L’ipocrisia di chi riparte ancora dal via mentre la politica fa e disfa nella prima zona viticola della Lombardia
Anno 13 - N° 143 GIUGNO 2019
20.000 copie in Oltrepò Pavese
pagina 11
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV
ANTONIO LA TRIPPA
varzi VOGHERA
pagina 3
Caos Asm, «Azzerate il Cda di Vendita e Servizi» Bollette “pazze”, esposti in Procura, il rischio concreto di andare incontro a una vertenza sindacale per mancato rispetto di accordi con Cgil...
news
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BRESSANA BOTTARONE «Ci speravamo, ci credevamo, anche se avevamo contro tutti» Le elezioni comunali di Bressana Bottarone sono state vinte dalla lista “Ascoltare Bressana’’, il cui candidato sindaco, Giorgio Fasani... pagina 33
CERVESINA Centri Accoglienza in crisi: «Così si favorisce il lavoro nero» Uno degli effetti del Decreto Salvini sulla sicurezza è stato quello di svuotare i centri accoglienza sparsi sul nostro territorio. Tagliati i fondi... pagina 17
SALICE TERME «L’evento 1° giugno è diventato l’evento di tutta Salice Terme»
il Periodico
La Comunità Montana potrebbe essere il 4° Comune della Provincia Potrebbe… ma non è! Con oltre 16mila 500 abitanti se la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese fosse, un solo Comune, sarebbe il quarto...
Tangenziale Voghera-Casteggio: «Non il solito tappetino d’asfalto ma un intervento radicale e definitivo»
pagina 4 e 5
Ecoprogram, 30 anni di successi
Le idee son tutte belle, un po’ come la teoria che spesso affascina ed è bella, poi c’è la triste realtà: le idee devono essere trasformate in fatti concreti... pagina 21
BRALLO DI PREGOLA «Io ho vissuto gli anni ‘70 al Brallo, e ti posso dire che era una figata!» Cosa significa fare cultura popolare oggi? Cosa significa farla in Oltrepò? Se c’è una persona che lo sa, e che la fa, quella persona è Flavio Oreglio...
Percorrendo la Strada Statale tra Voghera e Casei Gerola, ritengo personalmente impossibile non notare quel gigantesco piazzale denso di centinaia di autoveicoli, di ogni target, parcheggiati in bella vista sotto l’egida dei Marchi Ecoprogram...
pagine 22 e 23
pagine 12 e13
«La nostra vittoria? Per me scontata. La Lega ha fatto due grandi errori»
pagina 27
Editore
ANTONIO LA TRIPPA
il Periodico News
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LA COMUNITÀ MONTANA POTREBBE ESSERE IL 4° COMUNE DELLA PROVINCIA… POTREBBE, MA NON È! Con oltre 16mila 500 abitanti se la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese fosse, magari un pochino utopisticamente, un solo Comune, sarebbe il quarto Comune della provincia di Pavia, alle spalle del capoluogo che conta circa 75mila abitanti, di Vigevano con circa 63mila abitanti, di Voghera con i suoi 39mila abitanti e davanti a Mortara con circa 15mila abitanti e di gran lunga davanti a Stradella che di abitanti ne conta circa 11mila. Oltre 16.500 abitanti vivono nei Comuni di Bagnaria, Borgo Priolo, Borgoratto Mormorolo, Brallo di Pregola, Cecima, Colli Verdi (ex Canevino, Ruino e Valverde), Fortunago, Godiasco Salice Terme, Menconico, Montalto Pavese, Montesegale, Ponte Nizza, Rocca Susella, Romagnese, Santa Margherita Staffora, Val di Nizza, Varzi e Zavattarello. La Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese alla luce dei numeri potrebbe essere dopo Voghera il secondo “grande” Comune dell’Oltrepò e potrebbe anche essere, per estensione, il più grande Comune della provincia di Pavia. Potrebbe… ma non è! Non è perché una fusione di tutti i 18 Comuni che ne fanno parte, anche se potrebbe essere logica, sia di difficile realizzazione, almeno in tempi ragionevolmente e logicamente brevi. Non è perché dopo l’era Berogno, storico e inamovibile Presidente della Comunità Montana per tantissimi anni, si sono succeduti diversi Presidenti che, complice anche il fatto che in Oltrepò di politici “di peso” in Regione e a Roma ce ne sono sempre meno, hanno fatto perdere, anche (ma non solo) per mancanza di referenti, “peso politico” alla Comunità Montana. Per avere peso politico non basta vincere le elezioni o avere voti. Il peso politico è quella capacità di essere presenti, in modo diretto o indiretto, nella “stanza dei bottoni” affinché la politica che conta e che decide possa indirizzare, a seconda delle richieste che arrivano dal territorio, il maggior numero di fondi possibili per esaudire e realizzare progetti. La colpa di questa mancanza di peso politico degli ultimi anni della Comunità Montana è di molti, di tutti e di nessuno. Tutti dicono di aver fatto del loro meglio, anche se in molti casi sarebbe meglio non lo dicessero, visti i risultati: perché se il loro meglio è questo… figuriamoci il peggio. Terminata l’era Berogno che, piaccia o non piaccia, è stato il motore della Comunità Montana, ma soprattutto è stato colui che “metteva tutti d’accordo” (e chi non lo era… alla fine lo era lo stesso), uscito di scena il “conductor”, (forse il termine potrà sembrare irriverente ma è solo per sottolineare la capacità di leadership che aveva Berogno), le varie anime o “cagnolini sciolti” - a voi la scelta - della Comunità Montana hanno iniziato a frazionarsi.
Qualcuno dirà che è il giusto processo democratico…Tutto vero, ma se questo processo o dialettica democratica non permette di accordarsi e conferire pieni poteri a un Presidente che sappia rappresentare gli ex 19 ora 18 (con la fusione dei Comuni di Ruino e Valverde e l’ incorporamento di Canevino sotto un unico Comune denominato Colli Verdi) Comuni della Comunità Montana, si rischia di andare davanti alla “stanza dei bottoni” e di rimanere sull’uscio! Rischio che è stato realtà negli ultimi anni. Non solamente per colpa dei vari Presidenti che si sono succeduti, ma anche perché la Comunità Montana è divisa in diverse fazioni: addirittura alcuni Comuni invece di guardare verso Varzi hanno guardato verso Rivanazzano Terme e Voghera, che della Comunità non fanno parte, dimostrando poco senso di appartenenza e soprattutto poca lungimiranza politica, dato che, come si dice dalle nostre parti, non hanno capito qual era “l’erba che faceva il grano”. Conclusa l’era Berogno, il politico di riferimento dell’Alta Valle Staffora è stato in questi anni Giovanni Alpeggiani, che essendo politico navigato ed esperto ha sempre cercato di far muovere la barca in un’unica direzione. Ma una barca “cammina” se ha marinai validi e purtroppo il Comandante della nave, se non ha un adeguato equipaggio, fa fatica a farla arrivare in porto. Ora, dopo questa tornata elettorale che ha visto i Comuni della Comunità Montana al voto, il direttivo della stessa sarà rinnovato e si dovrà eleggere il nuovo Presidente che dopotutto è la figura che conta. Nobi-
lissimo il ruolo degli assessori, per carità, ma sfido chiunque a ricordare i nomi di quelli che si sono avvicendati negli anni. Non so chi sarà il nuovo Presidente e non è neanche importante il nome: io mi auguro solamente che una volta eletto, chiunque esso sia, sia una figura forte…ops… parola poco democratica… diciamo una figura “catalizzante”, nel senso che possa attrarre intorno a sè, nell’ambito della dialettica e del confronto democratico (e bla bla bla) i vari Sindaci, i quali non inizino, dopo averlo eletto, battaglie intestine di medioevale memoria tra una valle e l’altra (oppure, visto che l’Oltrepò è anche terra di Castelli, tra un fortino e l’altro) perché se così fosse sarebbero guai: il nuovo Presidente si troverebbe a parlare in una “stanza dei bottoni” per portare avanti un progetto o un’idea mentre nell’altra stanza, a fianco, a sua insaputa magari, ci sarebbe un sindaco di un Comune qualsiasi della Comunità Montana che chiede cose diverse e magari denigrando pure il “suo” Presidente. C’è un ente che forse più di tutti gli altri ha catalizzato soldi in questi anni: il Gal Oltrepò Pavese. Eppure il peso specifico della Comunità Montana all’interno di questa importantissima realtà non è quello che dovrebbe essere. Ecco allora che il nuovo Presidente della Comunità Montana, anche in questo caso, dovrà dare una sterzata e far valere il peso dei 18 Comuni che la compongono, Comuni che di problemi da risolvere ne hanno abbastanza. Tre su tutti: spopolamento, elevata età media della popolazione e strade. Le soluzioni? Per combattere lo spopolamento e abbassare l’età media, l’unica soluzione è creare lavoro e
per creare lavoro e affinché lo stesso sia fruibile, sono necessarie le strade. Pertanto la prima cosa da fare è attivarsi in maniere concreta, non solo con enunciazioni e selfie, nei confronti dei vari enti proprietari delle strade affinché le mettano a posto in maniera duratura. Non bastano dei semplici tappetini di asfalto che durano dalla sera alla mattina: bisogna sistemare i fossi laterali, raschiare il manto attuale e, dove necessario, rifare il fondo. Attivarsi verso tutti gli enti possibili affinché questo avvenga è a mio giudizio uno dei compiti prioritari del nuovo Presidente della Comunità Montana. Per combattere lo spopolamento ed alzare l’età media bisogna poi creare lavoro. Si parla tanto di turismo e di turismo enogastronomico in Oltrepò e, a mio modo di vedere, è una delle carte che il territorio può giocare; l’importante è però che il nuovo Presidente capisca che non è finanziando ulteriori musei dell’attrezzo agricolo, piuttosto che dando soldi per progetti sulla transumanza di insetti vari che si otterranno risultati sensibili. Cosa ancora meno buona la si farà permettendo scempi architettonici in edifici pubblici iniziati anni e anni orsono, dove ogni anno continuano i lavori finché un giorno, quando i soldi finiranno, forse finiranno anche i lavori. Stesso discorso vale per lo sperpero di denaro pubblico in km e km di sentieri anche là dove il sentiero porta da un fosso all’altro di una strada. Il nuovo Presidente dovrebbe certamente raccogliere le richieste dei vari 18 sindaci dei 18 Comuni e cercare, nell’ambito del possibile, di accontentarli anche se non in modo omogeneo - sarebbe abbastanza bolscevico - ma per validità delle richieste. Soprattutto perché (e certamente questo accadrà) quando un Sindaco lo prenderà per la giacchetta chiedendogli: “Ma al sindaco del Comune mio vicino avete dato x euro e a me?” Il nuovo presidente dovrà rispondere, anche se a scapito della “convenienza” politica: “Gli abbiamo dato quei soldi perché ha portato un progetto utile e sinergico per tutta la Comunità Montana: portamene uno anche tu e vedrò di attivarmi per farti avere i fondi”. Tutto questo perché, fuori dai denti e questo lo dico io: “A spo pù andà avanti insì, l’è ura ad finila” (Non si può più andare avanti così, è ora di finirla). di Antonio La Trippa
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POLITICA
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Tangenziale Voghera-Casteggio: «Non il solito tappetino d’asfalto ma un intervento radicale e definitivo» Fra le cento e più proposte scaturite dai meandri del governo gialloverde è comparsa, poco più di un mese fa, anche quella di un dietrofront a riguardo degli enti provinciali. Una possibilità ancora fumina, ma di cui siamo certi si parlerà ancora nel prossimo periodo. Perché le province, ormai in parte esautorate e poi abbandonate dopo una riforma rimasta incompiuta, vivono anni difficili e meritano una chiarificazione. Lo ricordiamo: in questo momento si tratta di enti di secondo livello, i cui amministratori vengono eletti, biennalmente, dai consiglieri comunali in carica nel territorio di riferimento. Il presidente, invece, dispone di un mandato quadriennale. Proprio al presidente della Provincia di Pavia, Vittorio Poma, abbiamo posto alcune domande, prendendo spunto dagli impegni attuali dell’ente, per delineare il quadro delle attività in essere. Partendo proprio dal tema più sentito dai nostri lettori e, più in generale, dai cittadini dell’Oltrepò Pavese: le buche nelle strade. Dopo critiche le cui radici si perdono nella notte dei tempi, arrivano finalmente dei fondi per l’asfaltatura di poco più di quattro chilometri della tangenziale Voghera-Casteggio. In cosa consistono i lavori? Quando avranno inizio? «Confermo che siamo in una fase avanzata con la redazione del progetto, e abbiamo già firmato una convenzione con Regione Lombardia – perché l’intervento è reso possibile grazie a un finanziamento contenuto all’interno del Patto per la Lombardia.» Vuole spiegarlo meglio ai nostri lettori? «Il Patto per la Lombardia è in parte risultato di finanziamenti regionali, e in parte del
Vittorio Poma Fondo Sviluppo e Coesione dell’Unione Europea. L’importo complessivo dei lavori è di circa un milione e quattrocentomila euro. Servirà per due terzi alla sistemazione di una buona parte della tangenziale di Voghera, e per circa il restante terzo a una parte della tangenziale di Casteggio. Ci tengo a farle presente che quando parliamo di interventi sulla tangenziale non ci riferiamo solo al semplice tappetino.
Lei sa che nella disperata rincorsa alle buche che si aprono sulle strade, cui dobbiamo continuamente far fronte nella Provincia di Pavia, cerchiamo di porre un rimedio con i tappetini da porre. Ma sappiamo tutti che si tratta di un lavoro che, per quanto fatto bene, sarà sempre provvisorio. Qui, invece, stiamo parlando di un lavoro radicale di fresatura, abbassamento, riposizionamento del manto stradale, sostituzione di tutti i giunti dei cavalcavia e sistemazione delle barriere di sicurezza e della segnaletica. Cioè quello che bisognerebbe fare dappertutto e con continuità, se potessimo permetterci di investire cento milioni di euro, ecco.» Pensa che i cittadini saranno soddisfatti? «Stiamo parlando di un intervento radicale e definitivo, che soddisferà il bisogno di sistemare la tangenziale per buona parte; non assicuro tutta, però diciamo che quelle parti più compromesse, quelle che hanno bisogno di una sistemazione immediata, sicuramente le faremo. Un lavoro che tiene conto quindi non solo del fondo stradale, ma anche dei giunti, che sono l’elemento più importante. Una delle lamentele più frequenti nel passato è stata proprio relativa al sollevamento di alcuni di questi giunti, che non creano problemi strutturali ma di sicurezza per la guida sì. Li sostituiamo interamente, proprio per ragioni di sicurezza.» Ormai, fra viadotti e ponti vari con i relativi problemi affrontati in questi anni, lei potrebbe scrivere un trattato su questi giunti... «Come amministratore, devo dire la verità, non è indispensabile entrare nel campo tec-
nico, però direi che una buona conoscenza anche delle modalità di approntamento dei progetti, e di intervento fisico sulle strade, ti permette maggiore consapevolezza nel momento in cui sei chiamato a trattare delle risorse. A volte l’impressione che si ha è che le risorse impiegate siano eccessive rispetto al reale bisogno degli interventi; però bisogna anche intendersi su quello di cui si sta parlando. Quando io dico che per sistemare un chilometro di strada ci vogliono 70mila euro, è chiaro che non mi riferisco al semplice tappetino; mi riferisco ad una strada che viene anche interessata da lavori come fresatura, abbassamento e tutto il resto, per garantire poi al tappetino finale una vita più lunga. I costi dipendono sempre dal lavoro che si vuole fare.» Ponte della Becca. Siete intervenuti con la messa in sicurezza e i lavori proseguiranno anche durante l’estate. Non scendo nel tecnico, ma le chiedo per quanto tempo potrà andare avanti con questi ultimi interventi l’attuale infrastruttura... «I lavori eseguiti fino ad oggi, quindi quelli completati 10 giorni fa, e quelli che faremo a partire dalla fine dell’estate, inizio autunno, con il milione e mezzo di euro stanziato dal Ministero sui ponti del Po, sono serviti e serviranno per la messa in sicurezza del ponte. Senza scendere in tecnicismi, la messa in sicurezza ha interessato tutta la struttura, sia i piloni, sia il fondo stradale, che l’impalcato; per garantire il transito ai mezzi leggeri e ai mezzi commerciali fino a 25 quintali. Il ponte non può reggere carichi maggiori. Questi interventi servono per consentire una piena transitabilità, con
POLITICA i mezzi che le ho detto, in totale sicurezza. Io credo che dopo questi lavori non ci sia motivo di dubitare sulla solidità del ponte. È chiaro che i lavori attuali servono per prolungarne la vita; il che vuol dire che sicuramente presto o tardi quel ponte, come tutti i ponti ultracentenari, andrà sostituito con uno nuovo. Qui apriamo il capitolo dell’importanza che in questo momento riveste un’azione congiunta delle istituzioni, dei rappresentanti politici del territorio, senza distinzione di colore politico, per riuscire ad ottenere nell’immediato i fondi per la progettazione definitiva ed esecutiva, dopo che Regione Lombardia avrà predisposto lo studio di fattibilità. Ed entro un paio d’anni, non oltre, l’individuazione della somma che sarà necessaria a realizzare il nuovo ponte.» Come, concretamente? «Io continuo a dire che la strada migliore è quella di trovare il finanziamento all’interno del nuovo piano quinquennale ANAS. L’anno prossimo, nel 2020, scadrà quello attuale. Quello successivo andrà a regolare il periodo fra il 2020 e il 2025. Lì è indispensabile trovare le risorse per la costruzione del nuovo ponte.» Ma siamo sempre in attesa che avvenga il passaggio di competenza ad ANAS di questa parte della viabilità provinciale, già dato per certo oltre un anno fa. «Guardi, le posso dire che già nel mese di novembre dello scorso anno alle province lombarde – e glielo dico con certezza, perché sono anche presidente dell’Unione Province Lombarde – è stata richiesta la progressiva chilometrica di tutte le strade ex-ANAS, poi passate alle province, che dovrebbero tornare all’ANAS. Quindi in Regione Lombardia le provincie hanno confermato di essere d’accordo sull’individuazione che il Ministero ha fatto delle strade attualmente provinciali che vanno riclassificate e passate in competenza allo stato. Questa conferma è finita in un decreto, quel decreto ha passato il vaglio della Conferenza Stato-Autonomie, e al momento è fermo al Ministero delle Infrastrutture in attesa che venga approvato. Quando verrà approvato noi saremo contenti. La loro parte le province l’hanno fatta.» Con il ribasso derivante dall’appalto dei prossimi lavori si è ipotizzato di poter realizzare una rotatoria all’ingresso del ponte, lato sud. Una possibilità concreta o solo un’idea, al momento? «I ribassi dei lavori già effettuati sono stati reimpiegati in ulteriori lavori sempre sul ponte. C’è poi la possibilità concreta di utilizzare l’eventuale ribasso d’asta dell’appalto da un milione e mezzo di euro che faremo durante l’estate – e che dobbiamo appaltare entro il 30 giugno, quindi affideremo i lavori entro l’estate. Noi stimiamo che si possa registrare un’economia del 20%. Tenga presente che quando parlo dell’importo di un milione e mezzo questo si deve intendere comprensivo di IVA; per cui i lavori a base d’asta saranno poco meno di un milione e duecento mila euro, e il 20% sono circa duecento-duecentocinquantamila euro. Con quelle risorse noi contiamo di poter finanziare la realizzazione di una rotonda che in questo caso costituisce un elemento di integrazione della sicurezza a favore
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Lavori sulla tangenziale Voghera-Casteggio, Poma: «Un intervento radicale e definitivo» del ponte, perché i mezzi che arriveranno a questa rotonda non rischieranno di incastrarsi nei varchi posti all’inizio del ponte, ma avranno la possibilità di tornare indietro. Siccome si tratta di fondi ministeriali noi, prima di potere utilizzare questi fondi, abbiamo bisogno di chiedere l’autorizzazione al Ministero. Quindi occorre anche che il Ministero, una volta che faremo la richiesta, ci dia il via libera. In questo senso faccio un appello ai rappresentanti politici della nostra provincia per favorire una risposta positiva.» Di che tempi parliamo? «I lavori, come ho detto, verranno appaltati assolutamente entro fine mese. Per quanto riguarda l’utilizzo delle economie dovremo aspettare ovviamente uno stato di avanzamento dei lavori. Non è successo per fortuna negli ultimi anni, però non possiamo escludere che si verifichino situazioni non prevedibili e straordinarie che impongano l’utilizzo delle economie; a quel punto dovremmo trovare un’altra fonte di finanziamento per la rotonda. Per il momento, comunque, ragioniamo sull’utilizzazione del ribasso d’asta.» L’ultima tornate di elezioni amministrative, che ha coinvolto gran parte dei nostri comuni, ha consegnato molti municipi al centrodestra, con numeri forse mai visti prima. Il boom della Lega è stato determinante, ma i sindaci vicini a esponenti di Forza Italia sono ancora in numero più considerevole rispetto alle percentuali emerse dal voto. Nonostante molti si siano riposizionati, saltando sul Carroccio del vincitore. In Consiglio Provinciale c’è già una maggioranza che si riconosce nel centrodestra, in seguito al rinnovo dello scorso anno. Il recente risultato elettorale cambia qualcosa negli equilibri politici fra le varie componenti della sua amministrazione? «In Consiglio Provinciale c’è una situazione particolare, condivisa da tante altre province, non solo da quella di Pavia. Diciamo che tutti i gruppi, consapevoli delle difficoltà che la provincia come istituzione sta attraversando in questo momento, almeno a questo livello hanno accantonato le schermaglie politiche per stringersi intorno alle indicazioni che io mi permetto di dare, di carattere operativo. Devo registrare che sul piano triennale delle opere, sul bilancio annuale e su quello pluriennale i gruppi hanno votato all’unanimità. Da parte mia lo considero un atto di fiducia, di responsabilità, ma anche un impegno
per quanto mi riguarda a interpretare unitariamente questo consiglio provinciale. C’è una doppia fatica: da una parte quella di cercare di interpretare le sensibilità e le aspettative territoriali di tutti; dall’altra la necessità di andare avanti rapidamente perché il territorio ha bisogno di risposte. In questo senso devo dire che sono aiutato e sostenuto da tutti i gruppi consigliari. Per me è una fortuna, una condizione sicuramente di maggiore forza.» Pensa però che cambi qualcosa, magari nell’atteggiamento di alcuni sindaci o di alcuni esponenti dei partiti rafforzati dalle recenti elezioni, che potrebbero rivendicare maggiori risultati a favore dei propri territori, forti del consenso elettorale? «Ho da tempo, a maggior ragione da quando i rappresentanti in provincia vengono eletti da tutti gli amministratori comunali, un rapporto costante con tutti i sindaci. Nella mia natura c’è quella di privilegiare le questioni amministrative, i problemi del territorio. E trovo grande sostegno sia in sindaci del PD così come in altri del cen-
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schia di essere fuorviante, perché non aiuta ad affrontare problemi che sono comuni ad amministratori di segno diverso. Io posso fare una sola cosa: farmi interprete, caricarmi sulle spalle la fatica di rappresentare i problemi del territorio, lasciando poi che la politica faccia la sua parte.» Uno dei capisaldi della sua amministrazione e di quella precedente è l’incentivazione della mobilità ciclopedonale, soprattutto a fini turistici. Greenway Voghera-Varzi e collegamento con VenTo (la lunga dorsale Venezia-Torino) sono progetti sui quali c’è stato grande impegno. Ma c’è anche un tasto dolente: la velostazione di Voghera, inaugurata ma mai aperta, e spesso allagata. Nel 2016 la Provincia aveva addirittura fornito un primo lotto di 16 biciclette, di cui 4 a pedalata assistita. Mai entrate in funzione. L’assessore alla mobilità dolce del comune di Voghera, Danilo Mietta, ha dichiarato, proprio in risposta al presidente della provincia, che ‘’la velostazione è chiusa perché non ci sono fruitori’’. Una dichiarazione sconcertante: è ovvio che non ci siano fruitori, dato che non c’è una velostazione... «La premessa è che io cerco sempre di lavorare per risolvere i problemi e non per alzare polveroni. Quindi non voglio entrare in polemiche. Dico soltanto che la velostazione, nella logica dell’idea di recupero del sedime della vecchia linea ferroviaria Voghera-Varzi, rappresenta uno snodo fondamentale per connettere la mobilità dolce, e quindi l’utilizzo della bicicletta, con il trasporto ferroviario. Uno dei modelli particolarmente forti su questo piano in paesi come l’Austria e la Germania o la stessa Svizzera, quindi paesi non lontani da noi, consiste proprio nell’utilizzo degli snodi intermodali e del-
Ponte della Becca, «I lavori attuali servono per prolungarne la vita; presto o tardi quel ponte, andrà sostituito con uno nuovo» trodestra, di Lega o di Forza Italia. Non posso dire che ci sia un atteggiamento diverso dei sindaci di una certa parte, oggi, rispetto alla provincia. Ovviamente stiamo parlando di poco tempo, di qualcosa che è avvenuto due settimane fa. Io parlo con gli amministratori telefonicamente tutti i giorni, e le posso dire che ciò che prevale è il bisogno di affrontare le questioni che interessano tutti e di cercare di trovare delle risposte insieme. C’è la consapevolezza in tutti gli amministratori che le polemiche non pagano, e distinguersi per tribù in provincia oggi ri-
la connessione ferrovia-strada attraverso le velostazioni. La velostazione è una di quelle cose che se non c’è non crea utenza, quindi diventa indispensabile proporla in termini adeguati, arricchendola secondo me anche di attività di servizio che possano farne non un semplice deposito, ma un punto di informazione utile per chi utilizza la bicicletta, ma non solo. Penso si debba quindi ragionare in termini di promozione turistica, non solo di struttura a servizio della ciclovia.» di Pier Luigi Feltri
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VOGHERA
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«Il mio impegno dietro la rinascita della Vogherese» C’è lo zampino di Gianfranco Geremondia dietro la nascita della nuova società calcistica unica di Voghera. Assessore allo sport ma anche grande appassionato di calcio, Geremondia ha imbastito le trame per riunire “la famiglia” rossonera e ha preso contatto con il nuovo patron (ancora in pectore) Oreste Cavaliere. A lui e a mister Maurizio Tassi, sotto la direzione del ds Elio Vanelli, il compito di restituire gloria alla casacca rossonera che quest’anno, nonostante le recenti vicissitudini, festeggia 100 anni di storia. Non a caso, pare sempre sotto indicazione di Geremondia, il nome della nuova creatura che prenderà il posto del mai troppo amato OltrepoVoghera e dell’Asd Voghera sarà “Avc Vogherese 1919”. La nuova squadra ripartirà dall’Eccellenza (un gradino sotto la Serie D in cui ha militato l’OltreVoghe quest’anno) con la comune speranza di gettarsi alle spalle uno dei periodi più bui della storia calcistica locale, iniziato 5 anni fa con il fallimento dell’AC Voghera. Geremondia, gli Ultras proprio dalle pagine del nostro giornale avevano apertamente chiesto alla politica di «fare la sua parte». In attesa dei risultati, nessuno potrà rimproverarle l’impegno… Tra l’altro lei ha un passato in società, giusto? «Sono entrato in società con i fratelli Imperiale nel 1973 e da allora a parte qualche intervallo dovuto al fatto che nel frattempo sono diventato consigliere e poi assessore per evitare conflitto d’interesse sia per la gestione del campo che per i contributi che l’amministrazione comunale erogava» Lei ha conosciuto i presidenti che hanno fatto grande la Voghe. Chi secondo lei è stato il migliore? «Lavezzari, Gastaldi, De Giorgi, sono stati tutti grandi presidenti, ma senza dubbio direi Lavezzari, uomo di grande passione che viveva la squadra. Con lui, e siamo negli anni 79/85, siamo saliti dalla quarta serie alla C2 e credo che, tralasciando gli anni 40 e 50 di cui non ho memoria dove la vogherese ha fatto la serie B, abbiamo raggiunto i massimi meriti sportivi» La peggiore gestione? «Senza fare nomi qualcuno c’è stato… Cercavano la popolarità e il successo personale, niente di più». La sua passione per il calcio è cosa nota. Lei però ha anche affermato che è stato grazie al calcio che è entrato in politica. In che senso? «Negli anni 80 a Voghera c’erano due squadre: l’AVC Voghera ed il gruppo GS Vogherese di cui facevano parte Negri, Soldini e Barberini, esponenti del partito socialista cittadino. Li conobbi, mi coinvolsero e da lì a poco le due realtà calci-
Gianfranco Geremondia
stiche si fusero, la GS Vogherese sparì e rimase l’AVC Voghera». Veniamo alla storia recente: 5 anni fa la “Voghe” con la gestione Troiano fallisce e si arriva alla tanto discussa e mai veramente riconosciuta squadra OltrepoVoghera. Lei allora era consigliere e capogruppo dell’Udc cosa pensò dell’iniziativa? «L’iniziativa fu intrapresa dal sindaco Barbieri con il gruppo stradellino che permise di ripartire dal titolo eccellenza della squadra stradellina, in quanto con il fallimento della vogherese si era anche perso il titolo sportivo è vero allora ero consigliere e capogruppo Udc ma non sono stato interpellato, se lo fossi stato probabilmente avrei consigliato di coinvolgere il gruppo Asd voghera piuttosto che una squadra di Stradella e la federazione era disposta a far partire la società dal campionato di Promozione». è andata come è andata ma oggi a distanza di 5 anni i problemi non si sono risolti. Lei oggi è assessore allo sport per cui parte attiva in questa situazione. Prime iniziative intraprese? «Come assessore allo sport dovevo lanciare un messaggio positivo ai tanti tifosi scontenti. La politica sta facendo la sua parte e si prende il compito di ricomporre il calcio vogherese per fare una società unica. Non è semplice, bisognerebbe trovare un imprenditore, un Lavezzari disposto a ripianare i debiti, ma all’interno delle società dilettantistiche dove non ci sono grandi volumi non è assolutamente facile». Quando ha convocato il primo tavolo chi c’era seduto?
«Al primo tavolo dove ho manifestato questa intenzione di unire le tre realtà calcistiche cittadine in un’unica squadra, erano presenti l’Oltrevoghera con il direttore Fabrizio Bonfoco, Perinetti e Rattini in rappresentanza dell’ASD Voghera e Viqueria con Baggini e Nebbiolo. Manifestate le mie volontà ho lasciato loro 20 giorni per riflettere e prendere una decisione in previsione del secondo tavolo organizzato» E che decisione è stata presa? «Al secondo tavolo si sono ripresentati tutti tranne la società Viqueria, molto probabilmente non intendevano proseguire questa fusione. Oltrepò Voghera e ASD Voghera si sono manifestate disposte ad una fusione» Da che campionato si ripartirebbe e con quali costi? «Si ripartirebbe dall’Eccellenza ed un campionato di questo tipo, per ambire ad arrivare tra le prime, costa almeno 250mila euro». Il nuovo presidente sarà quindi Oreste Cavaliere, che ha dato un segnale forte come ridare l’antico nome AVC Vogherese 1919. Che impressione le ha fatto il nuovo patron?
La nuova squadra riparte dall’Eccellenza. «Servono 250mila euro per un campionato di vertice»
«Che dire…si preferisce spesso sopravvalutare quelli di passaggio, quelli che di volta in volta hanno fatto capolino nella società innalzandoli ad eroi… cosa che poi non è stata ed i fatti lo dimostrano» L’Amministrazione continuerà a fare la sua parte anche con i contributi economici? «Come espressione di questa amministrazione politica posso dire che il Comune proseguirà con il mantenere fede alla convenzione in essere, con la promessa, poiché scadrà a breve (nel 2020 ndr) di rinnovarla per altri 3 anni. Oltre ad una serie di impegni da parte nostra ci sarò anche un contributo di 66mila euro annui». Soldi che saranno utilizzati per? «Il contributo non ha solo una valenza sportiva ma anche sociale in quanto serve per investimenti nell’ attività del settore giovanile, 250 ragazzi che giocavano nelle diverse squadre, e per agevolazioni quali ad esempio ingresso gratuito per i giovani e le donne, o ancora lo sconto massi-
«La nascita dell’OltreVoghe fu iniziativa del sindaco Barbieri. Io non fui interpellato, avrei fatto diversamente» «Il presidente in pectore Oreste Cavaliere, imprenditore milanese nel settore dei trasporti e della logistica che ho incontrato, devo dire che mi ha colpito per la sua grande passione ed entusiasmo ed ha visto in me un interlocutore altrettanto appassionato e credo di buon senso» Il nuovo presidente ha usato parole molto positive nei suoi riguardi. Non le suona strano che “uno sconosciuto” usi termini di apprezzamento mentre chi è da sempre più vicino alla realtà locale sembra non aver percepito ed apprezzato gli sforzi?
mo per i pensionati. Inoltre come sempre abbiamo fatto, continueremo a monitorare ed a verificare che l’impianto sia mantenuto in modo adeguato ed in rispetto agli impegni presi» Qualcuno però potrebbe dirle che a Voghera non c’è solo calcio: ci sono ben 63 Società sportive… «Io gli direi che abbiamo massima attenzione per tutte. Il Comune eroga circa 40 mila euro annui per aiutare attraverso convenzioni tutte queste società, perché lo sport è vita…..». di Silvia Colombini
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Caos Asm, «Azzerate il Cda di Vendita e Servizi» Bollette “pazze”, esposti in Procura, il rischio concreto di andare incontro a una vertenza sindacale per mancato rispetto di accordi con Cgil, Cisl e Uil. Asm Voghera e la sua controllata, Asm Vendita e Servizi, sono ormai da tempo nella bufera. In attesa dell’assemblea soci e del consiglio comunale che a fine mese potrebbe dare indicazioni sul destino della municipalizzata di via Pozzoni il Comune e i vertici aziendali non prendono posizioni ufficiali ma incassano critiche e malcontento da varie parti. La gatta da pelare per la giunta Barbieri che, ricordiamo, è l’azionista di maggioranza di Asm, resta quindi brutta. Andando per ordine, il caos è iniziato con il cosiddetto “caos bollette”, con problemi seri nella fatturazione: ritardi nell’emissione delle bollette, importi sbagliati, alcuni solo stimati, altri di un intero anno con la conseguente difficoltà dell’utente costretto a correre per pagare cifre anche di ventimila euro, bollette emesse con la scadenza il giorno successivo con ritardi nel accreditamento del Bonus. Che cosa è accaduto? Tutto ha avuto inizio con il pensionamento o la “fuga” di alcuni dipendenti esperti. «Gente che conosceva molto bene la macchina comunale e sapeva gestirla in modo adeguato» spiega Federico Taverna, consigliere comunale ex Forza Italia, che è stato anche vicepresidente di Asm Tortona. Taverna è stato anche tra i firmatari per la richiesta all’Amministrazione di una commissione d’inchiesta su Asm (bocciata dalla maggioranza). «Abbiamo fatto questa richiesta non per manie di protagonismo o per “commissariare l’azienda” ma per dare un segnale di volontà, da parte della politica, di approfondire la questione, peccato che la maggioranza abbia preferito fare muro e respingere questa richiesta, ma il problema resta e il malcontento dei cittadini pure». Il rischio, per alcuni, poteva essere danneggiare l’immagine dell’azienda. «Se l’azienda oggi offre un’immagine di pressappochismo e poca trasparenza – replica - non è di certo per colpa di chi chiede la
I timori di alcuni consiglieri: «L’azienda si sta screditando da sola»
Federico Taverna
Pierfelice Albini
commissione speciale, tutt’al più di chi la sta gestendo. La politica non può abdicare e la gente per strada identifica Asm e Comune, per cui pretende risposte». Risposte che da palazzo Gounela ancora non arrivano. «La cosa che non ha alcuna spiegazione logica è che nonostante tutto il polverone intorno alla vicenda il sindaco e i vertici non abbiano fatto nulla per risolvere la faccenda» attacca il leghista Pierfelice Albini, che auspica un azzeramento immediato del cda: «Per risolvere in tempi rapidi la situazione sarebbe opportuno azzerare il consiglio d’amministrazione di Vendita e Servizi e nominarne uno tecnico e competente per migliorare il servizio ai cittadini, evitare un danno di immagine per tutta Asm e la perdita di numerosi clienti che stanchi di questo disservizio si stanno spostando su altri fornitori». Come lui, sull’azzeramento del cda, la pensa Pier Ezio Ghezzi del PD. «Bisogna nominare manager distanti dalla politica e togliere le deleghe al Direttore Generale riorganizzando la società. Nominare una Commissione di Lavoro di tutti i capigruppo del Consiglio comunale, che verifichi le condizioni di ASM e controlli i nuovi amministratori» dice l’ingegnere dem, che punta il dito contro la giunta e fa la conta del danno economico: «La responsabilità del saccheggio di ASM è della giunta di centro-destra: ha nominato sia amministratori sia un direttore generale incapaci di gestire il Gruppo. Il danno a carico dei vogheresi di ASM Vendita & Servizi è di circa un milione di euro. L’organico è stato raddoppiato con assunzioni clientelari di figli di consiglieri comunali e attivisti delle campagne elettorali». Di segno analogo l’intervento della consigliera a 5 Stelle Caterina Grimaldi. «Quello che accade in ASM Vendita e Servizi riguarda l’idoneità di alcune figure professionali con le conseguenti criticità nell’ordinaria emissione delle fatturazioni, gli alti costi delle consulenze, le possibili negative ripercussioni sui flussi di
Pier Ezio Ghezzi
Caterina Grimaldi.
Marco Sartori
Bollette pazze, due esposti in Procura e il richiamo dei sindacati: «La città chiede chiarezza» cassa dovuti ai numerosi rimborsi. L’unica mossa seria del Sindaco sarebbe quella istituire la commissione d’inchiesta votata dalla minoranza in Consiglio Comunale e l’azzeramento dei vertici aziendali». Sulla qualifica del personale che dovrebbe gestire le fatturazioni pesa l’ombra di un richiamo arrivato all’azienda Asm Vendita e Servizi da una nota ufficiale dei sindacati in cui si chiede di smettere con le assunzioni interinali e di indire dei concorsi. «Ben 17dipendenti in VeS su 22 sono assunti con contratto interinale» dice il leghista Albini. «Sarebbe opportuno assumere personale qualificato per evitare quello che sta succedendo in questo momento nella partecipata VeS». Al problema delle bollette e del richiamo del sindacato se ne aggiunge uno che coinvolge la magistratura: contro Vendita e Servizi pendono due esposti in Procura. In questo caso a rendere ancora più singolare la situazione concorre il fatto che uno di essi (l’altro sarebbe di un comune cittadino presentato in relazione all’assunzione del manager Chiappa) venga dal direttore generale di Asm Piero Mognaschi, che – in apparenza senza comunicarlo ai vertici dato che l’amministratore unico Daniele Bruno si è dichiarato estraneo alla vicenda – ha di fatto proceduto a denunciare una sua controllata, per presunti favoritismi nella gestione dei crediti verso alcuni soggetti. «Legittimo e doveroso il suo esposto alla magistratura – sostiene Ghezzi - ma inaccettabile che non lo abbia condiviso con gli Amministratori e i Soci da cui ha ricevuto le deleghe. Mognaschi ha sfidu-
ciato i suoi datori di lavoro. La domanda da farsi comunque è: non se ne è mai accorto nessuno?». Marco Sartori, oltre che capogruppo di Fratelli D’Italia è anche avvocato. «Se il dg di Asm si è esposto cosi tanto, verificando i pro e i contro di una tale azione, significa che la situazione è veramente poco chiara». Dal punto di vista politico, per Sartori si sta assistendo a un «regolamento di conti interno. L’immobilismo del Comune, su questa vicenda, è dettato da una idea di fondo sbagliata del tipo “meno se ne parla meglio è”. Credo sia un grave errore nascondere la polvere sotto il tappeto. Se, poi, nel calderone ci mettiamo anche il fenomeno delle “bollette pazze” il danno elettorale in vista del 2020 è potenzialmente enorme». Tornando sulla questione “bollette pazze” mette poi in guardia: «Credo che a livello pratico sia difficile, se non impossibile, per l’azienda, recuperare tutti i dati corretti sulle bollette che gli utenti devono pagare... ci vorrà del tempo. Una situazione mai vista, che li pone a rischio di eventuali azioni legali da parte degli utenti stessi». Come a dire che non tutti i nodi potrebbero già essere venuti al pettine. In attesa del consiglio comunale che a fine giugno dovrebbe gettare un po’ di chiarezza sulla strategia del Comune per riuscire dall’impasse (possibile rinuncia all’amministratore unico e nomina di un nuovo cda a 5 elementi sarebbe una possibilità che le voci di corridoio accreditano) la situazione resta calda. Non solo per il clima. di Christian Draghi
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«La diversità è ricchezza: oggi mi sento veramente io» La strada che porta alla tolleranza passa per necessità dalla via della comprensione di ciò che è diverso e che ai più può apparire “strano” se non “inaccettabile”. Arcigay Pavia da anni si batte per aiutare l’inserimento e la parificazione nella società oltrepadana di omosessuali e transgender e sabato 8 giugno si è tenuta la quinta edizione del “Pavia Pride”. Marco La Cognata è un attivista di “Coming-Aut” Arcigay Pavia e insieme a Michela Pompei si occupa di organizzare e promuovere le iniziative a Voghera e in Oltrepò. Residente a Voghera ma casteggiano di origine, nella vita di tutti i giorni è insegnante di scuola primaria. Una passione nata quando faceva animazione all’oratorio, che lo ha portato a scegliere il percorso di studi e a capire che «la diversità è ricchezza e ogni vita ha dignità». Oggi è riuscito a realizzare il suo sogno in ambito lavorativo, ma non prima di essere riuscito a trasformare il suo corpo rendendolo finalmente espressione della sua vera personalità. Marco, infatti, quando è nato 32 anni fa era una bambina. Marco lei è un ragazzo transessuale. Le va di raccontarci cosa significa? «Io sono nato con un sesso biologico femminile, una bella bambina che la nonna riempiva di vestitini e fiocchetti rosa. Crescendo ho iniziato presto a capire che qualcosa non quadrava, ma non era facile per me spiegarmi e i miei genitori non si aspettavano di poter avere un figlio transgender. Non è un’eventualità cui un genitore viene preparato». Che cosa sentiva? «Sentivo di essere capitato dentro un errore, che in realtà ero un bambino, ma gli adulti sembravano non prendermi sul serio. A scuola ho capito presto che fare questi discorsi voleva dire attirarmi le prese in giro dei compagni, così ho imparato a tacere. Per molti anni mi sono tenuto tutto questo dentro. Ora però per tutti lei è Marco. Qual è stato il momento di svolta? «Quando avevo 25 anni ho visto in tv un’intervista a tre attivisti transessuali FTM (da donna a uomo), era la prima volta che sentivo parlare di questo percorso, per me è stata un’epifania. Ho capito che quello che sentivo ha un nome e che non ero il solo al mondo a sentire queste cose. Dopo quel momento ho iniziato ad informarmi, ho trovato su internet altre persone trans con cui poter parlare, mi sono rivolto all’Ospedale Ca’ Granda Niguarda di Milano dove ho potuto iniziare anch’io il percorso». C’è voluto tanto tempo? «Si tratta di un iter molto lungo, che comprende aspetti medici, psicologici e legali. A distanza di anni ora sono felice, ho un corpo che mi corrisponde e anche i miei documenti coincidono con la mia identità.
