Che nell’Oltrepò del vino fosse Carnevale si era già capito
Anno 13 - N° 140 MARZO 2019
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CASTEGGIO
pagina 43
varzi SILVANO PIETRA
«Un maxi polo logistico alla ex Valdata» Un grande insediamento produttivo potrebbe arrivare nel comune di Silvano Pietra portando lavoro e una boccata d’ossigeno all’economia... pagina 24
bressana bottarone Il comitato Bimbi e Giovani: «Un paese trascurato» Siamo tornati ad incontrare Monica Sacco, presidente del Comitato Benessere Bimbi e Giovani; in passato consigliera comunale... pagina 45
torrazza coste
L’ultima notizia bomba nell’Oltrepò del vino, in ordine di tempo, è quella della riappacificazione fra il Consorzio di Tutela ed il Distretto...
Orfani di una squadra da tifare, gli Ultras vogheresi si interrogano sul futuro del calcio cittadino. Di tifare l’ ”ibrido” OltreVoghe non ne hanno mai voluto sapere e dopo il ritiro dell’Asd Voghera dal campionato di promozione dovuto all’inadeguatezza di una squadra che incassava una batosta dopo l’altra, le domeniche della tifoseria sono rimaste vuote. I ragazzi della curva... pagine 12 e 13
«L’Oltrepò è un territorio bellissimo, terra di eccellenze riconosciute in tutto il mondo»
Dal 1996 iscritto alla Lega, Eurodeputato dal 7 Luglio 2016, ha percorso tutti gli scalini dell’ascesa politica: assessore comunale, provinciale... pagine 18 e 19
Salice Terme
Un nuovo parco giochi - divertimenti aprirà a Giugno
pagina 25
RIVANAZZANO TERME «Un’opportunità mondiale, ma bisogna prevedere tutto per... bene» La Sei Giorni 2020, in programma dal 24 al 29 agosto, stabilirà il suo quartier generale ed i paddock presso l’aeroporto di Rivanazzano Terme... pagine 26 e 27
SANTA MARGHERITA STAFFORA Mancano gli iscritti, addio alla scuola di montagna La piccola scuola elementare di Casanova Staffora chiuderà i battenti il prossimo anno. Troppo pochi gli iscritti per dare continuità... pagina 39
L’area prescelta è quella antistante e attigua al “Bay Bar”, che grazie alle sue strutture logistiche, ricreative e sportive esistenti sarà parte integrante del parco giochi. A Luca Galati imprenditore oltrepadano nel settore... pagina 31
«Chiusure obbligate? La gente fa la fila per lavorare la domenica…» Linda Lugano dopo una prima esperienza fatta sul campo presso il supermercato Gulliver di Godiasco fa ora parte dell’ufficio category e comunicazione dei Supermercati Gulliver... pagina 21
news
«Messi in disparte da Alberti, per questo ce ne siamo andati»
oltre
Barbieri: «Non scambieremo le nostre idee con una poltrona»
«Di nuovo al Parisi solo per una squadra di Voghera con società seria»
il Periodico
«Mi auguro che i cittadini diventino sempre più sentinelle attive...» Simone Verni, giovane, dinamico, passionario ed appassionato al suo lavoro, che dalle sue parole sembra essere più una mission, in realtà...
L’assessore al turismo Giulio Zanardi, il vicesindaco Roberto Antoniazzi e il consigliere Marco Nicora hanno abbandonato il loro ruolo in maggioranza convergendo in un gruppo chiamato “Varzi in Comune”. A meno di tre mesi dalle elezioni, il sindaco di Varzi Gianfranco Alberti è tecnicamente in minoranza... pagine 34 e 35
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ANTONIO LA TRIPPA
il Periodico News
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OLTREPò PAVESE, A MAGGIO 55 SINDACI SARANNO ELETTI. QUANTI VOLTAGABBANA? Voltagabbana – Chi cambia opinione e idee, per opportunismo, per tornaconto personale, con grande facilità e leggerezza (sinonimo di banderuola). Questa è la definizione che fornisce l’Istituto Treccani dei “voltagabbana”. Nel voltagabbana c’è una questioncina preliminare da sciogliere: che diavolo sarebbe questa “gabbana” che proditoriamente si volta? La parola deriva da “gabbano”, dall’arabo qaba, di origine persiana, e, oltre all’uso militare in età moderna, indica una veste da lavoro usata da contadini, operai. Come si vede l’espressione deriva dal contesto militare nel quale i soldati disertori indossavano le giubbe al contrario per non farsi notare ed essere quindi riconosciuti. In Oltrepò a maggio ci saranno le votazioni per il parlamento europeo ed anche quelle per il rinnovo dei consigli comunali di 55 comuni. Molti analisti politici affermano in base ai dati elettorali a loro disposizione che mentre alle elezioni politiche, regionali ed europee, l’elettore tende ad affidarsi al partito, alle elezioni comunali, soprattutto nelle realtà medio piccole, si tende a votare la persona. L’ “uomo”, come si usa dire: in Oltrepò in questi mesi ci sono politici ad ogni livello che stanno cambiando casacca o cercano di farlo. Chi dal centro va a destra o sinistra, chi da destra o da sinistra va al centro, l’importante per questi “uomini” politici oltrepadani è stare dalla parte che loro considerano del più forte, dalle parte di chi permetterà loro di vincere, di chi permetterà loro di mantenere o conquistare una poltroncina, una sedia, uno sgabello. Questa tattica, sia in Italia che in Oltrepò, ha sempre ragione a prescindere dalle ragioni. Oggi l’Oltrepò è in apnea politica, economica, produttiva, occupazionale e sociale, con poche speranze in un futuro dignitoso. Un territorio a rischio eutanasia che come non mai avrebbe bisogno di una classe politica adeguata, capace ed intraprendente, in grado di voltare pagina per promuoverlo. Facile a dirsi, difficile a farsi. In questi anni alcuni sindaci hanno lavorato bene, altri hanno lavorato alla spera in Dio… hanno avuto poche e confuse idee e le poche cose che hanno messo in pratica, che ai più dovrebbero sembrare ordinaria amministrazione, hanno cercato di pubblicizzarle in ogni modo, su giornali e social principalmente, come se fossero la scoperta dell’America quando in realtà era solo la scoperta dell’acqua calda. La politica oltrepadana, ma non solo, oggi fa ribrezzo a molti e soprattutto ai giovani, perché esistono anche loro. Alle prossime elezioni comunali ci saranno molti “uomini”, ne sono certo, che da uno schieramento passeranno ad un altro, da un’area
politica si schiereranno con quella che a loro, al momento, sembrerà quella migliore per vincere le elezioni. Questi “uomini” - candidati li potete chiamare transfughi, fuoriusciti, pentiti, stabilizzatori, oppure, molto più semplicemente, traditori o, appunto, “voltagabbana”. Sono pseudo-politici che, per ragioni di natura personale, a seconda delle convenienze, passano da una lista a un’altra, con buona pace dei presunti ideali e degli elettori. è un tema vecchio, certo, quello degli “opportunisti” pronti a salire sul carro del vincitore. Per questi “uomini” che si candideranno alle prossime elezioni comunali, la politica non c’entra nulla, c’entrano l’ego, la fame di protagonismo e magari di uno stipendio, che con i tempi che corrono non guasta mai o di qualche poltrona da qualche parte, purché sia una poltrona, se retribuita meglio, altrimenti come spesso accade, faranno di tutto per trasformare, sottobanco, quella poltrona non retribuita in una poltrona retribuita, perché … anche questi “uomini” voltagabbana tengono famiglia. Mediocrità, tornaconto e ambizioni personali sono le
vere leve del voltagabbana. Gente che usa la politica come ascensore sociale o per tornare in auge o per sistemarsi. A mio modesto avviso, di questa gente l’Oltrepò non ha più bisogno, se mai ne ha avuto. L’Oltrepò ha bisogno di sindaci che non buttino via i soldi pubblici in opere pseudo faraoniche, in cattedrali nel deserto, vero che non ce ne sono molte in costruzione, ma qualcuna c’è… e molto costosa. C’è bisogno di sindaci che invece di costruire o accettare, perché magari una strada pur passando nel loro territorio comunale è di competenza di altri enti, rotatorie ed altri interventi simili, si battano per mettere a posto le strade, che in Oltrepò, più di ogni altra zona attigua, sono in stato pietoso. L’Oltrepò ha bisogno di sindaci che di fronte a un ente pronto a donare soldi pubblici per opere inutili sappia dire:“Non li voglio, voglio soldi per fare cose utili, in primis le strade”. Sindaci coraggiosi… pensate se un sindaco invece di accettare soldi per rimettere a posto, molto spesso per l’ennesima volta, un locale di proprietà comunale per farci dentro qualcosa d’inutile (l’Oltrepò è pieno di cose inutili
pagate con il danaro pubblico) li rifiutasse e a gran voce, facendolo sapere a tutti, dicesse ai quattro venti: “Io non butto danaro pubblico in cose di secondaria utilità, chiedo che questo danaro pubblico mi venga dato per cose di primaria utilità”. Le cose di primaria utilità sono semplici da individuare: le strade, i fossi, le frane e le agevolazioni affinché chi lavora possa farlo. Qualche sindaco dirà…”ehhh, ma il finanziamento era per quella cosa lì, che so anche io che è inutile, ma cosa facevo, rifiutavo i soldi?”. Sì, li rifiutavi e lo facevi sapere a tutti, e sono certo che i tuoi concittadini ti avrebbero capito e applaudito, certamente di più che non per aver preso e in pratica buttato soldi per inaugurare l’ennesima stanza adibita a pseudo museo, o quando hai inaugurato l’ennesima rotatoria o altre amenità simili non certo di primaria utilità. Un sindaco coraggioso, un Uomo e non un voltagabbana, interessato solo allo sgabello politico, farebbe così. Ripeto facile da dirsi, difficile da farsi, ma soprattutto, difficile trovare candidati e futuri sindaci così, dei sindaci-uomini “sferomuniti” (non vogliamo scadere nel volgare, quindi usate la fantasia). In un momento come quello attuale dove in Oltrepò latitano certezze e sono molto pochi i punti di riferimento, ritengo anche che qualche volta cambiare idea sia legittimo e qualche volta persino giusto. Anche per un uomo politico. Il problema è un altro: in Oltrepò non abbondano i ripensamenti ma i riposizionamenti. Molti non cambiano idea, si limitano a cambiare posto, collocazione o poltrona e, sebbene cerchino di nobilitare in ogni modo la loro decisione, lo fanno soprattutto per convenienza personale e raramente per scelta ideale. Cesare Romiti una volta ebbe a dire che tutti hanno il diritto di cambiare idea, ma tutti dovrebbero anche sentire il dovere di restituire, contemporaneamente, la dote. Ma non sembra che questo accada molto di frequente, anche perché, assai spesso, i voltagabbana alla capacità di mettersi al vento uniscono un’invidiabile e inossidabile faccia di bronzo. Vedrete che qualche candidato sindaco o consigliere comunale alle prossime elezioni comunali, pur magari noto per i suoi acrobatici cambiamenti di casacca, se gli fate notare la cosa vi risponderà: “Lei si sbaglia, io sono sempre fermo al mio posto, sono gli altri che si spostano”. Ecco delle facce di… ”bronzo”, che magari diranno che questa è “l’arte della politica”. Magari sarà anche vero, “ma ghe no da vantàs” (“non c’è da vantarsi”). di Antonio La Trippa
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«Tasse invariate, confermati gli sgravi per il commercio» Se l’obiettivo era non aumentare le tasse, si può dire che sia stato raggiunto…o quasi. Il bilancio ha superato l’esame del consiglio comunale di Voghera e la maggioranza può tirare un sospiro di sollievo. Il documento programmatico conferma in sostanza le riduzioni fiscali relative al welfare già in vigore e i tagli, dal 10% al 20% sulla Tari per alcune categorie di negozi. Il nodo del contendere resta però l’aumento, seppur minimo, della Tari per circa 7mila abitazioni, che pagheranno circa 10 € in più rispetto al passato per via di un tecnicismo che spiega l’assessore al bilancio Gianfranco Geremondia: «Adeguandoci a quanto indicato dal ministero abbiamo in sostanza equiparato le pertinenze (quindi ad esempio i garage ndr) alle utenze domestiche» chiarisce l’esponente dell’UDC. «Si sono così ribaltate le percentuali: 55% utenze domestiche e 45% non. Se non avessimo fatto così i negozi e le attività commerciali avrebbero dovuto pagare i costi per rifiuti che non producevano». Assessore, il bilancio è approvato. Quali sono a suo avviso i riscontri di questa manovra finanziaria per i cittadini? «Non aumenta la pressione fiscale locale. A quella nazionale ci pensa il governo (5 Stelle – Lega) del “cambiamento”, si fa per dire... che in questi giorni ci ha regalato anche l’eco tassa. Non aumentare la pressione fiscale locale e mantenere la generalità dei servizi a favore della collettività, confermando tariffe ferme da anni, mi sembra già un primo innegabile risultato. Questo è il risultato di un lavoro fatto con la condivisione degli obiettivi con gli altri colleghi, dal Presidente del Consiglio Nicola Affronti, al sindaco, ai consiglieri di maggioranza». Ci dica in sintesi i provvedimenti più significativi. «Si conferma la riduzione tariffaria per le famiglie numerose che usufruiscono del servizio di refezione scolastica; si mantiene la gratuità del servizio di assistenza domiciliare per gli ottantenni residenti; si sostiene l’accordo per favorire le locazioni a canone agevolato che comporta una riduzione della base imponibile per il calcolo dell’aliquota e una riduzione del 50% dell’aliquota per l’IMU applicata alla seconda casa. Si mantengono inoltre le riduzioni del valore di alcune tipologie di aree edificabili con riduzione dell’IMU dovuta in particolare al 50% alle aree edificabili ad uso produttivo e il 15% per le aree edificabili a zona residenziale». Per la tassa rifiuti cosa viene confermato? «La riduzione del 10% per le abitazioni con unico occupante con una superficie tassabile pari o inferiore a 50mq». E per le famiglie più numerose? «Con 5/6 occupanti con una superficie da 90mq a 110mq vale la stessa riduzione».
L’assessore Geremondia spiega il bilancio: «33 milioni di spese correnti, il 17% al welfare»
L’assessore Geremondia con il consigliere comunale Daniela Galloni Ulteriori detrazioni per il commercio e le attività didattiche? «20% per i locali adibiti ad attività didattiche quali asili nido o attività per assistenza anziani e disabili». E per il commercio cosa viene mantenuto? «La riduzione del 10% della tassa rifiuti per le attività commerciali pari o inferiori a 100mq e 20% per quelle che vendono generi alimentari.Riduzione del 20% della Tari per i locali interessati da interventi di investitori privati realizzati nell’ambito dell’accordo “attract” per cui la regione ha ammesso la nostra città al bando relativo. Riduzione del 50% dell’imposta sulla pubblicità per pubblicità all’interno delle attività commerciali, vendite al dettaglio o per iniziative sostenute dall’associazione di categoria». Una curiosità: in consiglio comunale siede anche la Presidente di Ascom, Cristina Palonta. La sua assenza all’approvazione del bilancio era in dissenso con l’amministrazione? «A quanto mi risulta la consigliera Palonta ha giustificato l’assenza con motivazioni personali». Ma la consigliera Palonta ha lasciato il gruppo di FI e ha aderito al gruppo misto. Allora quali sono i significati di questa uscita dal partito per cui originariamente era stata eletta? «La risposta non dovrei darla io ma il gruppo politico (FI) interessato alla defezione. Non mi risulta comunque che la signora Palonta sia uscita dalla maggioranza. Ha lasciato solo il gruppo del partito di appartenenza». Non avete aumentato la pressione fiscale locale e allora quali sono i vostri provvedimenti per garantire le risorse desti-
nate ad alcune funzioni ritenute fondamentali e strategiche? «È stata fatta una rigorosa ricognizione delle spese di funzionamento confermando un ridimensionamento generale ove possibile. È stata confermata la linea già adottata in precedenza per la sostituzione del personale cessato, a tutela delle esigenze finanziarie e a garanzia del rispetto della normativa di finanza pubblica». Ci sono modifiche per l’imposta sulla pubblicità? «La vigente normativa in materia di imposta sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni, dispone che agli effetti dell’applicazione dell’imposta medesima e del diritto sulle pubbliche affissioni, limitatamente alle affissioni di carattere commerciale, i Comuni suddividano le località intese come strade e piazze del proprio territorio in due categorie, normale e speciale. Tenuto conto che la suddivisione del territorio comunale è stata definita nel 1994, si è reso necessario provvedere in considerazione della mutata situazione del territorio comunale, alla ridefinizione dell’elenco di quelle in categoria speciale. In sintesi abbiamo valutato gli insediamenti di Voghera est, di zona Medassino - mentre per le aree commerciai del Parco Baratta si era già provveduto all’adeguamento - ad adeguare l’imposta alla nuova realtà commerciale della città. Un provvedimento che farà pagare la grande distribuzione che si è insediata nelle nuove aree commerciali, come coloro che hanno negozi in centro città». Quindi in sintesi il bilancio approvato cosa prevede? «Per il 2019 sono previsti 33 milioni di spese correnti destinate per oltre il 25% ai servizi generali che garantiscono il ge-
nerale funzionamento dell’ente, per oltre il 17% alle spese sociali con cui vengono garantiti adeguati livelli di assistenza alle categorie di cittadini maggiormente in difficoltà, il 7% per la viabilità, il 6% sia per l’ordine pubblico e la sicurezza che per l’istruzione e il diritto allo studio. Inoltre è stato previsto oltre l’8% per assicurare gli accantonamenti necessari che garantiscono il permanere delle condizioni di equilibrio del bilancio comunale. Oltre 6 i milioni di investimenti prevalentemente destinati al miglioramento tecnico sismico degli edifici scolastici e interventi di sicurezza della viabilità, alla realizzazione di un campo polivalente nell’area del palasport, di interventi di rifacimento della tribuna est dello stadio nonché di aree verdi per parco giochi. Non va dimenticato l’intervento per la frazione Oriolo, sollecitato a più riprese dal mio gruppo (UDC) e in particolare dalla consigliera Daniela Galloni relativo alla costruzione di loculi per il cimitero. Non possiamo dimenticare poi l’intervento “Recology” per Medassino, reso possibile con finanziamenti regionali sollecitati più volte dall’Assessore Panigazzi e dal mio partito. Quindi un bilancio finalizzato a soddisfare i bisogni della propria collettività tenendo conto delle possibilità economiche dell’ente, finalizzando tutte le spese senza accendere nuovi mutui che avrebbero sottratto risorse ai servizi per far fronte agli impegni assunti». Per concludere, ad un esperto politico ed amministratore con tante deleghe chiediamo il parere su questa maggioranza «Il voto sul bilancio non ha dato problemi, la maggioranza tiene e il mio partito con la sua compattezza (tre consiglieri comunali e due assessori) è un pilastro importante per assicurare stabilità. È auspicabile però una maggiore collegialità e soprattutto uno sforzo da parte del sindaco per tenere compatta la maggioranza riconoscendo visibilità a chi più si impegna. Occorre dimostrare che la squadra è salda per affrontare gli impegni e le scadenze elettorali che l’attendono». di Silvia Colombini
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Elezioni 2020: «Non escludiamo di proporre un nostro candidato sindaco» Fratelli d’Italia scende in campo proponendo un pacchetto sicurezza che riguarda una delle zone più “sensibili” di Voghera, la stazione ferroviaria. Il direttivo cittadino ne chiede la chiusura nelle ore notturne insieme all’introduzione di guardie giurate in supporto alla Polfer. «La stazione non deve essere un rifugio per sbandati o una terra di nessuno» spiega Marco Sartori, “neoacquisto” di Fratelli d’Italia ma già esponente di spicco del partito a livello locale. Sartori, perché chiudere la stazione nelle ore notturne? «è in primis una questione di sicurezza. Come d’altra parte già avviene a Milano, si tratterebbe di chiuderla dopo l’ultimo treno della notte per riaprirla prima del primo treno del mattino. Nel caso di Voghera l’ultimo treno parte per Alessandria poco dopo mezzanotte. Il primo va a Milano poco dopo le 5 del mattino». Come mai ritenete che alla Polfer servirebbe l’aiuto di guardie giurate? «Perché attualmente il servizio della polizia ferroviaria finisce alle ore 19.00 e di fatto esiste una fascia oraria scoperta dalle 19 alle 24. Ci sono anche molte donne che usano il treno e ritornano a Voghera proprio in quella fascia oraria ed è impensabile non garantire a loro sicurezza». Parliamo del “suo” modello, quello che in precedenza era conosciuto come “modello Voghera” mentre oggi è più un “modello Sartori” dato che ne ha fatto il suo cavallo di battaglia. Si tratta di misure che limiterebbero l’accesso ai contributi agevolati agli extracomunitari. Per i critici è uno slogan, come “prima gli italiani”. Lei cosa risponde? «Penso che i critici dovrebbero studiare le leggi dello Stato Italiano prima di tutto. Uno dei problemi delle nostre amministrazioni è quello di essere depauperate dai falsi poveri, quelli che con una semplice autocertificazione riescono ad accaparrarsi agevolazioni, bonus e carte sconto, scavalcando i veri indigeti nelle graduatorie per ottenere esoneri nel pagamento di rette scolastiche».
«Stazione ferroviara da chiudere nelle ore notturne»
Sartori: «La Lucchini? Una bella ragazza, ma sono sposato…» In tutto questo cosa c’entrano gli extracomunitari? «Sono i più difficili da individuare perché possono autocertificare l’indicatore Isee relativo alla loro situazione economica senza che vi sia la possibilità di accertare le loro proprietà nei rispettivi paesi di origine incrociando dati sensibili. In questo modo i disonesti possono facilmente accedere ad agevolazioni alle quali non avrebbero alcun diritto. Le cose devono cambiare soprattutto in un periodo come questo di crisi. Non ci sono più risorse e le poche delle quali dispongono ancora gli enti locali (comune provincia e regione) vanno misurate». E il suo modello in che modo interviene? «Riformulando il regolamento Isee si introduce il principio sancito dal d.p.r. 445/00 secondo cui “gli stati , le qualità e i fatti rigurdanti i soggetti extracomunitari richiedenti sono documentati mediante certificazioni o attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello stato estero corredati da traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesta la conformità”. In questo modo per i cittadini extracomunitari non è più possibile ottenere una agevolazione semplicemente usando il sistema delle autocertificazioni. L’accertamento della reale condizione economica dei soggetti richiedenti eviterà ogni attribuzione indebita di denaro pubblico: è un principio di razionalizzazione della spesa pubblica, di equità e di uguaglianza. Oggi a Voghera avviene esattamente il contrario». Sulla politica della giunta Barbieri siete stati molto critici soprattutto per quanto riguarda il welfare. Cosa non condividete? «Della politica dei servizi sociali che riguarda i servizi regolati dall’ISEE non condividiamo nulla. L’assessore ai servizi sociali attua una politica di sinistra, fatta da spot elettorali della serie “l’importante è esserci per essere”». Parliamo della situazione politica vogherese. Barbieri ha spiazzato tutti annunciando un’apertura verso il PD. Lei se l’aspettava? «Il gruppo di potere legato a Forza Italia
Marco Sartori, “neoacquisto” di Fratelli d’Italia
Barbieri e l’apertura al PD: «L’Udc sarebbe ago della bilancia con un suo candidato sindaco» cerca delle alternative dopo il miracolo elettorale del 2015. Per loro credo non sia un problema cercare di andare con il PD il problema se mai è essere seguiti dai propri elettori». Lei come interpreta questa mossa? Che scenari aprirebbe? «In questa strategia il ponte politico è l’Udc di Paolo Affronti che farebbe da collante esprimendo il candidato sindaco di questa coalizione di centro-sinistra composta da PD, Forza Italia e, appunto, Udc». Un tentativo per fare lo sgambetto all’ “odiata” Lega? «Forza Italia di Voghera e Lega in questo momento sono agli antipodi. La Lega dopo vent’anni di sudditanza cerca la propria autonomia politica che si compirà con un proprio candidato nel 2020». Parliamo proprio della Lega, un partito in ascesa che lei però ha lasciato. Si è pentito della scelta? «No. Come ho già detto in passato, in Fratelli d’Italia ho trovato vera meritocrazia, anche nei vertici gerarchici più alti. Alla fine sono le persone a fare la differenza». Che giudizio esprime sulla Lega vogherese? La Lucchini le piace come segretario? «La Lega a Voghera fa opposizione e la fa su tematiche cittadine che generalmente condividiamo. Il segretario Elena Lucchini è una bella ragazza, ma sono sposato (ride)! Scherzi a parte, fa il suo lavoro e si
divide tra Roma e Voghera». Alla luce degli ultimi sviluppi, quindi, Fratelli d’Italia dove si collocherà in vista delle prossime comunali? «Capisco la confusione, ma a sinistra non ci andiamo, rimaniamo nel nostro alveo naturale e non si esclude che si possa esprimere anche noi un candidato sindaco». Il centrodestra spesso si è diviso, soprattutto intorno alla figura di Carlo Barbieri. Crede che la sua uscita di scena favorirà il riunirsi della coalizione? «Penso piuttosto che ci sarà moltissima confusione e molta tensione, soprattutto sui social. Nelle elezioni comunali 2015 vi erano 17 liste, prevedo che nel 2020 questo numero sarà superato». di Christian Draghi
Fratelli d’Italia spinge sulla sicurezza: «Guardie giurate in aiuto alla Polfer»
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«Aprendo al Pd Barbieri confonde un elettorato già confuso»
Ha lasciato un partito in cui non crede più e che ritiene agonizzante. Un partito i cui vertici nazionali «ricordano l’orchestra del Titanic che continua a suonare mentre la nave cola a picco». Federico Taverna, ex consigliere comunale in quota Forza Italia è oggi entrato nel gruppo misto. è ufficialmente un battitore libero in cerca di una nuova casa, anche se non rinnega il tempo trascorso nel suo ormai ex partito. «La mia – spiega - è stata una scelta sofferta ma libera e convinta seguita a mesi di riflessione. In Forza Italia ho trovato amici con cui collaborare e colleghi disponibili coi quali non sono mancati momenti di confronto anche piuttosto accesi, anche se la metafora della nave che sta affondando credo sia veritiera. L’ha sorpresa l’apertura del sindaco Barbieri, tra l’altro l’unico sindaco “azzurro” rimasto sul territorio, al PD di Ghezzi? «Le dichiarazioni del Sindaco Barbieri sulla possibilità di aprire al PD non fanno altro che gettare confusione su un elettorato già abbastanza confuso, non sentendomi più rappresentato da Forza Italia non credo nemmeno di poterla rappresentare a mia volta, meglio uscire quindi. Ritengo che dopo le ultime elezioni politiche sarebbe stato necessario aprire una nuova stagione congressuale per riorganizzare il partito e definire una strategia politica chiara in grado di recuperare quel consenso perso anziché rimanere in una posizione attendista che alla luce delle ultime elezioni non sta pagando minimamente».
Taverna lascia Forza Italia: «I vertici del partito ricordano l’orchestra del Titanic» Mentre se ne andava da Forza Italia ha dichiarato che serve un accordo con la Lega, con cui invece Barbieri si mette di continuo le dita negli occhi…Una dichiarazione che suona un po’ provocatoria nei confronti del sindaco nonché esponente di spicco del suo ex partito, non crede?
«Non mi sembra di aver detto un’eresia, anzi piuttosto mi sembra di aver confermato un’ovvietà dal momento che insieme alla Lega amministriamo nelle Regioni e nei Comuni. L’unico motivo per cui non siamo al Governo insieme è perché il cdx da solo non ha i numeri per la maggioranza e un accordo fra Lega e M5S era inevitabile, alla luce del fatto che con questa legge elettorale se fossimo tornati subito al voto si sarebbe presentato lo stesso scenario». Crede veramente possibile un accordo tra “riformisti” come quello auspicato da Barbieri che coinvolga Forza Italia e Pd a livello locale? O crede sia una dichiarazione di convenienza nel tentativo di trovare una “stampella” da qui a fine mandato visto che la Lega fa opposizione?
strazione oppure opposizione? «Sono nel gruppo misto e senza partito, ma con idee, entusiasmo e voglia di fare, mi sento libero di decidere di volta in volta se appoggiare o meno la maggioranza, di certo, insieme alle altre forze di centrodestra condividerò proposte vista la sintonia esistente». Che giudizio esprime sulla giunta Barbieri ora che è ancora più “esterno”? «Nel complesso questa Amministrazione è discreta, ma ultimamente cade nella tentazione di governare l’ordinaria amministrazione. Viaggia troppo su compartimenti stagni, lo dissi già l’anno scorso e non mi sembra che la situazione sia cambiata». Cosa funziona e cosa no in città? «Va bene la raccolta differenziata, i cittadini stanno rispondendo positivamente e questo è un segnale importante. Non
mi anni». Giochiamo alla Fantapolitica. Che scenario intravvede per le comunali 2020? Quali potrebbero essere gli schieramenti? «è ancora presto per definire scenari di alleanze nel 2020, al momento il centro destra ricorda l’allineamento dei cavalli del Palio di Siena, quando prima del via si scalciano, non si sopportano, si provocano, c’è quel partito che non ne vuole sapere di stare vicino a quell’altro. Ovviamente prima serve una convergenza di programmi e prima ancora la volontà di volerli condividere». Lei dove si collocherà? Ha già simpatie? «Guarderò più a destra che al centro, sen-
«Non credo che Ghezzi accetti accordi con Barbieri. Non conviene a nessuno dei due»
Federico Taverna, ex consigliere comunale in quota Forza Italia
«Non so se il PD e Ghezzi abbiano davvero intenzione di abbandonare il ruolo di alternativa per abbracciare l’eredità politica di Barbieri, non credo che convenga a nessuno dei due, verrebbe letta come un accordo per le poltrone, altro che appelli al moderatismo e alla visione liberale, la gente non abbocca». Sempre a proposito di stampelle. Cosa farà ora? Appoggio esterno all’ammini-
aumentare le tariffe comunali in tempi di tagli e minori trasferimenti è indice di non voler gravare sulle tasche dei contribuenti e questa non è retorica ma una scelta politica. Quello che non va è che abbiamo un ex caserma che potrebbe esprimere un potenziale enorme in termini di attività e attrattività ma manca ancora un progetto di lungo respiro, su questo argomento occorre concentrare l’attenzione nei prossi-
za troppi giri di parole». Parliamo della situazione Asm. Lei che è stato vicepresidente in Asmt e ha maturato esperienza in azienda, che idea si è fatto del cosiddetto caos-bollette? «Il caos bollette purtroppo dura da diverso tempo, non spetta a me giudicare il lavoro dei dipendenti ma che la politica abbia un ruolo nella scelta e nell’individuazione del consiglio di amministrazione o dell’amministratore unico che devono controllare e assicurarsi del buon funzionamento della società è un dato di fatto. Il cittadino vogherese che ha problemi con la bolletta perché non la riceve da mesi e quando la riceve contiene ovviamente l’importo a conguaglio del periodo non fatturato si trova a dover sborsare centinaia di euro tutte in una volta». Crede che Asm perderà clienti? «Questo disservizio, oltre a spingere il cittadino a valutare e a scegliere altre offerte o operatori sul mercato dell’energia fa maturare anche un giudizio negativo sull’amministrazione, è inevitabile». di Christian Draghi
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«Albini attacca tutti perché vuole fare il sindaco» Simone Algeri, 25 anni, è l’ex coordinatore dei Giovani di Forza Italia di Voghera. Tessera azzurra in tasca da quando aveva 14 anni, dal 2011 al 2017 ha guidato il gruppo giovanile, nel 2015 si è candidato al ruolo di consigliere comunale e ad oggi risulta il primo dei non eletti a Palazzo Gounela nonché l’under 30 più votato. Dal 2016 ha lentamente abbandonato la politica per “volare” - letteralmente - dietro al suo sogno: quello di diventare pilota di linea. La passione per la politica però non l’ha persa così come il senso critico. Ultimamente è intervenuto spesso sui social per pubblicizzare tra i concittadini i suoi tentativi di chiarire alcune magagne connesse ad Asm Voghera. Non lesina critiche al “suo” sindaco Carlo Barbieri e lancia qualche frecciata all’”ambizioso” leghista Pierfelice Albini. Algeri, andiamo per ordine. Iniziamo dalle critiche lanciate ad Asm. Non ne ha lesinate sui social, dal caso bollette alla gestione della raccolta differenziata. Cosa non funziona secondo lei? «Secondo me c’è stato un grande caos. Per quanto riguarda il caso bollette non mi capacito di come, da un giorno all’altro, si sia creato questo disastro e soprattutto non capisco come questa situazione non sia stata ancora risolta. Tutto ciò è ancora più strano ed imbarazzante dato il costoso supporto ottenuto dalla società che fornisce il software usato per il calcolo delle bollette. Per quanto riguarda la raccolta differenziata penso che sia la metodologia stessa a non funzionare ed i tantissimi sacchetti abbandonati di fianco ai cassonetti mi danno ragione. Purtroppo l’impegno degli operatori dell’igiene urbana non può bastare a sopperire alla situazione creatasi». Lei crede che non ci si abituerà mai del tutto al nuovo metodo? «Onestamente temo che questa metodologia di raccolta, nonostante i costi altissimi sostenuti per l’acquisto dei cassonetti “intelligenti”, non avrà vita lunga. Meritano invece una menzione a parte i responsabili di ASM Vendita e Servizi che, in più occasioni ed anche su questo giornale, hanno sostenuto di potere decidere come e quando pagare i rimborsi dovuti a causa dei ritardi delle bollette».
ni del gruppo. Le mie dimissioni vennero congelate in attesa del ballottaggio bis svoltosi poi nel 2017. Dopo quella data organizzammo una serie di riunioni per scegliere il nome del nuovo coordinatore». Albini della Lega ha dichiarato che nel 2020 FI potrebbe anche “non esistere più”. Solo una provocazione o secondo lei c’è qualcosa di vero? «Più che una provocazione direi la speranza di colui che ambisce ad essere il candidato sindaco leghista. Sicuramente l’amico Albini ha moltissime doti, l’ambizione in primis, ma ha anche qualche difetto, per esempio ha la memoria corta. Occorre ricordargli che lui si è candidato con Barbieri e lo ha sostenuto con fermezza fino alla nomina della giunta post ballottaggio 2017. Sinceramente sembrano strane le tempistiche con cui attacca la maggioranza ed i partiti che ha sostenuto fino a pochi mesi fa. In definitiva mi viene da rispondere che non so se dopo le elezioni del 2020 Forza Italia esisterà ancora, ma sono certo che esisterà ancora la sua ambizione di diventare sindaco». Simone Algeri, ex coordinatore dei Giovani di Forza Italia di Voghera Non è così? «No e ne approfitto per ricordare a tutti gli utenti, e pure ai dirigenti di ASM Vendita e Servizi, che il contratto stesso prevede che il rimborso debba essere corrisposto nella prima fattura utile. Quello che dico si può facilmente evincere leggendo gli articoli 18.9 e 23.7 del contratto». C’è chi l’ ha accusata di “fare casino” su internet... non ha cercato di rivolgersi all’amministrazione in maniera più diretta? «Con i social ho solo cercato di informare i vogheresi riguardo i disservizi di ASM, e ho esercitato il mio diritto di critica come comune cittadino. Ho anche esposto direttamente le mie perplessità alla società. Nel novembre 2018 mi rivolsi ad ASM Vendita e Servizi, in ragione del dovere di trasparenza, per avere dei documenti riguardanti alcune spese che ritenevo poco chiare. Mi hanno risposto a febbraio 2019 domandandomi quale sia la legge che mi da il diritto
Simone Algeri contro ASM: «Caos bollette inspiegabile e la nuova differenziata naufragherà»
di fare queste domande, io ho prontamente risposto ed ora attendo che, finalmente, mi diano ciò che a mio diritto ho richiesto. Nel frattempo ho segnalato alcune spese effettuate dalla società alla Procura Regionale della Corte dei Conti di Milano perché gli organi competenti facciano le dovute verifiche nel primario interesse del cittadino». Da quando ha lasciato i giovani di Forza Italia il suo atteggiamento nei confronti dell’amministrazione è sempre stato molto critico. Che cosa non le piace della gestione Barbieri? «Premetto che in realtà non ho lasciato i giovani di Forza Italia, anzi ad inizio 2019 ho rinnovato nuovamente la mia tessera di partito. Purtroppo però a Voghera non si è fatto molto, diciamo che specialmente dopo il commissariamento la Giunta é stata abbastanza immobile e, devo ammettere, che si è fatto poco o nulla di quanto previsto e promesso in campagna elettorale. Questo immobilismo mi ha davvero deluso, per me la coerenza e l’onestà devono essere alla base di ogni azione». Torniamo all’esperienza con i giovani di FI. Come mai lasciò l’incarico? Solo “impegni personali” oppure qualche dissapore più profondo? «Dopo aver firmato la candidatura nel 2015 comunicai al gruppo giovanile che, comunque fossero andate le elezioni, dopo le elezioni stesse mi sarei dimesso. In quel momento ritenevo che il mio percorso di coordinatore fosse giunto all’apice e volevo che altri meritevoli prendessero le redi-
«Barbieri? Giunta immobile da tempo, promesse elettorali disattese» E lei? Si impegnerà politicamente nel 2020? «Assolutamente no. Gli impegni di studio e di lavoro mi porteranno ad essere sempre meno presente in città e per di più, al momento, non vedo nessun progetto politico per cui valga la pena impegnarsi». Come vedono gli occhi di un giovane il futuro politico della sua città? «Onestamente male. Non vedo in nessun partito la volontà di lavorare con serietà. Prendiamo ad esempio il caso ASM: La maggioranza tace, il PD ha organizzato una piccola raccolta firme di protesta e ha fatto qualche interpellanza, la Lega ha fatto qualche comunicato stampa e pochissime interpellanze, il movimento 5 stelle ha completamente taciuto, alla resa dei conti nessuno ha fatto nulla». di Christian Draghi
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«Certe manifestazioni sono un danno per la città» «La manifestazione “In Vino Veritas” è stata un fiasco assoluto, l’Amministrazione farebbe meglio a smettere di organizzare eventi che anziché promuovere l’immagine della città la imbruttiscono». Non usa mezzi termini Rocco Del Conte, ex assessore e leader degli ambulanti associati ad Apva, che entra a gamba tesa sulla kermesse ospitata a Voghera nel cortile dell’ex Caserma nel weekend del 22 e 23 febbraio e appoggiata dall’assessorato al turismo retto da Simona Panigazzi. La polemica era iniziata a dire il vero già prima che la manifestazione si svolgesse, dovuta al fatto che ad un evento che doveva essere legato al vino e patrocinato dal Comune di Voghera non fossero presenti aziende del territorio. Del Conte, gli organizzatori hanno però fatto sapere che su venti aziende invitate nessuna ha voluto partecipare… «Un motivo c’è! Chi opera sul territorio sa che una manifestazione così, buttata in piedi tra l’altro per il secondo anno di fila, non dà alcun ritorno ma solo spese, tra l’altro troppo alte, per la partecipazione». Che cosa non l’ha convinta di questa kermesse? «Tutto. Doveva essere dedicata al vino ma in realtà di vino praticamente non ce n’era. Tra l’altro i pochissimi che lo vendevano lo davano sfuso, dalle damigiane. Poi c’erano bancarelle di ambulanti che cucinavano cibo nel polverone della caserma, in condizioni di scarsa igiene senza che nessuno ne verificasse la provenienza dato che si trattava oltretutto di carne di maiale. è evidente a tutti che qualcosa proprio non funzionava.
Rocco Del Conte, ex assessore e leader degli ambulanti associati ad Apva
Ma, soprattutto, il fatto grave è rappresentato dalla pressoché totale mancanza di sicurezza. Il decreto Gabrielli in questo caso è stato totalmente ignorato con buona pace di tutte le attività commerciali che invece devono farci i conti quando organizzano qualcosa». Avevate espresso le vostre riserve all’amministrazione prima dell’evento? «Sì, in commissione avevamo votato contro, sapendo che si trattava di un evento campato in aria. Invece hanno tirato diritto, si sono presi i soldi degli ambulanti e basta. Tra l’altro l’evento non è stato neanche pubblicizzato a dovere. Nessuno sapeva che si sarebbe tenuto e la dimostrazione è che non c’è stato praticamente afflusso».
Come mai secondo lei è stato organizzato dall’assessorato al turismo e non al commercio? «Perché probabilmente è un evento che piaceva all’assessore Panigazzi o al suo partito, l’Udc. è evidente che, così come è stato organizzato, non poteva avere alcun riscontro turistico per la città. Anzi, in questo modo con manifestazioni del genere, i turisti da Voghera si tengono ben lontani. Tra l’altro mi permetta di aggiungere che la scelta di febbraio è stato un ulteriore errore: è un mese ancora troppo freddo, chi vuole che esca?». Parliamo del futuro. Il prossimo appuntamento, il più importante per il commercio cittadino, sarà la Fiera dell’Ascensione. A che punto è la parte organizzativa? «Non lo sappiamo, a dire il vero non ci siamo ancora incontrati per discuterne. Mi chiedo cosa aspettino in Comune a muoversi, visto che si terrà quest’anno dal 31 maggio al 2 di giugno». La situazione del mercato cittadino invece com’è? «è ormai di crisi continua e generalizzata, i banchi alimentari sono ridotti all’osso e
Rocco Del Conte attacca: «Le nostre aziende assenti? Sapevano che sarebbe stato un fiasco» dobbiamo affrontare il dilagare di prodotti di dubbia provenienza e qualità venduti sotto costo. Il problema è che servirebbero regole serie per garantire la qualità delle merci vendute e maggiori controlli, ma in questo il Comune non c’entra, non può fare nulla». C’entrano i supermercati? «No, il problema vero è la disoccupazione, la mancanza di lavoro. La gente non spende più soldi e ha paura del futuro». di Christian Draghi
Polemica sulla kermesse “In Vino Veritas”: «Niente pubblicità e niente sicurezza. Decreto Gabrielli ignorato»
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«Siamo destinati all’estinzione, come i dinosauri» Per generazioni di vogheresi è stato il luogo in cui comprare i giocattoli per i bambini oppure cercare modellini da collezione. Chiunque sia nato e cresciuto a Voghera prima degli anni 90 ha o ha avuto in casa, con ragionevole certezza, almeno un prodotto acquistato al Magazzino Moderno di via Emilia. Il negozio è al civico 15 da quando ha aperto ed è storico al punto che neppure i proprietari sanno dire a quando risalga l’apertura. «Il dato certo è che nel 1910 esisteva già perché è attestato dai documenti, ma quasi sicuramente c’era già da prima» spiega Fabio Baldini, il titolare. Appartiene alla sua famiglia dal 1965, anno in cui i suoi genitori, Armando e Anita, lo comprarono dando inizio a un’avventura che ha segnato la storia del commercio vogherese. Baldini, quando i suoi genitori aprirono lei non era ancora nato, eppure la storia la conoscerà bene. Avete sempre venduto giocattoli? «All’inizio vendevamo giocattoli e casalinghi, ma non durò più di un anno. La passione di mio padre erano il modellismo e i giocattoli “artistici”. Era un assiduo frequentatore della fiera di Norimberga, una delle più importanti del settore, e la maggior parte dei nostri prodotti arrivava da lì». Era facile importarli? Le frontiere non erano ancora aperte… «C’era l’ostacolo della dogana. è per questo che per abbattere i costi di importazione mio padre e altri colleghi si unirono nel gruppo “La Giraffa”, una sorta di cooperativa d’acquisto sorta all’inizio degli anni 70. Il concetto era che l’unione fa la forza: in più si era ad acquistare, minori erano i dazi da pagare. Il gruppo arrivò ad avere oltre 100 iscritti in tutta Italia e noi eravamo gli unici di Voghera». Lei era un bambino all’epoca. Ricorda come andavano le vendite? «Quello che ricordo chiaramente era che, negli anni 70 e anche negli anni 80 sotto Natale c’era la fila fuori.
