Il Periodico News - AGOSTO 2019 N°145

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Oggi Terre d’Oltrepò sfoglia la rubrica telefonica del passato, sperando in un esito diverso del suo futuro

Anno 13 - N° 145 AGOSTO 2019

20.000 copie in Oltrepò Pavese

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OLTREPò PAVESE

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

«5G, radiazioni pericolose per la salute» Gli esperimenti sul 5G, la nuova tecnologia per la connessione dati mobile superveloce, arrivano in Oltrepò e Legambiente Voghera esprime...

Un nuovo parco commerciale potrebbe sorgere fra Codevilla, Torrazza Coste e Montebello della Battaglia. Stiamo parlando dell’area ex-Colussi, da tempo dismessa e finita all’asta poco più di un anno fa. Già in passato sono stati presentati progetti su questa importante area, che però non si sono mai concretizzati. Questa volta però potrebbero esserci le condizioni per un recupero dell’area. Sarebbe, infatti, in corso di definizione un progetto realizzato da Luca Parrino Retail, importante società milanese che si occupa della realizzazione di centri commerciali, outlet, e delle nuove aperture di importanti pagina 17 brand nazionali...

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BRESSANA BOTTARONE «A differenza della vecchia amministrazione, questa è più promettente» Cristiano Biscuola, presidente della Pro Loco di Bressana Bottarone (da quattro anni “New Pro Loco”) ci descrive la situazione eventi nel paese... pagina 45

varzi rivanazzano terme

«Stiamo pensando alla Rivanazzano Terme dei prossimi anni» Classe 1959, nativo di Montesegale ed inizialmente pavese d’adozione, si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1985, specializzandosi in Igiene... pagine 18 e 19

godiasco salice terme Terme all’asta: la fortuna è cieca, ma la “sfiga” ci vede benissimo... Le Terme di Salice, il giorno 8 Ottobre, andranno all’asta per poco meno di 5milioni di euro, per la precisione € 4.975.000,00, con offerta minima... pagina 21

CORVINO SAN QUIRICO

il Periodico

Area ex Colussi, si sta definendo un progetto per il recupero

news

Teatro Sociale : «Voghera dovrà faticare non poco per chiudere le stagioni in attivo» pagine 4 e 5

«Siamo entrati subito nella macchina organizzativa» Le elezioni comunali di quest’anno vedono Michele Lanati, 38 anni, in qualità di nuovo sindaco di Corvino. Insediatosi circa due mesi fa... pagine 40 e 41

CORNALE E BASTIDA Fusioni di comuni: tagliati i trasferimenti Lo Stato italiano ha fama di essere un carrozzone di burocrazie e tecnocrazie di varia natura ed estrazione. Di non mantenere gli impegni che... pagina 39

«I soldi ci sono, mi aspetto che Poma pensi alle nostre strade» pagine 24 e 25

Comunità Montana e le ragioni dello strappo: Ferrari spegne la polemica

pagine 22 e 23

Editore



ANTONIO LA TRIPPA

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«iL sOLE DI TUTTI I GIORNI è TRAMONTATO»

Da poche settimane è mancato il Dottor Giovanni Alpeggiani, medico, nativo del Brallo, per anni uno degli attori principali della politica oltrepadana, provinciale e regionale. “Il Puparo”, come lui stesso si era scherzosamente definito in un’intervista proprio da queste pagine. Giovanni Alpeggiani, come tutti i primi attori della politica, è stato un personaggio controverso, con amici, pochi, con amici per interesse, molti, e con nemici… tanti. Non lo conoscevo molto bene, non l’ho frequentato. Penso di averlo incontrato e di avergli parlato, sì e no, un paio di volte. Ma le ricordo. La prima, quando mi chiese un’opinione personale su di un personaggio che poi sarebbe diventato sindaco. La seconda, quando fui io a chiedergli una cortesia. Lui mi diede la sua parola. E così avvenne. Il mio giudizio sul medico del Brallo e sulle sue scelte politiche è molto limitato, ma in tutti questi anni alcuni amici che avevamo in comune, pochi, a dire il vero, e conoscenti, molti a dire il vero, e non tutti della stessa idea politica di Alpeggiani, qualunque essa sia stata, mi hanno esternato il loro pensiero sul modo di agi-

re di Alpeggiani e sul suo pensiero politico; altrettanti, tralasciando l’Alpeggiani politico “che tirava le fila della politica oltrepadana”, mi hanno trasmesso la loro idea su chi era secondo loro Giovanni Alpeggiani uomo. Molti hanno espresso commenti durissimi, per usare un eufemismo, proprio su Alpeggiani come persona. Ripeto: non so se tali commenti fossero giustificati, ma il leggere sui giornali e sui social, i giorni successivi la sua morte, affermazioni di profondo cordoglio e lutto mi ha lasciato dal punto di vista etico ed umano di sasso. Non bisogna ripararsi dietro la frase “Di fronte alla morte… etc.etc.etc.” Se di una persona hai espresso, e quindi hai, un giudizio personale (non politico) pessimo, quando questi muore il buongusto dice di non fare commenti, e la dignità dice anche che è fuori luogo fare commenti, seppur positivi, di incensatoria circostanza. Chi ha osservato e ha letto, molti, non tutti ma molti, i commenti dei vari esponenti politici locali sulla morte di Alpeggiani, si dovrebbe rendere conto che questi politi-

ci hanno una lingua biforcuta: e potrebbe starci, nell’ambito degli attacchi politici; ma avere ed usare una lingua biforcuta a livello umano ed etico in una circostanza quale la morte... mi sembra troppo! Ho apprezzato i pochi fedelissimi amici politici di Alpeggiani che hanno espresso parole di lutto e cordoglio. I fedelissimi di Alpeggiani non erano tanti, ma egli aveva certamente tanti fedeli che, ancora con il funerale da celebrare, si stavano guardando in giro per cercare un nuovo capo. C’è un’etichetta, c’è un galateo nel cosa dire e nel cosa fare nel lutto, basta leggere e documentarsi. Così come c’è per la cerimonia funebre, a prescindere dal modo in cui essa venga celebrata. Ecco, appunto… l’etichetta… Durante il funerale, non è obbligatorio, a meno che non si rientri nella cerchia dei parenti stretti o comunque delle persone più intime del defunto o della famiglia, accompagnare il feretro al cimitero per assistere alla sepoltura. è invece corretto, quando si assiste al funerale di una persona, farlo in silenzio e soprattutto ricordare che l’attore principale, passatemi il termine,

è il feretro, e non il politico di turno. Se arriva il politico di turno, magari importante, i politici locali, se sono anche primi cittadini, ed al Brallo è successo, non dovrebbero precipitarsi con ossequioso inchino da lui, ma dovrebbero, e nel caso specifico,visto che è successo, avrebbero dovuto concentrarsi sul feretro, e solo in seguito, finita la cerimonia, ci si poteva incontrare, senza andare fino a Bruxelles, magari a Varzi, per un caffè, e si poteva iniziare a parlare di politica e di tattica... strategia no, nel caso specifico mi sembra un parolone fuori luogo… La morte di Alpeggiani, al di là di ogni giudizio politico nel quale non voglio entrare, ha mostrato a tutti una cosa: la mancanza di educazione di molti e la mancanza di riconoscenza di tanti, e, ai politici rimasti, soprattutto quelli sulla cresta dell’onda, dovrebbe aver insegnato che, così come è successo ad Alpeggiani, anche loro quando “saranno ancora caldi” avranno i pochi fedelissimi che rimarranno con loro, ma tutti gli altri, numerosi fedeli, volteranno loro le spalle in cerca di un nuovo capo. di Antonio La Trippa


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Teatro Sociale : «Voghera dovrà faticare non poco per chiudere le stagioni in attivo» Voghera ha scommesso tutto sul restauro del Teatro Sociale, eppure il piano non sembra adatto a garantirne la sostenibilità economica nel tempo. Mentre i lavori procedono tra mille difficoltà, a causa di ritrovamenti archeologici e varianti, il Comune pensa a una Fondazione che si curi della gestione futura del bene che secondo le dichiarazioni dovrebbe riaprire il 19 aprile 2020. Tuttavia crescono i dubbi relativamente alla possibilità di un modello di business che consenta di chiudere gli esercizi in attivo. «Troppo piccolo per le grandi stagioni di prosa nazionali, capaci di coprire i costi di gestione, ma anche inadatto a ospitare grandi ensemble internazionali di lirico sinfonica o spettacoli d’opera di alto livello, per via delle dimensioni del palco e di spazi troppo ridotti per gli orchestrali nel golfo mistico». Andrea Dondi, grande esperto di teatri e spettacoli impegnato in tutto il mondo da più di trent’anni, non ha dubbi nell’analizzare il progetto in avanzata fase del nuovo Sociale. Dubbi che molti anni fa erano stati espressi a esponenti del Comune di Voghera anche da un manager oltrepadano della gestione teatrale, produttore e autore di spettacoli, ovvero Marco Vaccari, già fondatore della società Fama Fantasma che portava a Voghera spettacoli di prosa di grande richiamo colmando un vuoto. Vaccari, rimasto inascoltato, da anni ha portato la sua professionalità a Milano, dov’è direttore artistico di successo del Teatro San Babila, tra piazza Duomo, cuore della città storica e via Montenapoleone, simbolo del lusso e zona rinomata per lo shopping esclusivo: la struttura conta su 340 posti a sedere in platea e 130 posti a sedere in galleria. Dopo Vaccari, oggi sono molti a interrogarsi su versatilità e funzionalità del teatro ma anche su come dare copertura ai costi di funzionamento. Andrea Dondi, grande professionista del management dei beni culturali e dentro la macchina organizzativa di stagioni e concerti in tutto il mondo, interessato al problema ora osserva:

Teatro sociale di Voghera: apertura prevista per il 19 aprile 2020

«A vedere il progetto di recupero e considerando ciò che accade un po’ in tutta Italia, dove sono in crisi anche i teatri di molte grandi città, probabilmente Voghera dovrà faticare non poco per chiudere le stagioni in attivo. Le istituzioni italiane riservano sempre meno investimenti ad arte e cultura, dunque sono i privati a dover fare la differenza ma spesso pesa anche l’impreparazione di un pubblico che va preparato e motivato a prendere parte agli spettacoli pagando il giusto». Una cosa che nel nostro Paese, secondo l’esperto, non va più molto di moda.

Andrea Dondi: «Troppo piccolo per le grandi stagioni di prosa nazionali»

«Purtroppo le amministrazioni locali hanno disabituato per tanti anni il pubblico a pagare per prendere parte ad eventi culturali, lirici, operistici, sinfonici o teatrali di valore. Oggi l’Italia chiama spesso “evento culturale” qualcosa di piccolo, di minore, che dietro la necessità di un micro investimento da parte dell’ente di turno dà l’illusione di produrre un grande show a ingresso gratuito per gli spettatori. è così che si uccide la produzione artistica e chi cerca di fare impresa con la cultura. Costa di più andare al cinema, che nell’ultimo triennio è sempre più in crisi anch’esso. Per fare la differenza bisogna saper stupire e colpire con cose grandi, che lascino il segno distinguendosi. In realtà c’è una grande differenza tra concerti o rappresentazioni low cost, mordi e fuggi, e un palinsesto vero con relativi investimenti, ben studiato e capace di generare marketing territoriale». E gli effetti sono molto diversi: «Nel primo caso - spiega Dondi - si fa illusionismo, nel secondo caso si creano risultati tangibili e lungo termine». Il progetto del Sociale di Voghera prevede

il recupero del teatro, della platea, del primo, secondo e terzo ordine per un totale di 340 posti, dei quali solo 154 in platea e gli altri ripartiti nei tre ordini. «Con questi numeri - dice l’esperto - o si fanno stagioni più costose di almeno il 35% di quelle dei teatri di Milano oppure non si sta in piedi. Per attivare una massiccia vendita di biglietti per ciascuno spettacolo inoltre, bisogna avere nomi di richiamo e spettacoli che costano e che vanno prenotati per tempo, con grande managerialità e spesso versando cospicui anticipi». Altro punto dolente sembra essere quello degli spazi per le orchestre. «Qualora non siano state apportate modifiche successive, il progetto non lascia sufficienti spazi agli orchestrali per candidare il Sociale a ospitare grandi ensemble nazionali o internazionali, anzi, sarebbe anche un problema portare a Voghera un’opera completa con artisti, scenografie e orchestrali in formazione non ridotta». In merito a cosa di potrebbe fare in un Teatro Sociale di questo tipo, il manager non ha dubbi: «Ferma restando la componente della copertura dei costi, si potrebbe certamente fare molto di ciò che già si fa nei piccoli teatri di provincia, in quelli degli oratori più attrezzati o magari nelle piazze all’aria aperta quando la stagione lo consente. A mio parere, tuttavia, l’Italia sbaglia. Ogni cittadina vuole il suo teatro ponendosi spesso dopo, quando è tardi, di risolvere il nodo della gestione e della sostenibilità economica. Sarebbe forse più facile che in una territorialità ampia come quella della provincia di Pavia esistesse un’unica fondazione capace di dare un palinsesto vario, ampio e mirato a ciascuna delle strutture teatrali locali». Dondi riporta una sua esperienza negli Stati Uniti: «Dove sanno fare business, si mettono insieme e ottengono tutti dei risultati. Coinvolgono anche le associazioni culturali operanti sul territorio, per chiedere consiglio e collaborazione. Ci sono cartelloni unici creati da più strutture con un anno d’anticipo e promossi capillarmente. Ci sono cittadine che trasformano il dopo spettacolo in happening per la promozione dei loro prodotti e delle loro identità. In Italia pensiamo spesso che gestire un teatro sia un gioco e un vanto in solitaria, pensiamo alla cultura come a qualcosa di disgiunto dalle economie locali. Non è così». Parole importanti che fanno capire come occorra riflettere in fretta sul dopo cantiere. Resta il fatto che Voghera ha sempre visto nel suo Sociale una chance. La storia


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va infatti riletta e attualizzata, perché non fu facile nemmeno agli inizi. è negli anni venti del 1800 la città più grande dell’Oltrepò Pavese sente il bisogno di un teatro consono alla propria realtà. Abbandonato un primo progetto, stilato nel 1821 dall’ingenere Gian Battista Petrino, l’incarico viene affidato all’architetto Giacomo Moraglia, il cui progetto venne approvato dal Consiglio Comunale nell’anno 1824. Tuttavia l’area prescelta inizialmente non aveva il consenso generale della Società degli azionisti per il nuovo teatro, oltre ad una riconosciuta maggiore spesa non rilevata in fase di progetto. Fu dunque nuovamente affidato all’architetto milanese Moraglia il progetto di una nuova pianta del teatro in una zona diversa e più spaziosa della città. Dopo alcuni anni di controversie per il definitivo posizionamento del nuovo teatro, finalmente nel 1837 venne deliberato di costruirlo nell’area posta tra la Regia Traversa (Via Emilia) e la Piazza Maggiore (Piazza del Duomo), a fianco del nuovo Palazzo Civico, anch’esso da costruirsi contemporaneamente. L’architetto Moraglia, non potendo più proseguire la sua opera a Voghera a causa dei numerosissimi impegni presi nel frattempo, dovette ritirarsi dall’incarico, consigliando però all’Amministrazione Comunale un architetto di sua fiducia, il torinese Gioacchino Dell’Isola, il quale aveva già realizzato, sempre per il Comune di Voghera, il progetto del nuovo Ospedale. L’inaugurazione avvenne la sera del 19 aprile 1845 con la rappresentazione dell’opera “I Lombardi alla prima crociata” di Giuseppe Verdi. Per tutta la seconda metà del 1800 il Teatro Sociale

340 posti, dei quali solo 154 in platea. «Con questi numeri o si fanno stagioni più costose di almeno il 35% di quelle dei teatri di Milano oppure non si sta in piedi. continuò la sua attività ininterrottamente, fornendo al suo folto pubblico spettacoli interessantissimi, soprattutto musicali; la prosa, infatti, era ancora una sezione marginale del teatro. Con il 1900 si hanno le prime interruzioni dell’attività teatrale prevalentemente per ragioni economiche, dettate dalle spese per gli spettacoli e per i restauri dell’edificio. La situazione peggiorò tra le due guerre mondiali con sempre maggiori periodi di chiusura. Dal 1962 il teatro fu concesso in affitto come cinematografo e le rappresentazioni teatrali si ridussero notevolmente, fino ad arrivare alla chiusura definitiva del 1986. La città aspetta ora di vedere cosa accadrà il fatidico 19 aprile del 2020. Certo che al progetto esecutivo del “Recupero, Restauro e Adeguamento funzionale” della struttura ora manca un’appendice: il “Piano di gestione e sostenibilità”.

«Purtroppo le amministrazioni locali hanno disabituato il pubblico a pagare per prendere parte ad eventi culturali, lirici, operistici, sinfonici o teatrali di valore

Tutto questo tenuto conto che non c’è nemmeno più una Fiera dell’Ascensione di grande impatto com’era un tempo.

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rile a partire almeno dalla seconda metà del Settecento. L’elenco dei titoli delle opere rappresentate al Sociale di Voghera, considerato già allora periferico, non ha mai riservato grandi sorprese nemmeno allora: si trattava sempre di un repertorio ampiamente consolidato, che constava delle opere più popolari di Verdi (come l’Otello), Donizetti e Bellini, integrato da esecuzioni solitarie di opere del secondo Ottocento (Carmen, Manon Lescaut, Faust, La Wally, La Gioconda, Mefistofele). Molto consistente è stata poi la presenza nell’antico palinsesto di opere dei compositori della cosiddetta Giovane Scuola, Puccini e Giordano in particolare. Una chicca fu l’arrivo di Tosca a Voghera a meno di 3 anni dalla prima rappresentazione assoluta di Roma. Spazio poi a Rossini con il Barbiere e ad altri grandi classici. Altri tempi, con una Voghera certamente

Lavori di restauro del Sociale

Infatti, sempre rileggendo la storia, in molte città e luoghi di provincia dell’Italia del centro-nord, dove più intensamente si sviluppò tra Settecento e Ottocento “l’Industria del melodramma”, gli spettacoli melodrammatici si affermarono in occasione delle fiere. A Voghera vennero a coincidere con lo svolgimento di quella principale, tenuta nella stagione primave-

più popolosa, più attiva e più di richiamo per un pubblico che non sentiva certo da Milano l’attrazione che avverte oggi in senso culturale, ludico e ricreativo. Sarà certo una sfida, nel 2020, sbaragliare la concorrenza con idee accattivanti, sapendo fare impresa e anche squadra. di Luca Cruciani


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Giovedì sera estivi, un successo…a metà L’edizione 2019 della rassegna vogherese organizzata dal Comune ha riscosso un successo moderato, almeno per i commercianti. La presidente dell’Ascom Cristina Palonta, proprietaria di un negozio di calzature in piazza Duomo, si dice «soddisfatta del numero di persone che hanno animato il centro», anche se, riguardo agli affari, rivela come «un giovedì su quattro sia stato davvero buono, con persone che hanno comprato», mentre nei tre restanti il movimento è stato caratterizzato più che altro da curiosi. Spostando l’attenzione su altri settori, salta invece all’occhio come ad aver lavorato di più siano stati, secondo previsione, i bar. «In particolare la via San Lorenzo era affollata e le attività lì hanno lavorato sempre parecchio, soprattutto in virtù di iniziative private, legate alla musica o a un’offerta culinaria». A questo giro l’organizzazione è stata direttamente nelle mani del Comune, Ascom non ha partecipato in maniera diretta anche se ha fatto da intermediario tra le varie attività (anche non associate) che desideravano organizzare eventi e l’amministrazione che doveva accordare loro i permessi. «L’impressione generale sugli eventi è stata positiva» afferma Palonta, «nonostante si sia fatto tutto con relativa fretta». Che cosa si potrebbe migliorare? «Probabilmente la caratura degli eventi, invitando ospiti che abbiano un richiamo maggiore, come avviene in altre realtà anche vicine». Lo scoglio, come sempre, è il budget a disposizione e su questo aspetto la presidente di Ascom apre le porte a una maggiore collaborazione in vista della prossima stagione: «Con una pianificazione adeguata siamo sicuramente disponibili a collaborare e unire le forze, come categoria, anche dal punto di vista economico. Meglio magari fare due eventi piuttosto che quattro, ma di livello altisonante». Facendo “una vasca” nel centro cittadino, raccogliamo gli umori a caldo dei dopo “Giovedì”. Roberto Bagnaschi, tirolare della pescheria di Via San Lorenzo si dice assolutamente soddisfatto, con una precisazione: «Io di solito mi faccio i fatti miei e quello che faccio lo faccio per me senza dover chiedere nulla a nessuno. A me degli altri non interessa… io sto portando avanti l’iniziativa da 4 anni, credo abbia avuto un buon successo ma il risultato che ho avuto è stato merito mio. Qui a Voghera si usa troppo parlare prendendosi i meriti degli altri e a me non va bene. Ci sono tante cose che possono essere sviluppate e migliorate, dipende dalla volontà delle persone». Carlo Bascapè, dell’omonimo negozio di abbigliamento di via Topia, non è dello

mo lavorato tanto e l’afflusso di gente è stato alto. Migliorerei l’organizzazione in termini temporali: penso che sarebbe meglio anticipare la programmazione al mese di giugno, perché a luglio la maggioranza dei cittadini e visitatori è già in vacanza». Anche per Roberta Mocchi di Pull Love, di via Emilia, la nota dolente è legata al discorso parcheggi, in particolare al prezzo «trovo che 1,50 Euro all’ora sia un prezzo eccessivo, che può giocare a svantaggio dell’affluenza dei visitatori in città. Per il resto, ho partecipato a tutti i “Giovedì

Cristina Palonta, presidente Ascom

stesso parere: «Ho aperto solo i primi due Giovedì del mese. L’iniziativa andava fatta in un’altra maniera… Non è un discorso di “Voghera sotto le stelle”, ma di periodo... quest’evento andava organizzato in un periodo di maggiore affluenza, con un piano commerciale ben definito. Le attività andrebbero istituite in centro città, invece che nei centri commerciali o in periferia… Un altro problema è legato alla viabilità: Piazza Duomo ha una sola via che entra e dieci che escono, questo causa problemi legati alla mancanza dei parcheggi, che a sua volta porta la gente fuori città. In ultimo, a mio parere è mancata anche una disinfestazione dalle zanzare... quest’aspetto non ha favorito certamente». Valentina Sala, della libreria Ubik di Via Emilia si dice soddisfatta «perché l’iniziativa ha avuto successo, pur rimanendo solo all’interno dell’attività di vendita. Un lato

«Credo che abbia avuto un buon successo, ma il risultato che ho avuto è stato merito mio»

«Abbiamo lavorato tanto e l’afflusso di gente è stato alto. Migliorerei l’organizzazione in termini temporali»

Valentina Sala

Roberta Mocchi

negativo che posso evidenziare è la mancanza del parcheggio, che ha penalizzato i visitatori. Migliorerei l’offerta culturale legata all’intrattenimento, magari con concerti, eventi culturali...come ad esempio è stato organizzato a Tortona con la rassegna musicale di Arena Derthona». Bilancio positivo anche per Mariateresa De Macceis, titolare della gelateria Yuki di via Emilia. «Per quanto mi riguarda, abbia-

Sotto le Stelle”, come l’anno scorso, perché penso che l’apertura dei negozi sia una buona attrattiva. Per quanto mi riguarda, ho trovato un aumento di clienti in orario serale. Se dovessi migliorare qualcosa, interverrei solo sui parcheggi, come è stato già fatto qualche anno fa per il sabato, giorno in cui il parcheggio era gratuito». di Christian Draghi e Federica Croce


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«I rappresentanti politici, senza strumentalizzazioni elettorali, svolgano tutti il dovuto interessamento» La paventata chiusura estiva del reparto di ginecologia dell’ospedale di Voghera è stata scongiurata, ma l’allarme in città non è rientrato del tutto. Negli ambienti politici c’è chi teme che la perdita del prezioso reparto possa essere solo rimandata e invita a tenere alta la soglia di attenzione. Cristian Romaniello, deputato iriense del Movimento 5 Stelle, pone l’attenzione a questo proposito sulla posticipazione dei lavori di ristrutturazione cui il reparto stesso doveva inizialmente essere sottoposto nel corso del 2020 e che invece avranno luogo nel 2021, ad elezioni del nuovo sindaco già avvenute: «Questo spostamento – spiega Romaniello - porta alcuni vantaggi, uno dei quali è il tempo per condurre la prossima battaglia: lasciare il servizio di ostetricia e ginecologia durante il periodo di ristrutturazione all’interno dello stesso Ospedale di Voghera. Dall’altra parte, però, questo ritardo fa sorgere un sospetto: un tema che non tutte le forze politiche abbracciano rischia di entrare di peso in una campagna elettorale, come sarà quella di Voghera dove si voterà nel 2020, e il ritardo andrebbe a vantaggio di chi vuole lo spostamento del servizio nascite a Stradella e, quindi, a chi ha bisogno che tale trasferimento avvenga dopo una campagna elettorale». In altre parole, per Romaniello, lontano dai riflettori e soprattutto dall’incombenza delle urne, uno spostamento del reparto (che invece sotto campagna elettorale costerebbe inevitabilmente tanti, troppi voti) sarebbe politicamente più digeribile. Lo stesso deputato pentastellato bacchetta poi la Lega vogherese: «Lunedì 15 luglio ho partecipato al Consiglio Comunale di Voghera per ascoltare la discussione dell’ordine del giorno sulla chiusura del reparto di ginecologia ed ostetricia dell’Ospedale Civile di Voghera.
 Ho ascoltato con interesse il dibattito e, per fortuna, l’ordine del giorno è passato con il voto di quasi tutti i consiglieri comunali presenti, ma non ho gradito per nulla e, aggiungo, mi trovo nella condizione di biasimare il comportamento del gruppo consiliare della Lega, il quale non solo non ha votato la mozione, ma ha addirittura abbandonato l’aula durante la votazione. Un comportamento simile è, in genere, utile a mandare messaggi chiari a chi deve riceverli, magari a correnti politiche che però si muovono per interessi che nulla hanno a che vedere con la tutela della salute delle donne incinta e dei cittadini». Sulla situazione dell’ospedale di Voghera interviene anche il capogruppo del Pd in consiglio comunale Roberto Gallotti, che denuncia alcune carenze: «Rispetto alla propria organizzazione interna ed al funzionamento dei vari reparti, si ha l’impressione di un ospedale funzionante a due velocità, con alcuni aspetti positivi e altri lasciati andare senza alcun intervento migliorativo. Purtroppo gli episodi di riduzione di posti letto sono una modalità per far fronte alla

le necessarie garanzie. Non dimentichiamo e questo lo sappiamo, che il medico specialista consiglia molto la partoriente. Teniamo anche conto che prossimamente forse in base a direttive regionali i fuori regioni non verranno considerati come fuori budget e quindi questo farà riconsiderare le presenze dell’Emilia per Stradella e del Piemonte per Voghera. A VoPaolo Affronti Roberto Gallotti Cristian Romaniello ghera terremo alta la guardia carenza di personale ed alla impossibilità l’utente a vedere allungati i tempi di attesa certamente come abbiamo fatto nel passato di mantenere gli standard qualitativi indiper quelle decisioni che lo costringeranno a con consigli comunali aperti, a livello naspensabili al mantenimento degli accredirivolgersi immediatamente al Pronto Soczionale vale la pena forse far rivalutare la tamenti regionali: e sono situazioni che si corso, con il risultato contrario alle intenziomisura stabilita dalla legge sui 500 parti in verificano costantemente tutti gli anni, vedi ni iniziali». relazione alle realtà territoriali». la riduzione dei posti letto di un settore delPaolo Affronti, già sindaco e parlamentare, A breve verrà inaugurato un nuovo la Medicina, Otorino e Oculistica che chiuora esponente dell’Udc, segue da sempre pronto soccorso, un segnale positivo per dono nei week end». Riguardo alla situaziole vicende che riguardano le problematiche la città… ne di ostetricia e ginecologia Gallotti pone della sanità nei vari ruoli da lui rivestiti, sia «Un nuovo e moderno pronto soccorso. Gli l’accento su un altro problema: la mancanza professionali che politici. accorgimenti previsti dal punto di vista lodi anestesisti. «Pare non sia possibile proceAffronti, la chiusura estiva reparto ostegistico con differenziazione dei percorsi: dere a parti indolori per la mancanza di anetricia di Voghera è stato tanto rumore per urgenza pazienti psichiatrici, infettivi, con stesisti h24: esiste in verità una carenza genulla? strutture adeguate che gestiscono i codici nerale di anestesisti che diventa un grosso «Esattamente, sulla notizia non esisteva alrossi (urgenti), verdi e differenziano quelproblema per l’Ospedale di Voghera, infatti cuna nota o disposizione ufficiale di ASST, li bianchi in modo da evitare attese per le i concorsi fatti non danno i risultati sperati detto questo è giusto tener alta la guardia urgenze sono senz’altro un fatto positivo è poiché la struttura non è attrattiva, dato che come ha fatto il Consiglio Comunale di Vocerto comunque che un adeguato organico i turni di lavoro vengono spalmati su ospeghera e come ha fatto il Presidente del Conmedico ed infermieristico deve essere ricodali che sono troppo distanti tra loro e la siglio Comunale che ha posto in votazione nosciuto all’ASST se si vuole dare risposte reperibilità è su Voghera, Stradella e Varzi. un ordine del giorno votato all’unanimità adeguate all’utenza. La Direzione Generale Serve poi – prosegue Gallotti - un impegno dei presenti (assente la lega contestata per oltre ad avere la collaborazione del persodi risorse indirizzate alla crescita reale delle questo dall’alleato di governo cinque stelle). nale medico ed infermieristico deve avere potenzialità dell’Ospedale: acquisizione di Vale anche la pena ricordare che ad un noi necessari riconoscimenti di organico da strumentazioni che da tempo sono necessastro rappresentante, Gianfranco Geremonparte dall’assessorato regionale». rie in reparti come la Radiologia, con una dia, è stata assegnata la delega dell’ osservaCosa ci dice del servizio di guardia menuova Tac che eviti, per le frequenti rotture torio sanità, di nuova istituzione, proprio per dica? di quella in uso, il ricorso a strutture private monitorare la situazione del nostro ospedale «Il servizio oggi non sempre riesce a dare che tra l’altro, pare, stiano aprendo un nuoe degli altri presidi sanitari presenti in città. risposte all’utenza, vuoi per una richiesta vo ambulatorio ad hoc che sarebbe in forte è per questo che dopo inopportune dichiamolte volte impropria. Le prescrizioni, se concorrenza con l’Ospedale». razioni di stampa rese da un amministratore non esiste chiamata con urgenza, vanno fatUn ulteriore problema che potrebbe aggiundi Stradella circa la eventuale temporanea te dal proprio medico di base agli orari amgersi è il recente spostamento del servizio chiusura dell’ostetricia di Voghera ci siamo bulatoriali. La centralizzazione del servizio di guardia medica da Pavia a Milano, che subito attivati con l’assessore Geremondia di chiamata e di coordinamento su base repotrebbe ripercuotersi sulla già difficile siper verificare la situazione. Alla base c’era gionale, nelle possibili previsioni, potrebbe tuazione del Pronto Soccorso. «La ex guarsolo una richiesta di valutazione che non causare ritardi nelle risposte. I cittadini dedia medica ora avrà per tutta la provincia ha avuto alcun esito. è chiaro che comunvono comunque essere informati di queste un numero unico regionale, una sperimenque anche nel caso della prossima ristruttuinnovazioni in modo da poter comprendere tazione svolta in altre tre provincie della razione del reparto di ostetricia bisognerà le differenze tra un servizio di emergenza Lombardia di cui però non è dato sapere i ricercare una soluzione interna o esterna, e quello, di una guardia medica sostitutiva risultati pratici, soprattutto le ricadute sui comunque in città per evitare che il punto del medico di base». cittadini» spiega Gallotti. «Il numero verde nascite dell’ospedale di Voghera anche se Cosa manca a suo giudizio all’ospedale per le cure non urgenti dovrebbe servire a temporaneamente debba essere chiuso. Vodi Voghera? dare un servizio più efficiente e dovrebbe ghera come ospedale con un pronto soccor«Occorrono al nostro Ospedale apparecaiutare a diminuire il cronico intasamento so dotato di presenza h 24 di cardiologia e chiature tecnologiche sempre più adeguate del Pronto Soccorso. Un’organizzazione rianimazione non può rinunciare, dando le e mi pare che il Direttore Generale si stia che, sulla carta, appare tutto sommato effinecessarie garanzie, alle partorienti di una muovendo bene al riguardo, per questo è ciente e in grado di dare soddisfazione alle zona vasta che ha nell’ospedale di Voghera bene ringraziarlo, esigendo dalla Regione i esigenze sanitarie – anche quelle urgenti il suo naturale riferimento. Questa campanecessari aiuti per sostituire apparecchiatudel cittadino. Tutto questo però solo sulla gna e queste voci di smantellamento anche re ormai obsolete. I rappresentanti politici, carta dato che la chiamata al numero verde se temporaneo non danno certezze all’utensenza strumentalizzazioni elettorali, svolregionale trova a rispondere non un medico za. I medici, non dimentichiamo che alcuni gano tutti il dovuto interessamento a favore ma un operatore professionale, una figura operano sia a Voghera che a Stradella, dedelle strutture del territorio». che presumibilmente non sarà in grado di vono fare opportuna opera di convincimento dare le risposte più adeguate costringendo per dire che Voghera ha continuità ed offre di Christian Draghi



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«Il nostro segreto: qualità del prodotto e del servizio al cliente» Un tempo esistevano le profumerie in cui le essenze erano centellinate. In cui il senso dell’olfatto veniva condotto magicamente a bearsi tra il gelsomino, il sandalo, il bergamotto, il vetiver, in un ambiente che discretamente si richiamava al lusso e all’eleganza. Profumerie di questo tipo non ne esistono quasi più: il mercato ha compattato il settore. Enormi spazi luminosi e ariosi, profumi e cosmetici allineati, musica di sottofondo, commesse esteticamente perfette. Entrare, curiosare, comprare, scappare. Niente più rapporto con chi ti sa consigliare e coinvolgere. Qualche profumeria tradizionale, però, ancora resiste. In questi luoghi il tempo è rallentato. Chiudete gli occhi, annusate: è il posto più bello del mondo. E “coccola” è la parola d’ordine. Ha un’età la bellezza? No. Oggi la donna, anche âgée, ricerca la bellezza. Consapevole dei suoi anni non combatte le rughe, ma desidera stare bene con il proprio corpo. Passata l’abitudine di una volta che a 60anni considerava la donna ormai non più degna di truccarsi, oggi c’è tempo e voglia di prendersi cura di sé. Difficile, però, farlo, se l’interlocutore è una splendida ventenne che nemmeno conosce l’esistenza delle smagliature o se nessuno aiuta a scegliere tra mille prodotti rassodanti che si somigliano. Ecco perché le profumerie tradizionali piacciono e resistono, diverse, tra negozi omologati: creano un legame. Coccolano. Praticano la vendita assistita. Seguono la richiesta di una donna che non sa come spiegare che è ancora affezionata al profumo che usava trent’anni fa, e lo ricerca disperatamente. Nelle profumerie tradizionali la bellezza, per fortuna, non è canonica. E ciascuno può sbizzarrirsi alla ricerca di prodotti che una catena moderna non saprebbe collocare: le acque di Colonia da un litro; le saponette, inglesi e francesi, le creme per il viso e per il corpo più esclusive consigliate da personale preparato e non necessariamente giovanissimo e così via… La profumeria “la Parisienne” di Voghera è rimasta l’unica profumeria storica nella provincia di Pavia. Abbiamo incontrato Piergiorgio Baggini che con la figlia Cecilia accoglie i clienti in un percorso di fragranze e bellezza. Baggini, quando ha intrapreso l’attività di profumiere? «Ho aperto il primo negozio in via Gabetta circa 48 anni fa. Lavoravo nel settore ,per la Colgate&Palmolive e decisi di mettermi in proprio aprendo un negozio che non era solo profumeria ma vendevamo un po’ tutti i prodotti per l’igiene e la cura del corpo: lacche, deodoranti, sali da bagno...». Quante profumerie c’erano all’epoca a Voghera?