La storia di Marco, ragazzo trans che oggi insegna in una scuola primaria Per me è stato come nascere una seconda volta». Quello che ha affrontato è un percorso molto personale, che tocca aspetti intimi della vita. Cosa l’ha aiutata a intraprenderlo? «Parlare con altre persone che stavano affrontando il percorso è stato fondamentale, mi ha permesso di uscire dal guscio e prendere in mano la mia vita. È di quel periodo il mio incontro con “Coming-Aut”, nel 2015 ho partecipato al primo Pavia Pride. Mi ha stupito la forza e l’autenticità di quelle persone e delle storie che raccontavano dal palco. In quel momento ho sentito l’abbraccio di tutta la comunità LGBTI+ (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Intersessuali) pavese. Ho capito subito che volevo farne parte». Come nasce “Coming-Aut” Arcigay Pavia e da quanto tempo esiste? «“Coming-Aut” nasce a Pavia nel 2005, poi nel 2010 aderisce ad Arcigay, diventando il comitato di riferimento per tutta la provincia di Pavia. Quando io ero uno studente delle superiori non avevo qui nessuna realtà a cui rivolgermi». Che ricordo ha degli anni della scuola? «Li ricordo come un momento di grande solitudine. La soluzione più comune era quella di andare a Milano. Era una boccata d’ossigeno, ma poi a casa il muro di solitudine tornava più forte di prima. La nascita di “Coming-Aut” è stata la risposta a questa situazione, la scelta delle persone LGBTI+ pavesi di essere comunità viva e attiva qui, a casa». Di cosa vi occupate principalmente oggi? «Innanzitutto accogliere le persone LGBTI+ offrendo assistenza e sostegno, ma soprattutto una comunità che sia inclusiva per tutti. E poi creare e diffondere dibattito culturale sui temi legati alle tematiche LGBTI+ e al contrasto all’omo-bi-transfobia». Può farci alcuni esempi? «Abbiamo un Gruppo Scuola che si occupa di prevenzione del bullismo a matrice omo-bi-transfobica nelle scuole, un Gruppo Giovani dove le ragazze e i ragazzi più piccoli possono incontrarsi in una situazio-
ne protetta, un Gruppo Migranti, un Gruppo T, di auto-mutuoaiuto per le persone trans e gender non conforming, le serate di socializzazione a Pavia, Voghera, e Vigevano, un Gruppo Cultura che organizza eventi a carattere culturale in Università, conferenze, mostre e anche uno Sportello Legale che offre tutela a chi è vittima di discriminazioni». Cosa avete in serbo per l’Oltrepò? «“Coming-Aut” Arcigay Pavia ha competenza su tutto il territorio della provincia, quindi in realtà qualsiasi servizio che offre l’associazione è rivolto a tutte le realtà del territorio. Per esempio il progetto By By Bullo del Gruppo Scuola viene effettuato in tutte le scuole che lo richiedono. Negli scorsi anni ci hanno chiamato diverse scuole dell’Oltrepò, anche se speriamo di riuscire a fare sempre di più. Ogni mese ha luogo la serata di socializzazione a Voghera (per conoscere le prossime date visitate la pagina FAY, Fabulous As You). Poi ci occupiamo di organizzare eventi culturali, anche in rete con altre associazioni del territorio. Proprio lo scorso giovedì 6 giugno abbiamo presentato il Cineforum “Un ba-
Marco La Cognata
cio”, insieme a Soms e associazione “Voghera è”». Complessivamente ritiene l’Oltrepò un territorio tollerante? «è una zona di Provincia, quindi rispetto a Milano o alla stessa Pavia siamo ancora indietro, anche se nel complesso dei passi avanti credo siano stati fatti. Ma c’è ancora tanto che può essere fatto e noi siamo pronte e pronti a farlo». di Christian Draghi
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Federico Sgorbini: «Il mio motto è “tradizionalmente attuale”» A Pavia, a due passi dalla Cupola Arnaboldi, situato nell’omonima piazza, il ristorante “Lino” con le sue sale luminose d’ispirazione déco e un’atmosfera confortevole ed elegante, ha le carte in regola per essere definito un indirizzo d’alta cucina contemporanea. A capo della brigata di cucina c’è un giovane chef vogherese, Federico Sgorbini. Classe 1986, nonostante la giovane età vanta un curriculum navigato con esperienze in Italia ed Europa. Ha contribuito con il suo lavoro a portare due stelle Michelin, una a Montescano e l’altra ad Alessandria. Adesso la sua esperienza è a disposizione del centro di Pavia. Sgorbini lei è oltrepadano doc, nato e cresciuto a Voghera. Come si è innamorato della cucina? «Ho trascorso tutte le estati della mia infanzia a Sant’Eusebio, piccolo borgo dell’Oltrepò montano, circondato dalla mia meravigliosa famiglia nella casa di campagna dei miei nonni che coltivavano l’orto, avevano le galline, allevavano i maiali per produrre i salumi che venivano stagionati in una cantina stupenda che affinava i sapori in modo fantastico. Quando si ammazzava il maiale era una festa, con un trionfo di sapori e profumi indimenticabili. La nonna la domenica cucinava sempre qualcosa di particolare ed io, bambino, ero lì con lei che maneggiavo l’impasto degli gnocchi piuttosto che la pasta all’uovo per fare i ravioli, insomma, adoravo quei momenti trascorsi in cucina e posso dire che la mia passione è nata lì». Che percorso di studi ha effettuato e quanto è importante per la carriera di uno chef frequentare la scuola giusta? «Finita la scuola media, andai a Milano a frequentare l’istituto alberghiero “Amerigo Vespucci”. La scuola è molto importante per la cultura generale, la formazione professionale e le competenze che fornisce, però devo sottolineare che il vero chef si forma sul campo, cioè con tante ore di lavoro, tanto allenamento, tanta dedizione alla cucina. è molto importante per me poi la cultura anche in campo artistico, l’arte, la musica, il teatro, tutto contribuisce a formare la personalità di uno chef». I primi passi da cuoco li ha mossi in Oltrepò? «Mentre frequentavo la scuola ho fatto diversi stages partendo dalla cucina al Cowboys’ Guest Ranch di Voghera. Dopo la maturità, ho iniziato a lavorare al ristorante “Pio e Vale” di Voghera dove lo chef Pio Albanese mi ha insegnato tantissime cose ed è stato molto importante per la mia formazione». E a un certo punto lei riceve la prima proposta di lavoro importante che le fa fare il salto di qualità… ce ne vuole parlare?
Lo Chef Federico Sgorbini
«Certo. Il grandissimo chef Enrico Bartolini aprì il ristorante “Le Robinie “ a Montescano ed ebbi l’opportunità di andare a lavorare con lui. Devo ringraziare Pio Albanese che, informato della proposta ricevuta, vedendomi titubante perché stavo lavorando molto bene con lui, mi spinse ad accettare. Rimasi quattro anni a Mon-
«Penso che l’identità dell’Oltrepò pavese stia crescendo, sia con il vino che con il cibo».
tescano e nel 2008 il ristorante ottenne la stella Michelin. Fu un’esperienza meravigliosa quella delle Robinie perché Enrico mi fece conoscere moltissime materie prime del territorio, tra le quali i formaggi del Boscasso, la cipolla di Breme, lo zafferano di Mornico, il peperone di Voghera, le uova meravigliose della valle Staffora, le carni del territorio dalla razza varzese, dai maiali ai salumi, fino al magnifico mondo wine dell’Oltrepò Pavese. Tutti prodotti che utilizziamo qui al ristorante. Sempre per Enrico lavorai all’Osteria “Perillà” in Toscana e poi ebbi la fortuna di conoscere un altro grandissimo chef, Andrea Ribaldone, con lui trascorsi altri quattro anni come sous chef, due a “La fermata” a Spinetta Marengo e altri due ad Alessandria ai “Due buoi”. Nel 2015 un altro riconoscimento molto importante fu la stella Michelin ai “Due buoi” ad Alessandria. Anche Andrea Ribaldone mi fece conoscere moltissime materie prime del territorio piemontese e mi diede una responsabilità diversa con la possibilità di crescere dal punto di vista professionale e di avere l’opportunità di acquisire competenze dal punto di vista gestionale, con una brigata di cucina di 10 persone. In un periodo di tempo intercorso fra le collaborazioni con i miei due maestri Bertolino e Ribaldone ho avuto anche modo di fare due esperienze all’estero, una a Parigi al ristorante “Taillevent” due stelle Michelin e una a Londra al ristorante “The Ledbury” due stelle Michelin, molto importanti sia dal punto di vista culinario che personale. Ho lavorato poi all’Hotel “Bauer “ a Venezia come chef per il circuito “Arco” di Andrea Ribaldone e un’esperienza come “personal chef” a Milano e con lo chef Simone Rugiati per conoscere anche il mondo dello showcooking». Che tipo di cucina propone? «Il mio vero percorso è quello della cucina gastronomica, quello è il tipo di cucina che cerco di portare qui al ristorante “Lino” di Pavia dove sono approdato a marzo grazie ancora ad Andrea Ribaldone. Appena vidi la location me ne innamorai e accettai questa nuova sfida. Il mio motto in cucina è “tradizionalmente attuale” quindi cerco di riproporre i sapori un po’ scomparsi di un tempo, di rendere attuale quello che è il gusto tradizionale con un’attenzione anche all’estetica del piatto. Utilizzo le grandi materie prime del territorio lavorandole con le tecniche più moderne che ho appreso nel mio percorso». Il lavoro dello chef è molto impegnativo, richiede molti sacrifici ma è anche molto gratificante. è soddisfatto? «Il mio lavoro è una mission, bisogna avere molta passione, creatività e impegno
Lo chef vogherese Federico Sgorbini porta un tocco oltrepadano nella vicina Pavia
per portare avanti una professione che viene svolta nei periodi in cui le altre persone si rilassano, come ad esempio durante le feste, Natale o Capodanno. Però, per contro, c’è una grande soddisfazione a dare piacere alle persone con le materie prime che sono state manipolate con professionalità nel rispetto della salute del cliente. Cerco di presentare i miei piatti in modo molto “pulito” dal punto di vista estetico e che siano un’esplosione di sapori dal punto di vista del gusto. E quando raggiungo l’obiettivo sono molto soddisfatto». L’Oltrepò pavese è una terra di confine spesso un po’ bistrattata dal punto di vista della cucina perché si dice che non abbia un’identità propria, un territorio che non riesce a decollare, cosa ne pensa? «Io penso che l’identità dell’Oltrepò pavese stia crescendo, sia con il vino che con il cibo. Il territorio è meraviglioso, con grandi potenzialità dal punto di vista turistico ed enogastronomico, è una zona da amare e da valorizzare e noi al ristorante “Lino” ci stiamo impegnando molto in questo senso anche con molte etichette dell’Oltrepò nella carta dei vini». Vista la sua esperienza consiglierebbe ad un giovane di intraprendere questo tipo di professione? «Assolutamente sì, gli consiglierei innanzitutto di frequentare una scuola ma anche di viaggiare e fare esperienza nel mondo, di imparare le lingue e conoscere tradizioni culinarie diverse per crescere dal punto di vista professionale». A quali progetti state lavorando al ristorante “Lino”? «Da settembre il ristorante proporrà due visioni di cucina: una bistrot e una gastronomica con un’altra sala riservata, quindi due realtà, una con una cucina un po’ più semplice alla portata di tutti e l’altra con una cucina un po’ più “fine dining” in modo da abbracciare una clientela più ampia». di Gabriella Draghi
CYRANO DE BERGERAC
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L’ipocrisia di chi riparte ancora dal via mentre la politica fa e disfa nella prima zona viticola della Lombardia L’Oltrepò Pavese della vite e del vino si appresta a ripartire dal “via”, come al Monopoli, un’altra volta. Secondo un manager del vino che ho conosciuto a una degustazione a Bologna e che ha recentemente trovato casa in Emilia sarà l’ennesima falsa partenza, condita da slogan, foto di gruppo e qualche pennellata di pubblicità o titoloni, ma che non porterà a niente di nuovo. Questo professionista del settore mi ha spiegato che in Oltrepò il problema è chi conduce le aziende che dettano le regole. «Guarda che brutte etichette mettono in giro, guarda a che prezzi le posizionano, guarda che numeri fanno con gli spumanti Metodo Classico, con il grande Pinot nero o con il Riesling Renano e poi capisci... vorrebbero vendere il vino top che non c’è». Ma la politica, stavolta, è dalla loro: «Sul ministro non mi esprimo, perché lo stimo, ma Ersaf e Regione Lombardia farebbero bene a concentrarsi sulle incompiute, dal Centro Riccagioia all’Enoteca Regionale di Cassino Po, che sono costate tanto ai lombardi. La prima doveva essere la nuova San Michele All’Adige, struttura d’eccellenza nella formazione, la seconda una vetrina per il territorio lombardo, mentre di lombardo all’interno dell’Enoteca ci sono una manciata di cantine di fuori Oltrepò e qualche fotografia». D’istinto chiedo al manager dei viticoltori-conferenti delle cantine sociali, la maggioranza silenziosa. Questo per capire se a suo avviso siano soddisfatti e dunque per questo non si ribellino: «Non capiscono e non li ascolta nessuno nel vero senso della parola. I giornalisti chiave se li sono comprati i soliti noti con contratti, bottiglie omaggio e appassionate chat su Whatsapp, come se un contatto da trattare con distacco professionale fosse l’amicone della porta accanto. Chi pensa a chi viene pagato quattro soldi al quintale quando in gioco ci sono poltrone, stipendi, relazioni con i piani alti per chi aveva sempre vissuto a pianterreno? Per costoro i viticoltori sono gli schiavi, quelli che devono sempre sacrificarsi e attendere l’alba di una nuova era che non arriva mai». Che pessimismo, dico io. Risposta: «Sono ancora ottimista, ho pure visto l’Oltrepò sulle strade del Giro d’Italia con un mezzo da Garden Center, con sopra scritto “Armonie”. Mi è venuto da ridere. Così come mi è venuto da sorridere, provando imbarazzo per lui, quando ho visto il duro leader del Distretto del Vino rientrare in Consorzio su pressing regionale, come se adesso in assemblea del Consorzio si con-
tasse una testa un voto, come lui stesso pretendeva con fermezza anni fa, o come se adesso i piccoli produttori avessero tratti in comune con i dirigenti e gli imbottigliatori da tutto a un euro». Ma in fondo le diaspore non aiutano, obietto io. Pronta la replica: «Fanno bene ad andare per la loro strada aziende come Torrevilla e Vistarino, perché in Oltrepò le partite sono sempre truccate, come le vasche che qualcuno ti fa evaporare in una notte quando schiacci i calli alle persone sbagliate. Chi dà le carte sono sempre gli stessi e usano gli stessi metodi, spacciandosi pure per il nuovo che avanza. Puoi chiamare il miglior allenatore al mondo ma risponderà sempre a chi lo ingaggia, per garantirsi ruolo e stipendio. In Oltrepò in anni strategici hanno avuto il miglior direttore di consorzio d’Italia,
Carlo Alberto Panont, ma l’hanno offeso e umiliato cacciandolo, dopo avergli impedito di fare ciò che sapeva. La Regione Lombardia ha contribuito allo step finale, mandandolo via pure da Riccagioia quando funzionava». Ma in questa Italia del vino va male per tutti, o no? «Affatto. Ci sono micro zone di produzione sconosciute ai più fino a un decennio fa che oggi vendono bottiglie realizzando da 3 a 10 volte in più rispetto agli oltrepadani da bosco e da riviera». Cioè? «Ecco un’analisi: la prima zona di produzione vinicola della Lombardia, che solo ultimamente tanto sta a cuore alla politica, produce tra DOCG (poco), DOC (appena appena) e IGT (tantissimo; il vino meno controllato e più tagliabile quasi ovunque e commercializzabile in fretta) il 60% del totale lombardo.
L’unica consolazione resta questa, ovvero riempire tante cisterne facendo fatturato e non utile. Se basta questo io sto bene a casa mia e loro staranno sempre peggio a casa loro». Perché? «Quando dovranno discutere cose che spostano interessi economici della lobby, picchieranno nell’urna in assemblea dei soci la loro scheda da 500mila quintali che cadrà ancora come un’incudine sui buoni propositi e le anime belle. Già successo con Classese come nome identificativo dell’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG, no?». Boh, alla fine la mia degustazione a Bologna si è chiusa con l’amaro in bocca: sarà stato il vino o la tristezza? di Cyrano De Bergerac
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Ecoprogram, 30 anni di successi
Gianluca Barabino, Amministratore Delegato di Ecoprogram
Percorrendo la Strada Statale tra Voghera e Casei Gerola, ritengo personalmente impossibile non notare quel gigantesco piazzale denso di centinaia di autoveicoli, di ogni target, parcheggiati in bella vista sotto l’egida dei Marchi Ecoprogram, Arval ed Ariel Car. è semplice pensare si tratti di un’immensa concessionaria di automobili... ma dal semplice al semplicistico il passo è breve. Si tratta di molto di più, e ve lo raccontiamo in occasione del 30mo compleanno di questa straordinaria Azienda, direttamente dalle parole dell’Amministratore Delegato, il Dott. Gianluca Barabino. Come dice il titolo, 30 anni di costante successo, ampliamenti e realizzazioni in vari campi dell’imprenditoria e dei servizi. Ecoprogram nasce nel 1989, quando Gianluca Barabino era impegnato a... «Studiare (sorride dolcemente). In realtà, mi ero appena laureato in giurisprudenza ed avevo svolto un giorno, ma proprio un giorno di pratica presso lo studio Balossino, in Tortona, dal caro amico Marco... ma ho immediatamente capito che non era quella la mia strada». Lei è classe...? «‘63... e pensai di tuffarmi, sull’esempio paterno, nell’imprenditoria. Mio padre Anchelito (Presidente Ecoprogram, n.d.r.), nome particolare ereditato dal fratello del-
la nonna nata in Uruguay, all’epoca aveva un’Azienda che produceva prefabbricati leggeri e seguiva i cantieri in giro per tutto il mondo. Ricordo soprattutto Arabia Saudita, nord-Africa, Sud America, e via dicendo. Io mi laureai nel 1988, veramente, e subito presi un incarico da una società inglese che ricercava in centro-Italia terreni per strutturare un campo da Golf: lavoro bellissimo perchè giravo ricercando appunto questo spazio, e poi volavo a Londra a raccontare cosa avessi trovato! Direi, lavoro-vacanza! Nello stesso periodo, papà cominciò a consigliarmi di occuparmi di manutenzione, di facility, sostenendo che il mondo ne avrebbe sempre avuto più bisogno: intuizione/premonizione azzeccatissima, devo dire! Io, con il mio liceo classico e la laurea in giurisprudenza, non sapevo neanche bene avvitare una lampadina, ma così ho fatto. Ho costituito nell’89 Ecoprogram insieme a mio padre, ed ancora oggi siamo gli unici soci, raccogliendo attorno a noi un po’ di manutentori...». Mi scusi se la interrompo: papà e figlio unici soci... come sono i rapporti umani e professionali? Discutete, litigate, siete sempre in accordo? «Beh, certo discutiamo, ma mai fino alla lite vera e propria, comunque. Devo dire che ho avuto la fortuna che mio padre, oltreché mentore sempre entusiasta e mai
domo, non è neppure mai stato padre-padrone, ma mi ha sempre dato la possibilità di percorrere tutte le intuizioni che ho avuto, negli anni... Siamo sempre rimasti fianco a fianco». Ritorniamo alla nascita di Ecoprogram nel 1989... «Dicevo... con quella prima squadra di dipendenti siamo entrati in sub-appalto nel consorzio che lavorava per la Linea 3 della Metropolitana milanese, dando il via agli impianti elettrici, idraulici, di condizionamento, etc. Poi seguirono Linate, l’ospedale Fatebenefratelli, il Policlinico di Pavia, gli ospedali genovesi... ed intanto la piccola azienda che avevamo costituito iniziò ad avere i requisiti per poter partecipare da sola alle gare d’appalto pubbliche». Partendo da che numero di dipendenti ed arrivando ad oggi che sono? «La prima squadra dell’89 furono 6 o 7 dipendenti. Oggi siamo attorno ai 1.000, ma abbiamo avuto anche punte più alte, ad esempio quando gestivamo l’Inter-porto di Rivalta Scrivia. Le dicevo di quegli inizi... poi passammo a Torino, quando trasformarono il Lingotto da stabilimento a Polo culturale, di eventi ed oltre. Abbiamo iniziato con questo concetto di Global Service, concetto oggi forse addirittura abusato, ma all’epoca siamo stati vicini al pionierismo, in qualche modo. Cioè, essere il fornitore unico della manutenzio-
ne completa del building. Nel 1994 entriamo allo Stadio milanese di San Siro, a seguito dell’appalto vinto da un imprenditore milanese, occupandoci dal prato alle luci, dall’idraulica alle pulizie, e tutto ciò che ottimizza il funzionamento dell’impianto. Nel 2000 poi entrarono direttamente Inter e Milan che ci appaltarono direttamente tutta la parte Servizi fino al 2034, compresi Appiano Gentile e Milanello. Ritornando al 1994, è stato l’anno dello switch dal settore pubblico al privato, con forte indirizzo sportivo! Oltre a San Siro prendemmo in carico anche gli Stadi di Genova, Udine, Verona, ed altri, fino ad arrivare anche in Arabia Saudita allo Stadio di Jeddah» Tutte queste strutture sono ancora in carico ad Ecoprogram? «Si, compresi gli immobili Pirelli e Mondadori, per uscire dal settore sport. Ed ancora, il curriculum è lungo (sorride), nel 1995 iniziamo la parte di logistica, iniziando con l’Azienda di Trasporti Arcese di Trento, il maggior trasportatore di Fiat, che oltre alla manutenzione dei suoi interporti ci richiede la gestione dei magazzini! è completamente un altro lavoro, ma... perchè no?! Torino, Milano, poi scendiamo a Nola, e pian piano li abbiamo presi tutti. Grazie a lui siamo entrati in Rinascente, e poi Bennet, finché ci accorgemmo che la logistica era diventata un’altra branca gigantesca. A quel tempo arrivammo ad im-
l’azienda piegare circa 2.000 lavoratori! E così, circa nel 2002, sempre per la logistica, la Banca BNP Paribas mi richiese un progetto per la sua Arval, Azienda del noleggio a lungo termine, le flotte automobilistiche. Così preparammo un progetto, che piacque, sul ritiro-stockaggio-consegna-approntamento etc. Abbiamo quindi nuovamente declinato in altra maniera il concetto di facility, in questo caso, inserendo nel mondo della logistica il servizio completo, vendita compresa, per la mobilità delle auto, inserendo anche il servizio di call-center e back-office. Nasce così Ariel car, nostra Società che compra e rivende». Quindi, per non perdermi, mi scusi: tutto ciò è Ecoprogram... «Abbiamo due mondi Ecoprogram: la parte servizi e la parte flotte. Ci stiamo ora anche occupando di car-sharing, di condivisione delle autovetture: abbiamo una società informatica che si sta occupando di ciò, ed a breve usciremo con una App per smartphone e pc, etc. Ecoprogram Flotte si occupa anche di Officine Mobili, altro grosso impegno che stiamo seguendo. Vogliamo cambiare il mondo del servizio: non andremo più noi in officina per tagliandi, cambio-pneumatici, etc. ma verrà un’officina mobile a casa nostra per tutto ciò che serve, facendo ovviamente anche magazzino, ad esempio, per i pneumatici estivi ed invernali... Ne abbiamo già circa una 50na di officine mobili che girano tutta Italia, cambiando già al momento, se non erro, 17.000 treni di gomme. Al momento la nostra Società Net&Com, che ha in carico tutto ciò, ha un call-center preposto a ciò, ma a brevissimo avvieremo il servizio tramite, appunto, applicazione sul telefonino. Così come il montaggio delle “scatole nere” sulle autovetture che forniamo a costruttori, noleggiatori, ed a tutti quelli che necessitino di questo sevizio». Ecoprogram ha altre strutture come quella di Casei Gerola, se non erro... «A Rivalta Scrivia abbiamo un piazzale molto ben attrezzato, più grande ancora di quello di Casei Gerola, dove stockiamo tutte le Peugeot e Citroen che arrivano in
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Italia, che noi prepariamo e poi inviamo ai concessionari su territorio nazionale. Ed ancora, abbiamo circa una 20na di sedi a livello nazionale: la Sede madre è a Milano, operativa a Casei Gerola, e poi Bologna, Firenze, Roma, Macomer in Sardegna, Alcamo e Palermo in Sicilia, Polignano, Taranto, Napoli, Lanciano, e così via». Riassumendo quindi brevemente, se possibile, i vari settori operativi... «I settori, che definirei “mondi”, sono 4: mondo dei servizi/facility, come abbiamo detto manutenzione etc., mondo-flotte automobilistiche con stock, movimentazione, etc., mondo-digitale con EcoNet e Net&Com per lo sviluppo dei progetti chiamiamoli informatici, e poi c’è un’altra nostra società, Anemotech, che da circa 4 anni produce, vende e distribuisce una cosa molto particolare: un tessuto, che si chiama “The Breath”, inventato da un ingegnere di Eni che ricercava un solvente per il petrolio nell’acqua: ha invece scoperto che i carboni contenuti in “The Breath” disintegrano gli inquinanti derivati dagli idrocarburi! A me è interessata questa ricerca: ci siamo trasferiti all’Università di Ancona e poi al Politecnico di Milano per completare questo processo, dimostrando la funzionalità del prodotto. L’indimenticabile Prof. Veronesi si innamorò della scoperta e ci fece da “padrino”. Basta un piccolo “quadretto” di tessuto per disintegrare fino al 30 per cento gli inquinanti! Lo si può utilizzare sia in interni sia in esterni, come spazi delle maxi-affissioni, per esempio, che già stiamo realizzando. Fiat, meglio Fca ora, ha eseguito svariati test, tutti convincenti, e lo inserisce già negli abitacoli delle autovetture, mentre Nike sta realizzando una linea d’abbigliamento con il nostro tessuto. Una scoperta che deve certamente avere respiro internazionale! Senza dimenticare la parte immobiliare: abbiamo costruito a Courmayeur, case in Costa Azzurra, avviato ristrutturazioni varie, il Golf di Tassarolo, etc. Questa Società si chiama Bleu Stars, che attualmente non costruisce ma gestisce gli immobili del Gruppo».
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«Domenica 30 giugno festeggiamo i primi 30 anni di Ecoprogram» Ha in vista novità da inserire? «Effettivamente sì. Abbiamo fondato una nuova società, che si chiama Wil Power, con la quale abbiamo progettato una particolare caldaia a vapore che con effettopirolisi essicca i fanghi, ad esempio dei depuratori, facendo evaporare l’acqua! Si può utilizzare anche in altri modi, ma il focus che abbiamo desiderato è proprio questo: riducendo la massa tramite evaporazione, i costi dello smaltimento-fanghi diminuiscono sensibilmente! Stiamo testando il tutto proprio in questi giorni con l’Università di Pavia e la Società Pavia Acque. Un altro dato importante che voglio segnalare, con orgoglio, è la partecipazione in “Engie program” del colosso francese dell’energia “Engie”, che ci ha richiesto di fondare una società insieme sul modello della nostra gestione delle facilities. Con un fatturato di 60 miliardi circa annuali, 3 dei quali in Italia, la proposta ricevuta, che due anni fa abbiamo messo in campo, la leggo come un plauso al metodo con il quale da sempre lavoriamo». A fine mese si svolgerà una bellissima festa di Compleanno: ci anticipa qualcosa? «Con piacere! Domenica 30 giugno inizieremo alle 8,30 posizionandoci con 30 meravigliose auto d’epoca in Piazza Duomo, ove, alle 9,00, avverrà la Benedizione delle
autovetture ed il “taglio del nastro” da parte delle Autorità. Alle 10,00 circa partirà la trasferta, comprese alcune autovetture a marchio Ariel Car ed una Officina Mobile, alla volta di Varzi, dove sosteremo sino alle 14,00, degustando prelibatezze locali nella Piazza centrale da Rita Albera. Poi ripartiremo tutti insieme per la Val Curone, rientrando per le 15,00 circa in Ecoprogram a Casei Gerola, dove daremo vita ad una gara di 30 prove d’abilità con le autovetture suddette, sotto l’attenta ispezione di un Giudice che certificherà la validità della competizione. Al termine, premieremo con la “1a Targa Ecoprogram” i primi 3 classificati, dando il via ad un apericena a buffet, con dolci inclusi, servizio di gelateria e musica, e... Grande Festa per i nostri primi 30 anni! Ovviamente, l’invito è esteso a tutto il territorio, nessuno escluso! Ah, dimenticavo: grazie all’organizzazione del caro Francesco Gagliardo, a Settembre poi, ringraziando il Consigliere Claudio Zuffi e tutta l’Amministrazione vogherese, potremo rivedere le immagini più belle della giornata in una mostra fotografica presso la Sala Pagano in Voghera! Ai vostri lettori posso dire solo non mancate!». di Lele Baiardi
LETTERE AL DIRETTORE
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«Alle sagre di paese è permesso tutto, sono un ristoratore deluso» Egregio direttore, ho letto il Vostro articolo del mese di Aprile nel quale l’editorialista afferma che in un Oltrepò turisticamente disastrato, per fortuna che ci sono almeno le Pro Loco. Sono un ristoratore e la penso all’opposto, lo dico senza tanti giri di parole, mi lamento delle feste o sagre che dir si voglia. Voglio lamentarmi sì, perché io come i miei colleghi lavoro tutto l’anno per portare a casa la pagnotta. Lavoro per mandare avanti la mia famiglia, e il mio lavoro è davvero pesante, specialmente in questo periodo difficile per tutti. Scrivo dalla valle Staffora, una valle che si sta ogni anno rattristando sempre di più, una valle difficile dove è difficile lavorare. Quando pensi che i mesi estivi ti possono tirare su le ossa, ecco arrivano le mitiche sagre dove ogni cosa è permessa. È permesso fare lavorare minorenni fino a qualsiasi ora, è permesso non avere il bagno dei disabili, è permesso non avere gli indumenti idonei, è permesso non sapere e non applicare quotidianamente il manuale HAC-
CP, è permesso non fare scontrini (tanto le feste non sono a fine di lucro!!!), è permesso non avere il pavimento antiscivolo nelle zone dove si cucina, è permesso non avere le zanzariere alle finestre, tanto si cucina all’aperto (!), ogni cosa è lecita. Mi direte che la qualità paga sempre, alla lunga chi lavora bene viene ripagato. Credo non sia così, perchè in una zona dove ci sono 5 feste per fine settimana che durano ognuna alcuni giorni consecutivi fa una media di 400-500 coperti, ai ristoranti non resta più un bacino d’utenza. Non sono contro alle feste in assoluto, ma che feste siano: con cotechini polenta e pane formaggio, con tanta musica e balli come da sempre fu! Noi dobbiamo applicare alla lettera tutte le norme, ed è giusto perchè si ha a che fare con le persone e con la loro salute. Ma questo concetto è applicabile a chiunque! lo so che il mio sfogo sarà un urlo nel vuoto, ma grazie comunque per l’attenzione». Un ristoratore stanco. Lettera firmata
«Con questa Sensia abbiamo raschiato il fondo del barile». Spettabile Redazione, abito a Milano, ma sono sposato con una vogherese, ho amici, molti a Voghera ed in Oltrepò, anche per motivi professionali frequento molte fiere e manifestazioni e purtroppo , caro Direttore le dico che: con questa Sensia abbiamo raschiato il fondo del barile. è stata triste quest’edizione della Sensia, dove sono gli espositori che avrebbero dovuto rappresentare l’Oltrepò con la gastronomia e l‘agroalimentare? Molti entrando alla Sensia di quest’anno quando finivano il giro commentavano: “Tutto qui? Inoltre dove sono le istituzioni?”. Le associazioni sono sempre meno perché, francamente, cosa avrebbero potuto
rappresentare in tema di turismo e promozione agroalimentare del territorio? La gente, essendo stato il primo periodo di caldo, dopo tanto maltempo, può anche esserci stata, ma c’è stata per il tempo, non per l’offerta espositiva della Sensia, il risultato di anni di programmazione sbagliata è sotto gli occhi di tutti e ora bisogna capire seriamente cosa non funziona perché Voghera, con i suoi infiniti problemi, non può permettersi il lusso di fare manifestazioni che non diano aiuto al commercio, la promozione dei prodotti dell’Oltrepò e quel minimo di turismo possibile. Roberto Virtuani – Milano
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
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Quando il datore di lavoro ti fa sentire inutile Gentile Direttrice, vorrei raccontare la mia storia ed esprimere il mio pensiero su dove stiamo andando o meglio come stiamo finendo. Sono una donna di 45 anni con un marito ed un fantastico figlio di 12 anni. Dopo 20 anni di attività in proprio, mi rimetto in gioco e nel settembre del 2017 comincio a lavorare per questa famosa azienda... con negozio in un grande centro commerciale dell’Oltrepò. Grandi aspettative, mille propositi. Mi rinnovano ben 5 volte il contratto a tempo determinato ed arrivo all’ultima scadenza del 28/02. Mi aspetto quindi, come in un qualunque rapporto di lavoro, di essere chiamata per poter discutere del mio futuro... Ovviamente ciò non si verifica ed il 26 febbraio, mi comunicano il colloquio alla sede centrale con la responsabile delle risorse umane. Già ufficio risorse umane... La premessa del colloquio è «l’azienda naviga in cattive acque», da lì prosegue una lunga conversazione al termine della quale mi viene detto che il mio direttore mi farà sapere. Il 28 febbraio mi presento per il mio turno e verso la metà di quest’ultimo, vengo convocata dal direttore il quale mi comunica la decisione dell’azienda: mancato rinnovo del contratto in essere. La cosa come potrete bene immaginare mi ha lasciata completamente basita. Il trattamento riservatomi da questa grande azienda altri non era che un calcio nel sedere l’ultimo giorno di lavoro. Certo perché è così che si trattano le persone, umanamente parlando, vero? Paradossalmente, durante il colloquio mi viene chiesto «tu come la senti l’azienda» e nel frattempo, come se fossi in una bolla di sapone sospesa nell’aria, ti chiedi ma che considerazione ha questa di me... dei miei colleghi... Siamo davvero così cinici? Sì, perché sapete: prendersi cura di un animale è molto “in” ma un calcio nel sedere ad un collaboratore è più bello... E mi chiedo: Siamo sicuri che queste
«cattive acque» siano colpa dell’ultimo anello della catena, del lavoratore? Perché magari invece di tagliare quelli che la faccia ce la mettono tutti i giorni con i clienti e compensano spesso le carenze dell’azienda in merito a prodotti a scadenza ed a qualità magari, e dico magari, bisognerebbe analizzare i problemi a monte... Magari proprio dove ci sono gli uffici che bloccano l’espansione, quelli che si occupano più dei numeri che delle persone. Ovviamente il negozio presso il quale lavoravo ha ricevuto il premio per il migliore fatturato, ma come si usa dire «squadra vincente, non si cambia». Certo il negozio è bello: nuovo, tutto ristrutturato, fa niente se noi siamo bestie da soma destinate solo al facchinaggio senza mai una soddisfazione, nemmeno un colpetto sulla spalla. Meglio un calcio nel sedere, già dà più soddisfazione, meglio togliere la dignità che premiarla! Sapete, il problema sta proprio nel comprendere quanto ci rendano inutili, quanto riescano a farci sentire dei numeri pronti alla sostituzione da un giorno all’altro, anche se valiamo, anche se abbiamo fidelizzato tanti clienti che accoglievamo col sorriso, che si fidavano di noi. Già fiducia, come dice la mia mamma la fiducia è una cosa seria. Non si può calpestare così le persone, nella vita ci vuole rispetto: è uno dei valori che ci hanno insegnato da piccoli, ma probabilmente faccio parte di un’altra generazione. Una generazione in cui era bello aiutarsi, collaborare, rispettarsi e confrontarsi. Ci faceva crescere. Già, un esamino di coscienza ce lo facciamo prima di andare a dormire? Volevo quindi ringraziare tutti i colleghi che mi sono stati vicini in questo momento ed anche il mio responsabile che mi ha insegnato tanto ed era visibilmente affranto nel comunicarmi la notizia. Lettera firmata – Bressana Bottarone
Treni Voghera - Pavia, «è un’indecenza» Gentile Direttore, in passato mi è capitato spesso di recarmi a Pavia con i treni che partono da Voghera quotidianamente. Oggi, dopo quasi 2 anni, ho ripreso il treno. E da qui le sto scrivendo. È un’indecenza! Già in passato avevo notato che questa linea, indicata già più volte come una delle più disastrate d’Italia per sicurezza, igiene, efficienza e manutenzione. Non è pensabile che nel 2019 ci siano ancora carrozze arrugginite, vecchie di quasi 40 anni, maleodoranti, che collegano centri urbani importanti con tempi di percorrenza biblici. Per non parlare dei frequenti guasti e ritardi cronici. Nonostante il blu scuro dei sedili di una indecifrabile pelle sintetica, le macchie di sporco sedimentate sono visibili da qualsiasi angolatura e luce, puzza e caldo insopportabile (ovviamente non esiste l’aria condizionata funzionante), posti stretti, pendolari ironicamente rassegnati, ubriachi che dormono, controllori e controlli
praticamente inesistenti. E molto altro... Ci battiamo tanto per la difesa dell’ambiente promuovendo blocchi del traffico, la mobilità elettrica, il car sharing, la scelta del mezzo pubblico rispetto a quello privato, e non c’è modo di trovare rimedio a una situazione veramente al limite della dignità delle persone e dell’ambiente. Guardi che non sto calcando la mano: ho un passato da campeggiatore e diversi anni lavorativi passati in nell’Europa dell’Est, dove non sempre ho trovato situazioni di igiene e comodità! Mi rivolgo quindi a Lei e alla sua sensibilità, per capire cosa si può fare. Magari tutti insieme promuovendo una raccolta firme. È solo una legittima denuncia di un disagio che miete vittime ogni giorno da ormai troppo tempo.. Ore 12.18. Per completezza di informazione... sono appena arrivato a Pavia con 28 minuti di ritardo. Mauro Lanfranchi Voghera
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CODEVILLA
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«Per la Pro Loco svolta epocale, ma servono forze fresche» La Pro Loco di Codevilla è una delle più longeve dell’intero Oltrepò. Con oltre 40 anni di storia alle spalle, si appresta a inaugurare un nuovo corso sotto la guida dell’ “homo novus” Enrico Ianniello. 56 anni, milanese di origine ma da oltre 13 anni oltrepadano d’adozione, è uno degli artefici del successo dell’associazione culturale Pocapaglia, da tempo attiva nell’organizzazione di eventi su tutto il territorio. Diplomato all’Accademia di Arte Drammatica di Milano è stato attore, regista, ballerino… e cantoniere. Da inizio 2019 è subentrato alla guida della Pro Loco non senza difficoltà. Una su tutte: racimolare il numero legale di consiglieri necessario per garantire la sopravvivenza dell’ente. Quello avvenuto in seno alla Pro Loco codevillese è un cambio che Ianniello definisce «epocale». Come mai ci vede una svolta tanto importante? «Perché l’associazione era in pratica sempre stata gestita dal medesimo gruppo. Uno “zoccolo duro” con una impostazione tutta sua e iniziative, anche numerose, ma sempre piuttosto monotematiche, per lo più serate danzanti di liscio e affini, che si rivolgevano solo a una piccola parte della comunità». Che cosa è cambiato? «Quel gruppo si è lentamente sfaldato e ha abbandonato definitivamente la guida della Pro Loco. C’è stata una vera e propria tabula rasa, con il rischio che la Pro Loco sparisse, perché senza almeno 7 consiglieri il cda non poteva esistere». E così ha accettato l’incarico. Quanti consiglieri avete oggi? «Oggi siamo in sette e…mezzo. Il mezzo
Il presidente Ianniello inaugura la nuova gestione e invita ad iscriversi: «Bilancio sano, possiamo fare grandi cose» perché il ruolo di una persona non è di pieno coinvolgimento. Una sola defezione e si rischia di andare gambe all’aria». Una situazione piuttosto precaria…perché secondo lei? «Quando ci sono grandi cambiamenti serve tempo perché una macchina si rimetta in moto. Dopo l’uscita di scena dello zoccolo duro c’è stata una sorta di effetto risacca, è stata dura convincere le persone ad assumere un ruolo nel consiglio. Tuttavia ho accettato l’incarico perché sarebbe stato un peccato mandare tutto all’aria: la Pro Loco di Codevilla ha un bilancio sano e negli anni ha accantonato un piccolo tesoretto che si potrebbe investire per realizzare iniziative di ampio respiro». Cosa sarebbe successo se non fosse subentrata una nuova dirigenza? «Se la Pro Loco cessava di essere attiva automaticamente i suoi beni venivano assegnati ad altre associazioni e tutto sarebbe andato perduto. Un’eventualità che per me andava scongiurata a tutti i costi. Qui c’è la possibilità di fare davvero qualcosa di
bello». I conti erano in ordine. Cosa non andava nella vecchia gestione? «Diciamo che era ormai una sorta di “dinosauro” monotematico, le iniziative erano tante ma sempre dello stesso segno ed era molto difficile proporre cose diverse. Bisogna svecchiare la Pro Loco e iniziare a ragionare in modo diverso, proponendo più iniziative per i giovani e collaborando in sinergia con altre associazioni». Da dove vorrebbe iniziare? «Da un calendario eventi condiviso tra le associazioni anche dei paesi vicini, in modo da creare un circolo di interesse virtuoso». Eppure, a guardare il calendario, questa estate non avete in programma grosse novità rispetto al passato… «Lo so, ma per il 2019 è stata una scelta precisa: tutte le energie che avevamo le abbiamo impiegate per la sopravvivenza. Per quest’anno si naviga a vista. Per il futuro il primo impegno sarà reclutare nuove forze e nuovi iscritti. Il mio è anche un appello, soprattutto ai giovani codevillesi: uniamo le forze, perché si può fare davvero qualcosa di bello». Come sono i rapporti con la nuova amministrazione comunale? Ha già parlato con il sindaco Dapiaggi? «Con Dapiaggi ci conosciamo personalmente e sono convinto si possa impostare una buona collaborazione. So che in precedenza il Comune si limitava a versare qualche contributo alla Pro Loco e stop. Io auspico sinergie diverse. E ritengo sempre un bene che la pro Loco resti autonoma dalla politica. Per questo giudico positivamente anche che il cambio di statuto non obblighi
Enrico Ianniello più ad avere in consiglio tre persone in rappresentanza del Comune». Che cosa della sue esperienza con il Pocapaglia vorrebbe portare in Pro Loco? «Con il Pocapaglia abbiamo organizzato importanti rassegne legate al folk in collaborazione con altre realtà oltrepadane e pavesi. In generale mi piace l’idea di poter organizzare eventi che portino ad ampliare il giro di visitatori collaborando con altre realtà vicine, perché non ha senso pestarsi i piedi. L’anno prossimo poi sarà operativa l’Oltrepò Tennis Academy, che porterà eventi sportivi di alto livello sul territorio. Un’altra occasione da non perdere, ma servono volontari». di Christian Draghi
«La vecchia gestione? Un “dinosauro monotematico”»
CERVESINA
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«Immigrati abbandonati a loro stessi, così si favorisce lavoro nero e clandestinità» Uno degli effetti del Decreto Salvini sulla sicurezza è stato quello di svuotare (non solo di operatori e immigrati, ma anche di senso) i centri accoglienza sparsi sul nostro territorio. Tagliati i fondi, le cooperative che li gestiscono sono rimaste senza “benzina” e la prima conseguenza è stata il licenziamento di psicologi, medici, mediatori linguistici ed altre figure che ruotavano intorno a queste realtà con lo scopo di favorire l’integrazione. Chi si rallegra per questa chiusura dei rubinetti ci vede un colpo ben assestato al “business dell’immigrazione”. Per altri invece significa la perdita del lavoro, oppure l’essere abbandonati a se stessi. Oggi i Cas (Centri di assistenza straordinaria) sul territorio oltrepadano sono ridotti ai minimi termini e quelli che non hanno chiuso lavorano tra mille difficoltà, spesso con pochissimi operatori costretti a coprire un territorio reso sempre più vasto dalla necessità di accorparsi, con stipendi da fame che spesso arrivano in ritardo. C’è chi non ce la fa più e deve mollare. Come Marco Sinigaglia, fino a pochi giorni fa operatore presso il Cas di Cervesina. Perché se ne è andato? «Ho dato le dimissioni perché ci siamo trovati a lavorare su turni in sole tre persone nella gestione di quattro centri dislocati a parecchi chilometri di distanza. Il lavoro non è stabile, e i continui cambi di cooperative non danno prospettive». Quando aveva iniziato a lavorare in un Cas? «Ho cominciato a lavorare per una cooperativa nel luglio del 2017 come operatore notturno. Il mio compito era di sorveglianza e in caso di necessità di assistenza di 21 immigrati nel Cas di Ghiaie di Corana. Dopo un anno subentrò un’altra cooperativa, che ottenne l’appalto per la gestione del centro di Cervesina, con 11 migranti, di Pieve del Cairo (8) e di Canneto pavese, oltre ad altri già dislocati a Parma e nel milanese».