Il Magazzino Moderno di via Emilia dal 1965 è un riferimento per appassionati di giocattoli e modellismo
Il Magazzino Moderno (sullo sfondo) nella via Emilia degli anni ‘60 Facevamo entrare un certo numero di persone e poi chiudevamo le porte perché non c’era spazio sufficiente per ospitare tutti i clienti. Bisognava aspettare fuori e si entrava a turno. Man mano che qualcuno usciva si faceva entrare la nuova infornata. Era un altro mondo. La via Emilia era ancora aperta al traffico delle auto e i marciapiedi erano affollati di gente. Nei miei ricordi mi sembrava di essere a New York!». Fino a quando è stato così? «Il declino è iniziato intorno alla metà degli anni ‘90». Cosa è cambiato? «Il primo colpo lo hanno dato i centri commerciali. Attirate dal comfort e dai prezzi competitivi le persone hanno iniziato a spostarsi verso l’esterno della città. Poi l’altra mazzata l’ha data l’euro. Da quando è entrato in vigore si è ridotto il potere d’acquisto delle persone. Dal 2010 in avanti poi è addirittura finito l’interesse per i giocattoli. I ragazzi oggi preferiscono i telefonini». Come fate a sopravvivere quindi? «Nel corso degli anni siamo diventati un punto di riferimento per gli appassionati di modellismo, una nicchia che ancora dà soddisfazione, anche perché sono rimasti davvero in pochi negozi ad occuparsene. In Lombardia prima eravamo in 100, oggi non saremo più di 20. A meno che non si voglia andare a Milano, siamo gli unici in zona ad avere certi prodotti e di fatti mi chiamano anche da Alessandria, Bergamo, Genova. Qualcuno perfino da Napoli». Qual è la clientela tipo? «Chi si rivolge a noi sono soprattutto gli over 40. Nel caso del modellismo ferroviario si sale agli over 60 e quasi tutti da fuori città. I giovani che fanno modellismo a Voghera saranno rimasti in due!». I clienti la contattano online? «Principalmente sì, al momento si lavora quasi solo su ordinazione».
quello fisico: il gioco ha sempre aiutato a sviluppare la manualità e senza di esso la crescita ne è influenzata». Giochi in legno e pezzi da collezione. Chi viene al Magazzino Moderno oggi che tipo di prodotti può trovare? «Nessun prodotto da supermercato innanzitutto. Puntiamo sulla qualità e la rarità. Modellini di navi, treni, soldatini, automobili su tutto». Quali sono i pezzi più pregiati? «Abbiamo un raro carillon della ditta tedesca Marklin, un cavallo a dondolo in legno lamellato a mano, una mini caldaia a vapore perfettamente funzionante, locomotive d’epoca anch’esse alimentate a vapore e soldatini da collezione». Costeranno anche parecchio… «Certi pezzi vanno dai 500 ai duemila euro, ma le dirò una cosa: il costo, fatto il rapporto, non è più alto che in passato,
Armando Baldini con un modellino del Titanic Il commercio su internet secondo lei è una risorsa? «Per noi il contrario. I vari amazon e ebay hanno ucciso il piccolo negozio come il nostro. La colpa però è anche delle case di produzione, che applicano tariffe diverse a seconda dei canali di vendita. Chi cerca giochi o modellini prima di tutto ormai lo fa su internet, e nella maggior parte dei casi trova cose a prezzo più basso perché logicamente non c’è più l’intermediario. Chi insiste a venire in negozio è il collezionista o il super appassionato che vuole controllare fisicamente la merce». Qual è il futuro per voi? «Non c’è, personalmente ci sentiamo come i dinosauri, destinati all’estinzione. Il futuro del commercio va sempre più verso il taglio dell’intermediario». I giocattoli non li compra proprio più nessuno? «In realtà qualche genitore c’è ancora che cerca di arrestare la tendenza: vengono da noi e chiedono soprattutto giochi vintage, in legno, perché non accettano che loro figlio a 4 anni magari abbia già in mano un tablet. Una cosa tra l’altro pericolosa perché, oltre al fattore psicologico c’è anche
anzi. Paradossalmente oggi si trova un rapporto qualità-prezzo che sarebbe ancora più vantaggioso per il cliente. Il problema però, come dicevo, è che il potere d’acquisto delle persone si è ridotto all’osso». Lei è da solo in negozio? «Sì, e basto e avanzo. Negli anni 70 i miei genitori avevano anche dei dipendenti. Sotto Natale si lavorava in quattro o cinque». Secondo lei si può fare qualcosa per invertire questa tendenza e salvarvi, in qualche modo dall’estinzione? «Per noi non vedo un futuro, credo che per questo negozio la mia sarà l’ultima generazione. In generale la tendenza si può invertire soltanto se, invece dei centri commerciali, si iniziano a portare qui le aziende. Bisogna dare incentivi, defiscalizzare, prendere misure coraggiose per aiutare chi vuole investire. L’altro problema poi sono gli affitti troppo alti. Non è il nostro caso perché le mura sono nostre, ma troppi negozi sfitti in centro lo sono perché si chiedono somme troppo elevate. Bisogna rendersi conto che la città è cambiata». di Christian Draghi
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Giancarlo “Lallo” Rosa in memoriam “... Giancarlo Rosa, universalmente conosciuto come “Lallo” ed anche “Lallo della Foresta”, classe 1950 come Renato Zero, Loredana Bertè ed Adriano Panatta e, come loro, un fuoriclasse nel proprio settore professionale, che da sempre è il Mondo del Divertimento...”. Così recitava il “cappello” dell’intervista all’amico Lallo comparsa nel numero di Giugno 2016 del nostro giornale. Fu uno splendido viaggio tra decenni di grandi opere, grandi iniziative e grandi realizzazioni che Lallo portò a compimento, offrendo specialmente a tutti i ragazzi degli anni ‘70, ‘80 e ‘90 la possibilità di vivere appieno le interminabili notti della movida oltrepadana, tra feste, comandate e create ad hoc, e serate indimenticabili, in tutti quei suoi spazi magistralmente gestiti, i suoi locali notturni, ove tutti noi, davvero rare le eccezioni, abbiamo ballato, cantato, bevuto e festeggiato, abbiamo incontrato belle compagnie per una o poche più notti, ma... dove molti si sono anche fidanzati, durante quelle stesse notti, ed ancora molti da li son partiti alla strutturazione della loro futura famiglia, divenendo adulti e genitori, ma sempre nel ricordo di quella gioventù strepitosa della quale Lallo Rosa è stato l’indiscusso protagonista. Giancarlo Rosa è stato un uomo che ha conosciuto molta vita, e molto della vita, nel termine più esteso. Nipote e figlio di nonno e papà imprenditori milanesi, nel settore meccanico, e di una dolce mamma vogherese, un giovane Lallo vede la zia, all’anagrafe Maria Luisa ma per tutto il jetset mondiale Ljuba, donna dalla bellezza inarrivabile e dall’infinita classe, vivere lo sfarzo più chic possibile! Negli anni ‘50 zia Ljuba diviene la compagna di Ettore Tagliabue, petroliere e grande appassionato di ippica, famoso nel mondo quale proprietario di Ribot, il cavallo dei record. Ma lui è un bambino, che studia e gioca ancora con gli amici in cortile, e di queste cose non ne sa nulla. Ma è alla metà degli anni ‘60, quando Ljuba sposa il più potente editore europeo, ex Presidente della titolatissima squadra di calcio del Milan, produttore di capolavori cinematografici dei più grandi registi italiani, Andrea Rizzoli, che Lallo “volta pagina”. Per meglio dire, a scanso di equivoci, è allora che inizia a guardare il mondo da un’altra prospettiva; e mi par logico, aggiungerei. In quegli anni adolescenziali e della prima maturità, Lallo e Lella, l’adorata sorella, passano lunghi periodi ospiti di zia Ljuba nella sfarzosa villa La Tour St. Hospice in Saint-Jean-Cap-Ferrat, in Costa Azzurra. Lallo si diverte molto, conoscendo personaggi della politica, dell’industria, della finanza e dello spettacolo a livelli intercontinentali, tanti nomi che rimarranno scritti nei libri storici dell’umanità, ma... il richiamo oltrepadano, il ritorno a casa,
nella sua Voghera, con gli amici di sempre non lo abbandonerà mai. Certo è, come ha sempre ammesso, che quegli anni incredibili acuiranno in lui la curiosità e la ricerca che riverserà nel suo lavoro per antonomasia: creare locali notturni e luoghi di incontro e di divertimento. E così, girando in auto un pomeriggio tra le strade collinari interne di Godiasco, s’imbatterà in questa collinetta, come lui la chiamava, verde ed irregolare, ma con la quale inizierà un vero sentimento d’attrazione fatale: era la metà degli anni ‘70 e, di lì a poco, quella collinetta sarebbe divenuta “La Foresta”, che personalmente ritengo il suo capolavoro. Ovviamente, con già in mente colori ed arredi, sull’ispirazione de “La Siesta” di Nizza, strepitoso club dall’importantissimo parterre clientelare, tanto frequentato nei soggiorni monegaschi, sulla cui pista da ballo spesso si scatenava in compagnia della fantastica Jane Fonda! Ma, a mio parere e senza timore di smentita, non è solo questo che la Costa Azzurra imprime nel suo dna. Lallo affina, nel confronto con persone di grande eleganza, le doti empatiche, la cordialità, la gentilezza, la garbatezza, e quel suo aperto sorriso dolce, sincero coinvolgente che diventerà la sua “arma” principale nel contatto con le migliaia di clienti delle sue Aziende. Sì, credo che Lallo abbia imparato a “fare il gestore” così, confrontandosi quotidianamente con le amicizie di zia Ljuba ai Casinò, al Beach, al Jimmy’z, allo Sporting Club, al Cafè de Paris, a St. Tropez, a Milano, etc., ed in tutte quelle brillanti feste su barche di lusso ed in residenze di altrettanto sfarzo. Glielo leggevi addosso, in quella sua eterna disponibilità e generosità, in quel modo
“raccolto” di muoversi, in quel tono della voce sempre misurato, leggero, conviviale. Ed un’altra dote, speculare, certamente arrivava da quel mondo: l’ironia e l’autoironia. Finissime, talmente sottili, moderate e pungenti, a volte, da “doverci pensare” per alcuni secondi prima di comprenderle appieno. Era un uomo divertente, Lallo, istrionico, specialmente nei racconti della “Vita a Corte”, come noi ragazzi, amici, definivamo il mondo monegasco, le sue avventure, le sue conoscenze. Ma riservato e modesto: non era mai lui ad iniziare quei racconti. Anzi, talvolta si avvertiva nell’aria che li portava sulle spalle quasi come un peso, una cosa capitata ma fuori dal suo controllo e dal suo volere intimo; perché il suo vero desiderio era sempre creare i presupposti, tra amici e conoscenti, per creare divertimento, spensieratezza. Non voleva
essere guardato come il “Nipote di”. Voleva essere Il Lallo della Foresta, dello Sporting, prima ancora del Tannhauser, ed ancora del Jessica, del Rick’s, e delle tante altre avventure professionali nelle quali ha coinvolto e resi partecipi una moltitudine di amici, conoscenti e sconosciuti. Creando, ancora una volta devo usare questo termine, anche parecchi futuri professionisti del settore semplicemente dalle sue intuizioni. Al termine della cerimonia funebre, svoltasi presso il Duomo di Voghera in un soleggiato pomeriggio, Davide e Claudio, due storici amici comuni, hanno coralmente espresso un pensiero che racchiude molto dell’ultimo concetto: “ci ha cresciuti tutti”. Grande verità. Ci ha davvero cresciuti tutti, sotto molti aspetti. Unitamente all’amico Aldo che, indicando il feretro, istintivamente mi ha detto “anche un po’ della tua vita è lì”... non esattamente, caro Aldo: non “un po’”. Moltissimo, della mia vita. Lallo mi ha insegnato tanto, ed ancor più, talvolta senza accorgersene, ha messo in condizione la mia esistenza di essere diversa, un’altra cosa rispetto al triste, provinciale progetto di partenza. è stato per me una persona importantissima. Di ciò, non potrò mai smettere di ringraziarlo, tra i miei pensieri. Porgo le condoglianze più sentite, personali e della nostra testata, alla moglie Simona, ai figli Valeria e Riccardo, alla sorella Lella ed ai perenti tutti. Ed anche al nostro territorio tutto, che ha perso un grande nome, un Protagonista. Ora, asciugandomi le lacrime, manderò in stampa questo semplice ricordo e, come avremmo fatto tanti anni fa, uscirò di casa nella speranza di incontrare un amico per bere una cosa, e probabilmente parlare di te. E così come tanti faranno, porterò per sempre il tuo ricordo scolpito nel cuore. Ciao, Lallino... di Lele Baiardi
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«Di nuovo al Parisi solo per una squadra di Voghera con società seria» Orfani di una squadra da tifare, gli Ultras vogheresi si interrogano sul futuro del calcio cittadino. Di tifare l’ ”ibrido” OltreVoghe non ne hanno mai voluto sapere e dopo il ritiro dell’Asd Voghera dal campionato di promozione dovuto all’inadeguatezza di una squadra che incassava una batosta dopo l’altra, le domeniche della tifoseria sono rimaste vuote. I ragazzi della curva poco tempo fa hanno addirittura lanciato una proposta di “azionariato popolare” per aiutare la formazione di una realtà calcistica cittadina sana e oggi, di fronte alle voci sempre più insistenti circa la nascita di una nuova società unificata, esprimono dubbi, perplessità e auspici. A parlare sono dei volti storici della tifoseria rossonera come Luca Achille, Matteo Sgarella, Maurizio Macaluso e Tiziano Beccari. Gente che di chilometri al seguito della “Voghe” ne ha macinati migliaia. OltreVoghe in zona retrocessione nella serie D, Asd Voghera ritirata dal campionato di Promozione. Parlare di crisi del calcio cittadino sembra oggi un eufemismo. Qual è la vostra posizione di tifosi di fronte a questa debacle? «Abbiamo tre squadre che portano il nome della nostra città (Oltrepo, ASD e Viqueria) e nessuna per motivi diversi è riuscita ad incarnare a pieno un progetto che potesse coinvolgere sportivamente Voghera. L’Oltrepo è una società estranea alla nostra città e perciò mai sentita nostra. L’ASD non è riuscita a mantenere i buoni propositi che aveva portato avanti inizialmente e il Viqueria è l’oggetto misterioso di cui non riusciamo a capire il senso. La cosa che li accomuna è la non passione per la Voghe».
Ultras uniti: «In città ci sono tre squadre accomunate dalla non passione per la “Voghe”»
Oggi si fanno chiamare “Gradinata Nord”, ma la storia del movimento Ultras Voghera affonda le radici nel lontano 1974 con la formazione del primo gruppo organizzato, la “Vecchia Guardia”, attivo fino al 2013, anno del fallimento della storica società A.C.Voghera. Un evento che ha segnato una tappa fondamentale nella vita della tifoseria, rimasta per la prima volta dalla sua nascita senza una squadra da seguire. Dopo due anni di inattività, senza aver mai digerito la nascita del “corpo estraneo” OltreVoghe (la squadra creata dalla fusione tra la realtà stradellina dell’Oltrepò in cui i tifosi storici mai si sono riconosciuti) nel 2015 con la fondazione dell’ASD Voghera e l’iscrizione al campionato di Prima Categoria, il gruppo Ultras si era ricompattato e cambiato il nome in Gradinata Nord Voghera. Ad oggi la Gradinata Nord comprende i gruppi Vecchia Guardia 1974 (composto dagli elementi più “vecchi” e storici del tifo vogherese) e le Teste Matte 1988 (le “nuove leve”). La tifoseria rossonera in occasione di Voghera - Bressana, spareggio promozione
L’anno scorso l’Asd Voghera vinse il campionato. Sembrava che la realtà in cui eravate tornati ad identificarvi fosse destinata a ben altre glorie, invece... cosa è successo? «Quello che è successo è il frutto di malagestione e decisioni scellerate della società. All’inizio il progetto era interessante: una squadra nuova che portava i nostri colori e che incarnava lo spirito di vogheresità che andavamo cercando. Nonostante la categoria e le difficoltà delle prime due stagioni che rallentavano il salto di qualità, eravamo certi del fatto che a piccoli passi saremmo riusciti a riprenderci i palcoscenici che ci spettano e a cui eravamo abituati. Invece alla fine il progetto anzichè decollare si è rivelato essere una meteora. La rivoluzione completa della rosa nonostante la vittoria del campionato e l’avvicinamento alla società di personaggi di dubbia reputazione hanno suscitato cattivi presagi. Che poi sono diventati realtà». Condividete il ritiro della squadra dalla Promozione? «Purtroppo a causa della situazione che si era venuta a creare era la decisione più sensata che si potesse prendere. Non avrebbe avuto senso continuare un campionato sottoponendo a delle vere e proprie umiliazioni la nostra dignità di tifosi». Di chi è secondo voi la responsabilità
«Il disastro ASD Voghera? Colpa del presidente Perinetti. Non capiamo con che faccia si potrà ripresentare» principale per quanto accaduto? «La causa di questa situazione è senza dubbio da imputarsi al presidente Perinetti in primis. Girano voci che abbia mantenuto attiva la squadra juniores nel proprio campionato per avere la possibilità di potersi iscrivere l’anno prossimo ad un ipotetico campionato di Prima categoria. Noi ci chiediamo con che coraggio possa avere intenzione di ripresentarsi pur non avendo più credibilità agli occhi di nessuno». Cosa fate adesso la domenica? Seguire l’OltreVoghe non è tra le opzioni, o sbaglio? «Assolutamente no. Non l’abbiamo seguito fin dall’inizio per motivi imprescindibili e rimaniamo coerenti con le decisioni prese in passato. Le nostre domeniche ora sono un po’ più vuote, ma questa inat-
tività verrà sfruttata per onorare i legami di amicizia che intercorrono da ormai 30 anni con il Savona, e con Motta Visconti. Lontano dai gradoni non sappiamo stare». Poco tempo fa avete lanciato la proposta per la creazione di un nuovo club ad azionariato popolare. Potete spiegarci cosa avete in mente? «Lo scopo del progetto è ridare vita alla nostra piazza creando una sinergia tra società e tifosi tramite un appoggio sia sul piano economico sia sul piano sportivo. Ovviamente la condizione di base è avere finalmente una società seria con valori etici e morali adeguati. Chiunque potenzialmente può partecipare al progetto eccezion fatta per chi ha procurato la suddetta inaccettabile situazione». Il 2019 è un anno particolare per la storia calcistica di Voghera, ricorre-
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rà il centenario della fondazione della “Voghe”. Sarà forse una coincidenza, ma proprio per la stagione prossima si parla con insistenza del ritorno ad una società unica che rappresenti la città. Voi che cosa auspicate? «Noi ci auguriamo che finalmente l’odissea delle disavventure calcistiche cittadine giunga al termine. La nostra speranza è quella di un ritorno di una società unica, sana e trasparente, che possa reincarnare nuovamente lo spirito sportivo della città e che riesca a riunire tutti i tifosi rossoneri sotto i propri colori e sotto un unico nome». Credete ci sia qualcuno sul territorio con abbastanza soldi e competenze per poter tirare le fila di un progetto serio? «La situazione economica locale non è delle più floride, in un tessuto sociale che sta via via degradandosi sempre più. Ovviamente il nostro auspicio è che realtà imprenditoriali, si spera finalmente serie, unite alla passione mai mancata dei vogheresi e al nostro supporto, si possano fondere per creare una realtà consona alla piazza».
Vi aspettate un intervento concreto da parte del Comune? Se sì di che tipo? «Ci aspettiamo che anche la politica faccia la sua parte promuovendo un progetto serio in cui il recupero dell’identità calcistica cittadina sia il cardine di riferimento. La Voghe è stata e deve tornare ad essere un patrimonio sportivo rappresentativo della cultura popolare della nostra città che contribuisce a mantenere e a trasmettere quel senso e quel legame di appartenenza di generazione in generazione. È in questo senso che la politica può intervenire. Abbiamo una struttura che potrebbe comodamente ospitare competizioni di Lega Pro e ci sono tutti i presupposti per far tornare grande la Voghe, abbandonando definitivamente progetti come quelli dell’OltreVoghe». Quando la Voghe fallì pochi anni fa diceste chiaramente che non avreste supportato il progetto “OltrepoVoghera”. Quali sono le vostre condizioni per tornare a tifare al Parisi? «Noi non abbiamo sposato il progetto OltrepoVoghera e mai lo faremo per il semplice fatto che Voghera ha sempre avuto
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Matteo Sgarella
«La politica faccia la sua parte: garantisca per la serietà di chi investe e per il recupero dell’identità cittadina» nella propria storia, anche con fallimenti, una propria identità calcistica. L’idea di cambiare nome, stemma e colori ha voluto dire cambiare sin da subito il senso di appartenenza che nel nostro piccolo ci ha sempre contraddistinto. Se alla fine di questo campionato da quello che ci giunge all’orecchio dovesse tornare il progetto di una nuova Vogherese, con intenzioni serie e soprattutto persone serie, valuteremo il tutto e vedremo il da farsi. Da troppi anni orbitano nel calcio vogherese personaggi poco puliti che hanno infangato Voghera».
Molto spesso la gente associa la parola “Ultras” a tifo esagitato o violento. Potete spiegare cosa significa per voi essere Ultras del Voghera? «Per noi essere ultras può sintetizzarsi fondamentalmente in 3 concetti base: amicizia, territorio, colori. Essere ultras vuol dire gruppo, vuol dire amore incondizionato per i propri colori, per la propria gente e senso di appartenenza ad una piazza che se pur piccola ha una sua storia ben delineata». di Christian Draghi
VOGHERA
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Clown di corsia, «Il nostro sorriso per chi soffre»
Clown di Corsia Voghera Onlus, ad oggi sono 54 i membri dell’Associazione di volontariato nata nel 2014
Clown di Corsia Voghera Onlus è un’associazione di volontariato che opera dal 2014. Nata da un’idea del Presidente Alberto Amodeo e della moglie, attualmente conta 54 membri, la maggioranza residenti a Voghera e dintorni, con una piccola percentuale proveniente dalla Valle Staffora e dall’Alessandrino. Ogni anno Clown di Corsia Voghera accoglie nuovi volontari, dai 18 anni in su: studenti della scuola superiore, giovani universitari, pensionati, figure di settore. All’inizio facente parte dell’Auser, l’associazione si è successivamente distaccata, diventando una Onlus. Il Direttivo è composto da 5 membri: il Presidente Alberto Amodeo, i collaboratori Chiara Calzolai, Cristina Benzi, Elena Pestoni, Elisabetta Moroni. Calzolai, Clown di corsia Voghera Onlus è un’associazione ben consolidata sul territorio, tante le iniziative ed i progetti di cui si fa capofila. Da quanti anni operate sul territorio e quanto tempo è stato necessario per diventare un’associazione ben strutturata quale siete oggi? «Operiamo a Voghera dal 2014. All’inizio eravamo parte di Auser, successivamente ci siamo staccati e siamo diventati una Onlus. è stato un cammino un po’ lungo per via delle questioni burocratiche, ma ora siamo più indipendenti a livello organizzativo e economico». Lo scopo delle vostre attività è “portare umanità a chi soffre, aggiungendo un po’ di sano umorismo”. Dove e in base
a quali criteri “scegliete” di operare? «In realtà siamo scelti. Sono le strutture stesse che ci chiamano, sia reparti ospedalieri che strutture extraospedaliere. Alcune le abbiamo trovate noi per contatti interni di amici e collaboratori. Sono tantissime e spesso ci ritroviamo a dover negare una collaborazione, perché le richieste sono troppe». Clown in corsia rimanda nell’immediato alle corsie degli ospedali ed ai “piccoli” pazienti. Avete però esteso le vostre attività ad altri luoghi e a pazienti diciamo “più maturi”. Ce ne parla? «In realtà quasi tutta la nostra attività è rivolta ai grandi, perché per i bambini lavoriamo soltanto in Pediatria e Oncoematologia Pediatrica al San Matteo di Pavia. Abbiamo molte case di riposo alle quali ci rivolgiamo, sia a Voghera che nei Comuni contigui. Effettuiamo 15-18 servizi mensili. Oltre ai pazienti affetti da Alzheimer, lavoriamo il martedì mattina alla Casa di Riposo Carlo Pezzani, utilizzando la musicoterapia. Questa è finalizzata al recupero delle funzionalità motorie e cognitive, aiuta i pazienti a recuperare la memoria, e devo dire che i risultati si sono visti…». Ci si può improvvisare “Clown di corsia” o lo si diventa seguendo un determinato percorso? «Assolutamente no. Non ci si può improvvisare perché si rischia di fare dei danni. Ci sono degli accorgimenti che vengono spiegati da attuare con i piccoli pazienti o gli anziani affetti da Alzheimer, e le misu-
re medico sanitarie da seguire. A livello operativo, richiediamo un servizio al mese, su turni. Solo a Pavia, in Oncoematologia Pediatrica, ci alterniamo con altre associazioni, lavorando due Domeniche al mese». Come si fa a diventare “Clown”... di corsia? «Ogni anno organizziamo il corso all’Auditorium della Piscina Comunale, tenuto da un formatore, al costo di 100 euro. Prima del corso vi è l’incontro con una psicologa esterna, volto a chiarire eventuali problematiche facenti parti dell’individuo in relazione al lavoro che andrà a svolgere e le dinamiche che questo si troverà ad affrontare, più due incontri con i membri “anziani” e uno con il Direttivo. A livello burocratico l’associato è tenuto al pagamento di un’assicurazione che copre l’attività a livello sanitario e al pagamento della tessera di affiliazione, pari a 15 Euro l’anno». Per chi volesse diventare un membro della vostra associazione: requisiti richiesti e cosa si deve fare? «è necessario avere 18 anni compiuti e prendere contatto con me o il Presidente tramite la pagina Facebook, dove vengono pubblicate tutte le informazioni in relazioni agli eventi a cui partecipiamo e al corso che organizziamo annualmente». Qual è il progetto o l’iniziativa che più vi rende orgogliosi? «Sicuramente il parco magico inclusivo in Via Moschini. Per noi è stata una grande soddisfazione per l’impegno profuso.
Si tratta del primo parco a Voghera in cui è possibile per i bambini disabili giocare alla pari con tutti gli altri normodotati. Una realtà sorta dal recupero del vecchio parco in disuso in Viale Marx. Siamo riusciti ad acquistare le giostre grazie a diversi sponsor esterni e l’amministrazione ci ha aiutato facendo il resto. Non ultimo il grande lavoro di squadra fatto con altre due associazioni presenti sul territorio, Una Mano Per... associazione costituita da famiglie con bambini disabili ed Acod associazione per i disabili, un progetto fatto a tre mani che per la nostra associazione è un gran motivo di orgoglio». Quanto è importante la collaborazione con le altre associazioni presenti sul territorio? Con quale associazione collaborate principalmente? «Non ne abbiamo una in particolare. In passato abbiamo collaborato con gli Amici di Chiara, l’Admo, l’Avis. Partecipiamo alla Run For Parkinson, alla Marcia in Rosa in occasione della Festa della Donna, collaboriamo al Festivol. L’associazione dei Carabinieri e degli Alpini ci hanno dato una grande mano nel progetto del Parco Inclusivo, tenendo sotto controllo l’area». Quali sono le iniziative che avete organizzato recentemente e quali in programma? «Al momento non ne abbiamo fatte molte perché ci siamo concentrati sul progetto del Parco Inclusivo. In programma avremo l’inaugurazione della nuova stagione del Parco, con il successivo ampliamento destinato ai non vedenti. In passato abbiamo collaborato per due anni con la Crocerossa, in occasione delle festività natalizie». di Federica Croce
La Onlus ha contribuito a realizzare a Voghera il “parco magico inclusivo” per disabili in viale Marx
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LETTERE AL DIRETTORE
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Minorenni preda dell’alcol, servono misure drastiche Signor Direttore, è allarme abuso di alcol tra i giovanissimi. Oltre alla triste situazione termale turistica, la bella Salice Terme, sembra stia chiudendo gli occhi difronte a una grave situazione. Si possono incontrare, soprattutto al venerdì sera ed al sabato sera ragazzi e ragazzine semi-svenute riverse su panchine, bottiglie in mano a poco più che bambini, e imbattersi in qualche coltre tossica. Se Dante Alighieri passasse di lì, ripercorrerebbe uno dei suoi gironi. Sono interi gruppi di ragazzini, (non la minoranza) che danno mostra di sé. Alla luce di tutto ciò, alcune domande sorgono spontanee: «Dove sono le famiglie?», ed anche «perché non si vedono figure adulte che sorveglino?». Una riflessione attenta
meriterebbero le ragioni di questo disagio. Spero davvero che il problema non faccia solamente parte di uno dei tanti temi sociali discussi, basti pensare ad esempio alla violenza sulle donne, ovvero al problema della disoccupazione giovanile. È giusto e doveroso che si sensibilizzino le persone alle tematiche sociali, attraverso la comunicazione, ovvero mediante giornate dedicate. L’importante è che non si scada nella strumentalizzazione, ma soprattutto che finalmente si trovino soluzioni concrete. Ciò che rileva è intervenire in maniera efficace. Non c’è tempo per rimandare. Si rendono necessarie, se non si riescono a prevenire a monte, misure urgenti per arginare questi problemi sociali per il bene di tutti. Luisa Percivalle - Pavia
Ludopatia, il coraggio di chiedere aiuto
Gentile Direttore, sono un ex giocatore d’azzardo di mezza età che ha perso tutto: famiglia, casa, lavoro e dignità. La mia famiglia mi ha abbandonato perché non mi perdona di aver buttato tutto nel gioco per il sogno di fare una vincita che avrebbe risolto tutti i problemi economici ma che invece mi ha portato a peggiorare la situazione allontanandomi sempre più dalla realtà e portandomi a silenzi e bugie. Ho perso la casa che devo vendere per pianificare una parte dei debiti fatti per giocare. Ho perso la dignità perché senza un lavoro non riesco nemmeno a contribuire a risolvere i problemi che ho
creato. Attualmente sono in cura presso strutture dove fortunatamente ho trovato persone che mi stanno aiutando. So che la strada sarà lunghissima e faticosa ma con l’aiuto di tanti riuscirò a riavere la voglia di ricominciare a vivere. Ora sono concentrato sulle mie cure, sulla ricerca di un lavoro e sulla mia serenità. Serenità anche per le persone che mi stanno vicino. Leggendo queste parole sarei contento se anche uno solo dei tanti giocatori d’azzardo abbia il coraggio di chiedere aiuto prima di finire nel baratro come ci sono finito io quasi senza accorgermi. Lettera firmata - Casteggio
Una ciclabile in regalo a chi ama la due ruote
Gentile Direttore, 40 anni di lavoro utilizzando la mia bici come mezzo di trasporto. Poche piste ciclabili, tanta attenzione al traffico intorno. Ma il tempo non passa sempre inutilmente. Ogni tanto arriva un piccolo dono, un pezzo di ciclabile in più ed il mio luogo di lavoro appare sempre più vicino. Arrivo puntuale in ufficio, con il sorriso tra le labbra e con il vento tra le ciglia (così di-
cono scherzando i miei colleghi, visto che porto il caschetto!). Finisce la giornata lavorativa. Fuori piove. Io e la mia bici ce la prendiamo tutta, mentre imbocco la pista ciclabile, dove mi sento più sicura ed intanto canto: I’m singing in the rain. Leggo sul giornale che un altro pezzo ciclabile o greenway, come si dice adesso, sta per essere costruito ed io sono contenta. Lettera Firmata - Codevilla
Esternazioni sui social vogheresi, un evidente limite al ragionamento Alla c.a del Direttore, qualcuno affermava che, mai si era pentito per le parole non dette, quanto invece, si amareggiava per quelle pronunciate con superficialità, supponenza e presunzione. Parole a vanvera. Appunto. Tempo di modernità, tempo che scorre veloce ed al quale bisogna rimanere aggrappati. Le nuove forme di comunicazione diventano insostituibili: chi non si aggiorna rimane distanziato. Tutti i giorni riceviamo, attraverso alcuni social vogheresi, idee, parole, commenti e giudizi, firmati da persone conoscenti: fino a poco tempo prima, qualcuna di queste ci apparivano serie e morigerate, ora, con queste loro frivole esternazioni, molto spesso pseudo politiche, evidenziano il loro limite di ragionamento. Senza nostra richiesta, subiamo immagini che magari avrebbero la pretesa di essere politicamente satiriche, e filmati di persone che, magari con pretesa, si aspettano anche un «like», un consenso, un applauso. Si scopre la pochezza dei mittenti che, con insistenza, concentrano l’attenzione sul proprio io. La perseveranza degli invii, diventa una mania, quasi una droga: sono contenti e soddisfatti nel sentirsi omaggiati e ricordati... Quando censurati da un gruppo, ne creano altri per dar sfogo alle
loro patetiche aspirazioni, spesso pseudo politiche. Il guaio è che, a poco a poco, si autoconvincono di essere indispensabili ed importanti verso i destinatari delle loro vanità. Non mancano all’appello gli antichi e nuovi personaggi pubblici vogheresi, coinvolti nella spirale dell’indispensabile loro comunicazione. Esternano il loro pensiero, spacciandolo per verità assoluta, senza diritto di replica o critica. Spesso sono inconsapevoli del danno che le loro blaterazioni provocano a livello sociale. Le tante parole ed immagini che esprimono banalità, ambiguità, falsità e confusione generano una cultura che cammina su strade opposte al bene comune. Necessitiamo, in questi tempi, di parole ed esempi di verità, di moderazione, di controllo. Saper osservare le tante persone che, grazie al cielo, ci affiancano nel nostro impegno giornaliero: persone che ci invitano al silenzio, alla riflessione, all’essenzialità, che ragionano con la propria testa, senza affidarsi a slogan, a idee preconfezionate e scopiazzate, ammantate di buonismo e di facili soluzioni, valide solo per gli altri. E allora?... Proviamo a comunicare solo con semplici e ponderati pensieri: però nostri... risulteremo più credibili. Carlo Girani - Voghera
Che vergogna quei soprusi nel ricovero/lager di Montebello Egregio Direttore, ho letto sui giornali come venivano trattati gli ospiti anziani nel ricovero per anziani con gravissime disabilità fisiche e mentali di Montebello della Battaglia. Mi sono vergognata di essere italiana in mezzo ad italiani che permettono ancora ad oggi soprusi vergognosi verso chi ci ha messo al mondo, istruito, insegnato a vivere, amandoci con tutto il cuore. Direttore, non c’è delitto più obbrobrioso di quello perpetrato ai danni di vecchi indifesi... Cosa aspettiamo a fare cortei e a chiedere giustizia? Si danno 9 anni di carcere a Fabrizio Corona, che ha fatto molti sbagli, ma non ha maltrattato e ucciso nessuno e si mandano ai domiciliari comuni delinquenti che meriterebbero la «fucilazione». Almeno quella
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
morale, per certi reati, palesi, risparmiare almeno sui processi. Scusi lo sfogo, ma mi sembra che alla gente non gliene freghi niente, hanno pensato che potrebbero essere i nostri genitori? Oppure dei nostri cari, siamo solo stati capaci di prendere tutto e quando diventano anziani e bisognosi d’amore, ci sta bene che qualcuno li porti alla morte liberandoci di quello che ormai è diventato un fardello inutile? Vergogniamoci, ricordiamo che diventeremo vecchi anche noi e faremo la stessa fine. Anna Scabini - Stradella
DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 27052 Godiasco Salice Terme (PV) - Tel. 0383/944916 www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. Via Brescia 22 - 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto
CYRANO DE BERGERAC
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Che nell’Oltrepò del vino fosse Carnevale si era già capito
Che nell’Oltrepò del vino fosse Carnevale si era già capito. Elio di Elio e Le Storie Tese ha ambientato il suo ultimo libro in Oltrepò, spiegando che in questa terra vivono alieni. Ma è una notizia? Dai… Il ministro Gian Marco Centinaio dal canto suo è stato alla Primavera dei Vini di Rovescala e ha scoperto, con ammirazione, l’Amaro di Pavia. L’amaro dell’Oltrepò
lo conosceva già: una terra in cui comandano sempre i soliti e in cui si sta assistendo a una vera restaurazione spacciata per “ritrovata unità”. Consorzio, Distretto, Regione, Ersaf, l’Armando e la Pimpa (semi smacchiata). Molti lo ignorano ma il Consorzio è sempre stato, nella storia, “una grande famigghia”. In passato c’erano dentro praticamente tutti, con la logica
che ha portato l’Oltrepò degli anni d’oro ai minimi termini attuali ovvero quella del “stiamo lì dentro a sorvegliare, salvaguardando i c… nostri”. Pensiero aziendalista/ egoista all’interno di un organismo che avrebbe sempre dovuto avere a cuore il bene territoriale. Il condizionale è d’obbligo, però, perché è sempre stato la grande ammucchiata. Secondo i rumors tra gli
addetti ai lavori, ora, Fabiano Giorgi, già vice presidente del Consorzio per anni, che nel 2010 disse sì al pari di molti altri notabili all’IGT con maxi resa, ambirebbe alla presidenza del Consorzio, a una nuova camera con vista e poltrona in pelle umana. Proprio lui che a cavallo del 2014 e poi senza soluzione di continuità fece di un manipolo un’invincibile armata, chiamata Distretto, lanciata a bomba contro l’ingiustizia e lo strapotere di cantine sociali e grandi imbottigliatori, nel suo caso passati da amici a nemici nello spazio di un secondo. Lui che dai vigneti di proprietà imbottiglia in una “impresa familiare di filiera” oltre 1 milione e 300 mila bottiglie, contro un dimensionamento aziendale medio in Oltrepò da 50.000 a 150.000 bottiglie. è quasi magia, Johnny. D’altra parte il Distretto dei vini che nascono dalla botte piccola ha poco a che vedere con un presidente che è anche nella giunta di Confindustria. Sa essere piccolo (Slow) oppure grande (GDO), di sinistra (con Bosone) o di centrodestra (con Rolfi). Mentre accade tutto questo gli altri vanno avanti da soli e rifiutano l’ennesimo invito ai tavoli con le carte truccate. Torrevilla, lasciando altrove leccaculo e prese in giro, si mantiene il leader positivo che nonostante le pressioni politiche continua a marciare per la propria strada, perseguendo qualità e linee di produzione alte. Non hanno acquisito La Versa e sono una piccola cantina cooperativa, eppure stanno dando una lezione ai molti filosofi con il “lato a” uguale al “lato b”. In questo mese di giochi d’illusionismo per interessi di vario genere, la notizia vera è arrivata proprio da Torrevilla: via al progetto per una nuova cantina per il Metodo Classico. Il Cda del presidente Massimo Barbieri e il direttore Gabriele Picchi non giocano all’albero della cuccagna. Il progetto da oltre 1 milione di euro riguarderà la sede di Codevilla, dove si ricaverà uno spazio di oltre 500 metri quadrati unicamente per il Pinot nero Metodo Classico e la linea top di Torrevilla “La Genisia”. Non finisce qui. Barbieri ha anche spiegato che la fase due sarà la trasformazione dell’antica torre vinaria di Codevilla in una struttura di ricevimento, con sala di degustazione, sfruttando la vista panoramica mozzafiato. Dall’alto della torre si potranno presto osservare i fuochi fatui del Centro Riccagioia, i segnali di fumo dalle colline di Canneto verso Milano e il falò delle vanità dei vecchi oltrepadani che si fingono i nuovi oltrepadani. Bisognava che tutto cambiasse perché tutto rimanesse come prima. di Cyrano de Bergerac
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POLITICA
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«L’Oltrepò è un territorio bellissimo, terra di eccellenze riconosciute in tutto il mondo» Dal 1996 iscritto alla Lega, Eurodeputato dal 7 Luglio 2016, ha percorso tutti gli scalini dell’ascesa politica: assessore comunale, provinciale, consigliere regionale e Presidente di Commissione, ed infine, appunto, deputato a Strasburgo. Molto attivo e presente sul suo territorio d’origine, viene definito il “Bulldog” della Lega ed il “Brad Pitt” della politica. Abbiamo incontrato l’On. Angelo Ciocca. On. Ciocca, il 26 maggio prossimo sarà occasione di riconferma elettorale per lei al Parlamento Europeo: in questo primo mandato, quali incarichi ha ricoperto e quali principali problematiche italiane ed europee ha personalmente seguito? «Sì, il 26 maggio sarà una data importante, in primis, per i cittadini italiani che avranno l’occasione per licenziare l’attuale classe dirigente di Bruxelles, che da troppo tempo antepone gli interessi commerciali alle esigenze dei cittadini. Durante gli ultimi anni al Parlamento europeo, come componente della commissione Industria, Energia e Ricerca e della commissione Agricoltura, ho affrontato differenti tematiche. Una battaglia che ho affrontato personalmente e sulla quale abbiamo ottenuto una prima vittoria è quella sull’applicazione dei dazi al riso proveniente da Cambogia e Myanmar. Dopo anni di battaglie al Parlamento europeo per difendere il nostro prodotto e il lavoro dei nostri risicoltori, la Commissione Europea, sollecitata più volte, ha ripristinato i dazi sull’importazione di riso dal Sud-est asiatico mettendo fine a una pratica altamente lesiva per la nostra economia, e per il nostro comparto agricolo. Mi sono recato personalmente nelle risaie cambogiane per documentare l’utilizzo di prodotti per la coltivazione vietati in Italia e l’assenza delle misure minime di sicurezza. Un riso contaminato da pericolose sostanze, che dopo aver percorso oltre 12.000 km arriva sulle nostre tavole con un prezzo ancora inferiore rispetto a quello prodotto dai nostri risicoltori, dando un colpo mortale a tutta la filiera e all’economia in generale. Finalmente questa catena si è spezzata! I nostri produttori potranno così programmare le semine senza temere quella distorsione dei mercati causata dall’invasione di prodotto di scarsissima qualità e a basso prezzo e portare nelle nostre case un prodotto buono, sicuro e di altissima qualità. Ma le battaglie non finiscono qui, il prossimo obiettivo è quello di estendere la durata dei dazi e non limitarli al solo riso lavorato. Un primo passo nella giusta direzione, ma non possiamo di certo fermarci adesso».