Piergiorgio e Cecilia Baggini

«Ce n’erano diverse, almeno sei o sette, c’era molta concorrenza ma tutti vendevano, il periodo era molto diverso da adesso. Prima degli anni ’80 i profumi erano quasi tutti francesi, le fragranze duravano più di 10 anni, guardi ad esempio Chanel n.5 che è ancora in voga adesso, non c’era un ricambio così frequente. Il boom vero e proprio è arrivato negli anni ’80 quando esplose la profumeria e nel giro di pochi anni il mercato venne investito da una quantità strabiliante di nuovi prodotti, tutti made in Italy o che avevano come riferimento stilisti italiani. I clienti compravano molto e questa tendenza è continuata fino agli inizi degli anni 2000. Io sono arrivato ad avere quattro profumerie a Voghera e una a Casteggio». Poi cosa è successo? «C’è stata l’apertura dei centri commerciali e l’avvento dei negozi in franchising e questo ha spostato una certa clientela, soprattutto quella giovane e meno qualificata verso questo tipo di negozi, creando così un calo di clienti verso le profumerie tradizionali». Cecilia, lei quando ha cominciato a lavorare in negozio? «Io mi sono laureata in giurisprudenza nel 1995 e, siccome erano tempi diversi e c’era molto da fare nei negozi, ho deciso di rimanere qui, anche perché la profumeria mi è sempre piaciuta, ho sempre seguito mia mamma Carla fin da quando ero bambina. Pensi che sotto Natale mi diver-

tivo a confezionare i pacchetti regalo nel retro del negozio. Ho seguito diversi corsi proposti dalle aziende e sono contenta di aver seguito la mia passione». Qual è la vostra cliente tipo? «Abbiamo una clientela affezionata e di un certo livello. Sono per lo più donne di età media che non chiedono solo un prodotto ma anche un consiglio per riuscire a vivere meglio .Sono flessibili, pronte a scoprire le novità. Spesso si presentano con la figlia e le over 50 con la nipote e richiedono con loro un trattamento di bellezza. O sono alla ricerca di un profumo unico, e allora si propone di unire l’estratto, quintessenza del profumo, all’eau de toilette, per una fragranza unica .Un tempo la donna over 50 desiderava solo avere la pelle idratata ora desidera essere condotta verso una bellezza a tutto tondo. E poi abbiamo anche molti uomini che amano essere guidati nella scelta del prodotto. In genere il cliente che viene da noi ama farsi consigliare, vuole scoprire le novità e trascorre un po’ di tempo in negozio per scegliere, vuole quasi essere coccolato. Nell’altro negozio che abbiamo in Via San Lorenzo ,”Elixir de parfum”, la clientela è molto più di tendenza perché è specializzato in profumi di nicchia che sono la passione dei giovani che viaggiano molto, lavorano a Milano e seguono la moda». Avete delle esclusive per alcuni marchi? «Abbiamo esclusive per la provincia di

Pavia per alcuni profumi di nicchia come Byredo, Penhaligon, Bond e poi Acqua di Parma che abbiamo solo noi a Voghera. Per quanto riguarda i marchi di bellezza abbiamo tutti i migliori ed alcuni come Sensai, Dior e Diego Dalla Palma mandano periodicamente gli esperti visagisti per far provare il nuovo make up ai clienti». Negli ultimi anni a causa dell’apertura dei vari centri commerciali Voghera come tante altre città italiane ha visto svuotarsi il centro storico di clienti e negozi, pensate ci possa essere un’inversione di tendenza? «Si cerca di resistere basandosi soprattutto sulla qualità del prodotto e del servizio al cliente, la clientela frettolosa e di massa va al centro commerciale, le persone con più disponibilità economica e attenzione alla scelta del prodotto di classe scelgono noi. I nostri clienti vogliono provare e vedere il prodotto, non si fidano delle vendite online che non ci hanno creato problemi. Ci dovrebbe essere un miglioramento dell’economia in generale e meno pressione fiscale per far cambiare qualcosa nel settore del commercio. Per quanto riguarda le varie manifestazioni che si fanno in città, ben vengano se sono di puro divertimento mentre non ci sembra giusto portare in città mercati di vario genere che fanno concorrenza alle attività commerciali locali». di Gabriella Draghi


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LETTERE AL DIRETTORE

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Le notti brave e la strage dei ragazzi Gentile Direttore, in questi ultimi giorni in Italia ci sono state numerose morti di giovani, vittime di incidenti stradali, mentre rientravano all’alba, dopo aver trascorso la notte nelle varie discoteche sparse su tutto il territorio nazionale. Anche in Oltrepò leggo di incidenti e di ragazzi e ragazzini in coma etilico che hanno richiesto l’intervento urgente delle autoambulanze. Quando ero giovane, mi ricordo che frequentavo un bar a Casteggio che aveva il permesso, credo l’unico in città, di tenere aperto fino a tarda notte. A mezzanotte il titolare dello stesso faceva sgomberare gentilmente me ed ai miei amici dal locale, per dedicarsi interamente agli abituali nottambuli che rendevano molto più di tutti noi! In seguito discoteche ed altri locali furono autorizzati a tenere aperto per tutte le notti ed i genitori da allora aspettano con ansia il ritorno dei propri figli come se fossero reduci da una guerra. Purtroppo, un’esperienza che anch’io ho

fatto, anni fa, con i miei due figli maschi, passando le notti davanti alla televisione e fumando una sigaretta dopo l’altra fino al loro fortunoso rientro a casa. Da chiamare in causa, più che gli orari di chiusura, sono semmai quelli di loro che non impediscono la vendita a minori di alcolici all’interno dei locali (succede, purtroppo). Detto questo, tuttavia, c’è il libero arbitrio che i frequentatori di locali notturni, giovani o no, dovrebbero esercitare con responsabilità: sia nel consumo di alcolici (o altro) sia nella guida di un’auto. Questo è il punto cruciale da affrontare per evitare o almeno contenere lo spargimento di sangue sulle nostre strade. In questo senso controlli più stringenti e l’applicazione «senza se e senza ma» delle sanzioni per chi infrange le regole, restano fattori determinanti per «educare» tutti ad un corretto e civile esercizio delle proprie responsabilità. Così da non dover piangere qualche vittima ogni sera. Lettera firmata Casteggio

«Al pronto soccorso dolorante per 9 ore» Alla Direttrice, le scrivo per segnalare le ore da incubo che ho passato al Pronto Soccorso di Voghera. Qualche settimana fa, mio figlio è arrivato al pronto soccorso di Voghera per una caduta avvenuta nella sera precedente dalle scale di casa mentre giocava, niente di preoccupante e niente di rotto, ma contusioni e dolori dappertutto. Cosa faccio? Il nostro pediatra era in ferie, la guardia medica non c’è e allora lo accompagno al pronto soccorso. Ora di ingresso le 15. Alle 24, è stato visitato, dopo 9 ore. Durante le 9 ore d’attesa ho visto altri ammalati che hanno firmato per uscire, qualLETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

cuno ha cominciato a urlare (altri erano lì da prima) e non sono arrivate ambulanze a sirene spiegate. La critica non è rivolta al personale, le infermiere erano come delle trottole, correvano in ogni direzione, loro fanno anche troppo. Ma 9 ore senza nemmeno essere visto da un medico è una vergogna! Cosa fanno tutti questi dirigenti dei piani alti? Invece dei servizi a “Report” o a “Presa diretta” sui robot che portano le medicine, si facessero un giro al Pronto Soccorso. Lettera Firmata Voghera

Rettifica In riferimento all’intervista pubblicata alle pagine 62 e 63 del nostro giornale nel mese di Luglio 2019, avente per oggetto La Torre Beccaria di Arena Po, su segnalazione della famiglia Dealberti, precisiamo che: nell’intervista all’attuale proprietario della Torre Beccaria, Angelo Roveda, erroneamente è stata attribuita la proprietà della stessa alla famiglia Roveda già dal 1917. In realtà dal 1918 al 1999 la proprietà era della famiglia Dealberti, ramo materno della famiglia Roveda.

DIRETTORE RESPONSABILE: Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale: Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 - Godiasco Salice Terme (PV) Tel. 0383/944916 - www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto

«Noi pendolari sotto il sole, senza treni e senza informazioni» Alla c.a del Direttore, segnalo che da settimane le condizioni di viaggio sulla linea Stradella - Milano e viceversa, già non brillante per puntualità e livello di servizio, si sono aggravate a un livello disumano: sono stati soppressi convogli in partenza con la “scusa” che le carrozze non hanno l’aria condizionata in efficienza. Gli altri treni, ugualmente non condizionati, sono partiti in condizioni bestiali di sovraffollamento, temperature oltre i 36 gradi e con ritardi altissimi. Nonostante i ripetuti appelli e segnalazioni di singoli pendolari e dei comitati, i vertici dell’Assessorato di Regione Lombardia, nella persona dell’assessore alle Infrastrutture trasporti e mobilità sostenibile, Claudia Maria Terzi, si sono limitati a chiedere al personale Trenord di sforzarsi (!) di diminuire il disagio degli utenti (addossando la responsabilità di questo delirio ai governi precedenti (?). Il servizio clienti di Trenord non risponde né segnala

tempestivamente le soppressioni e i problemi, l’unica informazione decente giunge dalla rete attiva di pendolari attraverso i social e le app. Noi pendolari paghiamo in anticipo cifre consistenti per un servizio scadente, si aggiunge il fatto di essere trattati in modo indecente, lasciati ad attendere per ore a temperature altissime e a rischio collasso e senza una informazione decente... e che agli abbonamenti trimestrali e annuali (cioè ai pendolari più “fedeli”) il bonus riparatore non viene nemmeno riconosciuto. Credo che una simile situazione non sia sostenibile e vi prego di portare in evidenza questi fatti dalle pagine del vostro giornale per mettere in luce che la Regione non si può limitare a fare proclami su miglioramenti presunti e lasciare i pendolari, da cui l’introito della società dipende, in questa situazione indegna di una società sviluppata. Giancarlo Sforzini - Stradella

«Perché esasperare l’odio tra ciclisti e automobilisti?» Gentile direttore, in questi mesi in cui parlare della pista ciclabile Voghera Varzi è di moda, a me viene sempre più ansia quando prendo la bicicletta. Quel che sta venendo fuori dalle discussioni è preoccupante. Parlo da ciclista ma anche da automobilista. C’è chi soffia sul fuoco della discordia per interesse politico ma, al di là della questione, quel che si sta facendo è alimentare un odio tra automobilisti e ciclisti che diventa pericoloso. Ha notato quanti commenti livorosi verso i ciclisti? Prima che i soliti saltino sulla sedia pronti a vomitare odio, dico subito che so bene che la bicicletta non è il lasciapassare per fare qualsiasi cosa, così come so che il Codice della Strada è da rispettare da parte di tutti. Forse ci sarebbe bisogno di qualche multa in più, anche ai ciclisti, ma certamente pure a chi gioca col cellulare mentre guida, a chi corre troppo, a chi fa sorpassi criminali… Sono preoccupato perché quando prendo la bicicletta temo di incontrare qualcuno

dei commentatori accaniti che promette di far passare brutti momenti ai ciclisti che non vanno sulla ciclabile. Sono preoccupato perché sono un ciclista attento, rispetto i semafori, i segnali e le precedenze, come quando guido l’auto, ma qualche volta potrei sbagliare anche io. E dall’altra parte spero di trovare un automobilista cui chiedere scusa prima che mi investa o mi sfiori appositamente per punirmi. Che poi, quando mi è capitato di uscire in bici con le mie figlie, ho trovato automobilisti gentili che, in qualche caso, ci hanno dato la precedenza anche dove non l’avevamo, perché vedevano due bambine. Gli abitanti della Valle Staffora sono meglio di come si descrivono sui social per fortuna. Attenti piuttosto a non fare il gioco di chi semina malcontento per il proprio interesse personale. E ricordiamo sempre che in bici ci sono persone, non nemici da punire. Grazie dell’attenzione. Luigi Pedroli - Voghera

«Grazie per la premura e l’onestà!» Egregio direttore, chiedo cortesemente lo spazio di poche righe per ringraziare di cuore il ragazzo africano (al quale non ho fatto in tempo nemmeno a chiedere come si chiamava) che mi ha seguito nel negozio in cui ero entrata in via Cavour per restituirmi il

cellulare che mi era scivolato dalla borsa mentre chiudevo la mia bicicletta. Grazie! Grazie di cuore per la premura e l’onestà! Mi sembrava bello e giusto raccontare questa bella notizia! Anna Gramigna - Voghera


CYRANO DE BERGERAC

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Oggi Terre d’Oltrepò sfoglia la rubrica telefonica del passato, sperando in un esito diverso del suo futuro. La nuova Terre d’Oltrepò, azionista di riferimento dell’Oltrepò Pavese del vino sfuso venduto in cisterna, punta sulle bottiglie e affida il suo futuro al presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, che curerà una “serie limitata” di vini di alta gamma. I giornali locali e i comunicati stampa parlano di una novità assoluta. In realtà il nuovo che avanza copia dal vecchio. Era il 22 giugno 2005 quando, nei giardini del seicentesco castello di Montalto Pavese era stato presentato il progetto «Vite, ambiente, qualità». Progetto ambizioso che aveva portato l’allora indipendente Cantina Sociale di Casteggio, fondata nel 1907, a presentare degli eccellenti vini in collaborazione con uno dei massimi enologi italiani, Riccardo Cotarella. Nei suggestivi giardini del castello il presidente della Cantina sociale Vittorio Ruffinazzi, il direttore generale Emilio Renato Defilippi e l’enologo Cotarella avevano illustrato le qualità di queste etichette (i nomi dei vini firmati dal famoso enologo: Clefi, Autari, Il Longobardo, Console Marcello). La Cantina Sociale di Casteggio puntava così a un segmento di mercato tra i più esigenti e difficili con tutte le carte in regola per imporsi ai più alti livelli. Vini che attingevano alla più alta tradizione vinicola dell’Oltrepò Pavese, con la consapevolezza che l’eccellenza è l’arma vincente in questo settore. Il progetto prevedeva, tra l’altro, un servizio di assistenza tecnica agronomica alle aziende viticole associate allo scopo di mantenere ai massimi livelli la qualità delle uve, ridurre i costi di gestione e salvaguardare l’ambiente. Un progetto ambizioso e di estremo interesse, che era stato presentato come destinato a fare scuola. Cotarella aveva portato i vini dell’Oltrepò anche a Londra, come racconta una cronaca della testata WineSurf del 14 maggio 2007, a firma di Carlo Macchi, in cui si legge: «Ad un certo punto del seminario, si giunge alla degustazione di due Barbera dell’Oltrepò Pavese, quella di Cantina di Casteggio e quella del Castello della Cigognola. Riccardo Cotarella ha sottolineato la grande diversità dei due vini rimarcando quanto il terroir fosse diverso nelle 5 miglia di distanza fra una cantina e l’altra. Un giornalista britannico ha appuntato “Ma il primo vino ha poco o niente legno, mentre il secondo ne ha in abbondanza: come facciamo a parlare con certezza di un concetto delicato come la differenza di terroir?” La risposta dell’enologo é stata

“Sì, qui cambia il terreno, l’esposizione e nient’altro. Ricordatevi che stiamo parlando non solo della stessa uva, ma dello stesso clone. Anche la vinificazione é uguale.” Sì, ma il legno? Possiamo scusare la mancata risposta, adducendo come giustificazione la padronanza dell’Inglese del nostro enologo: buona e simpaticamente italiana, ma magari con qualche piccola falla qua e là». Non finisce qui. è il primo gennaio 2008 quando la rivista Italia a Tavola annuncia il nuovo patto tra Cotarella e Casteggio con queste parole: «La Cantina di Casteggio ha raggiunto il secolo di vita, dimostrando la longevità dei vini dell’Oltrepò pavese. Per l’occasione il presidente della cantina Vittorio Ruffinazzi, che presiede anche Ascovilo, e il direttore ed enologo Emilio Renato Defilippi hanno fatto ripubblicare l’atto costitutivo della Cantina del 1907. Per festeggiare il traguardo del ‘centenario” è stato realizzato un vino bianco speciale, il Postumio, con

l’etichetta firmata dall’Istituto europeo di design da Guo Xiaoye (George) della Repubblica popolare cinese e un Vermouth della scomparsa SVIC (Società vinicola italiana Casteggio dell’antico Piemonte) ottenuto da una vecchia ricetta dei primi del ‘900. Un esempio eclatante del nuovo corso dell’azienda - che ha saputo adeguarsi ai mutamenti e alle difficoltà del mercato- è dimostrato dai vini del progetto Vite Ambiente Qualità (creati grazie alla collaborazione con un wine maker del calibro di Riccardo Cotarella), diventati un fiore all’occhiello della produzione della Cantina. La ricorrenza storica ha evidenziato il prestigioso traguardo raggiunto dai soci, dal consiglio d’amministrazione e dai dipendenti della Cantina di Casteggio e l’impegno profuso in questi cento anni di storia, per fare il territorio protagonista dei prestigiosi vini e spumanti dell’Oltrepò pavese. Impegno che, si spera, caratterizzerà anche i prossimi cento anni

dell’importante azienda». Purtroppo tutto questo non portò a risultati di valore in termini manageriali tanto che di lì a poco la cantina sociale intercomunale di Broni, specializzata in sfusi, acquisì la Cantina Sociale di Casteggio, quella delle griffe, in difficoltà economica e gestionale: nata nel 2008 dalla fusione tra la Cantina Sociale Intercomunale di Broni e la Cantina di Casteggio, Terre d’Oltrepò s.c.a.p.a. è la più importante realtà vitivinicola di tutto l’Oltrepò Pavese e dell’Italia NordOccidentale. 900 aziende viticole per 4.500 ettari di vigneto specializzato producono annualmente oltre 400.000 quintali di uve. Oggi Terre d’Oltrepò sfoglia nuovamente la rubrica telefonica del passato, sperando in un esito diverso del suo futuro. Tutto questo mentre l’Oltrepò Pavese del vino, con le bottiglie, se la cava peggio di allora in termini di numeri e valore. di Cyrano de Bergerac



ATTUALITà

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«5G, radiazioni pericolose per la salute» Gli esperimenti sul 5G, la nuova tecnologia per la connessione dati mobile superveloce, arrivano in Oltrepò e Legambiente Voghera esprime le sue perplessità. La Provincia di Pavia sarà una delle “cavie” più martoriate: entro il 2020 sarà quella che ospiterà più antenne (8), la metà di quelle previste in tutta la Lombardia. Ben quattro i paesi d’Oltrepò riguardati: Brallo di Pregola, Colli Verdi, Val di Nizza e Santa Margherita Staffora. La preoccupazione degli ambientalisti riguarda innanzitutto la salute pubblica per i possibili effetti, ancora troppo poco studiati, dell’esposizione delle persone a queste radiazioni, molto più forti di quelle necessarie per il funzionamento del 4G. «Inoltre – spiega la presidente di Legambiente Voghera Chiara Depaoli – quello che ci preoccupa e su cui ci preme puntare l’attenzione è che alcuni nostri Comuni installano passivamente questa tecnologia (non so se con un ritorno di affitti) senza farsi alcuna domanda sulle eventuali ricadute sulla salute». A chi ospiterà le antenne sperimentali il circolo ambientalista ha spedito già ad aprile delle lettere che però «non hanno mai ricevuto risposta». Che cosa avete scritto ai vari sindaci? «Abbiamo chiesto se fossero o meno al corrente di tale installazione visto che non risultavano comunicazioni in merito da AGCOM o dal Ministero dello Sviluppo Economico. Invitavamo poi a riflettere sull’opportunità di dare spazio a queste antenne viste le caratteristiche della nuova tecnologia». Che cosa vi preoccupa in particolare? «Il 5G viaggerà su frequenze altissime e mai usate finora, fino a 27,5 GHz (mentre con il 4G si arriva al massimo a 2,6 GHz): un’energia 11 volte superiore, ma che ha una “durata” di viaggio limitata. Queste onde vengono infatti facilmente assorbite dal terreno e sono “riflettenti”, non attraversano i palazzi. Per poter connettere tra loro fino a un milione di oggetti per chilometro quadrato, bisognerà installare migliaia di piccole antenne che rilanceranno il segnale proveniente da un’antenna base più grande».

Legambiente mette in guardia dai rischi per l’esposizione alle alte frequenze

Il direttivo di Legambiente. Al centro il presidente Chiara Depaoli

Dal punto di vista scientifico c’è una ragione concreta per temere? «L’esposizione umana alle onde elettromagnetiche aumenterà in modo esponenziale e i rischi per la salute aumenteranno altrettanto esponenzialmente, favorendo la possibile alterazione del funzionamento delle cellule: la prestigiosa rivista scientifica “Lancet” ha presentato uno studio importante che dimostra gli effetti biologici e sulla salute causati dall’esposizione dell’uomo ai campi elettromagnetici con un aumento “statisticamente rilevante” del numero dei tumori al cervello e al cuore. Anche in Italia l’Istituto Ramazzini di Bologna ha sviluppato la stessa ricerca, giungendo alle medesime conclusioni». Qual è la posizione del Circolo in merito? «Oggi si parla della necessità di innalzamento dei limiti di esposizione per le alte frequenze (perchè la normativa nazionale fortunatamente mantiene a un livello cautelativo tale limite), giustificando il tutto con la necessità di sviluppo tecnologico. Non siamo certamente contro lo sviluppo tecnologico, ma non possiamo dirci tranquilli di fronte a quanto accade in Italia e in Europa in termini di sviluppo del nuovo

Ben quattro i paesi d’Oltrepò individuati per la posa delle antenne sperimentali standard delle comunicazioni. Riteniamo doveroso sostenere che nessuno sviluppo tecnologico possa essere prioritario laddove non esistano certezze sui possibili rischi alla salute pubblica, anche quando si tratta di un numero limitato di persone». Le Agenzie per l’ambiente operanti in Italia ritengono però che la realizzazione del 5G possa avvenire anche con il mantenimento degli attuali limiti di legge, attraverso ad esempio il corretto dimensionamento e posizionamento degli impianti sul territorio. Con questo concordate o ritenete che non sia sufficiente? «Legambiente ha presentato le sue proposte: su tutte la cancellazione dell’articolo

14 del Decreto Sviluppo “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” che impone la misurazione dei campi elettromagnetici sulla media di 24 ore invece che sulla media dei 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico. Ridurre poi i limiti di esposizione a 0,6 V/m e a 0,2 V/m come valore obiettivo come indicato dalla Raccomandazione 1815 dell’Assemblea Plenaria del Consiglio d’Europa del 2011. Infine bisogna avviare una sperimentazione indipendente e controllata sul nuovo standard 5G con l’obiettivo di studiare i possibili effetti sulla salute e stimolare le Amministrazioni comunali a tenere alta la guardia». di Christian Draghi


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OLTREPò PAVESE

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«Se più imprenditori avessero fatto buon marketing oggi non saremmo così indietro» Tutti gli eventi del territorio su un unico portale. Il nuovo sito Oltrepoadvisor è nato a inizio anno e sta mostrando appieno la sua efficienza nel corso dell’estate. è il frutto della pianificazione di un informatico del territorio, Gilberto Milanesi, che dal 2010 investe in progettualità sul web sotto l’egida della Dwarf Venture srl, società con sede a Stradella di cui è amministratore e senior project manager. Siti, e-commerce e comunicazione digitale: «tutto ciò di cui l’Oltrepò avrebbe bisogno e che ancora manca». Milanesi, come e quando nasce l’idea di creare Oltrepoadvisor? «L’idea di un portale che diventasse fulcro della comunicazione digitale ci è venuta nel corso del 2018 durante l’analisi di che cosa mancasse al territorio stesso per far sapere al resto del mondo che esiste.
 Il risultato di questa indagine è stata la presa di coscienza di una comunicazione frammentaria, poco organizzata e dispersiva con il risultato di essere poco efficace e di non raggiungere il target a cui si rivolge: i turisti, locali e non. Dopo un sondaggio fatto ad alcuni addetti ai lavori, ci siamo convinti della bontà di tale idea, sviluppando il tutto, strategia di comunicazione, promozione e prodotto, nel corso dell’autunno 2018». In che cosa vi distinguete da altri siti che pubblicizzano eventi sul territorio? «Due sono gli aspetti fondamentali:
il primo è la stretta collaborazione con le associazioni organizzatrici degli eventi in modo da avere un’informazione sempre fresca, diretta dal produttore al consumatore.
Il secondo aspetto è di carattere tecnico: noi siamo parte di un’azienda informatica il cui target di clienti sono quelle aziende che hanno bisogno di supporto tecnico per migliorare l’usabilità dei propri siti web e la loro presenza sul web, nei motori di ricerca in particolare. Il nostro know-how tecnologico ha fatto sì che il portale Oltrepoadvisor fosse tra i più performanti in assoluto, sia come semplicità d’utilizzo da parte degli utenti che come presenza su motori di ricerca come Google». In questi mesi quante visite sul portale avete totalizzato? «Da quando il portale è diventato operativo a marzo 2019, quindi partendo dallo zero più assoluto, abbiamo totalizzato più di 50.000 pagine viste in circa 4 mesi».
 Tante o poche secondo voi? «Questi risultati vanno visti nell’ottica di un territorio come l’Oltrepò: piccolo e relativamente poco conosciuto, se paragonato ad altri territori in Italia. Non stiamo parlando di diffusione nazionale né regionale, ma locale e almeno in questa

Gilberto Milanesi, ideatore del portale Oltrepoadvisor

è nato Oltrepoadvisor: «Tutto sul territorio in un solo sito» fase d’avvio, sono numeri al di sopra delle aspettative. La cosa che ci rende particolarmente soddisfatti è che il trend di visite è in costante crescita con il raddoppio dei numeri ogni mese: significa che la gente non solo visita il portale, ma ci torna periodicamente per essere sempre aggiornata». Mettere in piedi questo “carrozzone”

deve essere stato tutt’altro che semplice, considerata la dispersività del territorio d’Oltrepo’. Quali sono le difficoltà principali cui avete dovuto far fronte? «Tanto per cominciare abbiamo dovuto fare un censimento di tutte le associazioni organizzatrici di eventi: un lavoro enorme perché non esiste da nessuna parte un archivio completo e aggiornato.
La seconda

criticità risiede nell’aspetto di promozione scelto: un “guerrilla marketing” capillare che consiste nella nostra presenza, dal banchetto 1x1 al gazebo 3x3, ad ogni evento organizzato sul territorio dagli afferenti al progetto.
Uno sforzo che vede coinvolte un minimo di 4 squadre fuori ogni week end... per fortuna i risultati stanno compensando grandemente lo sforzo». Come vi mantenete sempre aggiornati? Avete creato una rete capillare di collaboratori o vi muovete in altro modo? «Gli eventi presenti sul portale sono inseriti direttamente da chi li organizza: questo ci permette di avere sempre una comunicazione aggiornata in tempo quasi reale.
Va detto che noi monitoriamo costantemente cosa viene pubblicato sul portale in modo da suggerire correzioni e opportune modifiche per mantenere sempre alta la qualità delle informazioni divulgate, sia agli esseri umani che ai crawler di Google.
Inoltre gli organizzatori di eventi hanno comunque a disposizione un nostro numero dedicato per l’assistenza a cui rispondiamo sempre per qualsiasi necessità.
Abbiamo dato a disposizione, oltre al calendario degli eventi, anche una pagina specifica per ogni utente organizzatore: una sorta di mini sito, dove poter inserire i dati, la storia e le immagini della propria organizzazione, oltre allo storico degli eventi inseriti su Oltrepoadvisor (cosa che immancabilmente va perduta sui social network).
 Molte realtà associative non hanno mai avuto a disposizione i fondi per la creazione e la gestione di un sito web, affidandosi in maniera errata alla sola pagina social: dando questa possibilità abbiamo contribuito alla creazione di un archivio aggiornato di associazioni sul territorio». Come vi mantenete? Avete ricevuto finanziamenti? «Nessun finanziamento. Il progetto, ovviamente, ha un suo piano di rientro capitali tramite le inserzioni pubblicitarie di aziende, soprattutto quelle che siano di attrattiva per i turisti, perché siamo convinti che si possa fare business facendo del bene al territorio su cui si opera». Perché le aziende dovrebbero fare pubblicità con voi anziché altrove? «Le aziende che aderiscono ed affidano i propri eventi o semplicemente la pubblicità del proprio marchio su Oltrepoadvisor, non solo ottengono un sistema di comunicazione altamente indicizzato sui motori di ricerca, ma contribuiscono in maniera diretta allo sviluppo della comunicazione, con conseguente aumento della popolarità e ricchezza, del proprio territorio». Non solo il nome ma anche la grafica


OLTREPò PAVESE rimanda in maniera piuttosto evidente al noto Tripadvisor. Come mai questa scelta? «Ci serviva un nome “catchy” che facesse presa, ma a parte l’assonanza e il colore di parte del logo, ma non il logo, i progetti non hanno altri punti d’incontro.
 Non facciamo recensioni né altro: forniamo un sistema di comunicazione preciso dalle associazioni-aziende agli utenti». Seguite per necessità un numero di eventi straordinario, spalmato su un territorio vasto ed eterogeneo sotto molti punti di vista. Che cosa è saltato subito all’occhio grazie a questa esperienza? «La prima cosa che salta all’occhio è l’impegno che i volontari delle associazioni infondono in quello che fanno: è un qualcosa di eccezionale.
Questo ci fa capire quanto la gente tenga davvero al posto in cui vive e ad organizzare qualcosa che piaccia: vedere il sorriso sui volti dei partecipanti ad una festa è sicuramente un aspetto molto gratificante della cosa». Si dice che uno dei deficit principali dell’Oltrepò sia la cronica incapacità di fare rete e promuoversi all’esterno in modo adeguato. è vero? «In parte sì, altrimenti uno strumento come il nostro non sarebbe stato così fondamentale per il rilancio della comunicazione.
Però devo essere sincero su una cosa: quando ho proposto il progetto ho trovato fin da subito entusiasmo e partecipazione da parte degli addetti ai lavori,

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Ha esordito a marzo: ideato da Dwarf Venture, società guidata dall’informatico Gilberto Milanesi

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centrale, abbiamo creato un ecosistema di mini siti tematici proprio per rendere ancora più semplice il recupero e la fruizione delle informazioni, presenti anche su Oltrepoadvisor, da parte degli utenti. I siti che compongono l’ecosistema, ovvero che utilizzano il database centrale di Oltrepoadvisor come front-end specializzati, sono oltrepoagriturismo.it, oltreporistoranti.it, oltrepoeventi.it e oltrepo-vino. it
Il continuo aggiornamento del sistema e la sua costante espansione a livello tecnico stanno creando i presupposti giusti per far sì che Oltrepoadvisor diventi il portale di riferimento per le visite in Oltrepò». di Christian Draghi

cosa che mi ha piacevolmente stupito, ma anche fatto capire che probabilmente se altri imprenditori si fossero dedicati in modo corretto alla promozione del territorio, forse, oggi saremmo più avanti rispetto alla “concorrenza”». Oltrepoadvisor si rivolge soltanto a chi, già presente sul territorio, cerca qualcosa da fare da qualche parte, oppure ha l’ambizione più grande di diventare una vetrina rivolta al mondo esterno? «Il progetto è rivolto a tutti i turisti: interni ed esterni al territorio.
Perché non serve essere di altre regioni per scoprire per la prima volta, pur abitandoci, posti che non si conoscono.
Però uno degli aspetti principali è sicuramente quello di attira-

re i turisti “da fuori” fornendo quante più informazioni possibili, in modo chiaro ed univoco, per l’organizzazione della permanenza sul territorio. Non ci limitiamo a dire “cosa” si può fare in Oltrepò, ma anche dove mangiare, dove dormire, dove fare degustazioni e dove trovare prodotti tipici: non dimentichiamoci che l’Oltrepò non è solo vino, ma anche salumi, formaggi, miele, zafferano e tanto altro ancora, tutto da scoprire». Tutte queste informazioni in un solo portale. La gente non rischia di perdersi? «Per rendere più veloce la ricerca e più accattivante l’immagine del territorio, in aggiunta ad Oltrepoadvisor come punto

Eventi ma non solo: sul nuovo portale anche ristoranti, alberghi e prodotti tipici



CODEVILLA, Torrazza Coste, Montebello della battaglia

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Area ex Colussi, si sta definendo un progetto per il recupero

L’area ex-Colussi, da tempo dismessa e finita all’asta poco più di un anno fa Un nuovo parco commerciale potrebbe sorgere fra Codevilla, Torrazza Coste e Montebello della Battaglia. Stiamo parlando dell’area ex-Colussi, da tempo dismessa e finita all’asta poco più di un anno fa. Già in passato sono stati presentati progetti su questa importante area, che però non si sono mai concretizzati. Questa volta però potrebbero esserci le condizioni per un recupero dell’area. Sarebbe, infatti, in corso di definizione un progetto realizzato da Luca Parrino Retail, importante società milanese che si occupa della realizzazione di centri commerciali, outlet, e delle nuove aperture di importanti brand nazionali e internazionali. Il progetto, allo stato attuale, sarebbe ancora in fase preliminare. Bisogna però usare i piedi di piombo perché la vicenda è veramente agli albori e tutto è ancora da definire. Nulla di concreto risulta quindi presentato alle amministrazioni coinvolte, anche se, secondo indiscrezioni, si sarebbero svolte alcune consultazioni informali. L’iter che porterà all’eventuale approvazione sarà dunque lungo e complesso, anche perché in ipotesi ci sarebbero delle grandi strutture di vendita che quindi dovranno passare per Regione Lombardia. L’area comunque è sul mercato, e questo è un dato di fatto. Così recita un comunicato pubblicato dall’advisor milanese sui propri canali web e social: «Sono state definite con la proprietà delle aree le linee guida del nuovo Codevilla

Retailtainment Park, in provincia di Pavia, che andrà ad occupare quella che per anni è stata la sede del biscottificio Colussi e a completare armonicamente l’ultimo angolo della straordinaria e storica zona commerciale compresa fra i comuni di Voghera, Montebello della Battaglia, Torrazza Coste e, appunto, Codevilla. Lì nacque nel 1974, e continua tuttora nel suo successo, il primo Iper d’Italia. Ben 45 anni fa. Negli anni si sono affiancati importanti punti vendita Leroy Merlin, Mondo Convenienza, Viridea, Pittarello e molti altri, oltre ad un Multisala The Space con 9 sale e 2.000 posti. Abbiamo chiamato ed identificato questo futuristico ed innovativo progetto con il nome che merita: Retailtainment Park. Non esiste infatti ad oggi, in Italia, un Parco commerciale che sia nato o sia in procinto di nascere con una previsione di leisure ed entertainment così ampia. Stiamo parlando di oltre 10.000 mq tra attrazioni indoor (go-kart, trampolini, escape room, realtà virtuale e molto altro) e outdoor (percorsi avventura, piste in terra per moto e bicicletta, sky rider e molto altro) oltre ad una GLA (superficie commerciale utile, ndr) di ben 15.000 mq tra ristorazione e retail food / no-food. La consegna è prevista per il secondo semestre del 2021.» Il progetto, che date le premesse appare innovativo per il territorio e potenzialmente capace di creare nuovi posti di lavoro, è stato affidato all’ingegner Claudio Ferrari di Parma, accademico, già titolare di incarichi analoghi. È coinvolto il geometra

Ferrarini di Rivanazzano Terme. Dai pochi rendering che abbiamo reperito sembrerebbe in ipotesi l’abbattimento dell’edificio esistente e la realizzazione di un complesso ex novo, con grandi parcheggi ed aree destinate alle attività all’aperto. Sembrerebbero in programma anche due nuove rotatorie, una all’altezza dell’attuale Tucano Fiere, e una sulla via per Casteggio, prima del bivio Leroy Merlin. L’advisor incaricato dispone all’interno del proprio gruppo di competenze interessanti circa le ipotesi di intrattenimento che sono ventilate. La società sorella Leisure 360, infatti, si occupa proprio di questo settore. Il vantaggio di questo tipo di interventi rispetto ai centri commerciali tradizionali è ben spiegato sul sito internet di questa società: «Uno dei motivi per cui alcune mono-attrazioni di medio-piccole dimensioni non hanno il successo atteso è il target a cui sono principalmente rivolte: un luogo per la famiglia non può servire al suo scopo se solo una parte della famiglia si diverte....e normalmente a divertirsi è sempre la parte più giovane. Un Parco divertimenti con target di età 1 - 12, ad esempio, potrà soddisfare i più piccoli ma certamente non i genitori che, normalmente, attendono che i loro figli terminino il loro divertimento in luoghi di attesa senza la possibilità di provare alcuna attività o essere intrattenuto. Per poter funzionare al meglio e soddisfare le giuste aspettative in termini di resa economica, un parco divertimenti deve essere costruito per intrat-

tenere tutti i membri della famiglia, in un luogo piacevole, accogliente, sicuro, dove i più piccoli siano controllati e supervisionati anche in momentanea assenza del genitore. Un luogo dove, se vogliono, i genitori possono anche riposarsi, fare la loro attività preferita e consumare ad un bar accogliente e ben fornito. Molto importante è inoltre la presenza, nei nostri FEC (Family Entertainment Center) di stanze per feste private, per grandi e piccini, anche tematiche.» L’incarico da parte della proprietà sarebbe stato affidato già dallo scorso autunno, mentre i primi dati concreti sono cominciati ad emergere circa un mese fa. Dunque le notizie attuali seguono un percorso durato diversi mesi. Daremo notizia ai nostri lettori di eventuali sviluppi. di Paola Zatta

Codevilla Retailtainment Park: al posto del Colussi non il solito centro commerciale...


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rivanazzano terme

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«Stiamo pensando alla Rivanazzano Terme dei prossimi anni» Classe 1959, nativo di Montesegale ed inizialmente pavese d’adozione, si laurea in Medicina e Chirurgia nel 1985, specializzandosi in Igiene e Medicina Preventiva nel 1989. Dopo lunga carriera, da un anno e mezzo è responsabile presso l’A.T.S. pavese del servizio d’Igiene Pubblica e Medicina di Comunità della nostra Provincia. Dal 2007 al 2017 è stato, per due mandati, benvoluto sindaco del paese di Rivanazzano Terme, anzi, proprio all’inizio di quel suo primo mandato si deve la nomenclatura “Terme” abbinata al nome del Paese, così come già era stata nella prima metà del secolo scorso. Dal 2017 è vice sindaco, con deleghe al Turismo e Manifestazioni, Gemellaggio e Rapporti con gli Enti Locali. Abbiamo incontrato Romano Ferrari. Ferrari come e quando inizia il suo impegno politico ed amministrativo? «La prima esperienza risale al 1995, quando per 4 anni sono stato consigliere comunale nella natia Montesegale e, contemporaneamente, consigliere in Comunità Montana. In seguito, a sostegno del mio interesse politico costante intervenne un amico carissimo, ahimè da poco scomparso, parlo di Giovanni Alpeggiani, che mi esortò ad impegnarmi ancora sul campo. Giovanni ed io eravamo già amici da un decennio, ma iniziammo a parlare seriamente insieme di politica ed amministrazione nei primi anni 2000. Fu lui appunto a spronarmi e sostenermi nell’impegno, diciamo, allargato che, dopo la suddetta prima esperienza, mi portò a candidarmi nel 2005 a Voghera, ove venni eletto e per 2 anni rimasi in Consiglio Comunale nelle fila di Forza Italia, a sostegno del sindaco

Romano Ferrari

Aurelio Torriani. Ricordo quella campagna elettorale: divertentissima, estremamente faticosa ed impegnativa al contempo, ma che mi diede enorme soddisfazione finale, e di risultato! Divenni vice presidente del consiglio comunale e presidente della commissione urbanistica». Rimase solamente un biennio in consiglio comunale a Voghera? «Sì, perché alla fine del 2006 venne inaspettatamente commissariato il comune di Rivanazzano Terme: allora, diversi concittadini mi chiesero di mettermi in gioco per il nostro Comune. Mi dimisi dal consiglio comunale vogherese e mi candidai appunto a sindaco di Rivanazzano Terme. Inutile sottolineare quanto, anche e forse sopratutto, all’epoca, l’appoggio di Giovanni Alpeggiani mi aiutò a realizzare quella sfida».

Indubbiamente una bella affermazione, che si è ripetuta 5 anni dopo, nel 2012, arrivando alle ultime elezioni del 2017 addirittura con lista unica, in assenza di opposizione... «Nel 2012 ottenemmo addirittura il doppio dei voti, rispetto alla tornata precedente; e si, a seguito di una non riuscita lista di partito, non esattamente d’opposizione, già nel 2012, noi iniziammo con quegli esponenti di diversa visione amministrativa, mi passi il termine, comunque un rapporto di collaborazione, trattando in serenità e con correttezza reciproca anche argomentazioni dal loro punto di vista provenienti». Mi scusi se la interrompo: ho sempre notato una sua predisposizione al coinvolgimento, in ruoli anche importanti, di esponenti dalla giovane età. Lo con-

ferma? «Glielo confermo assolutamente. Pensi che nei primi 5 anni di mandato avevamo 2 assessori sotto i 25 anni! Erano un’inesauribile fonte di idee, si trattavano tantissimi argomenti, e si lavorava sodo per mettere in campo le iniziative! Poi purtroppo, nel 2012, il nostro comune è caduto nella tagliola nazionale del contenimento del numero di consiglieri, una legge che venne applicata solo per breve periodo, visto che poi, per fortuna, qualcuno si accorse dell’inutilità della stessa... in pratica, per contenere le spese della politica, ma le assicuro che questo riferimento ad un comune come il nostro è ironico e sarcastico, ci vedemmo tagliare il numero degli eletti da 12 a 7, in riferimento al censimento del 2001, neanche all’ultimo eseguito nel 2011...! Fu solo per breve periodo, ripeto, ma ci finimmo dentro: così non riuscii più a formare una squadra come la precedente. Veda che ai nostri consiglieri viene riconosciuto un simbolico gettone di presenza». Le aspettative per le prossime elezioni del 2022 mi paiono, quindi, serene? «Per carità (sorride)! Adesso è il momento di lavorare per il nostro Comune, non di pensare alle prossime elezioni! E manco alla prossima campagna elettorale! Adesso lavoriamo. Per il 2022 c’è tempo, e faremo campagna elettorale quando sarà il momento». Qual è la situazione che al momento occupa e/o preoccupa la giunta rivanazzanese? «Stiamo pensando alla Rivanazzano Terme dei prossimi anni, mettendo in cantiere il PGT nuovo, servizi da dare al paese


RIVANAZZANO TERME ed ai nostri concittadini, etc. Le prime problematiche che abbiamo individuato possono essere legate al Piano di Governo della Provincia, più precisamente il PTCP, per il quale faremo delle osservazioni nei prossimi giorni, che riguardano aree agricole considerate strategiche; soprattutto per quel che riguarda alcune zone di possibile espansione industriale, che è un altro fiore all’occhiello del nostro paese, la zona industriale intendo, dove già siamo intervenuti, e dobbiamo permettere, ove ne sia la benaugurata possibilità, proprio la stessa espansione, certamente sempre nel rispetto delle normative. Fortunatamente la nostra zona industriale non è impattante sul territorio a livello ambientale, e non presenta, né ha mai presentato, aspetti negativi da questo punto di vista. Ci tengo a precisarlo vista anche la nostra convinzione, e partecipazione al fianco della gente nella battaglia contro l’insediamento di un, ad esempio, pericoloso impianto quale fu la temuta pirolisi, del rispetto dell’ambiente a favore dei conterranei che lo abitano! In generale, comunque, indirizzeremo le nostre osservazioni, all’interno di questo confronto con gli uffici provinciali, all’ottenimento delle migliori soluzioni per il presente ed il futuro, come dicevo, per il nostro territorio, nell’intento di governare in modo razionale le possibili espansioni ed i possibili futuri cambiamenti, tenendo sempre conto delle peculiarità paesaggistiche e le risorse naturistiche delle quali ci pregiamo». A proposito di quest’ultimo concetto: la tanto attesa greenway fino a Varzi procede? «Non vedo al momento motivi di preoccupazione. La Provincia ha dato il via all’operazione, e ritengo sia pronto il tempo del bando d’appalto. Sul terreno del nostro Comune, la provincia strutturerà, allacciandosi all’esistente, un altro significativo percorso di congiungimento fino al comune di Godiasco. La Provincia di Pavia e Pavia Acque, che sta costruendo un acquedotto nel nostro Comune, hanno anche previsto una rete idrica che seguirà, interrata, il percorso della pista ciclabile, per risolvere alcune criticità legate appunto all’approvvigionamento d’acqua in zona collinare. Credo sia un ottima cosa». L’ha citato in una precedente risposta, ma le richiedo un suo ricordo di un importante figura politica del nostro territorio che ci ha da poco lasciati: Giovanni Alpeggiani... «Nell’immaginifico collettivo, come in realtà è stato, Giovanni ha rappresentato un po’, come dire, il collante politico ed amministrativo di tutta la valle, negli anni. Certamente, una figura di riferimento. Il mio ricordo è piacevolissimo. Ci siamo conosciuti ancor prima che io iniziassi a fare politica, ed immediatamente ne ho apprezzato la simpatia e l’intelligenza, esclusivamente dal punto di vista umano. Il primo incontro, ricordo, fu assolutamente casuale, ad una cena, tramite un amico comune. Nel primo decennio, diciamo, la nostra fu una molto saltuaria frequentazione “fuori casa”, a cene e/o feste estive.