L’ex operatore del Cas: «L’immigrazione un “business”? Dipende dalle cooperative»
Centri Accoglienza in crisi dopo il decreto Salvini: «Costretti a lavorare in 3 persone su 4 centri a molti chilometri di distanza» biciclette per aiutarli negli spostamenti. C’era poi chi, come l’ultima cooperativa per cui ho lavorato, mi ha dato l’impressione di interessarsi più al ritorno economico. Non si può fare di tutta l’erba un fascio». Le cooperative prendevano dalla Prefettura 35 euro al giorno per migrante. Quanti di questi soldi finivano agli immigrati stesMarco Sinigaglia, ex operatore presso il Cas di Cervesina si? Di cosa si occupava? «Il pocket money era di 2,50 euro per ogni «Richieste sanitarie (dall’accompagnanotte trascorsa in un Cas. Se si dormiva mento dal medico di base alla prenotazione fuori i soldi venivano scalati». di esami alla distribuzione del kit d’igieAlcuni rifugiati hanno trovato lavoro? ne), burocratiche (gestione dei documenti, «Quelli che hanno studiato e imparato bene rinnovo del permesso di soggiorno, della l’italiano sì. Una minoranza, ma qualcuno carta d’identità, della tessera sanitaria), ce l’aveva fatta». lavorative (dalla scrittura del Curriculum Perché parla al passato? all’invio alle agenzie) e alimentari (lista «Gli immigrati dei nostri centri venivano della spesa e distribuzione del cibo degli in Italia richiedendo la protezione umaniospiti)». taria, dovendo poi dimostrare in sede di Cosa è cambiato dopo il decreto Salvini? Commissione esaminatrice (in media dopo «Il decreto sicurezza ha tagliato le ore deun anno e mezzo dal loro ingresso in Italia) gli operatori, lasciando i centri scoperti per di non poter rientrare nel loro paese perché parecchie ore al giorno. Per le difficoltà a rischio di vita. Il decreto sicurezza ha toleconomiche che il decreto comporta (da to la protezione umanitaria restringendo il 35 euro al giorno per ospite la Prefettura numero dei casi protetti e quindi ottenere il ne elargisce la metà), la cooperativa lascia rinnovo del permesso di soggiorno è ormai per una nuova Onlus, che oltre al licenziadiventato quasi impossibile. Il permesso mento di psicologi, medici, mediatori linprovvisorio per stare in Italia non coincide guistici e culturali prende in gestione un con un permesso lavorativo, il che signinuovo centro sito a Garlasco». fica che quando il permesso di soggiorno Per alcuni si è trattato di colpire un buscade l’immigrato non può più lavorare siness, quello dell’immigrazione. Lei che regolarmente, favorendo la criminalità e il ne pensa? lavoro in nero». «Se c’era un business non era certo a faHa incontrato molte di queste persone. vore degli immigrati o di noi operatori. Ha capito perché vogliono venire in ItaDipende dall’intenzione della cooperativa: lia correndo anche rischi enormi? c’era chi con i 35 euro al giorno per mi«Al momento del loro arrivo compilano un grante investiva veramente per aiutare la modulo chiamato C3 in cui comunicano le loro integrazione, con corsi e lezioni, meloro ragioni. La maggior parte dichiara di diatori culturali, oppure comprando anche essere in pericolo di vita nel proprio paese
natio perché parte di minoranze religiose o etnie discriminate. Ovviamente non possiamo conoscere se si tratta delle vere ragioni o meno. Quello che sappiamo è il lungo e durissimo percorso che affrontano per arrivare qui». C’è qualche storia che l’ha colpita particolarmente? «Ogni immigrato ha una storia particolare, quello che li accomuna è però il periodo di prigionia in Libia, una tappa necessaria per l’ingresso in Italia dall’Africa. Negli ormai noti centri di detenzione libica vengono derubati, torturati, uccisi. Spesso partono dall’Africa in tre o quattro parenti e arriva in Italia solo uno di loro dovendo assistere all’uccisione dei suoi famigliari. Le donne vengono stuprate o costrette a prostituirsi. Queste sono le storie più comuni». Da quale paese fugge la maggior parte di loro? «Sono per lo più nigeriani. Un paese dove la situazione politica è altamente instabile». Cosa fanno queste persone nel Cas in cui lavorava lei? «La mattina fanno le pulizie, mangiano a casa poi vanno a scuola in autobus o in bicicletta. Chi lavora fino a sera è impossibilitato al ritorno coi mezzi pubblici e deve tornare al centro in bicicletta con ogni condizione atmosferica rischiando la vita oppure pernottare fuori dal centro, rinunciando al pocket Money giornaliero di 2.50 che la cooperativa gli dà ogni mese per ogni notte dormita al centro». Cosa accadrà ora che il ruolo dei Centri Accoglienza è fortemente limitato? «In questi anni c’è chi ha veramente lavorato per ambientarsi e integrarsi. Chi è sempre andato a scuola ha imparato l’Italiano, ha svolto o svolge lavori, anche volontariato nel paese o nella città di residenza. Invece adesso non si fa reale distinzione tra gli immigrati, viene dato a tutti esito negativo dalla Commissione esaminatrice. Abbandonati a loro stessi, molto probabilmente saranno costretti a fuggire dall’Italia o a diventare clandestini nel nostro paese». di Christian Draghi
GODIASCO SALICE TERME
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«Restituiamo la normalità ai bambini problematici» Compie un anno di attività la nuova “comunità educativa Casa Bellevue” di Salice Terme, che dal giugno del 2018 dà asilo a minori provenienti da famiglie con situazioni problematiche, nel tentativo di offrire loro una vita il più normale possibile e tutto il supporto medico e psicologico necessario. Situata in via Volta, nella parte alta del paese, la struttura è gestita da Educ@ Cooperativa Sociale Onlus e presieduta dal dottor Matteo Crivelli, psicologo esperto in interventi per l’età evolutiva. La comunità educativa Casa Bellevue è cronologicamente l’ultimo servizio a completamento di un modello di accoglienza e accompagnamento alla crescita che la cooperativa già mette in atto in altre strutture sul territorio come l’asilo nido Giochiamo Insieme di Casteggio, la comunità famigliare per minori “La Betulla” di Voghera, dove una famiglia affidataria accoglie nella propria abitazione fino ad un massimo di quattro minori. Dottor Crivelli, quanti bambini ospita Casa Bellevue? «Fino a un massimo di 10, di età compresa tra i 3 e i 12 anni, anche se l’età degli ospiti potrebbe essere diversa per lo sviluppo di specifiche progettualità». Che tipo di utenza ha questa struttura? «I beneficiari diretti del progetto sono minori di età compresa tra tre e dodici anni che necessitano di essere temporaneamente collocati in ambiente protetto, caldo ed accogliente, in cui poter vivere come se fossero in famiglia. Famiglie temporaneamente in difficoltà, per varie ragioni, a svolgere la loro funzione genitoriale, che potranno continuare a collaborare attivamente all’educazione dei propri figli. Famiglie affidatarie selezionate dai Servizi Pubblici preposti che potranno prendere contatto con il minore già all’interno della struttura». Chi sono le persone ospitate e che tipo di problematiche hanno? «I bambini ospitati generalmente provengono da famiglie che stanno attraversando un periodo di particolare difficoltà per cui generalmente è intervenuto a tutela il Tribunale dei Minori che stabilisce le linee guida dell’intervento. Ogni bambino o preadolescente ha una propria storia e viene accolto attivando un percorso educativo che ne rispetti e valorizzi l’originalità e l’unicità, riconoscendone i peculiari bisogni evolutivi, le caratteristiche e le difficoltà». Come si entra in questa struttura? «La richiesta di inserimento in Comunità avviene generalmente da parte del Servizio Sociale dell’ente affidatario (Comune di provenienza). La richiesta è valutata dall’equipe educativa in tempi brevi. In caso di valutazione positiva seguirà un incontro preliminare tra il coordinatore della
Primo anno di attività per Casa Bellevue, comunità educativa per minori
Il Dott. Matteo Crivelli, presidente di Educ@ Cooperativa Sociale Onlus Comunità e l’assistente sociale per la presentazione del caso». A carico di chi sono i costi per il soggiorno? «I costi sono a carico dell’Ente affidatario del minore». Per quanto tempo si resta in “cura”? «I tempi dell’accoglienza sono definiti dai singoli progetti educativi individualizzati di ogni minore, concordati ed elaborati insieme all’Assistente Sociale di riferimento. Auspicabilmente ogni progetto dovrebbe completarsi entro due anni dall’ingresso». C’è una lista d’attesa molto lunga? «Fortunatamente no. Spesso le richieste hanno carattere d’urgenza ed in caso di indisponibilità di posti si indirizzano i richiedenti verso altre strutture in rete». Quali metodi educativi vengono impiegati? «Il modello di accoglienza di Educ@ Cooperativa persegue l’obiettivo di privilegiare forme di accoglienza ad elevata caratterizzazione familiare. La comunità educativa “Casa Bellevue” è una casa a tutti gli effetti. E’ inserita nel contesto residenziale di Salice Terme ed organizzata in riferimento alle esigenze della famiglia allargata che la abita. Dispone di una cucina, un soggiorno, le camere da letto personalizzate dagli ospiti, lo spazio per i compiti, per i giochi compreso un ampio parco esterno, spazi personalizzati ad uso e consumo dei bambini». Che ruolo hanno gli adulti? «Gli adulti si prendono cura della gestione della routine quotidiana, stimolando la collaborazione dei minori in base alle loro capacità (gli educatori cucinano in una cucina domestica, fanno la spesa insieme ai bambini, riordinano gli spazi, ecc.). Gli ospiti possono accogliere amici, festeggiare i compleanni, stare in relazione con gli altri (oratorio, parrocchia, scuola, scout,
centri sportivi, palestre)». Qual è l’obiettivo finale? «Si interviene sulla fascia della popolazione più sensibile alle influenze ambientali nella speranza che l’intervento affettivo ed educativo possa contribuire alla riduzione del danno ambientale e alla riabilitazione per una crescita integra e ben strutturata dei bambini accolti, adulti di domani. L’accompagnamento, la riabilitazione ed il potenziamento della genitorialità saranno obiettivi realisticamente raggiungibili anche per le famiglie d’origine affinché possano riappropriarsi al più presto della loro funzione educativa e sociale». Che tipo di attività svolgono i ragazzi? «I bambini svolgono tutte le attività ade-
guate alla loro età. Frequentano le scuole pubbliche e/o corsi di formazione professionale, si inseriscono in gruppi di coetanei nelle scuole sportive e culturali del territorio, frequentano i compagni di scuola o gli amici nel tempo libero». Collaborate con altre associazioni del Terzo Settore? «In ambito socio/assistenziale si lavora necessariamente in rete e sinergia con altri enti pubblici e privati. Nello specifico il progetto di Casa Bellevue nasce da una convenzione a tre siglata tra Educ@ Coop. Sociale Onlus, il Comune di Godiasco Salice Terme e l’Associazione di Volontariato Futura Infanzia che ha sostenuto l’iniziativa con un’attività di raccolta fondi contribuendo all’allestimento della struttura. Anche i singoli cittadini interessati ad attività di volontariato potranno partecipare al progetto contattandoci per reciproca conoscenza all’indirizzo mail casabellevue@ educaonlus.it». di Christian Draghi
La “Comunità educativa Casa Bellevue” di Salice Terme
GODIASCO SALICE TERME
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«L’evento 1° giugno è diventato l’evento di tutta Salice Terme» Le idee son tutte belle, un po’ come la teoria che spesso affascina ed è bella, poi c’è la triste realtà: le idee devono essere trasformate in fatti concreti e solo così acquistano in pieno la loro completezza. Mettere in pratica le idee non è cosa da tutti. Leo Santinoli ha avuto l’idea di organizzare a Salice Terme la festa d’inaugurazione della stagione estiva salicese. Ha avuto anche l’intuito di “piazzarla” in una data strategica, il primo Giugno che sarà sempre una data prefestiva, essendo il giorno prima della festa della Repubblica. L’idea è nata nell’ambito dei locali da lui e dalla sua famiglia gestiti e anno dopo anno è cresciuta finchè da quest’anno l’ha messa a disposizione della località di Salice Terme. Il Primo giugno a Salice se opportunamente sviluppato, capito e partecipato, può essere veramente la bandiera a scacchi per il via di ogni stagione estiva salicese che verrà Santinoli come è nata l’idea dell’evento Primo giugno? «è nata perché circa dieci anni fa era già qualche stagione che organizzavo eventi per i ragazzi delle superiori e dei primi anni di università. La data è sempre stata favorevole perché è alle porte dell’estate e prefestiva. La festa funzionava anche se non aveva ancora il nome di “Primo giugno”. Così io e Samuele Fioretta, amico e collaboraratore, abbiamo deciso di creare qualcosa di più strutturato, che coinvolgesse non solo i ragazzi delle superiori o dei primi anni di università». I primi anni l’evento si svolgeva nella discoteca “La Foresta”, è corretto? «è stato il primo locale che ci ha ospitato, nel 2008, location congeniale in quanto ci serviva un locale di grande metratura. Abbiamo creato un logo che si sposasse bene con la location e con i colori della Foresta che aveva questo storico logo bianco e verde. Nel 2009 non è stato più possibile farlo alla Foresta e così ci siamo spostati, non senza rischio, alla Buca». Il rischio qual era? «Era legato alla natura del posto, legato storicamente al ballo di coppia per adulti. Pensare di organizzare lì un evento per tutti, soprattutto per i giovani, poteva sembrare azzardato. Invece ha avuto successo, e abbiamo mantenuto anche il logo bianco e verde perché ben si sposa con il contesto del parco di Salice». Perché il 1° giugno? «Non tutti i prefestivi hanno lo stesso valore, questo di solito funziona più di altri, anche se a dire il vero quest’anno era in concomitanza con l’Ascensione di Voghera». Cosa è cambiato per questa edizione rispetto alle precedenti? «Diciamo che prima si cercava di concentrare le persone in una stessa location,
Leo Santinoli con un collaboratore mentre quest’anno ho voluto creare un evento che coinvolgesse tutto il paese. Ho contattato altri operatori di Salice e ho programmato la giornata in modo che potesse coinvolgere altri esercizi. In 13 hanno aderito e ognuno ha potuto fare la sua proposta, artistica o commerciale. Tutti però sotto lo stesso cappello, quello di un evento unico che potesse dare maggiore visibilità a più persone, articolato tra l’altro su tutti gli orari della giornata e non concentrato solo sulla sera». Appoggio da parte delle Istituzioni locali? «Ho lanciato l’idea in una situazione condivisa, ad una riunione comunale alla presenza del sindaco e ho dato disponibilità a fare in modo di estendere l’iniziativa ad altre attività. Ho trovato buona partecipazione e anche l’interesse a fare in modo che si propagasse. Con l’amministrazione ho trovato terreno fertile. Se però parliamo di altri tipi di aiuti, diciamo che quest’anno non ci sono state le tempistiche per poter concertare iniziative anche con l’Amministrazione, ma c’è la massima disponibilità per gli anni prossimi se si vorrà fare qualcosa di congiunto che riguardi anche altre zone di Salice». Che tipo di aiuti crede che le istituzioni dovrebbero dare agli imprenditori? «Credo che il loro compito sia innanzitutto quello di permetterci di fare il nostro lavoro snellendo le procedure burocratiche ingombranti e rendendosi disponibili a facilitare il nostro operato dal punto di vista
logistico. Tutto quello che arriva in più poi è ben accetto, in coerenza con le finanze dei Comuni che però mi pare non stiano benissimo. Non si può pretendere che investano sul divertimento quando magari mancano risorse per altre necessità più urgenti». Benefici? «Ha portato un messaggio di più ampio respiro. In questa località ci sono delle eccellenze che è bene far conoscere e che sia interesse di tutti gli esercizi proporle. Se a Salice Terme c’è qualcuno che fa un panino molto buono vale la pena di farlo conoscere. Bisogna ragionare in sinergia, non è detto che chi viene per il panino poi non possa magari scoprire che c’è anche una discreta discoteca o altri locali da visitare. Il senso del co-marketing è questo, non bisogna solo condividere le polemiche ma anche la passione per le eccellenze». I suoi locali e quelli della sua famiglia, dopo il nome hanno il suffisso Salice Terme. Come mai? «Oggi che la comunicazione avviene soprattutto attraverso i social ho pensato di associare i nomi delle mie attività al nome del paese. L’idea è di far capire che a Salice Terme ci sono più esercizi commerciali e, con la piccola presunzione di gestirne alcuni appetibili, ho pensato che per un potenziale cliente leggerne su internet i nomi potesse fargli capire che ci sono diverse offerte nel medesimo paese. Questo può essere un vantaggio non solo per me ma anche per le altre attività».
Il suo sforzo per migliorare il marketing territoriale è encomiabile. Intanto però Salice Terme, per la geolocalizzazione di facebook, è in Liguria… «Lo so. Da subito ci siamo trovati a confronto con questo bug. Ormai sono talmente tanti anni che è così che per noi è diventato motivo di ilarità. Anche se in realtà c’è poco da sorridere, perché dal punto di vista della comunicazione è qualcosa che crea confusione e non va bene. Credo serva un’azione comune per far cambiare questa dicitura errata». Atti vandalici nel parco… «Devo dire la verità. All’inizio non credevo nella soluzione di chiudere con lucchetti gli accessi al parco nella stagione invernale con la vigilanza che gira per i controlli. Invece poi mi sono ricreduto, visto che il numero degli atti vandalici è diminuito sensibilmente. Nella stagione estiva poi la riapertura dei locali funge da deterrente naturale. Certo bisogna accettare il fatto che dove ci sono molte persone, come accade quando i locali funzionano, ci siano in percentuale degli stupidi che possono fare danni. Noi come operatori riteniamo che il servizio di vigilanza sia importante, tant’è che lo finanziamo insieme al Comune, anche se ci tengo a specificare che i vandali non vengono necessariamente dalla discoteca, anzi. Il mio lavoro è preservare la nostra attività, e gli investimenti che faccio sulla sicurezza nei locali sono veramente alti». di Silvia Colombini
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BRALLO DI PREGOLA
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«Io ho vissuto gli anni ‘70 al Brallo, e ti posso dire che era una figata!» Cosa significa fare cultura popolare oggi? Cosa significa farla in Oltrepò? Se c’è una persona che lo sa, e che la fa, quella persona è Flavio Oreglio. Personaggio notissimo al grande pubblico televisivo, da moltissimi anni ha stretto un legame particolare con la comunità del Brallo, e più in generale con il territorio dell’Oltrepò Pavese. Amiamo, e lo facciamo spesso, chiacchierare con chi ha scelto di vivere o di interagire con questo posto – e non ci si trova per semplice discendenza dinastica. Oreglio, al pari dei suoi famigliari, fa parte di questa categoria. L’ultima tappa del suo percorso artistico è rappresentato da “Anima popolare’’, un progetto musicale che valorizza il patrimonio etnomusicale delle Quattro Province e, quindi, anche dell’Alta Valle Staffora. Fra i progetti all’orizzonte anche la creazione di una ‘’taverna’’ a Codevilla, che sarà il punto di riferimento per i musicisti e per gli appassionati che si riconoscono in questa cultura e in questo territorio. Lei è divenuto molto noto per le partecipazioni televisive e per i numerosi spettacoli portati in giro per l’Italia. Ma è musicista di formazione e la musica è sempre stata presente nelle sue scalette. Insomma: per lei non è una novità salire sul palcoscenico e cantare... «Io nasco come musicista. Per tanti anni ho fatto attività musicale, ovviamente a livello amatoriale. Ho fatto musica fin dagli anni ‘80, peraltro esordendo al Passo del Brallo. Il mio esordio è stato a Pregola, nel 1980, in compagnia di un amico, Moreno Tagliani che mi accompagnava alla chitarra. Quindi la parte musicale per me è quella nativa, quella originaria. Poi ho iniziato a cantare le canzoni nei cabaret, anche chiacchierando... a me è sempre piaciuto chiacchierare fra una canzone e l’altra. Difatti ho trovato maestri in Gaber, in Guccini, che già facevano questo. Dopo ho iniziato a trovare nell’ambiente dei cabaret il luogo ideale dove proporre la mia musica, quello che avevo in mente di fare.» Al Brallo i suoi primi passi, cosa ricorda? «Ho fatto una sperimentazione lunga un po’ di anni.... praticamente dal 1980 al 1984 ho sperimentato le mie cose al Brallo. Questo si è collegato, più avanti, al discorso del Circolo dei Poeti Catartici. Lì noi abbiamo sempre fatto musica. Tutto quello che è proseguito a Pregola è stato in nome di quella cosa che era successa in origine. Tra l’altro questa storia è stata raccontata in due libri, che sono usciti per Primula Editore, in Voghera. Sono due libri autobiografici: uno si intitola “Le origini” e va dal 1958 al 1985, e l’altro “L’avventura artistica”, dal 1985 al 2015, dove io racconto tutta la mia storia, sia biologica che artistica.»
Flavio Oreglio e il suo progetto musicale “Anima popolare’’ che valorizza il patrimonio etnomusicale delle Quattro Provincie
Ripercorriamoli... «Negli anni ‘70 ho dato vita ai primi gruppi. I “Cervello atomico”. Tra l’altro nei libri ci sono allegati anche i dischi. Facevamo un po’ di roba nostra, un po’ di prog... Questo fino al ‘76. Poi abbiamo iniziato ad accostarci al jazz, poi la fusion, e abbiamo creato il gruppo storico degli “Zip” con cui ho fatto anche delle incisioni. All’inizio facevo musica come tastierista, perché io suono il pianoforte.» Ma più di recente ho notato che porta in braccio anche una chitarra... «La chitarra l’ho imparata perché a un certo punto mi sono reso conto che era un problema portare il piano, in certe occasioni, sul palco...» Un pochino pesante, in effetti. «Ah ah. Certo, ma poi a parte la comodità di trasporto, mi sono reso conto che teatralmente è uno strumento un pochino più interessante. Perché il pianoforte, per quanto bello, è una barriera. O ti costringe a stare di traverso, o di spalle, o ti divide dal pubblico. La chitarra invece ti permette di stare in contatto con il pubblico.» Anche in questo, Gaber insegna... «A un certo punto decido che provo a propormi con le mie canzoni, da solo. Ed esordisco nel 1980 a Pregola, nell’ambito di una festa, per Ferragosto. In quegli anni, in cui facevo l’università, quindi iniziavo a sperimentare le cose che facevo io.» Arriviamo dopo questo percorso ad Anima Popolare. Piffero e fisarmonica. In cosa si sostanzia questo progetto? «Nel 2015 decido di festeggiare il trentennale della mia storia e per l’occasione apro, qua a Pregola, perché è il luogo dove ho fatto la mia prima apparizione, il Circolo dei Poeti Catartici. Decidiamo di fare ogni anno la festa del compleanno del circolo, che anche quest’anno ci sarà. Nei primi anni ho chiamato tutti quelli che già tanto tempo prima suonavano con me, quindi
Gioele (Giorgio Macellari, ndr) - e quindi lì nasce l’idea di fare i libri -, Antonello Tagliani, Oliviero Malaspina, Moreno... alcuni non ci sono più. Ci siamo ritrovati e abbiamo fatto questa festa, che poi, anno dopo anno, abbiamo allargato anche ad altre partecipazioni. Due anni fa sono arrivati Stefano Faravelli e Matteo Burrone. Che hanno visto queste cose che facevamo e hanno detto: “Ma noi non veniamo a suonare”? “Ma figuratevi, se avete voglia...” A me piacciono le manifestazioni dei “penfri”; la musica popolare. “Allora, venite a suonare e ci fate la festa”. Al che loro mi dicono: “Ma scusa, perché non facciamo qualcosa anche insieme”?» Da cosa nasce cosa... «Sono stati loro a proporre questa cosa. E io rispondo: “Va bene, ma cosa facciamo”? Loro dicono: “A noi piacciono le canzoni milanesi”. Gaber, Jannacci... Io le conosco un po’, alcune cose le conoscevano anche loro, e le abbiamo messe su al volo. Ma proprio al volo. La sera prima ci siamo trovati, era il 17 agosto del 2017 (alla faccia del 17 che porta sfiga). Il 18 avremmo dovuto suonare. Facciamo questa prova a casa mia. Arrivano con la fisarmonica e col piffero, io con la chitarra. Proviamo un po’ di pezzi, alcuni vengono bene, alcuni vengono male, e ne scegliamo alcuni. E ci mettiamo d’accordo: “Io faccio le mie cose, voi fate le vostre e poi facciamo insieme queste cose qui che stiamo provando”. É piaciuto tantissimo. Tra l’altro, nel pomeriggio del 18, quando eravamo lì a fare le prove, ad allestire, è arrivato un loro amico che suona la cornamusa e si è aggregato anche lui, al volo. È nato così!» Ma il bello della musica popolare è questo: è popolare perché nasce in mezzo al popolo, con dinamiche da popolo. L’importante è l’intesa. «Ma certo, è come il jazz. Le jam session. Qui è uguale.»
Ora è uscito anche un disco. Il primo... «Siamo già in sala d’incisione per preparare il secondo.» Ma il piffero, lo conosceva già da molto tempo o in qualche misura è stato una novità per lei? «No, conoscevo bene, lo vedevo alle feste popolari! Io vado al Brallo da 55 anni...» Le chiedo allora se vuole raccontarmi del suo rapporto con il territorio dell’Oltrepò Pavese. «Io sono stato nominato anche cittadino onorario del Passo del Brallo!» Ma come è arrivato qui? Aveva già dei parenti? È stato un caso? «La cosa è divertente. I miei genitori, negli anni ‘50 e ‘60, andavano nella bergamasca a fare le vacanze. Lo so dalle foto di famiglia, perché io sono del ‘58. Poi a un certo punto loro hanno deciso di cambiare. Il tema era: dove andiamo? Dove non andiamo? C’era un mio zio carissimo che conosceva due persone, le quali scendevano tutti gli anni a settembre dal Bralello giù in pianura a cacciare le talpe. A disinfestare i campi. Li chiamavano i ‘’tupé’’. A me ha sempre divertito l’idea di queste persone che scendevano dalle montagne in autunno per fare questo safari minimalista. E loro erano diventati amici di mio zio. Sapendo che stavamo cercando, han detto: Perché non venite da noi? Venite su, venite nell’Oltrepò. E noi ci siamo venuti. Da lì è nato tutto. Per i primi anni andavamo sempre in affitto nella casa di questi signori, poi siamo diventati amicissimi, loro ci hanno venduto un appezzamento di terreno, e i miei genitori hanno costruito una casa lì al Bralello.» I Tupé avrebbero potuto aprire un’agenzia turistica, dato il successo della loro operazione! «Eh sì! Avrebbero potuto farlo! Hanno perduto un’occasione d’oro! Sicuramente sono stati importanti. È andata così, i miei hanno costruito questa casa insieme a mio zio – quello che aveva fatto da ponte – poi mio zio ha fatto dei figli, e uno dei figli oggi è quello che gestisce il Castello Malaspina a Pregola dove poi è nato il mio Circolo. Noi siamo di casa qui. Mio fratello si è sposato qui e sta a Cella di Varzi.» Torniamo ad ‘’Anima popolare’’. Si tratta certamente di un progetto che valorizza l’Oltrepò, oltre alle eccezionali capacità interpretative sue e dei suoi sodali... «In questi mesi ho fatto diverse interviste, per radio, in tutta Italia. Questo disco sta piacendo molto e le posso garantire che sto parlando dell’Oltrepò Pavese e della musica delle Quattro Provincie in tutta Italia. Ovunque è accolta con grande consenso e con grande piacevolezza. Per cui stiamo facendo davvero un lavoro bellissimo.»
BRALLO DI PREGOLA Non so se ne era al corrente: qualche anno fa era sorta l’idea di candidare le colline dell’Oltrepò a patrimonio mondiale dell’umanità Unesco, seguendo l’esempio del Roero e a ruota della Franciacorta e del Chianti. E questo perché in Oltrepò, noi, siamo celebri per arrivare sempre in ritardo.... «E questo è un peccato, perché l’Oltrepò Pavese è un luogo bellissimo! Io lo amo a dismisura.» Onestamente, per quanto possiamo amarle - e io le amo molto, mi creda non saprei dire con certezza se le nostre colline abbiano qualcosa in più rispetto a queste altre realtà citate. Il patrimonio etnomusicale, invece, è peculiare, e in pochissimi si adoperano per valorizzarlo. Anche questo potrebbe peraltro essere tutelato dall’Unesco, dato che con la fine della generazione attuale rischia di morire. Oppure no? Ha l’impressione che il vostro ruolo di valorizzazione di questi strumenti al di là della cerchia oltrepadana sia un caso pressoché isolato – Stefano Valla a parte? «Io penso che si debbano fare diverse cose. Intanto vedo che ci sono diversi gruppi che si occupano di questi strumenti, anche di ragazzi giovani...»
Manifesto del Kursaal, mitico locale del Brallo di Pregola
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E sono encomiabili, ma restano un po’ a livello locale... «Sì beh, ma questo è un altro discorso. I musicisti devono fare il loro mestiere, poi c’è la politica, che a sua volta dovrebbe fare il suo mestiere in un certo modo. Il territorio dell’Oltrepò Pavese va assolutamente rivalutato e valorizzato, perché è un paradiso! È alle porte Milano, in Lombardia; basta arrivarci e uno dice: ma che posto! Certo, ma se nessuno lo sa che c’è... Voglio dire, non c’è molta alleanza tra le varie componenti del territorio; questi campanilismi, questi giochi di potere, sono sempre fastidiosi. Al di là del fatto che i giochi di potere ci sono dappertutto, per l’amor di Dio, non è mica quello che mi scandalizza... Quello che proprio io non riesco a comprendere è perché non si riesca a essere comunque, a prescindere, alleati nella promozione del territorio. La promozione del territorio vale sia che tu sia di destra, che di sinistra, di centro, non me ne frega niente. Si tratta di promuovere un territorio, di farlo conoscere, tutto qui, non c’è nulla di così difficile. Fare in modo che se ne parli, che diventi un luogo che incuriosisce. Allora si rivitalizzrebbe la valle, che sta morendo. Parlo dell’Alta Valle Staffora, perché magari la parte più bassa, con Voghera, Casteggio, è un altro mondo. È ovvio. Però la zona sopra, che è il vero paradiso, l’alta Valle Staffora, meriterebbe molto di più. Certo ti scontri con una mentalità assurda: è quella roba lì che bisogna riuscire a superare. E ovviamente valorizzare il territorio significa valorizzarne le bellezze naturalistiche, le bellezze storiche, le attività culturali e quindi soprattutto la musica delle Quattro Provincie. Che pare sia una delle cinque musiche autoctone italiane. Valorizzare anche i prodotti locali: ci sono degli artigiani, su, che sono straordinari, fanno delle cose bellissime, dallo zafferano, ai liquori, ai formaggi, ai salumi. È un territorio che meriterebbe di più.» La musica potrebbe avere un ruolo determinante in tutto questo... «E certo, la musica può averlo, perché la musica viaggia, la musica è sempre in azione. Però ci vorrebbe anche un’azione concreta, a parte questo. Bisognerebbe che le Pro Loco organizzassero in qualche modo un sistema, dei meccanismi per promuoversi.»
