco, dico io! Per dossi che non servono pressochè a nulla! Il resto non è a nostro a carico, ecco appunto l’idiota, perche, l’idiota, non si pone una domanda, ma i soldi, i 70mila euro della Regione, chi li mette, ecco…. appunto: i cittadini li mettono, idiota! Certamente il sindaco-geometra si sarà posto la domanda, certamente non avrà enfatizzato il fatto che 70mila euri, pardon euro, sono messi dalla Regione Lombardia, e quindi dai cittadini... Di questi dossi, a Godiasco-Salice de’ Dossi, pardon, Salice Terme, ne sono stati installati 13, manco fosse una vincita al totocalcio.... e sono stati installati un pochino ovunque, e ci credo: con soli 30mila euro a carico del Comune di Godiasco, e gli altri 70mila euro a carico dei cittadini lombardo-italiani, tra i quali anche quelli di Godiasco, “Melius est abundare quam deficere”. Quindi in italiano: meglio abbondare che scarseggiare. Servono come attraversamento rialzato pedonale? Non diciamoci balle, NO! Servono per limitare la velocità delle autovetture? Sì. Perchè non chiamano le cose on il loro nome? Burocrazia, misteri tecnico-politici, vergogna, propendo per l’ultima ipotesi: la vergogna. Come cantava Ivana Spagna, “il bello della vita”... “Per vincere tutte le paure, tutte le barriere, che separano”... le cose utili dalle cose inu-

tili... ecco appunto barriere o ostacoli inutili. Ed uno dice, mica vero… beh insomma …tantè che… il Ministero dei Trasporti in una sua “direttiva” scrive: ATTRAVERSAMENTI PEDONALI O RIALZAMENTI, “Si è avuto modo di osservare negli ultimi anni il proliferare di alcune iniziative, pur ispirate dal desiderio di conseguire migliori condizioni di sicurezza stradale, che non incontrano il consenso di questo Ministero perché a volte risultano invece peggiorative, altre volte non adeguate allo scopo che si vogliono prefiggere, o addirittura in violazione di norme”… e poi ancora “Le opere in questione non devono essere confuse con i dossi di rallentamento della velocità ai sensi dell’art. 179 del Regolamento di esecuzione e di attuazione perchè la loro geometria è in genere diversa da quanto previsto nella norma richiamata” prosegue con “La geometria deve garantire le necessarie minime condizioni di scavalcamento da parte delle normali autovetture, in particolare quelle con carenatura bassa, per cui si consiglia di valutare attentamente l’altezza del rialzo e la lunghezza delle rampe. Si ricorda che l’Ente proprietario si assume la responsabilità per eventuali inconvenienti o danneggiamenti di veicoli che abbiano a verificarsi per effetto delle modifiche, nei confronti degli utenti che circolano nel rispetto delle prescrizioni presenti, che devono essere coerenti con la geometria del rialzo”, e poi specifica “Di conseguenza non è opportuno, né consigliabile, realizzare rialzi”. “Il provvedimento potrebbe risultare addirittura controproducente”. Infatti un utente della strada tende a minimizzare il tempo di viaggio e quindi intenzionalmente, o istintivamente, è portato a recuperare le eventuali perdite di tempo incontrate lungo l’itinerario; pertanto ad ogni rallentamento, comunque indotto, consegue di solito un aumento dell’andatura per recuperarlo, riducendo così il margine di sicurezza. Non va trascurata anche l’eventualità che

gli utenti della strada possano scegliere di conseguenza un diverso itinerario che potrebbe spostare il problema che si intende risolvere su strade contigue.” E conclude con “Allo stesso modo occorre preoccuparsi dello smaltimento delle acque di ristagno e, specie nelle località soggette a frequente innevamento, istruire gli addetti alla rimozione della neve circa la presenza dei rialzi per non danneggiare le macchine spazzaneve o distruggere gli stessi rialzi. In ogni caso si suggerisce di non installare i manufatti di cui trattasi in prossimità delle sedi di organi di Polizia o di istituzioni che operano anche in condizioni di emergenza, o lungo i consueti percorsi dei veicoli di trasporto pubblico o di emergenza al fine di non ostacolare o rallentare la loro attività”. In buona sostanza, il Ministero dei Trasporti dice: non fatele, non servono ad una beato fava, anzi… se succede qualche cosa, un incidente di uno in modo, un incidente di un’autovettura che investe un pedone, etc etc. etc. sono “uccelli amari” … vabbè ma cosa vuoi che capisca il Ministero dei Trasporti, di viabiltà ne capiamo, evidentemente, avendone installati ben 13, di più noi a Godiasco Salice de’Dossi… pardon Terme, anche in questo caso ex Terme… essendo fallite. Il Ministero non dice che le opere in asfalto e catrame non bisogna effetturale nei mesi freddi, questo qualsiasi tecnico lo sa, per di più un tecnicogeometra, ecco appunto, tanto per smentire la mia fiducia nei tecnici-geometra li hanno realizzati a Dicembre. Bisognava farle entro la fine di dicembre, altrimenti si sarebbe perso il finanziamento… di denaro pubblico, dei cittadini dico io, ed allora facciamoli anche quando tecnicamente è sconsigliato farli, tanto mica li paghiamo noi i lavori fatti quando non è consigliabile, noi godiasco-salicesi-dossiani…pardon termali, paghiamo solo il 30%, l’altro 70% lo pagono i cittadini italiani… quindi noi. Ma non tutto il male vien per annoiare, perché , le 13 “Opere” mica sono tutte uguali, che cosa noiosa far le cose uguali, infatti

quelle realizzate sulle strade provinciali, hanno altezza di 3 cm, dove la velocità consentita è di 50km/h, altezza 5cm dove la velocità consentita è di 40km/h, e di 7 cm dove la velocità consentita è di 30km/h. Invece, tanto per far qualcosa di diverso, di più artistico, di più illuminato ed illuminante … quelli installati, in base a quale criterio, non è chiarissimo, sulle strade comunali, hanno altezze tra 10 cm ed 13 cm…perché… perché magari un idiota impartirebbe l’ordine di “alza, alza altrimenti non servono a niente” , oppure perché?...perchè? Bohhh, forse perché si pensa che il Ministero dei Trasporti capisca poco, che magari qualche volta può essere vero… ma staticamente in termini assoluti ed in questo caso… neh vero… Ritornando al fatto che li abbiano chiamati “passaggi pedonali rialzati” , sarebbe opportuno notare che alcuni collegano un fosso, con un altro fosso, altri un marciapiede con un fosso, ecco forse, il sindaco-geometra vuole far si che i cittadini di Godiasco Salice de’ Dossi, pardon Terme, vadano a piede da un fosso all’altro, o da un marciapiede ad un fosso. Interessante l’idea far andar la gente nei fossi, idea bucolica!. Certamente, come sempre, come dappertutto, ci sono e ci saranno stati dei cittadini che avranno chiesto i “dossi” perché le autovetture andavano tropo forte, ecco appunto hanno chiesto dossi di rallentamento e non “passaggi pedonali rialzati”, che sono un’altra cosa. Ma soprattutto , con tutti i tombini che ci sono a Salice de’Dossi, pardon Terme, e pochissimi allo stesso livello della strada, che uno per andare forte deve fare lo slalom speciale, che neanche Alberto Tomba faceva, e che se non vuoi spaccare l’autovettura piano devi andare, non era il caso di investire questi soldi, 100mila euro, mica bruscolini, in altre opere, utili e più utili nel mettere in sicurezza i pedoni. Qualcuno dice anche che ci sono comunque punti o orari dove le autovetture vanno troppo forte, prima domanda, quante? Seconda domanda: quanti incidenti? Uno due... ? Dossi o dossi, gli stupidi che andranno forte ci saranno sempre, anche senza spendere 100mila euro. Una giustificazione potrebbe essere se non facevamo questi dossi, di soldi non c’è ne davano. Ecco appunto allora prendiamo 100mila euro e buttiamoli via, tanto sono TUTTI soldi dei cittadini. Questo direbbe l’idiota, ma sicuramente una cosa del genere un sindaco-geometra non la direbbe. di Nilo Combi



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«Tiglio? La vera “speranza” è quella che finalmente se ne vada…» «Il sindaco ci avrebbe ridato la speranza? Per alcuni è probabilmente quella che finalmente lui se ne vada». Il capogruppo di minoranza Claudio Dallagiovanna interviene dopo l’intervista al primo cittadino di Zavattarello Simone Tiglio pubblicata sullo scorso numero del nostro giornale. «Se il risultato di cui il sindaco va più fiero dopo 10 anni di mandato è quello di avere ridato speranza al paese, come se prima del suo arrivo fossimo nel baratro, andiamo bene. Sarebbe meglio che si concentrasse su cose più concrete che non richiedono speranza ma puntualità, come il far avere al proprio comune i soldi regionali di risarcimento per il gelicidio. Ci spettavano 18.500 euro, eravamo uno dei Comuni più colpiti, ma non è arrivato un centesimo perché il sindaco non ha mai consegnato la documentazione necessaria, nello specifico le fatture dei lavori. Invece va sui giornali e si atteggia da salvatore della patria vantandosi di successi per cui non ha meriti». Dellagiovanna, di che cosa parla? Si spieghi meglio… «Del fatto che la fortuna del sindaco è stata quella di ritrovarsi a governare un piccolo paese che gode però degli stessi servizi di una città: scuole, impianti sportivi efficienti, casa di riposo, un Castello di assoluto valore. Lui ne parla come se queste opere fossero meriti suoi, ma la verità è che la loro realizzazione o il loro recupero, come nel caso del castello dal Verme, sono state fatte da altre amministrazioni». Parla di quella di cui lei ha fatto parte? «Per dieci anni sono stato vice sindaco e prima ancora assessore, negli anni 80 abbiamo avviato noi il restauro del castello. La nostra idea era puntare sulla cultura a non sulla commercializzazione come invece ha fatto il sindaco, che ha fatto realizzare un ristorante di proprietà comunale al posto delle ex scuderie che risulta tra l’altro abbia difficoltà economiche. Un’operazione né remunerativa né intelligente, che ha ben poco di culturale. Adesso il sindaco parla come se lo avesse inventato lui».

Minoranza all’attacco: «Non abbiamo ricevuto risarcimenti per il gelicidio perché il sindaco non ha presentato le fatture dei lavori»

Claudio Dallagiovanna, consigliere di minoranza

Ha fatto però riferimento ad un rinnovato fermento e a iniziative che prima in effetti non c’erano… «Se per le iniziative intende far venire dei costosi cantanti una volta l’anno in estate dico che quella è un’operazione da manager e non da sindaco, che tra l’altro termina spesso in perdita per il Comune. Se proprio vuole fare il manager Tiglio dovrebbe creare lavoro per tutti quei giovani che la speranza di cui lui parla la trovano a Milano facendo i pendolari. Invece l’impressione è che preferisca giocare a fare la Pro Loco. Non è con il turismo di una sera che si risolvono i problemi, anche se indubbiamente i nomi altisonanti portano visibilità, soprattutto a lui. Amministrare

«La maggior parte dei lavori all’acquedotto l’avevamo già fatta noi, lui doveva solo mettere i filtri ma non lo ha mai fatto.

è un’altra cosa, vuol dire costruire servizi che durino nel tempo. Lui non so per cosa potrà essere ricordato». Beh, dopotutto anche il sindaco è uno dei “giovani” e ha aperto un locale in centro… «Che è diventato anche il posto dove è possibile incontrarlo dato che in Comune si vede molto poco. Davanti al quale tra l’altro ha ricavato pochi parcheggi alienando la pesa pubblica. Parcheggi di cui è facile capire chi è il beneficiario. Ha anche venduto l’ex consorzio agrario che noi avevamo comprato negli anni 90 con fondi pubblici e destinato a biblioteca o palestra. Questi sono gli “atti” amministrativi di cui può attribuirsi la paternità senza far torto a nessuno». Voi però che tipo di opposizione avete fatto? Alla domanda su di voi Tiglio ha risposto di non sapervi attribuire un ruolo… «Questa dichiarazione rivela tutta la sua arroganza, che altro non è se non il coraggio dei deboli. Probabilmente avrà dimenticato nei cassetti le oltre 100 interpellanze che abbiamo presentato e a cui non si è mai degnato di dare risposta. Noi non abbiamo fatto opposizione ostruzionistica, abbiamo evitato la lite e non abbiamo fatto ricorso ad atti giudiziari neppure quando sarebbe stato forse possibile. Credo che meritiamo comunque rispetto,

anche se non abbiamo sollevato polveroni sui giornali. Lui invece, che ha grandi responsabilità, dovrebbe occuparsi dei problemi del paese urgenti, come la scuola elementare». Nell’intervista ha dichiarato che avrebbe riaperto entro Natale, è andata così? «Macché, gli studenti sono ancora tutti stipati nell’asilo con i conseguenti disagi e non è dato sapere fino a quando». Tiglio ha attribuito il prolungamento dei lavori a questioni burocratiche… «La realtà è che si è mosso in ritardo nella presentazione delle domande e nell’istruzione dei procedimenti burocratici, salvo poi aspettarsi che enti come la Comunità montana saltassero dei passaggi negli iter per fargli fare bella figura. E’ bravo ad accampare scuse e fare scarica barile, ma mente spesso e volentieri, come nel caso dell’acqua e della casa di riposo». A cosa si riferisce? «Al fatto che abbia ammesso di non poter fornire l’acqua potabile ai suoi cittadini e l’abbia motivato come se fosse un’impresa impossibile. In realtà la maggior parte dei lavori all’acquedotto l’avevamo già fatta noi, lui doveva solo mettere i filtri ma non lo ha mai fatto. Non ha fatto nulla in verità, è arrivato in ritardo anche con l’ingresso del Comune in Pavia Acque. Zavattarello si è unito per ultimo». E sulla casa di riposo? Su cosa non concorda? «Non è vero che quando è arrivato lui la casa di riposo stava per chiudere, e non avevo neppure i conti in rosso. C’erano comunque liste d’attesa e le rette erano più basse, quello sì. Saranno anche al di sotto degli standard, ma lui le ha alzate». Su qualcosa concorderà pure con Tiglio però… «Sulla questione dei migranti, persone su cui qualcuno ha “mangiato” per lungo tempo, e sul fatto che bisogni potenziare l’assistenza domiciliare agli anziani a scapito del ricovero in strutture». di Christian Draghi


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«Non esiste il Comune più grande o quello più piccolo, quello più bello o quello più brutto... Esiste pari dignità» Il 1° gennaio è nato ufficialmente il Comune di Colli Verdi, dalla fusione fra Canevino, Ruino e Valverde. Un passaggio storico per questi territori, avvenuto dopo una gestazione non priva di dubbi ma affrontata con grande convinzione e nel rispetto della volontà popolare. La summa ideologica alla base della fusione sta tutta nella dichiarazione di voto che l’ormai ex sindaco di Valverde, Giovanni Andrini, ha rilasciato durante l’ultimo Consiglio del suo Comune, che qui riportiamo: ‘‘In un momento storico difficile e di incertezza, nel quale vengono messi in discussione i cardini della democrazia e della convivenza civile disattendendo ad alcuni principi costituzionali fondamentali auspico che il nuovo Comune di Colli Verdi, oltre alla sfida progettuale con l’obiettivo di incidere sullo sviluppo territoriale e migliorare la qualità della vita dei cittadini, faccia proprio, nelle azioni unificanti sia amministrative che di crescita culturale, i valori resistenziali/costituzionali che sono: lavoro, libertà, solidarietà, uguaglianza, riconoscimento e rispetto delle diversità, accoglienza e si impegni nel diffondere e promuovere la cultura della legalità affinché prevalga sempre la forza del diritto sul diritto alla forza; tali valori e comportamenti sono imprescindibili per una democrazia matura che guarda con ottimismo al futuro’’. Andrini, come si è svolto l’ultimo Consiglio Comunale? «Il Consiglio Comunale del 17 dicembre non è stato soltanto l’ultimo di questa legislatura, ma l’ultimo della storia di un comune e di una comunità. Un’emozione e in qualche modo l’assunzione di responsabilità per un cambiamento storico, che è stato voluto dopo almeno due anni di discussioni e approfondimenti, di gestione anche delle perplessità mie ma di tutti i consiglieri». Alla fine, tuttavia, la scelta è stata unanime. «Tutti gli atti passati in Consiglio Comunale sono stati votati all’unanimità. Ho ringraziato pubblicamente tutti i consiglieri per questo. Siamo arrivati a questo passo con una certa consapevolezza, fermo restando che qualche perplessità resta: è inevitabile. Ma tutti i consiglieri, compresa la minoranza, hanno capito l’importanza di questo progetto in prospettiva, tenendo conto di analisi e riflessioni profonde legate a questo territorio. Sono importanti anche le risorse che arriveranno, è vero, ma la riflessione è molto più estesa». Ovvero? «Il nostro territorio montano è molto fragile, soprattutto – ma non solo – dal punto di vista del presidio. Tenendo conto anche del trend demografico e di quello socioeconomico, che ahimè è in decrescita da

Gianni Andrini, dal 1° gennaio ex sindaco di Valverde diversi anni, la questione era: cogliamo l’occasione di avere più risorse per invertire questo percorso di declino in atto, oppure aspettiamo di arrivare alla fusione fra alcuni anni, senza magari nemmeno più avere quelle risorse. Magari arrivandoci per imposizione e non più per libera scelta dei cittadini». Facciamo una cronistoria di come si è arrivati a questa fase. «Il percorso di fusione reale, completo, è stato avviato a ottobre 2017. Sono stati fatti tutti i passaggi necessari e si sono incontrati tutti gli attori in gioco, le istituzioni di rappresentanza, tutti i consiglieri regionali, il prefetto, le associazioni di categoria agricole, di commercio e artigianato, per illustrare la bozza di progetto. Abbiamo fatto nostre le osservazioni, e ad aprile 2018 abbiamo approvato il progetto con il primo passaggio in Consiglio Comunale. Questa bozza è diventata il presupposto del referendum che si è tenuto il 29 luglio. La bozza, già illustrata anche in 5 riunioni con la cittadinanza, è stata validata con il referendum». Poi la palla è passata a Milano. «Da qui siamo arrivati alla prima approvazione in Giunta Regionale, il 30 ottobre. Naturalmente si è avviato un iter legisla-

tivo, con il passaggio nelle Commissioni Affari Istituzionali e Bilancio, per poi arrivare in Consiglio Regionale ed avere l’approvazione definitiva il 19 dicembre, pubblicata poi il 31 dicembre sul BURL (Bollettino Ufficiale Regione Lombardia). Quindi dal giorno successivo, il 1° gennaio, è nato ufficialmente Colli Verdi». Cosa ha detto nell’ultimo Consiglio Comunale? «Ho fatto una premessa ricostruendo un po’ tutti i passaggi e poi ho passato in rassegna le parti dello statuto che riguardano il modello gestionale». Cosa dice lo statuto a proposito del modello gestionale del nuovo Comune? «Il progetto di fusione si è basato su due elementi cardine. Il primo è quello di avere un’impostazione che faccia perno sui municipi. Il nuovo Comune ha tre frazioni: i tre comuni soppressi, sostanzialmente. Tutte le vecchie frazioni degli ex comuni diventano località. Con questa fusione noi non creiamo un comune molto grande come popolazione - si tratta pur sempre di 1100 abitanti - ma con un territorio molto esteso e tante località. Oltre 40 chilometri quadrati di estensione complessiva. L’elemento cardine è stato quindi la volontà di mantenere i presidi: ogni comune conti-

nuerà ad avere il proprio municipio attivo. In sostanza per i cittadini non cambierà nulla, i servizi saranno erogati come prima». Qual è il secondo cardine? «Il secondo cardine è la rappresentanza. I tre nuovi municipi saranno retti anche da una rappresentanza politica, con 3 consiglieri.

«Il buon esito della fusione ce lo giochiamo in questa legislatura»


VALVERDE I consigli di municipio non avranno potere di decisione: saranno antenne sul territorio per intercettare i bisogni e le esigenze. I presidenti dei consigli di municipio parteciperanno ai consigli comunali senza potere di voto, ma con potere di intervento e con l’onere di portare le esigenze del proprio municipio. Ovviamente chi si candida al Consiglio di Municipio deve essere residente nella frazione che intende rappresentare». Come verranno composti i consigli di municipio? «Abbiamo previsto nello statuto due modalità possibili: per nomina o per elezione. Ogni comune ha deciso come fare. A Valverde abbiamo deciso per la modalità elettiva. Non ci costa nulla: c’è una scheda per il Consiglio Comunale, può essercene una anche per il Consiglio di Municipio». Le cariche di consigliere comunale e di municipio sono cumulabili? «No, assolutamente. Le cariche di consigliere comunale e di consigliere di municipio sono incompatibili». All’ultimo Consiglio ha poi illustrato una serie impressionante di lavori pubblici. «Prima di passare all’illustrazione dello statuto, ho ricordato gli ultimi anni di amministrazione e fatto un bilancio dell’ultimo mandato; ricordando sostanzialmente le cose fatte in questi ultimi due anni, oltre ai progetti in campo che verranno realizzati certamente, e quelli addirittura già in affidamento. Il nostro Comune fra interventi realizzati, quelli in cantiere e quelli comunque già finanziati, supera l’importo di 1.300.000 euro di investimenti». Si tratta di una cifra decisamente importante. Dove ha reperito le risorse? «Si tratta di finanziamenti pubblici presentati su base regionale. Un progetto importante, quello del Centro Polivalente, è stato finanziato dal Ministero dello Sviluppo Economico, con il programma 6000 Campanili». Quindi è possibile trovare finanziamenti, anche per un piccolo Comune… «Se si insiste, sì. Bisogna avere oltre alla vision quotidiana anche una mission chiara per il futuro. E il bilancio di Valverde, come del resto quello degli altri due comuni, è in ordine». Torniamo al bilancio di fine mandato. Vuole illustrarci gli interventi principali? «Molto importante è l’intervento sul Centro Polivalente, che ha visto la riqualificazione delle strutture sportive esistenti, la realizzazione di due piazzole per i camper, e poi la nuova sala multifunzionale: un gioiello, che funziona anche da sala convegni ed è attrezzata con tutte le tecnologie possibili, compresa una connessione internet a 20 Mbps. Infine il laboratorio ambientale, che è un po’ il punto di riferimento dell’Open Innovation Center di Romagnese, realizzato anche con Oltrepò Biodiverso di Fondazione Cariplo. Un laboratorio ambientale per fare formazione e ricerca. In questi anni abbiamo puntato molto sul tema della biodiversità, su birdwatching e biowatching. L’obiettivo era quello di creare tratti distintivi: se non ti distingui, oggi, non sei attrattivo. Voglio

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Andrini: «Ogni Comune continuerà ad avere il proprio municipio attivo» evidenziare che questa struttura, compresi i campi sportivi (calcio, tennis, bocce) è tutto alimentato con fotovoltaico. Il che significa: costo energetico zero e inquinamento zero». L’impegno per l’ambiente non è una novità, del resto, per il comune di Valverde. Vuole dircelo lei? «Noi abbiamo aderito alla Carta di Aalborg che risale al 1994, ad Agenda 21, abbiamo partecipato a tutti percorsi di Legambiente – anzi, siamo stati il primo comune a iscriversi a Legambiente, che organizza qui un campo internazionale di volontariato. Un bel momento aggregativo. La sostenibilità ambientale è un principio che deve essere messo in campo da tutte le pubbliche amministrazioni. Il comune di Valverde ha cercato di interpretare al meglio i principi contenuti nella Carta di Aalborg, da molti disattesa. Stiamo andando poi a riqualificare tutta l’illuminazione pubblica, e con questo intervento ridurremo l’immissione in atmosfera di 30.000kg annui di CO2». Un intervento proposto da diversi comuni in Oltrepò. Tuttavia, è la prima volta che ne sento parlare principalmente in termini di riduzione della CO2 e non di squisito risparmio economico. Segno questo che la cultura ambientale non si ferma agli impegni presi sulla carta. Vogliamo parlare, invece, di cultura in senso più ampio? «Parliamo allora dei lavori al castello di Verde, con la sua messa in sicurezza e la realizzazione di un museo a cielo aperto, che avverrà sulla base di un concorso di idee, grazie all’utilizzo di materiali naturali e di risulta, come legno e sassi. Il riferimento è quello di Selvart, sull’Altopiano di Asiago. Mi ricollego anche a un progetto che portiamo avanti da anni, il parco del castello di Verde, che oggi è esteso 330 ettari. Abbiamo fatto una serie di interventi: il Giardino delle Farfalle, la nuova cartellonistica, il percorso didattico-forestale. Negli ultimi due anni abbiamo investito 60mila euro nel parco». Altro tema che spesso viene non viene neppure preso in esame nei piccoli comuni è l’abbattimento delle barriere architettoniche. Voi avete invece effettuato alcuni investimenti… «Noi abbiamo abbattuto ovunque le barriere architettoniche. Perfino al cimitero. Rispetto al progetto di valorizzazione della rocca di Verde è già stato fatto un sopralluogo da parte della Soprintendenza a questo proposito. L’obiettivo dell’amministrazione uscente, ma spero anche della prossima, è quello di installare due piattaforme per far arrivare i disabili nel punto più alto del castello. Un punto panoramico

unico, dove si vede Milano da una parte e Piacenza dall’altra. Vorrei renderlo visibile a tutti, perché il bello non deve essere fruibile solo agli atleti ma anche a chi è un po’ più sfortunato». Cosa lascia in eredità Valverde al nuovo Comune? «Il comune di Valverde al nuovo ente non porta solo il patrimonio immobiliare, ma anche un significativo patrimonio immateriale, culturale. E una particolare attenzione al tema ambientale e naturalistico. Sono in corso importanti collaborazioni con convenzioni o accordi di programma che sono state strutturate tutte entro fine 2018 proprio per portarle in pancia al nuovo Comune».