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«Giovanni Alpeggiani non era un metodo. Era lui, punto» Devo dirle, però, che non si poteva non accorgersi di quel suo talento innato nello stimolare sia le discussioni, anche non politiche, sia i caratteri, le singole attitudini e, di alcuni, i talenti, forse... Ad esempio, io non avrei mai pensato di candidarmi a Voghera, nel 2005: lui ha stimolato la mia visione, e mi ha aiutato moltissimo a capire. Poi ho proseguito con le mie gambe, ma Giovanni c’è sempre stato, senza essere invadente, nel suo ruolo di sapiente conoscitore, soprattutto delle problematiche. Tra noi bastavano veramente due parole per inquadrare e risolvere una situazione. Siamo sempre stati in sintonia. Ed ha aiutato tantissimo anche Rivanazzano Terme, un po’ come fosse diventata la sua seconda casa... Grazie a lui abbiamo avuto eventi, ospitato personalità, unitamente a Giovanni Azzaretti abbiamo avuto ospite un Ministro, grazie a questo loro modo di lavorare sempre per il territorio: il ministro Giulio Tremonti è stato persino presente all’inaugurazione del nostro teatro!». Vede un nuovo leader, mi passi il termine, per il territorio? «Giovanni Alpeggiani non era un metodo. Era lui, punto. Una persona a tratti geniale, dalla grandissima intuizione. Ed uno stratega: sapeva valutare sempre causa ed effetto di ogni azione. Non è un metodo, ripeto: quindi, è irriproducibile. Sta a chi l’ha conosciuto fare esperienza di tutte quelle esperienze». Non ha avuto la sensazione, in quest’ultimo paio d’anni, che alcuni suoi colleghi, e più in generale alcuni partecipanti alla vita politica ed amministrativa del territorio, abbiano iniziato ad allontanarsi dalla storica idea di centrodestra per confluire verso la Lega? «Direi che è un problema più italiano, più nazionale che territoriale, questo. Mi scusi: ho detto “problema”, mi correggo... è una situazione nazionale. Forse i centristi non hanno saputo avvertire, capire questa situazione; ma non significa che dobbiamo diventare tutti leghisti (sorride). Ma non vuol neanche dire che non si possa riconoscere che un certo sistema, probabilmente, non ha funzionato. Non si spiegherebbe la perdita di così tanti voti in Forza Italia, ad esempio... In questo momento storico sta certamente funzio-

nando la Lega, ma ritengo che comunque un’ anima moderata sia sempre viva: deve ritrovare una propria casa, probabilmente. Mi auguro che sia riconducibile ad un partito politico di un certo tipo, di un certo spessore. Chi, come me, è sempre stato in quell’area, cioè mai agli estremi, ne ha bisogno, inutile negarlo. Ed io non sono persona che si sia mai nascosta dietro ad un dito... Sennò, quell’anima moderata rimarrà sul territorio, qui, cercando le migliori soluzioni per la propria gente, di volta in volta...». A proposito di Lega, è infatti leghista il nuovo sindaco di Varzi, che è anche il nuovo presidente della Comunità Montana, Giovanni Palli... «Al quale va certamente il mio sincero in bocca al lupo per entrambi gli importanti incarichi! Tra noi c’è un ottimo rapporto;

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lo stesso vale per Godiasco, che insieme a Varzi rappresenta il binomio comunale piu esteso, e sono contento vi sia sintonia anche tra di essi. Ritengo che la situazione lavorativa sia su una comune ottima linea». Da ormai esperto, profondo conoscitore delle dinamiche politiche ed amministrative del nostro territorio, come immagina invece la situazione vogherese elettorale del prossimo anno? «Mi auguro sinceramente che il centro-destra, il centro destra tutto, intendo, a scanso di equivoci, trovi l’accordo. Sia chiaro, è una visione personale che confido a lei, senza alcun intento d’interferenza...». Cosa si augura Romano Ferrari? «Personalmente non saprei. Per quanto riguarda invece il nostro paese, visto l’impegno che profondono al nostro fianco tanti volontari, passionari ed appassionati, e le associazioni che ci supportano continuativamente, mi auguro di riuscire, come Giunta, ad offrire sempre i migliori servizi e proposte per la vivibilità e l’attrazione del nostro splendido territorio! E che non piova mai più (sorride) in occasione della festa andalusa, della fiera d’aprile e delle tante altre iniziative che ci stanno molto a cuore!». di Lele Baiardi



GODIASCO SALICE TERME

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Terme di Salice all’asta: la fortuna è cieca, ma la “sfiga” ci vede benissimo... Schettino insegna! Le Terme di Salice, il giorno 8 Ottobre, andranno all’asta per poco meno di 5milioni di euro, per la precisione € 4.975.000,00, con offerta minima per la partecipazione alla vendita di € 3.731.250,00. Le valgono? Non le valgono? Le opinione sono le più disparate. A mio giudizio non le valgono, o meglio non le valgono oggi; le valevano fino al momento della chiusura dello stabilimento termale a fine dicembre 2017, fallite poi nel marzo 2018, allorquando, senza grossi investimenti, si sarebbero potute riaprire il giorno successivo allo stesso acquisto, in quanto impianti e macchinari erano ancora funzionanti. A distanza di quasi 2 anni dal fermo-impianti, ho la ragionevole certezza che la maggior parte delle attrezzature e degli impianti stessi non sia più solo da “mettere a posto”, ma bensì da buttare via. Questo vale certamente per l’impianto di trasporto dei fanghi e per gran parte delle tubature e sistemi meccanici e idraulici di conduzione delle acque termali, ma la lista potrebbe essere assai più lunga. Alla luce di questo scenario, ho la sensazione che la prima asta delle Terme andrà deserta, così come del resto è stato per quella che, fino al 2015, era stata una parte delle Terme stesse, cioè Il Nuovo Hotel Terme, hotel “sfilato” dall’ultima proprietà... vabbè, si far per dire “Proprietà”... nel silenzio generale di tutti, anche di chi sapeva, del pre, durante e post vicenda, l’asta per la sua vendita è andata deserta per ben 2 volte. Per il Nuovo Hotel Terme si era partiti nel 2018 con una base d’asta di € 2.075.000,00, con offerta minima per la partecipazione alla vendita di € 1.556.250,00: poi, a maggio 2019 la seconda asta con base € 1.556.250,00, con offerta minima per la partecipazione alla vendita di € 1.167.187,50. Si attende la terza asta, che avrà molto presumibilmente base di € 1.167.187,50, con offerta minima per la partecipazione alla vendita di € 875.390,60, ed anche questa a mio giudizio andrà deserta, perché alcuni, pochi, non molti a dir il vero, aspettano che il prezzo scenda ancora intorno ai 600-650mila euro... Ritornando alle Terme di Salice, dopo la prima asta, ci sarà successivamente un ribasso del 25%, pertanto il valore d’acquisto delle Terme scenderà a € 3.731.250,00, cifra che rimane comunque un po’ alta, ma magari qualcuno interessato si trova… a meno che non si decida di fare “spezzatino”, cosa possibile e già da me scritta, proprio su queste pagine, dopo pochi mesi dal fallimento. Ecco, in questo caso la soluzione di vendere a “pezzi” sarebbe la fine delle terme salicesi... La realtà è che il vero problema non è trovare un nuovo acquirente disposto ad acquistare le Terme di Salice: il vero problema è ri-

metterle in funzione! L’investimento, solo per la parte stabilimento termale, sarà più o meno quanto sborsato per l’acquisto! Altro problema, con lo sciagurato, imprenditorialmente, accordo tra Comune e Terme, il parco è gravato da servitù perpetua (anche se nel caso i nuovi proprietari, fossero costoro imprenditori e non pseudo-politiciimprenditori, gli stessi cercherebbero, con buone possibilità di successo, di annullare il cappio sciagurato che toglie alla proprietà delle Terme il parco, che da sempre è una sua proprietà); inoltre, una serie di locali, ubicati nel parco, di proprietà delle Terme, pagano l’affitto al Comune: e già questo fa ridere… e lo dovranno pagare ancora per molti anni… al Comune (anche in questo caso, un nuovo proprietario serio cercherà di annullare questo accordo). In tutto questo andirivieni di aste, di silenzi sulla ricerca dei responsabili e dei collusi, mi fanno tenerezza le parole del sindaco - geometra di Godiasco, che auspica l’arrivo di qualche gruppo seriamente interessato ad investire sulle Terme e su Salice in generale. Il buon sindaco – geometra, Fabio Riva, dovrebbe aver capito; ma evidentemente così non è, e da qui la mia tenerezza, dopo che ha partecipato a tutte le decisioni - sbagliate - dal 2004 ad oggi sulle Terme di Salice, che come si dice in dialetto oltrepadano: “ag na nò centrà iuna” (non ne ha centrata una). Del resto, la cronologia dei fatti è palese: 1) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese, guidato dal sindaco De Antoni, quando venne deciso che il buon Somensini non era capace e che il direttore commerciale di allora guadagnava troppo e bisognava mandarli via. 2) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese quando venne raccontato, nel senso proprio di raccontare, tipo una favola, che il passivo del 2004 era passato in soli tre

mesi da 300 mila euro ad un milione ed ottocento mila. 3) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese quando venne raccontato, nel senso proprio di raccontare, tipo una favola, che il problema delle Terme era causato dal contratto Juventus. Contratto che documenti alla mano, alle terme non doveva costare un solo euro. Ripeto documenti alla mano, poi c’è chi vuole credere alle favole raccontate a quei tempi. 4) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese quando venne raccontato che bisognava trovare un’acquirente per le terme, urgentemente e quasi a qualsiasi prezzo. 5) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese quando venne deciso di vendere… si fa per dire... le Terme al gruppo Camuzzi, che poi, e mica tanto “poi”, fallì. 6) C’era Lui nel consiglio comunale godiaschese, guidato questa volta dalla sindachessa Corbi, quando il Gruppo Fabiani diceva che voleva fare un grande lago termale nel…. parco di Salice... 7) C’era Lui, non nel consiglio comunale godiaschese perché si era preso una pausa di riflessione politica in quel momento di “riflessione” politica, nel veder accogliere con grandi enunciazioni dalla sindachessa Corbi l’arrivo di Rosada come nuovo proprietario delle terme e veder successivamente firmare il ridicolo, perché bisogna ridere per non piangere, contratto comuneterme per l’utilizzo del parco delle terme. 8) C’era Lui, questa volta come sindaco, a ringraziare la magnifica collaborazione ottenuta dal “patron romano” delle Terme, Dionisi, gruppo che ha portato le terme in men che non si dica al fallimento. Non ci voleva molto per sapere chi erano “i romani”, quando sono arrivati a me sono bastate due telefonate, ed infatti proprio su queste pagine ho scritto, con dovizia di particolari e più volte chi erano i romani… forse al sindaco-geometra ne sarebbero state necessarie di più, alla luce dei fatti, molte di più, ma poi avrebbe capito. Ora il sindaco-geometra parla, timidamente (e c’è ben da capirlo, ecco perché mi fa tenerezza...), forse inebriato dal fatto che il nuovo presidente della Comunità Montana dell’Alto Oltrepò, Giovanni Palli, gli ha elargito la carica di Vicepresidente con delega a Turismo, Sport e Attività Produttive. Carica al turismo che, a mio giudizio, dopo le decisioni alle quali il sindaco - geometra ha partecipato per le Terme e per Salice Terme e viste le condizioni turistiche in cui versa la ex località termale, è un po’ come se a Ministro della Marina fosse stato nominato il Comandante Francesco Schettino, tristemente noto per la tragica vicenda della Costa Concordia, vicenda

che presenta diverse analogie con Salice Terme: in primis l’affondamento, anche se per fortuna a Salice, a differenza della Costa Concordia, l’affondamento non ha mietuto vittime, se non dal punto di vista economico... Al nostro sindaco, il geometra Riva, val la pena ricordare, perché ogni tanto ci si dimentica, tutti i passaggi inequivocabili sopracitati con carte e testimonianze alla mano nei quali era presente in varie ed eventuali vesti, fino all’apoteosi del fallimento, pardon… fino all’investitura da sindaco di Godiasco, nella vicenda Terme di Salice. Terme di Salice che erano fino al 2004 la nave ammiraglia del turismo oltrepadano, miseramente affondata sullo scoglio dell’incapacità manageriale di chi da quell’anno in poi ha “gestito”, vabbè si fa per dire, le Terme, e delle pessime decisioni politiche. A proposito: qualcuno ci ha guadagnato qualcosa in questo andirivieni di proprietà e fallimenti? Bisogna però dar atto al sindaco-geometra che tutte le colpe non sono sue: è anche stato sfortunato. è capitato in un momento difficile, si è trovato di fronte ad eventi e a dover prendere decisioni e accettare o condividere decisioni al di là delle sue pur ben note ed evidenti capacità. Ben note ed evidenti capacità anche turistiche... no, ecco: turistiche questo no, meglio soprassedere. Eventi e fatti alla mano, per il turismo ha dimostrato di aver poche ma ben confuse idee... però, per il resto, nulla da obbiettare: “suma a post insì” (siamo a posto così), Ben note ed evidenti capacità! Ammesso sia stato sfortunato, la storia, ma anche la scaramanzia, ci insegna che questo non è un buon motivo per essere assolti, o compatiti, anche se gli sfortunati fanno tenerezza, perché alla sfortuna viene da molti e spesso data grande importanza: a Napoli, dove notoriamente sono estremamente superstiziosi, e gli sfortunati sono visti come fumo negli occhi e i napoletani si “toccano” di ogni per allontanare il malocchio... Del resto, riguardo alla sfortuna, basta rileggere le pagine della storia. La storia insegna che uno dei più grandi condottieri, l’imperatore Napoleone Bonaparte, quando doveva scegliere i propri generali era solito chiedere: “Non mi interessa molto se è bravo, vi chiedo se è fortunato”. Ecco: con Napoleone Bonaparte forse... il sindaco di Godiasco, il geometra Schettino, pardon Riva, non si sarebbe occupato né delle Terme, né di Salice Terme, né della Comunità Montana. E forse sarebbe stato meglio così, perché la fortuna è cieca, ma la “sfiga” ci vede benissimo. di Antonio La trippa


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MONTESEGALE

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Comunità Montana e le ragioni dello strappo: Ferrari spegne la polemica Gli organismi di governo della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese sono stati di recente rinnovati e, come ogni volta in cui gli amministratori dell’Oltrepò sono chiamati a decidere per i ruoli chiave, non si è riusciti a trovare una chiave unitaria. Se da una parte la candidatura di Giovanni Palli, neosindaco di Varzi, aveva trovato un certo consenso, non si può ignorare come sette comuni su diciotto abbiano effettuato valutazioni diverse e non abbiano partecipato al voto. Si tratta di Rocca Susella, Colli Verdi, Cecima, Borgoratto Mormorolo, Ponte Nizza, Borgo Priolo e Montesegale. Il sindaco di quest’ultimo, Carlo Ferrari, era il candidato in pectore di questa compagine. L’amministrazione Alberti, di cui lei è stato vicepresidente, è riuscita a portare a casa risultati importanti e ha lasciato una linea di progettualità per il futuro. La Strategia Nazionale per le Aree Interne è il progetto principe e il più importante degli ultimi vent’anni almeno. Ora, in seguito all’elezione di Palli, parrebbe sorgere la ricerca di una discontinuità. Quali le ragioni di quello che, secondo alcuni player, sarebbe un vero e proprio “strappo’’? «Un progetto strategico per il territorio ed un percorso unitario non potrà certo essere strappato da qualche tentativo interno alla compagine della nuova amministrazione della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese di avere ed ottenere rendite di posizione. Ogni qualvolta si parlerà di progetti unitari ed associati per il bene del territorio noi ci saremo.» La sua scelta di non concorrere per l’esecutivo della Comunità Montana come è maturata? «Tornare indietro e rinfocolare divisioni e tutelare rendite di posizione del passato sono le ragioni che ci distanziano, almeno in questa fase, dalle scelte del presidente nell’impostare il suo mandato ed il nuovo corso dell’amministrazione. Abbiamo percorso la strada fino all’ultima curva di un percorso unitario, non abbiamo visto però il coraggio di tenere unito un territorio, come peraltro fatto negli scorsi cinque anni che ci ha permesso di raggiungere un importante risultato. Ci auguriamo si cambi direzione, ed al più presto, per il bene del territorio e l’enorme responsabilità che abbiamo in campo con la Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese.» Con l’assemblea del 26 luglio sono stati ratificati i primi atti concreti della nuova amministrazione: la variazione di bilancio e il Documento Unico di Programmazione che - nonostante in molti casi somigli molto a un “libro dei sogni” - rappresenta il passo formale con cui un’amministrazione traccia la linea

Carlo Ferrari

che intende perseguire nei prossimi tre anni. Un commento sulle linee presentate da Palli? «Nell’Assemblea del 26 luglio è stato presentato un Documento Unico di Programmazione più completo e realistico rispetto al programma di mandato che riteniamo essere privo di idee e di interventi significativi.

«Abbiamo percorso la strada fino all’ultima curva di un percorso unitario, non abbiamo visto però il coraggio di tenere unito un territorio»

Crediamo che su questo atto, di concerto con gli uffici, un passaggio di coerenza e continuità rispetto al passato sia stato fatto. In ogni caso prendiamo atto che il DUP dell’Ente Montano è un documento di continuità e non di rottura con la precedente Amministrazione, infatti contiene tutta la programmazione realizzata negli scorsi 5 anni e che è giunta, oramai, alla fase di piena attuazione a partire dalle aree interne (18,7 milioni di euro con parecchie risorse a favore dei privati), dalla costituzione di un unico Piano di Zona di Voghera e della Comunità Montana (17 comuni su 18 vi aderiscono), al Piano Forestale, al progetto sul salame di Varzi, ai servizi associati con la creazione di 4 unioni di comuni. Prendiamo atto anche che il presidente ha espresso parole di apprezzamento per l’amministrazione precedente per il cospicuo avanzo di amministrazione. Speriamo si prosegua in una strada di programmazione ed associazione dei servizi piuttosto che di divisioni e personalismi.» Ci sono anche dei bandi in corso da seguire con attenzione, uno riguarda le start up. Ma accelerare in questo senso non può prescindere dall’adeguamento

infrastrutturale; oltre alle ‘’solite’’ strade occorre pensare alla rete digitale. La Banda Ultra-larga è in ritardo... «Sicuramente il tema della banda larga è importante non solo per le start-up ma anche per servizi. Nell’ultimo incontro che abbiamo avuto presso l’Ufficio Territoriale Regionale di Pavia abbiamo chiesto un aiuto dalla regione affinché il ritardo sugli interventi infrastrutturali relativi alla banda larga sia colmato il prima possibile. Perché, per prima cosa, aiuterebbe queste nuove imprese; secondo, migliorerebbe i servizi dei comuni; terzo, permetterebbe di creare servizi come la telemedicina. Potremmo dare servizi al territorio senza far muovere persone, dato che noi abbiamo poche persone su un territorio vasto.» Parliamo della telemedicina, con riferimento alla Banda Ultra-larga. «Si tratta di un supporto specialistico con l’A.S.S.T. (capofila), il Mondino e il Policlinico San Matteo, che sono i tre attori cui è demandato il progetto di telemedicina per le aree interne. Bisogna riallineare i progetti in corso, in modo che i progetti delle start-up e i servizi della telemedicina possano prendere forma avendo già a disposizione la connessione veloce. Secondo noi si tratta di servizi importanti, non possono essere penalizzati dal fatto che non c’è un servizio efficiente di banda ultra-larga.» Quali dovrebbero essere, a suo parere, le altre priorità concrete della nuova Comunità Montana? «La Comunità Montana ha bisogno di una governance unitaria a partire dallo sviluppo della Strategia Nazionale per le Aree interne, al rilancio del comparto agricolo e produttivo, alla costruzione di modelli di innovazione sociale al passo con i nuovi bisogni territoriali, allo sviluppo di innovazioni di processo e di filiera passando per un tema chiave come quello dell’ambiente: queste sono le caratteristiche principali dove battere in continuità con la nostra azione amministrativa con risultati importanti come il progetto su salame di Varzi DOP, un unico piano di zona, il progetto sull’osservatorio di Cecima, la necessità di una nuova governance dei consorzi forestali.» Le elezioni della comunità montana sono riuscite a creare malumori anche all’interno del PD, dato che il sindaco di Fortunago Pier Achille Lanfranchi, fino a poco tempo fa vicino al partito, si è accodato alla nuova amministrazione Palli (è stato peraltro nominato capogruppo). In sua difesa, tuttavia, sono scesi in campo alcuni big dell’area dem, come Daniele Bosone. Lei, che nella sua attività politica è considerato da molti un “pontiere” e indipendente dalle logi-


MONTESEGALE che di segreteria, che opinione si è fatto di questi riposizionamenti nella politica provinciale? Che effetti possono avere nei confronti della Comunità Montana? «Penso che al di là dei riposizionamenti della politica locale non si sia fino in fondo compreso la portata epocale del cambiamento di cui questo territorio ha necessità. Bisogna costruire una governance locale unita e coesa con amministratori responsabili e capaci che operino nel solo interesse dello sviluppo del territorio. Stiamo parlando dell’Oltrepò, un territorio ad alta litigiosità e scarsa capacità di agire con un profilo e voce unitario. Non è certamente un vanto, né un merito volersi intitolare la spaccatura della Comunità Montana. Senza contare che un’azione di tale portata che toglie alla C.M.O.P. stessa la rappresentatività territoriale di tutti i Comuni, metterà in crisi la funzione stessa di raccordo sovracomunale ed interistituzionale che secondo noi invece questo ente dovrebbe avere.» Bosone era stato, peraltro, il grande escluso nella partita delle nomine al CDA dell’IRCCS San Matteo, nel dicembre scorso. Poma, nella veste di Presidente della Provincia, scelse lei, per “la sua formazione professionale, ma anche amministrativa, oltre che il legame fortissimo con il territorio”. Come valuta i primi mesi di questa importante esperienza? «Sono molto onorato della mia nomina, voglio ringraziare i molti sindaci e amministratori del territorio che mi hanno candidato a questa importante carica ed il presidente della provincia Vittorio Poma che mi ha nominato. Ci sono tutte le condizioni per lavorare bene e ottenere miglioramenti significativi nei servizi a favore degli utenti e del territorio. Far parte del CDA del San Matteo per me è una grandissima opportunità, poiché è la realtà sanitaria più importante della nostra provincia con oltre 3.600 dipendenti, 900 posti letto, un bilancio di esercizio di oltre 410 milioni di euro. È uno dei 5 grandi ospedali pubblici lombardi ed è la più grande azienda del territorio pavese.» Quali sono, in questo ambito, le novità in progetto che avranno ricadute sul territorio? «Come ha annunciato il 18 luglio il Presidente Venturi durante la celebrazione dei primi 570 anni di vita del San Matteo, questo CDA si è posto come obiettivo di rendere il Policlinico nei prossimi tre anni un punto di riferimento a livello europeo. Un centro rinnovato grazie a quattro progetti importanti: polo oncoematologico, elisuperficie con medicina d’urgenza, acceleratori e cell factory. Il polo oncoematologico prevede un finanziamento di 31 milioni per effettuare adeguamenti strutturali e impiantistici. La Regione ha destinato un milione per la realizzazione di un’elisuperficie che sarà disponibile alla fine del prossimo anno. Anche grazie all’elisuperficie la medicina d’urgenza e il pronto soccorso saranno al pari degli altri cinque grandi ospedali lombardi. A breve (entro settembre il primo) saranno sistemati e aggiornati gli acceleratori per la ra-

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«Ogni qualvolta si parlerà di progetti per il bene del territorio ci saremo» dioterapia. Il San Matteo possiede inoltre un’officina farmaceutica che produce cellule utilizzate in progetti adottati sui pazienti oncoematologici. L’idea è quella di far diventare la cell factory una struttura di riferimento italiano. Il Bambin Gesù ne ha una, il San Matteo sarà la seconda.» Lo scorso 26 maggio lei è stato rieletto sindaco di Montesegale. La sua amministrazione è un “gruppo di amici” che lavorano per il bene della comunità locale; è anche grazie al buon clima all’interno del gruppo che riuscite a fare di Montesegale un esempio di virtuosità e di pratiche di buona amministrazione. Quali sono i primi atti concreti di questa nuova legislatura? «Abbiamo sempre scelto di porre particolare attenzione all’applicazione di una politica urbanistica innovativa (progetti di riqualificazione delle borgate, applicazione volontaria del Piano del Colore, adozione di precise Linee guida e relativi incentivi per il recupero del patrimonio immobiliare). Stiamo, perciò, lavorando per rifinanziare il bando finalizzato ad erogare contributi a fondo perduto e/o incentivi di tipo fiscale per lavori di tinteggiatura, recupero e riqualificazione di parti del patrimonio edilizio di proprietà privata delle borgate (frazioni) di Montesegale e per l’applicazione di nuovi incentivi per il recupero del patrimonio edilizio. Vogliamo creare, poi, una cooperativa di comunità, un modello innovativo di impresa finalizzato all’interesse generale delle comunità locali che punta, attraverso la partecipazione attiva dei cittadini alla gestione dei beni comuni, un concetto innovativo, di crescita comunitaria, che può aprire nuove frontiere lavorative e occupazionali. L’Amministrazione Comunale dovrà approvare la costituzione di una Cooperativa di Comunità affidando ad un comitato promotore il compito di raccogliere e scegliere i fabbisogni più importanti sui quali far agire la cooperativa, predisporre lo statuto e un piano operativo, raccogliere adesioni e giungere alla costituzione legale.» In quanto a paesaggio ed ambiente? «Il paesaggio, l’ambiente e l’energia sono sempre stati e saranno sempre alla base delle nostre azioni di governo e, in particolare, inizieremo il nostro nuovo mandato come ‘’Unione di Comuni Lombarda Borghi e Valli d’Oltrepò’’ con le azioni e l’aggiornamento del PAES adeguandolo gli obiettivi

al nuovo PAESC (Piano di Azione delle Energie Sostenibile e il Clima) per contribuire alla strategia energetica e climatica europea e per migliorare, tra l’altro, l’accesso alle opportunità finanziarie per i progetti sul tema energetico e di adattamento climatico.» E per quanto concerne le strade? «Abbiamo appena concluso lavori di messa in sicurezza ed asfaltatura di gran parte delle strade comunali (circa 100.000 euro di intervento) ed a breve avvieremo a seguito dell’assestamento di bilancio lavori di miglioramento della viabilità pedonale ed abbattimento delle barriere architettoniche in frazione Case del Molino per circa 60.000,00 euro.» È notizia di pochi giorni fa l’inserimento all’interno del “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela del valore ambien-

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tale” di un intervento molto sostanzioso sul territorio del suo comune. Sono stati infatti assegnati ben 724.421 euro per la messa in sicurezza dei versanti sopra l’anello viario determinato dalle Strade Provinciali 36 e 184. In cosa si sostanzia questo intervento e quale importanza riveste per il territorio di Montesegale? «La Provincia di Pavia ha presentato il progetto riferito alla SP 36 (frazione Sanguignano di Montesegale) e alla SP 184 (Montesegale-Fortunago) alla DG Territorio e Protezione civile di Regione Lombardia, richiedendo l’inserimento dei medesimi nel Repertorio Nazionale degli Interventi per la Difesa del Suolo (ReNDIS). Il Progetto è stato approvato e prevede una quota di euro 170.190,00 a carico della provincia di Pavia e di euro 554.131,84 a carico del Ministero dell’Ambiente. I lavori saranno effettuati dalla Provincia di Pavia; è un segnale importante per il territorio in quanto riguardano strade Provinciali molto utilizzate e di collegamento tra i comuni della Valle Ardivestra. Gli interventi sulla viabilità nei comuni della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese devono essere accompagnati da interventi di difesa del suolo, per non vanificare la buona riuscita dei lavori stradali di asfaltatura.» di Pier Luigi Feltri


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«I soldi ci sono, mi aspetto che Poma pensi alle nostre strade» Da “homo novus” ad asso pigliatutto. Giovanni Palli, forte del momento favorevole della Lega a livello nazionale, in meno di due mesi si è preso Comune di Varzi e Comunità montana, piantando due bandierine in altrettanti luoghi strategici per il rilancio politico della Valle Staffora. Il neo sindaco e neo presidente si ritrova così a dover far fronte a oneri e onori che i nuovi ruoli gli hanno calato sulle spalle. La sfida per rendere Varzi più attrattiva e finalmente motore della Valle Staffora è cominciata con alcuni interventi di restyling che hanno interessato piazza della Fiera, con l’eliminazione dei cassonetti («non erano un bel biglietto da visita») e la regolamentazione del traffico in entrata e uscita dalla piazza. Nei prossimi mesi anche la parte alta della piazza cambierà volto, con un nuovo campo da basket, un’area fitness e una destinata ai cani. L’intenzione è preparare il paese a diventare capitale del “turismo green”. Palli, il progetto è senz’altro ambizioso e quella del turismo è probabilmente l’unica via percorribile per questo territorio. Un dubbio bello grosso c’è però: con le strade in queste condizioni tutti gli sforzi rischiano di valere quanto le belle parole… «Infatti mi aspetto dalla Provincia degli interventi importanti in questa direzione sul nostro territorio. A questo proposito incontrerò proprio il presidente Vittorio Poma perché è tempo che le risorse vengano investite anche nella nostra direzione». Quando si parla di strade non si dice sempre che non ci sono i soldi? «Non è vero, i soldi ci sono. Questo Governo darà alla Provincia oltre 6 milioni all’anno che possono essere destinati ad interventi sulla viabilità.

«6 milioni all’anno dal Governo: la Provincia intervenga in Alto Oltrepò»

Giovanni Palli

Da questo punto di vista Pavia è una di quelle che ricevono più finanziamenti in Italia: 88 milioni in dieci anni che arriveranno dal Ministero degli Interni per sicurezza di scuole e strade ed è assolutamente necessario che si utilizzino anche per le strade dell’alto Oltrepò in modo particolare, altrimenti il territorio non può ripartire». Come ha trovato il Comune di Varzi invece? Le casse sono in salute? «Anche in questo caso posso dire che la situazione è positiva, grazie alla gestione oculata del sindaco Alberti. Abbiamo un avanzo di 220mila euro che possiamo utilizzare per finanziare i prossimi progetti». «Gestione oculata»: forse anche troppo, secondo i detrattori… crede che si sarebbe potuto fare di più in questi anni? «Credo che nei primi cinque anni Alberti abbia fatto molto bene. Alla sua amministrazione dobbiamo la nuova piazza del Municipio, che è in pratica un’estensione del centro storico e un fiore all’occhiello per il nostro paese. Nei restanti cinque ha dovuto confrontarsi con la pesantissi-

ma crisi economica, il Governo Monti e i suoi tagli, le legge sul patto di stabilità che congelava i bilanci e tutta una serie di congiunture che hanno legato le mani un po’ a tutte le amministrazioni». Come utilizzerete questo tesoretto che avete a disposizione? «Ricordando che il Governo ha messo ulteriori 50mila euro a disposizione dei piccoli comuni, con questi soldi, insieme a quelli del nostro avanzo e ai finanziamenti che otterremo, investiremo sia sul paese che sulle frazioni, un po’ trascurate negli ultimi anni. Illumineremo il ponte di Bosmenso come da programma e sistemeremo il cimitero di San Martino, mentre per il capoluogo sono in programma due interventi importanti: il primo riguarda la sistemazione del plesso scolastico, che sarà completato con 320mila euro dalla Regione e 80mila che metteremo noi. L’altro è la riqualificazione di un’area, quella adiacente alle scuole medie che prosegue fino a piazza della Fiera, che ad oggi è abbandonata a se stessa: realizzeremo un’area per lo sgambamento cani, rifaremo del tutto il campo

Nuova App “Sentieri”, più di mille download: «Ma servono interventi importanti sui boschi» da basket e sostituiremo il bocciodromo con un’area destinata al fitness all’aperto per la quale io donerò con i soldi del mio compenso da sindaco il cubo di Calisthenics, una struttura in metallo per esercizi aerodinamici».


VARZI La minoranza ha polemizzato con la sua scelta di introdurre in amministrazione un presidente del consiglio comunale e un vice. è vero che lo Statuto lo prevede, ma nessuno prima di lei aveva nominato queste figure. Come mai lei sì? «Il presidente Giacomo Tagliani è un classe 1996 e il suo vice paolo Ginelli un ’88. Sono figure di mediazione tra maggioranza e opposizione ma, soprattutto, sono persone molto ben viste e stimate in tutto il paese, per cui la loro presenza è importante per l’ingranaggio amministrativo». Non rappresentano un costo in più? «Il costo è veramente ridicolo, e a dimostrazione del fatto che nessuno è qui per intascare soldi del Comune c’è il fatto che come ho detto il mio compenso da sindaco sarà investito nell’acquisto del cubo di Calisthenics. Mi è parsa quindi una polemica sterile».

