Fabiano Giorgi, si dice avrà la presidenza del Consorzio, il suo omonimo, Andrea, continuerà la tutela della mega cantina e degli imbottigliatori
Anno 13 - N° 146
SETTEMBRE 2019
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pagina 2
oltrepò pavese
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«La Provincia di Pavia ha le peggiori strade italiane» Le strade oltrepadane, si sa, sono un colabrodo. Pochi lavori di manutenzione e fatti in modo approssimativo, hanno inevitabilmente... pagina 20
BRESSANA BOTTARONE Il neosindaco: «Alleati con i comuni limitrofi contro la cava» Nelle elezioni comunali di due mesi fa, anche Bressana Bottarone ha visto l’insediamento di un nuovo sindaco, vale a dire Giorgio Fasani della... pagina 45
CASEI GEROLA «Logistica e terziario per recuperare l’area ex zuccherificio» Cave d’argilla dismesse, un autovelox in arrivo, il destino dell’area che ospitava l’ex zuccherificio. Questi i nodi che il comune di Casei Gerola... pagina 16
casteggio Martinotti alla guida della CRI: «Pronta a farla crescere» Renata Martinotti, ex primario del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Voghera e attuale sindaco del comune di Bastida Pancarana... pagina 41
godiasco salice terme Fofana, un po’ sarto e un po’ scrittore Il trentenne ivoriano Karamoko Fofana, residente a Salice Terme da ormai tre anni, è entrato nel cuore di molti suoi concittadini, e non solo... pagine 22 e 23
ponte nizza Sfumato contributo regionale da 100mila euro Un contributo regionale da 100mila euro sfumato per un’inadempienza burocratica, un maxi investimento per il nuovo stadio e la decisione... pagina 25
il Periodico
Il sindaco di Fortunago, Pier Achille Lanfranchi, oltre ad essere uno dei sindaci più longevi dell’Oltrepò pavese, politicamente parlando, è sicuramente anche uno dei sindaci più amati dalla propria comunità: i cittadini di Fortunago lo hanno sempre testimoniato votandolo, sia quando si è candidato come primo cittadino (dove gli sono state riconosciute preferenze bulgare), sia quando non potendo più candidarsi in prima persona per limiti di mandato imposti dalla legge, il buon ragioniere Lanfranchi, ha indicato al suo posto ed in sua vece un altro nome come sindaco. Anche in questo caso le indicazioni di Lanfranchi...
news
pagine 4 e 5
«è la somma che fa il totale…» E qui mi sa che i conti non tornano, né come somma né come totale «Ospedale ai minimi termini, la giunta fa finta di niente» Anche se indebolita dalla defezione di uno dei suoi elementi, la minoranza varzese capitanata da Mariarosa Rebollini non si sfalda e punzecchia la giunta Palli: «Per ora vive di rendita e spot in cui fa credere alle persone che la situazione sia molto migliore di quella reale» attacca la capogruppo della lista “Partecipiamo per Varzi”. Primo nodo del contendere è l’ospedale di Varzi, la cui situazione è stata anche oggetto di un’interpellanza. «L’amministrazione lo celebra come un fiore all’occhiello, come se il fatto di averne scongiurato la chiusura bastasse a renderlo funzionante, ma la verità è che la situazione del Ss.Annunziata è critica». pagina 27
«Asm, noi contrari da subito all’Amministratore Unico»
Il tema del reinsediamento di un consiglio di amministrazione in capo ad Asm Voghera spa accende discussioni e polemiche all’interno di Forza Italia e delle forze di opposizione... pagina 12
Editore
CYRANO DE BERGERAC
il Periodico News
SETTEMBRE 2019
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Fabiano Giorgi, si dice avrà la presidenza del Consorzio, il suo omonimo, Andrea, continuerà la tutela della mega cantina e degli imbottigliatori Il signor Barbacarlo, Lino Maga, distingue da sempre tra vitivinicoltore e commerciante, tra vitivinicoltura e vitienologia. Il signor Monsupello, Pierangelo Boatti, che da suo padre Carlo ha imparato cosa significhi dare la vita per l’identità delle proprie vigne, definisce “drammatica” la vendemmia in Oltrepò Pavese, non per la qualità delle uve ma per i prezzi rasoterra dettati dal “vinopolio”. I piccoli produttori di bottiglie la pensano in un modo, il colosso, gigante dai piedi d’argilla, va da un’altra parte. Un sistema che garantisce qualche poltrona e grande profitto a pochi ma che sprofonda i contadini di poco, pochissimo, sopra la soglia della sopravvivenza. Un amico mediatore, specializzato in scambi tra Lombardia e Piemonte più vari ed eventuali, mi ha raccontato che a dar via le carte sono in pratica le stesse persone che hanno in mano il Consorzio, orientano i sindacati agricoli e impostano la strategia per continuare a imperare più che per la zona. “Si è passati dal vino di carta, che comunque ancora fanno un po’ qua e un po là, alle rivoluzioni di carta, quelle che si annunciano ma che in verità non si compiono mai se non nelle intenzioni e negli annunci”, mi ha detto il mediatore. Gli ho chiesto di spiegarmi meglio e lui l’ha fatto: “I prezzi di uve e vini in Oltrepò sono scesi moltissimo da quando governa il nuovo che avanza. Non parlo del Pinot grigio, parlo di tutto l’insieme. Sia chiaro, per me professionalmente meglio così, ma non capisco perché in Oltrepò tutti siano zitti e allineati di fronte a questo scenario. I viticoltori si tengono come rappresentanti figure arroganti e saputelle, circondate da leccaculo, pur piangendo lacrime amare... mah... un giorno il nuovo che avanza dovrà fare un bilancio vero e allora si capirà. Fra gli addetti ai lavori si dice che anche il destino del marchio La Versa sia già segnato, con buona pace di chi si era sentito dire che c’erano sacrifici economici da fare per invadere le carte dei vini d’Italia e del mondo, generando utili. Per ora si sono generati investimenti e debiti“. Al bar di Montalto Pavese mi hanno detto che l’Oltrepò del vino ora aspetta il miracolo del nuovo salvatore, San Carlo: non Carlo Alberto Panont, grande talento già passato, insultato e tritato, ma Carlo Veronese, nuova guida del Consorzio Oltrepò arrivato dal Lugana, una piccola terra tra Lombardia e Veneto fatta di gente convinta, caparbia, orgogliosa e concentrata su un solo vino. Gente che pensa in dialetto ma fa impresa in Inglese, con il traino di una delle destinazioni turistiche (il Lago di Garda) fra le più importanti e ricche d’Italia. Più difficile sarà per Veronese affrontare la Babele d’Oltrepò con trenta vini a metà, sistema turistico fallito, strade colabrodo,
incuria dominante; una zona che cambia uomini, enologi, dipendenti e consulenti come gli omini del Lego; una terra che non sa ancora quali siano i prodotti vinicoli sui quali puntare perché al “vinopolio” serve di tutto un po’ per accontentare gli imbottigliatori-padroni e le poche bottiglie servono solo per il titolo sui giornali locali o il servizio sulla tv diretta dal loro addetto stampa. Storie di un altro mondo. Un mondo in cui il gretto Oltrepò dimentica prima, l’anno scorso, l’anniversario della scomparsa del Duca Denari, storico uomoimmagine e presidente di La Versa com’era (quella di adesso lasciamo perdere), e poi, pochi giorni fa, il centenario della nascita di Gianni Brera. Solo Laura Boatti di Monsupello ha pensato di prendere parte alla festa in memoria dell’indimenticato giornalista, portando con le sue etichette un gesto di attenzione, cuore e sensibilità da una terra che ai piani alti risulta ancora troppo arida di sentimenti, cultura e rispetto. Ma l’Oltrepò è così, un territorio ”casual”, che da un lato dimentica i suoi grandi alfieri e che dall’altro si candida a bene Unesco ogni tre anni con il seguente esito: riunione, titolo
sul giornale, intervista sulla tv locale e poi buio assoluto. Mentre ora è il Comune di Stradella a rilanciare la candidatura a bene Unesco, non si sa bene con quali risorse economiche e quali competenze, a riguardo c’è una storia che mi sono fatto raccontare a Broni, quella che data ai tempi di Daniele Bosone, allora presidente della Provincia di Pavia. Venerdì 24 giugno 2016, convocò all’Enoteca Regionale di Cassino Po i sindaci del territorio oltrepadano che sottoscrissero il protocollo d’intesa per la costituzione del Comitato Promotore per la candidatura dell’Oltrepò vitivinicolo a patrimonio dell’Unesco. All’evento presenziò fra gli altri l’assessore alle Culture, Identità e Autonomie della Regione Lombardia, Cristina Cappellini. Queste furono le parole di Bosone: “E’ il lancio di una nuova sfida, il comitato preparerà il dossier di candidatura dell’Oltrepò vitivinicolo a patrimonio dell’Unesco. Sono certo che la predisposizione del dossier di candidatura per il nostro Oltrepò a sito patrimonio dell’umanità sarà una straordinaria occasione per fare sinergie vere e spingere sull’accelerato-
re dello sviluppo di una terra bellissima e preziosa”. Fatte le firme e la foto di rito, il dossier non si concretizzò mai e tutto scomparve alla velocità di un altro bosone, il bosone di Higgs. Questo è l’Oltrepò Pavese, la capitale delle varie ed eventuali, la terra in cui va bene tutto e il contrario di tutto, il territorio vitivinicolo con tre o quattro bandiere diverse e l’Armando che le sventola tutte, la zona che a Gianni Brera, a Luigi Veronelli e al Duca Denari preferisce il simpatico Gerry Scotti, scambiando la campagna pubblicitaria di un VIP per un’azienda e i suoi vini in promozione per tutti. Ma sì, dai, almeno un premio di consolazione ci vuole proprio: Fabiano Giorgi, ad esempio, si dice avrà presto la presidenza del Consorzio che ribalterà a vantaggio dei produttori di filiera; il suo omonimo, Andrea, continuerà a tenersi i voti e la maggioranza su ogni scelta a tutela della mega cantina e degli imbottigliatori maxi clienti. è come Beautiful, la soap opera in cui tutti si sposano tra loro e alla fine si tradiscono sempre. Dei due chi farà Brooke?
di Cyrano De Bergerac
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ANTONIO LA TRIPPA
SETTEMBRE 2019
«è la somma che fa il totale…» E qui mi sa che i conti non tornano, né come somma né come totale Il sindaco di Fortunago, Pier Achille Lanfranchi, oltre ad essere uno dei sindaci più longevi dell’Oltrepò pavese, politicamente parlando, è sicuramente anche uno dei sindaci più amati dalla propria comunità: i cittadini di Fortunago lo hanno sempre testimoniato votandolo, sia quando si è candidato come primo cittadino (dove gli sono state riconosciute preferenze bulgare), sia quando non potendo più candidarsi in prima persona per limiti di mandato imposti dalla legge, il buon ragioniere Lanfranchi, ha indicato al suo posto ed in sua vece un altro nome come sindaco. Anche in questo caso le indicazioni di Lanfranchi sono state accolte in modo positivo dalla popolazione del piccolo borgo dell’Oltrepò Pavese ed il candidato da lui indicato ha ottenuto il successo. De resto non potrebbe essere diversamente: Lanfranchi è sicuramente uno dei sindaci oltrepadani più “raccattatore” di soldi pubblici, pseudo o para pubblici che se ne dica… Non so se esiste una statistica al riguardo, ma se ci fosse, forse, i cittadini di Fortunago si troverebbero nelle primissime posizioni dell’Oltrepò per i contributi pubblici pro capite ricevuti. Chiunque sia stato a Fortunago potrà aver notato come il paese sia molto ben tenuto e le strade di accesso ad esso, alcune delle quali veramente
“sgarruppate”, non dipendono dalla buona volontà dell’amministrazione comunale che poco può fare, essendo queste strade di competenza di altri enti, ma il colpo da maestro, pardon da ragioniere…. di Lanfranchi, è stato certamente aver pensato ed in pochissimi anni, bè… pochissimi si fa per dire… poco più di 10, “messo in piedi” l’Auditorium. Di questa “opera” in queste settimane sulla stampa, se ne è parlato in modo diffuso, sia in termini positivi, sia in termini critici, che in termini perplessi. È indubbio che di perplessità ce ne siano, ma sono certo che il buon Lanfranchi riuscirà ancora una volta ad estrarre il “coniglio dal cilindro” ed a cavarsi dall’impiccio. è per questo che vorrei parlare della sua “grande opera” in termini un pochino canzonatori, anche se cercherò di esprime i lati positivi e le criticità, che del resto, sono lì da vedere… alla luce del sole. L’Auditorium per ora non è ancora del tutto finito e i proclami che nel corso degli anni ne annunciavano il suo completamento entro breve, erano alla luce dei fatti avventati, la prima pietra venne posata nell’agosto 2009, ed un giustamente impettito ragionier Lanfranchi dichiarava: «Expo 2015 sarà una grande opportunità ma non l’unica: noi vogliamo essere preparati per ospitare nell’Auditorium non
solo musica e teatro ma anche spazi funzionali per promozione, valorizzazione dei prodotti, per i giovani e gli anziani, per tutti coloro che vorranno approfittare di questa occasione». Vabbè… campa cavallo che l’erba cresce... che poi alla luce dei fatti essere o non essere pronti per EXPO, che per l’Oltrepò è stato un flop, non è che cambiasse il “succo” delle cose. I motivi di questi ritardi saranno e sono sicuramente validi: un finanziamento che sta arrivando, un altro finanziamento richiesto, un tira e molla di qua, un aspetta di là… Ma ora, forse, come ha dichiarato il primo cittadino di Fortunago, è giunto il grande momento! A Natale di quest’anno, forse perché a Natale si è tutti più buoni, il ragionier Lanfranchi, ha affermato che organizzerà un “maxi Concerto” e durante il “concertone” ci sarà una cerimonia per premiare i fedeli al lavoro. Se i fedeli al lavoro sono i lavoratori di tutte le ditte, i tecnici, i direttori etc. etc. etc. che hanno “operato” alla realizzazione della “graziosa” struttura, la stessa sarà certamente piena in ogni ordine di posto. Poi l’inaugurazione, “tas ca ag suma” (taci che forse ci siamo), dopo “soli” 10 anni e un tot di mesi, dovrebbe, mi perdoni il ragionier Lanfranchi se uso il condizionale, ma visti i precedenti… dicevamo dovrebbe
esserci il lieto evento, con l’inaugurazione ufficiale, nella primavera del 2020. Conosco Lanfranchi da tanti anni e ho seguito, con divertito spirito, il suo excursus o meglio il suo peregrinare politico, balzellon, balzelloni… (non è l’unico in Oltrepò del resto), ha cambiato padrino e corrente politica più di una volta: partendo dalla DC, poi avvicinandosi al PD magari tenendo buone relazioni con Forza Italia e non tralasciando come ultimamente ha fatto, di appoggiare la Lega in Comunità Montana. Ma attenzione come si dice in questi casi: non è il nostro ragioniere sindaco che ha cambiato idea, sono gli “altri” che hanno cambiato posizione, lui è sempre rimasto fermo e coerente nelle sue idee politiche, dimostrando una capacità di “galleggiamento” politico invidiabile. I maligni subito penseranno al detto: “galleggiano solo gli …etc. etc. etc”, ma non è il suo caso. Dicevo di Pier Achille Lanfranchi che mi è anche simpatico, dirò di più, mi fa anche ridere: basta guardarlo in faccia per capire che è un inguaribile ottimista, ha sempre il sorriso stampato sulle labbra. I maligni subito penseranno al detto: “il sorriso abbonda…etc. etc. etc”, ma non è il suo caso. Il suo sorriso accompagnato dalla sua bella “cravattona”, cravattona nel senso che porta dei nodi importanti a livello dimensio-
ANTONIO LA TRIPPA nale, rigorosamente con la “muda”, modo di dire oltrepadano per indicare il vestito, pantalone e giacca, che usavano gli “arsadù” (gli agricoltori) alla domenica quando si recavano al mercato, sono una corazza di fronte agli attacchi che i suoi “nemici”, che in molti casi sono suoi ex amici, gli fanno. Al di là di quel che il ragionier Lanfranchi si arrabatta ad affermare con dichiarazioni a destra ed a manca, dipende forse dal momento e dal vento politico, di quel che si fa scrivere, di quel che il giornalista più o meno compiacente può e vuol scrivere… magari su sua sollecitazione, trovare un sindaco dell’Oltrepò che apprezzi l’investimento… ops… pardon… i soldi spesi, per l’Auditorium, è veramente difficile, o meglio, ci sarà anche, ma di tutti i sindaci che conosco io, e ne conosco tanti e di tutti i politici che conosco io, e ne conosco tanti, uno che mi abbia detto “L’Auditorium è una cosa bella”, non l’ho ancora trovato. Quasi tutti lo affermano a microfoni spenti e lo dico senza tema di smentita, che l’Auditorium è un’opera inutile, poi quando gli chiedi ma perché taci o non lo dici, la risposta è sempre la solita… in Oltrepò… “E ma come faccio... e ma con la mia posizione..etc etc etc ” Ed io tra me e me, ascoltando il politico di turno, ho sempre pensato “Ehhh se tu avessi le palle… invece delle balle”.Ad onor del vero a qualcuno che ritenevo più sferomunito di altri l’ho anche detto chiaramente e la risposta è sempre stata “Ehhh ci vorrebbe qualcuno che lo dicesse…”. Dicevo, che quasi tutti i sindaci, assessori e politici ed affini vari, oltrepadani, sono concordi nell’affermare che il “Topodromo”, come, anche in questo caso senza tema di smentita, lo chiamano molti sindaci e politici oltrepadani, è uno scempio dal punto di vista paesaggistico, alcuni dicono che i soldi spesi in “una cosa” del genere sono soldi, per usare un eufemismo, mal investiti, altri più concretamente dicono che, invece di investire in un Auditorium, ed ho usato un termine gentile rispetto a quello utilizzato da molti sindaci e politici oltrepadani, era più urgente e necessario utilizzare questi fondi che il bravo Lanfranchi è riuscito ad ottenere, in tante altre opere, ad esempio mettere a posto le strade, altri ancora, sconsolati, allargando le braccia dicono: “Finchè trova chi gli dà questi finanziamenti… ma poi non lamentiamoci di come siamo messi in Oltrepò”. Invidia, critiche ingenerose, può essere un mix, ma la realtà dei fatti è una sola: l’Auditorium grazioso o paesaggisticamente sgraziato, di buon gusto o di cattivo gusto, raffinato o pacchiano, è più o meno o pressochè o quasi ci siamo… pronto. Proprio riguardo ai costi qualche sindaco mi chiede perchè per anni Lanfranchi ha sbandierato ai quattro venti, e con giustificato orgoglio, ogni finanziamento che arrivava, l’importo totale scritto su un organo di stampa, mai smentito, nel Gennaio 2018, recitava: “... il conto totale dell’opera sale così a 4milioni e mezzo. Inaugurazione in primavera (ndr 2018…vabbè è stata rimandata, pignoli…dico io), un sogno che si avvera”. Ora noto che il costo è diminuito a 3milioni e mezzo e questo costo viene sempre sottolineato. Ecco mi chiedo perché? Prima si scrive 4milioni e mezzo,
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SETTEMBRE 2019
senza smentita, ed ora 3milioni e mezzo. Forse certe cifre, visto lo stato pietoso di molte opere e servizi pubblici oltrepadani, potrebbe aver pensato, l’astuto, ragionier Lanfranchi, fanno impressione alla gente, o forse no, o forse sì, certo che, nel 2018 è stato scritto, ripeto scritto, 4milioni e mezzo mentre ora si parla... no anzi si scrive... che sono 3milioni e mezzo. È un milione di euro, vabbè... cosa sarà mai... non è tanto e non è poco, io con un milione di euro ad esempio costruirei una bella villetta a mio figlio e mi avanzerei ancora qualche cosa, ma visto che il milione di euro che “balla” non è mio, rimango con i miei progetti e i miei buoni propositi. Il buon ragionier Lanfranchi durante il Governo Renzi aveva affermato che sarebbe stato il Primo Ministro a tagliare il nastro inaugurale, poi nulla si è più saputo, anche perché Renzi nel frattempo si è dimesso, quindi l’invito potrebbe essere stato riposto in un cassetto in attesa, in base all’aria politica che tira, a quale indirizzo spedirlo. Perché a qualcuno l’invito per il “lieto evento” verrà pur spedito…il colore diu questo qualcuno, sarà scelto al momento, appunto in base all’aria che tirerà. Lanfranchi ha anche affermato che l’Auditorium sarà intitolato al Senatore Giovanni Azzaretti e questo gli fa onore perché dimostra di non aver dimenticato tutto ciò che Azzaretti ha fatto per lui e non solo per lui in Oltrepò, sia a livello politico che economico che di posti di lavoro. Un unico dubbio mi assale: non sono così convinto che il Senatore Azzaretti, potesse ancora dire la sua, sarebbe così contento di associare il suo nome, che val la pena di ricordare in quanto uno dei nomi di uno dei più importanti politici oltrepadani di sempre, “all’Opera”, voluta e realizzata dal ragioniere Lanfranchi. Ecco non so perché… ma secondo me… alla luce dei fatti… non so se sarebbe contento. Magari mi sbaglio… Il vero problema comunque, e Lanfranchi al di là delle enunciazioni ufficiali, ne è, non dico ben conscio ma almeno conscio, il vero problema dicevo è che cosa se ne farà dell’Auditorium una volta inaugurato? Le ipotesi più che le idee sono tanti e durante gli anni il buon Lanfranchi si è sbizzarrito, ipotizzandole e “donandole” alla
carta stampata sono (a titolo esemplificativo ma certamente non esaustivo) : 1 Enoltrepò, uno spazio espositivo e di vendita permanente organizzato in collaborazione con il Consorzio Vini Doc dell’Oltrepò Pavese in cui verranno ospitate almeno 30 aziende vitivinicole 2 Feste ed eventi culturali, sociali, espositivi, di valorizzazione delle produzioni agricole locali e di promozione del territorio 3 Luogo per i giovani e gli anziani e per tutti coloro che vorranno approfittare di questa occasione 4 Teatro con ricca programmazione 5 Galleria d’arte 6 Spazio per eventi musicali 7 Area spettacolo 8 Luogo per sinodi più o meno religiosi 9 Area convegni, simposi, assemblee societarie e chi più ne ha più ne metta 10 Spazio attività di formazione e di scuole specialistiche 11 Area per rappresentazioni istituzionali 12 Spazio per festival del cinema 13 Spazio per festival della cultura 14 Spazio per festival della moda 15 Varie e eventuali (questo punto non è un’idea del ragionier Lanfranchi ma un mio suggerimento al suddetto) 16 A caval donato non si guarda in bocca (questo punto non è un’idea del ragionier Lanfranchi ma un mio suggerimento al suddetto) 17 Chi fa da sè fa per tre (questo punto non è un’idea del ragionier Lanfranchi ma un mio suggerimento al suddetto) 18 Spazio per i proverbi, il tema potrebbe essere “al pruverbi ad gipunon” (questo punto non è un’idea del ragionier Lanfranchi ma un mio suggerimento al suddetto) 19 Rosso di sera bel tempo si spera (questo punto del programma è in dubbio essendo il ragionier Lanfranchi gradevolmente colpito, per ora, dal colore verde, ma del doman non v’è certezza, e la rima baciata quindi non riesce) Ed ultimo, ma non ultimo l’idea numero 20, che è sminuente chiamarla idea, perché trattasi di un’“ideona” del nostro ragioniere, Ladies and Gentlemen …ecco la numero... 21 La finale di Miss Italia. Si dice, ma io non ci credo, che i dirigenti del Madison Square Garden di New York,
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abbiano in programma, in un imminente futuro, una visita al nostro ragioniere, per avere qualche “spunto” o “spuntino” dir si voglia per meglio utilizzare il più iconico spazio sportivo e non solo della Grande Mela. Nel caso lo sapremmo subito, perché il ragionier Lanfranchi farà certamente qualche foto o selfies, come è suo discreto costume, per immortale l’incontro e renderlo noto ai più… Come potete notare di carne al fuoco il nostro ragioniere ne ha messa, tante idee magari no, ecco tante “cose”, forse troppe che evidenziano che probabilmente neanche il fautore del “Topodromo” come lo chiamano tanti, invidiosi dico io, sindaci e politici in Oltrepò, sa bene cosa farne ed a cosa concretamente servirà, ma soprattutto si sta rendendo conto che, vuoi per l’ubicazione, vuoi perché strutture del genere in tutto il resto d’Italia fanno fatica a lavorare, che il vero problema sarà mantenerlo. A tal proposito il Direttore del Teatro Fraschini, Grasi ha dichiarato: «La gestione costerà oltre 1milione all’anno, mi sembra (ndr l’Auditorium) un po’ sovradimensionato». Effettivamente dev’essere un problema grave al punto che il buon Lanfranchi ha pensato ad una Fondazione per gestire l’Auditorium! A tal proposito il Delegato di Fondazione Cariplo, Previtali, ha dichiarato: «Abbiamo già contribuito, per noi pagina chiusa» Purtroppo questa una strada chiusa, ma si sa le strade del signore, in questo caso del ragioniere sono infinite. Alla Fondazione il ragioniere ha “pensato” ora, perché alcuni tempi orsono pensava ad “uno statuto e un Consiglio di Amministrazione provvederanno alla gestione dell’intera struttura” Ma dai…!!! Si dice stia sperando di passare “la patata bollente” della gestione e dei costi, almeno parzialmente, alla Comunità Montana. Vedremo se il neo-eletto Presidente della Comunità ci sentirà da quell’orecchio...e cosa diranno i sindaci ed i politici che compongono la Comunità Montana. Ha ragione la stragrande maggioranza dei sindaci e dei politici dell’Oltrepò quando dice che tralasciando ogni aspetto estetico e paesaggistico, ma se l’Auditorium è così una bella idea, geniale mi sembra eccessivo… ed ha così un luminoso futuro, perché il sindaco di Fortunago si arrabatta nel fare Fondazioni, trovare sinergie per partnerships economiche e gestionali pubbliche, para o semi che se ne dica? Ragionamento semplice: se è così una bella idea, da buon ragioniere il nostro sindaco di Fortunago lo apre, lo fa funzionare ed il Comune, vista la bella idea e visto che funzionerà benissimo, ci guadagnerà anche dei soldi che potranno essere poi reinvestiti per rendere ancora più bello quello che molti dicono essere stato, prima dell’Auditorium, uno dei più bei Borghi d’Italia. Ma forse per l’Auditorium aveva ragione il grande Antonio De Curtis, in arte Totò, che spara una frase sintetica che è un capolavoro: “È la somma che fa il totale…” E qui mi sa che i conti non tornano, né come somma né come totale, anche se auspico tornino, perché a me il ragionier Lanfranchi è simpatico, mi mette buon umore... insomma mi fa ridere. di Antonio La Trippa
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SETTEMBRE 2019
«Voglio un sindaco 5 Stelle per Voghera» Psicologo, attendente, o meglio lo era fino al marzo 2018, ad un Dottorato di Ricerca in Psicologia, Neuroscienze e Statistica medica presso il Department of Brain and Behavioral Sciences dell’Università di Pavia, é impegnato sentimentale con Sara e papà di due splendidi bambini. Entrato nel 2012 nelle fila del Movimento 5 Stelle vogherese, con grande impegno e perseveranza é arrivato alla candidatura alla Camera dei Deputati nella primavera 2018, ottenendo la vittoria ed entrando in Parlamento, ove costantemente rappresenta il territorio oltrepadano, ovviamente insieme al resto delle problematiche del Paese, con massimo attaccamento. Abbiamo incontrato il Dottor, perché “Onorevole” é una titolarità che non gradisce, Cristian Romaniello. Romaniello partiamo dal territorio: ponti dell’Oltrepò, come siamo messi? I soldi ci sono o non ci sono? La diatriba sulla paternità dei fondi in arrivo per il Ponte della Becca tra Voi ed Elena Lucchini come si è risolta? «Io non biasimo l’impegno di Elena Lucchini, che ha lavorato e ha messo impegno sulla questione del Ponte della Becca. Lei lo ha fatto con atti di indirizzo che non risulteranno completamente efficaci, ma l’impegno c’è stato, quindi non ho motivi per biasimare il suo operato. Per quanto mi riguarda, io ho lavorato a lungo con il Ministro Toninelli e con il consigliere regionale Simone Verni per il Ponte della Becca, e posso affermare che il ponte della Becca è sostanzialmente già fatto perché c’è l’accordo di tutte le forze politiche. Mentre in passato il non andar d’accordo per questioni politiche tra Governo centrale e Governo regionale portava a quei no politici che andavano a bloccare opere che ai cittadini servono, ora c’è l’accordo di tutte le forze politiche. Sulla Regione però qualcosa da dire ce l’avrei, la Regione lei sì che è da biasimare: ha fatto “Lombardia Mobilità” in campagna elettorale , che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi infrastrutturali della Lombardia, che in realtà è stata affossata il giorno dopo la vittoria delle elezioni e che ha fatto solo lo stanziamento per il progetto di pre-fattibilità, cifra irrisoria rispetto al resto del progetto, che tra l’altro noi stiamo ancora aspettando... doveva arrivare in autunno, è stato rimandato, ed in realtà arriverà probabilmente in inverno/primavera 2020 e questo sposta un po’ più in là l’inizio dei lavori di cantierizzazione. Il ponte si farà con i fondi stanziati dal Ministro Toninelli, e non da altri fondi preventivati in passato, ma non ho nulla da dire con chi si è voluto intestare le cose: c’è chi ha lavorato per esprimersi di più con i cittadini, c’è chi, come me, si è espresso sia con
Cristian Romaniello., deputato 5 Stelle
i cittadini ma ha anche lavorato all’interno delle istituzioni e non ha ritenuto fare altri atti inutili. Poi, per gli altri ponti oltrepadani c’è massima attenzione e collaborando con comuni, provincia, regione e a livello ministeriale si avrà l’attenzione necessaria per appunto gli altri due ponti sul Po e le rive da mantenere. L’indirizzo di questo Governo è sulla salvaguardia del territorio: ricordo anche che Costa aveva fatto uno stanziamento di 4,2 miliardi per il dissesto idrogeologico e la cura del territorio, quindi siamo tutti in buone mani e sul Ponte si va avanti». Voghera: questione ASM, che idea si è fatto? «Sulla questione ASM c’è prima di tutto il cambio di passo di questa maggioranza, che prima aveva deciso di passare dal Cda all’Amministratore Unico per avere un maggior controllo e potere, ma chiaramente era un peccato originale, un errore iniziale: Asm è un’azienda grande che gestisce più settori, come acqua, verde pubblico, farmacie, servizi funebri, rifiuti, ristorazione, etc. … è chiaro che è stato un
errore palese già dall’inizio, ASM ha bisogno di un CdA, ora che Barbieri voglia ritornare è chiaro che sia per riequilibrare una questione di poteri locali che purtroppo sono da sempre in mano alla politica. Per la questione Affronti auspico una soluzione che vada bene per i cittadini e per l’azienda, ma il vero problema è che tutto è in mano alla politica: vecchi personaggi, anche quelli della prima Repubblica, dopo tanti anni di esperienza e di gestione che hanno avuto sul territorio... ora, io onestamente li collocherei volentieri a riposo in favore di persone con alte competenze, questo farebbe bene all’azienda! Se però devo dare un’interpretazione politica, la maggioranza ha cominciato a perdere pezzi, penso a Taverna ed Albini... ed Affronti diventa un equilibratore importante all’interno della maggioranza. è chiaro che lui vada a chiedere ulteriori posizioni di potere, e Barbieri, avendo un basso potere contrattuale, fa il “forte”... Devo dire che la situazione che emerge in questi giorni è un po’ il sintomo dei mali che questa maggioranza aveva sin dall’ini-
zio, di quanto fosse tenuta insieme da una colla piuttosto scadente e dal momento in cui cambiano gli equilibri all’interno di una maggioranza di centro destra in molti cercano di salire sul carro del vincitore e su ASM arrivano i guai». Chi vedrebbe nel territorio adatto a gestire una situazione così complessa come quella di ASM? «Da parte nostra i nomi sono sempre secondari. Le posso dire qual è il nostro modus operandi: per assumere all’interno del gruppo parlamentare lo staff, ad esempio, lo abbiamo fatto senza nomi pronti o pregiudizi ma con un “call” pubblica. A noi interessano le caratteristiche che devono prevedere dei requisiti etici minimi, intesi come obbligatori, e con un curriculum che possa concepire queste persone come in grado di risolvere le ampie problematiche che un’azienda così grande come ASM può avere. Ovviamente preferisco la forma della consiglio di amministrazione proprio perché in un’azienda con così tanti servizi da erogare e da garantire ai cittadini, l’amministratore unico non è una figura adeguata. Nomi non ne faccio perché non è nel nostro dna: ci sono tante persone in gamba che potrebbero partecipare, importante sarebbe avere prima le caratteristiche di base e poi aprire il bando e non poi fare il bando cucito addosso ad una persona» Su Voghera lei si è esposto in prima persona contro la chiusura del reparto di ginecologia dell’Ospedale e si è battuto per ottenere il cestello per i vigili del fuoco. Si è dimostrato presente e attento alle problematiche dell’Oltrepò pur essendo a Roma... «Per formazione politica nostra dei 5 stelle sono legatissimo al territorio. Il deputato di riferimento deve essere presente ed esprimersi con forza, e per questo io non entrerò mai nelle grazie dei poteri locali che penso potrebbero anche usare una mia foto per giocare a freccette (sorride)... Tornando seri, sul reparto di ginecologia sono dovuto intervenire a gamba tesa, quando c’erano ancora solo delle indiscrezioni: l’informazione era uscita ma non pubblicata. Ricordo che la Lega si è astenuta sulla mozione, portata a Palazzo Gounela, sulla chiusura del reparto di ginecologia e ostetricia... Io sono tutt’ora in contatto con le figure di settore, comprese le mamme, per tutelarle anche quando ci sarà la ristrutturazione, perché, come ho già ripetuto più volte, il reparto da Voghera non si deve spostare per nessun motivo! Avrà un’altra locazione all’interno dell’ospedale, ma da lì non si deve muovere. Non accetto che un ospedale hub perda un reparto in favore di un ospedale spoc come quello di Stradella, che non può garantire il servizio di rianimazione per i parti più
PRIMO PIANO complessi. Abbiamo una ricchezza qui e dobbiamo cercare di mantenerla, non mi interessano i giochi anche se posso risultare antipatico ai poteri locali. Io sono qui per fare il bene dei cittadini! Per quanto concerne i Vigili del Fuoco, otterremo il mezzo anche se la crisi innescata da Salvini ha allungato ovviamente i tempi burocratici. Ma fortunatamente io non avevo agito solo per atto di indirizzo, ma avevo prodotto l’istruttoria, atto che non “si ferma” e velocemente riprenderà nei prossimi giorni». All’interno del movimento c’è un nome o meglio è stata individuata la persona che vede come eventuale candidato alle prossime elezioni amministrative? «Noi non siamo una forza politica presenzialista che non va alle sagre e taglia poco i nastri ma magari poi risolve i problemi, è vero che c’ è da crescere a livello d’immagine, detto questo all’interno del Movimento locale ci sono persone pronte ed io sarei favorevole ad un incarico esplorativo affidato a chi vuole prendersi la responsabilità, sarà la persona giusta. Voglio un sindaco 5 Stelle per Voghera, sono convinto che abbiamo la persona giusta che potrebbe elevare Voghera a Capitale e non città di provincia.» Onorevole, spostandoci a Roma, una Sua breve analisi sulla prematura fine del precedente Governo «Sulla chiusura dello scorso Governo e sull’apertura della crisi di Salvini dico che è stato qualcosa di rocambolesco. E’ stato veramente difficile da interpretare, se non per personalismi, perché in realtà era un Governo che stava facendo cose positive e poteva andare avanti meglio: c’era addirittura l’accordo di far andare in Commissione Europea un esponente leghista, visto che la Lega aveva vinto le elezioni europee con una larga maggioranza! Stavamo aspettando il nome... quindi sembrava dovesse andare tutto avanti come promesso, da Salvini a più riprese... Inve-
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ASM, «Vecchi personaggi, anche quelli della prima Repubblica, dopo tanti anni di esperienza e di gestione che hanno avuto sul territorio... ora, io onestamente li collocherei volentieri a riposo» ce non è stato così. E’ stato ridicolo anche aprire una crisi ad agosto, implicando di costringere il Capo del Governo a cercare un’altra maggioranza per consentire di iniziare la sessione di Bilancio e di concluderla, avendo il nostro Paese 800 miliardi di spesa pubblica ed oltre 1800 miliardi di PIL... è chiaro che la sessione di bilancio non può iniziare a dicembre con l’insediamento di un nuovo Governo causa voto in autunno... Salvini avrebbe dovuto aprire la crisi a Luglio: lì i tempi sarebbero stati più agevoli, la finestra era più vicina e si poteva consentire la composizione di un Governo, anche se un po’ in ritardo, in tempo per la manovra di bilancio. La verità è che Salvini la manovra di bilancio non voleva farla, voleva un Governo tecnico del Presidente che si “smazzasse” le clausole di salvaguardia, in modo poi di andare ad elezioni in primavera prossima, dove avrebbe stravinto ricevendo consenso, insultando anche i tecnici che avrebbe mandato a fare il lavoro sporco al posto suo, e quindi governare. Noi abbiamo deciso di accogliere la richiesta del Capo dello Stato che era quella di dare un Governo stabile al paese soprattutto per questa manovra di bilancio, anche se in realtà il Capo dello Stato non voleva un Governo per arrivare alla manovra, ma voleva un Governo più lungo per dare stabilità al sistema Paese.