«Non è importante chi fa il sindaco e chi no» Quali? «Abbiamo una convenzione con l’Università di Pavia, dipartimento di Scienze della Terra; con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza (Agraria); con Ersaf (Ente Regionale Servizi Agricoli e Forestali); con l’associazione naturalistica IOLAS (Associazione Pavese per lo studio e la conservazione delle farfalle), che ci offre un supporto tecnico scientifico; con Fondazione Adolescere, perché ospitiamo sistematicamente gruppi di ragazzi per la formazione didattica. Con Adolescere vorrei anche studiare alcuni percorsi che mettano in essere la biodiversità come elemento di inclusione sociale. C’è un qualche esempio, anche in altre regioni, di sperimentazioni andate a buon fine». Cosa auspica per il nuovo Comune di Colli Verdi? «Il mio auspicio è soprattutto quello contenuto nella dichiarazione di voto. Poiché come Valverde portiamo in dote tutto quello che ci siamo detti e poi tutto un patrimonio immateriale che si lega alla cultura nel senso più estensivo del termine, naturalmente l’auspicio è che il nuovo Comune faccia tesoro e continui i percorsi

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avviati e consolidati nel tempo». Una battuta sulla prossima tornata elettorale? «Mancano 5 mesi alle elezioni. In questo momento c’è il commissario, che spero interpreti la sua azione amministrativa di traghettatore in maniera precisa e nel rispetto del contesto e dei presupposti chiave e fondamentali del progetto di fusione che ha avuto un consenso popolare. Il futuro si vedrà. Io credo, dal momento che ora ci sono tre frazioni che costituiscono il Comune, che la rappresentanza anche a livello di consiglio comunale e di giunta sia fondamentale, che quindi possano avere spazi tutti e tre i territori. Non è importante chi fa il sindaco e chi no.» Un bel messaggio. Le comunità al centro. «Il mio approccio è stato quello di sostenere questo progetto con un principio di pari dignità. Non esiste il Comune più grande o quello più piccolo, quello più bello o quello più brutto. Infatti la scelta non è stata quella di incorporarne due in uno maggiore. Esiste pari dignità. Chiaro che il progetto è stato scritto, ma adesso va realizzato e la governance ha un ruolo fondamentale, perché i progetti si realizzano sulla testa e sulle gambe delle persone. Per rispettare questo principio io credo che nel Consiglio Comunale, e soprattutto negli organismi esecutivi (penso alla giunta), debbano essere rappresentati tutti e tre i territori». Quindi dato che la Giunta sarà composta da tre elementi (il sindaco e due assessori), lei propone che le tre frazioni siano rappresentate da un elemento ciascuna. «Certo, per essere il raccordo non solo formale ma pratico, forte, con tutti i municipi. La scommessa sul buon esito della fusione ce la giochiamo in questa legislatura. I prossimi sono cinque anni fondamentali per far funzionare tutto, per mettere in campo nuovi servizi e migliorare quelli che già offriamo. Nello stesso tempo bisogna pensare di andare a superare le tre comunità distinte e mettere in campo sforzi comuni per legare le comunità, creare punti di unione; perché un giorno ci possa essere la consapevolezza diffusa di essere comunità nuova». Abbiamo voluto parlare in modo diffuso anche dei passaggi formali perché non è da escludere che altri Comuni possano seguire la vostra strada; quindi abbiamo anche il dovere di informare gli altri amministratori e i cittadini sulla vostra esperienza. In Oltrepò Pavese si tratta soltanto della seconda fusione in anni recenti. «Le fusioni ad oggi sono veramente poche. È la seconda in Oltrepò, ma la prima nella zona montana, e una delle prime in Lombardia. In montagna è più raro si arrivi a questa scelta, perché i territori sono più complicati da gestire. Io credo che se riusciremo a realizzare il progetto in maniera positiva, e quindi a massimizzare più possibile il risultato, il nostro modello potrebbe essere sicuramente copiato da altre realtà». di Pier Luigi Feltri



CASTEGGIO

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«Guardie civiche: ora che si può arruolarsi mancano richieste» L’assessore alla polizia locale del Comune di Casteggio Milena Guerci tira le somme della sua decennale esperienza amministrativa. Criticata quando in concomitanza all’emergenza furti si era fermamente opposta all’idea delle ronde cittadine, si toglie oggi qualche sassolino dalla scarpa: «Adesso che il Prefetto ha autorizzato i cittadini volontari ad iscriversi per diventare guardie civiche formate, è arrivata una sola richiesta». Non si sa ancora chi sarà il candidato sindaco dell’amministrazione uscente, ma di sicuro Guerci correrà per mantenere un ruolo attivo in giunta. Assessore, come reputa il suo mandato fino ad ora? «Ho alle spalle dieci anni in Giunta e in tutto questo tempo sono riuscita a imparare tante cose e ad entrare nell’ottica di quella che è una pubblica amministrazione. A tanti può sembrare facile, ma posso garantire che non è così. Anche perché si può partire con idee bellissime, che si spera possano andare in porto, e poi invece si devono fare i conti con il bilancio, con le procedure, con i bandi: insomma, con un sacco di cose che nel privato si sbrigano invece in modo più snello rispetto a quella che è la pubblica amministrazione». Serve passione per il proprio lavoro amministrativo… «Assolutamente sì. Nei piccoli e medi Comuni come il nostro è chiaro che non si ha il portaborse, non si hanno rimborsi per le spese extra. A conti fatti, non si fa per soldi ma solo per passione vera». Può quindi definire la sua esperienza positiva? «Sì, ho imparato tanto e ho incontrato tante persone nuove che non conoscevo. il sindaco Callegari lo conoscevo ancora prima di iniziare l’esperienza politica perchè è sempre stato il mio medico: ho sempre avuto piena fiducia in lui, quindi posso dire che l’esperienza è positiva senz’altro anche se, torno a ripetere, non è semplice fare tutto ciò che si ha in mente di realiz-

Milena Guerci zare. La voglia c’è ma non basta, perché la burocrazia rallenta tutto». Sotto il suo assessorato sono stati realizzati vari progetti… «Abbiamo fatto una convenzione con Asm per le aziende agricole che hanno voluto aderire, con il ritiro gratuito dei contenitori: è un bell’alleggerimento dal punto di vista finanziario. Poi è da mesi che stiamo lavorando per il rilancio del territorio…». Ci spieghi meglio «Sia come rappresentante di Coldiretti che come assessore all’agricoltura faccio parte del tavolo tecnico regionale. Speriamo di riuscire a portare a casa dei risultati: è la

prima volta che Ersaf (ente regionale per i servizi all’agricoltura) si interessa alla nostra zona. Forse si sono resi finalmente conto che le aziende serie, che lavorano tanto e bene, hanno bisogno di aiuto. Altrimenti la nostra zona si deprime sempre di più. è previsto un piano specifico per il rilancio del territorio, anche per tutto ciò che non è vino. Se riusciremo a chiudere questo progetto sarà davvero un successo. La bozza è diventata intanto realtà, nel senso che è stata accettata, e quindi c’è la reale possibilità che tutto possa essere realizzato e così tutti gli sforzi messi in campo non saranno stati vani». Altro tema importante a Casteggio è quello della sicurezza. Il 2018 è stato un anno “pesante” in questo senso. «Abbiamo partecipato a vari bandi per cercare di aumentare quelle che sono le telecamere sul territorio, proprio per cercare di portare più sicurezza agli abitanti. Quando c’è stato il periodaccio e Casteggio era presa di mira dai ladri io sono stata molto contestata, perché mi sono sempre rifiutata di accettare le ronde che tutti chiedevano. Ho sempre ribadito che non era il modo giusto di agire. Io e il sindaco eravamo sempre in contatto con le forze dell’ordine e prima di mettere a repentaglio la vita dei cittadini bisogna pensarci molto bene. Abbiamo tenuto duro, ma alla fine il risultato è stato ottenuto. Adesso che il Prefetto ha fatto quella che è la circolare per il controllo del vicinato, fatto da persone “formate” dalle forze dell’ordine, da noi è arrivata una sola richiesta. Questo dà l’idea di come siano le cose quando si agisce di pancia e non di cervello… adesso che i cittadini potrebbero fare il tutto in modo legale non vogliono più. Questo mi fa riflettere sul reale senso civico delle persone... Per fortuna non abbiamo mai ceduto alle pressioni che ci venivano fatte e il tempo, che è sempre galantuomo, ci ha dato ragione».

«Rinunciare a quello in cui si crede è sempre difficile, quindi penso che comunque ritenterò alle prossime amministrative» Mancano pochi mesi alle elezioni, com’è il clima a Casteggio? «Noi stiamo iniziando a ragionare adesso sul da farsi. Il sindaco sappiamo che non si può più candidare e quindi dovremo stabilire chi sarà il candidato alla poltrona da primo cittadino. Abbiamo anche qualche idea su nuove persone da inserire nel gruppo… perché ormai manca davvero poco». Lei si ricandiderà? «Ero molto titubante per una questione di tempo, perché la politica è una passione che porta via tempo e ci sono anche altre cose da seguire come la famiglia e il lavoro. Però rinunciare a quello in cui si crede è sempre abbastanza difficile e quindi penso che comunque ritenterò alle prossime amministrative». di Elisa Ajelli


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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI

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17 Gennaio, la Benedizione delle stalle Gli anni erano i primi di un dopoguerra povero, di gente senza soldi e senza prospettive, il tempo dei cappotti rivoltati, quando almeno c’era un cappotto da rivoltare. Pur tuttavia, gente decisa a rimontare in fretta la lunga strada dello sviluppo che avrebbe arriso all’economia nazionale negli anni sessanta. In un piccolo paesino d’Oltrepò, lo scorrere gramo della vita, era segnato da lavoro, fatica, rare occasioni di feste e rispetto delle tradizioni. Parlare oggi ai giovani di tradizioni non è semplicissimo: per la maggior parte di loro le tradizioni non esistono o, al meglio, vengono subite come una sorta di fastidio. Il mondo rurale di quei tempi, era invece intimamente legato a molte tradizioni che spesso, erano riti religiosi o anche, antiche abitudini da conservare e tramandare nel tempo; non erano riti tribali o sciocche superstizioni o peggio, come i tempi moderni insegnano, liturgie pagane legate al consumismo e all’esibizione. La cascina, piccola o grande che fosse, aveva due riferimenti principali: la casa padronale con i componenti la famiglia, spesso numerosa quando non numerosissima e la stalla con gli animali che rappresentavano parte importante dell’economia familiare. Queste due colonne, la famiglia e la forza lavoro, erano oggetto del rito della benedizione annuale. Ad ogni nuovo anno il parroco, in occasione dei festeggiamenti di Sant’Antonio Abate - 17 Gennaio - benediva le stalle del paese, mentre a Pasqua ripercorreva le medesime contrade per le case; benedire tutte le stalle e tutte le case del paese significava recarsi fisicamente in ogni cascina presente sul territorio parrocchiale. Il parroco di Sant’Eusebio fino al 1959, era un personaggio unico nel suo genere: molto colto, burbero, gran predicatore, grande coraggio dimostrato in tempo di guerra, grande animo e splendido affiatamento con tutta o quasi la gente del paese. Per noi ragazzi era il riferimento vero, nel bene e nella cattiva sorte; era davvero un secondo padre in tutti i sensi anche nella ‘manuale’ sistemazione di piccole questioni che, anche se dolorosa, ci aiutava a crescere. Si chiamava Don Bobbio, Don Biagio Bobbio; sulla sessantina, uomo buono e burbero con un pesante handicap ad una gamba che lo costringeva ad una caratteristica andatura ondulante oggetto, e me ne vergogno, di qualche imitazione scherzosa da parte di tutti noi ragazzi. A proposito di piccoli difetti, il buon padre di tanto in tanto sorseggiava qualche bicchierino di vino o di grappa di troppo. Questi rari episodi erano sicuramente oscurati dalla grande umanità del parroco, dal suo notevole spessore culturale e dalla sua disponibilità nei riguardi di noi cuccioli esagitati. Per alcuni anni i chierichetti di fiducia di don Bobbio furono Giancarlo, morto in un incidente nell’agosto del 1968

e Giuliano di due anni più giovane: a detta sua, due bravi ragazzi anche se molto vivaci. I due venivano convocati in occasione della benedizione delle stalle, il pomeriggio del 14 Gennaio per preparare, materiali, itinerari e modalità di svolgimento delle operazioni dei giorni seguenti. Inutile spiegare che, per i due birbanti, la motivazione vera che li portava ad offrirsi volontari, non era il dichiarato amore per il prete o la religione, ma la possibilità di non andare a scuola per tre giorni senza dover neppure giustificare fatti o ragioni di tale assenza. Si partiva il 15 di buon mattino, si accompagnava a piedi Don Bobbio alla prima casa del paese in località Colombaia – a Crumbèra - armati l’uno della borsetta dei sacri arnesi: boccetta d’acqua benedetta, aspersorio e paramenti necessari per la benedizione, l’altro della borsa per le elemosine alla chiesa, a volte in generi vari oltre che monetari. La realtà di un piccolo paese di alta collina presentava piccole aziende agricole, ricche di persone ma povere di mezzi materiali e monetari; la sola vera ricchezza era costituita dagli animali che producevano carne, forza lavoro, latte, lana, piumino e quant’altro necessario alla vita dignitosa di gente povera ma orgogliosa. Le stalle, gli stazzi o porcilaie e i pollai erano il luogo di ricovero degli animali presenti in azienda ed erano oggetto della benedizione del nostro parroco assistito dai due richiamati figuri. La Crumbèra - la Colombaia - frazione di Sant’Eusebio di Montepico, a sua volta frazione di Fortunago, era la prima tappa del tradizionale giro, una delle più gradite perché, con i soliti buoi, mucche, oche, tacchini, conigli, maiali e, raramente, qualche pecora, offriva la possibilità di ammirare alcuni equini, animali rari dalle nostre parti, più precisamente la mula di Sìlio, Giuàn, Tìlio e Gilô il cavallo ad Cusmê. Le altre stalle, ad Génio e Gèpe, ad Nàni, Rèste e Gustê, un po’ più a valle venivano velocemente sistemate per scendere da Jàcâm, da Giòl ad Gèp, da Rino, da Vitòri e da Cichë. Dopo una faticosa salita si incrociavano le stalle ad Camìl, ad Màriu, ad Rìcu, ad Marcilê e ad Giusèp e dal Frìs. Si prendeva per casa Ardivestra dove benedette le stalle di Giusèp detto Manèl, di Giulê e Vigè, si prendeva l’unica strada in salita che collegava l’ultima stalla del paese con la frazione di Gorina. Qui dal signor Diana Carlê e dalla signora Lena si concludeva la prima giornata di benedizioni delle stalle con un’ abbondante razione di grappa per il don e con biscottini e rosolio per noi pargoli. Normalmente Don Bobbio o meglio, ‘Don Bòbi’ com’era chiamato, si soffermava brevemente con tutti, con una parola di interessamento per anziani e piccini, ma non entrava in casa anche per rispettare i tempi che s’era imposto; faceva tre eccezioni: il primo giorno in Gurëna, da Carlê e Lena, il secondo a

Giuliano Cereghini Punzé da Don Carlo e da donna Pierina, il terzo giorno dal Giudice al Murê d’rä Siùra. Tornando alla conclusione della prima tornata, in Gurëna si trovavano le due splendide persone ricordate: lui, desideroso di scambiare due chiacchiere con il reverendo, lei che coccolava noi ragazzi con carezzine e leccornie a cui non eravamo adusi. Quando le prime ombre dell’incipiente sera cominciavano ad allungarsi dalla sommità della collina dov’eravamo, verso la valle dove dovevamo andare, il buon Pastore, dopo aver verificato il vuoto spinto (con energiche sgrullatine) della bottiglia di grappa, con tono burbero si rivolgeva ai chierichetti con un perentorio ‘andùma’. E qui cominciava il golgota dei due malcapitati che dovevano porsi ai lati dell’anziano, porgere la spalla dove lui si appoggiava, per circa un chilometro di strada, tanto distava la chiesa, parte in salita e parte in discesa, che aveva un effetto tragico sulle spalle dei due piccoli martiri. La grappa aveva uno strano impatto sul movimento sussultorio del povero Prevosto, lo ampliava, lo intensificava nel tempo e nello spazio, spesso suscitando rimproveri verso di noi che invariabilmente iniziavano con un ‘orco mondo, state attenti a dove mettete i piedi...’ . Chiaramente era vietato qualsiasi commento o risposta per lo meno ad alta voce. Delle due postazioni la peggiore era la destra, in simmetria con la gamba malandata dell’uomo, Giancarlo provava tutti gli anni a raccontarmi che la sinistra toccava a lui per anzianità, ma non riusciva mai a convincermi: verso l’ultima stalla, in un momento di distrazione di Don Bòbi, ci giocavamo la posizione con un rapido bimbum-bam all’esito del quale ci attenevamo rispettosi della sorte. Giunti faticosamente a casa, eravamo accolti dalla perpetua, tale signora Gina, che si rivolgeva al buon uomo con un acidulo ‘lè tàrdi, s’iv fàt in gir féna adèss?’ . Don Bòbi trovava la forza di non rispondere i noi la calma per non graffiarla. Saluti, a ben rivederci l’indomani e con un bofonchiato ringraziamento, il buon

prete ci congedava. L’indomani si cominciava da Sant’Eusebio alto con la stalla di Carletû, quella dal Miciulê, papà di Giancarlo, quella ad Filicìn, quella ad Giuàn per scendere a quella ad Pédar, quindi nel fondo valle si ricominciava da Camìl Bagini, da Felìc, da Giusèp, da Pidrè e Nusiadê, da Mìliu dal Ginvés, si scendeva verso l’Ardivestra per incrociare la stalla di Secundìn, quella ad l’Almàno, quella ad Mìncu per risalire di nuovo a Carmelìna, a Spedìto, a Càrlu ad Marcèl, a Gipétu e ca da Rnèsta. Si proseguiva al Murè, da Cesàrina e Miliê, da Luìs, da Rìcu, anche lui aveva la cavallina, da Filicìn, da Tìlio e da Màriu. Si risaliva la strada incrociando la stalla dal Cìciu, ad Burtlàm, dal Bàbo e César e ad Dùlfo e Vigìn. L’ ultima tappa era riservata a Punzé, alla grande stalla della Concàro accompagnati dal Picë, il servente al pezzo del toro da monta ed alla gradita visita presso don Carlo e donna Pierina. Anche qui, grappa per il don, frollini, liquirizia e gazzosa per noi. Invariabile ricordo del figlio disperso in guerra, con commozione di tutti alle parole di una madre che non accettava l’ineluttabilità dei fatti e comunque sperava in un ritorno purtroppo mai avvenuto di un figlio disperso in Russia. Spesso don Carlo ci portava nella sua ricca biblioteca, danneggiata in tempo di guerra, per ricercare un volume da prestare al don e, in una di quelle ricerche, vidi un vecchio libro rilegato in pelle sgualcita, che riportava il seguente titolo ‘Il Castello di Monte Pico’. Successivamente, cercai disperatamente detto testo senza più riuscire a rintracciarlo. Ebbi solo conferma della sua esistenza in tempi successivi da Mario Chiesa che l’aveva avuto in visione da don Carlo. Anche la seconda giornata era terminata, dovevamo percorrere il solito chilometro con quel buon terremoto ondulatorio e sussultorio, con la solita accoglienza della signora Gina che però, rivolta a noi piccoli, promise per la sera seguente giorno di Sant’Antonio, le castagne secche bollite nel latte come da tradizione. Ho parlato di promessa ma in realtà era una minaccia a cui Giancarlo ed io non potevamo sottrarci ma, data la notoria poca pulizia della perpetua, ci preoccupava tantissimo ma non potevamo sottrarci e quindi, avremmo fatto buon viso a cattivissimo gioco. Il terzo ed ultimo giorno era speciale, sia per il ridotto numero di stalle da benedire, sia perché al termine del pomeriggio a Molino della Signora, il giudice avrebbe dato come di consueto, un passaggio al Parroco ed a noi ragazzi su di una mitica Topolino C , per i tre chilometri di strada che ci separavano dalla chiesa. Raccontare oggi l’emozione di un ragazzo nel salire su un’automobile, fare un tratto di strada con grandi e piccini che ti guardano e che, successivamente, ti chiedono cosa si prova, se si sente l’aria in viso, se ti


C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI fa male la testa quando scendi o se hai sofferto il mezzo, è molto difficile ma in quel contesto rappresentava una mini promozione sociale e una goduria inimmaginabile da raccontare agli invidiosi compagni di scuola. Dopo una notevole scarpinata, si giungeva alla stalla ad Camìl e Sabìna, a quella ad Cléto e Nano, quelle dei Fronti, quella ad Giuàn, quella ad Gnéri e quella ad Guìdo. Dopo un breve tratto di strada oltre il torrente Ardivestra, finalmente si raggiungeva il cortile dell’azienda Molino della Signora e, mentre Don Bobi benediva la stalla, noi sbirciavamo il cortile retrostante per scorgere le tracce della mitica Topolino. C’era, tirata a lucido per l’occasione, pronta ad imbarcare un prete e due giovani futuri piloti e a depositarli dopo un’ avventurosa gita, a casetta loro. La felicità allo stato puro, il vivere un’avventura unica e difficilmente ripetibile, ci provocava sciocchi ed irrefrenabili sorrisini, sguardi ammiccanti nonchè fregatine di mano impazienti. In casa, mentre il parroco brindava allegramente con il giudice, noi seguivamo distrattamente il magistrato che riferiva al prelato di aver preparato una coniglia gravida da donargli, come promesso l’anno prima. Saluti, auguri e a buon rivederci per le festività pasquali: noi due pronti a salire sul rombante bolide già acceso per il riscaldamento, quando improvvisamente il Parroco nel passare a Giancarlo il sacco contenente la puerpera roditrice, mi fissò e disse: ‘viàltâr dù vurì no spurcà la màchina col sàc? A pé!’. Dette queste parole salì in macchina e scherzando con il giudice, ci appiedò con un sacco e una coniglia incinta a tre chilometri da casa, e con un sogno spezzato e il cuore che sanguinava. Tra parolacce e piccole bonarie imprecazioni, seguiti dalle raccomandazioni di una vecchia megera che ci ricordava le condizioni dell’animale e l’assoluta necessità di maneggiarla con cautela, mestamente iniziammo la via del ritorno rimuginando vendette prossime venture nei confronti del poveruomo nostro involontario carnefice. A notte giungemmo nei pressi della canonica, sistemammo la puerpera un poco provata per verità, nella stalletta del prete già occupata da due pecore e dal mitico cavallo Cìnu, rubato dagli zingari a Don Bobbio e recuperato dallo stesso dopo due giorni di inseguimento e un convincete discorsetto al capo clan. Data l’ora tarda, speravamo almeno di poter evitare le famose castagne cotte della Gina ma il Don, dopo averci chiesto della famosa coniglia già descritta nei minimi particolari alla perpetua, ci riprese affermando: ‘ormai ha ià fàt’. Così, mestamente, si concluse una triste vicenda che, purtroppo, non aveva ancora esaurito le sue malefiche determinazioni nei nostri confronti. Il giorno successivo vidi in lontananza il prete fare gesti inequivocabili ed energici di immediata convocazione. Giunsi trafelato sul piazzalino davanti alla chiesa dove già stava Giancarlo ed immediatamente pensai che il prete pentito volesse scusarsi per la scarpinata indegna del giorno prima ma, dopo aver meglio guardato il mio amico, mi convinsi dovesse esserci dell’altro. Don Biagio Bobbio, guatandomi di sottecchi come solo soleva fare quando era quasi accecato dalla rabbia, mi chiese bruscamente: ‘chi è c’ha masà

la cunìglia?’ Rimasi interdetto pensando che avrei potuto dire che Giancarlo, nel trasporto del delicato animaletto, a volte, sbadatamente, aveva incocciato qualche paracarro o qualche paletto a bordo strada, ma, quasi sicuramente, il mio amico avrebbe continuato la confessione ricordando certi miei calcetti innocenti all’animale causa dei nostri guai. Quel lontano giorno imparai la vera difesa in casi simili: negare sempre, negare tutto anche l’evidenza contando sul nobile sentimento della clemenza. Purtroppo un uomo colto, un uomo di chiesa come il don non conosceva il significato di tale bellissimo termine e, nonostante il nostro dignitoso silenzio e la nostra convinta meraviglia per l’accaduto, ci fece un perfetto trattamento di barba e capelli invitandoci a segnalare la cosa ai rispettivi genitori. Con un malcelato atteggiamento di superiorità, dopo un muto consulto fatto di sguardi complici, decidemmo di non segnalare i fatti ai genitori al fine di evitare, complice il loro caratteraccio portato a dar sempre ragione al parroco e torto a noi, la tentazione di darci un’ulteriore spuntatina con annessa ricevuta. La coniglietta era morta come, di lì a poco, sarebbe morta anche una delle pecore con il sospetto da parte di quell’uomo di poca fede, di un nostro coinvolgimento che, in questo secondo caso, non ci fu con nostro stupore nel non averci pensato sul serio. Altri fatti e fatterelli incrociavamo in quei pochi giorni di girovagare, senza poterne dar compiutamente conto in queste poche e scarne righe, alcuni però davvero curiosi. Uno capitò alla nostra guida materiale e spirituale: la domenica dopo Sant’Antonio, al termine della Santa Messa, chiesi al reverendo quando avesse benedetto la sua stalla, quella del Cìnu, della pecora sopravvissuta e mancato ausbergo della povera sfortunata coniglietta. Il prete, come colpito da un’improvvisa folgorazione, indossò la cappa, prese l’ aspersorio, mi disse ‘dùma’ e, senza mostrarci ai più, benedisse la sua stalla e tutti i suoi animali che il poveretto aveva dimenticato. Un giorno la mamma di Domenico, la buona e paziente signora Maria, ci spiegò che i suoi capponi non morivano, non perché lei era brava a farli, cioè a sistemarli, ma perché provvedeva tutti gli anni, in occasione del-