Area cani, nuovo campo da basket e spazio per il fitness: così cambia piazza della Fiera

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Comunità montana: «Ferrari e i “dissidenti”? Alla fine prevarrà il buonsenso» Una delle pecche di Varzi è da sempre la scarsa valorizzazione del centro storico. Tanti, troppi, non lo conoscono e pensano che il paese sia solo piazza della Fiera. Cosa intendete fare in questo senso? «La riqualificazione del centro storico è parte del nostro programma. Da settembre inizieranno concorsi di idee in collaborazione con l’Università di Pavia. Vogliamo dare lustro al centro storico, renderlo visibile all’esterno con una cartellonistica accattivante e totem informativi, ma soprattutto il nostro compito sarà quello di stimolare i proprietari, privati e negozianti, a mutare la disposizione delle vetrine e ad aprire le cantine in modo che possano essere utilizzate per percorsi di degustazione». La ricettività però è un altro punto debole. Per avere turisti a Varzi bisogna poi anche poterli ospitare… «Vedo del fermento in questa direzione:

diversi Bed and Breakfast stanno nascendo e per altri esistono già richieste di finanziamenti. In paese ma anche nelle frazioni, dove i cittadini stanno investendo per riconvertire appartamenti o palazzine in B&B. Le persone stanno capendo che questa è una via da percorrere. Il turismo green sta prendendo piede e sarà la via che porterà più gente in Valle Staffora e aiuterà il commercio a ripartire». A proposito di turismo nel verde. Da poco come Comunità montana avete lanciato una App che contiene la mappatura, anche offline, dei sentieri. Come sta andando? «La App Sentieri con google play ha ottenuto più di mille download, mentre per il sistema operativo iOS i dati parlano già di più di 800. Direi un successo». Va bene, ma i sentieri sulla App corrispondono a quelli reali? è innegabile che le condizioni in cui versano sono quelle che ci si può aspettare dopo anni

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di incuria… «La mappatura online corrisponde a quella reale. Per le condizioni dei sentieri il discorso è un po’ più complesso e servono sicuramente interventi importanti per la loro sistemazione. Da questo punto di vista potrebbe risultare decisivo un intervento del Gal Srl, che ha a disposizione circa 2 milioni e mezzo di euro da impiegare in progetti sulla filiera bosco-legna e per la sistemazione delle strade agro-silvo pastorali. Si tratta di un altro intervento imprescindibile per il rilancio del territorio». La nuova Comunità montana non sembra però partita esattamente con il piede giusto. L’assemblea della sua elezione è stata disertata dai sette sindaci che avrebbero preferito la presidenza del sindaco di Montesegale Carlo Ferrari alla sua. Uno strappo ancora prima di cominciare. Verrebbe da dire “siamo alle solite”: a fare fronte comune in Valle Staffora proprio non si riesce. Si aspetta sgambetti o ripicche? «Io non credo che ci saranno problemi dopotutto. Quando si tratterà di proporre progettualità ascolterò tutti nessuno escluso e sono convinto che i sindaci si renderanno tutti conto di essere stati votati dai loro cittadini per fare il bene comune. Per questo sono sicuro che alla fine prevarrà il buonsenso». di Christian Draghi



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«Una battaglia vinta con l’aiuto dei civili» Il 25 luglio del 1944 la Valle Staffora diventava protagonista di una battaglia importante per le sorti della Resistenza nel Nord Italia. Lungo le rive del torrente Aronchio, nel punto di confluenza con lo Staffora, nella piccola frazione Carro di Varzi, i partigiani arroccati sulle colline sgominavano le truppe fasciste che stavano risalendo la Valle per i rastrellamenti. Fu il primo vero scontro in campo aperto tra partigiani e repubblichini ed ebbe grande importanza soprattutto per la partecipazione contadina: donne e uomini fornirono un contributo fondamentale, non solo di aiuto e supporto ai partigiani ma anche di intervento armato (con i fucili da caccia) contro l’attacco nemico. Un segno importante di coinvolgimento e adesione delle popolazioni nei confronti della Resistenza che, di fatto, controllava ormai la montagna e l’alta collina. Nel corso dello scontro morì anche il giovanissimo partigiano “Monello” (Aldo Casotti), di soli 15 anni, al quale sarà in seguito dedicata una brigata garibaldina, e si distinse la figura di “Nando” (Rinaldo Dellagiovanna) di Varsaia, ucciso poi dai fascisti nel corso del successivo rastrellamento estivo. Nel 75esimo anniversario di quella giornata la sezione varzese dell’Anpi, dedicata ad Arturo Capettini, l’antifascista medaglia d’oro al valor militare della Resistenza che, catturato e deportato, trovò una morte atroce nel marzo ’45, ha ricordato quei fatti con una cerimonia in loco. «Mentre ricordiamo i combattenti partigiani, e il legame profondo che lì unì alla popolazione della valle, condizione questa per la tenuta e il rafforzamento del movimento di Liberazione, vogliamo soprattutto che la nostra iniziativa sia occasione per una comune riflessione sul nodo cruciale dell’antifascismo oggi, sul nesso indissolubile che lo lega alla democrazia e ai valori della Carta costituzionale» dice la segretaria della sezione Monica Garbelli. «Oggi più che mai gli antifascisti devono essere in campo, per contrastare ogni forma di odio razziale e di avvelenato delirio xenofobo». Di quella battaglia esiste ancora quello che, in virtù della straordinaria longevità, è molto probabilmente l’ultimo testimone oculare. Mario “Marino” Baiardi vive a Bosmenso e ha festeggiato quest’anno i 90 anni. Lui il 25 luglio del 1944 era un 15enne che a mezzogiorno stava portando cibo e munizioni a una squadra di otto partigiani accampati sulla collina che guarda verso lo Staffora, appena sopra l’Aronchio. Per chi è del posto, “Casa del Grillo”. Non era ancora partigiano ma lo sarebbe diventato di lì a poco, con il nome di “Balena”. Lui quella battaglia l’ha vista co-

minciare. A dare il la fu l’intervento di un civile. «Stavamo mangiando, erano tutti rilassati, quando all’improvviso ci venne incontro un signore, si chiamava Gino, avvertendoci che i fascisti stavano risalendo l’Aronchio. Lo seguimmo, io e gli otto partigiani e ci fece vedere dove la brigata stava passando» racconta Baiardi. Cosa accadde a quel punto? «I fascisti stavano risalendo le sponde del torrente e risalivano la collina sull’altra sponda rispetto a dove ci trovavamo noi, andando verso la frazione Casa Rampolla. Ci furono delle raffiche provenienti dall’altra parte della collina e i partigiani che stavano di qua sorpresero i fascisti da dietro, prendendoli in pratica tra due fuochi. A quel punto la brigata indietreggiò tornando sui suoi passi, verso Carro, dove fu accerchiata perché da San Pietro, appena dopo San Martino, stavano arrivando quelli di Giustizia e Libertà. Continuarono la fuga verso Varzi lungo lo Staffora, ma lasciarono pesanti perdite sul campo». A che ora finì il tutto? «Verso sera, poco prima del tramonto, tornai a Bosmenso e con me i partigiani che arrivavano in paese festeggiando». Quando si unì a loro? «Entrai nei partigiani circa un mese dopo». Era molto giovane, come mai prese questa decisione? «Mio padre era stato un istruttore militare, prima della caduta di Mussolini aveva la tessera del partito perché allora era così, se volevi lavorare. Un giorno vennero sei partigiani a cercarlo per chiedergli informazioni. Uno di questi partigiani probabilmente avrebbe voluto ucciderlo perché, ai tempi in cui era istruttore, lo aveva avuto come allievo e lo aveva rimproverato e colpito con una sberla per un suo comportamento sbagliato. Questo se l’era presa e gliele aveva giurate. Quando arrivarono a casa nostra il pericolo poi era non solo che lo potessero ammazzare, ma anche che ci portassero via le bestie che avevamo appena comprato. Lo facevano a quel tempo, perché anche i partigiani dovevano mangiare. Così decisi di unirmi a loro, pensai che se fossi diventato partigiano anch’io ci avrebbero lasciato in pace». I rastrellamenti dei fascisti furono molto violenti in quei giorni. Diversi civili furono trucidati per aver avuto la sfortuna di incrociare le persone “sbagliate”. Lei ne conosceva qualcuno? «Non in modo personale, ma so che a Carro, che è il paese più vicino al mio, la mattina prima della battaglia dell’Aronchio i fascisti avevano fucilato una donna e suo figlio ferendo il padre. Il giorno della battaglia durante la ritirata i repubblichini volevano mettere al muro altra gente, ma poi arrivò la brigata capitanata da Felice

Fiorentini (soprannominato la “belva”, è ritenuto uno dei più efferati criminali di guerra pavesi ndr) che ordinò di andarsene dato che erano braccati, anche perché la donna uccisa si rivelò essere la madre di un loro stesso camerata». di Christian Draghi

«Portavo cibo ai partigiani, un civile ci avvertì che i fascisti stavano passando»

“Marino” Baiardi, partigiano Balena

La storia della Battaglia La Battaglia dell’Aronchio nasce da un’azione di rastrellamento che nella giornata del 24 si dirige verso Zavattarello, Romagnese, Val di Nizza e Brallo. Quest’ultima colonna incontra una forte resistenza nella frazione Montemartino e viene messa in fuga. La reazione dei fascisti vede l’organizzazione di una immediata, nuova puntata in questa direzione, con oltre 200 uomini tra reparti della Brigata Nera, della Scuola allievi ufficiali di Tortona e della “Sichehreit”. La colonna fascista si accanisce sui civili uccidendo il giovane contadino Andrea Rossi (22 anni) a San Martino di Varzi, mentre a Carro sono assassinati Giacomo Stefano Buscaglia (31 anni) e la madre Maria Celestina Manfredi (59 anni), accorsa alla notizia della morte del figlio. Il giovane Francesco Tacchella (15 anni) viene colpito a morte da una scheggia nei pressi dell’Aronchio. Ad opporsi con successo all’attacco sono i garibaldini della “Capettini” e della “Crespi” ed i giellisti della 4a Brigata, con la presenza di contadini del luogo,

giovani e anziani, che hanno deciso di battersi contro i rastrellatori (così come avverrà anche in Val Borbera un mese dopo). Lo scontro si conclude con la netta sconfitta degli assalitori che lasciano sul terreno una decina di morti, alcuni prigionieri, tra i quali Elsa Cristofori, ausiliaria della X Mas, aggregata alla Sicherheit, che verrà fucilata. Tra i partigiani cadono il garibaldino Carlo Benedini (28 anni) di Bocco ed il giellista Giovanni Ferrari (20 anni) di Menconico, mentre Rinaldo Dellagiovanna (27 anni) di Menconico è ferito al viso (verrà ucciso un mese dopo nel corso del rastrellamento estivo). Muore anche il quindicenne Aldo Felice Casotti “Monello”, nato a Minucciano (Lucca) e residente con i genitori a Nervi, in Liguria. Fuggito di casa per unirsi ai partigiani viene colpito mentre portava munizioni ai suoi compagni. Al suo nome verrà intitolata la Brigata garibaldina comandata da Luchino Dal Verme “Maino”. E stato insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare.


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ROMAGNESE: LA SAGRA DELLA “brüsadèla”

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Una piccola perla dell’Alta Val Tidone che val la pena di vedere e di vivere Romagnese è un comune italiano di circa 660 abitanti della provincia di Pavia. Si trova nella zona di montagna dell’Oltrepò Pavese, alla testata della val Tidone, a circa 10 km dal Passo Penice e sul confine con l’Emilia Romagna (Bobbio). Nel territorio già abitato nella preistoria, l’antico borgo di Romagnese Castrum Romaniense, in base alla tradizione che affonda le radici nella leggenda, avrebbe avuto origine da un accampamento di legionari romani, in fuga dopo la sconfitta nella battaglia del fiume Trebbia ad opera delle truppe di Annibale nella seconda guerra punica (218 a.C.); In epoca longobarda è nei possedimenti dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio, fondata da San Colombano nel 614, e poi feudo del vescovo della stessa città, che ne mantenne sempre l’alta signoria. Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi Imperiali, all’interno della Marca Obertenga, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare ed assegnò Romagnese alla famiglia dei Malaspina. Il feudo, nel 1383, fu acquistato dal condottiero Jacopo Dal Verme, capitano generale del duca di Milano. Il feudo rimase sempre a questa famiglia, costituendo una dipendenza immediata della Contea di Bobbio dei Dal Verme dal 1436. Il feudo di Romagnese, che fu sempre un unico comune fin da quando (invero piuttosto tardi) anche qui venne introdotto l’istituto comunale, cessò nel 1797 con l’abolizione generale del feudalesimo. Unito con il Bobbiese al Regno di Sarde-

Il Giardino Botanico Alpino di Pietra Corva, prese vita nel 1960

gna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio fu annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Intorno alla metà dell’800 entrò a far parte nel circondario di Bobbio della provincia di Pavia e quindi della Lombardia. Nel 1923, smembrato il circondario di Bobbio, passò alla provincia di Piacenza e quindi all’Emilia-Romagna, per poi ritornare nel 1925 alla provincia di Pavia e alla Lombardia dove è definitivamente rimasto. Piccolo borgo di 678 abitanti situato nell’ Alta Val Tidone, a 630 m di altitudine. Il monte Penice e il monte Pietra Corva che fanno capolino sulla vallata, rappresentano insieme al Monte Mosso e al Pan Perduto, lo spartiacque che divide la Val Trebbia dalla Val Tidone. Il clima temperato gode dell’influsso di correnti marittime provenienti dalla vicina

Liguria, per questo è un luogo particolarmente indicato per il soggiorno di bambini, anziani e di tutte quelle persone con particolari problematiche che necessitano di un clima salubre. Il Giardino Botanico Alpino di Pietra Corva, rappresenta l’attrattiva principale di questo paese che ogni anno richiama migliaia di turisti provenienti anche da zone molto lontane. Il Giardino prese vita da un’idea elaborata nel 1960 del dottor Antonio Ridella che insieme all’instancabile giardiniere Cesare Soffritti, riuscirono nel 1967 ad aprirlo al pubblico. L’ area su cui svettano il monte Pietra Corva e le vicine formazioni rocciose del Pan Perduto e dei Sassi Neri è stata riconosciuta a Gennaio 2019 come Sito di Importanza Comunitaria (SIC). A Romagnese possono trovare spazio e pane per i loro denti anche tutte quelle persone appassionate di trekking ed escursio-

ni in mountain bike, grazie alla vastità di percorsi ed itinerari presenti sul territorio. Durante la stagione estiva, grazie alla nostra Proloco e alle altre associazioni attive sul territorio, il borgo si anima di eventi e sagre, da ricordare la Sagra della Brusadèla che quest’anno avrà luogo Domenica 25 Agosto. La brüsadèla (“bruciatella”), è uno dei piatti tipici di Romagnese, focaccia a forma circolare fatta con gli stessi ingredienti, lo stesso impasto del pane (farina, acqua, lievito, olio, sale o zucchero), cotta nel forno a legna e servita da sola o accompagnata da altri ingredienti (salumi nel caso di brüsadèla salata o nutella nel caso di brüsadèla dolce). Ed è proprio questa particolare tipologia di focaccia è la protagonista di una sagra celebrata l’ultima o la penultima domenica del mese di agosto e giunta quest’anno al suo 25esimo anno di celebrazione. La sagra, infatti, venne introdotta nel 1995 e da quel momento ha conosciuto con il passare del tempo un profondo mutamento strutturale ed organizzativo che ha permesso di migliorarla sempre più e renderla più affascinante e suggestiva. In questa giornata oltre alle bancarelle di prodotti tipici , gli intrattenimenti e la lotteria si potrà assistere alla preparazione della Brusadèla e degustarla liscia o con le varie alternative d’accompagnamento proposte dalla Proloco. Romagnese vanta anche diverse strutture ricettive che rappresentano un fiore all’occhiello della comunità, come la piscina che immersa nel verde e gestita in modo impeccabile, è sicuramente un forte richiamo per tutti. Il nostro paese è una piccola perla dell’ Alta Val Tidone che vale la pena di vedere e di vivere.


ROMAGNESE: LA SAGRA DELLA “brüsadèla”

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Luigino Crevani, 25 anni fa ideò l’attuale sagra della “brüsadèla” Luigino Crevani è una figura storica per Romagnese. Per molti anni è stata persona di riferimento all’interno dell’amministrazione comunale. 25 anni fa ideò l’attuale sagra per l’ultima domenica di agosto che, nel corso degli anni, si è ampliata e rinnovata La festa legata alla “Brusadela” compie 25 anni. Come è nata l’idea di associare una festa a questo alimento tipico dell’alto Oltrepò? «L’idea è nata quasi per caso. In una discussione di piazza con altri concittadini, vedendo molti villeggianti che stavano già facendo i bagagli pronti a tornare nelle rispettive città, ci chiedevamo come potessimo allungare l’estate a Romagnese. Da qui è nata l’idea di associare la sagra di paese ad un elemento tipico del nostro territorio per l’ultima domenica di agosto. La brusadela come alimento nasce tantissimi anni fa: quando i nostri antenati dovevano verificare se il forno fosse in temperatura, inserivano un disco di impasto del pane e, se fosse uscito cotto o bruciato, il forno era pronto ad accogliere il pane per la cottura». Quando “siete partiti” 25 anni fa vi aspettavate questo successo? «Sì, perchè è stata una mia battaglia personale ed ero convinto di portare a Romagnese qualcosa di nuovo, legato ad un alimento della tradizione. Già la prima edizione fu un successo e lo è ancora oggi». Qual è il segreto di questo lungo successo? «Il successo di questa sagra sta nel fatto che le persone provenienti dalla città rimanevano incantati nel vedere come si pani-

Luigino Crevani

ficava. Adoravano vedere uscire dai forni questi dischi di impasto e si portavano in città qualcosa di bello da ricodare». In questi 25 anni come è cambiata la festa che proponete? «La festa in questi 25 anni si è evoluta costantemente andando incontro alle esigenze dei turisti allo scopo di regalare loro una domenica di divertimento e relax nelle nostre montagne. Fino a qualche anno fa la brusadela veniva preparata il sabato

precedente dai numerosi volontari delle frazioni con i loro forni e successivamente distribuita la domenica, a pezzettini a fronte di una piccola offerta. Da un paio d’anni si è deciso di preparare tutto la domenica stessa, allestendo tre forni in piazza Castello, questo è stato reso possibile grazie al contributo di numerose persone che si adoperano instancabilmente per tutta la giornata della festa». Il record di presenze quando si è verificato? «La festa è sempre stata ben partecipata dai turisti e il numero di presenze è aumentato nel corso del tempo per effetto della maggiore conoscibilità che la sagra ha saputo dare nel corso degli anni ai potenziali turisti e a chi non era mai stato prima d’ora a Romagnese». Come si prepara una “brusadela”? Durante la festa viene fatta come si faceva una volta? «L’impasto è più o meno quello del pane, solo più morbido per via del fatto che la pasta deve essere stesa a forma di disco. Successivamente viene aggiunto olio e sale o zucchero a seconda che la si voglia nella versione salata o dolce. La ricetta è rimasta quella legata alla tradizione, cosa di cui andiamo immensamente fieri». Quante persone sono coinvolte per l’organizzazione di questo evento? «L’organizzazione della sagra sin dall’inizio ha conosciuto una partecipazione di volontari enorme, sia coloro che preparavano il giorno prima le brusadele nei vari forni, che tutta la pro loco nell’allestimento della manifestazione. Anche oggi la partecipazione è grande. La pro loco e

«è stata una mia battaglia personale ed ero convinto di portare a Romagnese qualcosa di nuovo, legato ad un alimento della tradizione»

l’amministrazione, coadiuvati dai volontari, sono impegnati tutto l’anno nella programmazione dell’evento e nella sua realizzazione l’ultima domenica di agosto». “Diamo i numeri”: nell’ultima edizione quante brusadele avete preparato? «Nell’ultima edizione sono state preparate più di mille brusadele. Un risultato enorme che fa notare quanto la festa sia cresciuta nel tempo».



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«L’entusiasmo è il motore del nostro successo» L’attuale Pro Loco di Romagnese si è costituita nell’aprile del 2017 con il Presidente Manuel Micunco. Da quella data si è fatta riconoscere per numerose e apprezzate iniziative ed eventi sul territorio. Ad oggi l’associazione conta più di venti iscritti, in costante crescita nel triennio, oltre ai volontari che prestano la propria disponibilità per la realizzazione degli eventi. Quanto sia importante il lavoro e l’entusiasmo di volontari è un dato di fatto La Pro loco di Romagnese quanti eventi organizza nell’arco dell’anno? «L’entusiasmo è il motore del nostro successo. Come Pro Loco siamo un gruppo unito e propositivo. Non sono solo quindi il presidente o i membri del direttivo a proporre idee, ma è tutto il gruppo che partecipa in maniera diretta nella proposizione di eventi sempre nuovi. La Pro Loco durante l’anno organizza circa una decina di eventi, ma aiuta costantemente le varie associazioni presenti sul territorio negli eventi da loro organizzati e chiunque abbia bisogno di noi. Si è creata ultimamente una bella sinergia tra noi, le altre associazioni e l’amministrazione comunale». Oltre ai membri ufficiali che compongono l’associazione sappiamo che c è una forte partecipazione degli abitanti è così? «Esattamente. Oltre al fatto che il gruppo è in costante crescita, la cosa che mi riempie di orgoglio è che il giorno della sagra della brusadela, il nostro cavallo di battaglia, contiamo circa 50 persone a lavorare, la metà di queste formata da abitanti di

«Veniamo da contesti e frazioni diverse ma tutti uniti da un obiettivo comune».

La Pro Loco forni messi a disposizione in quell’occaRomagnese e villeggianti che si prestano sione per la preparazione delle brusadele per l’occasione a fornire il loro supporto. il giorno prima della sagra. Oggi, invece, Di questo li ringrazio di cuore». viene fatto tutto direttamente quel giorno. La partecipazione è maggiormente tra Veniamo da contesti e frazioni diverse ma i giovani o anche “gli anziani” vi danno tutti uniti da un obiettivo comune». una mano? L’ evento simbolo di Romagnese è senza «La partecipazione è molto eterogenea dal dubbio quello legato alla “Brusadela”. punto di vista generazionale. Tanti ragazzi Quanto tempo e quanto lavoro c’è diegiovani e tante persone di esperienza che tro all’organizzazione ed alla buona riportano il loro contributo alla buona riuuscita di questa festa? scita di questo evento. Senza questa amal«Per una buona riuscita della manifestagama la buona riuscita della sagra non sazione la programmazione inizia già un rebbe possibile». anno prima attivandosi a reclutare, oltre Siete tutti di Romagnese o anche dalle ai membri della pro loco, i vari volontari frazioni vi danno una mano? e gli intrattenitori durante la sagra. In ag«Veniamo da tutto il territorio e non solo. giunta a ciò, vi sono da contattare le varie Basti pensare che fino ad un paio di anni fa bancarelle che, per la festa, vengono dislonelle singole frazioni erano dislocati i vari

cate lungo tutta la via del capoluogo. è un lavoro arduo ma necessario per garantire un prodotto buono ed efficace». Oltre alla organizzazione di feste, la Pro loco ed i volontari di Romagnese hanno portato il loro contributo per apportare delle migliorie al paese. Potrebbe essere questo il primo di una lunga serie di possibili lavori a carico della collettività? Altri progetti in questo senso? «Questo è un progetto nato da un’idea avuta appena dopo le ultime elezioni con il sindaco e con un gruppo di pensionati che erano desiderosi di portare il loro contributo per migliorare il paese. I volontari ad oggi sono circa una ventina e tutti tesserati ed assicurati con la Pro Loco. è un bellissimo progetto che sta dando i suoi frutti».


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«La sinergia tra i Comuni “vicini” deve essere la direttrice da seguire al fine di garantirne la sopravvivenza» Manuel Achille è alla sua prima Festa della “brüsadèla” da sindaco. «Quel giorno come gli anni scorsi mi alzerò alle 6 del mattino e andrò ad aiutare la Pro Loco e i vari volontari e starò con loro fino al termine della manifestazione». Nulla è cambiato per il giovane neo eletto sindaco, il solito entusiasmo e l’allegria che lo contraddistinguono, ma con un “fardello” in più, la responsabilità di pensare, dopo la grande festa, all’inverno, periodo buio per i piccoli comuni oltrepadani, per cercare idee che possano rendere attrattivo Romagnese non solo in estate. La sua prima festa della “Brusadela” che è l’evento simbolo di Romagnese, da sindaco … Cosa è cambiato dal punto di vista organizzativo, per lei? «Dal punto di vista organizzativo assolutamente niente. Quel giorno come gli anni scorsi mi alzerò alle 6 del mattino e andrò ad aiutare la Pro Loco e i vari volontari e starò con loro fino al termine della manifestazione. Chiaramente per me quest’anno sarà particolarmente emozionante essendo la prima sagra vissuta da sindaco. Ciò mi riempie di orgoglio, di felicità e perchè a questo evento mi legano innumerevoli ricordi. Non nascondo una certa emozione al pensiero». L’amministrazione comunale in che modo dà il proprio apporto alla Pro loco ed ai numerosi volontari che rendono possibile l’evento? «Come amministrazione comunale abbiamo sempre detto che il supporto alle associazioni del territorio è fondamentale. In occasione della sagra, come anticipato, io supporterò la Pro Loco e i volontari come ho sempre fatto negli anni scorsi. Sono certo che anche gli membri dell’amministrazione in quell’occasione garantiranno il loro pieno supporto. Amministratori, Pro Loco e volontari del luogo: una grande

Manuel Achille, neo sindaco di Romagnese

squadra che vuole offrire a Romagnese e ai turisti che verranno una bella domenica in allegria». Oltre a questa festa ce ne sono altre a calendario? «Assolutamente sì. Agosto è il mese clou degli eventi a Romagnese. Partiamo sabato 3 agosto con la “Festa della Madonna del Fosso di Casa Rocchi” e con “I mercatini di Piasa Castè“ a Romagnese. Proseguiamo poi la sera del 10 agosto con la tradizionale “Festa Patronale di San Lorenzo” e il concerto di Franco Bagutti, il 12 agosto con la polentata ai faggi, il 14 agosto con la “Festa della Croce Azzurra”, il 15 agosto con la “Festa Patronale del Gabbione”, il 17 agosto con la “Sagra del Dolce e polentata” a Casa Matti, il 18 agosto con la “Festa del centenario del santuario di Casa Pilla” e la sera 31 agosto con la “Festa della Crotta, Casa Rocchi e Casa Colombini” alla frazione Crotta». Non solo Romagnese ma anche le piccole frazioni in estate risultano particolarmente attive e volenterose, fanno tutto da sole o anche in questi casi l’amministrazione comunale dà il proprio contributo? «Le piccole frazioni sono una nostra fortuna e un nostro motivo d’orgoglio. In molte

delle nostre frazioni sono attive associazioni che, in estate, organizzano eventi ed iniziative grazie al generoso impegno di tante persone e ragazzi volenterosi. Penso ad esempio a Casa Ariore, a Casa Matti, al Gabbione, alla Crotta, a Casa Rocchi, ecc. Ne ho citate solo alcune ma devo dire che tutte le frazioni sono molto attive in questo senso. Le varie associazioni o gruppi che organizzano gli eventi nelle frazioni agiscono in piena libertà ed autonomia, ma per qualsiasi cosa sia necessario noi siamo a disposizione, sempre molto volentieri». Quanto è importante essere un sindaco “giovane”, del posto e con tanti amici nel territorio per la riuscita di eventi? «è fondamentale. Ho la fortuna di avere tanti ragazzi amici a Romagnese e tutti noi di questa generazione vogliamo far si che Romagnese viva nel tempo e si rinnovi. Da questo punto di vista è bellissimo vedere tanti ragazzi che si impegnano per il proprio paese chi come volontario nelle associazioni, chi portando avanti la propria attività agricola o commerciale». Lei crede che per i piccoli comuni, Romagnese nel suo caso, ma potremmo citarne altri della zona, la strada per il rilancio turistico sia legato al buon cibo e al buon vino? «Decisamente sì, abbiamo la fortuna di avere tanti prodotti di nicchia sul territorio che sono già molto conosciuti ed apprezzati al di fuori del nostro Comune ma che devono essere sempre più promossi e valorizzati con ogni mezzo dal punto di vista del marketing e della commercializzazione stessa. Reputo fondamentale il legame tra il cibo e il territorio di riferimento e sia noi che i Comuni limitrofi dovremmo investire su questa tematica attraverso un’azione sinergica tra di noi». Esistono a suo parere altre strategie per

valorizzare un territorio che sta lottando contro lo spopolamento e contro diverse lacune, mi passi il termine… penso ad esempio alle strade? «Come dicevo pocanzi, la sinergia tra i Comuni “vicini” deve essere la direttrice da seguire al fine di garantirne la sopravvivenza. Ho conosciuto tutti i colleghi sindaci dei comuni limitrofi e siamo tutti uniti come squadra al fine di far valere con decisione le nostre richieste ed esigenze. La viabilità rappresenta un aspetto importante, direi primario, per il nostro territorio sul quale investire e cercare costantemente forme di finanziamento. Una buona viabilità stradale garantisce sicuramente un maggior appeal per i turisti». In estate viene tutto più facile…Vuoi per chi ha la seconda casa, vuoi per chi è in cerca di un po’ di refrigerio, l’alta collina si ripopola, ma l’inverno è lungo. Strategie per attirare gente durante i mesi invernali? «L’inverno è il periodo nel quale la popolazione si sposta nelle città per gli studi o per il lavoro e quindi fisiologicamente il paese si svuota. L’obiettivo è comunque garantire, soprattutto nei weekend e nei periodi festivi, una serie di eventi e manifestazioni organizzati dai locali/ristoranti della zona o dalle varie associazioni che sappiano attrarre persone con seconda casa e turisti anche in quel periodo. Il calore e il grande spirito di accoglienza che contraddistingue i miei concittadini può essere determinante in questo». Perché io, vogherese piuttosto che di Casteggio.. dovrei venire alla festa della “Brusalela”? «Per trascorrere una domenica all’insegna dell’allegria, del bel paesaggio e soprattutto del buon cibo. Per tastare di persona, insomma, che siamo un Comune con innumerevoli doti e potenzialità».


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«Il mio orgoglio? Il restauro dei 20 oratori antichi del territorio, oggi tutti in ottime condizioni» Per i comuni rurali dell’Oltrepò le occasioni di festa sono motivo di orgoglio non solo per l’amministrazione, ma per tutti i membri della comunità. La “sagra della brusadela” di Romagnese vede coinvolta tutta la popolazione dall’amministrazione, alla proloco, ai tantissimi volontari: “Grandi lavoratori…”, così don Cesare Marenzi definisce i suoi parrocchiani, guida spirituale del paese da oltre 52 anni. Lei è parroco di Romagnese da, potremmo dire, tutta la vita. Ha visto bambini diventare uomini ed ha condiviso con le famiglie momenti di grande gioia, ma anche di profondo dolore. Se potesse usare tre aggettivi per definire i suoi parrocchiani quali userebbe? «Grandi lavoratori, diplomatici nell’ambiente amministrativo e alcuni un po’ puntigliosi». Chi o cosa l’ha spinta a dedicare la sua vita alla religione? «Io sono parroco di Romagnese da oltre 52 anni succedendo a Don Picchi. Precedentemente ho esercitato a Capannette di Pey di Zerba per 8 anni. La mia vocazione per la religione è nata per la fede in Gesù, per aiutare il prossimo e i più bisognosi. È stato un percorso lungo e lento nella gioventù, ma ho maturato bene la mia dedizione verso la Chiesa già da piccolo. Un percorso lungo che però avevo ben in mente di voler proseguire». I suoi familiari come hanno reagito una volta appresa la sua vocazione? «Con molta pazienza. Mia madre era molto contenta di ciò che volevo fare e devo dire che mi hanno appoggiato in tutto e per tutto nella mia scelta».

Don Cesare Marenzi: «Vorrei intraprendere una didattica per i giovani»

Don Cesare Marenzi, parroco di Romagnese da oltre 52 anni

In questi anni di servizio alla collettività cosa l’ha maggiormente inorgoglito? «L’aiuto nel restauro dei venti oratori antichi del territorio, che oggi si presentano in ottime condizioni». Sicuramenti in questi anni il paese è cambiato. Quali cambiamenti l’hanno particolarmente colpita? «Lo spopolamento di circa 2/3 degli abitanti: prima eravamo circa 1500, mentre ora se ne contano 500 circa. Un fatto chiaramente fisiologico e figlio del cambiamento di stili di vita, ma che mi è rimasto

particolarmente impresso». Quali sono le differenze tra l’essere parroco di una grande città e di un piccolo paese come Romagnese? «Il contatto diretto con la popolazione, cosa che in una grande città per ovvi motivi non è possibile. In un piccolo paese come il nostro hai la fortuna di venire a contatto con tutti e di ascoltare tutte le persone della comunità. Essere quindi un punto di riferimento importante per loro». Quali progetti o cambiamenti vorrebbe apportare nella sua parrocchia?

«Vorrei intraprendere una didattica per i giovani. Sono il nostro futuro e sarebbe molto importante». Romagnese ha tante piccole frazioni disseminate nel territorio e ognuna vanta una piccola Chiesa o Santuario. Gli abitanti tengono molto alla celebrazione della Santa Messa, specialmente nel giorno della festa del paese, riesce ad accontentare tutti i fedeli facendo messa in ogni frazione del Comune? «Direi proprio di sì. Le singole chiese e santuari sono molto attivi nel corso dell’anno e non solo nelle proprie relative feste. Gli abitanti delle frazioni tengono molto al proprio santuario e quindi questo facilita il tutto». Ha mai pensato di ritirarsi e godersi un po’ di meritato riposo? «Assolutamente no. Non ho mai pensato a questa eventualità». Dopo di lei sarà facile trovare un altro parroco disposto a vivere la vita di montagna? «Sarà molto complicato, ma non bisogna mai porre limite alla provvidenza. Questa tipologia di vita è molto particolare ma confido che si troverà un mio degno sostituto».



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I segreti per la vera brüsadèla (“bruciatella”) Nella bottega di piazza Castello, l’unico panificio rimasto in paese, ancora oggi si possono incontrare tre generazioni: Nonna Maria Diamanti, Patrizia Provendola e suo figlio Riccardo. «Qui “brusadela” vuol dire tradizione, ed è per questo che in tutte le edizioni della festa abbiamo cercato di dare il nostro contributo e metterci a disposizione del Comune e della Pro Loco». Dichiara entusiasta Riccardo Dell’Orto. «Visto la grande quantità d’impasto e della delicatezza, da qualche anno a questa parte il panificio Provendola si occupa di tutta la quantità d’impasto necessaria per l’intera festa, cose che gli anni passati veniva divisa più o meno equamente tra le frazioni ed il capoluogo». L’impasto e di conseguenza la ricetta, acqua farina lievito e sale, è apparentemente molto semplice ma di una delicatezza ed attenzione particolare visto che l’impasto dev’essere lavorato lentamente e poi fatto riposare e da qui viene poi formato e di conseguenza cotto, dai veterani del mestieere, nei forni schierati in fila sul piazzale del municipio».

Ingredienti per 4 brusadelle 600g Farina 400ml acqua 15 g lievito 15 g sale

La brüsadèla (“bruciatella”), uno dei piatti tipici di Romagnese

Procedimento: Impastare tutti gli ingredienti per circa un 10/12 minuti, coprire l’impasto e lasciar riposare per un 5/10 minuti dopo di che dividere l’impasto in pezzi da 150/200g dandogli una forma il più rotonda possibile e lasciar lievitare per circa 30/40 minuti ( in base alla temperatura dell’ambiente). Una volta lievitata cospargere di olio ed allargare l’impasto, aggiungere un pizzico abbondante di sale o zucchero, se la si vuole dolce ed infornare in forno a legna per un tempo che varia dai 3/5 minuti. Servire liscia o con salumi».

Patrizia Provendola, Maria Diamanti e Riccardo Dell’Orto

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Oltrepò Pavese

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Fusioni di comuni: tagliati i trasferimenti anche ai comuni dell’Oltrepò Lo Stato italiano ha fama di essere un carrozzone di burocrazie e tecnocrazie di varia natura ed estrazione. Di non mantenere gli impegni che prende. Di chiedere tanto e restituire poco. Da anni se non decenni i cittadini e gli amministratori si sono progressivamente disaffezionati ad esso. Tutto questo è innegabile, e le ragioni vanno ricercate negli atti concreti che l’amministrazione centrale mette in atto, nascondendosi alle volte dietro la necessità (di cui far virtù solo quando a pagare sono i cittadini) e alle volte dietro la ricerca di una discontinuità fin troppo ostentata nei confronti delle precedenti compagini di governo. Questo è un leit-motiv che involge non tanto e non solo i raggruppamenti che oggi hanno posizioni di vertice, ma che piuttosto viene adottato indiscriminatamente da tutti coloro che arrivano in quelle posizioni, magari dopo aver lanciato strali inverecondi dai banchi dell’opposizione. Stanti queste premesse, programmare le politiche territoriali a medio e lungo termine appare non solo difficile, ma addirittura rischioso. Tu, amministratore, dai credito alle promesse dello Stato; ci metti tutta la passione di questo mondo per convincere i tuoi concittadini della bontà delle tue proposte; ti scontri, anche, se necessario contro l’altro nemico ricorrente della programmazione: l’ostilità al cambiamento. Poi di quelle promesse ti resta in mano un pugno di mosche, o poco più. Ti costerni, ti indigni, ti impegni, poi getti la spugna. Con gran dignità, questo sì, ma giusto quella. E tu, proprio tu, amministratore virtuoso, alla fine ti chiedi: ma chi me l’ha fatto fare? Non era forse meglio continuare a coltivare il mio piccolo orticello (chissà mai, perfino clientelare) e non mettere sul tavolo il rischio di perdere la mia posizione di comando? Questa reprimenda generale vuole approcciare un campo dell’azione amministrativa ben preciso: le fusioni di comuni. Lo ricordiamo: nell’Oltrepò Pavese sono due quelle originatesi in tempi recenti. Cornale e Bastida, nel 2014, e Colli Verdi (gli ex Canevino, Ruino e Valverde) proprio negli scorsi mesi. A questi comuni, così come a tutti gli altri che hanno fatto propria questa proposta del legislatore, sono stati promessi dallo Stato un certo importo di trasferimenti annui, i quali sono stati concepiti proprio al fine di incentivare le fusioni. Diciamo le cose come stanno: non è vero, o è vero solo in parte, che Cornale, Bastida, Canevino, Ruino e Valverde siano comuni meno campanilisti degli altri. Se hanno deciso di fondersi è stato anche perché facevano gola i danari offerti in cambio di questo sacrificio della propria sovranità territoriale. Danari utili ed importanti per mantenere i servizi offerti (specialmente

nei piccoli comuni e nelle aree svantaggiate), per pensarne di nuovi, per abbassare le tasse, per fare investimenti in opere pubbliche strategiche. Per migliorare, insomma, il benessere dei cittadini e l’efficienza dell’apparato amministrativo. Gli amministratori che hanno proposto queste fusioni hanno utilizzato fortemente questo argomento per far leva sulla coscienza dei loro concittadini. Hanno avuto coraggio, ci hanno messo la faccia. Lo hanno fatto perché sapevano di poter contare su qualcosa di importante e definitivo: così come dovrebbe essere ogni provvedimento dello Stato. Nessuno, d’altra parte, aveva mai messo in discussione questi trasferimenti, prima di oggi. Ma di definitivo, come ricorda il detto popolare, c’è solo la morte. E qui, ora, ci troviamo di fronte alla morte di queste aspettative. A fine giugno il Ministero dell’Interno ha annunciato tagli fino a quasi il 60% del valore previsto per questi trasferimenti riferendosi all’anno in corso, gettando nel caos le amministrazioni che ovunque, un po’ in giro per l’Italia, avevano scelto di percorrere la strada della fusione. La comunicazione è arrivata, peraltro, a bilanci di previsione approvati. I trasferimenti dallo Stato agli enti locali si sono progressivamente abbassati negli ultimi anni. Per i comuni nati da fusione, tuttavia, erano previsti dalla legge trasferimenti pari al 50% di quelli attribuiti durante l’anno 2010 (ossia ad un periodo di ‘’vacche grasse’’). Tale valore era stato addirittura incrementato al 60% con la Finanziaria del 2018. Ora arriva un dietrofront che nessuno si aspettava.