Noi abbiamo fatto il nostro iter, che prevede le consultazione, ed abbiamo dato mandato ai nostri capogruppo di Camera e Senato di trovare un’intesa con il Partito Democratico che si è messo a disposizione e con Liberi Uguali; questa intesa c’è stata e, sottoposta agli iscritti, questi stessi hanno votato in larga maggioranza per avere questo Governo». Riguardo le voci di compravendita dei voti come si esprime? «Ci sono stati elementi che mi hanno fatto un po’ preoccupare... Garavaglia qualche giorno prima della Fiducia ha dichiarato che così come avevano fatto cadere il Governo Prodi avrebbero fatto cadere anche questo… E in effetti, al tempo del Governo Prodi, ci fu la compravendita dei parlamentari. Anche Andrea Crippa ha fatto dichiarazioni pesanti dicendo che già 9 Senatori dei nostri avrebbero contattato la Lega per “vendersi”, pur di essere candidati alla prossima tornata elettorale dalla Lega. 9 è chiaro che non è un numero casuale, a loro serviva trovarne 9 in realtà… Posso affermare senza tema di smentita che questo è un amo, e non è l’unico, che è stato lanciato dalla Lega ai nostri senatori, quindi è probabilmente vero che si sia messo in atto un tentavo di giocare sporchissimo, così come hanno giocato sporco con il Paese abbandonando la nave in dif-
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ficolta, e così vogliono lasciarla maggiormente difficoltà. Quali le aspettative sulla nuova squadra a cui è stato affidato l’incarico? «La durata di un Governo è sempre inedita, soprattutto laddove ci siano maggioranze composte da forze politiche che non sono della stessa forza politica, con diversi punti in comune ma anche tanti non: è difficile dare l’idea di una durata. Posso dire che, da parte mia e del Movimento 5 Stelle, il Governo durerà anche tre anni e mezzo se governerà bene... chiaro che non si andrà però “avanti a tutti i costi”. Devo dire che le premesse non sono negative, perchè nel programma di Governo sono rientrate tutte le nostre priorità, a partire dai punti programmatici che ci hanno permesso di vincere le elezioni lo scorso 4 marzo, e ad altre priorità: penso ad esempio al Ministero per l’Innovazione, voluto da Conte ed anche da tanti di noi, su cui abbiamo spinto tantissimo, così come sulla Commissione Innovazione, prima alla Camera e poi al Senato. Concludendo, le premesse mi sembrano ottime e si può fare un ottimo lavoro, dipende da come si lavora». Nuova maggioranza con il PD, a suo giudizio il PD insisterà per la realizzazione Tav Val di Susa – Lione? «In realtà il Parlamento si è già espresso con la mozione che è stata votata da tutte le forze politiche tranne noi e Leu e, come disse Grillo nel suo post subito successivo, “è la democrazia bellezza”. Quindi in realtà c’è già l’espressione del Parlamento sul progetto Tav. Noi cercheremo di portare avanti la nostra battaglia che è quella del No Tav: se non dovessimo riuscirci, cercheremo di indirizzare l’Opera ad una maggior sostenibilità, che è anche quello che c’è scritto sul programma. Vedremo tutto ciò che riusciremo a fare compatibilmente con l’indirizzo che il Parlamento ha espresso e potrà nuovamente esprimere». di Lele Baiardi
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Ilaria Balduzzi: «Voghera che non si accontenta» Il circolo PD di Voghera ha passato ufficialmente il Rubicone, inaugurando la stagione che porterà alle elezioni amministrative del prossimo anno. Lo ha fatto durante la Festa dell’Unità, che si è svolta a fine agosto presso il Parco Brugnatelli di Rivanazzano Terme. I tempi sono maturi per le primarie: il candidato che ne uscirà vincitore lancerà la sfida a un centrodestra i cui contorni sono ancora ignoti. Queste primarie, salvo sorprese, dovrebbero essere di coalizione (cioè con candidati provenienti dai vari schieramenti che partecipano alle discussioni pre-elettorali) e aperte (la consultazione riguarderà tutti i cittadini e non soltanto agli iscritti ai partiti). Ilaria Balduzzi, attuale vice-capogruppo del PD in Consiglio Comunale, ha già manifestato la sua disponibilità a scendere nuovamente in campo, questa volta come candidata alla carica di sindaco. Abbiamo registrato il suo punto di vista sui temi dell’amministrazione vogherese. Nel dibattito circa le prossime elezioni comunali, lei ha coniato uno slogan: “Voghera che non si accontenta”’. Cosa significa? «Ho coniato questo slogan partendo dal presupposto, come detto alla Festa dell’Unità, che l’amministrazione attualmente governante in certe occasioni ha fatto cose sensate (a parte la gestione di Asm) ma ha lasciato una città ripiegata su sé stessa, impoverita sul piano economico, sociale e culturale e non ha svolto alcun ruolo verso il territorio, in particolare la Valle Staffora se non tutto l’Oltrepò. Han fatto piccole cose che, qualche volta, “accontentano”, ma che non alzano mai l’asticella. La parola ‘’accontentare’’ ha un duplice significato, di rispondere a bisogni specifici e puntuali ma spesso molto personali e di non puntare in alto verso interessi generali ed il bene della città nel suo complesso: Voghera ha voglia di non accontentarsi più.» Di cosa ha voglia Voghera, secondo la sua opinione? «Di avere qualcosa di più rispetto ai bisogni puntuali e personali ai quali, a volte, viene data risposta. Bisogna guardare un po’ più in alto: alla collettività. Con un progetto nuovo, con persone nuove, con cose concrete e modalità nuove. Parto sempre dallo slogan: di che cosa non ci siamo accontentati? Non ci siamo accontentati, ad esempio, delle risposte in materia di sostenibilità ambientale e sociale. Quante interpellanze sono state fatte sulla qualità dell’aria, sul posizionamento in periferia dell’unica centralina presente per il rilevamento dell’aria? Ci siamo sempre sentiti rispondere che i livelli erano entro i limiti.» È noto, lo ricordiamo, come l’unica centralina, cui fa riferimento, è situata in via Pozzoni, nella periferia nord della città, in prossimità della campagna; mentre, secondo molti osservatori, i luoghi critici
Ilaria Balduzzi, attuale vice-capogruppo del PD in Consiglio Comunale per la qualità dell’aria sarebbero altri, ossia quelli più trafficati del centro cittadino. «Ma noi vogliamo qualcosa in più. Ad esempio una centrale per il rilevamento dell’ozono, il problema forse più attuale. Ne esistono soltanto dodici in Lombardia, e potrebbe essere interessante averne una anche a Voghera. Bisogna iniziare ad avere dei progetti importanti, dei progetti europei. Anche sulla sostenibilità ambientale e sociale.» Proseguiamo nello sviscerare lo slogan... «Un altro aspetto su cui non ci si è accontenta più è il filone lavoro – giovani e attività produttive. Con uno Sportello Lavoro, di cui raramente sono state rese note le performance, il modo di lavoro e la conoscibilità, si è pensato di aver risolto tutti i problemi relativi al lavoro, tutti i problemi dei giovani, mentre invece non è affatto così. Ci sono sicuramente altre iniziative da mettere in campo al fine di sollecitare nuove opportunità di lavoro e per i giovani. Soprattutto sfruttando le possibilità che l’Europa ci mette a disposizione. L’esponente di +Europa che ha partecipato alla Festa dell’Unità, Elisabetta Napoli, ha proposto uno Sportello per l’Europa, che potrebbe essere lo stesso Sportello Lavoro già esistente, ma riorganizzato con una visione più organica, che possa essere utile anche per sfruttare le possibilità a livello comunitario.» Sì, ma ci sono anche altri aspetti importanti. La sicurezza, per esempio. O forse la percezione che si ha della sicurezza... «Voghera non si accontenta nemmeno in tema di sicurezza. Di solidarietà, legali-
tà e sicurezza. Non bisogna avere paura di affrontare questi tre temi in maniera congiunta e apertamente. Anche il tema dell’immigrazione è un problema se lo si affronta da solo. Voghera non è Lampedusa. Bisogna affrontare le criticità compendiando le giuste misure di solidarietà ma sapendo anche che ci sono regole che devono essere rispettate da parte di tutti. Ci si è accontentati anche nel campo delle pari opportunità. Sono state intraprese alcune iniziative dall’Assessore alla partita Simona Panigazzi ma mai per iniziativa del Comune di Voghera e questo per mancanza di soldi che l’Amministrazione non ha mai inteso dedicare ai temi al femminile.» Ma qualunque attività, anche la più piccola, necessità di finanziamenti: qualcuno potrebbe obiettare che tutte queste idee siano un po’ come un ‘’libro dei sogni’’... «Non è così. I soldi non ci sono perché non si sono mai stanziati, e non si sono mai stanziati perché, evidentemente, non ci si crede. Attraverso una scomposizione del bilancio, che riguardi la verifica di tutte le sue parti, è possibile programmare e dare delle priorità di tipo diverso e quindi una consistenza ed importanza diversa alle cose che si intendono valorizzare.» Se lo dice lei, che di finanza pubblica si occupa per professione, ci fidiamo. E in quanto a commercio? I vogheresi si accontentano? «Ormai Voghera langue: non si può dire che Voghera è viva. Lo percepiscono sia le persone che ci abitano, sia quelle che vengono da fuori. Si dovrebbe incentivare la
presenza dei grandi marchi low cost attualmente posizionati nelle aree commerciali in periferia e riportarli in centro, così da dare vivacità a tutto il tessuto commerciale. Con iniziative da parte del Comune e con la collaborazione dei commercianti, bisogna far tornare il centro cittadino ad essere il cuore pulsante commerciale della città.» Fra le attività delle opposizioni nell’attuale consiliatura, molte energie sono state dedicate a porre sul tavolo il tema del gioco d’azzardo. Di recente è giunta notizia che Voghera si conferma, anche quest’anno, come una delle capitali del gioco d’azzardo. Secondo le rilevazioni del Movimento No Slot, infatti, sono ben 106 i milioni di euro spesi in città nel corso del 2018. Come commenta questo dato? «Abbiamo presentato in Comune un regolamento fatto e finito, nella sua completezza, per limitare questo fenomeno. Ci è stato risposto che bisognava aspettare il regolamento tipo della Prefettura. È intollerabile che non si faccia di più per arginare questo fenomeno. L’amministrazione è stata assolutamente refrattaria a tutte le nostre proposte che peraltro riprendono esempi di successo in altri comuni vedi Pavia, Stradella e San Martino Siccomario.» Lei pensa che, in questo come in altri temi, Voghera potrebbe essere il centro propulsore da cui far partire le buone pratiche di amministrazione, anziché giocare sempre di rimessa? Mi spiego: accade quasi ovunque che i piccoli si allineino, quando è il grande a tracciare la via. «Una cosa su cui non si ci accontenta proprio è il ruolo che dovrebbe essere di centralità di Voghera. Ad esempio come metodo per superare le difficoltà ovvie, chiare, palesi che ci sono state in ASM (che comunque è e intendiamo che rimanga la società di Voghera e di tutti gli altri comuni che ne fanno parte), ma anche centralità rispetto a tutte le problematiche dell’Oltrepò, in particolare per la Valle Staffora, dove certamente ci sono altre istituzioni come la Comunità Montana e il G.A.L., ma per la quale Voghera può essere un interlocutore o un collante ulteriore e importante. Voghera si è sempre definita come ‘’capitale dell’Oltrepò’’, ma di fatto non la è mai stata.» E le opere pubbliche? In questo, almeno, è possibile accontentarsi? «Voghera penso sia l’unico comune in cui da tanti anni non si accende più un mutuo, se non per cose molto specifiche e limitate, ad esempio la ristrutturazione del Tribunale. Oggi le cose sono diverse rispetto a qualche anno fa: non c’è più il Patto di Stabilità, e dopo aver superato quel rischio di dissesto finanziario causato dalle aliquote tardive, si può senz’altro dire che il Comune abbia i conti in ordine. Quindi,
VOGHERA per opere di un certo respiro, si dovrebbe pensare a questa fonte di finanziamento. È una cosa normale, prevista dalla Costituzione. Non ci si accontenta più nemmeno della programmazione riguardante il consumo di suolo. Oggi bisogna puntare di più sul recupero di quello che c’è già, anziché sull’occupazione di spazi liberi.» Che prospettive ha Voghera nel mediobreve termine, anche alla luce dell’ultima variazione di bilancio? «Con la variazione di luglio succede sempre che venga applicato l’utile di ASM, che quest’anno ammontava a 925mila euro, quindi una cifra consistente. Il problema è che, con questo utile, tutti gli anni si vanno a finanziare delle spese non straordinarie. Quindi, se un anno disgraziatamente (ma è tristemente possibile) l’utile non ci fosse, ci ritroveremmo senza 105mila euro destinati a pagare le bollette, un pacchetto all’interno dei servizi sociali - assistenza scolastica - handicap di quasi 110mila euro, 100mila per lo sgombero delle nevi, 142mila sui minori e 218mila sui Piani di zona. Sono tutte spese assolutamente correnti e continuative, e mi chiedo con cosa verrebbero finanziate se l’utile di ASM non ci fosse più. L’unico stanziamento straordinario che è stato finanziato con questo utile è rappresentato dai 30mila euro destinati ad associazioni sportive, oltre al finanziamento destinato a gettare le basi per la gestione teatro.» Nel Consiglio Comunale di luglio lei ha sollevato dubbi sul bilancio di ASM. Quali sono i problemi urgenti che ha posto? «ASM passa da un segno più che nel 2017 era di 2 milioni 69mila euro, a un utile, nel 2018, di 1 milione 838mila euro. Scendendo nel dettaglio, però, ASM Vendite e Servizi invece perde 600mila euro di utile, perché parte da un milione 95mila euro e arriva a soli 406mila euro. Ma ASM comprende poi anche tutte le altre partecipate. Cosa da rilevare è che SAPO passa da un utile di 191mila euro a un negativo da 126mila, tant’è che il Comune ha dovuto istituire un fondo nel proprio bilancio, in conseguenza di questa perdita, di circa 30mila euro. Anche in questo caso la situazione è sempre di scarsissima trasparenza, come tutte le volte in cui si parla di ASM.» Si spieghi meglio... «L’ultima volta, in Consiglio Comunale, non c’era nessuno presente di ASM; nessu-
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no quindi ha risposto alle domande poste. La trasparenza è scarsa anche per come è strutturato il sito internet. Ad esempio a livello delle assunzioni: magari sono pubblicizzate tutte le selezioni di personale, ma non gli esiti: non si capisce il perché. Sempre a livello di assunzioni, c’è una questione programmatica: era prevista un’assunzione nell’ambito idraulico e ne sono stati assunti 5 – questo emerge dalla relazione sul controllo analogo.» Ha sollevato dubbi anche sulla programmazione. Vuole riportarceli? «C’è un rallentamento forte della percentuale di realizzazione degli investimenti. Gli investimenti sull’illuminazione pubblica per quest’anno dovevano ammontare a 2 milioni 700mila euro, al 30 giugno ne erano stati realizzati 100mila. Per il teleriscaldamento erano previsti lavori per 600mila euro, ne sono stati realizzati soltanto 120. Ma ciò che preoccupa di questo bilancio, più che tutto il resto, sono i crediti che vengono dati per esigibili, e che non sappiamo se siano davvero tali. Un problema riscontrato già negli scorsi anni, ma che ora è diventato preoccupante. Non viene allegata una relazione sull’anzianità di questi crediti; una relazione, cioè, in cui si possa vedere se questi crediti abbiano due anni o venti. Su questo c’è assolutamente poca chiarezza, non si hanno notizie, e bisognerebbe metterci mano.» Chi dovrebbe farlo? «Il nuovo Consiglio di Amministrazione, la cui nomina però sembra in alto mare. Noi ovviamente riconfermiamo di aver presentato due candidature di alto livello, Patrizio Dolcini e Michele Pesci, i quali hanno già presente il lavoro importante che ci sarebbe da fare sul bilancio, oltre che su tutto il resto, a cominciare dalle questioni ambientali. Lavoro da fare ce n’è. Noi vogliamo il bene di ASM come società di Voghera e del territorio e per questo siamo pronti a fare la nostra parte.» Di recente, con una deliberazione del Consiglio Comunale, è stato inserito nello Statuto del Comune di Voghera il Bilancio partecipativo (lei stessa ha commentato, tuttavia, che si tratta di una “previsione un po’ stringata’’). Le opportunità di questo strumento per Voghera? «Abbiamo fatto fatica a far inserire questo articolo di due righe, dove è stato semplicemente introdotto il concetto di bilancio
partecipativo, prendendo poi per buono un “gentlemen agreement’’ per cui ci si aspettano, in futuro, ulteriori passi in avanti. Si dovrà adottare un regolamento perché il bilancio partecipativo diventi realtà. Ciò non avverrà presumibilmente entro la fine di questa legislatura, perché ci saranno cose più urgenti a cui pensare. Io in particolare ho sempre pensato che il bilancio partecipativo possa essere una misura interessante per realizzare opere che vadano oltre le banali manutenzioni nei quartieri, che vorrei poter dare per scontate. Ogni anno la popolazione di un quartiere, attraverso una consultazione, potrebbe scegliersi un’opera di livello un po’ più importante, che ritiene possa valorizzare una determinata area di Voghera.» Le viene in mente qualche esempio, in particolare, di situazioni per le quali i cittadini reclamano già oggi investimenti mirati? «Giusto pochi giorni fa abbiamo effettuato un sopralluogo a San Vittore con Alessandra Bazardi e Angelo Barbieri del PD. Abbiamo constatato che la manutenzione, quando viene fatta, viene fatta male. Ad esempio, si taglia l’erba ma viene lasciata l’immondizia e quindi il decoro non migliora. In questo quartiere, in particolare, servirebbero progetti importanti di riqualificazione anche urbanistica, tenendo ben presenti gli aspetti sociali e la sicurezza.» Lei propone un bilancio partecipativo che dedichi risorse ogni anno ad una zona diversa; un po’ come accade con gli ‘’emblematici’’ di Fondazione Cariplo, che assegna ogni anno una certa quota a territori diversi della Lombardia. Perché questa opzione e non, invece, un confronto basato sui progetti, indipendentemente dalla provenienza territoriale? «Non penso sia utile mettere in competizione i quartieri, anche perché nel caso del comune di Voghera non si potrebbe trattare di risorse finanziarie eccezionali. Qui si tratterebbe di mettere in campo delle risorse un po’ superiori a quelle per la manutenzione ordinaria, in modo da assicurare che almeno un’opera importante per ogni quartiere possa essere realizzata nell’ambito della legislatura.» Caso Recology: uno dei suoi cavalli di battaglia. Proprio in questi giorni è in corso la gara su Sintel per procedere, finalmente, allo sgombro dei rifiuti dall’area. Con questo atto si porrà la
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parola fine su una triste vicenda che si protrae da lunghissimi anni? «Se sarà una parola fine, comunque arriverà in ritardo: in vari Consigli Comunali, a seguito di varie interpellanze proposte sull’argomento, erano stati prospettati tempi diversi. Nell’estate appena trascorsa dovevano essere realizzate le operazioni di bonifica, invece è ancora in corso la gara per affidare i lavori. Che, per carità, è una buona notizia; sperando non ci siano ulteriori intoppi, considerando che si tratta di una gara rilevante. È una vicenda che la cittadinanza, e in particolare quella di Medassino, ha sempre seguito con alta attenzione. Parrebbe che a questo punto si sia imboccata una strada di non ritorno, anche se molto in ritardo. E finalmente, dopo la gara, quando inizieranno i lavori, si verificherà l’effettiva consistenza del rifiuto stoccato, sul quale sono state date rassicurazioni, ma solo relativamente a quanto si sia potuto indagare finora.» Una coalizione di centrosinistra si candiderà a farsi carico degli onori e degli oneri che l’amministrazione di una città complessa come Voghera comporta. Lei ha già dato la sua disponibilità a farne parte. Cosa si aspetta da queste primarie ormai prossime? «Io riconfermo la mia disponibilità a partecipare a primarie di coalizione, aperte, il più allargate possibile, dove auspico che possano essere in campo candidati provenienti da tutte le formazioni che hanno dato una disponibilità a lavorare per una coalizione di centrosinistra. Questo lavoro di cercare i temi e le modalità con cui accontentare Voghera che non si accontenta più è un lavoro da fare con i vogheresi, con tutti i vogheresi, e quindi non si può rischiare di ripetere quanto accaduto all’ultimo minuto con il ‘’modello Pavia’’. Non si vuole arrivare all’ultimo mese con l’individuazione di un candidato, perché attorno al candidato bisogna costruire il modello per condividere un patto civico per la città, con i cittadini di Voghera, che abbia un respiro nuovo, diverso e dirompente rispetto ai tempi trascorsi. Per cui io ho rinnovato e rinnovo la disponibilità a partecipare a queste primarie in assoluta trasparenza e auspico che si svolgano con partecipazione e correttezza da parte di tutti i partecipanti.» di Pier Luigi Feltri
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«Nel 2019 saranno assegnati 20 nuovi alloggi comunali» Il problema della casa si conferma a Voghera uno dei più pressanti. La graduatoria per ottenere l’assegnazione di un alloggio ha raggiunto quota 338 domande e il Comune, attraverso l’assessorato ai servizi sociali guidato da Simona Virgilio, è al lavoro per trovare nuove soluzioni per fare fronte alla crisi e aiutare più persone possibili. «Le problematiche abitative sono in costante crescita perché aumentano in generale le situazioni di difficoltà socioeconomica di adulti e famiglie che non riescono a pagare l’affitto» spiega Virgilio, che prosegue: «Noi interveniamo con l’erogazione di contributi regionali e comunali di supporto alle situazioni di emergenza abitativa per sostenere le famiglie nel pagamento dell’affitto, con contributi per evitare lo sfratto nei casi di morosità incolpevole e per facilitare l’ingresso in alloggi reperiti sul mercato privato. Su nostra iniziativa è stato siglato l’accordo territoriale per la stipula dei contratti di affitto a canone concordato tra le associazioni sindacali territoriali degli inquilini e le associazioni della proprietà edilizia». Assessore, quante persone aspettano una casa e quante abitazioni sono a disposizione? «L’ultima graduatoria approvata è formata da 338 domande, gli alloggi sul territorio sono 904, di cui 550 di proprietà Aler e 354 di proprietà comunale». Quante persone hanno ricevuto una casa nell’ultimo anno e quanti alloggi pensate di poter assegnare entro la fine del 2019? «Nel 2018 abbiamo effettuato 17 assegnazioni, nel 2019 ne sono in previsione 20. Per far fronte all’emergenza abitativa, oltre ai bandi ordinari per assegnazione di alloggi erp, sono stati indetti bandi destinati alle persone in graduatoria per ottenere l’assegnazione di alloggi in automanutenzione e abbiamo posto in essere diverse e ulteriori misure per sostenere il pagamento degli affitti e per incentivare il canone agevolato». Quali servizi avete introdotto negli ultimi mesi? «Recentemente abbiamo attivato le misure relative al Fondo per la non autosufficienza per l’assegnazione del buono sociale a favore delle persone con disabilità grave o non autosufficienti, misura importante a beneficio delle famiglie residenti nei Comuni del Piano di Zona dell’Ambito distrettuale Voghera e Comunità Montana Oltrepò Pavese». In questo periodo di difficoltà economiche il Comune ha effettuato dei tagli alla spesa per il welfare? «No, per l’anno 2019 sono stati confermati tutti i servizi mantenendo i livelli di spesa dell’anno precedente».
La questione degli aiuti economici comunali ha più volte suscitato le ire della Lega che, insieme a Fratelli d’Italia, vi ha più volte attaccato per la non attuazione di normative per rendere più difficile agli extracomunitari l’accesso ai benefit. In sostanza, il famoso “modello Voghera” che a loro dire vi ostinate a ignorare. Come stanno le cose e qual è la posizione del Comune su questo tema? «Quello che viene chiamato “Modello Voghera” era stato introdotto nel 2013 dall’amministrazione Barbieri quando all’epoca ero capogruppo del PDL in consiglio comunale. Tale novità nel regolamento, che ci vedeva assolutamente concordi tanto da approvarla, prevedeva l’obbligo per gli extracomunitari di produrre una certificazione proveniente dal paese d’origine per accedere ai servizi comunali.
Emergenza abitativa: 338 domande, 904 alloggi di cui 354 del Comune e il resto dell’Aler All’approvazione del citato Regolamento comunale è seguita l’entrata in vigore di una nuova disciplina statale in materia di ISEE, contenuta nel d.P.C.M. 159/2013. Alla stregua di detta normativa, rientrano oggi tra gli elementi che compongono la situazione reddituale rilevante ai fini ISEE anche i redditi relativi agli immobili situati all’estero e non locati e tra gli elementi che compongono la situazione patrimoniale rilevante ai fini ISEE anche il patrimonio immobiliare e mobiliare detenuto all’estero. Tali componenti reddituali e patrimoniali vengono assoggettate dall’art. 10, comma 7, del d.P.C.M. 159/2013, ad una autocertificazione: la norma, infatti, stabilisce che esse sono “autodichiarate dal dichiarante” ai fini della presentazione della DSU – dichiarazione sostitutiva unica, e ciò vale senza alcuna distinzione sia per i cittadini italiani e comunitari che per gli extracomunitari. I controlli circa l’esistenza di difformità od omissioni sono rimessi all’Agenzia delle Entrate in prima battuta e, per i dati autodichiarati per i quali essa non dispone di informazioni utili, all’INPS. L’attuale posizione del Comune è il rispetto della
L’assessore ai servizi sociali Simona Virgilio normativa vigente che dal 2015 è cambiata. far fronte alla carenza di volontari. E’imè inutile insistere su un argomento che le portante che chi abbia qualcosa da donare cronache nazionali e locali hanno ampiaagli altri, come ad esempio tempo libero, mente documentato. Gli Enti Locali non lo offra alla collettività anche per sentirsi possono introdurre legalmente limitazioni utile verso il prossimo». contrarie alla normativa vigente differenziando i criteri di accesso per i cittadini extracomunitari. Anche i Comuni di Lodi e Vigevano hanno dovuto rivedere i propri regolamenti a seguito di provvedimenti emessi dal Tribunale ad esito di ricorsi non potendo più chiedere il certificato del paese estero». Recentemente è stata istituita a Voghera la Consulta per la disabilità. Di che cosa si tratta? «Sarà un organismo partecipativo di confronto sulle politiche relative alla disabilità tra le associazioni e l’Amministrazione comunale. Tale organismo rappresenta un’ulteriore espressione della forte attenzione e In che modo il Comune sostiene le assosensibilità della nostra amministrazione al ciazioni di volontariato? «Il Comune aiuta le associazioni nella tema importante della disabilità» Un mese fa circa diverse associazioni di realizzazione di iniziative e progetti involontariato cittadine hanno lanciato un tervenendo oltre che con il patrocinio e appello denunciando una situazione di la collaborazione anche con contributi a crisi legata all’insufficienza del numero supporto della copertura dei costi. Ricordo di volontari a disposizione. Qual è la si- che a breve si terrà il Festivol del volontariato la manifestazione delle associazioni tuazione vogherese attuale? «Il volontariato e l’associazionismo in organizzata insieme all’assessorato: negli questo settore sono una grande risorsa sul ultimi anni è stata rinnovata , è fatta di innostro territorio e offrono un servizio com- contri di sensibilizzazione, di beneficenza plementare rispetto a quello offerto dal Co- anche per far conoscere il volontariato e mune, con cui operano in sinergia. Da parte alcune tematiche alla cittadinanza. Spesso dell’amministrazione c’è il sostegno delle si parla di bullismo, ludopatia, prevenzioassociazioni e attraverso la Consulta per i ne, cura, violenza e si offrono importanti problemi sociali si sta facendo da diverso strumenti anche alle persone per far fronte tempo anche un intervento di sensibiliz- ad alcune delicate problematiche oltre che zazione e informazione per avvicinare le avvicinarsi al volontariato». persone, soprattutto i giovani e i pensionadi Christian Draghi ti, al volontariato facendolo conoscere per
«Il “Modello Voghera”? La legge è cambiata, non possiamo fare di testa nostra»
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«Asm, noi contrari da subito all’Amministratore Unico» Il tema del reinsediamento di un consiglio di amministrazione in capo ad Asm Voghera spa accende discussioni e polemiche all’interno di Forza Italia e delle forze di opposizione. Sul tema interviene l’ex dirigente Asm ed esponente Udc Paolo Affronti, che comincia togliendosi qualche sassolino dalle scarpe: «Attacchi al mio gruppo e anche alla mia persona non sono mancati da parte di esponenti di Forza Italia, partito a cui abbiamo garantito la leadership sia nelle varie fasi elettorali, sia condividendo con il gruppo consiliare ed i nostri assessori il governo della città». Un po’ d’ingratitudine a suo dire? «Dico solo che Forza Italia è il partito che ha beneficiato a Voghera del nostro non trascurabile e disinteressato apporto alle elezioni europee, registrando così il miglior risultato in provincia». Parliamo della questione Asm. Storicamente l’azienda è sempre stata governata da un CdA. Come mai si era arrivati all’amministratore unico? «Dopo l’esperienza commissariale Forza Italia aveva addotto tra le motivazioni per la designazione dell’amministratore unico era che si trattava di una “forzata” applicazione della legge Madia, paventando il risparmio che ne derivava dal compenso di un amministratore unico invece che quello previsto per i consiglieri eventuali ed il presidente». Voi che parere esprimeste? «Noi eravamo contrari, così come anche esponenti della stessa Lega in consiglio comunale. In giunta gli assessori Geremondia e Battistella, in quota Udc, dissentirono con una dichiarazione in cui si
Paolo Affronti faceva presente la difficoltà di gestire una azienda così complessa da parte di una sola persona. L’UDC pertanto non votò l’indicazione da dare all’azionista (cioè il Sindaco Barbieri, fattosi poi rappresentare in assemblea dall’allora vice Fiocchi)». Questo risparmio in effetti c’è stato? «In realtà ben presto si è tradotto nel fatto che i compensi degli ipotetici cinque del consiglio vennero incassati invece da una sola figura, l’amministratore unico Daniele Bruno nominato poi per incarico professionale nel consiglio sindacale della partecipata Voghera energia, con il compenso professionale previsto». Nonostante questo però non avete creato problemi alla giunta… «Esatto. Gli accordi elettorali non erano stati rispettati. Nonostante questo fatto politicamente grave l’Udc per non creare problemi alla maggioranza abbiamo preso atto della situazione».
La gestione dell’amministratore unico come è stata? «Difficile direi. Le difficoltà di presenza dell’amministratore unico che ha la sua attività professionale a Milano, la complessità dell’azienda, una holding di grande rilevanza per i molteplici compiti affidati,vedeva la maggior parte dei poteri concentrati sul Direttore. Tanto che in una assemblea di qualche mese fu lo stesso amministratore Bruno a dichiarare che forse, anche visti i problemi sorti con le controllate di ASM, sarebbe stato opportuno tornare al Consiglio di Amministrazione. L’azienda doveva affrontare grandi sfide e un amministratore unico non era sufficiente per fronteggiare situazioni complesse che richiedono grande impegno e presenza costante. A quel punto il sindaco ha condiviso e dato il via libera al l’iter per le indicazioni di coloro che devono comporre il consiglio di amministrazione. La candidatura del medesimo Bruno come la giudica? «è stata presentata dal segretario di Forza Italia, forse non perché tecnico ma in virtù del fatto che risultava nella lista azzurra alle comunali». La definizione dei nuovi assetti però ha creato non pochi problemi… «La procedura ha registrato intoppi politici con osservazioni formulate da due sindaci che rappresentano lo zero virgola, avendo la città di Voghera oltre il 99 % delle azioni. A quel punto l’amministratore unico ha rinviato l’assemblea causando ritardi. Si arriva ad una diffida all’amministratore unico fatta dal sindaco affinché proceda
Affronti: «La nostra lealtà all’Amministrazione richiede rispetto» alla riconvocazione dell’assemblea». E riguardo ai compensi del nuovo CdA? «Resta assodato che il nuovo consiglio avrà’ lo stesso compenso complessivo che oggi percepisce l’amministratore unico anche perché alcuni componenti eventuali designati, come nel caso del sottoscritto, non percepirebbero compenso alcuno». La crisi Asm ha causato diversi malumori anche in Forza Italia. Due consiglieri si sono dimessi e l’opposizione ha chiesto la sfiducia al sindaco. Qual è la vostra posizione? «Noi abbiamo dichiarato che al momento non firmiamo sfiducia proposta dall’opposizione per correttezza e senso di responsabilità’. La nostra compagine esige però rispetto e lealtà quella che noi abbiamo garantito in questi anni. Non si cerchino pretesti perché l’ASM non può rimanere a detta dello stesso Sindaco in questa situazione. Val la pena ricordare che fino al 2016 con Bariani presidente ed il sottoscritto vice e con dirigenti e funzionari di prim’ordine, alcuni dei quali oggi dirigenti, Asm era considerata tra le prime trenta holding in Italia». di Silvia Colombini
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«Asm, la reintroduzione del CdA a pochi mesi dal voto sa di accordo elettorale» Con l’ingresso in squadra di Federico Taverna, consigliere ex forzista, la sezione vogherese di Fratelli d’Italia punta decisa verso le elezioni comunali 2020 consapevole di poter giocare un ruolo da protagonista. Si trattasse di una squadra di calcio, si potrebbe tranquillamente dire che al momento la compagine guidata dall’ex assessore Vincenzo Giugliano è quella che vanta la “campagna acquisti” migliore: prima l’ex leghista Marco Sartori, ora due elementi “di peso” (elettorale) non indifferente. Oltre a Taverna, infatti, anche la presidente di Ascom Cristina Palonta (ex Forza Italia) si è unita all’organico. Taverna, viaggiamo su metafore calcistiche. Con il suo approdo in squadra Fratelli d’Italia può dirsi il team che ha fatto (ad oggi) il “mercato” migliore in vista delle prossime elezioni? «Diciamo che il campionato 2020 è molto impegnativo e io voglio essere un punto di forza della squadra, nel calcio così come in politica non si vince certo da soli, anzi chi pensa di fare da solo rischia di finire in “fuori gioco”. Fratelli d’Italia però non sta facendo campagna acquisti ma sta convincendo sulla base di un progetto credibile a cui guardano tanti delusi del centrodestra. Siamo la risposta a un elettorato disorientato». Non credo però che vogliate nascondervi: vi considerate un partito da zona Champions… «Sicuramente siamo un partito da “Champions League” e non una squadra materasso, non puntiamo alla salvezza ma al protagonismo. Dai quartieri cittadini alle aule di Bruxelles, Fratelli d’Italia c’è». Lei, Sartori, Giugliano, Palonta, tutta gente che ha buoni numeri dalla sua. Al tavolo delle alleanze che cosa chiederete? «Al tavolo delle alleanze arriviamo certamente con una posizione di forza, consapevoli del fatto che non si potrà fare a meno di Fratelli d’Italia, chiederemo condivisione prima di tutto sul programma, il resto verrà da sé».
«Alleanza con Forza Italia? Difficile se a loro interessano le poltrone»
«Fratelli d’Italia è un partito da zona Champions»
Federico Taverna, ex consigliere forzista
L’ex forzista Taverna “ultimo acquisto” del team di Giugliano e Sartori. Con loro anche Cristina Palonta Proviamo a immaginare le “squadre” per le comunali 2020. L’alleanza con la Lega pare scontata. Forza Italia invece? Ora che i rapporti di forza nel centrodestra sono cambiati la accoglierete come un figliol prodigo o la lascerete a se stessa? «Per quanto riguarda una possibile alleanza con Forza Italia ritengo che un partito serio e maturo come il nostro debba confrontarsi prima di tutto su una condivisione di programmi. Se per Forza Italia il presupposto dell’alleanza è la rivendicazione delle cariche allora credo che la strada si farà in salita, ma la parola spetterà poi alla segreteria cittadina dopo tutte le osservazioni e i confronti del caso. Siamo un partito coeso che punta a crescere anche grazie alla sua serietà». Lei è da tempo molto critico nei confronti del suo ex partito, oggi ridotto ai minimi storici: c’è chi dice che al 2020 potrebbe anche non arrivarci. La sua opinione? «Personalmente non auspico la fine di Forza Italia, ho già detto tutto quello che a mio modesto parere non andava e la mia non era una voce fuori dal coro, basta vedere infatti lo scossone che sta dando Toti
nelle ultime settimane, ora però non guardo in casa d’altri e mi limito a fare solo un grosso in bocca al lupo a tutti gli amministratori con cui ho condiviso molto in questi anni». D’accordo, punta anche al premio “fair play”…Parliamo dei temi cittadini: partiamo da Asm, che lei ha seguito molto da vicino. La reintroduzione del cda non la convince. Perché? «La reintroduzione del CDA a pochi mesi dal voto ha il sapore dell’accordo preelettorale fine a sé stesso, un pessimo segnale nei confronti dei cittadini che invece vorrebbero vedersi recapitare le bollette della luce e del gas con regolarità senza conguagli di 10 mesi. Asm per fortuna è un’azienda sana che produce utili, garantisce servizi di qualità e occupazione, questo anche per merito degli attuali vertici. Non ha pertanto senso cambiarne la governance, forse sarebbe stato utile volgere lo sguardo dove le cose hanno funzionato male e non sembrano ancora essersi messe a posto». Il Teatro Sociale, la cui apertura è in calendario per il 19 aprile 2020, secondo alcuni esperti del settore sarà una struttura che avrà non pochi problemi
a stare in piedi con un bilancio in attivo. La sua gestione inevitabilmente sarà uno dei punti cruciali dei programmi di tutte le realtà politiche in vista delle prossime elezioni. Lei che opinione ha in merito? «La riapertura del teatro è una vittoria per tutta la città, andiamo a recuperare un patrimonio simbolo della cultura e dell’identità cittadina, quando si investe in cultura si investe anche su tutto il resto, ma ovviamente la gestione del teatro non può ammettere improvvisazioni perché i costi sono importanti, occorre fare in modo che gli spettacoli non siano riservati a un pubblico di “di nicchia” ma riescano ad interessare un più vasto pubblico possibile, anche fra i giovani e i giovanissimi, il teatro deve guardare alle nuove generazioni troppo social-network, arricchirsi culturalmente passando dal social al teatro sociale per così dire». Fdi, così come la Lega, è un partito che ha sempre posto un’attenzione particolare alla questione sicurezza. Che Voghera sia una città più o meno sicura è materia opinabile. Sta di fatto che certe zone, come piazza San Bovo o il piazzale della stazione, restano terra di nessuno (o di pochi). Qual è il vostro piano per restituirle alla città? «Il capitolo sicurezza è sempre all’ordine del giorno. Non solo l’introduzione delle telecamere è necessaria per ricostruire gli episodi criminali, ma occorre lavorare sulla vivibilità delle zone a rischio bivacco per poter prevenire concretamente. Servono più uomini e più mezzi oltre che favorire la collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale nei settori d’intervento quali: scambio informativo tra polizia locale e forze di polizia presenti sul territorio, interconnessione, a livello territoriale, tra le sale operative della polizia locale e quelle delle forze di polizia, la regolamentazione dell’utilizzo in comune di sistemi di sicurezza tecnologica per il controllo delle aree e attività soggette a rischio e l’aggiornamento professionale integrato per gli operatori». di Christian Draghi
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Gruppo micologico: «La situazione dei sentieri non è per niente buona» Mangiare un piatto di buoni funghi di stagione piace quasi a tutti. Ma farlo dopo averli colti di persona regala una soddisfazione ancora più grande. Facile a dirsi, però, e più difficile a farsi, soprattutto per chi non conosce le loro caratteristiche, gli ambienti e le stagioni in cui crescono. A Voghera dal 21 febbraio 1979, anno della sua costituzione, è presente il Gruppo Micologico Vogherese. Abbiamo intervistato il Presidente Alfredo Gatti. Gatti, quarant’anni di attività associativa, com’è nata l’esigenza di costituire questo gruppo? «Il gruppo si è costituito per volontà di alcuni appassionati ricercatori di funghi i quali, in seguito, hanno dedicato parecchio tempo allo studio approfondito della micologia, attratti dalla curiosità che le varie forme, i colori, le stranezze ed i misteri dei miceti suscitava in loro. Successivamente si è arrivati al discorso sull’ecologia e gli ecosistemi. In questi quarant’ anni di attività ricordiamo le più di duecento mostre organizzate, alcune delle quali sono diventate una tradizione, parecchie centinaia le proiezioni e le conferenze tenute presso la nostra sede e in paesi e città limitrofe. Altrettanti sono stati gli interventi presso le scuole, alcuni corsi introduttivi allo studio dei funghi e di microscopia. L’attività di ricerca sul territorio dell’Oltrepò Pavese continua con un’indagine sulla micoflora. Dal 2002 la nostra Associazione é affiliata all’AMB Associazione Micologica Bresadola che ha sede centrale a Trento e che riunisce quasi tutti i gruppi micologici italiani: la scelta effettuata ci consente di allargare le nostre conoscenze, soprattutto a livello scientifico, avendo la possibilità di partecipare a vari Congressi e Comitati Scientifici che si svolgono ogni anno in varie parti d’Italia». Quindi le persone appassionate di natura che vogliono avvicinarsi alla raccolta dei funghi eduli evitando quelli velenosi possono rivolgersi a voi per ottenere le competenze adeguate a questo tipo di hobby? «Certamente sì. Tenga presente che la maggior parte delle persone che amano la ricerca dei funghi in Oltrepò sono dedite alla raccolta di funghi porcini e a qualche altra specie mangereccia come ad esempio le gallinelle. Noi vorremmo che venisse da noi qualche giovane interessato, perché a studiare i funghi siamo ormai rimasti pochissimi e non più giovanissimi(ride)». Come mai, secondo lei, pur se residenti in un territorio boschivo e di interesse naturalistico, i giovani non sono più interessati a questo tipo di ricerca? «Alcuni ragazzi che conosco vanno per
Alfredo Gatti, Presidente Gruppo Micologico Vogherese
funghi ma la passione per lo studio delle specie non esiste più perché comunque è un impegno, tutti sono interessati ad altre cose, hanno problemi di lavoro per cui è difficile che si dedichino a questa attività. Tra i nostri attuali 300 iscritti non abbiamo molti giovani». La valle Staffora è un territorio vocato ad una grande produzione di funghi? «Non definirei la Valle Staffora, salvo poche annate, una delle maggiori zone di produzione di funghi porcini, per le altre specie ci sono alcune zone che sono buone produttrici grazie ad ambienti e climi diversi. Abbiamo fatto una ricerca nel Comune del Brallo e abbiamo mappato e censito circa 1100 specie tra edibili, tossiche e mortali e non abbiamo ancora finito...». Quali tipologie di funghi vengono maggiorente raccolte per la cucina nelle nostre zone? «Abbiamo 4 specie principali di porcino: c’è l’estivo, il porcino nero,Boletus edulis che è quello invernale e poi c’è quello rosso, il pinofilus. Il migliore come profumazione, a mio giudizio, è quello estivo, per cui, essendo la nostra zona collinare abbastanza calda, è particolarmente vocata a questa specie. Abbiamo poi il Cantharellus cibarius che è definito comunemente gallinella, l’orecchietta, che cresce normalmente sui tronchi dei pioppi, il piopparello ed infine il chiodino». Per la ricerca dei funghi nei boschi del nostro territorio è necessario munirsi di permesso o tesserino oppure la raccolta è libera? «La Comunità Montana ha istituito un tesserino su alcuni comuni perché non tutti hanno aderito. Ponte Nizza, Val di Nizza, Colli Verdi e Varzi hanno aderito e i tesserini si trovano negli uffici comunali o nei bar e nelle edicole. Esiste il giornaliero e l’annuale. Il Comune del Brallo e altri comuni non hanno aderito e quindi la raccolta è libera». Quali difficoltà si trovano ad andar per
funghi nei nostri boschi? «Il territorio non è molto curato a dire la verità, ci sono zone in cui qualcuno si dà da fare per pulire il sottobosco e altre zone che sono completamente abbandonate a sé stesse. C’è il pericolo di perdersi per le persone che non sanno orientarsi molto bene. Il consiglio che noi diamo è quello di fare le cose con molta calma senza farsi prendere dalla foga di arrivar prima a trovare il fungo e soprattutto usare delle calzature idonee perché spesso e volentieri i cercatori indossano gli stivali di gomma che non vanno bene, bisognerebbe indossare gli scarponcini da montagna che sono antiscivolo sui terreni impervi. Per quanto riguarda la possibilità di incontrare animali quali cinghiali o caprioli il consiglio che diamo è quello di non interagire con loro e non creeranno problemi. Oltre alle calzature idonee, bisogna poi avere un abbigliamento adeguato ad andar per boschi ed essere muniti di bastone, non per far danni e distruggere i funghi velenosi ma per aver appoggio. Vorrei proprio sottolineare questo: non bisogna danneggiare i funghi velenosi o che non si conoscono, perché la maggior parte dei funghi sono simbioti, cioè vivono in simbiosi con gli alberi circostanti e si è appurato che dove ci sono molti funghi il bosco è in buona salute». Qual è il modo migliore per raccogliere un fungo senza danneggiare l’ambiente circostante? «Innanzitutto in tutte le zone ci sono delle limitazioni di dimensione cioè non si possono raccogliere funghi più piccoli di 4 centimetri circa, per non danneggiare la fungaia. Il fungo va raccolto effettuando una leggera torsione e poi sarebbe indispensabile pulirlo con un coltellino sul posto perché tutto ciò che viene lasciato nel bosco crea humus. Infine il recipiente ideale per trasportare il raccolto sarebbe un cestino di vimini». Quest’anno com’è la produzione nei no-
stri boschi? «Sulle nostre colline, visto l’andamento climatico con un lungo periodo caldissimo e secco, non credo ci sia stata una buona fruttificazione, solo qualche ritrovamento qua e là. Ci sono stati dei buoni ritrovamenti appena fuori dall’Oltrepò in zona Brallo ma sul versante piacentino e per un breve periodo di tempo». Parlavamo prima della condizione di pulizia dei nostri boschi, ma chi dovrebbe provvedere, i proprietari o le guardie forestali? «In alcuni casi ci dovrebbe essere una delibera comunale che impone ai proprietari di manutenere il bosco provvedendo alla rimozione di piante rotte soprattutto nella vicinanza di strade. Ci sono poi anche i consorzi che si dovrebbero occupare della manutenzione dei boschi e non sempre funzionano bene. L’ente pubblico delegato a questa cosa è la Comunità Montana». Fare una passeggiata in un bosco in mezzo alla natura è un’attività piacevole e rilassante. Com’è la situazione dei sentieri? «La situazione non è per niente buona, i sentieri non sono ben segnalati e ben tenuti e quindi non è sempre facile passeggiare in sicurezza nei boschi. Alcuni sentieri segnati ormai non sono più percorribili anche perché nei nostri boschi, anche se è vietato, girano molti motociclisti che fanno evidenti danni, distruggendoli completamente. Inoltre anche le strade delle nostre montagne sono in condizioni disastrose e questo non aiuta il turismo. Bisogna assolutamente intervenire in qualche modo. Abbiamo invitato ad una riunione alcune associazioni ambientaliste per parlare del problema e trovare insieme una soluzione». Avete progetti imminenti? «Al momento tutti i nostri sforzi sono volti a tenere in vita questo gruppo perché non c’è ricambio generazionale e auspichiamo nuovi ingressi in associazione. Dal 2001 abbiamo aggiunto al gruppo micologico anche l’escursionismo e questo è stato il motore che ha fatto fare il salto di qualità all’associazione. Nel 90% delle nostre escursioni noi utilizziamo l’autobus che ci porta nella zona che andiamo a visitare camminando e che poi ci riporta a casa comodamente, evitando così agli escursionisti un rientro faticoso in automobile. Abbiamo un buon successo di pubblico che ama le nostre escursioni e siamo molto contenti di poterne organizzare sempre di più. Continueremo sempre con le nostre manifestazioni e il secondo weekend di ottobre saremo al Castello Visconteo di Voghera con la mostra dei funghi e le degustazioni». di Gabriella Draghi
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CASEI GEROLA
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«Logistica e terziario per recuperare l’area ex zuccherificio» Cave d’argilla dismesse, un autovelox in arrivo, il destino dell’area che ospitava l’ex zuccherificio. Questi i nodi che il comune di Casei Gerola dovrà sciogliere nel futuro prossimo. Il sindaco Leonardo Tartara, che alle elezioni dello scorso maggio ha scalzato dal ruolo il suo predecessore Ezio Stella, non si nasconde e parla dei piani della sua amministrazione. Partiamo dal tema di attualità che riguarda le due cave d’argilla dismesse. Il loro riempimento preoccupa un po’ tutti. La minoranza ha portato all’attenzione degli organi di stampa la possibilità che il riempimento sia effettuato con materiali di tipo A anziché di tipo B. Può spiegare meglio di che cosa si tratta e qual è la situazione attuale? «Attualmente l’unica cava in fase di riempimento è quella di Cascina Parlotta, sita nella Frazione Gerola. Vorrei precisare che l’amministrazione comunale, in carica dal 27 maggio 2019, è pienamente consapevole dell’importanza che ricopre l’argomento ed è stata una delle nostre priorità capire quali scelte erano state fatte dalla passata amministrazione, attualmente in minoranza». Entriamo nel dettaglio. Cava Parlotta: di che materiali sarà riempita e che cosa ne pensa Arpa? «I conferimenti nella Cava Parlotta sono in corso da anni secondo accordi precedentemente presi. Questa Amministrazione continuerà ad attenersi alle prescrizioni di Arpa e continueremo a vigilare attentamente in merito. Il riempimento sta avvenendo con materiali appartenenti alla cosiddetta “colonna A”: si tratta, nello specifico, di terre e rocce da scavo per il riempimento di siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale. Questo avverrà fino al raggiungimento di una quota definita, dopodiché si potrà conferire con materiali della “colonna B” e cioè terre e rocce da scavo per il riempimento di siti ad uso commerciale e industriale. Questo è quanto raccomandato da Arpa e recepito dal Comune». Di Cascina Venezia invece che cosa può dirci? Il Comune si era espresso per la raccolta di materiali di tipo A, mentre la proprietà ha richiesto di poter conferire materiali di tipo B. Chi sarà a decidere alla fine? «In merito a Cascina Venezia, a differenza di Cava Parlotta, siamo parte del processo decisionale. Il parere dell’attuale Amministrazione, frutto del confronto con tecnici qualificati, ecologisti ed agricoltori, memoria storica del territorio, è di ammettere solo ed esclusivamente materiali della “colonna A”. Cascina Venezia fa parte del Piano Cave Provinciale; è quindi la Provincia di Pavia che, dopo aver ac-
Cave dismesse: «Per Cascina Venezia decisiva la conferenza dei servizi a metà settembre» quisito il parere del Comune, prenderà la decisione finale nella Conferenza dei Servizi che si terrà a settembre». Parliamo dell’autovelox che sarà installato lungo la dritta che collega Voghera a Casei, in prossimità del Galassia. Per molti una “trappola” che la Provincia utilizzerebbe per fare cassa. Che cosa ne pensa? «Non esprimo parere sulla scelta della Provincia di installare un autovelox su una strada di sua competenza. Inoltre, tale decisione, è stata presa nel dicembre 2018, prima dell’inizio del mio mandato ed ha radici nel 2014. Vi furono incidenti molto gravi e credo che sicuramente questo abbia inciso sulla scelta di limitare la velocità in quel tratto. Con i vertici della Provincia abbiamo invece parlato di sviluppo e chiesto collaborazione, in particolare per la cura delle strade provinciali sul nostro territorio, trovando disponibilità a lavorare insieme». Parliamo della maxi area su cui sorgeva l’ex zuccherificio. Tramontata ormai qualsiasi ipotesi di riconversione, che cosa ne sarà? «Casei Gerola si trova in una posizione geografica strategica, con collegamenti infrastrutturali unici: lo Zucchero, come l’abbiamo sempre chiamato, è un’area di circa 400,000 mq (circa 50 campi da calcio per dare un’idea) situata all’uscita dell’Autostrada Milano-Genova e vicina alla Torino-Piacenza, svincolata dalla viabilità cittadina. L’attuale proprietà ha fatto un serio lavoro di bonifica che rende l’area in questione molto appetibile sul mercato. Questa amministrazione comunale è seriamente intenzionata a favorire lo sviluppo di un progetto serio, che possa creare nuovi posti di lavoro, faremo quindi la nostra parte. Questo vale sia per l’area dell’ex zuccherificio che per le altre aree di interesse presenti sul nostro territorio».