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la benedizione annuale delle stalle, a portare nella stalla il coltellino che usava per la bisogna. Forse è bene spiegare meglio, dubitando che molti conoscano compiutamente le operazioni legate alla creazione dei capponi. Creazione sì, perché cappone non si nasce ma si diventa, perdendo l’attrezzatura secondaria di riproduzione e i simboli che la rappresentano: creste e bargigli. La signora Maria era una specialista in tale operazione: il galletto di primo canto veniva stretto tra le gambe della donna che inizialmente toglieva un po’ di penne sul posteriore del pennuto ululante, successivamente praticava un taglietto con un piccolo coltello da ciabattino scartato dal marito, estraeva i famosi ‘ovetti’ riproduttori, dopo di che tagliava cresta e bargigli del malcapitato pollastro iniziando a questo punto, l’opera di recupero del paziente, prima cucendo la ferita e provocando un gridolino ad ogni punto, quindi intingedo per bene tutte le ferite nella cenere prelevate dalla stufa ed infine riponendo l’animale in una gabbia con acqua e becchime. Parrà strano, ma pochissimi animali rendevano le penne al cielo e la signora Maria, che si ripagava della delicata operazione trattenendo le rigaglie dell’ora cappone, affermava che il fatto era dovuto alla benedizione di Don Bobbio al coltello da ciabattino adibito a missione chirurgica. Da ultimo, ma non per importanza, ricordo una signora molto avanti con le primavere e il suo tacchino riproduttore. Il parroco aveva ormai benedetto la stalla e gli animali in essa contenuti, quando l’arzilla vecchietta, pregò il prelato di benedire un maestoso tacchino che si aggirava per l’aia. Don Bobbio eseguì sorridendo ma, l’anno dopo, la vegliarda lo ringraziò ripetutamente per la benedizione al suo tacchino stallone. Questi animali, boriosi ed esibizionistici, spesso sono molto bravi nel fare la ruota ed a pavoneggiarsi, ma scarsi nella loro richiesta opera riproduttiva. Il nostro amico invece, dopo la benedizione del parroco, era diventato un Rodolfo Valentino pennuto e gorgogliante, richiamando le contadine con le loro tacchine da riproduzione, con la solita manciata di becchime quale pagamento previsto per le prestazioni del ruotante Casanova. La vecchina in questo modo alimentava il suo

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animale senza spendere danaro. Questo era il senso del ringraziamento al parroco dal lei ritenuto il vero artefice del miracolo tacchino. Sorridendo Don Bobbio commentò ‘bè almeno a qualcosa serviamo’ . Profittò del momento di confidenza con la ‘tenutaria’ per chiuderle come mai tutti gli anni Lei avesse i più bei tacchini del paese? La vegliarda sorridendo confidò al padre che mentre le sue colleghe attendevano il periodo di cova delle tacchine dopo la deposizione, lei forzava leggermente tale operazione anticipandola. Sempre più incuriosito, chiese come faceva ad anticipare la cova che un accadimento assolutamente naturale. La scaltra vecchina confidò che, da sempre, al trentesimo uovo deposto della tacchina se questa non intendeva covare, prendeva una grossa ciotola di vino, vi macerava qualche fetta di pane raffermo, catturava la malcapitata e, con l’aiuto di un imbuto la rimpinzava di pane ammollato nel vino fino a renderla ubriaca fradicia. La depositava sulle uova sistemate in una cassetta con un letto di paglia, dormiva per uno o due giorni, a seconda del livello etilico ed al termine di detto periodo, la tacchina si svegliava, si innamorava delle uova ed il gioco era fatto. Poche volte ho visto don Bobbio ridere così di gusto come in quell’occasione, con meraviglia dell’intraprendente vecchietta che temendo di non essere creduta, continuava a ripetere che era la pura verità. Ed era la verità, una procedura che le donne ponevano in campo in caso di necessità. Ciao mitico Don, dovunque tu sia, un grande abbraccio e un grazie di cuore per tutto quello che hai fatto per me, blandendomi o castigandomi duramente come spesso meritavo, grazie per essere stato la mia paziente guida e luce, grazie di tutto cuore. Nei tuoi giretti lassù in cielo, lascia stare qualche volta a sinistra Giancarlo che è lì con te, e che adesso sì, ha un diritto d’anzianità. di Giuliano Cereghini Sìlio, Giuàn, Tìlio e Gilô: Silvio, Giovanni, Attilio e Giacomo Cusmê: Cosimo Génio e Gèpe: Primo e Giuseppe Nàni, Rèste e Gustê: Giovanni, Oreste e Agostino Jàcâm: Giacomo, Giòl ad Gèp: Angelo fu Giuseppe Vitòri e Cichë: Vittorio e Francesco Camìl, Màriu, Rìcu, Marcilê, Giusèp e Frìs: Camillo, Mario, Enrico, Marcello, Giuseppe ed Eugenio Manèl, Giulê e Vigè: Giuseppe, Francesco e Luigi Carlê: Carlo Gurëna: Cascina Gorina Punzé: Ponticelli Murê d’rä Siùra: Molino della Signora Andùma: andiamo Lè tàrdi, s’iv fàt in gir féna adèss: è tardi , cosa avete fatto in giro sin’ora Carletû, Miciulê, Filicìn, Giuàn, Pédar: Carletto, Giuseppe, Felice, Giovanni, Pietro Camìl e Felìc: Camillo e Felice Pidrè e Nusiadê: Pietro e Annunciata Mìliu dal ginvés: Emilio del Genovese Secundìn: Secondino Almàno: Germano Spedìto: Espedito Càrlu ad Marcèl: Carlo fu Marcello Gipétu: Giuseppe Ca da Rnèsta: casa di Ernesta Cesàrina e Miliê: Cesarina ed Emilio Tìlio e Màriu: Attilio e Mario Cìciu, Burtlàm, Bàbo, César, Dùlfo e Vigìn: Quinto, Bartolomeo, Guglielmo, Cesare Adolfo e Luigi Picë: dipendente di Ponticelli Camìl e Sabìna: Camillo e Sabina Cléto e Nano: fratelli Fronti Gnéri: Ranieri Viàltâr dù vurì no spurcà la màchina col sàc? A pé!’: voi due non vorrete sporcare la macchina con il sacco? A piedi! Cìnu: nome del cavallo del Prevosto Ormai ha ià fàt: oramai le ha preparate Chi è c’ha masà la cunìglia?: chi ha ucciso la coniglia?



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«Il mio obiettivo sarà riuscire a coniugare la tradizione con l’innovazione alimentare» Le ciambelle biscottate di Mornico Losana sono un prodotto molto apprezzato e conosciuto in tutto l’Oltrepò Pavese; un dolce antico, la sua origine, infatti, è probabilmente nei dolcetti che si cuocevano per sfruttare il calore residuo del forno per il pane al termine della cotta. La famiglia Calvi ha saputo negli anni valorizzare il prodotto e farlo conoscere nella sua semplicità – le ciambelle si realizzano con uova, zucchero, burro, farina, lievito e sale, e un pizzico di vaniglia – ma anche nell’abbinamento ad un’altra gloria locale: i vini dell’Oltrepò Pavese. Benedetta Calvi è l’ultima erede della famiglia Calvi ed è colei che sta tentando di coniugare la tradizione con l’innovazione alimentare. Benedetta come nasce la vostra attività? «La nostra attività nasce nel 1940; inizialmente il locale era una delle tante osterie da paese che, in quegli anni, davano vita ai piccoli borghi. Tutto nasce con Clelia Torti, una donna moderna per l’epoca: imprenditrice, vedova e madre di Mario e Giovanni. I figli ben presto la affiancheranno nella conduzione dell’azienda che, nell’arco di poco tempo, si trasforma da semplice osteria ad albergo-ristorante e negozio di alimentari con un laboratorio di produzione di pane e dolci. È in questo laboratorio che nel 1956 nasce la ricetta delle ciambelle di Mornico Losana, ricetta che passerà ad Ottavio Calvi, colui che conduce attualmente l’azienda, nonché nipote di Clelia Torti». Cosa rappresentano le ciambelle per la sua famiglia e per Mornico Losana? «Le ciambelle di Mornico sono uno dei tanti prodotti che portano vanto al nostro paese. Nello specifico, per la mia famiglia è storia, tradizione e ricordi!».

Qual è il legame di questo prodotto con il territorio dell’Oltrepò Pavese? «Le ciambelle sono uno dei dolci tipici dell’Oltrepò Pavese, proposte in varie ricette; la nostra ricetta però è differente, perché nasce su richiesta personale di una cliente milanese dell’epoca». Questo prodotto artigianale si sposa con altri prodotti tipici della zona, ad esempio il vino. In che modo?

«La nostra ricetta è differente, perché nasce su richiesta personale di una cliente milanese dell’epoca»

Benedetta Calvi «Le ciambelle di Mornico Losana si prestano molto bene all’abbinamento con il moscato; qualche temerario ha provato ad abbinarle con il bonarda! Tendenzialmente però vengono preferite come biscotto per la prima colazione». Benedetta in cosa vi distinguete dagli altri produttori? «La nostra attività predilige la lavorazione a mano, ingredienti di prima qualità (uova, farina e burro) e passione per il prodotto». Questo prodotto lo conoscono solo in zona Oltrepò oppure puntate a farlo conoscere in tutta Italia? «Le nostre ciambelle nel corso degli anni si sono fatte conoscere in varie zone d’Italia, principalmente al nord, grazie al passaparola tra i clienti, ma anche attraverso fiere ed eventi a cui abbiamo partecipato». Riconoscimenti? «Dal 2008 abbiamo la De.C.O., ovvero la Denominazione Comunale di Origine. Ne siamo orgogliosi!». Avete mai realizzato o pensato realizzare un evento ad hoc per coniugare turismo e le ciambelle di Mornico Losana? «In azienda proponiamo vari eventi, primo su tutti i laboratori didattici con i bambini e ragazzi delle scuole. Diamo a loro la possibilità di provare a realizzare le nostre ciambelle e vestire i panni del pasticcere per un giorno. Oltre a questo, ogni anno 1a prima domenica di giugno si svolge la sa-

gra della ciambella di Mornico Losana in concomitanza con la fiera dell’agricoltura promossa dal Comune e dalla Pro-Loco». Nella sua famiglia c’è già qualcuno improntato a proseguire l’attività nei prossimi anni? «Sì, in famiglia c’è già chi seguirà le orme

pensa possa essere nei prossimi decenni la vita in questi piccoli paesi? «Tendenzialmente credo continuerà ad essere una vita tranquilla, come è giusto che sia in questi paesi; del resto se si opta per un borgo come Mornico Losana, non si cerca la confusione. Tuttavia credo che ci si dovrà focalizzare su alcuni aspetti che la vita di oggi necessita, quali servizi assistenziali agli anziani e per i disabili, attività per i più piccoli, magari creando una rete di aiuti tra i piccoli comuni». Su cosa bisognerebbe puntare, secondo lei, per far tornare a splendere l’Oltrepò Pavese? «L’Oltrepò Pavese già splende! In questo ultimo anno ho avuto modo di viaggiare tanto per il nord e centro Italia, conoscendo produttori e professionisti del settore pasticceria... non ci manca nulla. Abbia-

Lavorazione a mano delle ciambelle di Mornico Losana di Mario e Giovanni: sono io, Benedetta. mo qualità, voglia di fare, splendidi posti Sto portando avanti l’attività di famiglia, da far conoscere, ottimi prodotti da far dopo la laurea in economia e un percordegustare; dobbiamo solo essere capaci so di formazione per pasticceri in CastAdi venderci e unire le forze. Lavorare per limenti; il mio obiettivo sarà riuscire a conto proprio non in tutte le situazioni aiuconiugare la tradizione con l’innovazione ta, bisogna fare squadra e creare una rete alimentare». tra i singoli produttori!». Lei è nata e cresciuta a Mornico. Come di Silvia Cipriano


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BRESSANA BOTTARONE

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«Dalla minoranza solo dei “non facciamo o avremmo fatto diversamente”» Nelle scorse edizioni del “Periodico” ha dato conto di numerosi temi che le forze di opposizione hanno posto all’attenzione dell’Amministrazione Comunale di Bressana Bottarone. Segno che la politica in paese vede un’ampia partecipazione, e che molti sono i cittadini interessati ed attivi per la propria comunità. Questa volta abbiamo intervistato la sindaca Maria Teresa Torretta, che non si è sottratta alle nostre richieste di chiarimento e ha toccato diffusamente tutte le tematiche presenti sulla sua scrivania. Iniziamo parlando del nuovo semaforo, collocato all’incrocio fra la S.S. 35, via Roma e via IV Novembre. Un intervento che si colloca in un programma più ampio di revisione della viabilità bressanese. «Stiamo pianificando da tempo una serie di collegamenti all’interno e all’esterno del paese per raggiungere tutte le nostre frazioni e permettere la possibilità ai cittadini tutti di utilizzare un mezzo che a volte è anche pericoloso in queste zone, la bicicletta». Perché un semaforo? «C’è stato un confronto che abbiamo portato avanti con l’Ufficio tecnico e con la Polizia Locale. Alcuni sostenevano la soluzione corretta fosse una rotonda. Ma la ragionavano da automobilisti e non da pedoni, da utenti deboli, da bambini. Una rotonda quanto mette in sicurezza il pedone o il ciclista? I dati dicono il 75%. Con un semaforo, invece, siamo al 100%. L’intento mio era mettere in sicurezza più possibile le fasce deboli». Quali sono gli altri collegamenti ciclopedonali in progetto? «Dovremmo pensare tutto il territorio in piste ciclabili, ma collegare tutto sarebbe impossibile, perché abbiamo strade già esistenti che non sempre supportano modifiche di questo genere. Si riesce a progettarle solo dove esistono misure sufficienti. Ne abbiamo in progetto altre due, una fra la chiesa e il cimitero, da utilizzare sia per l’ultimo viaggio, sia per permettere alle persone di non fare un giro lunghissimo quando intendono recarvisi per andare a ricordare i propri cari. Lo stesso ad Argine». In che termini? «Metà del quartiere è situato al di là S.S. 35. I ragazzini, se non accompagnati dai genitori, non possono muoversi in sicurezza. Quindi per Argine amplieremo il marciapiede e posizioneremo un semaforo a chiamata con countdown, che permetterà l’attraversamento pedonale bloccando quattro direzioni, quindi mettendo veramente in sicurezza il pedone. Questo passaggio è importante per le persone di Argine: per chi viene far spesa, per chi va a messa… I miei predecessori avevano detto loro che era impossibile da fare,

Maria Teresa Torretta

però è bastato chiedere e una soluzione si è trovata». Non pensa che un semaforo finisca per rallentare di molto la viabilità, su una strada così frequentata? «È stato calcolato anche questo. Stiamo sperimentando 60 secondi di stop sulla tratta principale e da 10 fino a un massimo di 30 sulla secondaria». Come funziona esattamente questo meccanismo? «Se il radar installato sul semaforo non vede veicoli in arrivo, aumenta fino a un massimo di 30 secondi la capacità di passaggio sulla strada secondaria. Stiamo parlando di una strada dove con l’autovelox si doveva rallentare comunque. Si deve rallentare in quella curva, è una semplice questione di sicurezza. E il nuovo sistema è un’evoluzione delle classiche strategie atte ad aumentarla. Si tratta comunque di un primo passo. Uno degli altri progetti che abbiamo messo in essere e che ai cittadini piacendo durante questo e il prossimo anno porteremo avanti riguarda il raccordo fra Bottarone e il centro del paese». Ne aveva già parlato, in passato. «Tra l’altro, la tromba d’aria del 20 luglio ci ha bloccato un po’ i finanziamenti. Un minimo di progetto c’è, anche lì con il semaforo a chiamata per permettere alle persone di Bottarone di poter andare a prendere il giornale e di accedere all’unico bar

della zona». E a proposito di risorse, vuole parlarci della situazione della Log Service? Ricordiamo che la proprietà stava cercando di avviare una trattativa per dilazionare un debito nei confronti del Comune. «Stiamo cercando di arrivare al concordato. La disponibilità dell’Amministrazione è stata più che consolidata, e oltre ad affrontare il problema contingente abbiamo scelto di varare un regolamento che vale per tutti, grazie al quale sarà possibile dilazionare i pagamenti in 72 mesi. Che è né più, né meno, il termine adottato da Equitalia. Quello della logistica è stato il casus belli, tuttavia abbiamo voluto affrontarlo con una scelta che non vada a impattare su questa singola attività, ma che dia una possibilità a tutti i cittadini». Come è maturata questa decisione? «La scelta era quella di continuare a guardare dei capannoni fermi, oppure dare, per quanto di nostra competenza, l’opportunità a una ditta di non chiudere, sperando che le cose vadano per il meglio». Nell’area, peraltro, si registra qualche movimento. Segnali confortanti? «C’è una società di logistica che occupa una parte di quello spazio. In questi anni la società ha anche dato qualcosa a Bressana, quindi era anche corretto che Bressana desse qualcosa a loro. È chiaro che con un concordato non si andrà mai a recuperare

il 100% del dovuto, ma nemmeno a zero. Che non sarebbe giusto: è anche questione di rispetto per tutti gli altri che pagano. Non chiediamo mai a nessuno di svenarsi. Se una famiglia viene in difficoltà viene qui si cerca di non essere troppo fiscali, ma di arrivare a un accordo con chi chiede di pagare. Bisogna apprezzare la buona volontà». Passiamo a un altro argomento caldo: la cava in area golenale del Po. Dopo che la questione era esplosa, nelle scorse settimane, a Bressana, anche a Pinarolo è sorto interesse intorno al tema, con un’interpellanza proposta dal gruppo di opposizione “Svolta Civica”. «Facciamo una premessa: fino a questo momento c’è stata solo una Conferenza dei Servizi preliminare. Peraltro il comune di Pinarolo non era nemmeno fra gli enti invitati alla Conferenza. Il problema è che abbiamo a che fare con un piano cave già in essere, approvato nel 2007 e revisionato nel 2017. L’area in questione si trova nel territorio di Cava Manara, pur essendo al di qua del Po. In questa Conferenza, del 7 giugno, in cui erano presenti dalla Lipu all’ATS, si prevedeva già cosa fare dopo la fine delle escavazioni». E la Lipu sarebbe interessata alla gestione del post-estrazione. In progetto ci sarebbe un parco. Anche se molti cittadini temono sempre che, dove c’è una cava, alla fine arrivi qualcos’altro. Quanto alla viabilità, che è il problema principale che ricade su Bressana? «Noi avevamo invitato la proprietà a valutare percorsi diversi, ovviamente non è semplice perché si tratta di territorio PAI, dell’argine del Po. Non sono state possibili soluzioni alternative. Verso la zona industriale di Rea non si può arrivare perché le strade di Pinarolo sono troppo strette. Abbiamo chiesto anche quanto sarebbe stata utilizzata questa cava, sia io, sia il nostro Ufficio Tecnico; quale sarebbe stato l’impatto ambientale». E cosa vi è stato risposto? «La proprietà ha garantito che non si farebbe un grande cantiere, ma solo un’escavazione, senza macchinari di grande impatto, e con un passaggio sulle nostre strade di 8/10 camion in andata e in uscita. Nel verbale prodotto c’è scritto che si tratterebbe di 20, ma ci è stato chiarito che si tratta di 20 totali, fra andata e ritorno». In effetti il verbale è poco chiaro, e alcuni avevano pensato si trattasse di 20 più 20, quindi 40. «In ogni caso avevo chiesto al Comandante dei Vigili anche una valutazione sull’impatto di questi camion sulla viabilità. Mi è stato detto che non sarebbe un impatto gigantesco, che i passaggi si sarebbero verificati all’incirca ogni mezz’ora. Tra l’altro è stato chiesto anche in Consiglio cosa verrebbe in tasca al comune di Bres-


BRESSANA BOTTARONE sana da questa cava; in realtà non abbiamo ancora fatto una convenzione, proprio perché si è in una fase preliminare. Qualche cosa sicuramente la chiederemmo». Ci saranno novità a breve? «Bisogna tener presente che da giugno 2018 questo signore non si è più fatto vedere, quindi non è detto parta subito. Magari inizierà l’anno prossimo. C’è un iter da rispettare e questo prevede anche ulteriori passi. La ditta ha fatto una proposta, l’Amministrazione Provinciale ha chiamato tutti gli stakeholders e ha sentito i pareri. Siamo fermi a questo punto. Anche da parte degli ambientalisti non sono state alzate barricate, anzi c’è stato un discorso costruttivo. Certo il discorso su ciò che verrà fatto in quell’area dopo la fine dei lavori è l’aspetto fondamentale». Restando in tema ambientale, vuole dirci la sua a proposito dei pioppi storici di viale Resistenza? «Nei prossimi giorni verrà convocata la commissione ambiente, che si riunirà in seduta aperta ai cittadini interessati. Verrà spiegata la situazione pioppo per pioppo, e saranno presenti i periti che rendiconteranno sulla loro analisi. Da lì partirà la discussione sulla riqualificazione dell’intero viale. Ciò permetterà di riaprire la pista ciclabile, cosa che in questo momento non è ancora possibile». Perché la strada è stata riaperta e la ciclabile no? Possibile non ci sia pericolo per le automobili? «Perché sul filare dal opposto alla ciclabile eravamo riusciti a fare dei tagli, degli interventi maggiori. Per completare anche quest’altro lato occorrevano altri investimenti. Con la valutazione complessiva che ora andremo a predisporre si farà un unico intervento. La scelta operata dall’Amministrazione è stata quella di non procrastinare l’intervento più urgente, quello che avrebbe consentito ai residenti di tornare a casa e di andare a lavorare». Certo è che la questione le ha causato qualche grattacapo… «Siamo stati anche accusati di non avere fatto nulla per l’ambiente in questi anni. Ma voglio ricordare che sono state approvate due varianti del Piano di Governo del Territorio che hanno ridotto il consumo di suolo di 90mila metri quadrati. Inoltre si è cercato di incentivare l’utilizzo delle aree già costruite, di recuperare le aree dismesse e di non incentivare nuove costruzioni. Inoltre abbiamo scelto per i rifiuti la raccolta differenziata porta a porta: partivamo da un dato del 27% e siamo arrivati al 64,6% del 2018. Tutte scelte virate a favore dell’ambiente. Senza considerare il decoro del verde pubblico». Le chiedo ora se ha qualche notizia in merito al ponte sul Po. Nel 2019 la Provincia metterà in campo quasi 12 milioni per risanare i 4 ponti sul Po di sua competenza (stanziati a febbraio 2018 dal Governo). Inoltre, con l’ultima Legge di Bilancio sono stati stanziati 250 milioni per la costruzione di nuovi ponti sul Po, fra i quali quello della Becca. Il fatto è che, ancora prima di ottenere un risultato peraltro ancora da toccare con mano, era già partita la corsa ad accaparrarsene i meriti, che ha visto coin-

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volte tutte le forze politiche. Qual è la sua opinione? «In realtà nei primi due anni di ciascuna amministrazione, se le precedenti hanno fatto qualcosa, si trascinano sempre un po’ sul traino di quelle. Se c’è un impianto decente di programmazione, per un anno e mezzo o due ne risentono comunque anche i governi che arrivano successivamente. Prendiamo il caso del Reddito di Inclusione che in parte confluisce nel Reddito di Cittadinanza. Lo stesso vale per la questione strade. Tutto quello che è stato stanziato prima, magari un anno prima, si vede col tempo. Per me le medaglie si possono anche tenere nel cassetto. La cosa fondamentale è mantenere un rapporto con il territorio. A prescindere da che uno sia al governo o all’opposizione: ci metti del tuo e cerchi di fare delle cose». Basta un ponte per risolvere i problemi del territorio? «Risolvere la questione del Ponte della Becca vorrebbe dire ridurre almeno un po’ il traffico anche da questa parte dell’Oltrepò. Ma abbiamo comunque una viabilità che la provincia non può permettersi di mantenere, perché è una provincia povera. Ci vantiamo tanto del nostro bellissimo territorio, ma purtroppo non ci sono dei carichi turistici che ci permettano di farla diventare un gioiellino, e questo perché mancano le infrastrutture. Perché c’è un terreno che cede. Puoi anche asfaltare 25 volte una strada interessata da dissesto idrogeologico, ma dopo un mese o due si creeranno sempre le stesse depressioni. Quando pensiamo agli interventi non possiamo pensare basti asfaltare».