Doccia fredda per Colli Verdi - Cornale e Bastida: tagliati gli incentivi alla fusione Cornale e Bastida riceverà 166mila euro in luogo dei 230mila precedentemente ipotizzati. Colli Verdi, invece, vede ridurre il proprio beneficio da 385mila a 162mila euro. Per quest’ultimo comune, in particolare, il taglio rappresenta una vera e propria beffa, in quanto essendo questo il primo anno di vita del comune, sarebbe stato anche il primo in cui lo stesso avrebbe dovuto beneficiare dei vantaggi attesi in seguito alla scelta referendaria. Complessivamente a livello nazionale il volume dei tagli è di circa 31 milioni rispetto ai 76 precedentemente in programma. In

fin dei conti non moltissimi, considerando l’importo del bilancio complessivo dello Stato. Non moltissimi, perché non moltissime sono le comunità che hanno preso il coraggio a piene mani e hanno deciso di fondersi (si tratta di circa venti all’anno). Ma decisivi, per la credibilità del sistemapaese. Un’amministrazione centrale, se vuole, 30 milioni li trova. Ed è questo il senso dell’attività di moral suasion che ha intrapreso A.N.C.I., l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. «Chiediamo con forza al governo e al parlamento di stanziare i 31 milioni che mancano all’appello per garantire nel 2019 i contributi necessari ai comuni che hanno scelto negli anni la via delle fusioni, così come previsto dalla legge in vigore. Il Governo ci accordi un incontro urgente, mentre il Parlamento segua con attenzione il problema per trovare una soluzione immediata nel più breve tempo possibile». Così ha affermato Mauro Guerra, presidente della commissione Finanza locale dell’A.N.C.I., che ha presieduto nella sede nazionale dell’Associazione un incontro con numerosi rappresentanti di Comuni nati da fusione, riuniti per elevare una protesta istituzionale molto forte per il taglio dei trasferimenti e degli incentivi loro destinati. «C’è un patto repubblicano tra lo Stato e i comuni – ha proseguito Guerra – per il quale i comuni hanno diritto per dieci anni al 60% dei trasferimenti che ricevevano nel 2010. A metà dell’esercizio finanziario 2019 non sono sostenibili tagli che arrivano fino al 58% sui contributi e sugli incentivi alle fusioni. In questo modo si finisce per scardinare i bilanci, anche quelli spesso costruiti da commissari prefettizi che hanno preso la gestione degli enti dopo l’approvazione delle leggi istitutive delle fusioni. Oltre ai risparmi ed ai risultati di sistema, grazie ai comuni fusi – ha sottolineato ancora il rappresentante A.N.C.I. – lo Stato quest’anno risparmia, ad esempio, molti milioni di euro sui fondi e contributi destinati ai piccoli comuni per spese di investimento in interventi di messa in sicurezza, efficientamento energetico e sviluppo del territorio, in quanto i Comuni più grandi nati dalle fusioni ricevono contributi inferiori a quelli che avrebbero ricevuto da separati». «Ripristiniamo il dovuto per quest’anno. Superata questa emergenza, e garantita ai comuni fusi la possibilità di chiudere i loro bilanci – conclude Guerra – siamo pronti come A.N.C.I. ad un confronto, in vista della prossima legge di bilancio, sulle prospettive, sui criteri e sulle modalità di sostegno ad interventi di razionalizzazione, efficientamento e adeguamento del sistema delle autonomie locali. Tra questi vi sono i processi di fusione che si sono av-

Mauro Guerra, presidente della commissione Finanza locale dell’A.N.C.I. viati in questi anni e quelli che si potranno avviare. Si fanno le fusioni, volontarie, per dare servizi migliori ai cittadini, per fare investimenti che comportano poi risparmi della spesa corrente: questa prospettiva dev’essere rispettata e garantita». Secondo i rumors, tuttavia, le del Governo non sarebbero dirette ad una completa rivisitazione della scelta intrapresa. Anni fa un ascoltatore radiofonico si lamentò con il simpatico Oscar Giannino per l’uso larghissimo che questi faceva della locuzione ‘’Stato ladro’’: sbraitato in più occasioni e con toni decisamente oltre la soglia di tolleranza dell’orecchio umano; riferendosi ai numerosi prelievi fiscali e agli altrettanti numerosi tagli di spesa che non si tradurrebbero in sufficienti vantaggi per i cittadini. Giannino ebbe a rispondere, a volume crescente in maniera esponenziale: «Perché vi fate incantare dalle pretese dello Stato etico? Perché sono venute le grandi rivoluzioni liberali? A cosa dovete la vostra libertà a casa, se non al fatto che qualcuno a un certo punto ha detto: basta! Basta! Basta! Ragazzi, voi siete lì a dire: lo Stato non bisogna offenderlo. Dove? Perché? Lo Stato vi offende ogni giorno, prende i vostri diritti e li calpesta, vi rende: niente! In nome degli interessi di minoranze pro tempore che lo amministrano, e ci stanno dentro come parassiti.» Quell’intervento divenne celebre proprio per il triplice ‘’basta’’, che fu poi campionato e riutilizzato ossessivamente nelle più svariate occasioni, diventando una sorta di ‘’meme’’ sonoro. Ma più passa il tempo e più pare che Giannino avesse ragione da vendere nel merito delle sue affermazioni. Tutto l’amore che si può avere per la propria nazione non può confondersi con la pretesa di istituzioni efficienti e corrette che la governino. Ed è per amore della nostra disastrata nazione che tutti gli amministratori, coinvolti o non coinvolti dalle decisioni scellerate qui sopra descritte, dovrebbero dire a voce alta un triplice ‘’basta’’. di Pier Luigi Feltri


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corvino san quirico

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«Siamo entrati subito nella macchina organizzativa» Le elezioni comunali di quest’anno vedono Michele Lanati, 38 anni, in qualità di nuovo sindaco di Corvino. Insediatosi circa due mesi fa, ha dato il via ad una serie di cambiamenti che hanno come scopo prioritario il risanamento del bilancio. Ad oggi, si sono conclusi gli interventi atti alla cura del verde pubblico e del cimitero. Per rompere un po’ il ghiaccio: cosa le piacerebbe che le chiedessi? «Addirittura? (Ride) Non so, direi “Che aspettative hai per il futuro del tuo Comune?” Ecco, mi piacerebbe che diventasse un comune virtuoso, capace di migliorare la qualità di vita dei cittadini e di attrarre più persone, dato che uno dei problemi dell’Oltrepò è lo spopolamento; sarebbe bello invertire questa tendenza: la zona dispone di peculiarità incredibili a livello paesaggistico ed enogastronomico. Da neosindaco mi pongo l’obiettivo di permettere ai miei cittadini di vivere meglio, incrementando la qualità dei servizi, andando incontro alle loro esigenze… insomma, tramite tante piccole cose che, sommate, fanno una grande differenza». Come si aspettava di trovare il Comune e come l’ha trovato una volta eletto? «Essendo reduce da cinque anni di capogruppo di minoranza, avevo ben presente la situazione di estrema difficoltà in cui versava il paese, conseguenza di una serie di scelte pregresse a parer mio sbagliate, che hanno condizionato gli ultimi anni e condizioneranno anche i prossimi. Stiamo facendo fronte a questi problemi». Le priorità, al momento, quali sono? Procederete risolvendo, in prima istanza, i problemi che il Comune si porta dietro da tempo, oppure apporterete cambiamenti immediati, che facciano da tampone a questa situazione? «Entrambe le cose. Dato che il Comune di Corvino ha chiuso tre esercizi finanziari in rosso e in tutti e tre i casi con un disavanzo superiore ai 100mila euro, il primo obiettivo è risanare il bilancio. Al tempo stesso, però, diamo risposte ai cittadini riguardo le esigenze quotidiane: ad esempio tengo molto alla cura del verde, del cimitero e della scuola. è necessario sistemare il passato guardando contemporaneamente avanti – cosa problematica, non avendo soldi. Tuttavia, puntiamo all’efficientamento delle pur limitatissime risorse. Per fare un esempio pratico, il Comune pagava mensilmente il noleggio di sei stampanti – numero a dir poco sproporzionato rispetto alle nostre esigenze. Abbiamo provveduto a ridurle a due, in modo da tagliare costi eccessivi. Inoltre, abbiamo recuperato lo spazio del garage comunale che ci per-

Michele Lanati, neo sindaco di Corvino San Quirico

mette di rendere più efficiente il lavoro del cantoniere. In sostanza, vogliamo lavorare nel modo più intelligente possibile e far fruttare al massimo le poche risorse disponibili». Quindi, nonostante lei sia in carica da soli due mesi, è riuscito ad avviare dei cambiamenti e anche ultimarne alcuni. «Esatto; in due mesi abbiamo già realizzato tante cose, e altre le stiamo portando avanti. Attività come la raccolta differenziata, che qui viene fatta in un modo secondo me inappropriato, richiedono un po’ più di tempo: ci proponiamo di sistemare le procedure con l’inizio del 2020 – farlo a metà anno inoltrato sarebbe impensabile. Inoltre, in un paio di giorni, abbiamo curato e risistemato il verde pubblico con l’aiuto della provincia, che in questo caso si è mobilitata non appena interpellata – ne sono molto soddisfatto».

Dando un’occhiata al piano elettorale, abbiamo notato che il focus, oltre che sul risanamento del bilancio, era indirizzato anche sulla sicurezza e sul ripristino dei cassonetti. «Per quanto riguarda il ripristino dei cassonetti ho già avviato un confronto con l’azienda che si occupa della raccolta differenziata. Ci incontreremo a breve ma, come ho detto, è un progetto che si attiverà dall’anno prossimo. A livello di sicurezza abbiamo provveduto alla manutenzione delle telecamere già installate, per poi aumentarne il numero, soprattutto nella parte alta del Comune, che ne è sprovvista; chiaramente il piano è pensato lungo cinque anni. Ovviamente, teniamo sempre conto della mancanza di fondi. Per sopperire a questo problema è indispensabile partecipare ai bandi e collaborare con i paesi limitrofi per darsi una

mano a vicenda. Ad esempio, noi siamo in unione dei comuni con Mornico e Oliva Gessi, in più ho avviato un dialogo anche con il sindaco di Casteggio – neoletto anche lui, tra l’altro». Veniamo al problema che contraddistingue in generale l’Oltrepò: com’è la situazione strade a Corvino? «Premetto che Corvino possiede alcune strade di pertinenza provinciale, altre di pertinenza comunale. Per quelle che presentano più problemi, da una parte non possiamo fare molto se non segnalare a chi di dovere chiedendo alla provincia di occuparsene, dall’altra non disponiamo dei fondi necessari ad asfaltare completamente. Anche in questo caso, nell’arco dei cinque anni, speriamo di partecipare a dei bandi che ci permettano di rimediare. Ci sono almeno un paio di strade comunali, in particolare la strada del Mazzolino, che effettivamente avrebbero bisogno di essere sistemate. In questa fase non possiamo riparare per intero ai danni, ma c’è stato un pronto intervento immediato che agisse da tampone provvisorio. Comunque, noi, qui, siamo fortunatamente messi un po’ meglio rispetto ad altre realtà». Lei non è “solo” sindaco, ma anche conduttore di “Tv Click” su Telenova. “Tv Click” si occupa di creare un dibattito sui video virali del web per poi trarne delle conclusioni a livello sociale. Inoltre, un altro dei punti della campagna elettorale – che, in aggiunta, era reperibile su Facebook – aveva l’obiettivo di estendere la banda larga a tutto il Comune. Quanto può essere importante internet nella vita di un paese dell’Oltrepò? «Il web per me è molto importante: abbiamo un profilo Facebook da anni e abbiamo creato una pagina apposita per la campagna elettorale, con la quale raggiungere le persone in maniera più veloce e facile. Io resto sempre convinto del fatto che il confronto faccia-a-faccia sia sempre il più efficacie e che non debba essere sostituito dalla rete. Tuttavia è una risorsa importante: ad esempio, contattare i cittadini tramite posta, tramite lettere, ha dei costi non indifferenti; internet, in questo caso, accelera il processo e abbatte i costi. Stiamo valutando di creare un’ulteriore pagina Facebook dedicata solamente a Corvino e ci stiamo adoperando per migliorare la rete. Essendo un piccolo comune dobbiamo dipendere comunque da diversi contributi. Esistono iniziative che ci vengono incontro senza dover affrontare quasi nessuna spesa, ma essendo a numero chiuso è molto difficile accedervi». Spostiamoci nel contesto elezioni: secondo lei, quali fattori hanno contribu-


CORVINO SAN QUIRICO ito alla sua vittoria? Si aspettava questo risultato? «Innanzitutto devo ringraziare la popolazione, perché vincere con il 74% dei consensi è stato un successo clamoroso, un grande attestato di fiducia da parte dei cittadini. Diciamo che mi aspettavo la vittoria, ma non un risultato del genere. Credo sia dipeso dal fatto che la popolazione ha prima di tutto percepito la difficoltà in cui si trova Corvino, ha valutato la nostra proposta e l’ha ritenuta seria. Noi, a parer mio, abbiamo lavorato molto bene in campagna elettorale, cercando di informare in maniera dettagliata le persone, che avevano un sentore generale dei problemi del loro paese, ma senza esserne consapevoli così tanto nello specifico. Devo dire che ha anche contribuito il lavoro svolto come minoranza nei cinque anni precedenti: l’elezione è stata la fine di un percorso che ne ha aperto un altro. L’esperienza di capogruppo di minoranza ha fatto sì che, appena insediato, avessi già precisi in mente gli interventi che andavano o vanno fatti. Le problematiche sollevate prima di diventare sindaco, ora sto lavorando per risolverli. Sono emerse la volontà di cambiamento e la serietà di questa amministrazione nuova, giovane, composta da persone perbene e impegnate». Si è mantenuta una continuità tra minoranza e nuova amministrazione comunale? «Sì. Io mi sono ricandidato insieme ad altri due consiglieri di minoranza uscenti,

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«Io mi ritengo una persona molto disponibile, aperta al dialogo e al confronto senza scappare dalle mie responsabilità di sindaco» che ora sono in giunta comunale: uno è vicesindaco, l’altro assessore. Tra le file dell’opposizione abbiamo iniziato, in prima istanza, ad approfondire una serie di questioni interne al Comune e a sollevare, poi, i problemi che riscontravamo per informare la popolazione. Ora siamo passati alla fase operativa, in cui queste complicazioni tentiamo di risolverle. Nonostante la situazione parecchio ostica da gestire – perché abbiamo ereditato dei problemi, ma nel frattempo il Comune deve andare avanti – il fatto di avere già esperienza amministrativa ci permette di bruciare le tappe: siamo entrati subito nella macchina organizzativa».

Trovarsi nei panni di sindaco, quindi, anche a livello umano, è stato un grande shock? «Non è stato un passaggio traumatico perché il Comune già lo conoscevo molto bene; pur essendo giovane ho iniziato a fare il consigliere comunale a 23 anni. Ero consapevole degli ostacoli che ci sarebbero stati, avendo analizzato chirurgicamente tutti i documenti che il Comune, negli anni, mi ha messo a disposizione». Il risultato delle elezioni è stato abbastanza esplicito riguardo il rapporto che lei ha con i cittadini. Riscontra feedback positivi anche relazionandosi direttamente con loro?

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«Io mi ritengo una persona molto disponibile, aperta al dialogo e al confronto senza scappare dalle mie responsabilità di sindaco. L’amministrazione ha l’obbligo di confrontarsi quotidianamente con i cittadini e di ascoltare le problematiche poste: questi due mesi sono stati improntati su questo tipo di atteggiamento. Le porte del municipio sono sempre aperte; chi ha bisogno di incontrarmi sa che mi trova lì quasi tutte le mattine, sempre il sabato e il lunedì e le altre mattine a seconda dei miei impegni lavorativi; se qualcuno ha necessità di parlare è sufficiente che venga in municipio o prenda appuntamento. C’è massima disponibilità da parte mia nei confronti degli abitanti, con i quali ho davvero un buon rapporto, come testimonia il risultato delle elezioni ma non solo; a livello puramente umano c’è sempre stato un feeling positivo tra me e la popolazione». Per quale iniziativa o progetto si augura di poterci incontrare di nuovo in futuro? «Il mio più grande successo sarebbe riuscire a risanare le casse comunali perché la situazione è veramente drammatica. è l’intento a cui sto cercando di lavorare moltissime ore al giorno e, oltre a essere attivo, qui, fisicamente, lo sono poi con la mente anche a casa o in altri contesti. Spero di poter realizzare più avanti un’intervista in cui parliamo del bilancio risanato; sarebbe per me un risultato straordinario». di Cecilia Bardoni


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La trebbiatura: «È rivà màchin da bàt» Un vecchio montanaro con il volto bruciato dal sole, guarda lontano seduto su una scala di legno appoggiata al fienile e rigira tra le mani un tozzo di pane bianco. Un bimbetto gli si avvicina con passo traballante tendendo una manina e stringendo nell’altra una merendina. Il nonno lo guarda, tende a sua volta il tozzo di pane che il frugolo cattura squittendo di felicità e corre lontano. Il vecchio carica lentamente la pipa, l’accende e, sorridendo, ripensa ai tempi andati, ai tempi della sua gioventù... ...Per tanti, troppi anni, l’attività prevalente dell’uomo, fu la ricerca del cibo quotidiano, procacciare giorno per giorno il pane per se i per la propria famiglia. Da qui l’estrema importanza della coltivazione del frumento, graminacea principe delle coltivazioni collinari e montane. Fino alla metà del secolo scorso, gli animali e le braccia di robusti contadini, erano l’unica energia impiegata nella produzione agricola che, nel caso del frumento, iniziava con l’aratura di verdi campicelli montani e terminava con la trebbiatura di messi rigogliose. Una magra vacchetta di razza varzese o, per i più benestanti, una coppia di giovani manzi aggiogati, trainavano un piccolo aratro di legno o di ferro che ‘graffiava’ il terreno più che ararlo. Le zolle, lasciate per un paio di mesi a “maturare”, venivano triturate e sminuzzate con l’erpice, con la sterpatrice, con la zappa o, in alcune annate particolarmente secche, con l’accetta. Semina, leggera zappatura a mano nel mese di marzo ed infine una lunga attesa, confidando nella clemenza del tempo: acqua e sole benevoli, gelo vento e grandine negativi. Sul finire di giugno, iniziando dai terreni meglio esposti, si dava inizio alla mietitura con la falce messoria detta “msùria” usata esclusivamente per il frumento e la segale: il rumore della “martladüra”, martellatura, della piccola falce era una specie di tam-tam che coinvolgeva tutti e dava di fatto, inizio alla mietitura. Per molti giorni il caldo, il sudore, il mal di schiena e, nei casi peggiori, qualche taglio alle falangi, avrebbero accompagnato uomini, donne e ragazzi in questo esaltante lavoro. Successivamente i covoni, legati da abili mani con l’ausilio di una manciata di spighe, sarebbero stati raccolti, trasportati su carri o slitte nei luoghi più impervi ed infine ordinatamente accatastati sotto capaci portici, nelle cascine o in accumuli all’aperto, “capà”, alti parecchi metri. Iniziava il periodo di quarantena dei covoni detta “buidüra” che durava appunto circa quaranta giorni a cavallo tra il mese di luglio ed agosto. Trascorso tale periodo, si dava finalmente avvio alla trebbiatura. Nel silenzio di un meriggio oppresso da un’afosa calura e rotto dal coccodè di una

gallina, si udiva in lontananza un rumore inconfondibile, ritmico e metallico, il rumore della trebbiatura. «È rivà i màchin da bàt» si ripetevano l’un l’altro i contadini, quasi a sottolineare il momento, la magia di un evento unico nell’anno, stressante, faticoso ma vissuto con estrema allegria e complicità . «È rivà i màchin da bàt» ripetevano donne e ragazzi eccitati e ciarlieri mentre gli uomini controllavano cortili, attrezzi e mezzi da adibire a quel lavoro duro ma ricco di soddisfazioni: era la realizzazione dei sacrifici di tutto un anno, il vedere e toccare il grano, sognarne una quantità sempre maggiore, sapere che il grano sarebbe diventato pane e il pane la sicurezza alimentare della famiglia. La trebbiatura era un lavoro, un duro lavoro ma, specialmente in montagna, era e rappresentava molto di più: era comunità, allegria, aiuto reciproco, era avventura nel solo “piasà i màchin” sistemare le macchine, ovvero nel raggiungere cortili improbabili abbarbicati sulla montagna, difficilmente accostabili e una volta raggiunti, difficilmente gestibili: occorrevano circa trenta metri di cortile per il trattore, la trebbiatrice e, da ultimo, la pressa, senza contare gli spazzi per il carrello dei carburanti e il cavalletto per stendere e preparare il fil di ferro necessario per legare le balle di paglia. Quest’ultima operazione era riservata ai più giovani ed era dagli stessi, molto ricercata perché costituiva motivo per farsi invitare a pranzo. La trebbiatura era lavorare assieme, era la cooperazione tra grandi e piccoli produttori, era mangiare assieme, concludere la giornata con un canto liberatorio e finalmente riposare poche ore per riprendere il mattino seguente prima dell’alba. Era un modo di vivere solidale di cui si è perso letteralmente segno e volontà,

era l’allegro ringraziamento alla clemenza del tempo che aveva permesso messi rigogliose. “L’atàch o tìr di màchin da bàt”, era costituito da un trattore che serviva sia ad agganciare e trainare la trebbiatrice e la pressa, sia a trasmettere tramite una robusta cinghia, forza motrice a cinghie e pulegge presenti sulle macchine sunnominate. Prima degli anni cinquanta il trattore come oggi lo intendiamo, non era disponibile ed era sostituito da una macchina a vapore detta “fugôn”, funzionava a legna ed era trainata, come le altre macchine, da diverse paia di buoi rapportando la forza necessaria alla ripidità della strada che divideva la cascina dalla via principale; tutta l’attrezzatura veniva trainata, spostata e sistemata per il lavoro esclusivamente con l’ausilio di forza animale; in montagna occorrevano da sei a otto paia di buoi per raggiungere remote cascine in luoghi impervi ed isolati. Raggiunto lo spiazzo adiacente al portico o alla capà, le macchine dovevano essere poste alle prescritte distanze al fine di far funzionare bene cinghie e pulegge, dovevano essere livellate per permettere ai setacci di lavorare correttamente ed infine, l’ occhio esperto del macchinista, doveva valutare la giusta collocazione di tutti gli addetti alle varie lavorazioni. La macchina più importante era certamente la trebbiatrice: alta, imponente ed austera era letteralmente coperta e percorsa da cinghie, ruote, maniglie, scalette, appigli, setacci e pulegge, tra loro collegate e necessarie alle varie lavorazioni. I covoni di frumento venivano inseriti dal tetto della macchina in un apposito sito “batër”, dove due cilindri provvedevano a sgranare le spighe. La paglia veniva convogliata nella parte anteriore della macchina ed immessa per caduta sulla pressa. Il grano, con un percorso contrario, veniva

Mietitura: contadini con la “msùria”

Giuliano Cereghini

vagliato, selezionato, pulito e restituito nella parte posteriore della macchina dove gli addetti ai “sacät” provvedevano a trasportarlo sino al magazzino che, negli anni cinquanta, era invariabilmente il solaio di casa. La paglia convogliata sulla pressa e precisamente su un nastro trasportatore della stessa, giungeva in un apposito sito dove uno strano parallelepipedo di ferro detto “menelìk” cadendo ritmicamente, la schiacciava verso il basso e un ancor più strano meccanismo collegato al precedente, la spingeva in avanti. Quando la balla di paglia era ben pressata e della voluta dimensione, un macchinista con l’aiuto di un contadino, provvedeva alla legatura con fil di ferro. All’alba in un frastuono di rumori e in un turbinio di polvere, si dava inizio al lavoro che impegnava sino al tramonto una ventina di persone; uomini e donne si occupavano freneticamente delle diverse attività: caricare i covoni sulla trebbiatrice, spostare ed accatastare le balle di paglia legate con il fil di ferro,


C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò portare il grano nel solaio ed ogni altra attività legata al momento ed alla necessità; persino i ragazzini avevano un compito specifico, preparare il fil di ferro per legare le balle di paglia “fà i ramê”. I lavori già pesanti erano gravati anche dal caldo e dalla polvere che le macchine sollevavano; erano brevemente sospesi verso le otto del mattino per una veloce colazione, alle tredici per il pranzo e, finalmente, terminavano la sera verso le ore ventuno per la cena al termine della quale un canto liberatorio concludeva la giornata. Un secondo o baritono iniziava una canzone della tradizione, il primo o tenore entrava con voce potente mentre tutti gli altri fungevano da basso. Splendide esecuzioni che nascevano dal cuore, dalla tradizione, dal ricordo di fatti o momenti di vita che non si possono dimenticare, armonie di vecchie canzoni risuonavano nella notte riandando alla più antica tradizione contadina e militare. L’allegra comitiva si scioglieva per sfinimento fisico dopo la mezzanotte su precisa disposizione di qualche anziano che pensava saggiamente al lavoro del giorno dopo. Un altro giorno di fatica, di sudore, di frenetica attività era passato; restava l’armonia, il profumo del grano prima e del pane poi, la consapevolezza di aver fatto il proprio dovere e comunque, di aver dato una mano ai più bisognosi. Un’anziana donna raccontava di un anno lontano in cui il marito si ammalò nel periodo della trebbiatura, l’unico figlio era militare e lei impegnata ad accudire l’infermo. Al momento della trebbiatura del

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Trebbiatura: “La màchin da bàt”

frumento di sua proprietà, la povera donna, non avendo potuto aiutare alcuno, ingaggiò a pagamento quindici persone per il lavoro da compiere. Ultimate le operazioni si accinse a pagare i lavoratori ma nessuno volle essere pagato rammentando le condizioni della povera donna che, ben sapeva, le precarietà economiche di chi l’aveva aiutata e quanto avrebbero fatto

comodo i pochi soldi a cui tutti avevano rinunciato. La generosità di quel mondo, di quella gente era forse meno sbandierata ma sicuramente più legata a principi ed azioni che nobilitavano pensieri e gesti di uomini semplici dove, se la cultura a volte lasciava a desiderare, la dirittura morale, la generosità e il senso di comunità non mancavano mai...

...Il vecchio guarda il tramonto, respira l’aria leggera della sera; riaccende la vecchia pipa, sorride al nipotino che, dopo aver buttato la merendina, addenta con voluttà il pane del nonno, il pane dei ricordi, della generosità, il pane del futuro, mentre il sole scende pian piano nascondendosi dietro la montagna. di Giuliano Cereghini



BRESSANA BOTTARONE

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«A differenza della vecchia amministrazione, questa sembra più promettente» Cristiano Biscuola, presidente della Pro Loco di Bressana Bottarone (da quattro anni “New Pro Loco”) ci descrive la situazione eventi nel paese. Ci chiarisce, inoltre, chi siano le forze portanti della Pro Loco e quanto impegno ci sia nella gestione di questo piccolo universo, le cui dinamiche sono conosciute a pochi. Quanti membri conta la Pro Loco? «In totale i membri sono 12, me compreso. Siamo un numero abbastanza consistente e dobbiamo gestire numerosi eventi durante l’anno, circa sei-sette a partire da maggio, ma noi iniziamo ad organizzarci già ad aprile. Per questi motivi abbiamo dovuto dividerci un po’ i ruoli: io sono il presidente della Pro Loco; abbiamo poi un vicepresidente, un segretario e tutti gli altri sono consiglieri». Siete tutti volontari? «Sì, il nostro lavoro alla Pro Loco non è retribuito. Ognuno di noi ha una partita IVA, ma per il proprio lavoro: infatti la Pro Loco è un’associazione no profit. L’eventuale guadagno di un evento viene devoluto ad enti come la Croce Rossa, oppure lo reinvestiamo nella Pro Loco stessa per migliorarla. Quando è necessario organizzare una festa piuttosto grossa, ad esempio con gruppi che suonano, ci vengono ad aiutare una decina di persone – tra ragazzi e ragazze – anche loro volontari. Ci tengo a sottolineare il fatto che nessuno di noi riceve alcun compenso, perché è opinione diffusa il contrario. Molta gente pensa che noi veniamo pagati, ma non è così». Ricevete supporto da parte del Comune? «Purtroppo no. Dovrebbe farlo, dovrebbe sovvenzionarci, e invece è il contrario. Voglio dire: distribuiamo eventi lungo i vari mesi dell’anno, li organizziamo con successo, diamo visibilità al paese, ci aspetteremmo degli aiuti che almeno agevolassero le procedure, aiuti che tuttavia non arrivano. Noi, in ogni caso, continuiamo a mandare avanti la Pro Loco al meglio, nelle nostre possibilità». Da quanto tempo è attiva la Pro Loco? «La struttura in sé è in vita da più di vent’anni. Recentemente è stata rinnovata e questa nuova Pro Loco, vale a dire i membri che la compongono, è attiva da quattro anni». Come sono i rapporti con la nuova amministrazione che si è recentemente insediata? «Ora non saprei dirlo con certezza, stiamo ancora cercando di interpretare un po’ la situazione. Ma a differenza della vecchia amministrazione, che continuava a garantirci la qualunque senza mai mobilitarsi, questa sembra più promettente. Direi che, tutto sommato, le cose vanno piuttosto bene». Con quali associazioni collaborate?

Cristiano Biscuola, presidente Pro Loco «Cooperiamo in particolare con “Gli amici di Bottarone”, un’associazione propria dell’omonima frazione e di cui, tra l’altro, fanno parte due dei consiglieri della Pro Loco. Per il resto cerchiamo soprattutto di dare una mano. Se qualche ente o comitato limitrofo ha bisogno di aiuto cerchiamo di essere sempre a disposizione, ma non abbiamo collaborazioni fisse». La festa evento che organizzate qual è? «L’evento che organizziamo annualmente, da quattro anni ormai, è il “Motoraduno memorial Antonio Bovolenta”, che si terrà il 29 settembre». Ci sarà un’altra grande festa a Bressana, prima del Motoraduno? «Di solito la facciamo il primo sabato di settembre, ma siccome il primo settembre, quest’anno, cade di domenica, abbiamo deciso di anticipare al 31 agosto. Sarà una serata all’insegna del pesce fritto e delle bancarelle e non mancherà neppure la “Via del gusto”. Ma l’attrazione principale saranno i Queen Legend, una band tributo ai Queen veramente eccezionale che speriamo riesca ad attirare anche i più giovani». Qual è il costo medio di feste come questa e quanta organizzazione c’è dietro? «Gli eventi vengono disposti sul calendario entro aprile o maggio, e per farlo nel più efficiente dei modi bisogna organizzarsi già nei mesi precedenti – noi della Pro Loco siamo in ballo tutto l’anno. Iniziamo tutte le procedure – contattare band, assicurarci lo spazio necessario, prenotare e comprare attrazioni… - circa un mese prima della data in cui si svolgerà l’evento. Il prezzo varia a seconda dei casi: ci sono gruppi che suonano gratuitamente, altri che costano parec-

chio; il cibo, se la festa lo prevede, non è sempre lo stesso e viene preparato in quantità diverse; per l’evento a tema Country abbiamo preso un toro meccanico che ci è costato 500 euro. In generale, il costo totale per feste come le nostre si aggira intorno ai 1000-2000 euro». Secondo voi, qual è il segreto per rilanciare il paese? «Noi membri della Pro Loco siamo d’accordo sul fatto che servano novità: nuovi temi per le feste, nuova musica, nuove attrazioni; e ci impegniamo nel rendere realtà quest’opinione comune. Ad esempio, l’anno scorso abbiamo organizzato il Capodanno nella palestra comunale. è stato troppo impegnativo, quindi non crediamo di riproporlo in futuro, ma l’idea è piaciuta. In passato siamo riusciti ad ospitare Radio 105. Sono stati molto apprezzati anche la festa Country ed il tributo a De Andrè, il quale successo si spera lo ottenga anche la serata dedicata ai Queen. Dal punto di vista culinario, la gente è stata contenta della “Sagra delle sagre” in collaborazione con Casteggio e il cui ricavato è stato in parte devoluto alla Croce Rossa. Pur senza criticare la bellezza delle serate in cui si balla il liscio, siamo consapevoli del fatto che bisogna stare dietro alle nuove generazioni ed inventarsi attività particolari per attirare la loro attenzione». La Pro Loco ha un sogno nel cassetto? «Siamo solo la Pro Loco di un piccolo comune dell’Oltrepò, non possiamo pretendere di avere chissà quali ospiti o di allestire un parco divertimenti. Un po’ per i fondi che non sono mai eccessivi, un po’ per

«Ci tengo a sottolineare il fatto che nessuno di noi riceve alcun compenso, perché è opinione diffusa il contrario. la nostra stessa condizione, ci dobbiamo accontentare delle nostre feste di paese. Però, se possiamo offrire qualcosa in più ai cittadini – anche dei paesi nei dintorni, ovviamente – siamo contenti di farlo. Cerchiamo di organizzare eventi ogni mese proprio per far divertire chi partecipa, e la nostra più grande ambizione è proprio questa: vedere che la gente che balla, ride, scherza, si mette in gioco e passa una bella serata in compagnia di amici o compaesani». di Cecilia Bardoni


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«La proprietà si è sempre dimostrata “sorda” alle nostre proposte e richieste» Per alcuni ereditare un castello è un sogno. Per altri invece è totale indifferenza. Questo è il caso del Castello di Pinarolo Po, nobile residenza edificata tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300 nel pieno centro del paese di pianura. La storia di questa residenza non è affatto complessa, se non fino ai tempi recenti. Il feudo di Pinarolo Po passò sotto dominio pavese nel 1164 e il castello venne edificato per volontà dei Malaspina. Dall’albero genealogico dei nobili Giorgi di Vistarino nel 1349 Rolandino De Giorgi risultava signore di Soriasco e Pinarolo Po. Successivamente vi subentrarono i Beccaria i quali ne furono proprietari fino all’estinzione del ramo Mezzano nel 1750. A loro seguì la famiglia Bellisomi, la quale si occupò di diverse opere di ampliamento e dell’abbattimento della torre di difesa dotata di cannoni. Dopo diverse vicissitudini familiari di fine ‘800 la proprietà passò ai Meardi, i quali lo diedero in uso pubblico per ospitare la sede del comune e le scuole. In questi anni iniziarono diverse trattative tra la proprietà ed il Comune per la cessione, trattative che non andarono mai a buon fine. Dal 1904 al 1940 la famiglia Castagnola ne fu proprietaria, fino alla vendita ai Morini. Quest’ultimi lasciarono il castello negli anni ’80 e da qui iniziò il lento declino della struttura. Negli anni ’90 il Comune tentò un accordo per l’acquisto parziale, ma fu ancora una fumata nera. Nel 2017 gli eredi misero in vendita la proprietà a circa 300mila euro, ma attualmente non risulta alcun acquirente interessato. Il sindaco di Pinarolo Po, Cinzia Cazzaniga, ci illustra la situazione attuale della struttura e le opere fino ad oggi effettuate. Sindaco, in che situazione si trova attualmente la struttura? «La struttura ad oggi si trova purtroppo in pessime condizioni».

Il sindaco: «Ad esclusione del Comune, nessuno si è occupato né tantomeno si occupa della manutenzione del Castello»

Il castello di Pinarolo Po: eredi i nipoti delle sorelle Morini

Chi sono gli attuali proprietari? «Più che di proprietari parlerei di eredi. Le due sorelle Morini, con le quali abbiamo intrattenuto rapporti per anni, sono mancate entrambe. Ad oggi risultano eredi dei nipoti, mai conosciuti né incontrati, due dei quali pare siano studenti universitari peraltro con residenza a Montecarlo ed un ragazzo minorenne residente in Messico. Nessuno ha ancora né accettato né rifiutato l’eredità». C’è una volontà da parte della proprietà di voler recuperare il castello? «Le intenzioni della proprietà non sono mai state chiare. Oggi di certo c’è il fatto che il Castello è stato posto in vendita». Da quanto tempo è abbandonato? «Il Castello è ormai abbandonato da circa 35 anni». Oggi si notano alcuni crolli importanti. Cos’ha fatto fino ad oggi il Comune per cercare di arginare il degrado? «Partendo dalla premessa non trascurabile, anzi fondamentale, che il Castello è di proprietà privata, possiamo tranquillamente affermare che il Comune ha fatto ogni atto possibile per trovare una soluzione non solo al degrado di oggi, ma anche e soprattutto per tentare il suo recupero negli anni passati. Incontri, tante e tante telefonate, lettere di sollecito, di segnalazione, di sensibilizzazione, alla proprietà ma non solo; al Ministero, al Fai, alla Sovrintendenza, etc, etc, etc. Ordinanze per la messa in sicurezza che la proprietà ha sempre sistematicamente trascurato, proposte di collaborazione - convenzione pubblico e privato per l’ottenimento di finanziamenti

europei, ma nulla, la proprietà si è sempre dimostrata “sorda” alle nostre proposte e richieste». Esiste un concreto progetto di recupero o, per lo meno, di messa in sicurezza? «Esisteva, da parte della proprietà, ed è anche agli atti del Comune, un progetto per il recupero risalente agli anni ‘80/’90, che però non ha mai “visto la luce”: è rimasto tutto sulla carta. Circa vent’anni fa, a seguito di un’ordinanza non rispettata, il Comune è intervenuto per la messa in sicurezza del muro di cinta e recentemente, sempre a seguito di un’ordinanza non rispettata, il Comune è intervenuto ancora per la pulizia totale del parco, ormai ridotto ad una piccola “giungla”. è ovvio che già questo ha comportato un notevole esborso per le casse comunali peraltro con scarse possibilità di recupero almeno a breve termine, data la complicata situazione riguardo all’eredità». Attualmente chi si occupa della manutenzione? «Come ho già precedentemente, ad esclusione del Comune, nessuno si è occupato né tantomeno si occupa della manutenzione del Castello». Secondo il suo parere da amministratore, un “Circuito dei castelli dell’Oltrepò” sarebbe utile per la riscoperta di questi immobili? «Come amministratore e come cittadina sarei più che felice che un immobile come il Castello potesse essere riscoperto e valorizzato; tuttavia l’assenza e la totale mancanza di volontà di intervenire della proprietà prima e degli eredi oggi, mi fanno pensare che la situazione non sia delle

migliori. Rimane comunque da parte nostra la piena disponibilità a confrontarci, a collaborare, su proposte serie, concrete e realizzabili, come peraltro è sempre avvenuto in passato, ma anche in tempi recenti, consapevoli sempre e comunque che si tratta di una proprietà privata». L’architetto Mario Presta di Stradella è un esperto nel recupero e restauro di immobili di interesse storico e appassionato di storia locale. Negli anni ’80 ha effettuato uno studio approfondito durato alcuni anni riguardante le condizioni della struttura, correlata da una minuziosa ricerca storica. Architetto, per quale motivo ha effettuato studi sul recupero di questo castello? «La mia curiosità per gli immobili storici è nata fin da bambino. Ho sempre avuto una grande passione per questo genere e per il loro passato, passione che non è ancora finita nonostante i parecchi anni di professione. Un giorno, una persona di Pinarolo Po, mi ha suggerito di fare una ricerca sul questa struttura, che prima di allora non conoscevo e di cui non si sapeva praticamene nulla. Fortunatamente ho avuto l’occasione di conoscere persone che mi hanno permesso di accedere alla proprietà e di iniziare le mie ricerche. Esistevano pubblicazioni di Cavanna Sangiuliani e di altri, ma leggendole mi sono accorto che erano molto generiche .Ho voluto andare oltre perché un castello di queste dimensioni, al centro di un paese e di un territorio agricolo, doveva aver avuto una certa importanza. Così proseguii le


PINAROLO PO mie ricerche per circa due anni, tra archivi pubblici e privati». Quali sono i punti cardine su cui si basa il suo progetto? «Ho avuto la fortuna, durante le mie ricerche, di imbattermi in una pergamena del 1493 in gotico cancelleresco, che mi è stata tradotta dall’allora Arciprete di Stradella Don Beniamino Carlone, la quale parlava di un’investitura avvenuta nel cortile. Questa è la più antica testimonianza certa dell’esistenza del castello di Pinarolo Po. A livello architettonico dovrebbe risalire al tardo ‘200 primi ‘300. Successivamente ho trovato un atto notarile dei primi dell’800 che descrive in modo perfetto ogni stanza del castello e ogni oggetto contenuto in esse. Negli anni della ricerca ho scattato circa 400 diapositive: in questo modo sono in grado di poter ricostruire mattone per mattone l’intera struttura». Quali sono le principali difficoltà affrontate? «Negli anni ’80 non avendo internet e smartphone, questa ricerca mi ha impiegato parecchi spostamenti da casa per molto tempo, non solo per andare a Pinarolo Po, ma anche per raggiungere gli archivi di Torino, Parma, Voghera e Pavia. Mi muovevo dove ritenevo di poter trovare agganci con la famiglia Bellisomi: addirittura mi sono diretto a Cremona, dove erano imparentati con un’altra famiglia nobile per cercare qualche riferimento».

Costi di recupero? «Parliamo di decine di milioni di euro»

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L’architetto: «Nel 1985 il castello era danneggiato all’incirca al 15%. Oggi, da una stima approssimativa, oltre 90%» Cinzia Gazzaniga, sindaco di Pinarolo Po

L’architetto Mario Presta di Stradella

Da quando ha terminato gli studi su questo castello sono trascorsi alcuni anni. Come è cambiato nel frattempo? «Nel 1985 il castello era danneggiato all’incirca al 15%. Oggi, da una stima approssimativa, oltre 90%. Anche se vediamo ancora i muri in piedi, è come se non ci fossero. Non hanno più la capacità di sorreggere i piani o di rimanere legati tra di loro. è un cumulo di macerie che resta in piedi da solo, vicino al collasso definitivo. è pericoloso solo avvicinarsi». A suo parere è ancora recuperabile? «Un recupero sarebbe molto difficile ma non impossibile. Anche solamente ad effettuare i lavori preliminari si rischia di danneggiare la struttura con le vibrazioni. Al giorno d’oggi con le nuove tecnologie e le nuove attrezzature, aiutandomi con nuovi rilievi fatti sul posto incrociati con le mie ricerche e le oltre 400 diapositive in mio possesso, penso che si possa ricostruire metro per metro, sia internamente che esternamente». Costi di recupero? «Parliamo di decine di milioni di euro. Prima di azzardare costi, poichè si tratta di una cifra importante, sarebbe necessario studiare una programmazione reale dei diversi interventi, individuando tutte

le fasi contraddistinti nei successivi punti: messa in sicurezza; recupero del materiale per successivo riutilizzo; inventariare, classificare, numerare i vari “inerti” ; effettuare numerose letture della struttura mediante strumenti elettronici al fine di ottenere la restituzione grafica precisa per confrontarla successivamente con i rilievi architettonici eseguiti dal sottoscritto. è necessario, quindi, stabilire le linee di indirizzo economiche a garanzia delle future fasi analitiche, chiave unica per aprire il discorso “Recupero del Castello dI Pinarolo Po”. Si reputa, quindi, necessario un lavoro di ricerca focalizzato sia sulla stesura di un piano di conservazione programmata che possa tutelare le strutture ruderizzate da nuove situazioni di degrado e pericolo, sia sulla redazione di un progetto di valorizzazione del monumento che abbia il preciso obiettivo della divulgazione e promozione del valore del castello». Secondo il suo progetto come si potrebbe utilizzare il progetto della struttura una volta recuperata? «Potrebbe essere convertito in utilizzo pubblico. Ha saloni molto ampi per sale convegni e locali minori, in cui ricavare laboratori e uffici».