L’Eurodeputato Angelo Ciocca
Lei ha già una storia politica ultraventennale all’interno del suo Partito, la Lega, e dal 2001 ha ricoperto incarichi amministrativi a tutti i livelli, comunali, provinciali e regionali, prima di approdare a Strasburgo. Agli inizi, il Suo Partito non godeva certo di un così ampio consenso elettorale: riguardando tutti questi anni ed incarichi, come e quanto è cambiata la politica e quanto peso ha avuto l’Unione Europea in questo percorso, a Suo parere? «L’Unione europea ha sempre avuto un peso determinante nella vita di tutti i cittadini. Ricordiamo infatti che l’80% delle normative nazionali dei differenti Stati membri derivano da recepimenti di regolamenti ed atti comunitari. I passati governi italiani hanno dato poca importanza ad una presenza italiana forte in Europa ed il risultato è davanti agli occhi di tutti. Tede-
schi e francesi, da sempre attenti alle dinamiche di Bruxelles, hanno creato negli anni una posizione dominante, inserendo loro rappresentanti in posizioni strategiche. Oggi è il momento per l’Italia, che non è seconda a nessuno a livello europeo, di diventare protagonista anche in Europa. Anche per questo ritengo che la mia presenza a Bruxelles possa essere un valore aggiunto per il nostro territorio, per le nostre aziende, per il nostro comparto agricolo e per i nostri cittadini. Il mio approccio come amministratore pubblico si è sempre basato su due azioni fondamentali: ascoltare ed agire. Approccio che ha sempre caratterizzato il mio percorso e quello della Lega e che ritengo essere l’unico approccio per dare realmente centralità alle esigenze degli italiani. Il mio percorso politico è iniziato a livello
comunale, passando poi per quello provinciale e regionale fino all’attuale incarico a livello europeo. Un percorso che ritengo necessario per conoscere fino in fondo i procedimenti amministrativi ed avere la consapevolezza necessaria per incidere in modo positivo nelle scelte politiche. L’attuale consenso della Lega deriva dalla prossimità dell’azione politica che caratterizza un percorso capace di dare risposte concrete ai bisogni del territorio». Dalla visione popolare, unitamente all’informazione rilasciata dai Media in generale, si ha spesso, soprattutto in questi ultimi anni, la percezione che molte delle scelte operate politicamente siano in realtà programmi di lavoro dettati dall’Alta Finanza mondiale: quanto ciò corrisponde a verità? Ed in caso affermativo, come potrà la Politica dell’Unione riappropriarsi di un ruolo
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POLITICA decisionale? «Un fatto è una circostanza difficilmente opinabile. Ed è un fatto davanti agli occhi di tutti che molte delle scelte effettuate in questi anni dalla politica comunitaria vadano a braccetto con le esigenze dell’Alta Finanza e delle multinazionali. Un esempio su tutti è rappresentato dal comportamento dei professoroni di Bruxelles circa la manovra italiana. In questo contesto l’esecutivo europeo ha dato il meglio di sé, orientando lo spread tramite le varie dichiarazioni del commissario alle finanze Pierre Moscovici e del Presidente Juncker. Dichiarazioni effettuate ancora prima di visionare i documenti ufficiali della manovra che hanno determinato, a nostro sfavore, gli orientamenti del mercato finanziario. Un fatto appunto, è che i mercati rispondano ad affermazioni negative di un commissario europeo alle finanze… Un fatto, altro, è che il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker arrivi da un Paese, il Lussemburgo, che ha una superficie equivalente a quella della provincia di Pavia. Un Paese divenuto uno dei maggiori paradisi fiscali quando l’attuale Presidente della Commissione svolgeva nel Granducato il ruolo di Primo Ministro; uno Stato con più banche che tombini! Basti leggere i numerosi provvedimenti approvati da questa Europa ad esclusivo vantaggio delle grandi Lobby. Un esempio? L’Ue con la scusa di migliorare le condizioni economiche dei Paesi in via di sviluppo concede loro esenzioni fiscali sulle esportazioni. Questi prodotti invadono il territorio europeo con prezzi non concorrenziali per i nostri operatori creando gravi crisi occupazionali; l’assurdità è che i Paesi poveri, che dovrebbero trarre vantaggio da tali esenzioni, nella realtà, restano poveri. Solo un soggetto trae vantaggio da tutto ciò, “la grande multinazionale” che acquista il prodotto sottocosto, per trattarlo e rivenderlo ad un prezzo maggiorato. Questa è una prassi che dobbiamo assolutamente interrompere!». Molti tra i detrattori dell’attuale gestione Europea indicano le Commissioni come il male assoluto del Continente
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unito: è d’accordo? Sono entità da annullare? A Suo parere, l’unico Organo operativo dev’essere solo ed esclusivamente il Parlamento Europeo? «Attualmente la Commissione europea è l’unico vero organo con iniziativa legislativa in Europa. Il Parlamento europeo così come il Consiglio possono emendare o modificare gli atti ma non dare il via all’iter normativo. Ritengo che il Parlamento, organo eletto direttamente dai cittadini, debba avere un potere differente rispetto all’attuale, così come occorre rivedere i poteri in capo alla Commissione europea e soprattutto sostituire l’attuale classe dirigente. Una classe dirigente troppo distante dalla vita reale e dalle esigenze dei nostri cittadini». Le piace ed è d’accordo con il posizionamento del nostro Premier, Dott. Conte, al cospetto dei propri omologhi europei? «Conte ha dimostrato in più occasioni di avere a cuore gli interessi dell’Italia e degli italiani. Trovo invece assurdo come alcuni parlamentari ormai al capolinea abbiano attaccato il Premier con sterili polemiche durante l’intervento a Strasburgo di metà febbraio. Attacchi che dimostrano ancora una volta l’incapacità politica che ha contraddistinto questi signori negli ultimi anni in Europa». Il nostro giornale è ben radicato in Oltrepo, e tratta specificatamente di questo territorio dalle enormi tradizioni agricole, principalmente, ma anche artigianali, commerciali ed industriali. Comparti, tutti, che negli ultimi decenni si sono decisamente ritrovati “in sofferenza”: qual è la sua visione del nostro territorio? Che ruolo deve avere la Politica nel supporto ed eventuali migliorie dell’attuale situazione, secondo Lei? «L’Oltrepò è un territorio bellissimo della provincia di Pavia, terra di eccellenze riconosciute in tutto il mondo e luogo a forte trazione agricola e mi auguro, sempre di più, volano del turismo nazionale e non solo. Molti comparti agricoli in tutta Italia hanno subito contrazioni considerevoli negli ultimi anni e parte di quelle cause
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«I passati governi italiani hanno dato poca importanza ad una presenza italiana forte in Europa ed il risultato è davanti agli occhi di tutti. Oggi è il momento per l’Italia di diventare protagonista in Europa» sono da ricercare nelle scelte strampalate di questa Europa. Ricordiamo per esempio che le attuali normative comunitarie in materia di etichettatura permettono la diffusione di prodotti “Fake” che creano gravi danni ai nostri comparti. Ricordo per esempio i “Kit Wine”, venduti in tutta Europa che consentono di preparare in casa vini “italiani” in polvere di pessima qualità. Un falso Made in Italy a danno dei nostri prodotti di qualità e del nostro export agroalimentare. Gli esempi sono molti: riso dalla Cambogia, latte dalla Romania, arance dal Marocco e addirittura, le cavallette asiatiche che i professoroni di Bruxelles vorrebbero farci mangiare. L’Oltrepò ha bisogno di una politica vicina, in grado di rispondere alle diverse criticità che, per conformazione territoriale, si trova ad affrontare: dal dissesto idrogeologico al rilancio turistico fino al rinnovo generazionale nel settore agricolo e commerciale. Un percorso che possiamo affrontare con una sinergia forte a livello comunale, regionale, nazionale ed europeo». Negli ultimi anni, oltre alle sofferenze strettamente di settore delle suddette attività, anche la rete di viabilità ha denunciato considerevoli problematiche: i ponti oltrepadani andrebbero, probabilmente ma è parere mio personale, ricostruiti ex-novo; le arterie stradali principali, così come quelle collinari, godono di un dissesto raro, per descriverle in toni leggeri e non pessimistici. Il progetto autostradale della Broni-
Mortara rivive e ri-muore a cadenza. Moltissime le parole, alcuni scritti di denuncia ed alcuni scritti di risposta, qualche rara apparizione in loco di Attori alla Partita Politica che immancabilmente, poi, ritornano nel proprio oblio: quale, a Suo parere, il destino di queste Opere citate? Come la Politica dovrebbe affrontare le questioni? A chi chiedere ed a chi credere? «L’Italia ha attualmente oltre 800 opere incompiute ed in parte finanziate con fondi pubblici. Una delle priorità del nuovo Governo è proprio quella di mettere mano a questa situazione che si è creata negli anni ed a porvi rimedio. Per quanto riguarda il Ponte della Becca un primo passo importante è stato fatto con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea del bando di gara per la redazione dello studio di fattibilità del nuovo Ponte. Bando pubblicato da Infrastrutture Lombarde e finanziato da Regione Lombardia e che vede il termine per le offerte fissato a fine marzo 2019. Una risposta importante per migliorare la viabilità ed i collegamenti con l’Oltrepò e dall’Oltrepò! Per quanto concerne invece la Broni-Mortara, come tutte le opere in Italia bisogns tenere in considerazione le priorità dei territori, che attualmente sono quelle di sanare la viabilità esistente, di rendere agibili le strade dissestate e di metterne in sicurezza alcuni tratti fondamentali della rete stradale». di Lele Baiardi
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OLTREPò PAVESE
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Un consistente patrimonio verde inscindibile dai nostri castelli, palazzi e dimore storiche Riprendiamo l’intervista iniziata sul numero scorso con Filippo Pozzi, giovane oltrepadano laureato in scienze e tecnologie agrarie, specializzato in architettura del paesaggio. Un altro problema per quanto riguarda gli spazi verdi delle nostre città è quello della riqualificazione dei giardini delle antiche dimore e dei castelli spesso lasciati nella più totale incuria o soggetti ad interventi non sempre consoni alla tipicità del monumento. Come bisognerebbe al meglio intervenire in questi progetti? «In tempi ormai remoti esisteva una stretta relazione tra l’edificio ed il suo giardino, l’esempio più eclatante è forse quello della Reggia di Versailles, dove il suo progettista André Le Nôtre padroneggiava diverse discipline come l’architettura, il giardinaggio e l’agronomia. Il giardino ricopriva un ruolo fondamentale nel progetto, si trattava di una naturale prosecuzione dell’edificio verso l’esterno, come se fosse un’altra stanza. Per ottenere armonia tra edificio e giardino, il progettista doveva possedere una visione d’insieme e al contempo saper interpretare il genius loci, ovvero lo spirito del luogo. Ai giorni nostri con l’avvento delle specializzazioni, è difficile trovare qualcuno che possiede un approccio olistico (ovvero che considera la totalità di un sistema), è invece più semplice avere a che fare con degli esperti. Come disse lo scrittore e umorista statunitense Arthur Bloch: “Un esperto è una persona che sa sempre di più su sempre di meno, fino a sapere tutto di niente”. Ed è per questo motivo che quando ci troviamo di fronte ad un patrimonio culturale così eterogeneo, sarebbe auspicabile creare tavole rotonde di professionisti differenti: paesaggisti, agronomi, naturalisti, botanici, geologi, ingegneri, architetti, archeologi e storici. Purtroppo oggi questo difficilmente acca-
Castello Malaspina di Pinarolo Po
de e a pagarne le conseguenze sono i beni culturali unitamente ai cittadini. I tempi delle corti europee del Rinascimento dove il nobile di turno assoldava le migliori maestranze a disposizione sono finiti, ma dovremmo comprendere questo modello progettuale del passato e adattarlo al presente per poter salvaguardare il nostro patrimonio storico-culturale». Pozzi cosa ne pensa della maggior parte degli interventi sul verde di questo tipo nel nostro territorio? «Il legame originario tra edificio e giardino oggigiorno è sempre più debole, nella migliore delle ipotesi il parco storico diventa un parcheggio e alla peggio viene costruita una strada che interrompe l’asse visivo del classico viale di accesso alberato. Invece di unire, o meglio ricucire, si tende a separare e frammentare perché manca la visione di insieme oppure perché manca il rispetto per il patrimonio che abbiamo ereditato dai nostri avi. Le strutture dei nostri castelli e palazzi in rovina necessitano di restauro ed i loro giardini hanno la stessa voce in capitolo in questa delicata operazione». Le amministrazioni comunali spesso e volentieri, dopo aver realizzato in modo non sempre adeguato la riqualificazione degli spazi verdi, non se ne occupano nel modo migliore e Castello Visconteo di Voghera
quindi ci troviamo di fronte a giardini lasciati senz’acqua e con problemi fitosanitari. Perché è importante prendersene particolarmente cura? «La componente verde di questi complessi è molto più fragile di quanto si pensi, un giardino ha bisogno di continue cure colturali, non può essere abbandonato a se stes-
spesso possono ospitare alberi monumentali che necessitano di essere curati e censiti per essere inseriti negli elenchi regionali ai fini della loro tutela. Purtroppo o per fortuna, abbiamo diversi esempi di castelli e dimore storiche nel nostro Oltrepò, come il giardino dell’alchimista di Palazzo Nocca a Barbianello, il complesso di Palazzo Mezzabarba a Casatisma, Villa Branca a Torrazza Coste, il Castello di Branduzzo a Castelletto di Branduzzo, il Castello dei Malaspina a Pinarolo Po e sicuramente molti altri». A Voghera abbiamo il Castello Visconteo con i suoi giardini se si possono definire tali... «Certo, anche il Castello Visconteo di Voghera ha dei giardini, ma il loro assetto complessivo mi porta a sospettare che ci sia stata un’analisi storica scarna nel processo di progettazione. Fortunatamente l’area del giardino c’è, ma la scelta del bosso che è suscettibile a molte avversità, la completa assenza di ombra, ed altre discutibili scelte progettuali, non lo rendono pienamente vivibile da parte delle persone. In situazioni simili, si evidenzia la necessità di avere figure professionali apposite che abbiano una visione d’insieme nel processo di progettazione e gestione del
Palazzo Nocca di Barbianello so, perché nasce da un progetto dell’uomo che deve esserne il custode. Con il passare del tempo questi spazi vengono presi d’assalto soprattutto da specie alloctone invasive (dette specie aliene). Si tratta di piante e animali che non fanno parte del nostro areale geografico e che senza antagonisti, invadono facilmente l’area a disposizione. Le piante più dannose nelle nostre zone appartenenti a questa categoria sono l’Ailanto (Ailanthus altissima) e la Fitolacca (Phytolacca americana), tra gli insetti ricordiamo la Piralide del bosso (Cydalima perspectalis) e il Cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus). I giardini storici
verde». Spesso si legge o si sente la parola “valorizzare”, secondo lei viene utilizzata nel modo adeguato? «A mio parere non viene utilizzata adeguatamente perché questo termine sottintende che si stia parlando di qualcosa che in fondo non ha valore, e che quest’ultimo gli venga attribuito in seguito ad un’azione di valorizzazione. Mi piacerebbe non sentire più questo termine, perché in Oltrepò abbiamo molto di valore sotto i nostri occhi, dobbiamo solo rendercene conto». di Gabriella Draghi
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«Chiusure obbligate? La gente fa la fila per lavorare la domenica…» Ci sono abitudini che oggi ci sembrano ovvie, e ci chiediamo perché in passato non solo non fossero radicate nella vita quotidiana, ma neppure fossero venute in mente a nessuno. In realtà, molte di quelle abitudini non possono “funzionare” in assenza di condizioni che, anche quelle, ci sembrano ovvie ma non lo sono affatto. è il caso di quell’attività un tempo tipicamente femminile oggi più equamente distribuita tra i sessi che si chiama “fare la spesa”. Agli inizi degli anni ’60 la casalinga di Voghera faceva la spesa al mercato e nei negozi di alimentari presenti in gran numero in città. Ma nel 1964 con l’apertura del primo supermercato in via Mazzini, il “Vegè” le modalità di acquisto dei generi alimentari iniziarono a subire dei profondi cambiamenti. Abbiamo incontrato Linda Lugano che, dopo una prima esperienza fatta sul campo presso il supermercato Gulliver di Godiasco, fa ora parte dell’ufficio category e comunicazione dei Supermercati Gulliver, per fare il punto sull’andamento dei consumi alimentari in Oltrepò Pavese. Franco Lugano, il fondatore, è stato il primo 55 anni fa ad introdurre il supermercato a Voghera, una grande intuizione visti i risultati ottenuti poi dalla vostra azienda negli anni, ci vuole raccontare un po’ la storia? «Il nostro primo supermercato si chiamava “Vegè “ dal nome di una centrale di acquisto nata in Europa e sbarcata in Italia nel 1959, anno in cui la nostra azienda aderì per il mercato nazionale. La successiva apertura di supermercati di più ampie superfici aveva fatto nascere sempre a Voghera in via Cavour il primo punto vendita in Italia di affiliazione con la Standa, all’epoca primario gruppo nazionale nel mondo del tessile e del casalingo. Per facilitare la comunicazione univoca nelle varie città, la doppia insegna Vegè e Standa aveva creato problematiche di riconoscimento per i nostri supermercati e così, negli anni ’80, abbiamo avuto la necessità di creare un marchio proprio. Nasce così l’insegna “Gulliver” con l’immagine del gigante buono, Gulliver appunto, che difende il consumatore nella vita quotidiana». Quanti supermercati avete aperto da allora sul territorio dell’Oltrepò pavese? «Nel territorio dell’Oltrepò siamo presenti a Voghera con 8 punti vendita, Broni (2 punti vendita), Stradella, Casteggio, Montù Beccaria, Bressana Bottarone, Lungavilla, Godiasco Salice Terme. Ma partendo dal territorio dell’Oltrepò, ci siamo espansi anche in Lombardia e nelle regioni limitrofe come il Piemonte, la Liguria e l’Emilia Romagna. Attualmente abbiamo 90 punti vendita: 72 diretti e 18 affiliati e contiamo
Linda Lugano solo in Oltrepò circa 250 dipendenti». Siete riusciti negli anni a conquistare la fiducia di quella che ai tempi era la “casalinga di Voghera” e che oggi si identifica di più con una donna che lavora e che spesso e volentieri ha poco tempo per fare la spesa. Quali sono i vostri punti di forza? «Devo dire prima di tutto che i nostri punti vendita si distinguono per qualità dei prodotti, correttezza nei confronti del cliente e convenienza. Abbiamo cercato pur nelle grandi dimensioni di mantenere il contatto diretto con il cliente, di farlo sentire a proprio agio mentre fa la spesa. I nostri punti di forza sono il reparto freschi: ortofrutta, macelleria e gastronomia». Attualmente il consumatore è diventato più esigente, sempre più incline a ricercare il prodotto di qualità, a Km0, vuole sapere la provenienza di ciò che mangia. Il cliente oltrepadano è orientato a questo genere di acquisti? «Certamente, i nostri clienti richiedono, soprattutto per i prodotti freschi, le produzioni del territorio e, nel corso degli anni posso dirle che abbiamo attivato diverse collaborazioni con produttori locali. Da più di 40 anni abbiamo rapporti di collaborazione con stalle selezionate del nordovest di Italia che allevano per conto nostro le migliori razze bovine. Solo dopo un’attenta selezione macelliamo i capi migliori e grazie al nostro sistema di tracciabilità il cliente può sapere da dove proviene la carne acquistata, razza età sesso dell’animale e nome dell’allevamento d’origine. La frutta e la verdura in stagione provengono da tanti piccoli produttori locali e per quanto riguarda il pane e i prodotti da
forno giornalmente piccoli laboratori della zona consegnano le loro migliori produzioni quali pane, pizza, focacce e biscotti. Anche per i formaggi tipici, collaboriamo con un caseificio di Rivanazzano Terme ed uno di Stradella che ha come obiettivo la valorizzazione della filiera casearia oltrepadana, producendo con latte da fieno 100% italiano. Dal territorio provengono poi parte dei vini, prodotti dolciari, insomma tutto quello che di meglio viene prodotto in zona». Negli ultimi anni la concorrenza è diventata sempre più agguerrita e sono stati aperti grandi supermercati e discounts in Voghera e sul territorio. Come vi siete organizzati per affrontare questo tipo di problema? «Certo è diventato sempre più importante sia il posizionamento del prezzo di vendita sia una costante attività promozionale. Abbiamo perciò dato vita ad un progetto molto importante il “Salvaspesa” con prodotti scontati tutti i giorni, intrapreso attività di fidelizzazione quali lo sconto 10% ai pensionati proposto tutti i mercoledì e altre convenzioni aventi per oggetto sconti personalizzati con enti e/o amministrazioni locali. Nel 2016 abbiamo avviato un progetto importante con l’ingresso nel gruppo di acquisti “Sun” che ha permesso, con il marchio Consilia, di puntare sullo sviluppo dei prodotti a marchio che rappresentano un settore fondamentale per la crescita del fatturato ed una leva di marketing per aumentare la fidelizzazione dei clienti».
avere la libertà di aprire non l’obbligo, le parlo di Gulliver: su 72 supermercati oggi la domenica ne teniamo aperti il 90%, la domenica rappresenta il secondo giorno per fatturato della settimana. Sappiamo fari i conti e sappiamo del resto che aprire costa però vogliamo offrire in un mondo in continua evoluzione ai consumatori un servizio dove c’è domanda e dove genera ricchezza. Dati nazionali ci danno ragione e il 65% dei consumatori lo hanno capito. Mi chiedo allora: la rovina delle famiglie sono i supermercati aperti nei festivi o la mancanza di lavoro? C’è gente che fa la fila per lavorare la domenica, perché quei 200€ in più a fine mese su uno stipendio medio da 1200€ non sono pochi; non c’è imposizione, c’è la rotazione, nei nuovi contratti la domenica è un giorno lavorativo come un altro, retribuito con una importante maggiorazione del 30%. Se dovessimo chiudere la domenica, le persone non sono noccioline: rischiamo a livello nazionale fino a 40.000 licenziamenti. Mettendo in difficoltà i clienti dando un ulteriore vantaggio all’online e danneggiare a chi ha investito e chi vorrebbe farlo ancora». Quali progetti avete per il futuro? Pensate ci sia ancora spazio per l’espansione? «Nel corso del 2019 abbiamo dato vita ad un importante progetto di ristrutturazione che vedrà coinvolti una decina di punti vendita e l’apertura di due nuovi supermercati. In questi punti vendita ad esempio
Il marchio Gulliver nacque negli anni 80. Oggi conta 8 punti vendita solo a Voghera I vostri punti vendita sono inseriti principalmente nei centri storici delle città ormai purtroppo aperti in un tessuto urbano sempre più svuotato dalle chiusure di negozi colpiti da una crisi irreversibile e dai grossi centri commerciali fuori città. Qual è il vostro punto di vista sulle chiusure domenicali? «La nostra preoccupazione per le ricadute del provvedimento sulle chiusure domenicali deciso dal governo è molto importante anche perché il mondo del commercio vive una transizione tutt’altro che facile, con consumi stagnanti e l’e-commerce che guadagna terreno. Chiediamo solo di
Via Carlo Emanuele a Voghera e Godiasco, sono state apportate sostanziali modifiche nel layout generale del supermercato con particolare attenzioni ai reparti ortofrutta, gastronomia e macelleria con l’inserimento dei banchi take-away per agevolare le esigenze di una spesa più veloce. Inoltre questo ha permesso di allargare la nostra proposta di assortimento nelle categorie di forte crescita, quali ad esempio tutto il mondo dei salutistici, biologici, prodotti della cura della persona di alta qualità, il mondo del baby food e del pet food». di Gabriella Draghi
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Cimiteri comunali: il project financing sempre più usato in Oltrepò L’Oltrepò è certamente caratterizzato da una grave carenza di opere infrastrutturali; caratteristica che non lo rende poi così diverso dal resto del nostro paese. E la causa è sempre la stessa: la mancanza di fondi per gli investimenti. Come realizzare opere pubbliche quando non ci sono soldi in cassa? Un tempo l’unica soluzione era accedere ad un mutuo presso la Cassa Depositi e Prestiti. Oggi le possibilità sono maggiori: prestiti obbligazionari, cartolarizzazione dei crediti, derivati e, appunto, project financing. Opportunità, questa, che consente realizzare e gestire opere pubbliche o di pubblica utilità grazie all’apporto di capitali privati, i quali devono, tuttavia, avere la garanzia non soltanto di vedere ripagato il capitale investito, ma anche di ottenere una remunerazione attraverso i proventi che sono a loro assicurati dalla gestione delle opere per un dato arco temporale. Gli stessi operatori che forniscono i capitali sono coinvolti fin dalla progettazione degli interventi. Anche per questa ragione, la forma del project financing viene spesso e volentieri utilizzata anche dai piccoli comuni. Anche se lo strumento potrebbe, almeno sulla carta, consentire operazioni mirabolanti, alle nostre latitudini è stato utilizzato negli ultimi anni principalmente in due ambiti: l’illuminazione pubblica e i cimiteri. Nel primo caso il soggetto privato coinvolto è un operatore attivo nel mercato dell’energia. Questi si assume l’onere di riqualificare gli impianti, con l’installazione della tecnologia LED. Il risparmio che l’ente locale riesce ad ottenere grazie a questa miglioria viene utilizzato per ripagare all’operatore, nel corso di qualche anno, quello che è stato l’investimento iniziale. Raggiunta la parità, rimarrà un cospicuo risparmio sulla bolletta dell’energia elettrica a favore dell’ente. Tutti contenti, insomma. Per quanto concerne i cimiteri, invece, la società partner del comune realizza un certo quantitativo di nuovi loculi, che poi concede ai cittadini che ne fanno richiesta. In questo modo, dopo un certo numero di anni e un certo numero di loculi venduti, vedrà recuperato il proprio investimento e inizierà a guadagnare. Sono diversi i comuni dell’Oltrepò che, negli ultimi anni, si sono avvalsi di questa possibilità di finanziamento per ampliare i propri cimiteri. Casteggio e Lungavilla, ad esempio. È in fase di approvazione il project financing del comune di Bressana Bottarone. Si starebbe muovendo in questo senso l’amministrazione di Godiasco Salice Terme. A Casteggio, durante la discussione propedeutica all’adozione di questa soluzione nel 2015, erano volate parole pesanti fra maggioranze e opposizione in
Cimitero di Argine (Bressana Bottarone) consiglio comunale. L’importo complessivo dei lavori ammontava a 1 milione 700 mila euro, per 820 loculi e 27 cappelle private – 25 da 10 posti e due da 15 posti, per un totale di ulteriori 280. La durata della concessione in favore della società proponente è di dodici anni. Fra i comuni con più di 5mila abitanti, Casteggio (che ne conta 6.719) è il terzo della Lombardia per anzianità della popolazione residente. Gli over 65 sono il 28,5% del totale, dunque circa 1900 persone. A Lungavilla il project financing per l’ampliamento del cimitero è salito alla ribalta circa un anno fa. In questo caso l’importo dei lavori ammontava a 1 milione 300 mila euro, e la durata della concessione è ventennale. Il problema era sentito in paese, dato che già dal 2016 l’esiguo numero di loculi disponibili aveva costretto il sindaco Daprati a porre uno stop immediato alle vendite dei posti residui ai cittadini non residenti e alle concessioni multiple. I dati numerici non risultano pubblicati presso lo storico dell’Albo Pretorio comunale, ma possiamo ipotizzare, raffrontando l’importo dell’investimento con quello relativo al cimitero di Casteggio, che il numero di nuovi posti disponibili sia fra gli 800 e i 1000. Il nuovo concessionario è operativo a Lungavilla dallo scorso 1° agosto. Bressana Bottarone si appresta ad utilizzare il project financing per i due cimiteri situati sul proprio territorio comunale, presso il capoluogo e in frazione Argine. Si prevede la costruzione di un numero massimo di 924 loculi e 800 ossari, oltre ad un’area dedicata alla sepoltura di persone appartenenti ad altre confessioni religiose. Gli over 65 a Bressana sono il 24,4% della popolazione, ossia circa 850 persone. Questi dati sono utili a porre alcune questioni: i numeri previsti per le nuove realizzazioni sono supportate da una effettiva necessità, oppure sono in soprannumero? Nel secondo caso, il comune concedente
è vincolato in qualche modo a farsi carico della gestione dei loculi invenduti a fine concessione – o addirittura ad acquisirli? Dal momento che il proponente, in quanto imprenditore, sarà interessato a massimizzare il proprio guadagno, è stato attuato un corretto bilanciamento fra le esigenze delle parti in causa, in modo tale che l’asticella non penda troppo a sfavore della pubblica amministrazione? Nel valutare la bontà di queste operazioni, occorre inoltre specificare che non sono affatto esenti da rischi per le pubbliche amministrazioni che decidono di adottarle. Numerosi sono infatti gli strali pronunciati dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione in relazione a svariate casistiche; numerosi sono i casi finiti davanti a un giudice a causa di disaccordi fra le amministrazioni e i concessionari. Senza andare troppo lontano dall’Oltrepò, è ben nota la situazione di stallo seguita alla decisione, da parte dell’amministrazione comunale di Pavia, di procedere tre anni or sono con la finanza di progetto per la sostituzione dei malandati forni crematori situati presso il Cimitero Monumentale. Una serie di corsi, ricorsi e carte bollate ha di fatto creato grossissimi disagi e ritardi notevoli, con le salme che attendono, talvolta, giorni se non addirittura settimane prima di essere cremate; stipate, peraltro, in un locale chiuso, privo di impianto di condizionamento. E con riferimento specifico al project financing per la costruzione dei loculi, fece scalpore, pochi anni fa, la vicenda del Comune di Polignano. Al termine della concessione, molti loculi erano rimasti invenduti, e il concessionario aveva preteso dal comune il pagamento di tutti i loculi invenduti. Tale previsione, evidentemente svantaggiosa per il Comune – tanto da far venir meno ogni possibile vantaggio derivante dalla finanza di progetto – era però stabilita a priori, con la convenzione
sottoscritta fra i due enti precedentemente all’inizio dei lavori. Un altro aspetto poco chiaro – che ha interessato il comune di Casteggio e che interessa attualmente anche quello di Bressana che sta definendo il progetto – è rappresentato dall’impegno da parte del comune a costituire in favore del concessionario il diritto di superficie per tutta la durata della concessione sulle aree e sugli spazi del cimitero indicati in progetto. Il concedente ‘‘acconsente all’iscrizione da parte del Concessionario di ipoteca di primo grado su tale diritto di superficie, a garanzia di quanto dovuto dal Concessionario ai Finanziatori ai sensi del Contratto di Finanziamento’’. In altre parole: una garanzia alle banche in cambio del finanziamento. Cosa accadrebbe nel caso in cui, malauguratamente, la società concessionaria non riuscisse ad onorare il suo debito? C’è poi l’aspetto economico, che è quello di più immediato interesse. Quando si affida la gestione ai privati, di riffa o di raffa, il costo dei loculi subisce un innalzamento. Forse sarebbe opportuno valutare anche altre strade. Per esempio: in ogni cimitero è presente un certo numero di loculi le cui concessioni sono scadute, che potrebbero essere vuotati e riassegnati. Intervento che, peraltro, farebbe rientrare nelle casse comunali cifre potenzialmente cospicue. Sarebbe inoltre utile verificare i trend subiti dalle concessioni negli anni precedenti. Ovvero: quanti dei deceduti sul territorio comunale vengono effettivamente sepolti nel cimitero locale? Quanti vengono trasferiti altrove, magari presso il paese d’origine? Quanti scelgono di farsi cremare? A queste e altre domande dovranno rispondere i comuni che si apprestano a valutare l’estensione dei propri cimiteri con il project financing. Uno strumento utile, ma che va studiato con grandissima attenzione e con il maggiore accordo possibile. La morte, in fondo, può attendere… di Pier Luigi Feltri
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SILVANO PIETRA
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«Un maxi polo logistico alla ex Valdata» Un grande insediamento produttivo potrebbe arrivare nel comune di Silvano Pietra portando lavoro e una boccata d’ossigeno all’economia di un territorio che ne ha sempre più bisogno. Ad annunciarlo è il sindaco Luciano Antonio Calderini. «Recentemente una grossa multinazionale che opera nella grande distribuzione (pare si tratti della Lidl ndr) ha manifestato il suo interesse per l’acquisizione dell’area ex Valdata e sarebbe intenzionata a realizzarvi un polo logistico e di stoccaggio». I terreni di quell’area, un tempo industriale oggi di proprietà della Danesi laterizi, ricoprono 114mila e 500 metri quadrati compresi tra l’autostrada A7 e la strada provinciale 12. Una posizione strategica che ha fatto gola a molti nel corso degli anni. «Sono venuti a chiedere autorizzazioni per avviare svariate attività diversi personaggi, alcuni dei quali decisamente poco raccomandabili» rivela Calderini, che oggi incrocia le dita. «Finalmente si è presentato qualcuno che a nostro avviso ha le carte in regola per impiantare un’attività a bassissimo impatto ambientale che possa portare lavoro senza peggiorare ulteriormente la situazione del nostro territorio, già martoriato da troppi insediamenti industriali inquinanti». Sindaco, come procede l’iter burocratico per assecondare la richiesta di questa multinazionale? «Lo scorso 31 gennaio c’è stata una conferenza dei servizi in cui abbiamo dato il nostro parere positivo al nuovo insediamento, adesso bisogna attendere l’esito dei controlli che l’Arpa deve fare sui terreni». Che tipo di controlli? «Controlli di routine. Bisogna eseguire una verifica della cava, che parecchi anni orsono fu riempita di materiali inerti, sostanzialmente mattoni, dato che le normative dell’epoca lo consentivano. Siamo ottimisti che tutto proceda senza intoppi, anche perché la Danesi che è proprietaria dell’area aveva a suo tempo già effettuato i dovuti controlli. Non c’è ragione di credere che la condizione del terreno sia cambiata da allora». è possibile dire quando il nuovo polo potrà insediarsi? «Questo al momento non si può prevedere. C’è la burocrazia, poi l’azienda dovrà prendere le sue decisioni, fare un progetto…insomma, diciamo che è una bella notizia e una speranza per il futuro, dato che porterebbe occupazione. Il paese invecchia e i giovani sono sempre meno, la maggioranza va altrove». Il suo mandato scadrà tra un anno. A quale opera sta lavorando in questo
Il sindaco incrocia le dita: «Lavoro e tutela dell’ambiente a braccetto» momento? «Non si tratta di una vera e propria opera, direi più che altro che stiamo lottando contro la burocrazia per acquisire dalla diocesi l’area del parco giochi comunale. 726 metri quadrati che al momento risultano inutilizzati perché fuori norma, di conseguenza inagibili». Qual è la difficoltà, il costo dell’operazione? «No, il costo sarebbe ultra agevolato dato che esiste un accordo con la curia. Il problema è squisitamente burocratico. I passaggi sono lunghissimi, serviva prima l’autorizzazione delle belle arti, poi, firmato lo scorso dicembre il compromesso dal notaio, bisogna aspettare che gli enti che stanno sopra di noi, Regione e Provincia, non si dichiarino interessati all’affare, visto che godrebbero della priorità… In sostanza, sono tre anni che siamo in ballo». Anche in questo caso: è possibile prevedere una tempistica per l’attuazione? «Mi auguro appena dopo l’estate». Che cosa intendete fare di quell’area? «Resterà un parco giochi, utilizzeremo i 40mila euro di finanziamento messi a disposizione dallo Stato per dare al paese un’area dove i bambini possano giocare». Come va la situazione legata al traffico dei mezzi pesanti? Da anni lamentate il problema… «Il problema è sempre lì. Abbiamo messo il limite dei 30 chilometri orari ma nessuno lo rispetta. Abbiamo chiesto l’intervento della Polizia provinciale, nella speranza che possa fare da deterrente, ma il fatto è che abbiamo le mani piuttosto legate». Di solito i giornali criticano queste scelte, ma in questo caso: un bell’autovelox all’ingresso del centro abitato? «Non possiamo installarlo, la legge non lo permette. Le colonnine arancioni non servono più a nulla perché tutti sanno che sono scatole vuote. Inoltre non potrem-
Luciano Antonio Calderini
mo neanche permetterci il personale che serve per presidiarlo e controllarne il funzionamento. Se sarà possibile valuteremo la possibilità di uno a noleggio, anche se preferiremmo appellarci al buon senso». Un’ultima domanda. I tagli ai trasferimenti statali sono per i piccoli comuni uno dei problemi più gravosi. Non crede che le fusioni possano essere un vantaggio? Qual è la sua posizione in merito?
«Personalmente non credo nelle fusioni. Io credo che ogni comune abbia un’identità storica che rischierebbe di perdersi. Siamo già in Unione con i comuni limitrofi e questo ci permette di ottimizzare i servizi. Inoltre mi sento di dire che i piccoli comuni sono quelli più virtuosi: vanno trattati come risorsa e non come un problema». di Christian Draghi
La multinazionale Lidl potrebbe acquisire i terreni per creare un’area di stoccaggio
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Barbieri: «Non scambieremo le nostre idee con una poltrona» Secondo Darwin non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente; bensì, quella più reattiva ai cambiamenti. Se volessimo sovrapporre questa massima al mondo del vino oltrepadano ci sorprenderemmo di come, nonostante una certa proverbiale inedia, tutto sommato in molti, quasi tutti, riescano a vivacchiare senza troppi affanni. L’ostilità al cambiamento, d’altronde, è una patologia propria di molte fra le migliori aziende – non certo soltanto quelle vitivinicole, non certo soltanto quelle dell’Oltrepò. Pur tuttavia, Darwin ha dato ampie dimostrazioni che le sue teorie, alla fine dei giochi, trovano sempre dimostrazione pratica. E verrà la resa dei conti, anche nel nostro bell’Oltrepò. Del resto sono anni che ci poniamo, allo spasmo, le stesse domande. Fin quando le strategie e le mentalità rimarranno le medesime? Chi sopravviverà alle mille burrasche e ai mille gossip che, anno dopo anno, investono il territorio? E con quali strategie? L’ultima notizia bomba nell’Oltrepò del vino, in ordine di tempo, è quella della riappacificazione fra il Consorzio di Tutela ed il Distretto nato nel 2012 proprio in seguito ad una scissione dal primo, che tornerebbe in seno all’organizzazione che fino a poco tempo fa è stata ammiraglia del territorio. Pare che si stia lavorando su un aumento nel numero dei consiglieri, che arriverebbero a venti, così da far posto ai rappresentanti del Distretto. Il cui presidente, Fabiano Giorgi, potrebbe salire al vertice del Consorzio, ad oggi presieduto da Luigi Gatti (in carica, salvo appunto novità, fino al 2020). Occorre tuttavia chiedersi quante delle aziende che fanno parte del Distretto rientreranno effettivamente nei ranghi dell’accordo. Solo potendo rappresentare un certo numero di produttori e una certa quantità di produzione certificata, infatti, il Consorzio potrà tornare a fregiarsi delle funzioni di erga omnes. Si tratta, quindi, di un dato non trascurabile, che ad oggi sarebbe tutt’altro che scontato. Per esempio: Torrevilla certamente non farà parte della partita. Secondo indiscrezioni anche altre grandi società sarebbero pronte ad un passo indietro. E allora perché tutto questo trambusto? Il dubbio è che tutto cambi perché nulla cambi. A volte anche nella buona fede delle persone coinvolte. Torrevilla, testé citata, va ormai avanti per la sua strada. Sempre più sciolta vincoli opprimenti e sempre più votata ad una qualità che, per essere raggiunta e poi mantenuta, ha bisogno di nuove strutture e di nuove attrezzature. Da qui la necessità di un piano di investimenti che – va detto – non è un caso isolato nel nostro territorio, ma si inserisce in un filone di pensiero che indipendentemente dai condizionamenti di quelli
Massimo Barbieri che dovrebbero essere gli organi di indirizzo del territorio portano avanti una strategia che sembra essere investita dei migliori auspici. Che strizza l’occhio a Darwin (e non al Gattopardo). Presidente Barbieri, vuole parlarci di questi investimenti che Torrevilla si appresta a mettere in campo? «Le strategie di Torrevilla si identificano con il Piano di Sviluppo Rurale. Avremo una parte di investimenti presso la sede di Torrazza Coste per quanto riguarda il punto di vista tecnologico, ovvero le attrezzature. Poi una parte strutturale che riguarderà Codevilla, ed è quella che mi entusiasma di più. Ci apprestiamo a scrivere una pagina nuova per la storia di Torrevilla.» Scendiamo nei dettagli… «Faremo nascere una nuova cantina dedicata al Metodo Classico e più avanti in modo specifico anche alla linea Genisia, quindi a prodotti di alta gamma pensati per il canale horeca. Andremo a recuperare un’area che oggi non è utilizzata, e quindi con investimenti importanti. La produzione del Metodo Classico a Codevilla sarà operativo al massimo entro l’anno prossimo. Andremo ad acquisire vasche di piccola capienza, nell’ordine dei 50 quintali. Poi potenzieremo la fase di accoglienza, grazie ad un ampliamento della bottega del vino e a una ristrutturazione generale dell’edificio.» Possiamo quantificare economicamente l’investimento? «Si aggirerà intorno al milione di euro. Usufruiremo del contributo in conto capitale della Comunità Europea.» Qual è l’importanza strategica di questo progetto? «Prima di tutto ci serve a livello funzionale, proprio per il soddisfacimento degli obiettivi che ci siamo dati come azienda, e rispetto ai quali dobbiamo essere coerenti. Mi riferisco all’identificare il territorio con il pinot, sia vinificato in bianco come spumante, sia vinificato in rosso. Poi sarà fondamentale a livello di marketing e per offrire un’esperienza nuova ai nostri inter-
locutori.» Quali sono i punti di riferimento che Torrevilla ha preso a modello per questo cambiamento storico? «In senso generale il punto di riferimento sono le cooperative altoatesine. In termini di qualità dei prodotti, di immagine, di accoglienza, e non solo. Ma ci sono esempi virtuosi anche in Oltrepò.» A chi si riferisce? «Questo percorso finalizzato alla valorizzazione del pinot viene portato avanti anche da altre aziende. Realtà come, tanto per citarne una, Conte di Vistarino, che ha realizzato investimenti notevoli. Senza dubbio ci fa piacere che questa visione si stia diffondendo nel nostro territorio; quando in Oltrepò succede qualcosa di positivo, quando in Oltrepò si effettuano scelte strategiche che vanno nella giusta direzione, non possiamo che esserne contenti. il nostro ampliamento segue questa rotta.» Un aggiornamento sulla situazione commerciale di Torrevilla. Come state procedendo? «L’azienda tutto sommato sta andando abbastanza bene nella difficoltà momentanea di tutta l’economia nazionale e alle difficoltà del territorio. Bene o male i dati si rispecchiano anche nelle nostre realtà.» A proposito delle difficoltà del territorio; come commenta la pace scoppiata fra il Consorzio e il Distretto? «Non posso che essere felice se si è ritrovata sintonia.» L’assessore regionale Rolfi ha salutato con grande favore questa novità. Ma ha anche dichiarato che spera l’accordo di allarghi ad altre realtà… non è difficile leggere un riferimento anche – o soprattutto – a Torrevilla. Cosa risponde? «Innanzi tutto riconosco all’assessore un grande impegno. Al momento non ritengo che ci siano le condizioni perché Torrevilla cambi idea rispetto alle posizioni già note. Di certo non scambieremo le nostre idee con una poltrona…» Cosa dovrebbe accadere per giungere ad un riposizionamento della vostra politica in merito al Consorzio ed ai rapporti con gli altri attori del territorio? «Ho mandato una comunicazione in Regione il 6 dicembre 2018, dove dicevo: ‘‘Come già anticipato nei nostri precedenti incontri - e mi riferivo ai tavoli in regione - ritengo eccessivo il numero tavoli, che ridurrei a due o tre’’. Sicuramente uno dedicato al pinot, sia come metodo classico sia vinificato in nero. E poi uno con tutti gli altri prodotti con denominazioni commerciali. Discorso a parte per il buttafuoco, che poteva essere preso in considerazione per conto proprio, date le sue peculiari caratteristiche.» Perché la strutturazione che è stata portata avanti non le sembra adatta alle esigenze del territorio?
Torrevilla ha abbandonato il Distretto «Perché i tavoli, con la suddivisione e con il numero di partecipanti attuale, difficilmente riusciranno ad elaborare qualcosa di concreto, di condiviso, perché rappresentano una marea di esigenze diverse. Ho partecipato casualmente a un tavolo del bonarda in prima persona. Devo dire che almeno in quell’occasione le sensazioni non sono state un granché positive.» Torrevilla fa ancora parte del Distretto? «No, non più.» Mi scusi l’audacia: confesso che il dubbio mi era venuto e ho controllato proprio pochi giorni fa sul sito internet del Distretto. Torrevilla è ancora presente nella compagine sociale… «No, probabilmente si tratta di un refuso. Ho mandato disdetta poche settimane fa. Non ne facciamo più parte perché prima di parlare dei posti nel consiglio di amministrazione del Consorzio ritengo sia fondamentale risolvere o puntualizzare quelli che sono i punti deboli del Consorzio stesso. Poi si ragiona di tutto il resto.» Quali sono questi punti da approfondire? «Un argomento fondamentale deve essere il costo di produzione dell’uva. Poi l’individuazione dei vini bandiera. E un nodo che secondo me è fondamentale: i fondi siano destinati prevalentemente ai due prodotti principali, almeno il 70% delle risorse devono andare a favore dei due prodotti di punta del territorio. E bisogna affrontare, certo, anche il problema della rappresentanza: è fondamentale evitare che una singola azienda possa detenere il monopolio in termini di forza elettiva. Bisogna invece assicurare spazio e voce in capitolo a tutto il territorio. C’è anche bisogno di un’analisi etica…» Ossia? «Ritengo che il Consorzio non debba essere la casa di tutti ma soltanto di chi lo merita. Deve essere un vanto farne parte. Il tema della tutela, quello dei controlli: da chi e come vengono fatti. Perché fino ad oggi, evidentemente, qualcosa non ha funzionato. Dopo di che io ritengo che una volta sistemato l’organismo consortile, si debba arrivare all’azzeramento delle cariche e a nuove elezioni.»
di Pier Luigi Feltri
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Olimpiade della moto 2020: «Un’opportunità mondiale per l’Oltrepò e per Rivanazzano Terme, ma bisogna prevedere tutto per... bene» La macchina organizzativa della Sei Giorni di Enduro (ISDE) 2020 si è messa in moto. A fine febbraio si è costituito in forma ufficiale il comitato organizzatore della 95° edizione della ISDE assegnata dalla FMI (Federazione Motociclistica Italiana) al Moto Club Vittorio Alfieri. Il comitato organizzatore ISDE 2020 è diretto da Valter Carbone, presidente del Co.Re.Piemonte, Giorgio Bandoli, presidente del Moto Club Alfieri ed Edoardo Zucca, Presidente del Moto Club Pavia. La Sei Giorni 2020, in programma dal 24 al 29 agosto, stabilirà il suo quartier generale ed i paddock presso l’aeroporto di Rivanazzano Terme, e si svolgerà tra Piemonte e Lombardia, interessando la Val Curone in provincia di Alessandria e la Valle Staffora in Oltrepò Pavese. La prova finale di cross si disputerà sul crossodromo internazionale di Ottobiano. In Oltrepò c’è un appassionato in primis, ed un giornalista sportivo a livello internazionale, che ha seguito ben 18 Sei Giorni di enduro in giro per il mondo. Ne ha viste e vissute veramente tante, lui forse meglio di chiunque altro può dirci cosa sarà la Sei giorni 2020. Fabio Momina, vogherese, giornalista sportivo e commentatore di Eurosport, è l’unico insieme a Guido Meda che può vantare di aver detto per 9 volte “Campione del Mondo” a un pilota: «Io ad Antonio Cairoli, lui a Valentino Rossi, perché io seguo il motocross e Guido Meda il motociclismo Sky» racconta Momina. La sua è una lunga carriera che nasce in una piccola Tv locale, Bergamo Tv, dove Momina curava una rubrica chiamata Motorshow che seguiva il mondiale di enduro e tutte le attività di enduro in Italia . Dopo una gavetta di 10 anni, l’approdo alle grandi televisioni ed ai grandi programmi sportivi: Sportitalia prima e la svolta nel 2005 quando viene chiamato da Eurosport come inviato al Campionato Mondiale di enduro in Spagna. Ha rappresentato l’Italia come corrispondente televisivo sul campo da gara per ben due Dakar, nel 2005 e nel 2006 « le vere Dakar in Africa» come tiene a precisare Momina. Lo si può definire uno specialista del tassello e del fuori strada, speaker di rally, di supermotard, di trial e motocross, ma tra tutte le varie discipline quello che più lo appassiona è l’enduro, tant’è che oggi la sua voce è legata indissolubilmente a questa disciplina. Momina come nasce la sua passione per l’enduro? «Sono di Voghera e l’enduro ce l’ho nel sangue, sono stato anche corridore negli anni ’80 e successivamente ho convogliato questa mia passione nel mestiere di
ma si partirà molto prima, sia da un punto di vista organizzativo che logistico: le squadre non europee infatti spediscono le moto, le officine, i pezzi di ricambio e tutto quanto serve ad un team ed ad ogni pilota per gareggiare, con i container, operazione che verrà effettuata molto prima della gara, quindi il primo step che vedrà appunto coinvolta Rivanazzano è l’arrivo di questo importante flusso di container dal porto di Genova all’area dell’aeroporto rivanazzanese». Quale a suo giudizio potrebbe essere il primo problema che la macchina organizzativa potrebbe riscontrare? «Se da una parte l’Oltrepò si presta moltissimo per questa manifestazione per la presenza di percorsi validi, la prima problematica cui penso è la viabilità: l’aeroporto di Rivanazzano Terme, base logistica della gara, ha un solo ingresso in questo momento con una rotonda sulla statale. Essendo io anche lo speaker delle competizione “hills race” per autovetture americane, che trovano ospitalità all’aeroporto, vivo questa situazione 3 volte l’anno e vedo confusione nell’ingresso e uscita dell‘aeroporto, bisognerà prevedere qualcosa di alternativo o ipotizzare anche una strada non fissa alternativa che possa andare da un’altra parte. Fabio Momina, commentatore di Eurosport
giornalista sportivo». L’ultima settimana di Agosto del 2020 Rivanazzano Terme e l’Oltrepò ospiteranno la Sei Giorni, il più grande avvenimento sportivo di enduro. Quante ne ha seguite come commentatore sportivo? «Ho assistito a ben 18 Sei Giorni di cui 15 come inviato per la Federazione Motociclistica Italiana come responsabile della produzione video. Ho visto 15 Sei Giorni soprattutto all’estero ed ho avuto l’onore di veder vincere il Trofeo Nazioni dall’Italia, nel 1994 a Toulsa negli Stati Uniti, nello Zink Ranch: una proprietà privata in Oklahoma grossa quanto l’Oltrepò Pavese». La Sei Giorni. Spieghiamo cos’è esattamente… «Un grande avvenimento sportivo che porrà l’Oltrepò al centro dell’attenzione mondiale. Una manifestazione internazionale del campionato mondiale a squadre, questo significa che ogni nazione manderà i propri rappresentati divisi in due squadre: la squadra ufficiale per il trofeo e la squadra junior under 23. Sarà l’ultima gara a chiusura della stagione del
mondiale, quindi avremo tutti i campioni presenti a Rivanazzano Terme, peraltro in questa formula che si può chiamare l’Olimpiade della Sei Giorni che è la grande festa di fine stagione, c’è anche spazio per i privati, con una classifica riservata ai Club tra i quali spicca il Moto club Pavia che è chiamato ad una prova impegnativa, gareggiando davanti al proprio pubblico. Inoltre in questa Sei Giorni c’è anche un interesse a livello storico infatti è prevista una sezione speciale dedicata alle moto d’epoca che si misureranno sui tre giorni e non sui sei, con chilometraggi inferiori per ovvie ragioni tecniche essendo moto d’epoca e di facile rottura ». Una grande opportunità per l’Oltrepò Pavese di mettersi in vetrina… «Una grossissima opportunità per dare al territorio grande visibilità. L’Oltrepò e la provincia di Pavia faranno la parte del leone, ricordiamo infatti che Rivanazzano e l’Oltrepò sono stati individuati come base logistica per la Sei Giorni dal club piemontese, il motoclub Alfieri di Asti, organizzatore dell’evento. Rivanazzano Terme non sarà coinvolta solamente nella settimana della gara, l’ultima di Agosto,
Il giornalista Fabio Momina avverte: «Flusso enorme di persone a Rivanazzano, con questa viabilità si rischia il caos in zona aeroporto»
RIVANAZZANO TERME Parlando concretamente se presumiamo che gli iscritti alla gara siano tra i 600 ai 700 che in genere sono i numeri di una Sei giorni, sapendo che al minuto partono 3 piloti, il tempo necessario solo per la partenza di tutti i concorrenti è di circa 3 ore. Verosimilmente i piloti andranno subito ad affrontare il tratto di sterrato nel fiume Staffora, ed in contemporanea ai piloti, i furgoni, le vetture e le moto dell’assistenza che ogni pilota ed ogni team ha al seguito usciranno anch’esse dal parco assistenza dell’aeroporto, dirette alle varie tappe della gara. Mi sembra difficile che con una sola strada d’uscita dal parco non si creino problemi viabilistici. Ricordiamo che l’enduro si basa su percorsi itineranti e prevede quindi lo spostamento di tutte le assistenze, che portano le benzine, i guanti e le giacche di ricambio. Tanto per fare un esempio, l’anno scorso alla 6 Giorni sono stati distribuiti 2 mila pass di meccanici». Numeri davvero importanti, l’Oltrepò dal punto di vista ricettivo è pronto? «Purtroppo questo è un altro grosso problema, pochi posti per dormire e pochi posti per mangiare, si dovrà allestire qualcosa a livello di fast food se si vuole fronteggiare questa evenienza. A tal proposito sono stato chiamato poco tempo fa dagli organizzatori, il Club Alfieri di Asti che mi segnalano un grosso problema di ricezione alberghiera. Tutto lo staff della Sei giorni rappresentato dal moto club Alfieri sta cercando una location per concentrare tutte le persone che lavoreranno a questa manifestazione perché il moto club di riferimento è quello di Asti ma ogni club in Italia manderà dei suoi rappresentanti proprio per dare una mano a questa imponente macchina organizzativa. Trovare un’unica location che ospiti queste 250/300 persone è praticamente impossibile, e purtroppo Salice che era l’unica località, che con le sue strutture alberghiere poteva rispondere a questa domanda… non è più la Salice dei tempi d’oro… Un altro problema che non si
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Fabio Momina con Guido Meda
è valutato a sufficienza a mio giudizio, sono le autovetture, i furgoni ed i van da noleggiare: tante squadre arrivano ed hanno bisogno le macchine per spostarsi, per visionare il percorso, per identificare le zone dei controllo orari e delle prove speciali. Avremo bisogno di tante auto e pulmini e in Oltrepò non ci sono molte grosse concessionarie che possono offrire questo servizio». Aeroporto di Rivanazzano: in base alla sua esperienza cosa ci sarà esattamente? «Sarà la chiave di volta di tutta la manifestazione, l’epicentro, partenza ed arrivo su un percorso che è ancora in parte sconosciuto perché giustamente gli organizzatori devono mantenere segreto il percorso anche se le ricognizioni organizzative sono già iniziate. Solamente l’ultimo giorno di gara in cui si svolgerà la prova finale di cross vedrà protagonista una location fuori dall’Oltrepò, la pista di Ottobiano. In questa giornata finale i piloti verranno suddivisi per classi e cilindra-
te e andranno ad affrontare la manche di cross sul tracciato di Ottobiano appunto, e si decreterà il vincitore della Sei Giorni. Un lungo trasferimento per cui tutta la logistica si sposterà dall’aeroporto di Rivanazzano Terme ad Ottobiano, anche se qualche appassionato oltrepadano sperava nella tappa di Cervesina… Bisognerà ora solo capire se anche le premiazioni verranno fatte a Ottobiano o si ritornerà a Rivanazzano Terme». Rivanazzano epicentro. è ipotizzabile qualcosa anche a Salice Terme? «Non conosco il pensiero degli organizzatori, ma normalmente la partenza e l’arrivo avvengono sempre dove c’è il parco chiuso, volendo si può spostare ma credo che tecnicamente e dal punto di vista logistico si farà tutto al parco chiuso anche per motivi di sicurezza come la disposizione della postazione antincendio fissa o per motivi logistici quali la predisposizione di postazioni fisse o aree training dove i piloti proveranno le moto prima della gara» .