La cava sul Po: «Ci è stato chiarito che si tratta di 20 camion totali, fra andata e ritorno» «Bisognerebbe chiedersi come passeranno i treni su questo ponte con il quadruplicamento della rete ferroviaria. La cosa è in discussione ma nessuno ne parla. Alla riunione del Quadro Sud, comprende tutta l’area meridionale della Lombardia (Lodi, Cremona, Pavia e sud Milano) c’eravamo io, il sindaco di Stradella e un assessore di Broni». Cosa è emerso in questi incontri? «Sono state convocate riunioni a ottobre e a dicembre, con i comitati dei pendolari, che sono sul piede di guerra per via del servizio in generale. Dopodiché ci è stato chiesto dai comitati stessi se volessimo partecipare anche noi sindaci alle riunioni in regione. Siamo andati a Milano, proprio per capire le risposte a tutte le manchevolezze che il servizio in questo momento ha in essere. L’impressione è che la trasformazione da rete ferroviaria in rete su gomma per alcuni tratti di percorrenza, sotto i 50 passeggeri, verrà eliminata, e questo aumenterà ancora più l’impoverimento di questa zona». Questo cosa comporta? «Produttori e creativi, studenti e lavorato-

«Quando pensiamo agli interventi non possiamo pensare basti asfaltare. Bisognerà anche scegliere prima o poi quali strade tenere vive» Cioè? «Bisognerà anche scegliere prima o poi quali strade tenere vive. Se ho tre strade che portano in un posto e voglio fare qualcosa su tutte e tre ne avrò tre che zoppicano e nessuna in ottime condizioni. Ovviamente la tangenziale Voghera-Casteggio, che adesso sta ricevendo un po’ di asfalto pezzo per pezzo, era forse una delle più dissestate del mondo. Magari spendere meglio significa far durare di più queste nostre strade. Lo dice una che un po’ di asfalto all’interno e all’esterno del paese ha cercato di farlo mettere». Il problema ponti non riguarda solo la viabilità automobilistica ma anche quella ferroviaria, e a questo proposito so che negli scorsi mesi lei ha intensificato alcuni contatti nel settore.

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ri, si spostano cercando una casa più in là del Po e magari anche oltre Pavia. Si mette a rischio il territorio di diventare ancora più vecchio e periferico». Qual è il vostro ruolo come istituzioni? «Stiamo all’erta. Quello che possiamo fare come sindaci è stare vicino a queste persone cercando di tenere aperto ogni canale di dialogo». Qualche parola sulle prossime elezioni. È soddisfatta del lavoro svolto in questi suoi anni da sindaca? «Credo che questa amministrazione abbia cambiato un po’ il modo di fare a Bressana. Abbiamo fatto quello che era scritto nel programma elettorale, per cui eravamo stati eletti, ed è stato realizzato tanto, pur con le tempistiche dell’amministrazione comunale. È stato faticoso, ma tutto quello

che ci era passato per la mente lo abbiamo almeno toccato. In qualche caso ci vorranno ancora un anno o due per arrivare al completamento, come per la nuova scuola, che non è proprio una cosa velocissima da costruire». Si profila un’ampia coalizione per lanciarle la sfida, con Filippo Droschi, attuale consigliere di minoranza, pronto ad assumere un ruolo di federatore nei confronti degli altri gruppi presenti in paese. Teme questa prospettiva? «L’avere contro una coalizione può avere diversi significati. Per esempio che le cose siano state fatte male, ma non credo. Capisco l’essere contro, ma ci devono dire cosa vorrebbero fare. In cinque anni di proposte non ne ho sentite, se non: non facciamo la casa dell’acqua, non facciamo la scuola, non facciamo il semaforo, non facciamo la pista ciclabile. Solo dei no: non facciamo o avremmo fatto diversamente, senza però mai dire cosa sarebbe stato il diversamente. Ho fatto anche io opposizione e ho sempre detto cosa avrei fatto al posto di chi era al governo. Perché si lavora per il paese intero, per cercare di dare il meglio ai cittadini. Il non fare è molto più comodo. Vedremo i programmi elettorali. Noi comunque, nella nostra azione amministrativa, abbiamo improntato un programma che può andare avanti ancora per 5 anni». Con quali interventi? «C’è il grande intervento di Pavia Acque che verrà fatto sul nostro territorio. Il nuovo pozzo a Verrua, che ci permetterà di non prendere più l’acqua a Pinarolo. La nuova scuola. Tutta una serie di cose pronte. Sono cose per il paese, indipendentemente da chi le fa. Le abbiamo fatte non per avere la medaglia, ma per vederle realizzate. Poi, ovviamente, ci siamo trovati e ci troveremo ancora a dover gestire situazioni che non erano in preventivo. Per esempio, abbiamo scoperto una strada che dal 1964 che non è pubblica. Dovrà essere sistemata». Medaglie no, però avere il riconoscimento da parte dell’elettorato sarebbe la conferma che il suo impegno da sindaca è stato valutato positivamente. Un orgoglio, se vuole. «La fascia non è un simbolo di rappresentanza puro e semplice. È un impegno per far sì che le cose nel tuo territorio migliorino. È lavorare per questa comunità. Dedicarci, notti, giorni, tempi e sacrifici. Il cittadino vota come ritiene. Noi certamente siamo felici di avere dato questi cinque anni di duro lavoro per il nostro territorio e per la nostra comunità». di Pier Luigi Feltri


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REDAVALLE


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«Strade asfaltate che attirino il turismo e non lo disincentivino» Pierangela Compagnoni da 18 anni è al servizio della sua cittadina, Redavalle, dapprima come consigliere ed assessore, poi come sindaco con mandato dal 2015. Compagnoni suo primo mandato da sindaco sta volgendo al termine. Un bilancio? «Giudico sicuramente positivo il mio percorso politico innanzitutto perché frutto della fiducia che i miei concittadini mi hanno sempre accordato, ma soprattutto perché in questi anni di impegno amministrativo ho avuto la possibilità di confrontarmi con le persone e tramite loro conoscere i problemi quotidiani e le esigenze della comunità in cui viviamo che sono lontanissimi dalla politica dei palazzi». è stata la sua prima esperienza politica? «Ho iniziato nel 1993 a fare politica, quando mi sono candidata per la prima volta a Santa Giuletta dove, forte delle centoquattro preferenze raccolte, un record mai battuto, ho ricoperto la carica prima di Capogruppo e poi di assessore ai servizi sociali. Nel 2004 mi sono trasferita come abitazione a Redavalle, dove ho ricoperto, prima di essere eletta sindaco, la carica di consigliere e assessore con delega allo sport, turismo ed attività produttive. Dal 2004 al 2009 sono stata Presidente della Commissione Servizi sociali della Comunità Montana». Tema sicurezza: Redavalle è a suo giudizio un paese vivibile? «Redavalle è un paese vivibile e come amministrazione in questi cinque anni abbiamo dedicato particolare attenzione per garantire la sicurezza dei nostri concittadini. Abbiamo infatti rinnovato la convenzione con il Comune di Broni per assicurarci la presenza sul territorio di una agente di polizia municipale, installato nuove telecamere di sorveglianza, e gradualmente stiamo procedendo al potenziamento della illuminazione pubblica». La via Emilia è spesso teatro di pericolosi incidenti a causa dell’alta velocità. Come pensa si possa risolvere il problema? «Non credo che il problema possa essere risolto con la sola installazione di strumenti come i multavelox. Occorre che venga fatta una sensibilizzazione sulla educazione stradale che deve partire dalle scuole». Problematiche particolare che sono state sottoposte alla sua attenzione? «I problemi di Redavalle, come credo ci siano per gli altri comuni, sono legati al taglio dei trasferimenti dallo Stato che hanno drasticamente ridotto le risorse economiche, impedendoci interventi sia sul sociale che sulla prevenzione. Mi riferisco in particolar modo agli interventi di prevenzione per la salvaguardia del terri-

Pierangela Compagnoni

torio sempre più interessato a fronte dei mutamenti climatici da fenomeni di dissesto idrogeologico». Cosa servirebbe? «Sviluppare rete e sinergie con i paesi vicini secondo il vecchio detto che l’’unione fa la forza e in un momento come questo di vacche magre per le finanze locali credo sia indispensabile mettere in comune le poche risorse disponibili per dare ai cittadini servizi all’altezza delle loro esigenze». Cosa pensa di poter dare ancora al suo paese? «Garantire il proseguimento del lavoro quotidiano e dell’impegno mio e della mia squadra di amministratori finalizzato al reperimento delle risorse economiche

che sopperiscano alla mancanza di trasferimenti. In questi cinque anni di mandato, grazie appunto a questo impegno quotidiano, abbiamo portato a casa importanti finanziamenti da Regione Lombardia che ci hanno consentito di avviare dopo decenni di inerzia due importanti bonifiche di siti inquinati e procedere alla pulizia della parte tombinata del torrente Rile, cercando così di prevenire le pericolose esondazioni del torrente che scorre in sotterraneo e che negli anni hanno interessato il centro del paese creando disagi alla popolazione e danni alle abitazioni». Secondo lei cosa serve per rilanciare il territorio Oltrepò, terra di vini e di prodotti tipici, che spesso non sempre viene valorizzato?

«Innanzitutto come minimo una viabilità adeguata: tanto per essere chiari, strade asfaltate che attirino il turismo e non lo disincentivino. Le bellezze del nostro territorio sono uniche e particolari e meritano di essere conosciute in sicurezza e non con il rischio latente di dover cambiare treni di gomme ad ogni visita. Poi il proseguimento del percorso da tempo iniziato della produzione di qualità e sua valorizzazione. Ricordo che i vini della SVIC nel 1904 erano sulla carta vini dei grandi transatlantici. Infine, ma non per ultimo, il superamento dei campanilismi e la creazione di rete che faccia promozione con una sola voce». di Elisa Ajelli


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BRONI

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Dipendente licenziato e riassunto «Sprecati i soldi dei cittadini» Il tribunale ha stabilito il reintegro in organico del direttore operativo del comune di Broni Massimo Mangiarotti, “licenziato” dal sindaco nell’aprile del 2016. Il capogruppo di “Broni in Testa”, Cesare Ercole, interviene sul caso per evidenziare come «l’inutile e illegittima manovra del primo cittadino ai danni del dipendente sia finita per costare circa 50mila euro alle tasche dei cittadini». Ercole inizia raccontando la storia che riguarda l’ex dipendente del Comune bronese. «Massimo Mangiarotti veniva assunto dal Comune di Broni in data 1° luglio 2006 con contratto di lavoro a tempo indeterminato per svolgere le mansioni di Direttore Operativo, diventando l’unica figura dirigenziale prevista nell’organigramma del Comune. In data 6 aprile 2016 l’incarico dirigenziale gli veniva revocato con decreto del sindaco, a due mesi dalle elezioni amministrative, per presunte inosservanze alle direttive del sindaco (contestate nel novembre del 2015) ed avviate poi ad un procedimento disciplinare. Nello stesso periodo, cioè aprile-maggio 2016, un susseguirsi di delibere di giunta posero il dottor Mangiarotti in “mobilità” e con atto deliberativo di giunta venne cancellato dalla pianta organica il posto di dirigente La giunta come si è comportata secondo lei? «Direi male. In parole povere la giunta di allora avrebbe operato in illegittimità nel metodo e nel merito del caso. Illegittima la delibera con cui il Comune rideterminava la pianta organica, illegittima la delibera

con cui predisponeva il Dottor Mangiarotti in mobilità». Ilegittimità che è stata riconosciuta… «Certo. E alla ritenuta illegittimità delle delibere consegue la condanna del Comune a riassegnare l’incarico dirigenziale ed a corrispondergli le retribuzioni nel tempo maturate dalla data della sua messa in mobilità sino a quella dell’effettivo reintegro». C’è stata una sentenza? «Sì, e a seguito di questa sentenza il Comune ha assegnato al Mangiarotti, dal 1 gennaio 2019, l’incarico di responsabile della struttura organizzativa “sviluppo del territorio”» . Cosa si sente di dire di tutto questo? «Mi sembra chiaro che gli unici a rimetterci sono stati i cittadini di Broni! Il sindaco e il vice sindaco erano presenti in giunta quando venivano deliberate queste decisioni per cui la loro è sicuramente una responsabilità politico-amministrativa, politica in quanto furono proprio loro ad assumere Mangiarotti, amministrativa in quanto si sono spesi fiumi di denaro in questa causa. In questo senso dico che a rimetterci sono stati i cittadini di Broni. Non so quantificare la spesa totale ma sono all’incirca qualcosa come cinquanta mila euro, euro in più euro in meno». A cosa è servito questo? «A nulla, il Dottor Mangiarotti ha riavuto il suo ruolo legittimamente, la casse comunali si sono diciamo svuotate di una certa cifra e viviamo tutti felici e contenti!». Cesare Ercole, Il capogruppo di “Broni in Testa”

di Elisa Ajelli


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Affondo della minoranza «Piante e strade, manutenzione insufficiente» L’attacco della minoranza non si ferma al “caso Mangiarotti”. La consigliera Giusy Vinzoni parla della condizione delle piante del cimitero della città definendola “vergognosa”. Consigliera, come si è mossa su questa tematica? «Prima di tutto ho fatto una richiesta di accesso agli atti per vedere la perizia riguardante il famoso abbattimento delle piante di tutto il viale centrale avvenuto nel 2017. Ho dovuto sollecitare la richiesta e questo devo dire che inizia anche un po’ a stancarmi perché le nostre richieste agli atti vengono evase in tempi davvero molto lunghi. Comunque, alla fine ci è stato detto che non esiste nessun tipo di perizia ed è stato quindi deciso dall’amministrazione che gli alberi erano pericolosi. È stata in seguito dato compito ad un agronomo di rivedere tutta la piantumazione degli alberi del cimitero. E così è iniziato anche l’abbattimento delle piante esterne al cimitero. Anche qui ho chiesto la perizia, che a mio avviso è davvero ben fatta e corretta, soprattutto molto dettagliata». E cosa ha potuto capire?

Giusy Vinzoni

«Che tutti gli alberi risultano danneggiati per colpa della capitozzatura, ossia di interventi dannosi per le piante e per la mancata cura: tutto questo ha portato le piante ad ammalarsi e quindi per forza dovevano essere tagliate. Da qui nasce la mia domanda: a chi è stata affidata la cura delle piante? Anche l’agronomo ha dichiarato

che d’ora in poi tutti gli alberi dovranno essere curati da personale specializzato, con l’utilizzo di specifici dispositivi di sicurezza previsti dalla legge e con mezzi idonei. Inoltre vieta la capitozzatura e le potature che possono compromettere la vita delle piante. Quindi abbiamo tagliato delle piante perché prima abbiamo pagato

qualcuno che probabilmente non ha eseguito bene il lavoro». Ha altre critiche da muovere? «Sì… forse era il caso di far fare la perizia a una persona seria come lo è questo agronomo anche per quanto riguarda le piante del viale centrale. Poi se ci si sposta in città c’è il problema dell’asfaltatura». In che senso? “Penso alla via Togni, che è ormai in uno stato penoso. Prima delle festività natalizie il nostro gruppo aveva chiesto di poter visionare il progetto e capire perché il lavoro è stato pagato subito nonostante non fatto ad arte. Giustamente ci è stato risposto che è stato pagato perché l’amministrazione ha ricevuto la conferma di avvenuto lavoro. Adesso l’impresa farà i dovuti lavori di rifacimento, ci sembra il minimo. Ma per farlo dovranno tenere chiusa ancora la strada, con conseguente disagio per la città, per i cittadini e per il commercio. Noi intanto continuiamo a prendere informazioni in merito e daremo poi la nostra valutazione sull’argomento». di Elisa Ajelli


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STRADELLA

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Matteo Paravella, giovane viticoltore di Stradella. Dalla Toscana all’Oltrepò, passando per il Chianti

Matteo Paravella Il buon nome del vino oltrepadano non è frutto soltanto di quelle cantine storiche che, chi più, chi meno, cercano di tenere alta la bandiera del territorio nel segno della qualità. Una grande attenzione meritano i giovani del vino; coloro che - contrariamente a una tendenza purtroppo consolidata - scelgono di continuare le orme paterne, e di prendersi in carico gli oneri e gli onori che l’essere imprenditori comporta. I giovani sono, per loro natura, più predisposti al cambiamento; a creare dinamiche di accoglienza; a collaborare fra loro; a far uso delle nuove tecnologie. Abbiamo incontrato uno di questi giovani vitivinicoltori: Matteo Paravella, dell’omonima azienda agricola, situata alla frazione Cassinello di Stradella. Una piccola azienda (15 ettari di vigneto, 20mila bottiglie annue) giovane e dinamica. Gli abbiamo chiesto cosa significhi essere un giovane imprenditore agricolo, in Oltrepò Pavese, oggi. Matteo, ci racconti la storia della sua

azienda. «L’azienda era del mio bisnonno, da parte di mia nonna paterna. In seguito è stata gestita da mio nonno e poi da mio padre. Quindi parliamo di una realtà che esiste, come azienda agricola, dai primi anni del Novecento. Ha seguito lo stesso percorso di molte in Oltrepò, con clienti principalmente nel milanese, i quali acquistavano principalmente in damigiana. C’è stata anche un’attività di imbottigliamento fino agli anni ’90, sempre rivolta ai privati. Negli anni 2000, poi, l’azienda è diventata socia della Cantina Sociale di Broni. Erano anni in cui la Cantina andava espandendosi.» Siete tuttora soci di Terre d’Oltrepò? «Siamo ancora ufficialmente soci ma non conferiamo più uve.» Il passo successivo è stato quindi quello di tornare a vinificare in proprio… «A partire dal 2015 abbiamo iniziato a lavorare il nostro prodotto nella nostra cantina, e a produrre vini con la nostra etichetta,

che sono un Pinot nero, una Barbera, una Bonarda frizzante e una Bonarda ferma.» Bonarda ferma che però sembra ormai destinata ad essere abolita dal disciplinare... «Però fra i nostri prodotti è uno di quelli che piacciono di più.» Prima del 2015, però, ha fatto esperienza altrove. Vuole raccontarci questa fase della sua vita? «Dopo il liceo ho frequentato i tre anni del corso di Enologia a Piacenza, in seguito due master, in enologia e marketing, uno ancora con l’Università di Piacenza e l’altro con l’Università di Pavia, che si teneva a Riccagioia. È stato l’ultimo anno che si è tenuto questo corso nella sede di Torrazza Coste. Durante questi anni, sotto forma di stage o di altre collaborazioni, sono riuscito a lavorare anche fuori dall’Oltrepò.» Dove? «In Toscana, nel Chianti Classico, nell’azienda Marchesi Mazzei di Castellina in Chianti. Poi ho avuto la possibilità di lavorare in Francia nella zona di Côte

du Rhône, nella valle del Rodano, presso la Domaine des Remizières, un’azienda non grande ma molto conosciuta in un’azienda, dove mi occupavo del laboratorio. Tanto per inquadrare: uno dei loro vini era stato classificato al quarto posto fra i 100 migliori del mondo, nella classifica edita dalla Gazzetta dello Sport. Dopo di che, ho avuto due esperienze in aziende piemontesi, fra l’Astigiano e il Cuneese, nella zona di Canelli, in grosse realtà.» Che differenze ha avuto modo di osservare, in queste realtà, rispetto all’Oltrepò e alle sue abitudini? «In Toscana ho visto che tutto, partendo dal modo di lavorare per arrivare alle strutture, è orientato a fare in modo che chi arrivi a visitare la cantina rimanga letteralmente a bocca aperta. A livello di prodotti, naturalmente, si lavora molto bene. Ma la cosa che più colpisce è come tutto sia orientato al cliente, soprattutto estero. Ricordo un episodio. Durante la vendemmia mi trovavo a fare selezione alla pigiatura,


STRADELLA quindi davanti ad un tappeto rotante sul quale passavano i grappoli di uva raccolte a mano (destinate alle bottiglie più importanti) da scegliere uno per uno. C’erano turisti cinesi e giapponesi che volevano a tutti i costi fare la foto con me. Cercano l’esperienza, e lì la trovano.» Nel più vicino Piemonte, invece? «In Piemonte, per quello che ho visto io, è tutto molto orientato al prodotto. Non saprei esattamente come spiegarlo; diciamo che stanno meno attenti ai fronzoli, a livello anche di atteggiamento in cantina.» Una realtà più vera e meno di immagine? «Sicuramente sì.» In Francia, invece? «Ho trovato un po’ di chiusura: sono un po’ più restii a raccontare loro modo di lavorare. Sono molto precisi, e mi hanno trattato molto bene; ma si sono tenuti i loro segreti. Ho comunque imparato molto a livello analitico.» Nel 2015, finalmente, il ritorno a casa, e l’inizio di questa nuova pagina della storia della sua famiglia… «In verità ero tornato a casa già nel 2014. Ho lavorato per un anno a Terre d’Oltrepo come enologo. In pratica facevo il cantiniere come responsabile di un reparto di produzione. Durante il periodo di vendemmia ero responsabile della produzione dei vini rossi, proprio manualmente, a livello anche pratico; mentre durante tutto l’anno mi occupavo di un reparto fisico, con 200 serbatoi di 1000 ettolitri, e della gestione di tutte le procedure del caso.» Gli anni di studio e le prime esperienze in altre regioni o all’estero cosa le hanno insegnato di utile per la nostra realtà oltrepadana? «A livello di viticultura in azienda abbiamo proseguito con le tecniche di prima, anche se con piccole innovazioni condivi-

«Nel momento in cui inizio la coltivazione del vigneto, metto invece già i presupposti per il prodotto che voglio ottenere alla fine»

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se con mio padre, ma le scelte agronomiche erano di qualità già in precedenza. A livello di cantina, dove ho imparato di più è stato in Toscana, dove sono molto bravi sui vini rossi, che noi produciamo principalmente.» Le difficoltà che ha trovato nell’intraprendere un’avventura in prima persona e non più alle dipendenze di altri? «La parte che sicuramente era più nuova per me era quella di marketing, ossia il dover proporre il mio prodotto. Ho girato tutti ristoranti della zona per far assaggiare i nostri vini. Nel giro di qualche mese sono entrato come fornitore in qualcuno di questi. Diciamo che questo mestiere non l’ho imparato da nessuna parte, mi sono un po’ improvvisato e ha funzionato.» L’avrà aiutata certamente l’abilità espressiva, che non le manca. «Diciamo che non faccio fatica, anche quando abbiamo degustazioni in azienda, a raccontare i prodotti; ed è una parte che mi piace molto. Un’altra forma di promozione che utilizziamo è quella di partecipare a piccoli mercatini di produttori nelle zone di Como, Varese, Monza e Brianza. Non si fanno grandi volumi di vendita in questo canale, che però consente di raccontare un prodotto, di raccontare il nostro territorio, che molte volte viene snobbato. Sullo scaffale di un supermercato la bottiglia non può difendersi da sola, mentre con il racconto viso a viso abbiamo modo di farla valere.» Entrare nei ristoranti con i propri prodotti non è facile per un’azienda che si affaccia come novità. «Un ristoratore sarà più portato a proporre etichette già note e di sicuro affidamento; e anche il cliente, in genere, tende un po’ a diffidare delle realtà che non conosce.» Come avete implementato questo rapporto di collaborazione con le attività ricettive? «I ristoranti, intanto, vanno scelti. Nel momento in cui si va a proporre il prodotto a chi dovrà proporlo a sua volta, bisogna sapere con chi si ha a che fare. I più portati fra i ristoratori sono quelli appassionati di vino, ma ce ne sono parecchi. La difficoltà è rappresentata dal fatto che tutti hanno già loro i fornitori di fiducia, quindi bisogna dare loro qualcosa in più a livello di prodotto, qualcosa che non hanno già. Ho avuto la fortuna di trovare molti che hanno avuto fiducia in me perché ero giovane. Un cinquantenne forse avrebbe fatto più fatica. Però, comunque, il fatto che abbiano riordinato il prodotto significa che ha avuto buoni riscontri, e che non era stata apprezzata soltanto la gioventù.» Ha parlato, giustamente, della necessità di offrire ‘‘qualcosa di più’’. Ha avuto la tentazione di declinare questo proposito nel ribassamento dei prezzi? «La tentazione c’è quando ti vengono proposti ordini molto grandi. A volte ti chiedono di far proprio crollare il prezzo. Diciamo che non mi sono mai fidato di chi voleva tanto e subito. Noi non facciamo una grossa produzione, quindi non ha nemmeno molto senso puntare sui grandi numeri. Poi se posso fare un minimo di sconto ai miei clienti lo faccio volentieri, ma parliamo di qualche punto percentuale.» È un rischio, quello della guerra sui