E perché non c’è mai stato un reale interesse per il recupero? «Purtroppo ho avuto una grande delusione dai proprietari perché pur essendo persone facoltose, industriali ricchissimi, non hanno mai avuto rispetto verso questa struttura. Questo castello è rimasto “vivo” finchè è rimasta in vita la signora Rosetta, un’anziana morta novantenne, che era nata in quei locali e vi aveva sempre vissuto fino alla morte in due piccole stanze al piano terreno. Era di fatto la custode, ma i proprietari non se ne sono mai interessati della manutenzione. Dal 1912 è un bene storico nazionale e la famiglia ha permesso che venisse “cannibalizzato”: dagli anni ’80 sono stati strappati alcuni affreschi e rubate alcuni ornamenti. Nel 2002 sono stato incaricato dall’amministrazione comunale per fare un “lavoro provvisorio”di messa in sicurezza, ma dopo 17 anni i miei interventi risultano di fatto definitivi. Il Comune ha fatto tutto quello che la legge gli permetteva per tutelare la sicurezza della popolazione e della stessa struttura. Di più non poteva e può fare, se non un esproprio di bene storico. di Manuele Riccardi



BRONI

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Terre d’Oltrepò: approvate le modifiche allo statuto Si è svolta, presso la sede di via Sansaluto a Broni, l’assemblea straordinaria del colosso Terre d’Oltrepò. All’ordine del giorno vi erano le votazioni alle modifiche di alcuni articoli dello statuto, riguardanti la rieleggibilità degli amministratori e lo stanziamento dei compensi a loro spettanti e la possibilità di lavorare le uve in tutti gli stabilimenti della cooperativa (con eliminazione dei riferimenti a Broni, Casteggio e Oltrepò Pavese). Per quale motivo una cooperativa intende modificare lo statuto? Con lo statuto i soci disciplinano l’organizzazione e il funzionamento della società cooperativa. Il consiglio d’amministrazione (attraverso un’apposita commissione), oppure una parte della compagine sociale, può richiedere interventi di modifica al documento. Le motivazioni possono essere di vario tipo: per esempio possono riguardare adeguamenti richiesti dalle riforme legislative oppure modifiche di articoli (o parte di essi) diventati obsoleti o ritenuti inopportuni dalla società. Una volta studiate e discusse, tali modifiche devono essere votate dai soci, riuniti in assemblea straordinaria. Nel corso dell’assemblea non è mancata l’occasione di discutere i prezzi della vendemmia 2018 e del prezzo medio previsto per la vendemmia 2019. Sebbene le proposte di modifica siano state accettate dalla maggioranza dell’assemblea, non tutti i soci sono soddisfatti della votazione. All’uscita dell’assemblea, durata più di tre ore, abbiamo ascoltato due soci ed ex consiglieri della cooperativa, contrari alle riforme votate: l’Ingegnere Enrico Bardone di Montebello e l’Avvocato Ennio Granata di Borgo Priolo. Bardone, che impressioni ha avuto da quest’ultima assemblea? «Erano presenti 214 soci su 654. Poco più del 30% della compagine sociale. Ancora una volta si è dimostrato che l’interessamento dei soci è sempre molto basso».

«Quando noi eravamo consiglieri il fatturato era di 41 milioni, sceso poi a 35 con l’influenza delle vicende giudiziarie. Con la gestione attuale siamo a 31 milioni. Un crollo totale»

Che cosa veniva posto in votazione in assemblea? «Ci sono state due votazioni distinte: la prima riguardante l’oggetto sociale; la seconda riguardante la votazione in blocco unico di tutte le modifiche rimanenti gli articoli del vecchio statuto. Ci sono stati un po’ di dibattiti riguardanti le modalità di voto, ma alla fine si è deciso di procedere come da convocazione. L’assemblea è stata interamente registrata dal Notaio Casella». Quali sono stati gli articoli modificati? «Il primo punto, votato singolarmente, riguardava l’oggetto sociale. Qui ha votato contro circa il 15%, pari a 31 soci. Nella revisione è stato omesso il riferimento all’Oltrepò Pavese come luogo in cui viene svolto l’attività della cooperativa, stabilimenti industriali e conferimento uve, mentre nel precedente statuto si parlava di Broni e Casteggio come luogo di attività. Ritengo che era importante inserire Oltrepò pavese nell’ambito di una promozione del territorio che si sta cercando di fare e di una forte caratterizzazione dei vini». Granata, questa modifica è stata giustificata secondo lei? «No. Io ho chiesto ai soci di votare contro perché questa è una modifica non chiara, in quanto avendo cancellato qualsiasi riferimento alla territorialità, la cooperativa può acquistare altri stabilimenti in altre zone vitivinicole. Non vi è altra spiegazione e non c’è stata data una chiara risposta». Granata, invece per quanto riguarda la seconda votazione? «La seconda parte riguardava la parte più corposa delle modifiche ad una decina di articoli. In questo contesto invece ci sono stati 52 soci, di più rispetto alla prima votazione, con l’aggiunta di 7 astenuti». «In questa fase - interviene Bardone - c’è stato l’intervento di Romanini uno dei partecipanti alla commissione di revisione dello statuto. Lui si è sentito in dovere di precisare che molte modifiche da lui richieste gli sono state bocciate in commissione. Forse questo ha allarmato un po’ di più i soci e da qui è partita una lunga discussione. Uno dei punti principali riguardava l’Art.33, quello riguardante il numero di mandati per gli amministratori. Noi avevamo chiesto un massimo di due rielezioni, per un totale di tre mandati. Ora invece non c’è alcun limite: nè per le rielezioni degli amministratori, nè per i sindaci. Un altro punto non chiaro riguarda il conferimento totale, in cui non si è elimina l’ambiguità che c’era prima: di anno in anno il consiglio decide se stabilire il conferimento totale, ma non si è dichiarato quando deve avvenire la comunicazione! Questo è uno degli esempi delle tante am-

Ennio Bardone

biguità presenti nello statuto: le situazioni non chiare vengono affidate al CDA ed in tal modo si aumenta il suo potere sul governo della cooperativa». «Va ricordato che la nostra è una Cantina a scopo mutualistico prevalente: quindi noi non siamo clienti, ma associati alla Cantina. Serve maggior chiarezza, soprattutto per le uve che ogni socio produce in maggior quantità rispetto alle quote associative». Conclude Granata. Granata, si è parlato anche della regolamentazione del compenso degli amministratori? «Certo, riguardava l’articolo 37. Io ho fatto un intervento molto duro su questo punto. Questo è stato un escamotage per bypassare la delibera dell’assemblea precedente, in cui 135 soci avevano votato contro e 51 a favore». In che senso, ci spieghi meglio. «Nella scorsa assemblea i soci avevano votato contro i compensi degli amministratori. Oggi si è chiesto di votare che i compensi degli amministratori siano inseriti in uno stanziamento complessivo deciso dall’assemblea ma liquidati dal consiglio d’amministrazione stesso tra i singoli amministratori. L’assemblea ha votato a favore di questa modifica ed in questo modo si è resa inutile la delibera scorsa. è un modo elegante per fregare i soci...». Granata, ci sono altri aspetti che ritenete non chiari di questa ultima gestione? «Avevo fatto un intervento, qualche tempo fa, in cui avevo richiesto l’inserimento tra gli organi direttivi di un Direttore Generale, il quale avrebbe avuto precise responsabilità. Questo perché riteniamo che il Presidente non debba essere esecutivo, occupandosi anche di questi aspetti gestionali. Richiesta non accettata». Per quanto riguarda il fatturato degli ultimi esercizi invece? «Quando noi eravamo consiglieri il fatturato era di 41 milioni. Con l’influenza delle vicende giudiziarie siamo scesi a 35 mi-

Ennio Granata

«Presenti 214 soci su 654. Poco più del 30% della compagine sociale. Ancora una volta si è dimostrato che l’interessamento dei soci è sempre molto basso». lioni. Con la gestione attuale siamo scesi a 31 milioni. Con i prezzi delle uve attuali si deduce che il fatturato è presumibilmente sotto i 28-30 milioni. Un crollo totale». Bardone, in assemblea quindi si è parlato dei prezzi delle uve? «Il prezzo medio del 2019 sarà di 53 euro al quintale, a differenza dei 59 del 2018, Iva esclusa». Come è stato giustificato questo calo di prezzi? «In relazione al calo del prezzo medio di 6 euroal quintale, il Presidente si è solo limitato a dire che non c’è stato alcun aiuto dalla politica nazionale per cercare di mantenere i prezzi». Prezzi tutt’altro che incoraggianti… «Si pensa che sarebbe opportuno, con l’intervento di un qualificato Direttore Generale esperto del settore, ripensare alla riorganizzazione della Cantina dal punto di vista gestionale ed in particolare commerciale. Si ritiene altresì che una presenza media di 72 dipendenti, dato il tipo di prodotto che si tratta, sia molto elevata». di Manuele Riccardi


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pietra de’ giorgi

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«Lavorare la terra in Oltrepò vuol dire fare la fame»

Sara Zambianchi fresca di nomina a coordinatrice regionale dell’associazione “Città del Vino”

«Superficialità, disillusione, scarso attaccamento alla propria terra». Per Sara Zambianchi, giovane consigliere di maggioranza del comune di Pietra De’ Giorgi, sono questi i problemi principali della nuova generazione di oltrepadani. 26 anni, sommelier con laurea in agronomia, è stata di recente nominata coordinatore regionale per la Lombardia dell’associazione “Città del Vino”. Per una che ama il suo territorio, un onore e un onere allo stesso tempo. Sara, ci spieghi meglio di che cosa si occupa l’associazione e qual è il il suo ruolo all’interno. «L’associazione nazionale “Città del Vino” si occupa della promozione del territorio, dai prodotti gastronomici alla produzione vitivinicola, alla promozione di eventi tra cui la rinomata manifestazione “Calici di Stelle”, davvero importante per il nostro territorio. Non nego che all’inizio ero un po’ spaventata per questa nomina perché è un ruolo abbastanza impegnativo che si estende a tutta la Lombardia, non solo al nostro territorio. Devo quindi rappresentare anche zone diverse dalla realtà in cui sono nata e cresciuta, come Franciacorta e la Valtellina, che hanno

esigenze diverse. Mi lusinga il fatto che a soli ventisei anni mi sia stato chiesto di ricoprire un incarico così importante». Vino e agricoltura fanno parte quindi della sua vita da sempre. «Sì. Sono laureata in Agraria, sono diventata sommelier a 21 anni…la più giovane della Lombardia e adesso sono in concorso per il dottorato di ricerca». A suo giudizio, come è la situazione in Oltrepò? C’è una speranza per il futuro del nostro territorio? «è una situazione complicata. A mio parere sarà necessario aspettare almeno una ventina d’anni per vedere i frutti del lavoro di oggi. A volte mi è capitato di scontrarmi con miei coetanei che dovrebbero essere la nuova ‘faccia’ del territorio, quelli che dovrebbero impegnarsi per renderlo migliore. Ho notato che c’è molta superficialità in loro, forse perché avviliti dal fatto che lavorare in Oltrepò vuol dire fare un po’ la fame. Proprio l’altro giorno guardavo i dati e vedevo cosa arriva da un ettaro di vigneti qui in Oltrepò…6500 euro: quindi se tutto va bene si guadagnano 1000 euro. Ma in questi 1000 euro devono esserci contemplati anche tutti gli imprevisti. Se

si rompe un trattore... si è già ko. è tutto un sistema, anche psicologico, che porta le persone ad essere frazionate e litigiose. Questa è sempre stata un pochino una qualità negativa del nostro territorio che adesso si sta però amplificando». In che modo ci si dovrebbe comportare? «Penso che bisognerebbe fare come altre zone e di certe cose non parlarne pubblicamente, perché così facendo poi le persone interpretano magari male e si creano momenti spiacevoli. Se c’è qualcosa che non funziona, bisognerebbe cercare di risolverlo senza sbandierare ai quattro venti tutti i fatti e gli antefatti. Dovremmo imparare da chi riesce a farlo. Non è che gli altri non discutono, solo sanno come risolvere le questioni tra loro. Vedo comunque che a certi livelli c’è un po’ di menefreghismo, non esiste un territorio: quando ci sono le manifestazioni più importanti l’Oltrepò non c’è mai e mi spiace davvero. Però non spetta ai singoli produttori o alle cantine più grandi farsi notare. Spetta invece, se c’è, ad un consorzio di tutela fare questo; capisco che possa essere difficile coesistere in un consorzio perché ognuno ha le proprie idee,

ma se altre zone ce l’hanno fatta non vedo perché non dovremmo riuscire noi. Abbiamo un territorio meraviglioso, ma se continuiamo così tra un po’ non ci sarà più nulla. I ragazzi preferiscono andare a lavorare nelle logistiche piuttosto che lavorare in campagna e fare la fame. Con giusta ragione probabilmente. Perché se in altre zone d’Italia il contadino o l’imprenditore agricolo è visto come un signore, qui non è così. Chi fa questo lavoro qui è visto come un ‘poveraccio’: quale giovane vuole fare questo? Quale genitore vuole questo per il proprio figlio? Io apprezzo i tavoli di discussione, ma finchè non arriva un segnale forte da qualche parte la situazione non cambierà…

«In Oltrepò i panni sporchi li laviamo in pubblico»


PIETRA DE’ GIORGI Abbiamo bisogno per forza di qualcosa se no l’agricoltura qui sparisce». Il fatto di avere come ministro dell’Agricoltura una persona come Gian Marco Centinaio, che conosce molto bene le nostre zone, può essere un vantaggio? «Io ho parlato diverse volte con il ministro e gli ho chiesto pareri sulla nostra situazione… ma ho sempre carpito dalle sue parole che qui in Oltrepò non c’è un interlocutore vero con cui relazionarsi e parlare. Il problema quindi è il nostro! Mentre in altre zone c’è chi ‘gli tira la giacca’ per farsi notare e per chiedere aiuto, qui niente. C’è un gap enorme. Dovremmo sfruttare l’opportunità di avere un ministro che conosce il nostro territorio, rispetto magari ad un altro governante che arriva da tutt’altra parte: se non riusciamo con Centinaio è dura che ce la potremo mai fare con un altro ministro. è la triste realtà… Pensi che una volta mi sono sentita dire da un mio coetaneo ‘Beh, se non ti vanno bene le cose qui, vendi e vai da un’altra parte!’ Ma che discorsi sono? Questa è la mia terra, ci sono i sacrifici della mia famiglia, dei miei nonni. Questo per far capire la mentalità un po’ leggera che c’è qui ormai. C’è sfiducia, anche nelle nuove generazioni… e poi per forza di cose si ragiona in questo modo. Però ribadisco: se ce l’hanno fatta altre zone, non vedo perché noi non dovremmo farcela. Prendiamo anche il sud d’italia come esempio: sono partiti dal nulla e hanno creato vini che hanno preso riconoscimenti in tutto il mondo. Questo perché si sono rimboccati

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«Aiuto all’agricoltura dal Ministro Centinaio? Senza un interlocutore sul territorio può fare ben poco» le maniche e hanno lavorato sodo». Cosa servirebbe? «Cambiare mentalità. Se io guardo il mio ‘vicino’ e fa qualcosa in più di me non sono contento. Se va male, ma un po’ più male di me sono contento. Così non si va da nessuna parte: è una guerra tra ‘poveri’, dove si fa solo un mare di sangue». Lei collabora anche con Terre d’Oltrepò? «Faccio la vendemmia e faccio servizi come sommelier». Come opinione ha della più grande realtà vitivinicola dell’Oltrepò? «Diciamo che fa da traino, essendo la cooperativa più importante che abbiamo sul territorio. è ovvio che per il suo passato ha qualche difficoltà. Purtroppo nel mondo commerciale si ha sempre memoria di quanto accaduto… è quindi difficile ricostruire un’immagine e far fidelizzare le persone. Sicuramente Terre d’Oltrepò ha una grande responsabilità».

Da poco è stata eletta consigliere comunale. è alla sua prima esperienza? «Sì, anche perché prima ero molto concentrata sulla scuola e sullo studio e non ho mai pensato a molto altro. Ma quest’anno c’erano le elezioni e il sindaco dell’epoca, adesso vicesindaco GianMaria Testori, mi aveva chiesto di partecipare e ho accettato con entusiasmo, per fare qualcosa per il

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comune di Pietra de’ Giorgi, soprattutto nell’ambito dell’agricoltura». Il risultato è stato subito positivo. «Decisamente sì!». Si erano presentate ben quattro liste in campagna elettorale. Tante, se si pensa che il vostro è un comune molto piccolo. «Tre erano liste territoriali: la nostra, quella della vecchia minoranza e quella dell’ex vicesindaco che aveva deciso di fare una sua lista; la quarta con capogruppo un signore di un paese qui vicino. Sicuramente quattro liste per Pietra de’ Giorgi è un fatto singolare». Sono passati solo pochi mesi, come descriverebbe la sua esperienza ad oggi? «La squadra è molto affiatata, siamo in sintonia e tanto è l’aiuto reciproco: crediamo molto nelle potenzialità del nostro Comune e in quello che facciamo! è passato pochissimo tempo, in effetti, ma i presupposti sono davvero buoni». di Elisa Ajelli

«Non spetta ai singoli produttori o alle cantine più grandi farsi notare. Spetta invece, se c’è, ad un Consorzio di Tutela fare questo»



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«Un’amministrazione più ordinata e più colorata, nel senso che renda più attrattiva e bella Stradella» Dopo tanti anni passati a fare il consigliere di minoranza, per Dino Di Michele è arrivato il momento, dallo scorso maggio, di sedere tra i banchi della giunta, è lui infatti il vicesindaco di Cantù, che gli ha anche affidato l’assessorato politiche sociali e welfare, cultura, cimitero e monumenti, pari opportunità. Assessore, ha veramente tante deleghe. Ci spiega le sue aree di competenza? «Devo seguire l’area dell’istruzione, quindi tutto ciò che riguarda la scuola e i plessi scolastici presenti sul territorio stradellino, la cultura, le pari opportunità, il welfare, i monumenti come valorizzazione del territorio e peculiarità storica e infine il comparto cimiteriale, che comprende la manutenzione ordinaria e straordinaria. Tutto questo rende il mio assessorato grande e corposo. In aggiunta ho anche la carica di vicesindaco che, a mio parere, è un ruolo che prevede che sia dia un occhio di riguardo anche agli altri assessorati: bisogna essere utili e collaborare, avendo una funzione sinergica». Qual è il suo lavoro e quello della sua squadra in questa fase che possiamo definire di “assestamento”? «Oggi siamo ancora nella fase dove, almeno io, sto valutando tutti i progetti che l’amministrazione precedente ha messo in campo e sto cercando di ottimizzare e migliorare, dove possibile, quelli che sono i progetti in corso. Alcune cose sono già state definite, come la stagione teatrale: in questo caso ho solo potuto fare alcune modifiche fatte in collaborazione con il Fraschini di Pavia e le associazioni che ruotano oggi intorno alla gestione del Teatro. Posso dire che il nostro programma si basa sulla valorizzazione del’individuo umano, sulla persona che viene messa al centro di ogni attività. ». Cultura e decoro, due temi molto sentiti a Stradella «Cultura e decoro sono aspetti distinti ma che possono andare a braccetto. Per il decoro c’è un consigliere dedicato e specifico, Maria Rosa Ge, che si è impegnata a trovare, attraverso sponsorizzazioni private, alcune persone che hanno dato i primi segni di quella che vuole essere la nostra amministrazione. Un’amministrazione più ordinata e più colorata, nel senso che rendi più attrattiva e bella Stradella. Per esempio, l’abbiamo visto con le fioriere davanti al Municipio e alla rotonda di Piazza Trieste. Il decoro, però, ci sarà anche dal punto di vista di una campagna di sensibilizzazione di educazione civica che faremo per i proprietari di animali e cani. Una città curata è più bella per tutti. Per quanto riguarda la cultura, invece, con il collega Frustagli che si occupa di promozione del territorio e di eventi, stiamo progettando e programmando tantissime attività che si andranno a svi-

Dino Di Michele, vicesindaco

luppare nel 2020 e poi nel quinquennio che abbiamo davanti. La prima di queste sarà la rivisitazione di Vinuva con all’interno diversi momenti culturali e conoscitivi della nostra storia e del nostro patrimonio architettonico e storico. Vogliamo arrivare a far sì che Stradella, attrattivamente parlando, sia la porta per poter poi degustare i vini, mangiare i prodotti, ammirando la bellezza delle nostre colline oltrepadane». Sui social non mancano le polemiche per alcuni incivili che imbrattano la città. «In riferimento ai social, devo dire che come tutti gli strumenti devono essere gestiti per migliorare ma non devono diventare il centro di una azione, perché ognuno ha la propria sensibilità e vede la propria realtà: ci devono sicuramente essere utili per riconoscere la realtà di quel singolo caso, ma l’attività programmatica di un’amministrazione deve andare più in là. A mio parere non ci si deve fossilizzare troppo su un post di Facebook. La maleducazione però va combattuta, come per esempio, dicevo prima per i proprietari di cani. Se vogliamo rimanere nell’ambito social, allora uso l’hastag ‘io amo Stradella’: noi faremo tutto per migliorare la città». Lavori di manutenzione: quali sono le priorità? «Abbiamo tanti monumenti, la Basilica di Montalino, il monumento ai Caduti, quello di Agostino Depretis, la chiesa parrocchiale e molto molto altro ancora: in un circuito di valorizzazione, unito ai nostri musei della città, vorremmo fare una maggiore pubblicizzazione di quelle che sono le nostre potenzialità e nello specifico i monumenti rientrano in un piano di migliorie che faremo da novembre in poi per il prossimo triennio. Il programma prevederà valorizzazione, pulizia e riqualificazione di tutte le aree». Il cimitero è un argomento su cui lei si è battuto tantissimo quando era nella minoranza: cosa può dirci in merito? «Il nostro è un unico cimitero suddivido in diverse aree di ampliamento. Il primo, il Bottini, è anche soggetto a vincolo della Sovraintendenza, quindi per qualsiasi

Maria Rosa Ge, consigliere con delega al decoro

azione di manutenzione ordinaria e straordinaria deve essere prima concordata e gestita attraverso i canali che la Sovraintendenza ci mette a disposizione. Questo naturalmente dà una certa difficoltà di gestione per quanto riguarda il risanamento: il cimitero necessita di alcune migliorie, dal punto di vista gestionale e strutturale. Il fatto stesso che il sindaco abbia deciso di fare un punto specifico nel programma dedicato e di dare delega ad un assessore a questo settore la dice lunga. Io mi sono subito attivato, una volta eletto assessore, per conoscere lo stato dei fatti ad oggi: abbiamo cercato di dare subito qualche consiglio di miglioria per quando riguarda la gestione ordinaria e si dovrebbero fare dei lavori intorno al periodo dei Santi. Nel 2020/2021 ci sarà un ampliamento dei loculi, che al momento sono finiti». Quale sarà il vostro strumento principale per rendere migliore la città? «Come abbiamo detto tante volte in campagna elettorale, noi puntiamo molto sull’ordinario, sulla gestione ordinaria del verde, in senso di maggior decoro, pulizia e ordine della città nel suo complesso. Questo unito ad una serie di eventi. Stradella dovrà diventare bella, pulita, ordinata, in modo che tutti quelli che verranno possano poi portare ‘a casa’ il ricordo di una bella cittadina che ha saputo manifestare la propria bellezza». Che la nuova giunta stradellina abbia a cuore la cultura e il decoro della città lo si nota anche dal fatto che, oltre all’assessorato alla Cultura, presieduto da Di Michele, Cantù abbia deciso di dare le deleghe di decoro e arte alla consigliera Maria Rosa Ge. è passato pochissimo tempo dal vostro insediamento, ma ci può dire che cosa avete in mente per migliorare la città? «Il nostro intento è sicuramente quello di far diventare Stradella una città ordinata e pulita, perché senza queste caratteristiche non si va da nessuna parte. Gli occhi di chi arriva a Stradella devono essere riempiti di bello». Avete già fatto qualcosa di concreto in

«Cultura e decoro sono aspetti distinti ma che possono andare a braccetto. Per il decoro c’è un consigliere dedicato e specifico, Maria Rosa Ge» questo senso? «Sì, è vero. E tutto grazie a volontari, ci tengo a sottolinearlo. Loro ci hanno aiutato dandoci i fiori e facendo le aiuole nella piccola rotonda di Piazza Trieste. Inoltre abbiamo ripulito la fontana dei quattro cannoni: qui c’erano anni e anni di sporcizia, con escrementi di piccioni, persino pannolini di bambini. Abbiamo pulito e messo fiori. Un grazie a Mirko Truffa, a Losio Vivai, alla fiorista Graziana…e a tutti quelli che ci stanno dando una mano. Infine abbiamo fatto togliere i cartelloni che c’erano all’ingresso della città: erano sporchi, malmessi e davano un senso di degrado… Naturalmente noi siamo al servizio dei cittadini, che ci possono segnalare quello che non va». C’è qualcosa che le sta particolarmente a cuore? «I giardini pubblici. Verrà rifatta a breve la parte del campo giochi per i bambini e poi cureremo tutto il resto: erba da sistemare, alberi magari da togliere, lampioni che non fanno luce perché sono coperti da alberi che non sono mai stati potati…». Cinque anni sono tanti e siete solo all’inizio: cosa si augura per il futuro? «Mi auguro che ci sia buona collaborazione con gli altri consiglieri e assessori, come c’è adesso. Siamo una bella squadra, andiamo d’accordo e ci capiamo. E poi mi aspetto di vedere la mia città in un’altra maniera, più ricca e bella, più fiorita e viva. Io vado sempre ad Antibes, in Francia: là tengono al decoro in un modo pazzesco, lo vorrei vedere anche qui. Per quanto riguarda invece la cultura e gli spettacoli, vorrei vedere eventi a teatro e nelle piazze. Sogno Piazza Trieste magari chiusa in parte alle auto e un’altra parte vivibile per i cittadini. Mi piacerebbe vedere uno spazio dedicato ai ragazzini: ce ne sono veramente tanti in città e a volte li vedo girare senza una meta. E infine, uno spazio per gli anziani: ho sempre avuto il desiderio di realizzare una specie di anfiteatro, nei giardini pubblici, dove si possano fare manifestazioni per loro, magari concerti di fisarmonica che ricordano la loro gioventù». di Elisa Ajelli


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stradella

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«Sul caso ospedale una figura indegna del vicesindaco Di Michele» Da qualche mese Piergiorgio Maggi, dopo essere stato primo cittadino a Stradella, siede nelle poltrone della minoranza cittadina. è infatti capogruppo di minoranza di Alleanza Civica La Torre. Qualche giorno fa è andato in scena il secondo consiglio comunale della nuova giunta targata Cantù e il gruppo di Maggi ha presentato varie interpellanze. La situazione in città è abbastanza “calda”, con parecchi scambi di opinione, anche e soprattutto via social network, tra i componenti di maggioranza e minoranza. Maggi, quali temi avete portato in consiglio? «Quello che a noi importava maggiormente era la questione legata all’ospedale. Forse la maggioranza non si rende conto che in un mese è successo di tutto nel territorio di Stradella e Voghera, con quelle dichiarazioni riportate da un quotidiano locale, virgolettate e mai smentite». Ci spieghi meglio. «A inizio luglio era uscita un’intervista del vicesindaco Di Michele, dove annunciava uno scambio di chiusure, che aveva concordato lui con Asst: la chiusura estiva del reparto di ostetricia di Voghera, con le partorienti che quindi sarebbero dovute venire a Stradella, in cambio della chiusura dell’ortopedia dell’ospedale stradellino, con i pazienti che dovevano andare a Voghera. Quando chiude un reparto è una sconfitta per tutto il territorio, si sa. Da qui era nato un vero e proprio caos, con raccolta di firme delle future mamme, con gli onorevoli che si erano schierati e infine con smentite da parte di tutti. Tutti, tranne Di Michele che sulla faccenda è poi stato zitto. Fino a quando, durante il consiglio, il vicesindaco ha detto di non aver mai fatto quelle dichiarazioni. Non si viene a capo di questa cosa. Non è neanche stato possibile fare un ordine del giorno comune, quindi mi viene da dire che loro, al di là delle parole ‘vuote’ di impegno nei confronti dell’ospedale, non fanno nulla.

«L’unico che ha dialogato correttamente con me è l’assessore Vecchio, una persona seria, responsabile ed equilibrata, è un signore»

Tra l’altro, lui aveva detto di aver fatto questo accordo in quanto assessore dedicato a quel particolare settore: noi avevamo pregato il sindaco di occuparsi lui in prima persona di queste cose, visto che la sanità pubblica sta in capo al primo cittadino, ma ci siamo sentiti rispondere che ‘quando si delega, si delega’». Qual è il suo stato d’animo adesso? «Tristezza. Vedo troppa superficialità e disimpegno, davvero. Abbiamo lavorato per cinque anni per cercare di tenerci stretti il nostro ospedale e poi c’è chi in cinque minuti di intervista rischia di rovinare tutto». Vede superficialità in generale? «Assolutamente sì! In tanti mi dicono che sono cattivo e rancoroso, perché ho perso male le elezioni, e che non voglio collaborare. Tutto falso. Hanno il mio numero di cellulare e la mia mail: se mi chiamano io vado da tutti e dialogo con tutti, non è assolutamente un problema. L’unico che ha dialogato correttamente con me è l’assessore Vecchio, che ha il bilancio dei partecipati e il personale, con il quale ho fatto una sorta di passaggio di consegne perché erano deleghe che avevo io. Con lui parlo con grande piacere, è una persona seria, responsabile ed equilibrata, è un signore, che si applica e studia, non presume di sapere tutto come qualcun’altro che c’è in giunta. Ho notato anche risposte sprezzanti e superficiali anche in merito alle nostre interpellanze e quello che mi da più fastidio di tutto è il voler trasformare l’assemblea nella casa dei cittadini». In che senso? «Boati del pubblico presente, applausi a qualsiasi affermazione della giunta, anche alla più banale frase. Quando invece parlavo io c’era addirittura qualche fischio isolato. Non va bene così! Non siamo allo stadio, non siamo allo zoo e nemmeno in teatro. Vedo benissimo chi si comporta in questa maniera e questa ‘corte dei miracoli’ deve finire. L’assemblea deve essere sì la casa dei cittadini, ma con un confronto civile. Altra cosa che non mi sembra corretta è di dare una tempistica molto stretta per gli interventi della minoranza. Quando facevo il sindaco non ho mai tolto la parola a nessuno, non li stressavo mai e li lasciavo parlare finchè non avevano finito. Non va bene anche questo: mi sembra un’ulteriore manifestazione di debolezza e anche di arroganza. Sia chiaro che non sto dicendo che il sindaco sia arrogante, ma, a mio parere, non deve usare questi metodi. Invece ci sono, questo sì, consiglieri e assessori che arroganti lo sono. Dico sempre che bisogna saper perdere, ma bisogna anche saper vincere. è normale che per alcune cose si possa non essere d’accordo, ma ci vuole spirito di collabo-

Piergiorgio Maggi, capogruppo di minoranza

«L’ex sindaco Maggi attacca: «Vedo troppa superficialità. Hanno trasformato il consiglio comunale in uno stadio» razione. La mia sensazione è che ci sia una parte di questa maggioranza che non è disposta a dialogare». Lei farà parte della Commissione del Commercio. «Cercherò di dare una mano in questo settore. Metto a disposizione tutto il mio impegno». Cosa ne pensa delle recenti dichiarazioni alla stampa dell’assessore Frustagli che ha detto che rinnoverà completamente il Vinuva e altri eventi? «L’assessore ne ha parlato anche in consiglio e ha dichiarato che cambierà anche il nome e che farà risparmiare soldi alle casse comunali. Vedremo… poi parliamoci chiaro: mettiamo a paragone l’ospedale e gli eventi. Con il primo hanno fatto una figura indegna, danneggiando, con il loro silenzio, la struttura ospedaliera, mentre sulle cose ludiche mettono massima attenzione. E comunque, anche per quanto riguarda gli eventi, se ne potrebbe parla-

re in modo tranquillo e sereno, invece di imporre il proprio potere. Ribadisco che l’arroganza non porta da nessuna parte». Voi di Alleanza Civica state mettendo foto sulla vostra pagina Facebook, mettendo in discussione alcune scelte che la maggioranza sta facendo per quanto riguarda, soprattutto, i lavori pubblici… «Lo hanno fatto loro per tutti i cinque anni della mia amministrazione, facendo a noi di Alleanza Civica un ‘mazzo spaziale’ su qualsiasi cosa. Direi che bisogna saper stare al gioco e rispettare i ruoli…bisogna imparare che le critiche si fanno e si ricevono…». Ha sempre dichiarato, dopo la sua sconfitta, che la vostra sarà un’opposizione costruttiva. «Confermo quanto detto, ma dipende sempre anche dalla volontà della maggioranza di collaborare o meno». di Elisa Ajell


santa maria della versa

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«Lo slogan degli anni scorsi “piccolo è bello” ormai non ha più senso» Per decenni l’agricoltura è stato il volano dell’economia della Valversa. La giusta remunerazione delle uve e le sempre maggiori vendite di vino garantivano l’esatta ricompensa al settore agricolo e vinicolo. In Valversa, una delle principali attività ad avere un ruolo importante in questo campo è certamente stata “Agricoltura e Zootecnia”, società commerciale privata fondata da Vittorio Fraschini e Mario Maini, che si occupava di fornire gli agricoltori di tutto ciò che riguardava la coltivazione e la viticultura: concimi, pesticidi, fitosanitari, fertilizzanti, materiale per impianti e sementi. Dopo 59 anni di gloriosa attività l’azienda ha raggiunto un accordo con Terrepadane, maxi consorzio agrario nato nel 2014 dalla fusione di diversi consorzi del nord Italia. Un primo passo che porterà nei mesi futuri alla totale cessione dell’azienda e alla completa operatività di Terrepadane in Valversa. Abbiamo intervistato Mario Maini, classe 1935 fondatore dell’azienda insieme al compianto Vittorio Fraschini. Mario, dopo 59 anni è arrivato l’accordo con Terrepadane. è giunto il momento di andare in pensione? «Sì, era giunta l’ora. Ormai il peso degli anni si fa sentire ed inoltre tutte le “novità” burocratiche introdotte negli ultimi anni hanno reso il lavoro molto più farraginoso, quindi è giusto che siano giovani forze, più orientate alla gestione di queste novità, ad occuparsi del futuro dell’azienda». Com’è nato l’accordo con il colosso Terrepadane? «è stata una scelta naturale, dettata dal buon senso e dall’amore verso la mia Valle. Volevo che il punto vendita, riferimento per molti, restasse anche in futuro e quindi ho scelto di allearmi, per poi fondermi, con una realtà già presente sul territorio e di dimensioni tali da poter garantire la permanenza del punto vendita anche negli anni a venire. Un altro negozio chiuso a Santa Maria della Versa sarebbe stato un ulteriore passo verso il declino che ha colpito la valle negli ultimi anni. Ormai le “piccole” attività sono destinate a scomparire per lasciare posto a strutture più grandi ed organizzate, in grado di poter affrontare in modo efficace le sempre più pressanti richieste dei consumatori. Lo slogan degli anni scorsi “piccolo è bello” ormai non ha più senso; è con rammarico che lo dico, ma è così». Quindi, Terrepadane garantirà la giusta copertura in Valversa? «Assolutamente sì: è la loro missione e sono focalizzati sul far crescere la loro presenza in viticoltura, per cui un punto vendita in Val Versa, territorio con una

grande vocazione vitivinicola, è per loro un fiore all’occhiello e un ulteriore passo verso il raggiungimento dei loro obiettivi». In questi quasi 60 anni com’è cambiata l’agricoltura in Oltrepò? «Radicalmente, come il resto del mondo, d’altronde. Se in meglio o in peggio sarà la storia a dirlo». Sono molte le aziende che si forniscono da lei e che negli anni hanno deciso di ridurre l’utilizzo di prodotti chimici più “invasivi”? «Sì, alcune aziende, non molte, si sono convertite al bio e altre a misura di coltivazione a ridotto impatto ambientale, riducendo quindi l’utilizzo dei prodotti “invasivi”». Negli ultimi anni la Valversa ha subito duri colpi a livello economico e cooperativistico. Anche la sua azienda ne ha risentito? «Sì, è in corso ormai da un decennio almeno, un impoverimento generale, la cui origine è sia nel basso prezzo a cui in nostri agricoltori possono vendere le uve, che nello scarso appeal mediatico dei nostri vini, che quindi vengono commercializzati ad un valore assai più basso, a parità di qualità, rispetto al benchmark nazionale. La combinazione di questi due fattori sui prodotti che sono la fonte principale fonte di reddito della valle ha avuto effetti negativi su tutte le aziende commerciali del territorio, compresa ovviamente la mia. Quindi una ragione in più per allearsi ad una realtà di grosse dimensioni e strutturata per poter affrontare questo periodo

Mario Maini, fondatore con Vittorio Fraschini di “Agricoltura e Zootecnica”

difficile». Come vede l’Oltrepò del futuro? «Il futuro è dei giovani, a cui spetta il compito di costruire un domani che si foriero di benessere per la valle, evitando gli errori del passato: servono spirito di iniziativa e sacrifici, ma il potenziale c’è… quindi buon lavoro e largo ai giovani!». di Manuele Riccardi

Dopo 59 anni di gloriosa attività l’azienda ha raggiunto un accordo con Terrepadane, maxi consorzio agrario

Mario Maini con il figlio Andrea, Giulia Motti nipote del socio fondatore Vittorio Fraschini e Davide Vercesi, Area Manager e responsabile settore articoli vigneto di Terrepadane



GOLFERENZO

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Golferenzo è il comune con il più alto tasso di occupazione”, pari al 112% Il piccolo comune di Golferenzo, che vanta poco meno di 200 anime, negli ultimi tempi è salito agli onori della cronaca nazionale grazie ad una ricerca di Infodata, la quale lo ha decretato come “comune con il più alto tasso di occupazione”, pari al 112%. La rinascita di questo comune inizia circa una ventina di anni fa, con le prime opere pubbliche effettuate dall’amministrazione con lo scopo di migliorarne il contesto estetico. Il vero boom turistico però lo si è avuto una decina di anni fa, con la prima edizione di SaXbere, evento enogastronomico che ha saputo dare il giusto risalto al borgo storico. Negli ultimi anni al Comune di Golferenzo era stata formulata una proposta di fusione, con altri piccoli comuni limitrofi, con Santa Maria della Versa capofila. Proposta però rifiutata perché ritenuta, almeno per il momento, inopportuna. Il sindaco Claudio Scabini, classe 1987, ha da pochi mesi iniziato il suo secondo mandato, il quale lo vedrà impegnato in nuove iniziative sia amministrative che turistiche. Sindaco, da poco ha iniziato il suo secondo mandato… «Dopo 5 anni di mandato da sindaco di Golferenzo la mia idea è quella di proseguire con la linea intrapresa, avendo portato a termine molti obbiettivi proposti nel mio programma elettorale e reso Golferenzo un paese vivo. Io e il mio gruppo abbiamo ancora molti progetti da realizzare: al centro della nostra attenzione c’è il cittadino con tutti i suoi bisogni, senza trascurare l’importanza delle opere relative alla viabilità, manutenzione pubblica, sicurezza e valorizzazione delle opere già esistenti sul territorio. Il nostro programma è ambizioso: vogliamo coinvolgere tutti, dai giovani, con iniziative e proposte concrete per mezzo di attività pratiche di ogni genere, ai non più giovani, che sono la tradizione e questa deve essere tramandata e condivisa».