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Chi meglio di lei può spiegare dal punto di vista mediatico e a livello pubblicitario cosa può essere questo evento per l’Oltrepò… «La tappa di una Sei Giorni viene decisa ed assegnata da una Giuria internazionale ed è una scelta complessa, il fatto che sia stata assegnata all’Italia e all’Oltrepò è certamente un premio agli uomini, al posto ed alla location. La Sei giorni è una gara impegnativa e selettiva con tante aspettative, quindi avremo tutti gli occhi del motorsport mondiale puntati addosso. Non sarà da meno l’importanza di avere delle situazioni di eventi collaterali, che è quello che manca un po’ nelle grandi gare internazionali. Questo starà nella testa degli organizzatori che decideranno se investire più sulla gara rendendola selettiva ed impegnativa o se penseranno anche ad una parte di spettacolo e di evento che sempre più spesso viene apprezzata dal pubblico, questa seconda ipotesi a mio giudizio sarebbe auspicabile». I giornalisti che approderanno a questa Sei Giorni arriveranno da tutto il mondo? «Certo, ogni testata invierà un proprio giornalista, dalla Nuova Zelanda, dall’ Australia, dal Giappone, dal Canada… Il 60% dei giornalisti è rappresentato dagli stranieri, questo darà una visibilità enorme all’Oltrepò nel mondo». La Sei Giorni ha un promoter che promuove la gara sui media e autoproduce il format televisivo… «Esatto la francese Bastien & Alain BLANCHARD (ABC Communication), la stessa che gestisce il mondiale. Produrrà le immagini della gara che poi ridistribuirà alle varie televisioni nel mondo. C’è anche la possibilità che qualche televisione sia interessata alla diretta della gara o ad autoprodursi immagini, accordandosi con il promoter potranno farlo, trasmettendo immagini diverse da quelle fornite dal promoter». di Nilo Combi
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Calzolaio e non solo... «Mi sono specializzato nel rivestimento di selle da moto...» L’attività di calzolaio, detto anche ciabattino, è uno dei mestieri più antichi al mondo. In passato le botteghe dei ciabattini, come una volta erano preferibilmente chiamati, erano considerate praticamente indispensabili: costruire delle scarpe era molto dispendioso a causa degli elevati costi delle materie prime, per cui era necessario ripararle più volte, cambiando le parti usurate e usando le scarpe praticamente fino ad esaurimento. Il Novecento, con la massiccia diffusione dell’industrializzazione in tutti i campi, avvia la lavorazione industriale anche nel campo delle calzature. Con l’aumento della richiesta del nuovo tipo di scarpe, la produzione si sposta dalle botteghe artigiane alle nuove fabbriche, assottigliando prima e facendo praticamente sparire poi, tutta una serie di abili artigiani, una parte dei quali andò a lavorare nelle nuove strutture industriali. Con la costante crescita dell’industria calzaturiera il mestiere di calzolaio si ridusse al lumicino, restando, ai pochi artigiani rimasti in attività, soprattutto la riparazione delle scarpe usurate ai piedi delle fasce più deboli della popolazione. Come è avvenuto per altri settori, la politica dell’usa e getta ha mandato anticipatamente in pensione i bravi calzolai. In questi ultimi anni, però, si assiste ad un timido rifiorire di antiche professioni considerate ibernate se non addirittura scomparse. In un periodo di crisi economica come quello che si sta attraversando, il mestiere di calzolaio sembra stia silenziosamente tornando in voga, anche se in maniera aggiornata. Secondo alcune indagini condotte in questi ultimi anni da alcune importanti testate giornalistiche italiane, i giovani sembra stiano riscoprendo con piacere gli antichi mestieri di un tempo e, tra quelli più in voga, c’è proprio la professione del calzolaio. A Rivanazzano Terme Alessandro Zanirato è uno di quei giovani che ha ripreso l’antica arte del calzolaio in una piccola bottega del centro storico. Zanirato, da quanto tempo fa questo lavoro e come mai ha deciso di riportare alla luce una professione, si può dire, un po’ dimenticata? «Ho aperto questo negozio nel 2007 ma questa non è la mia prima professione. Io ho studiato a Valenza, mi sono diplomato in Arte orafa e ho lavorato in un’azienda per una decina d’anni. Poi c’è stata una crisi profonda del settore dell’artigianato orafo ed ho quindi deciso di reinventarmi in un altro lavoro. Diciamo che la mia famiglia ha sempre commerciato in calzature. Il mio bisnonno e poi mio nonno, mia mamma e adesso mia sorella, hanno
Alessandro Zanirato, calzolaio, dal 2007 ha avviato la sua attività a Rivanazzano Terme
sempre avuto un banco di scarpe qui al mercato locale. Erano anni che a Rivanazzano mancava il ciabattino e le persone, quando acquistavano le scarpe di buona qualità dai miei, chiedevano sempre dove potevano portarle poi a rifare il tacco o qualche altra riparazione. Così decisi di provare a svolgere questa professione ed eccomi qui». Come ha imparato il mestiere, ha seguito qualche corso o è andato “a bottega” da un artigiano? «Ho imparato le basi da un ragazzo di Voghera che aveva già questa attività e poi, avendo abilità manuale, che è la cosa più importante nel campo dell’artigianato, tante cose le ho imparate con la pratica. Il lavoro mi piaceva ed ho quindi deciso di aprire la mia bottega». Ha avuto subito successo oppure a faticato a far conoscere il suo mestiere? «All’inizio ho dovuto farmi conoscere perché le persone non erano abituate ad andare dal calzolaio qui a Rivanazzano, però poi, nel giro di poco tempo, l’attività si è ben avviata». Un tempo si facevano riparare spesso le scarpe, poi con il boom del consumismo, le calzature venivano usate per un po’ di tempo e poi buttate direttamente nella spazzatura. In questi anni la gente è ritornata a richiedere le riparazioni? «Negli ultimi anni c’è stato un discreto ritorno. Il problema di adesso è l’invasione del mercato delle calzature di scarsa qualità, di produzione straniera come quelle
cinesi che non si possono riparare per via dei materiali utilizzati e poi, diciamolo, hanno un costo talmente basso che, a volte, costa di più la riparazione che la calzatura stessa. Io raccomando sempre ai miei clienti di valutare bene ciò che comprano al momento dell’acquisto, perché una scarpa di scarsa qualità dura pochissimo. è molto meglio comprare qualche paio di scarpe in meno ma di fattura più pregiata perché durano nel tempo. Ho alcuni clienti che hanno comprato anni fa il classico mocassino di pelle e che tutt’ora lo indossano portandolo periodicamente a far manutenzione nella mia bottega». Quali sono le riparazioni più comuni che le vengono richieste? «In genere tacchi, risuolature, cambio della fodera nella parte interna della scarpa, fino alla tintura del pellame. Da qualche anno poi mi sono specializzato nel rivestimento di selle da moto e nella manutenzione di stivali da motociclista essendo questa una zona che ha una tradizione nella passione per le motociclette. Devo dire che questo tipo di lavoro sta funzionando bene e sono molto contento». Ha qualcuno che l’aiuta o fa tutto da solo? «No, lavoro da solo e il mio lavoro mi dà molte soddisfazioni. Come tutte le attività in proprio, bisogna fare dei sacrifici, bisogna avere una buona manualità, non ci sono orari, a volte si fa molto tardi la sera per rispettare le consegne. Però, lavoran-
do con passione, si ottengono i risultati. Bisogna che i giovani tornino a riscoprire l’artigianato riportando in vita lavori di nicchia che hanno, per contro, un grande mercato. Le faccio un esempio. A Rivanazzano non c’è nessuno che ripara le biciclette, bisogna recarsi a Voghera. Sa quanta gente mi chiede dove può portare ad aggiustare la bicicletta?». Spesso e volentieri le scarpe vengono maltrattate, non vengono mai lucidate e a volte si ripongono in modo sbagliato, ha qualche consiglio da esperto da regalare ai nostri lettori? «Dico sempre ai miei clienti che il lucido non fa male alle scarpe (ride). è importante dedicare del tempo alle nostre calzature. Bisogna pulirle con un panno e lucidarle bene. In questo modo si nutre la pelle e la calzatura cambia faccia e si conserva meglio. Sarebbe importante anche riporre le scarpe alla fine di una stagione mettendo all’interno un’armatura o della carta che conserva perfettamente la forma». Progetti futuri? «Mi piacerebbe incrementare il lavoro di rivestimento delle selle da motociclista che mi sta dando molte soddisfazioni. Vorrei produrle personalizzate, su richiesta del cliente. Si possono usare materiali e rifiniture particolari con molta attenzione ai dettagli. Questo lavoro stimola molto la mia creatività e penso che sarò sempre più all’avanguardia nel settore». di Gabriella Draghi
GODIASCO SALICE TERME
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«In Valle Staffora siamo rimasti in due, per andare avanti bisogna puntare sulla qualità del prodotto» Ci sono mestieri antichi, alcuni scomparsi, altri trasformati sia a seguito delle innovazioni tecniche, sia come conseguenza del mutare della società. Tra questi antichi mestieri, oggi radicalmente cambiati, c’è quello del macellaio. Un tempo esisteva un regolamento secondo il quale ogni Comune con un numero di abitanti superiore a seimila doveva avere un macello. Il panorama di questi anni è radicalmente diverso. Prima c’erano numerosi allevatori di medie e piccole dimensioni. La necessità di avere un numero elevato di luoghi preposti al trattamento della carne nel passato trovava la sua spiegazione nel fatto che non si potevano coprire lunghe distanze per trasportare la merce senza che questa non subisse significativi deterioramenti. Grazie ai progressi della tecnica oggi è invece possibile servire zone molto vaste, pur appoggiandosi a una sola struttura. In un passato, poi non molto lontano, si viveva, si lavorava e si mangiava in modo diverso da quello attuale. Le massaie che si recavano in macelleria per acquistare un pezzo di carne erano preparatissime. Volevano vedere l’animale da cui sarebbe stato sezionato il pezzo che a loro interessava e se il macellaio cercava di raggirarle, subito veniva colto in flagrante, avevano una competenza in materia di carne da far impallidire buona parte di coloro che oggi operano nel settore. Attualmente in città, quando si desidera preparare un piatto di carne, ci si reca per lo più nei supermercati, dove, nella maggior parte dei casi, il pezzo è già pronto e confezionato. A Godiasco si trova ancora una delle poche macellerie storiche, quella di Renato Volpini che svolge il suo lavoro con grande professionalità dal 1977. Volpini, lei non è originario di Godiasco, è nato a Casanova Staffora. Quando ha deciso di intraprendere questo lavoro e come mai proprio qui a Godiasco? «Nel 1966, avevo 14 anni, non amavo molto andare a scuola e così decisi di andare a Milano ad imparare questo mestiere perché conoscevo il titolare di una macelleria che veniva dalle nostre parti a comprare dei vitelli. Il macellaio, ai tempi, andava dal contadino-allevatore, osservava il vitello e, semplicemente guardandolo e scrutandone la dentatura, riusciva a comprenderne la qualità nonché poteva ipotizzarne il peso e quindi la resa che si poteva ottenere una volta macellato. Sono rimasto ad imparare il lavoro per 4 anni e mezzo e poi il titolare di questa macelleria di Godiasco aveva bisogno di personale e, pensi, pur di avermi a lavorare, mi ha regalato la mitica Fiat 500 con
«Il disagio più grande l’abbiamo avuto nel 1996 con il fenomeno della “mucca pazza”» Renato Volpini, titolare dal 1977 della macelleria di Godiasco
la quale potevo viaggiare da Casanova. Sono rimasto a lavorare qui due anni e poi ho dovuto fare il servizio militare. Quando sono tornato, ho lavorato un anno in una macelleria a Varzi e nel 1974 ero al Vecchio Varzi che produceva salami. Nel 1977, alla fine d’agosto ho rilevato questa macelleria dal titolare che lasciava e da allora sono sempre rimasto qui». Dove macella la carne che vende nel suo negozio? «Quando ho iniziato l’attività macellavo a Voghera nel macello comunale, poi ha chiuso perché il lavoro era diminuito con l’avvento dei supermercati. Mi sono servito poi a Sommo da un macello privato e anche a Varzi prima che chiudesse. Adesso mi servo da un macellaio che ha un macello privato a Garlasco, che ora compra i capi di scottona da macellare per me». In genere, ad esempio i supermercati, macellano molto i tori perché rendono molto di più in quantità di carne. Lei preferisce trattare solo la carne di scottona, perché? «Preferisco trattare le scottone, cioè le femmine di circa 18, 24 mesi che non hanno mai partorito, perché hanno una carne più tenera, succosa e saporita anche se rendono molto meno in quantità». Da più di 50 anni lei opera su questo territorio e quindi ha potuto seguire l’evoluzione dei comportamenti delle persone per quanto riguarda il suo genere cioè la carne. Pensa che il consumo della carne sia molto cambiato con i tempi? «Rispetto agli anni passati non c’è para-
gone perché, quando ho cominciato io le famiglie erano composte da non meno di sei persone e quando acquistavano poco compravano più di un chilo di carne, la media era sui cinque, sei chili alla settimana. Il consumo di carne in questo territorio era elevato perché gran parte delle persone lavorava in campagna, un lavoro pesante che richiedeva un certo tipo di alimentazione. Ora la quantità pro-capite è molto diminuita. C’è poi la grande concorrenza dei supermercati che hanno tanti tagli pronti e confezionati e poi negli ultimi anni, un ruolo determinante lo hanno svolto i nutrizionisti che consigliano di limitare il consumo di carni rosse per rimanere in buona salute. Comunque il disagio più grande l’abbiamo avuto nel 1996 con il fenomeno della “mucca pazza”. In quel periodo abbiamo avuto un vero e proprio crollo nei consumi». La grande attenzione per la lavorazione di carni selezionate e la scelta di rimanere sul territorio come macellaio tradizionale sono riuscite a creare una clientela affezionata per la quale lei è un punto di riferimento in zona. Cosa acquista di più il suo cliente tipo? «Ho molti clienti in zona ma soprattutto tanti che vengono da fuori perché apprezzano la qualità della mia carne. Oggigiorno non c’è più molta cultura sulla scelta dei tagli, il cliente in genere si affida al mio consiglio. Certo, a volte entra la persona competente che richiede il taglio magari meno pregiato ma più adatto per tenerezza ad un determinato tipo di cottura.
I tagli che vanno di più sono i tagli per gli arrosti, i brasati, gli spezzatini, le tagliate. Il taglio che va di meno al giorno d’oggi è quello per il bollito che una volta era il più pregiato e rinomato. Oggi stanno tornando di moda alcuni tagli, come la guancia, perché le persone, seguendo le ricette degli chef sui media, sono orientate negli acquisti. Non esistono più comunque tagli che costano pochissimo. Un tempo ad esempio la trippa nelle nostre zone era molto usata ed aveva un bassissimo costo, ora non più». è soddisfatto del suo lavoro? «Sì, devo dire che se tornassi indietro rifarei sicuramente questo lavoro nonostante le difficoltà degli ultimi anni. In Valle Staffora siamo rimasti solamente in due e per andare avanti bisogna continuare a puntare sulla qualità del prodotto. Ritengo che per stare bene bisogna anche fare un passo indietro e curare al meglio la produzione animale usando meno prodotti e additivi chimici. Bisognerebbe allevare il bestiame in modo più naturale, se ne guadagnerebbe in qualità e salute. Inoltre non dobbiamo dimenticare che bisogna saper lavorare al meglio la carne, frollarla al punto giusto, è fondamentale conoscere tutte le fasi della preparazione, ovvero: disossare, sezionare, presentare il pezzo per il pubblico, mettendone in evidenza le parti migliori. Tutte queste attività devono essere svolte con sapienza e competenza per ottenere i risultati migliori». di Gabriella Draghi
SALICE Terme
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Un nuovo parco giochi - divertimenti aprirà a Giugno, una buona notizia per i bimbi e le famiglie Aprire un parco giochi può rivelarsi un ottimo investimento, considerando la crescente richiesta da parte delle famiglie di aree attrezzate in cui poter lasciar giocare i loro bimbi in sicurezza: recenti studi hanno confermato che circa il 92% delle attività legate al divertimento di bambini e famiglie è risultato vincente, e di questo 92% il 65% è in crescita. Per i bambini i parchi giochi all’aperto sono veramente importanti dato che permettono loro di potersi divertire e allo stesso tempo di poter socializzare con altri loro coetanei. Il gioco e il divertimento dunque devono essere sempre garantiti, ma allo stesso tempo tutte le norme di sicurezza non devono mai venire a mancare: un parco giochi che si rispetti deve essere dotato di tantissime attrazioni ed ovviamente deve avere tutte le attrezzature di sicurezza in grado di assicurare la libertà dei bimbi e la tranquillità dei genitori. Luca Galati deve aver pensato a tutto questo quando ha deciso di realizzare a Salice Terme il “Jeb Park”, un vero e proprio parco divertimenti per bambini, famiglie e non solo. L’area prescelta è quella antistante e attigua al “Bay Bar”, che grazie alle sue strutture logistiche, ricreative e sportive esistenti sarà parte integrante del parco giochi. La posizione è strategica: l’area, che ricade sotto la giurisdizione del comune di Rivanazzano Terme, è comunque a Salice Terme ed è posta all’ingresso del paese. Si trova nella zona del campo sportivo “De Martino”, quindi facilmente raggiungibile e dotata di ampi parcheggi, immersa nella campagna e adiacente il torrente Staffora. A Luca Galati imprenditore oltrepadano nel settore intrattenimento, l’idea di aprire un parco giochi-divertimenti deve essere venuta anche perché è padre di un bambino di 6 anni e quindi vive direttamente le problematiche relative al tempo libero per quella fascia d’età. Problematiche logistiche che coinvolgono tutte le famiglie con dei figli. Galati lei è stato, in questi decenni, uno dei “principi” della movida oltrepadana. Dalle discoteche ad un Parco Giochi: perché le è venuta l’idea di aprire proprio una struttura del genere? «Perchè la prima cosa a cui pensa un bambino quando gli viene chiesto di esprimere un desiderio, è di poter andare al parco giochi. L’idea mi è venuta così in modo naturale come naturale e spontanea è la risposta di un bambino». Il Parco Giochi che lei aprirà a breve, ha già un nome? «Sì certo, si chiamerà “Jeb Park”». Nome di fantasia o nasconde un significato? «Nulla è casuale… ho voluto dare questo nome perché per me ha un significato mol-
to importante che rivelerò solo alla fine della stagione che tra poco inizierà». A tal proposito, quando aprirà le porte al pubblico il “ Jeb Park”? «Nei programmi l’apertura è prevista per i primi di giugno e durerà per tutta la stagione estiva, indicativamente fino a fine settembre». La struttura sorgerà là dove oggi si trova il “Bay Bar”. A chi si è affidato per trasformare il “Bay Bar” nel “Jeb Park”? «All’Architetto Mariella Zanelli. Sua la firma su diversi locali notturni storici della zona tra cui il Macarios, la Rive Gauche, il Baito, il Delano, il Mom.a ed infine il Naki Beach, solo per citarne alcuni…». Perché la scelta di questo architetto? «Perché oltre ad avere per il suo ruolo dimestichezza in campo strutturale, ha Luca Galati con il figlio, in una foto di qualche anno fa quella marcia in più che per parco chi l’ha aiutata? me la rende unica. L’ho conosciuta anni «Per le attrezzature di svago e divertimenfa mentre collaborava con Maurizio Costa to come gonfiabili, tappeti elastici, giochi alla realizzazione e all’esecuzione di lavori di vario genere e giostrine mi sono avvalcommissionati da Medini per conto della so di un pool di persone specializzate nel Swatch, pezzi unici ed irripetibili. Seguensettore». do il suo percorso lavorativo, ho visto che È prevista l’aperura solamente nella faha realizzato “cose” fuori dal comune, un scia oraria serale? esempio su tutti la riproduzione di fram«Assolutamente no, certamente non tutti i menti della Cappella Sistina eseguita con giorni ma molto spesso il parco sarà aperto colori e polveri di terra. Ha delle doti non anche nelle ore diurne per eventi mirati. A comuni per l’appunto». tal proposito abbiamo preso contatti con A quali fasce di età si rivolgerà il “Jeb vari enti ed associazioni, istituti e scuole Park”? per organizzare comitive di bambini e ra«Sarà strutturato per accogliere una cliengazzi inoltre avendo a disposizione anche tela piuttosto eterogenea, in base a deterun campo da Beach Soccer organizzeremo minate fasce orarie e all’organizzazione tornei di calcio dedicati sia ai più piccoli di eventi mirati. Dalle ore 19.00 alle ore che ai più grandicelli». 23.00 il parco potrà ospitare bambini più L’area dove lei ha previsto il “Jeb Park” piccoli, diciamo quelli che vanno da una è un’area nata per la musica. Ci sarà la fascia d’età compresa tra i 3 ed i 12 anni; musica? a partire dalle ore 23.00 sarà prevista «Certamente dopo una certa ora ci sarà un un’area dedicata ai ragazzi più grandicelli po’ di musica, ma principalmente abbiamo dove verranno organizzate feste come lo l’intenzione di organizzare qualche sporaSchiuma Party, il Color Party, la Notte da dico concerto in orari consoni con l’attiviBomber, la Soccer Night ed altre tante fetà del parco con rapper famosi che si sono ste a tema che stiamo ideando». già esibiti nei mesi e negli anni scorsi al Che attrazioni e divertimenti sono preMom.a di Voghera». visti per i bambini ed i ragazzini dai 3 Saranno necessarie delle scenografie a ai 12 anni? fare da cornice a questi eventi. Farà tut«Tanti gonfiabili, piattaforme elastiche, to da solo? giostre e giostrine… In più ci saranno arti«Per quanto riguarda la realizzazione delle sti di strada e animatori che intratterranno quinte, luci, palchi ed impianto voci non i giovani ospiti». potevo che affidarmi alla Mediastar ServiPer l’allestimento vero e proprio del
ce Sound, ovvero Adriano Rossi, un amico oltre che un professionista di ottimo livello e per dare un senso al suo valore, vorrei citare uno dei suoi ultimi lavori all’interno del parco più famoso d’Italia, Gardaland». All’interno del parco i giovani ospiti saranno “sorvegliati” oppure sarà sempre richiesta la presenza di un loro accompagnatore? «Assolutamente accuditi dal nostro staff composto da persone qualificate, un genitore deve avere la serenità e la tranquillità che il loro figlio al “Jeb Park” si trova in un ambiente protetto e sicuro». “Sistemati” i bambini… le famiglie come possono passare il loro tempo al “Jeb Park”? «Abbiamo previsto un’area Food & Drinks con l’allestimento di diversi corner con varie tipologie di street food. Un’offerta gastronomica varia, adatta sia ai genitori che ai figli». Altre iniziative che pensa di realizzare al “Jeb Park”? «Siamo in contatto e stiamo organizzando i raduni di diversi club e associazioni principalmente rivolti al mondo dello sport, del motociclismo, del ciclismo e dell’automobilismo». Parlando di ciclismo… la posizione del “Jeb Park” è strategica, a due passi dalla Green Way che a breve dovrebbe trovare il suo completamento da Voghera a Varzi. Pensa sia un’opportunità? Come pensa di sfruttarla? «Con grande interesse sto seguendo l’iter realizzativo della Green Way Voghera -Varzi e stiamo pensando di allestire e dedicare un’area a tutti quei ciclisti e podisti o semplicemente a coloro che vogliono fare una sana camminata sulla Green Way. Insomma, una sorta di base d’appoggio sia dal punto di vista logistico ma anche di ristoro». Tutti i parchi giochi oltre alla valenza ludica hanno anche una valenza sociale. Qual è la sua idea in proposito? «Certamente, ritengo che un parco giochi “sano” con un ambiente “sano” possa essere un punto di approdo naturale per tutte quelle famiglie, quei bambini e quei ragazzi che decidono di passare due o tre ore di divertimento lontano dai pericoli che ahimè oggi giorno sono sempre più alla portata dei bambini e dei ragazzini. Sempre in questa direzione e con questa finalità, con le avarie autorità comunali in primis con quella di Rivanazzano Terme, Comune dove sorge la proprietà, e con altre associazioni no profit, cercheremo di fare proposte in parte gratuite e in parte con grandi agevolazioni per far divertire ripeto in un ambiente “sano” e controllato i ragazzi». di Silvia Colombini
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LA “NOSTRA” CUCINA
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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!
Volete deliziare il vostro partner con una cenetta a lume di candela, oppure aspettate ospiti importanti a cena e non avete idea di cosa preparare? Ecco una ricetta facile e molto chic con la quale stupirete i commensali: Muffin di spaghetti con trittico di mare. Perché trittico di mare? Ho pensato di utilizzare per il condimento dei nostri spaghetti, crostacei e frutti di mare quali cozze vongole e gamberi. Oltre ad essere molto buoni , i frutti di mare sono ricchi di Omega-3, proteine e iodio, svolgono un’azione antinfiammatoria su tutto l’organismo, aiutano a dimagrire e a mantenere una buona attività cardiocircolatoria. Devono il loro nome al metodo di raccolta che ricorda per l’appunto quello della frutta perché vengono raccolti uno ad uno, a mano. Sono caratterizzati da uno scarso apporto calorico e lipidico che li rende alimento ideale nelle diete ipocaloriche. Non va dimenticato l’apporto proteico, legato soprattutto alle proteine nobili, che è assimilabile a quello della carne. I frutti di mare forniscono vitamine in particolare la B12 e tanti sali minerali come ferro, iodio, potassio, selenio e zinco, un minerale indispensabile per mantenere in buona
salute l’apparato riproduttivo. Proprio per il contenuto di quest’ultimo minerale sono considerati uno dei cibi afrodisiaci per eccellenza! Mettiamoci dunque all’opera. Come si preparano: Sbucciamo il pomodoro, togliamo i semi e lo tagliamo a dadini. In una padella con un pochino d’olio mettiamo le vongole e le cozze ben lavate, copriamo con un coperchio e le facciamo aprire a fuco medio per qualche minuto. Puliamo i gamberi e li tagliamo a dadini. Togliamo i molluschi dal guscio, li mettiamo da parte con il loro sughetto di cottura e ne teniamo alcuni con le valve per la decorazione dei piatti. Ora prepariamo il nostro condimento per gli spaghetti. Mettiamo un po’ d’olio nella padella, rosoliamo lo spicchio d’aglio con il peperoncino e scottiamo i dadini di gamberi. Aggiungiamo ora la dadolata di pomodori ed infine uniamo i frutti di mare sgusciati con il loro sughetto. Mescoliamo e aggiustiamo di sale. Spegniamo la fiamma. Cuociamo ora gli spaghetti al dente in acqua salata. Intanto frulliamo alcune foglie di basilico con un po’ d’olio. Scoliamo gli spaghetti e li versiamo nella padella con il sugo ai frutti di mare e mescoliamo bene. Prepariamo due ciotoline di alluminio
pennellandole con un po’ d’olio. Utilizzando una pinza inseriamo in ogni ciotolina un nido di spaghetti completando con una cucchiaiata di sugo. Cuociamo in forno caldo a 180° per 10 minuti. è giunto il momento di impiattare. Prendiamo un piatto piano, mettiamo sul fondo una pennellata di olio al basilico. Togliamo il muffin di spaghetti dalla ciotolina e lo adagiamo sul piatto. Decoriamo con vongole e cozze che avevamo tenuto da parte. Buon appetito!! YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni. di Gabriella Draghi
Gabriella Draghi
MUFFIN DI SPAGHETTI CON TRITTICO DI MARE Ingredienti per 2 persone: 100 g di spaghetti 3 gamberi 12 cozze 15 vongole 1 pomodoro grande un ciuffo di basilico 1 spicchio d’aglio 1 peperoncino olio extravergine d’oliva e sale
MONTESEGALE
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Montesegale è sempre più un comune «ospitale» La Strategia Nazionale dell’area interna coinvolge 15 Comuni della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese, che oggi conosce alcuni fenomeni tipici delle aree interne italiane: tra il 2002 e il 2017 i 15 Comuni hanno perso oltre 1.500 abitanti, pari al 12% circa della popolazione (al netto dell’immigrazione straniera, che ha compensato solo in parte tale deflusso). I residenti sono così circa 10.800, e 4 su dieci hanno più di 65 anni. La Strategia d’area Alto Oltrepò Pavese interviene su queste dinamiche demografiche, accentuate dalla crisi economica che ha colpito il settore dell’edilizia, fino al 2009 il più importante per l’area (è l’ambito cui fanno riferimento 7 imprese su dieci, tra quelle attive nell’area). Il motto della Strategia d’area, ‘‘L’Alto Oltrepò Pavese: una comunità ‘green’, ‘slow’, consapevole e connessa’’, si realizza con forza nelle azioni per la valorizzazione e la fruizione del patrimonio culturale e ambientale, delle vie storiche e delle Greenway, e per la promozione dell’Oltrepò come destinazione turistica, come ‘‘comunità ospitale’’. Un insieme di interventi che valgono poco meno di 5 milioni di euro, su un totale complessivo di circa 21 milioni, e che rappresentano un volano anche per la creazione di mini, piccole e medie imprese innovative, legate ai servizi e all’artigianato. Ce ne parla il sindaco di Montesegale, Carlo Ferrari. Quali sono le ricadute della Strategia nel comune di Montesegale? «Il Comune di Montesegale, anche grazie alla presenza nel network dei Borghi Autentici, è fortemente coinvolto nelle azioni turistiche previste dalla Strategia d’area. In particolar modo credo sia importante segnalare due interventi strategici che cercheranno di cambiare radicalmente l’approccio turistico dell’Alto Oltrepò.» Quali? «In primis, il Piano di Sviluppo e di promozione del territorio dell’Appennino Lombardo, con risorse per 1.027.576,00 Euro. Le attività previste si suddividono in Pianificazione (definizione di un piano di comunicazione, creazione di un brand dell’Appennino Lombardo; organizzazione di proposte turistiche personalizzate, definizione di un calendario annuale di attività/eventi), Strumentazione (creazione di un portale unico dell’Alto Oltrepò con mappe navigabili, app, strumenti di interazione ed e-commerce; razionalizzazione della cartellonistica, focalizzata sul brand unico) e Promozione (realizzazione di campagne pubblicitarie multicanale e di gadget promozionali; allestimento di bike e/o educational tour per giornalisti, blogger e influencer; coinvolgimento di giovani artisti nazionali e internazionali).»
Qual è il secondo intervento strategico? «L’intervento ‘‘L’alto Oltrepò: comunità ospitale’’. Perché il turismo possa diventare un asset fondamentale dello sviluppo socio-economico dell’area dell’Alto Oltrepò è necessario ampliarne e qualificarne l’offerta. Si prevede la riqualificazione di strutture pubbliche dismesse per realizzare luoghi di accoglienza o di socializzazione.» Quali sono i soggetti coinvolti? «I Comuni coinvolti da questo progetto che vede Montesegale quale capofila sono: Borgoratto Mormorolo, Fortunago, Val di Nizza, Rocca Susella e prevedrà una stretta connessione con i comuni che si trovano sulla direttrice della Greenway quali Ponte Nizza e Bagnaria. Oltre all’azione di animazione e costituzione di una Comunità Ospitale, attraverso una manifestazione di interesse per associazioni locali, cittadini, artigiani, agricoltori ed innovatori che vogliono comporre gli attori ed i protagonisti della Comunità ospitale, si prevedono alcuni interventi infrastrutturali dedicati all’accoglienza ed alla creatività al servizio dei viaggiatori.» Quali interventi sono previsti, concretamente? «Il primo è la Creazione della Casa dell’Ospite, luogo centrale di accoglienza e incontro con il turista che intende vivere una vacanza basata sull’ospitalità del territorio. Sarà uno spazio pubblico, vivo e dinamico dove verranno svolte attività comuni e di sistema ed in cui sarà possibile entrare a contatto con gli attori locali della Comunità Ospitale.» Quale sarà la localizzazione di questa struttura? «La localizzazione (frazione Frascate) è strategica per la Valle Ardivestra, poiché è situata a poche centinaia di metri dal Castello di Montesegale, dal Campo di Tiro con l’Arco (unico campo all’aperto di tutta la Provincia di Pavia), da due antiche fonti, dal percorso Arte nella Natura e dall’antico Borgo di Zuccarelle, nelle vicinanze di due Salumifici produttori di Salame di Varzi DOP, di due sentieri naturalistici. La vicinanza al Castello di Montesegale è importante poiché permette di connettersi al Museo d’Arte Contemporanea che nel periodo maggio – settembre organizza mostre ed eventi culturali aperti al pubblico e gratuiti.» Il Castello è non soltanto un vanto ma, già oggi, un punto di riferimento per il comune di Montesegale… «La presenza di un castello così ricco di storia ha positivamente influenzato il comune aggiungendo alla ricchezza del paesaggio una tradizione d’arte incomparabile: mostre, premi, rassegne, soggiorni di pittori, scultori, convegni e opere rimaste
Carlo Ferrari
a segnare il territorio. Una delle ultime è il Dolce far nulla, opera del pittore Omar Hassan. Una panchina dipinta dal giovane artista e collocata in un punto dal panorama straordinario, allo scopo di celebrare La Natura. La panchina degli innamorati domina così i 1.483 ettari del territorio.» Cos’altro è previsto in relazione al progetto Comunità ospitali? «La riqualificazione di un fabbricato di proprietà comunale (frazione Sanguignano), con la creazione di uno spazio esperienziale connesso all’attività artistica del Museo d’Arte Contemporanea Castello di Montesegale ed al progetto ‘‘Montesegale Borgo d’Arte e di cultura’’. La riqualificazione permetterà di dare alloggio gratuito a giovani artisti disposti a lasciare nel territorio comunale almeno un’opera che andrà ad implementare quelle già esistenti al fine di caratterizzare Montesegale e farlo diventare un borgo d’arte. Sarà ricostruito, inoltre, un ‘‘forno comune’’ con materiali di recupero di un vecchio forno che sarà a disposizione della comunità, questo permetterà di far vivere al turista un’esperienza unica legata alla panificazione con l’utilizzo di lieviti madri e farine derivate dai grani di tradizione del luogo. Un forno a legna dove ognuno potrà portare il pane, i biscotti, le torte preparate in casa per cuocere insieme e nello stesso tempo tessere relazioni; un luogo dove scambiare farine e lieviti, ma anche saperi e conoscenze.» Montesegale fa parte dell’Unione dei comuni Lombarda Borghi e Valli d’Oltrepò. Vuole parlarcene? «Regione Lombardia nell’ultimo anno ha stanziato più di 300.000,00 euro a favore dell’Unione di Comuni Lombarda Borghi e Valli d’Oltrepò che è composta dai co-
muni di: Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Montesegale e Rocca Susella (2.430 abitanti e 75 Kmq di territorio). I nostri quattro comuni hanno avviato un percorso di collaborazione teso a garantire una migliore qualità ed efficienza dei servizi per i cittadini. L’intento è stato proprio quello di dar seguito al motto ‘‘l’unione fa la forza’’, sviluppando un’opportunità per efficientare i servizi ottenendo anche una riduzione dei costi di gestione. Recentemente la nostra Unione ha messo in campo lavori pubblici per più di € 500.000 progettati internamente dall’Ufficio Tecnico con un significativo risparmio sulle spese di progettazione.» Quali sono state le conseguenze per i cittadini? «Ricevere risorse da Regione Lombardia, ottimizzare le spese per i servizi e per il personale ci ha consentito una maggiore efficacia e soprattutto più efficienza che si è tradotta operativamente per il nostro comune nella possibilità di applicare una riduzione delle tasse (TARI, IMU) e nel mantenere agevolazioni fiscali (sconti sugli oneri di urbanizzazione) per chi vuole recuperare immobili sul territorio comunale.» Il suo comune fa parte dal 2009 dell’associazione Borghi Autentici di Italia. Perché Montesegale ha scelto i Borghi Autentici e quali vantaggi questa scelta comporta? «È un’Associazione che riunisce più di 250 piccoli comuni in tutt’Italia attorno ad un modello di sviluppo locale sostenibile, equo, rispettoso dei luoghi e delle persone e attento alla valorizzazione delle identità locali. Con i Borghi Autentici abbiamo intrapreso un processo di cambiamento e di miglioramento partendo dalle risorse e dalle opportunità presenti, per accrescere la qualità della vita della nostra comunità e rendere attraente lo ‘‘stare’’, il vivere e il lavorare nei nostri Borghi.» Grazie all’adesione a Borghi Autentici avete potuto proporre all’Unione Europea il progetto MacVillages… «MacVillages è l’acronomico di ‘‘Make Creative Villages - Initiate Cooperation between CCI and Villages’’ (‘‘Rendere i Borghi Creativi – avvio di processi di cooperazione tra Industrie Culturali-Creative e Borghi’’). È stato appena selezionato e finanziato nell’ambito della terza call del Programma Interreg Central Europe. Obiettivo specifico di Programma è migliorare le capacità nell’uso sostenibile del patrimonio culturale e naturale. Il budget assegnato al territorio dell’unione Borghi e Valli d’Oltrepò (Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Montesegale e Rocca Susella) è pari a euro 244.510,00.» di Pier Luigi Feltri
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VARZI
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«Messi in disparte da Alberti, per questo ce ne siamo andati» L’assessore al turismo Giulio Zanardi, il vicesindaco Roberto Antoniazzi e il consigliere Marco Nicora hanno abbandonato il loro ruolo in maggioranza convergendo in un gruppo chiamato “Varzi in Comune”. A meno di tre mesi dalle elezioni, il sindaco di Varzi Gianfranco Alberti è tecnicamente in minoranza. Terrà duro e cercherà di portare a termine il suo secondo mandato, ma i “siluri” incassati dal suo ex vice e dall’ex assessore al turismo restano un colpo pesante. Oggetto del contendere: l’avanzata della Lega in giunta. Alberti avrebbe palesemente esplicitato il suo favore per il progetto leghista che vorrebbe Giovanni Palli candidato sindaco. Zanardi & co non ci stanno, in quanto questa scelta è in aperto contrasto con la loro intenzione di mantenere “civico” (e quindi politicamente laico) il loro impegno in amministrazione. Zanardi partiamo dalla decisione sua e di Roberto Antoniazzi di lasciare la giunta. Quanto è stata premeditata e quanto “improvvisa”? Crede che il sindaco se l’aspettasse o che sia stato colto di sorpresa? «La decisione non è stata affatto semplice, ha richiesto una lunga riflessione e posso dirti che è stata gravosa sia a livello politico che umano. Cinque anni fa abbiamo preso un impegno, quello di costruire una realtà civica che sostenesse il sindaco Alberti nel suo secondo mandato. La campagna elettorale fu difficile e aspra, ma riuscimmo a convincere Varzi che quella era la strada da percorrere. In questi anni siamo stati leali e abbiamo fatto trasparire all’esterno l’unità del gruppo amministrativo, perciò credo che fosse lecito aspettarsi un confronto aperto sul futuro e così non è stato. Il sindaco ha gestito male questa situazione; non intervenendo ha creato frizioni, noi tre membri dell’attuale gruppo Varzi in Comune (io stesso, Roberto Antoniazzi e Marco Nicora) ci siamo sentiti messi in disparte. Alberti con tale atteggiamento attendista non ha coinvolto il gruppo in nessun progetto futuro, successivamente ci ha palesemente scoraggiati dall’intraprendere un’iniziativa civica e ci ha esplicitato il suo favore verso il progetto di matrice politica guidato da Giovanni Palli. A questo punto le ragioni della nostra scelta possono apparire chiare». Dunque la “presenza” della Lega nell’ambiente di governo varzese si era fatta così soffocante che avete dovuto cambiare aria? Nella vostra lettera di dimissioni avete parlato di una presenza politica in maggioranza che limita il dialogo e il confronto. In che modo? «La presenza della Lega all’interno del gruppo io non l’ho mai vissuta come un
Giulio Zanardi, ex assessore dimissionario del Comune di Varzi
peso o una costrizione, al contrario credo che il confronto di diverse opinioni all’interno di un gruppo amministrativo sia sempre una risorsa per un paese. Ciò che non abbiamo approvato è stato quanto successo nella scorsa estate, quando proprio dalle pagine del Periodico, Giovanni Palli ha esplicitato la sua volontà di candidarsi sindaco di Varzi, ambizione più che legittima, ma che non era mai stata esplicitata all’interno del Gruppo amministrativo. A mio avviso questo modo di agire ha creato disappunto e imbarazzo tra di noi e, personalmente, contattato da Giovanni Palli gli ho espresso la mia perplessità sulla sua candidatura. La mia obiezione era e resta che il responsabile provinciale per gli enti locali della Lega non può essere la figura che incarna il candidato sindaco di una lista civica. Da allora lui ha deciso di interrompere il dialogo con me. Questo è il cardine del mio pensiero e degli altri due miei colleghi fuoriusciti dalla maggioranza: una lista civica deve avere un rappresentante della popolazione libero da legami politici, dopodiché, invece, all’interno della stessa lista civica è auspicabile che ci siano liberi cittadini, rappresentanti delle associazioni e anche iscritti ai partiti politici. In questo senso era nato il progetto amministrativo del 2014, oggi quello spirito nella maggioranza è smarrito». Il fatto che le vostre dimissioni siano arrivate a pochissimi mesi dalle elezioni suona ai più come una scelta strategica in vista proprio della bagarre elettorale, che di fatto sembra aperta… «Anzitutto, come spiegato sopra, le dimis-
«Le nostre dimissioni? Una scelta condivisa anche da Alpeggiani e altri riferimenti per il territorio» sioni derivano da un malessere e da una mancanza di chiarezza. Certo, come dicono in molti, poteva succedere prima e la nostra fuoriuscita dalla maggioranza sembra tardiva. Tuttavia siamo convinti della correttezza della nostra impostazione: abbiamo sostenuto lealmente il sindaco e il suo operato sino a quando le condizioni lo hanno permesso. Poi, sicuramente questo gesto vuole essere un atto che segna la strada per la nascita di una lista civica che possa concorrere alle prossime elezioni amministrative». C’è lo zampino di Giovanni Alpeggiani dietro questa mossa? «Alpeggiani era al corrente di questa iniziativa, l’ha valutata e l’ha ritenuta opportuna per le nostre stesse ragioni. Credo anche si sia trovato in disaccordo con la visione politica del sindaco che ha intrapreso una propria strada in vista delle prossime elezioni: di fatto tale posizione favorisce l’iniziativa politica della Lega. Posso anche affermare che Alpeggiani
non è stato il solo: altre persone, che sono considerate riferimenti politici territoriali, hanno valutato come necessario questo distacco». In molti la indicano come il candidato sindaco della corrente vicina ad Alpeggiani. Sarà lei l’ “anti-Palli”? «Vorrei chiarire di nuovo un principio: a mio avviso nessuno dovrebbe autoproclamarsi candidato sindaco. Io preferisco l’espressione “mettersi a disposizione”. Ecco, quando mi è stato chiesto, mi sono messo a disposizione di un progetto di matrice civica; non sono un politico, ma un libero cittadino, imprenditore (esercitante) e avvocato (non esercitante), con le proprie idee e i propri punti di vista. E’ un gruppo che sceglie il proprio candidato, al momento opportuno scioglieremo anche questa riserva. Io, in merito, ho idee già molto chiare sul profilo del candidato ideale. Dialogo con chiunque, non ho timori riverenziali né ho paura di confrontarmi, perciò mi confronto con Giovanni Alpeg-
VARZI giani, come con altre figure politiche della zona e non. Alpeggiani è una persona che partecipa da anni alla politica della Valle Staffora, in molti ancora oggi si rivolgono a lui per consigli e per indirizzi. L’atteggiamento di superiorità o di disprezzo a priori non mi appartengono. La Valle Staffora è una piccola comunità dove ciascuno deve dialogare con gli altri al fine di migliorare la nostra situazione e creare progetti comuni. Per questo voglio ribadire che io non mi sento l’uomo di nessuno, se non di me stesso, ma credo di aver necessità di dialogare con molti». Ritiene che questo “peso” della Lega abbia bloccato o influenzato l’attività amministrativa negli ultimi mesi? «Non posso affermare questo, l’attività amministrativa è nelle mani del Sindaco. Certo è che con il nostro distacco, l’intesa con la Lega è evidentemente più marcata. Io mi sento di aver dato spunti interessanti e attenzione nell’analisi di situazioni più difficili che abbiamo incontrato in questi anni, sempre compatibilmente con i miei impegni lavorativi. La Lega mi pare che si sia sponsorizzata bene in questi anni e, come a livello nazionale, fa della campagna elettorale permanente il suo punto di forza. è la nuova vecchia politica delle illusioni, ma quando ci si risveglia la realtà è molto differente. Preferisco la concretezza, meno attraente forse, ma più sincera e veritiera». E questa concretezza negli anni del suo mandato dove si sarebbe vista? «La concretezza di cui parlo è stata dimostrata in questi anni da soggetti diversi, i quali hanno contribuito in maniera decisiva all’ottenimento delle risorse per la realizzazione della Greenway, del progetto Aree Interne e della bonifica dell’ILVA. Quest’ultima opera è fondamentale: una volta completata cambierà il profilo di Varzi ed eliminerà uno spettro post-industriale che ormai rappresentava una vera “bomba” ecologica, un risultato immenso. Il nuovo impiego di quell’area in un’ottica