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«Quanti castelli abbiamo in Oltrepò? Quanti sono aperti? Mettiamone di più a disposizione» prezzi, da rifuggire completamente. Anzi, da combattere. Le bottiglie di Bonarda che si trovano per meno di due euro sugli scaffali del supermercato sono un male incalcolabile in termini di immagine, soprattutto per voi piccoli produttori che nemmeno vi confrontate direttamente con quel canale. «Noi con la Grande Distribuzione non lavoriamo proprio per questo motivo. Perché i prodotti dei grandi imbottigliatori hanno costi di produzione diversi dai nostri. Sicuramente hanno i loro motivi e la loro clientela, la cosa che noi piccoli produttori dobbiamo far capire è che il nostro è un qualcosa di completamente diverso. Quello industriale, questo artigianale. Io non sono di quelli che dice che il Tavernello non dovrebbe esistere. Ha i suoi scopi, il suo mercato. Il vino di un piccolo produttore viene seguito a partire dal vigneto, durante la fase di cantina e infine nella commercializzazione. La filiera è corta. Nel prodotto industriale, l’uva viene coltivata da qualcuno, vinificata da qualcun altro e commercializzata da un altro ancora. Non c’è un pensiero unico dietro quel prodotto. Nel momento in cui inizio la coltivazione del vigneto, metto invece già i presupposti per il prodotto che voglio ottenere alla fine.» Non nascondiamoci però dietro a un dito. Anche nelle piccole realtà, spesso e volentieri, si fa della chimica in cantina un uso abbastanza smodato; oltre necessità, perfino. Vuoi per paura di sbagliare, vuoi per il retaggio di una certa moda ormai - in larga parte - passata. «Diciamo che la chimica costa. Quindi se tu riesci a lavorare bene in vigneto, che in certi casi è anche meno costoso, c’è perfino una convenienza. Poi ci sono dei casi in cui è necessaria: non basta mettere l’uva nella vasca perché diventi vino, altrimenti lo farebbero tutti.» Siete associati a qualche associazione di produttori? Trova sia utile questa possibilità? «Faccio molta rete con i miei colleghi. Ad esempio: se un cliente mi chiede un tipo di vino che io non ho, lo mando o gli porto addirittura personalmente il prodotto di un’altra azienda e glielo racconto come fosse il mio. Lo faccio per esempio con il moscato di Daniele Calatroni di Volpara. Se cercano il Buttafuoco gli dico di andare da Marco Maggi (che è anche presidente del Club del Buttafuoco). Perché so di fare

bella figura.» Quali sono, secondo il suo punto di vista, le esigenze del territorio? «Secondo me bisogna analizzare un po’ quello che è l’Oltrepò. Abbiamo la zona di Montalto e Oliva Gessi, dove si producono ottimi riesling. La zona di Rovescala e San Damiano, vocata a ottimi rossi. Stradella, Montescano, dove esiste l’ottimo buttafuoco. Santa Maria della Versa con i suoi grandi spumanti. Volpara per il moscato. È insomma un territorio molto variegato e ognuno ha esigenze diverse. La cosa difficile è sempre stata mettere insieme le varie esigenze e qui casca, ogni volta, l’asino.» Ci sono aiuti per un giovane che intende partire con una propria attività vitivinicola? «Se si parte da zero e si è giovani ci sono comunque delle agevolazioni, contributi nell’ordine dei 20mila euro. È vero che sono poco o niente, una piccola goccia, ma è anche vero che se vuoi un’azienda non puoi pensare che te la apra lo Stato. Una cosa che mi piacerebbe sarebbe avere più aiuto sulla commercializzazione. Perché nel mercato ci sono di mostri come Valpolicella, Toscana, Piemonte, che occupano il mercato in modo molto forte. Per una realtà come l’Oltrepò, fatta di piccoli produttori, sarebbe utile un’assistenza a livello di immagine. E che tutti continuino sulla strada della qualità. La Versa, per esempio, sta facendo un buon lavoro in questo senso. Se quei pochi grandi iniziano a macinare risultati positivi nel segno della qualità, allora anche i piccoli vanno un po’ dietro questa scia.» Cosa chiederebbe alle istituzioni? «Dirò una banalità, ma abbiamo un ponte, quello della Becca, che non consente ai pullman di venire da questa parte del Po. Questo è già un bel limite. Poi: quanti castelli abbiamo in Oltrepò? Quanti sono aperti? Quando arriva qualcuno da fuori a fare una degustazione, mi chiedono cosa poter visitare, e io li mando al castello di Zavattarello, che è l’unico aperto. Quello che potrei è chiedere è di costruire una rete che attiri il turismo. È stata fatta l’enoteca regionale: bene, è un passo. Mettiamo a disposizione del pubblico anche i castelli, diamo modo alla gente di passare del tempo interessante in zona. Se creiamo attrazioni, creiamo anche una possibilità di crescere come territorio.» di Pier Luigi Feltri



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«Io Primo cittadino? No. Io penso che sia giusto lasciare lo spazio ai giovani» Il consigliere di minoranza stradellino Ettore Brandolini tira le somme in vista della scadenza del mandato. Non si candiderà a sindaco perché «bisogna lasciare spazio ai giovani» e si augura che dalla nuova tornata elettorale si spossa trarre un po’ di energie fresche per ravvivare una cittadina che, tra negozi chiusi e strade poco affollate, ha l’aria di essere «un po’ spenta». Consigliere, mancano ormai solo pochi mesi alle elezioni amministrative. Sarà un periodo duro? Ci saranno sorprese? «Grosse sorprese non penso. Da un lato c’è già la certezza di uno schieramento che è quello di Torre Civica con Piergiorgio Maggi, dall’altro onestamente non so. Si potrebbe anche pensare a una lista che comprendesse le minoranze, quindi Prima Stradella e Strada Nuova. Non so se ci saranno le condizioni per arrivare a questo, perché ci sono anche altri soggetti, come Lega e Forza Italia che devono decidere cosa fare. Prima Stradella nel 2014 era formata da indipendenti, ma era sostenuta anche quei due partiti, quindi dipenderà un po’ da quelli che saranno gli orientamenti delle prossime settimane…». Lei pensa ad una carica da primo cittadino? «No. Io penso che sia giusto lasciare lo spazio ai giovani. Dipenderanno senza dubbio tante cose, c’è chi è in consiglio comunale da quarant’anni, c’è chi come me lo ha fatto per cinque anni: ritengo che debba provare altra gente adesso, anche per portare idee nuove. Fondamentalmente i comuni al giorno d’oggi, aldilà degli schieramenti politici, hanno delle grosse difficoltà e secondo me va un po’ ripensato il modello dell’ente locale. Le risorse sono poche, vari servizi non possono essere sempre garantiti…quindi servirebbero forze nuove che portino idee innovative. E questo può arrivare da persone più giovani che con un po’ di fantasia potrebbero trovare soluzioni più efficaci». Come giudica i suoi cinque anni da consigliere di minoranza? «Devo dire che non c’è sempre stato “muro contro muro”, sono onesto. Alcune nostre proposte, mie e di Dino Di Michele, hanno avuto accoglimento. Si tende ad andare avanti con lo stesso sistema, come dicevo prima, quando forse servirebbe qualcosa di più innovativo. Bisognerebbe trovare un po’ di entusiasmo per una città come Stradella che adesso mi sembra spenta…». è così che vede la sua città? «Ho fatto due passi in giro lo scorso weekend: vedere la strada nuova con parecchi negozi chiusi e la via Trento con pochissimi esercizi aperti, non dà l’idea di una città che sta vivendo un grandissimo momento. Logicamente non succede solo a Stradella. Qui resistono i bar e i locali

«I giovani li vedo abbastanza convinti sul fatto che Stradella sia una buona città»

Ettore Brandolini, consigliere di minoranza

pubblici in genere, però il resto sta cambiando. Bisognerebbe mettere “in pista” qualcosa di diverso, di più coinvolgente per tutti». Cosa le dice la gente? è in linea son il suo pensiero? «Diciamo che gli stradellini, per natura, sono un po’ lamentosi. Qualcuno la pensa come me, qualcosa vorrebbe cose diverse, non rendendosi però conto che i tempi sono cambiati. Tutto sommato però non ho mai trovato grandissime lamentele e grandissimi problemi o disagi particolari. I giovani li vedo abbastanza convinti sul fatto che sia una buona città. Certo è che vengono sempre meno dei servizi che prima c’erano». A cosa si riferisce? «Io sono uno che usa molto i mezzi pubblici ed effettivamente la stazione è da migliorare. Forse i pendolari sono habituee, ma per chi ci capita per caso o perché ha una coincidenza da prendere non è il massimo. Non è una colpa del Comune, ma bisogna trovare una soluzione. Penso poi all’Inps che riceve solo trenta persone al giorno e bisogna prenotarsi, mentre prima c’era il libero accesso. Questo disorienta soprattutto gli anziani…». Ci sono ancora degli argomenti che intende portare in consiglio prima della fine del suo percorso da consigliere? «Ci sarà a fine mese un nuovo consiglio comunale per l’approvazione del bilancio. Quello del 2019 sarà un po’ particolare perché l’attuale amministrazione lo gestisce per pochi mesi e poi ci saranno le ele-

zioni e bisogna poi vedere come andranno. Non dovrebbero esserci grandi novità, anche se potrebbero nascere problematiche, perché il comune fa fatica a garantire tutto quello che dava prima e bisognerà dare delle priorità». di Elisa Ajelli


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«Valorizziamo il territorio investendo sulla formazione» Il milanese Stefano Merlo nasce come startupper. Genialloyd e Conto Arancio sono solo due importantissimi nomi a cui è legato. Finite queste esperienze, ha deciso di buttarsi nel mondo imprenditoriale e da pochi mesi è arrivato a Stradella dove, insieme ad un team specializzato, ha aperto l’attività Piccoli Borghi. Stefano ci racconti un po’ di sé… «Sono di Milano, Sesto San Giovanni per la precisione e ho fatto Scienze della Comunicazione con specializzazione in web marketing. L’esperienza in Ing Direct è stata molto profonda dal punto di vista personale: il conto arancio è nato grazie a un olandese, io e le altre persone del mio team abbiamo fatto il lancio in Italia. Io mi occupavo della comunicazione via web ed è stato veramente una case history molto importante nel mondo della finanza e della banca. Come in tutte le cose ci vuole il fattore fortuna. Sono stato inserito in un team fantastico ai tempi di Conto Arancio. Sono stato in Ing Direct dal 2000 al 2009. Finita quella esperienza ho deciso di fare l’imprenditore, ho fatto i ‘toywatch’, gli orologi di policarbonato e poi altri progetti». Poi cosa è successo? «Poi ho avuto un’altra esperienza, questa volta pesante e personale. Ho combattuto per anni e ce l’ho fatta, ma mi ha fatto riflettere molto. La parte di piccoli borghi nasce da questa fase. Ho sempre fatto lo startupper e questo mondo mi ha quindi sempre affascinato: il creare qualcosa di innovativo, qualcosa che rompesse quello che già c’era rispettando però le cose che c’erano. La cultura è quello che esiste, la creatività è la capacità di connettere quelle cose in modo diverso, creando qualche cosa». Come nasce l’idea di Piccoli Borghi? «L’idea mi è nata andando in giro per la piccola Italia: mi sono accorto così che ci sono delle determinati che sono comuni.

Stefano Merlo, patron di Piccoli Borghi

C’è un patrimonio in Italia che non c’è da nessuna altra parte al mondo. C’è una vastità di particolarità e peculiarità impressionante. Tutti parlano dell’abbandono delle periferie, ma la gente che rimane ha una passione fuori dal comune e una grande conoscenza del territorio. Io arrivo da Milano e non ho la capacità di raccontare l’Oltrepo come fanno i ragazzi che vivono qui. Ho visto un sacco di piccoli borghi. E ho visto tre caratteristiche fondamentali:

allevamento, agricoltura e artigianato». Perchè ha scelto l’Oltrepò? «La prima persona con cui ho parlato del mio progetto è Davide Rampello, quello che fa ‘Paesi e paesaggi’ di Striscia la notizia, un uomo di grande cultura. Con lui abbiamo quindi discusso del fatto di fare sistema, mettendo insieme l’organizzazione pubblica e privata, le persone del territorio, le attività che ci sono e farli parlare tra di loro. Ho poi conosciuto, tramite Rampello, una persona, il professore Daniele Vigo, ordinario di Veterinaria del’Università di Milano che abita a Santa Giuletta. Mi ha portato in un posto a Valle Salimbene, dove ci sono tutte le razze bovine autoctone in via di estinzione. Vigo ha fatto uno studio da cui si è scoperto che in Oltrepò c’è uno dei fieni migliori al mondo, che alimenta le bestie. Quelli che allevano sono in genere aziende piccole, si occupano dell’allevamento, dell’agricoltura, della mungitura e del rapporto con chi viene a prendere il latte. A quel punto mi sono lanciato nel progetto». E quindi è partito Piccoli Borghi… «Sì, nasce con l’intento di valorizzare i piccoli territori e in questo caso di valorizzare la filiera casearia dell’Oltrepò. Abbiamo un punto vendita, con il laboratorio dove si producono i formaggi. Gli animali vengono nutriti con erbe, fieni, sali minerali e vitamine, gli antibiotici solo quando

necessari, in modo tale da poter avere un prodotto genuino, con caratteristiche uniche sul mercato. Produciamo prodotti fatti solo con latte da fieno e abbiamo riproposto formaggi erborinati, stagionati, caciotte, scamorze, robiole, ricotte». Che altro? «Per valorizzare il territorio abbiamo investito anche sulla formazione di alcuni ragazzi, introducendo l’arte casearia a Stradella. Il posto è diviso in due, caseificio e bistrot che nasce per raccontare il prodotto che si produce. La valorizzazione del territorio passa anche attraverso la diffusione delle informazioni che poi diventa esperienza e poi ancora cultura. Il progetto è medio alto e ho avuto due grandi partner, la provincia di Pavia e il sindaco di Stradella Piergiorgio Maggi». Un primo bilancio? «Naturalmente siamo partiti da poco, a novembre. Siamo sulla via Nazionale, zona di grande passaggio, tuttavia un passaggio veloce. Abbiamo bisogno di un periodo di rodaggio come per tutte le attività. Ci vogliono circa sei mesi per fare una valutazione. Però abbiamo già una bella novità: saremo presenti con i nostri prodotti nella grande distribuzione nei supermercati Gulliver e Il Gigante». di Elisa Ajelli


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«Affitti troppo cari, commercio al collasso» Spaventati dall’imminente chiusura di 4 negozi in centro, un gruppo di commercianti di Stradella lancia l’allarme ma anche un appello alle istituzioni affinché si riesca a bloccare quella che è una vera e propria emorragia. Sotto scacco in quella che è la zona con la maggior concentrazione di supermercati a livello europea, Sabrina Maserati, Anna Baderna, Novella Zanoni, Renata Balma, Maria Rina Brega e Bettina Wrobel ripartono dall’idea che “uniti si vince” per sfidare la crisi. Bacchettano il Comune, chiedono affitti meno cari, propongono la sosta a disco orario in centro senza dimenticare il mea culpa. «Stradella – dicono in coro - è una perla da tirar fuori dal cassetto e far tornare di nuovo a brillare; è una cittadina deliziosa, con grandi potenzialità che però non vengono sfruttate al massimo». Commercianti che fine ha fatto il commercio cittadino e perchè negli ultimi anni è andato così peggiorando? «Crediamo che le responsabilità siano in primis attribuibili alla crisi economica a cui abbiamo assistito negli ultimi dieci anni, la quale ha originato un “domino distruttivo” di problematiche che si sono riversate una sull’altra. Il piccolo commercio sicuramente non è mai stato salvaguardato, anzi, contrariamente è stato lasciato troppo spesso alla merce di grossi colossi che puntano a distruggerci». Quindi è colpa dei grandi negozi? «Quando ci trova in tasca meno soldini, il consumatore cerca l’offerta e il risparmio a tutti i costi, privilegiando alcune tipologie di commercio (la grande distribuzione oppure l’online), vedendoli come “i salvatori dell’acquisto e i paladini del risparmio” a scapito delle piccole realtà . Nell’immaginario collettivo, molto spesso, il piccolo commerciante viene visto come il “disonesto” o “ladro”, colui che non rilascia sconti e non offre promozioni...non è proprio così! Partendo dal presupposto che “non regala nulla nessuno”, dietro ad innumerevoli specchietti per le allodole si celano spesso truffe, inganni e frodi». La grande distribuzione può essere considerata una dei responsabili, ma il commercio online sarà il futuro. Come pensate di affrontare la sfida? «Il piccolo negozio non può di certo competere con i grossi numeri della grande distribuzione, ma non per questo deve essere considerato come quello che non fa sconti e non offre promozioni; a differenza dei grandi, il piccolo commerciante fornisce maggiore serietà in merito alle promozioni, nel senso che offre scontistiche reali e non illusorie; inoltre, dietro alle innumerevoli offerte, molto spesso si celano frodi: prodotti falsi e contraffatti, prezzi originari “gonfiati” e poi ultrascontati (pratica

Un gruppo di esercenti lancia l’allarme: «Nel 2019 chiuderanno altri 4 negozi, serve più collaborazione»

diffusa nel commercio online). Il piccolo commerciante, mettendoci la faccia, cerca di lavorare con la massima serietà e professionalità. Tuttavia, per quanto riguarda il commercio online anche noi abbiamo i nostri siti e le nostre pagine Facebook, che aggiorniamo costantemente offrendo un servizio di “vetrina online”, con la possibilità di ordinare direttamente i prodotti...per ora è un servizio rudimentale, ma ci stiamo organizzando in modo da offrire il massimo ai nostri clienti». Che tipologia di Cliente frequenta i piccoli negozi del centro di Stradella? «Crediamo di poter dire, chi più e chi meno, di avere un tipo di clientela fidelizzata nel tempo...purtroppo però, manca la “clientela nuova”, quella più giovane e quella che “arriva da fuori”. Nel caso della clientela dei giovani, spesso ci chiediamo dove siano finiti e come si possa recuperare...per quanto riguarda la clientela che arriva da fuori, invece, crediamo che occorra lavorare sulle iniziative di promozione del territorio (proposta di feste ed eventi)». L’Amministrazione Locale cosa sta facendo per sostenere il piccolo commer-

cio? «Siamo convinti che, anche le varie Amministrazioni locali abbiano le loro colpe. Sarebbe stato opportuno calibrare e limitare le concessioni di licenze ai centri commerciali, che hanno impoverito il centro storico, alimentando anche un traffico eccessivo (e pericoloso) sulle arterie stradali principali. Facciamo presente che, uno studio sociologico recente ha constatato che tra Piacenza e Voghera esiste la concentrazione di supermercati più elevata d’Europa (un paradosso!)». Secondo voi, come andrebbe affrontata la situazione ed evitare che i piccoli negozi del centro chiudano uno dopo l’altro? «Innanzitutto riteniamo che gli affitti degli immobili della città di Stradella siano troppo onerosi e inadeguati ai tempi che corrono. Laddove i consumi sono calati, dovrebbero essere ricalcolati i canoni d’affitto affinché i commercianti possano lavorare con un po’ più di respiro, evitando così la chiusura di molte attività, perchè vittime di costi fissi troppo elevati. Una mano sulla coscienza dei proprietari degli immobili sarebbe auspicabile!

Inoltre, dare commercio al piccolo significa anche incentivare l’assunzione di personale dipendente nuovo e a “condizioni umane”, cosa che non accade spesso nella grande distribuzione, che reputa i dipendenti poco più di numeri da gestire con algoritmi senza considerare le loro dignità umana. Se il commercio cittadino viene aiutato, questo resta vivo e mantiene un buon livello di bellezza, decoro, vivibilità e sicurezza dell’intero paese. Stradella - come ogni altra città - senza le attività commerciali, diventerebbe buia, triste e poco sicura». La “battaglia dei parcheggi” come si è evoluta in questi anni? «Per quanto riguarda la non semplice questione dei parcheggi, siamo dell’avviso che sia assurdo affidare in outsourcing la gestione dei tali; riteniamo che sia più proficuo far sì che sia il Comune di Stradella a gestire direttamente i parcheggi. Tuttavia, noi commercianti siamo convinti che non sia l’ideale avere il centro storico senza pagamento della sosta, poiché disincentiverebbe il commercio. Lasciare però i parcheggi a disco orario di un’ora “seriamente controllato” contribuirebbe a mantenere il riciclo dei posti auto, evitando le soste selvagge e prolungate a discapito di tutti; riusciremo così ad attirare più clientela, perchè gratuito, assicurando allo stesso tempo la facilità di trovare parcheggio». Cosa manca nel comune di Stradella? Quale tipologia d’impegno chiedete alle Amministrazioni Locali? «Le Amministrazioni Locali e gli Enti per la promozione del territorio dovrebbero essere più disponibili verso le idee innovative, anziché fomentare le solite diatribe tra chi le fa e chi le propone; sarebbe più utile lavorare per favorire un clima più collaborativo. Sicuramente, anche noi commercianti abbiamo le nostre colpe, ma ci stiamo organizzando per essere più coesi e collaborativi, perchè l’unione fa la forza! Saremo uniti perchè vogliamo far ascoltare la nostra voce e avanzare le nostre proposte». di Silvia Cipriano


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«Il rapporto diretto con il Cliente è fondamentale» Da sempre uomini e donne utilizzano monili per distinguersi, manifestare il proprio potere, abbellire abiti e accessori. Da sempre i gioielli dicono qualcosa di noi. Nell’epoca della tecnologia informatica, dove il “nuovo” travolge il “vecchio”, un oggetto dal sapore antico, il gioiello, conserva il suo fascino e il suo mistero e resiste, tra continuità e innovazioni, all’usura del tempo. Forma d’arte e simbolo di status, arma di seduzione e ornamento sacro, il gioiello è, forse, la compiuta realizzazione del connubio uomo-natura. E, come tale, presuppone professionisti capaci di “sognare e di creare in grande”. Dietro un braccialetto, un anello e una collana, infatti, si nasconde un sapere artigianale che conferisce anima e spirito al gioiello e ne fa un segno imperituro. A Stradella, nel suo atelier, abbiamo incontrato Giovanna Matassoni, una donna che ha saputo trasformare la sua manualità in arte ed è riuscita a fare di quest’arte una professione. Matassoni, lei ha avviato la sua attività qui a Stradella 23 anni fa ma non è di queste parti, come mai è arrivata in Oltrepò ed ha deciso di lavorare qui? «Io sono nata a Bellaria-Igea Marina e mi sono trasferita qui per amore, nel senso che ho conosciuto mio marito che è oltrepadano e di conseguenza l’ho seguito a Stradella. Ho lasciato un piccolo negozio al mio paese e mi sono trasferita qui. Sono una persona che ha sempre lavorato fin dalla giovane età perché non mi piaceva molto studiare (ride). Ho frequentato per qualche anno il liceo ma poi ho abbandonato, ho fatto nel tempo corsi specifici per artigiani e ho aperto il primo negozietto di pietre e bigiotteria a Bellaria perché la mia passione viene molto da lontano in quanto mio nonno commerciava in gioielli ed io ne ho sempre visti molti, ero attirata dalla bellezza delle pietre e delle fatture pregiate. Per il mio compleanno dei 14 anni mio padre mi ha fatto trovare sul mobile del salotto una morsa impiantata, martello, pinza e seghetto e una bella lastra di ottone e da lì ho cominciato. Ho ancora queste cose che conservo con cura e che mi ricordano la gioia di quei momenti». Mi diceva che ha seguito poi vari corsi da diversi maestri, c’è stato qualcuno che è stato importante per la sua formazione artistica? «Sono andata prima di tutto ad imparare a saldare, poi mi sono sposata e mi sono dedicata per qualche anno a mia figlia e ad un certo punto, non riuscendo a star ferma ho fatto un corso a Milano dall’orafo e scultore Davide De Paoli che è stato importante per la tecnica non solo nell’ambito del gioiello. In seguito, grazie ad un’amica sono capitata a fare un corso a

Giovanna Matassoni, da 23 anni crea gioielli

Bergamo presso Giampaolo Giardina, un artista a tutto tondo con una tecnica esagerata. Sono stata da lui due anni facendo dei corsi settimanali e devo dire che è stato fondamentale per la mia formazione. C’è poi sempre stata la mia passione per le pietre e la predisposizione per questo mondo, mi piacciono i colori, i materiali, le forme». Com’è arrivata ad aprire il suo atelier? «Per me è stato un salto nel vuoto. Ho deciso di partire con la creazione di gioielli con una piccola vetrina e tanto laboratorio e di buttarmi per vedere come avrebbe funzionato. Sarebbero piaciute le mie creazioni? Non lo sapevo. Potevo far conto però su di un’attrezzatura di laboratorio che era in grado servire una fabbrica e questo mi dava la possibilità di spaziare nel campo della produzione. E devo dire che, se sono arrivata fin qui, è perché sono riuscita ad incontrare il gusto delle mie clienti». Lei crea le sue collezioni di gioielli, in base solo alle sua creatività oppure seguendo le tendenze della moda? «Improvviso molto. Per un certo periodo ho seguito le tendenze della moda, seguivo le sfilate. In realtà devo dire che la storia si ripete, una stagione predilige il lungo, quella dopo il corto, si passa dal colorato alla tinta unita, da grandi a piccole dimensioni. Spesso e volentieri le mie clienti mi lasciano carta bianca, mi dicono per esempio su quale abito devono mettere il gioiello. Mi piace sapere anche com’è fisicamente la persona a cui va ad esempio regalato un gioiello, il colore degli occhi, dei capelli. Un’idea giusta può scatenare

un’emozione. Devo dire che i miei gioielli sono pezzi unici e riuscire a soddisfare la cliente con una creazione è per me un successo personale». Lei pensa che il gioiello sia fondamentale per dare carattere ad un outfit? «Il gioiello è quello che caratterizza prima di tutto una persona. Io cerco sempre di entrare in empatia con chi lo deve indossare. Molte volte ho pensato alla vendita on-line e non riesco ad avviarla proprio perché manca il contatto umano che per me è molto importante. Se si pensa che il gioiello viene acquistato o regalato per un evento o un momento importante o magico della vita di una persona , a mio avviso, è fondamentale avere un rapporto diretto con l’acquirente. Devo dire con orgoglio che ormai i clienti che tornano nel mio negozio sono tutti amici, ci si siede a chiacchierare e , a volte , si riesce a dare anche un momento di svago guardando le pietre e i colori a persone che stanno passando un momento difficile». Qual è il materiale che preferisce lavorare? «Sicuramente l’oro che oggi lavoro meno, visti i tempi difficili, però quest’anno l’ho lavorato con piacere e l’ho venduto facendo delle creazioni alla portata di tutti. In questo momento sto facendo degli orecchini di seta e foglia d’oro. Mi piacciono molto i tessuti preziosi con i quali realizzo anche delle borsette. Le materie prime sono molto importanti, devono essere di gran pregio per la realizzazione di manufatti di classe. A volte mi ritrovo ad essere troppo avanti per i tempi con la mia crea-

tività, lo dico con presunzione ma bisogna dare tempo al tempo, non bisogna avere fretta di imporre le proprie creazioni». La sua clientela è solo locale? «No, ho anche clienti che vengono da molto lontano. Mi conoscono per aver ricevuto in dono uno dei miei gioielli o per qualche mostra a cui ho partecipato come ad esempio una mostra al Carousel du Louvre, “L’art shopping” molto conosciuta nell’ambito dell’arte. Sono stata a Londra con la Camera di Commercio per un progetto di Regione Lombardia sugli orafi della provincia di Pavia per una due giorni a contatto con gli acquirenti e questo mi ha permesso di ottenere il premio per l’eccellenza orafa lombarda con la pubblicazione su di un catalogo con i più importanti orafi. Però a me piace molto rimanere qui nel mio microcosmo, sono i miei gioielli che vanno in giro con chi li indossa». Non pensa che rimanere qui a Stradella abbia penalizzato la sua attività? «Assolutamente no. Vivere qui mi permette di coltivare i miei rapporti personali che fanno parte della vita semplice che in realtà voglio fare con la mia famiglia, i miei cani. Se chiudo il negozio un giorno e incontro il cliente che mi ha cercata, prendo appuntamento per il giorno dopo senza problemi, non sono angosciata dai ritmi di una grande città. Vivo bene così e mi metto alla prova ogni giorno con diverse esperienze artistiche nuove. Mi piacerebbe che mia figlia seguisse le mie orme perché è molto portata. Quest’anno è molto impegnata perché dovrà sostenere l’esame di maturità ma se poi vorrà cimentarsi sono sicura che realizzerà delle bellissime cose nel campo della moda». Secondo lei che cosa si potrebbe fare per aiutare l’artigianato e il commercio in questo Oltrepò pieno ormai di negozi chiusi? «Fino a dieci anni fa la Camera di Commercio con la Regione organizzava e promuoveva il commercio con grandi progetti anche all’estero che ora non si fanno più forse per mancanza di fondi. Le associazioni dovrebbero organizzare corsi rivolti all’artigianato e al commercio per persone adulte. Spesso e volentieri poi, chi apre un’attività commerciale oggi non è abbastanza preparato a portarla avanti. Quando ho aperto il mio laboratorio io avevo fatto un corso dell’associazione commercianti che mi ha insegnato molte cose del settore. Al giorno d’oggi anche con la burocrazia non è facile destreggiarsi pur avendo una piccola attività e quindi bisogna essere ben organizzati e conoscere bene il proprio lavoro». di Gabriella Draghi