Il neo sindaco Leonardo Tartara
La sua amministrazione ha qualche progetto al riguardo? «Da quando ci siamo insediati insieme alla mia Giunta, abbiamo colloquiato con più di un investitore interessato ad insediarsi a Casei Gerola ed abbiamo dialogato anche con le Istituzioni e le Associazioni di categoria. Come Amministrazione, a fronte di proposte interessanti, per iniziative di sviluppo che abbiano impatto positivo sul territorio e non siano assolutamente dannose per la salute e l’ambiente, siamo disponibili a fare la nostra parte. Il nostro territorio ha eccellenze nell’agricoltura e nella sua filiera, nell’industria meccanica e della plastica. Lo sviluppo che ho in mente è un mix di logistica/terziario e attività produttive, con uno sguardo anche alla circular economy». Può dirci in sintesi quali saranno le opere che la sua amministrazione metterà in cantiere per il paese nel futuro immediato? «Nel futuro immediato investiremo il finanziamento a fondo perduto concesso dal Governo precedente, oltre ad una parte dell’avanzo di bilancio e di entrate extra registrate rispetto alle previsioni iniziali. Ci concentreremo su opere per la sicurezza stradale e sulla cura del patrimonio: manutenzioni di strade, scuola, palestra,
ambulatori medici ed edilizia residenziale popolare. Abbiamo lavorato tanto sull’ ordinaria amministrazione, incluso il decoro degli spazi pubblici e dei cimiteri e stiamo lavorando, tra le alter cose, sulla videosorveglianza e la raccolta differenziata dei rifiuti. Porteremo avanti passo dopo passo il nostro programma, ambizioso ma realistico. Sono positivo ed entusiasta, come i miei collaboratori». di Christian Draghi
Ex zuccherificio: «Numerosi contatti con investitori interessati a insediarsi»
LETTERE AL DIRETTORE
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«L’Oltrepò è in mano a quella “Banda” di mediatori commercianti ed imbottigliatori» Alla c.a del Direttore, in merito all’articolo pubblicato sul vostro periodico di agosto 2019 dal titolo “Terre d’Oltrepò: approvate le modifiche allo statuto” mi permetto di far notare che quanto dichiarato dai due ex Consiglieri il fatturato di 41 milioni di euro attribuito al loro periodo di amministrazione in realtà era frutto della precedente amministrazione che si è dimessa al 29 giugno del 2016 quando il bilancio era fatto. Ho apprezzato invece l’articolo firmato da Cyrano de Bergerac che come in tutti i suoi articoli dimostra di essere ben informato sui fatti. Di seguito mi permetto di trascrivere quanto inviato all’assessore Rolfi in merito all’articolo dedicato al via della vendemmia in Oltrepò:
“Buongiorno Assessore, sono la mamma di un giovane viticoltore dell’Oltrepò Pavese mediamente nella nostra piccola azienda si producono 1000 quintali d’uva suddivisi tra le varietà autoctone della zona. Pochi giorni fa ho letto il suo articolo dedicato “alla vendemmia 2019” in Oltrepò Pavese”. Mi spiace contraddirla ma nell’articolo è rappresentata una realtà ben diversa da quella presente nel mio territorio. Negli ultimi tre anni il prezzo al quintale delle uve è diminuito mediamente di 8.00/10,00 Euro ed oggi 22 agosto a vendemmia iniziata non è stato fissato nessun prezzo per le uve Pinot e tanto meno per le altre. A dimostrazione di quanto scritto le trascrivo la comunicazione ricevuta in
Più impegno contro chi abbandona i rifiuti Signor Direttore, negli ultimi anni ho notato quanto stia peggiorando la situazione di degrado legata all’abbandono di rifiuti lungo il ciglio delle strade, nei campi, nei boschi e in altri luoghi pubblici e privati. Sicuramente la responsabilità è di gente incivile e priva di scrupoli, ma quello che spesso mi domando è cosa facciano le istituzioni per contrastare questo fenomeno. Ho provato ad interpellare sia la Provincia, sia i Comuni
«Vorrei precisare...» Egr. Direttore, mi riferisco all’articolo su Terre d’Oltrepò, a pag.11 del numero di Agosto, a firma Cyrano di B. Verso la fine è scritto che la ex Cantina di Broni “acquisì” la Cantina di Casteggio. Vorrei precisare che non si è trattato di acquisizione ma di una fusione alla pari e in pari dignità tra le due Cantine. Evidentemente il giornalista ha acquisito dicerie (“difficoltà economiche”) artatamente messe in giro al tempo delle trattative, ma non rispondenti alla realtà. Distinti Saluti Vittorio Ruffinazzi Casteggio
di alcuni luoghi che fanno parte delle mie abituali frequentazioni e le risposte che ho ricevuto sono state talvolta spiazzanti. Posso capire che sia molto difficile cogliere sul fatto i malandrini, che i fondi disponibili per questo tipo di attività siano pochi e che l’uso delle telecamere sia spesso complicato o inconciliabile con le leggi relative alla tutela della privacy, ma rimango piuttosto perplessa quando si parla di competenza nella raccolta dei rifiuti. Se un sacco enorme di spazzatura, un materasso, una televisione o qualsiasi altro oggetto vengono gettati in un campo, perché dovrebbe essere compito del proprietario del campo ripulire e smaltire i rifiuti? A me sembra quantomeno bizzarro, ma purtroppo è quanto mi è stato riferito dall’ufficio tecnico di un Comune della Valle Versa, che non cito per discrezione. Lo scopo di questa mia lettera è quello di sensibilizzare sia le persone sia le istituzioni relativamente a un problema a mio avviso importante e delicato; vedere cumuli di spazzatura accanto a un campo coltivato pensando che i prodotti di questo campo finiranno sulla tavola dei consumatori è piuttosto sconfortante, senza contare l’impatto visivo decisamente agghiacciante. Lettera Firmata Stradella
data odierna da un acquirente di uve della nostra zona. “COMUNICAZIONE AI FORNITORI UVA Riteniamo opportuno e premuroso comunicare che dopo l’ennesimo incontro con i nostri principali clienti, non abbiamo ancora chiuso nessun contratto di vendita del vino della vendemmia corrente. L’offerta che ci è stata posta è vergognosamente all’estremo ribasso, certe varietà non sono neanche state prese in considerazione. Da qui, la decisione di fermarci, perchè non ci sembra giusto accettare sempre le condizioni imposte da altri portando la nostra economia al collasso. Lasciamo quindi, liberi i nostri fornitori di valutare e scegliere eventuali altre offerte” Le faccio notare soltanto che con la scomparsa di gran par-
te delle Cantine Sociali e con la pessima gestione di quelle rimaste l’Oltrepò è in mano a quella “Banda di mediatori commercianti ed imbottigliatori” che giocano a pagare sempre di meno il prodotto, costringendo i produttori a ridurre sempre di più il proprio guadagno. Non sta a me dire di chi sono le colpe da attribuire a questa crisi ma secondo il mio modesto parere se ai vertici amministrativi di queste Cantine ci fossero persone qualificate e preparate sulla gestione della viticoltura del nostro territorio e non teste di legno vuote imposte da associazioni interessate solo ad avere un ruolo all’interno di esse forse la situazione dell’Oltrepò non sarebbe così disastrosa. Lettera firmata - Pietra de’ Giorgi
L’aiuto non è tale se c’è compenso Egregio Direttore, desidero raccontare la commovente esperienza che mi è capitata la settimana scorsa. Approfittando del tempo che si era rinfrescato in seguito ad un breve temporale, ho deciso di recarmi a piedi al centro commerciale Esselunga, distante da casa circa un chilometro. Entrai nel supermercato pensando di acquistare due cosette e finii, più o meno come al solito, per riempire due borse della spesa. All’uscita il sole di nuovo splendeva e l’aria si era fatta calda e afosa. Dopo aver percorso un tratto di strada ero già tutta sudata. Le borse pesavano. Sul ciglio del marciapiede dove camminavo, in lontananza scorsi una figura che mi veniva incontro. Pensai che se si fosse trattato di un ragazzino, avrei potuto chiedergli un aiuto, dietro compenso, naturalmente. Ecco una panchina, tanto agognata. Mi sedetti esausta. Mi raggiunse la persona che avevo scorto
prima. Si trattava di una ragazza. Si fermò e molto gentilmente si offrì di darmi un aiuto. Rimasi sconcertata non conoscendola né avendole chiesto nulla. «La c’è la Provvidenza» di manzoniana memoria, pensai. Discutemmo sul fatto che la mia accettazione sarebbe stata legata ad un compenso che lei continuamente disdegnava. Mi rassegnai pensando che alla fine sarei riuscita a provvedere. Era una ragazza molto risoluta tanto che si caricò le due sporte e mi accompagnò a casa percorrendo la strada in senso inverso alla sua direzione. Tentai inutilmente di prestar fede alle mie intenzioni. «L’aiuto non è tale se legato ad un compenso» mi ripeté più volte. Questa è una ragazza venticinquenne, studentessa universitaria di Economia. Che bell’esempio! E ce ne sono tanti di bravi giovani ma sono soverchiati dai fatti negativi che tanto chiasso fanno. Carla Belcredi Voghera
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OLTREPò PAVESE
il Periodico News
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5G in Valle Staffora nel 2022: «Nessuna sperimentazione»» «Ma quale sperimentazione? Sulla vicenda dell’arrivo del 5G in Valle Staffora si è fatta soltanto molta confusione». A intervenire in modo deciso sulla vicenda sono gli amministratori dei comuni direttamente interessati dall’attivazione di un servizio che, contrariamente a quanto si era detto, è tutt’altro che in procinto di entrare in funzione, per lo meno sulle colline oltrepadane. Santa Margherita Staffora, Brallo di Pregola, Val di Nizza e Colli Verdi sono quattro degli otto comuni della Provincia di Pavia in cui la nuova tecnologia per lo scambio superveloce di dati online sarà installata, finiti nell’occhio del ciclone dopo i dubbi sollevati dalle associazioni ambientaliste. Dopo l’allarme lanciato da Legambiente a causa della presunta pericolosità delle onde radio i sindaci dei comuni interessati intervengono per chiarire alcuni aspetti che suscitavano preoccupazione. «La prima cosa da dire è che non è assolutamente vero che saranno posizionate antenne sperimentali nei nostri comuni» chiarisce il sindaco di Santa Margherita Andrea Gandolfi, che di questa iniziativa è stato in qualche misura capofila. Gandolfi, com’è che il 5G arriva in Valle Staffora? «Alcuni mesi fa, essendo in contatto con l’onorevole Elena Lucchini, appresi che Agcom, l’Autorità per le telecomunicazioni, imponeva alle aziende concessionarie del servizio 5G (Tim Vodafone e Iliad) di ampliare l’offerta, oltre che alle città medio-grandi, anche a 120 piccoli comuni italiani, in modo da abbattere il cosiddetto “digital divide” (ovvero il divario nella possibilità di accedere ai servizi di rete tra grandi e piccole realtà ndr). Mi sono quindi informato per capire se c’erano le condizioni per poter far sì che anche le nostre aree svantaggiate potessero beneficiarne, facendo fronte comune insieme ad altri sindaci del territorio». Di questa tecnologia però ancora poco si sa e gli studi scientifici ancora non fugano i dubbi. Non vi siete chiesti se comporta rischi per la salute pubblica? «Ovviamente sì e mi sono premurato in prima persona di parlarne con fonti autorevoli: i vertici di assotelecomunicazioni e Agicom oltre che con i parlamentari Lucchini e Alessandro Morelli.
«Tecnologia pericolosa? Non più di una televisione»
«Nessun pericolo per i cittadini» Andrea Gandolfi
Fabio Tagliani
Franco Campetti
«Niente nuove antenne: si useranno quelle già esistenti occupando le frequenze della tv» Si tratta di una offerta commerciale e non di una sperimentazione. Nessuno “testerà” nulla qui in Oltrepò, anche perché la tecnologia 5G sta già per diventare realtà in città come Roma e Milano mentre sulle nostre colline non entrerà in funzione prima del primo luglio 2022». Come mai questa data? «Perché è la data prevista per lo spostamento di tutte le frequenze televisive dalle antenne al satellitare. Il 5G in Valle Staffora andrà ad occupare quello spazio lasciato libero dalla tv: quindi quelle frequenze che lavorano sui 700 mega herz, e non quelle ben più alte che si trovano nelle grandi città». In altre parole, sta dicendo che il “pericolo” sarà lo stesso rappresentato dalle attuali antenne televisive? «Esatto, dal punto di vista tecnico non cambierà nulla. Da noi è possibile utilizzare queste frequenze più basse, meno potenti, perché ci sono degli spazi aperti molto ampi e quindi il segnale può viaggiare comodamente. Nelle grandi città invece servono moltissimi ripetitori che devono permettere la trasmissioni nonostante i palazzi che fanno da schermo. Sulla pericolosità o meno di quelle onde non mi esprimo perché non sono un tecnico, ma per quanto riguarda la situazione che interesserà i nostri comuni mi sento di rassicurare tutti». Fabio Tagliani oltre che vicesindaco del Brallo è anche dottore in ingegneria elettronica. «L’intensità del campo magnetico lavora in maniera inversamente proporzionale alla distanza» spiega. In altre parole, «un’antenna è pericolosa tanto più è vicina. Sulle nostre colline, oltre i trenta metri è come non averle. I telefonini invece – ammonisce - sono un pericolo maggiore,
anche se nessuno ovviamente lo fa notare. Tenerli attaccati all’orecchio provoca un surriscaldamento dell’orecchio stesso, una sorta di effetto microonde. Mi preoccupa, quello sì, vedere sempre più bambini usare questi apparecchi con troppa disinvoltura». Si è detto che a Brallo sarebbero state installate nuove antenne. Smentisce? «Non ci sono nuove antenne, come spiegato il 5G si appoggerà a quelle già esistenti e utilizzate per il 4G, occupando le frequenze lasciate libere dalla televisione. Un’altra delle falsità che sono state dette è che i comuni riguardati da questa offerta saranno delle specie di “cavie”. Cosa assolutamente non vera: primo perché la tecnologia 5G sta per partire a Roma e Milano e secondo perché, in ogni caso, quella che arriverà da noi si appoggerà a frequenze di tipo diverso rispetto a quella delle grandi città. Nessuno sperimenterà niente sulla pelle dei nostri cittadini». Anche il sindaco di Val di Nizza Franco Campetti rassicura la popolazione e lancia una stoccata alle associazioni ambientaliste, ree a suo dire di aver causato eccessivo allarmismo. «Senza sapere come stavano le cose hanno iniziato a portare avanti delle battaglie che qui da noi non aveva senso fare» attacca. «Le facessero a Roma o a Milano se proprio vogliono, qui il 5G se arriverà arriverà nel 2022, non si capisce quindi proprio dove stiano i rischi per il territorio, visto che da oggi ad allora, se sorgerà qualche tipo di problema relativo alla sicurezza per la salute, avremmo di certo tutto il tempo per prendere provvedimenti o anche bloccare il progetto». di Christian Draghi
Sul caso 5G Assoteleomunicazioni ha emanato un comunicato a fronte delle numerose richieste di chiarimento provenienti dai Comuni della zona. Nel testo, a firma del presidente Pietro Guindani, l’ente ricorda come Agcom abbia posto «specifici obblighi di copertura 5G con frequenze in banda 700MHza favore dei 120 comuni della lista» e come «L’onere di realizzare la copertura sarà a totale carico degli operatori e dovrà avvenire nel pieno rispetto della normativa in materia di edilizia e urbanistica e delle altre leggi in materia, inclusa la normativa in materia di limiti elettromagnetici sul cui rispetto vigilano le Agenzie regionali di protezione dell’ambiente». Assotelecomunicazioi precisa poi che «non si tratterà di una sperimentazione 5G, bensì dell’offerta di servizi commerciali». Dal punto di vista tecnico, si evidenzia come «l’obbligo di copertura non riguarda le frequenze “millimetriche”, ma le stesse frequenze a 700 Mega-Hertz che nel Suo comune sono attualmente già utilizzate da molti anni (probabilmente oltre 30 anni) dalle reti televisive locali, frequenze che le reti televisive libereranno per trasferirne il diritto d’uso agli operatori di telecomunicazioni». Riguardo ai dubbi sugli effetti per la salute pubblica, Assotelecomunicazioni scrive che «l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici delle reti 5G sarà mantenuta entro i limiti vigenti in Italia sin dal 2001, identici ai campi elettromagnetici delle reti 4G, 3G e 2G già in funzione» rimarcando poi che «i campi elettromagnetici 5G non incrementeranno i livelli dei campi elettromagnetici delle reti nel loro complesso rispetto ad oggi, perché la somma dei campi di tutte le reti, antenna per antenna, non dovrà in alcun caso superare la soglia massima consentita». La medesima ricorda poi come « le Agenzie regionali di protezione dell’ambiente (ARPA) effettuano controlli in via preventiva al momento dell’autorizzazione all’installazione degli impianti ed anche successivamente durante l’esercizio delle reti».
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OLTREPò PAVESE
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«La Provincia di Pavia ha le peggiori strade italiane» Le strade oltrepadane, si sa, sono un colabrodo. Pochi lavori di manutenzione e fatti in modo approssimativo, hanno inevitabilmente influito sullo sviluppo economico e turistico della zona. Anche a livello ciclo amatoriale la situazione è peggiorata parecchio negli ultimi dieci anni. A tal proposito abbiamo intervistato Fabio Finotti, 52 anni, costruttore di biciclette artigianali, con 39 anni di carriera agonistica alle spalle. La sua squadra è composta da una settantina di iscritti, cicloamatori e agonisti, che spesso venivano ad allenarsi sulle colline dell’Oltrepò Pavese quando le strade erano ancora praticabili . Finotti, Lei è tortonese ma conosce molto bene l’Oltrepò Pavese. «Io sono originario del pavese e la mia zona attuale è molto vicina alla Provincia di Pavia. La mia squadra conosce molto bene le strade dell’Oltrepò: un paio di scollinamenti e si è subito a Torrazza Coste e Montalto Pavese. Sono tutte strade che abbiamo frequentato durante i nostri allenamenti, di circa tre o quattro ore. Quindi dal tortonese si fa molto presto ad arrivare in Oltrepò». Quando ha iniziato la sua attività agonistica? E quella artigianale? «Ho iniziato a fare agonismo a 11 anni, mentre la mia attività artigianale a 27 anni». Come mai, essendo pavese, ha scelto Tortona per la sua attività? «Ho scelto Tortona per vari motivi: innanzitutto perché qui mi sono sposato, ma soprattutto perché ho capito che questa è una zona strategica, situata in un bivio di autostrade che collegano Genova, Milano, Torino e Piacenza. Quindi è una città facile e veloce da raggiungere da chi proviene da queste zone. Ho iniziato con un piccolo negozio per poi trasferirmi in questo capannone sulla strada principale che porta a Castellania, paese natale di Fausto Coppi». Qual è il suo principale cliente? Il professionista o l’amatore? «Il mio principale mercato riguarda gli amatori e chi pratica cicloturismo. Il professionista cambia la bicicletta quando è rotta, l’appassionato invece la cambia per passione e per gusto. Chi viene da me vuole il massimo della personalizzazione: può scegliere forma e materiale del telaio, materiale di montaggio, colore Tutto quello che vuole in base alla spesa». Quanti unità produce annualmente e in quale mercato? «Circa 300\350 pezzi annui. Vendo direttamente in tutta Italia, mentre il mercato estero è molto saltuario: ho venduto bici in diversi Paesi esteri. Tranne in alcune zone, non ho una rete vendita di importazione e mi occupo direttamente della vendita con il cliente finale. Come azienda produco essenzialmente biciclette da corsa e una piccola parte di
Fabio Finotti, costruttore di biciclette artigianali mountain bike, ma ho anche la rivendita italiano con sua garanzia». Con la sua squadra gira spesso in per alcuni marchi famosi». Come si è evoluta la bicicletta artigianale Oltrepò. Quali sono le principali difficoltà che incontrate? negli ultimi anni? «Una decina di anni fa c’è stata «Essendo di origine pavese io ho sempre elogiato la Provincia di Pavia e il nostro un’evoluzione radicale, passando prima dall’acciaio all’alluminio e poi territorio. Negli ultimi anni incomincio ad aver vergogna. Ho visto una decadenza dall’alluminio al carbonio. L’evoluzione non c’è stata solo nel materiale del paurosa a livello stradale. La Provincia telaio, ma anche nella meccanica e nei di Pavia ha le peggiori strade italiane: noi gruppi: cambi elettronici e freni a disco giriamo diverse province per partecipare alle gare, ma nessuna provincia è di livello idraulici anche sulle bici da corsa. Il problema è che c’è troppa saturazione, peggiore di quella di Pavia. Quando andiamo in strada esiste già troppe bici in commercio. C’è anche una problematica radicale che è quella parecchia confusione sui telai in carbonio commercializzati. Se le persone comprano dell’automobilisti distratti, che non guardando solo il prezzo c’è il rischio che ti vedono o che non mantengono le distanze. Il ciclista, anche se è bravo e acquistino prodotti scadenti, anche se si corretto stando sul ciglio della strada, è tratta di carbonio. Il nostro vantaggio è malvisto dagli automobilisti. A questa che noi, ancora prima di assemblare la bicicletta, facciamo vedere al cliente il problematica si aggiunge quella delle materiale che utilizziamo e gli spieghiamo strade dissestate: quando viaggi devi stare molto concentrato, sia al traffico le differenze tra i vari tipi di carbonio ma anche a non finire nelle buche. utilizzabili». Negli ultimi anni sono capitati da me, in C’è ancora qualche apprendista che vuole imparare l’arte della bicicletta azienda, tantissimi ciclisti che, in seguito artigianale o si fatica a reperire e a cadute, hanno disfatto la bicicletta e si sono fatti parecchio male perché formare manodopera specializzata? impreparati alla caduta. Penso che ci sia «Io sono fortunato ad avere un bravo meccanico, ma non è facile trovare giovani parecchio menefreghismo dalle istituzioni per quanto riguarda questo argomento. interessati. Le aziende grandi ormai utilizzano solo materiale d’importazione, In Provincia di Alessandria non sono tutte perfette, ma c’è un’enorme telai che arrivano dalla Cina già fatti. Il differenza con quella di Pavia. Anche la nostro vantaggio è che noi usiamo solo poca manutenzione viene fatta in modo materiale italiano montato da qui da noi. sbagliato: buttano una badilata di catrame Sono tutti passaggi di artigianalità italiana, nelle buche e poi scappano via. Servono tranne la bassa gamma, che non è Made in Italy, ma importata da un importatore anche dei supervisori che controllino
come viene fatta la manutenzione». In Provincia di Alessandria c’è una maggiore cultura per il ciclismo, sicuramente data dalle origini di Coppi e Girardengo. Quali differenze culturali trova con l’Oltrepò? «Parlando di cultura e pratica del ciclismo, a livello di persone, a dire il vero non noto molta differenza. Per quanto riguarda la questione provinciale e istituzionale sì. La Provincia di Alessandria, per quello che può fare, cura le strade di Fausto Coppi e ha sempre in progetto diverse manifestazioni inerente al settore. Io so che in Provincia di Pavia è diventato molto più difficile promuovere le gare, soprattutto per difficoltà organizzative. L’Oltrepò Pavese, a livello geografico ha un bellissimo panorama. Peccato che non sia curato a livello stradale. Questo sicuramente influisce sul turismo. Anche noi ,come squadra agonistica, abbiamo scelto di non frequentare più l’ Oltrepò perché rischiamo di farci male». Nei bambini e nei giovani nota ancora la passione per il ciclismo su strada? «I bambini purtroppo sono più orientati verso la mountain bike perché il traffico è aumentato e i genitori preferiscono farli divertire su strade poco frequentate. Sono calati anche gli sponsor e quindi è più difficile creare una squadra di bambini e farla seguire da dei tecnici. Si spera che prima o poi qualcuno si impegni a creare qualche struttura idonea per incentivare il ciclismo su strada per bambini». Sappiamo che molti appassionati oltrepadani acquistano biciclette artigianali da Lei prodotte. L’attuale situazione critica delle strade pavesi come ha influenzato questo mercato? «Certo. Proprio perché le strade sono impraticabili è cambiato anche il tipo di bicicletta richiesto dal cliente. Ora c’è una maggior richiesta delle “gravel”, una via di mezzo tra la bici da corsa e quella da ciclocross: hanno gomme più larghe per ammortizzare meglio le buche e i tagli dell’asfalto. Ma si è anche abbassato il livello della qualità richiesta: ora si tende a spendere meno e non acquistare più la “superleggera” da seimila euro, ma quella da mille-millecinquecento euro, più pesantina ma con le ruotone che danno maggior sicurezza e stabilità. Questa problematica ha peggiorato tutto, abbassando il livello dalla qualità richiesta dal cliente». Territorialmente parlando pensa che sarà un continuo peggioramento o c’è una controtendenza? «Ultimamente ho visto qualche segnale: già al Greenway da Voghera a Salice è stato un buon passo in avanti. Girano voci che verrà finalmente prolungata fino a Varzi. E’ un segnale positivo, sempre se avrà la giusta manutenzione e cura. Poi si spera che la Provincia di Pavia finalmente “ritorni in carreggiata”. di Manuele Riccardi
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“Oltrepò drink twist”
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Rivisitiamo i COCKTAIL d’autore con i prodotti del nostro TERRITORIO
di Emanuele Firpo «Sono grato di questo incarico, di solito mi invitano a tacere […]». Primo appuntamento legato al magico mondo della miscelazione, al quale abbiniamo la naturalezza e l’esclusività dei prodotti tipici firmati Oltrepò Pavese. Il clima è ancora summer style e perché non iniziare con un buon MOJITO, simbolo incontrastato dei mesi estivi e del caldo, un drink fresco e dissetante con quella nota pungente donata dalla mentuccia. “Sbarcato” in Europa da poco più di una quindicina d’anni, il Mojito ha origini ben lontane e soprattutto ha alle spalle una storia affascinante che si intreccia tra corsari e pirati britannici, nobili regine e i “Cimarroni” (detti Maroon), schiavi africani scappati dalle piantagioni di zucchero che ebbero una forte influenza sull’invenzione di questo drink, parliamo degli anni Settanta del XVI secolo. Quando sorseggiate un buon Mojito chiudete gli occhi e immaginatevi quel veliero dove, con tutta probabilità, il meno incazzato a bordo era quell’avventuriero che miscelava ingredienti facilmente reperibili per un pirata: zucchero, lime (limetta), spiriti e una varietà di menta locale conosciuta come hierba buena che cresceva naturalmente nei campi di canna da zucchero. Allora veniva chiamato “El Draque” (il Dragone) nome dato al britannico Sir Francis Drake durante le sue traversate ai Caraibi. Solo dopo tre secoli l’autore cubano Ramon de Palma ne parlò nella sua storia del 1838 “Il colera a l’Havana” quando scrisse: “Io mi prendo tutti i giorni alle undici il mio Draquecito e mi fa sentire benissimo”. Passarono ancora un centinaio d’anni quando i cantineros dell’Havana iniziarono a servire questo drink, per la prima volta ben ghiacciato e nominato Mojito. Molti hotel e bar tra i più in voga abbracciarono il Mojito nei
IL MOJITO CON IL BUTTAFUOCO! PERCHÉ NO? primi decenni del XX secolo. Ma furono le mani di Angel Martinez alla Bodeguita del Medio e un testimonial del calibro del romanziere Ernest Emingway a trasformare il drink in una leggenda internazionale. Torniamo ai giorni nostri, oggi il Mojito è un drink codificato e prevede in ricetta il succo di mezzo lime, 3 germogli di menta fresca, 2 o 3 cucchiai di zucchero di canna (io lo preferisco grezzo perché ha un sapore più speziato), rum bianco cubano, ghiaccio e soda. Abbiamo deciso di provare, e di farvi provare, una variante, un twist come si dice in gergo, utilizzando vini del territorio in sostituzione al distillato cubano. L’Oltrepò vanta numerose etichette, con proprietà organolettiche differenti, e la scelta oggi va al PINOT NERO VINIFICATO IN BIANCO ed al BUTTAFUOCO. Otterremo così due versioni differenti per colore e per sapore. Ecco le ricette dei cocktail e la guida passo a passo per provarli a casa: PINOT NERO MOJITO Ingredienti: - il succo di mezzo lime maturo (i lime maturi sono più chiari e morbidi rispetto a quelli acerbi) - tre germogli di menta fresca - due o tre cucchiai di zucchero di canna grezzo - mezzo bicchiere di Pinot Nero Vinificato in bianco
- sei chicchi di uva bianca senza semi - ghiaccio Preparazione: in un bicchiere da bibita spremete mezzo lime, aggiungete le foglie di menta avendo cura di non strofinarla troppo sui polpastrelli, inserite lo zucchero e versate metà del vino bianco Pinot Nero, mescolate bene per far sprigionare gli aromi della menta e far sciogliere lo zucchero ed inserite i 3 chicchi di uva bianca senza semi schiacciandoli tra due dita per far uscire la polpa; riempite di ghiaccio il bicchiere e colmate con il vino rimasto. Decorate con tre chicchi di uva ed un ciuffetto di menta. Il drink risulterà amabile ma con note amarognole date dal vino. Ideale come aperitivo ma anche, dato il basso tenore alcolico, abbinato ad un pasto. BUTTAFUOCO MOJITO Ingredienti: - il succo di mezzo lime maturo (i lime maturi sono più chiari e morbidi rispetto a quelli acerbi) - sei foglie di basilico fresco - due o tre cucchiai di zucchero di canna grezzo - mezzo bicchiere di Buttafuoco - tre chicchi di uva nera - un quarto di pesca matura - ghiaccio Preparazione:
in un bicchiere da bibita spremete mezzo lime, aggiungete le foglie di basilico, lo zucchero e versate metà del vino Buttafuoco, mescolate bene per far sprigionare gli aromi del basilico e far sciogliere lo zucchero ed inserite la polpa di mezza pesca matura privata della buccia e precedentemente schiacciata con un cucchiaio; riempite di ghiaccio il bicchiere e colmate con il vino rimasto. Decorate con tre chicchi di uva nera, una fettina di pesca due foglie di basilico. Alla vista il drink ricorderà una sangria ma con un sapore più deciso, dato dal Buttafuoco, ed un profumo di basilico che lo distaccherà parecchio dal drink dei cugini ispanici. Potete optare per un vino frizzante a bassa gradazione per accompagnare grigliate con gli amici oppure un Buttafuoco fermo con importante gradazione per i dopo cena all’insegna di un sano divertimento. Cheers! Grigliate e convivi a parte i drink di oggi si abbinano bene anche alla torta di mandorle Varzi e a crostate con marmellata di pesche del territorio. Anche se i drink proposti oggi hanno un tenore alcolico basso per preservare la tua lucidità consumali sempre a stomaco pieno e non far mancare, di tanto in tanto, un sorso di acqua fresca. DEGUSTARE UN COCKTAIL È UN PIACERE… SE TI PERDI CHE PIACERE È?! DRINK RESPONSIBLY. Ci vediamo il prossimo mese con...
Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme.
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GODIASCO SALICE TERME
SETTEMBRE 2019
Fofana, un po’ sarto e un po’ scrittore: «Sogno l’iscrizione come artigiano» Il trentenne ivoriano Karamoko Fofana, residente a Salice Terme da ormai tre anni, è entrato nel cuore di molti suoi concittadini, e non solo. Di lui possiamo dire che non sia stato per un minuto soltanto con le mani in mano, da quanto è giunto in Italia. Ha lavorato per qualche tempo come giardiniere, non esitando quindi a sporcarsi le mani; ma ha iniziato a farsi conoscere sempre di più grazie al suo mestiere di sarto. Un mestiere che in Italia sta quasi scomparendo e sul quale lui, invece, punta molto. A spingerlo in questa direzione sono stati due amici, Daniela Pini e Alberto Sorrentino, che hanno accolto con simpatia Karamoko fin dal suo arrivo e si sono impegnati per favorirne l’integrazione. Uno sforzo congiunto e coadiuvato da tanti amici, culminato nel recente rilascio di un inatteso quanto meritato permesso di soggiorno quinquennale a favore del giovane. “Il Periodico’’ ha raccontato la storia di questa amicizia nel numero di ottobre 2018, proprio con un’intervista a Daniela Pini, che aveva parlato dell’incontro sui banchi di scuola con l’ormai ex migrante e dei suoi primi approcci con l’attività sartoriale qui in Italia. Karamoko Fofana ha appreso le basi del mestiere nel suo paese natale, dove tuttavia sono diffusi canoni di abbigliamento molto diversi rispetto alle nostre latitudini. Evidentemente il talento non ha confini, almeno in questo caso. “Fofa”’, nel frattempo, è riuscito anche ad apprendere un ottimo italiano e ad ottenere la licenza media. E, soprattutto, ha trovato il tempo di scrivere un diario. Questa autobiografia, sua ‘’opera prima’’, è stata inviata all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), dove è stata molto apprezzata all’interno di un concorso: si è classificata, infatti, al secondo posto. È stato appena pubblicato un volume con i racconti più interessanti (dunque anche quello di Fofana), accomunati da un minimo comun denominatore: il tema della migrazione. Il libro si intitola ‘’Se il mare finisce...’’, è edito da Terre di Mezzo e può essere reperito su tutti i principali portali online. La presentazione ufficiale a Pieve Santo Stefano ma è in previsione una serata anche a Voghera per parlare non soltanto del volume neo-edito, ma anche dell’Archivio Diaristico, un’istituzione nata per ‘’rispondere all’esigenza di memoria di un intero Paese e accogliere le testimonianze autobiografiche di un intero popolo’’. Oggi raccoglie oltre 8.500 fra diari, scambi epistolari e testi autobiografici di varia natura. Fra cui, appunto la storia di Karamoko Fofana. Come le è venuta l’idea di questo diario?
Karamoko Fofana, ivoriano, residente a Salice Terme da ormai tre anni
«All’inizio l’idea del diario non era nata per partecipare a questo concorso. All’inizio dovevo solo scrivere le mie giornate, perché facevo le lezioni con Daniela prima di andare a scuola. Era per imparare a scrivere in italiano senza errori di ortografia. Così, poco a poco. Poi Alberto ha visto su internet la locandina del concorso e ne ha parlato con Daniela... e lei mi ha detto: piuttosto che scrivere le tue giornate e basta, ti va di partecipare a un concorso e scrivere della tua vita prima di arrivare qui in Italia? Quando lei me ne ha parlato io ho detto subito di sì.» È stato facile per lei scrivere? «Allora andavo a scuola. La mattina facevo le lezioni con Daniela, poi andavo a scuola. Nel tempo che mi restava, sul pullman, scrivevo la mia storia su un tablet che mi aveva dato sempre Daniela. Il giorno, quando tornavo, facevamo le correzioni. Poi, visto che il tempo per
consegnare la storia si avvicinava un po’ troppo, abbiamo iniziato a lavorare insieme anche la sera, dopo la scuola. Quando tornavo, andavo a casa a lasciare le mie cose e poi passavo da Daniela a scrivere il seguito della storia. Alla fine Alberto, con il suo computer, mi ha aiutato a terminare il lavoro.» Di quante pagine consiste il lavoro finito, poi pubblicato nel libro? «Diciassette pagine.» Dopo l’invio del lavoro cosa è accaduto? Come ha saputo dell’esito? «La scadenza era a giugno dell’anno scorso, dopo un mese è arrivata la notizia che ero tra i finalisti. Siamo andati alla presentazione del libro con i racconti dei vincitori dell’anno prima; è in quella sede che si presentano i vincitori dell’anno in corso. Hanno iniziato a leggere l’elenco...» … e non si aspettava di essere tra i prescelti!
«In Costa d’Avorio avevo iniziato a fare il mestiere di sarto dal 2005 e ho continuato fino al momento in cui sono partito per venire qui, nel 2016»
godiasco salice terme «Sapevo che ero finalista, ma non sapevo che la mia storia sarebbe stata pubblicata. Hanno iniziato a nominare i diari dei minorenni che erano stati scelti, che erano tre, poi hanno nominato le ragazze, poi tutti gli altri e anche io. Avevo pensato di essere lì solo per assistere alla premiazione e poi di tornare a casa. E quando ho sentito il mio nome, mi sono guardato intorno un po’ spaesato...» Senza rivelare troppo, per non rovinare il piacere della lettura a chi volesse procurarsi il libro... vuole raccontarci di cosa parla il diario? «Il diario parla della mia vita, della mia famiglia, di quando ero bambino e via via delle cose che mi sono successe. La malattia della mia mamma, poi quando lei è morta, e la situazione generale del nostro paese, la Costa d’Avorio. Ma anche di come vivono lì le persone. Poi di quando ho deciso di venire in Italia e il mio viaggio. Di quando sono arrivato a Palermo, e come la mia situazione è cambiata poco a poco.» Parliamo allora di questi cambiamenti. Ho saputo che lei ha iniziato a lavorare come sarto. Uno di quei mestieri che in Italia stanno un po’ scomparendo. Come è nata questa idea? «Il discorso del lavoro è iniziato dopo che ho superato l’esame terza media. Alberto e Daniela mi hanno regalato una macchina da cucire. Questa macchina è rimasta lì ferma una o due settimane, poi un amico mi ha dato la stoffa per fargli un pantalone e da quel pantalone è iniziato tutto. Il pantalone è piaciuto.
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Poi ho conosciuto un’altra amica, che era venuta a fare le vacanze a Salice. Mi hanno chiesto di cucire un regalo per il suo compleanno. Ho fatto una borsa a zaino. Io non avevo mai fatto uno zaino…» Ma lei già nel suo paese di origine praticava questa attività? «In Costa d’Avorio io avevo iniziato a fare il mestiere di sarto dal 2005 e ho continuato fino al momento in cui sono partito per venire qua, nel 2016.» Lavorava in proprio o per qualche azienda locale? «Lavoravo con un ragazzo, più grande di me di 10 anni.» E come mai non è ripartito subito da quanto interrotto in Costa d’Avorio? «Quando io sono arrivato qui non era per fare il mestiere di sarto, pensavo di fare altri lavori. Per quello avevo parlato poco del mio lavoro di sarto. Però adesso mi piace molto. È la cosa che mi piace di più, perchè sono le persone che mi danno l’ispirazione e sono io a decidere come fare gli abiti!» Perché non ne aveva parlato? «Perché quello che avevo imparato in Costa d’Avorio non immaginavo che potesse piacere qui. Avevo immaginato di non poter vivere di quello che avevo imparato. Qui ci sono abiti diversi. Tutto quello che faccio qui, in Costa d’Avorio non lo facevo.» Dove trova l’ispirazione? C’è qualche modello a cui si ispira? «Se uno mi dice: ‘’Vorrei così’’, io capisco un po’ l’idea e poi, quando sono sulla stoffa, mi viene in mente come fare. Tante
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Il sarto ivoriano di Salice Terme: «Sono le persone che mi danno l’ispirazione» volte le persone mi fanno vedere un modello e io, lì per lì, non so come fare; ma poi metto le mani sulla stoffa e tutto mi viene. Una bambina non riusciva a trovare il vestito che le piaceva... la mamma descriveva come lo voleva, ma la bambina non era d’accordo. Allora le ho detto: “Disegnalo tu”’. Ha fatto un disegno e io l’ho realizzato, e la bambina era così contenta che ne ha parlato con una sua amica e anche lei ha voluto un vestito!» Quali capi le richiedono, principalmente? «Abiti, giacche, pantaloni, borse, zainetti. Ho fatto anche fodere per le sedie e per i cuscini, per le poltrone. Ho cucito anche coperte per cavalli e un cappotto per un cane.» Come si è fatto conoscere? «Ho partecipato a diversi mercatini. Una volta a Mezzana Bigli, a Bagnaria, a Varzi, a Casalnoceto, a Retorbido, e poi soprattutto a Volpedo.» E adesso come procede l’attività? «Lavoro grazie al giro nei mercatini, dove
ho conosciuto tante persone che hanno preso il mio numero di telefono, e poi con tanti amici che fanno passaparola. Le persone mi portano il lavoro da fare e io sono molto impegnato, e non riesco più ad andare al mercato di Volpedo.» Quale pensa sia il suo punto di forza? «Più la fantasia. La cosa bella è che ho tante stoffe, che uso per provare le cose che mi vengono in mente, e se va bene quello che ho pensato la stoffa si trasforma in un modello.» Le sue creazioni sono soltanto pezzi unici o le è capitato di produrre anche qualche cosa di seriale? «Per la maggior parte del tempo sono cose diverse.» Questa attività è un po’ agli inizi, perché è da un annetto che la porta avanti; quindi, al momento, possiamo parlare più di un hobby che di altro. Ma le piacerebbe diventasse un lavoro a tempo pieno? «Sì, è quello che ho in mente. Quello che sogno è l’iscrizione come artigiano o di aprire una partita IVA.» di Pier Luigi Feltri
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Sfumato contributo regionale da 100mila euro «Milanesi ci dovrà spiegare cosa è successo» Un contributo regionale da 100mila euro sfumato per un’inadempienza burocratica, un maxi investimento per il nuovo stadio e la decisione di andare in minoranza nel nuovo direttivo della Comunità montana. Il capogruppo di opposizione del Comune di Ponte Nizza Giuseppe Daglia non le manda a dire all’amministrazione ma neppure al sindaco della vicina Cecima e a poco più di tre mesi dall’inizio del Pernigotti bis parte all’attacco per evidenziare quello che non va. A cominciare dal bando regionale “perduto”, molto sostanzioso, che sarebbe servito a finanziare il potenziamento della videosorveglianza nei comuni dell’Unione “Terre Malaspina” di cui, oltre a Ponte Nizza, fanno parte anche Cecima e Val di Nizza. Daglia, iniziamo dalla doccia fredda ricevuta dalla Regione appena prima di Ferragosto: vi è stato ritirato un contributo molto importante, 100amila euro che per i piccoli comuni non sono certo bruscolini. Cosa è successo? «Ma quale doccia fredda! Il Bando di Regione Lombardia prevedeva un termine perentorio entro il quale andava rendicontata la realizzazione del progetto, con l’inoltro a Milano, tramite la piattaforma “Bandi on line”, di tutta la documentazione. Purtroppo l’invio nei termini non è avvenuto. Si è corso poi ai ripari, chiedendo una proroga di ben tre mesi, a dimostrazione di quanto fossero indietro i lavori. Proroga che è stata puntualmente rigettata da Regione Lombardia perché sostenuta da fatti non riconducibili ad una volontà estranea all’Unione dei Comuni Lombarda Terre dei Malaspina. Più evidente di così». Il presidente dell’Unione e sindaco di Cecima Andrea Milanesi ha attribuito la responsabilità all’errore di un funzionario comunale. Come può essere accaduto? «Ce lo spiegherà Milanesi. Il nostro gruppo consigliare ha presentato una corposa interpellanza che verrà discussa nella prossima seduta del Consiglio dell’Unione.