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La Provincia Pavese del 15 Agosto 1980
Ma ormai molte Pro Loco stanno arrancando, sempre più alle prese con una crisi di manovalanza, come minimo... «E allora bisogna farlo a livello superiore. A livello della Provincia di Pavia, a livello della Regione Lombardia, o comunque creando una struttura di riferimento organizzata con questa finalità esclusiva... tra l’altro ci sono i produttori di vini della parte bassa che potrebbero in qualche modo sostenere un progetto unitario. Il problema sai qual è? Il problema è che bisogna avere un’idea di promozione. Bisognerebbe trovare, costruire un ente di promozione dell’Oltrepò; magari ci sono anche, magari qualcuno ci prova, ma senza abbastanza capacità aggregativa. Ci vorrebbe un’unica struttura, finanziata bene, che abbia ben chiaro che cosa sta andando a promuovere.» Ho il forte dubbio che probabilmente buona parte della mancata promozione del territorio sia anche determinata dal fatto che certi residenti non vedano di buon grado l’invasione turistica. Forse preferiscono trovare parcheggio facile la domenica, forse preferiscono passeggiare per boschi in solitaria... forse non sono molto interessati a condividere. «Io ho vissuto gli anni ‘70 al Brallo, e ti posso dire che era una figata! Perché c’era un casino di gente su, bellissimo! E non era un problema per nessuno, anzi: ci ricordiamo tutti di quegli anni come di anni meravigliosi. Ora non dico di tornare a
quei livelli, però ci si potrebbe avvicinare molto, e questo sarebbe davvero molto bello per la valle. Quando vedi che chiudono il CAI a Cima Colletta, quando vedi l’albergo di Costantino... ti viene da dire: porco mondo, io mi ricordo che cos’era questo posto! C’era una vita, una vita, una gioiosità straordinaria... è incredibile tutto questo per me, una tristezza infinita. C’erano anche tutte le piste da sci che funzionavano! C’è una potenzialità incredibile ancora oggi, chiaro che ci vuole volontà e ci vogliono investimenti. Dal canto nostro noi, con il progetto ‘’Anima popolare’’, comunque parliamo sempre di questo territorio, di questo aspetto artistico del territorio, e questa cosa sarà viva per un bel po’ di tempo.» Come si declinerà, nel tempo, questa esperienza? «Faremo anche un’operazione su Codevilla, dove ci insediamo creando la ‘’taverna dei bluzer’’, che sarà attiva poi sul territorio con proposte di spettacoli. L’appuntamento è per il 26 settembre per l’inaugurazione. Sarà il nostro punto di riferimento, insieme al Circolo dei poeti catartici. La taverna sarà caratterizzata dalla presenza dei nostri materiali, con riferimenti alla musica delle quattro provincie, agli strumenti storici. Un’occasione per continuare a parlare di questo ambiente musicale straordinario.» di Pier Luigi Feltri
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OLTREPò PAVESE
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Come sarebbe un circuito “I Castelli dell’Oltrepò Pavese”? In epoca longobarda le terre a sud del Po erano sottoposte al controllo dell’abbazia di San Colombano di Bobbio, una vera e propria potenza politica e spirituale dell’epoca. Soltanto nel 1164 l’Imperatore Federico I concesse alla città di Pavia il diritto di nominare i consoli nelle zone che costituiscono l’attuale Provincia di Pavia e, in questa concessione, le zone a sud del Po vennero denominiate “Oltre Po”. Prima di allora l’Oltrepò Pavese amministrativamente non esisteva. Nel corso del XIII secolo l’Oltrepò fu scenario di sanguinose battaglie, soprattutto nel biennio 1215-16,
quando la quasi totalità dei castelli della Valversa venne distrutta dall’invasione piacentina. Nel 1359 il territorio cadde sotto la denominazione della famiglia Visconti di Milano, a cui seguirono gli Sforza. Nel 1499 venne compreso insieme a quello pavese nel Principato di Pavia. Tra il XI e il XVII secolo vennero edificate numerose rocche e fortificazioni, sia ad uso difensivo che adibite a dimora. Molte di queste strutture sono andate distrutte nel periodo delle battaglie medievali e mai più ricostruite, come ad esempio quelli situati in Valversa. Alcuni sono soprav-
vissuti fino al XIX secolo, per poi essere rovinati da restauri poco accurati o riqualificati come cascine ad uso agricolo. Altri, invece, sono giunti fino ai giorni nostri recuperati da privati o di proprietà della pubblica amministrazione. Purtroppo la maggior parte di castelli e delle dimore signorili situate sul nostro territorio non sono visitabili in quanto frazionate in varie proprietà private oppure in totale stato di abbandono. Questa è un’enorme pecca in quanto non si riesce a dare la giusta valorizzazione che il nostro territorio merita. Situazione differente ac-
cade invece nel vicino, e nemico (si fa per scherzare), territorio piacentino. Da circa vent’anni è stata fondata l’associazione dei “Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli”, in cui mecenati, proprietari privati e pubbliche amministrazioni garantiscono l’apertura al pubblico di una cinquantina di immobili storici. Attualmente in Oltrepò sono sopravvissuti all’incirca una quarantina di siti storici, divisi tra resti, rocche e dimore. Sarebbe bello ipotizzare, sulla falsa riga di quello che accade sul piacentino, un circuito “I Castelli dell’Oltrepò Pavese”. di Manuele Riccardi
Rocche e castelli pubblici o visitabili: Arena Po Montebello della Battaglia Montesegale Nazzano –Rivanazzano Oramala – Colli Verdi Romagnese Varzi Voghera Zavattarello
Volpara Zenevredo
Ruderi: Montuè – Canneto Pavese Pinerolo Po Rocca de’ Giorgi Santa Margherita Staffora Torrazza Coste Torre Bianchina – Borgo Priolo Torre del Monte – Borgo Priolo Torre di Bagnaria Rocche e castelli con atti- Torrone – Santa Maria della Versa vità accessorie: Trebbiano Nizza – Ponte Nizza Cigognola – Azienda Agricola Val di Nizza Luzzano – Rovescala – Azienda Agricola Mornico Losana – B&B ed Eventi Rocche o castelli non più Pietra de’ Giorgi – Sede Comunale esistenti o di cui rimangono Rovescala – Azienda Agricola alcune tracce: San Gaudenzio – Cervesina – Ristorante Donelasco – Santa Maria della Versa e B&B Lirio San Re – Barbianello – Azienda Agricola Montarco di Sannazzaro – Santa Maria Stefanago – Azienda Agricola della Versa Torrazzetta – Borgo Priolo – Agriturismo Rocca inferiore – Stradella Torre degli Alberi – Ruino – Azienda Ruino – Colli Verdi Agricola Montarco di Sannazzaro – Santa Maria Torre San Michele – San Damiano al Col- della Versa le – Azienda Agricola Torricella Verzate Staghiglione Rocche e castelli privati o San Giovanni – Godiasco non visitabili: Sant’Antonino – Torrazza Coste Castana Branduzzo – Castelletto di Branduzzo Golferenzo Montalto Pavese Montecalvo Versiggia Montù Beccaria Rocca Susella Torre di Pizzofreddo – Santa Maria della Versa Torre Griziotti – Santa Giuletta Torremenapace – Voghera Rocca Superiore - Stradella San Damiano al Colle San Ponzo Semola- Ponte Nizza Santa Giuletta Silvano Pietra Soriasco - Santa Maria della Versa
20 castelli visitabili 18 castelli privati 11 ruderi 10 circa località in cui sorgevano castelli, torri o fortalizi
MONTEBELLO DELLA BATTAGLIA
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Un giardino degli aromi per il Castello Beccaria “Il patrimonio artistico è l’espressione dell’anima di un popolo. Proteggerlo è un nostro privilegio, prima ancora che un dovere” è il motto di Davide Parisi, proprietario dal 2011 del Castello Beccaria di Montebello della Battaglia, residenza nobiliare dell’Oltrepò pavese, costruito verso la fine del Quattrocento a Montebello per volere di Galeazzo Maria Sforza Visconti, Duca di Milano. Ai tempi questo borgo fu feudo dei Beccaria, nobile e noto casato italiano che aveva una certa influenza nell’Oltrepò Pavese. Nei secoli successivi la proprietà appartenne a diverse famiglie nobili: i Bellocchio che vi dimorarono per circa tre secoli, i De Ghislanzoni per oltre cento anni e, infine, i Premoli. Il Castello fu via via abbandonato verso gli anni ’70 del secolo scorso, fino a quando l’attuale proprietario, innamorato dell’Oltrepò Pavese, decise di acquistarlo e di prendersene cura. Parisi, come vi siete organizzati per il recupero di questo monumento? «Una volta acquistato il castello, abbiamo iniziato a pulirlo passo a passo, cercando di riportarlo ad una condizione migliore rispetto a come lo abbiamo trovato. Siamo partiti dalle cantine, dove tra l’altro è presente una ghiacciaia, fino ad arrivare ai solai per alleggerirli dal peso delle macerie. Dal 2019 abbiamo iniziato l’operazione di messa in sicurezza per evitare che vada persa la struttura del Castello, le catene principali sono già state messe in opera. Il nostro obiettivo è quello di restaurarlo e di creare qualcosa di attrattivo per l’Oltrepò, ma per ora possiamo contare sulle nostre uniche forze e di persone appassionate alla nostra causa come l’agronomo Filippo Pozzi che è un punto di riferimento prezioso per il nostro giardino. Ricordo che la torre del Castello è stata riconosciuto come
Scorcio del giardino aromatico
Monumento Nazionale. Abbiamo aperto una pagina Facebook: Castello Beccaria di Montebello della Battaglia, e posso constare con piacere che i nostri lavori di restauro vengono apprezzati dalle persone che ci seguono». Pozzi, come è nata questa collaborazione? «Sono venuto a conoscenza di questo luo-
Castello Beccaria di Montebello della Battaglia
go grazie ad amici che partecipavano ad un evento del Castello. In realtà conoscevo già questo edificio impossibile da non vedere per chi abita nei dintorni, ma non c’era possibilità di entrare perché era abbandonato. Da subito questo posto mi ha trasmesso qualcosa, un po’ perché gli edifici storici esercitano un certo potere attrattivo su di me e un po’ perché anche io sono un sognatore come Davide e sua moglie Deborah e credo nella loro causa. Li aiuto come meglio posso in giardino fornendo consulenze, ideando piccoli progetti ed aiutandoli a realizzarli. Oltre al giardino degli aromi, l’intervento più rilevante è forse la messa a dimora di alcune specie di agrumi in vaso, sotto il colonnato e lungo la terrazza dalla quale si gode un panorama unico sulla Pianura Padana. Mi auguro che molti beni sparsi per il nostro territorio trovino persone come loro, disposte a grandi sacrifici per riportarli alla luce e per dargli un destino diverso dall’abbandono». Quali sono le caratteristiche del nuovo angolo degli aromi all’ingresso del castello? «Questo piccolo progetto è nato per volontà del proprietario con lo scopo di voler riqualificare l’ingresso al cortile del castel-
Davide Parisi
lo in occasione del 160° anniversario della storica Battaglia di Montebello. Infatti il 20 maggio di ogni anno (o la domenica precedente), in occasione della commemorazione della Battaglia (1859), una rappresentanza del Reggimento dei “Lancieri di Montebello” partecipa con fanti e fanfara alla cerimonia per commemorare i caduti austriaci e franco-piemontesi. Fino al 1965 i Lancieri pranzavano all’interno del Castello Beccaria. La zona dell’ingresso era
priva di caratteristiche attrattive, un vero peccato perché ben visibile dal cancello di Via Morelli di Popolo, ovvero la via principale che attraversa il centro storico di Montebello. Con il tentativo di voler interpretare l’identità storica del luogo, ho deciso di basarmi sullo stemma della nobile famiglia dei Beccaria in cui sono rappresentati tredici piccoli colli. Questi elementi indicano le signorie della casata poste nelle colline dell’Oltrepò Pavese. Ho voluto reinterpretare l’emblema scegliendo dodici piante aromatiche. Insieme all’alloro che era già presente, ho utilizzato nepeta, tanaceto, origano, menta cervina, ruta, santoreggia, maggiorana, timo limone, timo aureo, timo compatto, melissa e lippia, disponendole secondo lo schema dei colli dello stemma dei Beccaria: 3-4-3-2-1. Le piante officinali e aromatiche rivestivano un ruolo fondamentale nei giardini medievali perché venivano coltivate principalmente per scopi medicamentosi. In genere questi spazi aperti si trovavano in monasteri, conventi e castelli; ed erano spesso caratterizzati dalla tipica forma dell’hortus conclusus, un giardino geometrico di piccole dimensioni circondato da alte mura. Cercando di rispettare il più possibile il genius loci (lo spirito del luogo), ho scelto materiali “poveri” come i mattoni in terracotta che nel castello abbondano e della ghiaia. La scelta delle piante aromatiche ed il disegno d’insieme sono volutamente semplici per essere reversibili in caso di prosecuzione dei restauri e per cercare armonia con il delicato contesto storico, come si dice in “architettese”: less is more (Il meno è il più)». Parisi, oltre al giardino, come intendete far rivivere questa interessantissima dimora? «Per far tornare a vivere questo Castello è necessario che esso stesso viva, sia frequentato, utilizzato, vissuto. Nel progetto, le nuove destinazioni degli ambienti saranno mirate a essere spazi museali, al piano terra si ritiene potrebbe trovare posto il museo di Montebello della Battaglia in cui saranno raccolti materiali archeologici e iconografici del paese, nelle vecchie cantine dovrebbe prendere vita il Museo del vino dell’Oltrepò, che racconterà l’importanza della tradizione vinicola di questo territorio dalla metà dell’ottocento con la nascita del metodo classico italiano. Ci auguriamo di avere molti visitatori per portare avanti insieme questo fantastico sogno facilmente condivisibile con tutte le persone che credono nell’Oltrepò come un tesoro nascosto, e sentono il bisogno di lasciare qualcosa d’importante alle nuove generazioni recuperando un pezzo unico di storia». di Gabriella Draghi
CASTEGGIO
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«La nostra vittoria? Per me scontata La Lega ha fatto due grandi errori» L’effetto Callegari a Casteggio si è fatto sentire forte e chiaro, e ha di fatto annullato l’effetto-Lega che, anche in molti comuni dell’Oltrepò, ha consentito ai candidati appoggiati da quello schieramento di incrementare il proprio bacino di voti. Callegari, del resto, è stato un sindaco molto apprezzato dai suoi concittadini durante i numerosi anni di mandato. E la candidatura di Lorenzo Vigo, già vicesindaco dell’amministrazione uscente, era una scelta naturale. Ciò nonostante, ha destato sorpresa il fatto che la lista vincitrice abbia sfondato il 50% delle preferenze. Un risultato schiacciante, che però deve essere di sprone anche alle opposizioni. E Callegari, ora, cosa farà? Dopo molti anni ha deciso di ritirarsi a vita privata. Lo abbiamo incontrato per un’analisi del voto e per fare un bilancio finale dei suoi anni da amministratore. Le recenti elezioni amministrative hanno manifestato un desiderio di continuità da parte dei cittadini di Casteggio. Il risultato è stato netto: oltre il 50% di voti a favore, nonostante la presenza di quattro liste. Come commenta questo risultato? «Molto spesso il tempo si annuvola e minaccia pioggia, poi in realtà arrivano due gocce che bagnano solo la polvere... La gente, al di là di tutto, ancora si vuole bene e sa che certe strade non vanno nemmeno intraprese. Mi sarei stupito del contrario, ovvero che avessero qualche chance le opposizioni. Mi sembrava davvero un’elezione non difficile. Negli anni passati abbiamo avuto momenti aspri. Quest’anno gli altri candidati che si proponevano, pur con tutto il rispetto per le persone, non erano molti credibili per la carica in gioco. Uno per cercare di affermarsi ha cercato l’appoggio di tutti i partiti dell’arco costituzionale, l’altro – Cinque Stelle – non era conosciuto. In alcuni casi sarebbe stato meglio lasciare alcuni candidati dov’erano; persone degnissime, che però probabilmente non avrebbero saputo reggere l’amministrazione. Sono rimasto stupito e un po’ dispiaciuto per i risultati di La Cognata, perché immaginavo che avesse preso più voti. Pensavo che lei potesse arrivare seconda, o per lo meno che se la potesse giocare con l’altro candidato.» Il primo pensiero di Vigo, nel post-voto, è stato dedicato a lei. Queste le sue parole: “Il mio primo pensiero va a Lorenzo Callegari, che con decisione ed esperienza ha guidato il gruppo per anni. Come ho già detto in passato, Lorenzo è stato per me una guida e da 10 anni mi sento parte di una famiglia politica e amministrativa anche e soprattutto grazie a lui. Avendolo conosciuto soprattutto come uomo, oltreché come Sindaco, non posso che riservare a lui un affetto speciale,
Lorenzo Callegari
quello che si prova per le persone che si stimano profondamente’’. Si sente di rispondere a queste parole? «Lo ringrazio, io ho sempre cercate di essere equanime e di comportarmi al meglio. Gli anni mi hanno un po’ modificato il carattere, una volta ero più irruento, più impulsivo, più aggressivo; adesso ho cercato di trasmettere la necessità di essere una squadra. Amministrare non è così semplice, anche in piccole realtà è abbastanza impegnativo. Ci vuole tanto consenso e tanta pazienza. Non dimentichiamo che per due anni e mezzo ho avuto la Guardia di Finanza in comune, inviata dai soliti noti che per fortuna la storia ha cancellato definitivamente dalle realtà comunali e oltre, tre personaggi che hanno semplicemente sempre dato fastidio in Consiglio Comunale con improperi, ingiurie, insulti. Comunque non avevamo nulla da nascondere, e i risultati sono lì da vedere.» La Lega ha fatto incetta di voti quasi ovunque in Oltrepò, e spesso, secondo molti, ha fatto da traino anche a quei candidati alla carica di sindaco, pur non espressamente leghisti, che comunque godevano di un qualche tipo di appoggio da parte del Carroccio o di suoi esponenti. Qui non è successo, nonostante il 48% incassato dalla Lega alle europee e nonostante il candidato sindaco appoggiato dal partito fosse a sua volta membro dell’amministrazione uscente. Perché? «Tenendo presente che è alleata di Forza Italia, anche se io personalmente non condivido molto alcuni pensieri della Lega, a Casteggio loro hanno fatto due grandi errori. La segreteria ha imperniato tutto contro Callegari, e hanno assoldato persone, una in particolare, che erano abbastanza discutibili... Già con quella scelta i
leghisti veri e propri non li avrebbero mai votati, come poi è successo. Il risultato è che la gente sceglie la strada vecchia molto spesso, perché sa benissimo dove va a parare, contro gli avventurieri dell’ultimo momento. Il risultato è che il segretario cittadino della Lega il giorno dopo le elezioni si è dimesso, in contrapposizione alle scelte fatte da qualcuno.» Che Casteggio lascia il sindaco Callegari? «Un Casteggio ahimè, purtroppo, sofferente. Con tanti sacrifici siamo riusciti a mantenere alcune realtà, ma altre sono andate perse. È difficile creare qualche cosa che vada contro la tendenza nazionale. Negli anni si sono chiusi stabilimenti, attività artigianali e commerciali. Abbiamo tentato tutto il possibile per farvi fronte, ma non ci siamo sempre riusciti. Bisognerebbe avere più fondi, ma se lo stato invece di darmi dei contributi me ne porta via, se abbiamo un saldo passivo di oltre 200mila euro, non ci viene data una mano, anzi.» Sono tanti, per il bilancio di una città come Casteggio. «Tanti in funzione degli investimenti. Noi stiamo giocando la carta della Legge regionale ‘’Attract’’ per cercare di attrarre nuovi investitori a Casteggio, nuove realtà produttive; è partito alcuni mesi fa il programma per cercare di attrarre queste persone, e speriamo che dia buoni frutti. Certo se la volontà è quella di costringere i comuni ad aumentare le tasse ai cittadini... dico solo che i cittadini sono già abbastanza malmessi. Io mi vanto, nonostante tutte le cose che ho fatto, in tutti questi anni di non aver mai toccato il portafoglio della gente.» Un sogno rimasto nel cassetto, a livello di opere pubbliche? «Già nel 2004 avevamo ottenuto avuto i fondi per mettere a posto Palazzo Battanoli, ma l’allora sindaco Manfra aveva deciso di rinunciare a quella sovvenzione, per cui il problema rimane ancora lì. Adesso, proprio nell’ultimo mese e mezzo prima delle elezioni, si è mosso qualcosa: la Soprintendenza ha dato il placet al ripristino del palazzo, e speriamo che questo vada a buon fine. Se invece di investire su delle chimere come è successo in tutti questi anni in Oltrepò, leggi: Enoteca Regionale, leggi: Riccagioia, leggi: auditorium di Fortunago... se questi soldi fossero spesi meglio forse avremmo tutti qualcosa di più redditizio. È vero che per buona parte si tratta di finanziamenti di Fondazione Cariplo, ma anche loro dovrebbero capire quali sono le necessità maggiori del territorio. L’enoteca, per esempio, ha richiesto una spesa enorme e non ha prodotto nulla.»
«Gli avversari? Rispetto le persone, ma erano candidati poco credibili» E per quanto riguarda la Certosa Cantù? Il discorso è collegato a quello di Palazzo Battanoli... «Tutto sommato siamo riusciti a farla reggere, con un onere importante per il comune di Casteggio. Una volta messo a posto Palazzo Battanoli sarebbe importante fare un giro di Monopoli e spostare varie realtà. Il Comune in Palazzo Battanoli, che sarebbe certamente la collocazione più vocata; dove c’è attualmente il municipio mettere biblioteca e museo, e poi cercare di affittare in toto Certosa Cantù, per riuscire ad abbattere i costi e sviluppare una potenzialità che finora è solo parzialmente espressa. Questa però è una mia opinione, la nuova amministrazione vedrà bene come e cosa fare e non fare. Anche se di queste cose se ne era già parlato negli anni passati. Resta il fatto che non ci sono più interlocutori politici, non ci sono più i partiti di una volta. Ai tempi del tanto vituperato Giancarlo Abelli avevamo a chi rivolgerci per parlare delle cose buone che si potevano fare. Anche ai tempi non è detto che venissero soddisfatte tutte le richieste, però c’era modo di parlarne.» Pensa che continuerà in qualche modo ad avere un ruolo pubblico? Nuovi progetti all’orizzonte? «No. Direi che ho buttato via il cinquanta per cento della mia vita a occuparmi della cosa pubblica... alla fine uno guarda il suo tornaconto e vede che non ha fatto per niente il proprio interesse personale. Chi pensa di amministrare e avere un tornaconto personale non ha capito niente. Vero è che io sono stato gratificato in questi 34 anni, perché i miei cittadini mi hanno sempre dato soddisfazioni.» Era così anche quando ha iniziato? Si aspettava un’attività con più oneri che onori? «Avevamo altri ideali. A tutti i livelli, a sinistra, a destra, al centro. Oggi non c’è più un’identità o nemmeno la volontà di avere un’identità. Un po’ di amarezza ti resta. Soltanto pensare che esistano certi candidati è veramente offensivo per la dignità di tanti concittadini. Questa è la vexata questio: se tutti i cittadini ed elettori abbiano la stessa dignità o no.» di Pier Luigi Feltri
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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò
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Mestieri ambulanti: Il Gelataio e il Cantastorie “Mulìta, cädrighè o cädärghè’, mägnän, umbrälè, cävägnè, spàsäcämê, märciàio, sträsè, ligéra, gelatè, frè, cantastòri”, sono attività ambulanti di un passato di cui ormai si è perso traccia: arrotino, impagliatore di sedie, stagnino, ombrellaio, riparatore di ceste, spazzacamino, merciaio, straccivendolo, barbone, gelataio, fabbro, cantastorie, sia i nomi che le attività di questi ambulanti si perdono nella poesia dei ricordi di chi ha avuto la fortuna di vivere quei magici e lontani anni, ma non trovano concreto rilievo nell’economia moderna poco disposta a riparare alcunché e più portata alla consunzione e sostituzione dei prodotti che la tecnologia moderna mette a disposizione. Il Gelataio Ambulante - “arìva al gelatê”sta arrivando il gelataio -, era il grido dei i bambini e dei ragazzi che scorgevano il bianco triciclo a pedali che portava in giro per l’Oltrepò le squisitezze gelate sogno di tutti e di tutte le età. Il gelato era ed è una delle delizie che unisce grandi e piccini, ricchi e poveri, è il fantastico refrigerio, un momento di tenera debolezza a cui è bello abbandonarsi senza porsi problemi di dieta o di convenienza, è il dorato mondo dei sogni dei più piccoli ma, nel contempo, il sogno refrigerante di chi piccolo non è più. Ancora oggi è tutto questo, immaginiamo cosa poteva essere e rappresentare anni orsono quando, comodità, golosità e superfluo erano termini sconosciuti alla stragrande maggioranza dei ragazzi. Il triciclo era di fatto, una grande bicicletta a tre ruote, due anteriori ed una posteriore; le due anteriori reggevano un grande cubo bianco su cui poggiava uno strano aggeggio metallico e una lampada ad olio o carburo, la posteriore era sormontata dalla sella e dal manubrio munito di un grande campanello che annunciava l’arrivo della fresca carezza che animava i sogni di molti. La valle Ardivestra, così come le vallate vicine, era di tanto in tanto percorsa da alcuni gelatai, che mobilitavano frotte di pargoli golosi. Appena avvistata la magica carretta, correvano a procurarsi pochi soldi per l’acquisto agognato e spesso i primi inevitabili rifiuti, erano vinti da preghiere accorate, promesse di ogni tipo e implorazioni al limite del pianto; finalmente, stretta nel palmo della mano una somma variante tra le dieci e le trenta lirette, si iniziava una corsa a perdifiato verso il gelataio che spesso calmava l’esagitato cliente promettendo di soddisfare la gola di tutti. La richiesta era “un gelàto da dés o un gelàto da trènta”, un gelato da dieci lire o un gelato da trenta lire, senza specificare i gusti che invariabilmente erano, panna o crema, cioccolato e limone. Coni di dimensioni diverse o scodellini con cucchiaino di legno: ed era uno spettacolo vedere i
ragazzi concentrati nella degustazione dei coni, ammirati con passione prima d’essere delicatamente carezzati con la lingua con tocchi leggeri ed intensi, rimirati con gli occhi, passati da una mano all’altra per intercettare gocce malandrine che tentavano di scendere dal cono, portati ad intervalli regolari alla bocca che aiutava il movimento porgendosi leggermente in avanti. Era un momento magico rotto solo dalla scomparsa dell’originaria montagnola di gelato vinta da leccatine leggere ma continue. Più si riduceva la quantità e più diminuiva l’intensità dell’attacco demolitore, rimaneva infine il cono intriso di poco gelato che veniva scientemente consumato ed infine il monello, dopo una veloce pulizia delle mani nei pantaloncini corti, riprendeva il gioco lasciato poco prima quasi a rimuovere la presenza del gelataio che ormai provocava solo rimpianto e tentazioni impossibili. Per giorni negli occhi e nelle menti sarebbero rimasti i gesti lenti e misurati dal gelatè: toglieva lo strano aggeggio metallico che sormontava il pianale del triciclo, estraeva un cono vuoto e con gesti sapienti lo caricava di gelato freschissimo quindi con movimenti lenti e studiati, lo porgeva al ragazzo con la delicatezza dovuta alle cose rare e preziose. Per mantenere fresco il gelato usavano una strana sostanza detta da noi ragazzi ‘carbùro’ di cui ignoravamo la composizione e le modalità di utilizzo. Uno solo dei gelatai, un certo Valdata da Casteggio, ci forniva a volte un poco di
questo solido molto friabile che, i pochi ricordi di chimica, mi portano a ritenere fosse sodio o un suo composto in quanto a contatto con l’acqua esplodeva. Ben sapevamo sfruttare tale proprietà rischiando mani o il volto ma divertendoci come matti: poggiato sul terreno un pezzetto di carburo lo coprivamo con uno scatolino sul fondo del quale avevamo praticato un forellino con un chiodo, sputavamo su tale foro che pur trattenendo la saliva, lasciava scendere quel tanto di liquido che innescava il carburo che esplodeva scaraventando lo scatolo a diversi metri d’altezza. Ripetevamo l’esperimento fino all’esaurimento del materiale esplosivo ripromettendoci di aumentarne in futuro la quantità da richiedere. Le visite di questi portatori sani di buonumore erano purtroppo molto rade nel corso dell’estate: il giorno della festa patronale e due o tre volte al mese se il tempo lo permetteva. A Pavia un certo signor Bianchi ha continuato l’attività sino agli inizi degli anni ottanta soffermandosi nelle piazzette di Pavia lontano dai bar e dai centri commerciali, girando con il magico triciclo ormai motorizzato ma conservando inalterati prodotti, qualità e cortesia per affascinare grandi e piccini ed attirarli nelle vicinanze di quello che Lui stesso definiva “al mè negòsi” il mio esercizio commerciale. Il Cantastorie – spesso le sagre, le feste patronali o, semplicemente, le giornate di mercato delle cittadine o dei paesi agricoli, erano allietate dalla presenza dei canta-
Giuliano Cereghini
storie. Portavano allegria e le loro canzoni a grandi e piccini, curiosi di assistere allo spettacolo in piazza di questi grandi artisti di strada che profittavano dell’interesse di gente priva di radio o di televisione, per imbonirli con canzoni, barzellette, chiacchiere spesso surreali ma tutte volte ad attirare l’attenzione. Ottenuta la giusta considerazione, il tempo diveniva propizio per dare inizio al treppo, così i cantastorie definivano un momento del loro intrattenimento. Riuscire ad atti-
“Arìva al gelatê”: era il grido dei bambini alla vista del bianco triciclo a pedali
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rare l’attenzione massima, meglio a commuovere chi assisteva alle loro esibizioni, per meglio attuare la fase finale del treppo: vendere loro medagliette, scatolette, testi di canzoni strappalacrime con le fotografie dei cantanti melodici famosi, e quant’altro servisse a racimolare le cosiddette offerte volontarie che poi offerte non erano e meno ancora volontarie. Gli imbonitori riuscivano a convincere gli astanti che il giusto prezzo fosse quello che essi stessi suggerivano con sconclusionati giri di parole che, però, raggiungevano l’effetto sperato. Un tempo i cantastorie, primi veri giornalisti sul campo e sulla notizia, offrivano il solo foglio volante sul quale era stampato il testo di una canzone che spesso celebrava un fatto effettivamente accaduto o… quasi. Altre volte riportava canzoni famose come Vola Colomba, Miniera o Vecchio Scarpone. Sempre storie tristi, finali lugubri e spesso drammatici: bimbi malati, madri indegne, matrigne cattive, fame, malattie e povertà, erano i temi guida e argomenti che più colpivano la gente semplice delle piazze. Ci pensavano poi gli abili commedianti ad interrompere il patos abilmente creato per sfruttare la commozione imperante. Ultimata la vendita o la raccolta delle famose offerte volontarie, i navigati commedianti cambiavano completamente atmosfera: barzellette, presentazione spassosissima dei vari componenti: “il nostro cantante è bravissimo” diceva l’imbonitore, “pensate che ha persino lavorato alla Scala di Milano” e allo stupore del pub-
gnore là in fondo”. Non era vero ma tutti si convincevano che era la giusta offerta. A volte, pronunciava frasi senza senso o di poco costrutto, quale: “ io non mi sento un vagabondo del mio creato!” ma era il tono di voce, il modo di porgere a rapire l’attenzione della gente e ad invogliarla a scucire qualche palanca. Nel 1975 Angelo e Vincenzina Cavallini, marito e moglie, vennero eletti “trovatori d’Italia” ed invitati in radio e televisione da personaggi del calibro di Mario Soldati e Cesare Zavattini. Nel 1982 decisero che era arrivato il momento di chiudere per sempre con la loro arte di strada: non andarono però in pensione perché, come loro stessi dicevano: “la piazza è qualcosa che ti entra nel sangue, dentro il cuore e, una volta che hai cominciato, è difficile starne lontano”. Per questo motivo i coniugi di Tromello ritornarono in piazza a vendere lucido da scarpe! Successivamente premiati con un Ambrogino d’oro ed un encomio postumo alla memoria del Presidente della Repubblica, per il prezioso contributo dato al mondo della coltura popolare. Il mondo dopo la scomparsa di Angelo Cavallini e di tanti suoi colleghi cantastorie, è un pochino più povero. Fortunatamente però, quando muore un cantastorie non muoiono con Lui la sua immagine e la sua arte: il suo ricordo vivrà per sempre nel cuore degli umili che hanno voluto bene a Lui ed a tutti gli artisti di strada.
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Angelo e Vincenzina Cavallini in un manifesto dell’epoca
blico riprendeva “ha lavorato alla Scala di Milano come… muratore!”. Angelo e Vincenzina Cavallini di Tromello, i più famosi tra i pavesi, iniziarono da soli quindi, nella primavera del 1964, si unirono al grande Adriano Callegari vogherese di nascita ma pavese d’adozione e ad Antonio Ferrari di Mornico Losana, detto Tugnôn. Il quartetto cambiò radicalmente il modo di fare spettacolo, basando l’esibizione sulla chiacchiera e sull’imbonimento. L’artista Adriano Callegari era la massima attrazione e la sua massima performance era la presentazione dell’imma-
gine di Papa Giovanni, il Papa Buono: il mitico cofanetto fosforescente e luminoso in sette colori. Il buon sassofonista, deposto lo strumento musicale, letteralmente incantava gli astanti pur con un italiano improbabile e liti continue con congiuntivi ed avverbi, concludeva il treppo con la vendita, o meglio, l’offerta del famoso ciondolo - benedetto a Lourdes - ! oppure con la scatola con il famoso cotone - bagnato nell’acqua di Lourdes - o ancora con il cofanetto ricordato di Papa Giovanni, - luminoso in sette colori -. “Vedo la Signora che offre mille lire, anche il Si-
di Giuliano Cereghini
BRESSANA BOTTARONE
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Il neo sindaco: «Ci speravamo, ci credevamo, anche se avevamo contro tutto e tutti» Le elezioni comunali di Bressana Bottarone sono state vinte dalla lista “Ascoltare Bressana’’, il cui candidato sindaco, Giorgio Fasani, è tornato così ad occupare la poltrona più prestigiosa del Consiglio Comunale. Il risultato ha sorpreso non poche persone: si può parlare di risultato inaspettato; probabilmente non per i vincitori, che a onor del vero hanno condotto una campagna elettorale poco strillata ma, evidentemente, efficace. Le operazioni elettorali erano partite con largo anticipo. Da quando, cioè, i due gruppi di opposizione consiliare della precedente legislatura (che alle elezioni del 2014 avevano proposto come candidati sindaco Filippo Droschi e Felice Ciardiello) si erano alleati. I voti da loro ricevuti alla precedente tornata, messi insieme, superavano quelli che avevano permesso a Maria Teresa Torretta di essere eletta sindaca. Il 55% contro il 45%. Ma la politica non è questione di matematica, e in cinque anni molte cose possono cambiare. Anzi, addirittura in pochi mesi. Perché la lista vincitrice si è concretizzata pienamente, invero, abbastanza a ridosso della scadenza elettorale. E nonostante ciò, ha battuto nettamente altri due gruppi forti che erano sedimentati da diverso tempo negli equilibri del paese. È evidente, da una parte, l’esigenza di un cambio di passo, resa evidente dal fatto che l’amministrazione uscente si è fermata al 24% dei consensi. Non si può ignorare, d’altro canto, che l’affluenza si è fermata al 67,91%. Il che significa che quasi mille elettori non si sono recati a votare. Le due liste più votate, messe insieme, non raggiungono il 50% degli aventi diritto al voto. Si tratta certo di un discorso non limitato alla sola Bressana (il dato medio dell’affluenza in provincia di Pavia è del 68,7%), pur tuttavia gli amministratori comunali dovranno interrogarsi anche su come coinvolgere maggiormente la cittadinanza; su come riconquistare la loro fiducia. Perché i dati macroscopici derivano dalla sommatoria fra i valori locali, e ogni amministratore, anche quello del più piccolo fra i comuni, deve – o dovrebbe – fare la propria parte per assolvere gli onori e gli oneri connessi alla propria investitura. E per invertire la tendenza che vede la disaffezione verso la politica sempre più imperante, soprattutto fra i giovani. Per questo auguriamo buon lavoro a tutti gli eletti, e in particolare a chi si occuperà dell’amministrazione attiva. Il neo sindaco Fasani ha già nominato la Giunta. È composta da: Valentino Milanesi, vice-sindaco con delega a Bilancio, Finanze e Programmazione economica; Gianfranco Ursino, assessore con delega a Salvaguardia Ambiente, Lavori pubblici, Territorio e Personale; Nadia Chiodi, con
delega a Servizi sociali, Politiche giovanili e Sport.Nadia Chiodi, con delega a Cultura, Istruzione e Tempo libero. I Consiglieri di maggioranza collaboreranno strettamente con gli assessori nel loro lavoro. Michele Debattista affiancherà l’assessore Ursino nelle materie Mobilità, Sicurezza Filippo Droschi Giorgio Fasani e Viabilità; Alessandro Montagna affiancherà sempre Ursino nella Salvadue andranno a formare il gruppo “Bresguardia ambientale; Mariangela Sangineto sana nuova”. Raggiunta telefonicamente, sarà il braccio destro di Alessia Zaia con Torretta ha risposto così alla nostra richieriguardo ai Servizi Sociali; Filippo Alista di commentare la campagna elettoracicco aiuterà il vice-sindaco Milanesi ad le: «Devo dire che, al di là del risultato, approntare il Bilancio; mentre Alessandro è stata una campagna elettorale pessima, Tacconi collaborerà con l’assessore Zaia con attacchi personali. Agirò anche per vie per la materia Sport e l’assessore Chiodi legali su alcuni aspetti». Ricordiamo, per con riferimento al Tempo libero. esempio, che erano comparsi alcuni maniGiorgio Fasani è comprensibilmente molto festi funebri indirizzati all’amministraziosoddisfatto dal risultato conseguito. Ragne uscente; gesto condannato da più parti. giunto telefonicamente, ha dichiarato: «Ci Si riferisce a quello? «Quello è già stato speravamo, ci credevamo, anche se avedenunciato. Ma successivamente sono stavamo contro tutto e tutti. Siamo soltanto te fatte illazioni che non ho apprezzato». gente che si è messa a disposizione della Come commenta, invece, il risultato? «La gente: con il desiderio di ascoltarla, con “sconfitta’’, fra virgolette, pesa; perché umiltà. E questo è stato apprezzato. Questo avevamo quasi dieci milioni di euro di inè per noi l’orgoglio maggiore: siamo stati terventi pronti. Per carità: se saranno presi scelti dai nostri concittadini come persone, in considerazione per il paese non c’è nese non perché avessimo dietro partiti o mosun problema se a farlo sarà qualcun altro, vimenti. spero anzi non vengano buttati via». In fin Non abbiamo nessuna remora verso il dei conti, un po’ tutte le amministrazioni passato: vogliamo partire da oggi in avanvivono un po’ di rendita, almeno per il priti ringraziando chi c’è stato fino ad ora, mo anno... «In verità noi no. gli amministratori precedenti, per essersi Quando siamo entrati in carica abbiamo messi a disposizione per Bressana. Senza dovuto iniziare a lavorare subito perché nessun astio per il passato. Da adesso vornon c’era niente sotto questo punto di viremmo essere aperti a tutto e a tutti nelsta, mentre ora lasciamo dieci milioni di la massima disponibilità, io e tutta la mia progetti. Non è poca roba. Noi abbiamo squadra». Parole molto concilianti, quelle comunque detto sempre la verità anche in di Fasani. Che ha continuato così il suo racampagna elettorale, non nascondendoci gionamento: «Le condizioni, i presupposti dietro nessun ‘’vedremo’’ o dietro proper fare bene, ci sono. Il gruppo è compatmesse di cose impossibili da realizzare. Ci to, omogeneo. Anche quelli che non sono siamo presi le nostre responsabilità per le eletti verranno coinvolti. Quindi saremo cose fatte e per quelle che avremmo voluto in tredici, dodici più il sindaco, a portare fare. La gente ha preferito altro, ora stareavanti il progetto che ci siamo prefissati e mo a vedere». La scorsa legislatura era iniche abbiamo presentato agli elettori. Indiziata con due opposizioni che poi si erano pendentemente dai ruoli, tutti saranno imfuse. Ora in minoranza tornano ad esserci portanti. Non sarà facile, ma spero possa due gruppi che si sono molto battagliati, essere così fino alla fine. I progetti e gli ancora di recente. Risulta difficile immaobiettivi dovremo condividerli tutti insieginare una qualche tipo di collaborazione. me, mai una persona sola.» Pensa, tuttavia, che questo aiuterà il pluraMeno soddisfatta, ma comunque serena, è lismo delle idee in Consiglio Comunale? la sindaca uscente, Maria Teresa Torretta. «Su alcuni aspetti è ovvio che non si potrà Che continua a fare parte del Consiglio fare a meno di prendere posizione rispetto Comunale, seppur dai banchi dell’oppoad alcune scelte dell’amministrazione. Il sizione, insieme alla sua compagna di avdecidere di votare nella stessa maniera non ventura già nei passati anni, Ilaria Naso. Le significherà che si saremo alleati, signifi-
Maria Teresa Torretta
cherà prendere atto con la stessa decisione di quello che starà facendo l’amministrazione. Certo il dialogo non mancherà, come non è mai mancato negli anni in cui ero in maggioranza e loro erano all’opposizione. Mentre quello che ha vinto è un gruppo nuovo, quindi non sappiamo, a parte alcuni che sono un po’ più datati come amministratori e quindi conosciamo un po’ meglio, come si comporteranno. Vedremo, con molta tranquillità e con molta serenità». Anche la lista “Condividere Bressana’’ ha eletto due consiglieri: Filippo Droschi, già anima della precedente opposizione, e Davide Rovati, ex sindaco di Bressana. Il loro gruppo aveva ricevuto endorsement prestigiosi da parte dei principali esponenti della politica di centrodestra, a livello provinciale, nazionale e europeo. È evidente come la strategia politica di questa compagine fosse volta a palesare, prima delle elezioni, l’esistenza di forti rapporti con le forze di governo degli enti sovraordinati, e quindi a ventilare possibilità di sviluppo per Bressana grazie anche all’aiuto di questi soggetti. L’elettorato, però, ha fatto altre scelte. Resta, tuttavia, il ruolo che Droschi e riuscito a ritagliarsi nella politica non più solo comunale. Anche con lui abbiamo scambiato qualche messaggio; il succo del suo pensiero è: «Come unico schieramento di centrodestra porteremo avanti un’opposizione senza sconti, che rispecchierà i nostri valori». Questo indica comunque che il suo elettorato è molto schierato e ha delle alte aspettative anche dal ruolo di opposizione che i consiglieri eletti andranno a svolgere. È rimasto fuori dal Consiglio Comunale il movimento civico “L’Italia del rispetto’’, che proponeva come sindaco Davide Brambilla. Il risultato di questa compagine è stato piuttosto modesto: 96 voti, il 4,96% della popolazione. Altrove, tuttavia, il movimento è riuscito ad eleggere i primi consiglieri comunali della sua storia. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza... di Pier Luigi Feltri
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Cheap but chic
GIUGNO 2019
Piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro!