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«Il sindaco ci ha scoraggiato dall’intraprendere un’iniziativa civica e ci ha esplicitato il suo favore verso il progetto politico di Giovanni Palli» eco-sostenibile sarà la scommessa principale per l’amministrazione del futuro». Appurato che non è ormai più in possesso dei numeri per essere in maggioranza, ritiene che il sindaco avrebbe fatto meglio a dimettersi? Oppure siete d’accordo che porti a termine gli ultimi mesi di mandato? «Non so quale sia il pensiero del sindaco, c’è un dato di fatto sui numeri che vedono l’amministrazione in minoranza. Le dimissioni sono un atto grave, ma in certi contesti segnano una presa d’atto di grande dignità. Non credo che Gianfranco Alberti rassegnerà le proprie dimissioni, ha davanti a sé pochi mesi di mandato dove cercherà di sopportare questa situazione complicata. C’è poi la questione della minoranza che non fa trasparire grande unità al suo interno, credo vi siano divisioni sia sulle decisioni attuali che sul futuro di Varzi. In questo senso, all’interno del Consiglio Comunale, l’unico Gruppo con idee chiare mi pare il nostro». Anche se siete usciti dalla maggioranza continuerete ad appoggiarne l’operato? Voterete a favore per il bilancio? «Il confronto avverrà realmente come Gruppo Consiliare indipendente di matrice civica e perciò vogliamo poter riflettere
sulla base dei dati che verranno presentati dall’Amministrazione». Esprima un giudizio sulla sua esperienza da assessore al turismo. Un tema “caldo” e importante per Varzi, cuore di un territorio che fatica a imparare di marketing. Di cosa è soddisfatto e di cosa no? «La mia esperienza è stata altamente formativa, consiglio a ogni persona interessata al proprio paese di vivere un’esperienza come la mia. L’amministrazione è una scuola importante e, se ben interpretata, dà l’umiltà di approcciare diversi temi e diverse competenze. Nessuno nasce amministratore, sono la volontà, la dedizione, l’intento di risolvere problemi e la visione programmatica che possono essere qualità personali adatte a questo ruolo. Il territorio della Valle Staffora e dell’Oltrepò in generale è incredibile, bellissimo e strategicamente ben posizionato. Purtroppo a mio avviso per molti anni si è dimenticato il ruolo di questa terra, la sua vocazione agricola e di riflesso, turistica. Un territorio governato dall’incuria non può essere attrattivo, perciò ritengo che anzitutto si debba progettare un sistema dove le persone possano vivere e lavorare nei propri paesi dell’Appennino, diversa-
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mente lo spopolamento avanzerà irrimediabilmente e allora non avrà nemmeno più senso parlare di turismo. A Varzi si è cercato di incoraggiare l’attività delle Associazioni e di mantenere un dialogo costruttivo con tutti. In questi cinque anni infatti, forti risorse sono state impiegate per gli eventi e le manifestazioni: sono nate nuove iniziative e sono state potenziate manifestazioni come il 1 Maggio e il Carnevale Varzese, sempre in collaborazione con le associazioni del paese. Mi fa piacere segnalare l’ultimo evento che ho seguito nel mio ex ruolo di assessore al turismo che è il progetto #belturismo, una serie di manifestazioni nei diversi centri della provincia di Pavia organizzate da Ascom in collaborazione con la Camera di commercio al fine di promuoverne prodotti tipici e tradizioni. A Varzi il prossimo 11 maggio si svolgerà un importante giornata-evento, dove sarà protagonista il Salame di Varzi DOP con degustazioni lungo le vie e i portici del borgo. Proprio il centro di Varzi diventerà teatro di osterie medievali e narrazioni guidate che racconteranno le vicende della Varzi medievale e permetteranno ai presenti di immergersi nell’atmosfera storica». di Christian Draghi
Zanardi: «Io candidato sindaco? Non mi autoproclamo, ma sono a disposizione»
santa Margherita staffora
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Mancano gli iscritti, addio alla scuola di montagna L’insegnante Elena Quatromo: «Siamo una realtà atipica che dovrebbe invece essere preservata»
Gli 8 alunni della scuola Primaria di Casanova Staffora Lei è qui da setti anni, ma da quanti scuola primaria e sono: Varzi, Casanova, La piccola scuola elementare di Casaperò funziona la scuola di Casanova? nova Staffora chiuderà i battenti il prosRomagnese, Ponte Nizza e Zavattarello». «Praticamente da sempre e ha sempre fun- E’ quindi sicuro che la scuola non restesimo anno. Troppo pochi gli iscritti per zionato bene con anche numeri di alunni rà aperta? dare continuità a un servizio che ad oggi maggiori di quelli di oggi». conta otto bimbi-alunni. Inutile dire che «Sì, sappiamo che l’anno prossimo manQuanti alunni ci sono oggi alla vostra cherà il numero minimo di iscritti e per si tratta di un ulteriore pezzo di Oltrepò scuola e quante insegnanti? montano che si sgretola. Il pensionamento questo motivo non sarà possibile mante«Ad oggi gli iscritti sono solo otto. Ab- nere aperta la scuola. La legge è sicuradella piccola realtà del Comune di Santa biamo otto bambini che coprono un’unica mente un po’ rigida e forse non rispetta Margherita Staffora andrà a braccetto con pluriclasse di seconda, quarta e quinta. In appieno le esigenze di comuni particolari quello dell’insegnante che oggi la gestitutto siamo quattro insegnanti compresa e piccoli come il nostro: siamo una realtà sce: Elena Quatromo. me, più un’insegnante di sostegno; io però un po’ atipica che dovrebbe essere preserLa chiusura del plesso andrà inevitabilsono l’unica che lavora solo su Casano- vata invece che trattata come gli altri». mente a impoverire l’offerta di un terriva, le mie colleghe lavorano anche in altri Sarà un disagi pesante per chi oggi va torio che già in ginocchio a causa dello plessi». spopolamento. «La nostra scuola è una ancora a scuola a Casanova? Davvero pochi. Come mai secondo lei? «La mancanza del nostro plesso andrà a piccola realtà “domestica”, capisco che Solo una conseguenza naturale dello la legge sia la legge, ma credo andrebbe spopolamento? trattata in modo diverso dalle altre perché «La popolazione è senz’altro diminuita, è speciale». Al danno si aggiunge la beffa: è composta da abitanti di età prevalentel’edificio che la ospita è stato oltretutto rimente anziana e i loro figli sono andati a strutturato da poco. stabilirsi in altre zone dell’Oltrepò o in Elena, lei da quanti anni insegna a Caaltre città. Qui rimangono alcune coppie sanova Staffora? giovani che per qualche motivo hanno «Mi trasferii qui sette anni fa da Milano, preferito tornare a vivere in montagna, dove abitavo e insegnavo e lo feci perché forse proprio per scappare dalla città, mio marito, originario di queste zone, ma sono davvero poche. Ad ogni modo, andò in pensione e questo era il paese anpenso che manchino proprio le nascite, ci che della mia famiglia. sono poche coppie e al giorno d’oggi si Venimmo qui ad abitare e fu un caso che fanno molti meno figli di un tempo». proprio quell’anno, l’amministrazione coQuesto, secondo lei, è l’unico motivo munale, stesse ultimando la ristrutturazioper cui mancano gli iscritti? ne di un edificio che sarebbe stato adibito «Certamente no, ci sono altri motivi proa scuola primaria del paese. Incominciai babilmente. In molte altre frazioni e zone ad insegnare qui e mi trovai da subito a vicino a noi abitano famiglie con bambini, mio agio. Oggi sono ancora l’insegnante che vanno però a scuola nella vicina Varzi, fiduciaria e la referente del nostro plesso dipende molto dalla scelta delle famiglie. scolastico che lavora sotto l’Istituto comComunque per ora, esistono 5 plessi della prensivo di Varzi». “L’intervallo” alla scuola di Casanova
gravare su quelle famiglie che abitano ancora qui e dovranno portare i figli a Varzi o in altre scuole, anche se sono sicura che il comune fornirà un servizio di trasporto. Io andrò in pensione quest’anno, ma le maestre comunque ci sarebbero. Verranno solo spostate in altri plessi». Ha definito la vostra una “scuola atipica”. Cosa la rende diversa dalle altre in Oltrepò? «Noi siamo una scuola piccola e, anche se il programma ovviamente è lo stesso istituzionale di tutte le scuole elementari, dedichiamo moltissima attenzione ai bambini e otteniamo risultati davvero soddisfacenti e spesso sopra la media; sono infatti orgogliosa di dire che dalla nostra scuola escono bambini molto preparati che poi si vanno ad unire a tutti gli altri bambini delle scuole secondarie di primo grado, ottenendo ottimi risultati. Che ci distingue sono molto cose: nei giorni in cui abbiamo il pomeriggio, siamo ospitati nella pausa pranzo da due ristoranti del nostro comune che ci cucinano un ottimo pranzo; non siamo obbligati a rispettare militarmente le campanelle e gli stacchi orari delle altre scuole; portiamo i bambini a visitare le campagne della zona e le aziende agricole; il rapporto che si crea con i bambini e i genitori diventa molto famigliare. Siamo una scuola un po’ casalinga e viviamo bene il nostro territorio! Poi siamo anche molto attenti a non far sentire i bambini diversi dagli altri a scuola, quindi organizziamo laboratori artistici e li portiamo in piscina a Voghera a seguire corsi di nuoto. Il Rotary Club della Valle Staffora ha recentemente donato una lavagna LIM alla nostra scuola che quindi ora è dotata di tutta la tecnologia necessaria: aderendo al loro programma “Scuola a Km 0” siamo anche collegati con le altre scuole dei plessi di Varzi tramite lezioni in videoconferenza». di Elisabetta Gallarate
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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI
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La cucina dei poveri: “pulenta e saràca, fügàsa coi gratòn, la busäca...” La cucina, negli anni tra le due guerre e per buona parte dell’ultimo dopo guerra può, a buon ragione, essere definita povera. Povera perché fatta di povere cose, povera perché cucina di poveri cristi, come amabilmente definiva quella gente il giullare d’Oltrepò Mario Salvaneschi in arte Lasaràt. Non era cattiva, tutt’altro, ma semplice celebrazione di scarse materie prime genuine e stagionali. Uno dei segreti era l’esaltazione della stagionalità degli alimenti causata dalla difficoltà se non impossibilità, di conservazione delle derrate. Frumento, quindi farina per pasta e pane, latte, verdure, legumi, frutta, strutto, salami e salamini dall’annuale sacrificio del maiale, vino buono e “pulärìa” prodotti del pollaio. La differenza la faceva la quantità disponibile dei prodotti summenzionati se non la loro parziale o totale assenza. In anni particolari, famiglie numerose con scarse disponibilità finanziarie o di terreno coltivabile, ebbero a soffrire fame vera, quella che attanaglia la mente prima ancora che lo stomaco. Sopravvivevano conducendo esistenze miserrime e sopportando privazioni inimmaginabili pur con la dignità di uomini veri. PANE E PASTE - Ogni famiglia contadina coltivava grano: chi per avere esclusivamente pane quotidiano e paste fatte in casa, altri, i più benestanti, per ricavare pochi danari dalla vendita dell’eccedenza. “Fà àl pân” era lavoro prettamente femminile che iniziava la sera antecedente il rito con la creazione o lavorazione della biga, pasta e prelievitata o con l’uso della pasta madre o con “al cärsènt”; proseguiva qualche ora prima dell’alba per l’impasto, il confezionamento delle gigantesche micche, l’infornamento delle stesse, la cavata dal forno in tarda mattinata e la conservazione in enormi cestine di vimini appese al soffitto, dei preziosi micconi che normalmente onoravano il povero desco per una settimana. Solo l’accensione ed il riscaldamento dei forni con l’uso di legna di scarto, era mansione maschile ma, al momento di verificare la giusta temperatura, interveniva “l’arsadùra”, la vecchia padrona di casa, che sceglieva il giusto attimo per consegnare alle refrattarie pietre roventi, il frutto del mattutino lavoro e la speranza della settimana futura. Dopo la cottura del pane, il forno conservava ancora tanto calore da poter cuocere biscotti, frutta o arrosti. Tra i meglio ricordi di molti di noi giovanotti attempati, c’è il profumo fragrante e tentatore del pane appena sfornato che, raramente veniva consegnato alla mensa di quel giorno, ma preservato gelosamente per un magro futuro a cui, almeno il pane, non doveva mancare. Con cadenza bisettimanale le donne si occupavano della pasta che veniva regolarmente confezionata in casa tranne che in rare occasioni, quale la cena
della vigilia di Natale, dove le lasagnette o trenette, rituali con i funghi secchi, venivano acquistate sfuse alla bottega del paese. Erano taglierini, tagliatelle o maltagliati confezionati a mano con l’ausilio di una magica macchinetta sfogliatrice che ogni famiglia possedeva e che i bambini adoravano vedere in azione, anzi adoravano azionare mediante una manovella da ruotare con studiata delicatezza. I “tajären” ottenuti venivano amorevolmente raccolti dalle esperte mani delle donne, poggiati su cannette stese tra due seggiole e lasciati seccare per una notte o più se la stagione umida lo consigliava. I maltagliati invece venivano lasciati sulla spianatoia abilmente infarinata, per essere riposti in capaci madie che, con la pasta, conservavano farina di grano o di mais oltre a fagioli, fave e ceci secchi pronti per una notte d’ammollo e un uso vario e ricorrente. LA POLENTA - Segnava drammaticamente il benessere anzi, il ripetuto e frequente consumo era inversamente proporzionale al benessere: più questo aumentava più diminuiva la polenta. Era l’alimento più a buon mercato, saziava, non appesantiva la digestione, non ingrassava ma quei poveretti non l’amavano molto: polenta a pranzo con contorno di poco o niente, polenta abbrustolita sulla stufa a cena accompagnata da radi pesci sotto sale “saràch o sarachèn”. Si racconta che i più poveri appendessero un lungo spago alla trave che sormontava la tavola, vi legassero per la coda una robusta “saràca” per permettere a tutti di strofinare la polenta fredda o abbrustolita, sul gustoso pesce sotto sale. Nessuno poteva però trattenere il pesce che oscillava appeso alla cordicella che scendeva dal trave: bastava per tanti commensali che si accontentavano più del profumo che della quantità di companatico. Persino la prima colazione era spesso
“Fà àl pân” era lavoro prettamente femminile che iniziava la sera antecedente il rito con la creazione o lavorazione della biga, pasta e prelievitata o con l’uso della pasta madre o con “al cärsènt”
rappresentata da polenta fredda e latte; quest’abitudine determinava assuefazione che spesso sfociava nel rifiuto, causa nausea, al solo vedere o pensare di degustare la dorata cupoletta scodellata fumante sul tavolo. Si narra di un povero fanciullo di paese, canzonato dai compagni di scuola perché ogni volta che la maestra chiedeva ai ragazzi cosa avessero mangiato la sera precedente, Lui rispondeva invariabilmente “polenta” suscitando l’ilarità dei compagni. Il nonno trovò rimedio allo spiacevole contesto del nipote: “quando la maestra ti chiederà cos’hai mangiato ieri sera tu devi rispondere risotto e non polenta”. Il pargolo sollevato attese con trepidazione la fatal domanda della maestra intrigante e prontamente rispose “ho mangiato il risotto”. La maestra intrigante si, ma non sciocca, chiese: quanta ne hai mangiato?” ed il povero tontolone sincero rispose senza riflettere “due fette!”, suscitando un inferno di risate da parte dei compagni, divertiti dal cambio di menù inventato. LATTE, BURRO E FORMAGGI - Latte appena munto, era spesso cena, oltre che colazione per grandi e piccini: una buona scodella di latte, un pochino di zucchero, qualche crostino indurito ed a volte una fettina di polenta fredda. Qualche mugugno ma l’unica alternativa era il digiuno. Il burro con il lardo, era il condimento usuale in un’economia che non permetteva l’acquisto dell’olio se non per condire le insalate. Prodotto dalle mucche dell’agricoltore, acquistato con parsimonia stante la cronica mancanza di soldi che spesso, portava a scambi di materie che richiamavano alla memoria antiche tradizioni di baratto. Privo di conservanti e di additivi vari, steso su di una fetta di pane e spolverato con un pochino di zucchero, il burro di casa era un’assoluta bontà per merende o spuntini di grandi e piccini, lungi dal preoccuparsi dell’aumento del colesterolo o del livello dei trigliceridi. Era inoltre condimento con lo strutto, di minestroni, risotti, arrosti e stufati: solo l’insalata veniva condita con il poco olio che la famiglia poteva permettersi. Veder maneggiare la bottiglia dell’olio con cura estrema, raccogliendo con il dito ogni parvenza di piccola gocciolina che tentasse di scendere lungo il collo della bottiglia, rende chiaro il motivo per cui rovesciare l’olio, nella credenza popolare, porti sfortuna: l’insalata per mesi sarebbe stata condita semplicemente con aceto e sale. Al termine dell’allattamento del vitellino, il latte delle mungiture delle mucche, sino all’asciutta tre mesi prima del porto, veniva posto in capaci recipienti di terracotta e lasciato per una notte. Affiorava naturalmente uno spesso strato di panna che veniva tolto delicatamente e posto in un apposito contenitore dove, la panna lavo-
Giuliano Cereghini rata, si solidificava in una grossa palla di burro di un bel giallo paglierino. Il residuo del latte scremato, veniva cagliato, posto in un apposito strumento bucherellato per l’uscita dello siero detto “farsäla”. La formaggella ottenuta veniva caricata di sale e dopo pochi giorni, posta a maturare in luogo asciutto. Per ottenere un formaggio più cremoso si usava cagliare il latte intero, non scremato, realizzando formaggelle tonde e morbide dette “mulän”. Quattro o cinque formaggelle, coperte da un tulle a maglia grossa, venivano in primavera poste in una capace terrina, esposte al sole e ricoperte da foglie di noce per richiamare un moscerino che, passando tra le maglie del tulle, depositava le uova sul formaggio. Le larve che ne derivavano iniziavano a nutrirsi di formaggio lavorandolo metodicamente, a partire dal centro della forma verso l’esterno. Il formaggio che ne derivava, cremoso e piccante, era ed è una assoluta specialità conosciuta in Oltrepò con il nome di “furmàg câ brüsa, nìsso, o furmàg coi bèg”. Oltre a questi pochi altri formaggi onoravano la tavola di quei tempi: qualche pezzo di parmigiano razionato con estrema parsimonia e, in rare occasioni, una fettina di buon gorgonzola che purtroppo spariva velocemente. LEGUMI - in un periodo storico dove la gente usava pochissima carne, le proteine dei legumi rivestivano enorme importanza: ceci, fagioli, fave e piselli freschi in stagione o seccati per tutto il resto dell’anno, venivano usati per minestre e minestroni, saltate in padella o servite in insalata con poco condimento. I ceci, rinvenuti dopo l’ammollo di una notte, cucinati con costine di maiale, una paio di cotichelle arrotolate e due foglioline d’alloro, fornivano una zuppa deliziosa e un secondo piatto se scolati e serviti con le cotichelle e le costine spezzettate condite con olio, aceto e sale. I piselli venivano cucinati freschi con lardo o pancetta, aggiunti a minestre e minestroni che nobilitavano con il loro tocco dolce e fragrante. Fave e fagioli oltre a caratterizzare le ricordate minestre,
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI venivano spesso serviti in insalate. I fagioli bianchi grandi “i fäsulòn o fäsulàn” servivano poi per impreziosire trippe fumanti e gustose “la busäca”. VERDURE - verze, cavolfiori, pomodori di stagione o conservati secchi o passati in bottiglia, ravanelli, rape bianche o rosse, insalate coltivate o di prato, zucche, zucchine e patate, erano prodotte da agricoltori e non, in orticelli curati e ben tenuti. Erano le poche materie abbondanti che venivano usate in quantità anche se con pochi condimenti: il trionfo delle moderne teorie nutrizionistiche! Allora assoluta necessità oltre che sano sistema di vita. Le patate erano le vere regine della cucina: presenti ovunque quando non consumate da sole arrostite o bollite. Poche primi non prevedevano le patate ricche di amidi necessari a legare minestroni altrimenti acquosi e tristi. I secondi poi venivano esaltati da patate al forno, fritte, in umido, cotte separatamente o con la pietanza di specie, o in purea arricchito da burro straordinario od infine aggiunte come componenti a frittelle varie da friggere e servire dorate. Per importanza ed uso, dopo le patate, sicuramente occupano un posto importante i pomodori o pomidori, termine allora usato frequentemente quasi ad indicare la preziosità del frutto. Insalate e sughi prevedevano l’uso quotidiano del prezioso alimento dono di Colombo al vecchio continente. Nella stagione invernale veniva usata la passata, conservata in bottiglie tappate con il sughero quale il vino o i pomodori seccati che conferivano ad alcune pietanze un aroma particolare: un tocco di merluzzo impanato e fritto, passato in un sugo di pomodoro classico, assume dignità di grande piatto se nel trito iniziale di prezzemolo e cipolla viene inserita una manciata di pomodori secchi grossolanamente tritati. Cicorie, insalate varie coltivate in orto o da campo, erbe ed erbette varie, ortiche o coste, erano sapientemente maneggiate e preparate da abili mani femminili. Rape e ravanelli stagionali erano cotti o servite freschi in insalata. Le zucchine fritte, trifolate o semplicemente bollite, erano molto frequenti in estate mentre la zucca era la regina dell’autunno-inverno. Al forno, bollita, fritta a fettine con abbondante pepe nero, purea per ripieno di ravioli, tortelli, cappellacci o caramelle o in risotti di un ammagliante colore dorato, esaltava con un sapore dolciastro magistralmente corretto e mitigato dalla cucina, tutti i piatti che sfiorava. Un posto speciale spetta al cavolfiore ed al cavolo comune. In inverno chi aggirava per il paese verso sera, nonostante le finestre fossero chiese, percepiva un persistente profumo, o meglio, odore di cavolo bollito. Se per ventura entrava in casa, in qualsiasi casa, la zaffata solferina del cavolo costituiva il benvenuto: la cena dei mesi invernali se non allietata dalla polenta, prevedeva sicuramente il cavolo o il cavolfiore in tutte le sue versioni. Il cavolo poi sgrassava ogni cibo ottenuto e serviva nei ragò o casöla, con ingredienti vari quali zampetti di maiale, salsicce, costine o musino di maiale, oca o anitra. FRUTTA - mele, pere, pesche, ciliegie, uva, fichi, noci, nocciole, nespole, sorbe, cachi e castagne erano la frutta locale integrata
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grasso in eccesso oppure aggiunti al pane o ad una speciale focaccia “fügàsa coi gratòn”. La dimensione, cioè la pezzatura dei salami, indirizzava il loro utilizzo nel corso dell’anno: la prima coppa si tagliava durante la mietitura, la prima pancetta ad agosto con il ricovero della legna precedentemente abbattuta, la seconda coppa in vendemmia e così via sino a coprire i dodici fatidici mesi dell’anno. Il futuro era legato a speranze, attese e buoni propositi: la vita selezionava gli uni e le altre senza mai violente ribellioni da parte di uomini adusi a fatiche improbe sopportate con il sorriso disincantato di chi sapeva davvero lottare per le cose in cui credeva. ALTRE CARNI O PESCI - non erano molte, per verità: qualche raro bollito di manzo, per i cacciatori lepri e pernici, per tutti passeri presi con le reti, tordi e cesene catturati con un arnese infernale “la ciàpa”, in sasso piatto sorretto da bacchettine di legno che, se spostate dai volatili, faceva precipitare su di loro il grosso sasso schiacciandoli. Lumache grandi o piccole, stufate lentamente in cocci o sui coperchi di capaci stufe a legna. Per una località lontana dal mare il solo pesce possibile era quello conservato sotto sale: merluzzo, saracche e saracchìni, oppure seccato quale lo stoccafisso. ALTRO - poche altre cose onoravano le mense di quei tempi: il futuro di uomini era legato a speranze, attese e buoni propositi: la vita selezionava le une e le altre senza inutili atti di violenza da parte di uomini adusi a fatiche improbe e a traversie sopportate con il sorriso sulle labbra e il disincanto di chi guardandosi alle spalle, scorgeva persone conciate peggio di lui. nell’inverno da qualche raro mandarino o arancia “mandarë e partëgàl”. Le mele non erano quelle attuali: erano varietà che non temevano attacchi da afidi o malattie oggi combattute con i pesticidi: pumèl ginvès, pum frascô, pum bucaprèv, pum travajë erano le varietà più note che venivano consumate o conservate naturalmente nelle cassette riposte nei magazzini. E le pere: per cävgiòn, l’estivo per strunsè, per arméla primaverile, per campana invernale di lunga conservazione, per mädärnäsa e per gnòch da mangiarsi cotti ed infine i per giasë ultimi ad essere consumati a maggio dell’anno successivo il raccolto. Uva da tavola agliénga, muscatè, ùga regina, vàprio d’Adda ed altre varietà oggi perdute. Noci, nocciole, nespole e sorbe conservate per l’inverno, castagne consumate “a bälät o bästarnà”. Piante di fichi, pesche e ciliegie non erano possedute da tutti ed i rispettivi frutti erano spesso attinti a prelievi notturni non propriamente corretti. I cachi erano una rarità non soggetta ad incursioni perché spesso presente nei cortili interni delle case. PULARÌA - il termine dialettale difficilmente traducibile, rende bene l’idea dell’argomento in discussione: polli, galline, oche, anatre, tacchini e piccioni erano tutti ricomprese nell’allocuzione “pularìa” e costituivano uno dei pilastri importanti nell’alimentazione di ricchi e poveri di quel tempo: per i poveri il pollo la domenica era già privilegio nei confronti di chi stava peggio di loro, per i ricchi polli,
galline o anatre frequentavano il desco anche tre quattro volte a settimana. Le oche erano allevate anche per il piumino, che mani esperte di donne coraggiose, prelevavano dall’animale vivo suscitando qualche leggera rimostranza, i tacchini per la vendita autunnale ricavando il gruzzoletto necessario al corredo scolastico dei tanti pargoli che schiamazzavano per casa. I riproduttori, vecchi e dalle carni saporite ma durissime, venivano spesso sacrificati in occasioni di feste o della mietitura o trebbiatura ove, appetiti da Oscar alla memoria, smaltivano quantitativi e qualità di carni oggi improponibili. Alla pularìa va sicuramente aggiunto il frutto delle fatiche dei pennuti: le uova che l’uomo trasforma in piatto prelibato gabbando le speranze riproduttive dei volatili. Fritte, in camicia, alla cock o aggiunte a sughi, intingoli, ripieni o pasticci, frittate o suflé: uova, sempre uova! IL MAIALE - altro caposaldo della cucina d’antàn: carni o frattaglie fresche, salamini e cotechini, salami stagionati, coppe e pancette erano il privilegio di molti che trovavano nelle carni insaccate e conservate, squisite leccornie conservate naturalmente e disponibili in ogni momento. Lardo e strutto erano poi i condimenti classici di una povera cucina che non disponeva di oli a buon mercato e che ne limitava l’uso alle insalate e poco altro. I ciccioli, naturalmente estratti dopo la lunga cottura delle parti grasse del maiale, erano divorati tiepidi appena pressati per asciugarli dal
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vocabolario puläria: prodotti del pollaio fà àl pân: fare il pane cärsènt: lievito tajären: tagliolini saràch e sarachèn: sacche grandi e piccole farsäla: contenitore bucherellato muläna: formaggella morbida furmàg cä brüsa: nìsso o formaggio piccante furmàg coi bègh fäsulòn o fäsulàn: fagioli bianchi grandi busäca: trippa in umido ragò o casöla: tipico piatto invernale di carni varie in umido mandarë: mandarini partügal: arance pumèl ginvés, pum frascô, pum bucaprèv, pum travajën: varietà di mele per cävgiòn, strunsè, armala, mädärnäsa, gnoch, giasö: varietà di pere uva aglienga, muscatè, ùga regina, vaprio d’Adda: varietà d’uva bälät e bästrnä: castagne cotte nell’acqua o sulle braci fügàsˇa coi gratòn: focaccia con i ciccioli ciàpa: pesante pietra sottile
CASTEGGIO
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«Mi auguro che i cittadini diventino sempre più sentinelle attive del loro territorio» Giovane, dinamico, passionario ed appassionato al suo lavoro, che dalle sue parole sembra essere più una mission, in realtà. Classe 1975, Laurea in Scienze Politiche Comparate e Cultura Europea, è Consigliere Regionale per il Movimento 5 Stelle e Segretario della Commissione Agricoltura in Regione Lombardia. Abbiamo incontrato il Dott. Simone Verni. Dottore, quando nasce in lei la passione politica? «La passione politica nasce grazie ad amici di famiglia che mi chiamarono a partecipare ad una Lista Civica per le Elezioni Amministrative Vogheresi del 2005. Fu la mia prima esperienza, a sostegno del Candidato Sindaco Massimo Sartirana. Ci presentammo con Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Italia dei Valori e Verdi, che sposavano i nostri intenti. Non fui eletto, ma entrarono in Consiglio Comunale Antonella Dagradi, lo stesso Sartirana ed un terzo consigliere, del quale mi scuso ma non ricordo il nome in questo momento...». Quando si legherà poi al Movimento 5 Stelle? «Nel 2008/09 nasce il Movimento 5stelle a Voghera, ma in realtà non ne ero assiduo frequentatore. Il promotore era Daniele Fornaro, insieme ad Antonio Marfi e Maurizio Benzi. All’epoca ero impegnato su altri fronti. Per 2 mandati son stato nella consulta del volontariato di Voghera, che comprendeva circa una quarantina di associazioni. In qualità di Capogruppo del Gruppo Scout di Voghera, rimasi per i primi 5 anni nel direttivo e, nei successivi 5 divenni Segretario». Gli Scout furono sua grande passione prima della politica? «Esatto. Sin da giovane sono stato sensibile al sociale, al volontariato. Ho iniziato a 12anni e ne avevo 37 quando lasciai. La descrivo sempre, qual è, come un’esperienza molto formativa. Ti insegna la vita, ad affrontare le sfide, ed è l’unica scuola che ti permette di fallire. è un mondo dove sbagli serenamente, perché serve ad imparare. Sono arrivato ad essere formatore AGESCI. Nel 2012 ho poi abbandonato per impegnarmi a tempo pieno nel Movimento. Ho iniziato il mio impegno su Casteggio, formando il gruppo che originariamente, come me, si incontrava a Voghera, ed estendendo l’impegno al Gruppo Provinciale». Veniamo al tema del momento: perché questa accesa battaglia No Tav? «La TAV è un progetto assolutamente inutile, realizzato per velocizzare una tratta quasi interamente commerciale già ora sottoutilizzata! Le allego fotografia del progetto: come può ben vedere, è un’impresa senza senso. Di cosa stiamo parlando?! Mi spiace che la Lega abbia fatto marcia indietro sulla questione: erano tra i primi a manifestare per il NO-TAV, giustamente a mio parere. Noti come la tratta gialla, la parte francese,
Simone Verni, Consigliere Regionale per il Movimento 5 Stelle non verrebbe presa in considerazione prima del 2038!» Anche Lei è d’accordo sul fatto che i Media nazionali vi danneggino? «La stampa ci sta certamente danneggiando! Il Movimento è visto come un cancro: ha appena fatto le riduzioni di contributi pubblici del prossimo quinquennio, che porterà i finanziamenti a zero. E alcuni giornali probabilmente non sopravviveranno. Come anche Confindustria: vada a vedere dove Confindustria ha mani in pasta, e cosa noi stiamo facendo in quei settori... Le faccio un esempio lampante: ho presentato osservazione alla Commissione Agricoltura, e combattuto, per parificare gli alpeggi e le malghe dell’Oltrepò a quelli delle Alpi. Una vittoria ottenuta, a seguito del mio interesse, per la prima volta in assoluto! In Regione Lombardia eravamo sempre esclusi dai bandi perché i nostri alpeggi e malghe oltrepadani non sono pubblici ma privati: la montagna vive problemi identici, sia al Penice sia a Sondrio. La differenza sostanziale è che la provincia di Sondrio è la terza provincia più ricca d’Italia, la provincia di Pavia è 73ma... ultima della Lombardia, che è il motore d’Italia. Regione Lombardia è una potenza, noi una zavorra. La politica regionale è certamente, da sempre, Milano-centrica e poco incline ad aiutare il fondo: ma anche in questo caso, della mia battaglia poco o nulla si è riportato tramite organi di stampa» Ha buon rapporto con il Presidente di Commissione, Dott. Ruggero Invernizzi? «Ruggero Invernizzi è un buon presidente. E’ una brava persona e sta dimostrando di essere un Presidente di Commissione corretto, attento alle istanze del territorio e molto disponibile! Ho conosciuto una persona davvero “sul pezzo”». Su quali temi si sta impegnando al momento? «Molti e diversi. Ad esempio, ho organizzato un evento a Voghera il 15 Marzo prossimo, in Sala Zonca, sul tema Infrastrutture e Trasporti. è il primo di quattro, che comprendono Pavia, Vigevano e Lodi. è un incontro pubblico al quale invito sindaci, cittadini, pendolari e chiunque voglia capire di più. Così come sto combattendo per la correzione di un altro progetto assurdo, che è la Vigevano-Malpensa».
Venendo in Oltrepò: quali le criticità? «Ad esempio i ponti, che sono a fine vita. Stiamo scoprendo che il cemento armato, materiale relativamente moderno, ha resistenza fino a poco più di cento anni. Quindi ora bisogna intervenire alla messa in sicurezza ed alle manutenzioni ordinarie e straordinarie! Per questo non mi sembra il caso di progettare la Broni-Mortara, o la Vigevano-Malpensa o la Tav... Dobbiamo utilizzare soldi per manutenzione già esistenti. Il movimento non vuole spendere soldi per Grandi Opere ma per Opere che servano! Altre criticità oltrepadane sono ambientali. I dati epidemiologici confermano che siamo una terra ad alto tasso d’inquinamento. La provincia di Pavia, non dimentichiamolo, è l’unica con 2 inceneritori, Parona e Corteolona. A Parona, poi, siamo all’assurdo: c’è l’autorizzazione del 2013, riconfermata nel 2016, per attivare la terza linea, che è vero che andrà a sostituire la prima linea che chiuderà, ma è anche vero che ora importa l’80 per cento di rifiuti da fuori regione! Che senso ha? Bisognerebbe attivare una riconversione, un trattamento di rifiuti a freddo, percorrere l’economia circolare di ri-uso, di riciclo, di recupero.
è detto abbiano ragione! Ci sono enormi implicazioni ambientali e sociali. Ambientali perché nell’ambito golenale del Po, per 600 mila metri cubi, ma si può arrivare a 1.300.000 metri cubi, scavare così vicini al letto del fiume potrebbe sia variarne il corso, mettendo a rischio il paese successivo, sia influenzare negativamente la zona del ponte di Bressana! Ma ha anche ripercussioni negative sul territorio: dividendo i 600 mila metri cubi per 20 metri cubi, che è la portata di un camion, nel centro di Bressana Bottarone dovrebbero transitare circa 40 camion al giorno, per un totale di 30 mila camion! A seguito della Conferenza dei Servizi, lo scorso Giugno, la Provincia ha rilasciato autorizzazione, non convocando però l’A.I.P.O., autorità per il Po; prevedendo la legge, in caso di superamento di 500 mila metri cubi, sia necessaria l’autorizzazione Regionale, a seguito della protesta del Consigliere comunale di Bressana Bottarone, Gianfranco Ursino, la stessa Provincia ha sospeso il tutto in autotutela, inviando la pratica in Regione! Io ho a mia volta scritto al Direttore Generale per le Cave in Regione Lombardia, che era all’oscuro di tutto, il quale a sua volta ha scritto alla ditta, che aveva presentato
Gli inceneritori, altamente inquinanti, sono vecchi e non han più ragione d’esistere. I dati su epidemie e cancro sono spaventosi. Se aggiungiamo ancora il problema dei fanghi, un milione di tonnellate l’anno». Sono battaglie nelle quali si sta impegnando personalmente? «Assolutamente! Come quella per la Cava di Bressana Bottarone, in realtà di Cava Manara. La definisco così perché la battaglia la stanno facendo gli abitanti di Bressana Bottarone. Arrivando al ponte sul Po, la sponda sud è ancora territorio di Cava Manara. La località Cascina Bella, storicamente famosa, è però un quartiere di Bressana, alla fine del quale ci sono gli argini maestri del Po. Dopo gli argini maestri, è prevista una cava. Il piano-cave della Provincia e della Regione lo prevede, ma non
domanda per poter effettuare il lavoro, di caricare tutta la documentazione sul portale regionale alla partita, S.I.L.V.I.A., ed ora staremo a vedere. Io non sono tranquillo, ovviamente: la regione, contravvenendo a due sue leggi, ha comunque già dato autorizzazione alla discarica di cemento ed amianto di Ferrera Erbognone. Anche qui siamo già attivi per opporci».. Cosa si augura per il futuro? «Mi auguro che i cittadini, come han fatto in occasione dell’impianto di pirolisi a Retorbido e come stanno facendo per la cava di Bressana Bottarone, diventino sempre più sentinelle attive del loro territorio, per difendere i loro diritti, primario quello alla salute. La mia porta è sempre aperta, mi piace sempre ricordarlo». di Lele Baiardi
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CASTEGGIO
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«La maggior parte degli spumanti italiani non sono mai 100% Pinot Nero: invece il nostro...» La storia di Ballabio winery parte da molto lontano, dal 1905, quando Angelo Ballabio decise di fondare una delle prime aziende italiane che producesse il Metodo Classico, la prima a tracciare la strada della vocazionalità che ha legato il Pinot Noir al territorio casteggiano. Angelo fu un uomo buono, semplice e con una preparazione fuori dal comune, arrivata da una vita intera spesa a fare il miglior vino possibile. Ancora oggi l’intento dell’azienda è quello di produrre un Metodo Classico in grado di esprimere ed esaltare le caratteristiche dei vigneti locali. A parlare oggi è Mattia Nevelli, giovane venticinquenne, che si occupa attualmente della parte commerciale dell’azienda. Ci racconta come è nata questa importante azienda? «La storia nasce ancora prima. Bisogna infatti partire dall’incontro tra l’enologo Angelo Ballabio e Pietro Riccadonna: i due diventati grandi amici, hanno iniziato a studiare e sperimentare il Metodo Classico. Entrambi hanno lavorato per fondare la Svic, la società vinicola di Casteggio, che era diventata famosa per il suo spumante e di cui avevano addirittura messo la targhetta sulla statua della libertà di New York. Più tardi le strade dei due si dividono e Angelo fonda l’azienda Ballabio e si mette a produrre diversi vini, tra cui il bianco fermo ‘Clastidium’ che avrà un certo successo. Così si crea una certa notorietà come enologo e per i suoi prodotti. Il suo riconoscimento più importante era stato quello di diventare fornitore della casa del Duca d’Aosta».
Mattia Nevelli, di Ballabio winery
tendo all’interno dell’azienda, verso la fine degli anni Ottanta, mio padre e mia madre, che ancora non si conoscevano. Successivamente entreranno in azienda anche mio zio e mio cugino, che lavorano attualmente lì. Pian piano tutte queste persone hanno cercato di far rifiorire l’azienda, con sacrificio e impegno. La prima cosa fatta è stata rimettere in sesto i vigneti e una parte di cantina. Poi si è cominciato con la produzione e vendita dei vini sfusi e di un po’ di bottiglie». La ripartenza è stata ancora con il Metodo Classico?
«La svolta è avvenuta nel 2002, quando mio padre ha conosciuto Arturo Ziliani, proprietario di Berlucchi» Poi la tradizione viene tramandata… «Sì, al figlio Giovanni, anche lui enologo, che aveva fondato il Consorzio insieme naturalmente ad altri soci. Lui però non aveva figli e dopo la sua morte l’azienda rimase inoperosa per circa vent’anni. Il marchio Ballabio era quindi sceso proprio perché non si produceva più». Veniamo agli anni Ottanta. «Il momento in cui due amici, che all’epoca facevano lavori completamente diversi (e che poi in futuro sarebbero diventati miei nonni!) decisero di investire nel vino e di comprare il marchio “Angelo Ballabio”. Avevano una grande passione per il vino e scelsero di iniziare questa avventura, met-
«No, all’inizio si produceva la bonarda e altri vini. La svolta è avvenuta nel 2002, quando mio padre ha conosciuto Arturo Ziliani, proprietario di Berlucchi. Berlucchi quindi è arrivato in Oltrepò Pavese per fare Pinot Nero, perché all’epoca la Berlucchi non era della Docg Franciacorta e poteva comprare i vini e vinificare in altre zone per il loro spumante. Da quel momento quindi la Ballabio diventa “centro vinificazione italiano Berlucchi”, uno dei tre centri in tutta Italia. Loro quindi hanno “affittato” la nostra cantina per produrre Metodo Classico e noi non potevamo fare altri vini del Metodo Classico. Mio padre ha davvero imparato tanto in quel perio-
do e si era fatto una gran bell’esperienza su come si producevano vini di quel tipo, sui vigneti migliori della zona e tante altre cose. Si è fatto una cultura su un mondo che fino a quel momento non conosceva alla perfezione. Il Metodo Classico è un vino speciale, che non segue il procedimento di produzione di altri vini. Percorre una strada a sé». La collaborazione con Berlucchi fino a quando c’è stata? «è terminata nel 2010, perché la Berlucchi è rientrata nella Docg e non poteva più comprare vini da altre zone, e mio padre ha quindi potuto iniziare con il suo Metodo Classico, chiamato Farfalla». Come mai questo nome? «Perché la prima vigna che ha utilizzato di Pinot Nero per le prime tremila bottiglie ha la forma di due triangoli che visti dall’alto sembrano le ali di una farfalla. Siamo appunto partiti nel 2010 con quel quantitativo e poi siamo cresciuti. Attualmente siamo sulle 40 mila bottiglie. Il nostro prodotto è cresciuto ed è stato molto apprezzato negli anni. Nel 2020 le bottiglie saranno 45 mila». Mattia, quando è entrato anche lei in azienda? «Nel 2016. Ho studiato Enologia a Piacenza e sono praticamente nato in questa azienda anche se non ci lavoravo… sono sempre stato appassionato di questo mondo, una passione che mi hanno trasmesso sicuramente i miei genitori. Nell’azienda mi occupo della parte commerciale, anche se ho iniziato in cantina vera e propria, perché se devi parlare di vino devi assolutamente sapere come si fa». Parlava prima del successo crescente del vostro vino. «Sì, è un prodotto che piace, in tutti i sensi. Piace naturalmente il vino, piace il nome semplice e piace anche il packaging. È un
prodotto particolare, perché la maggior parte degli spumanti italiani non sono mai 100% Pinot Nero: invece il nostro è come in pochissimi in Italia, come pochissime aziende sono specializzate in Metodo Classico. Noi da un paio d’anni a questa parte abbiamo scelto di specializzarci solo in questo e facciamo la linea Noir Collection, che comprende Extra Brut, Nero Dosage e Rosè. Noto poi che il mercato della ristorazione, dei bar e delle enoteche sta diventando sempre più specializzato: vanno sempre più alla ricerca di prodotti di nicchia e quindi, secondo me, un’azienda che si propone con un singolo prodotto viene vista meglio di un’altra che ha quaranta vini diversi. Tanta gente che prima non ci considerava adesso ci considera di più». Il vostro mercato è sia italiano che estero? «Per il momento solo Italia e soprattutto il nord, perché le bottiglie sono poche. Cresciamo in questo senso in concomitanza con la crescita delle bottiglie. L’obiettivo è fare bene il mercato italiano: se in futuro ci saranno i presupposti vorremmo andare oltre al nord Italia e arrivare a Roma. Qual cosina già facciamo, ma mi piacerebbe fare di più. Per l’estero il Metodo Classico non ha ancora l’appeal giusto, come per esempio il prosecco. Non è ancora il momento quindi». Il fatto di avere l’azienda in Oltrepò rappresenta un ostacolo per farsi conoscere? «No, anzi. C’è considerazione anche perché il nostro territorio viene riconosciuto come la patria del Pinot nero. Nel nord Italia quando vado in giro e parlo di Pinot Nero vedo che è davvero molto apprezzato». di Elisa Ajelli
BRESSANA BOTTARONE
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Il comitato Bimbi e Giovani di Bressana: «Un paese trascurato» Siamo tornati ad incontrare Monica Sacco, presidente del Comitato Benessere Bimbi e Giovani; in passato consigliera comunale e assessore a San Martino Siccomario, per chiederle quali sono le esigenze dei più giovani in paese, come vengono affrontate ed i suoi suggerimenti agli enti preposti. Bressana Bottarone: un paese per giovani? «Io non vivo a Bressana da molto tempo, ci abito da 13 anni. Ma l’impressione che ho sempre avuto è quella di un paese un po’ trascurato, un po’ lasciato andare sotto tanti aspetti. Non ultimi, i temi legati ai più piccoli, per i quali si potrebbe fare meglio. Ogni cosa che viene realizzata, magari anche positiva, viene poi lasciata a sé stessa, e questa non è una buona cosa.» Il comitato si interessa, nello specifico, di temi che riguardano i giovani. Parlando di strutture, aspetto di cui avete parlato in passato anche su queste pagine, qual è la situazione attuale? «Un discorso importante riguarda proprio le condizioni della scuola e della palestra. Con il comitato Bimbi e giovani ci siamo molto battuti, così come anche per il parco di via Martiri, dove abbiamo ottenuto l’installazione di un cancello elettrico. Purtroppo però devo dire che non siamo riusciti a raggiungere tutti gli obiettivi che ci eravamo prefissi.» Penso si riferisca alla palestra… «La palestra è stata data in gestione ma viene comunque utilizzata anche dalla scuola e per iniziative comunali. È un bene che dovrebbe essere curato di più, ma soprattutto rispettato. A volte non è così. Succede che i ragazzini della scuola debbano togliersi le scarpe per fare ginnastica; mentre lo stesso non è per quei ragazzi esterni che accedono alla palestra per una partita di calcetto. I quali magari utilizzano le stesse scarpe con le quali sono arrivati, con le quali camminano normalmente per strada…» Non si può dire che non si sia fatto nulla. All’inizio dell’autunno, penso anche in seguito alle vostre segnalazioni, la palestra è stata oggetto di un grande intervento di pulizie straordinarie. «Dopo questo intervento di grande pulizia la palestra è stata chiusa per un mese. A febbraio ci ritroviamo con un bimbo che si sente ancora male per la troppa sporcizia. Ci siamo recate, noi mamme del comitato, a vedere come si stato possibile e, in effetti, abbiamo riscontrato che la situazione era di nuovo indecente. A livello strutturale nulla è stato fatto. Le griglie sono sollevate come prima, i macchinari per la pulizia sono sempre rotti. È stato rifatto soltanto l’impianto di aerazione.» È successo qualcosa dopo il vostro sopralluogo?