«Un grave danno per le casse del Comune e dell’Unione»
Giuseppe Daglia, capogruppo di opposizione del comune di Ponte Nizza
300mila euro per lo stadio e minoranza in Comunità montana: «Gravi errori dell’Amministrazione» Nella stessa, oltre a mettere in evidenza che è responsabilità del Legale rappresentata dell’Ente, quindi del Presidente, il rispetto della scadenza perentoria prefissata dal Bando per la rendicontazione, abbiamo chiesto quali provvedimenti l’Amministrazione adotterà nei confronti del funzionario qualora siano accertate delle responsabilità in merito. In ogni caso è evidente la responsabilità politica-amministrativa del Presidente e della Giunta dell’Unione di cui è componente anche il Sindaco di Ponte Nizza». Crede che ci saranno gravi ricadute sui conti del Comune e dell’Unione a causa di questo ammanco? Risulta tra l’altro che dovrete restituire anche l’anticipo ottenuto. «Purtroppo sì. L’esito negativo della vicenda rappresenta una vera e propria mazzata per le esigue risorse dell’Ente. L’amministrazione dovrà ora adottare i dovuti provvedimenti. Nella revoca del finanziamento Regione Lombardia ha decretato, non solo di ridurre l’impegno nei confronti dell’Unione per un importo pari a quarantaquattromila euro, anche di sta-
bilire il termine del 30 novembre 2019 per la restituzione dell’acconto ricevuto. Peggio di così». Parliamo di Ponte Nizza. Le elezioni hanno premiato ampiamente il sindaco uscente e suo avversario Tino Pernigotti. Qualche mea culpa da recitare? «L’esito delle elezioni era abbastanza scontato. Nei piccoli Comuni, salvo casi eccezionali, l’Amministrazione uscente è sempre in vantaggio e tendenzialmente viene confermata. La nostra lista, a parte il sottoscritto, unico consigliere uscente, era costituita da un gruppo completamente nuovo. Penso che abbiamo fatto una buona campagna elettorale, dei buoni comizi, esponendo serenamente il nostro programma. Andare casa per casa, confrontarsi con le persone, ascoltare le loro istanze, è stata una bellissima esperienza già di per se sufficiente ad appagare ogni sforzo. Ho avuto l’onore di guidare un gruppo di persone eccezionale che ringrazio per la loro disponibilità ed il loro impegno. L’obbiettivo di creare una lista e un gruppo antagonista in ogni caso è stato raggiunto. Nessun rimpianto. Più di così
non si poteva fare». Si direbbe che la gente abbia apprezzato e premiato l’operato del sindaco uscente. Condivide le linee guida e il programma presentato dalla nuova maggioranza? «L’esito delle urne, in un contesto democratico, va sempre rispettato. Ci mancherebbe altro. Tuttavia, fatto salvo alcuni interventi, non condivido l’operato precedente, né quello programmato da parte della maggioranza. Ad esempio i trecentomila euro messi a bilancio per la realizzazione del nuovo stadio, li considero alquanto fuori luogo. Esistono altre priorità. A ciò aggiungiamo anche l’infelice scelta politica di andare in minoranza all’interno del Consiglio della Comunità Montana, con tutto ciò che ne conseguirà per il nostro Comune. Il problema, però, non è soltanto il programma ciò che più mi preoccupa è il modo di amministrare la cosa pubblica che questa amministrazione ha fatto proprio». Quali sono secondo voi le priorità per il paese di Ponte Nizza? «Sicuramente porre rimedio all’emergenza cimiteri. Un intervento sostanziale e profondo per riqualificare strade e cunette, ormai in molti tratti praticamente inesistenti, e gli alvei dei torrenti. Mantenere in ordine il territorio delle frazioni e non solo il centro del paese. Risolvere i numerosi problemi legati all’acquedotto e alla rete fognaria. Durante la campagna elettorale ho avuto occasioni di vedere cose alquanto sconcertanti al riguardo. Riqualificare, finalmente, l’edificio e l’area attinente l’ex stazione della ferrovia Voghera-Varzi. E soprattutto ci vuole sviluppo economico». Lei è favorevole o contrario alle fusioni? «Personalmente mi sono sempre dichiarato favorevole. Devo constatare purtroppo che il tema sembra avere perso interesse, e non solo tra gli amministratori, anche nell’opinione pubblica». Nonostante la sconfitta elettorale pensa di continuare il suo mandato in consiglio fino alla fine? «Assolutamente si. Abbiamo ricevuto un mandato dagli elettori ed è nostro dovere portarlo fino in fondo. Il nostro gruppo è uscito dall’esito elettorale ancora più forte, unito, coeso e determinato a portare avanti la propria azione amministrativa. Oltre al sottoscritto, sono stati eletti come consiglieri due giovani promesse, Simone Domenichetti e Mattia Trovata. Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che ci hanno sostenuto in campagna elettorale. In modo particolare gli ex consiglieri uscenti Luciano Domenichetti e Donato Ghiozzi per l’impegno profuso in tanti anni di amministrazione». di Christian Draghi
VARZI
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«Ospedale ai minimi termini, la giunta fa finta di niente» Anche se indebolita dalla defezione di uno dei suoi elementi, la minoranza varzese capitanata da Mariarosa Rebollini non si sfalda e punzecchia la giunta Palli: «Per ora vive di rendita e spot in cui fa credere alle persone che la situazione sia molto migliore di quella reale» attacca la capogruppo della lista “Partecipiamo per Varzi”. Primo nodo del contendere è l’ospedale di Varzi, la cui situazione è stata anche oggetto di un’interpellanza. «L’amministrazione lo celebra come un fiore all’occhiello, come se il fatto di averne scongiurato la chiusura bastasse a renderlo funzionante, ma la verità è che la situazione del Ss.Annunziata è critica». Che cosa non funziona? «I servizi sono ridotti ai minimi termini. Nei mesi estivi il reparto sub acuti è chiuso, con soli quattro posti letto ricavati nel reparto di medicina interna, con conseguente diminuzione della capienza anche di quest’ultimo. è poi impossibile prenotare visite specialistiche per via telefonica contattando direttamente l’ospedale, bisogna altresì passare attraverso il numero verde del Cup, procedura che crea non pochi disagi alle persone anziane che rappresentano il nucleo dell’utenza dell’ospedale. I tempi di attesa per visite ambulatoriali sono lunghissimi, mentre per fare un normale ecodoppler bisogna recarsi a Voghera. In sostanza, la funzionalità della struttura è ridotta ai minimi termini». Certo, però la responsabilità non può essere attribuita all’Amministrazione. Casomai, all’Asst… «Vero, ma questo non solleva la giunta dalla responsabilità di vigilare e muoversi presso gli enti competenti per salvaguardare la struttura. Invece gli interpellati non rispondono, con un atteggiamento che lascia intendere che le cose vanno bene. Dà fastidio il fatto che si possa pensare di poter far credere alla gente ciò che si vuole».
«La Sei giorni di Enduro? Dubito porterà reali benefici al nostro territorio»
«La nostra sconfitta? Palli erano due anni che lavorava per diventare sindaco...» Mariarosa Rebollini, capogruppo di minoranza
«Bonifica della ex Valle Staffora srl di Carro: Quali i piani dell’Amministrazione?» Riguardo all’operato della giunta in questi primi mesi cosa si sente di dire? «Che al momento si vive di rendita su quanto già c’era prima». L’intervento su piazza della Fiera non la convince? «Mettere un senso unico e cambiare la disposizione dei parcheggi non è certo la soluzione che rilancerà Varzi!». Neanche la creazione dell’area per i cani e quella dedicata al fitness giudica positivamente? «Non mi fraintenda, sono tutte piccole iniziative che vanno bene, per carità, ma i temi importanti sono altri e non ho sentito l’amministrazione farvi cenno». A cosa si riferisce? «Faccio un esempio: si parla di rilancio turistico ma poi nessuno dice nulla se per tutto agosto non esiste un autobus che porti la gente da Varzi a Pavia. C’è il Pavia - Varzi, ma poi nessuno può ritornare. Oltre a quello dell’Ilva c’è poi il tema della bonifica dell’area in cui sorgeva la ditta Valle Staffora Srl nella frazione di Carro. La Regione aveva stanziato 650mila euro per questo intervento, ma non risulta ancora nessun bando di gara. è indispensabile riprendere i contatti con dei funziona-
ri regionali competenti. Sono temi di cui l’Amministrazione non parla». La vittoria elettorale di Palli però è stata netta. 70% contro il suo 30%. Non ci sono molti margini per discuterla. Qualche mea culpa da recitare? «La vittoria di quella lista era ampiamente pronosticata. Noi siamo partiti molto tardi, mentre Palli erano praticamente due anni che lavorava per ottenere questo risultato». Com’è lo stato di salute della sua squadra? Angelo Varni, il più votato della sua lista, vi ha lasciato per formare un gruppo suo, per ora in solitaria. Cosa è successo? «Bisognerebbe chiederlo a lui. Ci ha lasciato comunicandocelo via whattsapp il giorno dopo un consiglio comunale in cui tra l’altro aveva votato con la maggioranza mentre la nostra linea era l’astensione. Ognuno è libero di agire secondo coscienza, ma sarebbe stato meglio discuterne insieme prima». Un’idea del perché se ne sia andato però dovrà ben essersela fatta…. «L’unica frizione che avevamo avuto riguardava la nomina del cda della Fondazione San Germano. Per regolamento un
posto va assegnato all’opposizione e lui avrebbe voluto la nomina dato che era il consigliere che aveva preso più voti. Io però conosco molto bene quell’ambiente avendo il marito che ci lavora e la madre che è stata lì ricoverata. Ho pensato che potrei dare un buon contributo e poi, dopotutto, la candidata sindaco, quella che ci ha messo la faccia dall’inizio, sono stata io». Ora che cosa si aspetta che succeda? «Spetta al sindaco nominare il cda. Io mi candido per rappresentare la minoranza, se poi lui deciderà per qualcun altro ci sta ma dovrà spiegare bene questa scelta». Su quale tema darete battaglia nelle prossime settimane? «Premetto che il termine “battaglia” mi piace poco, preferisco dire che punteremo l’attenzione sulla sei giorni di enduro, il campionato mondiale di moto che arriverà a Rivanazzano Terme il prossimo agosto». Siete contrari all’evento? «Non diciamo no a prescindere, sia chiaro. Quello che non ci piace è la mancanza di informazioni. Manca ancora un anno, è vero, ma per i tempi organizzativi di questi eventi è già poco.e qui non si sa nulla: qali saranno i tracciati, chi arriverà e dove starà, quali territori saranno interessati ma soprattutto chi pulirà dopo?». Pare di capire che la manifestazione non vi convinca troppo… «Dubito soltanto che porterà reali benefici al territorio. Credo che difficilmente vedremo ricadute positive per la nostra economia, non fosse altro che mancano le strutture recettive per ospitare una simile mole di persone. In compenso si sa già che l’impatto ambientale sarà notevole e senza garanzie. Sarebbe ora di sedersi a un tavolo e scoprire le carte su questa manifestazione». di Christian Draghi
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Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO
MILLEFOGLIE DI PATATE E FUNGHI PORCINI Ingredienti per 2 persone (2 millefoglie): 2 patate a pasta gialla della valle Staffora di media grandezza 20 g di funghi porcini secchi 50 g di caciotta di Casanova Staffora 1 rametto di maggiorana olio extravergine d’oliva sale e pepe
Patate gialle della Valle Staffora e funghi porcini di Gabriella Draghi
La patata, nome scientifico Solanum tuberosum, è il tubero di una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle solanacee, di cui fanno parte anche le melanzane, i peperoni ed i pomodori. è un prodotto di stagione a settembre in quanto, in tutto l’Oltrepò, le patate vengono raccolte nel mese di agosto e, tra la fine di questo mese e settembre, si tengono le varie sagre della patata ad Oriolo e a Brallo di Pregola dove ha ricevuto la denominazione De.co. In alta valle Staffora c’è tradizionalmente una notevole produzione di patate molto pregiate per le caratteristiche pedoclimatiche della zona. Il clima e un’altitudine compresa fra 400 e 1600 metri sul livello del mare garantiscono un’escursione termica diurna ideale per questo tubero. Originaria dell’America, la pianta giunse in Europa nel XVI secolo e si diffuse, diventando uno dei vegetali più coltivati. Oggi ne esistono più di 2000 varietà suddivise in due grandi gruppi, ovvero quelle a pasta bianca, farinose e adatte alla preparazione di purè e gnocchi, e quelle a pasta gialla (comprendenti anche le famose
patate viola), più compatte, e quindi adatte a varie preparazioni di cucina. Il suo contenuto proteico è modesto, è ricca di vitamine del gruppo B, vitamina C e sali minerali come rame, ferro, cromo e magnesio, mentre il carotene, contenuto in discreta quantità, ne determina, a seconda della sua minore o maggiore presenza, la colorazione gialla più o meno intensa. Una regola da ricordare assolutamente quando si parla di patate è quella di non mangiarle mai crude. Questo perché nelle patate è contenuta in piccola parte la solanina, un alcaloide tossico presente anche nelle melenzane, che però può essere ridotto di oltre il 50% tramite il processo di cottura. A tal proposito è utile conservare i tuberi in locali non illuminati, eliminando periodicamente i germogli che tendono a formarsi in superficie: è proprio lì che si concentra la presenza di solanina. Facilmente digeribili ed assimilabili, le patate sono infine prive di glutine e colesterolo. Sono costituite al 77% di acqua, contengono buone dosi di carboidrati complessi, favoriscono l’aumento della serotonina cerebrale (e quindi migliorano l’umore) e sono in grado di neutralizzare i succhi gastrici. Non a caso sono spesso
raccomandate a coloro che soffrono di ulcere gastriche e bruciori di stomaco. Utilizzeremo le patate gialle della valle Staffora per la ricetta di questo mese in abbinamento ai funghi porcini di cui sono ricchi i nostri boschi e prepareremo un piatto molto gustoso, economico e di grande effetto. Come si prepara: Per prima cosa mettiamo a bagno in una ciotola i funghi porcini secchi. Sbucciamo le patate e le tagliamo a fettine molto sottili utilizzando una mandolina. Portiamo ad ebollizione un tegamino d’acqua, aggiungiamo un cucchiaino di sale grosso e sbollentiamo le fettine di patata per circa 2 minuti. Scoliamo le fettine utilizzando una schiumarola e le mettiamo a raffreddare su di un piatto. Mettiamo due cucchiai d’olio extravergine d’oliva in una padella, scoliamo i funghi e li rosoliamo per qualche minuto aggiungendo qualche fogliolina di maggiorana. Siamo ora pronti per preparare la nostra millefoglie. Scaldiamo il forno a 200°C. Utilizziamo una placca ben unta con olio d’oliva e , aiutandoci con un coppa pasta grande facciamo un primo strato di patate, mettiamo un po’ di funghi e una fettina sottile di ca-
Gabriella Draghi
ciotta, copriamo con altre fette di patata, ancora funghi e formaggio e continuiamo così fino a formare 4 strati, terminando con le patate. Mettiamo in cima 2 fettine di funghi e un cubetto di formaggio. Prepariamo allo stesso modo la seconda millefoglie, irroriamo con l’olio e inforniamo per circa 20 minuti. Estraiamo le nostre millefoglie fragranti e dorate e le adagiamo sul piatto, guarnendo con un rametto di maggiorana. Buon appetito!
MONTESEGALE - 25° FIERA DI SAN DAMIANO
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A Montesegale si respira l’idea del Medioevo Qui, tra le verdi colline dell’Oltrepò pavese, si respira l’idea del Medioevo. Non solo perché il castello del XII secolo domina il paese e le sue 21 frazioni, piccole contrade, ancora protagoniste, come e più che a Siena di rivalità e sfide. Il Medioevo c’è nel paesaggio, ancora incontaminato, figlio del “non sviluppo” di questo territorio, nel torrente Ardivestra che scende spesso impetuoso a valle oggi come allora, quando il castello ospitava quattrocento fanti e duecento cavalieri, nel 1322, gli anni del suo massimo splendore. La storia che conta del borgo comincia ben prima di Federico Barbarossa, ma certo è che l’imperatore concesse a Pavia questi territori ai conti palatini. Successivamente a un ramo dei conti palatini, la famiglia Gambarana, spettò il castello che, con alterne fortune rimase di proprietà dei discendenti di questa nobile casata fino alla fine dell’800, per arrivare poi dopo numerosi passaggi di proprietà all’imprenditore Ruggiero Jannuzzelli che ne ha fatto la sua residenza riportandolo con importanti lavori di restauro all’antico splendore. Dall’alto del castello la vista spazia a 360 gradi dominando verdi colline, filari di uva, campi coltivati e terreni adibiti a frumento che riportano al nome originale del paese: in passato il territorio era seminato con piante graminacee tra cui la segale da cui deriverebbe il nome del Comune. La presenza di un castello così ricco di storia ha positivamente influenzato il comune aggiungendo alla ricchezza del paesaggio una tradizione d’arte incomparabile: mostre, premi, rassegne, soggiorni di pittori, scultori, convegni e opere rimaste a segnare il territorio. Una delle ultime “tracce d’artista” è il Dolce far nulla, opera del pittore Omar Hassan. Una panchina dipinta dal giovane artista e collocata in un punto dal panorama straordinario, allo scopo di celebrare La Natura. La “panchina degli innamorati” domina così i 1.483 ettari del territorio che ha un’altitudine variabile tra i 224 ed i 560 metri. Posto in provincia di rientra tra i 19 comuni che fanno parte della Comunità Montana dell’Oltrepò pavese e tra i 15 comuni che possono produrre il salame D.o.p. di Varzi. Disseminate tra queste belle colline ecco le numerose frazioni che compongono il Comune di Montesegale. A fondovalle, lungo l’Ardivestra troviamo Balestrero, Cà Fracce Fornace, Case del Molino e Cà Varni. Tra i colli emergono invece tutte le altre località come Bregne, Cà Biotto, Camolino, Castignoli, Cencerate, Frascate, Languzzano, Molino della Montà, Poggio, Pogiolo, Poggio Rajone, Sanguignano, San Vittore, Borianco, San Damiano e Zuccarello. Tre sono le chiese principali: a Languzzano la parrocchiale dedicata a Santa Maria
Annunziata; a Sanguignano la chiesetta della Natività di Maria Vergine mentre lungo la strada provinciale che collega Montesegale alla Val di Nizza, si trova la più antica e bella delle chiese, la parrocchiale dedicata ai Santi Cosma e Damiano, già nota nel 1523. Alle chiese si aggiungono numerose cappelle sparse per il territorio. Dalla più antica, in frazione Zuccarello, risalente al 1653 (e punto di ristoro dei monaci benedettini diretti al vicino monastero di Sant’Alberto di Budrio) alla più recente costruita dai contadini nel 1905 in frazione Bregne. Quest’ultima, intitolata dalla “Madonna delle nevi”, raffigurata in un dipinto ad olio del ‘700, (che arricchisce la cappella) era il luogo in cui si svolgeva la benedizione del bestiame. Per garantirne la manutenzione da sempre viene organizzata la tradizionale “asta delle torte” solitamente la prima domenica di agosto. Le massaie del paese realizzano gratuitamente delle torte che vengono messe all’asta il cui ricavato va alla sistemazione e alla pulizia del luogo benedetto. Ma non è solo questo l’unica iniziativa di volontariato che caratterizza il paese: anzi. Montesegale è un esempio di impegno sociale che parte proprio dal sindaco e dall’ amministrazione comunale. Da vent’anni, infatti, sindaco, giunta e consiglieri hanno rinunciato a compensi e gettoni. Inizialmente per risparmiare il denaro necessario ad acquistare il terreno da destinare ad un campo di tiro con l’arco. Successivamente per finanziarne la manutenzione e poi per avere i fondi necessari per lo scuolabus e altre attività al servizio della popolazione. Pochi lo sanno al di fuori del paese, perché uno dei proverbi della comunità recita: “S’e s’disa e ben ch’e s’fa, s’perda a merit ch’a s’gha”. Ovvero: se si dice il bene che si fa, si perde il merito che si ha. Pochi sanno, infatti che il campione olimpionico Mauro Nespoli, si allena proprio qui, all’ombra del castello, nel campo comprato con i “risparmi del comune”. Una struttura che al pomeriggio si trova controsole: proprio come erano posizionati gli arcieri nella finale dei giochi di Londra 2012. Il campo, gestito da Giancarlo, ex dirigente di banca, uno dei personaggi di Montesegale, è anche la sede di tornei (dove spesso semplici appassionati sfidano Mauro Nespoli) e di una scuola (gratuita) per giovani arcieri che si allenano d’estate nel campo e d’inverno in una ex scuola del paese. Qui tutto ruota intorno al no profit: dalle manifestazioni turistiche (in primo luogo la Fiera di San Damiano che ogni anno richiama decine di migliaia di persone, attratte dai prodotti tipici e dalla affascinante rievocazione medioevale che si svolge proprio dentro e intorno al castello) sportive (legate al tiro con l’arco) e culturali.
Montesegale infatti, ha una solida tradizione di incontri con autori e personaggi della cultura e dell’arte. In una antica casa incastonata nelle mura del castello, infatti, abitava Raffaele de Grada, uno dei più importanti storici dell’arte del Novecento e la sua presenza ha richiamato a Montesegale personaggi della politica e della cultura. Una presenza che si è sempre intrecciata con quella del proprietario del castello, Ruggiero Jannuzzelli, imprenditore e mecenate. Nel castello di Montesegale trova sede il Museo d’arte contemporanea: tre grandi gallerie all’interno delle quali sono state allestite negli anni mostre e incontri con i più grandi maestri dell’arte contemporanea italiana e straniera. Al castello hanno lavorato e soggiornato negli anni: Boris Mardesic, Giulian Schnabel, Salvatore Fiume, Guido Razzi, lo scultore Mario Robaudi, filosofi e teologi. Nonostante tutto questo fervore culturale, la tranquillità e il paesaggio a 80 chilometri da Milano sono il punto di forza di Montesegale: dolci colline, colori caldi del frumento contrapposti a tutte le tonalità di verde, appezzamenti con squadrature talmente perfette da sembrare pezze di velluto. Persino l’atmosfera che caratterizza l’inverno ha il suo fascino. Frutta, salumi, miele e pane sono i prodotti tipici. Nel territorio si trovano ancora alcuni allevamenti di maiali destinati alla macellazione e alla produzione del salame e laboratori artigianali del salame di Varzi D.O.P. A Montesegale, infatti, ha sede uno dei migliori laboratori artigiani del salame
di Varzi: il salumificio Magrotti. Nel paese è un’istituzione grazie all’altissima qualità dei suoi prodotti. Nasce negli anni ’50 grazie all’iniziativa di Rita e di Gino che dopo aver aperto un negozietto avviarono l’attività con una bottega di 10 metri quadrati. La bottega della Sig.ra Rita, grazie al figlio Piero si è trasformata in un salumificio d’élite cha ha avviato collaborazioni e ricerche con l’Università di Parma. Il Comune ha anche avviato la tutela di alcuni prodotti tipici del territorio, assegnando la DECO, denominazione comunale, dopo aver allestito in anni successivi due convegni sul tema del paesaggio e dei prodotti. Si tratta del “Pansegale”, pane ottenuto dall’impasto di farine di segale e frumento con uva passa, fichi e noci. Sempre in materia di pane (ricordiamo che Montesegale è socio fondatore dell’Associazione città del pane) il secondo dei cinque prodotti Deco è la “ Trêsa”, pane di pasta dura ottenuto attraverso una lavorazione manuale e una lievitazione lenta su assi di legno. Tra i salumi spicca la “Mundiôla” una specie di coppa magra ottenuta dai muscoli cervicali del suino che forniscono particolare delicatezza all’insaccato e il “Salàam da cöta” classico della cucina invernale, insaccato con cotenne in budello bovino. Si consuma dopo una lenta cottura in acqua salata. L’ultimo prodotto ad avere ottenuto la DECO è la “Torta di mandorle di Montesegale”, antica ricetta di cent’anni fa, che veniva preparata per la festa patronale della frazione Languzzano.
MONTESEGALE - 25° FIERA DI SAN DAMIANO
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Festa di San Damiano «La prima volta nel 1994
«Quanti anni sono che l’ultima domenica di settembre ci ritroviamo tutti qui per la nostra festa di San Damiano? Tanti; perché l’iniziativa si è tenuta per la prima volta nel 1994. Eppure ci ritroviamo con lo stesso entusiasmo di allora; anzi di più, perché di anno in anno, la nostra festa, l’abbiamo arricchita di proposte e di iniziative, tanto da renderla una tradizione che interessa l’intera vallata. Ad organizzarla siamo noi che qui ci abitia-
mo, convinti che un piccolo borgo abbia da raccontare quanto, se non addirittura di più, di una grande città, e tanto da offrire nei suoi paesaggi, nei suoi boschi, nelle sue vocazioni artigianali, nella delizia dei proprio prodotti enogastronomici, e nella tradizione della propria storia, inscritta nel castello, epicentro del feudo contesto tra i conti Gambarana e i conti Palatini, fino alla sua assegnazione – anno 1646 – al conte Gerolamo Gambarana.
Così se attorno al castello si compie la storia del nostro paese, è attorno al castello e negli spazi tutto attorno che proponiamo le tante iniziative, dal tiro con l’arco, alle rievocazioni in costume, alla mostra di arte contemporanea, che fanno grande il nostro appuntamento settembrino. Vi aspettiamo tutti perché un piccolo paese ha anche questo di bello: che le persone si conoscono tutte, e pensano a sé stesse come parte di una comunità. E in que-
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sta stagione difficile, solcata da troppi episodi di egoismo sociale, l’essere e il pensarsi ancora come comunità credo sia davvero il valore aggiunto che fa speciale il nostro paese. Un grazie speciale agli enti che hanno sostenuto e patrocinato la nostra festa». Il Sindaco - Carlo Ferrari
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SETTEMBRE 2019
MONTESEGALE - 25° FIERA DI SAN DAMIANO
La Rievocazione storica: controversie tra Malaspina e Gambarana Se l’intera Valle Staffora fu dominata per anni dai Marchesi Malaspina, lo stesso non si può dire per la Valle Ardivestra. Questa valle vide per lungo tempo il dominio dei Conti Palatini e Gambarana di Lomello. Si può di fatti affermare che la Valle Ardivestra, che si sviluppa sulla destra idrografica della Valle Staffora, è sempre stata dominata dai Conti Gambarana. Ed in più occasioni sono sorte incomprensioni con l’altra potente famiglia che dominava la Valle Staffora, i Marchesi Malaspina. Risale al 1389 l’atto con cui il duca di Milano concedeva agli uomini di Montesegale l’autorizzazione di potersi recare a Cecima per macinare il grano senza il pagamento di alcuna gabella. Quel privilegio fu riconfermato più volte. Proprio per questo motivo per un lungo periodo gli abitanti di Montesegale, protetti dai Gambarana, potevano attraversare il territorio governato dai Marchesi Malaspina senza pagare alcun dazio. Ma non solo: per consuetudine gli abitanti di Montesegale, Sanguignano e Languzzano erano soliti portare ai mercati di Godiasco, Varzi, Voghera e Pavia i prodotti delle loro terre passando immuni da tasse di dazio e di pedaggio nei feudi dominati dai Malaspina. Ma attorno al 1582 i Malaspina entrarono in lotta contro i Gambarana quando, non si sa il perché, i marchesi di Oramala impedirono il passaggio degli abitanti di Montesegale se questi non avessero pagato dazio o diritto di pedaggio. Gli abitanti di Montesegale non si fecero sottomettere e fecero ricorso al Magistrato della Camera Ducale di Milano che, fatte raccogliere le testimonianze del Referendario di Pavia, il 9 mag-
gio del 1582 sentenziò che gli uomini di Montesegale dovessero ritenersi esenti da ogni e qualunque dazio o tassa di pedaggio quando transitavano per i feudi di Oramala e di altre terre appartenenti ai Malaspina. Non solo: il magistrato condannò i Malaspina a pagare lire 190 imperiali agli uomini di Montesegale per i danni arrecati. In quegli anni potestà e pretore di Montesegale era il nobile D. Fabrizio Guidobono Cavalchini patrizio tortonese. Nonostante la condanna inflitta dal magistrato della Camera Ducale di Milano, il marchese di Oramala continuò a molestare gli uomini di Montesegale tanto che il magistrato milanese fu costretto ad intervenire una seconda volta obbligando il marche-
se di Oramala a cessare le molestie, pena il pagamento di 200 scudi da versare alla Camera Ducale in caso di disobbedienza. Il podestà di Montesegale chiese giustizia piena e per questo il 20 novembre del 1596 ottenne dal Magistrato che il marchese di Oramala pagasse lire 30 imperiali per i nuovi danni arrecati. Dal libro “Castelli Rocche Case-Forti Torri della provincia di Pavia” di Mario Merlo, in merito alle controversie tra i Gambarana e i Malaspina si legge: “Il Cavagna Sangiuliani ricorda che il comune di Montesegale fu protagonista di una fortunata resistenza, nella seconda metà del secolo XVI, contro le prepotenze della famiglia Malaspina, quando essa ancora spadroneggiava sui monti circostanti.
In quel torno di tempo il territorio di Montesegale – di cui erano feudatari i Conti di Gambarana e di Langosco, provenienti dai Conti di Lomello e del Sacro Palazzo, che dominarono Pavia nel secolo X, in lotta con i Vescovi, dando così origine al Comune – era diviso tra tre famiglie: Corti, Spinola, Beccaria ed altre. La controversia nacque perché i Marchesi di Oramala impedirono agli abitanti di transitare per la Signoria senza sottostare al pagamento di dazi e pedaggi, il che diede origine – per il conseguente giustificato loro rifiuto – a gravi angherie. La comunità di Montesegale fu quindi costretta al ricorrere al Magistrato camerale del Ducato Milanese, che convocò le parti ed esperì il relativo giudizio di merito. Era allora podestà e pretore del luogo il nobile giureconsulto Don Fabrizio de Guidobonis-Cavalchini, patrizio tortonese. Il Supremo magistrato milanese sentenziò – con somma soddisfazione degli attori – che gli uomini di Montesegale dovessero essere mantenuti nell’esenzione di ogni e qualsiasi pedaggio o tassa quando passavano per i feudi di Oramala e le altre terre appartenenti ai Malaspina, e condannò questi ultimi a pagare al Comune di Montesegale 190 lire imperiali a titolo di indennizzo per i danni arrecati”. Questo significava anche che i Gambarana potevano attraversare il territorio dominato dai Malaspina per recarsi a Cecima a macinare i grani nell’antico mulino senza pagare alcuna tassa. Non va infine dimenticato che i Conti Gambarana furono investiti, il 26 aprile 1700, del castello di Rocca Susella e del giuspatronato di San Zaccaria.
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«Vorremmo cercare di portare avanti gli impegni tradizionali della Proloco»
Costituita il 28 febbraio 1996, la Pro Loco di Montesegale è tra le più longeve in terra oltrepadana. Il direttivo attualmente è composto da 13 persone, elette con un’assemblea pubblica. A loro si uniscono i soci residenti volontari. La Pro Loco agisce attraverso l’opera di volontariato dei soci residenti. Tutti i collaboratori che danno una mano sono, a loro volta, volontari e svolgono il loro lavoro gratuitamente per valorizzare il proprio paese sia per i residenti che per i turisti, cercando di mantenere le antiche tradizioni, riscoprire quelle che ormai non ci sono più, ma anche proponendone di nuove. La sede della Proloco Montesegale è nel centro polifunzionale di Case del Molino, un edificio comunale restaurato nel quale, una volta, si trovava la scuola del paese. A guidarla è Daniele Ferrari. Presidente, chi sono stati i suoi predecessori ed i collaboratori nel corso degli anni e, tra questi, chi è ancora presente? «I Presidenti che si sono susseguiti nel tempo sono: Silvia Torti, Laura Baiardi. Ora il direttivo è composto da me in veste di Presidente e da Baiardi Laura - Vice Presidente, Chiesa Silvano – Tesoriere, Magrotti Paola, Ferrari Lucio, Bevilacqua Cristiano - Responsabile comunicazione, Carbone Marina, Giani Simonetta – Se-
gretario, Lavelli Silvano, Marone Luigi, Orezzi Giancarlo, Vecchi Cinzia, Varni Valentina». Quali sono le attività che più vi contraddistinguono? Sagre ed eventi con più risonanza? «La Pro loco organizza ogni anno un ricco palinsesto di attività che vede, oltre alle tradizionali manifestazioni legate alle festività, agli eventi gastronomici, alle passeggiate naturalistiche notturne, significative manifestazioni artistico-culturali e sportive. La manifestazione che più ci caratterizza è la Fiera di San Damiano che è giunta, ormai quest’anno, alla sua XXV Edizione. La formula di aggregare in un‘unica cornice di programma varie iniziative si è rivelata la mossa giusta per attirare sempre un pubblico numeroso ed interessato. Tra le attività poste in essere: l’esposizione e la vendita dei prodotti tipici enogastronomici, le sedute di degustazione del salame di Varzi DOP e dei vini DOC e DOCG, la sfilata del corteo storico, lo spettacolo degli sbandieratori, il medioevo in festa con i cantastorie, i laboratori teatrali per ragazzi e bambini, i laboratori artistici e di decorazione, la disfida degli arcieri alla corte dei Gambarana con l’ASD Arcieri Ardivestra, e tanto altro».
Qual è il rapporto tra Proloco e Amministrazione Comunale? «Il Comune ha operato sempre con spirito di sussidiarietà rispetto alle attività messe in campo dalle associazioni, con forme di coordinamento, offerta di servizi reali e messa a disposizione di spazi e strutture adeguate per agevolare lo svolgimento delle manifestazioni. La Pro Loco Montesegale, in particolare, ha sempre collaborato fattivamente con l’Amministrazione Comunale, ed ha assunto, infatti, un ruolo di primo piano quale struttura di informazione, di valorizzazione culturale e di promozione turistica del nostro Comune, sino a divenire elemento caratterizzante dell’Amministrazione stessa». Progetti in corso? «Montesegale Borgo d’arte e di cultura è un progetto che è stato ideato con l’Amministrazione Comunale per animare la vita di Montesegale. Realizzeremo una serie di attività ed eventi coordinati e tesi a mettere in luce il patrimonio culturale, naturalistico e le potenzialità, anche turistiche, del nostro territorio e della nostra comunità. Gestione quotidiana del profilo Facebook della Pro Loco Montesegale per essere sempre più interattivi e vicini ai cittadini. L’attivazione di questi canali è un passo
importante per la comunicazione della nostra Associazione consentendo un’interazione quotidiana diretta e, nelle intenzioni, costruttiva e proficua con gli amici. Per noi è importante lavorare e stare “tutti insieme”. Vorremmo cercare di portare avanti gli impegni tradizionali della Proloco: quelli per la valorizzazione dei prodotti locali, e la solidarietà e soprattutto il riconoscimento della Proloco come Associazione che opera a favore di tutti i cittadini. Ci auguriamo che ci sia un ulteriore incremento dei soci, se la Proloco funziona dipende anche da questo e dalla collaborazione con tutte le altre realtà». Collaborazioni con altre Pro loco ed associazioni del territorio? «Un aspetto fondamentale della vita di Montesegale è quello legato alla presenza ed alla vivace attività oltre che della Proloco di altre Associazioni che, in questi anni, hanno svolto un ruolo di primo piano nello sviluppo delle potenzialità del nostro territorio comunale: l’Associazione Sportiva Dilettantistica Arcieri Ardivestra, l’Associazione Teatrale “Oltreunpò” e l’Associazione dei Grani antichi. Un grande risultato raggiunto e di cui sono particolarmente fiero è lavorare in stretta sinergia con tutte le altre realtà associative».
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«Il mio compito? Far sì che quanti vengano a Montesegale siano montesegalesi per tutto il tempo che staranno con noi» Marina Carbone è tutor della nuova Comunità Ospitale di Montesegale, un’iniziativa nata in seguito all’adesione del comune oltrepadano all’Associazione dei Borghi Autentici d’Italia. «Un’iniziativa spiega la tutor - che abbiamo subito fatto nostra perché abbiamo sentito che corrispondeva alle nostre aspirazioni e alla nostra vocazione». Carbone, che cos’è una Comunità Ospitale? «Una Comunità Ospitale è un insieme di persone che riconosce le proprie qualità ed eccellenze, che è consapevole degli aspetti positivi del proprio territorio e del proprio modo di vivere ed è desiderosa di condividerli con altri. Si tratta dunque di una Comunità profondamente radicata nella propria storia, ma aperta all’esterno. È questo, a mio parere, l’unico modo per mantenere vitale un piccolo borgo come il nostro. La figura del tutor serve ad accompagnare, aiutare, consigliare quanti si accostano alla Comunità, per periodi più o meno lunghi, e per i più diversi scopi. Il mio compito è dunque quello di favorire la condivisione della nostra realtà, far sì che quanti vengano a Montesegale siano montesegalesi per tutto il tempo che staranno con noi». In che modo questa iniziativa ha influito sulla vita della Comunità? «I primi effetti positivi hanno riguardato proprio il nostro Paese, che si è scoperto negli ultimi anni pieno di buona energia, di voglia di fare, di orgoglio per le proprie risorse. Sono dunque sorte importanti attività ricettive (e molte sono in procinto di essere avviate), si è aperta una biblioteca,
Marina Carbone, tutor della nuova Comunità Ospitale di Montesegale
si sono organizzate nuove attività, si è cominciato a prestare una nuova attenzione alla tutela del territorio e all’aspetto ecologico, si sono attuate utili politiche per l’acquisizione di nuovi residenti; in generale si sono unite le forze per un risveglio che garantisse coesione e vitalità. Certo, ancora molto si può fare, ma sono convinta che siamo avviati su una buona
strada». In questo contesto, quale importanza riveste la Fiera di San Damiano? «La Fiera è forse il momento culminante della vita del Borgo. È un appuntamento unico e originale nel calendario delle manifestazioni oltrepadane. La Comunità intera lavora e collabora alla riuscita di questo evento, che è sempre
più frequentato e sempre più ricco a ogni nuova edizione. Siamo molto orgogliosi della nostra Fiera, perché ci rappresenta: il giorno di San Damiano vengono celebrate la nostra storia, la nostra tradizione, le nostre eccellenze enogastronomiche ed artigianali, la nostra voglia di accogliere quanti vogliono conoscere questo territorio, di cui andiamo molto fieri».
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Nel 2019 la FITARCO ha conferito all’Associazione la Stella di Bronzo al Merito Sportivo L’Associazione Sportiva Dilettantistica Arcieri Ardivestra di Montesegale è stata fondata nel 2000 su iniziativa del Comune e per interessamento di Giancarlo Orezzi, arciere da oltre trent’anni, la cui passione per questo sport è seconda solo a quella per la sua terra d’origine. È dell’anno successivo l’iscrizione alla FITARCO. L’intento era quello di offrire un’ulteriore opportunità di carattere sportivo, da aggiungere alle due strutture esistenti (tennis e bocce) sul territorio del piccolo e affascinante comune collinare. Le attività statutarie riguardano la diffusione dello sport del tiro con l’arco, la partecipazione a gare e l’organizzazione di eventi arcieristici (competitivi e non), il tutto con lo spirito rivolto ad una sana socializzazione; non a caso dal 2007 l’Associazione è gemellata con la Compagnia Arcieri del Falco di Falconara Marittima (AN). Inoltre, è giusto rilevare che viene riservata particolare attenzione al mondo scolastico, mediante contatti di tipo pedagogicopromozionale, per gli alunni delle scuole medie in ambito provinciale; tali iniziative consistono principalmente nell’organizzazione di stages ospitati presso la struttura del centro sportivo societario. Per quanto attiene l’attività promozionale, giova ricordare che è in forte espansione la partecipazione degli arcieri, e degli iscritti in generale, a manifestazioni, sagre, fiere e feste patronali proponendo dimostrazioni pratiche anche per chi desidera avvicinarsi a questo sport o, più semplicemente, provare le principali sensazioni del tiro con l’arco. La sede dell’A.S.D. Arcieri Ardivestra, che mutua il nome dal torrentello che scorre nell’omonima valle, è situata a Fra-
scate, una delle venti frazioni che compongono l’eterogeneo abitato del Comune di Montesegale, mentre il campo di tiro è posto in località Fornace. La struttura sportiva, omologata secondo i dettami della FITARCO, è stata realizzata a tempo di record nel 2000 e inaugurata per quanto riguarda l’aspetto agonistico, nel giugno del 2001 con una gara interregionale a calendario “900 Round”. Al nuovo campo attrezzato è stato affiancato, nel 2005, un percorso dotato di sagome tridimensionali raffiguranti animali, per praticare la specialità del tiro di campagna, altrimenti definito “hunter” e “field”, in uno scenario collinare coinvolgente, immerso interamente nel verde, in cui il silenzio è superbo protagonista. Nel campo per il tiro alla targa dal 2002 si disputa il Trofeo Ardivestra, sempre gara
interregionale, che dal 2004 è intitolato alla memoria dell’olimpionico stradellino Alfredo Massazza. Questa manifestazione, che ogni anno raccoglie sempre maggiori consensi e numero di partecipanti, oltre a beneficiare di una competente e adeguata organizzazione ha il pregio di offrire la serenità di una natura integra e ammiccante, gelosamente protetta da una popolazione di persone fiere e ospitali. Al di là dell’avvenimento sportivo, non è del tutto improbabile imbattersi in qualche amico dell’amico che v’inviti a casa sua per offrirvi l’assaggio del suo salame e il sorseggio del suo vino, tanto anonimi quanto indimenticabili. Nel 2019 la FITARCO ha conferito All’Associazione la Stella di Bronzo al Merito Sportivo, un importante riconoscimento che celebra il lungo impegno a fa-
vore dello sport da parte dell’Associazione Sportiva Dilettantistica: l’onorificenza attesta di fronte al mondo sportivo i meriti degli atleti, dei tecnici, e dei dirigenti della società ed esprime insieme la più sentita gratitudine della FITARCO per il contributo offerto alla crescita ed all’affermazione dello sport italiano. Nello stesso anno 2019 gli Arcieri Ardivestra hanno partecipato ai campionati italiani paraarchery di Firenze con ottimi risultati, che rendono giusto merito alla significativa attività di questa Associazione, vanto del Comune di Montesegale: Oro assoluto per Giulia Pesci e Massimo Rovati nel mixedTeam. Oro assoluto per Gabriele Ferrandi e argento nelle qualifiche. Argento in qualifica e bronzo assoluto per Giulia Pesci nell’individuale.
CASTEGGIO
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Martinotti alla guida della CRI: «Pronta a farla crescere» Renata Martinotti, ex primario del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Voghera e attuale sindaco del comune di Bastida Pancarana, è la nuova direttrice della Croce Rossa di Casteggio. Il suo nome è circolato nei giorni tra quelli papabili per la nuova presidenza di Asm Voghera. Una notizia che lei però ha rifiutato di commentare, ritenendola un “fake”. Martinotti, oltre ad essere l’attuale sindaco di Bastida Pancarana, lei è stata per anni responsabile del reparto di rianimazione di Voghera. Ora ha preso a incarico un nuovo ruolo, sempre di grande responsabilità: cosa l’ha spinta ad accettarlo? «Dal giugno 2017 sono sindaco di Bastida Pancarana e dal 1979 ho sempre operato nell’emergenza. Dal 2000 al 2014 ho ricoperto l’incarico di Direttore del DEA Oltrepò. Da poco il Commissario della CRI di Casteggio mi ha proposto l’incarico di Direttore Sanitario “pro tempore”. Ho accettato con entusiasmo e cercherò di mettere a disposizione la mia esperienza pluriennale sia dal punto di vista sanitario che organizzativo. Sono legata al Comitato della Cri di Casteggio sia da ottimi rapporti sviluppati durante la mia professione ospedaliera, sia perché nel 2008 ho avuto il privilegio di inaugurare il nuovo Centro mobile di rianimazione, dotato di apparecchiature all’avanguardia». Quali sono i dati della CRI di Casteggio in quanto a numero di unità e di volontari? «I dipendenti sono 11, i volontari circa 200, con un nutrito gruppo giovanile». Da sempre la CRI non è attiva solo in ambito di primo soccorso che è la sua funzione primaria, ma ha anche grande impegno in campo umanitario e sociale, quali sono i suoi impegni in questo periodo? «Appena incaricata ho visitato accuratamente la sede apportando alcune migliorie là dove era necessario ed ho preso atto del grande impegno e professionalità del personale dipendente e dei volontari, che da sempre operano non solo nell’ambito di primo soccorso ma anche in campo umanitario e sociale. Mi muoverò seguendo quanto già fatto in precedenza da chi mi ha preceduto e allargando sempre di più l’orizzonte sul territorio; infatti il comitato della CRI di Casteggio gestisce un territorio molto vasto: 22 Comuni per un totale di circa 30.000 abitanti». Quali sono al giorno d’oggi i mezzi che ha la CRI per riuscire a trovare i fondi necessari alle proprie operazioni? Cosa viene fatto a Casteggio per la raccolta fondi e donazioni?