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Stradella - Voghera uniti per la Pet-Therapy Per la prima volta la pet-therapy è entrata nel reparto pediatrico dell’ospedale Civile di Voghera grazie all’iniziativa del Lions Club Stradella – Broni Montalino che ha voluto offrire questo tipo di esperienza utilizzando i fondi raccolti durante l’anno lionistico con presidente la dottoressa Valeria Bassanini la quale aveva già finanziato un progetto simile presso la struttura per persone con disabilità di Vescovera. Dato il successo dell’esperienza precedente, il Lions Club ha presentato un progetto e richiesto le autorizzazioni per offrire una seduta di pet-therapy a contatto con i bambini e dopo un’attesa di quasi un anno, la terapista qualificata Silvia Razzini ,componente dell’Associazione “ConFido in un sorriso” ha potuto coinvolgere i ricoverati nel reparto di pediatria in un momento di gioco e serenità con la cagnolina Isotta. Come spiegato dall’Azienda socio-sanitaria territoriale di Pavia: “La pet-therapy, terapia dolce e alternativa che non sostituisce in alcun modo le cure tradizionali, può aiutare i pazienti, in particolare i bambini, a sopportare meglio i disagi connessi al ricovero in ospedale. I piccoli riescono ad instaurare con il cane un rapporto mimico e gestuale, riscoprendo la capacità non verbale di comunicazione ed affinando la propria sensibilità e ricettività ai segnali esterni di piacere e di stress del compagno di giochi tante volte visto in tv e magari mai conosciuto nella realtà. è ormai provato anche dalla scienza che l’interazione uomo-animale determina innumerevoli benefici che possono manifestarsi a livello motorio, cognitivo, sensoriale, comunicativo, di socializzazione, attività occupazionali, fisiologico, psicologico.” Abbiamo incontrato Silvia Razzini per capire meglio il suo lavoro di terapista con i cani. Per svolgere la sua attività, l‘Associazione “ConFido in un sorriso” ha dovuto ottenere quale tipo di certificazione? «Nel 2018 abbiamo ottenuto l’idoneità come coadiutore del cane e come referente di progetto dal Ministero della Salute che ha incaricato Il Centro Nazionale di Referenza, l’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, per fare l’ “attività assistita dal cane” con i cani che sono a loro volta certificati. Siamo un gruppo di persone che lavoriamo insieme dal 2011 ed in particolare svolgiamo l’attività io, Alessandra Maffina e siamo coadiuvati dal nostro veterinario di fiducia, il dottor Vittorio Garbagnoli della Clinica “Sant’Anna” che visita periodicamente i nostri cani che devono essere sempre in perfetta salute per operare al meglio». Quanti cani avete? «Attualmente abbiamo 5 cani qualificati e certificati che vengono scelti in base al luogo dove dobbiamo svolgere le sedute

Pet-therapy all’Ospedale di Voghera, grazie all’iniziativa del Lions Club Stradella

perché per esempio in pediatria a Voghera per interagire con i bambini ho portato la nostra Isottina che è un meticcio piccolino, a misura di bambino». C’è una razza particolarmente adatta per svolgere la pet-therapy? «Non ci sono razze di cani escluse tranne naturalmente quelle più aggressive. Diciamo che i Labrador, i Golden Retriver in generale sono i più adatti perché è più facile educarli a questo ruolo». Che percorso fanno i cani per avere la qualifica? «Innanzitutto cerchiamo di prenderli da allevamenti selezionati. Ma non escludiamo anche i meticci come la nostra Isottina di cui conosciamo i genitori e la storia. Quando sono cuccioli iniziamo a manipolarli perché dobbiamo insegnare loro a farsi toccare perché devono dare questa disponibilità ai pazienti e non reagire, in quanto noi andiamo a lavorare o con persone portatori di handicap o con bambini che non sanno come interagire con loro. Poi cominciamo a portarli nei luoghi dove

«Sono stati momenti molto belli in un ambiente come l’ospedale che spesso e volentieri ha un’atmosfera un po’ pesante»

ci sono dei rumori un po’ atipici come gli ospedali o le scuole o le case di riposo, rumori a cui loro non sono abituati. Dobbiamo esporli anche agli odori non usuali. Un cane non lavora mai prima di un anno ma viene abituato a seguirci nei luoghi in cui svolgiamo la terapia con altri cani. Devono sempre rimanere tranquilli e rilassati a contatto con persone vestite in maniera strana come i medici con mascherine e camici. è un’educazione ad assistere, cioè a stare vicino a persone che hanno dei problemi». Con quali pazienti avete iniziato? «Abbiamo iniziato prima di tutto con gli anziani perché sono i soggetti diciamo “più semplici” nel senso che sono persone più tranquille, si muovono più lentamente. I cani vengono inseriti gradualmente nell’ambiente, prima al guinzaglio e poi sciolti e i tempi sono abbastanza lunghi. Lavoriamo per progetti che vengono studiati dalla nostra equipe e ci interfacciamo con la struttura dove andiamo ad operare per scegliere le persone che possono partecipare all’attività. Operiamo per piccoli gruppi o singolarmente una volta alla settimana per un periodo di qualche mese. Naturalmente dipende dalla disponibilità finanziaria della struttura». Veniamo al lavoro con i bambini del reparto di pediatria di Voghera. Che tipo di esperienza è stata? «è stato un primo approccio importantissimo perché abbiamo fatto vedere che cosa si può fare con i bambini in un progetto un po’ alternativo, perché in ospedale i bambini non sono mai gli stessi. In genere questo laboratorio intende far capire ai bambini come devono rapportarsi

con il cane e diventare suoi amici. Spesso si dà per scontato che il bambino debba essere amico del cane. In realtà il bambino e il cane, se non sono entrambi educati, non hanno naturalezza di relazione. Il cane non comprende il linguaggio del bambino perché il bambino è imprevedibile nei movimenti e questo rappresenta una minaccia per l’animale. Molto spesso i nostri laboratori iniziano con delle fiabe didattiche, preparate da noi, dove si spiega come diventare amici dei cani. In queste storielle mettiamo i segnali che il cane dà, ad esempio quando socchiude gli occhi vuol dire che vuole pacificare, se gira la testa significa che ha un po’ paura. Indichiamo i vari segnali dati dai movimenti della coda e poi insegniamo dove il cane deve essere toccato perché spesso e volentieri la prima cosa che un bambino tende a fare è toccare il cane sulla testa quando bisogna toccarlo ai lati. Passiamo poi all’approccio del bambino con l’animale e facciamo alcune attività ludiche molto divertenti».

«Il bambino e il cane, se non sono entrambi educati, non hanno naturalezza di relazione» Qual è stata la reazione dei bambini? «Abbiamo donato momenti di gioia, sorpresa, magia e poi abbiamo visto anche che i bambini che mostravano inizialmente paura, vedendo gli altri che svolgevano le attività riuscivano a rilassarsi. Sono stati momenti molto belli in un ambiente come l’ospedale che spesso e volentieri ha un’atmosfera un po’ pesante. Abbiamo preparato molto bene l’intervento con il personale sanitario e siamo stati accolti con grande disponibilità dall’equipe del Primario prof. Chiara. Il Lions Club Stradella- Broni Montalino si è già attivato per la presentazione di un progetto per il prossimo anno per potere proseguire questa attività in ospedale vista la disponibilità data dall’ASST». di Gabriella Draghi


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Oltrepò Pavese e cantine sociali: un rapporto d’amore e odio che nasce molto lontano

Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito alla nascita del megaprogetto “cagnoniano“, ossia la creazione di una cantina unica oltrepadana. Questo processo inizia nel 2008, con la costituzione di “Terre d’Oltrepò”, società figlia della fusione tra la “Cantina Intercomunale di Broni” e “la Cantina Sociale di Casteggio” (che in passato aveva già assorbito la più blasonata SVIC). Successivamente, nel 2014, il colosso tenta l’acquisizione di “La Versa”, la quale però viene bloccata per il coraggioso rifiuto dei soci di quest’ultima. Nel 2017, dopo le note vicissitudini giudiziarie e i vari cambi di dirigenza e di strategie che hanno colpito le due società, “Terre d’Oltrepò” riesce nell’operazione di acquisizione, sebbene con modalità e finalità differenti. Queste operazioni però non sono nuove al nostro territorio. Negli ultimi 150 anni ci fu un susseguirsi di proclami, progetti ed eventi che dovevano portare alla costituzione di un ente unico, che gestisse la produzione e la commercializzazione della maggior parte della vinificazione oltrepadana. Al giorno d’oggi delle 12 storiche cantine sociali (Montù Beccaria, Montescano, San Damiano al Colle, Stradella, Santa Maria della Versa, Canneto Pavese, Retorbido, Codevilla, Torrazza Coste, Casteggio, Broni e SVIC), dopo una serie di fusioni, fallimenti, liquidazioni e acquisizioni, ne sono rimaste soltanto tre.

Prima di “Terre d’Oltrepò” vennero fatti due grandi tentativi di creazione di un grande colosso enologico: la “Società Enologica Circondariale di Stradella” e la “Federazione Cantine Sociali Oltrepò Pavese”. Nel primo caso si trattava di una società voluta da un comitato composto da uomini di spessore dell’epoca (nobili, politici e tecnici), con lo scopo di migliorare la qualità dei vini, studiando nuovi metodi di vinificazione, ma allo stesso tempo ridurne i costi di produzione. Nel secondo caso, invece, le numerose cantine sociali nate agli inizi del ‘900 si ritrovarono a doversi confederare per evitare di farsi concorrenza da sole e non incappare in una guerra al massacro, che avrebbe portato solo crisi ai propri singoli soci. La Società Enologica Circondariale di Stradella La prima idea di una grande “cantina sociale” oltrepadana venne presentata nel 1869 dal “Comizio Agrario Vogherese”, con la costituzione di un “Comitato Promotore” presieduto dall’Ing. Rinaldo Maccabruni di Broni. Furono tre le prime problematiche a cui l’assemblea soci dovette far fronte: scelta della migliore località, costruzione di un enopolio moderno e funzionale e reperimento di materiale e macchinari necessari. Stradella e Voghera furono le due città candidate ad ospitare la struttura. Il comitato promotore presentò nel 1872

una bozza di progetto di un enopolio che andasse oltre i canoni tipici delle cantine che fino ad all’ora regnavano in Oltrepò, facendo notare come queste ormai fossero obsolete e dispendiose. Questa fu inoltre una delle prime occasioni in cui si parlò di “costi di produzione”. Lo stabilimento ideale sarebbe dovuto sorgere con determinati canoni: facilità di trasporto delle uve e dei vini lavorati (con libera circolazione di mezzi di varia specie e collegamento con la stazione ferroviaria), massima luminosità degli impianti (senza però causarne l’innalzamento della temperatura), parte dei locali seminterrati per mantenere temperature costanti sia d’inverno che d’estate, ampio cortile per la concentrazione a freddo dei vini di lusso, spaziosi porticati per l’appassimento delle uve fine, vicinanza dell’acqua per il laboratorio di distillazione e per la forza motrice ed infine salubrità dell’aria. L’idea iniziale fu quella di produrre all’incirca 50mila ettolitri in 50 giorni, con un capitale sociale di 500mila lire e la direzione dello stabilimento sarebbe spettata ad un enotecnico competente, al quale sarebbe sottoposto personale da addestrare in base alle proprie esigenze. Tale direttore avrebbe dovuto inoltre seguire in parte la costruzione del nuovo impianto, in modo da ottenere uno stabilimento funzionale e su misura. Approvato il progetto, il 28 febbraio 1872

il Comm. Avv. Agostino Depretis assunse la Presidenza del comitato promotore. Come prima mossa impose Stradella come sede dell’enopolio, mettendo fine alla lunga disputa con Voghera e l’anno successivo divenne Presidente effettivo della neonata “Società Enologica Circondariale di Stradella”. Nonostante la grande prudenza dei soci e le numerose valutazioni preliminari, la società non riuscì a decollare a causa della crisi economica che si stava ripercuotendo sul Paese e delle numerose difficoltà accorse nella gestione. Nel 1875 la “Società Enologica Circondariale di Stradella” dovette dichiarare fallimento. Depretis, ritenendosi unico responsabile di tale fallimento, si accollò gli enormi debiti della società. Riuscì a risolvere questa situazione accettando un prestito d’onore dal Re Vittorio Emanuele II, il quale sarebbe stato rimborsato con trattenute sullo stipendio da Ministro del Regno. Da queste vicenda Depretis ne usci comunque a testa alta, dato che negli anni a seguire verrà eletto Presidente del Consiglio ben tre volte. Il nemico Carducci però non perse l’occasione per schernirlo, tanto da apostrofarlo come «l’irto spettral vinattier di Stradella» nella poesia “Roma” delle “Odi Barbare” Dalla Società Enologica Generale Italiana allo Stabilimento Enologico Cirio di Stradella Tuttavia il “cantinone” di Via della Stazio-


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I portici esterni del Cantinone

ne continuò ad operare per parecchi anni ancora: gli impianti e l’immobile vennero prima ritirati dalla “Società Enologica Generale Italiana” (1875-1877), alla quale subentrò l’imprenditore piemontese Francesco Cirio con il suo “Stabilimento Enologico Cirio di Stradella”, che operò dal 1877 al 1891. Cirio ritenne gli impianti di Depretis tra i più moderni dell’epoca e assunse l’enotecnico Francesco Schober come direttore di stabilimento. In questi anni i vini di Stradella si contraddistinsero per la loro qualità, tanto da aggiudicarsi numerosi concorsi nazionali ed internazionali, con richieste da diverse parti d’Europa. Cirio e i vini di Stradella furono protagonisti di un curioso fatto: leggenda vuole che a fine ‘800, una grossa partita di cavolfiori fu inviata a Berlino, ma i rappresentanti in zona comunicarono che gli ortaggi italiani giacevano ancora in gran parte invenduti nelle loro casse. Cirio partì immediatamente per Berlino, portando con sé un’adeguata scorta di burro. Fece tappa a Stradella, dove caricò con se alcune bottiglie di vino e, tramite telegramma ordinò ai suoi rivenditori tedeschi di comunicare che ad ogni

acquirente di cavolfiori italiani sarebbe stati fornito gratuitamente burro fresco e ottimo vino italiano. Pochi giorni dopo i giornali tedeschi riportarono la notizia che fu necessario l’intervento della polizia per dissipare la folla di acquirenti ingolositi dalla promozione. L’avventura oltrepadana di Cirio finì nel 1891, con la cessione dell’azienda alla Ditta Businger e C. con sede a Lucerna, la quale avendo avviato il commercio di vini italiani nel nord Europa, ritirarono lo stabilimento vinicolo di Stradella con l’intenzione di raccogliere le maggiori quantità di vino da spedire in Svizzera, Alsazia, Lorena e fino al Mare del Nord. Di questa gestione svizzera però non si hanno molte notizie. Nello stesso anno il “Bollettino del Comizio Agrario Vogherese” riporta che gli studenti della Scuola Enologica di Alba visitarono «il grandioso Stabilimento enologico Businger e Comp, in via di riordinamento», con «vigneto ed il frutteto annessi allo Stabilimento». Ultime notizie documentate della Businger a Stradella si hanno nel 1892, ma si ritiene che la proprietà svizzera non sia durata più di qualche anno.

L’interno dell’enopolio

Cantina Sociale Produttori Stradella (1902-1913) Ad inizio secolo l’Oltrepò vitivinicolo fu travolto da una forte crisi, causata essenzialmente da due fattori: l’aumento incontrollato della produzione delle uve, eccessive per il fabbisogno economico locale e la correlata incapacità commerciale dei produttori di saper collocare sui mercati i propri prodotti. L’On. Luigi Montemartini di Montù Beccaria iniziò quindi a diffondere i concetti della cooperazione agricola tra i viticoltori della zona, con conferenze, seminari e articoli ad essa dedicati. Ed è proprio a Montù Beccaria che Montemartini riuscì a convincere un buon numero di concittadini, fondando la prima cantina sociale oltrepadana nell’agosto del 1902. Pochi giorni dopo, il 13 settembre 1902, su iniziativa del Dott. Francesco Mazza di Codevilla 25 grandi proprietari della zona costituirono la “Cantina Sociale Produttori” di Stradella, acquistando proprio lo

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media si aggirò attorno ai 12.000 hl, con un conferimento medio di 350 q di uve a socio. Negli anni a seguire la potenzialità produttiva dello stabilimento venne portata a circa 23.000 hl di vino. La cantina, su due piani, era dotata di un impianto a vapore della potenza di 12 hp che azionava tre pigiatrici-diraspatrici, cinque torchi, due pompe da travaso e arie botti ci cemento e legno. Dal 1908 si hanno notizie sempre più frammentarie, le quali fanno percepire la brutta situazione in cui si trovava la società. La scarsa capacità manageriale degli amministratori, i costi elevati di gestione degli impianti e la scarsa liquidità della società portarono la direzione a cessare l’attività e a porre la cantina in stato di liquidazione nel 1913. A differenza delle cantine sociali di ispirazione “montemartiniana” , che avevano una compagine societaria prevalentemente da piccoli proprietari terrieri

Il Cantinone e la stazione di Stradella

stabile e il terreno ex Depretis per un centinaio di migliaio di euro. L’enotecnico Siro Riccardonna ne assunse la direzione tecnica, coadiuvato dai fratelli Giuseppe e Angelo Ballabio. Il primo anno lo produzione fu di circa 10.000 hl. Nel 1907 Riccardonna e Ballabio lasciarono la cantina per accasarsi alla neonata SVIC di Casteggio. Alla direzione subentrò l’enologo piemontese Giuseppe Boschis, il quale migliorò notevolmente la qualità dei vini, ottenendo varie onorificenze e premi in denaro alle Esposizioni Nazionali e Internazionali. La cantina possedeva numerosi punti vendita nell’Italia settentrionale: Pavia, Milano, Lodi, Cremona, Brescia, Codogno e Piacenza. Negli anni a seguire la produzione si diversificò, aggiungendo un impianto di distillazione a vapore delle vinacce, aumentando nel 1908 la compagine societaria da 28 a 31 soci. Nei primi 7 anni di attività la produzione

o coltivatori diretti, la “Cantina Sociale Produttori” di Stradella era costituita esclusivamente da grandi proprietari terrieri del circondario, di famiglie nobili o borghesi, le quali riuscivano già in autonomia a vinificare. Probabilmente anche la mancanza di ambizioni dei soci ad emergere sul mercato in modo associativo può aver influenzato in modo negativo la gestione della cantina. Con la liquidazione della società il “cantinone” venne ufficialmente dismesso e riqualificato ad altre destinazioni commerciali. La “Federazione delle Cantine Sociali dell’Oltrepò Pavese”, che aveva sede a poche centinaia di metri dall’enopolio, non ne fece mai uso. Dopo anni di abbandono, venne demolito negli anni sessanta per far spazio ai nuovi centri residenziali tutt’ora esistenti. (continua…) di Manuele Riccardi



PORTALBERA

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«Scuole e sicurezza, ecco il nostro 2019» Il comune di Portalbera per il 2019 punterà su scuole e telecamere: messa in sicurezza antisismica degli edifici e sicurezza sono i capisaldi della politica che il sindaco Pierluigi Bruni porterà avanti in questo nuovo anno. «Abbiamo investito parecchi fondi in questo settore. A Portalbera la nostra amministrazione ha sempre dato molta importanza alla scuola: un comune che perde le scuole perde tutto». Sindaco, com’è amministrare Portalbera? è un posto tranquillo? «Bella domanda! Non è che sia difficile, però la burocrazia crea tanti problemi. Ci sono tante cose, a volte inutili, da fare. Però si governa. C’è stato il periodo un po’ più duro, quando hanno bloccato tutto con il patto di stabilità. Adesso c’è un po’ più di elasticità e qualcosa abbiamo fatto. Sono soddisfatto e spero in futuro di avere ancora qualche fondo a disposizione per poter realizzare progetti e terminare lavori». Cos’ha in cantiere per il suo paese? «Abbiamo cercato di spingere sul patto scolastico a favore delle scuole. Vogliamo metterle in sicurezza sia dal punto di vista dell’antincendio, che da quello antisismico. Per noi è una ‘voce’ importantissima. Abbiamo il nido, la scuola materna e la scuola elementare. Mi piacerebbe che anche i paesi limitrofi potessero pensare di mandare i bambini nelle nostre scuole, già i bambini di San Cipriano vengono da noi. Noi mettiamo a disposizione il pulmino e facciamo anche il doposcuola gratuito: si paga solo un’iscrizione e poi per tre giorni alla settimana i bimbi possono stare fino alle 16.15».

Pierluigi Bruni

Per quanto riguarda invece le strade, l’illuminazione, le telecamere come siete messi?

«Quest’anno potenzieremo la parte della sicurezza con telecamere all’avanguardia. Controlleremo direttamente dal Muni-

cipio i filmati delle telecamere, è un bel passo avanti. Abbiamo speso 20 mila euro per questo e altri ventimila andranno per l’illuminazione, potenziandola laddove manca. Se si apriranno altri fondi vedremo cosa fare, dobbiamo anche terminare di asfaltare un pezzo di via». Da voi funziona bene anche la Proloco? «Sì, collaboriamo insieme in modo molto positivo. Per esempio tutti gli anni organizziamo il pranzo dell’Epifania con gli anziani e il risultato è sempre bello. Poi la Proloco fa diverse programmazioni durante l’anno, soprattutto d’estate». Lei è in politica da tanti anni. Come ha visto cambiare questo mondo? «Una volta era davvero più semplice. Oltre a questi anni da Sindaco, ho fatto per dieci anni il vice, quindi ho una bella esperienza. Non c’erano così tanti vincoli e burocrazia, adesso è tutto molto più complicato». Dei giovani cosa ne pensa? «Per quanto riguarda la disoccupazione non posso dire che ce ne siano tanti, forse ci sono più disoccupati in un’altra fascia d’età… quello che posso dire sui giovani è che vivono un po’ poco il paese, a lavorare vanno in molti su Milano e anche per il divertimento vanno spesso a Stradella…». Il suo comunque è un giudizio positivo sul suo paese? «Assolutamente sì! Abbiamo due società sportive, la Proloco, la Protezione Civile. Cerchiamo di mantenere e se possibile migliorare quello che abbiamo». di Elisa Ajelli


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SANTA MARIA DELLA VERSA

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«Ogni volta che ci sono le elezioni mi riprometto di restarne fuori, ma poi...»