Siamo in estate, vogliamo tenerci in forma ed abbiamo desiderio di cibi leggeri e freschi. In molti paesi tradizionalmente si comincia il pasto con delle verdure crude, servite in insalata oppure in pinzimonio. Questa abitudine è particolarmente saggia, infatti un antipasto a base di verdure crude e di frutta stimola la secrezione gastrica, favorisce la digestione e permette di preparare la digestione dei cibi successivi grazie agli enzimi. Inoltre mangiando frutta e verdura cruda ad inizio pasto si evita di consumare una quantità eccessiva di cibo, perché i vegetali danno un grande senso di sazietà. Consumare verdura crudi ad inizio
pasto può far ridurre del 20/40% la quantità di calorie assunte durante il pasto. Ma non è tutto: la fibra dei vegetali crudi può aiutare a regolarizzare anche l’intestino; inoltre le sostanze attive delle verdure (vitamine, minerali enzimi…) vengono assimilate molto meglio se arrivano in un organismo “ affamato”, non ancora “stancato” dalla digestione degli altri cibi. Le sostanze attive di frutta e verdura non solo aiutano a rimanere in buona salute, ma hanno un effetto positivo sull’aspetto della pelle; ad esempio la vitamina C è indispensabile per mantenere la pelle giovane e liscia, sia perché combatte i radicali liberi, sia per-
ché stimola la produzione di collagene ed elastina, le proteine che danno elasticità e turgore alla pelle. Per la ricetta di questo mese abbiamo scelto tre verdure di stagione: i peperoni che sono ricchi di vitamine e sali minerali ma poveri di calorie, il sedano che contiene solo 16 calorie per 100 grammi ed essendo composto per il 95% da acqua, aiuta a depurare l’organismo e i ravanelli che sono anche loro composti per la maggior parte di acqua , contengono molte vitamine e hanno proprietà diuretiche e depurative. Le abbiamo abbinate ad una salsa leggera e saporita che contribuisce a rendere questa ricetta un piatto fresco e invitante per le giornate estive. Come si prepara: Laviamo le verdure. Puliamo i ravanelli e li tagliamo a fettine. Raschiamo le carote e le tagliamo a listarelle. Infine separiamo le canne di sedano e tagliamo anche loro a listarelle. Mettiamo le verdure in una ciotola con acqua e ghiaccio per conservarle fresche e colorate. Ora prepariamo la salsa. Lavoriamo la ricotta con il caprino e lo yogurt, aggiungiamo il concentrato di pomodoro, il tabasco, il sale e il pepe e mescoliamo bene. Aggiungiamo da ultimo lo scalogno e le olive tritate, amalgamiamo il tutto e la nostra salsa è pronta. Versiamo il composto nei bicchieri ,scoliamo le verdure e le disponiamo sul piatto mettendone alcune come decorazione nella salsa. Buon appetito e buona estate! You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”. di Gabriella Draghi
Gabriella Draghi
PINZIMONIO SFIZIOSO Ingredienti per 4 persone: un mazzetto di ravanelli 3 carote un cuore di sedano 350 g di ricotta vaccina 100 g di formaggio caprino mezzo vasetto di yogurt bianco 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro qualche goccia di tabasco uno scalogno tritato 6 olive verdi denocciolate e tritate sale e pepe
OLTREPò PAVESE
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Alla scoperta dei cibi poveri: le erbe spontanee Passeggiare per campi e sentieri fioriti, specie durante la stagione primaverile, può rivelarsi un passatempo sano, rilassante e soprattutto gustoso. Già, perché in questa stagione sono tante le erbe commestibili e i fiori in cui è possibile imbattersi nelle radure, nei boschetti, accanto ai corsi d’acqua e nei prati. Sapere riconoscere le erbe spontanee commestibili è fondamentale per non correre rischi. Le erbe spontanee edibili sono infatti veri e propri super-cibi poveri e a costo zero, che vantano in alcuni casi proprietà purificanti e disintossicanti. Ma in natura sono tantissime le erbe tossiche velenose a cui si deve prestare molta attenzione. Quindi tra le erbe spontanee cosa è meglio raccogliere in primavera? Lo abbiamo chiesto a Maurizio Merlo, agronomo ed insegnante dell’Istituto tecnico Agrario “Gallini “ di Voghera. Merlo quali sono le erbe spontanee edibili più comuni nelle nostre zone? «Possiamo partire dal tarassaco o dente di cane, come viene chiamato nelle nostre zone, che troviamo ovunque in primavera. è facilmente riconoscibile per il suo fiore di color giallo brillante ed ha proprietà depuranti e diuretiche. Le foglie possono essere consumate crude quando sono tenere o cotte e anche i boccioli dei fiori sono utilizzati in cucina. Abbiamo poi l’ortica che è una delle erbe spontanee più conosciute e usate, già dalle nonne. Forse perché è semplicissimo reperirla nei prati, anche appena fuori dalla città. L’ortica vanta ottime proprietà per la salute: dal sapore simile a quello dello spinacio, è un’erba spontanea estiva ricca di vitamina C, mucillagini e ferro. Dobbiamo fare attenzione però nella raccolta, utilizzando guanti per proteggere le mani dagli effetti urticanti di questa pianta. Della stessa famiglia dell’ortica, la famiglia delle Urticacee, c’è anche la parietaria, molto diffusa e che dà reazioni allergiche a molte persone ma che può essere consumata lessata. Abbiamo poi la piantaggine che è diffusissima ma poco conosciuta. Ne abbiamo due tipi: piantaggine lanceolata con foglie lunghe e piantaggine maggiore con foglie ellittiche larghe e più corte. Contiene moltissimi sali minerali, soprattutto lo zinco, e flavonoidi ed in genere viene consumata cotta. Molto comune dalle nostre parti è poi il luppolo selvatico. I sui germogli vengono chiamati in zona “vartìs” . Il luppolo selvatico è della stessa specie delle varietà di luppolo selezionato, coltivato e utilizzato per produrre la birra. È diverso però, se ne consumano le cime che cono le infiorescenze della pianta maschile. In questo periodo e per tutta la primavera spuntano rigogliose in campagna ai bordi dei fossi o lungo le siepi. Molti lo chiamano an-
Pianta di Tarassaco che asparago selvatico, impropriamente, un po’ perché le cime ricordano la forma dell’asparago, un po’ per il sapore delicato. Ricordiamo il famoso risotto ai “vartìs” che viene preparato in primavera. Un’altra erba spontanea che però non è diffusissima in Oltrepò è la borragine che si trova più facilmente spostandosi verso la Liguria. Io sono originario di Arquata Scrivia e ne sono un cultore. La pianta si presenta con foglie piuttosto grandi, ovali, dotate di picciolo, di un colore verde intenso e, così come le altre piante della famiglia, bellissimi fiori blu-viola, a forma di stella. Tutta la pianta è ricoperta da una fitta peluria .Le foglie e i fiori vengono utilizzati dalle mie parti per fare i ravioli di magro che sono una vera delizia». Abbiamo fatto una rassegna delle erbe spontanee commestibili più riconoscibili ma ci sono anche molti fiori che si possono mangiare, ci può indicare i più comuni? «Proprio in questi giorni vediamo fiorire le robinie con i loro grappoli bianchissimi e profumati che attirano le api che andranno a produrre il delizioso miele d’acacia. Proprio le infiorescenze di questa pianta possono essere consumate sia crude che cotte, di solito vengono fatte delle frittelle, perché sono particolarmente gustose. Abbiamo poi il sambuco, altra pianta molto comune dalle nostre parti che tra aprile e giugno ci regala delle bellissime fioriture che danno vita, un po’ più tardi, a delle bacche succose e dolci che raggiungono la piena maturazione in estate. Il sambuco cresce prevalentemente nei luoghi freschi, vicino ai torrenti o ai fiumi, ma è facile scorgerlo anche nei prati e sui cigli delle strade. è conosciuto per le sue proprietà diuretiche e, mentre i fiori vengono utilizzati in cucina per la realizzazione di gustose frittelle, le bacche mature forniscono un ottimo ingrediente per sciroppi e marmellate. Bisogna però stare attenti perché in zona abbiamo tre tipi di sambuco: uno è il sambuco legnoso, quello che troviamo lungo i corsi d’acqua che è commestibile insieme a ad un altro sambuco legnoso delle zone alte dell’appennino mentre abbiamo poi un sambuco non legnoso ma erbaceo, l’ebbio che invece non è comme-
Maurizio Merlo, Agronomo stibile. Ci sono poi le pratoline, le violette, le primule che sono i primi fiori a spuntare a primavera che vengono di solito consumate crude nelle insalate o usate come decorazioni nei dolci. Non dobbiamo dimenticare poi la rosa canina che è una rosa selvatica spontanea i cui frutti sono ricchissimi di vitamina C e vengono utilizzati per tisane e marmellate». Ci può fornire qualche consiglio per la raccolta di queste erbe spontanee per non incorrere in qualche problema? «Dobbiamo utilizzare alcuni accorgimenti molto importanti. Prima di tutto non bisogna raccogliere erbe sui bordi delle strade trafficate, in zone vicine a fonti di inquinamento, in campi sottoposti a trattamenti
Pianta di Borragine
chimici. Se si hanno dei dubbi sul riconoscimento dell’erba meglio astenersi dal raccoglierla o farsi accompagnare da una persona esperta perché ci possono essere delle erbe molto velenose. Un’altra cosa importante è quella di verificare di non essere in aree come le riserve naturali dove è vietata la raccolta di erbe e fiori. Bisogna raccogliere piante e fiori sani, non contaminati da funghi o muffe. Quando si portano a casa le erbe, bisogna lavarle molto bene prima di cucinarle ed infine fare una ricerca tra le tantissime ricette che ci sono per meglio apprezzarne i sapori e le caratteristiche di questi ingredienti a costo zero». Da dove deriva l’uso delle erbe spontanee in cucina? «Sicuramente dalla necessità di cucinare quando una volta ai nostri vecchi mancavano gli ingredienti. Esiste però anche una scienza che si chiama “fitoalimurgia” la conoscenza dell’uso delle specie vegetali, soprattutto erbe spontanee a scopo alimentare. La fitoalimurgia fu un principio di nutrizione anche in tempo di guerra. Nel recente passato era consuetudine di molte persone, in particolare nei ceti meno abbienti, andare per erbe e per questi le verdure selvatiche hanno costituito una risorsa alimentare di primaria importanza. Oggi la fitoalimurgia non ha più la funzione di risorsa alimentare, ma molti, grazie anche al maggior tempo libero a disposizione, stanno riscoprendo che andare per verdure porta alcuni benefici: venire a contatto con la natura, fare delle lunghe passeggiate e non ultimo variare il classico menu grazie alla raccolta di erbe». di Gabriella Draghi
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L’OLTREPò IN... ESTATE
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Emanuele Firpo, l’alchimista del Gin Abbiamo incontrato Emanuele Firpo, barman classe ‘75, sulla terrazza del ristorante “Io e Vale’’ di Salice Terme. Luogo dove, ogni sera, prepara cocktail innovativi e osserva la vita che scorre sui tavoli del suo locale e sulla strada, proprio sotto. Un punto di vista privilegiato verso il mondo salicese e verso l’anima dei suoi clienti, che non sono semplici ‘’bevitori’’. Altrimenti andrebbero altrove... Come nasce la sua carriera? «Io nasco come creativo. Lo sono sempre stato. Ho iniziato la mia carriera lavorativa facendo il progettista meccanico. Ma venivo criticato, perché i miei disegni tecnici erano “abbelliti’’... quindi ho capito che il mio ambito era un altro.» Che tipo di progetti? «Progettavo impianti per fare i cavi.» Cosa è successo dopo questa folgorazione sulla via di Damasco? «Ho iniziato a fare il grafico pubblicitario, mi occupavo di creare volantini, poster e via dicendo. Avendo sempre avuto la passione del bar però, e quando sono stato contattato dal gestore del centro sportivo di Pontecurone che cercava qualcuno che potesse gestire un nuovo barettino esterno, ho colto l’occasione, ho accettato e da allora non ho più smesso di fare il barman.» Quanti anni aveva, all’epoca? «Avevo 23 anni. Ho visto che mi piaceva e da lì ho iniziato una nuova carriera notturna, ma continuando a lavorare anche di giorno, facendo il grafico per ancora una decina d’anni. A un certo punto dovevo pur scegliere uno o l’altro lavoro, perché se vai a dormire alle quattro del mattino non puoi lavorare sempre anche di giorno. Il passo successivo? «Ho preso in gestione un locale a Tortona, il Molino Alpha, che ho tenuto per 8 anni. È lì che mi sono sfogato! Eravamo due soci, uno che si occupava della cucina e io del bar. Come lui cercava di fare bene le cose in cucina, io cercavo di farle bene al bar.» Ma la meta finale era Salice Terme... «Abitando a 500 metri da qui ho chiesto ai miei attuali colleghi, i fratelli Marco e Alberto, se c’era la possibilità di creare un bar in questa terrazza. Questo è un posto storico, dai tempi di Ernesto, le serate di liscio... poi tante altre realtà importanti. Insomma, loro hanno accettato la mia proposta e da lì ho iniziato a fare quello che tutti i barman dovrebbero fare: ho studiato, ho studiato tanto.» In che termini? «All’inizio da autodidatta. Compravo libri e li studiavo. Dopo ho deciso che dovevo essere formato da una scuola. Come si può immaginare, un conto è andare a scuola a vent’anni, un conto è andarci a trentacinque. Per me è stato come scoprire un nuovo mondo. Ho studiato alla Drink Factory di Bologna, frequentando però i corsi a Milano. Questa esperienza mi ha permesso
Emanuele Firpo di specializzarmi; anche se già prima ero reputato abbastanza in gamba a creare cocktail, perché la mia specialità è la miscelazione. Sono un appassionato della merceologia del settore.» Cosa intende per “merceologia del settore’’? «La disciplina che va a studiare le proprietà chimiche e fisiche, la natura della merce. La merceologia del settore riguarda tutti i prodotti del bar, dalla vodka al gin, al rum, alla tequila. Ho studiato come si producono, le differenze fra i vari tipi... qualcosa che va al di là del sapore, del gusto.» Questo con quale finalità? «Seguendo l’onda della moda londinese sono stato portato a creare una linea di prodotti home-made, fatti in casa.» Ovvero? «Produco liquori, manipolo liquori esistenti con essenze, tinture... sono anche un piccolo erborista, gli amici mi chiamano ‘’l’alchimista’’, anche se alla fine non è proprio il termine giusto. Loro cercavano di trasformare i metalli in oro...» E lei trasforma l’alcool in oro? «Cerco solo di far capire alla gente che un prodotto è buono quando è buono, e non quando va di moda. La gente, magari, arriva e chiede: che gin hai? E io vado un po’ controcorrente, dato che i gin che ho sono quelli manipolati da me. Se faccio assaggiare due gin, il Gin Mare e quello che faccio io, mi dicono che è più buono il secondo. Certo, c’è dietro il lavoro di un anno...» Come nasce un gin di questo tipo? Oltre alle competenze, servono strumenti particolari? «Tra i corsi che ho seguito, uno riguardava il ‘’cocktail engineering’’, le preparazioni home-made. Faccio un esempio: se prendi una granita al bar, ti mettono uno sciroppo di fragola. Io ho studiato per creare uno sciroppo di fragola diverso, che ovviamente è più buono. Per quanto riguarda le essenze utilizzo strumenti appositi, per esempio un sifone da panna per l’estrazione delle erbe
e spezie.» Qualche altra chicca, oltre ai gin? «Oltre ai gin... beh, sono riuscito a trasformare una tequila in mezcal. La differenza sta nella cottura della pianta. Per questo è importante conoscere la merceologia. Solo studiando come si producono la tequila e il mezcal puoi lavorare in questo senso. Ovviamente la mia è una trasformazione fasulla: la tequila è fatta in un modo e la mezcal in un altro. Però succede che il cliente può trovare un prodotto di nicchia... in questo caso la tequila viene impreziosita di un’essenza di the affumicato cinese. E sembra proprio mezcal.» Il cliente medio salicese come recepisce le novità, in generale? «Per quella che è la mia esperienza devo dire bene, perché nonostante i momenti di caos che magari vengono a crearsi con il locale pieno, cerco sempre di spiegare cosa si sta bevendo. Un po’ come andare al ristorante, ti servono un piatto e il cuoco ti spiega come l’ha fatto. Viene apprezzato. Poi magari ci sono persone che non hanno magari voglia di scoprire cose nuove, di scoprire che sapore ha la noce moscata. Bisogna rispettare tutti.»
«A me piacerebbe, sono anni che ci penso, insegnare ai giovani come bere» Il vino dell’Oltrepò può essere la base per un cocktail? «La differenza più schietta fra il vino e un liquore o distillato è il che vino ha una diversità fra anno e anno, quindi se tu crei un cocktail con un vino, l’anno dopo sarà già differente. Ovviamente stiamo parlando di vini di una certo livello, non parlo di un prosecco. Se tu prendi un Barolo 2004 ha un sapore differente da quello del 2002. Magari può essere interessante come esperimento, ma non può essere ripetuto.» Però mi vengono in mente svariati esempi di vini aromatizzati che hanno una loro dimensione. Uno su tutti: il Barolo chinato. Magari non quello del supermercato... un prodotto che fra l’altro è anche utilizzato come base per cocktail. Davvero lei non crede che il vino possa essere miscelato con successo? «Tutto è possibile. Del resto negli anni del futurismo, di Marinetti, c’era la moda di proporre tutto con prodotti italiani. Anche i drink. Nomi famosi per gli esperti come la ‘’giostra d’alcool’’, a base di barbera e cedrata.» Si occupa anche di formazione, vero? «Ho iniziato a proporre dei corsi per barman quando più di un cliente mi ha detto:
con quello che sai fare dovresti insegnarlo agli altri. Mia madre è insegnante elementare in pensione...» Un po’ nel sangue, quindi, l’insegnamento... «Un po’ sì, sono sempre stato apprezzato per come spiego le cose. Ho iniziato proponendo un corso amatoriale, perché non mi sarei mai permesso di punto in bianco di insegnare a qualcuno un lavoro. Solo che poi sono arrivate anche richieste di giovani che volevano intraprendere questa attività. Quindi ho dovuto riprendere in mano i libri e trasformare il corso amatoriale in un vero corso da barman.» Quando si svolgono questi corsi? «Nel periodo invernale, quando Salice è un po’ più spenta. Da quando faccio i corsi ho un ‘’fracco’’ di amici in più... quasi sempre chi partecipa diventa mio amico, mi vede come un punto di riferimento. Se trovano lavoro mi contattano per fare un ripasso... che non ho mai negato, perché è mio interesse che una persona faccia bella figura.» Le sue miscelazioni non si limitano ai cocktail. Ho sentito parlare di una specie di “viagra’’... «Grazie alla mia conoscenza delle erbe e delle spezie sto creando, ma ci vorranno ancora mesi e mesi, una sorta di ‘’viagra’’ al naturale... Non svelo la ricetta, ma faccio un esempio: la liquirizia stimola pressione, il vino rosso dà una certa libido, il peperoncino lo conoscono tutti... insomma, la natura mette a disposizione tantissimi ingredienti con una loro funzione. Mettendone insieme diversi sono quasi arrivato a produrre questo ‘’viagra’’ naturale, leggermente alcolico che ovviamente può essere utile a chi soffre di ansia da prestazione, non certo a un anziano.» Di Salice Terme, invece, cosa mi dice? Dalla sua terrazza lei ha modo di osservare tutto quello che passa ogni giorno. Salice a detta di molti non è più quella di una volta, ma quali sono i problemi? «Io vorrei che la gente si ubriacasse un po’ meno, perché Salice è veramente bella ed è un peccato rovinarsi la serata bevendo troppo e male. Vorrei che le critiche sulla Salice notturna venissero un po’ meno. Io non sono salicese di nascita, ma amo Salice. Il problema è che la gente non sa come divertirsi. Una cosa che io insegno nei miei corsi è come si beve. A me piacerebbe, sono anni che ci penso, insegnare ai giovani come bere. Se tu bevi quattro gin tonic, quando hai il momento di massima felicità? Non quando hai finito il quarto, magari quando sei al secondo. Sempre studiando, sempre leggendo libri, io so come non ubriacarsi. Quando uno è troppo ubriaco non si diverte. Un buon bicchiere d’acqua lo consiglio sempre, fra un drink e l’altro.» di Pier Luigi Feltri
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L’OLTREPò IN... ESTATE
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L’Oltrepò che pedala… con il motore elettrico La magia sta tutta nel concetto di “pedalata assistita“, dove il motore elettrico si affianca alle gambe dell’utente invece che sostituirle, aggiungendo la propria propulsione Le bici elettriche sono un’evoluzione del concetto di bicicletta poiché ne estendono le potenzialità ampliano le opportunità a disposizione della persona. La bicicletta elettrica apre nuovi orizzonti di mobilità per quella che è di fatto una nuova categoria di veicolo per gli spostamenti. A Salice Terme da circa due mesi, ha iniziato la sua attività Oltreebike, che propone noleggio di e-bike e tour sui sentieri dell’Oltrepò che possono soddisfare tutti i livelli di Biker. Roberto Mangiacavalli, Camillo, Marco ed Alberto Brichetti, coloro che hanno avuto l’idea e la stanno mettendo in pratica, ne parlano con entusiasmo. Con Camillo Brichetti abbiamo voluto fare una chiacchierata per meglio capire questa nuova proposta. Oltreebike. Da cosa è nata l’idea? «Da una serie di considerazioni: la bicicletta elettrica è di moda e permette rispetto alla classica bicicletta anche a persone poco allenate di fare sport e movimento senza “lasciarci l’anima”, inoltre volevamo iniziare a Salice Terme un’attività nuova che potesse dare un valore aggiunto». Chi ha avuto l’idea di portare questa attività a Salice Terme? «L’anima del progetto è sicuramente Roberto Mangiacavalli, grande appassionato di bicicletta nonché esperto conoscitore di ogni singolo centimetro quadrato delle nostre vallate, poi ci sono io che ho avuto la curiosità di provare una bicicletta elettrica e mi sono appassionato ed infine i miei
Roberto Mangiacavalli figli Marco e Alberto che hanno sposato l ‘idea, devo dire soprattutto Marco che vivendo in California dove esiste un vero e proprio culto per la bicicletta ha creduto fortemente nel progetto». Nascete come utilizzatori prima e successivamente avete trasformato l’utilizzo in un servizio per la collettività. Quando ha preso piede l’attività? «Ufficialmente siamo operativi da Aprile di quest’anno». Biciclette elettriche: quante e-bike avete
a disposizione? «In totale abbiamo 10 Mountain Bike e 6 City bike, le prime adatte a chi vuole avventurarsi nei percorsi e tour che organizziamo tra i sentieri dell’Oltrepò, le seconde più adatte per chi vuole un approccio soft con la bicicletta, per un tour rilassante ad esempio sulla greenway. Ci tengo a sottolineare che per il nostro parco E-Bike abbiamo puntato sulla qualità ed affidabilità e abbiamo scelto Thok, leder nel settore delle e-bike, ditta italiana che produce bi-
ciclette elettriche anche per la Ducati» Qual è il valore di una bicicletta elettrica Thok che voi proponete presso il vostro parco e-bike? «Non solo noleggiamo ma siamo anche rivenditori Thok, diciamo che la più economica, una mono ammortizzata vale sui 2500 euro fino ad arrivare ai 6300 di una e-bike a marchio Ducati. Quest’ultima la puoi trovare solo da noi o presso una concessionaria Ducati». Che tipo di clientela avete?
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L’OLTREPò IN... ESTATE «Per il momento è certamente una clientela locale, quello su cui puntiamo e a cui vorremmo arrivare è l’utente straniero, soprattutto del nord Europa dove l’utilizzo della bicicletta è molto diffuso ed esiste una vera e propria cultura dell’andare in e-bike». In che modo un utente arriva a voi? «Generalmente l’utente interessato alle nostre altre proposte ci contatta telefonicamente ma maggiormente on line attraverso il nostro sito dove prenota il pacchetto che gli è più congeniale, difficilmente arriva in sede il cliente di passaggio che decide al momento, viene tutto programmato in via anticipata». Che tipo di attività proponete? «Esistono tante possibilità, intanto è possibile noleggiare una delle nostre e-bike oppure si può portare la propria, è possibile scegliere percorsi che possono soddisfare tutti i livelli di Biker; dai neofiti, ai cicloturisti, ai pedalatori più “tosti” in quanto abbiamo la rara fortuna di avere nel nostro territorio più di 1300 km di sentieri mappati, conosciuti e monitorati e con diversi livelli di difficoltà. Tutti i Tour prevedono l´accompagnamento da parte di Guide certificate che conoscono il territorio, oltre alla guida in alcuni tour, è previsto il trasporto con il nostro Shuttle sino al luogo di inizio». I tour che organizzate sono solo in Oltrepò? «Per il momento sì, ma stiamo mettendo a punto altri percorsi con partenza da Salice Terme e arrivo sulla riviera ligure, con due giorni in barca alla Cinque Terre». Quanto costa noleggiare una e-bike? «Dipende, ci sono diverse soluzioni con ampia libertà di scelta: l’affitto può essere a ore, per mezza giornata, per la giornata intera , per settimane o per mesi. Il costo va dalle 20 euro al giorno per una city bike ai 70 euro per una Ducati bike. I residenti dei comuni di Rivanazzano e Godiasco hanno il 50% di sconto». Serve una preparazione minima specifica per affrontare i tour che voi proponete?
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Oltreebike: noleggio e tour dei sentieri con biciclette elettriche in Oltrepò «Le posso riportare la mia esperienza personale di non allenato: la prima volta che ho utilizzato una e-bike ho fatto 40 km di sterrato, con una bicicletta “normale” probabilmente sarei riuscito a malapena a percorrere 5km, inoltre si ha la possibilità di scegliere il grado di assistenza che si vuole ottenere dalla bicicletta, quindi direi che è adatta anche a chi non ha alcuna preparazione». State organizzando un evento importante. Di che cosa si tratta? «È una sorta di raduno per tutti i possessori di una e-bike Thok o per chi ne vuole provare una noleggiandola presso la nostra sede. 130 partecipanti che arrivano da tutta Italia, che soggiorneranno a Salice per il week end e che percorreranno 40 km tra le nostre colline. Sarà presente anche una guida d’eccezione, Stefano Migliorini, Campione del mondo di MTB». Con quest’evento Thok 130 persone al-
«Il problema principale? La pulizia dei sentieri. Nessuno se ne occupa, facciamo a spese nostre»
loggeranno a Salice e visiteranno l’Oltrepò. La Thok è una delle principali se non la migliore produttrice di biciclette. Questo potrebbe aiutarvi e aiutare l’Oltrepò nel portare turisti anche stranieri? «Assolutamente sì ed è proprio questo l’intento sia dell’iniziativa che della nostra attività. Il nome Oltreebike non sta solo a significare bike in Oltrepò ma anche e soprattutto oltre alla bike in Oltrepò c’è tanto altro e abbiamo il dovere di farlo conoscere. Questa iniziativa Thok non è fine a se stessa ma un volano per l’intero paese, inoltre tutte le biciclette Thok che andranno all’estero avranno al suo interno un volantino in cui si parla di Salice Terme». Esistono altre manifestazioni simili all’estero? «Certo ma in genere fanno solo noleggio noi cerchiamo di fare qualcosa in più e far conoscere il territorio». Il ciclista tradizionale, l’amatore come vi vede? «Il ciclista da strada con la bici da corsa diciamo che non ama particolarmente questo sport, anche se tante persone che prima andavano in bicicletta o che andavano in moto stanno passando alle e-bike , non dai fastidio a chi sta usando il bosco in un altro modo e non fai rumore». Qual è la difficoltà maggiore che avete riscontrato in Oltrepò per la vostra attività? «Tenere in ordine e puliti i sentieri che percorriamo, abbiamo percorsi invidiabili che non ci sono altrove ma non esiste un ente o un ‘associazione che si preoccupi di tenerli a posto. 1300 km di sentieri sono un
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patrimonio ma nessuno se ne cura, noi li puliamo ed a nostro rischio». Avete trovato nelle istituzioni un appoggio per la vostra attività? «A parte il discorso dei sentieri, devo dire che ad esempio il Comune di Rivanazzano Terme si è reso particolarmente disponibile, dandoci in gestione le city bike di sua proprietà che per motivi tecnici non riuscivano a gestire». Perché proprio a Salice Terme, non era più semplice magari trovare un accordo con il Comune di Voghera che possiede già una velostazione e un parco e-bike di 150 biciclette che a detta di molti sono inutilizzate? «Perché la mia famiglia è di Salice e poi organizzare tour da Voghera implicherebbe problematiche tecniche, i tempi si allungherebbero maggiormente e Voghera non ha lo stesso appeal di Salice». Greenway che da Voghera arriva a Salice e che dovrebbe in tempi brevi proseguire fino a Varzi. è utilizzata dai vostri clienti? «Certamente sia dai nostri clienti sia da noi personalmente, la troviamo un luogo ideale per bambini, per le famiglie o per chi vuole rilassarsi pedalando». Collaborate con qualche realtà del territorio? «Collaboriamo con Villa Lomellina di Montebello della Battaglia, una struttura notevole sia per la bellezza sia per la ricettività , e siamo aperti a collaborare con tutte quelle altre realtà del territorio che come noi vedono nell’e-bike una possibilità di crescita turistica» Prossimi sviluppi? «Ampissimi, intanto riuscire a portare una scuola per bambini e per adulti e poi arrivare ad organizzare una manifestazione seria. Mi viene in mente La Castagnata in Toscana che ogni anno conta 2500 iscritti che per un intero week end riempiono i sentieri della zona, ma anche gli hotel portando benefici a tutto l’indotto economico» di Silvia Colombini
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L’OLTREPò IN... ESTATE
GIUGNO 2019
Estate 2019: Quale costume indosso? Estate: sta per arrivare quel periodo dell’anno in cui la prova costume bussa alle nostre porte e tutte facciamo fatica ad aprire. Rilassiamoci però e tiriamo un sospiro di sollievo, perché la bilancia oggi è decisamente fuori moda. Il body positive è il nuovo tormentone dell’estate 2019: addio fisici scolpiti, benvenuta normalità: una tendenza generale che si respira anche sulle passerelle, dove i grandi stilisti puntano sempre di più all’inclusività. E dimostrano che per mettersi in costume non è necessario spogliarsi di ogni pudore: il nuovo beachwear copre il corpo più del solito grazie a tagli a vita alta o all’abbinamento con parei coloratissimi e pantaloni. Ma quali costumi mettere in valigia per essere sempre elegante e trendy? Oltre ai grandi classici spuntano modelli all’ultimo grido che vale decisamente la pena tentare. Bikini, interi, mono o trikini, a triangolo, a fascia o dallo scollo sportivo, tinta unita, fantasia o in materiali originali, i costumi da bagno si vestono di modelli, colori e stampe aggiornati, che seguono da vicino le tendenze della moda. Avrete capito che quest’anno possiamo scegliere tra una vasta gamma di possibilità all’insegna del “tutto è concesso”. Ma vediamo quali colori e fantasie ci propone la moda.
Le collezioni di costumi da bagno per la primavera estate 2019 subiscono tutto il fascino del passato. Sul bagnasciuga tornano di moda gli anni cinquanta, dal bikini con culottes a vita alta al costume intero con maxi volant. Tra le stampe, trionfano i pois e i quadretti. Da indossare con occhiali da sole ovali e asciugamano avvolto sulla testa, come facevano le dive di un tempo. Non dimentichiamo il tema animalier con bikini e costumi interi pitonati o zebrati dal look selvaggio per la donna che ama trasgredire. Con slogan audaci e irriverenti, dichiarazioni d’intenti romantiche e lettering originali il costume intero diventa poi anche strumento di comunicazione, adatto alle più giovani, da indossare anche con i jeans lontano dalla spiaggia. Per quanto riguarda i colori di tendenza, verde, giallo, rosa, rosso e arancio fluo evidenziano semplici bikini con laccetti e interi di taglio sportivo, tinte adatte ad esaltare l’abbronzatura. Sono sempre di moda i bikini a triangolo rigorosamente a tinte pastello con tutte le tonalità del beige, del marrone e del verde sottobosco, non dimenticando i classici bianco e nero all’insegna del minimal. Per donne nomadi e curiose poi la tendenza sfocia nello stile gipsy con
costumi interi e due pezzi caratterizzati da inserti lavorati a crochet di ispirazione anni ’70 e fantasie etniche. La donna romantica può indirizzare la sua scelta fra una serie di stampe “garden party”: boccioli di rose, peonie, margherite, ortensie e lillà fioriscono su interi e bikini dall’aria bon ton. Una citazione particolare meritano i costumi interi monospalla. Eleganti e sensuali allo stesso tempo, spesso realizzati in materiali insoliti per il beachwear, giocano su una particolare combinazione di tagli, linee e proporzioni che esaltano al massimo la femminilità e, quando
il sole tramonta, possono essere veramente chic abbinati ad una gonna o un pantalone di seta per una serata glamour. Infine, per completare l’outfit da vacanza, la donna di tendenza non può fare a meno degli accessori. Stiamo parlando di grandi orecchini e collane, fasce per capelli, oltre sandali e ciabatte mare rigorosamente flat che diventano sempre più fashion per materiali e colori. E poi il must dell’estate: una bella borsa grande in paglia grezza o in tela colorata. Buone vacanze! di Gabriella Draghi
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L’OLTREPò IN... ESTATE
GIUGNO 2018
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«Abbronzatura migliore e più sicura con il sole del mattino e tardo pomeriggio» Il sole che abbronza di più? Quello del mattino. La malattia della pelle più diffusa in Oltrepò? La psoriasi. Le creme solari vanno tutte bene? No, bisogna conoscere il proprio tipo di pelle prima di sceglierne una adeguata. L’estate porta con sé una lunga serie di possibili patologie legate all’esposizione ai raggi solari da cui è necessario mettersi al riparo attraverso una corretta informazione e il ricorso ad alcuni “trucchi” che la dermatologa vogherese Ginevra Baggini ci svela. Dottoressa quali sono le patologie più frequenti in estate? «L’estate può causare patologie che vengono chiamate fotodermatiti, cioè dermatiti provocate dall’esposizione solare». Le radiazioni solari sono di tipo diverso. Può spiegarci come si distinguono e quali rischi comporta l’esposizione ad esse? «Il sole emana tre tipi di raggi: infrarossi, UVA, UVB, UVC. Gli UVC solitamente non arrivano sulla Terra, ma a causa del buco dell’ozono si prevede che, in futuro, avverrà un aumento dei danni cancerogeni causati dal sole. Gli UVA sono presenti tutto l’anno, a tutte le ore del giorno. Gli UVA causano l’invecchiamento cutaneo, prova ne è che le zone in cui si manifesta in-vecchiamento precoce sono quelle esposte al sole (mani, viso). Gli UVB sono presenti d’estate, in particolare modo nella fascia centrale (h.12.00/14.00) e sono i raggi responsabili del danno acuto, cioè delle scottature e degli eritemi solari. «Coloro che lavorano a contatto con la natura possono sviluppare fitofotodermatiti, che si manifestano con scottature ed eritemi solari, in seguito all’esposizione al sole e al successivo contatto con la pianta. (Es. la pianta di fico e di prezzemolo, a contatto con la cute liberano una sostanza chiamata furocumarina, dall’effetto fototossico). Un’altra patologia che spesso viene riscontrata è il cloasma (maschera gravidica), che si manifesta con macchie cutanee nella zona oculare, delle labbra, mento e fronte. Chi è affetto da cloasma, deve utilizzare un filtro solare a protezione totale. In inverno si può trattare la zona con creme a base di acido retinoico, glicolico, salicilico e vitamina C. In ultimo ricordiamo la rosacea, che solitamente esordisce in menopausa, per problematiche gastroenterologiche o per predisposizione genetica. La sua gravità varia a seconda della sta-diazione: couperose (1^ stadio), acneica (2^ stadio), ipertrofia della cute del naso (3^ stadio) Anche per la rosacea, come per il cloasma, va applicato un filtro solare a schermo totale, in particolare d’estate». Chi è affetto da patologie come la psoriasi o la dermatite, può prendere tranquillamente il sole? «Sì. In queste patologie, l’esposizione può migliorare il quadro generale». Come si riconosce una scottatura peri-
La dermatologa Ginevra Baggini
colosa o una macchia solare? «La scottatura si manifesta in modo acuto, con un’area caratterizzata da rossore. La macchia solare, di colorazione marrone, solitamente è l’esito post-infiammatorio di una scottatura». E per quanto riguarda i nei? «Chi possiede nei, può presentare un rischio maggiore di sviluppare patologie oncologiche; è quindi necessario utilizzare una protezione solare con un filtro adeguato al fototipo ( soli-tamente 50 SPF). Sono stati effettuati degli studi che hanno dimostrato che coloro che hanno avuto molti eri-temi in età pediatrica, possono sviluppare melanomi in età adulta». Che differenza c’è tra filtri chimici e schermi fisici? «Gli schermi fisici sono composti principalmente da biossido di titanio e agiscono riflettendo la luce solare. Sono caratterizzati da una consistenza pastosa, solitamente vengono prescritti in caso di concomitanti patologie allergiche. I filtri chimici, invece, agiscono appunto da “filtro”, diminuendo l’effetto nocivo dei raggi del sole sulla pelle». Quali sono i criteri da rispettare nella scelta di un filtro solare? «Il filtro solare va scelto in base al tipo di pelle (mista, secca, grassa) e al proprio fototipo. Esistono cinque tipologie di fototipi, classificati in base alla carnagione: fototipo 1 (pelli molto chiare che si scottano sempre e non si abbronzano mai), fototipo 2 (pelli che si ab-bronzano facilmente, ma corrono il rischio di sviluppare eritemi), fototipo 3 (pelli che si ab-bronzano facilmente, ma possono scottarsi), fototipo 4 (pelli che si abbronzano facilmente e si scottano raramente), fototipo 5 (pelli che non si scottano mai e si abbronzano sem-
pre). In caso di patologie acneiche, solitamente viene utilizzato un filtro solare a media protezione (30 SPF) ; Per psoriasi e eczema, un filtro a bassa protezione (15 o 20 SPF)». Labbra, naso e palpebre. Consiglia filtri solari specifici? «è meglio non utilizzare il filtro solare in zona oculare, perché può causare bruciore. è indicato l’uso sul naso e sulle labbra, in quanto previene l’insorgere dell’herpes e la secchezza causata dal sole». Quali sono i rischi connessi a un’esposizione prolungata? In quali ore è consigliabile esporsi? «Bisogna evitare di esporsi nelle ore in cui il sole è allo Zenith e i raggi UVB sono più forti. E’ consigliabile prendere il sole prima delle h.11.00 e dopo le h.16.00. I rischi connessi a un’esposizione prolungata sono quelli a breve termine (scottature, eritemi) e quelli a lungo termine, che vediamo dopo molto tempo (invecchiamento cutaneo, tumori della pelle)». è consigliato l’uso del doposole e creme idratanti, successivamente all’esposizione? «Sì. In particolare, sono indicati prodotti a base di aloe vera». è vero che ci sono alimenti che favoriscono l’abbronzatura? «Sì, la frutta e la verdura rossa ( fragole, pomodori, peperoni), perché contengono carote-noidi». Sfatiamo un luogo comune: in che misura gli integratori di betacarotene sono utili nell’aiutare l’organismo all’assorbimento dei raggi UV e a limitare eventuali danni? «Negli ultimi tempi il betacarotene non viene più utilizzato perché si è scoperto che, ad alto dosaggio, può causare problemi importanti per la salute. Si preferisce utilizzare la vitamina P, la nicotinamide, la luteina. Si consiglia di iniziare l’assunzione di questi integratori in primavera, per preparare al meglio la pelle all’esposizione solare». Per i bambini, il controllo è ancora più importante. Quali sono le misure da adottare? «è doveroso l’uso della protezione 50 SPF, ricordandosi di vestirli sempre con maglietta e occhiali da sole, evitando l’esposizione tra le h.11.00 e le h.16.00». Cosa ne pensa degli autoabbronzanti e delle lampade solari? «Gli autoabbronzanti sono utili per migliorare il colorito della pelle, con l’accortezza di spalmarli in modo adeguato per evitare l’insorgere di macchie; a pari merito, sono indicate le lampade solari, a bassa intensità». Per favorire l’abbronzatura, è meglio il mare o la montagna? «Non c’è differenza. L’importante è utilizzare le dovute precauzioni».