Renata Martinotti, ex primario del reparto di rianimazione dell’Ospedale di Voghera e attuale sindaco di Bastida Pancarana
«Appena nominata, assieme al Commissario, abbiamo inviato ai 22 comuni una lettera di presentazione ed è nostra intenzione andare dai Sindaci ad illustrare il nostro programma per la raccolta fondi ed affiancare all’aspetto sociale ed umanitario un discorso di prevenzione in collaborazione con i vari Enti ed Istituzioni». Quali saranno i suoi prossimi impegni come nuova direttrice sanitaria? «I miei prossimi impegni saranno di collaborazione con tutto il personale e soprattutto di dare visibilità al nostro lavoro, con attenzione particolare alle fasce deboli, senza dimenticare che il mio compito principale è quello di assicurare il buon funzionamento dei servizi, gli aspetti igienico-sanitari della sede e degli automezzi e di occuparmi della salute psico-fisica del personale». Quanti giovani volontari sono presenti in Cri Casteggio? Pensa che ci sia sta-
to un aumento dei nuovi volontari in quest’ultimo periodo o che al contrario il dato sia in calo? «I giovani sono circa una quarantina, ma a settembre, con il nuovo corso di formazione per volontari, sarà possibile capire con più chiarezza se il numero sarà in diminuzione o in aumento». Come medico invece, qual è la sua idea personale per quanto riguarda il gran numero di medici che vanno in pensione senza che lo stato però li sostituisca negli ospedali? Si sta creando un grave problema? «Questo è un problema grave e complesso, la cui origine non è però di oggi. Come prima risposta penso al numero chiuso delle Università italiane sia come facoltà che come specialità. Altre cause sono da ricercare nella precarietà del posto di lavoro e nei compensi più bassi rispetto al resto d’Europa, che
I numeri del nucleo operativo: 11 dipendenti e 200 volontari al servizio di 22 Comuni portano i nostri giovani medici ad andare all’estero con prospettive migliori sia per una stabilità professionale e quindi una sicurezza economica, con tutto quello che ne deriva, sia per la ricerca a cui viene data molto più importanza all’estero che qui da noi. La ricerca rappresenta il nostro futuro». di Elisabetta Gallarati
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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò
SETTEMBRE 2019
di Giuliano Cereghini
“Gioànnbrerafucarlo” nacque a Pianariva, come lui stesso definiva San Zenone al Po, nei primi anni dell’altro dopoguerra: in una data che sarebbe diventata tristemente famosa: l’8 Settembre; giovanissimo divenne giornalista e scrittore di vaglia. Scriveva con stile inimitabile ed innovativo sul Giorno e sul mitico Guerin Sportivo oltre che su altre testate prestigiose. Proprio su questo settimanale dalle pagine verdi, curava una rubrica “lettere al direttore”: rispondeva a domande di lettori curiosi di fatti di calcio e di vita. Le sue risposte erano spesso dotte ed intriganti perché spaziavano oltre i confini dell’arido argomento calcio, per toccare alte vette dai contenuti culturali e lessicali nuovi ed incisivi. Avevo diciannove anni, matricola universitaria pavese di Economia e Commercio, sinceramente intrigato dal modo di scrivere del grande padano e dai contenuti dei suoi articoli spesso travisati, come in occasione della polemica nata per alcune sue affermazioni circa la difficoltà del meridione nel produrre grandi atleti: uomini di pensiero sì, ma non grandi atleti, prerogativa di regioni del nord quali il Veneto, il Piemonte e la Toscana. Parlava di étnos, alimentazione e clima e fu beceramente frainteso ed accusato di razzismo. Non se ne adontò più di tanto se non polemizzando in modo feroce con Palumbo, da lui chiamato avis palumba, canzonato in parecchi articoli e mai considerato il grande giornalista e il direttore che in effetti fu. Decisi di scrivere al direttore del Guerino, come confidenzialmente appellavo il settimanale del mio cuore, ponendo dieci domande e firmandomi pavese d’adozione. Diede puntuali risposte ai quesiti e concluse chiedendomi dove abitassi nella Pavia dei suoi splendidi anni universitari oggetto spesso di ricordi ed aneddoti in alcuni suoi memorabili articoli. Profittai della richiesta per scrivere di nuovo precisando che ero un oltrepadano, a Pavia per studi, innamorato dei suoi neologismi: goleador, libero, euclideo, abatino, cursore, melina, ed altri, che erano ormai entrati nel lessico comune sportivo e non. Gli ricordai un suo splendido verbo: sgrillettare dei mozzi, ad indicare il metallico rumore delle ruote delle biciclette e un articolo del Guerin Sportivo di qualche anno prima dal titolo “Invectiva ad Patrem Padum”. Mi rispose che ero troppo buono con lui che era un semplice servitore della sua Olivetti, che conosceva l’Oltrepo Pavese come terra di vini e di caccia e si augurò di incontrarmi un giorno per parlare il nostro bellissimo dialetto girando a caccia per boschi e radure, sotto il cielo tenue dell’autunno oltrepadano. La modestia di quell’uomo conscio del suo enorme valore ma restìo a magnificarlo, mi spinge a riportare parte di quell’articolo firmato dal sunnominato “modesto servitore della sua Olivetti”. Parlando di se stesso scriveva: “Sono un uovo fatto fuori dal cavagnolo, quando mio padre e mia madre non pensavano più di avere un altro figlio. Il mio paese è Pianariva, che l’Olona divide a mezzo
Ricordi di caccia con Gianni Brera
Gianni Brera, giornalista e scrittore
prima di confluire in Po. Sono cresciuto brado fra i paperi e le oche naviganti l’Olona. Ho imparato a nuotare con loro e a desumere i fondali dai diversi colori e dalle diverse increspature dell’acqua. Ti sarai accorto, cortese lettore, che non indulgo a retoriche di sorta. Molto facile sarebbe abbandonarsi a inni e cachinni. La verità è che il Po è un sacramento di fiume incostante e capriccioso. Nasce dal Monviso, da un antro che pare giusto la matrice di un animale mostruoso; arriva a Saluzzo e prende bruscamente a salire verso Torino: qui aggira nuove colline e riceve le Dore, mettendosi a correre sbandato da un sabbione all’altro. Diventa un po’ più rispettabile ricevendo il Ticino, la cui parte cerulea si distingue dal resto per una buona ventina di chilometri. Adesso ci puoi crepare di tifo e di epatite virale: ai miei tempi si beveva acqua di Po dalle sèssole, che i toscani chiamano vetàzzolo nel loro fossile e noioso dialetto. Dopo l’amplesso con il Ticino, padre Po rincoglionisce letteralmente e assume l’aspetto d’un inquieto serpentone dalle larghe ed inutili spire”. Così il Grangiuànn. Poesia, poesia vera. L’augurio di incontrarci un giorno in Oltrepò sembrava una battuta ma, complice il destino che spesso si diverte alle nostre spalle, un giovedì mattina a caccia da Maffeo Zonca, nella riserva che spaziava da Cecima a Gomo di Godiasco, vidi il grande giornalista in atteggiamento venatorio con a tracolla una bellissima carabina artigianale. Mi avvicinai titubante e mi presentai; fui stupito nel constatare che si ricordava delle mie lettere, gli scritti di “un paìs bassaiolo”- paesano della bassa-, come da quel momento iniziò a chiamarmi, nonostante io insistessi nel dire che
potevo essere suo compaesano in quanto pavese, ma non della bassa perché io ero semmai dell’alta collina. Non ci fu verso: nei pochi incontri sempre venatori, che il buon Dio mi concesse, continuò a chiamarmi paìs bassaiolo e non volle intendere ragioni dato che entrambi eravamo, a suo dire, figli dell’Alma Ticinénsis, dell’Università di Pavia e quindi compaesani e, dato che lui era bassaiolo cioè della bassa, necessariamente lo dovevo essere anch’io. Tanti anni dopo leggendo un suo articolo magistrale, intesi perché si sentisse oltrepadano: scriveva “...il Po lambiva troppo colline da vino per non essere pericolosamente ubriaco, ancora nel 1380, Po scendeva sparato su Belgioioso e saliva e non per lambire Corteolona, dove riceveva l’Olona: poi piegava a sud-est passando per Pieve Porto Morone puntava contro Castel Sangiovanni, dall’altra parte. Il mio paese era sulla riva destra. Po rifiutò rombando di percorrere l’ansa di Corteolona e tirò dritto tra Arena e Pianariva rientrando nel suo letto solo fra Pieve PortoMorone e Castel Sangiovanni! In tal modo il mio paese si trovò sulla riva sinistra avendo a sud il fiume che prima aveva a nord...” In quel lontano fine trecento Pianariva era oltrepadana! Parlavamo rigidamente ed esclusivamente in dialetto mettendo in difficoltà i dotti invitati di Zonca che spesso, mi chiedevano di tradurre ciò che avevamo appena biascicato in un gergo a loro sconosciuto. Si divertiva come un matto a vedere le loro difficoltà dicendo spesso “i capìsan gnënt” (non capiscono nulla)... di dubbio significato. A caccia finita, dove spesso eccelleva come tiratore e grande conoscitore di cani e arte venatoria, ci affidavamo alla cucina di Maffeo nella sua splendida
villa ed il grande giornalista, noto intenditore di cibi e di vini, confidava di apprezzare sempre più la cucina semplice, fatta di cose genuine difficilmente ritrovabili nei grandi ristoranti. In Oltrepò la tradizione vuole che il giorno dei morti, il 2 Novembre, si cucinìno i ceci e, a caccia da Maffeo, gradì moltissimo la zuppa preparata dalle donne di casa Zonca nella grande zuppiera grondante parmigiano trentaseimesi e volle provare un’insalata di ceci tiepidi con cotiche bollite condita con aceto, olio e sale da me suggerita. La definì una squisitezza confondendo un professore universitario di Prato che non intese la parola dialettale “bisˆiù” scambiata per un avverbio che fece molto divertire Gioàn. Era un grande cacciatore anche se, partendo dalla casa di caccia, sembrava indolente, lento e quasi “scazzato”; camminava piano con il fucile in spalla distratto dai colori e dagli odori della campagna che d’Autunno esplodevano nei vigneti, nei boschi e nei frutteti: la poesia della campagna lo riportava ai suoi amati tempi giovanili quando, così raccontava, a circa dieci anni, aveva attraversato Po a nuoto rischiando la vita ma promuovendosi grande agli occhi dei grandi. L’indolenza passava di colpo se vedeva un cane in ferma: si avvicinava quatto quatto al cane spianando il fucile e, appena il selvatico muoveva le penne, con uno scatto felino ingobbiva e sparava usando raramente la seconda cartuccia. Era orgoglioso di questa sua attitudine venatoria che ritrovava in me giovane emulo di tanto maestro, mi guardava dopo una sua bella fucilata quasi a compiacersi della sua abilità e mi guardava anche quando altri invitati di Zonca padellavano inomignosamente o dicevano castronerie venatorie che lui, cacciatore vero, commentava con sarcasmo. Sorrideva e sottovoce mi diceva “capìsan gnënt” rimetteva l’arma in spalla e tirava dritto. Maffeo nelle giuste occasioni serviva grandi vini. Gianni Brera era l’occasione anche perché grande intenditore. Amava i suoi piemontesi, come lui li definiva, Barolo ed ancor più sua maestà il Barbaresco ma in Oltrepò, beveva volentieri il Barbacarlo “un po’ bullo di speme e mandorlato” come lui stesso lo definiva, del suo amico cav. Lino Maga di Broni, “al butunòn col vê pusê bon dal pavés” - l’abitante di Broni con il vino più buono di tutto l’Oltrepo pavese -. Degustando una bottiglia di Barbacarlo e sentendolo da lui magnificare, gli chiesi se conoscesse il “Priolino” uno altro splendido vino di una cantina di amatori di Casa Vescovo in comune di Borgo Priolo. Non lo conosceva e mi ripromisi di fargliene omaggio alla prima occasione utile. Al termine del pranzo mentre si parlottava, si avvicinò Maffeo che, rivol-
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò to al grande scrittore ed indicandomi disse: “Giuliano l’è un bel caciadù ma l’è un montagnè cä rìva sˆù da S. Isëbi, indè chièn ancù ä dré ä sarcà a campana dòra ad Montpìc” - Giuliano è un bel cacciatore ma trae le sue origini montanare in Sant’ Eusebio dove stanno ancora cercando la campana d’oro di Monte Pico -. Giuànn si interessò moltissimo alla storia di questa misteriosa campana d’oro sepolta a Monte Pico e mai più recuperata per l’anatema del frate a cui Barbarossa aveva sottratto una campana dalla chiesetta della Pieve. Mi incitò a scriverne promettendomi una sua prefazione ma colpevolmente, non ne feci nulla. Molti anni dopo la sua tragica e prematura morte, mi ricordai dell’invito a scrivere di Monte Pico e, complice anche il fatto che una bella storia tra favola e realtà rischiava di perdersi nelle nebbie del tempo, scrissi ‘La Campana d’oro di Montepico’ iniziando la prefazione con queste parole. “Se ancora fosse vivo questa prefazione porterebbe la firma di Gioànnbrerafucarlo; me lo promise...”. Quando fortunatamente era ancora in vita, ricordai anche la promessa del “Priolino” ed alla prima occasione omaggiai il grande scrittore di sei bottiglie del prezioso vino del ‘59. Volle assaggiarne subito una dopo il pranzo e mi maltrattò a lungo convinto che l’avessi imbrogliato inserendo subdolamente il suo amato Barbaresco in una bottiglia vuota di Priolino. Rimirava la bella bottiglia con un cappello da vescovo sull’etichetta e guatandomi da sopra gli occhialini mi diceva “t’è un bel malnàt, ma täm ciùlat no, muntagnè” - sei un bel furbino ma non mi freghi, montanaro -. Non ero più il paìs bassaiolo: ero diventato un montanaro falso! Tentai inutilmente di convincerlo del contrario ma non ci fu verso. Ne “il vino che sorride” ebbe a scrivere di vigne, di modi di bere, di mescite corrette e di disdicevoli cose quali l’ubriacarsi grossolano. Fin da giovane, con il padre, andava da un amico ad acquistare l’uva da pigiare: il proprietario li aspettava sull’ultima capitagna con le scòrbe d’uva allineate dietro di se come un plotone rigido sull’attenti. Era maniaco nel trattare la bottiglia di vino: “maneggia la bottiglia con la circospezione di chi sposti un bucchero prezioso. Investi il cameriere con i tuoi stessi quarti di nobiltà ma troppo ignorante per sapere che una bottiglia di vino
«Parlavamo esclusivamente in dialetto mettendo in difficoltà i dotti invitati di Zonca che spesso, mi chiedevano di tradurre ciò che avevamo appena biascicato»
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«In Oltrepò, beveva volentieri il Barbacarlo “un po’ bullo di speme e mandorlato” come lui stesso lo definiva, del suo amico cav. Lino Maga di Broni, “al butunòn col vê pusê bon dal pavés” l’abitante di Broni con il vino più buono di tutto l’Oltrepò pavese» non è un’aranciata nè una birra: che non si versa facendola glugluàre, ma lentamente, così che non abbiano a sollevarsi le feci posate sul fondo. Impedisci a chiunque di riempirti il bicchiere rimasto a mezzo dopo l’ultima mescita: non vale dire che, tanto, è lo stesso vino: ogni bottiglia infatti ha una sua anima”. Aveva uno strano rapporto amore-odio, con la tecnica o, per meglio dire, con la tecnica enologica fuorviante come amava dire: “la tecnica spinta all’eccesso, lo priva del suo carattere più sincero... hai l’impressione, bevendo, di baciare una donna troppo truccata: sempre donna è, ma forse andrebbe meglio al naturale. Comunque non esageriamo: una Venere priva di tecnica e di pulizia può disgustarti, così come ti può attirare una racchietta che almeno sia brava e pulita”. Aveva un modo suo di bere, lento e solenne che descrisse magicamente: “e chi beve per mero vizio di gola o con fini distorti, subito lo vedi: gluglueggia con l’epiglottide come le bottiglie mal inclinate alla mescita:....... si nutre di quello come potrebbe un amante della poesia mandando a memoria una composizione in lingua sconosciuta: i soli suoni non bastano: e così le sorsate. Il bere deve essere lento e continuo, quasi a formare sulla minor porzione di lingua un ruscelletto fluido e costante: meno si spande per la bocca e meno il vino ubriaca. Per contro, i bevitori ingordi si sborniano grossolanamente; ubriacarsi è quasi sempre disdicevole; inebriarsi può essere bello ma è ben presto vietato agli abitudinari; bere senza affogare il cervello è piacere sottile e raro, da veri specialisti”. Parlando dei vini bianchi pavesi si alterava se alcuno osava definirli simili agli champagne francesi, erano diversi e fors’anche più buoni. Per i rossi aveva una passione per i vini sinceri: “il Barbera pavese, per berlo bene, qualche volta bisogna attaccarsi al tavolo: ma se matura un poco, perde arroganza e diviene pastoso e civile. Il Barbacarlo che un cugino monsignore prende a Broni o lui stesso da Lino Maga, basta mescerlo per vederlo montare in superbia: e quel mussare di spume fini e veloci sembra una risata cordiale; poi è buono altro che storie!”. Mi chiese un giorno che tesi avessi discusso nella mia facoltà di Economia e Commercio, risposi sorridendo che avevo fatto e discusso una tesi dal titolo “Le tendenze evolutive della vitivinicultura in Oltrepò Pavese”, rimarcando la U in luogo della O nel sostantivo vitivinicUltura. Nel corso della discussione della citata tesi, ebbi a
farlo notare al Magnifico Rettore Professor Fornari, che aveva rilevato un errore nel titolo della mia tesi, - per Lei sarà coltura della vite e del vino ma per me, figlio delle terre oltrepadane, è cultura della vite e ancor più del vino -. Il buon professore non scherzò più sul mio italiano e fu invece coinvolto dall’amore per la mia terra e per il suo vino. Si divertì molto nel sentirsi raccontare questa storia e concluse con “t’è fat bê ä fag fà la figura da lùc, insì l’impara ä fà al fùrb”, hai fatto bene a fargli fare la figura dello stolto, così impara a fare il furbo. Grande uomo, grande giornalista e grande cacciatore. Un mattino di fine Novembre uggioso e freddino come stagione comandava, ci incamminammo in un prato pieno di rugiada io con i miei bracchi, lui ed Adriano Dezzan, famoso commentatore televisivo. Per verità ebbe a confessarmi ancor prima di partire, che “il ciclista”, così lo chiamava, non lo convinceva troppo a caccia. Dezzan era una bravissima persona, gentile, cortese, educato con tutti, ma con la caccia aveva pochissimo da spartire. Dopo pochi passi nel campo carico di rugiada, lamentò d’avere le scarpe bagnate. Giuàn lo squadrò, guardò gli splendidi scarponcini di tela rossi e rivolto a me disse “al duvìva nì a cacia dascùls par bagnà no i scarpè növ” - doveva venire a caccia scalzo per non bagnare le scarpette nuove - e rivolto ad Adriano “forse l’er mèi mât su i stivàl” - forse sarebbe stato conveniente mettere gli stivali - Il buon telecronista non capì ma un guardiacaccia provvide a portare due stivali di misura che risolsero il problema. Verso la fine della battuta ci trovammo a dover attraversare un ruscello. Effettuammo il piccolo guado camminando sui sassi affioranti prima io, poi i cani, poi Brera ed infine fu la volta di Dezzan. Giuan lo guardò sogghignando e disse “adès al bòrla long e distés int l’àcqua” - adesso cade lungo disteso nell’acqua -. Non aveva ancora finito di parlare che il buon Adriano scivolò su un sasso viscido e precipitò in acqua; fortunatamente in piedi ma con gli stivali pieni d’acqua. “Sà tôni dìt” - Cosa t’avevo detto - commentò, e a Dezzan che bagnato gli chiedeva come mai noi due non eravamo caduti in acqua rispose “ nùm a bòrlam no int l’ àcqua, nüàtar sùm principi della zolla” e si tacque. - noi non cadiamo in acqua, noi siamo principi della zolla, figli della terra -. Le sue amate origini contadine, quante volte ne parlava con orgoglio e, credo che avesse capito, quanto importanti fossero quei valori anche per me: il nostro
Giuliano Cereghini
parlare in dialetto, quasi ad isolarci da un mondo che ben conoscevamo ma che in fondo non ci apparteneva completamente. Pur senza conoscermi bene e nonostante i quasi trenta anni di differenza, aveva con me una complicità che, anche dopo tanti anni, ancora non so spiegarmi se non come lui diceva, perché entrambi principi della zolla. Dopo quegli anni magici non l’ho più rivisto anche a ragione della scomparsa del grande Maffeo Zonca a cui Serra del Monte di Cecima, suo paese natale, ha giustamente dedicato una via. Per anni ho avuto la tentazione di scrivergli ma desistevo perché lo vedevo totalmente impegnato in televisione e sul quotidiano La Repubblica che avevano il privilegio di ospitare le sue splendide pagine di vita. Grande uomo e letterato sopraffino, il cui ricordo mi commuove a tanti anni di distanza. Pochi anni fa su invito dell’amico ing. Alberto Ferrarotti, partecipai ad una riunione a Belgioioso con il figlio Paolo Brera che disquisiva sulle donne di casa Brera. Fui presentato a Paolo e parlai con lui di suo padre e volle che lo facessi in pubblico al termine del suo breve intervento. Fui costretto a parlare per quasi un’ora usando spesso il dialetto imitando il grande Giuan e suscitando interesse ed ilarità in molti; particolarmente in una dottoressa che, al dialetto mio e del grande scrittore, rideva in modo tale che il rimmel degli occhi le colò sul viso costringendola ad abbandonare la sala per una rapida ristrutturazione. Il grande comunicatore colpiva, mio tramite, anche dall’aldilà! Il figlio Paolo si meravigliò di quanto lo conoscessi pur avendolo frequentato poco; risposi che entrare in sintonia con un uomo di quel livello se lui riteneva di sceglierti, era tremendamente facile perché la sua grandezza si camuffava spesso in una semplicità che esaltava il valore delle piccole cose, celebrava picchi culturali raramente riscontrabili e innalzava la sua poesia persino nelle pedate di uomini in calzoni corti. Mi resta il ricordo di un gigante, mi restano le sue citazioni e le sue considerazioni sulla vita grama della povera gente, il suo essere un pezzo importante della letteratura italiana già da vivo e, contemporaneamente, “il principe della zolla” che ricordava a tutti d’aver imparato a nuotare dalle papere in Olona. di Giuliano Cereghini
bressana bottarone
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Il neosindaco: «Alleati con i comuni limitrofi contro la cava» Nelle elezioni comunali di due mesi fa, anche Bressana Bottarone ha visto l’insediamento di un nuovo sindaco, vale a dire Giorgio Fasani della lista “Ascoltare Bressana”. Il neosindaco ci illustra quali sono i progetti a breve termine, con un approfondimento per quanto riguarda l’insediamento di estrazione voluto dall’ultimo piano cave della Regione Lombardia, riguardo al quale sia Bressana che i comuni limitrofi si sono espressi fermamente contrari. Come si sta muovendo, per adesso, nella gestione del Comune? «Per il momento stiamo facendo una ricognizione generale: prendiamo atto delle necessità, valutiamo quali lavori debbano essere fatti – senza dover rinunciare a nulla di quel che è stato fatto in precedenza, ma migliorando dove possibile; abbiamo inquadrato la programmazione e il bilancio. Da subito ci siamo messi in contatto con scuole ed associazioni del territorio». Ha già portato a termine qualche obiettivo che si era proposto? «Adesso ci stiamo organizzando per cominciare a lavorare – in due mesi non è così semplice. A breve partiranno i lavori di abbattimento delle barriere architettoniche per quanto riguarda l’ex ambulatorio vicino all’area feste. Quasi nell’immediato, poi, inizierà il ripristino e l’ammodernamento dei locali – ove necessario, in modo che rispettino le norme di sicurezza e offrano servizi migliori, quali, ad esempio, l’installazione di bagni per disabili. Puntiamo inoltre a rammodernare il parco, per consentire lo svolgimento di eventi ora impossibili, e vorremmo riqualificare e mettere in sicurezza l’ex teatro comunale, cosicché possa tornare attivo. Siamo però riusciti a stipulare un accordo tra noi in quanto comune, il nostro AUSER e la ASST, atto a promuovere e agevolare ai cittadini utenti l’accesso ai servizi online della CNS messi a disposizione dalla Regione Lombardia». Sa dirmi qualcosa riguardo il Molino? «La struttura è stata acquistata da una ditta di Milano, con cui è stato fatto un solo incontro. A detta dei nuovi proprietari, dovrebbe diventare un centro diurno per anziani; i pasti, colazione, pranzo e cena, dovrebbero essere preparati con soli prodotti a chilometro zero, quindi con particolare attenzione al territorio. L’edificio verrebbe tarato per 50 persone, con 14 appartamenti per autosufficienti, i quali possono usufruire del ristorante. Il custode dovrebbe essere sempre presente e, a quanto mi è stato detto, a livello sociale è un indirizzo privato di qualità alta». A lungo termine, quindi nel corso di questi cinque anni, quali cambiamenti
Molino di Bressana. «A detta dei nuovi proprietari, dovrebbe diventare un centro diurno per anziani
Giorgio Fasani, neo sindaco
vorrebbe apportare? «Per prima cosa vorremmo portare la scuola materna a livello statale; poi vorremmo rivedere la viabilità interna ed esterna, soprattutto per quanto riguarda le ferrovie: di recente, infatti, si è tenuto il comitato dei pendolari ed i pareri espressi non erano positivi. Perciò puntiamo a migliorare i servizi sia sul treno che nelle nostre due stazioni. è importante per noi anche prestare la maggior attenzione possibile all’ambiente e alla riduzione dell’inquinamento. Non ci sono in programma opere faraoniche, dato che i fondi sono quelli che sono; ma faremo del nostro meglio per mantenere efficienti e in ottimo stato i servizi ad oggi attivi, con un occhio di riguardo in particolar modo, ovviamente, verso le esigenze dei cittadini e le proposte che avanzeranno». Come si presenta la situazione strade? «Ci sono sicuramente da fare degli interventi, ma le strade sono in condizioni piuttosto buone. La via principale, via Depretis, è stata completamente riasfaltata pochi anni fa: è praticamente nuova; l’unica operazione che faremo a breve riguarderà i dossi – non verranno rimossi, ma ammorbiditi, per così dire». Com’è, il rapporto con i comuni limitrofi? Soprattutto alla luce del piano cave, che prevede l’allestimento di una cava in località Chiavica. «Con i comuni limitrofi siamo in buone relazioni. A breve, non appena terminato il Bressana a Festa e il periodo di ferie, convocherò una riunione per valutare
gli interventi necessari al territorio che comprende e circonda i nostri paesi. Un esempio è, appunto, la questione del piano cave. In merito, sia noi che i comuni nei dintorni, con particolare interesse da parte di Pinarolo Po, Rea e Verrua, abbiamo deciso di collaborare e mobilitarci per capire come scongiurare l’allestimento di questa cava». Quali sono le preoccupazioni maggiori a riguardo? «Ciò che ci allarma di più sono l’impatto ambientale e i problemi di viabilità. Cascina Bella, nucleo rurale di interesse storico e a noi bressanesi molto caro, con il Viale della Resistenza che presenta ancora rarissimi esemplari di populus nigra, sarebbe una delle zone maggiormente danneggiate dal transito di mezzi pesanti. Per non parlare poi del fatto che dovrebbero attraversare via I Maggio, che è un centro abitato; i camion andrebbero poi a finire sulla statale ex strada dei Giovi di Pinarolo, quindi una zona a traffico intenso. Bisognerebbe inoltre intensificare la manutenzione dell’asfalto stradale, e le emissioni di CO2 aumenterebbero non di poco. Per quanto riguarda i rischi alluvionali, ci riserviamo, noi e gli altri comuni ci riserviamo di avere una corretta Valutazione di Impatto Ambientale dall’AIPO e dagli altri organi preposti; sta di fatto che la cava verrebbe costruita in una zona soggetta a esondazioni. Inoltre, ragionando a lungo termine, una volta esaurita questa cava, ci ritroveremmo con una porzione di territorio praticamente desertica, si spererebbe senza macchine abbandonate ma, in ogni caso, da bonificare e riqualificare». In che modo la collaborazione tra comuni può impedire l’allestimento della cava? «Ad oggi abbiamo fatto tutte le osservazioni possibili, in cooperazione anche con le associazioni ambientaliste. Purtroppo non si può fare diversamente dal muovere osservazioni e sperare che vengano ascoltate. Certo è che più comuni, insieme alle associazioni a tutela dell’ambiente, sono meglio di un’una voce sola».
Entriamo in ambito elezioni: cosa l’ha spinta a candidarsi? «La nostra candidatura, mia e dell’amministrazione – la nostra lista è l’espressione di un gruppo – è nata dalla volontà di metterci a disposizione dei cittadini per risolvere innanzitutto i problemi basilari e di conseguenza migliorare la loro qualità di vita; tant’è vero che ci chiamiamo “Ascoltare Bressana”». Cosa ha contribuito alla vostra vittoria? è stata inaspettata? «Inaspettata per qualcuno magari sì, lo è stata, ma noi ci siamo proposti perché crediamo nel nostro progetto e sappiamo di avere le carte in regola per prenderci cura del nostro comune. Non saprei dire i motivi specifici per cui siamo stati votati, ma posso azzardare delle ipotesi: siamo tutte persone credibili, non abbiamo presentato progetti grandiosi ma realizzabili, attenti al territorio e al sociale, che davvero possono migliorare la qualità di vita degli abitanti; in più, non abbiamo chiesto aiuto a nessuna forza politica». Quindi possiamo dedurre che il vostro rapporto con i cittadini sia buono. «Sì, da parte nostra assolutamente. Si è appena conclusa Bressana a Festa, con giostre, mercato, bancarelle e l’immancabile Via del Gusto. Abbiamo riscontrato una grande affluenza. Ne approfitto per ringraziare la Pro Loco, le contrade e tutti i partecipanti che hanno contribuito a far sì che Bressana rimanga attiva e vitale.» All’interno del Comune le relazioni tra maggioranza e minoranza sono equilibrate? «Per ora abbiamo fatto due consigli comunali e da parte nostra c’è sempre stata grande apertura nei confronti di consigli, critiche, giudizi e rimostranze altrui. è nostra premura portare avanti le osservazioni di tutti, senza preclusioni. Permettiamo a tutti di partecipare alla vita del comune perché Bressana non appartiene alla maggioranza o alla minoranza ma è dei cittadini, e ognuno è importante per portare avanti questo progetto, dai dipendenti comunali, alla Pro Loco, all’ANPI, all’Auser». di Cecilia Bardoni
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MEZZANINO
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Ponte Becca: «Chi è al Governo si trova un tavolo già apparecchiato» L’affaire ‘’Ponte della Becca’’ acquisisce quasi ogni settimana una nuova puntata. Non si contano più le dichiarazioni, le boutade, i meme, gli ultimatum. I matrimoni, i divorzi. I vincitori, gli sconfitti. Pensiamo che per un comune lettore sia molto difficile tirare le fila di un discorso davvero troppo complesso come questo. Anche perché la questione si è ridotta, ormai, a uno scambio serrato di picche e di ripicche fra i politici di turno; tante opinioni, tanta propaganda, e poca - o nessuna - chiarezza. Sul finire dello scorso anno, in particolare, abbiamo assistito a un teatrino indegno, nel quale chiunque provava a giocare il ruolo del salvatore del ponte patrio, ovvero tentava di intestarsi il merito di un cospicuo finanziamento che, peraltro, ad oggi non è ancora stato finalizzato. Ci sono i soldi per un nuovo ponte? Forse sì. O forse no. Arriverà un progetto in tempi utili? Forse no. O forse sì. In questo marasma, tipico della campagna elettorale continua in cui ci ritroviamo nostro malgrado, e alla quale non ci abitueremo mai abbastanza, è sopraggiunta la caduta del governo gialloverde. E, con essa, si è temporaneamente arenata una di quelle picche e ripicche di cui sopra. Abbiamo colto l’occasione di questo momento di stallo per incontrare il Comitato Ponte Becca, nella persona del suo presidente, Fabrizio Cavaldonati. Il Comitato, inutile nasconderlo, è stato considerato nei mesi scorsi molto vicino alla Lega, per via di un canale diretto che si è aperto tra i dirigenti e la parlamentare vogherese Elena Lucchini, capogruppo della Lega in Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici alla Camera dei Deputati. Anche se – come ribadito anche dal presidente nelle righe che seguono – il comitato si proclama apartitico, ed è disposto a dialogare con tutti. L’intervista può essere utile, se non per tentare di raggiungere una definitiva quanto utopistica chiarezza, per riprendere il filo di tutti i temi principali che riguardano il ponte. Per fare, insomma, il riassunto delle puntate precedenti; dal punto di vista di una delle parti che con più costanza hanno fatto sentire la propria voce da tre anni a questa parte. Partiamo dalle basi: mi presenti il Comitato, nei suoi fondamentali. Così da inquadrare il campo di azione. «Il Comitato Ponte Becca è un ente giuridico, le cui origini risalgono all’estate del 2016. Ovviamente ha uno statuto e un regolamento. Attualmente è composto da dieci consiglieri più io, che sono il presidente.» C’è stata una causa scatenante che vi ha convinti della necessità di fondare questo nuovo soggetto? «Parlando con il vicepresidente Rigon ab-
Comitato Ponte Becca: «Vittorio Poma non ha mai saltato una riunione»
Fabrizio Cavaldonati presidente del Comitato Ponte Becca
biamo tastato un po’ gli umori della gente e abbiamo capito che era necessario muoversi in maniera organica e quindi, in piena autonomia, aprire questo ente giuridico. Per vedere se era possibile promuovere la costruzione del nuovo ponte e la valorizzazione di quello esistente. Sono questi gli obiettivi fondanti del nostro statuto. In linea di massima noi facciamo due assemblee annuali pubbliche, sponsorizzate in parte da qualche azienda locale per coprire i costi della manifestazione. La prima avviene a giugno e viene fatta a Mezzanino, nella sala del Museo del Po, la seconda a Linarolo presso la sala comunale dell’ex mulino.» Come si svolgono queste riunioni? «Sono prettamente riunioni informative. Da questo contatto diretto con la cittadinanza poi emergono quelle che sono le idee, le esigenze, i pareri. È fondamentale non solo lavorare sull’argomento con i social network, ma anche direttamente, parlando con le persone. In realtà, poi, a queste assemblee vengono invitate anche le persone che più direttamente potrebbero contribuire alla realizzazione del ponte, dunque membri della politica e delle istituzioni. Il presidente della provincia, Vittorio Poma, non ha mai saltato una riunione dal 2018. Poi partecipano i parlamentari pavesi, ai quali nel 2018 abbiamo fatto firmare un ‘’patto per il ponte’’. Una presa di impegno da parte di tutti i parlamentari pavesi per agevolare quella che era richiesta di finanziamenti per il nuovo ponte.» Ci sono stati esiti concreti?
«Spicca tra tutti, dopo il 4 marzo 2018, e una volta insediato il governo nei mesi successivi, il lavoro dell’onorevole Elena Lucchini, capogruppo della Lega in Commissione Ambiente, Territorio, Lavori Pubblici alla Camera dei Deputati, la quale ci ha aiutati molto nell’arrivare all’ambizioso scopo di trovare questi soldi.» Facciamo un po’ di chiarezza su questo punto, perché i soldi sembrerebbero non esserci mai stati, e la questione è ormai ridotta a uno scambio di opinioni, più che di fatti. Vuole darci la sua versione? «A dicembre 2018 l’onorevole è riuscita a far approvare come Legge dello Stato, o meglio: come emendamento alla Legge di Bilancio, lo stanziamento di 250 milioni di euro in 5 anni, per la manutenzione e per la programmazione eventuale di nuovi ponti sul fiume Po. C’è stato un impegno totale per portare a termine due passaggi obbligatori. Ma prima un passaggio preliminare, che consisteva nel fare una tabellina delle priorità da concordare all’interno del Ministero dei Trasporti. Questa tabellina al punto numero 8 indicava il finanziamento per il Ponte della Becca. Quindi c’era l’accordo. E c’erano tutti i documenti, i fattori che potevano far arrivare alla Conferenza unificata Stato-Regioni, che era il primo step obbligatorio. Il secondo passaggio era il decreto attuativo, dove si sarebbe stabilito concretamente il finanziamento per il Ponte della Becca.» Ahimè: non ne ho avuto notizia. «La Lucchini mi ha detto che dalla primavera passata e fino all’8 agosto, al mo-
mento della sfiducia al governo, lei ha tentato in tutti i modi, parlando con Toninelli direttamente, ma anche con i suoi sottosegretari, di sollecitare l’indizione di questa Conferenza e finalmente arrivare ad emettere decreto per il Ponte della Becca. Io non so quanti fossero questi soldi. So quanto potrebbe costare il Ponte della Becca: circa 80 milioni. Dalle informazioni che ho, stabilire chi abbia la responsabilità di non aver indetto questa Conferenza unificata e quindi di non aver consentito l’emissione del decreto non è facile a dirsi. Se sento la Lucchini lei mi dice, e io ci credo, che ha fatto di tutto per essere ascoltata nel Ministero. Dall’altra parte, Toninelli il 21 agosto 2019 ha dichiarato che è stata la Lucchini, per giochi politici, a volere lo slittamento di questa conferenza unificata. Insomma: qualche ingranaggio si è fermato.» Siamo in Italia. C’è sempre, ma proprio sempre, un ingranaggio che si ferma; ed è sempre colpa di qualcun altro. Ma qualche maligno potrebbe dire che sparare su Toninelli è come sparare sulla Croce Rossa, dati i numerosi attacchi di cui è stato oggetto, per i più svariati temi, nel corso dell’ultimo anno... «Toninelli, solo tredici giorni dopo l’8 agosto, in piena crisi, ha dichiarato, a proposito della conferenza unificata: ‘’La faremo noi subito’’. Toninelli deve essere un po’ come Nostradamus. In pratica ha avuto la presunzione di dire: o sarò ancora ministro io, o sarò talmente coinvolto nella macchina amministrativa anche in futuro da poter dire la mia. Evidentemente ha una palla di vetro in cui legge il futuro, dato che allora l’accordo per il nuovo governo era ancora assente.» Bene: ma quindi, dove si vuole andare a parare? «Ora succede che il 90% del lavoro per trovare i soldi, dal punto di vista procedurale, è stato fatto. C’è questo emendamento già approvato; adesso chi è al Governo si trova un tavolo già apparecchiato, potrà convocare subito la conferenza unificata e di conseguenza emettere il decreto legislativo.»