Convivium e Saxbere «Due format di successo che hanno ispirato altre manifestazioni in altri comuni»

Ormai il nome di Golferenzo e indissolubilmente legato a due importanti eventi: Convivium e Saxbere. «Due format di successo che hanno ispirato altre manifestazioni in altri comuni». Quali sono stati, e quali saranno, i vostri punti forti? «Saxbere e Convivium sono i nostri eventi più importanti dell’estate. Entrambi hanno come fine la promozione dei prodotti tipici, del nostro territorio e del nostro Borgo. Tutto nasce 10 anni fa quando per amore del nostro paese abbiamo voluto valorizzarlo creando delle manifestazioni che non erano ancora presenti nel territorio. Ogni anno cerchiamo di migliorarle, anche nei più piccoli particolari, per alzarne sempre di più il livello e allargarne il bacino di utenza. L’Associazione SaXbere di Golferenzo è felice di essere un esempio per gli altri perché ogni cosa bella che viene fatta nel territorio è a vantaggio di tutti. Il nostro vantaggio è di avere un Borgo medioevale che si presta benissimo a queste manifestazioni, e le persone che lo abitano sono ben disposte a collaborare per rendere magica l’atmosfera aprendo i loro cortili e giardini». Negli ultimi anni Golferenzo, ha subito un forte cambiamento: sia all’amministrazione comunale, attraverso i lavori pubblici, sia i privati attraverso le ristrutturazioni, hanno cambiato quasi totalmente l’aspetto del paese. Quando è cominciata questa “rivoluzione”? «Questa rivoluzione possiamo dire che è iniziata una ventina di anni fa con la costruzione della nuova sede municipale quando l’amministrazione aveva già creduto nel potenziale del borgo per attirare turismo. Da qui molti proprietari hanno iniziato a ristrutturare le loro abitazioni, riportando alla luce le facciate in pietra come un tempo. Anche l’amministrazione ha contribuito pavimentando le strade comunali, creando nuove strutture e cercando di dare servizi ai cittadini di Golferenzo e ai turisti». Questi cambiamenti hanno influenzato parecchio il mercato immobiliare? «Possiamo dire che Golferenzo è uno dei borghi dove le abitazioni mantengo stabile il valore: le case sono molto ricercate ma è poca l’offerta: chi ha acquistato casa a Golferenzo negli anni passati ora non è interessato a vendere». Un paese in forte rilancio, ma con poche attività commerciali. «Negli ultimi anni il turismo è in continuo aumento. Per questo, tramite il bando AttivAre, siamo riusciti a creare una sala polifunzionale dove al suo interno sarà allestita una vetrina dei prodotti tipici del territorio e qui la gente potrà acquistare e degustare vino e non solo. Altre attività e

Claudio Scabini, è al suo secondo mandato da sindaco

«Le case sono molto ricercate ma è poca l’offerta: chi ha acquistato casa a Golferenzo negli anni passati ora non è interessato a vendere»

progetti stanno nascendo nel borgo, merito soprattutto del forte aumento dei turisti che utilizzano i b&b e agriturismi nel paese». Com’è nata l’idea di aprire questa struttura? »Perché Golferenzo deve vivere solo i mesi estivi? Porgendoci questa domanda è nato il progetto. Nel Comune mancava una struttura ricettiva dove non solo i turisti ma anche le persone del territorio potevano incontrarsi tutto l’anno. Grazie al contributo di Fondazione Cariplo e all’impegno della famiglia Belloni, che ha concesso il fabbricato in comodato d’uso gratuito e parte di cofinanziamento, abbiamo sistemato nel centro del borgo una bellissima struttura che domina la valle. Nei prossimi mesi sarà inaugurata e pronta per accogliere i turisti e i cittadini di Golferenzo». Tornando al discorso economico, Golferenzo detiene un primato particolare: è il Comune italiano con il più alto tasso

di occupazione, pari al 112%. Com’è possibile? «Golferenzo è un paese di solo 200 abitanti. Ci sono numerose aziende vitivinicole che richiedono un grande numero di manodopera. Per questo motivo la percentuale è così alta, dovuta all’alto numero delle assunzioni. In agricoltura anche i pensionati continuano a mantenersi iscritti pagando i contributi: anche questo fattore fa aumentare la percentuale di occupazione». Come amministrazione quali progetti avete in cantiere per il futuro del paese? «I progetti sono molteplici continuiamo con la strada intrapresa negl’anni cercando di migliorare la vita dei cittadini dando più servizi e continuando nella manutenzione del territorio per far sì che non solo gli abitanti ma anche i turisti possono sentirsi come protagonisti di una favola meravigliosa». di Manuele Riccardi


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Cheap but chic

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Piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro! Riso Venere con gamberetti, salmone, ceci e zucchine Ingredienti per 3 persone: 300 g di riso Venere 150 g di salmone affumicato in un unico trancio 12 gamberetti di medie dimensioni 1 zucchina giovane 1 fiore di zucchina 1 fetta di cipolla dolce 3 cucchiai di ceci lessati il succo di un limone un rametto di origano e uno di maggiorana olio extravergine d’oliva sale Sugli scaffali dei supermercati oltre al riso dai chicchi bianchi classici se ne trovano oramai di diversi tipi, tra cui il riso nero che ha origini cinesi. I progenitori di questo riso sono infatti nativi della Cina, dove, fino al XIX secolo, venivano coltivati esclusivamente come cibo destinato all’alimentazione dell’imperatore e della corte reale. Una delle varietà più diffuse da noi è la varietà italiana Venere, che è coltivata da tempo nella zona della Pianura Padana, in particolare in Piemonte, ed anche nella Valle del Tirso in Sardegna. Com’è deducibile, il nome “Venere” si ricollega al simbolismo mitologico; per la precisione, fa riferimento alla ben nota Dea Romana dell’amore, della bellezza e della fertilità. Tale analogia è giustificabile dal fatto che, in passato, il riso nero era considerato un potente afrodisiaco. Questa convinzione promosse la nascita di un ulteriore sinonimo, ovvero “riso proibito”. Profumato e saporito, è una varietà di riso integrale molto pregiata ricca di tante proprietà benefiche. Viste le sue virtù, può essere considerato un vero e proprio integratore naturale. È ricco, infatti, di vitamine, minerali, antiossidanti e altri nutrienti, utili per il buon funzionamento dell’organismo. Il riso Venere è quindi uno scrigno di benessere. Dopo la cottura e il suo raffreddamento fornisce “amido resistente” che si comporta in maniera simile alle fibre, aiuta a mantenere e svilup-

pare la flora batterica intestinale, favorendo la crescita dei batteri “buoni”. Ha poi il vantaggio di non contenere glutine, quindi può essere consumato tranquillamente anche da chi soffre di intolleranze. Inoltre, è amico del buonumore, cioè grazie alla sua ricchezza di vitamine del gruppo B, di minerali come il magnesio e il potassio e di triptofano, contrasta la stanchezza e lo stress, favorendo il benessere psicofisico. L’unico problema è che ha un tempo di cottura superiore alle altre qualità di riso. Va lessato in acqua fredda e richiede circa 45 minuti di cottura prima di qualsiasi preparazione. Questo mese, essendo ancora in piena estate e desiderando mangiare cose fresche, noi utilizzeremo questo prezioso ingrediente per preparare un gustosissimo piatto freddo in abbinamento con pesce, legumi e verdure. Come si prepara: Dobbiamo innanzitutto mettere a bollire

una pentola con abbondante acqua salata; quando sarà ad ebollizione, versiamo il riso e lo lasciamo cuocere per 45 minuti. Nel frattempo sbollentiamo in pochissima acqua per 3 minuti i gamberetti , li passiamo sotto l’acqua fredda per bloccarne la cottura e li sgusciamo. Quando il riso sarà pronto, lo scoliamo, lo passiamo velocemente sotto l’acqua fredda, poi lo versiamo in una capiente ciotola e lo condiamo con 4 cucchiai d’olio. Tagliamo ora a dadini il salmone e a metà i gamberetti in senso longitudinale per ottenerne due parti più sottili. Uniamo il pesce al riso e mescoliamo. Con una mandolina, tagliamo la zucchina a julienne, tritiamo finemente la cipolla e il fiore di zucchina e uniamo il tutto al riso mescolando bene. Aggiungiamo i ceci ,il timo e la maggiorana tritati. Aggiustiamo di sale e versiamo sul tutto il succo di limone e 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva. Mescoliamo e serviamo in tavola. Buon appetito e buon

Gabriella Draghi

Ferragosto! You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”. di Gabriella Draghi


ARTE & CULTURA

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«L’Alzheimer mi limita ma non mi ferma, anzi: ho scritto due libri» «Un bambino felice, un giocatore imbattibile di tennis da tavolo, un fotografo, un paracadutista alpino, un operaio metalmeccanico, un sindacalista, un assessore impegnato sul territorio, un marito un po’ sognatore, un padre, un pensionato: è tutto questo Gianni Zanotti, prima che un malato di Alzheimer.›› (Tratto da “La storia testarda e forse improbabile di un uomo in pensione”, 2014, Carmignani Editrice) Così recita la prefazione dell’autobiografia di Gianni Zanotti, affetto da questa malattia dal 2011. Nonostante le inevitabili difficoltà, con l’aiuto della moglie Claudia e della caregiver Sabrina, dalla sua casa situata tra le colline dell’Oltrepò, a Torricella Verzate, l’uomo combatte la disinformazione e i pregiudizi che gravitano intorno all’Alzheimer. Nel suo primo libro, nato inizialmente come raccolta di memorie, lui si racconta. Ad ottobre ne uscirà un secondo dal titolo “In viaggio con l’Alzheimer”. Con ciò Gianni vuole dimostrare di riuscire ancora a vivere in maniera più che dignitosa e che anche altre persone nella sua condizione possono farlo. Secondo lui, il segreto è non nascondersi alla società; e soprattutto, amare. La diagnosi di Alzheimer è stata il culmine di sintomi progressivi o un evento improvviso? «I primi campanelli di allarme sono comparsi nel 2011. All’inizio veniva chiamato tutto “decadimento cognitivo” che dal tipo lieve è passato a quello moderato e così via per un paio d’anni. Facendo poi ulteriori analisi, dalla PET cerebrale del 2014 è risultato che fossi affetto da Alzheimer. Da lì sono risaliti ai sintomi di tre anni prima: non era decadimento, ma Alzheimer anche quello. Quindi ne soffro dal 2011, però la diagnosi è arrivata più tardi, all’improvviso, nel 2014. Mi è rimasto impresso di quel periodo un manifesto che vedevo ogni qualvolta mi recassi in neurologia a Voghera: descriveva cos’è l’Alzheimer, i modi in cui si manifesta ed i suoi vari stadi e me lo ricordo perché mi aveva trasmesso una certa inquietudine. è un episodio che racconto nel mio primo libro – lui parla meglio di me (ride)». Quando ha iniziato a scrivere “La storia testarda e forse improbabile di un uomo in pensione”? «Ho cominciato a scrivere la mia autobiografia nel 2011, ancora prima della diagnosi di Alzheimer. Nonostante non fossi ancora certo di averlo, ho pensato che fosse meglio rendere indelebile tutto quello che ricordavo della mia vita, finché era vivido nella mia mente e riuscivo a scriverlo in autonomia. All’epoca scrissi tutto a mano, con la biro. Sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui avrei scordato, se non tutte, gran parte delle mie memorie, e feci appena in tempo a metterle su carta: finii il

Gianni Zanotti, di Torricella Verzate

libro nel 2014». Che rapporto c’è tra la scrittura e la malattia? «Soprattutto all’inizio, affrontavo l’Alzheimer molto bene proprio perché avevo la scrittura. Pensavo “mi capiterà qualcosa, starò male; però, se riesco a scrivere, io mi salvo”. La consapevolezza di saper e poter scrivere ha fatto sì che io mi tenessi sempre impegnato. Mattino o sera che fosse, mi mettevo al tavolo e scrivevo. è una passione che mi accompagna da tutta la vita e mi è tornata utile nella mia condizione. In più, ho sempre pensato, magari in modo un po’ presuntuoso (ride), che la mia storia non fosse banale. Ritengo che la mia vita non sia da tutti, ed è il motivo per cui ho deciso di non tenere i miei ricordi solo per me, ma di condividerli con chiunque abbia piacere a leggerli». Ci racconta un aneddoto riguardante la sua passione per la scrittura? «Già alle medie mi piaceva molto scrivere, cosa che la mia insegnante di Italiano apprezzava molto. Scrivevo bene e tanto, perlopiù racconti. Questa mia insegnante, proprio per la mia dedizione, andava in giro per la scuola lodandomi e dicendo quanto fossi bravo in Italiano. “Com’è bravo Gianni, com’è bravo Gianni” e poi il risultato fu che venni bocciato per colpa dei brutti voti in matematica, perché in quella materia ero un disastro (ride)». Le va di offrirci un assaggio del suo libro? «Beh, essendo un’autobiografia, posso raccontare i momenti più rilevanti della

mia vita. Ora li riassumerò in modo diverso, ma coincidono con quello che c’è scritto nel libro (ride). Innanzitutto sono nato a Forlì nel 1943. La guerra imperversava e causava molte vittime, tra cui mio padre, che non ho mai conosciuto. In quella città studiai e lavorai. Arrivò il momento della leva: mi dissero che dovevo arruolarmi negli Alpini; comunicai al funzionario che non ero d’accordo e lui, per ripicca, mi mandò tra i paracadutisti, alpini. Terminato quel periodo, decisi di cercare fortuna a Milano nonostante il parere contrario della mia famiglia. Trovai un alloggio e un impiego da fotoreporter presso Federico Patellani. Nel frattempo arrivò il ’68 e in quell’anno la mia organizzazione lottava per far entrare i propri membri – studenti, operai eccetera – nelle fabbriche: fu così che venni assunto alla Innocenti di Lambrate e lì divenni sindacalista». In quel modo lei iniziò a “parlare alle folle”: prima come operatore sindacale, ora tramite i libri e interviste come questa. «Proprio così; sono sempre stato abituato a parlare a tanta gente. Non sono uno che fa discorsi troppo specifici, non cerco l’ago nel pagliaio, non puntualizzo. Mi sono sempre sentito più a mio agio a fare discorsi in grande, con l’obiettivo di far arrivare il mio messaggio a più persone possibili, come in fabbrica, allo stesso modo anche nei libri. Me l’ha fatto capire proprio l’esperienza alla Innocenti: riuscivo a farmi ascoltare da una platea di mille e più persone, in cui tutti volevano prendere parola e provocare; molti, infatti, non se la sentivano. Io, invece, senza scrivermi discorsi, facevo capire anche ai contestatori più accaniti che ero lì per aiutarli». A causa del progredire della malattia, ora lei non è più in grado di scrivere autonomamente. Tuttavia il suo secondo libro è prossimo alla stampa. Che metodo ha utilizzato? Com’è stato scoprire di non poter più scrivere da solo? «Per me è stata una tragedia, come se mi si fosse rotto qualcosa dentro. Ho fatto “crack”. Lo scrivere, scrivere a mano, per me è sempre stato una valvola di sfogo, un modo per comunicare, uno svago. Quando mi è stato diagnosticato l’Alzheimer, il pensiero di avere ancora la scrittura a disposizione mi ha salvato. Abbiamo provato anche con degli adattatori che mi aiutassero a tenere in mano la penna; in un primo tempo ha funzionato, ma poi non c’è stato più verso. Ora che non riesco più a scrivere, parlo. Non ho mai perso la voglia di comunicare e continuo a farlo tramite la mia voce, come quando lavoravo alla Innocenti e come sto facendo in questo momento grazie all’intervista. Anche il nuovo libro l’ho

scritto io, chiedendo aiuto a mia moglie e alla mia caregiver Sabrina. Io esprimo le mie idee e Sabrina le mette materialmente per iscritto. L’unica “pecca” è che ho bisogno di contatto umano: non riesco a parlare ad un registratore, troppo freddo, troppo robotico (ride)». Il suo nuovo libro verrà pubblicato ad ottobre di quest’anno. Come si intitola e quali argomenti tratta? «Ad ottobre uscirà “In viaggio con l’Alzheimer”. è un modo di esortare le persone nella mia stessa condizione a non chiudersi in sé stessi e in casa. Cinque anni fa, la prima cosa che decisi di fare dopo la diagnosi, fu di non vergognarmi di me stesso. Potrò essere rallentato o limitato nel fare certe cose, ma mi sono adattato. Passeggio per il mio paese, mi faccio vedere in giro esattamente come facevo quando ero assessore comunale, intrattengo conversazioni, vado al ristorante e aiuto in casa – in una casa di campagna c’è sempre da fare. Le piccole occupazioni quotidiane contribuiscono a tenermi vivo e attivo. “In viaggio con l’Alzheimer” è un modo per comunicare alla gente che se hai questa malattia non sei inutile, non ti devi vergognare e no, non devi per forza finire in un ricovero. Non nascondetevi, non annichilitevi e non lasciate che sia la società a farlo. Quando io non riesco a fare bene qualcosa, amen: prendo la situazione con ironia. Fate tutto quello che vi è possibile: non siete rottami, siete utili». Il fatto di abitare in un piccolo paese come Torricella Verzate le rende la vita più semplice? «Decisamente sì. Ci siamo trasferiti qui a Torricella quando siamo andati in pensione, prima che mi diagnosticassero l’Alzheimer, ma devo dire che è stata una scelta provvidenziale. Qui, infatti, ho sempre qualcosa da fare per tenermi occupato. Durante le mie passeggiate mi oriento senza problemi; in città anche piccole farei più fatica, però non mi importa. Amo questo paese – sono stato assessore – e amo queste colline, qui mi conoscono tutti e se dovessi perdermi saprebbero dove riaccompagnarmi. Mi porto sempre dietro il cellulare, comunque. A volte capita che, dopo aver incontrato qualcuno ed essermi fermato a parlare, non lo ricordi. Ma io son contento lo stesso, la mia chiacchierata me la sono fatta. In ogni caso, sì, penso che paesini come questo siano più adatti a chi è nella mia stessa condizione. è più facile orientarsi, ci si conosce più o meno tutti, le persone sono disposte a darti una mano. Queste sicurezze mi fanno sentire tranquillo e mi spingono a vivere una vita normale, senza rimanere confinato tra le mura domestiche». di Cecilia Bardoni



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«In Oltrepò occorre riabituarsi alla bellezza» Fabio D’Agostino, scultore vogherese di origini siciliane, è tornato in Oltrepò nelle scorse settimane per esporre le sue opere, ospite dell’associazione “Vogherà è”. D’Agostino mancava in città da cinque anni: attualmente risiede a Fermo, nelle Marche, dove lavora come assistente tecnico informatico in un liceo scientifico. Classe 1981, a Voghera ci è arrivato nel ‘94 dopo aver vissuto in Puglia, Sardegna ed Emilia Romagna, seguendo il padre che lavorava in grossi cantieri edili. Ha studiato all’Itis Maserati, elettronica e telecomunicazioni e durante gli anni delle superiori ha fatto teatro al Gallini, al Maragliano e con Buzzi e Malacalza. L’arte l’ha sempre avuta nel sangue, ma per molto tempo, dai diciotto anni in avanti, ha fatto vita notturna lavorando nelle discoteche della zona. è proprio dalla conoscenza con Leo Santinoli, factotum della movida oltrepadana, che è scaturita l’idea di una prima mostra. «Seguiva le mie sculture e mi ha proposto di venire ad esporle» spiega D’Agostino, che poco dopo ha ricevuto lo stesso invito anche da Attilia Vicini, docente del Gallini e membro dell’associazione “Voghera è”. Ne è nata così una tre giorni dedicata alla sua arte in città. D’Agostino, si dice che nessuno sia profeta in patria. Come si è trovato dopo la lunga assenza? «Sul “nemo profeta in patria” posso dire che non è stato così. Ho avuto modo di riabbracciare tanti amici, ex colleghi, conoscenti e al contempo di conoscere persone nuove. Arrivare in questa nuova veste mi incuriosiva ed è stato bellissimo prendere l’affetto e lo stupore di tanti che mi hanno conosciuto in maniera meno “artistica” e “profonda”». Arte, cultura e Oltrepò vanno d’accordo secondo lei? «Mi sarebbe piaciuto sfatare quella voce che bisbiglia di un’immobilità artistica o culturale della zona. Da fuori però posso dire che è abbastanza reale, che la cultura e la bellezza delle arti sia un po’ latitante. Ma è un discorso generale, bisognerebbe riabituarsi al bello e alla bellezza e il modo giusto non è l’indignazione o la lamentela quanto il fare, l’esporsi, il partecipare e il cercarla. Dove vivo c’è una vivacità culturale molto grande che svaria dalla musica alle arti, il tutto coniugato da una vicinanza umana tra le persone, una sorta di antico desiderio di comunità e di scambio». è per questo che ha lasciato Voghera? «Diciamo che avevo voglia di reinventarmi. Ero tecnico informatico al Gallini, potevo fare domanda di trasferimento in tutta Italia e così ho fatto un elenco di ciò che avrei desiderato: volevo il mare, volevo la collina, volevo un luogo che avesse un rit-

Fabio D’Agostino, scultore vogherese di origini siciliane

mo di vita più “lento”. Spulciando l’elenco delle provincie e dei posti disponibili per i trasferimenti mi sono imbattuto in “Fermo” nelle Marche. Anche il nome era evocativo, visto il peregrinare giovanile che mi aveva visto muovermi tra piacenza alessandrino e milanese con il lavoro nelle discoteche». Parliamo della sua arte. Quando ha iniziato con la scultura? «L’arte l’ho sempre masticata dentro casa, avevo fatto qualche lavoro in legno, avevo studiato fotografia e come detto il teatro. In questa nuova dimensione marchigiana ho trovato il tempo e le condizioni di farla mia, di immergermi profondamente nella sperimentazione e contemporaneamente in me stesso. Sono ormai tre anni che partecipo a mostre e concorsi in molte zone d’italia». Lei lavora il filo di ferro, intrecciandolo manualmente senza saldature per creare le forme. Come descriverebbe la sua scultura a chi non la conosce? «Il mio modo di lavorare il ferro è nato dall’osservazione di altri scultori, pittori,

Le sue opere in filo di ferro riprendono le forme anatomiche artigiani e artisti in generale. Ho letto e studiato l’anatomia umana e quella degli animali che ho cercato di rappresentare. Arriva dall’osservazione che ho fatto su me stesso e su tutto ciò che mi circonda da quando sono bambino. Cercando dentro me stesso risposte a domande personali ho studiato e continuo a studiare svariando dalla psicologia, alla filosofia, alla spiritualità. Le scoperte vanno di pari passo con le sculture in una sorta di diario personale che allo stesso tempo diventa universale».

Tornerà in Oltrepò? «Per esporre sicuramente, ho già preso contatti per l’autunno anche se ancora non so dove». E per vivere? «Al momento la scelta delle Marche resta positivissima. L’Oltrepò è un luogo meraviglioso ma si è persa l’abitudine di osservare e perdersi nella bellezza delle sue curve, nella rigogliosità dei boschi e dei colori». di Christian Draghi


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La storia dei “relocation center” nel romanzo di una vogherese Giada Fariseo nasce a Voghera nel 1981. Si laurea presso l’Università Cattolica di Milano con una tesi sperimentale sui relocations centers americani, luoghi in cui durante la seconda guerra mondiale venivano reclusi i cittadini di origini giapponesi. Giada si è spinta fino a Manzanar, ai piedi della Sierra Nevada, per svolgere alcune ricerche su quella parte di storia ancora così poco conosciuta. Oggi lavora come organizzatrice di eventi per un’agenzia di Milano. “Non ti perdere” è il suo romanzo d’esordio. Il libro ha un legame storico con l’Oltrepò, in quanto il battaglione nippo-americano al quale viene fatto riferimento nel romanzo, ha attraversato i nostri territori nel 1945, poco prima che la seconda guerra mondiale finisse. “Non ti perdere” insegna che ognuno di noi dovrebbe avere la possibilità di inseguire un’idea, un sogno. Di qualsiasi natura o grandezza, non importa. «L’importante è provare ad andare oltre le proprie paure e fare un salto nel vuoto». Giada, ha sempre avuto, sin da bambina, la passione per la scrittura? «Sì, ho sempre avuto la passione per la scrittura. Lettere, cartoline, diari, poesie, racconti. Mi è sempre piaciuto raccogliere i pensieri e tenerli lì, magari per rileggerli ogni tanto. È una passione che ho fin da piccola». “Non ti perdere”. Come mai la scelta di questo titolo? Cosa rappresenta la copertina del libro? «Il titolo del romanzo non è casuale, è anche una sorta di mantra. Quante volte ci perdiamo nella vita? Ci sono momenti in cui uno smarrisce la rotta ritrovandosi in un frullatore e, immancabilmente, si perde un po’. Tutto quello che può fare per non perdersi è seguire il proprio istinto. E Tea, la protagonista del mio romanzo fa proprio questo. Segue il proprio istinto, superando paure e incertezze. La copertina invece, ritrae una ragazza di spalle sul ciglio di un canyon, protesa verso l’infinito, come se stesse per spiccare un salto nel vuoto. Ma non è sola. La sua mano infatti è stretta a quella di una figura maschile alla quale è legata con un filo rosso, il cui ruolo viene svelato all’interno del romanzo. Ho volutamente scelto di non dare un volto alla ragazza o di fornire altri dettagli per lasciare spazio all’immaginazione del potenziale lettore». Ci parli del suo viaggio in America, fonte d’ispirazione per il suo romanzo. «Sono stata a Manzanar nel 2005, per svolgere le ricerche per la mia tesi di laurea. È stato un viaggio molto importante per me. Era la prima volta che mi allontanavo così tanto da casa per svolgere delle ricerche.

Giada Fariseo

Era il mio primo vero progetto importante, qualcosa in cui credevo profondamente. Sono partita con una mia amica dell’epoca. Avevamo 24 anni e l’America la vedevamo solo nelle serie televisive! Insomma, con la scusa di svolgere le ricerche su un tema di nicchia come i relocation centers americani, abbiamo girato la West Coast in lungo e in largo a bordo di una Ford Taurus grigia. Ci sentivamo come Thelma e Louise, è stato incredibile!». Di che temi si occupa e che attività svolge oltre a quella editoriale? «Da oltre dieci anni lavoro nel campo dell’organizzazione eventi e della comunicazione. È un lavoro che amo profondamente perché è sempre in continua evoluzione e mi offre la possibilità di conoscere posti e persone nuove ogni volta. Richiede molte energie, capacità di adattamento, problem solving, ma mi ricompensa ogni volta con emozioni diverse». Che rapporto ha con la città di Voghera e il territorio? «A Voghera ci sono nata e nonostante trascorra la maggior parte della mia vita fuori città, ho un forte senso di appartenenza. Forse perché ho vissuto la Voghera degli anni delle “vasche” in Via Emilia, quando non riuscivi a muoverti il sabato pomeriggio, gli anni delle pizzette a Salice Terme la domenica sera; gli anni dei cinema in centro città, delle discoteche famose della zona. Non ci mancava davvero nulla e la cosa paradossale era la risonanza che avevano le nostre zone nelle grandi città come Mi-

lano. Oggi il gioco delle parti si è invertito e, nonostante la nostalgia che penso assalga tutti coloro che come me hanno vissuto quegli anni, devo ammettere che quando colleghi o clienti trascorrono un fine settimana sulle nostre colline e ne apprezzano la bellezza, sorrido con una punta di orgoglio e mi convinco sempre di più che le nostre zone andrebbero valorizzate, perché non hanno perso il loro fascino». Che legami ha il libro con l’Oltrepò? «C’è un legame storico tra il libro e le nostre zone. Durante alcune ricerche ho infatti scoperto che il battaglione nippoamericano al quale faccio riferimento nel romanzo “Non ti perdere” ha attraversato i nostri territori nel 1945, poco prima che la seconda guerra mondiale finisse. Diciamo che questa scoperta mi ha lasciata sorpresa, perché nel lontano 2005, quando avevo sentito nominare per caso Manzanar e i relocation centers americani, ignoravo totalmente questo aspetto storico. Ero partita così, all’avventura, seguendo l’istinto.. un po’ come la protagonista del romanzo». Quali sono gli autori dai quali prende ispirazione? «Non ho un genere preferito in realtà. Leggo un po’ di tutto. Forse è per questo motivo che “Non ti perdere” non deve essere considerato un romance tout court. Se ne discosta per alcuni elementi, primo tra tutti l’indagine storica attorno alla quale ruota l’intera vicenda». Farà un tour promozionale? «Sono ancora in fase di valutazione in realtà. Il libro è uscito a fine maggio e in

questa fase ho preferito impegnare tempo ed energia in un’attività di promozione che si sviluppa prevalentemente sui canali social, grazie al supporto della casa editrice Lettere Animate. Credo comunque se ne parlerà in autunno». Quanto è difficile emergere per un giovane scrittore della provincia? «È difficile emergere a prescindere, sia che tu venga dalla provincia sia che tu viva in una grande città. Il problema è che non si investe sull’esordiente, perché è rischioso e poco remunerativo. Per fortuna però ci sono ancora realtà a livello nazionale che hanno voglia di mettersi in gioco e ti offrono un’opportunità, ma sono davvero poche e con tempi tutt’altro che brevi». Ha già partecipato a concorsi? «Non ancora. Il libro è uscito a maggio, dobbiamo fare ancora un po’ di scouting anche in questo senso, ma di sicuro è una cosa che intendo fare». Come nasce un personaggio? Che rapporto ha con quelli che crea? «Bella domanda! La maggior parte dei personaggi sono un mix delle persone che hanno fatto o fanno parte della mia quotidianità, pregi e difetti inclusi. Alcuni, soprattutto quelli secondari, sono frutto di incontri casuali vissuti in prima persona che, per qualche motivo, hanno catturato la mia attenzione e sono finiti tra le pagine di “Non ti perdere”. Ho amato tutti i miei personaggi in modo diverso, soprattutto i protagonisti. Non è stato facile separarsene e digitare la parola “fine” nell’ultima pagina del romanzo, soprattutto non sapendo che effetto avrebbe avuto. Dai primi feedback che ho ricevuto però, so che anche per alcuni lettori è stato difficile separarsi da Tea & Co., quindi vuol dire che un po’ di quella passione è arrivata fino a loro, e per me questo è il successo più grande». Che insegnamenti si possono trarre dalla lettura del romanzo? «“Non ti perdere” non è solo il viaggio di una giovane donna dall’Italia verso gli Stati Uniti, ma è un qualcosa di più profondo; è un viaggio introspettivo che porta la protagonista a vivere delle emozioni contrastanti e mette a dura prova le sue certezze più profonde. La protagonista del mio romanzo, Tea, sceglie fin dalle prime pagine di essere l’eroina della propria storia. Credo che ognuno di noi dovrebbe esserlo, o quantomeno dovrebbe avere la possibilità di inseguire un’idea, un sogno. Di qualsiasi natura o grandezza, non importa. L’importante è provare ad andare oltre le proprie paure e fare quel salto nel vuoto. Magari ti schianti, ma magari invece no». di Federica Croce


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«Serve più coraggio nel proporre musica nuova in zona» Gianluca Giagnorio a Voghera e dintorni è per tutti “Giagno” e chi lo conosce sa che è uno di quegli artisti che hanno fatto la gavetta e non hanno mai mollato. Ha aperto concerti a Tozzi, Raf, Vecchioni e Albano ma oggi, a 34 anni e con molti chilometri sulle spalle, inizia a togliersi qualche soddisfazione di quelle “serie”. L’anno scorso ha vinto Area Sanremo ed è arrivato a un passo dal partecipare all’ultima edizione di Sanremo Giovani. Il sogno si è infranto contro la giuria guidata da Claudio Baglioni in persona, ma per “Giagno” non è stata una sconfitta, tutt’altro: un punto di partenza semmai, per rincorrere nuove avventure e nuovi sogni musicali. Si fa chiamare “MaLaVoglia”, ha preso il nome in prestito da un romanzo di Verga e ci ha giocato su per ricordarsi e ricordare a tutti che, in fin dei conti, la differenza tra chi ce la fa e chi no la fanno l’intenzione e la perseveranza: la “Voglia”, appunto. Gianluca, MaLaVoglia però non è il nome della la sua band? «Sì, il progetto iniziale è nato infatti come idea di band, poi ho virato verso la carriera solista, ma ho mantenuto il nome e ho comunque una band che mi affianca per i concerti», Come è nato il progetto? «è nato nello studio di Ron a Garlasco, tre anni fa. Ero con il mio produttore artistico Davide Maggioni e altri musicisti, stavamo cercando un nome per la band. Guardando nella libreria di Ron ho visto il romanzo “i Malavoglia” di Verga e ho pensato di trasformarlo nella domanda che mi fanno sempre tutti:“Gianlu, Ma La Voglia a trent’anni suonati di farti tutti di sbattimenti, dove la trovi?” (ride)». La vostra musica si può definire pop italiano. Musicalmente quali sono le sue influenze? «I miei generi di riferimento sono il cantautorato italiano e il rock. Quello che ne è venuto fuori? Boh… dico MaLaVoglia, con qualche influenza folk in alcuni brani». Quando ha cominciato a comporre? «Non saprei dire un’età. Ho sempre scrit-

Gianluca Giagnorio, il vogherese vincitore di Area Sanremo arrivato a un passo da Sanremo Giovani

to, sin da bambino. Poesie che poi cantavo e quando ho iniziato a suonare la chitarra mi accompagnavo con il mio nuovo strumento. Posso dire però quando ho iniziato a rendermi conto che scrivere e cantare le mie canzoni mi faceva stare bene e mi regalava delle emozioni grandissime: è stato più o meno intorno ai 20 anni. Relativamente tardi...ma credo che ognuno abbia i suoi tempi per capirsi e conoscersi. Più mi raccontavo attraverso le mie canzoni e più mi conoscevo veramente. Tutto è nato da questo bisogno». Oggi la musica è la sua unica professione? «La musica non è la mia unica professione, per scelta. Nel senso che potrei cantare, fare serate dove faccio solo cover...ma non voglio. Intendo realizzare un progetto e per realizzarlo devo investire soldi e tempo, quindi lavoro per poter dare finanze al mio sogno. Ora nell’ultimo anno, con la vittoria di Area Sanremo, ho stretto diverse collaborazioni che mi stanno aiutando molto anche a livello economico». A proposito di Area Sanremo. La vittoria le ha aperto le porte per le selezioni di Sanremo Giovani. Alla fine non ce l’ha fatta per un soffio…cosa non ha funzionato secondo lei?