Daniele Maggi, classe 1958, è un veterano della politica locale. Cresciuto a Santa Maria della Versa, insegnante e consulente per un’azienda della grande distribuzione, in più di quarant’anni ha ricoperto diverse cariche amministrative in vari comuni dell’Oltrepò. Nel 2015 ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro dal prefetto di Pavia. Maggi, quando ha iniziato il suo percorso politico? Come si è avvicinato a questo mondo? «Ho iniziato il mio percorso a 18 anni, quindi più di 40 anni fa, nelle fila degli studenti della Democrazia Cristiana su sollecitazione di compagni di scuola e amici». Quali ruoli ha ricoperto in passato? «Dal punto di vista amministrativo, nel 1990 sono stato Consigliere comunale a Broni, per poi passare a fare l’Assessore ai Lavori Pubblici a Lirio, Consigliere comunale a Cigognola ed infine Assessore all’Urbanistica, Commercio, Turismo, Cultura, Sicurezza e Pubblica Istruzione a Santa Maria della Versa, dal 2009 al 2014. Dal punto di vista politico sono stato Segretario Provinciale del CCD (Centro Cristiano Democratico) prima e poi dell’UDC, dove ho ricoperto anche l’incarico di Vicesegretario nazionale e membro della direzione nazionale. Nel 2013 sono stato candidato alla Camera dei Deputati al secondo posto nell’allora collegio elettorale Lombardia-Sud (Pavia-Lodi-Cremona-Mantova), sempre per l’UDC». Attualmente qual è la sua posizione politica? «Attualmente sono sempre sulle posizioni di Pier Ferdinando Casini con il CPE (Centristi per l’Europa), pur non condividendo alcune sue scelte di politica nazionale». L’Oltrepò oggi naviga in una grande crisi. A suo parere, quali possono essere state le cause? «La crisi dell’Oltrepò è sicuramente data da una serie di concause, principalmente il settore vitivinicolo che subisce l’attacco di diverse altre zone d’Italia e delle vicissitudini di alcune cantine sociali che poi sono state acquisite. Certamente la viabilità non aiuta questo settore. L’Oltrepò dovrebbe puntare sull’enogastronomia, dato che abbiamo un territorio eccezionale con prodotti di qualità. Un grosso problema è anche la rete commerciale che al momento, se non in alcuni casi, non c’è. Infine, un’altra grande pecca è la mancanza di strutture ricettive, mentre abbiamo però ottimi ristoranti». Ritiene che ci sia una soluzione a questa situazione critica? «Qualcosa di positivo si sta muovendo. Ultimamente diversi imprenditori giovani stanno attuando una politica commercia-

le secondo me buona. Bisogna sostenere questi imprenditori, giovani ma anche non, che sono bravi e lo stanno dimostrando producendo vini di ottima qualità. Anche le cantine sociali vanno però sostenute, perché sembra che ci sia stato un cambiamento di rotta anche in quel settore. Per cui l’Oltrepò, a mio parere, si sta risvegliando. Manca però un marchio globale dell’Oltrepò che riesca ad entrare nei mercati. Abbiamo territorio, ottimi prodotti e ottimi imprenditori. Il problema vero è l’immagine e si fatica a collocare il prodotto oltrepadano anche solo in giro per l’Italia». Secondo lei gli enti hanno fatto abbastanza per evitare questa situazione? «Non credo. Sono stati abbastanza latitanti. Attualmente sembra che la Regione sia più attenta a queste problematiche. La Provincia, che ormai ha funzioni ridotte, ha una grossa pecca: quella della viabilità». A livello locale, dov’è mancata la politica? «La politica sicuramente ha le sue colpe in questa situazione. Regione e Provincia dovevano fare da traino e non l’hanno fatto. Attualmente le situazioni politiche, se si ha la volontà, ci sono. In Regione ci sono persone valide, come il Presidente di Commissione Agricoltura Invernizzi e, a livello nazionale, c’è un Ministro dell’Agricoltura oltrepadano. Questi, se hanno attenzione per l’Oltrepò, possono realmente dare una svolta a questo territorio. Secondo me è un’occasione non dico unica ma importante». Lei è residente a Stradella. Per l’amministrazione tutto sembrerebbe andare bene, per l’opposizione la situazione è disastrosa. Da cittadino, come vede la sua città? «Io onestamente credo che a Stradella si possa fare di più, però la situazione non è disastrosa. Molte cose sono state fatte. è una città in cui tutt’ora si vive ancora bene e mi sembra che alcuni servizi funzionino. Certo, come in tutte le cose, ci si può migliorare. Il mio giudizio personale però non è di sicuramente negativo, anzi positivo. Forse dovrebbe essere un pochino più curata e l’amministrazione dovrebbe avere più attenzione su alcune situazioni, tipo la sicurezza. Naturalmente cercano di fare quello che riescono, perché penso che comunque anche Stradella soffra dei tagli agli enti locali avvenuti negli ultimi anni». Dal 2009 al 2014 è stato Assessore a Santa Maria della Versa. Cosa ricorda di quell’esperienza? «Sicuramente il ricordo è molto positivo. Mi è piaciuto tanto. Abbiamo portato avanti alcune iniziative sviluppando ciò che era già in atto, piuttosto che partire

Daniele Maggi, ex assessore comunale

da zero. Durante il mio incarico abbiamo creato il Distretto del Commercio, che ha coinvolto 10 comuni. Questo poi ha portato anche a far collaborare i comuni anche sul piano della vigilanza e sicurezza, con l’installazione di telecamere. Abbiamo inoltre avviato e inaugurato l’asilo nido e messo le basi per l’Infopoint, poi inaugurato dall’amministrazione successiva. Nel 2013, grazie anche all’ottimo impegno del Segretario Comunale Torriero, abbiamo partecipato al bando per il “Progetto 6000 Campanili”, ottenendo un cospicuo finanziamento statale lasciato poi in dote all’attuale amministrazione. Diciamo di cose ne abbiamo fatte parecchie anche se, col senno di poi, forse si poteva fare qual cosina di più. L’esperienza però è stata di certo positiva». Come vede Santa Maria della Versa oggi? «Santa Maria della Versa io la vedo sempre bene, perché ci sono affezionato. Certo che, come gli altri comuni di dimensioni limitate, subisce problemi di spopolamento e di attività che scompaiono senza essere più rimpiazzate. Anche a questo non è di certo facile trovare soluzioni. Dal punto di vista amministrativo vedo che alcuni lavori e interventi sono stati fatti. Come per Stradella la situazione la vedo comunque migliorabile. Dipende poi chi avrà la voglia di impegnarsi per il bene pubblico e sarà un impegno dei prossimi amministratori fare questo». Negli ultimi mesi si è parlato molto della fusione dei comuni della Valle Versa. Ruino, Canevino e Valverde hanno portato a termine con successo la fusione, dando vita a Colli Verdi. Questo non si può dire invece per il progetto del sindaco di Santa Maria della Versa, Ordali, che voleva un comune unico insieme a

Volpara, Montecalvo e Golferenzo, con Santa Maria della Versa stessa capofila. L’amministrazione dice che la Valle Versa ha perso l’ultimo treno. Cosa pensa di questo progetto? «Le situazioni cambiano. Capisco che molti hanno la loro idea del loro paese, che è sacrosanta e rispettabilissima. Il mondo che cambia ci porta però a dei cambiamenti, a delle modifiche. Credo che prima o poi questa debba essere la strada. Magari adesso è rinviabile ma questa sarà la strada, dettata da una situazione economica in recesso, tagli agli enti pubblici e fatica a far quadrare i bilanci pubblici. Questo porta chiaramente a dei disservizi per i cittadini. Personalmente, se fossi un abitante di questi piccoli comuni, mi spiacerebbe perché certamente la fusione porta a una perdita di identità e di riconoscimento. è una situazione che va mediata, ma non è di certo facile. Di conseguenza, dal punto di vista umano\campanilistico\emotivo uno tiene al suo comune, ma dal punto di vista amministrativo l’unione sarebbe più funzionale. Che poi volendo molti servizi sono già stati centralizzati, come le scuole e la sicurezza». Tra poco si entra in periodo elettorale. Progetti per il futuro? «Qui la passione resta. L’impegno politico per me è una passione. Ogni volta che ci sono delle elezioni mi riprometto di restarne fuori, ma poi alla fine sistematicamente mi ci ritrovo sempre dentro. Come mi ci ritroverò dentro questa volta non lo so, come non so quali saranno le opportunità e le possibilità che mi si presenteranno. Sicuramente non credo di restare solo spettatore». di Manuele Riccardi


MONTù BECCARIA

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Bruno Colombi lascia:«Vivete questo lavoro come una missione» Un’attività che chiude porta sempre un po’ di tristezza. Questa volta però non è la crisi ad aver colpito, si tratta di un semplice “pensionamento” dovuto all’età, che lascerà tuttavia un vuoto importante nei cuori (e negli stomaci) di tanti oltrepadani. D’altra parte Bruno Colombi l’aveva sempre detto, «quando compio 80 anni chiudo il ristorante» ed ha mantenuto il proposito. è così che dal 31 dicembre 2018 il Ristorante Colombi, dopo mezzo secolo di attività, ha cessato di esistere. Un pilastro della tradizione culinaria d’Oltrepò e una tappa fissa nella piccola frazione di Loglio di Sotto, comune di Montù Beccaria. Gli agnolotti al sugo di brasato, le “due fette” di salame, i bolliti e i risotti della moglie Rosanna, chef in cucina da sempre, resteranno nella memoria di tutti coloro che li hanno assaggiati e li rimpiangeranno. Colombi, la sua avventura è iniziata nel 1953. Oggi che può tirare le somme, può dirci qual è stata la più grande soddisfazione? «La cosa più piacevole da raccontare e di cui sono orgoglioso è l’aver visto figli e nipoti dei miei primi clienti diventare a loro volta miei clienti affezionati». Ora che ha chiuso può parlare fuori dai denti senza offendere nessuno. Ci dica: in Oltrepò si mangia bene? «In Oltrepò si mangia mediamente bene, logicamente quando la fanno da padrone i piatti della nostra tradizione e cultura». Qualche cliente esigente che l’ha fatta arrabbiare se lo ricorda? «Nel mio lavoro è inevitabile trovare clienti più o meno esigenti, ma quando si lavora con passione una delle soddisfazioni è anche riuscire ad accontentare questa particolare tipologia di cliente». Negli anni la ristorazione è cambiata parecchio. Cosa pensa dei ristoratori che non accettano i cani al ristorante? «L’educazione del cane al ristorante dipende da quella dei suoi padroni, e quindi bisogna regolarsi di conseguenza facendo buon viso a cattivo gioco». E di quelli che non accettano bambini piccoli? «Il bambino piccolo di oggi sarà il mio cliente di domani, bisogna accoglierlo senza se e senza ma». 
 Se dovesse dare un consiglio, frutto della sua esperienza, ad un giovane che vuole fare questo mestiere, quale consiglio darebbe?

 «Direi che bisogna essere umili, sempre, perché questa professione è una missione verso i nostri clienti». Bruno Colombi ha sempre mantenuto, anche questo un segno forte della tradizione locale e “paesana”, un contatto molto diretto con i propri aficionados. Tanto che, per celebrare degnamente la chiusura

dine va proprio a voi che avete riempito e dato senso al mio tempo ed al mio lavoro. Conoscevo le vostre abitudini a tavola, so come preferite la cottura della carne e se bevete acqua gassata o naturale, se vi piace il vino bianco o rosso. Praticamente ci capiamo senza parlare. E tu caro cliente sappi che non ho preso una sola decisione, non ho creato un solo piatto senza pensare a te. Alla tua felicità di condividere la mia casa, alla gioia del tuo palato, al calore del tuo abbraccio quando mi davi l’arrivederci con un sorriso largo sulle labbra. In questi istanti mentre ti guardavo uscire dal mio ristorante, capivo che ce l’avevo fatta, che la bellezza della mia professione era custodita nella tua soddisfazione». La chiosa stempera la malinconìa con una sferzata di ottimismo:«Adesso vi abbraccio io. Ora è venuto il momento di godermi una nuova giovinezza, e anche se con un pizzico di malinconia vorrei ripeterti “ho tagliato due fette di salame, di quello giusto solo per te, e ricominciare dall’inizio”. Ma la tristezza lascia spazio ad una certezza, che in qualche parte dei nostri mondi ci sarà sempre, per te, un ristorante Colombi in cui sarai accolto al solito tavolo, per stare bene». di Giacomo Lorenzo Botteri Bruno Colombi, mezzo secolo di attività nella ristorazione

dell’attività, ha indirizzato loro una lettera molto personale. «Ho un grande desiderio – scrive – che è ringraziare le centinaia di clienti che in tutto questo tempo si sono sedute ai miei tavoli. Da quando il posto era un luogo di sosta per chi transitava ungo la strada che collega Stradella a Santa Maria della Versa, fino ad oggi, sono stati tantissimi coloro che hanno apprezzato i piatti serviti in questo vero e proprio tempio della cucina dell’Oltrepò pavese». «Moltissimi - prosegue Bruno Colombi - sono tornati una seconda volta e poi ancora tante volte sino a diventare amici perchè venire a pranzo o a cena da me era come sentirsi a casa. Moltissimi ne sono certo, rimpiangeranno i miei salumi, i miei ravioli ed i risotti, i bolliti misti, il pesce, i dolci ed un buon bicchiere di succo d’uva proveniente da grandi Cantine». «Il Ristorante Colombi col tempo e grazie a voi - scrive ancora Bruno nella lettera – è diventato una bandiera dell’Oltrepò, il simbolo di una zona di provincia assurta a capitale dell’eccellenza culinaria, il bun retiro di gastronauti che se ne andavano soddisfatti». La lettera si conclude con un affettuoso ricordo proprio dei clienti: «La mia gratitu-



ARTE E CULTURA

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Le Equilibriste, storia di donne raccontate da donne A Montesegale la cultura si tinge di rosa. Marina Carbone milanese d’origine, oltrepadana d’adozione, insieme all’amica Simona Cazzulo hanno intrapreso un viaggio tra le pagine della storia, quella forse ancora troppo poco raccontata. Il loro obiettivo è far riscoprire le donne fonte d’ispirazione che hanno saputo mantenersi in equilibrio tra il bene e il male compiendo il loro destino. Da qui il nome “Le Equilibriste”, una collana in controtendenza artigianale e fatta a mano che esprime al meglio il senso del progetto, alcuni diranno che è una scelta ardita, altri in controtendenza … chiaro è che se nessuna di noi avesse deciso di esprimersi attraverso un mezzo, a volte, anticonvenzionale probabilmente continueremmo a non votare, per esempio. “Le Equilibriste” storie di donne raccontate da donne. Come e quando nasce l’idea? «L’idea nasce in primo luogo da un’amicizia tra me e Simona Cazzulo e da una sintonia immediata su certi temi e su una certa visione delle cose. Poi dal comune interesse per la figura di Ildegarda di Bingen, la badessa tedesca vissuta nel medioevo che affascinava entrambe al punto da spingerci a pubblicare qualcosa su di lei. Presto ci siamo accorte che la storia è piena di queste figure femminili così particolari, così magnetiche, che devono essere conosciute - o conosciute meglio - e che possono essere incredibilmente vicine alle donne di oggi, e non solo alle donne». Perché la scelta di questo nome “Le Equilibriste”? «Abbiamo scelto di intitolare così la collana perché tutte le biografie che la compongono appartengono a donne che hanno lottato, contro un nemico interiore o esterno, per mantenersi in equilibrio, per restare con i piedi ben saldi sulla linea della loro volontà e del loro destino. Perché crediamo che in fondo ogni donna debba essere, prima o poi, un’equilibrista. E infine perché certamente sappiamo di esserlo noi due». Qual è il lavoro che c’è dietro la realizzazione di un libro fatto a mano, a partire dall’idea fino alla sua stampa nonché alla sua distribuzione? «Il lavoro c’è ma io faccio fatica a considerarlo tale. Dico spesso che la realizzazione delle Equilibriste è la mia vacanza. Abbiamo individuato un piano dell’opera, che continua ad ampliarsi perché più andiamo avanti e più incontriamo o ci ricordiamo di figure che non possono essere tralasciate e perché questo nostro progetto sta riscuotendo interesse e chi legge questi libri spesso ci suggerisce altri nomi. In ogni caso, quando decidiamo di iniziare una di queste biografie cominciamo a procurarci il materiale che ci sembra utile, su qualsiasi supporto possibile: video, film,

Marina Carbone e Simona Cazzulo, “Le Equilibriste”

libri, opere etc. etc. etc.» Leggiamo, guardiamo, prendiamo appunti, ne parliamo (moltissimo). Poi Simona crea le illustrazioni, che sono sempre di una qualità e di un’originalità che trovo straordinarie. Il suo lavoro mi stupisce sempre perché lei è capace di cambiare stile ogni volta e di interpretare visivamente i miei pensieri. Solo dopo questa fase, io scrivo il testo». Vi potete definire delle equilibriste erranti, nel senso che portate e raccontate ciò che realizzate . Com’è l’Oltrepò per voi equilibriste? «In occasione di una presentazione Simona ha espresso un sentimento che condivido: l’equilibrismo nel nostro caso è anche cercare un percorso chiaro che ci permetta di rimanere entro i confini della nostra sensibilità, dei nostri ideali e dei nostri valori in un contesto che spesso rende difficile la piena espressione di sé. O perlomeno la guarda con diffidenza. Essere equilibriste in questo senso significa cercare una rete di profonde corrispondenze e non perdere di vista ciò che ci sembra davvero importante». Domanda schietta anche se un po’ brutale: che senso ha nell’era in cui tutto è digitale, anche la cultura, pubblicare una collana di libri artigianali? «Questa è una domanda che ricorre spesso. Abbiamo creduto in questo progetto anche perché siamo un po’ intolleranti alla massificazione culturale, perché abbiamo

sempre sentito le donne di cui abbiamo scritto come sorelle e volevamo accompagnarle noi, fino in fondo, con le nostre mani oltre che col cuore, fino alle mani e ai cuori dei lettori. Si è trattato certamente di un modo per salvaguardare la creatività e l’indipendenza, ma anche una questione di rispetto per i contenuti. Inoltre ci ha

sempre guidate la consapevolezza che il bello non sta necessariamente nel grande, in qualsiasi senso si voglia intendere». I libri sono il suo mondo sia per passione che per professione. A Montesegale comune dove risiede, ha dato impulso per aprire e tenere viva la biblioteca. Soddisfatta? «Molto, e sempre più motivata. Sono fortunata: vivo in un comune in cui l’amministrazione promuove e supporta le iniziative culturali e valorizza ogni manifestazione di cittadinanza attiva. Molti hanno contribuito a creare la biblioteca, che oggi vanta quasi trecento titoli e una media di prestiti mensili di 25. Per un comune con poco più di 300 abitanti è un grande segno di vitalità sociale e culturale. E poi: può dirsi paese quello in cui non esiste una biblioteca pubblica?» L’Oltrepò è un territorio “concreto” sia per motivi logistici e in diversi casi per motivi culturali. Lei è senza dubbio una donna di cultura. E’ stato difficile trovare stimoli e a volte non ha pensato di “arrendersi” alla non cultura? «In primo luogo credo che la cultura assuma diverse forme: la concretezza è una di queste. Anche saper coltivare la terra, produrre salumi di qualità è cultura, è la manifestazione di competenze fondamentali. Io so scrivere, ma non so produrmi il cibo, tanto per semplificare. Detto questo, credo che sia una questione di rispetto per se stessi: non seguire, non nutrire la propria vocazione a lungo andare è pericoloso. E gli spazi per farlo si trovano sempre, basta tendere un filo e camminarci sopra senza deviare». di Silvia Colombini


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MUSICA XXXXXXXX

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Semplicemente... 30 anni di Sacher Quartet

Sacher Quartet

Amici da una vita, Artisti da una vita, cantanti per passione ma con un livello professionale davvero alto, e tanto curriculum! Per ben due volte, nel corso del 2018, Ospiti dell’Ambasciata Italiana a Parigi, ci hanno raccontato 30 anni, quasi, di canto d’assieme e tanti aneddoti! Signore e Signori: i Sacher Quartet! Presentatevi singolarmente, prima di procedere... Laura, se non vuol dichiarare l’età... «Ma figuriamoci! (sorride) Laura Marchesi, Classe 1965. Alfredo Turicci, 1966. Alberto Favale, 1958 (ovazione degli altri componenti...), Giuliano Ferrari, 1965...». Sacher Quartet da quando? «Da 29 anni, 6 Aprile ‘90 la prima esibizione! Sempre con la stessa formazione. Gli inizi avvengono grazie alla Chitarra Orchestra del Maestro Franco Boffelli, quando, dopo le prove come chitarristi, cominciavamo a cantare tra noi... Poi, sempre negli anni ‘80, abbiamo iniziato ad armonizzare vocalmente, studiando su

brani già a più voci, come Crosby, Stills & Nash, oppure armonizzando brani anche italiani... ricordiamo “Poster” di Claudio Baglioni, per esempio...». Sacher proviene dalla celeberrima torta austriaca? «Oh yes! E dalle sapienti mani culinarie di Laura (risata). A fine-prove c’era sempre qualcosa di sfizioso... Si è rivelata un portafortuna! Fu in occasione di una serata con Giorgio Macellari e Betty Villani, alla quale fummo invitati da Betty ad esibirci, ed al momento di decidere un nome d’arte... Giuliano (Ferrari, n.d.r.) aveva profetizzato un prossimo cambio di nome, all’epoca, ma poi...». Gli inizi sono stati qui, nella nostra zona, immagino... «Sì, certo. Ci esibivamo alla Ca’ di Sass a Salice Terme, sempre a Salice anche alla Ragazza d’Ipanema, al Thunder Road di Codevilla… abbiamo inaugurato, nel 1995, L’Alcatraz di Voghera del caro Mimmo Bartilucci, dove avevamo sempre

una serata ogni mese , o due... Abbiamo partecipato, nel ‘92/’93, a “UnTetto sotto le Stelle”, serate organizzate da Ron alle Rotonde di Garlasco per raccogliere fondi per il Santuario delle Bozzole, spesso in compagnia di Biagio Antonacci, anche. In quegli anni ci accompagnavamo anche strumentalmente da noi. Poi abbiamo avuto un periodo in cui utilizzavamo anche basi musicali, non acquistate ma commissionate a veri strumentisti, Gianni Stellavato ne ha registrate molte per noi, miste a live di amici chitarristi come Micio Fassino, Antonio Giardina... fino al 2004. In quell’anno abbiamo cantato al Teatro Regio di Parma, e da allora abbiamo sempre avuto straordinari musicisti sul palco con noi! Uno dei periodi più fertili per noi, che continua ancora oggi, è stato l’incontro con il Maestro Andrea Girbaudo, pianista che è attualmente anche il nostro arrangiatore. Ci esibivamo spesso con pianoforte ed anche un violinista».

Oltre ai brani americani degli inizi, come si è poi evoluto il repertorio? «Ma guardi, una particolarità degli inizi è che facevamo tantissimi matrimoni, molto più in chiesa che nei pranzi successivi. Ricordo che facevamo, ad esempio, “No poto reposar” dei Tazenda, una delle canzoni d’amore più belle mai scritte, oppure canti celtici, come una bellissima Halleluja celtica... Ricordo una funzione matrimoniale dove al termine della nostra esibizione scattò un applaudo spontaneo da concerto! Fu bellissimo! In generale, comunque, il nostro repertorio è sempre stato molto eterogeneo». Ditemi tre “Cavalli di Battaglia” dei Sacher... «Beh, diremmo “Teach your children” di Crosby, Stills, Nash & Young e “Helplessly hoping” di Crosby, Stills & Nash. Poi, “Vent’anni” dei New Trolls, “Java Jive” de The Manhattan Transfer e “Però mi vuole bene”, il nostro tormentone del Quartetto Cetra! Anche Lucia Mannucci,


MUSICA la splendida voce femminile dei Cetra, scherzando con Laura (Marchesi, n.d.r.), aveva dichiarato che “Però mi vuole bene” era ormai nostra ! Comunque, anche dei New Trolls, degli Eagles, e di tanti altri che abbiamo interpretato, non abbiamo mai scelto brani scontati, se così possiamo dire». Avete prima accennato al Teatro regio di Parma: come escono dalla nostra i Sacher Quartet? «Prima di quel concerto, eravamo già andati fuori-zona, diciamo, in diverse occasioni, ma tutte in serate, ci passi il termine, normali, appuntamenti canori in locali come quelli della zona. Il Regio è stato certamente uno spartiacque per noi! Da li, ad esempio, abbiamo cominciato ad utilizzare sempre una band, dal vivo, in concerto con noi, cosa che prima era assolutamente saltuaria... Abbiamo imparato molto dagli straordinari professionisti allora conosciuti!». Come arrivate al Regio di Parma, allora? «Io (Giuliano Ferrari) lavoravo per Romano Menini, grandissimo impresario vogherese, e Juliano Cavicchi spesso frequentava l’Agenzia Menini. Nacque un’amicizia tra noi, gli proponemmo il nostro cd, e lui, circa sei mesi dopo, ci propose questo appuntamento! Noi, con molta incoscienza ed altrettanta consapevolezza, ci presentammo alle prove in questo teatro strepitoso, con un’orchestra di 70 elementi, con Silvia Mezzanotte ed Ami Stewart sul palco. Abbiamo conosciuto in quell’occasione Andrea Girbaudo, che ci arrangiò tutte le parti corali. Furono due settimane di prove giornaliere davvero pesanti ma assolutamente indimenticabili! Eravamo talmente immersi in questa situazione, che l’invito ricevuto ad una settimana di distanza dall’organizzazione della Fiera dell’Ascensione vogherese, che quell’anno presentava un programma Rock incredibile firmato ed organizzato dal Thunder Road, di aprire il concerto in caserma, appunto, di Suzanne Vega, una star mondiale, lo “sentimmo” come una cosa... normale! Ne parliamo anche raramente, mentre fosse successo in periodi precedenti lo avremmo eletto ad avvenimento straordinario, come effettivamente anche questo è stato!». E nel proseguimento di carriera? Capitarono ancora occasioni così importanti? «Assolutamente! Possiamo dirle, ad esempio, “Terre in bocca”, che fu un progetto pavese di Daniela Bonanni! Fu la riedizione di un album omonimo dei Giganti, del 1970, Concept Album che trattava di mafia dell’acqua, argomento da sempre spinoso... al punto che i Giganti, visto il rifiuto dell’Authority e la censura alla pubblicazione di quell’Album, si sciolsero di li a breve! Nel 2010 Daniela Bonanni, in occasione del 40esimo dell’Album, lo volle riproporre interamente live al Teatro Fraschini di Pavia, con presenti molti Artisti dell’epoca ed alcuni partecipanti all’Album originale, e ci contattò, tramite l’amico Sergio Tamburelli, perché i brani

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Sacher Quartet nell’Istituto della cultura italiana a Parigi

prevedevano molte parti corali. Il progetto prevedeva anche diversi incontri, ad esempio nelle scuole, per parlare di legalità, con interventi anche di Magistrati». Effettivamente, come dicevate prima, le vostre esperienze artistiche sono state multiple e diverse... «Sono state sfide che abbiamo accettato, fondamentalmente, ed affrontato. Siam passati dalle prove ai primi locali, ai matrimoni, alla West-coast, allo swing, ai Cetra, al progressive, perché i Giganti erano appunto progressive, altamente in questo album, abbiamo poi fatto The Wall dei Pink Floyd, De Andrè, ed ancora, le scuole... mondi così totalmente diversi tra loro». E nel 2018 si sono aperte per i Sacher anche le porte dell’Ambasciata Italiana a Parigi, se non erro per due volte! Com’è accaduto ?