MEZZANINO Il nuovo ministro delle infrastrutture, Paola De Micheli, è di Piacenza: non troppo lontano dal Ponte della Becca. Chissà, magari le sarà capitato di attraversarlo e di constatare di persona quanto sia urgente una decisione definitiva in merito. Prevedete di cercare contatti anche con i nuovi esponenti governativi? «Assolutamente sì. Il 23 novembre ci sarà l’assemblea semestrale prevista dal nostro statuto, e in quella occasione sicuramente andremo a interloquire anche con i nuovi protagonisti. Andremo a discutere con chi andrà a governare le strutture e le infrastrutture in Italia.» Nel frattempo, la Strada Provinciale ex-SS617 Bronese è passata, almeno in parte, alla competenza di ANAS. Qual è l’importanza di questo transito? «Era chiaro a tutti che se si volevano i soldi e se si voleva realizzare davvero il nuovo Ponte della Becca, il passaggio della strada da provinciale a statale, quindi ad ANAS, era obbligato. Nella nostra regione nessuno sarebbe stato in grado di trovare queste risorse. Far passare questa strada sotto l’egida dell’ANAS, quindi, era fondamentale. Lo sarà ancora di più quando nel 2021 faremo in modo, attraverso la politica, che in questi 43 miliardi che ANAS stanzierà per il quinquennio 2021-2025 vi sia una parte dedicata al Ponte della Becca. L’ufficializzazione di questo passaggio di competenze avverrà con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della relativa legge, e questo dovrebbe accadere fra settembre e ottobre. È un aspetto che ormai dovremmo poter dare per assodato, chiuso.» La progettazione del nuovo ponte: stato dell’arte? «Sappiamo tutti che il primo step che verrà affrontato è il progetto preliminare, il primo di tre (gli altri sono il progetto definitivo e l’esecutivo, ndr) e il più importante. È quello che inizia a stabilire dove deve essere costruito il nuovo ponte, come viene costruito... dettagli importantissimi. Su questo argomento noi, come Comitato Ponte Becca, portiamo avanti una delle attività più importanti in questo periodo: monitorare l’andamento del progetto. L’incarico per lo studio di fattibilità è stato affidato ad un gruppo di tre aziende, due italiane e una spagnola. Stiamo per emettere una PEC alla stazione appaltante, che è Infrastrutture Lombarde SPA, per chiedere come siamo messi per quanto riguarda la famosa firma...» Quale firma? «In seguito al bando era previsto che si firmasse con queste aziende un contratto vero e proprio. Questo doveva avvenire ai primi di agosto, ma la firma è slittata ai primi di settembre. Noi non sappiamo più niente.» Cosa altro chiederete? «Chiederemo innanzitutto una verifica sui nomi delle imprese, quando avverrà o quando è avvenuta la firma del contratto e se, in conseguenza di questo, ci saranno deviazioni rispetto al termine previsto per la consegna del progetto, che è fissato a febbraio 2020.» Se la consegna sarà tardiva si può dire addio all’inserimento nel piano quinquennale ANAS. «Questo dobbiamo ancora appurarlo. Noi
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Cavaldonati: «Spicca tra tutti Elena Lucchini...»
pensiamo che la possibilità di inserirsi nel programma ANAS vi sia anche se non si giungerà puntuali a quella scadenza di febbraio. Quello che noi vorremmo più possibile far capire alla gente e a tutti è che c’è una tavola apparecchiata, c’è una occasione... va di moda parlare di discontinuità, ma in questo caso c’è un lavoro già fatto che deve essere assolutamente essere finalizzato. Posso immaginare cosa significhi il desiderio di non seguire le tracce precedenti, anche l’orgoglio... ma ci deve essere un atto responsabile per portare avanti questo lavoro. Tutti dobbiamo puntare su questo fatto. Che poi si parli di tutti i soldi per la realizzazione del ponte, o solo di 6 milioni di euro per finalizzare la progettazione, non importa: ci si accontenta. Ma a tutt’ora mancano sia l’importo totale, sia il solo importo per la progettazione. Tuttora, l’unico ente che ha dato dei soldi per iniziare la progettazione è Regione Lombardia, che ha stanziato gli 800mila euro con i quali è stata avviata appunto la progettazione preliminare.» Già in passato erano stati realizzati degli ‘’studi di prefattibilità’’ per il nuovo ponte. Qual è la soluzione da preferire, secondo il Comitato, per il nuovo ponte? «L’ingegner Gian Michele Calvi ci ha detto che, in base agli studi che avevano fatto, sarebbe da preferire la possibilità di realizzare il nuovo ponte a monte di quello attuale, circa 300 metri a ovest. Noi, come comitato, quando arriverà il momento fatidico andremo a scrivere a chi si occuperà di decidere alcuni nostri suggerimenti. Per esempio vogliamo rimarcare l’importanza dell’installazione di pannelli trasparenti fonoassorbenti per limitare i rumori, a beneficio soprattutto della fauna Parco del Ticino. Un’idea ambientalista che ci sta a cuore.» Non temete di essere considerati troppo ‘’politicizzati’’, per via dei rapporti stretti con alcuni elementi del Carroccio? «Noi continuiamo a essere il più possibile in assoluto apartitici. Quando venne per la prima volta a una delle nostre assemblee il consigliere regionale Simone Verni, questi iniziò il suo discorso dicendo: ‘’Voi del comitato non è vero che siete apolitici: voi siete politici, ma siete apartitici’’. Mi è rimasta impressa questa definizione, che per me vuol dire: voi vi dovete occupare di politica, ma non dovete sbandierare un’appartenenza politica. Noi abbiamo, al nostro interno, componenti vicini ai Cinque Stelle (il vicepresidente Rigon è stato candidato
«Il Comitato Ponte Becca Living, non è più operativo. Per quanto riguarda il Comitato Permanente, non nascondo che non abbiamo mai avuto ottimi rapporti con Zoppetti» a Pavia nelle loro file), abbiamo elementi vicini a Forza Italia... Diciamo che il comitato è composto da una serie di persone che si riconoscono in tutto l’arco costituzionale. Quindi ci confronteremo con tutte le forze politiche. Quello che ovviamente io credo sia molto utile per noi, dal punto di vista della divulgazione informativa, è ricordare la data della prossima assemblea, il 23 novembre, perché sarà un momento importante di confronto e saranno presenti anche i rappresentanti politici e istituzionali.» Rapporti con gli altri comitati? «Il Comitato Ponte Becca Living, per quanto ne so, non è più operativo. Per quanto riguarda il Comitato Permanente, non nascondo che non abbiamo mai avuto ottimi rapporti con Zoppetti; la cosa anche curiosa, se vogliamo, è che i due comitati sono nati insieme, parallelamente, duran-
te l’estate del 2016. Questo gruppo, come è noto, era nato dalla volontà di Zoppetti con l’avallo dell’ex sindaco di Linarolo Scudellari.» Non ci sono mai stati punti di contatto? «Nel 2017 e in parte del 2018 alcuni punti di contatto ci sono stati, nel senso che ci scambiavamo pareri e opinioni sui social e anche durante le assemblee. Anche loro non hanno più operatività effettiva, al momento. Quel comitato era nato come qualcosa di istituzionale, partendo dal comune di Mezzanino. Al momento la realtà è che solo su Facebook compare qualche osservazione, qualche cosa.» Con il nuovo sindaco di Mezzanino, Adriano Piras, vi intendete maggiormente? «Con Piras c’è un incredibile feeling.» di Pier Luigi Feltri
BRONI
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Prezzo delle uve: «Certamente questa situazione non dipende direttamente da questo CdA» Il 2019 è stato un anno di grandi cambiamenti per la cooperativa “Terre d’Oltrepò”: dal rilancio del marchio Testarossa, con la presentazione del millesimato 2015, alle nuove modifiche statutarie. Senza dimenticare il cambio della direzione commerciale, avvenuta proprio nel corso dell’estate, con l’ormai ex direttore Marco Stenico che lascia l’incarico, assunto più di due anni fa, al nuovo responsabile Massimo Sala. Il presidente di “Terre d’Oltrepò”, Andrea Giorgi, ci ha illustrato gli ultimi sviluppi di questa rivoluzione, chiarendo inoltre alcuni punti critici sollevati da alcuni soci al termine della scorsa assemblea. Presidente Giorgi, la scorsa assemblea è stata un passo importante per la Cantina. Sono stati modificati alcuni articoli dello statuto. è soddisfatto di come si è espressa l’assemblea? «Era da tempo che lavoravamo a questa modifica dello statuto. Quindi nulla è stato tralasciato. Abbiamo valutato attentamente i tempi e soprattutto i contenuti che abbiamo verificato con dei professionisti ed abbiamo avuto anche l’apporto dei soci. Poi ci siamo limitati semplicemente a fare quello che prevede il nostro modo di operare, ovvero il CdA ha sottoposto il progetto all’assemblea che si è espressa democraticamente. Ritengo questo passaggio il massimo dello sforzo democratico». Avete deciso di eliminare dallo statuto il riferimento agli stabilimenti di Broni e Casteggio per quanto riguarda la lavorazione delle uve dei soci, eliminando di fatto la territorialità. Come mai questa modifica? «Questa domanda non rispecchia assolutamente la realtà. E’ solo una mera questione formale, nulla di più. Il nostro attaccamento al territorio rimane e rimarrà per sempre. I fatti, in effetti, sono altri. Non a caso la nostra marcata territorialità è ben espressa nella nostra denominazione Terre d’Oltrepò. Quindi non è assolutamente vero che abbiamo eliminato il radicamento con la realtà che ci circonda che, invece, rimane condizione fondamentale per il nostro sviluppo ed il nostro operato». Durante l’assemblea non si è discusso solo delle modifiche allo statuto, ma c’è stata l’occasione di presentare la collaborazione con lo stimato enologo Riccardo Cotarella, che già aveva collaborato in passato con la Cantina di Casteggio. I soci come hanno appreso il ritorno di questo importante tecnico? «L’arrivo dell’enologo Cotarella è stata una scelta ponderata e ben pensata. Nulla è stato lasciato al caso nella fase di trattativa e questo suo inserimento in azienda rappresenta una svolta per la nostra realtà. E, lo speriamo con il cuore, anche per l’intero territorio. Cotarella non ha bisogno di presentazioni, è uno dei massimi
Il presidente di “Terre d’Oltrepò”, Andrea Giorgi e l’enologo Riccardo Cotarella
enologi mondiali e siamo orgogliosi di questa preziosa collaborazione che porterà sicuramente a risultati positivi. Firmerà il cosiddetto “progetto qualità”, un percorso che porterà la nostra cantina a fare un salto in avanti con vini che potranno trovare spazio in un segmento di mercato medioalto. Siamo orgogliosi che Cotarella abbia apprezzato il nostro progetto, questo significa che siamo sulla strada giusta. In questo percorso confidiamo apertamente nella collaborazione dei soci che sono l’ossatura portante della nostra società. Sin dalle prime battute c’è stato molto entusiasmo perché hanno capito che il futuro di questa azienda è anche legato a queste nuove strategie che partono proprio dalla vigna. Siamo contenti di questa percezione che ci sprona a muoverci in questa direzione». La collaborazione con Cotarella si limiterà al solo “Progetto Premium” oppure si tratterà anche d una supervisione su tutta l’intera produzione? «L’attenzione di Cotarella è rivolta in prima battuta al progetto qualità, ma ovviamente la sua professionalità ci permetterà di ampliare l’orizzonte con una serie di azioni, ancora in fase di studio, che riguarderanno l’intera gamma della produzione di TDO». Si è parlato anche di prezzi delle uve: si è rilevato un crollo dei prezzo medio dai 59 euro del 2018 ai 53 euro previsti per la vendemmia 2019. Lei però si era sempre speso per voler aumentare i prezzi di remunerazione delle uve dei soci. Saprebbe giustificare questo calo? «Certamente questa situazione non dipende direttamente da questo Cda. La causa va ricercata più a fondo. Tutti conoscono la storia della cantina e del territorio, è inutile
nascondersi dietro ad un dito. Negli ultimi trent’anni la politica commerciale è stata rivolta ad un prodotto che non è riuscito a distinguere i nostri marchi e le nostre bottiglie. Quello che stiamo facendo e che abbiamo già iniziato negli anni scorsi è un progetto di conversione verso un maggior valore che per spiegare i suoi effetti ha bisogno di un po’ di tempo». All’uscita dell’assemblea alcuni soci hanno espresso parecchie perplessità, segnalando nell’ultimo quinquennio un forte calo di fatturato. A loro cosa risponde? «La risposta è molto semplice. Il fatturato è stato altalenante per l’incostanza delle produzioni e per l’andamento del mercato. Tutto l’Oltrepò Pavese è costretto a subire da tempo questa tendenza, chi lavora in questo settore lo sa benissimo, le polemiche sono altra cosa. Con le nostre iniziative stiamo cercando di cambiare rotta perché il territorio, insieme a noi, questa è la dimostrazione del nostro radicamento ancora forte con la realtà locale, possa invertire questa situazione. Deve essere un Oltrepò intraprendente che possa permettere alle proprie uve di riguadagnare valore». Alcune settimane fa è stata presentata la nuova direzione commerciale. L’ex direttore Stenico ha lasciato per motivi familiari, anche se erano alcuni mesi che si notava l’assenza del direttore ad eventi ufficiali e conferenze stampa. In quale direzione intendete orientare la vostra nuova politica commerciale? «Smentisco quanto la domanda cerca di insinuare. Stenico, che ringraziamo per quanto fatto, ha lasciato l’azienda per questioni familiari e non certo per divergenze con i vertici della Cantina. L’ex direttore
«Quella del 2019 sarà la vendemmia della svolta. Ma soprattutto sarà di grande qualità» ha partecipato a tutte le manifestazioni che la cantina ha organizzato, coordinandone anche l’operatività. A partire dal grande lancio del Testarossa 2015 nella primavera scorsa a Milano. La nostra politica commerciale, che vede oggi come protagonista un altro qualificato operatore del settore come Massimo Sala, ha due direttive ben precise. La prima è volta ad un posizionamento più alto dei nostri prodotti. La seconda ha come obiettivo un aumento della reputazione aziendale». Quali altre riforme intende portare avanti da qui alla fine del mandato? «Di riforme ce ne saranno molte, alcune sono già sui tavoli della discussione. Sia dal punto di vista dell’affermazione di TDO in Oltrepò Pavese come cantina di riferimento per alcune scelte di sviluppo. Sia attraverso il costante aiuto che rivolgiamo alle aziende socie». Per concludere, da pochi giorni pochi giorni è iniziata la vendemmia 2019: cosa vi aspettate da questa annata? «Uso poche parole. Quella del 2019 sarà la vendemmia della svolta. Ma soprattutto sarà di grande qualità». di Manuele Riccardi
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«Credo che alla lunga, passato questo primo momento, anche Maggi darà un apporto costruttivo» Con il grido di battaglia “Cambiamo Stradella’’, Alessandro Cantù ha vinto le elezioni amministrative dello scorso 26 maggio, conquistando al centrodestra una città che storicamente era stata sempre governata dalla fazione avversaria. Ora si inizia a fare sul serio: ed è il momento di declinarlo, quel cambiamento invocato nello slogan. Abbiamo incontrato il sindaco proprio per conoscere le modalità di attuazione del programma e le sue impressioni dopo questi primi mesi di lavoro. Sindaco, è arrivato il mese di settembre. Con agosto un po’ tutti i comuni vanno in ‘’stand-by’’, e immagino che il suo non faccia eccezione. Dopo questi primissimi mesi seguiti alla vittoria elettorale, adesso inizia il bello. «Il periodo estivo, è vero, è abbastanza fermo nei comuni. Ma non è stato di riposo per me e per la nostra squadra. Abbiamo avuto il tempo necessario per guardare con attenzione ciascuno la parte di propria competenza. Il sindaco e ciascuno degli assessori hanno potuto prendere visione di tutte le pratiche in corso, che in una città come Stradella sono veramente tante, in modo tale da prendere confidenza non soltanto con le pratiche in sé, ma anche con gli uffici e con le procedure proprie del comune. Procedure che sono essenzialmente diverse da quelle che magari poteva conoscere chi ha già fatto impresa privatamente. Abbiamo potuto, insomma, prendere ancora più consapevolezza con la macchina amministrativa. Adesso, nel mese di settembre, stiamo portando avanti cose che comunque non abbiamo sospeso nell’estate, tranne proprio per Ferragosto. Tante, tante iniziative.» Parliamo allora di queste iniziative. «Cominciamo con i lavori pubblici, che io seguo direttamente. Anche qui, ci siamo giusto fermati per alcuni giorni ad agosto, ma nemmeno per tutti gli interventi. Abbiamo alcuni lavori in corso sulle scuole e sul palazzetto dello sport, per quanto riguarda l’efficientamento energetico. In questo caso abbiamo lavorato anche d’estate, perché comunque le scuole sono in vacanza e lo stesso palazzetto, dall’autunno, è interessato dalle attività scolastiche. Adesso inizieremo altri lavori, anche già programmati dalla precedente amministrazione, sul parco giochi della città. Abbiamo un po’ revisionato il progetto rendendolo secondo noi un attimo più fruibile e di miglior utilizzo per i ragazzi. Sempre nel periodo estivo si è proceduto con il rifacimento di asfalti, marciapiedi... ricordiamo che anche il decoro della città è uno dei punti più importanti per l’amministrazione della città, insieme al rilancio del commercio e sicurezza.»
Alessandro Cantù, neo sindaco di Stradella
I lavori pubblici, per i quali non ha assegnato la delega ad alcun membro della sua giunta, non sono un mistero per lei, che durante la sua carriera professionale si è occupato, se vogliamo per ragioni dinastiche, anche di edilizia... «Diciamo di sì, diciamo che io non affronto mai alla cieca nessuna avventura... In questo momento abbiamo tanti cantieri perché abbiamo ereditato dalla precedente amministrazione un project di efficientamento di tutti gli edifici comunali, e abbiamo poi in programma molti altri interventi.» Il suo predecessore, l’ex sindaco Pier Giorgio Maggi, siede oggi sui banchi dell’opposizione. I primi contatti fra loro e voi non sono stati felicissimi, come era lecito aspettarsi dopo gli esiti della tornata elettorale. Pensa che, nel prosieguo dell’attività amministrativa, sia possibile trovare qualche punto di convergenza, e magari ‘’sfruttare’’, nel senso più positivo possibile del termine, le conoscenze maturate dal sindaco precedente? «Io credo che il ruolo della minoranza sia fondamentale in qualsiasi democrazia e dibattito. Chiaramente in questa prima fase è possibile che la passata amministrazione sia un po’ scottata dalla sconfitta elettorale. Credo però che alla lunga,
passato questo primo momento, anche Maggi darà un apporto costruttivo, come peraltro dichiarato durante il primo Consiglio Comunale. Per cui ci aspettiamo di sentire, nei suoi interventi e nei suoi toni, delle valide motivazioni per spingerci a migliorare. Come peraltro accade già da parte dell’altro gruppo di minoranza, La Strada Nuova. Una minoranza che si esprime, che espone problemi, ma nella quale ho percepito la volontà di costruire. Dobbiamo tenere conto delle espressioni della minoranza.» Maggi ha criticato lo scarso tempo che lei metterebbe a disposizione dei consiglieri comunali per i loro interventi, sostenendo al contempo di non aver mai interrotto nessuno, quando era lui a presiedere le adunanze. Cosa risponde a questa eccezione? «Io, che non ho esperienza politica, mi sono messo a studiare, come immagino avrebbe fatto ogni persona che non conoscesse nel dettaglio l’argomento. Ho studiato il Regolamento del Consiglio Comunale, che prevede cinque minuti per le repliche, come stabilito nell’articolo 63. I tempi assegnati agli interventi sono frutto di una mera applicazione del regolamento. D’altra parte questo regolamento c’è, esiste, ed era stato approvato da precedenti amministrazioni: non dalla mia.»
Nei primi mesi di amministrazione cittadina, ma per la verità anche durante la campagna elettorale, è parso che alcuni membri della sua amministrazione (come il vicesindaco Frustagli) emergano all’interno della compagine, talvolta puramente alla ricerca di visibilità. Non che sia un male, di per sé; ma non crede che un’eccessiva evidenza dei singoli possa minare la sua autorità di leader della compagine? «Al contrario: io spero che tutti cerchino di emergere, che si diano parecchio da fare, e che il risultato vada a beneficio di tutto il gruppo consigliare e di conseguenza della cittadinanza. Devo dire che tutti gli assessorati stanno lavorando tanto, non solo quello del vicesindaco, e tutti sono presenti con frequenza in Comune, dimostrando una dedizione alla causa notevole. Ben oltre rispetto a quanto si potesse chiedere loro inizialmente. Sono tutti assessori che comunque collaborano fra di loro e con i dipendenti. E, ci tengo a dirlo, all’interno della macchina comunale abbiamo trovato una collaborazione ampia. Tutti gli assessori si confrontano proficuamente con i dirigenti alla partita, perché una volta individuate le linee da seguire abbiamo bisogno che siano i responsabili di servizio a dirci come procedere nel concreto.
STRADELLA Devo dire che abbiamo ricevuto una collaborazione piena da parte dei dipendenti comunali.» Fra i primi temi finiti sulla sua scrivania c’è quello sulla viabilità, da rivedere non solo nel centro cittadino ma anche e soprattutto nell’area delle logistiche. Quali sono le linee che state approntando? «Nella viabilità, come anche in altri settori, gli aspetti con cui confrontarsi possono essere contingenti, programmatici e strutturali, di lungo periodo. Contingente è la segnaletica, sono i posti auto per i disabili, i parcheggi carico/scarico. Riguardano le questioni più immediate. Per quanto riguarda la parte strategica, prima di intervenire è necessario uno studio: per questo motivo, come detto anche rispondendo ad un’interpellanza di La Strada Nuova, abbiamo iniziato uno studio sull’area logistiche, per capire quale sia il reale traffico, le dinamiche dei flussi, i periodi di traffico più sostenuto, e di conseguenza abbozzare un miglioramento. Negli interventi strutturali metterei la ‘’gronda nord’’: riprendiamo tutti i contatti per poter iniziare i lavori di questa opera, che comunque sarà importante per cercare di alleggerire il traffico interno della città.» In campagna elettorale, ma anche dopo, è emerso il desiderio di ampliare il ruolo di Stradella come punto di riferimento per l’Oltrepò orientale. Come pensa di declinare questo indirizzo? «Intanto noi vorremmo cercare di fare in modo che Stradella sia la capofila della Valle Versa. Quando ci poniamo l’obiettivo di valorizzare il territorio, vogliamo partire, intanto, dai comuni del comprensorio della Valle Versa. Abbiamo avuto un riscontro molto positivo già nella manifestazione più importa che organizziamo qui, Vinuva. Ci sono state adesioni da parte di tutti i comuni limitrofi, che parteciperanno all’evento in proprio, con propri stand. Si vede quindi che facciamo squadra, da questo punto di vista. Vinuva rappresenta la nostra visione della politica. È una manifestazione che esisteva già, e che abbiamo in parte cambiato.»
«La Strada Nuova? Una minoranza che si esprime, che espone problemi, ma nella quale ho percepito la volontà di costruire»
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«Non voglio cancellare tutto quello che ha fatto l’amministrazione precedente, ma cercare di migliorarlo. Il mio cambiamento è questo, non è una rivoluzione» Cambiato quanto? «Quando io parlavo in campagna elettorale di cambiamento per Stradella, non intendevo una volontà di cancellare tutte le iniziative fatte e in atto. Noi abbiamo l’obiettivo di migliorare tutto quello che si può migliorare. Per noi era ed è molto importante Vinuva, ma andava rivista. Abbiamo l’obiettivo di alzare l’asticella, anche in questo caso. Vogliamo proporre delle manifestazioni che siano anche culturalmente di spessore. Vogliamo che non si venga a Stradella soltanto per mangiare un panino e bere qualche bicchiere, ma anche per discutere di vino. Deve essere, e lo sarà sempre più nei prossimi anni, una manifestazione qualitativamente elevata. All’interno della manifestazione ci sarà anche una serata per i ragazzi, con uno dei deejay più quotati del momento. Ci sarà Gene Gnocchi che presenterà la gara dei cocktail: un personaggio importante, noto, che viene volentieri a Stradella. Tornando al punto, non voglio cancellare tutto quello che ha fatto l’amministrazione precedente, ma cercare di migliorarlo. Il mio cambiamento è questo, non è una rivoluzione ma significa essere capaci e avere l’intelligenza di capire dove e come bisogna migliorare.» A Casteggio fino a qualche anno fa veniva organizzata un’importante kermesse vinicola, Oltrevini. Da quando è stata abolita, nessun grande evento ha preso il suo posto. Tante manifestazioni più in piccolo, partendo dalla miriade di feste delle Pro Loco per arrivare a quelle un po’ più strutturate come Oltrefestival sempre a Casteggio, Festa dell’Uva a Broni e Vinuva a Stradella, appunto. In virtù delle sue aspettative, quest’ultima manifestazione potrebbe o vorrebbe aspirare a prendere il posto che fu di Oltrevini, con un taglio magari un po’ più moderno e appetibile? «Diciamo che in questa direzione, molto lentamente, ci stiamo muovendo. Già Vinuva di quest’anno è migliorata rispetto al passato. Abbiamo spostato un pochettino la data e abbiamo anche concentrato più l’attenzione sull’uva e sul vino. Era diventata principalmente una festa, perdendo un po’ le caratteristiche per cui era nata. Già questo fatto di avere avuto le adesioni di tanti comuni è positivo. Le cantine saranno presentate comune
per comune; ognuno avrà il proprio sommelier. Questo è già un tentativo di fare squadra con il territorio. Se chiaramente vedremo dopo qualche anno che i risultati saranno positivi, vedremo di ampliare la platea produttori che potranno partecipare, e magari avere collaborazioni, se non fino a Voghera, magari fino a Casteggio. Questo per cercare di valorizzare l’Oltrepò nel modo più ampio possibile. È molto importante investire sullo sviluppo del territorio, ma purtroppo ci vuole una visione lunga. Molto spesso le finanze dei comuni sono un pochino ristrette e si privilegiano, come magari è doveroso, altri aspetti come le scuole, le strade, i fattori più contingenti. Così però si perde un po’ di lungimiranza sullo sviluppo.» Non pensa che si dia troppa importanza agli eventi? Mi spiego: prima di organizzare grandissimi eventi onnicomprensivi non sarebbe necessario che i player del mondo vitivinicolo remassero nella stessa direzione? Faccio riferimento anche all’idea, che ogni tanto emerge, di organizzare in Oltrepò una grande manifestazione sulla falsariga di Collisioni a Barolo (mi perdoni: detta così fa già ridere)... «Bisogna capire che noi siamo amministratori e dobbiamo ragionare come tali. Se vogliamo, noi tutti amministratori, cercare una strada univoca per valorizzare il territorio, tutti gli altri attori, vale a dire consorzi e gruppi di ogni natura, occorre che procedano parallelamente. È chiaro che queste manifestazioni vanno bene per attirare le persone qui una volta, ma bisogna che siamo in grado di proporre loro anche cose che vadano oltre, che amplino l’offerta anche oltre al vino. A Stradella per esempio abbiamo il teatro, come altre cose da poter proporre. Dobbiamo utilizzare gli eventi per far venire gente a Stradella e poi offrire qualcosa di complementare, ma valido.» A proposito del teatro. Cosa ci racconta della nuova stagione? «Anche quest’anno è proseguita la collaborazione con il Fraschini. La stagione teatrale sarà di livello molto alto, con spettacoli che saranno apprezzati perché belli e interessanti. Devo dire che a cornice di questo teatro, abbiamo anche l’importante Accademia del Ridotto, che sta prendendo molto piede, con un discorso qualitativo che è molto importante per Stradella.
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Richiama studenti e insegnanti di livello internazionale.» E c’è il progetto di arrivare a sfornare diplomi accademici... vale a dire, l’università a Stradella. «È un’iniziativa lodevole, iniziata prima che arrivassi io ma che noi continueremo a portare avanti.» Tornando al tema precedente e alle dinamiche territoriali, pensa che Stradella, la quale dispone di risorse umane e di competenze che i piccoli comuni possono soltanto sognarsi, potrebbe in futuro fungere da ‘’aggregatore’’ per qualche realtà più piccola, in un’ottica di razionalizzazione delle risorse e magari anche di fusione? «Credo che Stradella sia un pochino troppo grande per aggregare in questo momento altri comuni. Mi sembra un discorso prematuro per quanto riguarda noi. Le specificità dei piccoli comuni verrebbero schiacciate.» Stradella appare a chi la visita come una città viva, anche grazie alla grande vivacità imprenditoriale che la caratterizza. Come vi state muovendo per favorire il commercio? «È nostro desiderio fare tutto il possibile per aiutare il commercio e i commercianti, che stanno proponendo ottime iniziative. Ora vedremo se anche per il anno prossimo ci sarà la possibilità di ripetere l’iniziativa di ristoratori di Stradella chiamata ‘’Le vie del gusto’’. Siamo propensi ad accettare tutti gli eventi e le iniziative che portino movimento in città, che portino turismo, che portino persone. Questo evento in particolare ha portato qui molte persone da Pavia, da Milano e da molti altri luoghi.»
«Il decoro è uno dei punti più importanti, insieme al rilancio del commercio e sicurezza» Sta dimostrando di poter intrattenere un ottimo rapporto con i commercianti... «Intanto noi, come amministrazione, cerchiamo di collaborare con tutti i commercianti e di ascoltarli: però chiediamo anche che vengano valorizzati certi principi. Incontriamo spesso i commercianti, e chiediamo loro anche di rispettare e far rispettare ai loro utenti le regole, perché ci sono equilibri che vanno tenuti in considerazione. Ma è bello quando c’è vita in città, e poi preferisco che i nostri giovani possano trovare divertimento qui, evitando di spostarsi in altri comuni magari anche lontani.» di Pier Luigi Feltri
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A Stradella c’è una grande potenzialità nel nome “Mariano Dallapè»
I fratelli Amleto e Fabio Dallapè all’interno della loro storica fabbrica L’”Enciclopedia Italiana della Musica” afferma che «Il personaggio di maggior rilievo che in Italia riuscì, con geniali intuizioni a trasformare l’arcaico organetto nella più complessa fisarmonica diatonica, fu lo stradellino d’adozione ma trentino di nascita, Mariano Dallapè». La figura di Mariano Dallapè è stata certamente essenziale per l’economia Stradellina. Di umili origini in breve tempo, grazie alla sua intelligenza e alla sua capacità manageriale, si ritrovò tra i più importanti ed influenti imprenditori nella produzione musicale di inizio novecento. Mariano Dallapè era un personaggio dalle decisioni ferme. Durante la prima guerra mondiale gli fu richiesto di utilizzare la sua officina per la produzione di proiettili ed armi: egli si rifiutò categoricamente, non volendo fabbricare piombo in cambio di note. Piombo che tra l’altro sarebbe potuto essere utilizzato contro il suo amato Trentino, allora sotto l’Impero Asburgico, dove vivevano suo padre, suo fratello, la sua famiglia. Era un uomo che aveva a cuore le problematiche delle persone, dando spesso lavoro ai più bisognosi. Tra le tante opere buone va ricordato che ogni sabato del mese incaricava un operaio a ritirare in banca un sacchetto di monetine da distribuire ai poveri, che si presentavano davanti alla sua azienda, memore dei suoi primi anni difficili. Il marchio Dallapè è conosciuto da tutti i più famosi musicisti internazionali: un giovane Paolo Conte, dalla voce un po’ esitante e non ancora perfezionata, gli dedicò nel 1974 il brano “La Fisarmonica di Stradella”. Per tutto il novecento seguirono anni di intensa passione e lavorazione, fino al 2010,
anno in cui la fabbrica cessò la produzione. Questo non significa che sia morta, anzi è più viva che mai. Entrando nello stabile di Via Mazzini 14 si capisce subito che qui è tutto pronto per una nuova avventura. Tutto è fermo all’ultimo giorno di produzione, nulla è stato toccato nella speranza che un giorno, nella vecchia fabbrica, venga allestito un museo unico al Mondo . Abbiamo intervistato i fratelli Amleto e Fabio Dallapè, terza generazione ad aver gestito la storica ditta stradellina, ultimi custodi di questa storia affascinante. Oggi il cognome Dallapè si identifica strettamente con Stradella, ma la vostra famiglia ha origini lontane. Come mai Mariano Dallapè scelse Stradella per iniziare la sua attività? «La famiglia Dallapè è originaria di Brusino di Cavedine, in Trentino. Mariano Dallapè dopo aver lasciato il maso della sua famiglia, si mise in viaggio all’avventura e, dopo varie peripezie, trovò impiego al Porto di Genova. Durante il suo lavoro venne ferito dall’esplosione di una mina, la quale lo rese claudicante e di conseguenza venne licenziato. Per questo motivo fu costretto a lasciare Genova e si mise in viaggio per ritornare in Trentino accompagnato da un vecchio organetto austriaco che spesso suonava, come autodidatta, nei paesi dove alloggiava. Caso volle che arrivato a Stradella lo strumento si ruppe e decise così di soggiornarvi alcuni giorni per poterci mettere mano e ripararlo. Quell’organetto austriaco era uno strumento molto limitato, con il mantice che emetteva suono solamente in un senso. Durante le operazioni di riparazione decise di modificarlo, facendolo suonare sia in estensione che in compressione.
Questo gli permise di raddoppiare i suoni emessi dallo stesso bottone. Nacque così la prima fisarmonica diatonica. Possiamo quindi affermare che la scelta di Stradella fu pura casualità. C’è però un altro fattore che spinse Dallapè a fermarsi in città: durante il suo soggiorno stradellino lavorò come aiutante agricolo presso un’azienda di San Damiano al Colle: qui si innamorò di Angela Brega, la figlia del proprietario terriero, la quale poi divenne sua moglie. Inizialmente la famiglia Brega fu contraria al matrimonio, in quanto Mariano era un austriaco, che probabilmente parlava anche male l’italiano, “senza arte ne parte”. Poi però capirono che di arte ne aveva da vendere…». Quando venne prodotta la prima “fisarmonica diatonica moderna” Dallapè? «Il primo prototipo venne assemblato nel 1871 ed è tutt’ora esposto nel “Museo della Fisarmonica Mariano Dallapè” di Stradella, ma è ancora di nostra proprietà. Siamo sicuri dell’anno in quanto lo strumento è stato datato personalmente da Mariano Dallapè. L’azienda invece venne fondata cinque anni dopo, nel 1876». Quali furono le principali innovazioni introdotte dalla vostra azienda? «Sicuramente la prima innovazione fu quella applicata al vecchio organetto austriaco, cioè la possibilità di raddoppiare il suono in apertura e chiusura di mantice. Poi seguirono numerose innovazioni e brevetti: nel 1890 il sistema diatonico viene trasformato in sistema unitonico. Successivamente Mariano inventò il sistema dei bassi e accordi precostituiti che ancora oggi, in tutto il Mondo, viene conosciuto come “bassi Stradella”». Nel primo dopoguerra ci fu un vero e
proprio boom riguardante la fisarmonica di Stradella. Gli ordini e le vendite aumentarono a dismisura, tant’è che nacquero altre fabbriche in città… «Spesso succedeva che alcuni dei migliori dipendenti della la nostra ditta, dal semplice operaio al caporeparto, imparati i segreti del mestiere da” quel genio di Mariano”, si mettevano in proprio. Nacquero così la “Maga”, la “Rogledi”, la ”Massoni”, la “F.lli Crosio” e molte altre. Una curiosità riguarda proprio la ditta “Massoni”, la quale aveva nella propria intestazione sul frontale della fisarmonica la dicitura “ex direttore stab. Dallapè”, per indicare la qualità professionale della sua produzione. Mariano Dallapè non si è mai arrabbiato di questo, anzi ne era orgoglioso perché lui aveva inventato la fisarmonica e altri lo avevano seguito ereditando questa arte. Nacquero così circa quarantacinque fabbriche in Stradella: intorno agli anni ’30 su circa diecimila abitanti c’erano circa mille persone che lavoravano nel settore della fisarmonica. Solamente da noi, negli anni 1928-29 lavoravano circa trecento operai. Stradella è famosa per due personalità: Agostino Depretis e Mariano Dallapè. Depretis fu di certo un’importantantissima figura politica nazionale, ma non economica. Mariano Dallapè invece fu un imprenditore che generò ricchezza a Stradella, dando tante possibilità lavorative ai cittadini. Ricordiamoci che partì da un maso di Brusino di Cavedine e nel 1900 si ritrovò, insieme ai grandi industriali di quel periodo, ad essere premiato all’”Esposizione Mondiale di Parigi” con il “Grand Prix d’Honneur” per “l’ elevata qualità della sua produzione e delle più belle fisarmoniche prodotte in quel periodo”». Quindi possiamo ritenere che già negli anni ’20 fosse un’azienda all’avanguardia? «A Stradella trovò terreno fertile. Era il primo grande centro della Valversa ad avere l’energia elettrica e la fabbrica si trovava a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria. Era un’azienda all’avanguardia per diversi motivi: ogni reparto produceva interamente ogni singolo componente dello strumento, nulla era lasciato a terzi. A livello di marketing era tra le migliori aziende d’Italia, in quanto Mariano era supportato dal figlio Amleto, che aveva studiato ed era sempre aggiornato sulle ultime novità. Per quanto riguarda la manodopera Mariano chiamava i suoi dipendenti “artisti-operai” proprio perché riconosceva l’importanza dell’arte imparata da ogni singolo operaio che lui stesso preparava e allevava. Il dipendente della Dallapè era orgoglioso del lavoro che svolgeva e lo si può capire smontando qualsiasi strumento di quegli anni: ogni componente
STRADELLA interna era firmata dall’operaio che l’aveva assemblato, perché sapeva che il suo lavoro e la sua firma avrebbero girato il Mondo. La fabbrica aveva già un’impronta manageriale, con direttori e capi reparto. Già nei primi del ‘900 avevamo un centralino interno che collegava telefonicamente ogni singolo reparto! Un’altra curiosità riguardava la selezione degli operai: Mariano assumeva anche molti “cronici”, cioè coloro che avevano problemi fisici o di deambulazione. Questo perché, ricordandosi del suo licenziamento al Porto di Genova per la menomazione che lo aveva colpito, sapeva che anche il più debole poteva lavorare seduto ad un tavolo. Per questo motivo gli stradellini generalmente chiamavano gli operai della fisarmonica “i crònich”». Poi nel 1928 avvenne il cambio generazionale… «In quell’anno morì Mariano Dallapè e, per ironia della sorte anche il figlio Amleto. Però Mariano, sapendo che il figlio era cagionevole di salute, mise in sicurezza la sua azienda due anni prima, nel 1926, facendo arrivare dal Trentino nostro padre, Giuseppe Dallapè, il figlio di suo fratello, che in questi due anni fece tutto il praticantato, dalle mansioni operative a quelle produttive, fino alla gestione totale della ditta. Il suo desiderio era quello di lasciare l’azienda ad un Dallapè, evitando l’intrusione di manager esterni». Il punto di forza della vostra artigianalità era che ogni singolo componente era prodotto interamente nella vostra fabbrica. Questo però non causava un problema in costi di produzione? «Sì, per molti anni quello è stato il nostro punto di forza. Era quello che ci differenziava già da subito dalle altre aziende. Poi purtroppo questo si rivelò un danno, perché i costi di produzione rimanevano molto alti. Nostro padre non volle mai cambiare la filosofia originaria di Mariano Dallapè: “Così si è sempre fatto, così si deve andare avanti”. La costruzione di ogni componente era avvolta da piccoli segreti di produzione, uno su tutti la lega delle “voci”: la fusione era di alluminio e in fucina, durante la fusione, venivano aggiunti dei centesimi in bronzo di Vittorio Emanuele per migliorarne la sonorità. Il grosso problema riguardava essenzialmente la manutenzione e l’aggiornamento dei macchinari di ogni singolo reparto. Negli ultimi anni della nostra gestione decidemmo di affidare ad aziende artigianali specializzate la costruzione di alcune componenti, su nostro progetto e con la nostra supervisione. Anche in questo modo la qualità rimase invariata, abbattendo i costi di lavorazione». Molti stradellini (e non) ricordano che fino a qualche decennio fa dalle finestre delle case uscivano suoni di fisarmonica emessi dagli accordatori durante le fasi finali dell’assemblaggio. Ora il silenzio. A Stradella esiste ancora la mansione dell’accordatore? «Questo è un bel ricordo: le strade erano accompagnate dal suono delle fisarmoniche. Lo dicono tutti. Ma c’era un altro suono che proveniva dalla nostra ditta e che era un punto di riferimento per tutta la popolazione: il suono della sirena. Il tempo a
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Stradella era scandito non tanto dal suono delle campane, ma dalla sirena della Dallapè, che regolarmente suonava al mattino alle 7:30 per l’inizio del lavoro; alle 12:00 per la pausa pranzo; al pomeriggio alle 13:30; e poi a fine turno alle 17:00. Quando l’abbiamo tolta è stato un vero problema, perché la popolazione era abituata ad organizzarsi con i nostri segnali! Poi certamente c’è stato anche chi era contento di non aver più questo suono… Per quanto riguarda il lavoro dell’accordatore possiamo dire che è sempre stato il fiore all’occhiello della produzione delle fisarmoniche di Stradella ed ancora oggi le poche fabbriche rimaste in attività ne fanno un vanto che le contraddistingue nel panorama produttivo italiano. Tra i nostri più bravi accordatori ricordiamo Gianni Cavazza, il quale fu l’ultimo grande accordatore ad accordare ad orecchio, senza bisogno dell’oscilloscopio, comparando la voce campione con lo strumento da accordare. Di accordatori così ce n’erano veramente pochi». Voi siete stati l’ultima generazione a gestire la storica azienda, cessata nel 2010, dopo più di 130 anni di storia. Come mai questa scelta? «L’azienda è stata liquidata per nostra volontà, in quanto era sempre più difficile andare avanti. Negli ultimi anni erano impegnati nella produzione solamente pochi operai e si faticava sempre di più a trovare apprendisti con la passione per questo lavoro. C’era questa mentalità di lavorare più in fretta, senza metterci la giusta passione e il giusto impegno che c’era nell’”artista-operaio” di Mariano Dallapè. Negli anni ’50-60 ogni nuovo assunto, quando entrava a far parte della ditta doveva, lottare quasi a suon di “coltellate” per poter imparare qualcosa dai suoi colleghi di reparto, perché c’era una tendenza da parte dell’operaio più anziano a non insegnare il lavoro all’apprendista per paura che poi quest’ultimo potesse rubargli il lavoro. Era solo una questione psicologica causata dall’avvento del Beat e del calo di interesse verso la fisarmonica, che aveva dato il via alla crisi del settore e ai primi licenziamento. Ogni operaio per aver maggior certezza di non essere licenziato cercava di non rivelare i propri segreti. Prima di smettere la produzione speravamo in qualche supporto anche dalle istituzioni per darci la possibilità di formare nuovi apprendisti con corsi. Per formare un buon fisarmonicista ci vogliono almeno tre-quattro anni di pratica, a costo zero. Negli ultimi anni ci sono capitati parecchi apprendisti che abbandonavano l’apprendistato per cambiare completamente mansione e garantirsi un futuro più tranquillo. Ma questo è anche un segnale di mancanza di passione e senza questa non si può intraprendere quest’arte. A noi sarebbe piaciuto creare una sorta di “Museo attivo”, in cui dovevano essere occupate solamente un numero limitato di addetti che lavoravano e spiegavano come si costruiva lo strumento». Non vi è un po’ dispiaciuto terminare questa gloriosa storia? «Certo, ma abbiamo preferito abbandonare in gloria, evitando di rovinare un marchio
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Reparto preparazione casse anni’20 storico come è successo ad altri. Molte alla storia della sua azienda, che ha attraaziende italiane sono venute a chiederci il versato diverse epoche. marchio, e avremmo di certo economica- Per noi sarebbe bello riprendere il discorso mente avuto enormi benefici». del “museo-attivo” perché riteniamo che Avete ceduto tutti i diritti del marchio oggi, a differenza di dieci anni fa, i ragazalla giapponese Roland. Esattamente zi cercano di fare qualcosa di diverso per cosa viene commercializzato oggi con il migliorarsi. marchio Dallapè? Pensiamo che sarebbe importante trasfe«Abbiamo fatto l’accordo con la Roland, rire il museo dedicato a Mariano Dallapè nota azienda giapponese, perché è stato nella sua sede naturale, ossia la vecchia il miglior modo di tramandare il nostro fabbrica inaugurata nel 1895, unica al nome. Abbiamo dato la possibilità a tutti Mondo, perché se Stradella è “Città della i fisarmonicisti del Mondo di utilizzare i Fisarmonica” lo deve a questo signore che suoni delle migliori fisarmoniche Dallapè si è fermato qui a produrre i suoi strumenti. costruite in ogni epoca. Hanno campionato La cosa positiva del museo attuale è che si i suoni degli strumenti più rappresentativi, è data la possibilità di ricordare anche tancompresa la prima fisarmonica e li hanno te altre fabbriche artigianali che altrimenti digitalizzati su apposite chiavette USB, sarebbero state dimenticate. in modo che ogni fisarmonica elettronica Assolutamente sì. Si può fare molto di più. Roland di nuova generazione possa ripro- Speriamo che la nuova amministrazione ridurre lo stesso identico suono. è una proie- esca a dare il giusto valore a questa storia. zione del nostro suono nel futuro. Fin’ora è mancata la progettualità: esiste A marchio “Roland-Dallapè” sono state una fabbrica, esiste un nome e ci siamo prodotte solamente un migliaio di stru- ancora noi che parliamo di una storia che menti, in quanto l’accordo riguarda più le conosciamo non come “leggenda”, ma che campionatura di suoni che la commercia- l’abbiamo vissuta e costruita, mantenendo lizzazione a marchio». sempre un legame con Brusino di CavediStradella è la “Capitale della Fisarmoni- ne in Trentino. Ci stiamo sacrificando, teca”. Nel 1999, presso Palazzo Garibaldi, nendo ferma una fabbrica da più di nove venne inaugurato il “Museo della Fi- anni, con numerosi costi ed esigenze di sarmonica Mariano Dallapè”, nel qua- manutenzione. Stiamo aspettando una sele sono esposti diverse vostri strumenti, ria risposta dalle amministrazioni e dalle tra cui il primo prototipo. Pensa che a istruzioni, nella speranza che si decidano Stradella si stia facendo abbastanza per a sedersi ad un tavolo ad impostare un protenere alto questo riconoscimento? Cosa getto dal punto di vista storico-culturale. si potrebbe fare di più? Questa è la vera forza di Stradella, non c’è «A Stradella c’è una grande potenzialità nulla di inventarsi di nuovo». nel nome “Mariano Dallapè” da sfruttare in mille cose: dal semplice personaggio di Manuele Riccardi
Foto fabbrica anni’20
CAMPOSPINOSO
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«Una gestione tranquilla, senza interventi significativi» Era lo scorso maggio quando anche il comune di Campospinoso è andato al voto. Alla fine la lista vincente è risultata essere quella di Olga Volpin e per Osvaldo Santoro, l’altro candidato sindaco, si è aperta la porta della minoranza. L’attuale consigliere ci aveva rilasciato un’intervista in campagna elettorale e aveva dichiarato che il paese necessitava di molta manutenzione a strade, marciapiedi, aree verdi e immobile comunale. Aveva inoltre parlato di sicurezza per gli abitanti e di sognare una Campospinoso splendente. Nonostante il risultato negativo per il suo gruppo, lo abbiamo incontrato per capire come, dall’altra parte della “barricata”, intenderà svolgere il suo operato. Consigliere, sono passati solo pochi mesi dalle elezioni e chiedere com’è l’operato di questa nuova amministrazione è probabilmente prematuro. Una sua sensazione? «Fino ad ora direi una gestione tranquilla, senza interventi significativi, limitata all’espletamento delle pratiche di insediamento». Si aspettava sinceramente la vittoria di Olga Volpin? «Se devo parlare sinceramente allora dico di no. Logicamente come tutti i candidati anche io speravo nella mia vittoria, ho fatto il massimo per poter dare al mio paese la possibilità concreta di poter valorizzare il nostro territorio. La decisione finale però è in mano ai cittadini, pertanto rispetto la volontà popolare». Ha già avuto modo di percepire in che modo la nuova amministrazione sta agendo per il paese? «Attualmente vedo una gestione improntata al lavoro burocratico di ufficio, ma ammetto anche di notare scarsa partecipazione alla vita di comunità e alle problematiche reali dei cittadini». Cosa si auspica che venga attuato a breve nel Comune?