«è assurdo che con tutte le feste della birra che ci sono nessuna proponga artisti della zona»

«Rimane l’amaro in bocca perché il mio brano era stato ben recepito e aveva preso molti consensi...però c’era gente più avanti di me nel percorso e che arrivava direttamente dalle case discografiche. Era difficile, ma io ho fatto il massimo e ho dato tutto. Sono a posto con me stesso». Lei ha partecipato anche alle selezioni per “Amici”, il talent show di Maria De Filippi, alcuni anni fa. I meccanismi del mondo dello spettacolo li ha visti da vicino, che impressione ne ha ricavato? «Certi meccanismi sono difficili da scardinare, devi entrarci dentro e conoscere gente. Non intendo dire che bisogna essere raccomandati, però che a volte basta una conoscenza giusta per mettere in luce tutto il lavoro che hai fatto per anni. Dico sempre che non basta l’idea, conta molto di più la forza che hai per spingerla». Nel seguirla sul web e sui social è impossibile non imbattersi in “Camoscio”. E’ curioso il modo in cui promuove questo brano, come se non fosse solo una canzone. Che significato ha per lei? «Camoscio è il brano con cui ho vinto Area Sanremo e che poi ho portato davanti alla commissione RAI di Baglioni ma in effetti non è solo una canzone. è una storia, la storia di un ragazzo, Giacomo, che ho conosciuto a Roma tramite un amico e voleva che qualcuno scrivesse una canzone sul suo vissuto in carcere. Camoscio è il soprannome che viene dato alla matricola carceraria. Con la sua storia, Giacomo non voleva suscitare pena, forse nemmeno protesta. Voleva solo raccontare come una persona, divorata dal peso degli sbagli, può avere ancora la lucidità e la forza di uscire da quella prigione che inevitabilmente ti rimane dentro. E in quella sua storia mi sono rivisto anche io, perché ognuno di noi ha le sue gabbie. Il coraggio di uscirne anche quando ti sentirai soffocare, farà di te un uomo veramente libero. Quando la

canto impersono lui». Si dice spesso “nemo profeta in patria”. Lei però recentemente qualche riconoscimento dalla sua città l’ha ricevuto: l’hanno invitata ad inaugurare la Sensia 2019 e ha recentemente suonato in piazza Duomo. Merito della patina sanremese? «Credo che il nemo profeta in patria sia una cosa normale…la verità è che alla gente della tua città, di quello che fai, non frega nulla. Prima mi incazzavo ma ora lo capisco e vivo molto più serenamente il ritorno a casa». Come ha fatto a “elaborare”? Così magari chi se ne lamenta potrà prendere spunto… «In primis ho pensato che se scegli di fare musica tua e ti accontenti di fare l’eroe in patria, stai sbagliando tutto. Poi non tutte le persone riescono a comprendere la vita di un “artista”... per la maggior parte della gente la normalità è l’università, il lavoro, la famiglia...figurati se hanno tempo per star dietro alle tue serate o ai passi che fai. Va bene così. E sinceramente mi dà anche fastidio che alcuni dei miei colleghi continuino a lamentarsi della gente che non li segue ai concerti o sui social. è così. La gente ha i fatti suoi. Certo, vincere Area Sanremo mi ha fatto notare e mi ha permesso di avere dei riconoscimenti anche nella mia città di origine, ma preciso che a Voghera, come MaLaVoglia, in tre anni ho suonato 3 volte. Ma è la mia città, mi ha adottato. Se posso fare qualcosa per lei lo farò, che ci sia poca o tanta gente». Che giudizio esprime più in generale sulla scena musicale oltrepadana? «Non c’è una scena musicale vera e propria. C’è chi fa musica valida, ma manca un punto di raccordo di artisti, musicisti e pubblico che crei una scena musicale... Ed è triste perché, ripeto, c’è tanta gente qui che la musica la fa e anche bene». Eppure non viene molto valorizzata. Soprattutto chi produce inediti… «Devo dire che il grande problema è che manca proprio la mentalità di proporre musica emergente qui in zona. Ci vorrebbe solo un po’ più di coraggio da parte di gestori di locali (ormai pochi) e organizzatori di eventi. Mi sembra assurdo che con tutte le feste della birra che ci siano in giro, mai a nessuno sia venuto in mente di fare una serata dove venissero promossi gli artisti della nostra zona. Bisogna tutti cambiare mentalità. Noi musicisti compresi». Cosa consiglia di fare? «Bisogna girare di più, suonare in altre città. Si torna a casa con un altro spirito...e se ci si torna incazzati, vuol dire che si sta sbagliando qualcosa». di Christian Draghi



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Festival Ultrapadum, da 5 eventi della prima edizione, a 54 dell’attuale Angiolina Sensale, vogherese, ha affiancato agli studi umanistici lo studio del pianoforte sotto la guida del Maestro Giuseppe Aneomanti. Diplomandosi brillantemente presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano, si è perfezionata con Piero Rattalino, Jörg Demus, Naum Starkman. Premiata in concorsi nazionali e internazionali, svolge attività concertistica in varie formazioni da camera, con l’orchestra e come accompagnatrice, ruolo per il quale ha conseguito, nel 1992, l’idoneità nel Concorso a cattedre per i Conservatori di Stato. Ha tenuto oltre mille concerti in 25 stati, tra Europa, Stati Uniti, Sud America, al fianco di artisti quali: Gianni Raimondi, Fiorenza Cossotto, Giuseppe Sabbatini, Daniela Dessì, Elio Pandolfi, Paolo Poli. Tra le sedi più prestigiose: il Teatro Regio di Torino, il Donizetti di Bergamo e il Verdi di Trieste, la Sala Rachmaninoff del Conservatorio di Mosca, la Sala Cecilia Meireles di Rio de Janeiro, il Festival dei Due Mondi a Charleston, la grotta di Bernadette a Lourdes (diretta televisiva per RAI 2). Sovente invitata nelle giurie dei Concorsi di Canto Lirico, è stata docente ospite delle Università di Santa Maria (Brasile) e Athens (Georgia- USA). Nel 2004 ha ricevuto il Premio Internazionale “Foyer des artistes”. Da 27 anni cura la direzione artistica del Festival Ultrapadum, progetto che all’inizio si chiamava “Musica in Castello”, e si svolgeva in ville, castelli e dimore private, che per la prima volta si aprivano al pubblico in occasione dei concerti. La prima edizione ha raggruppato 5 eventi. Con il passare degli anni l’iniziativa ha avuto sempre più riscontri, andando a totalizzare, in un’edizione, ben 54 eventi tra Giugno e Settembre. La mission è quella di valorizzare l’Oltrepò tramite la cultura. Nella direzione artistica del Festival è affidata da Nadia Lanetti (in qualità di Coordinatrice) e da Michela Anselmi (Responsabile Relazioni Esterne ). Quando è nato il festival Ultrapadum, chi ne è stato il principale promotore e qual è la sua mission? «Il Festival Ultrapadum è nato 27 anni fa con un progetto di cui avevo curato la direzione artistica: si chiamava “Musica in castello” e si svolgeva in ville e castelli, dimore private, che per la prima volta si aprivano al pubblico in occasione dei concerti. La prima edizione fu di 5 eventi. Con il passare degli anni l’iniziativa ha avuto sempre più riscontri, andando a totalizzare in una edizione ben 54 eventi tra Giugno e Settembre. La mission è quella di valorizzare il territorio per mezzo della Cultura, incentivandone le potenzialità turistiche attraverso la conoscenza del paesaggio, della storia, dell’arte e dei prodotti della

Festival Ultrapadum «La mission è quella di valorizzare il territorio per mezzo della Cultura» tipicità offerti in degustazione al termine dei concerti». A che pubblico vi rivolgete? Ci sono anche giovani che si avvicinano alle vostre attività? «Il Festival è rivolto all’intera comunità della provincia e delle province limitrofe, in particolare il milanese, supera ogni anno le 15.000 presenze e raccoglie un pubblico assolutamente eterogeneo, differenziato a seconda delle proposte musicali. I giovani costituiscono la nostra caratteristica distintiva nella proposta artistica perché collaboriamo con orchestre e cori giovanili di Europa e Stati Uniti. Molti giovani seguono le serate da cui traggono spunti per la propria crescita. Abbiamo avuto ospite quest’anno in un concerto una giovanissima cantante lirica vogherese che da pubblico è diventata protagonista». In Oltrepò, quali sono le zone di principale interesse, che vengono utilizzate come location? «Rimane la vecchia filosofia della valorizzazione delle dimore storiche e di tutti quegli angoli suggestivi per architettura, storia o natura, oggetto di quel “turismo lento”, che con giusta ragione viene celebrato». Concorso lirico 2019: qual è il bilancio dell’evento? «Il Concorso Lirico Giulio Fregosi è stato dedicato alla memoria del grande baritono vogherese (1887-1951) e ha portato a Voghera oltre 60 iscritti da 15 nazioni, che si esibiscono anche sui palcoscenici della corrente edizione del Festival. La grande novità dell’edizione 2019 è l’incontro, avvenuto qualche mese fa con i discendenti della Famiglia Fregosi, che conservano cimeli, costumi teatrali e lettere: documenti preziosi per una conoscenza dell’artista cui è dedicato il concorso e per l’allestimento di uno spazio museale all’interno della sede della manifestazione». Ci sono talenti che potrebbero emergere, all’interno delle rassegne musicali che avete organizzato? «Sicuramente i giovani talenti del Concor-

Angiolina Sensale, direttore artistico del Festival Ultrapadum

so Internazionale, ma anche altri giovani provenienti da concorsi che il nostro Festival segue a distanza ed invita». Che generi musicali proponete? «La nostra proposta spazia attraverso tutti i generi, con una preponderanza per la musica sinfonica e lirica, ma con una apprezzata apertura anche a repertori trasversali: quest’anno i tributi agli Abba e ai Queen hanno totalizzato mille presenze». Esistono altre associazioni simili in Oltrepò con le quali collaborate? «Il nostro intento è quello di collaborare il più possibile con le realtà associative del territorio, ben consapevoli che la Cultura è l’unico bene che, condiviso, non si depaupera ma, al contrario, cresce». Organizzate iniziative con istituti scolastici e scuole di indirizzo? «Organizziamo corsi di Canto Lirico e Masterclass internazionali. Ad agosto, ad esempio, a Ca’ de Figo, location di nuovo inserimento nel Festival, ci sarà un concerto proprio con le cantanti cinesi impegnate in una Masterclass». Che eventi avete organizzato nel corso di questi anni; quali saranno i prossimi in programma? «In partnership con il Comune di Valverde siamo stati i primi a proporre le opere liriche in allestimento completo en plein air.

Nostra anche la paternità di grandi eventi sinfonici come quello che ha inaugurato la rassegna 2018: 120 musicisti in San Pietro in Ciel d’Oro nell’ambito di un progetto che ha unito il coro di Anchorage (Alaska) all’Orchestra Filarmonica dei Navigli». Avete dei partner pubblicitari che vi sostengono? «Il nostro main sponsor è la Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia, alla quale dobbiamo la sopravvivenza in un momento storico di grande recessione, soprattutto per le risorse destinate alla Cultura». Come sono i rapporti con le varie amministrazioni comunali che vi ospitano? «Il Festival opera in stretta sinergia con le amministrazioni comunali e con le Pro Loco. Il concerto è spesso organizzato nell’ambito delle feste patronali, come momento aggregativo della comunità intorno ad un valore che si discosta dalle tradizionali sagre. In questo abbiamo verificato una crescita motivazionale nei nostri interlocutori pubblici, che sempre più apprezzano un investimento in manifestazioni “volatili”, che sembrano non generare un utile a breve scadenza, ma che rappresentano un forte veicolo di crescita dell’identità comunitaria». di Federica Croce


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Giovani enduristi crescono all’insegna dei valori sportivi Una due giorni all’insegna del MiniEnduro, del divertimento e dell’apprendimento, è questo lo spirito della manifestazione andata in scena a Ponte Nizza con l’organizzazione del Motoclub Varzi. Un bellissimo week-end vissuto dai giovani “enduristi” e dalle loro famiglie che motiva il motoclub varzese nel portare avanti questa bella iniziativa. Riccardo Buscone, 29 anni, ha una lunga tradizione familiare legata al motorsport: il papà, Giorgio, vanta una lunga carriera culminata con il co-pilota Mario Perduca, con la vittoria nel 1991 del Trofeo Italiano Rally Terra al volante di una Lancia Delta e due fratelli, Francesco e Paolo apprezzati enduristi. Riccardo aveva la sua “strada” sportiva “segnata” e così è stato. Si è dedicato al suo sport preferito: l’enduro, correndo, ma anche, da alcuni anni, insegnando questo sport a bambini e ragazzi. Abbiamo in questi anni intervistato e sentito le opinioni di molti enduristi oltrepadani, ma mai come in questa intervista a Riccardo Buscone, abbiamo avuto modo di sentire la “voglia” di trasmettere i valori sportivi, tecnici e comportamentali di questa disciplina agli altri, ai bambini ed ai ragazzi in particolar modo. Riccardo a che età hai iniziato ad andare in moto? «Ho cominciato a 6 anni. Ho iniziato l’agonistica un po’ col botto, a 16 anni, con il Supermotard. Dopo tre anni in quella categoria, sono passato all’Enduro». Corre ancora oggi? «Ho corso fino al 2017 poi mi sono preso due anni di pausa e quest’anno ho ricominciato con delle gare minori. Sono iscritto al Motorclub Varzi». Ci sono scuole per i più svariati sport. La scuola di enduro è una novità: com’è nata – a Varzi e in Oltrepò Pavese – quest’idea? «L’idea è nata due anni fa di comune accordo con Alessandro Ricci, presidente del Motorclub Varzi, il quale per caso, ha assistito ad una gara di campionato italiano minienduro e si è appassionato. Ha trasmesso anche a me l’interesse, e ad oggi ci troviamo a gestire per il Motorclub Varzi una dozzina di ragazzini, tra licenziati e non, con la passione per le due ruote e le strade sterrate». Per quanto riguarda il minienduro: che fascia d’età comprende e quando si passa alle categorie superiori? «Il minienduro dura dagli 8 ai 16 anni. A 10 anni si è debuttanti; a 14 anni, però, è già possibile partecipare alle gare “dei grandi” pur rimanendo nella categoria “mini” fino, appunto, ai 16 anni compiuti». Il vostro progetto ha avuto successo immediato? In che modo siete riusciti a farlo conoscere? «Personalmente ci è sembrata un’enorme conquista avere già il primo anno, sette/

Riccardo Buscone, istruttore Motoclub Varzi, mentre accompagna “piccoli enduristi” otto iscritti, tra licenziati e non; tuttavia questa sembra essere la punta dell’iceberg: più si prosegue e ci si addentra in questo mondo, più si scoprono appassionati delle due ruote, che siano “addetti ai lavori” o neofiti. Abbiamo un continuo aumento di richieste di iscrizioni al Motorclub proprio da parte dei più ppiccoli». Al momento quanti sono i bambini che fanno parte della categoria minienduro nel Motorclub? «Per ora contiamo una decina di ragazzi, dieci - dodici, tra licenziati, ossia agonisti che a gennaio conseguono una licenza tramite la Federazione Motociclistica Italiana, e non licenziati, i cosiddetti “simpatizzanti”, che ovviamente hanno delle limitazioni: per esempio non possono frequentare piste, ma si esercitano in aree preposte come il campo sportivo di Bagnaria». Dove insegnate i primi rudimenti ad un bambino che non è mai andato in moto? «Abbiamo la fortuna di ricevere un aiuto dalla Pro Loco di Bagnaria, che mette a disposizione per qualche giornata il campo sportivo. è una zona sicura, con erba tagliata a misura, recintata e completamente in piano. Prepariamo dei percorsi con paletti e fettucce dove i neofiti possono divertirsi. L’unica restrizione è che la zona non è a nostro uso esclusivo, ma dobbiamo ringraziare il Comune di Bagnaria che è veramente ben disposto e collaborativo nei nostri confronti». Dopo le prime esperienze al campo sportivo di Bagnaria, dove portate un bambino a esercitarsi, se si appassiona alle due ruote?

«Se da cosa nasce cosa e la passione vuole essere incrementata con un po’ più di pepe, si consegue la licenza in modo da avere una sicurezza in più dal punto di vista assicurativo e ci si sposta in piste con percorsi già definiti e adatte ad un bambino che vuole fare progressi. Ovviamente queste piste sono perfettamente in piano e senza salti». Quali sono le strutture più prossime all’Oltrepò? «Dorno, Ottobiano, San Martino Siccomario. Sono strutture che presentano sia circuiti per adulti, sia circuiti secondari per i più piccoli dove i meno esperti possono impratichirsi in sicurezza». Prima di cominciare ogni attività, le famiglie valutano le spese da sostenere. Ci sono sport più o meno costosi. La prima spesa da fare nel caso del motociclismo è l’acquisto del mezzo: qual è il prezzo minimo e qual è il prezzo medio per una moto da bambini? «Il prezzo minimo per una moto usata, discreta e affidabile, è di circa 800 euro a salire, per arrivare fino al 4mila euro se si decide di acquistarne un modello recente e appena uscito dalla fabbrica». Una volta acquistata la moto, quali altre spese deve sostenere un genitore? «A questo punto sono necessari abbigliamento e protezioni: stivali, ginocchiere, pantaloni, maglietta, paraschiena, casco e guanti. Il budget, per tutto, oscilla tra i 300 ed i 400 euro». Nel caso del Motorclub Varzi, quanto costa iscriversi? «Il tesseramento è intorno ai 70 euro e comprende anche maglietta gara e post

gara e un piccolo pacchetto, che può essere usato: l’olio motore ed altri gadget necessari al ragazzino che vuole fare questo sport. Si cerca di dare una mano a chi è alle prime armi...». Dopo l’iscrizione hanno inizio i corsi. Quanto possono venire a costare? «Per chi è già munito di moto e abbigliamento, non è necessario avere anche la licenza, il Motorclub Varzi mette a disposizione la struttura e la figura dell’istruttore, io o il presidente del Motorclub, per tre giornate a titolo assolutamente gratuito. Quindi, a differenza di quasi tutti gli altri sport, il Motorclub Varzi non fa pagare gli istruttori». La vostra è un’opera di volontariato: cosa vi spinge a spendere il vostro tempo, gratuitamente, per insegnare a dei bambini ad andare in moto? «Soltanto un ritorno di soddisfazione. Alessandro Ricci è presidente da sette anni, io sono socio e membro del direttivo da quattro. Ogni volta che devi costruire qualcosa per il Motorclub devi spendere tempo e fatica, ma con la differenza che, insegnando ai bambini, c’è molta più soddisfazione personale. Vedere i più piccoli e i meno pratici divertirsi e diventare sempre più bravi è un’emozione impagabile». Lei è istruttore certificato in tecniche di guida e può seguire sia i bambini che gli adulti. Con quale di queste due fasce d’età preferisce trascorrere il suo tempo in qualità di insegnante? «Anche poco, anche solo mezz’ora, ma con i bambini, piuttosto che un’intera giornata con un adulto perché il senso di soddisfazione è incomparabile».


ENDURO C’è stato un episodio, in termini di appagamento, che le ha riempito il cuore? «In questi due anni ce ne sono stati un’infinità, quasi ogni incontro mi ha regalato qualcosa di speciale. L’ultima grande soddisfazione è stata vedere un ragazzino di 10 anni che, nell’arco di un anno, ha comprato la moto, conseguito la licenza e portato a termine una gara di italiano minienduro difficile come quella che c’è stata a Ponte Nizza di recente». Quest’ultima è stata la manifestazione che ha fatto capire al pubblico dell’Oltrepò Pavese che l’enduro è anche per i bambini. Com’era strutturata? «Ponte Nizza è un Comune molto vicino a Varzi e si mette sempre a disposizione. Lungo il parcheggio principale del capoluogo, limitrofo al campo sportivo, abbiamo allestito il paddock affinchè le famiglie dei bambini potessero parcheggiare i camper; il mercato coperto, zona “industriale” del paese, è diventata zona assistenza e di verifiche, cioè il centro nevralgico. Per quanto riguarda la gara vera e propria, si è partiti da Ponte Nizza, ci si è spostati lungo lo Staffora salendo poi a San Ponzo, dove si è tenuta la prima prova speciale, l’enduro test, che è consistita nel percorrere un “anello” nei boschi. Si è ritornati lungo il greto del fiume per poi spostarsi verso Cecima per fare il cross-test, ovvero la seconda prova speciale. Con un brevissimo trasferimento fatto di molteplici guadi lungo lo Staffora, si è ritornati a Ponte Nizza per l’assistenza. Dopo aver mangiato un boccone e fatto benzina, si è ripartiti per un nuovo giro. In totale i giri sono stati dieci, cinque di sabato pomeriggio e cinque di domenica, quindi due giorni “pieni” di gara». La gara era aperta anche agli adulti? «No, il primo vincolo tassativo del minienduro è l’età: sono ammessi i bambini dagli 8 fino ai 16 anni». Quanti erano i partecipanti? Da dove venivano? «I partenti erano 170, gli iscritti un po’ di più ma capita sempre che qualcuno si perda in corso d’opera o all’ultimo non possa partecipare. Comunque, si sono presentati 170 concorrenti, di cui cinque sotto l’egida del Motorclub Varzi, nella categoria debuttanti. Venivano da tutta Italia: i più lontani, poveri loro... per il lungo viaggio, arrivavano dalla Sicilia». Come vengono tutelati i partecipanti, visto che parliamo di bambini e ragazzini in tenera età? «Durante la gara un adulto accompagna dai tre ai quattro bambini per minuto e li segue sempre, sia in trasferimento che nelle prove speciali, così da supportali per qualsiasi bisogno, sia meccanico o fisico. Gli adulti che in moto seguono i ragazzini durante la gara sono tutte figure qualificate». Qual è il prossimo step del Motorclub Varzi? «A noi non interessa pensare troppo in grande e diventare un gruppo infinito, fatto di numeri. Piuttosto preferiamo una famiglia allargata fatta di persone volenterose, che abbiano voglia di portare i loro figli in un gruppo ben organizzato. Non escludiamo di integrare altri membri in futuro, ma restando fedeli alla tradizione di “gruppo

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Riccardo Buscone, con gli allievi della scuola di enduro familiare” che è ciò che il Motorclub e vuole rimanere, con la priorità di mantenere il contatto con i genitori ed i loro figli, che approcciamo, sì, in quanto piloti, ma anche e soprattutto in quanto bambini». I bambini membri del Motorclub Varzi vengono solo dall’Oltrepò? «Sì, prevalentemente. Arrivano da Varzi, Salice Terme, Voghera, Stradella. Uno, addirittura, è di Milano». Molti sport prevedono anche dei campus, di solito estivi. Saranno presi in considerazione anche dal Motorclub o sono iniziative impraticabili? «In realtà è più facile di quel che sembra: nel momento in cui c’è una struttura – banalmente un agriturismo – che ci mette a disposizione il terreno, si può allestire un campo da allenamento, perché no, magari in pianta stabile, dove ogni anno, una o due settimane a seconda del numero di partecipanti, si possono organizzare attività motociclistiche. Si tratterebbe di imparare l’arte della motocicletta in abbinamento ad attività complementari che possano far capire e apprezzare tutto ciò che l’Oltrepò ha da offrirci.

«Solo mezz’ora, ma con i bambini, piuttosto che un’intera giornata con un adulto perché il senso di soddisfazione è incomparabile»

Non dimentichiamoci, infatti, che il minienduro si pratica maggiormente sulle colline o sui monti e per rispettare il fascino che questi paesaggi ci regalano, è bene sapere in che tipologia di bosco ci si trovi, conoscere il territorio, la montagna ed essere in grado di sfruttare i consigli che verrebbero dati, sia durante le gare sia nella vita quotidiana». Avete intenzione di dare vita a questo progetto prima o poi? «Assolutamente sì. L’idea di base è far trascorrere a dei bambini più giorni lontani dai genitori, in compagnia di altri amici della loro età – perché poi, di questo si tratta. Essendo però un’attività non del tutto avviata, ci siamo dovuti accontentare delle canoniche domeniche di allenamento e delle gare per chi corre; l’iniziativa, comunque, bolle in pentola...». Può capitare, anzi spesso capita, in tutti gli sport, che i genitori intervengano troppo di frequente e in maniera poco congrua alle attività del figlio. Accade anche nell’enduro? «Quando ho iniziato a fare i corsi con la Federazione, il primo campanello di allarme mi è stato segnalato nei confronti dei genitori. Mi hanno ben spiegato: “Tu inizia pure a fare questa attività, ma stai attento ai genitori, perché molti – non tutti – pensano di avere in casa un campione e altrettanti vogliono tenerlo nella loro ‘bolla’ di protezione”. Io penso che se tu, genitore, dai fiducia ad un istruttore, quindi ad una persona qualificata, più carta bianca gli lasci e meglio potrà fare il proprio lavoro. Per fortuna, all’interno del Motorclub Varzi, mi trovo ad avere a che fare con genitori “d’oro” che capiscono fin dove devono e possono arrivare e dove invece è l’associazione sportiva ad avere voce in capitolo. Purtroppo, però, durante i due giorni di gara

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a Ponte Nizza, mi sono dovuto confrontare con familiari convinti di avere in casa un campione, intoccabile e impeccabile, che non potesse commettere errori. In questo modo non vedevano le cose come stavano e creavano non pochi problemi. Io, ripeto, al Motorclub ho la fortuna di avere genitori che si fidano, lasciano il giusto spazio ai figli e agli istruttori sia nei giorni di allenamento che nelle competizioni, quindi mi trovo veramente bene». Come organizzate e gestite i giorni di allenamento? «A gennaio esce il calendario con tutte le gare regionali e nazionali a cui alcuni andranno ed altri no. All’inizio dell’anno ci si trova un giorno – che spesso si conclude con una “pizzata” – in cui possano essere presenti più o meno tutti per passare il pomeriggio in moto e, in base alle gare, si posizionano gli allenamenti, che in linea di massima corrispondono a tutte le domeniche libere». Mi sembra di capire che fino ad ora l’esperienza nata da un’idea valida sia stata molto positiva. Avete avuto le vostre soddisfazioni sia come Motroclub sia come istruttori; il clima è ottimo. Ma le difficoltà ci sono sempre. Qual è o qual è stata la più grande difficoltà del Motorclub nel mettere in pratica i corsi di minienduro? «Le ore dedicate all’organizzazione sono molte, direi quindi che la difficoltà maggiore è il sacrificio del proprio tempo libero che comunque dal mio punto di vista è sempre ben speso, il gioco vale la candela... Nel momento in cui le cose vanno a buon fine e tutto è stato organizzato per il meglio è appagante, ma pensiamo a tutto il lavoro che c’è dietro le quinte, il percorso ad esempio, è quasi sempre da smontare e rimontare la volta successiva in quanto il campo che ci viene concesso dalla Pro Loco non è a nostro uso esclusivo, organizzare le giornate ad hoc per i ragazzi porta via molte ore, ma ribadisco che solo l’idea di portare questi bambini ad avvicinarsi al mondo delle moto e, nella migliore delle ipotesi, alle competizioni, è per me una soddisfazione enorme. è questo entusiasmo che mi spinge ad affrontare le difficoltà, che alla fin fine si riducono ad una questione di tempo dedicato». In questa vostra attività di minienduro avete aiuti dalle istituzioni pubbliche? «Le istituzioni pubbliche si palesano soltanto come comuni. Abbiamo degli enti locali sempre molto disponibili come il comune di Bagnaria, di Ponte Nizza, di Varzi. Non siamo un’attività così cresciuta da poter chiedere aiuti a livello regionale o nazionale, ma le situazioni nei territori limitrofi sono favorevoli». Avete aziende vostre partner che sono state incentivate a investire di più proprio perché voi fate attività di minienduro? «Assolutamente sì. Attività prettamente locali, quindi amici, hanno trovato nuova linfa, un tesoro nascosto – anche piccolo, non c’è bisogno di tanto, gli aiuti in più sono giunti sia da alcune aziende ed dalle famiglie dei bambini che rappresentano il Motorclub Varzi a livello regionale». di Cecilia Bardoni


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Rally 4 Regioni, pavesi sconfitti in casa L’attesissimo Rally 4 Regioni che con l’impegno di Aci Pavia e Scuderia Piloti Oltrepo, quest’anno si é presentato con una veste completamente nuova, non ha riservato grandi soddisfazioni ai piloti di casa. Nel rally storico, in quello moderno e nella regolarità sport, il successo é infatti andato a piloti extra-provinciali. Ma andiamo per ordine Rally 4 Regioni Storico - La rivincita di Melli. Il Rally 4 Regioni storico ha una storia abbastanza recente. Dopo un tentativo senza seguito datato 1982, é stato proposto dalla TCS di Cesena con a capo Rudy Dalpozzo nel 2011 e 2012. Nel 2015 é l’Aci Pavia a farsi carico dell’iniziativa che ha richiamato, piloti da tutta Italia e grazie alla collaborazione con l’ex campione Europeo Rally Yves Loubet, anche parecchi piloti stranieri, i quali non sono però riusciti ad aver ragione dei piloti locali che hanno dominato negli ultimi tre anni. Quest’anno però, i piloti pavesi impegnati nel rally 4 Regioni storico 2019 sono stati sconfitti sulle strade di casa. Si é chiuso quindi un dominio iniziato con la vittoria di Canzian-Nobili nel 2016, a cui ha fatto seguito la doppietta di Matteo e Claudia Musti nella versione internazionale del rally negli anni 2017 e 2018, (mentre nel nazionale ad imporsi sono stati BusconeMaggi e Ghezzi-Benenti), quest’anno (come lo scorso anno d’altronde), le cose si sono messe subito a favore del driver di Colico, Enrico Melli, il quale con la gara pavese ha un conto aperto (tre secondi posti ed una vittoria sfuggita lo scorso anno in vista del traguardo, quando sulla sua Porsche 911, c’é stato il cedimento del braccetto della sospensione posteriore destra). In questa occasione, il giovane lecchese, navigato dall’espertissimo co-driver valtellinese Romano Belfiore, si é preso infatti una più che meritata rivincita, impossessandosi del comando già dai primi metri di gara per non lasciarlo più fin sotto la bandiera a scacchi, facendo sue tutte le 8 prove speciali in programma. Va detto, che la gravosità del suo compito é stata alleviata in parte dal prematuro ritiro di Matteo Musti navigato da Fabio Fraschetta sulla Porsche 911 RSR, indicato alla vigilia come uomo da battere. Alle spalle dei vincitori, dopo aver lottato a lungo con Riccardo Canzian ed Andrea Prizzon, su Opel Kadett Gt/e, autori di 2 secondi, un terzo e 2 quarti posto in prova, e costretti alla resa sulla terzultima prova, a salire con merito sul secondo gradino del podio, staccati di 2’00”2, sono i locali Alessandro Ghezzi ed Agostino Benenti, su Porsche 911 RS, vincitori tra l’altro del 2° Raggruppamento nonché della classe H1/>20 in quali hanno tenuto la posizione

Il Podio del rally storico (foto diTronconi)

davanti a Canzian fin quando questo é rimasto in gara, facend segnare un secondo e 4 terzi posti in prova. A completare un podio occupato interamente dalle 6 cilindri di Stoccarda, troviamo un altro equipaggio locale, quello formato da Ermanno Sordi e Claudio Biglieri (Porsche 911 gr. B) distanziati di 5’40” dai vincitori. Sempre tra gli equipaggi locali, degno di nota é lo straordinario quinto posto assoluto e la vittoria di classe 3- I/1150 di Daniele Ruggeri e Martina Marzi con la Fiat 127 Sport. Bene anche Stefano Maroni ed Emilio Patrelli (Opel Kadett GSI), ottavi assoluti e primi di classe 4-J2/2000, nonché il decimo di Giorgio e Marco Verri con la Fiat Uno 70S, vincitori della classe 4-J1/1300. Oltre a quelli di Musti e Canzian, tra i ritiri eccellenti segnaliamo quelli di: Lo Presti (Porsche), Botti (Lancia Beta Montecarlo), Corallo (Lancia Delta), Faravelli (Opel Kadett GT/e), Salviotti (A 112), Ziglioli (Lancia Fulvia Coupè) e Cassinelli (Bmw).

La 127 di Ruggeri - Marzi

del leader provvisorio Giacomo Scattolon al debutto con la Hyundai i20 R5. Dunque, il vecchio adagio di Siropietro Quaroni, papà del blasonato rally: “Se non si é campioni non si vince il 4 Regioni”, a quanto pare vale ancora. Classe 1965, inizia a correre nel 1986, l’hanno in cui il 4 Regioni vive la sua ultima stagione, Riolo è sicuramente il più versatile pilota in attività nel panorama nazionale, in qualsiasi specialità dell’automobilismo si cimenta, risulta vincente. Il suo autorevole palmarès è una collezione di prestigiose vittorie ottenute sui più vari campi di gara nelle diverse tipologie di competizione tra cui numerosi successi in rally moderni e storici. La sintesi della vincente versatilità di Totò Riolo si esprime nel successo alla Targa Florio del 2002, 2005, 2010, 2013 e 2019, a quello dell’Isola d’Elba del 2005, 2009, 2010, 2014 e 2018, al Sanremo del 2005, 2006

La Porsche di Ghezzi Biglieri (foto di Lavagnini)

Rally 4 Regioni - Trofeo Valleversa Trentatre anni dopo la sua ultima edizione, datata 1986 e vinta da Federico Ormezzano il Rally 4 Regioni ha riaperto quest’anno alle vetture moderne e nonostante la gara non abbia più nulla a che spartire - tranne il nome - con quella dell’epoca d’oro dei rally, ormai irripetibile, a firmare la vittoria é stato, come tradizione vuole, un pilota di rilievo che risponde al nome del palermitano Salvatore “Totò” Riolo. Con alle note sulla Skoda Fabia R5 la giovane vogherese Claudia Musti, il driver di Cerda ha preso la testa della corsa sulla prima prova della seconda giornata di gara, conservandola sino alla fine, approfittando dello stop forzato, causa noie meccaniche,


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e 2009, al Legend del 2006, 2007 e 2016, alle 2 vittorie all’Alpi Orientali e le 2 al Circuito di Cremona, al Rally Internazionale di Messina del 2003, alla 24 Ore di Sicilia del 2004, le 4 Coppe Italia Rally. Vittorie che valgono un record senza precedenti, al quale si aggiungono tutte le altre nelle gare di velocità in salita. Ha persino debuttato in pista con la Formula Pergusa, centrando la vittoria in sei gare su otto disputate con la piccola vettura a ruote scoperte, il tutto per un totale di oltre 180 vittorie assolute. A Stradella, Riolo si é imposto in un rally tirato e molto combattuto. Alle sue spalle si sono piazzati Marcello Razzini e Virginia Lenzi che, con la Skoda Fabia R5, hanno accusato un distacco di 20”5. A completare un podio tutto Skoda, in terza posizione, staccati di ulteriori 3”6,” si collocano il piacentino Gabriele Cogni, (rientrante dopo un anno e mezzo di stop) perfettamente navigato dal locale Daniele Mangiarotti. Completano la top five assoluta i bravi Andrea Mazzocchi e Fabio Grimaldi con la Peugeot 208 con la quale si aggiudicano il successo nella classe R2B e Pietro Tronconi con Cristiano Giovo sulla Ford Fiesta R5. Bene Nicelli-Mattioda, sesti con la Peugeot 208. Un plauso anche al più giovane della famiglia Cogni, Giorgio, navigato sull’ennesima 208 da Silvia Gallotti, settimi assoluti. Nelle classi: Melioli-Figari (Peugeot 106) vincono in N2; Lazzara-Bottaini (Clio RS) in N3; Caushi-Crotta (Fiat Seicento) in A0; Carraro-Guglieri (Clio Williams) in A7; Burgazzoli-Petrosa (Citroen C2) in RS1.6; Crepaldi-Botto (Clio RS) in RS2.0 e Avogadri-Bariani (Suzuki Swift) in RS1.4. Dei 62 partenti in 38 hanno portato a termine la gara. Tra i ritiri eccellenti, oltre a quello di Scattolon, c’é stato anche

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Il Podio del rally moderno (Diessephoto)

quello di Brega-Zanini, finiti tra gli alberi della PS6 quando occupavano la quarta posizione con la Skoda Fabia R5. Vittoria bresciana nel 4 Regioni - Regolarità Sport La supremazia extra provinciale al 4 Regioni 2019 si é completata nella Regolarità sport in cui la vittoria assoluta é andata all’equipaggio bresciano composto da Angelo Seneci e Luisa Ciatti con l’Opel Kadett GT/E (primi nel Raggruppamento 8) i quali hanno distanziato di 49 penalità i lodigiani Senna-Suardi (VW Golf – Div. 7) e di 112 i locali Celadin-Bono (Lancia Fulvia Montecarlo Div. 4). Appena giù dal podio, Verri-Carena (Fiat 125S Div.4). Nelle altre divisioni a vincere sono: Baril-

li-Zanoni (Lancia Fulvia Coupé 1.3) davanti a Ventura in gara con con alle note la giovane e brava debuttante di Godiasco Francesca Delucchi (Lancia Fulvia Coupé 1.3) nella divisione 2; Raimondi-Rizzola (Lancia Fulvia Coupè) davanti a PinciPinci (Fiat 124 Sport Coupè) nella divisione 3; Perelli-Roveda (Lancia Fulvia HF 1.6) davanti a Berisonzi-Barbieri (Alpine A110) in Divisione 5 e Gregorelli-Gregorelli (Opel Manta) davanti a Bordi-Siracusa (Lancia Zagato) in Divisione 6- Poca fortuna per Vernett-Kalya (Mini Cooper) e Fusetto-Novati (A112) costretti al ritiro. di Martino Olmi

La debuttante Francesca Delucchi (Diessephoto)

I vincitori:Totò Riolo e Claudia Musti (foto di Lavagnini)

Gli oltrepadani Celadin - Bono, sescondi assoluti (foto di Lavagnini)

Cogni - Mangiarotti (foto di Lavagnini)

L’equipaggio di Zavattarello, Perelli - Roveda, vincitori di Divisione 5 (foto di Lavagnini)



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Giovane vogherese campionessa mondiale di karate Cristina Brambilla, 27 anni, vogherese di professione ingegnere edile, è campionessa di karate nella categoria kumite, da poco reduce dal successo ottenuto alla gara inter-nazionale 8th WUKF World Championships a Bratislava, dove si è classificata me-daglia d’argento e di Bronzo Open. La passione per questo Sport inizia un po’ per caso, all’età di 8 anni, avvicinandosi all’arte dell’autodifesa. Da principio entra a far parte della Federazione FAMI. Suc-cessivamente passa alla federazione FESIK, che si configura nel circuito internazionale WUKO, poi divenuto WUKF, dove a 16 anni viene convocata come membro della Nazionale Seniores per il settore Kata e, negli anni successivi, selezionata per il settore kumite. Nella stessa federazione effettua l’esame di cintura nera di primo e secondo Dan (ac-quisito a gennaio 2007). Lasciata la FESIK, si iscrive nella federazione UKS, anch’essa nel circuito internazionale WUKF. Si sono susseguite diverse esperienze in Europa ma anche in Messico e Argentina, fino agli ultimi campionati del mondo vinti nel 2018 a Dundee e l’argento 2019 a Bratislava. Cristina, a che età ha iniziato a praticare karate e cosa l’ha spinta ad avvicinarti a questo sport? «Ho iniziato a praticare karate all’età di 8 anni quando mia mamma mi ha portata, insieme a mia sorella, al primo allenamento nella palestra di Pontecurone, per imparare un’arte di autodifesa». Fa parte di una Federazione? Se sì, quanti iscritti conta? «La federazione internazionale alla quale appartengo è la WUKF, ai campionati ai quali ho partecipato quest’anno erano iscritti 2229 atleti». A che età è consigliabile avvicinarsi a questo Sport? «È uno sport adatto ai bambini, anche di giovane età perché aiuta lo sviluppo delle capacità motorie, cognitive e coordinative. È uno sport caratterizzato dall’utilizzo di tutti gli arti, dove il ritmo e la percezione del proprio corpo e dei propri movimenti nella gestione dello spazio sono elementi fondamentali sia in caso di combattimento, sia in un’esecuzione di Kata. Non sono richieste caratteristiche fisiche e psicologiche particolari, al contrario è una disciplina che aiuta a migliorare capacità e caratteristiche specifiche di ogni singolo atleta, rendendolo capace di sviluppare una modalità di combattimento adatta alle proprie peculiarità fisiche e mentali». Com’è il rapporto tra maestro e allievo, anche a livello di disciplina? «Il maestro insegna le regole nel Dojo, insegna a saper rispettare il proprio turno,

Cristina Brambilla, iridata nel 2018 e vice campione 2019 a Bratislava ad ascoltare durante la spiegazione di un esercizio, insegna che gli atleti più grandi e con più esperienza possono essere presi come esempio, regole e principi che vengono poi applicati con naturalezza anche nel quotidiano. Il maestro diventa quindi un punto di riferimento per l’apprendimento della disciplina e, con il tempo, una persona con la quale confrontarsi e alla quale rivelare le proprie ansie o riflessioni, soprattutto in fase di gara». È una disciplina costosa? «Non è uno sport molto costoso, lo diventa nel caso in cui si fosse intenzionati a raggiungere alti livelli, perché le gare sono spesso lontane e lunghe. È uno sport in cui la dedizione è di certo un elemento fondamentale». Quante ore è necessario dedicare all’allenamento? «Non c’è una quantità di ore specifiche da dedicare all’allenamento, dipende dalle capacità di apprendimento e di miglioramento di ogni singolo atleta». Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato? «Far coincidere la vita universitaria e lavorativa con gli allenamenti è stata ed è una difficoltà di non poco conto. Mi sono infatti spesso ritrovata ad allenarmi da sola e ad orari improbabili». Che gare ha disputato a livello internazionale? «Nel circuito internazionale la prima gara che ho disputato sono stati i campionati europei Seniores nel 2008 in Belgio, ai quali sono stata convocata per il settore Kata. Un’esperienza molto importante per me perché ero la più piccola, ed era la prima volta che mi recavo all’estero senza la mia famiglia. Si sono poi susseguite diverse esperienze in Europa ma anche in Messico e Argentina, fino agli ultimi campionati del mondo vinti lo scorso anno a Dundee e l’argento di quest’anno a Bratislava». A quali prossime gare, italiane e estere, parteciperà? «Al momento ci sono già diverse gare alle quali potrei partecipare, ma sarà compito

Cristina Brambilla campionessa karate categoria kumitè

del maestro decidere le tappe annuali, al termine della preparazione atletica estiva». Ha disputato gare in Oltrepò? «Non ho mai disputato gare in Oltrepó, per contro io e i miei genitori abbiamo girato l’Italia in lungo e largo a caccia di competizioni. Credo sia uno Sport che ancora deve decollare nelle realtà minori, in città più grandi la scelta è decisamente più facilitata, vista la maggiore presenza di strutture in cui allenarsi. Nella nostra realtà la scelta è più limitata». Chi, secondo lei, rappresenta un modello da seguire?

«Ci sono atlete che seguo da sempre, come Alexandra Recchia della nazionale francese del circuito Wkf e Sara Cardin». Come vede proiettato il karate a livello locale e nazionale? «A livello locale vedo non poche difficoltà di sviluppo per questo settore, gli investimenti maggiori sia in termini di denaro che di informazioni mediatiche vengono rivolte ad altre realtà. Invece, a livello nazionale e internazionale, in vista delle Olimpiadi di Tokyo 2020 i media hanno finalmente rivolto più attenzioni al karate, soprattutto nell’ultimo periodo». di Federica Croce





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