Monica Sacco, presidente del Comitato Benessere Bimbi e Giovani «Dopo il nostro intervento, la scuola si è occupata di far ripulire la palestra dai bidelli. Hanno noleggiato il macchinario per la pulizia della pavimentazione e hanno fatto ciò che si doveva fare. Il problema è che ci vorrebbe un piano di pulizie strutturato. C’è in atto una convenzione che prevede il gestore versi la somma di 10mila euro annui al comune. Sarebbe più opportuno, in considerazione del fatto che la palestra non viene utilizzata soltanto dal gestore, farsi pagare un canone inferiore, ma demandare a questi la pulizia della struttura.» Quali sono i rapporti con la scuola? Pensa che il servizio venga svolto correttamente? «Sì, e voglio approfittarne per un ringraziamento. Di recente è stata organizzata una cosa bella per il paese, e un elogio alla scuola va fatto. Hanno organizzato questa settimana bianca allargata anche alla scuola elementare. È stata organizzata molto bene. Alcuni genitori all’inizio erano un po’ titubanti, ma tutto è stato impeccabile. Di questo vanno ringraziati gli insegnanti, che hanno reso questa esperienza unica e indimenticabile, la dirigente scolastica Maria Teresa Lopez e la vice Sonia Sarani. Come comitato ci sentiamo di ringraziare tutti quanti.» A Bressana quest’anno ci saranno le elezioni. Cosa si aspetterebbe dalla nuova legislatura, relativamente ai problemi del mondo giovanile? «Ho scritto anche un post su Facebook, a proposito della figura del buon amministratore. Il buon amministratore dovrebbe
avere a cuore il bene collettivo, quello dei propri cittadini. Perché uno si candida? Perché ci tiene al bene dei propri concittadini, a rendere il paese più vivibile. Penso ci vorrebbe un occhio di riguardo per i giovani, capire che cosa hanno bisogno, capirlo direttamente da loro.» Secondo lei, di cosa avrebbero bisogno? «Ribadisco: secondo me bisognerebbe riunirli e chiedere direttamente a loro quali sarebbero le loro esigenze. Comunque, secondo me avrebbero bisogno di luoghi di aggregazione, sia estivi, sia invernali. Ma non bisogna solo ai giovani. Anche gli anziani avrebbero bisogno di luoghi dove potersi trovare. Il paese vive di queste cose. L’Auser, a mio parere, sta facendo un ottimo lavoro sul territorio. Bisognerebbe trovare più accordi fra tutte le parti in causa, per fare qualcosa di bello.» L’attuale amministrazione ci ha provato, in effetti. Con lo skate park, per esempio. Un’opera innovativa, almeno nel nostro circondario. «Questo skate park non assomigliava nemmeno lontanamente a quello di cui avevano bisogno i giovani. È stato realizzato in un contesto dove giocano anche i bambini più piccoli. Quindi i ragazzi più grandi o non lo utilizzavano, o rischiavano di fare male ai bambini più piccoli. Soldi spesi e utili a nessuno.» Mi sembra di capire che, comunque, lei non fosse contraria all’idea di una struttura di questo tipo, di base. Dove pensa sarebbe stato meglio realizzarla? «Avremmo individuato un’area utilizzata esclusivamente per quello e con delle attrezzature un po’ più idonee. Per esempio dove è situato il campo di basket, che a sua volta non viene utilizzato.» Ci sono altre aree per le quali vuole suggerire utilizzi diversi? «Il parco vicino al comune si potrebbe utilizzare diversamente, in una maniera più consona. Sarebbe bello, come fatto da altri comuni, creare una palestra all’aperto. Una sorta di area fitness. Se tu crei dei centri aggregativi dove c’è lo sport al centro, i giovani ci vanno. All’interno di questa zona si può pensare di fornire l’area WiFi libera, dove i giovani possono perfino scaricare gli esercizi da fare. Magari a corredo dell’area si potrebbero piantumare anche alcuni alberi di media età per l’ombreggiatura. Questo per quanto riguarda l’estate. Per l’inverno, invece, mi piacerebbe se si potesse creare una sala polifunzionale. Bisogna innanzi tutto censire tutti gli immobili di proprietà del comune; tra quelli censiti individuare quello messo meglio e destinarlo a questa possibilità. Sempre parlando di beni immobili da destinare diversamente, mi piacerebbe fosse realizzata un’area di sgambamento per i cani, recin-
Il Comitato lancia l’idea: una palestra all’aperto e una sala polifunzionale per i giovani tata, chiusa, per esempio dove è programmato il parco urbano.» Parliamo anche di mobilità. Quali sono le idee del comitato in merito alle piste ciclo-pedonali? «In relazione al tratto di viale Resistenza, il fatto che la pista sia solo ciclabile crea dei problemi al pedone, che è costretto a camminare in mezzo alla strada. Se divenisse pedonale, non si potrebbe andarci in bicicletta. Di fatto, allo stato attuale, Cascina Bella è isolata. La cosa utile, invece di un tratto ciclopedonale obsoleto, sarebbe un percorso logico di collegamento un po’ più ampio, soprattutto che colleghi le frazioni Argine e Bottarone.» Pensa anche in questo caso che sarebbe utile sia per i giovani, sia per gli anziani? «Certo, anche per gli anziani. Da Bottarone è impossibile o quasi arrivare in bicicletta in paese, anche solo per fare la spesa, o per andare dal medico. Sarebbe utile a mio avviso prevedere completamenti in questo senso.» So che lei è iscritta alla Lega Nord. Pensa che i provvedimenti adottati dal governo gialloverde abbia ricadute anche in paese? «Questo governo ha dimostrato concretezza. Grazie alla Lega sono stati stanziati un bel po’ di finanziamenti per la messa in sicurezza del bene collettivo, che andrebbero bene utilizzati da chi andrà ad amministrare.» Parliamo di uno dei cavalli di battaglia della Lega: la sicurezza. «Spero approvino al più presto la legge sulla legittima difesa e pene più severe nei confronti di chi delinque.» Lei come vede la questione sicurezza a Bressana? «Proprio un paio di anni fa hanno rubato l’auto ai miei vicini di casa. E non è un caso isolato. Anche la presenza di nomadi in alcuni periodi dell’anno presso l’area adiacente alla Log Service rappresenta un problema per la sicurezza. Fare qualcosa, oggi, si può.» di Pier Luigi Feltri
verrua po
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«Siamo unici grazie alle lumache» Puntare sull’allevamento di lumache in Oltrepò è un po’ come servire birra nel Chianti. Ed è forse per questo che l’unico che lo fa ha svariate probabilità di successo. Il neonato agriturismo il Guscio, che ha aperto i battenti a Verrua Po nell’aprile 2018, sta già ritagliandosi una fetta di mercato proprio perché è l’unico, nello sterminato panorama oltrepadano, ad aver fatto della lumaca il suo prodotto principe. A conduzione strettamente famigliare, è diventato realtà grazie alla passione per la elicicoltura che ha permesso a Stefano Calvi di iniziare a soli 16 anni il suo allevamento. Oggi “il Guscio” è l’unico agriturismo d’Oltrepò che serve in tavola piatti a base di lumache “al naturale” a km0. A mandarlo avanti sono i coniugi Lucia Alberici e Maurizio Calvi, i fratelli Daniele, Lorenzo e Stefano, che è anche il titolare. Stefano, come mai la scelta di puntare sulle lumache? «L’idea frullava già da un pò nella testa di mio padre Maurizio, così una volta capito che lo studio non faceva proprio per me, ho deciso di intraprendere l’attività di elicicoltore. Ho frequentato i corsi a Cherasco in provincia di Cuneo, presso l’istituto di elicicoltura ed è iscritto all’ANE, associazione nazionale elicicoltori. Il nostro prodotto è quello che ci differenzia. In Oltrepò c’è una grande offerta di agriturismi, tantissimi legati alla coltivazione delle viti. Le lumache però si trovano difficilmente, e per questo stiamo diventando un punto di riferimento per appassionati e neofiti».
Da sinistra, in alto: Stefano, Lorenzo e Daniele Calvi sotto: Lucia Alberici e Maurizio Calvi
Che impegno comporta a livello economico? «Comporta importanti investimenti iniziali per la realizzazione dei recinti, impianto di irrigazione, inserimento di riproduttori. I nostri sono selezionati Helix Aspersa Maxima, che è la qualità di lumache che alleviamo. Una volta avviato, comporta costi di manutenzione. La lumaca ha un ciclo di vita che va dai 14 ai 18 mesi. Pertanto non c’è un ritorno economico immediato, bisogna ragionare a medio lungo termine».
La nostra linea è far sentire i clienti come a casa, in famiglia, che poi è davvero quello che succede. Lucia e Daniele si occupano della cucina. Non sono cuochi professionisti, nessuno lo è. Siamo solo molto appassionati di cucina. Per noi è importante che l’ospite si senta come a casa, curiamo la qualità del cibo, cuciniamo come per la nostra famiglia. Abbiamo un validissimo aiuto in Veronica, la ragazza di Daniele, che si occupa della sala insieme a Maurizio e a me (quando mi è disponibile, dato che ho una
grande passione, la musica, come tutti del resto, in famiglia e spesso nel fine settimana sono impegnato con il mio gruppo rock,i Tears of Angels)». L’Italia è il terzo paese mondiale per consumo di lumache, dopo Francia e Spagna. L’elicicoltura ha una storia anche in Oltrepò o voi siete un’eccezione? «Non pensiamo ci sia una grande storia. I nostri nonni mangiavano lumache quando si reperivano in maniera naturale. Per quanto ne sappiamo, nella nostra zona non ci sono altri allevamenti». In quanti modi cucinate le lumache? «Proponiamo i piatti classici: lumache alla borgogna e trifolate sono molto apprezzate. Il nostro segno distintivo sono le lumache fritte, grazie alle quali molti si avvicinano alle lumache per la prima volta. Proponiamo inoltre “novità” come i ravioli col ripieno di lumache o i risotti o gli spiedini. Grazie alla disponibilità di un forno a legna, proponiamo anche la pizza con le lumache». Com’è la clientela media? Cosa apprezza di più? «Abbiamo ospiti di tutti i tipi. Non c’è prevalenza di uomini o donne, né una differenziazione di età. Sono appassionati di lumache. è un cibo particolare. Molti vengono da noi proprio per questo». Progetti futuri? «Stiamo ampliando l’allevamento all’aperto, inoltre stiamo lavorando all’allevamento al chiuso con l’obiettivo di produrre il caviale di lumache e prelevare la bava, dato che sia i prodotti farmaceutici che cosmetici si stanno indirizzando verso il suo l’utilizzo». di Christian Draghi
Lumache in tutte le salse: fritte, nel risotto e anche sulla pizza. Sempre a km0 Quando ha iniziato ad allevare? «L’allevamento parte a fine 2016, quando avevo 19 anni. Avendo a disposizione del terreno di famiglia abbiamo fatto nascere l’allevamento proprio dietro casa». Di che tipo di allevamento si tratta? «è un allevamento interamente all’aperto, a ciclo naturale completo. La lumaca completa il suo ciclo di vita interamente all’aperto. Non si utilizzano fertilizzanti, ma si coltivano solo ortaggi appetibili per le lumache: Cavolo e bieta principalmente. Non è biologico, anche se completamente naturale».
è una sfida che la sua famiglia ha intrapreso tutta unita. Si tratta di un’esperienza nuova o qualcuno ha “Precedenti” in agricoltura? «Per tutta la famiglia è un lavoro completamente nuovo, non ci sono agricoltori in famiglia: mio papà Maurizio gestisce un’ officina metallica, Lucia mia madre viene dalla pubblicità. è una sfida che tutta la famiglia ha deciso di accettare. Tutti siamo coinvolti». Quando siete aperti e qual è la vostra filosofia? «Apriamo il venerdì sabato e domenica.
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L’allevamento di lumache a Verrua Po
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BRONI
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Terre d’Oltrepò, i soci approvano la transazione in un’assemblea ai minimi storici Ad inizio mese i soci della cooperativa Terre d’Oltrepò si sono trovati al Teatro Carbonetti di Broni a dover discutere sulla proposta di transizione da parte degli ex amministratori della cooperativa oltrepadana, i quali hanno offerto una cifra di 3,2 milioni di euro, chiedendo in cambio la revoca dell’azione di responsabilità votata due anni fa, dalla grande maggioranza de soci. Questa cifra permetterebbe alla Cantina di pagare circa il 70% della multa complessiva di 4,6 milioni di euro. Quest’ultima cifra è frutto di una “proposta concordata delle sanzioni” già avvallata dal cda e votata nell’ultima assemblea soci di metà gennaio. Da quel che è trapelato a fine assemblea, i soci hanno preferito chiudere la questione economica il prima possibile, in modo da limitare l’esposizione della cooperativa alla minore cifra di 1,4 milioni di euro. Ma non tutti i soci presenti sono soddisfatti del risultato… L’ingegnere Enrico Bardone è stato presidente ed amministratore delegato di Snamprogettibiotecnologie SpA (Gruppo Eni) per quasi 15 anni. Nel campo vinicolo, col la sua società, aveva messo a punto dei sistemi di osmosi inversa per l’arricchimento dei mosti zuccherini. Titolare di una azienda agricola presso la località Sgarbina, è stato eletto consigliere di Terre d’Oltrepò nel 2016 nella lista unitaria delle varie associazioni di categoria. Precedentemente era socio della Cantina di Casteggio, di cui la famiglia era stata fondatrice, senza mai aver ricoperto ruoli amministrativi. Fa inoltre parte del sindacato proprietari conduttori di Confagricoltura. Bardone, si è appena conclusa l’assemblea soci di Terre d’Oltrepò. Com’è andata? «In assemblea erano presenti 138 su 654 soci, praticamente poco più del 20% dei soci». Un numero abbastanza basso… «Questa è stata l’assemblea con il minor numero di partecipanti a cui io abbia mai partecipato. Anche l’ultima volta eravamo in 226. Questo è stato un segnale di disinteresse dei soci sulla situazione attuale. Molti inoltre non si presentano più in assemblea perché sono perplessi sull’andamento dei dibattiti». All’ordine del giorno c’era la votazione alla proposta di transazione degli ex amministratori. Come si sono espressi i soci presenti? «Dei presenti 103 soci, circa il 75% ha votato a favore accettando la proposta di transazione di Cagnoni e di alcuni degli ex amministratori, ritirando la richiesta dell’azione di responsabilità. Questo 75% però alla fine rappresenta solamente il 16% del corpo sociale. La cosa incredibile è che il documento ufficiale della propo-
sta di transazione è arrivato alle 13.43 di oggi. Questo ha causato parecchio imbarazzo alla dirigenza, tanto da far slittare di quaranta minuti l’assemblea. Va sottolineato che grazie all’insistenza di un socio abbiamo ottenuto che l’intero documento venisse letto in assemblea, altrimenti ci avrebbero proposto un riassunto. Da qui è emerso che la transazione non comprende solo ex amministratori, ma anche alcuni parenti dell’ex direttore. Inoltre è stato sottolineato che la transazione è “tombale”: se dovessero essere accertati successivamente altri danni causati dalla loro amministrazione, noi soci non possiamo più fare nessuna azione contro di loro». Ritiene quindi che il CDA non operi in trasparenza con i soci? «In parte sì. Siamo andati ad un assemblea senza avere determinate informazioni, nonostante le nostre richieste. A norma di legge non sarebbero comunque stati obbligati a mandarci la documentazione prima, perlomeno si poteva avere una sintesi minima delle problematiche, tanto da informare il socio. Va comunque detto che in assemblea è stato letto tutto il documento, ma avremmo preferito essere informati prima. Certo che un consiglio che convoca un’assemblea soci per discutere una transazione, ma il documento ufficiale arriva solamente alle 13.43, ha qualcosa di incredibile…». Nel 2018 lei si era candidato come consigliere nella lista contro il presidente Giorgi, che partiva sfavorito. Nonostante ciò la lista del presidente ha ottenuto il 100% dei posti in consiglio. Come se lo spiega? «Nella nostra lista sia Granata che Bagnoli non erano stati inseriti e si sono presentati autonomamente. Questo ha in parte causato una frammentazione dei nostri voti». Come vede l’operazione “La Versa”? «Io avevo votato contro, non perché avessi qualcosa in contrario a “La Versa”. Avevamo già problemi legali, fiscali e di vario genere da risolvere nella nostra cooperativa e non mi sembrava opportuno andarci ad infilare in un’operazione del genere che, anche dal punto di vista economico, si presentava rischiosa». Antonio Bagnoli, architetto e socio storico, da mesi illustra le sue perplessità riguardanti la gestione della cooperativa oltrepadana. Bagnoli, lei in assemblea ha fatto un lungo intervento… «Premesso che io sono un garantista, ritengo illogico definire una transazione quando non si sa ancora la reale colpevolezza delle persone con cui si intende transare. Dato che non abbiamo urgenza, bisogna aspettare la risoluzione penale e da ciò noi possiamo capire la gravità del
loro coinvolgimento. E poi c’è un altro discorso da affrontare…». Di cosa si tratta? «I nostri avvocati hanno chiesto più di sei milioni. Perché adesso dobbiamo accettare una transazione a 3,4 o 3,5 milioni? Hanno sbagliato i conti prima? Li stanno sbagliando adesso? Questi soldi sono stati sottratti precedentemente dalla cooperativa o vengono dal loro capitale personale? è una situazione da definire con degli indagini. Non ha senso transare in questa situazione, non possiamo chiedere il pagamento di un danno che noi soci ancora non conosciamo». Ha ottenuto delle risposte in assemblea? «No, anche se c’è stato un avvocato civilista che praticamente mi ha dato ragione, dicendo che ad oggi non possiamo ancora sapere la provenienza di quei soldi. Solo un processo penale po’ fare chiarezza». Quindi, in poche parole, che impressioni ha avuto da questa assemblea? «L’assemblea è stata la sconfitta di Giorgi, il quale ha dimostrato di essere riuscito a distruggere il corpo sociale. Non lo dico io, ma lo dicono i dati. Dei 654 soci, se ne sono presentati 138. Nessuno crede più alle assemblee, i soci si sentono presi in giro, perché di certe operazioni vorrebbero essere informati prima. La trattativa della transazione non è nata l’altro ieri, ma se ne parla da mesi e mesi. Perché allora il presidente, il quale ritiene che ci sia volontà di informare i soci sulla situazione aziendale, nelle cinque riunioni zonali non ha mai detto che stavano trattando
una transazione? Per quale motivo ci ha tenuto all’oscuro di tutto fino all’assemblea? Giorgi e tutto i consiglio sapevano quello che stavano facendo ed hanno avuto parecchie occasioni per informarci». L’avvocato Ennio Granata è titolare dell’Azienda Agricola Granata Giorgio di Borgo Priolo. è stato per quattro anni vicedirettore generale di Ersaf. Ex socio della Cantina di Casteggio, favorevole alla fusione con Broni, ha ricoperto la carica di consigliere di Terre d’Oltrepò dal giugno del 2016 all’ottobre 2017. Granata, alla scorsa assemblea lei non era presente. Cosa ne pensa della scelta fatta dai soci? «Ho preferito non partecipare all’assemblea, come è già accaduto alcune altre volte. Come socio dissenziente mi riservo l’impugnazione della delibera assembleare, in quanto ritengo dannosa l’approvazione della transazione». Cosa non l’ha convinta? «Erano stati fatti pignoramenti per l’azione di responsabilità sociale per 9,2 milioni, e hanno transato a 3,2 milioni. C’era una certa fretta di chiudere perché, così facendo, la cantina si preclude un’eventuale responsabilità di costituzione di parte civile e i soggetti, in sede penale, potranno far valere questa delibera dimostrando che il risarcimento è avvenuto. La manovra è chiara e gli interessati hanno tutto da guadagnare, chiedendo la diminuzione della pena di un terzo». Granata, lo scorso febbraio abbiamo pubblicato una sua lettera in “Lettere al direttore”, nella quale ci illustrava
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Enrico Bardone
Antonio Bagnoli
Ennio Granata
Emilio Bosini
la sua perplessità sull’operazione “La Versa”. Secondo lei, dati alla mano, c’è il rischio che Terre d’Oltrepò paghi sempre meno le uve? «Tengo a fare una precisazione iniziale: il 16 marzo entrerà in vigore la nuova legge della riforma del fallimento. Questa norma assoggetta anche le cooperative a questa procedura di riforma del fallimento con la quale non sfuggiranno alle procedure di liquidazione giudiziaria, preceduta da una segnalazione doverosa dei vari organi di controllo. Quindi, certi creditori privilegiati potranno segnalare uno “stato di allerta” e sottoporre la cooperativa alle procedure di liquidazione. Parliamo invece di “Valle della Versa srl” (società costituita ad hoc per l’acquisizione di La Versa composta al 70% da Terre d’Oltrepò e 30% Cavit, ndr). Questa ha già avuto una perdita di 512 mila euro, a fronte di un capitale sociale di 1 milione e quindi dovrà per forza essere ricapitalizzata. Il 30 giugno è vicino e non ci sono molte speranze. Per quanto riguarda il pagamento delle uve, secondo me, si farà fatica ad arrivare a pagare i 59 euro al quintale, il prezzo medio di due anni fa. Abbiamo due fattori negativi incombenti: “Valle della Versa srl” in negativo, che ha già perso più della metà del capitale sociale, e i 700 mila euro anni, per 7 anni, da restituire alle banche per l’acquisizione di “La Versa”. Purtroppo gli agricoltori se ne accorgeranno quando prenderanno la “legnata”, ma sarà troppo tardi». Sempre in merito alla lettera del febbraio scorso, Lei dichiarava che “le due società, decorsi i cinque anni, (Tdo e Cavit) possono esercitare un diritto (Put) di acquistare la quota in possesso dell’altro socio ad un prezzo ragguagliato al valore della quota del socio, da cui va detratto l’ammontare delle perdite degli ultimi esercizi”. Di questo diritto il presidente Giorgi, o gli amministratori, ne ha mai parlato con voi soci? «Attraverso un patto Cavit può rilevare il 70% di “La Versa” di proprietà di Terre d’Oltrepò. La cifra viene determinata dal valore d’acquisto una volta detratte le perdite d’esercizio. Quindi con circa 2 milioni di euro la società può passare a Cavit. Ma nessuno della dirigenza ce ne ha mai
parlato direttamente». Come sapete dell’esistenza di questo “patto”? «Ne siamo certi, anche se l’atto non ce l’hanno mai fatto vedere». Precedentemente, sempre tramite una sua lettera, avevamo pubblicato una sua risposta al Direttore Stenico, in cui parlava di una pre-esistente “spa” controllata al 98% da TDO. Più precisamente di cosa si trattava? «Anni fa era stata costituita una società “Valle Versa Spa”, con capitale sociale di 50.000 euro, controllata al 98% da Terre d’Oltrepò, con lo scopo di rilevare “La Versa” . Venni nominato amministratore unico nel gennaio 2017». E chi erano il rimanente 2%? «Altri due soci di Terre d’Oltrepò». Come mai poi non è stata utilizzata questa Spa per rilevare “La Versa”, ma ne è stata creata un’ulteriore, come Srl? «Il motivo è molto semplice. Io avevo espresso il mio parere negativo all’acquisizione di “La Versa”. Quindi essendo amministratore unico non avrei mai permesso tale operazione con queste condizioni, perché ne avevo i poteri. Non bastava il parere di Terre d’Oltrepò. Quindi il cda della cooperativa ha creato una nuova società, domiciliata presso uno studio di Milano, con la quale ha stretto i patti parasociali con Cavit, portando a termine l’acquisizione. L’Spa è stata sciolta il 22 dicembre 2017, quasi un anno dopo l’acquisizione di “La Versa”, avvenuta nel febbraio dello stesso anno. Io tentai di oppormi, ma non potevo fare nulla contro la delibera di un socio di maggioranza al 98%. è stata immediatamente liquidata ed ora risulta regolarmente estinta». Ha mai ricevuto una risposta scritta o anche orale dalla dirigenza? «Mai». Emilio Bosini, già nei primi giorni dopo lo scandalo del 2014 si era da subito fatto portavoce di quella compagine societaria estranea alle indagini. Eletto consigliere nel giugno 2016, ha mantenuto questa carica fino al luglio 2017, quando ha rassegnato le proprie dimissioni in seguito ai contrasti avuti con i vertici. Bosini, che impressioni ha avuto da
questa assemblea? «C’è poco da dire. Questa è l’ennesima sconfitta di Giorgi, il quale ha sempre “sventolato” che la cantina era parte lesa, salvo poi doversi appiattire facendo votare un patteggiamento prima e una transazione tramite la quale verranno restituiti i nostri soldi. Prima aveva sempre sostenuto che era doveroso chiedere i danni e far pagare fino all’ultimo i colpevoli». Quindi è una contraddizione? «Certo, lui ha sempre sostenuto una cosa, salvo poi portare i soci ad approvare esattamente tutto quello che è stato deciso da altri, non da noi. Noi avevamo tutte le carte in regola, lo dicevano anche lui e gli avvocati, per dichiararci parte lesa. Ora accettando il patteggiamento l’azienda si è dichiarata colpevole, ammettendo di fatto di aver ottenuto un beneficio pari a 18 milioni di euro e quindi di essere stata correa con l’operato dell’ex direttore Cagnoni. In occasione di questa decisione l’azione di responsabilità non aveva più senso. è già un successo aver portato a casa dei soldi, che poi sono i nostri soldi. A questo punto bisognava essere coerenti, farsi dare i soldi da Cagnoni e non andare a chiedere nulla agli altri amministratori e finirla lì. Oppure si andava a chiedere i soldi a tutti quelli che hanno concorso a questa situazione. O tutti o nessuno». Se l’illecito iniziale era di 18 milioni, come si è arrivati a pagarne solo 4,5? «Facciamo chiarezza. 18 milioni di euro
riguardavano il rischio potenziale stimato dalle indagini, non era una sanzione. La vera domanda è: la nostra azienda cosa ha fatto per dimostrare che l’illecito non era di 18 milioni ma poteva essere inferiore? Qualcuno ha mai pensato di fare delle controperizie per dimostrarlo? No. Ci si è solo premurati di trattare con il PM un patteggiamento e ridurre la cifra». Subito dopo lo scandalo lei si candidò, insieme ad altri nomi nuovi, contro la lista di amministratori storici. Il corpo sociale all’epoca votò in maggioranza per riconfermare la “vecchia guardia”. Pensa che se allora si fosse votato diversamente, si sarebbero limitati i danni? Oppure la situazione, essendo già tragica, sarebbe stata incontrollabile? «Io ritengo che la situazione sia più tragica adesso di allora. All’epoca c’era un’amministrazione che dal punto di vista etico, morale e di immagine non poteva più restare in carica. Erano tutti indagati, alcuni anche per associazione a delinquere, quindi non aveva alcun senso riconfermarla. Noi siamo stati eletti un anno e mezzo dopo. In questo periodo molte cose potevano essere sicuramente fatte, ma ormai la situazione era quella. Ora non è di certo meglio di prima, in quanto ci sono degli indagati “pesanti”, rinviati a giudizio, che siedono nel consiglio». di Manuele Riccardi
«La cosa incredibile è che il documento ufficiale della proposta di transazione è arrivato alle 13.43 di oggi»
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I “segreti” del Carbonetti «è il teatro della gente» Stradella ha riaperto ormai da tanti anni il suo prestigioso teatro sociale, Voghera ha messo in moto nei mesi scorsi la ristrutturazione del suo antico teatro e anche il piccolo paese di Montù Beccaria ha il teatro Dardano che riesce a dare parecchie soddisfazioni. Broni in questo senso non è da meno: da quando ha riaperto il Carbonetti, si registra un successo dopo l’altro. Abbiamo cercato di analizzare la ricetta di questo successo insieme al sindaco Antonio Riviezzi e al presidente dell’associazione Amici del Teatro Carbonetti, Marco Rezzani. Sindaco, negli ultimi tempi l’Oltrepò sta puntando molto sui teatri per il rilancio del territorio: Broni, Stradella e presto anche Fortunago e Voghera: perché percorrere questa strada? «Sono convinto che il rilancio di un territorio passi per molti fattori: qualità, ospitalità e varietà di servizi, anche culturali, per attrarre nuovi visitatori e fidelizzare quelli abituali. Per questo motivo, occorre puntare sulla cultura e sull’organizzazione di eventi di livello. In un tale contesto, i teatri cosiddetti “di provincia” devono e possono svolgere un ruolo importantissimo di valorizzazione del territorio e del tessuto economico e sociale in cui sono radicati. Per ciò che concerne Broni, il Teatro Carbonetti è una parte integrante della nostra città, non solo come edificio storico, ma come luogo di incontro: abbiamo un teatro storico che per tanti anni ha ricoperto un ruolo centrale nella vita del paese, basti pensare agli anni d’oro delle riviste e delle commedie dialettali degli anni settanta. Negli ultimi anni, il Carbonetti sta diventando sempre più una vera e propria vetrina a disposizione delle eccellenze del territorio; un luogo non solo di intrattenimento e di promozione culturale, ma anche uno spazio a disposizione di tutta la comunità di Broni e dintorni dove proporre prodotti, progetti e collaborazioni agli spettatori del luogo ma anche a quelli, sempre più numerosi, che ci raggiungono, oltre che da Milano e dintorni, dal Varesotto, dal Piacentino, dal Cremonese, dal Piemonte e perfino dalla Liguria, con ricadute positive anche per gli esercizi pubblici cittadini». Negli ultimi anni il pubblico che segue il Carbonetti è aumentato: quali sono state le novità della stagione di quest’anno rispetto agli anni scorsi? «La stagione in corso è il risultato di un lungo lavoro progettuale da parte dell’Amministrazione Comunale di Broni in collaborazione con le realtà e le Associazioni culturali locali, finalizzato a valorizzare la ricchezza e la varietà dei generi proposti, per intercettare ogni fa-
Nuova stagione col botto: su 13 spettacoli 5 da tutto esaurito. Media di presenza degli abbonati all’85%
Antonio Riviezzi
scia d’età e soddisfare quante più possibili tipologie di interesse, grazie anche alle preziose indicazioni del pubblico. Il cartellone 2018/2019, infatti, è stato ideato e calibrato sulla base dei consigli e dei desiderata del nostro numeroso ed affezionato pubblico, grazie ai questionari raccolti nell’arco dell’intera stagione precedente. Da un punto di vista qualitativo, la stagione 2018/2019 segna la maturità del Carbonetti: facendo tesoro delle passate stagioni, l’offerta di spettacoli in programma ha costituito un unicum in grado di divertire, emozionare, commuovere, avvincere ed appassionare. Non solo, è una stagione che, pur garantendo leggerezza e divertimento, è stata in grado di regalare degli stimoli e degli spunti di riflessione non scontati. Fin dal 2013, l’anno della riapertura, abbiamo sottolineato come lo scopo del rinato teatro fosse aprirsi al territorio, diventare una parte integrante e un punto di riferimento nella vita di artisti e associazioni culturali locali, ed è con questo spirito che abbiamo introdotto una grossa novità di quest’anno: “InOltre”. Si tratta di una vera e propria rassegna che, all’interno del cartellone, raccoglierà una serie di eventi e spettacoli proposti e realizzati da realtà del circondario che hanno le proprie radici culturali nel territorio provinciale. Con “InOltre” il Carbonetti si è messo a disposizione delle energie creative oltrepadane, ospitando, per fare un esempio, Silvio Negroni e i ‘Fiö d’la nebia’, stori-
co gruppo musicale dialettale pavese che qui presenterà il nuovo album. Non solo: sondando tra le nostre stupende colline, abbiamo scovato appassionati di tango che hanno organizzato una serie di appuntamenti dedicati nel ridotto del teatro, con protagonisti i musicisti argentini nella magia dell’abbraccio danzato; e poi ancora balletto, musical, serate a tema: tutti i protagonisti di “InOltre” trovano la propria cornice ideale qui su questo palco». Altra novità importante, l’aumento degli spettacoli gratuiti in cartellone: perché questa scelta? «Crediamo molto nella valenza culturale e non solamente economica che il teatro ha all’interno della nostra comunità; offrire spettacoli gratuiti è uno strumento per aprire le porte del teatro a tutti, avvicinandosi a quelle famiglie, a quei giovani ed a quegli anziani che, per vari motivi, non sono mai potuti venuti a teatro o sono venuti pochissime volte negli ultimi anni. Ci sono inoltre alcuni temi, alcune ricorrenze, che ci sono cari e riteniamo che valga la pena offrire, tramite gli spettacoli, uno spunto di riflessione alla cittadinanza. Rispetto alla scorsa stagione abbiamo portato il numero di appuntamenti gratuiti a quattro, due di questi si sono già svolti: la serata natalizia con Celtic Harp Orchestra, lo spettacolo Barbablù 2.0, della Compagnia Teatro In Mostra, per rendere omaggio alla Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, tema purtroppo di estrema attualità, e lo spettacolo “Donne nella mia Vita” con Claudia
Penoni, con il quale abbiamo festeggiato la ricorrenza dell’8 marzo. Infine, nell’ambito dei festeggiamenti per il 25 aprile, il 24 sera ci sarà lo rappresentazione dello spettacolo “Sotto i girasoli” della Compagnia Punto Teatro Studio di Milano». Anche se la stagione è ancora in corso, ci può anticipare come sta andando ? «Come sempre, preferisco che a parlare siano i fatti, nelle fattispecie i numeri, sempre in crescita, non solo della migliaia di persone entusiaste che ogni anno riempiono la platea del Carbonetti, ma anche delle scuole di danza e delle associazioni sportive che sempre più trovano nel nostro teatro lo spazio ideale per poter far esibire i propri ragazzi. Per quanto riguarda l’attuale stagione, dei 13 spettacoli che sono già andati in scena, 5 hanno registrato il tutto esaurito, mentre gli spettacoli in abbonamento hanno fatto registrare finora una media di presenze dell’85% della capienza totale del Carbonetti. Per molti spettacoli gli spettatori sono venuti da fuori, non solo dal resto della provincia, ma da fuori provincia, anche da Milano. Indubbiamente avere visitatori che scoprono la nostra città è il primo passo per aumentare l’indotto non solo del teatro ma di tutte le attività commerciali, che acquisiscono nuovi potenziali clienti. Siamo molto positivi anche per quanto riguarda le affittanze: stiamo registrando un interesse crescente per l’utilizzo del teatro non solo per le rappresentazioni ma anche come sala conferenze, in modo da sfruttarne appieno il potenziale. Sono numeri importanti, se pensiamo che il Carbonetti è quasi un teatro “neonato” rispetto, ad esempio, al Sociale di Stradella, realtà consolidata nel territorio la cui attività non ha subito interruzioni per un lunghissimo periodo come a Broni».
BRONI E per quanto riguarda i giovani? Qual è il loro rapporto con il teatro ? Avete degli eventi in programma? «Suscitare l’interesse dei giovani e far loro conoscere il teatro è importantissimo per noi, ed è con questo preciso scopo che l’anno scorso abbiamo aperto le porte del teatro a youtubers e spettacoli dedicati ai piccolissimi, e la risposta è stata molto buona. Visto il successo dell’iniziativa dello scorso anno, infatti, abbiamo confermato per stagione in corso la rassegna Di.Do. Menica, una vera e propria “mini stagione” dedicata ai più giovani, pensata e studiata per avvicinare i ragazzi e le famiglie al magico mondo del teatro». Di cosa si tratta? «“Di.Do.Menica”, si basa su una specifica progettualità artistica e psicopedagogica in grado di parlare linguaggi ed utilizzare metodologie proprie dell’infanzia e dell’adolescenza, per far sì che i protagonisti degli eventi rappresentati non siano solo gli attori, ma anche e soprattutto tutti i giovani spettatori e i loro familiari. Come sperimentato con successo la scorsa stagione, anche quest’anno abbiamo inserito tra le proposte delle attività correlate agli spettacoli, come ad esempio la “Gita a teatro”, alla quale hanno partecipato bambini e genitori curiosi di scoprire i luoghi nascosti del Teatro Carbonetti e cosa si cela “dietro le quinte” dello spettacolo a cui assisteranno. Per quanto riguarda il pubblico adolescente abbiamo deciso di riportare alcuni dei più famosi youtuber a teatro, raddoppiando gli appuntamenti rispetto alla scorsa stagione, organizzando due eventi dedicati alle star del web: gli Autogol e Jack Nobile. Entrambi gli spettacoli hanno registrato un ottimo dato sulle presenze e sono stati apprezzati dal giovane pubblico. Perché organizzare incontri proprio con personaggi dei social network? «Questi “incontri ravvicinati” sono stati pensati per offrire ai ragazzi di paesi come Broni e dintorni, la possibilità di confrontarsi e vivere dal vivo realtà che altrimenti sarebbero percepite come distanti ed irraggiungibili. Eventi come questi sono indispensabili per far sì che il “luogo teatro” diventi sempre più spazio indispensabile all’interno del nostro tessuto urbano e sociale, luogo che ogni volta si sappia riproporre in modo diverso in maniera accattivante e sorprendente in particolar modo per i più giovani». Avete dedicato uno spazio anche al cinema, giusto? «Sì, con il “Nuovo Cinema Broni”: una vera e propria rassegna di 2 proiezioni, organizzata in collaborazione con l’Associazione Consulta Giovani Broni, che si è svolta in galleria ed ha registrato un buon numero di presenze». Avete previsto anche spettacoli per le scuole? «La scorsa primavera abbiamo organizzato, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo di Broni e l’Associazione Consulta Giovani, due iniziative di prevenzione e contrasto al cyberbullismo,
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Marco Rezzani, Presidente Associazione “Amici del Teatro Carbonetti”
rivolte agli studenti ed a tutta la comunità. Visto il feedback positivo che abbiamo ricevuto, anche quest’anno collaboreremo con l’associazione e con le scuole per proporre ai ragazzi temi difficili attraverso il teatro». Un teatro è un’organizzazione complessa, come si concilia la funzione culturale che svolge il Carbonetti con i vincoli di un bilancio comunale? «Gestire un teatro è un lavoro complesso e continuo; dal punto di vista economico, vale la pena ricordare che l’attività del teatro impegna solo l’1,8 per cento delle spese correnti del bilancio comunale. Negli ultimi anni, l’impegno costante è stato quello di contenere i costi e lavorare per aumentare le entrate, soprattutto con gli sponsor privati: si tratta di un lavoro complesso, nell’ottica di continuare a garantire la qualità delle proposte». Marco Rezzani è il presidente dell’associazione “Amici del Teatro Carbonetti”. Presidente, come è nata l’idea di fondare questa associazione? «L’idea si è concretizzata sul finire del 2012. Man mano che i lavori di ristrutturazione del Carbonetti si stavano avvicinando al termine, si è rafforzata la convinzione che, in qualità di cittadini di Broni appassionati di cinema e teatro, avremmo dovuto dare il nostro contributo, fare la nostra parte per celebrare al meglio l’evento storico della sua riapertura. Dopo anni di silenzio vogliamo far sì che il teatro riacquisti il suo ruolo essenziale e indispensabile nel cuore del sistema culturale di Broni e del territorio. E pensiamo lo stia riacquistando». Come è strutturata l’Associazione? «L’Associazione Amici del Teatro Carbonetti non ha scopo di lucro. Il funzionamento è regolato da uno statuto che prevede i seguenti organi: il presidente, il consiglio direttivo e l’assemblea degli
associati. Le cariche associative sono prestate a titolo gratuito». Quali sono le finalità? «In primis, ci si impegna a sostenere le attività del Teatro Carbonetti. Il fine primo della nostra associazione sta nel nome che porta: aderire alla nostra associazione significa essere prima di tutto “Amici” del teatro, significa essere convinti dell’importanza del teatro per la vita culturale e anche sociale della nostra città. In secondo luogo, l’associazione rappresenta le esigenze e le necessità culturali del territorio, favorendo nella comunità dell’Oltrepò orientale e delle zone limitrofe sinergie, legami sociali e culturali con il Teatro e viceversa. Inoltre offriamo il nostro contributo per l’attuazione dei programmi annuali del Teatro Carbonetti, formulando proposte che tengano conto dell’interesse e delle necessità della comunità. Ci occupiamo inoltre dell’organizzazione di eventi in concomitanza dei singoli spettacoli come pure della promozione degli spettacoli attraverso la diffusione del materiale pubblicitario». Quanti iscritti conta oggi l’Associazione? «Attualmente siamo a 400 soci, un numero di tutto rispetto, ma che vorremmo crescesse ancora». Quali sono i vostri prossimi obiettivi? «Continuare a lavorare per il teatro. Oltre a perseguire le finalità previste dallo statuto, continueremo a darci da fare, in collaborazione con l’Amministrazione comunale, per coinvolgere sempre di più cittadini, associazioni e società civile intorno al teatro. Infine, proseguiremo nella nostra opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica rispetto alle attività che si svolgono all’interno del Carbonetti all’insegna della multidisciplinarietà, comprendendo le
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arti figurative, le arti musicali, il cinema ed altro». Come ci si iscrive? «Chi volesse aderire, può scrivere una mail all’indirizzo info@amicidelteatrocarbonetti.it. In alternativa, può recarsi presso il teatro negli orari di apertura della biglietteria». Ora veniamo alla stagione 2018-2019. Cosa può dire al riguardo? «Il cartellone di quest’anno ci sta regalando emozioni davvero notevoli. E l’emozione deriva certo dalla qualità degli spettacoli che abbiamo visto e di quelli che ancora ci attendono, ma ancor più siamo emozionati nel constatare la risposta del pubblico che è di tanto entusiasmo e partecipazione. Vedere il teatro in molte occasioni sold out non può che riempirci di gioia e in questa stagione si è dovuto parlare in diverse occasioni di “tutto esaurito” al Carbonetti: con Lillo e Greg, con Giacomo Poretti, con Enrico Bertolino, con Cesare Bocci e Tiziana Foschi, con Gabriele Cirilli. Come associazione non possiamo quindi che dirci soddisfatti. Non solo per la risposta del pubblico, ma prima ancora per il livello del cartellone di quest’anno che ha saputo coniugare qualità, notorietà dei protagonisti e quella buona dose di “popolarità” che deve avere il nostro teatro». Cosa intende con “popolarità”? «Si intende un teatro che sa incrociare i gusti della nostra gente. Direi “nazional popolare” nell’accezione più alta del termine. Il nostro teatro ha alle spalle una storia ed uno stile che non possono e non devono essere dimenticati. Il Carbonetti, infatti, ha sempre avuto nel suo Dna quel voler essere teatro “della gente”, in grado di offrire spettacoli di livello con volti noti (chi non è transitato negli anni del suo splendore a Broni?), capaci di suscitare riflessioni anche profonde, ma sempre con quella giusta dose di leggerezza e con un pizzico di sorriso sulle labbra che non guasta». Tra gli spettacoli che già sono andati in scena, ce n’è qualcuno che le è particolarmente rimasto nel cuore? «è difficile rispondere. Ogni spettacolo è un capitolo a sé. Come dicevo prima fin qui il cartellone ogni sera ha regalato suggestioni. Se proprio devo spendere una parola, la spendo per lo spettacolo di Cesare Bocci e Tiziana Foschi, quel “Pesce d’aprile” che ha commosso tutti i presenti. E lo faccio non tanto per la bravura dei protagonisti che ci è ben nota, ma per il fatto che quella sera il Carbonetti ha scritto una bellissima pagina, ha reso un servizio alla comunità. “Pesce d’aprile” ha affrontato il tema della disabilità, in un modo tanto profondo che la gente usciva da teatro con le lacrime agli occhi. Ecco, io credo che il teatro debba fare anche questo: far riflettere e far pensare, sempre con il sorriso sulle labbra, ma non può assolutamente venir meno a questa missione educativa. E come associazione impegnata nella promozione culturale non possiamo che dirci felici di tutto questo». di Elisa Ajelli
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«Una città che vive solo di slogan, ma che di fatto si sta spegnendo»
Vincenzo Nese
A due mesi dalle elezioni a Stradella regna ancora il caos per quanto riguarda i candidati sindaci. Se da una parte, è tutto chiaro con Alleanza Torre Civica che schiererà nuovamente Piergiorgio Maggi, dall’altra parte le idee sembrano essere ancora abbastanza confuse. Non vi è al momento nessun nome certo per la carica di primo cittadino. Abbiamo chiesto quindi a qualche commerciante della città cosa si aspetta da queste nuove elezioni, se ci sarà il cambiamento auspicato da qualcuno nei mesi scorsi, se si modificherà davvero qualcosa in città e cosa si aspettano comunque dalla nuova Giunta, qualsiasi essa sia. è emersa una grande voglia di novità e innovazione, di manifestazioni che portino più gente in città e qualche proposta interessante… Vincenzo Nese, proprietario della pizzeria gourmet “Lo scugnizzo” «Non so come andranno queste elezioni. Credo comunque che sia più semplice e giusto proporre nuove idee amministrative piuttosto che dire ad un commerciante come fare il suo lavoro. Il commercio come tutti sappiamo è il principale ingranaggio della grande macchina economica e se questa si blocca e inizia ad andare in crisi non è solo il singolo imprenditore a perderci ma l‘intera città. Personalmente credo che occorrano tante proposte per supportare e incentivare il commercio cittadino, elaborando e soprattutto attuando un programma condiviso con la sinergia di tutti, promuovendo eventi che coinvolgano la popolazione alla fine di riportare i cittadini nelle vie del centro. Io metterò a disposizione tutto il mio entusiasmo e tutte le mie idee per la nostra amata Stradella». Manuela Maggi e Marco Pezzoni, titolari dell’erboristeria “L’angolo”
Manuela Maggi e Marco Pezzoni
«Da commercianti ci abbiamo messo il nostro impegno per riaprire una nuova attività. Servirebbero però tante nuove iniziative in città, se no il commercio muore. Secondo noi è stato anche fatto qualcosa, come l’illuminazione che è molto bella, e hanno cercato di fare... ma c’è bisogno di qualche novità. Anche le manifestazione classiche come il Caffè Concerto e il Vinuva andrebbero un po’ rinnovate, perché sono manifestazioni ormai sorpassate. Serve attirare gente da fuori, se no si limita tutto a Stradella e basta. Abbiamo la fortuna di avere una bella cittadina e non è da tutti… dovrebbero cercare davvero di buttarsi sul rinnovo». Sabrina Maserati, titolare della profumeria “La Coccinella” «Prima di tutto per un posto relativamente piccolo come Stradella, penso che contino più le persone che il credo politico. Io, come tantissime persone che sento, penso che il cambiamento tanto annunciato non ci sarà e che la vecchia amministrazione riuscirà a stare ancora al suo posto. Credo non ci sarà un ricambio con aria fresca e nuovi giovani, come invece servirebbe. A mio avviso, visto che dalla parte opposta a Torre Civica, non sembrano ancora esserci candidati, è un indizio che fa presagire che il cambiamento non ci sarà. Stradella la vedo sempre più piatta e triste, non so dove sia finita l’energia di un tempo e quella del commercio si sta esaurendo: non ce la si fa quasi più, anche se si vuole proporre qualcosa, ci si trova sempre davanti un muro insuperabile. Ci dovrebbe essere una sinergia tra commercio, autorità preposte, la proloco, l’Ascom… Ammiro molto Broni in questo senso perché il sindaco lascia abbastanza fare e i commercianti che sono rimasti si sono sempre rimboccati le maniche. Abbiamo un centro che è una meraviglia e non vor-
Sabrina Maserati
Federica Barbieri
«Io, come tantissime persone che sento, penso che il cambiamento tanto annunciato non ci sarà» rei che diventassimo una città dormitorio: basta veramente poco per dare un tocco diverso alla città. Bisognerebbe curare di più la pulizia, i giardini pubblici e un po’ di innovazione. Sono convinta che, se dovessero arrivare un po’ di forze giovani al comando, ci potrebbe essere un po’ di voglia e di energia in più: servono piccoli passi e piccoli segnali e la persona giovane secondo me può riuscire in questo senso. Forse però il “giovane” non si metterà mai contro certe “potenze”. Io trovo che questa amministrazione abbia fatto il suo tempo e ci sia bisogno di qualcuno di nuovo. E c’è bisogno anche di confronto tra amministrazione e commercianti, cosa che, invece, manca molto. C’è bisogno di essere ascoltati». Federica Barbieri, titolare del negozio di abbigliamento “La Femme boutique” «Stradella è un paese che potenzialmente potrebbe offrire tanto, sia per la sua conformazione naturale con le due vie parallele e le due piazze che favoriscono
il parcheggio, sia per la presenza di bar e ristoranti che lavorano benissimo. Ci sono ragazzi giovani che hanno voglia, che hanno proposto e hanno investito con nuove realtà. Molti negozi, nonostante le recenti chiusure, resistono e alcuni nuovi apriranno. Ce n’è insomma per tutti i gusti. Ma servirebbe da parte dell’amministrazione un’occhio di riguardo in più per il commercio. Nei paesi limitrofi come Broni e Castel San Giovanni questo succede: ci sono tante manifestazioni, a volte anche che non c’entrano con il tema del commercio, ma sono eventi che comunque portano gente e noi abbiamo bisogno di questo. Dobbiamo dare motivo, oltre alle nostre singole attività, per creare un interesse e quindi movimentare la città in questo senso. Personalmente non mi interessa chi sarà il nuovo sindaco, non ho pregiudizi né per i vecchi né per chi arriverà. Voglio soltanto che il nuovo “mandato” sia fatto con una mano sulla coscienza per il commercio, perché il commercio è l’anima di una cit-
STRADELLA
Andrea Battiglia
tà». Andrea Battiglia, titolare della gelateria “Chiara” «Io credo che Stradella sia ancora una miniera d’oro, ma è sfruttata poco. Bisognerebbe modernizzarla un po’ e incentivare le feste del paese. Poi a Stradella qualsiasi cosa fai “va da sola”, perché il potenziale è alto. Io ho l’attività qui da ben 18 anni e mi sono sempre trovato bene. Qui lavorano tutti, e se qualcuno va male è perché magari ha fatto errate valutazioni, in senso magari di affitti esagerati o simili. Poi naturalmente c’è sempre la componente fortuna che è importante. Ribadisco che ci possono essere delle migliorie da fare, come in tutti i posti, ma io posso ritenermi soddisfatto». Caterina D’Urso, titolare del bar “Garybaldi” «In questi 5 anni mi sono rapportata spesso con l’amministrazione comunale attuale in veste di Vicepresidente di Ascom e rappresentante dei bar e molto spesso si sono scongiurate alcune proposte che avrebbero danneggiato ulteriormente un commercio già sofferente a causa del periodo economico non favorevole e delle delocalizzazione della zona commerciale all’esterno del centro storico. Penso, ad esempio, a quando si era parlato di spegnere la musica nei locali a mezzanotte in settimana e all’una nel weekend, un vero danno economico per le attività che porta ancora un po’ di movimento a Stradella. Senza parlare, purtroppo, dei provvedimenti adottati: l’aumento del costo della sosta da 0.60 entesimi a un euro all’ora, l’aumento della Tari per bar e ristoranti, l’organizzazione di manifestazioni sempre uguali a loro stesse e che ormai hanno perso attrattiva per chi abita a Stradella e per chi arriva da fuori. Una città che vive