Elezioni comunali: Vince Olga Volpin con 380 preferenze, Osvaldo Santoro con la lista “è ora di Cambiare” ottiene 259 voti
«Come indicato nel mio programma elettorale, in primo luogo vorrei venissero attuati interventi significativi per quanto riguarda la manutenzione del paese e la sicurezza dei cittadini». Prima delle elezioni aveva dichiarato al nostro giornale che la sua priorità era proprio la manutenzione: come sta procedendo? «A mio avviso su questo punto sono stati attuati pochi interventi e soprattutto con tempistiche lente in relazione alle necessità». Sempre al nostro giornale, aveva poi parlato di sicurezza e anche della nuova sede comunale. Come vede questi due punti al momento? «Al momento non sono stati effettuati interventi in merito alla sicurezza dei cittadini, per quanto riguarda la nuova sede comunale, esternamente non risultano interventi di manutenzione rilevanti». Voi della minoranza come vi sentite in questo ruolo? Siete ascoltati? Venite interpellati nelle decisioni?
Osvaldo Domenico Santoro, capogruppo di minoranza
«Noi cerchiamo di essere presenti facendo del nostro meglio per tutelare gli interessi dei cittadini. Posso dire che riceviamo informazioni solo in sede di consiglio e, per quanto mi riguarda, non sono mai stato interpellato in merito ad alcuna questione che riguardasse il nostro paese». Anche se rappresenta la minoranza quale rimane il suo sogno per Campospinoso? «Il mio sogno rimane quello di poter vedere realizzati il prima possibile tutti i punti descritti nel mio programma elettorale e di poter vedere Campospinoso finalmente come un paese rivalutato e valorizzato in tutte le sue potenzialità». di Elisa Ajelli
«Mai stato interpellato in merito ad alcuna questione che riguardasse il nostro paese».
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Il “Casale Denari”: dalla produzione di vino alla flower farm “Casal Donelasco”, da metà anni ’80 rinominato “Il Casale Denari”, è certamente uno dei principali luoghi in cui si è scritta la storia economico-politica dell’Oltrepò Pavese. Dalla metà del XVII secolo ai primi anni ’90 del secolo scorso questa tenuta ha ospitato illustri personalità nobiliari e politiche: conti, marchesi e prelati hanno soggiornato presso tra le mura della struttura. Negli ultimi decenni di attività era frequente trovare imprenditori, politici e Capi di Stato a passeggio con il duca Denari per i giardini della tenuta: indimenticabile la visita del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Prime tracce del Casale si hanno dall’alto Medioevo in poi, dove in più documenti viene citato come “palazzo”. Altri riferimenti si trovano in diversi rogiti del ‘600 e ‘700, in cui si fa espressa menzione di un convento agostiniano e dei relativi terreni situati proprio dove oggi si trova l’attuale Casale Denari. Nel 1692 i feudi di Soriasco e Donelasco vengono ceduti ai conti Gambarana, i quali si stabilirono definitivamente proprio nella tenuta. I Gambarana dovettero abbandonare Donelasco alla fine del ‘700, costretti a vendere beni mobili e immobili, a causa dell’arrivo dei francesi. Il controllo e l’amministrazione della tenuta passò a Cristoforo Ghislanzoni che, con l’aiuto dei napoleonici, in poco tempo passò da semplice “tesoriere” dei Gambarana a proprietario effettivo. Il primo titolo nobiliare ai Ghislanzoni venne dato, nel 1835, al Barone Giuseppe Bassano con concessione per esso e per tutti i suoi discendenti maschi con ordine di primogenitura. Una figlia del barone, Adelaide, sposò il Conte Valerio Salimbeni di Salisole. In questo modo la proprietà passò al Conte Giovanni Salimbeni, il quale fece vivere una vera epoca d’oro alla tenuta trasformandola in un’azienda all’avanguardia, puntando sulla produzione di vino e aceto balsamico. Il Conte Giovanni viene ricordato come un personaggio ben voluto dai suoi mezzadri e dalla popolazione stessa di Donelasco. Nel 1906 la Contessa Adelaide, ultima erede Salimbeni, rimasta vedova qualche anno prima, decide di vendere gli immobili e tutte le vigne colpite da fillossera a Giuseppe Citterio di Rho, proprietario del famoso salumificio. Citterio morì dieci anni dopo, lasciando il suo patrimonio ad innumerevoli eredi, i quali la cedettero alla Banca di San Marzano di Voghera l’intera proprietà indivisa, per 292 mila lire. La banca fece da intermediario e, il giorno successivo, gli immobili e i 97 ettari di terreno vennero acquistati dai Denari, eminente famiglia vogherese. Dal 1946 al 2008 il duca Antonio Giuseppe Denari fece di Casal Donelasco la sua
«Con Instagram non oso immaginare cosa avrebbe potuto inventarsi il nonno di mio marito!»
Azzurra, moglie di Alberto Bertuzzi Borgognoni, nipote del duca Denari
residenza e il suo principale centro d’affari, tanto da farlo rinominare ufficialmente “Il Casale Denari”. Con la sua scomparsa iniziò il veloce decadimento della tenuta, interrotto fortunatamente in questi ultimi mesi. Tutti i beni mobili e immobili stanno per essere salvati da Alberto Bertuzzi Borgognoni, nipote del duca Denari, insieme alla moglie Azzurra, la quale è la titolare del “Casale Flower Farm”, azienda agricola dedicata alla coltivazione di fiori. è proprio Azzurra a raccontarci di cosa si occupa e quale sarà la nuova vita de “Il Casale Denari”. Azzurra, quando avete deciso di recuperare la tenuta? «Il Casale era una proprietà della famiglia di mio marito, il quale ha poco frequentato la struttura. Per diversi decenni è stato praticamente disabitato e lasciato in stato di quasi totale abbandono. Da quando
ci siamo trasferiti, nel 2015, abbiamo da subito avuto quest’ idea di farlo rivivere. Non nego che abbiamo trovato parecchie difficoltà, sia burocratiche che strutturali: non avendo avuto per tantissimi anni una minima manutenzione ci siamo ritrovati di fronte un grande lavoro di pulizia e sfoltimento, iniziata solo questa primavera, a causa di parecchie faccende burocratiche da sbrigare. A fine settembre finalmente inizieremo con i lavori di ristrutturazione veri e propri». Quali sono le principali difficoltà affrontate durante il recupero? «Ci troviamo a dover recuperare un complesso di immobili costruiti in collina, su un terreno che negli anni ha subito movimenti. Questo sicuramente è l’impegno più grosso. La totale assenza di manutenzione degli ultimi anni ci farà affrontare un intenso anno di cantiere. Una parte,
quella produttiva, è già stata sistemata qualche anno fa, mentre la casa principale, la vecchia Hostaria e le altre cascine sono invece ancora tutte da recuperare». Quali sono i punti cardine su cui si basa il vostro progetto di rilancio? «Nella casa grande ricaveremo nove alloggi dedicati all’ospitalità: diventerà un luogo di accoglienza per i turisti. Siamo fortemente convinti che l’Oltrepò ha un potenziale enorme e ne ho avuto la prova lavorando per alcuni anni presso un castello qui vicino, con cui collaboro ancora con la mia attività. è stata l’occasione per imparare un lavoro diverso da quello che facevo prima, ma mi sono anche resa conto che sono sempre gli stranieri i primi a rendersi conto delle bellezze del nostro territorio. Loro adorano soggiornare in questi territori non ancora “di massa”. Offriremo diversi servizi, sarà una sorta di “flower resort” aperto a vacanze, matrimoni, eventi o anche a semplici momenti di relax ad un’ora da Milano. Noi viviamo al Casale da quattro anni e ho visto grandi cambiamenti positivi nel territorio, forse anche grazie al ricambio generazionale: questo sicuramente aiuterà l’Oltrepò a ripartire». Organizzate visite guidate presso “Il Casale”? «Abbiamo iniziato con dei workshop a tema floreale ma ci piacerebbe anche organizzare altri tipi di eventi, come aperitivi particolari o attività non strettamente legate al pernottamento. Al momento l’azienda agricola non è visitabile per il singolo interessato. Sono veramente felice, perché in pochissimo tempo c’è stato un forte richiamo alla no-
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«Sono sempre gli stranieri i primi a rendersi conto delle bellezze del nostro territorio»
Il Presidente Sandro Pertini fu solo uno dei tanti ospiti illustri del Casale Denari
«Da quando ci siamo trasferiti, nel 2015, abbiamo da subito avuto quest’ idea di farlo rivivere. Non nego che abbiamo trovato parecchie difficoltà, sia burocratiche che strutturali» tizia della riapertura del Casale. Riceviamo parecchie telefonate e molte persone chiedono se è possibile visitarlo. A me piacerebbe veramente accettare tutte le richieste, ma questo richiederebbe parecchio tempo da dedicare solo a questo. Al momento siamo solamente io e mio marito, quindi sarebbe un grosso impegno». Dagli anni ’60 agli anni ’90 il Casale Denari è stata una delle più note attività agricole e imprenditoriali dell’Oltrepò. Con l’Hostaria del Casale il Duca fu un precursore dell’agriturismo, quando ancora questo genere non era ancora stato burocraticamente concepito. Vi ispirate ancora a questa mentalità? «La nostra ospitalità iniziale riguarderà innanzitutto il pernottamento con prima colazione: non ci dedicheremo subito alla ristorazione, in quanto ci piacerebbe che l’Hostaria rivivesse sotto forma di bar aperto anche a chi non alloggia. Vogliamo fare le cose con calma e non buttarci su mille progetti che poi non riusciremmo a rispettare. Ci piacerebbe inoltre che la figura del nonno di mio marito, il duca Denari, possa essere giustamente valorizzata: arrivando in un territorio di cui non sono originaria ho sentito subito parlare di
questo personaggio di cui siamo fieri e orgogliosi. è stato un precursore in parecchi camp: frequentando questa zona ho notato che manca la cultura del marketing e della promozione. Oggi con internet e smartphone possiamo fare di tutto: con Instagram non oso immaginare cosa avrebbe potuto inventarsi il nonno di mio marito! Il nostro obbiettivo è anche quello di portare avanti il suo messaggio di promozione e valorizzazione». Dalla metà degli anni ’90 il Casale è stato totalmente riqualificato a livello produttivo: dalle viti, dalle quali veniva prodotto il famoso “Rosso del Roccolo”, per poi passare a campi ed ora floricultura. Essenzialmente, di cosa si tratta? «Io mi occupo della coltivazione di fiori da vendere sfusi o che utilizzo negli allestimenti floreali che creo per matrimoni ed eventi. Li vendo soprattutto a Milano dove sono stata ben accolta, perché le mie coltivazioni riguardano varietà non facilmente reperibili dai grossisti: non vado a competere su rose o fiori generici. Tra le tante varietà coltivo echinacee, anemoni giapponesi o altre tipologie molto delicate e ricercate. A me piace sia coltivare che
allestire, perché mi permette di dare sfogo alla mia fantasia. Noi non produrremo vino: mio marito ha un’altra attività e io non ho competenze enologiche. La cantina c’è ancora ed è stata lasciata così com’era: la sistemeremo e la riutilizzeremo come spazio per l’ospitalità perché è molto caratteristica. Teniamo molto a questo posto e vogliamo raccontarne la storia a chi vorrà ascoltarla. La parte dedicata ai campi è di circa 50 ettari, quindi non riuscirei al momento ad impiegarli tutti per la coltivazione dei miei fiori: continuiamo con la rotazione di grano e erba medica. Siamo passati dall’uva ai fiori, offrendo anche un argomento nuovo sia in Italia che in Oltrepò». Eventi e programmi futuri? «Ho appena terminato la stagione dei matrimoni. Il 22 di settembre organizzerò al Casale un workshop di una giornata con una flower designer molto preparata che,
insieme a me, insegnerà a creare delle composizioni con fiori stagionali da me coltivati. Prossimamente porterò i fiori dell’Oltrepò a Genova, dove allestirò un evento privato per una casa svizzera di orologi che presenterà i suoi nuovi modelli». Per finire, come vedreste un circuito di promozione dei castelli e residenze storiche dell’Oltrepò? «Noi non abbiamo nulla da invidiare alle Langhe, né a livello paesaggistico né a livello di qualità enogastronomica. A differenza loro abbiamo una frammentazione interna micidiale. Nelle Langhe si trova una coesione territoriale pazzesca: li hanno un circuito di collaborazione solido e ben formato. Qui c’è la paura di quello che fa il prossimo: si guarda troppo cosa fa il concorrente e non si investe su se stessi. Nel Mondo c’è spazio per tutti, non c’è da aver paura. Un circuito che faccia coesione con le strutture storiche e quelle di ospitalità è essenziale, tant’è che stiamo già iniziando a collaborare, per nostra iniziativa, con altre attività a noi vicine. Creare sinergia non significa farsi portare via lavoro. Inoltre le varie attività della nostra zona sono collegate da strade che si affacciano su un bellissimo paesaggio, però caratterizzate da una pessima manutenzione. Io penso che le strade siano il settore principale su cui operare al momento: se vogliamo più turisti cerchiamo di offrirgli strade più percorribili e non rischiose. di Manuele Riccardi
Giuseppe Citterio, fondatore del noto salumificio, ne fu proprietario tra il 1906 ed il 1916
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CANNETO PAVESE, CASTANA, MONTESCANO
AGOSTO 2019
Tre comuni, tre sindache: le donne in politica in Valle Versa Si svolge in questi giorni a Milano ‘‘Il tempo delle donne’’, il festival diffuso organizzato da Corriere Della Sera e La27esimaOra. Perché questo sarebbe ‘‘Il tempo delle donne’’? Secondo gli ideatori qualcosa sta cambiando rispetto al passato, e il cambiamento può essere accelerato, curato, diffuso; in particolare da chi ne ha la possibilità concreta, non ultimo chi si occupa di giornalismo e comunicazione. Da questa idea, oltre 100 incontri e un grande progetto a cui hanno aderito associazioni, musei, centri culturali e sociali che invitano a partecipare a workshop, incontri, concerti, feste di quartiere. Il clou è in programma dal 13 al 15 settembre al Palazzo della Triennale. Durante l’edizione dello scorso anno fece discutere un intervento di Milena Gabanelli, ospite della manifestazione: “Io non voglio essere una quota rosa. Questa cosa mi fa impazzire. Chiunque di noi vuole trovarsi di fronte una persona competente, non un uomo o una donna’’. Parole sante. Anzi: sacrosante. Ma c’è un problema: per qualche ragione, le donne nelle posizioni di rilievo sono in netta minoranza, e non è una novità per nessuno. Parliamo della politica: a livello globale, la presenza delle donne nelle istituzioni si arresta al 19% di quelle totali. E non è una questione puramente geografica. Si pensi che il Rwanda, uno dei paesi più poveri del mondo, ha la percentuale più alta: il 63,8%. Nel Parlamento italiano la componente femminile è pari al 35%. E bisognerebbe approfondire le ragioni politiche di questo dato, alla luce del fatto che la Legge prevede, per la composizione delle liste elettorali, che il sesso meno rappresentato negli elenchi dei candidati (sia esso quello maschile o quello femminile) sia presente in misura non inferiore al 40%. Già: perché la legislazione italiana in merito non parla di ‘‘quote rosa’’, ma di ‘‘quote di genere’’. In effetti, parlando di ‘‘quote rosa’’ sembra di fare riferimento ad una specie protetta dal WWF: le donne non meritano di essere discriminate pure al contrario, con forzature che andavano bene, forse, alla società di cinquant’anni fa. Mettendo da parte la teoria, resta il fatto che di donne in politica e in posizioni di rilievo ce ne sono tuttora troppo poche, per poter pensare all’autoproduzione di un normale equilibrio. Ma allora, come si fa a sostenere che qualcosa stia cambiando, se ogni volta che viene pubblicato un rapporto sui divari tra uomini e donne, l’Italia non sembra avanzare di molto, anzi, su alcuni fronti indietreggia? Se lo sono chiesti anche gli ideatori del festival milanese, allorquando, in prossimità della prima edizione,
hanno provato a spiegare le basi della loro creazione. «È come se sotto traccia, sotto i grandi numeri negativi che segnalano gravi omissioni riformiste da parte dello Stato e della società tutta, si fosse finalmente sbloccato un movimento di idee e di desideri che porta con sé - e con forza - cambiamenti a lungo attesi. Un esempio è quanto è avvenuto in due anni sul tema “violenza contro le donne”. Siamo passati da una totale disattenzione - giustificata come si fa con i fenomeni naturali che ogni tanto si abbattono sulle campagne, come si fa con la grandine che devasta i raccolti - siamo passati dall’inerzia a una sensibilità tutta nuova.» Torniamo ad analizzare i dati statistici, questa volta con riferimento alle donne negli enti locali d’Italia. Le sindache amministrano 1.133 comuni, il 14,32% del totale (dati: Comuniverso). Abitati da poco più di dieci milioni di cittadini. In questo dato rientrano anche gli abitanti di tre comuni della Valle Versa. In seguito alle elezioni dello scorso maggio, infatti, si sono confermate alla guida dei loro comuni tre donne: Maria Pia Bardoneschi, Enrica Brega, Francesca Panizzari. Le tre sindache sono in grado di testimoniare un ottimo esempio di lavoro di squadra, dal momento che i comuni da loro amministrati condividono l’avventura dell’Unione di Comuni Lombarda Prima Collina. Abbiamo posto loro alcune domande sulla personale esperienza di donne in politica. Partiamo da un dato di fatto che va al di là dell’aspetto ‘‘rosa’’. Alle scorse elezioni siete state riconfermate alla guida dei vostri Comuni. Quali sono stati a vostro giudizio i motivi fondamentali della vostra riconferma? Maria Pia Bardoneschi, sindaca di Castana: «Sono stata riconfermata sindaco di Castana per la terza volta con il doppio circa dei voti; penso che questo già racchiuda in sé i motivi della fiducia accordatami dai cittadini: l’impegno, lo spirito di sacrificio, il servizio nei confronti della comunità e la passione di chi è strettamente legato al proprio paese.» Enrica Brega, sindaca di Montescano: «Credo che uno dei motivi fondamentali della riconferma che i cittadini hanno accordato a me e alla mia Amministrazione sia perché hanno riconosciuto la serietà, la responsabilità e l’impegno che hanno contraddistinto la nostra precedente esperienza amministrativa e abbiano apprezzato il fatto che sono stata e continuerò ad essere un sindaco fra la gente e per la gente.» Francesca Panizzari, sindaca di Canneto Pavese: Sono stata riconfermata con ampio consenso per la terza volta, suppongo
Maria Pia Bardoneschi, sindaco di Castana
per avere lavorato in modo soddisfacente, con grande senso di responsabilità per i miei concittadini nei due mandati precedenti. Sono riuscita infatti a realizzare opere importanti per il mio comune come la ristrutturazione della ‘‘Casa della Cultura e del Vino’’, la costruzione di marciapiedi sia nel capoluogo sia nelle frazioni, alcuni dossi. E in Unione di Comuni invece abbiamo asfaltato tutte le nostre strade comunali, abbiamo potenziato la videosorveglianza, riusciamo a garantire tutti gli ordini di scuola dalla materna alle medie. La nostra scuola è il fiore all’occhiello della nostra Unione, frequentata anche da alunni di paesi limitrofi.» Oltre alla sempre più difficile ordinaria amministrazione che vi trovate ad affrontare quotidianamente, cosa vi siete preposte come obbiettivo di questi nuovi 5 anni di amministrazione? Bardoneschi: «Il mio obiettivo è stato nelle scorse legislature e sarà anche in quella attuale di promuovere e valorizzare il mio paese, il suo territorio, la sua storia, i suoi valori e le sue tradizioni.» Brega: «Oltre all’ordinaria amministrazione per i prossimi cinque anni io e la mia amministrazione abbiamo come obiettivo la messa in sicurezza del territorio e dei cittadini, la promozione del territorio e del nostro prodotto e presteremo particolare attenzione alle fasce più critiche, sostegno alle fasce sociali più deboli, ai giovani ed agli anziani.»
Panizzari: «Negli ultimi 10 anni il mondo è cambiato e con questo anche il modo di amministrare. I primi anni di mandato le cose erano sicuramente più semplici, ora è tutto più complesso, ma il mio obiettivo è quello di impegnarmi per rendere sempre migliore il mio paese e la vita dei miei cittadini. Nei prossimi 5 anni abbiamo programmato la revisione del P.G.T., la riqualificazione dell’illuminazione pubblica con lampade a led, e la valorizzazione del nostro vino e del nostro territorio.» Uno sguardo al passato: la situazione più difficile che vi siete trovate a gestire e di contro quella che vi ha dato maggior soddisfazione? Bardoneschi: «Di situazioni difficili ne ho dovute affrontare tante; il riuscire a superarne una buona parte con successo e il sentire vicinanza, sostegno ed incoraggiamento da parte dei miei cittadini sono stati e sono sempre per me motivo di soddisfazione.» Brega: «Non mi viene in mente nulla di particolare. Ci sono state tante situazioni critiche causate da eventi atmosferici e altre situazioni collegate alla sfera del sociale, ma con l’impegno, il rigore, la caparbietà e la solidarietà siamo riusciti ad uscirne con risultati soddisfacenti. Un sindaco si vede quasi tutti i giorni impegnato a fronteggiare e risolvere situazioni difficili.» Panizzari: «Il periodo più difficile per la mia amministrazione è stato l’arrivo in
CANNETO PAVESE, CASTANA, MONTESCANO paese, in due strutture private, di 50 profughi. Il primo impatto è stato traumatico, ma con l’aiuto e la comprensione dei miei concittadini siamo riusciti a superare i momenti più critici. La maggiore soddisfazione essere riuscita a trasformare la vecchia cantina municipale in una struttura molto accogliente a disposizione dei produttori.» Tre donne di tre comuni limitrofi. Avete una buona intesa? Bardoneschi: «Insieme collaboriamo per gestire al meglio i nostri tre comuni avendo tutte e tre come obiettivo unicamente il bene dei nostri cittadini.» Brega: «Montescano, Canneto e Castana fanno parte dell’Unione Lombarda Comuni di Prima Collina dal 2001. La nostra collaborazione è ormai consolidata, gestiamo in unione tutte le risorse. A mio modesto parere, lavoriamo bene insieme e abbiamo un buon rapporto basato sulla stima reciproca. Lavoriamo per il bene comune perché non dobbiamo mai perdere di vista che l’obiettivo è quello.» Panizzari: «Sì, siamo molto collaborative e credo che sia il segreto che fa funzionare molto bene la nostra Unione, stimo molto le mie colleghe.» Tre comuni della Val Versa, zona vitivinicola dell’Oltrepò. Come donne avete trovato ostilità e difficoltà nel rapportarvi con i vostri concittadini? Bardoneschi: «No, l’essere donna non è mai stato d’intralcio al rapporto con i miei concittadini; non hanno mai fatto discriminazione o differenza alcuna.» Brega: «No, non ho trovato nessuna difficoltà a rapportarmi con i miei cittadini, in particolar modo quelli del settore agricolo, perché tendo sempre a confrontarmi e farmi supportare da persone del settore ben informate.» Panizzari: «Ostilità e difficoltà sono termini che non ho mai considerato, in quanto ho da subito avuto ottimi rapporti e collaborazione con i miei concittadini ed
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Enrica Brega, sindaco di Montescano
i produttori.» È iniziata la vendemmia e la Val Versa è in fermento. Vi chiediamo che vendemmia sarà, secondo voi; e poi una vostra breve riflessione sulla situazione vitivinicola oltrepadana. Bardoneschi: «Le previsioni parlano di una produzione di uve inferiore all’annata 2018 (questo calo è dovuto soprattutto al caldo afoso che ha caratterizzato l’intera estate), ma a beneficiarne è la qualità delle stesse che sarà senza ombra di dubbio ottima. Ciò purtroppo non avrà alcuna incidenza sul prezzo del prodotto che rimarrà piuttosto basso rapportato alle altre zone
Francesca Panizzari, sindaco di Canneto Pavese
viticole.» Brega: «Sarà una vendemmia di qualità alta visto un calo (atteso) della produzione di circa il 30%. La raccolta del pinot nero, nostra primizia oltrepadana, ha confermato le attese con ottimi mosti. La situazione vitivinicola è estremamente complessa, perché presenta tante realtà che faticano a fare sistema. In Oltrepò è facile passare dal produttore anziano che rifiuta sistematicamente la modernizzazione al giovane imprenditore che apprezza ogni innovazione… a fare da cuscinetto tra questi due sistemi le cantine sociali, che però faticano a trovare sbocco sul mercato. È veramente un peccato perché questa è una tra le zone più vocate al mondo per la produzione di vini eccellenti» Panizzari: «Le piogge di maggio e poi la siccità dei mesi estivi ha ridotto la quantità di uva, però la qualità è ottima, avremo anche quest’anno ottimi vini. Nonostante gli ottimi prodotti che abbiamo in Oltrepò la situazione è abbastanza critica, lo sanno tutti. Il mio parere è che il mondo del vino è troppo diviso, la produzione del il territorio devono unirsi affinché i nostri meravigliosi vini ed il nostro territorio abbiano il riscontro meritato.» L’essere donna lo considerate un valore aggiunto oppure non trovate alcuna differenza dispetto ai vostri colleghi uomini, sia nell’affrontare le situazioni sia nella percezione che loro potrebbero avere di voi? Bardoneschi: «No, non trovo alcuna differenza con i miei colleghi uomini, anzi ho con loro un bellissimo rapporto paritario.» Brega: «Oramai nel mondo sia della politica che della pubblica amministrazione e tanti altri settori non si riscontrano diffe-
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renze tra donne e uomini, l’unica cosa che conta è la competenza. A mio parere l’essere donna è un valore aggiunto perché le donne riescono ad affrontare le problematiche con più razionalità e concretezza.» Panizzari: «Sono stata la prima donna sindaco nel mio comune ed ho da sempre goduto di stima e rispetto dai miei cittadini, e dai miei colleghi sindaci uomini e molta collaborazione.» Quali sono state e quali saranno le iniziative dedicate alle donne ed alle mamme che intendete portare avanti? Bardoneschi: «Come Unione di Comuni facciamo parte del Piano di Zona di Broni e negli anni scorsi abbiamo sempre aderito a qualunque progetto in risposta alle esigenze delle mamme nel rapporto di conciliazione famiglia-lavoro o a qualunque altra iniziativa a favore dei bisogni delle donne; naturalmente è nostra intenzione proseguire sempre in questa direzione.» Brega: «Continueremo a prestare molta attenzione alle donne e mamme cercando di riuscire a supportarle con adesioni ad iniziative che possano aiutarle nella gestione della quotidianità e delle situazioni critiche». Panizzari: «Noi tre sindaci donna siamo particolarmente attente alle problematiche femminili e sociali che gestiamo in Unione, cercando di agevolare le donne e le mamme che lavorano. Tra poche settimane verrà riaperto il nido famiglia a Castana che era stato chiuso alcuni anni fa per mancanza di bimbi. Abbiamo aderito allo sportello ‘‘Punto Rosa’’ presso il Comune di Stradella, dedicato alle donne e alle mamme in difficoltà.» Fate il sindaco a tempo pieno o avete un altro lavoro? Siete tra quegli amministratori che hanno rinunciato al compenso? Bardoneschi: «Si, faccio il sindaco a tempo pieno, anzi a tempo pienissimo. Sono sempre a disposizione dei miei cittadini, in qualunque momento della giornata. Ho dimezzato quello che è il compenso che la legge attribuisce ai sindaci di co-muni come il mio, mi serve solo come rimborso spese.» Brega: «Io ho anche un altro lavoro e una figlia e cerco di far conciliare il mio tempo nel miglior modo possibile, fino ad ora ci sono riuscita con sacrifici e grandi sforzi e, peccando un po’ di presunzione, credo anche bene. Certo è che per me non resta molto tempo, ma non mi rammarica questo perché credo in quello che faccio e mi piace. Io percepisco il compenso, nei comuni di dimensioni come il mio è un compenso modesto. Il mio è dimezzato in quanto lavoro e mi serve come rimborso spese per l’espletamento del mio mandato e non mi ha fatto diventare ricca come tanti credono! Il sindaco è il politico meno remunerato e con le più grosse responsabilità, siamo sempre in trincea.» Panizzari: «Sono pensionata e non ho figli, pertanto posso dedicarmi a tempo pieno, e lo faccio nel vero senso della parola perché grande parte della giornata la passo in Municipio.» di Elisa Ajelli
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«Nelle mie opere cerco di trasmettere qualcosa che vada al di là delle immagini» Antonio De Paoli, 53 anni, di origini oltrepadane, è scultore e scenografo. Si laurea nel 1989 a pieni voti all’Accademia delle Belle Arti di Brera. La scenografia lo introduce nel mondo della produzione artistica, prima alla Fininvest, successivamente in Rai come scenografo “titolare”, lavorando alla realizzazione di alcuni programmi: “Paperissima”, “La Melevisione”, “Solletico”, il “Giro d’Italia”. Si avvicina all’attività artistica verso la fine degli anni ’90 con il ciclo pittorico, la “Porta del Giubileo” e le 14 formelle della via Crucis nella chiesa di San Vittore a Casorate Primo. L’impronta artistica parte dal mondo classico e rinascimentale, legato alla metafisica e al neosimbolismo. Teatro e “bottega” delle sue creazioni diviene lo studio d’arte a Corvino San Quirico, tra i suggestivi poggi verdeggianti dell’Oltrepò. Nelle sue opere, cerca sempre di trasmettere qualcosa che vada al di là dell’immagine, che evochi il personaggio o gli avvenimenti sacri. Le tematiche sono varie: si passa dai temi sociali a quelli storici, da
quelli cristiani ai concetti astratti, legati al mondo moderno dove l’uomo è sempre protagonista. L’arte sacra diviene l’epicentro della sua produzione: enti pubblici, soggetti privati, enti ecclesiastici gli commissionano lavori di pittura e scultura, tra i quali si segnalano le sculture in terracotta per l’eremo di Sant’.Alberto di Butrio e le statue di San Luigi Versiglia e San Luigi Orione per la facciata della chiesa parrocchiale di Lungavilla. La sua sensibilità e la sua intuizione artistica sono alla base di due opere che spiccano per autenticità e trasporto emotivo: la scultura monumentale posta sulla tomba di Davide Achilli, vigile del fuoco deceduto in servizio a Voghera, e la statua di Giovanni Parisi, pugile tragicamente scomparso, che oggi campeggia di fronte alla sede della Boxe Voghera. Dal 2013 ad oggi ha vinto dieci concorsi internazionali, portando avanti, in contemporanea, l’attività di scultore in tutta Italia. L’ultimo vinto, quello relativo al progetto della chiesa all’aperto, per quanto riguarda
la realizzazione dell’altare e della statua dedicata a San Francesco, nelle vicinanze di Assisi, nel luogo dove il Santo predicò agli uccelli. De Paoli, il suo nome in Oltrepò è legato in particolar modo a due sculture monumentali da lei realizzate: una dedicata alla memoria di Giovanni Parisi, l’altra di Davide Achilli, vigile del fuoco deceduto in servizio. Come nasce l’idea di una scultura monumentale e nel caso specifico come è nata l’idea di rappresentare proprio “in quel modo” Davide e Giovanni? «Le opere sono nate da due committenze diverse: per Davide Achilli, la realizzazione dell’opera mi è stata commissionata nel 2010 dal padre, che desiderava un busto tridimensionale che rappresentasse un vigile del fuoco in azione. Invece, per quanto riguarda Giovanni Parisi, la committenza nacque 4 anni dopo ad opera di Antonio Perugino, amico dell’atleta e fondatore dell’Associazione “Tutti insieme per Parisi” e fu inaugurata nel 2016. Anche in que-
sto caso, come per Achilli, ho desiderato rappresentare l’individuo in movimento, nell’atto del combattimento». Ha avuto piena libertà nella creazione delle opere o spesso chi le commissiona ha delle esigenze che limitano o indirizzano la sua creatività? «Diciamo che il 70% delle opere che creo, sono progettate ed eseguite con un certo margine di libertà e autonomia. Mi viene dato tempo e spazio per realizzare l’idea. A volte ci sono eccezioni legate a committenze molto specifiche, dove non posso agire in autonomia. Ad esempio nel caso del gruppo Alpini di Abbiategrasso, che mi commissionò un monumento montato su una rotonda in centro città. In quel frangente non ebbi la possibilità di progettare, ma solo di realizzare. Anche per quanto riguarda i concorsi, i vincoli sono parecchi... sia in materia di dimensioni che di tematiche, spesso indicate nei bandi». Quanto tempo ha impiegato per la loro realizzazione? «Dipende dal materiale, dalla struttura e
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«Per Parisi, come per Achilli, ho desiderato rappresentare l’individuo in movimento, nell’atto del combattimento». dall’iter di realizzazione dell’opera. Tendenzialmente, si parte dalla creazione di un modello in scala reale e successivamente viene fatto lo stampo siliconico, in cera o in bronzo, da parte di una fonderia artistica. Posso dire che, mediamente, un monumento viene ultimato in nove mesi. Naturalmente tenendo conto di eventuali allungamenti in merito alla burocrazia e alla ricerca dei materiali…». De Paoli, nel suo curriculum figura una lunga carriera tv in qualità di scenografo. Tra i programmi tv più celebri di cui ha curato la scenografia “Paperissima”… Quanto lavoro c’è dietro la realizzazione di una scenografia? «Diciamo che ho sempre lavorato come assistente scenografo, in quanto affidatario della progettazione della scenografia; la realizzazione viene solitamente appaltata a ditte esterne che si occupano di scenotecnica, oppure a laboratori di falegnameria. L’esperienza legata a “Paperissima” è stata molto divertente e interessante, trattandosi delle prime edizioni del programma. Anche in questo caso mi è stato dato un ampio margine di libertà nella realizzazione degli scenari, rapportandomi sempre e comunque alle indicazioni del mio capo. Una volta approdato in Rai, sono diventato scenografo titolare a tutti gli effetti; tra le mie esperienze, ricordo con piacere “Solletico”, “La Melevisione” e soprattutto “il Giro D’Italia”, per il quale ho realizzato uno studio mobile. Dal 2000 in poi la mia vita cambiò radicalmente, in quanto a Milano si respirava aria di crisi e gli scenografi venivano chiamati dalla sede di Roma.. questo mi portò davanti a un bivio. Trasferirmi a Roma o continuare la mia carriera milanese? Da qui arrivai al cambio di rotta…». Mi ricollego alla domanda precedente: questo cambio di rotta portò ad un avvicinamento all’attività scultorea. Come iniziò questa passione? «Qui dobbiamo tornare indietro di qualche anno, perchè questo cambiamento arriva da una passione che già portavo avanti in contemporanea all’attività di scenografo: il restauro. Già mi occupavo del ripristino degli affreschi delle chiese. Dalla conoscenza con Don Sante Torretta, parroco di Casorate Primo, nacque un grande rapporto professionale e di amicizia. Gli prospettai l’idea di occuparmi del ciclo pittorico ex novo delle due cappelle laterali e dell’abside della chiesa di San Vittore; immediatamente mi misi subito al lavoro, progettando come farebbe un maestro rinascimentale…. A partire dagli ultimi anni ’90 iniziai a lavorare come scultore; il mio primo lavoro fu la creazione di 14 formelle della via Crucis nella chiesa di San Vittore a Casorate Primo. Nel 2000 creai la “Porta del Giubileo”
inaugurata da Monsignor Ravasi, rappresentazione della storia della cristianità dalla Bibbia ai tempi nostri, ultimata nel 2002 con la creazione delle due porte laterali. Nel 2004 realizzai un altorilievo in terracotta all’ingresso dell’eremo di Sant’Alberto di Butrio, dedicato al Miracolo del Pozzo. Nel 2008, mi occupai della grotta sottostante all’abbazia con la statua dedicata al Santo. Tra le opere più recenti, ricordiamo il monumento dedicato a Don Remozzi, sito a Casalnoceto. Tra gli ultimi lavori più importanti il monumento dedicato ai Vigili del Fuoco del Comando Provinciale di Lodi e il complesso scultoreo dedicato alla Guardia Costiera di Livorno. Il tema che ho scelto per l’opera è attualissimo, ovvero il soccorso in mare, per il quale sono mobilitati da anni uomini e mezzi della Guardia Costiera. L’opera si caratterizza per la stilizzazione di una prua (3 X 5 metri) in marmo di Carrara, che interromperà la cancellata davanti alla sede; sotto di essa sono state scolpite le onde, mentre un blocco in cemento ha ospitato due pannelli bronzei. Sul primo è stata raffigurata una scena di salvataggio in mare (con mani e braccia te-se nello sforzo del soccorso), sul secondo sono raffigurati i mezzi di soccorso (elicotteri e motovedetta)». A che movimento appartengono le sue opere e quali sono le tematiche affrontate? «è una domanda interessante, anche perché non è facile rispondere… al di là delle varie correnti artistiche, mi considero un po’ un outsider. La mia base di partenza è sempre e comunque il mondo classico e rinascimentale, legato alla metafisica e al simbolismo. Potrei definirmi un neosimbolista, figurativo, ma non troppo! Nelle mie opere, cerco sempre di trasmettere qualcosa che vada al di là dell’immagine, che evochi il personaggio o gli avvenimenti sacri. Le tematiche sono varie: si passa dai temi sociali a quelli storici, da quelli cristiani ai concetti astratti, legati al mondo moderno». Ad un certo punto della sua carriera si è dedicato all’arte sacra: dalle sculture in terracotta per l’eremo di Sant’Alberto di Butrio alle statue di San Luigi Versiglia e San Luigi Orione per la facciata della chiesa parrocchiale di Lungavilla. Da dove è giunta l’ispirazione per gli affreschi e l’arte sacra? «Le opere nascono sempre da committenze pubbliche e private. In questo caso, il passaggio da pittura a scultura è nato da una casualità, legata appunto all’incontro con Don Sante Torretta, anche se la mia attività di scultore è nata in studio parallelamente all’attività di scenografo. Dai primi anni ’90 ho sentito l’esigenza di rendere i miei quadri tridimensionali, le forme ten-
Antonio De paoli e la statua in bronzo in memoria di Giovanni Parisi
devano a uscire dalla composizione e da qui la necessità di farle diventare sculture vere e proprie. Questo è stato il punto di partenza per la mia arte scultorea… dal 2010 in poi, mi sono avvicinato un po’ di più all’arte laica e alle opere pubbliche, con la creazione dei monumenti dedicati a Giovanni Parisi e Davide Achilli». Teatro e “bottega” delle sue creazioni lo studio d’arte a Corvino San Quirico. Corvino e l’Oltrepò in generale le sono di ispirazione? «Corvino San Quirico è stata la casa di campagna dei miei antenati. Ho trasformato in atelier la cappella di famiglia, risalente al ‘600. Sì, posso dire che il territorio dell’Oltrepò mi dà la serenità e la tranquillità necessaria a coltivare l’ispirazione, soprattutto per il fatto che lo studio è collocato in una posizione di mezzo, tra il paese e la campagna…. Confesso che, a volte, sembra di stare in un’altra epoca…». Di lei dicono: “artista pavese, costantemente alla ricerca di nuove forme e plastica rappresentatività per raccontare l’uomo e il suo territorio”. Sta già lavorando per il futuro in questa direzione? «Certo, cerco sempre di capire il rapporto che lega l’essere umano al territorio e al
Corvino San Quirico, «Confesso che, a volte, sembra di stare in un’altra epoca…» suo tempo. Sto lavorando al progetto per la chiesa, sita nelle vicinanze di Assisi… al momento mi trovo a Carrara, alle prese con la ricerca del marmo per la realizzazione dell’altare e della statua dedicata a San Francesco». Ritiene l’Oltrepò e gli oltrepadani “dotati” di sensibilità artistica? «Posso dire che l’Oltrepò Pavese sia più generoso di altri territori… Voghera, in alcune cose, è più aperta di Pavia…. Infatti, oltre alle due statue delle quali le ho parlato, nel 2012 ho realizzato anche il monumento dedicato a Davide Achilli, montato su roccia dolomitica, posto davanti alla caserma dei Vigili del Fuoco». di Federica Croce
MUSICA
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Smoke Circles: giovani oltrepadani votati al Rock’n’Roll Quattro ragazzi, classi 1994-1998, tutti originari dell’Oltrepò Pavese, hanno dato vita alla loro passione per la musica nel 2013, fondando gli Smoke Circles. Loro sono: Daniele Chiesa, vocalist e chitarrista; Andrea “K” Bianco, lead guitarist; Damiano Dominuco, bassista; Nicolò Torciani, batterista. Le loro performance – tributi ad altre band e cover di qualsiasi brano, più o meno famoso – si svolgono live, nei locali che ancora offrono questo tipo di intrattenimento. Tuttavia, di recente il gruppo ha fatto un grande passo avanti nella propria carriera: imminente è l’uscita del primo singolo inedito, “Washing Machine”. Daniele, chi di voi ha pensato di fondare il gruppo? «L’idea è partita da me e Andrea, inizialmente come un progetto di musica d’insieme quando andavamo a lezione di musica io e lui. Poi ci siamo distaccati per portare avanti il primo embrione di gruppo indipendente; da lì è nato tutto quanto». Andrea, il gruppo era in un certo senso preformato? Vi conoscevate già tutti o avete “reclutato” qualcuno? «Io e Daniele ci siamo conosciuti a lezione di chitarra, gli altri sono subentrati man mano, essendo noi tutti di Voghera, tranne Nicolò che è di Lungavilla. Lui l’abbiamo cercato, perché ci serviva un batterista. Inoltre, per i primi quattro anni abbiamo avuto un altro bassista, che l’anno scorso è stato sostituito da Damiano». Passo a Nicolò: come mai vi chiamate “Smoke Circles”? è sempre stato questo il vostro nome? «Sì, siamo gli Smoke Circles sin dalle origini e riguardo la scelta del nome, sinceramente, è stata molto casuale. Ci sembrava figo, suonava bene (ride)». Damiano, quali generi musicali prediligete e a quali band vi ispirate? «I nostri generi prediletti sono sicuramente Heavy Metal e Hard Rock, ma non per questo trascuriamo tutto il resto. Il mondo della musica ha da offrire innumerevoli spunti. Noi facciamo perlopiù cover, e se i pezzi classici degli AC/DC, Bon Jovi, Iron Maiden, Metallica e via dicendo sono degli evergreen, cerchiamo di spaziare e sperimentare il più possibile. Ad esempio, ai tempi del nostro primo concerto, con ancora la prima formazione, stava spopolando “Gangnam Style” – noi abbiamo fatto la versione rock. Adesso portiamo alle serate la cover de “l’Amour Toujours” (ride)». Torno da Daniele chiedendogli qual è il vostro cavallo di battaglia. «Oltre alla nostra “Washing Machine”, tassativa ad ogni concerto, è difficile dire quale sia il pezzo che ci riesce meglio o che suoniamo sempre. “Are You Gonna
Gli Smoke Circles: Daniele Chiesa, Andrea Bianco, Damiano Dominuco, Nicolò Torciani
Be My Girl”, può essere? oppure “The Kids Aren’t Alright” degli Offspring» Chiedo invece ad Andrea di raccontarci cosa ne pensate della scena musicale in Oltrepò. «Penso, anzi pensiamo – è un’opinione condivisa da tutti e quattro – che ci siano sempre gli stessi gruppi e sono pure pochi. Questo non vuol dire che non siano validi, anzi. Stimiamo moltissimo i Dirty Dolls e anche i Tears of Angel, che sono nostri cari amici. Però, alla fine, le band che vanno sono sempre le stesse e non c’è ricircolo. Inoltre, ad oggi, i locali che offrono musica dal vivo sono pochissimi – cosa che non giova ai gruppi emergenti. Noi siamo piuttosto fortunati perché, almeno in questa zona, Metal e Rock sono generi che attirano abbastanza, nonostante abbiano terreno fertile quasi solo d’estate. Per riscuotere un certo successo alle esibizioni bisogna scegliere le date giuste». Nicolò, ci parleresti del vostro primo singolo? Un po’ di storia? «Il titolo è stato dato completamente a caso (ride). Un giorno, dopo che Andrea aveva proposto il riff di chitarra, ci siamo messi a lavorare al brano ma non trovavamo un titolo. A un certo punto propone: “Chiamiamola “Washing Machine”. Ci sembrava accattivante e bello da pro-
nunciare, un po’ come uno scioglilingua; allora aggiudicato quello. Da lì abbiamo sviluppato la canzone per intero. Siamo andati a registrarla qualche settimana fa e per l’uscita ufficiale su tutte le piattaforme – Facebook, Spotify, YouTube… – aspettiamo di poter filmare il videoclip». Damiano, a te chiedo qualche spoiler. C’è anche un album in programma? «Sì, l’album è in programma e probabilmente uscirà l’anno prossimo. Prima non se ne parla perché servono più brani. Al momento, di inediti ne abbiamo finiti tre e stiamo lavorando ad altri due; ma per completare un album dobbiamo arrivare ad almeno otto canzoni, quindi c’è da fare ancora un bel po’ di lavoro. Non abbiamo ancora deciso se mantenere un filo conduttore fra tutti i brani, perché saranno molto diversi tra loro sia a livello musicale che testuale. Vogliamo comporre canzoni belle da ascoltare e scrivere testi in cui ci si possa immedesimare, certo. Ma non mancheranno pezzi accattivanti e orecchiabili, che cavalcano un po’ lo stereotipo del Rock’n’Roll e fanno divertire la gente». Quali sono le difficoltà che riscontrate di più? «Risposta unanime: il lavoro, che è per tutti in giorni diversi a orari diversi, cosa
che rende parecchio difficoltoso trovare momenti in cui ognuno di noi è presente per registrare e fare le prove. Inoltre, Damiano e Nicolò sono impegnati anche con altri gruppi. Riuscire a fare combaciare tutto è complicato ma pian piano si va avanti. L’ideale sarebbe che questa passione diventasse un lavoro a tempo pieno, magari anche insegnando musica. Per adesso, ci troviamo ad ogni occasione possibile e ognuno, a casa sua, nel suo piccolo, si esercita dopo le otto ore di lavoro; sono ritmi un po’ faticosi da mantenere, ma non ci pesano più di tanto». Nei film o nelle serie TV, la location per eccellenza delle band emergenti è il garage di uno dei membri. Voi come avete cominciato vostra carriera? «All’inizio, facevamo le prove dove andavamo a lezione. La scuola di musica ci lasciava a disposizione una stanzetta; niente di che, era una catapecchia (ride) ma per cominciare è stata utile. Ora abbiamo la fortuna di avere un amico con una saletta prove in casa, quindi ci troviamo da lui. “Washing Machine”, invece, è stata registrata ai Fusix Studio di Torino; sono veramente validi, perciò è molto probabile che registreremo lì anche gli altri singoli». Avete mai ricevuto dei riconoscimenti? «Nel 2015 siamo arrivati primi al “Cecima in Rock”; ma aldilà dei premi formali, ci è rimasto impresso un episodio che per noi vale più di qualsiasi trofeo. Eravamo a Milano, all’ “Emeregenza Fest” al Legend Club, nel primo turno di selezione. Nonostante fosse, appunto, a Milano, e noi non avessimo portato nessuno dei nostri amici, abbiamo comunque ricevuto voti dalla metà del pubblico. Abbiamo suonato la nostra canzone e nessuno la conosceva, ovviamente. Eppure tutti si sono messi a cantare il ritornello insieme a noi. Quell’episodio è stato una soddisfazione enorme. In ogni caso, i risultati più belli a livello di band li abbiamo avuti negli ultimi anni, anche senza partecipare più a dei contest. Daniele, ad esempio, ha iniziato a prendere lezioni di canto; insomma, abbiamo tutti vissuto nuove esperienze che ci hanno fatto crescere come persone e musicisti». Quali sono i vostri obiettivi per il futuro? Sogno nel cassetto? «Sicuramente, il sogno di ogni band, e anche il nostro, è quello di sfondare e avere una carriera brillante. Rimanendo coi piedi per terra, vorremmo poter suonare in giro per l’Italia, nei locali, agli eventi, ai festival; sarebbe un’enorme traguardo poter anche insegnare musica. Tutto sommato, la nostra soddisfazione più grande sarebbe poter vivere di questa nostra passione». di Cecilia Bardoni
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“20 anni di Death”: compleanno per la storica band Necroart Chi la dura la vince, dice il proverbio. Difficile nel mondo della musica underground indipendente oltrepadana ricordare qualcuno che abbia mostrato più tenacia dei Necroart, la storica formazione metal che si appresta a compiere 20 anni. Il loro esordio risale al 1999, anno in cui calcarono per la prima volta il palco del mitico Thunder Road, il più rimpianto locale di musica dal vivo nella storia d’Oltrepò. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando la band, capitanata ora come oggi da Massimo “Max” Finotello (ma il suo nome di battaglia è M.Wound) aprì il concerto degli Ancient, gruppo black metal norvegese. Allora ne passavano di gruppi metallari da queste parti. In 20 anni però le cose sono cambiate, anche se nel panorama musicale nostrano i Necroart sono stati una delle poche costanti. Come la stella polare, che negli anni ha indicato la rotta a moltissime nuove band. Loro però di eredi (musicali) ancora non vogliono sentirne parlare perché di benzina nel serbatoio sentono di averne più che abbastanza per fare strada senza passare testimoni. Tante line up si sono succedute negli anni. Oggi, in linea con il “codice metal” più estremo, celano i loro nomi dietro a dei moniker ed è così che insieme a Max-Wound ci sono D.Phlegethon e F.Mourn alle chitarre, D.Cancer al basso, P.Hammer alla batteria e A.Caos alle tastiere. Freschi di un contratto con l’agenzia di booking Leynir che porterà loro nuovi concerti, si apprestano a spegnere le candeline con un party (ma forse sarebbe meglio dire sabbath) tra amici. Max, o Wound…20 anni di carriera per una band oltrepadana che fa musica originale sono un vero e proprio record. Una longevità ancora più sorprendente se si considera che, a scapito dei meriti artistici, non avete raggiunto “fama” sufficiente per fare della vostra musica un lavoro a tempo pieno. Vi sentite i decani del rock duro oltrepadano?