«In Oltrepò molte problematiche allergiche legate alla dermatite atopica e alla psoriasi»
Perché abbiamo l’impressione che il sole, al mattino presto o dopo le 17, possa “abbronzare” di meno? «In realtà è quello che abbronza di più, perché scotta di meno e rende l’abbronzatura più duratura». Che misure è necessario seguire, in caso di tatuaggi e cicatrici? «Se il tatuaggio è stato fatto di recente, è necessario proteggerlo. Per quanto riguarda le ci-catrici, si raccomanda di proteggerle sempre con creme specifiche, perchè il sole può peg-giorarle». Chi fa uso di farmaci deve porre particolare attenzione all’esposizione solare, per non ri-schiare episodi di fotosensibilizzazione? «L’uso dei farmaci dev’essere controllato, in particolare negli anziani che assumono anti-diabetici e antipertensivi. E’ possibile esporsi al sole, ricordandosi di usare sempre un filtro solare a protezione totale, per evitare il rischio di sviluppare carcinomi in viso e sulle braccia. Il sole può dare un beneficio se preso in movimento, in quanto tale condizione aumenta la sintesi della Vitamina D e la riserva di calcio nelle ossa, prevenendo l’osteoporosi». Organizza iniziative di informazione e consulenza? «Certamente. Partecipo spesso a una trasmissione tematica in onda su TelePavia. Inoltre, ho organizzato dei corsi di formazione in ambito medico e farmaceutico. Per i ‘non addetti ai lavori’, un’iniziativa utile è stata quella delle campagne itineranti di consulenza dermatologica». Infine, che tipo di malattie dermatologiche sono presenti in Oltrepò? «Abbiamo tantissime problematiche allergiche legate alla dermatite atopica e alla psoriasi. La psoriasi si manifesta su base genetica o autoimmune, spesso si associa al diabete e alle malattie cardiovascolari; la dermatite atopica, invece, fa parte delle malattie allergiche». di Federica Croce
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L’OLTREPò IN... ESTATE
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La nutrizionista in vista dell’estate: «No alle diete fai da te» «Troppi grassi nella nostra alimentazione e diete improvvisate». L’allarme in vista dell’estate arriva dalla biologa e nutrizionista Irene Maragna, che abbiamo incontrato per parlare di alimentazione in vista dell’estate. In Oltrepò troppi dimenticano l’importanza della prima colazione e di una buona passeggiata giornaliera. E per la prova costume è più consigliabile vivere una vita sana e con un’alimentazione bilanciata piuttosto che correre ai ripari a poche settimane dalle vacanze. Parola dell’esperta. Dottoressa Maragna, il caldo è arrivato. Quali sono le principali indicazioni che può darci? «Sono quelle valide sempre, quindi mantenere un adeguato peso e mantenersi attivi. Soprattutto con la bella stagione, che solitamente invoglia un po’ di più a fare camminate, ad andare in bici, nuotare… Ci vuole perciò un corretto stile di vita che tiene conto sia della dieta che di attività fisica. Non si deve mai fare solo una dieta restrittiva per perdere peso, anzi. Quella è davvero sempre sconsigliata, anche se è di solito la scelta prevalente prima dell’estate: tutto l’inverno magari si da meno importanza alla questione e poi, in vista del periodo estivo, si inizia a restringere troppo l’alimentazione e soprattutto sono davvero troppo spesso diete ‘fai da te’, non personalizzate o trovate su internet o sui giornali. Magari queste possono portare sì ad una perdita di peso ma se poi la dieta non viene mantenuta nei giusti modi si ottiene il risultato opposto. In realtà tutti parlano un po’ di alimentazione, ma c’è una confusione estrema». In che senso? «Sarebbe sempre meglio chiedere aiuto ai professionisti. Le diete le possono dare solo i dietisti, i medici dietologi e i biologi nutrizionisti. Tutti gli altri non possono farlo». Oltre ad attività fisica ed alimentazione, cosa può consigliare? «Sicuramente l’idratazione. Sembra banale, ma le persone spesso davvero si dimenticano di bere. Il fabbisogno di acqua che si può avere in inverno non è paragonabile a quello in estate. Si suda di più e si ha bisogno di una dose maggiore di acqua: almeno otto bicchieri al giorno. Devono prestare attenzione tutti, soprattutto bambini ed anziani, che molto spesso non hanno lo stimolo della sete. Quando noi sentiamo questo stimolo è perché siamo già un po’ disidratati e quindi bisognerebbe sempre evitare di arrivare a questa sensazione». Acqua frizzante o naturale? «Questo è indifferente. La cosa importante è non sostituirla con bevande zuccherate, come succhi di frutta e bibite in generale, che contengono davvero troppi zuccheri». Frutta e verdura sono sempre importanti… «Assolutamente si. La frutta si può man-
Irene Maragna, biologa e nutrizionista di Stradella
giare a piacere durante la giornata. Non siamo tutti uguali, quindi non esiste una regola… o dopo i pasti o con una macedonia a merenda. Importante da sottolineare che le centrifughe non sostituiscono la frutta, perché con quelle si va a perdere la quota di fibra e magari si va anche a mettere una quantità di frutta eccessiva. Meglio allora per merenda un frullato con frutta e yogurt bianco o latte. La verdura invece va bene sia cruda che cotta, sia pranzo che a cena». Il gelato può sostituire un pasto? «è una domanda che mi fanno spesso e la risposta è no. Facciamo un esempio: in un gelato alla frutta cosa c’è dentro? Acqua, frutta e zucchero. Se facciamo l’esperimento del ‘piatto sano’ dell’Università di Harvard capiamo subito…». In cosa consiste questo ‘piatto’? «Comprende sia le verdure, in buona porzione, proteine, carboidrati e una quota di condimenti. Al gelato quindi manca la fibra, la verdura, la quota proteica. E soprattutto c’è una dose eccessiva di zuccheri, se si conta anche il fatto che, prendendolo per sostituire un pasto, magari lo si compra abbondante e se ne mangia troppo». Per quanto riguarda i condimenti? «Non ha senso toglierli, bisogna solo scegliere quelli più adatti, giusti e buoni come qualità: l’olio extravergine, per esempio, va molto bene». A volte si tende a saltare qualche pasto… «E questo è sbagliatissimo. Soprattutto la colazione. I ragazzi in questo periodo magari si svegliano più tardi e tendono a passare subito al pranzo. Ne vedo tanti di casi così…». C’è un alimento miracoloso? «No. Bisogna variare. È questo il segreto, per soddisfare il bisogno di micro e macro nutrienti, senza avere carenze. Se poi si vogliono seguire regimi alimentari vegetariani o vegani bisogna assolutamente farsi seguire da uno specialista, in modo tale da avere una dieta bilanciata».
Per la colazione cosa è meglio mangiare? «Una fonte proteica, come il latte o yogurt. Ma va bene anche una colazione salata con toast. Oppure pane e marmellata. Con un frutto o una porzione di frutta. Verdura e frutta, infatti, hanno un buon contenuto di acqua, oltre che di vitamine e minerali». è vero quindi quando si dice che ‘la colazione è il pasto più importante della giornata’? «Certo, perché saltare la colazione magari fa mangiare di più negli altri pasti: va ad influenzare la sazietà e la sensazione di fame dei pasti successivi. Se manca una quota energetica, insomma, la si andrà a cercare durante la giornata e si rischia anche di mangiare di più anche a cena». Tornando a frutta e verdura, c’è qualcosa che fa meglio rispetto ad altro? «Bisogna sempre mangiare quelle di stagione. E per la verdura, mangiarla sia cotta che cruda. Variare è sempre la ‘chiave’, perché se si mangia sempre la stessa si ingeriranno sempre i soliti minerali, le solite vitamine. Variando, invece, si riusciranno ad avere in maggiore quantità». Passando invece alla parte dell’attività fisica, cosa può dirci? «L’ideale è fare 10 mila passi al giorno per mantenersi attivi. Poi dipende naturalmente da una persona all’altra: anche la parte del mantenimento fisico deve essere personalizzata…Il consiglio generale che posso dare è quello di tenersi attivi sempre. Con una camminata, che rimane la cosa più semplice, ma anche con un giro in bici se piace». In questo periodo dell’anno ha più lavoro? C’è più gente che viene da lei per
iniziare una dieta? «Diciamo che è sempre uguale, perché ho sia patologici che dimagrimenti. Poi io sono contro le diete lampo, perché credo che sia importante fare un buon percorso di educazione alimentare anche durante tutto l’anno che porta sicuramente ad un dimagrimento, piuttosto che ricercare una dieta dimagrante che magari non si è in grado di mantenere nel tempo. Poi bisogna anche dire che le persone devono essere estremamente convinte di iniziare un percorso dimagrante: altrimenti la si inizia, poi non la si mantiene e si rischia il famoso effetto ‘yo-yo’». In Oltrepò ci sono patologie particolari? «Ci sono tante persone con valori sballati di colesterolo e trigliceridi, quindi con l’assetto lipidico alterato. L’obesità può aumentare il rischio di determinate patologie e complicanze, come il diabete, malattie cardiovascolari e altro ancora. è importante, perciò, tenere il peso sotto controllo sempre». L’obesità è un problema anche giovanile? «Sì ed è presente anche nei bambini. L’educazione alimentare è importantissima: quello che si mangia da bambini andrà ad influenzare quello che si sarà da adulti. Sicuramente sono importanti le basi: si mangiano troppe merendine e si bevono troppe bevande zuccherate. E ancora, si mangiano troppi piatti pronti, molto calorici e poveri di verdure, vitamine e minerali. In questo senso il ruolo del genitore è fondamentale per insegnare al bambino a mangiare in modo sano». di Elisa Ajelli
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«Potenziare il marketing è indispensabile per le aziende oltrepadane» Simone Verdi, classe 1988, nato e cresciuto a Canneto Pavese, designer e grafico, da alcuni mesi ha avviato un progetto di sviluppo per il punto vendita, gli eventi e la comunicazione digitale dell’Enoteca Regionale della Lombardia ospitata dalla cascina di Cassino Po a Broni. Inaugurata il 10 ottobre 2015, promossa dal Comune di Broni, Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese, Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese e Strada del Vino, ha lo scopo di valorizzare i prodotti enogastronomici di tutta la Lombardia. Simone, lei è un grafico e un designer. A tutti gli effetti, un artista. Che tipo di progetto ha pensato di proporre all’Enoteca Regionale di Broni? «Lo scorso novembre, dopo aver svolto il mio ultimo lavoro, ho capito che era mia volontà costruire qualcosa per il mio territorio, mettere le mie idee e la mia voglia in moto. Porto avanti le collaborazioni come grafico a livello privato con diverse aziende e proseguo il mio percorso come artista. Lo scorso anno però ho iniziato i corsi di AIS Pavia (Associazione Italiana Sommelier, ndr) come sommelier, e da qui ho capito che volevo fare qualcosa in questo settore e per il territorio in cui sono nato, cresciuto e in cui vivo. Ho ideato e scritto un progetto di rilancio che ho presentato al direttivo di Enoteca Regionale nel febbraio del 2019. Dopo un mese circa di valutazioni tra i vari responsabili, mi è stata data la possibilità da parte di Carlo Torretta e Filippo Arsi. Da qui ho iniziato la mia avventura il 20 marzo scorso. Come primo evento ho organizzato una sei giorni di banco di degustazione durante la Milano Design Week e il Fuorisalone, in collaborazione con NOlab Academy, polo di formazione in ambito food, fashion e design. Bellissima esperienza che sicuramente rifaremo e stiamo parlando per altre attività da sviluppare insieme. Non svelo altro». Che innovazioni ha portato il suo progetto? «Con il mio ingresso la volontà è quella di poter offrire alla clientela e alla aziende una persona di riferimento costante con cui fidelizzarsi, con cui poter parlare e confrontarsi e costruire progetti condivisi. Ho incrementato gli orari, quindi oggi Enoteca tranne il lunedì, è aperta tutti i giorni in orario continuato. La mescita varia circa ogni 7/8 giorni, organizzo percorsi di degustazione e mini degustazioni gratuite con i vini in mescita per poter far capire al cliente i prodotti. Gli eventi e le collaborazioni sono il punto forte del progetto, poi occorre trovare altre realtà istituzionali e non con cui lavorare in sinergia. Cercare di dare eventi continui, diversi e creare maggiore interazione con i partecipanti. Intendiamo approfondire le tematiche agroalimentari, anche qui ci saranno sor-
Simone Verdi prese. Migliorare la comunicazione tramite i canali sia social che sito internet in modo da poter far capire quanto è ampia la nostra proposta, sia in ambito vino ma anche in ottica cibo e valorizzazione del panorama lombardo. Penso che queste siano alcune cose che già sto cercando di smuovere e che le aziende stiano iniziando ad apprezzare. E’ una sorta di “chance” nuova che viene data all’Enoteca da parte delle aziende e anche a me di poter dimostrare e mettere in campo la mia voglia» Al momento quante aziende e quante etichette trattate? «Abbiamo circa 75 aziende, principalmente dell’Oltrepò, perché chiaramente essendo inseriti in un contesto con una così spiccata tradizione vitivinicola credo sia normale. Ma allo stesso tempo quello che voglio fare è dedicare alcune giornate in cui prenderò appuntamento con le varie aziende per visitare le zone di produzione, soprattutto al di fuori dall’Oltrepò, così da poter avere anche delle selezioni sulle altre zone di produzione della Lombardia. Sarebbe interessante avere anche produttori meno famosi, magari di piccole dimensioni e, perché no, giovani produttori o emergenti in questo campo». Attualmente qual è la vostra “azienda tipo” presente in Enoteca? «Abbiamo sia grandi che piccole aziende. è un mix, perché giustamente questo è anche un punto vendita che deve saper soddisfare le richieste di tutta la clientela, con fasce di prezzo che variano secondo le esigenze. Per quanto riguarda l’Oltrepò cerchiamo di puntare sui vini autoctoni o tipici del territorio. Infatti anche in mescita abbiamo sempre almeno un metodo classico, un metodo classico rosè, un riesling, una croatina, un pinot nero e un buttafuoco, sia storico che non». Voi collaborate con aziende di diverse dimensioni, con diversi target. Quali sono le principali problematiche a cui queste aziende vanno incontro? «Il primo problema è di marketing. Al giorno d’oggi non è solo la qualità che proponi
a far la differenza, ma anche gli strumenti con cui comunichi. Nel 2019 troviamo ancora siti internet non aggiornati o non responsive per il mobile, con immagini vetuste, senza un filo diretto di marketing e grafica che colleghi il web al cartaceo e all’etichetta». Cosa dovrebbero fare le aziende dell’Oltrepò per rendersi più visibili fuori dal territorio? «è fondamentale utilizzare correttamente i social media, strumento gratuito essenziale che amplia la possibilità di interazione e contatti. Questo infatti è un elemento che rientra nel progetto di sviluppo di Enoteca Regionale. Poi c’è anche l’immagine strettamente legata al prodotto da curare: un vino da trenta euro avrà bisogno di un determinato packaging con certi dettagli, quello da 5 euro avrà altre caratteristiche. Nella visibilità di uno scaffale, a meno che non si tratti di un brand già famosissimo, il colpo d’occhio è fondamentale. Insomma penso che più andiamo avanti e più la gente sarà attenta ai piccoli dettagli e quindi è importante osservare come la società e le tendenze intorno a noi mutano, mantenendo ovviamente un legame con il passato». Che eventi avete in programma per i prossimi mesi? «Ci siamo appena associati per la prima volta al Movimento Turismo del Vino Lombardia e abbiamo partecipato per la prima volta a Cantine Aperte. Sono stati due giorni in cui abbiamo fatto una sorta di masterclass con dodici prodotti dell’agroalimentare abbinati alle annate 2012, 2013 e 2014 di Buttafuoco Storico Consortile: “I Vignaioli del Buttafuoco Storico”, in cui abbiamo avuto una quarantina di iscritti. Per Cantine Aperte abbiamo creato un format leggermente differente. Abbiamo sfruttato gli spazi adiacenti della nuova Università dei Saporidi Perugia, con la quale è iniziata una collaborazione che porterà tante cose nuove, in cui abbiamo fatto diciannove banchi di degustazione con altrettanti produttori dell’Oltrepò Pavese e creato una zona interna in cui abbiamo portato otto produttori dell’agroalimentare lombardo. Inoltre lo Chef Daniele Mascherini ha condotto uno showcooking in cui ha presentato al pubblico dieci differenti tipi di ravioli. Per quanto riguarda il futuro proseguiremo con “Incontri di Stile”, format
«Nel 2019 ci sono ancora siti internet non aggiornati o con grafiche vetuste»
«Simone Verdi, designer e grafico, ha presentato all’Enoteca Regionale di Broni un progetto innovativo sulla comunicazione già collaudato lo scorso anno riguardante l’abbinamento cibo-vino e stiamo cercando di rendere le serate sempre più costruttive. Apriremo poi il mese di luglio, che dedicheremo alle bollicine, con la verticale di “La Versa” dedicata al Testarossa che ci porterà a presentare l’annata 2015. Abbiamo inoltre introdotto un nuovo evento fisso che si svolge almeno due sabati mattina al mese, ovvero i “Talk” con i produttori, i quali potranno raccontare i loro vini ai clienti in un format di dialogo totalmente libero e informale gestito dal produttore, il quale può far assaggiare anche referenze non presenti in enoteca. Sul mese di settembre ci saranno interessanti novità con Slow Food e stanno per uscire le date di due cene veramente curiose e diciamo di “gioco” per i partecipanti. Stiamo inoltre valutando un’opzione per Vinitaly 2020, per poter dar la possibilità alle piccole medie aziende che collaborano con noi di poter essere presenti con uno stand comune il prossimo anno a Verona e vogliamo organizzare una grande appuntamento anche con Ais Lombardia, ma come detto prima preferisco non sbilanciarmi troppo, scaramanzia». Per concludere, che risposta si aspetta dal territorio e dalle cantine? «Quello che ho già visto in questi primi mesi. Ho già avuto un bel feedback negli scorsi eventi, principalmente con Cantine Aperte. è ovvio che qualcuno abbia avuto dello scetticismo iniziale, ma ho avuto buoni riscontri da chi ha partecipato sia come espositore che dal pubblico. La cosa fondamentale sarà dimostrare di migliorare sempre di più gli eventi, poter creare uno storico su tutto quello che faremo in modo da capire cosa mantenere, cosa scartare e cosa migliorare con critiche costruttive. Qui la porta è sempre aperta per chi vuole proporre idee. Vedo anche che i giovani produttori, le nuove generazioni si sono già avvicinate, infatti sono entrate nuove aziende gestite da ragazzi della mia età e questo mi fa davvero piacere». di Manuele Riccardi
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La piattaforma digitale del bronese Pedrazzi ospite della Silicon Valley Da Broni alla California. L’innovazione made in Oltrepò sbarcherà in America grazie alla startup “1clickfashion” ideata dal bronese Paolo Pedrazzi, che è stata selezionata – unica in provincia di Pavia – per un programma del Ministero degli Esteri rivolto ai progetti più innovativi. Tre mesi in Silicon Valley con lo scopo di approfondire e migliorarsi. La piattaforma digitale ideata da Pedrazzi e il suo team mira a portare l’intelligenza artificiale al servizio dei negozi fisici, che grazie ad essa potranno connettersi direttamente con i potenziali clienti ovunque si trovino. «Oggi il mercato è cambiato e la gente vuole comprare dove come e quando gli pare» spiega l’ideatore. «Noi, tramite un Pos intelligente che geolocalizza e rende visibile l’inventario di un negozio in tempo reale, permettiamo a chi sta cercando qualcosa di sapere chi lo vende e dove, dando anche l’opportunità di chattare con un commesso». Una vera e propria vetrina interattiva, ma che mira a portare la gente nei negozi anziché a comprare online. « i negozi fisici, come speravamo quando siamo partiti, stanno tornando centrali. La gente, soprattutto nel fashion, vuole vedere, provare e toccare con mano». Pedrazzi, è un’innovazione rivolta solo ai negozi di abbigliamento? «No, riguarda chiunque possa essere interessato ad avere una vetrina e un catalogo online ed essere connesso a una rete globale che gli dia visibilità. è un’occasione per tutti i piccoli negozi, anche la bottega all’angolo. Esistono poi piani di abbonamento diversi, anche di prova gratuita, per capire se fa al caso tuo o no». La piattaforma è sul mercato da qual-
che mese ormai. Che tipo di risposte state ottenendo? «Abbiamo una rete di circa 100 negozi in Italia di cui una decina sono sparsi tra Oltrepò e Pavia, e abbiamo richieste in coda per altri 50 e in continua crescita, ma vogliamo prima concludere i test e attivare il servizio per avere dati e analisi finalizzate a migliorare il prodotto e i bug presenti». In Oltrepò il suo progetto che riscontri ha avuto? «Purtroppo ho incontrato tantissima rassegnazione e sfiducia generale. In Provincia non è facile convincere che senza abbracciare tecnologie digitali e aprirsi all’ecommerce non riusciranno a sopravvivere. Organizzeremo a breve comunque un evento a Pavia e abbiamo attivato un sito dove i negozianti che vorranno, potranno raccontarci le loro storie, speranze, dubbi e perplessità sul futuro che si sta delineando per il retail». Avete ricevuto supporto dalle istituzioni locali per promuovere la vostra offerta? «Comune di Pavia, Polo Tecnologico di Pavia e Università di Pavia, durante la manifestazione Univenture ci hanno supportati e assegnadoci il Premio Silicon Valley study tour ci hanno dato una grossa opportunità. Il Comune di Broni ci ha aiutati ad organizzare un evento a Novembre 2018. Per il resto… il vuoto». Parliamo di quello che porterete in America. Non si parla solo di una simbolica “bandiera” dell’Oltrepò, giusto? «Assolutamente no. Insieme a 1clickfashion porterò anche il progetto “OltreTech” per costituire qui in Oltrepò un incubatore e acceleratore di impresa a sfondo Vinotech/Agritech e Foodtech: sul vino
Paolo Pedrazzi saremmo i primi al mondo a fare una cosa del genere e voglio provare a convincere un po’ di investitori della Silicon Valley a investire sul nostro territorio». Tornando a “1clickfashion”, da quanti mesi state effettivamente lavorando sul territorio e quali difficoltà ha incontrato? «Non nascondo che ci sono stati tantissimi ritardi e difficoltà dovute a questi programmi di accelerazione a cui abbiamo partecipato: troppe persone, i cosiddetti ‘mentor’ a dire la loro per cui ti confesso che ad un certo punto ho pensato di mollare tutto perché uno diceva A, l’altro B io pensavo C e da un sito molto semplice e con uno scopo ben preciso siamo diventati una sorta di mostro a tre teste. Per fortuna poi grazie all’aiuto di alcuni di questi mentor davvero interessati alla causa e persone dai curriculum e dalle skills pazzesche che ho conosciuto frequentando il Founder Institute Silicon Valley a Milano (il più gran-
de e prestigioso acceleratore d’impresa al mondo per partecipare al quale ho dovuto passare una selezione durissima e superare una serie impressionante di sfide e test) siamo arrivati a capire chi siamo e cosa vogliamo fare da grandi. Anche se la persona che forse ha contribuito più di tutti è Stefano Denicolai, che ha sempre creduto in me e nel progetto, oltre ad essere mio amico di lunga data Stefano è uno dei più stimati e rispettati professori di Digital Innovation in Italia e in Europa e i suoi preziosi suggerimenti stanno facendo la differenza». Siete stati anche su Rai Uno recentemente… «Abbiamo partecipato a una puntata di Codice, la trasmissione condotta da Barbara Carfagna, dove abbiamo parlato di Intelligenza artificiale, Visione computerizzata e di quello che è il nostro cavallo di battaglia, lo Unified Commerce. Abbiamo convolto anche un negozio di Casteggio che è stato tra i primi a credere in noi e a voler partire con il progetto. Posso dire che, inconsapevolmente, abbiamo intercettato un trend che si sta affermando e adesso vogliamo diventare i leader globali». di Christian Draghi
«Qui ancora tanta diffidenza, ma senza l’e-commerce i piccoli negozi non sopravvivranno»
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PIETRA DE’ GIORGI
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Sei appartamenti gratis per le famiglie di bambini con tumori del sangue “La Casa dei Melograni” di Pietra de’ Giorgi apre le porte a tutte le famiglie con bambini colpiti da malattie oncoematologiche in cura al Policlinico San Matteo. Il nuovo servizio, primo nel suo genere in provincia e su cui l’amministrazione comunale dell’ex sindaco Gianmaria Testori ha puntato molto, mira ad offrire alloggio gratuito alle famiglie che abitano fuori provincia o Regione che devono recarsi quotidianamente a Pavia per assistere il figlio, con tanto di servizio navetta gratuito. I sei alloggi da 50 metri quadrati sono stati ricavati dall’ex asilo parrocchiale e la durata dell’affidamento dell’alloggio andrà di pari passo con quella delle cure. L’ex sindaco Gianmaria Testori, insieme al neo sindaco Fabrizio Abelli, ci parlano della realizzazione del centro avvenuta con la collaborazione di Agal (Associazione Genitori e Amici del bambino Leucemico). Quando nasce l’idea de “La Casa dei Melograni”? Quando inizia la collaborazione con AGAL? «La Casa dei Melograni nasce durante il mio mandato nel 2017, su mio spunto inizialmente. Agal non rientrava nei piani all’inizio, il progetto viene finanziato tramite fondi di Attivaree di Fondazione Cariplo. Il progetto Attivaree era gestito dall’associazione per lo sviluppo dell’Oltrepò Pavese di Varzi, noi avevamo presentato questa idea di recuperare il fabbricato di proprietà della parrocchia per creare dei mini-alloggi utili a persone in cura presso l’Ospedale San Matteo. Quando abbiamo ricevuto la splendida notizia della possibile realizzazione, abbiamo deciso di coinvolgere AGAL, che è forse l’unica associazione ad occuparsi dell’ideazione di case di accoglienza dello stampo adatto a noi. Siamo andati sul sicuro». Da dove nasce la necessità di creare questa Casa? «Bisogna in qualche modo combattere l’isolamento di questo territorio, fornendo servizi importanti che valorizzino i nostri luoghi e soprattutto che siano necessari e che ancora manchino. Noi ora diamo una grande opportunità alle famiglie con bambini colpiti da malattie oncoematologiche: vivere in un luogo tranquillo, immerso nel verde e nella natura incontaminata, gratuitamente e supportati da ogni tipo di servizio di cui potrebbero necessitare. Li ospitiamo volentieri nel nostro bel territorio che è quello che possiamo offrire e Agal crede che l’ospitalità sia già di per sé parte della cura per queste famiglie, quindi ci crediamo anche noi». Che cos’era prima il fabbricato che è stato utilizzato? «L’edificio ospitava un asilo costruito nel 1955, che già era stato anche oratorio e scuola elementare. Ormai era inutilizzato e la parrocchia ha deciso di cedere i diritto di
superficie al Comune di Pietra de Giorgi». Com’è strutturata la Casa dell’Agal? «In totale sono sei appartamenti, indicativamente ciascuno sui 50 mq; possiedono tutti cucina abitale, camera, ingresso e bagno. In comune hanno anche lavanderia, sala giochi e locali di servizio. Inoltre l’edificio possiede un ampio giardino e un campo da calcio che vorremmo anche utilizzare anche per i bambini e gli abitanti del nostro Comune». Avete già ricevuto delle richieste per l’utilizzo dei locali o è una cosa ancora da prevedere? «La gestione in generale della struttura è proprio dell’Agal, che smista le richieste provenienti dall’Ospedale San Matteo di Pavia, credo in base alla particolarità dei casi. Teoricamente in coda ci sono tre famiglie. Stiamo cercando di ultimare l’arredo degli appartamenti, perché allo stato attuale risulta essere completo di mobili soltanto una unità abitativa». Viene naturale chiedervi però come funzionerà però il trasporto da Pietra de Giorgi a Pavia, non essendo uno dei paesi più vicini alla cittadina? «Il trasporto da Pietra de Giorgi e Pavia, andata/ritorno verrà attuato a novembre. Proprio sempre nel 2017 abbiamo attivato l’Auser nel nostro comune, facendola rientrare sempre nel progetto Attivare. Il servizio è già avviato da tutto il 2018 e si occupa dei vari trasporti dei nostri abitanti che lo necessitano. Esiste un accordo per cui Auser, presa i propri mezzi e il proprio servizio per La Casa dei Melograni gestita da AGAL». Sono rimasti alcuni progetti ancora da completare che risalgono al suo mandato? «Abbiamo concluso quasi tutto, l’unica cosa che è ancora da ultimare è la riqualificazione energetica di alcuni edifici di proprietà comunale: abbiamo già cambiato i serramenti della scuola materna e anche la palestra della scuola elementare è stata rinnovata. Bisogna ancora ultimare qualche cosa e basta».
Il neo eletto sindaco Fabrizio Abelli e l’ex primo cittadino Gianmaria Testori Lei, sindaco Abelli, cosa ne pensa di questa realizzazione? «Ho sempre avuto un’ottima opinione del nostro ex sindaco e come cittadino ho sempre visto Pietra de Giorgi come un comune che lavora bene! Hanno sempre parlato i risultati. Questo servizio che offriamo è merito suo e sono orgoglioso del nostro paese». Avete già spiegato, in una recente intervista, che ci sarà piena collaborazione fra di voi. Avete già delineato dei progetto per il suo mandato o è ancora troppo presto? «È ancora presto ora per dire su cosa ci impegneremo primariamente.
Uno dei nostri obiettivi è quello di aumentare la popolazione e a questo scopo stiamo cercando di offrire un gran numero di servizi all’abitante: abbiamo le scuole, aree verdi molto curate, mezzi di trasporto comunali, una sala comunale polifunzionale, e adesso abbiamo anche La Casa dei Melograni. Prossimamente studieremo nuovi progetti e nuove idee per migliorare ulteriormente il nostro comune. In fondo possiamo dirlo con certezza ormai, che Gianmaria Testori sarà il vicesindaco di Pietra de Giorgi e lavoreremo insieme per il paese». di Elisabetta Gallarati
Nuova struttura gestita da Agal: «Un aiuto per chi viene da fuori e deve assistere i figli quotidianamente» Uno dei sei alloggi da 50 metri quadrati ricavati dall’ex asilo parrocchiale
MEZZANINO
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«Riqualificazione dell’impianto sportivo e nuovo centro ricreativo per anziani» Era il giugno 2018 quando Adriano Piras, imprenditore sardo nel campo della ristorazione, si è seduto sulla poltrona di primo cittadino di Mezzanino. Ad un anno dalle elezioni che l’hanno visto vincente, abbiamo raccolto le sue sensazioni. Sindaco, come è andato questo primo anno? «La sensazione è che i cittadini collaborano e hanno un punto di riferimento nella nostra amministrazione. Sicuramente è troppo presto per tirare le somme e fare bilanci, però ci stiamo impegnando tutti insieme e ci stiamo mettendo un grosso impegno per far si che questo comune migliori giorno dopo giorno». Cosa ha fatto per il suo paese in questo primo anno da Sindaco? «La prima cosa che abbiamo fatto è stata la ristrutturazione della scuola elementare primaria. La scuola per la nostra amministrazione era una cosa importantissima per fare in modo che i nostri bambini avessero una struttura adeguata, idonea e sicura per affrontare l’anno scolastico. L’altra cosa importante che è stata fatta da questa amministrazione è l’incrocio della via Malpensata che collega la via Roma, in modo tale che le nostre aziende fossero agevolate nel transito dei camion e dei tir». Di solito in Oltrepò le strade rappresentano sempre un problema. La situazione nella vostra zona com’è? «Le strade del nostro paese erano in condizioni pessime: abbiamo già iniziato ad asfaltare una zona di circa 400 metri, una zona residenziale che veramente non era mai stata toccata. Altri lavori di asfaltatura sono stati fatti nella via Cassinetta e nella via Palazzo. Molte altre sono ancora in programma».