«Io credo che Stradella sia ancora una miniera d’oro, ma è sfruttata poco»
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Caterina D’Urso
Paolo Valle
«Personalmente non mi interessa chi sarà il nuovo sindaco, non ho pregiudizi né per i vecchi né per chi arriverà...» solo di slogan, ma che di fatto si sta spegnendo. Il tutto nella totale indifferenza di chi questa città la amministra e dovrebbe immaginarla bella e vitale, ma invece si accontenta di come è, senza una prospettiva, senza alcuna progettualità. Poche iniziative, slegate tra loro e sempre nell’ottica del “si è sempre fatto così”. Io sento parlare le persone e molte auspicano un cambiamento. A maggio ci sarà la possibilità di farlo: bisogna semplicemente avere il coraggio di cambiare». Paolo Valle, titolare della salumeria storica “Valle” «Il 2019 per il commercio stradellino sarà un anno delicatissimo, dopo un 2018 difficile come non mai. Quest’anno saremo in bilico tra vedere la nostra città prendere una deriva che ci porterà ad uno svuotamento e impoverimento dell’offerta commerciale nel centro cittadino o a vedere segnali di una ripresa. Per arrivarci bisogna puntare sul bello, su negozi di qualità per una città che offra qualità a 360 gradi. Chi si ferma al saldo fra attività aperte e chiuse non ha capito niente, bisogna, per fare un’analisi realistica, guardare la qualità che offre chi apre e chi chiude. Ripeto è solo con il pregio, la peculiarità e il valore che si attira gente in una città e in un negozio». Arianna Baderna, titolare del negozio di abbigliamento “Princesa” «Sono stradellina e a Stradella mi trovo bene. Trovo però che ci sia bisogno di qualche piccolo aggiustamento per
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Arianna Baderna
favorire ancora di più il commercio. Penso ad esempio ai parcheggi… alla domenica mattina perché non renderli gratuiti? La gente così sarebbe molto più invogliata a venire a fare un giro nella nostra città e c’è sempre bisogno anche di persone che arrivano da fuori per far girare l’economia». di Elisa Ajelli
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ARENA PO
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«Basterebbero 2 euro al giorno per un servizio di elisoccorso nella Provincia di Pavia»
Cristiano Acuto, direttore della scuola di volo e direttore operativo dell’organizzazione
Ad Arena Po sorge un’attività che si occupa di fornire servizi di volo a privati, aziende ed enti pubblici. Parliamo della Air Service Center, attiva da oltre trent’anni. Abbiamo incontrato Cristiano Acuto, direttore della scuola di volo e direttore operativo dell’organizzazione. Come ha preso il via questa realtà? «Noi siamo nati come associazione nel 1986 e ci siamo stabiliti in Oltrepò. Prima con altri soci eravamo di casa all’aeroporto di Rivanazzano, poi ci siamo spostati nella struttura attuale nel comune di Arena Po.» Esisteva già qui una struttura dedicata al volo o l’avete messa in piedi dal nulla? «Qui non c’era nulla, ma abbiamo poi saputo che il nostro campo era stato una vecchia pista militare durante la Seconda Guerra Mondiale. Infatti, fino a circa un anno fa c’erano i resti di un bunker a poche decine di metri da qui, che sono stati poi rimossi. Della pista vera e propria però non c’erano tracce visibili.» Per quale motivo vi siete installati in Oltrepò? «Noi siamo nati principalmente per occuparci dei trattamenti e delle irrorazioni sui vigneti. Questa era una zona molto ricca sotto questo punto di vista. Nello stesso tempo abbiamo sempre avuto attiva una scuola di volo; nel corso degli anni ci siamo specializzati anche in altri settori. Trasporto passeggeri, controlli sui metanodotti, servizio antincendio, ricognizione e sorveglianza. Poi abbiamo iniziato a lavorare anche in montagna, occupandoci di trasporto alpino e di consegnare i materiali per la costruzione dei rifugi.» Infatti quella di Arena non è l’unica struttura in capo alla vostra organizzazione… «Sì, abbiamo due basi secondarie a Vipiteno e a Cortina d’Ampezzo.» Quante persone lavorano qui? «Adesso siamo circa una ventina fra piloti, tecnici e impiegati.» E nessuno si occupa più dei lavori in campo agricolo…
«Si, quella parte è andata a sparire. Abbiamo fatto ancora di recente alcuni trattamenti sul riso nel Monferrato, nel Vercellese e nel Novarese, anche per le zanzare…» E funzionava? «Funzionava bene, il problema è che sono venuti meno i finanziamenti… Abbiamo avuto diversi riscontri da parte dei cittadini delle zone interessate proprio in relazione a questo aspetto. La differenza, quando i trattamenti anti-zanzara si sono interrotti, è stata percepita.» Da dove proviene la vostra utenza? «Noi abbiamo avuto clienti da tutta Italia, adesso iniziamo ad avere anche richieste dall’estero. Ovviamente di tutte le carature.» Come siamo messi in Oltrepò, in quanto ad infrastrutture per il volo? «L’elicottero sicuramente ha la facoltà di essere molto più libero dell’aereo. Noi con la disponibilità di un semplice giardino di casa, se ovviamente ci sono le misure di sicurezza, ovvero le giuste distanze rispetto ad eventuali ostacoli, non abbiamo problemi ad atterrare. L’elicottero decolla da terra verticalmente, non ha bisogno di grandi spazi. Sicuramente mancano infrastrutture pubbliche, strutture dedicate, ma non solo dalle nostre parti: in tutta Italia. Questo perché l’elicottero è proprio ancora visto come un lusso. D’altra parte, è anche vero che se ci fosse più richiesta i costi potrebbero abbassarsi notevolmente.» Che infrastrutture mancano, nello specifico? «Ad esempio ci troviamo in una regione dove esiste un servizio di elisoccorso, ma non ci sono piazzole. Penso anche ospedali realizzati di recente o anche soltanto ristrutturati. Penso a Pavia, a Stradella…» In effetti quella piazzola presente nel comune di Fortunago viene vista quasi come un oggetto estraneo, in quel contesto; quando invece soprattutto in alta collina dovrebbero vedersene in numero ben maggiore… «Ci sono comuni che hanno destinato aree
agli atterraggi in caso di emergenza. I campi sportivi, per esempio. Solo che a volte succede di atterrare in queste strutture e trovarsi chiusi dentro da un cancello con un lucchetto… e di dover perdere tempo a cercare chi ti deve venire ad aprire.» A fini turistici potrebbe essere sfruttata la possibilità di volare in Oltrepò? Si tratta di un territorio interessato da lunghe distanze fra il capoluogo e le località delle aree interne. «Penso che come tutto in tutto il resto d’Italia ci siano anche qui molti posti belli da visitare. Abbiamo delle colline meravigliose, e poi centinaia di cantine che fanno numeri importanti e che sono conosciute in tutta la nazione e anche all’estero. Ecco, penso che dovrebbe esserci una coordinazione fra queste cantine: se loro magari facessero gruppo, si mettessero insieme per organizzare esperienze od eventi in un certo momento dell’anno, nell’ambito di queste potrebbero offrire ai loro clienti un volo intorno ai vigneti alla cantina. O anche un collegamento con i più vicini aeroporti, per quei clienti internazionali che potrebbero venire appositamente per recarsi nelle cantine. L’elicottero potrebbe servire a questo. Non pensiamo sia solo per Berlusconi o per Ferrero. Se si mettessero insieme anche soltanto un paio di cantine, potrebbero pensare di offrire questo servizio.» Vi è già capitato di svolgere servizi simili? «Sì, abbiamo avuto alcune esperienze nelle Langhe, nel Monferrato… Può capitare che arrivi il facoltoso cliente russo che desidera acquistare 200 litri di barolo e pretende che gli sia dato un servizio completo. Se una volta atterrato deve prendere una macchina, farsi tutta la strada e arrivare a destinazione stremato dal traffico, dal caldo e dalla perdita di tempo, magari non torna una seconda volta.» Facciamo un gioco. Le dico i nomi di due località, lei mi risponde quanto tempo serve per spostarsi dall’una all’altra a bordo di un elicottero. Per esempio: Voghera – Zavattarello? «10 minuti.» Santa Maria della Versa – Varzi? «5 minuti.» Arena Po – Rapallo? «25 minuti.» Milano – Valverde? «30 minuti.» Avete avviato la vostra attività ormai oltre trent’anni fa presso l’aeroporto di Rivanazzano. Quale può essere l’importanza di questa struttura per l’Oltrepò? «Abbiamo ancora un hangar di nostra proprietà presso l’aeroporto di Rivanazzano. Sicuramente se si sviluppasse un po’ di più rispetto ad ora, avrebbe dalla sua una posizione strategica per un certo tipo di voli. Non pensiamo a Ryanair che atterra a Voghera, ma per un certo tipo di cliente-
la sarebbe interessante. Penso a jet privati, però ci vuole una mentalità per attirare questi utenti, e ci vogliono investimenti. Un altro aspetto non da poco è il modo in cui è attrezzato questo aeroporto, mi riferisco alla pista, alle strutture, agli hangar… L’aeroporto di Alessandria, per esempio, è un prato.» Se dovesse lanciare una proposta alle istituzioni, in relazione alla vostra attività, a cosa penserebbe? «Avevo in mente qualche anno fa una certa idea che, nonostante qualche contatto, purtroppo non ha avuto seguito. Mi riferisco all’elisoccorso. In Italia questo servizio funziona sì, ma potrebbe funzionare decisamente meglio. Esiste, viene svolto, ma con qualche difficoltà.» Ovvero? «La provincia di Pavia e tutto il territorio appenninico fino alla Liguria è servito male, perché gli elicotteri in Lombardia sono situati tutti nel nord della regione. Quindi avevo pensato di creare un elisoccorso autogestito. Secondo i miei calcoli sarebbero stati sufficienti 2 euro pro capite al giorno per finanziare un servizio di elisoccorso nella Provincia di Pavia.» Sarebbe positivo, soprattutto per quelle aree molto lontane dai presidi medici. «Immagini un agricoltore che si ribalta con in trattore a Zavattarello. Ad oggi, per raggiungerlo un elicottero potrebbe impiegare 40 minuti, considerando il punto di partenza. Sappiamo che per salvare una vita in caso di infarto sono già troppi dieci o quindici minuti.» Perché tutto questo tempo? «L’elicottero più vicino si trova a Milano, da cui servono 33/35 minuti per arrivare a Zavattarello. Più o meno lo stesso tempo servirebbe da Parma o Alessandria, gli altri due più vicini, che però si trovano in altre regioni e quindi non sono i primi a essere contattati in caso di emergenza. Se l’elicottero di Milano non è libero, allora si parte da Bergamo, Brescia o Sondrio. Solo se anche questi mezzi sono occupati, allora si prova cono Alessandria o Parma, che comunque potrebbero essere impegnati nelle loro aree di competenza.» Come si suol dire: uno fa in tempo a morire… «Con un elicottero dedicato, poco costoso ovviamente, e con un servizio sul posto, penso che si potrebbe assicurare un servizio molto più efficiente rispetto ad oggi. L’elicottero potrebbe essere parcheggiato da noi come presso uno dei nostri ospedali, non è un problema. Raggiungere certe località in ambulanza richiede, in effetti, tempi molto lunghi. Penso sia importante per un cittadino sapere che, qualsiasi cosa succeda, ci sia la possibilità di avere un intervento rapido.» di Pier Luigi Feltri
MONTù BECCARIA
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«Le fusioni tra piccoli Comuni sono l’unica speranza per il futuro» Il nome di Amedeo Quaroni è legato indissolubilmente a Montù Beccaria. Conosce la realtà da moltissimi anni ed ha raggiunto una consapevolezza profonda:«Le fusioni tra piccoli Comuni sono l’unica speranza per il futuro». Remunerative, snelliscono i compiti in capo ai vari enti e rendono più facile la vita dei sindaci, oggi costretti a fare taglia e cuci tra le maglie di bilanci risicatissimi. A tutto questo, Quaroni aggiunge la consapevolezza di un progressivo disinteressamento dei più giovani verso la politica. «Senza passione si rischia di lasciare la politica in mano a chi la fa per solo interesse personale». Sindaco, come vede attualmente la situazione in Oltrepò? «Vedo che c’è un po’ di disinnamoramento della politica in generale. Vedo che ci sono poche persone valide disponibili a sacrificarsi e mettersi in gioco. Nei comuni piccoli e medi ci sono tante responsabilità e noto che le persone valide sono sempre meno disposte a buttarsi in politica». Cioe’? «Tanti anni fa il sindaco di un paese poteva anche lavorare lontano e non c’era quasi mai ed era oberato da molti meno impegni: adesso non è più così, non è possibile. Bisogna farlo tempo pieno o quasi, essere sempre presenti, davvero costantemente. Cambiano di continuo tanti regolamenti, tante cose, le responsabilità si sono accumulate ancora di più. Tante questioni sono in capo all’amministrazione sempre. Alcuni sindaci so che pur potendosi presentare non lo fanno: credo per il motivo che ho appena detto e per il fatto che ci sono sempre meno fondi e è anche più difficile accontentare i cittadini e le loro richieste e questo svilisce un po’ la figura del primo cittadino». Forse per chi non è nella macchina amministrativa è faticoso capire certi meccanismi… «Certo. Le tasse sono tante da pagare e il cittadino naturalmente, a fronte di una notevole tassazione generale, avrebbe anche ragione a chiedere di avere servizi migliori e puntuali e cose di questo genere. Poi si sa, nei comuni sono stati fatti tantissimi tagli negli ultimi anni e quindi, specialmente i comuni non ricchissimi hanno grosse difficoltà. Per i comuni medio-piccoli al giorno d’oggi l’unica salvezza è la fusione». Lei è a favore? «Sì. Con la fusione ci sarebbe un immediato ritorno economico, previsto nell’arco dei 10 anni, con contributi altissimi che vanno a favore dei comuni che si fondono e che permetterebbero sicuramente per diversi anni una boccata d’ossigeno e la risoluzione di tanti problemi. Io la predico già da tempo. Ho avuto anche qualche contatto con qualche sindaco vicino. Se ne è parlato. Diciamo che i vantaggi sono
«Entro fine 2019 sarà realizzato un campo di calcio a sette» Amedeo Quaroni
enormi per tutti. Bisogna avere la forza e l’intelligenza di non chiudersi con campanilismi o cose simili. Direi che sarà una cosa che alla lunga sarà obbligatoria. Bisogna rivedere anche la definizione di comune: se è solo un appezzamento di terra o se è una sede di servizi. Oggi sarebbe davvero una occasione, perché lo stato favorisce lungamente le fusioni, che sono gestite con contributi davvero grandi. C’è poi anche il fatto che la fusione da’ anche diritto ad avere punteggi altissimi nelle graduatorie per i bandi regionali e nazionali». Il fatto di avere il Ministro Gian Marco Centinaio, che conosce bene la zona, è un vantaggio per l’Oltrepò secondo lei? «Sicuramente avere lui come ministro è un vantaggio e questo vantaggio dovrà essere sfruttato al massimo. Direi che è una cosa che non è mai capitata: per il nostro territorio, che è prettamente agricolo, avere un ministro come lui potrà portare vantaggi, o almeno si spera. Lui è molto attento e dedica molto tempo a visitare le nostre zone nei momenti che ha liberi e conosce in profondità i problemi che ci sono qui, che non sono pochi. Chiede sempre la nostra collaborazione per rilanciare il nostro territorio che negli ultimi anni è stato molto tartassato ed è rimasto nell’angolo». Per il suo paese di Montù che progetti che ci sono? «Ne abbiamo due che sono già partiti. Nell’ultimo anno avevamo concluso il parco giochi per i bambini: abbiamo creato questo spazio per i più piccoli che sta avendo successo. Poi stiamo realizzando un campo di calcio a sette. Sarà pronto entro la fine del 2019. E poi sono partiti i lavori per la palestra scolastica: sono lavori finanziati completamente dal comune di Montù, con avanzi che avevamo a disposizione dagli anni in cui non potevamo spendere».
Anche il Teatro funziona bene da voi… «L’abbiamo inaugurato un po’ di anni fa, dopo che era stato chiuso per tantissimo tempo. L’abbiamo ristrutturato bene e attraverso l’associazione del teatro, che ingloba un po’ tutte le associazioni del paese, facciamo spettacoli bellissimi. Nell’ultimo anno è stato fatto anche il programma con l’opuscolo, con diversi spettacoli, sia comici, che brillanti, che musicali. È un punto di riferimento per tutta la zona».
Che idea si è fatto dei giovani? «Intanto bisogna dire che i giovani non sono tantissimi. Diciamo che poi dipende da che valori hanno, cosa gli è stato trasmesso dalla famiglia e dalle persone vicine. Alcuni sono interessati alla vita del comune, anche alla vita politica. È un modo di porsi, di portare avanti le proprie idee, di valutare quello che la politica offre. Io penso che quelli meno giovani abbiano chiara la storia del passato recente, mentre le nuove generazioni lo sentono un po’ meno. La politica li accarezza appena appena, ma non li ha ancora coinvolti pienamente. Io credo che dipenda un po’ anche dai meno giovani dare lo stimolo per fare, per proporsi e interessarsi e darsi da fare. Devo dire comunque che questo “non andare alla ricerca dell’impegno politico” è un po’ generalizzato, ma si rischia di lasciare tutto in mano a personaggi che magari non sono all’altezza o si mettono in politica per interessi personali e basta». di Elisa Ajelli
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ROVESCALA
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«L’Oltrepò ha bisogno di un vino rosso da uve autoctone» Daniele Passerini, 41 anni, agronomo specializzato in enologia e viticultura, è titolare dell’azienda agricola “Il Molino di Rovescala”. Da sempre promotore di un “vino rosso fermo autoctono”, dopo l’istituzione da parte di Ersaf dei “Tavoli di denominazione” è stato nominato coordinatore di quello relativo alla Doc Bonarda. Il Molino di Rovescala, un’azienda con diversi anni di storia… «La nostra famiglia è proprietaria da tre generazioni, ma tramite alcune ricerche effettuate da storici, abbiamo scoperto alcune tracce che dimostrano che la nostra azienda produceva vino sin dal ‘500. è composta da una trentina di ettari dedicati alla coltivazione della vite, da cui produciamo circa tremila quintali di uva. Da questi tremila quintali ne selezioniamo mille per la vinificazione, destinandone i rimanenti al marcato delle uve». Come si diversifica la vostra produzione? «Negli anni passati producevamo una maggior quantità di sfuso ma da alcuni anni abbiamo aumentato la quantità di bottiglie prodotte, riducendo notevolmente lo sfuso. La nostra produzione si divide in due gamme: quella classica e quella riserva». Come commercializzate la vostra produzione? In quali canali di vendita? «Ci occupiamo direttamente noi della vendita, senza alcun soggetto esterno. Commercializziamo la nostra produzione solo in ristoranti, bar e privati. Niente grande distribuzione, per scelta dato che non ci interessano i grandi numeri. Al momento siamo attorno alle trentamila bottiglie, commercializzate ad un prezzo adeguato». Siete soci di qualche cantina sociale? «Siamo stati soci anni fa di “La Versa”, poi vista la situazione abbiamo preferito lasciare. Al momento non siamo associati di nessuna cantina sociale». Siete associati a qualche ente o consorzio vitivinicolo? «No, anche se il Consorzio negli ultimi sei mesi sta lavorando molto bene. Se continua in questa direzione e conferma i buoni propositi che sta dimostrando penso proprio che ci assoceremo. L’unico scetticismo rimane per il passato del Consorzio, non per come è ora». La situazione attuale dell’Oltrepò vitivinicolo è decisamente caotica. Consorzio e Distretto del vino sembrano aver sepolto l’ascia di guerra. Come vede la situazione attuale? «La vedo molto positiva. Nei tavoli di gestione delle Doc c’è molta collaborazione e positività, sia da parte del Consorzio soprattutto, ma anche da parte del Distretto, anch’egli ben rappresentato.
«Bisognerebbe seguire il concetto del Barolo e del Barbaresco, vini di successo che hanno dato risalto al territorio da cui hanno preso il nome»
Daniele Passerini con il Ministro Gian Marco Centinaio
Ad oggi si sta lavorando in modo positivo. Naturalmente è un equilibrio di cristallo, perché dopo tanti anni di rotture non è semplice. Purtroppo il Consorzio, per le scelte passate, fino a sei mesi fa non era più rappresentativo. Non c’era una soluzione diversa: o saltava o si cambiava. La scelta intelligente è stata quella di ridiscutere con le aziende e convincerle a rientrare, cambiando completamente rotta. Il Consorzio stavolta non ha promesso, ma ha ascoltato realmente le aziende e sta provando realmente a fare qualcosa insieme a loro». A proposito di “Tavoli di denominazione”: come sono strutturati? «I tavoli di denominazione sono composti da una quindicina di aziende, alcuni anche da meno. Servono da supporto all’Ersaf (Ente Regionale per i Servizi all’Agricoltura e alle Foreste, ndr) e all’asses-
sore Rolfi a creare un progetto per ogni denominazione, al momento sei. La composizione è interessante, dato che sono composti da alcuni rappresentanti “storici” del Consorzio di Tutela, alcuni del Distretto del Vino, alcuni del Consorzio del Buttafuoco Storico e alcuni produttori indipendenti, come me. Tutte persone competenti, non disinteressate. Altra cosa interessante è che ogni testa vale un voto, il grosso produttore vale come il piccolo produttore. Ognuno dice la sua, ha diritto a discutere le proprie idee e ci si confronta insieme. Naturalmente siamo agli inizi, non ci vorrà un minuto per ottenere qualcosa di concreto. Io trovo però che sia il modo giusto per rendere partecipe il territorio e renderlo responsabile del progetto. Il progetto non è stato calato dall’alto, ci è stato chiesto di creare un progetto su cui credere. Quindi poi non possiamo non
credere in un progetto creato direttamente da noi». Lei è stato nominato coordinatore di quello del Bonarda. Come vede questa opportunità? «è un incarico impegnativo e di responsabilità, ma penso che la responsabilità sia un po’ di tutti i partecipanti nel provare a fare qualcosa in questo sistema. Il coordinatore non ha un ruolo decisionale, ma può sicuramente aiutare il miglior funzionamento di questi tavoli e spero di poterci riuscire». Per quanto riguarda il Bonarda, nell’ultima revisione dei disciplinari, la tipologia “ferma” è stata eliminata. Secondo Lei questa manovra servirà per rilanciare il Bonarda, dato che i consumatori la conoscono per lo più come frizzante, oppure è un’occasione persa per mantenere un ulteriore rosso fermo Oltrepò Pavese in commercio? «Ne abbiamo appunto discusso e sono favorevole al fatto che ne esista una tipologia sola, chiaramente frizzante dato che i numeri parlano solo per questa tipologia. La cosa importante è che in parallelo venga sviluppata una Doc di un vino rosso fermo, a base Croatina, sul quale il territorio possa riversare la propria vocazionalità: il Rovescala, o il Casteggio per l’Oltrepò orientale, o ancora il Buttafuoco devono essere vini da uve autoctone che rappresentino l’intero territorio. Non si può lasciare un “buco” in questo segmento, lasciando il territorio senza un vino rosso fermo importante. Il Buttafuoco rappresenta una zona molto limitata ed è per questo che devono esserci almeno altri due vini rossi fermi da uve autoctone che coprano le varie zone. L’Oltrepò è un territorio grande, con zone diverse, quindi non possiamo ottenere a Rovescala lo stesso vino che si può ottenere a Ca-
ROVESCALA steggio. Per questo le tre “fasce” devono essere rappresentate da altrettanti vini rossi fermi. Questo però non deve essere scollegato dalla “riforma” del Bonarda solo frizzante: nel momento in cui si uscirà con un disciplinare definitivo di un Bonarda solo frizzante, si deve uscire anche con il progetto di un rosso fermo da uve autoctone. Non come c’era stato proposto precedentemente, con il solo mantenimento della versione frizzante, rinviando ad una non precisa data la discussione sul rosso fermo. No, la riforma va fatta parallelamente, soprattutto in un momento come questo in cui i mercati cercano vini rossi fermi. Sarebbe assurdo». Secondo Lei, queste operazioni di revisione permetteranno un giorno di fermare l’invasione sugli scaffali del Bonarda DOC a prezzi da discount? «Secondo me sì. Se ci permettono di correggere i disciplinari e di lavorare in modo costruttivo sì, sarà possibile. Sicuramente però non basterà questo: dovremo lavorare anche sulla promozione del prodotto. Il primo passo è definire un prodotto su cui impostare il marketing. Ai tavoli abbiamo scelto da subito di creare un prodotto di una certa qualità per dare la giusta remunerazione a chi vende vino ma anche solo l’uva. Il territorio al momento non raggiunge quei famosi 7.700-8.000 euro\ ettaro necessari per poter vivere. La finalità dei tavoli è anche quella: alzare il prezzo medio delle uve. E per farlo è necessario lavorare sui disciplinari prima e
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«Nei tavoli di gestione delle Doc c’è molta collaborazione e positività, sia da parte del Consorzio ma anche da parte del Distretto, anch’egli ben rappresentato» sul marketing da applicare dopo». Prima ha nominato il “Rovescala”, un progetto enologico di qualche anno fa che oggi, con l’istituzione dei “Tavoli di denominazione”, è tornato di attualità. Pensa che un giorno potremmo vedere una ipotetica denominazione “Oltrepò Pavese Rovescala Doc”? «Spero proprio di sì. Spero di vedere un “Rovescala Doc” semplice, non tanto perché sono di Rovescala. Come sappiamo le vecchie proposte del “Rovescala Doc” comprendevano l’estensione di cinque comuni, un’area abbastanza vasta. La mia convinzione non è dettata dal nome utilizzato, sebbene ritenga comunque che il nome Rovescala abbia un ottimo appeal su un prodotto vinicolo. I rossi fruttati
sono molto ricercati dai mercati e il nostro territorio ha le potenzialità di farli. La chiarezza di offrire al consumatore un rosso fruttato autoctono, con un nome semplice, non di fantasia ma che identifichi un paese, un territorio. è un progetto non semplice, che non si può buttare in piedi un giorno con l’altro, ma soprattutto non dobbiamo crederci solo noi aziende di Rovescala, ma tutto il territorio con l’aiuto di un consorzio. Io credo che non solo sia possibile, ma anche doveroso provarci. Bisognerebbe seguire il concetto del Barolo e del Barbaresco, vini di successo che hanno dato risalto al territorio da cui hanno preso il nome». Nei giorni scorsi l’abbiamo vista impegnato nella visita dell’assessore Magoni
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e del ministro Centinaio nel corso della Primavera dei Vini di Rovescala. Due autorità che sembrano aver preso a cuore l’Oltrepò Pavese. Che impressione ha avuto? «Certamente positiva da entrambi. Centinaio naturalmente ha più contatti col territorio e ci seguiva già qualche anno fa, prima ancora di diventare ministro. è una persona molto attenta al territorio, disponibile e sensibile ai nostri problemi. Ha lavorato bene col riso, e ora lo sta facendo anche con il vino. L’assessore Magoni ci ha dato dei bellissimi suggerimenti e ci ha promesso collaborazione. Da come li abbiamo visti mi sembrano persone molto competenti. Il loro lavoro naturalmente non è fare vino, ma certamente sanno come si promuove un territorio e di cosa questo necessiti. Anche loro, specialmente il ministro, sanno che tutto passa per la coordinazione e la “dismissione delle armi” da parte degli oltrepadani: se c’è collaborazione e si riesce a far sistema un progetto può funzionare, altrimenti anche un’autorità non saprebbe come fare. Centinaio ce la sta mettendo tutta. I tavoli sono stati voluti da lui e dall’assessore Rolfi. Sono persone che ci stanno mettendo la faccia, mettendoci anche soldi. Hanno previsto grossi investimenti per questo progetto, creando la possibilità di fare qualcosa di concreto. Loro ch hanno dato un input, dopo sta al territorio seguire le linee guida». di Manuele Riccardi
SANTA MARIA DELLA VERSA
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Carlo Scarabelli, la vita di un poeta garibaldino Ricostruire la vita di questo curioso personaggio risorgimentale non è stato affar semplice. Sebbene oltrepadano di nascita e di morte, Scarabelli trascorse la propria vita in giro per l’Italia, lasciando pochissime tracce sul territorio pavese. Questo ha causato il disseminarsi di informazioni in archivi e documenti sparsi per tutta la penisola, a discapito di quelli situati sul territorio natale. Carlo Scarabelli nacque a Pizzofreddo, frazione di Soriasco (poi Santa Maria della Versa), nel 1838 da Paolo e Giovanna Groppi. Nonostante le origini contadine, vantava già un personaggio illustre nella parentela: era nipote di Luciano Scarabelli, (Pizzofreddo , 1806 – Piacenza, 1878), noto letterato, studioso dantesco, politico e professore di estetica all’Accademia di belle arti di Bologna. In giovane età si trasferì a Pavia per intraprendere gli studi alla facoltà di Legge. Essendo cugino di Luigi Castellazzo (ufficiale garibaldino dalle idee federaliste) frequentò spesso i salotti pavesi, stringendo amicizia con la famiglia Cairoli. Proprio in questo periodo Scarabelli, già caratterialmente rivoluzionario, fu affascinato dalla corrente mazziniana. Fu così che nel 1860 seguì Benedetto Cairoli e Luigi Castellazzo nell’impresa di Garibaldi. Con grande rammarico non riuscì ad imbarcarsi a Quarto con la spedizione dei Mille. Superando numerosi ostacoli raggiunse Genova il 9 giugno, aggregandosi ad altri 1200 volontari pronti a partecipare alla spedizione Medici, la terza in supporto ai Mille. Nella notte tra il 9 e il 10 giugno si imbarcò sul piroscafo mercantile Washington, sbarcando a Marsala qualche giorno dopo, giusto in tempo per aggregarsi alle truppe che si stavano organizzando per la valorosa azione militare in Calabria. Il 1 ottobre 1860 venne ferito a Maddaloni, insieme al cugino Luigi, durante la cruenta Battaglia del Volturno. Tale vittoria garibaldina fu essenziale per l’unità d’Italia ed in merito a ciò ottenne la promozione a sergente furiere. Durante l’esperienza garibaldina strinse amicizia con Felice Cavallotti e rafforzò i suoi rapporti con Benedetto Cairoli. Al termine degli eventi bellici non fece mai inutilmente vanto della sua avventura, com’era invece prassi per molti altri reduci. Ritornato a Pavia si laureò in legge nel 1863, discutendo la sua tesi dal titolo “Proibità e Lavoro”. Neolaureato ottenne immediatamente dal Tribunale di Voghera l’affidamento della difesa di un suo concittadino di Pizzofreddo, accusato di un terribile fatto di sangue. Il caso che gli venne presentato non era complesso, ma la condanna del suo assistito era praticamente contata. Con lo stupore di tutte le parti in causa, Scarabelli in primis, l’accusato venne scagionato. Il giovane avvocato però non accettò moral-
Carlo Scarabelli in abito da Ufficiale mente la sentenza, essendo a conoscenza della colpevolezza del suo assistito. Dopo il processo, l’avvocato convocò il suo assistito, gli strinse in mano una cospicua somma di denaro (presumibilmente la parcella della causa) e gli impose di lasciare il paese. Terminò così la sua breve ma vincente esperienza giuridica. Nel 1871 intraprese la carriera da statale presso il Ministero delle Finanze. Stimato dalla politica per la sua preparazione e per la sua conoscenza delle problematiche amministrative, rifiutò i corteggiamenti del Presidente del Consiglio Agostino Depretis, il quale desiderava fortemente candidarlo come deputato nel vicino collegio di Castel San Giovanni. Iniziò come segretario d’intendente di finanza a Grosseto, nel 1875. Successivamente venne trasferito a Campobasso e poi ad Ancona. Nel 1889 venne nominato Capo di Gabinetto del sottosegretario di Stato, On. Paolo Carcano e, sempre nello stesso anno, venne nominato Cavaliere. Successivamente divenne funzionario del Ministero delle Finanze, ottenendo delicate mansioni sia in Italia che all’estero Con la promozione ad intendente di finanza diresse le intendenze di Reggio Emilia (1896-1899), Pisa (1899-1905), Ancona (1905-907) e Milano (1907-1912). Su proposta del Ministero delle Finanze, con decreto dell’8 giugno 1897, venne promosso al grado di Ufficiale e, tre anni più tardi, a Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Scarabelli non si sposò mai, pur avendo un’impegnativa vita mondana. Si trasferì parecchie volte, dividendosi tra le sedi delle sue intendenze, Pizzofreddo e Porto Santo Stefano, seguito dalla sua fedele domestica Agata Pulitini. Il 10 maggio 1910, nell’anniversario dell’ingresso di Garibaldi a Palermo, il personale finanziario della Città e della Provincia di Milano gli conferì una medaglia d’oro quale unico superstite del 1860 nella famiglia finanziaria della provincia milanese.
Raggiunta l’età della pensione nel 1912, ritornò in pianta stabile a Pizzofreddo, senza farsi mancare qualche soggiorno nell’amata Porto Santo Stefano. Nonostante l’esigua pensione rifiutò numerose richieste effettuate dalle varie aziende locali, le quali volevano avvalersi della valida consulenza fiscale dell’ex intendente, affermando che «come pensionato dello Stato non poteva mettersi contro lo Stato». Morì nella frazione natia, il 20 settembre 1922. I suoi resti riposano nel Cimitero di Soriasco accanto al nipote Paolo Scarabelli, sergente del 9° reggimento d’artiglieria, morto tragicamente nel maneggio del cavallo a soli 22 anni. L’equipaggiamento utilizzato da Scarabelli durante la spedizione garibaldina, ossia la borraccia, la divisa, due sciabole e la corrispondenza con Vittorio Emanuele II e con altri protagonisti del risorgimento, vennero donati alla nazione dalla sua ultima nipote diretta e sono tutt’ora conservati presso il Museo del Risorgimento nel Castello Sforzesco di Milano. Il nome di Carlo Scarabelli è strettamente legato alla località di Porto Santo Stefano, paese che visitò per la prima volta nel 1875 quando venne trasferito come funzionario a Grosseto. Si innamorò da subito di quella terra, facendovi ritornò parecchie volte. Si fece subito ben volere dalla popolazione, strinse amicizie con i personaggi più influenti e, carpite le caratteristiche del territorio, il 28 luglio
Scarabelli”. Nei pressi del villino, da buon oltrepadano che si rispetti, impiantò alcuni filari di uva dai quali otteneva un ottimo vino artigianale. Il 18 aprile 1882 l’amministrazione comunale di Monte Argentario gli conferì la cittadinanza onoraria «per essersi indefessamente con la parola e con la stampa adoprato in vantaggio di Santo Stefano, ed aver potenzialmente contribuito al maggior concorso di bagnanti, i quali per le sue cure hanno raggiunto un numero inaspettato». Due anni più tardi pubblicò “Monti e marine. Porto Santo Stefano di Monte Argentario”, una vera e propria guida turistica, la quale fece da vero e proprio trampolino di lancio per la località balneare. Gli abitanti si adattarono immediatamente, capendo che il loro futuro si sarebbe basato sul turismo, aprendo locande, caffè, alberghi e stazioni balneari. Per merito del suo impegno il 2 giugno 1904 venne eletto sindaco di Monte Argentario, carica che mantenne per soli undici giorni. Per motivi di incompatibilità con il suo impegno di funzionario statale decise di declinare l’incarico dimettendosi il 13 giugno stesso. La sua passione per la scrittura lo portò a collaborare con il periodico grossetano “L’Ombrone”, sul quale pubblicava racconti a puntate. Nel 1876 pubblicò “Poveri Bimbi”, un racconto scritto dopo aver visitato la Repubblica di San Marino.
Villino Scarabelli, Porto Santo Stefano - Monte Argentario 1878 tenne una conferenza “Sull’avvenire di Porto Santo Stefano”, col la quale espresse le proprie tesi sulle potenzialità turistiche di questo piccolo porto tirrenico. Inizialmente soggiornava nei pochissimi alberghi del luogo, in quanto la zona non era ancora un’affermata località turistica, ma successivamente acquistò un terreno in riva al mare, sul quale costruì un villino dove soggiornarvi durante la stagione estiva: tale proprietà venne rinominata “Punta
Successivamente scrisse altri racconti, poesie e storie in prosa pubblicati in “Mammole” (1878), “Iglesias: storie sarde” (1880) e “In Maremma racconto” (1882). Nel 1887, al Teatro Nazionale di Campobasso (città in cui era segretario d’Intendente di Finanza), mise in scena il dramma “Cuore di donna”, apprezzato a pieni voti dalla critica dell’epoca. di Manuele Riccardi
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Pietra de’ Giorgi presenta i Mirabella: famiglia e compagnia teatrale
La famiglia Mirabella durante un’esibizione in strada
Una famiglia nella vita e anche sulla scena. Elisabetta Cavanna ed Edoardo Mirabella da 15 anni residenti a Pietra de’ Giorgi, si sono reinventati compagnia teatrale con un progetto originale coinvolgendo i loro tre figli Martin, Matilde e Mael. è così che oggi “Il teatro Viaggiante” gira Italia ed Europa con una forma molto coinvolgente di teatro di strada. Il segreto del loro successo? «Essere invadenti con tanta riservatezza». Il loro obiettivo è consolidarsi anche in Oltrepò, dove vivono, nonostante il territorio non si sia ancora “aperto” a nuove iniziative tanto quanto i Mirabella speravano. Parlateci un po’ di voi, di dove siete e come avete iniziato ad avvicinarvi al
vostro mestiere? Elisabetta: «Io sono di origine umbra ma ho sempre vissuto in Brianza, dove ho studiato al liceo scientifico, che però non rispecchiava i miei interessi, quindi ho capito di volermi cimentare in ambito artistico e proprio in quel periodo è capitato che frequentassi uno stage di mimodramma con Marcel Marceau ed è stata una vera rivelazione per me». Edoardo: «Io sono di Pozzuoli, ma vivo a Milano da quando avevo 11 anni e per me la cosa è nata in maniera differente perché ho iniziato a studiare la mia disciplina subito da piccolo, appena arrivato a Milano». Quindi sia lei che Edoardo provenite da
Accademie. Quali sono queste scuole? Elisabetta: «Io ho conseguito il titolo appunto alla scuola di mimo e dramma di Marcel Marco a Parigi. Allo stage che avevo frequentato si parlava di poesia, di arte, insieme all’attività motoria e alla danza e ne rimasi tanto incantata che quell’anno mi recai a Parigi per provare la selezione ed entrare nella scuola di Marcel e fui presa!» Edoardo: «Io invece sono di Milano, ho studiato teatro in due scuole, la prima, appunto, all’età di 11 anni era la Scuola Augusto Ripari, come mimo e teatro secondo il metodo Lecoq e in seguito studiai alla scuola di arte drammatica di Kuniaki Ida che è l’insegnante anche della scuola Pao-
lo Grassi di Milano. Finita la scuola sono stato coinvolto subito in un primo lavoro a pagamento come teatrante di strada, sui trampoli. Mi sono buttato e da lì non ho più smesso!». Quindi è lei, Edoardo, che ha affrontato per primo il Teatro di Strada. Per lei, Elisabetta, come è nata la scelta? «Io ho capito fin da subito che non era l’idea di teatro “normale” quella che mi attirava di più, ma proprio quella di farlo all’aperto, cioè: nella scuola a Parigi studiai molto teatro nella sua forma più classica, moltissima danza, sia moderna che contemporanea, studiai il mimo e il teatro corporeo, ma fu proprio quando tornai in Italia che iniziai un percorso di
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Girano Italia ed Europa: «Il segreto del teatro strada è essere invadenti con tanta riservatezza» zona, cercando sempre di chiedere un cachet più contenuto per gli ingaggi. Abbiamo lavorato molto a Voghera, Casteggio, Borgo Ratto Mormorolo con la “Festa della Castagna”, poi a Pavia anche tramite l’Università, che rimane sempre un centro di maggiore fervore artistico. È capitato di collaborare con un’associazione culturale, “Artemista”di Spessa Po, che operà però in tutto l’Oltrepò». Elisabetta: «Una bellissima esperienza è stata invece quella con la frazione Calghera di Valverde, che ci ha affidato per sette anni consecutivi la direzione artistica de “Un Borgo in Festa”, un festival che ha attirato ogni anno migliaia di persone, una cosa bellissima. Dobbiamo però ammettere, amaramente, anche se non vuole essere una critica, che abbiamo trovato una scarsa... chiamiamola collaborazione da parte delle amministrazione e delle direzioni artistiche dei teatri dei paesi più vicini a noi: Broni e Stradella, in futuro certamente ci potrebbero essere collaborazioni migliori». Perchè questa constatazione? Elisabetta: «Non siamo mai riusciti a capire per quale motivo i nostri progetti, spesso richiesti direttamente dalle stesse amministrazioni, non siano poi mai arrivati a buon fine. Eppure le nostre idee erano state ritagliate a misura del paese, conoscendoli appunto bene». Edoardo: «Inizialmente, e parlo di 8 anni fa forse, ci fu un iniziale interessamento da parte di chi si occupava del Teatro Sociale di Stradella e del Teatro Carbonetti di Broni; noi cercavamo una collaborazione, ci interessava realizzare una rassegna mista per i teatri della zona, adatta a tutte le età, ma la cosa non andò nemmeno in quell’occasione a buon fine». L’Oltrepò non è forse ancora pronto a certe rappresentazioni? «Ma noi non pretendevamo nemmeno quello; l’obiettivo era collaborare con le amministrazioni e le direzioni artistiche, per creare qualcosa di originale e di adatto ai paesi e ai loro abitanti». Che cosa cambia tra esibirsi in strada a farlo in teatro? Elisabetta: «Cambia moltissimo. All’inizio abbiamo dovuto imparare anche noi ad adattare gli spettacoli. La forza e l’intensità che si mette in strada e nei luoghi aperti non si può pensare di poterla portare dentro a un teatro, bisogna equilibrare le cose. Poi sulla strada le persone se ne
possono andare via quando vogliono loro, anche a metà spettacolo, e devi essere tu a riuscire a tenerli fermi a guardarti. Questa è la differenza maggiore. Anche in teatro questa cosa resta, diciamo che riusciamo a coinvolgere tutti quanti, anche chi sbadiglia! Il segreto è essere invadente con tanta riservatezza!!». Edoardo:«Esatto! In piazza è tutto diverso... a volte vediamo quello in fondo a tutti, seduto al bar a bere un caffè e lo chiamiamo per partecipare; se invece stai facendo uno spettacolo per otto persone sedute al bancone di un bar a bere un drink o in un teatro, è tutto diverso chiaramente». Avete mai organizzato corsi di mimoteatro per adulti? «Sì, abbiamo provato ad organizzarli per due volte, ma senza riscuotere grande successo, anche se non abbiamo mai capito il reale motivo». Come è nato invece il progetto di Giocoleria nelle scuole che sta riscuotendo un grande successo? Dove state operan-
Arianna Ciofi
teatro all’aperto e iniziammo i nostri primi festival di teatro in giro per l’Italia. Proprio in quei festival io e Edoardo ci siamo conosciuti! Fra tutti gli artisti di strada dell’epoca lui era fra i migliori proprio per la sua capacità di coinvolgere e di improvvisare, forse una cosa che ai tempi non sapeva di possedere e di cui io sono rimasta molto impressionata». Elisabetta cos’è esattamente il teatro di strada: come lo definirebbe? «Il teatro di strada è qualcosa di magnetico che nasce fra l’attore e lo spettatore. Generalmente ti devi presentare ai passanti e lo fai ponendoti sul loro stesso livello: sicuramente ti presenti con un costume e con delle attrezzature, ma le persone non si fermano solo per quello. Devi creare una sorta di fluido magnetizzante nei confronti delle persone che devono essere convinte di restare a guardarti fino alla fine dello spettacolo». Da chi è nata quindi l’idea di fare teatro di strada insieme? Quando è che la vostra famiglia diventa proprio la compagnia? Elisabetta: «Noi ci siamo conosciuti nel ‘97, lui era già un professionista e io avevo già fatto alcuni primi tentativi. Abbiamo iniziato a lavorare insieme e “Il Teatro viaggiante” è nato nel ‘99. A spingerci sono stati due motivi essenziali: la sua professionalità di artista e teatrante già formato e la mia determinazione a voler imparare l’arte che mi appassionava. Dico sempre, infatti, che i primi 5 anni ho solo guardato». Edoardo: «Dal 2002 siamo diventati una famiglia nella vita e per scelta artistica anche sulla scena! I nostri figli, Martin, Matilde e Mael, ci aiutano e partecipano attivamente a nostri spettacoli grazie alle loro capacità artistiche e tecniche acquisite negli anni; hanno imparato fin da subito la bellezza del viaggiare, una componente del nostro lavoro. Un esempio del nostro lavoro assieme, è lo spettacolo famigliare intitolato proprio “La Famiglia Mirabella” che abbiamo portato in scena diverse volte con grande successo». Quali sono stati i progetti più importanti che avete messo in scena e dove principalmente? Elisabetta: «Nella nostra carriera abbiamo fatto un po’ di tutto, la direzione artistica dei festival, esibizioni artistiche in strada, gli spettacoli a teatro. Non è solo teatro in strada, ma i nostri spettacoli vengono richiesti in teatro proprio per la loro peculiarità di coinvolgere le persone; lo spettacolo diventa quasi un genere di varietà come quello che va di moda in nord Europa. È coinvolgente. Abbiamo lavorato in tutta Italia, ma anche in Europa, dove vorremmo concentrarci maggiormente in futuro». Edoardo: «Abbiamo diversi spettacoli, sviluppati negli anni: si possono anche vedere nel nostro sito internet, “Il Teatro Viaggiante”». E in Oltrepò? Edoardo: «In Oltrepò abbiamo fatto molto effettivamente. Abitiamo a Pietra de’ Giorgi da 15 anni e abbiamo sempre mantenuto un filo rosso con i Comuni della
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do ora? Elisabetta: «Il progetto è in corso da parecchi anni, è nato per gioco e su spinta di insegnanti e di amici. Ogni anno cerchiamo di mantenerne uno, anche se quest’anno ne abbiamo in corso due. Sono dei corsi di “circo-teatro” creati direttamente da noi, che sono diretti allo sviluppo della motricità attraverso delle tecniche base del giocoliere, dell’equilibrista e del mimo per arrivare a stimolare la fantasia e spesso anche volti alla realizzazione finale di uno spettacolo (a discrezione degli istituti). Finora abbiamo riscontrato un grande successo e a noi è sempre piaciuto tantissimo vedere come i bambini riescono a rispondere alle varie discipline, proprio in questa fase di sviluppo (dalla primaria alla secondaria di primo grado), riuscendo spesso proprio a migliorare l’autostima! Attualmente stiamo lavorando alla scuola primaria di “Renè Panis” di Redavalle e alla secondaria di Cava Manara». di Elisabetta Gallarati
«Scarsa collaborazione con i teatri locali: i nostri progetti con loro non sono mai andati a buon fine»
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MUSICA
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«è un momento in cui la fisarmonica non ha l’appeal di qualche tempo fa» Debora Sbarra e la sua fisarmonica, un connubio indissolubile. Un amore nato da piccola e che è cresciuto sempre più, fino a far diventare la musicista un vero e proprio simbolo. La Sbarra, classe 1976, è riuscita infatti a farsi conoscere e a portare lo strumento tradizionale stradellino in giro per le piazze italiane e in tv. Debora, come è nata la sua passione per questo strumento? «è nata semplicemente tramite mio padre e mio nonno che suonavano la fisarmonica. Quando sono nata io si facevano le classiche festicciole tra amici della mia famiglia: mio padre suonava e io cantavo. Sono così nata e cresciuta con questa passione per la musica folkloristica. A dieci anni, poi, ho deciso che mi sarebbe piaciuto suonare e mi ispirava il pianoforte, ma alla fine non c’è stato un approccio come doveva esserci. Si parlava all’epoca di Conservatorio e io non lo volevo fare: quindi a quell’età mi sono messa in spalla per la prima volta una fisarmonica». La scelta è stata giusta… «In effetti è nato tutto per scherzo. C’era anche un cugino di mio papà che ogni tanto gli dava qualche lezione e ho iniziato a prendere lezioni anche io. All’inizio era una cosa costante, poi ho cominciato a gestirmi da sola, ma chiaramente non era semplice e devo dire che ho fatto anche un po’ di danni! Dopo un paio di anni passati così... ho provato la scuola di musica a Stradella, con il Maestro Masiero. Appena mi ha sentito suonare ricordo che mi disse “Sei molto brava, ma adesso dobbiamo ricominciare tutto da capo”. Quindi ho fatto davvero così, ho seguito i consigli del Maestro e ho notato che più le cose erano complicate e più mi piacevano. Si è aperto davvero un mondo per me». Ha lasciato perdere definitivamente il pianoforte? «Non nascondo che ho studiato anche
Debora Sbarra con la sua inseparabile fisarmonica
quello! Mi era rimasta questa idea e devo dire che mi ha aiutata poi molto anche con la fisarmonica, perché tutte le tecniche imparate sul piano mi sono servite automaticamente sull’altro strumento. Ho avuto esclusivamente dei vantaggi in questo». Ha fatto concorsi? «Quando ero piccola, fino ai 15/16 anni. Sono stata a Pianello Val Tidone, poi a Cosenza. Mi piacevano perché erano delle sfide, dei piccoli esami, che mi potevano portare qualcosa di positivo. Potevo essere a contatto con altre persone e conoscere nuovi mondi. Quando poi ho iniziato a insegnare ho portato un paio di mie allieve a questi concorsi». E qui si apre il capitolo insegnamento… «Sì, abbiamo aperto con Romina Vavassori l’Accademia Musicale di Stradella. Ormai sono tanti anni che c’è questa scuola e gestisco la classe di fisarmonica, or-
ganetto e la parte teorica di solfeggio. Poi c’è il laboratorio di fisarmonica, sempre a Stradella, alle scuole medie che gestito da me: sono lezioni di gruppo, una volta alla settimana. Poi insegno anche a Casorate Primo e a Mairano nelle scuole musicali». Ci può spiegare cosa prova mentre suona e mentre insegna? «Quando suono diciamo che io e il mio strumento diventiamo una cosa unica. Faccio a volte cose virtuosistiche, ma mi piace molto di più la semplicità e l’immedesimarmi nelle parti. La maggior parte del pubblico che mi segue mi dice sempre che la fisarmonica con me parla! è il mio trionfo più grande. Per quanto riguarda la parte dell’insegnamento, invece, diciamo che non guardo mai il limite dell’età, soprattutto perché in questo periodo sono sempre di più le persone dai 50 anni in su che si avvicinano allo studio di questo strumento. A volte provo un sentimento di ‘quasi delusione’ perché magari capita di dover fare più volte di seguito le stesse cose, perché non c’è mai tempo a sufficienza o perché con i ragazzi delle scuole medie bisogna ripetere perché magari qualcosa non è chiaro: lì mi sento un po’ sconfitta per non essere riuscita a trasmettere il mio sapere e non essere arrivata subito al risultato. A volte, invece, ci sono momenti fantastici in cui tutto riesce e gli allievi sono felicissimi». Debora, lei ha inciso anche dei cd… «Ne ho fatti quattro. Ho sempre scelto nei miei lavori di fare una parte dedicata alle canzoni inedite perché logicamente ci si deve sponsorizzare e far capire il proprio gusto, e l’altra parte di canzoni classiche». è spesso anche ospite in trasmissioni televisive. «Sì, partecipo ogni tanto alla trasmissione di Sabrina Musiani ad Antenna Tre e poi sono stata anche negli studi di Canale Italia».