«Siamo stati Ospiti sia il 5 Giugno, con riferimento al 2 Giugno, Festa della Repubblica Italiana, sia il 10 Dicembre scorso, per il Gran Galà di Natale. L’occasione è nata grazie alla moglie dell’Ambasciatore, Sig.ra Mariella Visani, originaria di Scaldasole ed amica di Giuliano (Ferrari, n.d.r.) e di Laura (Marchesi, n.d.r.) di vecchia data. I nostri Concerti sono stati organizzati presso L’Istituto Italiano per la Cultura». Che repertorio avete presentato? «A Giugno siamo andati solo con il Maestro Girbaudo al pianoforte, presentando brani italiani, compreso l’Inno di Mameli che è sempre emozionante da cantare, mentre a Dicembre, con la band al completo, ed un repertorio più internazionale, per larga parte del pubblico straniero presente». Quante date hanno effettuato i Sacher

Quartet in carriera, al momento? «Dunque: in tv abbiamo fatto 78 apparizioni. In concerto, siamo vicini alle 900 serate... A Marzo di quest’anno abbiamo pubblicato il nostro ultimo lavoro, che è un libro contenente un cd, dal titolo “Semplicemente Sacher”, unitamente al carissimo amico, scrittore e poeta Angelo Vicini. Un modo di celebrare la nostra carriera fino ad ora, ringraziando tutte le persone che hanno con noi collaborato, i musicisti, gli amici, le celebrities con le quali siamo venuti artisticamente in contatto. Anche i nostri figli, che quando siamo partiti non c’erano, e che ora, crescendo, stanno al nostro fianco! Anche per il nostro orgoglio!». di Lele Baiardi



SPORT

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Italia campione del mondo di Bowling: il ct è vogherese Quando si tratta di far diventare realtà i propri sogni lo sport è ancora il campo in cui le favole possono prendere forma con più facilità. Lo sa bene la nazionale italiana di Bowling che, contro ogni previsione o aspettativa, è tornata dal mondiale di Hong Kong con il titolo di campione del mondo. Gli azzurri hanno fatto meglio dei professionisti americani, canadesi o coreani. Per chi mastica di calcio, siamo stati una Danimarca vincente ai mondiali, impresa che ha ancor più dell’eccezionale se si tiene conto del fatto che il bowling italiano non viene praticato a livello professionistico, come invece avviene negli Usa, dove i campioni di questo sport molto popolare sono anche lautamente retribuiti. L’ “oro” azzurro ha anche molto di oltrepadano, considerato che il commissario tecnico della nazionale di bowling, Massimo Brandolini, 56 anni, è di origini vogheresi anche se da 20 anni ormai vive a Grezzago, in provincia di Milano, ed è impiegato di banca alla Bpm. Brandolini, un altro “oro” di cui Voghera può vantarsi dopo quello dell’olimpionico del tiro con l’arco Nespoli… «Diciamo che non so se a Voghera interessi molto di me. E’ una città che non mi ha mai amato né considerato molto a livello sportivo, è una realtà provinciale che ha sempre valorizzato poco i suoi talenti. Mi raccontava mio padre che lo stesso stilista Valentino, uno dei maggiori talenti che la città abbia espresso in campo artistico, era ignorato ed emarginato. Anche quando vivevo e mi occupavo di bowling qui ho sempre ricevuto maggiori attenzioni a Novi Ligure o Alessandria». Non torna mai? «In realtà spessissimo perché a Voghera ho madre e figlia che vengo a trovare, ma non ho altri legami perché la mia vita è altrove». Una volta c’era un bowling a Codevilla, ma era considerato più un “gioco” che uno sport. Come è nata la sua passione? «è iniziato tutto 30 anni fa, quando ancora pensavo solo al calcio che tra l’altro praticavo da dilettante. Mia cugina aveva un fidanzato americano che giocava a bowling ed è così che mi sono avvicinato a questo sport per la prima volta, dapprima solo come spettatore. Ero affascinato dalla grande tecnica che era richiesta per praticarlo, così ho iniziato la mia avventura sportiva, allenandomi e seguendo corsi fino ad arrivare ad essere istruttore di primo livello in poco tempo». In nazionale lei ha mai giocato? «No, sebbene fossi sempre tra i primi 15 giocatori in Italia non sono mai riuscito ad entrare in nazionale perché, come avrei capito in seguito grazie al mio mentore Frank Buffa, avevo problemi emotivi che mi impedivano di rendere in gara quanto

Massimo Brandolini allena la Nazionale Azzurra: «Voghera non mi ha mai considerato»

Massimo Brandolini

in allenamento». è uno sport in cui la componente emotiva ha un impatto così grande? «Assolutamente. è forse la componente più importante di tutte. Il talento si può avere e la tecnica si può apprendere con allenamenti e costanza, ma per un giocatore di bowling è fondamentale saper gestire le proprie emozioni e sapersi anche autosuggestionare per mantenere al massimo livello le motivazioni e la concentrazione richieste per effettuare lanci dove la precisione deve essere millimetrica e la forza dosata con massima approssimazione. Non è facile se si tiene conto che la palla pesa circa 7 kg». Il bowling però in Italia non ha alcuna tradizione. Come avete fatto a battere i “giganti” americani? Per loro è uno sport eccezionalmente popolare oltre che molto praticato… «La loro federazione conta milioni di iscritti, la nostra circa 2.500 e questo già può dare l’idea dello squilibrio. Oltre a loro però abbiamo sconfitto anche il Canada, molti giocatori del quale militano nei campionati americani. In Corea poi, se vinci una medaglia hai addirittura diritto a una pensione a vita! Premettendo che non ci aspettavamo certo di vincere devo dire che il nostro segreto è stata l’umiltà e la coesione del gruppo. Abbiamo affrontato dei professionisti abituati a luci, telecamere e pressione, che per noi erano cose

nuove. La nostra squadra è composta da ragazzi che fanno altri lavori per vivere e si allenano per passione. Alla fine però noi non abbiamo sbagliato nulla mentre loro sì, possiamo dire che abbiamo fatto noi i professionisti questa volta».

Dalla vittoria quindi non avete ottenuto nessun beneficio economico? «Non direttamente, il viaggio e i voli erano spesati, ma non abbiamo uno stipendio. La nostra federazione è piccola e non ha grandi disponibilità economiche». Cambierà qualcosa con questa vittoria prestigiosa? «Spero di sì. Mi auguro che si trovi finalmente qualche sponsor interessato a investire in modo che si possa fare qualche programma un po’ più ambizioso. Tenga conto che giocare a bowling ad alto livello è costoso: la palla arriva intorno ai 150200€, le scarpe pure e vanno cambiate ogni due anni». Chi volesse praticarlo in Oltrepò dove può rivolgersi? «In Oltrepò non è rimasto nulla. C’è un bowling a Tortona ma non è convenzionato con la federazione. Chi volesse iniziare a praticarlo come sport, insieme ad un istruttore, dovrebbe scrivere a fisb@fisb.it e chiedere indicazioni su come muoversi e

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Da quanti elementi è composta la squadra? «Sei giocatori più il coach, che decide le strategie». Età? «Nel nostro caso, quando sono diventato allenatore 6 anni fa, ho intrapreso un percorso per coinvolgere il più possibile i giovani, anche se il bowling è uno sport senza età. I nostri giocatori vanno dai 22 ai 36, per arrivare ai 50 del capitano».

su quale sia il centro più vicino. Che, nel caso di Voghera, credo sia Alessandria». Avete ottenuto riconoscimenti mediatici da questa vittoria? «Direi di sì, soprattutto dalla Rai. Siamo stati ospiti della Domenica Sportiva e di Fazio». Da Voghera proprio nessuna chiamata? «No, nessuna». di Christian Draghi


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MOTORI

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Motor Rally Show, brilla Giacomo Scattolon nella R5

Giacomo Scattolon Il Monza Rally Show rimane come tradizione uno degli ultimi atti della stagione “rallystica” e per la settima volta ha registrato la vittoria assoluta di Valentino Rossi. Il campione di Tavullia, con la sua Ford Fiesta WRC Plus, ha piegato gli avversari, facendo valere la sua legge nei tre giorni di confronto andati in scena davanti a un folto pubblico, valutato in circa 58 mila presenze nel fine settimana. Non sono però mancate le critiche al “dottore” per aver scelto una WRC Plus “maggiorata” (si parla di circa 80 cavalli in più) che con altri tre: Sninen, Brivio e Salucci, finiti poi nell’ordine alle sue spalle, le ha consentito vita facile nei confronti dei più accreditati avversari, uccidendo lo spettacolo. Al di là di polemiche sterili, la realtà sta nel fatto che la gara ha avuto un solo protagonista, lui, Valentino Rossi e il suo navigatore Carlo

CLASSIFICA FINALE CLASSE R5 1.Rossetti,L. - Minchella,A. (HYUNDAI i20) in 1:17’19.8; 2.Re,A. - Florean,F. (VW POLO) a 17.2; 3.Crugnola,A. - Nicastri,M. (SKODA FABIA) a 18.2; 4.Basso,G. Franzi,M. (SKODA FABIA) a 56.7; 5.Scattolon,G. - Nobili,M. (SKODA FABIA) a 58.8; 6.Beretta,M. Carrara,F. (SKODA FABIA) a 59.6; 7.Tosini,L. - Peroglio,R. (SKODA FABIA) a 1’18.1; 8.Andreucci,P. Andreussi,A. (PEUGEOT 208) a 1’20.3; 9.Reduzzi,D. - Maifredini,G. (SKODA FABIA) a 1’26.8; 10.Bosca,A. - Aresca,R. (FORD FIESTA) a 1’27.3; 11.Mabellini,A. - Lenzi,V. (HYUNDAI i20) a 1’35.0; 12.Pinzano,C. - Cerutti,M. (SKODA FABIA) a 1’40.8; 13.Freguglia,G. - Bollito,L. (SKODA FABIA) a 2’03.6; 14.Gilardoni,K. -

Tagliani - Musti Cassina. Nelle nove Prove Speciali hanno conquistato sempre il miglior crono: al termine del venerdì ha scavato un gap di oltre 7 secondi sul diretto avversario Teemu Suninen, pilota finlandese proveniente dal Mondiale di Rally. Dopo la sesta prova il

distacco è lievitato a 49”, fino a concludere la sfida con un vantaggio di 1’07”2. Seconda piazza per Suninen, seguito dai fratelli Roberto e Luca Brivio in terza posizione e Alessio Salucci in quarta. Quinto posto per il nove volte campione del mondo di Mo-

tocross, Tony Cairoli, con un gap di 2’52”, che si è messo alle spalle il pistaiolo Marco Bonanomi e Piero Longhi. Il fuoriclasse della MXGP può comunque vantare di essere stato il più veloce tra le vetture WRC e non solo. Cairoli infatti, si

Bonato,C. (HYUNDAI i20) a 2’04.8; 15.Gianesini,M. - Bergonzi,M. (SKODA FABIA) a 2’17.7; 16.Biolghini,P. - Rocchi,S. (SKODA FABIA) a 2’23.9; 17.Aragno,F. - Segir,A. (SKODA FABIA) a 2’32.5; 18.Ballinari,I. - Togni,A.s. (SKODA FABIA) a 2’36.3; 19.Babini,F. - Zanchetta,G. (PEUGEOT 208) a 2’46.8; 20.Leo,F. - Cristofoli,Z. (SKODA FABIA) a 2’52.1; 21.Testa,G. - Bianco,B. (SKODA FABIA) a 2’52.8; 22.Arza’,C. - Moriconi,M. (PEUGEOT 208) a 2’57.1; 23.Messori,D. - Lavazza,C. (SKODA FABIA) a 3’08.6; 24.Tempestini,S. Boccardo,M. (HYUNDAI i20) a 3’10.5; 25.Dalmazzini,A. - Ciucci,G. (FORD FIESTA) a 3’23.5; 26.Tagliani,M. Musti,C. (SKODA FABIA) a 3’26.4; 27.Valsecchi,D. - Zanin,P. (FORD FIESTA) a 3’46.4; 28.Papaleo,R. Ferraro,E. (FORD FIESTA) a 3’51.8; 29.Ogliari,G. - Granai,L. (CITRO-

EN C3) a 3’52.3; 30.Pogna,M. Ballarini,F. (SKODA FABIA) a 3’52.9; 31.Tenchini,G. - Ferraglio,M. (HYUNDAI i20) a 4’03.0; 32.Bonacini,A. Novelli,D. (PEUGEOT 208) a 4’31.8; 33.Amos,E. - Mometti,R. (HYUNDAI i20) a 4’36.9; 34.Rizzo,M. Zagami,G. (SKODA FABIA) a 4’40.2; 35.Giorgioni,S. - Imperio,N. (SKODA FABIA) a 4’41.1; 36.Danesi,J. - Trolese,M.a. (SKODA FABIA) a 4’50.6; 37.Re,B. - Luca,M. (SKODA FABIA) a 4’55.8; 38.Venica,G. Ciani,M. (HYUNDAI i20) a 5’04.8; 39.Sabbadini,A. - Colombo,N. (FORD FIESTA) a 5’10.2; 40.Potente,L. Pannunzio,S. (FORD FIESTA) a 5’10.6; 41.Modanesi,A. - Paganoni,G. (FORD FIESTA) a 5’26.9; 42.Terrini,S. - Ruggeri,R. (FORD FIESTA) a 5’29.9; 43.Pellinen,A. - Laiho,J. (SKODA FABIA) a 5’36.9; 44.Riccio,D. - Rossetto,A. (FORD FIESTA) a 5’44.8; 45.Patera,S. - Regis,F. (SKO-

DA FABIA) a 5’59.7; 46.Meda,G. - Meda,P. (FORD FIESTA) a 6’22.7; 47.Proh,A. - Vallivero,P. (FORD FIESTA) a 6’44.9; 48.Cianfanelli,N. Vitali,D. (FORD FIESTA) a 7’00.0; 49.Cattaneo,L. - Marchioni,G. (SKODA FABIA) a 7’16.3; 50.Stefan,F. - Agostinetto,I. (FORD FIESTA) a 7’38.9; 51.Belume’,V. - Filippini,R. (FORD FIESTA) a 8’03.8; 52.Colombo,M. - Sala,M. (CITROEN DS3) a 8’18.2; 53.Manole,M. Dorca,F. (FORD FIESTA) a 8’27.2; 54.Somaschini,R. - Marchetti,S. (PEUGEOT 208) a 8’38.1; 55.Fassio,F. Rossello,A. (FORD FIESTA) a 8’59.7; 56.Carigi,M. - Corso,C. (FORD FIESTA) a 9’10.7; 57.Milioli,M. Maletti,S. (PEUGEOT 208) a 9’12.8; 58.Belli,M. - Lucchetti,M. (FORD FIESTA) a 9’23.9; 59.Fiore,N. - Della Maggiora, (SKODA FABIA) a 11’40.1; 60.Peletto,S. - Barrera,M. (SKODA FABIA) a 13’10.7.


MOTORI é preso una grande rivincita ne Masters’ Show dove, con la Hyundai i20 WRC 1.6, il pluricampione ha combattuto con il coltello tra i denti, guidando alla perfezione e vincendo battendo proprio Valentino Rossi e la Ford Fiesta WRC Plus. Una Super finale che all’inizio ha visto il campione di cross sotto di qualche decimo ma, giro dopo giro senza sbavature, è poi riuscito a recuperare e a mettere le ruote davanti al n°46 nonostante la vettura meno perfomante. Un rally nel rally l’hanno invece recitato i 64 protagonisti dell’affollatissima classe R5 in cui erano impegnati tre equipaggi oltrepadani: Giacomo Scattolon e Matteo Nobili (Skoda Fabia – Road Runner Team); Michele Tagliani e Claudia Musti (Skoda Fabia – Eurospeed) e Vittorio Belumé e Riccardo Filippini (Ford Fiesta – Efferre Motorsport). Scattolon-Nobili fanno segnare dei tempi pregevoli che spaziano dal 9° all’11° posto di classe nelle prime 5 prove speciali. La svolta per i portacolori del Road Runner Team di Casteggio avviene sulla prima Gran Prix di 44,830 km, in cui fanno segnare il 4° tempo, facendolo seguire dal 7° sulla stessa lunghezza della Gran Prix 2, un risultato che li porta al 6° posto di classe, poi, il 4° tempo sugli 12 chilometri della Roncolo2 ed il 1° nella breve Monza2, fa si che l’equipaggio oltrepadano colga un prestigioso 5° posto di classe davanti ad avversari come: Andreucci, Gilardoni, Tosini, Bosca, Biolghini, il campione sviz-

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Barlumè - Filippini zero Ballinari ecc, non che il 16° posto assoluto. Michele Tagliani e Claudia Musti hanno portato a termine la loro gara al 26° posto, davanti al Campione GP2, già ex Lotus F1, Davide Valsechi, quindi Papaleo e Ogliari, dopo essersi battuti tra la ventesima e ventisettesima posizione. Infine,

Belumè-Filippini si sono mossi prevalentemente con un passo che li ha visti variare la loro posizione in classifica dal 47° al 55° posto occupato a circa metà gara, ma con un’ottima interpretazione delle ultime 3 prove, tra cui la lunga Gran Prix 2, hanno rimediato il 51° posto di una classe “infer-

nale”. Ma vediamola questa classifica di classe che tra qualità dei contendenti e il numero dei competitori fa davvero rabbrividire. di Piero Ventura

Santa Maria della Versa: la Scuderia Piloti Oltrepò compie 8 anni Era il mese di febbraio 2011quando sulla scena dell’automobilismo sportivo apparve una nuova realtà da subito identificata sotto la sigla SPO, acronimo di Scuderia Piloti Oltrepo. I suoi promulgatori furono tra gli altri: Claudio Biglieri, Matteo Musti e Giuseppe Fiori e proprio quest’ultimo, ne diverrà di li a presto presidente, ruolo ricoperto tutt’ora. Sulla scena dell’automobilismo sportivo da oltre 40 anni, Giuseppe Fiori si é fatto conoscere per le sue ottime capacità di copilota; é stato ininterrottamente, dal 1976 al 1986, navigatore di Filippo Musti, poi di Alberto Bruciamonti e altri ancora. Nel 1994 affianca nel suo debutto rallystico Matteo Musti, portandolo al secondo posto di classe in un rally difficilissimo. Nonostante i gravosi impegni sia professionali che sportivi ricoperti, ancora oggi Fiori non si fa mancare qualche “fuga” sul sedile di destra, come al 1000 Miglia storico del 2011 ad esempio o al 2 Valli sempre dello stesso anno sulla Porsche con Matteo Musti in cui ottengono il 3° posto assoluto e 1° di classe, risultato tra l’altro ripetuto l’anno successivo. Nel 2015 sfiora con Canzian la vittoria al 4 Regioni. Una

foratura li relegherà al 3° posto assoluto e 1° di classe con l’Opel Kadett GT/e Gr.4. Sempre nel 2015, legge le note nuovamente a Canzian, ma questa volta sulla Clio RS, al Rally Race di Stradella, dove sono costretti al ritiro. Chiude la stagione tornando dopo 30 anni al fianco di Filippo Muti sulla Porsche con la quale ottengono il 2° posto (1° di classe) alla Ronde Vedovati Historic. Nel 2016 é 9° (1° di classe) con Canzian al Vallate Aretini storico, é 2° (1° di Classe) con Beniamino Lo Presti e la Porsche al Pavia Motor Rally Show e 10° assoluto e 5° di classe al Rally 4 Regioni storico con Filippo Musti. Nel 2018 ha preso parte al Rally Valleversa leggendo le note a Matteo Musti sulla Renault Williams ma senza fortuna. Grande lavoratore, supportato da ottimi collaboratori, Giuseppe Fiori é riuscito nell’intento di dare concretezza e credibilità al sodalizio. Un gruppo, ben strutturato che ottiene la prima vittoria assoluta gi nell’anno del debutto ed esattamente nell’agosto 2011 quando Matteo Musti e Claudio Biglieri vincono il Rally del Giarolo su Peugeot 307 WRC. è il varo di una nuova forza

tangibile che spende le sue energie a favore di uno sport simbolo del territorio oltrepadano. La Scuderia, che ha sede a Santa Maria della Versa, si distingue anche sotto l’aspetto organizzativo che spazia dai successi ottenuti con i vari corsi per navigatori, all’organizzazione del 2° Slalom del Penice nel 2016, fino all’eccellente Rally Valleversa dello scorso anno, questi ultimi due, promossi con il supporto di Aci Pavia. Ora SPO, s’appresta ad alzare il sipario su di una nuova stagione che la vedrà ancora sulla cresta dell’onda e i suoi programmi si conosceranno a breve e precisamente il prossimo 19 gennaio presso l’Agriturismo Corte Montini tra Redavalle e S.Giuletta, in cui, nel corso del convivio sociale, Giuseppe Fiori scoprirà le carte datate 2019. Giuseppe Fiori

di Piero Ventura



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Una foratura “inchioda” Scattolon al 4° posto nel 20° Prealpi Master Show

L’Equipaggio Scattolon-Zerbini su Skoda Fabia Per una malaugurata foratura, gli oltrepadani Giacomo Scattolon e Alessandro Zerbini con al Skoda Fabia R5 by PA Racing, mancano la grande festa sul podio del 20° Prealpi Master Show, seconda prova del Challenge Raceday Rally Terra 20182019. La gara é stata vinta dai padovani Nicolò Marchioro con Marco Marchetti alle note sulla Skoda Fabia R5, al termine di un rally impegnativo e incerto fino all’ultimo, che ha visto il riproporsi della rivalità su cui si è costruito tutto il Campionato Italiano Rally Terra 2018 con i trevigiani Mauro Trentin ed Alice De Marco, tutti sulla Skoda Fabia R5. Dicevamo, gara impegnativa che ha messo i concorrenti in difficoltà su di una prova insidiosa, con uno sterrato ghiacciato che ha messo in difficoltà un po’ tutti. Il primo scratch l’ha messo a segno Nicolò Mar-

chioro, di 3”6 più veloce di Trentin e di 5”9 di Scattolon. Il copione non cambiava nel secondo passaggio, quando Nicolò Marchioro vinceva ancora davanti a Trentin di 2”7. Terzo era ancora il pavese Giacomo Scattolon: il podio assoluto pareva così stabilizzato. Signor, staccando il quinto tempo, risaliva in classifica portandosi settimo, dietro a Merli quarto, Christian Marchioro quinto e Andrea De Luna sesto. Continuava la bella gara di Simone Romagna, che con la Lancia Delta Integrale che trent’anni fa portava Miki Biasion a vincere il Mondiale si piazzava ottavo nella generale. Nel terzo giro però cambiava il podio. Giacomo Scattolon e Alessandro Zerbini foravano prima della metà della prova la posteriore destra della loro Skoda, ed erano costretti a percorrere cinque chilometri su tre gomme. I 22”6 persi li face-

vano scivolare quarti, 7”5 dietro al nuovo terzo, Christian Merli. La prova era vinta da Trentin, che riduceva lo svantaggio fino a 4”2 dalla vetta. Molto staccato Merli, che chiudeva il giro con 24”9 di distacco dal leader. Poi, dopo Scattolon, erano tutti insieme: a 1” dal vogherese c’era De Luna, poi a 0”7 Signor, a 1”9 Christian Marchioro, Piccolotto a 1”5, Romanga a 1”2, Lorenzon a 0”4 e Trevisani a un solo decimo. Il quarto e ultimo passaggio sui 9,23 chilometri della prova “Master Show”, è stato decisivo. La lotta che ha portato a Trentin il Tricolore Terra stavolta ha portato il Prealpi a Marchioro. A riprova di come la gara sia stata tirata, ecco che entrambi gli equipaggi stampano un 6’22”2 che porta in trono il padovano di Montagnana per 4”2: per lui è la prima vittoria a Sernaglia. Nel

confronto per il terzo gradino del podio, Giacomo Scattolon e Alessandro Zerbini non riescono nell’impresa di soffiare il bronzo al campione delle cronoscalate Cristian Merli, che in coppia con Anna Tomasi sull’ennesima Skoda Fabia R5, porta a casa un risultato a dir poco eccezionale. Per Giacomo Scattolon, che il fondo sterrato non é ciò che si può definire il suo habitat naturale, ha ottenuto il terzo risultato positivo in tre partecipazione: (8° assoluto e primo di classe con la Subaru Impreza Sti nel 2015; 2° assoluto e e 1° di classe con la Skoda Fabia R5 nel 2017, in entrambe le occasioni con Paolo Zanini alle note. Infine, il 4° posto sia assoluto che di classe di quest’anno in cui Scattolon, nonostante la sfortuna, ha mostrato le sue qualità. di Piero Ventura





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