«Siamo riusciti ad aggiudicarci in un’asta un terreno di circa 4000 metri quadri. Nascerà un parco per gli adulti»
«La diatriba con il mio predecessore ha assunto toni normali…»
Adriano Piras, sindaco di Mezzanino
Altri lavori fatti in questo primo anno di mandato? «Abbiamo iniziato la riqualificazione dell’impianto di illuminazione in tutto il paese: sono stati riqualificati oltre duecento punti luce e inoltre sono stati aggiunti circa ottanta punti luce in più nelle zone che ne erano sprovviste. Proprio nei giorni scorsi, poi, siamo riusciti a aggiudicarci in un’asta un terreno di circa 4000 metri quadri, che nel corso degli anni era diventata una discarica a cielo aperto e insieme all’amministrazione abbiamo deciso di bonificarlo e creare un parco per gli adulti. Sarà anche una zona cani dove i nostri piccoli amici a quattro zampe avranno il posto e lo spazio dove sfogarsi e dove giocare. In collaborazione con il parco del Ticino, che ringraziamo tantissimo, siamo entrati in un progetto sperimentale e ci hanno portato circa quaranta piante di ciliegio selvatico, con cui è stato piantumato tutto il viale del cimitero e anche lì saranno messi dei punti luce per far sì che la strada sia illuminata». In merito al tanto nominato “Ponte della Becca” ci sono novità? «Per quel che riguarda il Ponte al momento non ci sono novità sostanziali. Stanno continuando le manutenzioni per migliorare la situazione. La nostra amministrazione è sempre stata sensibile al problema e a questo tema: abbiamo costanti incontri con la Provincia, con la Regione e il Ministero per far sì che il ponte venga co-
struito. Proprio qualche mese fa sono stati assegnati 800.000 euro da parte della Regione. è nato però un piccolo problema: da novembre 2019 lo studio di fattibilità è stato spostato a gennaio 2020 e questo potrebbe creare ostacoli in quanto i lavori vengono programmati con cadenza quinquennale. Abbiamo parlato con i vari Ministri, con i vari Onorevoli e Consiglieri Regionali… l’Onorevole Lucchini, il Ministro Centinaio e il Senatore Mura stanno battagliando in modo tale che il ponte venga fatto. Parlando con il Ministro Toninelli sono stato rassicurato sul fatto che i soldi sono stati stanziati e se tutto va bene entro il 2023 dovrebbero iniziare i lavori per il nuovo ponte». Altri progetti in cantiere per Mezzanino? «Per il futuro abbiamo un grosso progetto che stiamo definendo, sempre con gli assessori e la giunta comunale, e che riguarda l’impianto sportivo e il nuovo centro ricreativo per gli anziani: un bel progetto a cui stiamo lavorando, che coinvolge tutta la popolazione dai bambini ai ragazzi, agli anziani. Verrà riqualificato l’impianto con spogliatoi nuovi, un centro ricreativo, un nuovo campo di calcio. E ancora un campo di beach-volley e una palestra dove potremo fare delle attività insieme ai bambini della scuola e tutti ragazzi di Mezzanino. Poi abbiamo in programma un impianto di videosorveglianza dove copriremo tutti gli ingressi di Mezzani-
no con lettura targhe e tante telecamere con cui tutte le scuole, musei, comune, quartieri e periferie saranno controllate 24 ore su 24. Abbiamo anche organizzato dei corsi di primo soccorso ed è stato installato un nuovo defibrillatore: abbiamo in programma di metterne altri, per far sì che Mezzanino diventi un paese cardioprotetto, visto anche il numero elevato di anziani che abbiamo nel nostro paese». Si vocifera di qualche diverbio con l’ex sindaco Zoppetti. Cosa può riverlarci? «La diatriba con il mio predecessore ha assunto toni normali… a volte c’è qualche opinione diversa, ma tra maggioranza e minoranza direi che è del tutto normale». I cittadini cosa le dicono quando la incontrano? «Sono contenti del nostro operato. In un anno tante cose sono state fatte e molte sono in programma. Sono contento del rapporto che si è creato». A Mezzanino tempo fa c’erano stati problemi per la corretta erogazione dell’acqua. è tutto risolto? «Il problema si è risolto tempo fa e non ci sono state più problematiche. La questione era nata durante i lavori di ristrutturazione della torre per la modificata pressione e il conseguente livello dell’acqua. Ma adesso è tutto ok». Come si potrebbe sfruttare il fiume secondo lei? Ci sono iniziative in questo senso? «Sarebbe bellissimo realizzare un attracco e poter organizzare gite in barca per i turisti per dare più visibilità al nostro territorio. Certo avere un Ponte nuovo aiuterebbe a risollevare l’economia della nostra area e di quelle limitrofe». Cosa si aspetta per il futuro? «Sto affrontando la prima esperienza come sindaco e voglio riuscire a realizzare tutto quanto ho promesso. Ho la fortuna di essere affiancato da consiglieri preparati che giorno per giorno mi aiutano in questo percorso: insieme siamo veramente una grande squadra e il nostro obiettivo è quello di rendere Mezzanino un paese in crescita». di Elisa Ajelli
STRADELLA
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«Mi sembra ovvio dover presentare prodotti di qualità e personali» “La Stalla del Coriggio” è una grande e imponente cascina che si erge su una piccola strada di campagna che collega l’Oltrepò pavese al vicino capoluogo di provincia. Oggi è un agriturismo, ma La Stalla nasce in tempi antichi e Cesare Cantù, che l’ha ereditata dal padre, ne è il proprietario. Ha deciso di studiare alla facoltà di Agraria dell’Università di Piacenza e riprendere così in mano un’attività che stava perdendo il suo valore originale. Che cos’è la “Stalla del Coriggio”, quando nasce? «La cascina, a corte chiusa lombarda, nasce attorno al 1800 ed era di proprietà della famiglia Arnaboldi, i conti che avevano molti possedimenti in queste zone. Il mio bisnonno la acquistò e fu sfruttata inizialmente per allevare il bestiame e per la produzione cerealicola. Nel 2008 mio padre, che era medico dermatologo a Broni e a Pavia, la rese un agriturismo, trasformando la stalla dismessa, nell’attuale sala interna. L’attività la chiudemmo nel 2012 e ho deciso di riaprirla io l’anno scorso». Rimane chiusa circa cinque anni. Per quali motivi? «Le spese erano parecchie. Mio padre era medico e l’azienda agricola era difficile da seguire essendo nella sua posizione e dovendo assumere parecchio personale. Quando io mi sono laureato in agraria presso l’Università di Piacenza, ho pensato di riprendere in mano innanzitutto l’azienda e, quando me la sono sentita, di riaprire anche l’agriturismo». Quali sono le produzioni della vostra fattoria? E quali prodotti acquistate invece da altre aziende? «Dal punto di vista cerealicolo si producono: frumento, erba medica, ceci e il sorgo, che è una granaglia a uso zootecnico; produciamo anche miele e insaccati coi nostri suini che acquistiamo fin dai piccoli. Frutta e verdura sono del nostro orto e le farine che utilizziamo per fare la pasta sono di nostra produzione. Acquistiamo vino e formaggi da aziende dell’Oltrepò e per l’estate abbiamo anche la birra artigianale. Il riso viene acquistato nel pavese». Se dovessi fare un confronto fra l’azienda che era di tuo nonno e quella tua attuale, troveresti molte differenze? «Mio nonno, per quel che ricordo, aveva la stalla piena di bestiame e l’attività era più remunerativa attraverso l’allevamento; ormai i tempi sono cambiati e non potrei più vivere solo di quello: ora produciamo per noi, per il ristorante e per la vendita a privati e negozianti. Ovviamente a differenza del passato, ho investito molto per ristrutturare tutto e per fornirci di mezzi moderni per lavorare. La nostra è un’azienda di medie dimensioni, abbiamo circa sessanta ettari di terreno coltivabile e la produzione di cereali è abbastanza proficua, ma il loro
Cesare Cantù, “fattore” di La Stalla del Coriggio
prezzo è calato molto ed è difficile competere con i prodotti più scadenti ma più economici provenienti dall’estero». Dove vendete i vostri prodotti? «I nostri prodotti li vendiamo in molto negozietti dell’Oltrepò e del pavese, ma anche a clienti privati e tramite vari mercatini a cui partecipiamo il sabato e la domenica. Prepariamo cesti natalizi per le feste». Producete anche il miele, come procede la sua lavorazione? «Il miele prodotto in agricoltura non è paragonabile a quello che si trova al supermercato. La prima fioritura è quella dell’acacia e le api cominciano a produrre miele che una volta depositato può essere raccolto, fatto asciugare e lavorato in apposite centrifughe in laboratorio. Una volta che ha decantato per quindici giorni si può raccogliere in vasetti. La prassi è molto lunga ma il nostro prodotto è davvero ottimo e abbiamo un ottimo riscontro con la clientela». La zona in cui siete non è molto di passaggio, pensi che questo sia un punto a favore o a sfavore? «Sì, la strada non è molto trafficata e inizialmente il fatto che la gente non mi conoscesse e la mancanza di segnaletica, erano cose che mi spaventavano di più. Ormai la gente ci conosce e siamo anche sul portale agriturismo.it, un portale fondamentale per le aziende come la nostra e la gente ci raggiunge quindi facilmente. Siamo immersi nel verde e i nostri clienti vengono soprattutto per questo, poi ci troviamo sulla strada che porta a Pavia ma anche vicino alle colline, quindi è facile che le persone ne approfittino per fare una gita fuori porta e decidano di fare una sosta nella nostra cascina. Siamo anche molto attivi sui social, come “Stalla del Coriggio”». Quali sono i vostri punti a favore rispet-
to ad altri agriturismi? «Come dicevo prima, la nostra zona immersa nel verde è uno dei nostri vanti; abbiamo ampio spazio che ci permette di ospitare anche grandi comitive o battesimi e comunioni, abbiamo una qualità dei prodotti molto elevata. La gente sta iniziando a capire quanto sia importante mangiare prodotti sani e genuini proprio per la propria salute. Inoltre abbiamo un rapporto molto stretto col cliente, ci piace entrare in confidenza e spesso raccontare la nostra storia facendo visitare le sale; abbiamo il tavolo da ping pong nell’area di gioco, gli sdrai per prendere il sole e anche molto altro». Cosa ne pensa della rigidità delle normative a livello europeo che regolano lo statuto degli agriturismi? «Ci sono molte regole per un agriturismo, ma io credo che molti non le rispettino nemmeno. Personalmente mi trovo d’accordo con le varie leggi. Si chiede un 40% minimo di prodotti che provengano dalla propria attività (ortaggi, carni, farine, uova, ecc) ed è un elemento che contraddistingue l’agriturismo da un normale ristorante. La parte più difficile del rispettare le norme è che ogni agriturismo potrebbe ospitare esclusivamente un numero di persone che rispecchi il totale dei propri prodotti: in pratica più produci e più clientela puoi avere, ma è chiaro che se si tratta di allevamenti e agricolture intensive allora non si tratta più di produzione famigliare, quindi vengono stabiliti dei massimali da non sforare». Perché crede che la Regione sia così fiscale con le normative che vi regolano? Cosa vi garantisce in cambio del rispetto di queste regole? «Le regole vanno rispettate perché senza di esse non si avrebbe distinzione fra una
trattoria qualsiasi e un vero agriturismo. Mi sembra ovvio dover presentare prodotti di qualità e personali. Ovviamente esistono degli incentivi, elargiti ogni 4-5 anni per le ristrutturazioni inerenti a fabbricati come il nostro; abbiamo una riduzione dell’iva al 10% e un incentivo annuale per chi ha meno di quaranta anni e viene considerato quindi un giovane agricoltore. Qualcosa abbiamo che ci aiuta. Chiaramente da zero sarebbe stato comunque impossibile aprire da solo tutto quanto, io partivo da un’azienda già ben avviata da mio padre ed è stato più semplice, ma in generale i costi sono davvero elevati. Personalmente ho aderito anche a una delle misure agro-ambientali regionali, per la quale abbiamo inserito, nel nostro caso, mille giovani alberi (fra aceri, pioppi, ecc) acquistati da un grosso vivaio piantandoli all’interno di una lunga siepe di bargnolino: in questo modo abbiamo recuperato un’area non coltivabile e per 25 anni riceveremo un piccolo contributo statale per la manutenzione ordinaria. Ovviamente la manutenzione del verde la faccio personalmente e dobbiamo preoccuparci noi di quella zona». di Elisabetta Gallarati
«Ci sono molte regole per un agriturismo, ma credo che molti non le rispettino»
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STRADELLA
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«Ho notato l’esigenza di un rinnovamento» Alessandro Quaroni, classe 1998, è il più giovane consigliere eletto della lista vincente di Alessandro Cantù, neo sindaco della città di Stradella. Figlio di Amedeo, primo cittadino di Montù Beccaria, ha respirato politica fin da piccolo e ha poi deciso di candidarsi con il gruppo “Cambiamo Stradella” che ha trionfato lo scorso 26 maggio. Alessandro, da quanto tempo si interessa di politica? «Praticamente da sempre. Della pura amministrazione locale fin da piccolo, quando mio papà è diventato Sindaco nel 2006. A lui facevo sempre domande su come funzionavano le questioni della macchina amministrativa: io allora ne capivo poco e lui mi spiegava in modo molto semplice le cose. Poi, verso i 16 anni, ho iniziato a interessarmi ancora di più, anche alla politica nazionale e ai vari partiti…per poi poter essere pronto, una volta raggiunti i 18 anni, a votare». Suo papà Amedeo è stato importante in questo suo percorso? «Decisamente sì. Lui è stato anche fortunato…io lo dico sempre…perché molti miei coetanei vedono la politica come una cosa brutta e lontana, mentre io l’ho sempre percepita come qualcosa di molto vicino, come una persona che fa questo mestiere con passione per i propri concittadini». Lei quindi ha masticato politica da sempre…le sue tappe quali sono state? «Sono state poche. A 19 anni mi sono iscritto a Forza Italia e poi mi sono can-
didato come consigliere per queste ultime comunali a Stradella». Come mai ha deciso di candidarsi proprio adesso? «Non pensavo che mi sarei mai candidato a dir la verità! Ma vedendo la situazione di Stradella, che secondo me si stava un po’ adagiando e con le manifestazioni che, seppur belle, erano sempre quelle, ho deciso di fare questo passo. Ho notato l’esigenza di rinnovamento. Ho visto che il commercio fa fatica. E nel frattempo mi è arrivata la richiesta di far parte del gruppo di Cantù: nella lista non c’erano giovani e quindi ho accettato». Lei intanto nella vita cosa fa? «Studio fisioterapia all’Università di Pavia e sono al secondo anno». è consapevole che con questo ottimo risultato ottenuto dovrà dedicare molto del suo tempo alla politica? «Sì sì…dovrò fare una valutazione sui miei vari impegni. Già l’anno scorso facevo due sport e adesso dovrò vedere come fare…». Si aspettava questo risultato? «Ci speravo tanto, nel senso che speravo che i giovani come me mi dessero fiducia nel poter ‘parlare per loro’. Penso che i giovani si debbano battere e proporre in prima persona per combattere i bisogni e le necessità, perché altrimenti nessuno lo fa per loro. Sapevo che mio papà è molto conosciuto e grazie a lui ho incontrato tante persone durante la campagna elettorale: da loro vedevo sensazioni positive. Non mi aspettavo forse un risultato così eclatante,
Alessandro Quaroni, il più giovane eletto della Lista vincente di Alessandro Cantù
ma pensavo comunque di poter fare una bella figura». Come valuta tutto il percorso della campagna elettorale? «è stato un periodo molto bello, un’esperienza arricchente. Ho visto come fare le cose e ho anche capito certi errori che ho fatto e quindi situazioni che rifarei in un altro modo. Ho avuto comunque tante persone accanto che mi hanno aiutato ed instradato e tanti amici che mi hanno supportato, facendo passaparola e standomi vicino quando avevo più bisogno». Adesso cosa si aspetta? «Mi aspetto di imparare tanto e quello che imparerò di poterlo investire nel consiglio comunale e nelle eventuali cariche che mi verranno date da adesso in poi. Punterò sul dare qualcosa ai giovani, che in questo periodo sono il capro espiatorio per tante cose…e forse sono anche loro che a volte
non fanno nulla per non meritarsi queste “accuse”: la società in effetti finora non li ha aiutati molto e io spero di poter fare qualcosa di bello. Anche per lo sport, che è un tassello fondamentale per la crescita di ogni ragazzo». Prima ha parlato anche di eventi per la città… «Lavoreremo molto anche su quello, cercando naturalmente di tenere tutto il buono che finora è stato fatto. Vorremmo rinnovare le manifestazioni, facendo cose nuove, magari utilizzando anche il palazzetto dello sport, anche all’esterno…può essere un posto dove poter fare eventi…ma vedremo bene più avanti». Come vede il neosindaco Cantù? «Io l’ho conosciuto molto prima di queste elezioni, perché veniva in oratorio ad aiutare: è stato fondamentale anche in quel ruolo. Poi ho imparato a conoscerlo anche dal punto di vista istituzionale ed è stato bravissimo ad essere sia l’amico che incontri per strada, sia la figura più ‘politica’. Già nel suo primo intervento qualche giorno fa è stato molto elegante e di impatto». Cosa vi siete detti dopo questa vittoria? «Ce l’abbiamo fatta e adesso al lavoro!. Il sindaco ci ha subito messo al corrente delle prime azioni da fare e abbiamo imbastito le prime questioni». Suo papà come ha reagito? «Lui è stato davvero fondamentale per me. Un punto di appoggio adesso e lo sarà sicuramente nei prossimi anni. è molto felice anche lui ed è orgoglioso di me». Ha un po’ di timore per quello che lo aspetta nei prossimi anni? «Forse il timore di poter deludere chi ha creduto in me, ma credo che sia un’ansia positiva che mi può aiutare a fare sempre meglio. So che dovrò studiare molto ma lo farò molto volentieri». di Elisa Ajelli
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«Aprirà in Comune la sede culturale del Pinot Nero» Potenziare il museo del cavatappi e creare la “sede culturale” del Pinot Nero. Sono questi i primi due impegni per il neo-rieletto sindaco di Montecalvo Versiggia Marco Torti, che ha appena inaugurato il suo secondo mandato. Sindaco, cosa ha in serbo per il museo del Cavatappi? «Si tratta di un progetto che si è potuto realizzare con la collaborazione di ‘Attivaaree’. In pratica ci hanno fornito dei proiettori video per proiettare immagini che parlano della zona. Un progetto che si concretizzerà a luglio quando faremo l’inaugurazione». Già di per sé è una realtà unica in Italia. Sta riscuotendo successo? «Assolutamente sì, è unico nel suo genere in Italia. È aperto solo la domenica dalle 15 alle 18 oppure su richiesta. Nel caso basta chiamare in Municipio e chiedere. Funziona bene anche se le visite non sono
numerosissime, ma tutte le domeniche c’è qualcuno che viene nel nostro Museo. È una realtà che per alcuni può sembrare ‘strana’, ma fare un museo del genere ci è sembrata una giusta conclusione per il territorio». Il progetto legato al Pinot Nero invece cosa prevede? «Come comune abbiamo ristrutturato tutto il primo piano del municipio e pensavamo di fare diventare questo posto la sede culturale del pinot nero: un centro unico in Oltrepò, con lo scopo di lavorare per il territorio e ricostruire la memoria di questo vino. Un centinaio di anni fa, nella nostra zona si è cominciato a piantare Pinot nero al fine di produrre spumante. E poi la produzione di pinot è diventata il business locale. Volevamo quindi ricordare questo, creando un centro di documentazione che raccogliesse tutto quello che riguarda questo settore a disposizione di chi ne volesse
usufruire. Uno sguardo al territorio diverso, come non c’è stato finora, vedendolo anche come integrazione di diverse realtà, imprenditoriali e culturali». Quando si realizzerà? «Ci auguriamo di inaugurare prima della fine dell’anno. Il locale è stato ristrutturato, lo stiamo arredando, ma rimane in fase di definizione la parte gestionale. Stiamo studiando come gestire e definire al meglio tutto quanto. Pensavamo inoltre di coinvolgere qualche Università e qualche imprenditore locale del vino, non solo di Montecalvo, ma tutti coloro che in zona producono uve e vino pinot nero». Ha appena iniziato un nuovo mandato ma un altro si è concluso. Che cosa siete a realizzare nei primi cinque anni di Amministrazione? «Devo dire che la prima esperienza amministrativa ha rappresentato un periodo fortunato dal punto di vista dei lavori: siamo
Marco Torti
infatti riusciti a fare parecchie cose. Abbiamo riqualificato tutta l’illuminazione pubblica, sostituendo i lampioni con luci a Led che permettono un grande risparmio energetico, abbiamo asfaltato parecchie strade. E abbiamo infine riqualificato anche l’edificio comunale esternamente e fatto lavori di manutenzione straordinaria al cimitero. Quindi, nonostante le scarse risorse, mi sento di dire che abbiamo lavorato bene». è stato rieletto Sindaco. La gente le ha dato dimostrazione di aver apprezzato quanto fatto nel mandato precedente. «Certo. In questa nuova giunta abbiamo cambiato un po’ di persone, cercando di dare spazio ai giovani. Penso che proseguiremo nel senso della continuità di quanto realizzato finora». di Elisa Ajelli
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«In Oltrepò non abbiamo bisogno di ragionieri, ma di “folli innamorati” del territorio» A Rovescala, comune di circa 900 anime, chiuderà lo sportello bancario presente in paese da tempo immemorabile. Un servizio che causerà non pochi problemi al commercio e alla popolazione, soprattutto anziana. Abbiamo intervistato Marco Pozzi, commerciante di 44 anni che, da più di vent’anni, gestisce con la sorella Silvana un negozio di prodotti tipici nel paese. Nonostante le difficoltà del commercio nei piccoli paesi, ha deciso in controtendenza di allargare la propria attività, riaprendo il banco macelleria che mancava in Rovescala da più di 25 anni. Marco, quando avete iniziato la vostra attività a Rovescala? «Esattamente ventun’anni fa, quando io avevo ventitre anni e mia sorella sedici, aprendo una latteria con vendita di prodotti confezionati ed edicola, chiamata “Milk & News”. Gli inizi non sono stati di certo facili: era il luglio del 1998 e ho aperto l’attività accendendo un mutuo per comprarmi la licenza. L’anno successivo, con “Decreto Bersani”, è avvenuta la liberalizzazione delle licenza. Mi hanno stroncato subito! Non mi sono demoralizzato, mi sono rimboccato le maniche e sono andato avanti. Poco dopo ho iniziato ad inserire altri prodotti, tra cui pane e salumi. All’epoca eravamo tra i pochi della zona ad aver aperto anche la domenica mattina, perché era “zona turistica”, quando negli altri centri le attività commerciali invece erano chiuse. Però come “zona turistica” pagavamo anche più tasse… Ora gli orari sono più liberi. Circa undici anni fa ho trasferito l’attività in un altro negozio più ampio, aprendo “Pozzi di bontà”. L’obiettivo che ci eravamo prefissati era quello di essere sempre al top con la qualità, e penso di poter dire di esserci riuscito». Da quando avete aperto, com’è cambiata Rovescala? «Negli ultimi anni il paese è cambiato parecchio. Durante l’estate molti erano i giovani e i bambini che dalla città venivano portati in vacanza dai nonni. Era un vera e propria località di villeggiatura. Ora, diminuendo gli anziani, parecchie case sono chiuse e trascurate, senza utenze per evitare di pagare più tasse come seconda casa. Bisognerebbe incentivare la riapertura di queste abitazioni, almeno nella stagione estiva. In vent’anni il numero di residenti è calato parecchio, di circa il 30%. Quando abbiamo iniziato c’erano due panetterie, una salumeria, un alimentari e un ortolano. Ora, dopo la chiusura dello storico panificio Molinelli, siamo rimasti solamente tre negozi. Rovescala è un paese che fino ad oggi ha garantito ogni tipo di servizio alla sua po-
«Rovescala è stata citata da “Il Sole 24 ore” come Comune con il maggior numero di conti correnti dormienti» polazione: oltre alle attività commerciali ci sono il comune, la banca, la posta, la farmacia e il medico. Tutti concentrati nel centro del paese, in soli 500 metri». Come mai allora dopo venticinque anni ha deciso di riaprire anche la macelleria? «Per l’amore che ho verso il mio paese mi sono sentito di dover dare questo servizio . Ho così scelto di avvalermi di un artista del mestiere in pensione che mi sta insegnando il lavoro e le nostre carni sono tutte di prima qualità, provenienti da un macello del Carmine. Io ho investito qui, vivo qui e ho fatto famiglia qui. Anche mia sorella, dopo un breve periodo di residenza a Broni, presto tornerà ad abitare con la sua famiglia a Rovescala. In questi vent’anni ho investito parecchio nella mia attività, facendo numerosi sacrifici. Certo, non è Milano e non ci sono quei numeri, ma il negozio mi ha sempre permesso di vivere una vita dignitosa, pagando gli investimenti iniziali. Se avessi dovuto guardare solo l’aspetto economico avrei accettato offerte che mi erano state fatte negli anni per lavorare altrove. Non so se ho fatto bene o male, ma ho scelto così. Io penso che una persona anziana o dei bambini possano vivere molto meglio in un paesino in cui ci sono tutti i servizi essenziali». Che tipo di clientela c’è a Rovescala? Locale o di passaggio? «Posso dire che un 80-90% è tutta clientela del paese, che garantisce una certa costanza nelle vendite. Principalmente clientela anziana. Poi c’è la clientela “estera”, quella che viene qui in zona a prendere il vino, soprattutto in primavera: persone che mi conoscono già e passano quelle due o tre volte all’anno per portarsi i nostri prodotti tipici in città. Con l’aggiunta della macelleria, visto che qui in zona ce ne sono poche, spero di poter allargare la mia clientela anche ai paesi limitrofi». Dopo tanti anni a Rovescala chiuderà la storica banca. Che tipo di ripercussioni potranno esserci sul paese? «La banca qui a Rovescala esiste da parecchi anni, si dice da prima della guerra.
Marco Pozzi, commerciante da più di vent’anni
è un servizio che mancherà parecchio, soprattutto a chi è abituato ad avere il propri risparmi in paese. Ultimamente stanno girando anche voci sull’ipotetica chiusura dell’ufficio postale. Purtroppo sono segnali brutti. L’unica arma che abbiamo è quella di rimanere uniti come popolazione, portando avanti obbiettivi comuni. Io non voglio che il mio paese muoia. Innanzitutto dobbiamo volerci bene tra di noi e avere cura del territorio e degli immobili, come terreni e case. Perché è anche quello che da valore ad un territorio. Prendiamo come esempio Barolo e Barbaresco: cosa costa un ettaro di terreno in quella zona? Hanno saputo dare un valore al territorio e al proprio vino. Sono convinto che in un paese con il giusto valore immobiliare la banca non sarebbe mai stata chiusa. C’è anche un altro dato interessante: sei mesi fa Rovescala è stata citata da “Il Sole 24 ore” come Comune con il maggior numero di conti correnti dormienti. Questo dimostra che la popolazione tende a non investire, ma a mantenere liquidità». Che rapporto avete voi commercianti con le associazioni locali? «Fino a quattro anni fa ero stato vicepresidente della Pro Loco, ma ho dovuto dimettermi per questioni di tempo. Quando si prende un impegno bisogna anche essere in grado di saperlo mantenere. Qui a Rovescala abbiamo una Pro Loco e un Gruppo Alpini che funzionano benissimo, come anche l’Auser e la biblioteca. Queste associazioni aiutano parecchio la popolazione e il commercio del paese. Quest’anno la “Primavera dei vini” ha riscosso un grande successo e si è potuto anche notare
che il livello dei vini in degustazione si è parecchio alzato». Cosa servirebbe a questo territorio per ripartire? «In Oltrepò non abbiamo bisogno di ragionieri, ma di “folli innamorati” per il territorio. Servono persone che riescano a “vedere oltre”, senza pensare a “Ce la farò? Non ce la farò?”. Abbiamo bisogno anche di sogni, perché secondo me le più grandi scoperte sono nate dai sogni, non con l’immediato intento di fare soldi: dopo il successo arriva la rendita. Servono visionari, come il Duca Denari. Lui amava il territorio e amava “La Versa”, non lo faceva solo per il denaro. Poi sono arrivati i ragionieri, l’hanno cacciato e abbiamo visto che fine abbiamo fatto. Lui voleva il “prestigio”, non voleva che fosse la cantina più ricca d’Italia, ma quella più sana e prestigiosa. Bisognava andare avanti con la sua mentalità, non ribaltare tutto. Il visionario vede cose che gli altri non vedono e i risultati non si hanno subito, ma solo dopo anni. Si tende a giudicare negativamente nell’immediato, ma poi col tempo gli si deve dare ragione. Serve sinergia di qualità tra produttori, commercianti e artigiani, oltrepassando i campanilismi. Sarà anche un’utopia, ma l’unica arma che abbiamo è rimanere uniti. Gli eroi sono quelli lavorano per migliorare il loro territorio. Io ho sofferto tanto per certe parole che non mi meritavo, ma ho tenuto duro. Vorrei insegnare a mia figlia l’amore per il territorio: vai pure in città o all’estero per imparare di più, ma poi torna per migliorare casa tua». di Manuele Riccardi
sport
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è vogherese il campione di Bridge Voghera vanta innumerevoli talenti, nel campo dell’arte ma anche in quello dello sport. Tutti ricordano Giovanni Parisi, moltissimi conoscono l’arciere “d’oro” olimpionico Mauro Nespoli. Recentemente la nazionale italiana di bowling, guidata anch’essa da un vogherese, era assurta all’onore delle cronache per essersi laureata campione mondiale. In pochissimi però sanno che esiste un’altra nobile disciplina in cui Voghera vanta un campione di livello mondiale: il Bridge. Il celebre gioco di carte conosciuto in tutto il mondo vede infatti in Massimo Lanzarotti uno dei suoi esponenti più bravi. Due volte campione mondiale, tre volte campione europeo e vincitore di innumerevoli campionati italiani, Lanzarotti oggi dirige l’Associazione Bridge Voghera, una realtà nata nei primi anni ’60 che conta oggi più di cento iscritti e disputa tornei due volte alla settimana, il lunedi e il giovedì, presso il circolo “Il Ritrovo”. «Chiunque voglia avvicinarsi al bridge è il benvenuto» dice Lanzarotti, che non nasconde le difficoltà avute negli ultimi anni. «Non ci sono insegnanti, per cui negli ultimi anni non abbiamo più tenuto corsi, anche se dal prossimo autunno l’idea è quella di farli ripartire, anche in virtù degli investimenti che la Federazione sta facendo per promuoverlo a livello scolastico». Quanto costa l’iscrizione all’associazione? «L’iscrizione all’associazione è gratuita, si paga la tessera della Federazione, che ha un costo variabile a seconda del tipo di agonismo che si pratica, con cifre che variano da 20 a 100 Euro all’anno». Perché, secondo lei, rispetto al Bridge, il Poker e il Burraco attirano un pubblico maggiore? «Per imparare a giocare a Bridge ci vuole tempo e applicazione, bisogna studiare e anche trovare un partner di gradimento… se si riesce a superare il primo scoglio, è un gioco che ti prende completamente, ha dei risvolti che negli altri giochi non ci sono. Si può paragonare agli scacchi, giocato con le carte». Come vede proiettato il Bridge, sia a livello locale che nazionale? «Il problema è quello dato dalla mancanza dei giovani, anche se negli ultimi anni la Federazione lo sta promuovendo anche a livello scolastico, con esito positivo». Ci sono altre associazioni di categoria, in Oltrepò, con le quali collaborate? «Sì, le più vicine a noi sono a Pavia ed Alessandria, con interscambio di partecipazione ai tornei». In che modo vi finanziate? «Ci finanziamo con le iscrizioni ai tornei, dai quali si trattiene una piccola quota per comprare i materiali». Come si è avvicinato a questo gioco, che si caratterizza per essere un misto tra
Massimo Lanzarotti ha vinto Europei e Mondiali, oggi presiede l’Associazione Bridge Voghera tresette e briscola? «Mi sono avvicinato per caso, perchè da ragazzo frequentavo un bar dove c’erano diversi giocatori di Bridge». Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato? «Onestamente nessuna, perché la passione che avevo era talmente alta che è sempre stato un piacere». Lei è considerato tra i migliori giocatori del mondo. Pensa che i suoi successi abbiano dato una spinta alla diffusione del bridge? «Sinceramente penso di no. La massa non conosce quello che succede ad un certo livello; la diffusione può venire solo dai corsi». Ci racconti il suo primo ricordo, legato a uno dei tornei internazionali che ha disputato.. «Il primo ricordo è legato al 1995, anno in cui vinsi il Campionato Euro-peo. Eravamo una squadra composta da quattro debuttanti e abbiamo vinto agevolmente; la mia è stata la miglior coppia del Campionato». Quali sono i prossimi tornei ai quali parteciperà? Come si è qualificato negli ultimi? «Prossimamente andrò a Istanbul e successivamente a Las Vegas nell’ambito di due manifestazioni internazionali; quest’anno abbiamo già vinto due tornei importanti ed a Marzo ho rivinto col mio compagno il Campionato Italiano». Secondo lei, come si riconosce un talento? Come in tutti gli sport ed in tutti i giochi, penso che il talento di una persona si scopra in poco tempo, mentre alcuni possono diventare buoni giocatori con lo studio e l’applicazione, anche se difficilmente diventeranno dei fuoriclasse». di Federica Croce
Massimo Lanzarotti
Nell’immaginario un passatempo da re e regine, il Bridge è un gioco di carte tra i più “colti” al mondo. Ha un antenato nel gioco inglese conosciuto come “Whist”, praticato dal XVI secolo e molto popolare nell’800. Nel corso degli anni ha subito diverse modifiche, sia nelle tecniche di gioco che nel numero dei giocatori. Significative varianti che hanno avvicinato il gioco a quello moderno sono arrivate da Francia e Stati Uniti nei primi decenni del ‘900. Anche l’Italia ha un ruolo fondamentale: il napoletano Eugenio Chiaradia (1917-1977) è stato uno dei giocatori più bravi di tutti i tempi, inventore del metodo conosciuto come “fiori napoletano”, ed è ritenuto il fondatore del Bridge Moderno. Oggi si gioca in quattro con un mazzo
da 52 carte francesi. I giocatori che giocano insieme e formano una coppia si siedono uno di fronte all’altro. Le due coppie prendono il nome dei punti cardinali: Nord/Sud giocano contro Est/ Ovest. L’ordine gerarchico delle carte, dalla più alta alla più bassa, va dall’asso al due. Le carte si distribuiscono in senso orario. I meriti del bridge dal punto di vista formativo, sia accademico che professionale, sono stati più volte messi in evidenza: spesso viene preso come esempio di studio nella teoria dei giochi e nel calcolo delle probabilità. Tanti personaggi ne hanno scritto, come ad esempio il matematico Émile Borel. Di recente anche Bill Gates e l’economista milliardario Warren Buffett si sono impegnati attivamente a diffonderne la conoscenza negli Stati Uniti.
MUSICA
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«La musica deve spostarsi dai luoghi tradizionali» Più che un gruppo musicale sembra un invito a cena. “Du’ Spaghi in Trio” è la creatura cui hanno dato vita Simone Meisina (voce), Diego Freddi e Stefano Stringa (chitarra). Un trio che dal 2015 batte i locali d’Oltrepò con un repertorio che spazia dalle ballad al rock’n’roll, dal blues allo swing, il tutto interpretato in chiave acustica, con due chitarre e tre voci, rigorosamente dal vivo. «Non utilizziamo alcun tipo di base preregistrata» tengono a specificare. Il loro obiettivo è far ballare e divertire la gente, “senza trucco e senza inganno”. Feste, matrimoni, locali. Ogni occasione può essere quella buona. Anche le aie di paese. “Du’ spaghi...in trio”. Il nome evoca già un’atmosfera conviviale, informale e famigliare. Come nasce la band e qual è il vostro obiettivo musicale? «L’idea è quella di riproporre grandi successi con arrangiamenti essenziali, al 100% acustici ed eseguiti dal vivo, un po’ come si farebbe su una spiaggia o ad una festa tra amici, ed è appunto questa l’atmosfera che creiamo durante le nostre esibizioni. Vogliamo unire qualità e semplicità, in modo da far sentire a casa chi ci ascolta. Una sorta di spaghettata in compagnia, come suggerisce il nostro nome, allietata da buona musica». Il repertorio come si articola? «Normalmente il nostro show dura un paio d’ore, nel corso delle quali esploriamo diversi stili musicali, passando dal pop al blues, dalle ballads al rock’n’roll. Offriamo quindi al pubblico la possibilità di rilassarsi, ma anche di ballare. Il nostro intento è di riuscire ad interpretare efficacemente ogni brano con ciò che abbiamo: tre voci e due chitarre acustiche, e ogni suono che riusciamo ad ottenere dall’armonia di questi elementi, senza aggiungere effetti elettronici, basi o loop. Questo ci permette di riprodurre la nostra musica in ogni situazione e di “suonare” realmente ogni singola nota. Creiamo così un nostro personale sound che accomuna tutto il nostro variegato repertorio». Suonate anche pezzi originali? «Per il momento eseguiamo solo covers. Non escludiamo, in futuro, di produrre materiale originale, ma non nell’immediato». Che giudizio esprimete sulla scena musicale oltrepadana? «Sicuramente è una scena piena di talenti, con musicisti di un certo livello ma purtroppo poco valorizzata, ci si è fatti in quattro per creare una sorta di comunità musicale e di musicisti, ma dagli stessi c’è sempre stato poco interesse e collaborazione tra di loro. Pensiamo che invece dovremmo tra tutti ricordarci qual è l’obiettivo principale, la Musica». E il pubblico invece?
“Du’ Spaghi in Trio”: Simone Meisina (voce), Diego Freddi e Stefano Stringa (chitarra).
«Il pubblico in questi ultimi quindici anni è cambiato molto, sempre meno giovani che si interessano alla musica e ai live, cosa che fa un po’ male, ma si sa che le generazioni cambiano, come cambiano gli stili e i generi musicali. La “vecchia guardia”, invece, non molla mai ed è un pubblico caldo e avvolgente». Quando si lamenta la mancanza di pubblico, spesso i musicisti sono criticati per essere i primi a non seguire i concerti degli altri. Come la pensate al riguardo? «Non crediamo si possa generalizzare. Nella nostra piccola realtà locale una certa “solidarietà” tra musicisti in tal senso c’è. Ovviamente dipende molto dagli impegni personali di ognuno di noi e dal tempo a disposizione. Inoltre capita spesso che i concerti siano in contemporanea e questo limita ulteriormente la possibilità di seguirsi a vicenda».
«Peccato che i musicisti non collaborino troppo tra loro»
Quali sono i problemi maggiori che si incontrano per chi vuole esprimersi con la musica in zona? «Sicuramente il fatto che i luoghi che danno spazio alla musica siano in diminuzione e spesso tendano ad ospitare musicisti affermati che garantiscano un certo afflusso di pubblico. Ovviamente è una scelta legittima, visti anche i costi che gravano sull’organizzazione di eventi, anche se chi vuole affacciarsi alla scena vorrebbe maggior disponibilità a promuovere nuove proposte. Fortunatamente c’è ancora chi lo fa e gliene siamo grati!. Sono in molti a tentare di emergere e, a nostro avviso, una gestione più meritocratica, basata sulla qualità, e non solo sulla notorietà, degli artisti, sarebbe uno stimolo a fare sempre meglio per poter ottenere spazio e visibilità». Se i live club non funzionano più gli artisti emergenti dove si devono spostare? «Sarebbe positivo che la musica trovasse posto anche al di fuori dei suoi luoghi convenzionali, ad esempio in combinazione con altre forme d’arte o con lo sport. Questo porterebbe ad allargarne gli orizzonti. Iniziative già presenti anche nel nostro territorio, ma che potrebbero essere ulteriormente sviluppate». Potete raccontare un aneddoto, più o meno simpatico, che esprima cosa significhi (nel bene o nel male) suonare per voi?
I “Du’ Spaghi in Trio” alla ricerca di nuove location: «I nostri concerti? Come una spaghettata tra amici» «Tra i tanti episodi, ci piace ricordare un’esibizione ad una festa all’aperto, minacciata dal maltempo. Costretti a smontare velocemente la nostra attrezzatura a causa di un forte temporale, eravamo ormai convinti che la serata fosse persa. Ma la struttura che ci ospitava disponeva di un piccolo portico, sotto al quale lo staff è riuscito ad allestire i tavoli per la cena e a metterci a disposizione uno spazio dove collocarci. Ci siamo quindi ritrovati a suonare a pochissimi metri dalle persone riunite a mangiare e il tutto ha assunto i tratti di una festa in casa. Ci siamo divertiti e abbiamo fatto divertire, nonostante il tempo avverso. Una soddisfazione doppia che testimonia come la passione sia più importante del luogo». di Christian Draghi
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ARTE & CULTURA
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Casteggio, il museo archeologico racconta la Preistoria del territorio
Il Civico Museo Archeologico di Casteggio e dell’Oltrepò Pavese è una realtà che arricchisce il territorio dal 1974, anno in cui nacque per volontà di un gruppo di appassionati locali e dell’amministrazione comunale, dopo l’importante ritrovamento di due tombe romane in via Torino, a Casteggio. Il museo, così come lo conosciamo oggi, è il frutto dell’ampliamento avvenuto nel 1999 dopo il restauro di Palazzo Certosa. Diviso, in 4 sezioni, raccoglie testimonianza di vita sia marina che terrestre precedente l’insediamento umano in Oltrepò. Non mancano reperti che attestano l’arrivo dei Romani nel III secolo a.C. in Oltrepò e svariate donazioni da parte di collezionisti privati. Anima del museo è oggi Valentina Dezza. Valentina, ci parla di questa bella realtà? «Noi siamo un museo riconosciuto da Regione Lombardia dal 2007 e abbiamo un’apertura settimanale, lavoriamo molto con le scuole e facciamo molta didattica. In particolare, in occasione dei 45 anni del museo abbiamo fatto un po’ di eventi. Il più importante fatto finora è stato inaugurare una nuova vetrina nel marzo scorso. Una vetrina che presenta vetri rinascimentali e barocchi, ritrovati in uno scavo a Stradella. Noi comunque siamo ‘Museo archeologico dell’Oltrepò Pavese e non soltanto di Ca-
steggio, quindi c’è una convenzione con la Sovraintendenza Archeologica, secondo la quale tutti i reperti rinvenuti nell’ambito dell’Oltrepò devono essere conservati qui da noi al Museo. Dal punto di vista archeologico il nostro museo è il fulcro della zona oltrepadana, un vero contenitore». Quali altre attività fate? «Facciamo anche eventi con visite guidate teatralizzate di vario genere, per adulti e bambini: in questi casi c’è una guida del museo…che di solito sono io…che è affiancata da un attore, che normalmente veste le parti di qualche personaggio storico. Fino ad adesso le abbiamo fatte con un attore che interpretava Annibale, perché si sa che proprio lui è passato di qua, ha dato diciamo un po’ di fastidio a quello che era l’intento dei Romani di conquistare il territorio. Poi fortunatamente si è allontanato e i Romani hanno potuto continuare la loro conquista e hanno fondato effettivamente poi Clastidium». Altre inaugurazioni fatte? «Abbiamo inaugurato a maggio un nuovo bronzetto, che è stato esposto in una vetrina di una delle tante sale dedicate all’epoca romana, che è stato ritrovato a Rivanazzano Terme, grazie allo scavo seguito e curato dal Professor Stefano Maggi dell’Università di Pavia, che da un po’ di anni scava in
Valentina Dezza quel paese. Abbiamo poi in mente di fare, prima della fine dell’anno, un convegno, una giornata di studi dedicata al Museo. Probabilmente la declineremo più sulla didattica, visto che noi facciamo molta divulgazione con le scuole: magari cercheremo di coinvolgere altre realtà museali del territorio e non. Molti musei archeologici lavorano con le scuole e quindi inviteremo anche loro, così come lo faremo con l’università di Pavia. Il tutto in collaborazione con Oltreconfine, che è la cooperativa che da circa due anni gestisce qui museo e biblioteca. In realtà l’anima di tutto sono io, perché gestisco in pieno tutto, ma questa associazione mi da’ una grande mano». Anche la biblioteca, collegata al Museo, svolge un ruolo importante. «Sì, ha una sua forte attività con la presentazione continua di libri, di autori locali e non. Gli altri anni si faceva la rassegna
Oltrefestival. Quest’anno non è stata ancora messa in programma causa elezioni: c’è però l’intenzione entro la fine dell’anno di riproporre l’evento. Le elezioni hanno un pochino fermato tante cose, perché a seconda della giunta vincente poi si decidono i vari programmi culturali. Adesso il sindaco è Lorenzo Vigo, già vicensindaco e assessore alla cultura, quindi credo che sostanzialmente si manterranno gli stessi equilibri di prima e potremo andare avanti con quello che avevamo pensato di fare». Ci parli del bacino di utenza. Viene gente anche da fuori? «Sì, anche se noi comunque siamo aperti a tutti. Lavoriamo molto d’inverno con le scuole perché facciamo molta didattica. Inoltre, nell’ottica dell’inclusione museale, che a me piace sempre molto, dall’anno scorso abbiamo iniziato a fare ‘didattica’ anche con gli anziani dell’Rsa Il Poggio, una casa di riposo che si trova vicino al Pistornile. La didattica museale è aperta a tutte le età anagrafiche. Anche con gli anziani, dopo i laboratori, facciamo una merenda tutti insieme: sono davvero belle esperienze. Lavorare non solo con i bambini, ma anche con gli anziani, che sono sempre molto sensibili a queste cose, è per noi motivo di orgoglio». di Elisa Ajelli
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La cucina stellata nel nuovo romanzo di Matteo Colombo ‘’Magari disturbiamo’’ è stato il titolo del primo dei suoi corsi di scrittura creativa, che ormai da alcuni anni si svolgono in varie località dell’Oltrepò Pavese. In questa massima sta la cifra di un uomo abituato a entrare con garbo, con passo gentile, nelle case dei suoi lettori. Che lo leggono da molti anni sulle pagine del Popolo, il glorioso settimanale della Diocesi di Tortona, di cui è redattore. Che lo hanno apprezzato nei numerosi racconti editi fin dalla più giovane età. Racconti ambientati spesso nei territori che lo hanno visto crescere e farsi conoscere; racconti premiati in più occasioni, come nel 2002, quando vinse il concorso ‘’Un mercoledì da Italiani’’ lanciato da Beppe Severgnini; o come nel 2013, quando a premiarlo fu il laboratorio ‘’Io scrivo’’ promosso dal Corriere. Quella volta il racconto fu pubblicato e distribuito a livello nazionale, in allegato al quotidiano. Il titolo era proprio ‘’Magari disturbiamo’’. Da qui anche il titolo dei suoi corsi. Dal 2017 è conduttore di un programma su Radio PNR: Bauci. Bauci è una delle città invisibili di Italo Calvino, costruita su altissime palafitte. Da lassù, da una posizione panoramica e giustamente isolata dal tran tran della vita quotidiana, il ‘’Mago’’ (così lo chiamano gli amici più cari) si è messo a osservare la realtà del mondo contemporaneo, con particolare attenzione alle problematiche locali. Con ospiti illustri, puntata dopo puntata; da Roberto Vecchioni ad Aldo Cazzullo. Non giova ora ricordare tutto il corposo curriculum; peraltro già citato in buona parte nell’intervista rilasciata proprio a questo giornale nel novembre 2017. È tempo, infatti, di guardare a nuovi orizzonti. Esce infatti proprio in questi giorni, per Unicopli, il suo primo romanzo, un giallo: Q.B. Se non abbiamo ancora vergato in questa introduzione il nome di Matteo Colombo è perché pensiamo che nel parlare di una novità letteraria sia importante, prima di tutto, delineare il campo in cui ci si sta avventurando. Presentare lo scrittore in questo modo, attraverso le sue esperienze, crea aspettative – in questo caso aspettative giustificate. E serve un po’ a raccontare cosa abbia fatto, il nostro, negli ultimi otto anni: tale è il periodo che ha richiesto la definizione del romanzo. Un testo ricco: direi: ipercalorico, che è stato sminuzzato, ingollato, masticato, digerito, ed è ora trasformato in scorte di energia, cui il lettore potrà attingere durante questa estate. Q.B. è un romanzo che contiene molto del Colombo lettore. Ci sono tutti i suoi riferimenti, puri e chiari, che sono gli stessi di un Baricco che non vuole sconfinare nel barocco. C’è una commistione di generi letterari, un ritmo cantato con perizia, con timbro educato, sicuro. Non dimentichiamo che Matteo Colombo è uno scrittore del nostro territorio. Nato
Matteo Colombo nato a Cervesina, vissuto a Voghera, trapiantato a Broni a Cervesina, vissuto a Voghera, trapiantato a Broni. All’Oltrepò, alla sua storia e alle sue bellezze, ha dedicato diverse monografie. Si potranno forse scorgere anche nel nuovo romanzo alcuni dei tratti che fanno di questo territorio il luogo che amiamo e nel quale abbiamo scelto di vivere. Ma questo lo chiediamo all’autore. Perché pubblicarlo proprio ora? «È stata una gestazione molto lunga. Arriva in libreria proprio ora perché ogni storia ha il suo momento. L’ho scritta, l’ho lasciata, poi l’ho ripresa... Guardando a ritroso, è stato un percorso con un proprio senso. Il romanzo arriva ad avere la voce che ha oggi attraverso un lavoro di continua cancellazione, di modifica, di ritocco. Questo perché se ha un senso ancora oggi scrivere narrativa, tale senso sta, per quello che mi riguarda, nel restituire alla parola il suo significato compiuto.» Un bell’impegno. «Non so se ce l’ho fatta, ma nelle mie intenzioni era, per quanto possibile con il mio stile e anche con il mio registro linguistico, andare al nocciolo della parola. Gadda diceva – come ricordo durante i miei corsi – che bisogna riuscire a nominare le cose. Questo spiega un po’ anche il fatto che il romanzo sia stato lì tanto: è il risultato di un percorso.» Vogliamo parlare della trama? «Siamo nel mondo dell’alta cucina, in un ristorante stellato, gestito dallo chef del momento: Quinto Botero. Q.B., il titolo del romanzo, significa ‘’quanto basta’’, ma sono quindi anche le iniziali del protagonista. In questo suo ristorante, che si chiama ‘’Beckett’’, arriva a un certo punto un giovane apprendista, Tony, che aveva vinto un concorso come miglior cuoco esordiente. Il premio di questo concorso era proprio la possibilità di andare ad imparare nella cucina di Botero. Tony viene da Sorrento.» Il ristorante, invece, dov’è situato? «Il ristorante di Botero è in una zona non
precisata, ma può essere benissimo immaginato qui da noi, in Oltrepò, in pianura. Non a caso c’è la presenza continua della nebbia: tutto il romanzo, che si svolge in due mesi – novembre e dicembre del 2011 – è avvolto dalla nebbia. Botero fa in tempo a conoscere per qualche giorno questo ragazzo. Che però viene ucciso. Ucciso nella cella frigorifera di Botero.» Botero come reagisce? «Botero, con la sua sicurezza, la sua fama, anche la sua leggenda, viene intaccato nelle sue certezze da questo evento sconvolgente. Le indagini vengono seguite da un commissario, Stoppani, che veste soltanto in loden; tant’è che dopo un po’ tutti i personaggi del racconto iniziano a chiamarlo ‘’il loden’’. Ma alla fine un ruolo fondamentale è svolto proprio da Botero, che è una persona con una gran testa. Anche la sua cucina è un’esperienza molto intellettuale. È un uomo dalla logica molto raffinata e questo si evince anche dai suoi piatti, molto elaborati. Questa logica sarà importante per risolvere anche altri misteri...» Per quanto concerne l’ambientazione... i lettori potranno scorgere anche un po’ di Oltrepò? «La nebbia è proprio quella densa che c’è dalle nostre parti. La nebbia di Cesare Angelini, la nebbia di Gianni Brera, che è un velo che sembra ovattare il mondo; un velo nel quale noi siamo abituati a muoverci. Dalla nebbia ho scoperto anche tante cose. Un po’ come la neve copre ogni cosa, e ti costringe a vedere la realtà con un altro sguardo, forse più profondo, più attento.» Qualche anticipazione sulla tecnica narrativa? «Il romanzo è costruito alternando dei capitoletti che si intitolano “Botero’’ e “Tony’’. In uno a raccontare è lo chef, nell’altro il giovane cuoco. Tony parla da morto, però. Questo consente di leggere la stessa scena da due punti di vista: chi la
vive all’interno e chi la vive da fuori. Un piccolo gioco, che può essere anche divertente per il lettore.» Perché un giallo? «Diciamo che non sono uno di quelli che legge solo gialli. Però, per un certo periodo, ne ho letti parecchi. Agatha Christie ne è la regina. Il suo capolavoro è ‘’Dieci piccoli indiani’’: lì c’è tutto. Il giallo ti permette di andare a ritroso nella vita di una persona. Si parte dalla fine, dalla morte, e si recupera tutto. È un procedimento al contrario quindi, che mi interessava molto perché ti può dare suggerimenti nel tuo percorso di conoscenza - anche di te stesso, in un certo senso. Il giallo ti dà modo di entrare nella psicologia delle persone.» C’è stata una ricerca, per ambientare il romanzo in un mondo così particolare? «Quasi tutti i piatti, tutte le ricette citate all’interno del romanzo, sono citazioni di quelli presenti nei gialli di Agatha Christie. Poi, naturalmente, a me piace molto frequentare buoni ristoranti, e mi piace osservarli. Sono una buona forchetta, ecco. Penso però anche che cucinare sia un momento importante. In Italia gli affari si fanno a tavola, e poi la cucina offre anche bei momenti per trovarsi in compagnia.» Che chef è Quinto Botero? «Botero sceglie gli ingredienti con molta cura, ha una maniacalità nella scelta dei particolari, degli ingredienti, ma anche delle tovaglie. Addirittura c’è un artigiano, un personaggio molto divertente del romanzo, che soffia e produce dei bicchieri solo per il suo ristorante. Sono bicchieri particolari: se tu batti il vetro con l’unghia senti un suono che non esiste in natura.» Per quale profilo di lettore è immaginata questa storia? «Questo è anche un giallo, è anche un noir, ma c’è molto di più. La spy-story a volte lascia spazio a riflessioni a tutto campo sul mondo, sulle emozioni, sulla vita. Insomma, il genere è quello, e l’ho scelto per raccontare la storia che avevo in mente. Ma c’è anche tanto di più, quindi penso possa piacere a chi è appassionato di gialli, a chi è appassionato di cucina, ma anche a molti altri. Si può leggere a vari livelli.» Sono in programma presentazioni al pubblico? «Diverse date già definite in Oltrepò, tra Voghera, Broni, Cervesina e Rivanazzano Terme, poi una a Milano, con gli altri autori della collana, e andremo anche oltre i confini regionali.» A proposito della collana: il libro è edito da Unicopli, editore che può contare su una distribuzione a livello nazionale... «Si tratta di una nuova collana, ‘’La porta dei demoni’’, il curatore è Flavio Santi, traduttore e scrittore Mondadori, per me uno dei più interessanti. È lui che ha scelto il mio romanzo, e ne sono stato contento.» di Pier Luigi Feltri
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“Armi, munizioni, esplosivi”: arriva il manuale per tutti Ilaria Sottotetti, avvocato patrocinante in Cassazione dal 2007, è una delle autrici del libro, “Armi, munizioni, materiali esplosivi”, edito da Primiceri Editore, in uscita a Giugno 2019. Al libro hanno contribuito il dottor Antonio Bonforte fresco di nomina a comandante della Polfer, la sezione della Polizia Ferroviaria di Voghera, dopo essere stato per decenni ispettore del Commissariato di polizia di via Carlo Emanuele III. Terzo autore, l’avvocato Massimiliano Gordon La Pietra, che nel manuale si è occupato di aggiornamenti giurisprudenziali. Il libro tratta di Pubblica Sicurezza e di tutte le norme che disciplinano la materia, cercando di fornire il proprio contributo e risposte all’attuale e sempre più “insistente” domanda sociale di sicurezza. Vengono affrontati temi tradizionali quali i provvedimenti di polizia, le licenze per armi, munizioni ed esplosivi, le attività di istituti di vigilanza e d’investigazione privata e temi relativi alle modalità di ricorso ai provvedimenti dell’Autorità, al diritto di accesso agli atti e alle nuove norme in materia di tutela della privacy, con aggiornamento al Codice in materia di protezione dei dati personali. Si indirizza a una vasta categoria di persone, dagli operatori di settore (avvocati, Forze dell’Ordine, allievi della Scuola di Polizia) ai cittadini, dai professionisti alle associazioni che delle armi hanno fatto la loro attività principale. Avvocato Sottotetti, da cosa è nata l’idea di scrivere un libro in materia di sicurezza riguardante l’uso delle armi? «L’idea è stata del dottor Antonio Bonforte, il quale l’ha poi gentilmente condivisa con me, per quanto riguarda la parte penale, e con l’avvocato La Pietra per gli aggiornamenti giurisprudenziali. Lo scopo è stato quello di creare un manuale che da un lato fosse una raccolta, il più possibile completa, di tutte le fonti in materia che si sono stratificate in oltre 80 anni (leggi, note ministeriali, direttive comunitarie e Giurisprudenza) e, dall’altro, che rappresentasse uno strumento di facile consultazione diretto a tutti, dal cittadino agli allievi della Scuola di Polizia. Si tratta, infatti, di un testo che si compone di otto capitoli con oltre quattrocento annotazioni e che spazia dalla disciplina amministrativa a quella penale, aggiornata alla recentissima riforma della legittima difesa, dalla classificazione alle licenze, dalle sanzioni ai modi per impugnarle, fino alla normativa dell’accesso agli atti e a quella della privacy». Vi sono novità in merito alla nuova legge sulla legittima difesa e la violenza domestica? «All’interno del manuale è stato dedicato uno spazio alla riforma introdotta dalla Legge 36/2019 in vigore dallo scorso 18
«In un campo delicato come quello delle armi, munizioni e materiali esplosivi, è fondamentale essere informati in modo professionale per conoscere il limite tra lecito ed illecito».