«Quando suono, diciamo che io ed il mio strumento, diventiamo una cosa unica» E poi naturalmente la si può trovare nelle varie piazze durante le feste di paese estive… «Sì, è una cosa che richiede molto sacrificio e passione, ma che da anche molte soddisfazioni». Come vede questo periodo per la fisarmonica? «è un momento in cui la fisarmonica non ha l’appeal di qualche tempo fa. Forse servirebbero più cose, più eventi, ma magari è solo un periodo di stallo e poi si ritornerà come prima. Io lo spero e non mollerò mai». Il fatto di arrivare dall’Oltrepò ha mai rappresentato un ostacolo per lei? «Secondo me no. Dipende sempre come uno imposta il proprio lavoro. Io sono originaria della Calabria, ma sono cresciuta qui… non mi sfiora l’idea di ripartire da zero in un altro posto, ma non avrei problemi. Non è che devi studiare a Londra per avere chissà quale successo: se ci sai fare, sai essere cordiale e brava con tutti, disponibile, allora il lavoro lo puoi fare ovunque e arrivare da qualsiasi posto». di Elisa Ajelli
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«Poca passione per i live, sono tempi duri per le band» La sua voce e le sue performance da showman infiammano i locali d’Oltrepò da oltre 25 anni. Quella di Giovanni “Giò” Fascella è la storia di un cantante rock e di una delle cover band più longeve e amate nel panorama oltrepadano: i Censura. Attivi dal 1994, hanno vissuto gli anni d’oro della musica live e oggi, pur di fronte al progressivo declino di questa forma di intrattenimento continuano a “scalciare” giù dal palco sconforto ed energie negative. I Censura sono la creatura con cui viene più naturale, per chi è cresciuto dalle parti di Voghera, identificare Giò Fascella. Sono centinaia i ragazzi che hanno ballato sui tavoli del “Ranch” al ritmo dettato dalla batteria di Cristiano Giovanetti e dal basso di Paolo Foti per esaltarsi agli assoli di chitarra di Igor Nembrini. Tuttavia, la storia di Giò affonda le radici ben più in là nel passato. Il ragazzino nato a Palermo nel 1970 e trasferitosi a Voghera nel 1973 era timido, e non avrebbe mai immaginato di finire a fare il frontman. La sua prima esperienza musicale non è stata neppure da cantante, bensì da batterista. Giò, qual è il suo primo ricordo legato alla musica? «Credo sia un disco di Bennato o di Pino Daniele. Ero legato a quel tipo di cantautorato, quando ero bambino la mia passione è nata così. Avevo una predisposizione innata e un certo orecchio che mi permetteva di cantare». Eppure non è stato attraverso il canto che si è avvicinato alla musica suonata. Il suo primo live è stato da batterista, è corretto? «Sì, avevo 16 anni. Non me la sentivo di cantare, ero timido e non avevo la vena del frontman. Imparai a suonare la batteria da autodidatta grazie all’amico Sergio Gatti, che mi permetteva di esercitarmi nella sua sala prove. Mi sentivo più a mio agio in quella dimensione allora». Poi che cosa è accaduto? «Sempre in quel periodo ho iniziato a strimpellare anche la chitarra e a cantare in un inglese piuttosto maccheronico, però un amico mi disse che secondo lui avrei dovuto provare a cantare. Mi lasciai convincere e provai. Era la fine degli anni 80». Ed è così che capì qual era il suo vero posto sul palco. Che musica le piaceva all’epoca? «Ero sotto con il rock. AC/DC, soprattutto nel periodo con Bon Scott, poi Led Zeppelin, Deep Purple, Van Halen. Poi è arrivato il grunge, quindi Screaming Trees, Alice in Chains, Pearl Jam e compagnia bella. Con tutta quella energia in corpo sentivo di dover mettere su una rock band mia». Era ancora presto per i Censura. Quale fu la sua prima formazione? «Eravamo io al basso e alla voce, Sergio
Il cantante Giò Fascella da 25 anni frontman dei Censura. «Da bambino ero timido e suonavo la batteria» Gatti alla batteria e Massima Cinefra alla chitarra. Ci chiamavamo “Fratelli Turone”». Perché “Turone”? «Perché il mondo era un buco e noi dovevamo “turarlo”! Più uno gioco tra di noi che altro». Suonavate spesso? «Nel circondario, per lo più cover, ma nel ’90 arrivammo in finale al concorso Pavia Rock con il nostro inedito “Big Head”. Lo registrammo alla Phantom di Tortona, fummo uno degli ultimi gruppi a registrare in quel mitico studio che di lì a poco chiuse i battenti». Quanto andò avanti l’esperienza “Turone”? «Dall’87 al 90, poi passai nei Rube ‘n Soda e da lì agli Zest, con i fratelli Giardina e Lallo Tanzi alla batteria. Quella fu la prima cover rock band “seria” con cui iniziai a girare i locali e andò avanti fino al ’94, anno in cui misi insieme la primissima formazione dei Censura». Non era la stessa che poi è diventata in qualche modo “classica”? «No, la prima line up, che suonò per un paio d’anni, fino al ’96, era composta da Fulvio Tartara al basso, Giorgio Bei alla chitarra, Lallo Tanzi alla batteria e Igor Cantarini alle tastiere. Dopodiché nacque la formazione “classica” di Censura, che è arrivata fino ad oggi». All’epoca si lavorava molto con la musica? «Decisamente più di adesso. Facevamo quasi tutti i weekend, 7-8 concerti al mese, i locali erano pieni e si veniva pagati decisamente meglio, anche perché con le lire all’epoca il potere d’acquisto era più alto». Faceva solo musica a quel tempo? «No, ho sempre affiancato un lavoro all’attività musicale, al tempo un part time come commesso in un negozio di mobili». Con i Censura siete passati alla storia come cover rock band, ma avete anche tentato la fortuna con degli inediti. Cosa ricorda di quell’esperienza? «Fu una scelta che portammo avanti nel
Giovanni “Giò” Fascella
2008: dopo molti anni insieme avevamo composto diversi pezzi originali e avevamo voglia di registrarli. Nacque l’ep “Ancon Effect”, che conteneva il singolo “Vuoto d’Aria”. Un rock ballabile con testi in italiano». Eppure l’esperienza non ebbe seguito. Cosa andò storto? «Arrivammo a un punto in cui, per provare ad avere riscontri importanti, servivano investimenti promozionali e nessuno di noi aveva abbastanza soldi da investire. Dal punto di vista musicale forse ci mancò un po’ di originalità, ma quello fu l’ostacolo principale. Resta un video professionale che girammo e lanciammo su youtube. Per chi volesse vederlo è ancora lì. Basta digitare Censura e Vuoto D’Aria». Oltre a quella con i Censura ebbe altre esperienze musicali. La sua voce fu prestata anche al film del cartone animato Pokemon 3. Come nacque quell’esperienza? «Entrai nel mondo delle sigle grazie al maestro Enzo Draghi, che mi stimava e mi aveva proposto in quell’occasione per cantare una sigla importante. Era il 2002». Cosa ricorda di quell’esperienza? «Era il 2002, registrammo tutto nello studio privato di Enzo Draghi a Voghera ed ero molto a mio agio anche se non avevo mai affrontato quel tipo di musica. Poi però la casa di produzione, la Universal, volle che ri-registrassimo tutto nel loro studio a Milano. Fu traumatico. Non avevo mai avuto esperienze in uno studio professionale e l’emozione creò non pochi problemi. Poi, con l’aiuto e lo sprone di Enzo riuscimmo a portarla a casa, ma che sudata!». Un’altra esperienza la ebbe in un musical, “I Dieci Comandamenti”. Una produzione internazionale, che aveva nel
cast anche la figlia di Zucchero, Irene Fornaciari. Come entrò in quella situazione? «Fu un amico a propormi, perché conosceva chi faceva casting e mi propose di tentare perché cercavano ancora qualcuno che interpretasse il faraone Sethi. Mi presero soprattutto per la mia fisionomia. In realtà non ebbi alcuna gloria a livello canoro perché il mio era l’unico ruolo muto di tutto il cast! Facevo l’attore e stop, ma calcammo palchi ovunque in Italia ed Europa, finimmo in tv a Striscia la Notizia e Buona Domenica». Poi come finì? «Andò avanti 6 mesi, poi finì che, nonostante i grossi piani per fare una tournée mondiale, venne fuori che la produzione non riusciva più a sostenere i costi troppo elevati e così tornammo a casa». Con i Censura siete ancora molto attivi? «Diciamo che facciamo una media di una data al mese, più un divertimento che altro. I tempi sono cambiati». Com’è la scena musicale oltrepadana oggi? «Deprimente direi. La mentalità della gente, dei gestori, il modo di fare musica sono cambiati. Non c’è più passione per il live, i tempi per le rock band sono durissimi, le possibilità sono pochissime e le paghe sempre più basse». Come mai secondo lei? «Non c’è più cognizione musicale, ai giovani certa musica non interessa più. Il nostro pubblico è praticamente tutto over 30». Non c’è nessuno quindi che può raccogliere il vostro testimone? «Non credo che i Censura potranno avere eredi. A prescindere dai tempi, siamo unici». di Christian Draghi
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«Campus estivo a Salice: calcio e divertimento ma anche grande opportunità» Non un semplice corso di calcio, ma una vera e propria settimana di vacanza all’insegna dello sport e del divertimento. Il campus estivo di calcio organizzato dall’A.S.D. Accademia Pavese è un’esperienza educativa importante, un’opportunità per fare nuove amicizie e acquisire maggiore autonomia sia sul campo che nella vita di tutti i giorni. Qualunque sia l’età dei partecipanti, queste occasioni sono esperienze altamente formative, oltre che divertenti: in primo piano vi è l’educazione sportiva, base essenziale per apprendere le nozioni calcistiche e perfezionare abilità tecniche individuali o approfondire i fondamentali dei diversi ruoli all’interno della squadra. I ragazzi imparano anche a socializzare con altri coetanei e a fare parte di un team, iniziando a vivere autonomamente nel rispetto delle regole comuni. Si condivide la stanza con nuovi e vecchi amici e ci si muove in autonomia durante l’intero arco della giornata. I giovani atleti sperimentano quindi in prima persona l’appartenenza a un gruppo, imparando il rispetto sia per i compagni che per gli avversari. A.S.D. Accademia Pavese da alcuni anni organizza campus estivi, dall’anno scorso ha voluto ampliare il suo raggio d’azione, organizzandone uno ulteriore a Salice Terme, esperienza positiva che il Presidente Ezio Panigati ed il Direttore Generale Gianluca Gaudio hanno deciso di riproporre anche quest’anno sempre a Salice Terme dal 23 al 29 Giugno. Responsabile tecnico dell’Accademia Pavese è un oltrepadano doc: Omar Albertini di Casteggio, allenatore della prima squadra da due anni e da quest’anno Responsabile Tecnico della parte agonistica, composta da 5 squadre, della società pavese. L’Accademia Pavese è una società che ha un grandissimo occhio di riguardo per i giovani, è Centro di Formazione Inter, ed il settore giovanile dell’Accademia è uno dei più prolifici nel panorama della nostra provincia: molti infatti sono i bambini, i ragazzi ed i giovani, che sono passati dall’Accademia per approdare a squadre professionistiche. Nella stagione scorsa l’Accademia Pavese è risultata terza in Lombardia per il minutaggio dei calciatori giovani che giocavano stabilmente in prima squadra tra tutte le 48 società di eccellenza della Lombardia. Nella stagione in corso la società pavese, è al momento prima in questa speciale graduatoria. Albertini quando ha iniziato ad allenare? «Ho iniziato nel 2009 allenando i ragazzi, dal 2013 sono mister “dei grandi”». Dove ha iniziato ad allenare nel 2009? «Ho iniziato a Casteggio con gli allievi, giocavo ancora, ed è stato allora che ho scoperto di avere una grande passione. La cosa bella di allenare i più piccoli è che loro riescono a trasmetterti entusiasmo e diver-
Omar Albertini timento, che ti coinvolge e ti fa sentire partecipe, insieme a loro, di un bel progetto». Dagli allievi è passato ai “grandi” nel 2013. «In realtà nel 2013 ho allenato sia i più grandi che i più piccoli. Poi mi sono sposato e ho dovuto quindi, per motivi di tempo, scegliere, e ho scelto di lasciare gli allievi facendo per quattro anni il mister della prima squadra a Casteggio. Da lì il mio approdo all’Accademia Pavese…». Ha attraversato il Po, ma non è stata la sua prima esperienza dall’altra parte del ponte. In quali squadre ha militato prima di diventare allenatore? «Ho giocato in tre squadre: Casteggio, Pavia e Accademia. Come allenatore, per ora, Casteggio e Accademia». In che ruolo giocava? «Difensore centrale. A dir la verità ho iniziato “davanti” da giovane, col passare del tempo, per mancanza di qualità (ride), sono arretrato». Ha avuto più soddisfazioni, a livello personale, come allenatore della prima squadra o dei piccoli? «Ho avuto soddisfazioni sia con i ragazzi che con la prima squadra. Sono soddisfazioni diverse, ad esempio vedere l’esordio di un ragazzo in prima squadra, vederlo giocare, sapendo tutti i sacrifici del percorso fatto per arrivare sino a lì… questa è una grande soddisfazione personale. Sento tanto parlare di giovani, ma di società che puntano davvero su di loro io ne conto davvero poche e ho la fortuna di far parte di una di queste: poter allenare i ragazzi, che crescono e che danno a loro stessi e all’Accademia grandi soddisfazioni è un bel messaggio per tutti quei ragazzi che hanno un sogno…». Che caratteristiche deve avere un allenatore del settore giovanile rispetto ad un allenatore “dei grandi”? «È importante sapere come allenatore cosa si vuole fare, perché allenare i ragazzi è diverso dall’allenare i grandi. Ruoli che richiedono caratteristiche diverse: per al-
lenare i ragazzi ci vuole passione e non sei solo un allenatore, ma anche un educatore, un insegnante anche di vita, oltre che a dover insegnare l’aspetto pratico del calcio, che diventa quasi secondario. Con i grandi si è più focalizzati sul risultato della domenica e facendolo per lavoro si trascura a volte un po’ l’aspetto dell’entusiasmo e del divertimento, di conseguenza anche come mister cambia lo scopo e l’obbiettivo». In Oltrepò molti dicono di voler puntare sui giovani ma molti addetti ai lavori sostengono che stando ai fatti non è così. Lei cosa ne pensa? «È un discorso molto ampio, molti paesi hanno una loro squadra e un loro settore giovanile che è per tutte le società un aspetto economico importante. Quello che secondo me oggi una squadra dovrebbe fare non è solo prendere le quote di singole famiglie, per far partecipare i figli alle varie scuole calcio e settori giovanili, ma cercare di investire… solo così il nostro movimento calcio può migliorare. Il settore giovanile deve avere educatori e allenatori preparati, diversamente diventa difficile insegnare, prima del calcio, le regole e il rispetto che permettono poi ad un ragazzino di crescere». Secondo lei in Oltrepò manca, in alcune squadre, la preparazione negli allenatori delle giovanili? «Più in generale nella provincia di Pavia e non solo in Oltrepò. Bisogna programmare e investire, servono istruttori preparati e qualificati per migliorare la qualità dei nostri giovani. Ci sono alcune società che stanno lavorando bene, ad esempio la nostra che è improntata quasi totalmente sui giovani, ma non siamo in Oltrepò… Sono anni che non solo in Oltrepò ma un po’ in tutta la provincia di Pavia, ci sono pochissime realtà che fanno una programmazione in progetti a lungo termine, nelle strutture, in preparazione degli allenatori-educatori, la realtà è che oggi le strutture in Oltrepò non sono adeguate». Lei è Mister dell’Accademia pavese che è da cinque anni Centro Formazione Inter. È solo un nome, Centro di Formazione Inter, o è un valore aggiunto? «Il nostro centro di formazione ci permette di essere un élite in provincia di Pavia, la metodologia, gli allenatori e l’esperienza dell’Inter a livello nazionale viene portata nella nostra società sia a livello di programmazione e preparazione dei nostri allenatori educatori che di metodologia d’allenamento, questo ci permette di essere rispetto ad altri di qualche gradino sopra». Lei oltre ad essere l’allenatore della prima squadra dell’Accademia pavese è anche responsabile tecnico del Settore agonistico, ci spieghi meglio questo suo compito e soprattutto se è “normale” all’interno di una società calcistica questo ruolo. «Da quest’anno ho avuto l’opportunità di
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essere il coordinatore tecnico di tutte le squadre agonistiche, ruolo che svolgo con entusiasmo. È un grande valore aggiunto per una società questo ruolo, che è nato quando ci siamo posti come società una domanda: “come facciamo a migliorare la qualità del settore giovanile?” Se fino all’attività di base avevamo il Centro di Formazione Inter, al centro c’era un buco, ci siamo resi conto che era necessario dare una continuità di percorso dal Centro Formazione Inter sino alla prima squadra. La società ha deciso d’investire in questo progetto, questo è un lavoro che mi impegna sei giorni su sette, e che ci permette di avere la stessa metodologia di lavoro e d’allenamento e di far crescere in maniera quasi uguale tutti i ragazzi tesserati per l’attività agonistica. Per fare questo facciamo monitoraggio sugli allenamenti e sui singoli ragazzi, da quest’anno abbiamo un database che ci permette di vedere se noi allenatori possiamo migliorare il lavoro che facciamo con i ragazzi e se i ragazzi hanno una crescita che per noi è l’aspetto fondamentale del nostro lavoro». Campus a Salice Terme. Quale sarà il suo ruolo? «Quest’anno abbiamo ampliato il discorso del campus, ci sarà un responsabile tecnico che è Marco Pessina, ci sarà un responsabile organizzativo che è Gabriele Casetta ed io che farò da trait d’union tra i due ruoli nonché il super visore. Rappresenterò la società sul campo, sia a Sant’Alessio che a Salice». Una domanda da genitore: questi campus e nello specifico il campus che voi organizzate, sono una settimana di vacanza o hanno anche una valenza sportiva? «Sono tre anni che organizziamo i campus e ogni anno cerchiamo di apportare miglioramenti. Il nostro obiettivo è far divertire i ragazzi, ma con un occhio di riguardo per l’aspetto ludico e aggregativo che è molto importante. Il nostro obbiettivo è riconsegnare alle famiglie figli che possano avere un ricordo positivo sia dal punto di vista tecnico che ludico della settimana trascorsa con noi». Al di là dell’aspetto educativo, il campus che voi organizzate serve anche all’Accademia per trovare dei bambini che possano essere utili al vostro progetto sportivo? «Assolutamente sì, le regole federali non permettono di vedere prima del 30 di giugno nessun ragazzo tesserato per un’altra squadra. Questi campus servono a noi per valutare sotto l’aspetto tecnico i ragazzi che giocano in altre società dell’Oltrepò, nel milanese e nel pavese e sono certamente preziosi per la nostra attività di scouting. L’anno scorso ad esempio abbiamo tesserato, dopo averlo visto al campus, un ragazzino di 11 anni, proprio di Salice Terme, che dopo soli tre mesi di permanenza all’Accademia è stato subito “ingaggiato” dall’Inter. Questo vuol dire che il campus ha una forte valenza sportiva ma anche che i nostri allenatori hanno capacità di scouting». Mister l’ultima domanda: se dovessero dirle di scegliere tra l’allenare i ragazzini e la prima squadra, cosa sceglierebbe? «Per me è una risposta facilissima, Prima squadra con tanti giovani»
di Silvia Colombini
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Ronde Val Merula, bene gli oltrepadani Nicelli, Canzian e Brega
Massimo Brega
Riccardo Canzian
Davide Nicelli
Per gli oltrepadani Nicelli, Canzian e Brega, il sipario di questo 2019 rallystico si é alzato in terra ligure con la partecipazione alla sesta edizione della Ronde Val Merula. Due giorni di sport e spettacolo motoristico, che hanno richiamato ad Andora nel ponente ligure molti appassionati. Nella sua breve storia, quella di quest’anno la si può definire un’edizione da record non solo per gli oltre 100 iscritti, ma anche per l’alto livello degli equipaggi al via. L’automobilismo oltrepadano é stato presente con tre equipaggi di spessore; due giovane e scalpitanti come: Davide Nicelli con Alessandro Mattioda su Peugeot 208 R2B e Riccardo Canzian con Andrea Prizzon su Reanult Clio R3C e gli esperti Massimo Brega e Claudio Biglieri con la nuova Fiat 124 Rally Abarth. Per costoro, in gara con una vettura non certo facile da portare in condizioni meteo non ottimali, c’é stato tanto divertimento, tanto spettacolo offerto agli spettatori e il successo tra le RGT da regalare alla Scuderia Piloti Oltrepo. Davide Nicelli chiu-
de invece con un buon terzo posto nella R2B e tra gli under 25 il Rally. Il driver stradellino sulla sua Peugeot 208R2, dalla livrea rinnovata, ha così commentato la sua prestazione. «È stata una gara positi-
va nel complesso. Siamo partiti un po’ a rilento sulla prima prova, perdendo troppi secondi dai primi di R2: purtroppo non sono mai riuscito a trovare il ritmo, poi dalla seconda prova abbiamo resettato tut-
Canzian-Prizzon Clio R3C
to e siamo riusciti a staccare ottimi tempi, lottando con chi al momento si trovava tra i primi in R2. Certo che in gare come queste, corte, se parti al meglio tutto è subito compromesso e recuperare diventa molto difficile. Comunque alla fine siamo riusciti ad arrivare sul podio di categoria e questo é positivo anche se in effetti più che altro ci interessava provare alcune soluzioni del set up e gomme, quindi per ora va bene così, certo che alcune cose vanno ancora messe a posto e migliorate». Una grossa pietra in traiettoria su di una “destra piena”, impossibile da evitare, una gomma che si sgonfia, tanto tempo perso ed ecco che una gara sfuma, ma poteva anche andare peggio per Riccardo Canzian e Andrea Prizzon in gara con la Clio R3C. Un inconveniente che ha tarpato in parte le ali al giovane e veloce driver di Broni, il quale, pur non prendendosi ulteriori rischi eccessivi ha ricucito in parte il gap che lo divideva dai primi andando a chiudere la gara con un ottimo secondo posto di categoria a soli 13” dai vincitori. A differenza di Nicelli, Canzian non ha stilato un programma 2019, che per lui, fino ad oggi, sarà un anno transitorio, in cui lo vedremo impegnato in gare spot in attesa dei nuovi programmi Renault 2020. La sesta edizione della Ronde Val Merula é stata vinta da Fabio Andolfi e Simone Scattolin, su Skoda Fabia R5. Alle loro spalle si sono classificati Giandomenico Basso e Nicola Vettoretti, giunti a 4”2 e Stefano Albertini e Danilo Fappani a 23”7. Lo stesso Andolfi ha conquistato la seconda e la quarta prova speciale, mentre Basso è stato il più veloce nella terza e Albertini nella prima.
Brega-Biglieri Fiat 124 Abarth
di Piero Ventura
Nicelli-Mattioda Peugeot 208 R2b
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Auto storiche, Benedetta Pericotti “rentrée” al Bettega A 34 anni dalla tragica scomparsa è sempre vivo il ricordo di Attilio Bettega, grande campione ed amato pilota dalle indubbie doti velocistiche ed umane. Chi ne ha apprezzato le gesta sportive, ha pensato bene di dedicargli questa manifestazione invernale la Coppa Attilio Bettega, gara di regolarità per auto storiche, organizzata dai trevigiani del Rally Club 70 che si é svolta tra sabato 16 e domenica 17 febbraio. La prima vettura, infatti, ha preso il via da Bassano del Grappa alle due del pomeriggio di sabato per portare a termine la fatica a Piovega di Sotto alle prime ore del mattino di domenica. La località che ha invece ospitato l’arrivo della prima tappa e la partenza della seconda è stata Falcade, in provincia di Belluno. Una gara in notturna e strade incastonate in paesaggi molto suggestivi, sono stati le principali caratteristiche di questa competizione, che,ha visto al via anche una “debuttante” di lusso, un’oltrepadana protagonista del rallysmo nazionale e non solo: Benedetta Pericotti, che da parecchio tempo lontana dalle competizioni moderne, ha ritrovato alla Coppa Bettega, un approccio con le 4 ruote per lei del tutto nuovo. «Per me era effettivamente la prima gara di regolarità – racconta Benedetta – l’ultimo rally che ho disputato é stato il Valli del Bormida 2013, prima della nascita della mia bimba». A cosa é dovuta la scelta di una gara storica, per il rientro? «Mio suocero, Roberto Roveta è molto appassionato di auto storiche e qualche anno fa ha comperato una 124 Sport Spider ed ha partecipato con suo figlio Alberto Roveta, generalmente pilota di rally moderni nonché mio compagno da anni e padre di mia figlia, a due edizioni del rally di Montecarlo storico. Alberto, in quelle occasioni, ha quindi fatto da navigatore a suo padre. Ora Roberto ha acquistato anche una Fulvia coupè, così, in occasione della Coppa Bettega, abbiamo fatto una trasferta di famiglia, formando due equipaggi Alberto ed io con la 124 e Roberto con Luigi Foggia, (anch’egli navigatore di rally alla sua prima esperienza nella regolarità), per una sfida in famiglia!». Com’é andata? «La nostra gara stava andando benino, considerando che era la prima volta e non avevamo strumenti particolari ma solo il mio “crono”, ma purtroppo alla decima prova abbiano avuto un problema all’alternatore che ci ha portato al ritiro». Sensazioni? «Tornare dopo anni sul sedile di destra è stato comunque un’emozione. Personalmente preferisco i rally moderni, ma in ogni caso, amando le auto e le competizioni, ho apprezzato molto anche questa
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Benedetta Pericotti in veste di co-pilota rally. nuova esperienza. Certo che se alla coppa rio Corallo, Gianni Deantoni, Riccardo Renault 5 Alpine formato da Zazzeri e AlBettega ci fosse stata neve sarebbe stato Bossi, Paolo Benvenuti, Fabrizio Raffadrovandi ad aggiudicarsi l’edizione 2019 sicuramente molto più divertente». elli, Paolo Pastore e non ultima la sorella della Coppa Attilio Bettega. Ora il ghiaccio é rotto, ci sarà un futu- Costanza e ovviamente Alberto Roveta. di Piero Ventura ro? Per la cronaca, é stato l’equipaggio della «Per il futuro non escludo di fare altre gare storiche (regolarità o rally) o magari di ritornare ai rally moderni. Quando si nasce con questa passione difficilmente se ne esce ed io arrivo da una famiglia in cui le mie sorelle Costanza ed Ester corrono da anni e mi trovo oggi in una famiglia con Alberto e Roberto, mossi dalla stessa passione! E Alessia, mia figlia, al momento a tifare per tutti. In futuro non si limiterà certamente a questo». Benedetta Pericotti ha oltre un’ottantina di rally all’attivo, tutte gare di estrema importanza che comprendono anche puntate in Finlandia e Croazia, gare in cui, dal 2000 a oggi, ha messo in bacheca 7 vittorie, 6 secondi e 2 terzi posti assoluti, oltre a: 15 vittorie, 6 secondi posti e 7 terzi posti di classe. Ha letto le note ad una quindicina di piloti tra cui ricordiamo: Andrea Picozzi, Franco Leoni, Michele Tagliani, Fabrizio Quadrelli, Gianni Castelli, Gianluca Bozzola, Cristiano Bulgarini, RosaLa Fiat 124 SS di Roveta-Pericotti alla Coppa Bettega
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Ruino, Ruggeri - Marzi Terzi al Lessinia Rally Historic La stagione agonistica 2019 dei rally storici si é aperta per l’equipaggio di Ruino composto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi, con la disputa del 1° Lessinia Rally Historic, gara che ha aperto la sfida del Coppa 127 valida per la serie voluta da Pro Energy Motorsport, nata per aggregare piloti ed appassionati della vettura torinese. La competizione veronese, organizzata dal Rally Club Valpantena, ha annoverato fra gli iscritti alla Coppa 127, oltre ai citati pavesi della Media Rally Promotion, già vincitori tra l’altro di uno scudetto tricolore della categoria, anche il temibilissimo duo bresciano composto da Oreste Pasetto e Carlo Salvo, i veloci torinesi Mauro Garbarino e Serena Manca per i colori della scuderia Meteco corse, quindi l’equipaggio vicentino della Scuderia Palladio Historic, con Vittorio Marzegan alla guida e Moreno Pertegato alle note della Fiat 127 azzurra, mentre pronti a ben figurare sulle strade di casa anche il duo veronese della Scaligera Rallye composto
da Manuel Negrente ed Andrea Signorini. Salutata dal sole e le montagne innevate, la prima sfida del Coppa 127 Pro Energy Motorsport al Lessinia Historic Rally ha regalato grandi emozioni e una un’accesissima battaglia per la definizione del secondo e terzo posto che ha visto tra i protagonisti l’equipaggio oltrepadano. Mattatori della giornata sono stati però i bresciani Oreste Pasetto e Carlo Salvo, poi vincitori del primo round della Coppa 127, mentre al termine di un bel confronto per la seconda posizione, l’ha spuntata nelle ultime prove speciali il duo scaligero: Manuel Negrente e Andrea Signorini, mentre il terzo gradino del podio é andato al sempre competitivo equipaggio pavese della Media Rally Promotion, composto appunto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi. Ora, la Coppa 127 si sposterà in Piemonte per il secondo round, dal 25 al 27 aprile, col 12° Rally Storico del Cuneese. Ruggeri-Marzi in azione con la Fiat 127
di Piero Ventura
Rally Ronde del Canavese, brilla lo stradellino Davide Nicelli Eccellente prestazione dello stradellino Davide Nicelli al Rally Ronde del Canavese. Il driver Oltrepadano, al secondo impegno stagionale al volante della Peugeot 208 R2B, ha colto un brillate 6° posto assoluto, preceduto solamente dalle più performanti Skoda Fabia R5 di Colombi, Chentre, Gagliasso, Pensotti e Bausano che hanno tagliato il traguardo nell’ordine al termine di una gara selettiva e ricca di colpi di scena. E’ stata una competizione bella e vibrante che, come detto, ha vissuto su numerosi colpi di scena. Il primo ha interessato Alessandro Gino e Marco Ravera, vincitori lo scorso anno al via sulla Ford Fiesta Wrc. Il cuneese vinceva infatti il primo passaggio, ma al via della seconda prova un banale difetto al sistema di aggancio di una cintura lo ha costretto allo stop. Le redini del confronto le assumeva il valdostano Elwis Chentre in gara con Elena Giovenale su una Skoda Fabia. Sul terzo round anche il veloce driver di Roisan doveva fare i conti con la sfortuna con una foratura che gli faceva perdere una ventina di secondi consegnando la leader ship provvisoria a Colombi che dal canto suo era stato protagonista di un testa coda nel corso della prima prova. Chen-
tre sferrava l’ultimo attacco sul parziale finale che fruttava il sorpasso ai danni di Patrick Gagliasso e Dario Beltramo in gara sulla Skoda Fabia che chiudevano sul terzo gradino del podio, autori di una prestazione come al solito brillante. Più staccati e comunque in quarta posizione i sempre validi varesini Filippo Pensotti e Luca Broglia anche loro su una Fabia R5. Ottimo l’esordio del canavesano Giovanni Bausano sulla Skoda Fabia con la quale, insieme a Andrea Scali ha chiuso al 5° posto assoluto nonostante un testa coda durante la terza prova. Nella classifica generale alle spalle di Bausano troviamo appunto il pavese Davide Nicelli con Alessandro Mattioda, autori di una prova maiuscola sulla Peugeot 208 con la quale hanno vinto la classe R2B e la speciale classifica riservata agli Under 25. “È stato un week-end perfetto fin dall’inizio – ha commentato Nicelli - siamo partiti subito molto forte per contrastare fin da subito i miei diretti avversari in R2 tutti molto veloci. Già dalla prima prova siamo stati i migliori della categoria e in pratica anche nelle altre due delle tre prove restanti. L’unica prova in cui non ho potuto spingere al massimo è stata la terza a causa
Nicelli-Mattioda sul podio
di uno stop della prova per un incidente e con un’attesa di quaranta minuti le gomme erano diventate quattro “ghiaccioli”; quindi nei primi chilometri ho pertanto dovuto scaldare le gomme e la quarta migliore prestazione non é venuta, ma va bene così, fa parte del gioco. Siamo molto soddisfatti del risultato che si concretizza in un buon pre-stagione iniziato al val
Merula che ci rende fiduciosi in vista dei miei programmi 2019 che mi vedranno a caccia del Trofeo Peugeot e Due ruote motrici in ambito del Campionato Italiano Rally affiancato dal Team By Bianchi, da Alessandro Mattioda alle note e appoggiato dalla scuderia La Superba . di Piero Ventura
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Paviarally Club Autostoriche in convivio a Castellaro Non c’era posto migliore per dare sfogo alla loro proverbiale goliardia ricca di passione per le 4 ruote, l’amicizia e i baccanali, se non la “Primula Bianca” ristorante sito nel cuore della “mitica” prova speciale di Castellaro (legata alla più vecchia tradizione del rally d’eccellenza: il “4 Regioni”, che quel tratto di strada lo ha percorso sino dal lontano 1971), per ospitare un convivio, simbolo virtuale dell’inizio stagione agonistica per Paviarally Club Autostoriche composto anzitutto da amici amanti delle corse e della buona tavola, formato da elementi in rappresentanza dell’intera provincia. Un’allegra “baraccata” a cui hanno aderito tra gli altri anche Roberto Ratto “magico” preparatore delle Lancia Fulvia, giunto appositamente da Savona e gli immancabili: Natalino Perelli, Giuseppe Roveda, Rodolfo Carrera, Daniele Sperandio, Brunello Santi, Dovati, Marini, Daniela, Mariella etc. etc. etc. Interessanti le novità emerse in vista della stagione che va ad iniziare, anzitutto la partecipazione al Trofeo Tradizione Terra per Rally Storici 2019 da parte di Domenico Mombelli e Marco Leoncini, con la Ford Escort MK1, di cui tutti ricorderanno la prestazione maiuscola fornita a fine stagione scorsa al Tuscan Reiwind Historic Rally, dove, “Russel Brooks e John Brown” come simpaticamente vengono soprannominati Mombelli e Leoncini dai compagni di squadra, hanno lasciato un segno indelebile. La loro attività agonistica prenderà il via i prossimi 15-16 e 17 marzo al Rally Storico Città di Arezzo – Crete Senesi e Valtiberina. Si tratta di una gara sulla quale c’é grande attesa
Alcuni componenti del Paviarally Club Autostoriche
per il cambio del format, che porterà i concorrenti in provincia di Siena, raggiungendo prove speciali da sogno. Altra interessante novità é l’ingresso tra le fila del Club di Amos Curati, pilota veloce, di un certo spessore sportivo, già portacolori della squadra pavese negli anni del suo massimo splendore dal 1977 al 1981. Curati, affiancato dal preparatore Danie-
le Sperandio, ha approfittato dell’asfalto della “Castellaro” per far percorrere il primi chilometri alla splendida Fiat 124 SS che lo stesso Sperandio ha approntato nell’officina di San Giorgio. Fatto nuovo, anche l’arrivo dell’intramontabile Gianni Castelli. Abitualmente impegnato nei rally moderni in cui il pilota del Brallo difende i colori della Erreffe di Romagnese,
da quest’anno, sarà presente anche in alcuni rally storici al volante di una Lancia Fulvia Coupe per i colori del club pavese che annovera tra i suoi programmi oltre ad alcuni appuntamenti ormai fissi quali il Rally 4 Regioni, La Grande Corsa, Il Giro Notturno e Il Memorial Contento, anche numerosi altri impegni. di Piero Ventura
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Motors Rally Show, vince Nucita. Massimo Brega é sesto Si è conclusa con la vittoria di Andrea Nucita navigato da Andrea Marbellini su Hyundai I20 l’edizione 2019 del Motors Rally Show di Castelletto di Branduzzo. Il pilota siciliano si è messo in testa alla gara già dalla prima prova speciale del sabato sera, primato confermato anche nelle tre speciali successive per poi contenere fin sotto la bandiera a scacchi, il ritorno degli avversari. La piazza d’onore è stata conquistata da un’accoppiata di lusso composta da Piero Longhi e Alessandro Perico su Skoda R5. Longhi e Perico, che si sono alternati al volante, hanno concluso la gara in crescendo, finendo a soli 2”9 dai vincitori, dopo una scelta errata di gomme nella prove serali di sabato che a conti fatti, li ha allontanati dal gradino più alto del podio che viene completato da Araldo-Boero su Skoda Fabia R5, i più veloci sulla quarta prova speciale assieme a Nucita facendo segnare esattamente il medesimo crono. Nucita ha fatto segnare il miglior tempo sulla PS1-2-3 e 4 (quest’ultima, come detto, a pari merito con Araldo), mentre due prove (la quinta e la sesta), sono andate alla coppia Longhi-Perico. Appena giù dal podio troviamo Messori-Lavazza (Skoda Fabia R5) che nel finale superano Riccio-Rocchi (Ford Fiesta R5). Sfiora invece la top five, uno degli equipaggi più esperti e amati dai tifosi pavesi composto da Massimo Brega e Paolo Zanini (Skoda Fabia R5) tornati a condividere lo stesso abitacolo dopo un lungo periodo. Per i portacolori della Scuderia Piloti Oltrepò, c’é stato un buon 6° posto che a detta di molti, va un poco stretto ai due oltrepadani. Lo spettacolo per la quarta edizione della manifestazione organizzata dall’Aci Pavia non si è fatto attendere. Al termine della prima prova speciale i distacchi tra i primi sono stati irrisori, mostrandosi da subito una gara da giocarsi sul filo dei centesimi. Traversi, emozioni e qualche errore hanno entusiasmato il pubblico sulle tribune del circuito che ha seguito le accese battaglie in pista per emergere nelle varie classi in cui, tra le Wrc la vittoria è andata all’equipaggio composto da Uzzeni-Bondesan su Ford Fiesta Wrc (9° assoluto). Invece, sia in N4 che in A8 e R4 c’é stata la gara in solitaria rispettivamente di Gianesini-Cattaneo su Mitsubishi Lancer Evo IX (13°) , Bulgarini-Orio su Lancia Delta Integrale (14°) e Acetulli-Bonaiti su Mitsubishi Evo IX (29°). In S2000 prevale la Peugept 207 di De Nuzio-Iacobelli (16°). In R2B ad imporsi sono Gonella-D’Ambrosio su Peugeot 208 (17°) i quali hanno preceduto la vettura gemella di Matteo Traversa e Claudia Musti (21°). La Clio S1600 nei colori dell’Efferre Motorsport di Roma-
lo su di una vettura gemella (38°). Tra le RS2.0 é il piacentino Bossalini con la Gerevini sulla Bmw 318 (36°) ad imporsi. Nella RSTB1.6 invece vincono TogniniGiumelli su Cooper S (40°). BurgazziFontana (41°) con la Clio si impongono nella N3, Salviotti-Filippini, partiti malissimo, con la Fiat Panda Efferre, raddrizzano una gara difficile andando a cogliere la vittoria in A5 ed il 42° posto assoluto. Infine, Marta-Tiziano, 46esimi al traguardo si aggiudicano il successo nella classe RSTB1.6. Bella la sfida tra le auto storiche in cui a primeggiare é stata la potentissima BMW M3 (Road Runner Team) portata in gara da Roberto Ottolini e Stefania Nespoli i quali fanno segnare il miglior crono nelle prime 5 prove in programma davanti alla Porsche 911 SC di Lo Presti-Biglieri (Scuderia Piloti Oltrepo) ai quali cedono solamente l’ultima prova per 5” andando ad aggiudicarsi la gara con un margine di 13”4. Terzo gradino per Daglia-Partelli con la Bmw 3232i i quali regalano un’altra coppa da mettere nella bacheca Rally Club Oltrepo, la rinata scuderia oltrepadana voluta da Stefano Maroni PierPaolo Contardi unitamente ad un gruppo di affiatatissimi appassionati. Sfortuna invece per Persani-Calatroni (Peugeot 205 – SPO) e Albera-Albera (Alfa Romeo GTV) costretti al ritiro. di Piero Ventura
Castelletto di Branduzzo: Il podio delle storiche
gnese condotta dal ligure Alberto Biggi navigato dalla pavese Susy Ghisoni (18°) si é aggiudicata la classe d’appartenenza. In classe R3C vincono Uslenghi-Lupo su Clio (19°). Nella RGT a vincere sono Maluasio-Balducci su Abarth 124 (23°), mentre Dossena-Dossena, portano al 27°
Daglia - Partelli
posto assoluto e prima tra le RSTB1.6P la Mini Cooper JCW. Bogna-Bordito su VW Polo (30°) si impongono nella RSTB1.4P; In N2 a vincere sono Esposito-Bertelli su Peugeot 106 (35°), categoria in cui c’é stato il buon secondo posto dei pavesi Lorenzo Martinotti e Claudia Spagno-
Brega - Zanini
Saviotti - Filippini