L’Avvocato Ilaria Sottotetti Maggio. Si tratta di un testo normativo che riguarda molti profili e per quanto attiene alla legittima difesa domiciliare, introduce due novità: la presunzione che ci sia sempre la proporzione, presupposto della legittima difesa, tra difesa ed offesa. Questo però in casi particolari: quando si tratti di tutelare la propria o altrui incolumità o i beni propri o altrui (in quest’ultimo caso se non ci sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione) e sempre a condizione che la vittima sia legittimamente presente nell’abitazione e detenga legittimamente l’arma con cui agisce. L’altro aspetto è la presunzione che chi agisca si trovi sempre in stato di legittima difesa per respingere l’intrusione, posta in essere con violenza o minaccia, di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone». Ci sono novità sui casi di violenza domestica? «Nel caso di violenza domestica, la criticità è principalmente rappresentata dall’interpretazione della figura dell’aggressore, nel senso che a seconda che venga considerato nel caso concreto un terzo o un convivente, la riforma potrebbe rappresentare una vera e propria svolta oppure no. Siamo pertanto in attesa di conoscere le prime applicazioni della norma da parte della Magistratura per comprendere la sua effettiva portata nell’ambito della violenza in famiglia». Che tipo di aggiornamento professionale hanno dovuto seguire le Forze dell’ordine e gli amministratori locali, alla luce delle nuove normative? «Viviamo in un periodo in cui le nuove leggi e le loro costanti modifiche sono all’ordine del giorno, ragion per cui tutti coloro che quotidianamente, secondo le
loro rispettive competenze, si occupano di questa materia, devono dedicare il loro tempo anche ad uno studio costante. Il manuale, che verrà periodicamente aggiornato, è strutturato in modo da essere un valido supporto per tutti gli operatori del diritto e per il cittadino che voglia informarsi al fine di agire correttamente». Che livello di percezione hanno i cittadini riguardo a questo tema? «Come avvocato posso dire che da un lato c’è un grande desiderio di giustizia, ma dall’altro si fa fatica a comprendere i tempi necessari per la celebrazione di un giusto processo; ecco che allora il cittadino cerca di informarsi da solo, magari tramite Internet - strumento utile, ma difficile da interpretare in modo adeguato - e, comunque, non sempre completo. In un campo delicato come quello delle armi, munizioni e materiali esplosivi, è fondamentale essere informati in modo professionale per conoscere il limite tra lecito ed illecito. L’argomento non è di poco conto, se si considera la vastità del fenomeno: secondo una ricerca condotta dallo Small Arms Survey di Ginevra, l’85% delle armi nel mondo risulta nella disponibilità dei civili». Quali sono le modalità di ricorso alle quali è possibile accedere contro i provvedimenti dell’autorità? «Dipende dal tipo di illecito: se si tratta di illecito penale, si può impugnare la sentenza di condanna del Tribunale o della Corte d’Assise per un reato collegato a questa materia, avanti rispettivamente alla Corte d’Appello o alla Corte d’Assise Appello, che sono distrettuali, e, in caso di esito nuovamente negativo, avanti alla Corte Suprema di Cassazione, nazionale. Se poi, nel frattempo, vi è stata una misura cautelare reale, cioè un sequestro, ci si potrà rivolgere al Tribunale (Sezione riesame) del capoluogo della provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Anche in questo caso, sic ha la necessità di ricorrere, successivamente, a Roma avanti alla Corte Suprema. In caso di illecito amministrativo, invece, in linea generale l’organo giudicante è in primo grado il T.A.R.
distrettuale, le cui decisioni sono impugnabili solo avanti al Consiglio di Stato, che è nazionale ed ha sede a Roma (ma ha una sezione in Sicilia, che si chiama Consiglio di Giustizia Amministrativa). In caso di provvedimento amministrativo definitivo, cioè non più impugnabile con i mezzi di cui sopra, è possibile proporre Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica». Quali leggi regolano il diritto di accesso agli atti? «Vi è stata una grande evoluzione in materia di P.A.; inizialmente gli atti della pubblica amministrazione erano coperti dal segreto d’ufficio di cui all’art.15 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957; con la Legge 241/90 si introduce l’accesso “documentale” ed il principio della “trasparenza” a vantaggio di quei soggetti che abbiano un interesse ad accedere agli atti della P.A.; con il Decreto Legislativo 33/2013 e quello 97.2016 la regola diventa quella della trasparenza e l’eccezione quella della privacy. Grazie, infatti, all’accesso “generalizzato”, chiunque può visionare le informazioni delle Pubbliche Amministrazioni, le quali solo in alcuni casi devono rifiutare l’accesso o concedere un accesso parziale o valutare se concederlo o meno». Quali sono le nuove norme in materia di tutela della privacy, con aggiornamento al codice in materia di protezione dei dati personali? «La normativa attuale in materia di privacy è principalmente disciplinata dal Regolamento europeo sulla privacy n.679 del 2016 ,detto GDPR (General Data Protection Regulation), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea del 4.5.2016 ed attuato il 25.05.2018. Si tratta di una materia in continua evoluzione ,anche per la necessità dell’Italia di adeguarsi agli standard europei ed il percorso è particolarmente lungo, soprattutto se si considera che il primo documento sull’argomento risulta essere nato in Francia nel 1989». di Federica Croce
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Il Rally 4 Regioni si fa in due Parallelamente all’apertura delle iscrizioni avvenuta il 5 giugno e che si protrarranno sino al 28 del mese, si stanno ultimando i preparativi per la grande festa dell’automobilismo su strada, fermamente voluta da Aci Pavia con a capo il suo presidente Marino Scabini in stretta collaborazione con la Scuderia Piloti Oltrepo di Voghera a cui fa capo Giuseppe Fiori, i quali hanno trovato in Lorella Rinna e Andrea Minchella, titolari della società sportiva Loran, e in tutto il loro staff altamente professionale, un considerevole supporto nella realizzazione del progetto. Dalla perfetta sinergia di queste importanti realtà é nato un evento di spessore destinato a rendere onore ad un grande nome appartenente alla storia del mondo del rallysmo: il Rally 4 Regioni”. L’edizione 2019, é la concretizzazione di un progetto che vede il Rally 4 Regioni numero 22, in programma i prossimi 5 e 6 luglio, farsi in due per soddisfare i palati più raffinati con un evento in cui si amalgama passato e presente all’insegna dello sport e dello spettacolo. Un avvenimento in cui auto di ieri e di oggi e anche campioni di ieri e di oggi, si confronteranno nella due giorni agonistica che vede l’intera Valleversa con Pavia e un angolo del piacentino quale cuore pulsante dell’intera manifestazione. Ovviamente gli organizzatori hanno dovuto fare i conti con i tempi che sono cambati e i regolamenti pure, pertanto consapevoli che nulla potrà essere come in passato, tranne la passione per questo sport. Quest’ultima é rimasta immutata negli anni e con impegno, spirito sportivo e di sacrificio, il comitato organizzatore vuole così proporre ai piloti e
Auto storiche e vetture moderne correranno sotto la stessa icona ai tanti appassionati un prodotto di qualità che nonostante le limitazioni regolamentari, possa onorare il grande rally di cui porta il nome. è giusto ricordare che in questo progetto hanno creduto supporter importanti tra cui: Loran, Iper Montebello, Montebello Centro Commerciale, LDI Bearings & Components di Davide Maggi, Maemi Nicelli Vini, Martinalli, Fincoma di Maggi, Fastcom di Frassone, Logiman di Luigi Brega e altri ancora. Note positive che fanno bene a questo nuovo capitolo di storia automobilistica della nostra provincia. Dinnanzi a ciò e ai primi grandi nomi giunti alla segreteria, non nasconde una misurata soddisfazione, Marino Scabini, presidente del Comitato Organizzatore il quale dice: «Dai primi risconti raccolti emergono segnali positivi sia a favore del rally storico che di quello moderno. In entrambi avremo al via piloti di grande leva-
tura e auto davvero interessanti. Anche la Regolarità sport é molto sentita. Questo ci conforta parecchio. Abbiamo lavorato e stiamo lavorando sodo. Le elezioni amministrative ci hanno costretto ad un doppio lavoro, ma tutte le amministrazioni comunali, vecchie o rinnovate dal voto, ci hanno garantito con entusiasmo tutte le autorizzazioni di cui necessita l’evento. La Valleversa, tutta intera, si sta mostrando molto sensibile e disponibile; questo, essendo io originario di questa terra, mi rende ancora più orgoglioso. Un grande grazie quindi va a tutti coloro che nell’ambito dei propri ruoli o delle proprie possibilità ci stanno offrendo un grande aiuto per raggiungere l’obiettivo prefissato». La gara é in programma nelle giornate di venerdì 5 e sabato 6 luglio. di Piero Ventura
Marino Scabini presidente Aci Pavia
Il logo della manifestazione in programma venerdì 5 e sabato 6 luglio
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Rally 4 Regioni Scuderie pavesi in fermento Mancano una ventina di giorni al Rally 4 Regioni e sono già parecchi gli equipaggi extra provinciali e extra regionali che hanno dato la loro adesione all’evento, non da meno sono i team pavesi, tutti mobilitati in vista della gara di casa. Abbiamo quindi cercato di scoprire cosa bolle in pentola al loro interno e con quali carte giocheranno la partita in cui vincere é davvero importante. Vediamo dunque come si stanno muovendo le realtà motoristiche locali: Road Runner Team, Scuderia Piloti Oltrepò, Rally Club Oltrepò, Efferre Motorsport, Paviarally e VCC Carducci. Road Runner Team. Non si può certo nascondere che la scuderia di Casteggio non abbia messo nel mirino il gradino più alto del podio del Rally 4 Regioni Trofeo Valleversa per vetture moderne. Per farlo, punta le sue carte su Giacomo Scattolon, il trentenne driver vogherese, attualmente impegnato Campionato Italiano Rally. Sulla scena rallystica da una decina d’anni con una settantina di gare all’attivo, Scattolon é un pilota molto veloce, capace di mettersi in bacheca già parecchi trofei, dal Twingo R2 del 2013, al titolo di Campione Italiano Junior del 2014. A questi ha fatto seguire il 3° posto nel Clio Cup del 2015, al 2° posto nel Campionato Europeo RC2 dell’anno dopo, fino a sfiorare la vittoria nel Campionato Italiano Asfalto dello scorso anno, concluso al 3° posto a causa di un problema alla vettura patito nell’ultima gara di campionato. Al 4 Regioni, Scattolon sarà al volante di una competitiva R5 cecoslovacca. Nel rally storico, la scuderia presieduta da Paolo Scattolon sarà probabilmente rappresentata da Roberto Ottolini con la Bmw M3, recente vincitore tra le vetture storiche del 4° Motors Rally Show Pavia.
Scuderia Piloti Oltrepò. Imponente la “Panzer divisionen” schierata dalla Scuderia Piloti Oltrepo, compagine presieduta da Giuseppe Fiori, il quale, oltre al gravoso impegno di co-organizzatore dell’evento, dovrà occuparsi anche della gestione sportiva del team. La squadra vogherese può contare su più punte di diamante per il successo assoluto sia nello storico che nel moderno. Nello storico é presente con tre competitivissime Porsche 911 di casa Ova Corse, condotte da Matteo Musti, in cerca del poker nella gara di casa dopo i successi del 2012, 2017 e 2018 (le ultime due nella versione internazionale del rally), il quale avrà nuovamente alle note la sorella Claudia a caccia del tris personale; quindi il sempre verde Alessandro Ghezzi navigato da Agostino Benenti, vincitori dell’edizione 2018 nella versione nazionale e infine Beniamino Lo Presti e Flavio Zanella, sempre più competitivi con la 6 cilindri di Stoccarda. Che farà poi sbarrare gli occhi di meraviglia, ci sarà la stupenda e gloriosa Lancia 037 Rally degli stradellini Claudio Covini e Andrea Brega con la quale, lo scorso anno, sono saliti sul terzo gradino del podio nell’International alle spalle di Musti e del francese Jenot, aggiudicandosi la vittoria nel quarto raggruppamento. Altro intramontabile é Francesco Fiori che di 4 Regioni ne ha corsi a bizzeffe. Al suo fianco sull’Opel Kadett, pronto ai tanti “travrsi”, ci sarà un’altra vecchia conoscenza, Gabriele Brandolini. Claudio Persani e Massimo Calatroni con la Peugeot 205 vogliono invece dimenticare il ritiro patito ad inizio stagione al Pavia Motor Rally Show e magari ripetere, se non migliorare, l’ottima prestazione dello scorso anno chiusa con un ottimo 6° posto assoluto nel 4 Regioni nazionale.
, Matteo e Claudia Musti e Brega-Covini Scuderia Piloti Oltrepò
Giacomo Scattolon, Road Runner Team di Casteggio
Contardi e Maroni, Rally Club Oltrepò
Dopo un anno sabbatico, c’é poi il rientro alle competizione di Giorgio e Marco Verri con la scattante A 112 Abarth, pronti a lottare per un posto sul podio di classe e ancora: Matteo Cassinelli-Fabio Albertazzi e Roberto Scarabelli-Egidio Achilli. Nel moderno, o meglio, nel Rally 4 Regioni Trofeo Valleversa, la punta di diamante é rappresentata da Massimo Brega, 130 rally all’attivo e 17 vittorie assolute. Negli ultimi tre anni, il pilota di San Damiano al Colle ha ridotto di molto le sue partecipazioni, ma rimane pur sempre un avversario veloce e ostico per tutti. L’ultimo suo successo risale al 2015 al Rally Race-Città di Stradella. Al 4 Regioni, Brega sarà in gara al volante di un’attualissima R5 con alle note un’istituzione dei co-driver pavesi, Paolo Zanini che nel suo palmares conta 150 rally, 10 vittorie, 9 secondi e 6 terzi posti assoluti. Nel 2016 ha disputato il Campionato Europeo RC2 in cui ha ottenuto il secondo posto gareggiando tra l’altro al Rally delle Canarie, in Irlanda, all’Acropoli, all’Ypres in Belgio, al Ba-
rum nella Repubblica Ceca e in Lettonia al Leypaja. Altri equipaggi SPO in gara sono: Pietro Tronconi-Cristiano Giovo, Michele e Enrico Giorgi, Paolo Burgazzoli-Giorgia Pertosa, Nicola Frassone-Cassandra Cigagna, Ferruccio De Macceis-X. Nella “Sport” sarà invece presente Giampaolo Cagnoni-X, mentre altri tre equipaggi faranno parte della “Parata”. Rally Club Oltrepò. Senza nulla togliere agli altri componenti altrettanto importanti, qui gli occhi sono puntati sul principale artefice della rinascita della gloriosa scuderia oltrepadana, Stefano Maroni che con Emilio Partelli alle note sull’Opel Kadett Gsi, dopo l’epilogo per lui sfortunato patito nella passata edizione, andrà a caccia di un risultato tra le storiche che ripaghi i suoi sforzi. Sempre con i colori R.C.O. Buone cose si attendono anche da Daglia con la BMW 323 e da Maruca con la Renault Clio Gruppo A, mentre, pur essendo ancora ufficioso, nella sfilata presenzieranno Contardi-Lanati e Torti-Torti. Entrambi saranno a bordo di Opel Kadett GT/E.
MOTORI Efferre Motorsport. In vista del 4 Regioni, la scuderia di Romagnese ha messo parecchia carne al fuoco, prevede infatti di schierare al via non meno di 10 equipaggi suddivisi tra rally storico e moderno. Orfana di Pier Sangerani, nel moderno, fermato da un accidentale svarione al Rally Bianco Azzurro di San Marino, che lo costringerà a saltare l’appuntamento con la gara di casa, il punto di sicuro riferimento sarà Andrea “Tigo” Salviotti, nello storico, ma prima della gara pavese, a metà giugno, sarà al via del Milano rally show a bordo della Fiat Punto super 1600, affiancato dall’oltrepadana Susy Ghisoni. Salviotti, autore di pregevoli prestazioni al volante della A112 Abarth by Madama nelle ultime due edizioni del 4 Regioni storico in versione internazionale, in cui ha ottenuto rispettivamente il 12° ed il 17° posto assoluto e il podio di classe, non nasconde di puntare al successo di classe e al primato tra le “scorpioncine”. Al suo fianco sul sedile di destra quest’anno siederà il presidente della Efferre, Riccardo Filippini. Sempre nello storico troviamo anche Stefano Albera con l’Alfa Romeo GTV. Occhi puntati nella Regolarità Sport su Alessandro Guarnone e Fabio Dealberti con la Lancia Fulvia Coupè, equipaggio affiatatissimo il grado di lottare per un posto sul podio assoluto. Nel moderno non mancheranno Antonio Madama, con a Clio N3, Giovanni Castelli, Stefano Sangermani, Davide Meloni, Chiapparoli, Sozzani, Moroni, Crevani e Compagnoni. Altri piloti potrebbero aggiungersi, pertanto, Efferre, ha deciso di ufficializzare la “formazione” nei prossimi giorni. Paviarally. Chi é già a buon punto nella definizione dello schieramento, anche se ovviamente é ancora da considerarsi ufficioso, é il Club storico del capoluogo, Paviarally che annovera tra le proprie fila equipaggi originari delle tre zone in cui é suddivisa la provincia: Oltrepò, Lomellina e Bassa Pavese. Il Club sarà presente nel settore storico con un nutrito numero di equipaggi. Orfana di Domenico Mombelli e Marco Leoncini (Ford Escort Mk1) i
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Andrea Salviotti, Efferre Motorsport cui sforzi sono rivolti al Trofeo Tradizione Terra 2019, può però contare sull’ex trofeista A112 degli anni ‘70 Rodolfo Carrera navigato da Brunello Santi (Fiat 124 Abarth), sull’ex trofeista Talbot degli anni ‘80 Amos Curati (Fiat 124 Abarth), sull’altro ex trofeista Simca-Talbot Carlo Verri con Walter Carena (Fiat 125 S), quindi: Andrea Botti – Ruggero Tedeschi (Lancia Beta Montecarlo) con tanta voglia di rivalsa da parte del driver di Zavattarello dopo uno sfortunatissimo Rally di Sanremo. Poi saranno della partita lo spettacolare “dottore” Natalino Perelli con alle note l’inseparabile Giuseppe Roveda (Lancia Fulvia HF 1.6) e Piero Ventura con la Lancia Fulvia Coupè 1.3S. Detto di costoro, nelle fila Paviarally ci sono poi: Germano Minotti con alle note Fabiana Zago (Opel Manta GT/E) per la prima volta in coppia nella gara pavese. Minotti vorrà cancellare il ricordo dell’uscita sulla Pometo sotto il diluvio nella passata edizione. Domenico Gregorelli con la figlia Barbara che tornano al 4 Regioni su di un’Opel Manta C, dopo la bella prestazione fornita nel 2017 con la A112, Flavio Vernetti-Valmir
Kalaya (Mini Cooper 1.3S) intenzionati a proseguire la serie positiva della scorsa stagione, Francesco Carrera (Autobianchi A112 Ab.) con tanta voglia di rifarsi dopo essere rimasto al palo lo scorso anno e in-
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fine il debuttante Matteo Fusetto navigato Massimo Novati (Autobianchi A 112 Ab.), mentre é probabile anche la presenza della Fiat 131 Abarth (in fase di ultimazione) per Daniele Sperandio. Veteran Car Club Carducci. Al momento segnala la presenza di Rossetta-Degliantoni su Lancia Fulvia Coupè. Altri equipaggi portacolori dei club locali scioglieranno le riserve nei prossimi giorni. Poi vi saranno alcuni pavesi in gara con i colori di team extraprovinciali come ad esempio i vogheresi Ermanno Sordi e Claudio Biglieri al via con la Porsche 911 Gruppo B per il Team Bassano di Vicenza, come il duo di Ruino Daniele Ruggeri e Martina Marzi con la Fiat 127 Sport per il team piacentino Media Rally Promotion, come lo stradellino Davide Nicelli in gara con la Peugeot 208 R2B per la scuderia bresciana Leonessa, oppure Daniele Mangiarotti che leggerà le note al piacentino Cogni sulla Skoda Fabia R5, oltre a questo, molto altro ancora sarà confermato a breve.
Il Team Paviarally
di Piero Ventura
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Rally 4 Regioni: 260 km di gara, 63 prove speciali, 8 pressochè inedite
Venerdì 5 luglio: percorso della gara
Abbandonate le classiche “scassamacchine” di Cecima, Rocca Susella etc. etc. etc. saranno 8 le prove speciali (4 da ripetere), pressoché inedite, dal fondo ottimale e scorrevole, scovate dagli organizzatori, che decreteranno il vincitore di questa rinnovata edizione del Rally 4 Regioni. Vediamo dunque come si evolverà la manifestazione. Gli appassionati potranno ammirare auto e protagonisti già dalla mattinata di venerdì 5 luglio in Piazza Trieste a Stradella, quando l’evento entrerà nel vivo con le operazioni di verifica sportiva e tecnica di equipaggi e vetture. L’interesse del pubblico sarà poi attratto dalla bellezza delle auto, dai loro particolari, nonché dal lavoro dei meccanici impegnati ad eseguire le ultime messe a punto dei mezzi. Uno spettacolo nello spettacolo che si protrar-
rà per bona parte della giornata.Venerdi 5 luglio, nel tardo pomeriggio, alle ore 17,23 (gli orari sono ufficiosi e potrebbero subire variazioni in base al numero degli iscritti), i partecipanti lasceranno la capitale della fisarmonica per raggiungere la centralissima Piazza della Vittoria in Pavia, il salotto buono della città millenaria, da dove alle 18,13, la gara prenderà ufficialmente il via con i protagonisti del rally storico davanti a tutti seguiti dai concorrenti della Regolarità Sport e a chiudere la rombante carovana i campioni del Rally moderno. Dopo essere transitati dal Controllo Timbro (C.T.) ubicato presso il Centro commerciale Iper di Montebello, raggiungeranno il Parco Assistenza sito in Casteggio. Alle 19,30 si inizierà a fare sul serio con la disputa della prima prova speciale, molto spettacolare che scatterà in Casteggio,
zona campo sportivo e si snoderà per 6,810 chilometri su di un percorso “allegro” che raggiunta la frazione Sgarbina, tornerà in Casteggio per un riordino e successivo parco assistenza che precedono la ripetizione della prova alle 21,20 affrontata dai concorrenti alla luce dei proiettori, dando così quel tocco d’antan alla compeizione. Dopo di che torneranno in Stradella per il riordino notturno e successivo parco assistenza alle 12,30 di sabato. Lasciata Sradella, i concorrenti raggiungeranno Torricella Verzate dove alle13, 39 affronteranno il terzo impegno cronometrato, la prova denominata “Oliva Gessi” di 7 Km, che verrà ripetuta alle ore 18,16. Alle 14,23, sarà poi la volta della P.S. “Diga Valtidone” di 10,850 chilometri che da Casa Vannone, con una picchiata mozzafiato fatta di 24 tornanti allacciati tra
loro da curve veloci da “pelo”, porteranno i concorrenti a costeggiare il lago Trebecco fino a Casa Marchese, prima che la strada si inerpichi verso il Bivio Carmine dove si concluderà la prova. Questa frazione cronometrata verrà ripercorsa alle ore 19,00. La quinta prova della gara é la “Valdamonte”, un anello molto tecnico di 6,430 chilometri, con partenza e arrivo a Santa Maria della Versa. Il primo passaggio é previsto per le ore 15,17 e quello conclusivo alle ore 19,54. Ad intervallare i primi dai secondi passaggi ci sarà il Parco assistenza di Stradella alle ore 16,42. Dopo 260 chilometri di gara, di cui 63 di prove speciali, l’arrivo della prima vettura é previsto a Stradella in Piazza Trieste alle ore 20,49 di sabato 6 luglio. di Piero Ventura
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Tabelle distanza tempi
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Rally Castelli Piacentini: ottimo il 5° posto dello stradellino Nicelli Nella gara in cui il valtellinese Marco Gianesini navigato dal conterraneo Romano Belfiore sulla Renault Clio Super 1600 agguanta il ventisettesimo successo assoluto in carriera, c’é stata l’eccellente prestazione dello stradellino Davide Nicelli coadiuvato alle note da Alessandro Mattioda che piazza la sua Peugeot 208 di classe R2b al quinto posto assoluto, nonché, primo di gruppo, di classe e tra gli Under 25. «Gara breve ma non facile per le difficili condizioni atmosferiche» - ha commentato Nicelli il quale, in merito al risultato ottenuto ha poi aggiunto - «Siamo soddisfatti del lavoro sviluppato con il Team e di come la macchina si è comportata su queste strade parecchio sconnesse e in condizioni di scarsa aderenza. Abbiamo impostato un buon passo senza prendere rischi eccessivi e ciò che più conta, non facendo errori». In conclusione il pilota oltrepadano aggiunge poi una riflessione: «Diciamo che se la gara fosse stata tutta asciutta avrei potuto giocarmi il podio, perchè sulla PS5 che era praticamente asciutta, l’unica di tutte le PS fatte dove abbiamo fatto il 3 tempo a pochissimo dai primi due che si giocavano la gara, però che ci siano state queste condizioni insidiose. Sono felice, perchè mi è servito a molto per la mia crescita in ottica futura, vista ancora la mia poca esperienza sulla 208 in condizioni scivolose . Quindi una gara positiva in vista dei prossimi impegni». La gara, disputata su prove speciali cariche di ricordi storico-sportivi si è svolta con l’incertezza del tempo, che ha reso comunque più appassionante ed anche spettacolare la sfida sul campo in cui, per tutto l’arco della gara, Gianesini e il secondo classificato, D’Arcio non si sono risparmiati, con
quest’ultimo arrivato ad insidiare il successo dell’altro (partito al comando) con una seconda parte di gara estremamente efficace. è stata necessaria l’ultima “piesse” per decretare il vincitore, i due sono infatti arrivati alla soglia del via con solo 1”6 di scarto, per poi riuscire a staccarlo di 3”6 e quindi a vincere con 5”2 sotto la bandiera a scacchi.Terza piazza per il ligure Igor Raffo, in coppia con Rocca, anche loro su una Renault Clio S1600, emersi nella fase centrale del confronto grazie a prestazioni cronometriche d’effetto. A dar valore alla prestazione dell’equipaggio ligure sono i dati: erano partiti ben dalla tredicesima posizione dopo la prima “chrono” (causa un “testacoda”), bravi quindi a saper interpretare la gara con tutte le sue insidie sulla strada. Quarti hanno chiuso Re-Grossi (Renault Clio S1600), costantemente nelle posizioni da top ten, con una prestazione regolare che gli ha assicurato bene i riflettori di prima scena, come quelli che hanno illuminato con merito il giovane pavese Davide Nicelli, in coppia con Alessandro Mattioda, come detto, quinto assoluto con la Peugeot 208 R2. Libero da impegni “tricolori” lo stradellino ha approfittato dell’occasione per allenarsi sulle strade vicino a casa e proseguire il feeling con la millesei transalpina, cogliendo anche un risultato maiuscolo. Buono il 7° posto assoluto (quinto di classe) di Roberto e Ruggero Tedeschi con la Clio Super 1600. Tra i “big” è mancato praticamente da subito, l’altro pavese, molto atteso, Massimo Brega, in coppia con Claudio Biglieri: dopo aver siglato il terzo tempo assoluto sulla prova iniziale, a 4” dal leader Gianesini ha dovuto alzare bandiera bianca nel trasferimento per
Davide Nicelli - Alessandro Mattioda con la Peugeot 208 R2 la seconda fatica cronometrata a causa di problemi meccanici. Il 2° Trofeo Memorial “Mariolino Crevani”, in memoria del giovane di Romagnese scomparso prematuramente nel 2016 dato al vincitore della classe Super 1600 nella PS2 “Pecorara”, è stato consegnato a Gianesini, che ha siglato un tempo di 4’24”5 sui sette chilometri previsti. Nelle classi, detto di Nicelli e Tedeschi, troviamo tra le S1600 al 6° posto Barberis-Imerito. Stefano Sangermani con Paolo Lovati hanno chiuso al 20° posto assoluto salendo sul terzo gradino del podio tra le R2B. In N2, settima posizione per Sozzani-Lovagnini con la Saxo, mentre Chiapparoli-Albertazzi su di una vettura gemella sono stati costretti al ritiro. 25° posto assoluto e 6° di classe in N3 per Fabrizio Fabris e Claudia Spagnolo con la Clio, mentre per Madama-Partelli c’é stata
l’amarezza del ritiro. In A0, gara solitaria, coppa del vincitore e un buon 27° assoluto per Florenc Caushi e Luigi Bariani con la piccola Fiat 600. In A7 6° posto e 15° assoluto per Nespoli-Cavanna, mentre c’é stato il ritiro per Castelli-Ghisoni, entrambi gli equipaggi con le Clio. Ad Andrea Compagnoni e Paolo Maggi con la Mini Cooper S, va la RSTB 1.6, mentre la Racing Start Plus RS 1.6 va a Andrea “Tigo”Salviotti e Nicolino Crevani. Concludiamo con la A5, in cui, stringendo i denti, Marta Achino con Elena Bertolli sulla Fiat Uno 70 sx, sono salite sul 2° gradino del podio classe ed il terzo nella classifica femminile alle spalle Bignardi-Malvermi e Frigerio Musari. di Piero Ventura
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GIUGNO 2019
Rally Storico del Grifo: Ruggeri - Marzi danno spettacolo L’Equipaggio di Ruino composto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi a bordo della piccola Fiat 127 Sport con i colori della Media Rally Promotion, sono stati autori di una prestazione superlativa al Rally Storico del Grifo corso in condizioni meteo avverse e proibitive che hanno esaltato le prestazioni del duo della berlinetta torinese. Nella gara vinta da Guido Sterza e Mauro Lucchi su Renault 5 Turbo davanti alla Porsche 911 RSR di Agostino Iccolti e Giuseppe Ferrarelli e alla Volkswagen Golf GTI di Filippo Baron, l’equipaggio oltrepadano ha conquistato uno straordinario quinto posto assoluto, primo di Gruppo e primo di Classe, battendosi come un leone tra vetture ben più potenti. La gara, valida quale terzo appuntamento della Coppa 127 si é sviluppata sulle prove speciali venete, che hanno scritto pagine del rallysmo italiano, rese ancora più difficili dalla copiosa pioggia che le ha letteralmente trasformate in ruscelli. Fin dalle prime prove speciali del sabato, Daniele Ruggeri e Martina Marzi prendono il comando tra i contendenti della coppa riservata alla berlinetta torinese, facendo oltretutto segnare ottimi tempi nella classifica generale dando paga a vetture ben più performanti. L’alta competitività di questi trofeisti é dimostrato anche da una seconda 127, quella dell’equipaggio della Scaligera Rally condotta da Manuel Negrente in coppia con Andrea Signorini che si porta nelle zone alte della classifica. Al termine della due giorni di gara, tra prove speciali dal manto coperto d’acqua e scivolose, il duo lombardo della Media Rally Promotion, oltre a Gruppo e Classe, ha quindi vinto anche
il terzo appuntamento della Coppa 127 e come detto, classificandosi addirittura in quinta posizione assoluta, mentre terminano secondi nel trofeo i già citati veronesi Manuel Negrente e Andrea Signorini, bravi anche loro ad entrare nella top ten, al nono posto assoluto. «Gara difficile, bagnata – ha dichiarato soddisfatto Daniele Ruggeri – ci siamo rifatti della sfortuna patita nel primo appuntamento». «Gara tosta, difficile – gli fa eco la navigatrice Martina Marzi – in cui ci siamo comunque divertiti e questo é importante». Ora, Daniele Ruggeri e Martina Marzi avranno modo per preparare a puntino la gara di casa, il Rally 4 Regioni in programma i prossimi 5 e luglio, che seppure non valida per la “Coppa 127”, rimane comunque un traguardo ambitissimo. Ottima anche la prestazione fornita dalla veneta Lisa Meggiari tornata a fare coppia con la rivazzanese Silvia Gallotti. Per loro un più che onorevole 12 posto assoluto, agguantato mettendo in campo tanta grinta dopo un inizio di gara difficile. «è la prima volta che corro la gara di casa – ha detto la Meggiarin - Mai vista tanta acqua così. Una scelta di gomme a dir poco pessima (colpa mia ) il sabato sera che ci ha messo a durissima prova. Penalizzando la classifica di brutto e facendomi pensare al ritiro... Ma Ia domenica abbiamo risolto in parte il problema grazie ad un amico e tra Jollyni e jollony giocati alla grande, ma sempre con il sorriso, siamo riuscite a risalire in parte la china. Ringrazio Silvia, che ha condiviso con me quest’avventura e tutti gli amici che mi sono stati vicino». di Piero Ventura
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Classifica generale delle prime 15 posizioni
L’Equipaggio di Ruino, Martina Marzi e Daniele Ruggeri
1. Sterza-Lucchi (Renault R5 GT Turbo) in 37’33.4; 2. Iccolti-Ferrarelli (Porsche 911 Rs) a 1’14.5; 3. Baron-Corradini (Vw Golf Gti 16V) a 1’21.3; 4. SantagiulianaValerio (Citroen Ax Sport) a 1’23.9; 5. Ruggeri-Marzi (Fiat 127 Sport) a 2’29.0; 6. Lusa-Berdin (Fiat Uno Turbo) a 3’00.8; 7. Baghin-Zandonà (Alfa Romeo Alfetta Gt) a 3’22.5; 8. Albertini-Scardoni (Porsche 911) a 3’36.5; 9. Negrente-Signorini (Fiat 127 Sport) a 4’02.5; 10. PellizzariMagnaguagno (Ford Escort Rs 2000) a 4’07.5; 11. Sanna-Dal Brà (Porsche 911 Sc) a 4’15.7; 12. Meggiarin-Gallotti (Autobianchi A 112 Abarth) a 4’27.9; 13. Rossi-Marchiondo (Fiat Uno Turbo) a 4’40.0; 14. Sbalchiero-Manea (Fiat 127) a 5’01.4; 15. ZandonÃ-Ballini (Bmw M3 E30) a 5’32.0;
L’Equipaggio Meggiarin-Gallotti