I decani del metal oltrepadano festeggiano al Dagda Club di Retorbido
I Necroart, la storica formazione metal che si appresta a compiere 20 anni
«Nel nostro territorio tenere in vita una band per vent’anni vuol dire guadagnarsi il rispetto, ma anche essere soggetti a malignità e critiche non nuove per il nostro paese. Nel nostro piccolo abbiamo comunque fatto sempre quello che ci sentivamo di fare senza mai piegarci ai valori che il music business passava al momento, questo è per noi un motivo in più per girare a testa alta». Qual è il vostro segreto? Basta la passione o serve altro? «Ormai a noi interessa solo suonare ciò che ci piace e ci appassiona. Farne un lavoro sarebbe stato possibile qualche anno fa, ma forse abbiano perso qualche treno che è passato. Oggi ci va bene cosi». Il 21 settembre celebrerete il compleanno al Dagda Club di Retorbido insieme ad altri gruppi amici. Che festa sarà? Cosa c’è da aspettarsi? «Spero solo che sia una bella festa di compleanno. Quando abbiamo festeggiato i 10 anni, sempre insieme a gruppi di amici, abbiamo portato sempre in quel locale, che allora si chiamava con un altro nome, circa 400 persone. Mi auguro vada altrettanto bene stavolta. Noi ce la stiamo mettendo tutta; i gruppi sono tutti validi (Llhurgoyf, Pray 4 the Day, Checkmate, Di’Aul) l’ingresso è gratuito e regaleremo una maglia commemorativa della serata ai primi 50 ingressi». Per festeggiare avete scelto lo slogan “20 years of Death” (20 anni di morte, letteralmente). Sappiamo che “death” allude al death metal, un genere che di tradizionale, per le nostre colline, ha nulla. Eppure diverse band lo abbrac-
ciano o l’hanno abbracciato. Cosa spinge secondo lei molti dalle nostre parti ad avvicinarsi ad uno stile musicale tanto estremo? «La nostra zona è sempre stata un’ottima madre per generi estremi o comunque non convenzionali. Io credo che in noi musicisti dell’Oltrepò vi sia un piccolo seme di follia che ci tiene in fermento nonostante valga sempre il detto nemo profeta in patria. Nutro una grande stima per una decina di gruppi della zona che hanno dato qualcosa in più al nostro territorio che non qualche scialba cover da cantina». Quando avete iniziato era il 1999. Come è cambiata la scena musicale da allora? «Purtroppo la scena è cambiata radicalmente. Tutti noi del mestiere abbiamo assistito ad un affievolirsi dell’interesse nella musica live. Quando abbiamo iniziato, invece, era sufficiente sapere che in un locale suonava un gruppo per fare macchinate e partire per andarlo a sentire. È mancato il ricambio generazionale». Parliamo di “Caino”, il vostro ultimo lavoro uscito l’anno scorso. Perché la scelta di questo titolo e quali temi affrontate nel disco? «Caino è il primo assassino biblico, il primo fratricida e quindi una persona sbagliata secondo la Bibbia. Ho voluto invece provare ad analizzare il punto di vista inverso, dando voce a quello dell’uomo Caino, con i difetti che lui come ognuno doveva avere e con le debolezze e le invidie che tutti dentro di noi abbiamo». 20 anni di carriera sono abbastanza anche per tracciare un bilancio. Ci dica almeno un motivo d’orgoglio e uno di rimpianto maturati nel tempo.
«Nei musicisti d’Oltrepò c’è un seme di follia che mantiene in fermento» «Beh, solo dire 20 anni, 4 dischi e centinaia di concerti è per noi motivo di orgoglio. Abbiamo condiviso il palco con alcuni dei più grandi artisti internazionali e nazionali del genere portando sempre a casa complimenti e nuove amicizie. Un motivo di rimpianto come dicevo sono quei treni passati che forse ci avrebbero permesso di fare un salto in avanti, ma va bene anche cosi». Per il futuro cosa bolle in pentola? «Stiamo già lavorando al nuovo materiale con Caos il nuovo tastierista. Faremo qualcosa di un po’ insolito per noi, un po’ sperimentale… ma non voglio anticipare nulla però perché sarà veramente un disco tetro e oscuro. Inoltre avendo firmato con Leynir booking partiremo per delle date promozionali a supporto di Caino». Si sente di indicare una band (se credi che ci sia) che ha raccolto più di altre la vostra eredità? «Non mi sbilancio, dico solo che non siamo ancora pronti a lasciare il nostro posto a qualcun altro!». di Christian Draghi
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Robecco Pavese: il tifo che fa beneficenza. Cosa succederebbe se passione per lo sport e beneficenza si incontrassero? Ce lo spiega Marco Passadore, presidente e fondatore della squadra di calcio di Robecco Pavese “New Team Oltrepò”, il quale, l’anno scorso, ha dato il via ad un progetto di raccolta fondi tramite l’acquisto di tessere affiliate alla squadra del paese. Una parte del ricavato viene donata ad istituzioni pubbliche per rimediare a necessità immediate, oppure per fornire semplicemente un sostegno economico. Grazie alle adesioni ottenute nell’anno 2018/2019, l’aprile scorso è stato possibile installare due climatizzatori nell’asilo di Robecco. Da quanto tempo lei è presidente della squadra di calcio? «Ho fondato la New Team Oltrepò nel 2007. è stata un’idea mia e di amici appassionati di calcio che, pur non avendo il weekend a disposizione per motivi di lavoro o per trascorrerlo con la famiglia, non volevano comunque rinunciare a questo sport e all’idea di poter passare del tempo tra compagni di squadra. La scelta è ricaduta quindi sul lunedì sera: ogni inizio settimana ci troviamo ad Alessandria per giocare una tappa di campionato». Come è nato il progetto di beneficenza? «Personalmente ho un profondo legame con l’asilo di Robecco; in questi anni si è creato un sincero rapporto di amicizia con le maestre ed il personale ATA: hanno praticamente cresciuto i miei figli. L’anno scorso si è presentata la necessità di installare in asilo dei climatizzatori per i bambini. Quando ho saputo che non c’era disponibilità economica da parte delle istituzioni scolastiche, mi sono subito mobilitato per dare una mano e, riflettendoci, mi è venuta in mente l’idea della tessera di affiliazione – una sorta di “tessera del tifoso” della New Team. Ho pensato che grazie alla sua originalità avrebbe riscontrato un successo maggiore rispetto a una semplice raccolta fondi, dato che, per quanto riguarda questa zona, iniziative simili non sono per niente comuni».
«L’ostacolo più grande è cercare di far capire alle persone che questi soldi hanno un’utilità, perché c’è molto preconcetto»
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“Tessera del tifoso” un’idea per raccogliere fondi
Marco Passadore con la figlia, le maestre, il personale ATA e Luca Fronti (installatore climatizzatori)
Come funziona il tesseramento? «La quota annuale per il tesseramento è di 10 euro e garantisce l’accesso a diversi sconti in numerose attività locali che hanno accettato la partnership. Una parte del ricavato va alla squadra: in mancanza di sponsor è necessario autofinanziarsi. L’altra, invece, a seconda del numero di partecipazioni, viene devoluta in beneficenza direttamente oppure destinata all’acquisto del bene necessario. Quest’anno – il primo – abbiamo donato circa il 50% per installare due climatizzatori. Inizialmente, si pensava che uno solo bastasse. Invece, durante il sopralluogo, il tecnico ha constatato che un solo dispositivo sarebbe stato fine a sé stesso, una spesa senza alcun beneficio. Con l’esigenza di una seconda installazione, i costi ovviamente aumentavano. Consapevoli di ciò, sia il Comune di Robecco sia la ditta che
ha provveduto all’impianto, ossia la Fronti Luca & C. s.a.s., hanno deciso di venirci incontro contribuendo al raggiungimento della quota che altrimenti noi, da soli, non saremmo riusciti a coprire: per questo ci tengo a ringraziarli. Noi ci poniamo l’obiettivo di aiutare il più possibile, ma è indispensabile che un minimo di fondi rimangano alla squadra per provvedere alle sue spese e per mantenerla. Lo standard di donazioni su cui vorremmo mantenerci è del 30-40%, ma non escludo che potrebbe aumentare, se la cosa dovesse prendere piede». L’iniziativa è pubblica? In quanti hanno aderito? «Certo, il tesseramento è aperto a chiunque. Lo abbiamo pubblicizzato tramite passaparola, tramite i ragazzi della squadra e noi dirigenti e grazie alla nostra pagina Facebook “New Team Oltrepò”. Hanno
aderito all’incirca 200 persone: su una previsione di vendita di 250-300 tessere, nel primo anno, è un notevole risultato». Quali sono state le difficoltà maggiori che avete riscontrato? «L’ostacolo più grande è cercare di far capire alle persone che questi soldi hanno un’utilità, perché c’è molto preconcetto. Agli occhi della maggior parte delle persone, iniziative di beneficenza come queste equivalgono a “chiedere soldi” che “chissà dove finiscono”. è per questo che cerchiamo di concentrarle qui in zona dove ci sono realtà conosciute, e quasi tutti sono consapevoli dei bisogni che esistono, sono reali. Sono contento di poter parlare delle tessere della squadra per dare riscontro di ciò che è stato portato a termine con i soldi donati. Mi auguro che, fornendo questo tipo di prove, la gente si tranquillizzi e dimostri più generosità e serenità nell’aderire a questa iniziativa». Con i fondi raccolti nell’anno 2018/2019 siete riusciti ad installare i due climatizzatori questo aprile. Avete già un nuovo obiettivo concreto per il 2019/2020? «Le maestre della scuola elementare di Fumo erano venute a conoscenza dell’iniziativa, vi hanno partecipato e hanno chiesto se, per il 2019/2020, potessimo prendere in considerazione come istituzione a cui fare beneficenza la scuola stessa. Ovviamente abbiamo accettato, in quanto si tratterebbe di devolvere una cifra che sarà utile all’acquisto di materiale scolastico per i bambini. L’ideale sarebbe poter procurare una LIM o contribuire all’estinzione della spesa. Maggiori dettagli si sapranno ad ottobre, una volta tenutosi il consiglio d’istituto. In ogni caso, la situazione è in divenire: più partecipanti ci saranno, più enti potranno essere aiutati, non solo di Robecco ma anche dei comuni limitrofi. Ora abbiamo preso in carico la scuola elementare di Fumo, ma un aiuto si potrebbe dare, ad esempio, anche alla Croce Rossa. Tutto sta nel numero di adesioni: noi garantiamo la devoluzione a chiunque ne avesse bisogno». di Cecilia Bardoni
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Il Settore giovanile femminile della US Rivanazzanese
US Rivanazzanese 100 anni di storia Giampaolo Monastero è il Presidente della US Rivanazzanese, società calcistica di Rivanazzano Terme, che in questa stagione calcistica si appresta a festeggiare il centenario della nascita, avvenuto nel lontano 1920. Nella direzione della società, Monastero si avvale di importanti figure a livello amministrativo e manageriale: Paolo Bottazzi (Responsabile Settore Giovanile), Ferruccio Capella (Vicepresidente), Paolo Deantoni (Direttore Generale), Afrosilvio Caletti (Tesoriere), Giuliano e Riccardo Chiodi (Segretari), Alessio Andanese, Piero Fornasari, Nello Balduzzi, Andrea Pallavicini (Consiglieri). Novità assoluta di quest’anno è il potenziamento del Settore giovanile femminile, passato da 2 a 21 tesserate, ad opera di Paolo Bottazzi, in qualità di Responsabile. L’obiettivo primario è di fare una stagione ad alto livello, con una squadra che racchiude giocatori di esperienza, ma anche tanti giovani. La squadra di giovanissimi, che comprende circa un centinaio di bambini, andrà a fare un campionato regionale, confrontandosi con realtà importanti come Inter, Milan, Monza, Brescia.
Inoltre, il Centro Sportivo di Rivanazzano ha subito un progetto di ristrutturazione generale per quanto riguarda gli impianti di illuminazione, irrigazione e riscaldamento, unito a un restyling dei campi di gioco, che porterà ad un aumento in tema di visibilità territoriale. Per la Rivanazzanese questa è la stagione del centenario: 100 anni di storia calcistica ma non solo, ricordi e aneddoti. Se dovesse ricordare lei direttamente o come memoria storica, perché a lei raccontato, qual è stato il momento più emozionante? «Sicuramente la stagione che ricordo con più emozione è stata la 2012-2013, con la promozione in prima categoria, un’annata con il signor Leonardo in nomina di Presidente, il sottoscritto come Vicepresidente e il Davide Seveso in qualità di allenatore. è stata una stagione entusiasmante, soprattutto per come è stata organizzata tutta la Società… qualcosa che ancora adesso alcune Società di categoria superiore ci invidiano, sia a livello di organizzazione societaria, sia sportiva e di squadra. Voglio ricordare anche i due campionati vinti con
la Juniores». E quello invece da dimenticare? «L’annata più brutta è stata sicuramente quella relativa all’anno 2014-2015, in cui vi fu la retrocessione dalla prima alla seconda categoria, un brutto colpo, anche perché eravamo partiti con altre aspettative...». Se dovesse citare dei nomi, oggi chi più rappresenta la US Rivanazzanese? «In questo momento sono tutti importantissimi, non me la sento di nominare qualcuno in particolare. Vorrei ringraziare tutti per l’impegno impiegato, partendo dai dirigenti, arrivando ai giocatori e agli allenatori». Come è nata la Rivanazzanese e per volontà di chi? «Stiamo facendo delle ricerche molto approfondite perché a breve usciremo con un libro sulla storia della US Rivanazzanese. Posso dire che da quando sono in Società, un amico che porterò nel cuore, purtroppo non più con noi, è Mario Benzoni, vera anima della Squadra. Penso che negli ultimi 15 anni anche Giancarlo Sanazzari sia stato un amico e una persona sempre
disponibile ad aiutare gli altri a dare consigli; così anche Leonardo Volpi, con cui ho incominciato questa avventura» Uno sguardo al passato... Chi più ha rappresentato la US Rivanazzanese, sia a livello sportivo che societario? «Tra gli allenatori, quello con il quale ho legato di più è stato Davide Seveso, un grande professionista in un mondo di dilettanti. Attualmente, anche con l’attuale allenatore, Massimo Piccinini, c’è un buonissimo rapporto e così anche con il Direttore Sportivo, Paolo Deantoni. I giocatori sono tanti… ricordo con affetto Davide Castagna, ragazzo di una serietà incredibile». Da quanto tempo lei è il Presidente? «Sono in Società da dieci anni e ne sono stato Presidente per quattro, per poi lasciare la carica a Guarrata Alessandro, attualmente ripresa da me». Le piccole realtà esistono e resistono soprattutto grazie ai tanti appassionati e ai tanti volontari. Oltre a lei, chi rende possibile la continuità di questa Squadra? «Sono tutti volontari… gente che lo fa per
SPORT
«Ristrutturazione degli impianti sportivi, grazie al Comune che è stato celere nell’iter burocratico». passione! Senza di loro, sarebbe impossibile andare avanti… L’anno 2019 è stata una stagione importantissima. Il nostro obiettivo primario è fare una stagione ad alto livello. Abbiamo allestito una squadra che ha il giusto mix di giocatori di esperienza.. e tanti giovani che hanno voglia di aiutarci!». Attualmente la Rivanazzanese abilita nel campionato di seconda categoria. Quale traguardo come società vi siete posti? «Quest’anno avremo una squadra di giovanissimi, che andrà a fare un campionato regionale e si confronterà con realtà come Inter, Milan, Monza, Brescia… ci aspetta una stagione entusiasmante». Siete l’unica società in provincia che ha creduto nel settore femminile. 21 le tesserate…non poche…. Ci racconti come è nato questo gruppo, da chi è composto e quali sono le ambizioni … «Il merito sicuramente va al nostro Responsabile del settore giovanile, Paolo
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Bottazzi, che è stato il primo a consigliarci di puntare sul settore femminile. Il settore femminile giovanile è nato da una casualità… a Rivanazzano incontravo spesso delle ragazze che giocavano in altre squadre. Ai tempi, nel settore giovanile ne avevamo solo due, così ho lanciato loro la proposta e abbiamo ampliato il gruppo. Quest’anno faremo un Campionato femminile regionale, che porterà le ragazze a sfidare squadre professioniste». Parliamo di bambini e scuola calcio: quanti iscritti contate? «Al momento, contiamo un centinaio di bambini». Collaborate con le vicine scuole calcio o esiste “una sana” competizione? «Abbiamo buoni rapporti con le società vicine, ma esiste una sana competizione! Quindi va bene così». Tutti gli allenamenti e le partite “in casa” si svolgono presso il centro sportivo di Rivanazzano Terme. Sappiamo che ci sono lavori in corso…Quali migliorie verranno apportate? «Quest’anno siamo riusciti a partecipare a un bando regionale per la ristrutturazione degli impianti sportivi, grazie al Comune che è stato celere nell’iter burocratico. A lavori ultimati avremo un impianto sportivo unico in provincia, che tutti ci invidieranno. Abbiamo eseguito lavori di ristrutturazione relativamente agli impianti di riscaldamento, i servizi igienici, gli spogliatoi, gli impianti idrici. Abbiamo rifatto il manto erboso del campo principale (con relativa irrigazione), cambiato l’illumina-
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Paolo Monastero, attuale Presidente della US Rivanazzanese
zione del campo principale con lampade a Led e potenziato quella del campo l’allenamento. Senza dimenticare l’installazione dei pannelli solari…
Un grosso ringraziamento va all’amministrazione comunale, che ci è sempre vicina». di Federica Croce
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ENDURO
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Una passione decennale: ex ristoratore varzese torna a correre in moto a 66 anni 40 anni sono un arco di tempo parecchio lungo. Giorgio Agnelli, classe 1953, li ha trascorsi per intero lontano dalla sua più grande passione, le gare di enduro. Nel frattempo è stato proprietario di un ristorante a Brallo di Pregola, si è sposato e ha avuto figli, l’ultimo dei quali condivide l’amore per le moto con il padre. Giorgio, oggi sessantaseienne, ha deciso di ricominciare a correre in barba ad ogni perplessità riguardo la sua età e si è iscritto al Moto Club Varzi, città in cui attualmente risiede. L’essenza delle competizioni è rimasta la stessa, ma nel corso del tempo sono subentrate delle differenze nel mondo del motociclismo: Giorgio è pronto a raccontarcele. Cosa spinge un uomo di 66 anni, dopo 40 anni che non corre più a rifare la tessera di pilota agonistico Enduro? «L’ho fatto perché, avendo sempre corso, mi porto dentro questa passione fortissima da molto tempo; inoltre, stando con i giovani, vedendoli sempre correre, l’entusiasmo per la competizione non manca di certo. A un certo punto, poi, ti ritrovi ad avere una compagnia che ti coinvolge e ti incoraggia a rimetterti di nuovo in pista». Lei ha smesso di correre a livello agonistico quando e perché? «Ho smesso di partecipare alle gare nel 1980, oltretutto nel periodo in cui ero più allenato. Ho dovuto fermarmi a causa del lavoro e per dedicarmi alla mia famiglia. Ti sposi, lavori anche di domenica, hai un ristorante Io e mia moglie, tra l’altro, abbiamo avuto un figlio molto presto. Mi ricordo che una mattina, poco prima di una gara, dissi rivolgendomi alla moto: “No, io e te dobbiamo smettere”; e la abbandonai lì, pensando tanto ormai non corro più». In questi 40 anni di astinenza, quante volte gli è tornata la nostalgia delle corse? «La voglia di tornare in pista si è fatta sentire dopo 4-5 anni. Prima ero motivato dalla ferma decisione che avevo preso di interrompere il mio percorso da motociclista. Dopo qualche tempo, però, la tentazione è forte, soprattutto con l’ultimo dei miei figli, che ha la mia stessa passione. Ha iniziato con le moto piccole nei campetti e da lì è stato tutto un crescendo». Suo figlio, nel 2014, ha vinto la Sei Giorni di enduro – l’Olimpiade della moto. Immagino sia stata una grande soddisfazione per lei. «è stata una cosa talmente emozionante da non riuscire a crederci. Entrambi i miei figli erano via di casa, uno in gara e l’altro ad assisterlo. Ovviamente tutti partecipano per vincere, ma quando tutti i giorni, per telefono, ti senti dire che tuo figlio sta rimontando e alla fine che è in testa, per un padre è una gioia immensa». è stata più forte l’emozione di una vittoria sua o di suo figlio? «Decisamente quella di mio figlio; l’ho
selettivi, pochissimo asfalto, veramente quasi tutto fuori strada. Adesso le gare si decidono sulle prove speciali e quando si fa un controllo tirato sembra una novità; quando gareggiavo io erano tutti controlli tirati e chi arrivava a zero sul controllo aveva già fatto la speciale». A livello di ambiente, invece, che differenze percepisce? «Sono cambiate molte cose. Ai miei tempi ci si sentiva di più come una famiglia, era più facile integrarsi; io corro in un ambito amichevole in cui ci conosciamo all’incirca tutti; ma noto che i giovani si sentono molto più professionisti, si sentono come dei tecnici, sono più riservati; manca un po’ di goliardia, ecco». A quali gare prenderà parte, lei, quest’anno? «Io quest’anno mi sono iscritto solo al trofeo KTM, e correrò con una KTM che acquistai parecchi anni fa; è un modello del 2000 che ho fatto risistemare, ma gareggerò con quella». In quale categoria KTM corre? «Io faccio parte della categoria Ultra Veteran, cioè dai 50 anni in su; si può scegliere se fare due o tre giri, e abbiamo tutti optato per i due giri perché pur gareggiando con l’animo della competizione: è già di per sé un’enorme soddisfazione il fatto di iniziarla una gara e .. portarla a termine». Ha mai incontrato sul campo di gara persone più anziane di lei? «Ce ne saranno di sicuro, ma non ne ho mai incontrate. Conosco persone - alcune delle quali gareggiavano e gareggeranno insieme a me - che hanno all’incirca la mia età ma, al contrario di me, non hanno mai, mai smesso di correre: infatti vanno ancora molto bene». Che clima si respira in un Moto club con molti iscritti come quello di Varzi? Vi frequentate? Giorgio Agnelli, condivide con il figlio la passione per l’enduro
avvertita molto di più: è come se io gli avessi trasmesso la mia passione e la mia voglia di gareggiare, e questo lo avesse condotto alla vittoria». Lei a che età ha iniziato a correre e a quale livello? «Ho iniziato appena terminata la leva militare, cioè a 23 anni. Si cominciava con le selettive regionali; superate quelle, i primi tre classificati potevano partecipare alle finali del campionato italiano. Ho dovuto fare molti sacrifici dato che in quell’anno avevo già aperto il ristorante, ma anch’io sono riuscito a qualificarmi per partecipare il campionato con la mia squadra. Nella prima “tre date”, però, su 180 finalisti, solo una trentina si è qualificata. Noi ci eravamo anche piazzati bene, ma a causa del numero insufficiente di partecipanti è stato tutto annullato. Questo episodio è stato un altro dei motivi che mi hanno indotto a smettere di
gareggiare: le competizioni si svolgevano d’estate, nei periodi di maggiore affluenza del ristorante e lontano da casa... non volevo trascurare troppo i miei impegni per eventi che rischiavano di essere annullati. Dopodiché ho corso ancora in qualche gara minore, ma ho abbandonato man mano. Tuttavia conservo ancora la mia vecchia moto». Lei è tornato a correre nel Motoclub Varzi. è stato uno dei fondatori? «No, non sono uno dei fondatori ma mi sono iscritto subito, nel primo anno di attività, quando io abitavo ancora al Brallo». Qual è una grande differenza, secondo lei, tra l’enduro dei suoi tempi e quello odierno? «Aldilà dei mezzi, che nel corso degli anni sono cambiati tantissimo, l’enduro che correvo io era molto più tosto, difatti lo chiamavano “regolarità”. Percorsi più
«Noi siamo i primi a volere il rispetto e la tutela della montagna, dal momento che ci abitiamo»
ENDURO
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«è mio figlio e gli voglio bene, ma ho un animo molto competitivo e, se potessi, preferirei vincere io. D’altronde è per arrivare primi che si scende in pista» «Al Moto club Varzi mi trovo molto bene. è un ambiente molto rilassante, ci si diverte, si fanno battute, si chiacchiera con tutti. Le occasioni per trascorrere del tempo tra motociclisti non mancano: ogni mercoledì c’è la riunione, ma il momento più bello è il sabato sera prima della gara perché, nonostante lo spirito competitivo non manchi, questo non va ad intaccare le amicizie e le buone cene tutti insieme». L’Oltrepò è terra di tanti bravi enduristi e le manifestazioni per promuovere questo sport sono numerose. Lei è stato ristoratore, ha lavorato nel turismo: l’enduro può portare visitatori in Oltrepò, secondo lei? «Assolutamente sì, se ben gestito; e non sono solo gli eventi o le gare ad avere successo, ma anche i semplici allenamenti portano un movimento non indifferente. Inoltre, è un mondo che attrae soprattutto i giovani». Il suo ristorante al Brallo era meta fissa degli enduristi? «Sì, soprattutto a mezzogiorno. E proprio perché sapevo che la mia clientela era composta per buona parte da motociclisti, aprivo addirittura il garage per mettere a disposizione attrezzi, compressori, camere d’aria nel caso avessero bucato ». Nel 2020 si terrà l’Olimpiade della moto. La stragrande maggioranza degli operatori turistici dell’Oltrepò si è schierata a favore, ma ci sono anche alcuni voci contrarie. Cosa può portare questo evento, a livello di turismo, nella nostra zona? «Di certo porterà un considerevole afflusso di persone, con turisti e motociclisti che vengono anche da lontano essendo un evento di portata internazionale. L’Olimpiade della moto impegna i partecipanti per parecchio tempo, mio figlio, mi ricordo, è stato via venticinque giorni: sono “solo” sei giorni di gara, ma i percorsi devono essere provati molto prima dell’evento stesso, con un grande traffico di team e piloti, e le ricognizioni delle speciali vanno svolte a piedi. Tantissimi stanno prenotando già ora per assicurarsi i posti più vicini ai tracciati». Ai suoi tempi le ricognizioni pre-gara venivano fatte a piedi o in moto? «Il percorso si provava tutto in moto, qualche giorno prima. Inoltre venivano effettuati più giri: tra i quattro e i cinque per manifestazione; adesso il numero è stato diminuito a tre e le moto vanno poste in parco chiuso fino alla partenza». Queste modifiche, secondo lei, sono state effettuate con il presupposto di tutelare di più l’ambiente? «Immagino di sì, per motivi ambientali e
credo anche per evitare il disturbo della quiete pubblica, visti il rumore dei veicoli e il grande viavai di gente». Ritiene quindi che le preoccupazioni manifestate da alcuni nei confronti della sei giorni nei boschi siano infondate? «A mio parere lo sono. Noi siamo i primi a volere il rispetto e la tutela della montagna, dal momento che ci abitiamo. Spesso e volentieri capita anche che ci ringrazi chi, ad esempio, va a cavallo, perché può attraversare sentieri che non sarebbero percorribili senza il nostro intervento. Prima di correre in un determinato percorso che è già esistente, non devastiamo altre piante, lo puliamo quel tanto che basta per poter passare». Questo è ciò che ci si augura accada sempre tra gli enduristi ma, purtroppo, si sa, le eccezioni ci sono. Il suo ristorante, al Brallo, è stato un punto di raccolta per i motociclisti. Le è mai capitato, in 40 anni di attività, di dover assistere, e magari porre rimedio, a deturpazioni della natura causate dagli enduristi? «No, mai. Tante volte causa più danni un temporale piuttosto che un motociclista (ride). Logicamente, se si corre quando un sentiero, ad esempio, è bagnato, qualche traccia in più rimane. Ma siamo molto premurosi nei confronti dell’ambiente e ci prendiamo cura dei luoghi in cui transitiamo». Ci sono mai state polemiche riguardo al fatto che queste gare si tenessero in zone incontaminate come il Brallo, o accuse agli enduristi di aver arrecato danni all’ambiente? Come si sono risolte? «Purtroppo sì, è sempre esistita questa convinzione che noi devastiamo, roviniamo è un problema che si è sempre presentato. Abbiamo risolto semplicemente organizzando corse e portandole a termine, poiché sappiamo di non rovinare l’ambiente. In ogni caso, nell’alta Valle Staffora le voci a favore rimangono la maggioranza: spesso ci viene chiesto di organizzare altre gare di enduro». Ha detto prima che la sua più grande soddisfazione sportiva è stata la vittoria di suo figlio. In gara, è più in apprensione per lei stesso o per suo figlio? «In questo caso, per me (ride). Prima era come un gioco: non sentivi la pressione addosso se non quella del pensiero di vincere, non ti facevi problemi per nessun tipo di ostacolo; anzi, se lo superavano gli altri, tu potevi farlo anche meglio. Adesso talvolta io mostro un po’ di titubanza verso determinati percorsi, non sono sempre certo di poter oltrepassare un
ostacolo, non ho più la prontezza e i riflessi di una volta». In quali circostanze ha deciso di tornare a prendere la licenza? Qual è stata la reazione di sua moglie e dei suoi figli? «Era già un po’ che pensavo di ritornare in pista, però avrei dovuto farlo nel Moto club Pavia ma mi sarei sentito un po’ a disagio, siccome gli iscritti sono quasi tutti giovanissimi. Mentre qui, al Moto club Varzi, siamo in quattordici-quindici a correre e ci sentiamo tutti molto uniti. Quando poi ho detto alla mia famiglia che ricominciavo con le gare, mia moglie, fortunatamente ha approvato e assiste a tutte le competizioni, i miei figli al contrario erano piuttosto spaventati, hanno iniziato a darmi titoli (ride). Un gruppo di miei amici di Voghera, tutti gli anni, va correre all’Isola d’Elba: io mi sono aggregato a loro e mi sono rimesso in gioco, dovevo pur riprovare, dopo così tanti anni. E mi sto divertendo molto». Il Moto club Varzi ha sia un gruppo di anziani che di bambini. Data la sua esperienza, sa dirci se è una cosa tipica, per i moto club italiani, coprire una fascia d’età così ampia?
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«In realtà no, in pochi seguono dai ragazzini fino agli anziani. Ciò che fa il Moto club Varzi è decisamente positivo: avvia da subito i più giovani alle competizioni. Di solito i ragazzini tentano qualche gara “perché lo fanno tutti” e poi smettono. Invece, con un istruttore e un avviamento quasi immediato alle gare, i bambini riescono a capire se quella sia la loro strada. Ed è così che viene a formarsi la “parte anziana” del Moto club: c’è chi non ha mai smesso di correre o chi, come me, che ha dovuto rinunciare alle moto per parecchio tempo, ma entrambe queste categorie sono mosse dalla stessa grinta, coltivata sin da piccoli». In una competizione, suo figlio si sta giocando il primo posto; in un’altra gara, lei è nella stessa situazione, ma solo uno dei due può vincere. Preferirebbe che fosse lei a vincere o suo figlio? «è mio figlio e gli voglio bene, ma ho un animo molto competitivo e, se potessi, preferirei vincere io (ride). D’altronde è per arrivare primi che si scende in pista». di Cecilia Bardoni
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MOTORI
SETTEMBRE 2019
Simone Algeri, 25 anni, vogherese, insieme a Gabriele Ferruzzi ha conquistato il terzo posto alla sesta edizione del “Giro aereo dei Sei Laghi”, campionato italiano di Rally idrovolante che si è tenuto a Maggio 2019 all’Idroscalo Internazionale di Como, organizzato dall’Aero Club. La sua passione per l’aviazione nasce nel 1998 all’età di 5 anni grazie al nonno Walter, che per Natale gli regala un computer con un simulatore di volo. Dopo anni passati al simulatore di casa, nel 2016 vola per la prima volta da pilota e nel 2017 consegue la licenza da pilota privato. Simone Algeri è abilitato al pilotaggio di aerei monomotore ad elica terrestri ed idro-volanti e all’acrobazia aerea (che svolge prevalentemente su Pilatus P3: aereo storico usato in precedenza dalla Swiss Air Force). Nel suo curriculum, con il Cessna 172, ha partecipato a 2 campionati italiani Rally idrovolante, arrivando undicesimo nel 2018 e terzo nel 2019. Algeri vola su Piper, Cessna, Socata, Siai-Marchetti e Pilatus. Oltre alla licenza da pilota privato, sia su ae-rei convenzionali che idrovolanti, ha conseguito anche l’abilitazione al volo acrobatico, che è stata molto utile per migliorare la precisione nel pilotaggio dell’aereo, anche in occasione del rally. Il Rally idrovolante è uno Sport che risale ai primi del ‘900: la prima gara risale al 1913 e si è svolta proprio a Como con il nome di “Gran premio dei Laghi”. La gara fu vinta da Roland Garros, pioniere dell’aviazione, pilota da caccia e di idrovolanti a cui è anche intitolata la famosa competizione tennistica. Nel 2013, in occasione del centenario di quel primo Gran Premio, la gara è stata riproposta e da allora viene organizzata ogni anno con validità di Campionato Italiano Rally Idrovolanti, unica competizione in Europa. La precisione, la gestione metodica del velivolo e la consapevolezza della situazione sono elementi che vengono insegnati sin dalle prime lezioni e che devono accompagnare il pilota in ogni volo, in qualsiasi contesto.
Il Rally idrovolante è uno Sport che risale ai primi del ‘900: la prima gara nel 1913 a Como con il nome di “Gran premio dei Laghi”
Simone Algeri e il nonno Walter durante un volo
Rally idrovolante: è vogherese il terzo posto nel Campionato italiano Algeri, Rally idrovolante, un accostamento “singolare”. Ci può spiegare le caratteristiche principali di questa disciplina sportiva? «Le gare di rally per aerei idrovolanti sono gare di regolarità, precisione e riconoscimento del territorio. In fase d’iscrizione alla gara ogni equipaggio, che è composto da un pilota e da un navigatore, deve dichiarare la velocità che manterrà durante tutto lo svolgimento della gara e che servirà quindi a far calcolare all’organizzazione il tempo previsto per il completamento della gara stessa. A trenta minuti dalla partenza viene consegnato un roadbook con le rotte magnetiche e le distanze che servono per completare il percorso di gara. All’interno del percorso di gara sono previsti dei check-point che l’equipaggio, seguendo le indicazioni del roadbook deve calcolare, riconoscere e sorvolare ad un determinato orario (calcolato a seconda della velocità dichiarata). è previsto un margine di tolleranza di due secondi rispetto all’orario previsto, superato questo limite viene data una penalità di 3 punti per ogni secondo, si può arrivare ad un massimo di 300 penalità che corrispondono a 30 secondi di ritardo o
di anticipo su di un checkpoint. Inoltre vengono anche fornite alcune fotografie aeree di luoghi da riconoscere e collocare all’interno del percorso di gara, solitamente queste foto riguardano un palazzo o un piccolo incrocio stradale». è uno sport di recente “invenzione” o esiste da sempre? «Una delle prime gare per idrovolanti di cui si abbia notizia risale al 1913 e si è svolta proprio a Como con il nome di “Gran premio dei Laghi”. La gara fu vinta da Roland Garros, pioniere dell’aviazione, pilota da caccia e di idrovolanti a cui è anche intitolata la famosa competizione tennistica. Le gare sono poi proseguite anche negli anni successivi senza soluzione di continuità fino al 1976. Nel 2013, in occasione del centenario di quel primo Gran Premio, la gara è stata riproposta e da allora viene organizzata ogni anno con validità di Campionato Italiano Rally Idrovolanti. Mi risulta inoltre che sia l’unica competizione per idrovolanti in Europa». A che età lei l’ha scoperto e cosa l’ha spinta a provarci ed in modo “serio”? «La passione per l’aviazione l’ho scoperta nel 1998, avevo appena 5 anni. Un ami-
co di famiglia aveva un computer con un simulatore di volo che mi appassionò immediatamente, dopo pochi mesi per Natale mio nonno Walter mi regalò un computer con una cloche e proprio quel simulatore. Quel giorno iniziai a giocare con i simulatori di volo e ancora oggi, dopo oltre 20 anni, passo molto tempo a simulare i voli, certo se prima era tutto un gioco ora è diventato un modo per apprendere e migliorare certe procedure di volo. Dopo anni passati al simulatore di casa, nel 2016 ho volato da pilota per la prima volta e nel 2017 ho conseguito la licenza da pilota privato. Devo ammettere che ricordando quel regalo ricevuto molti anni prima, portare mio nonno come passeggero proprio sull’idrovolante ha avuto un sapore ancora più speciale! Sono abilitato al pilotaggio di aerei monomotore ad elica terrestri ed idrovolanti e all’acrobazia aerea (che svolge prevalentemente su Pilatus P3: aereo storico usato in precedenza dalla Swiss Air Force). Con il Cessna 172, ho partecipato a 2 campionati italiani rally idrovolante, arrivando undicesimo nel 2018 e terzo nel 2019. Volo su Piper, Cessna, Socata, SiaiMarchetti e ».
MOTORI Chi pratica il rally idrovolante e quindi lei nel caso specifico è anche un appassionato di rally o ha poco a che vedere con il rally canonico? «Personalmente sono anche appassionato di rally automobilistici, che pratico saltuariamente dal 2014. Da una parte bisogna guidare un veicolo su di un percorso conosciuto e studiato facendolo nel minor tempo possibile, dall’altro bisogna condurre un aeroplano ad una velocità costante in un tempo determinato, ma su di un percorso conosciuto mezz’ora prima del decollo. Entrambe le attività richiedono passione ed impegno e condividono il senso di adrenalina e di competizione, ma più di questo non hanno molto a che vedere tra loro». Nei rally le autovetture vengono allestite appositamente per la gara, vale lo stesso concetto anche per gli idrovolanti? «No, gli idrovolanti che usiamo quotidianamente sono gli stessi che utilizziamo durante le gare. Trattandosi di competizione di regolarità non è richiesta una preparazione specifica, certo la componente meccanica di ogni aeromobile è particolarmente com-plessa e deve essere accuratamente ispezionata ogni giorno. Dunque il ruolo dei tecnici-meccanici è fondamentale, un po’ come nei rally automobilistici». Quanto costa in media effettuare una gara? «Molto meno di quanto si possa pensare! Diciamo che il costo totale per due giorni di gara, come quella svolta in occasione del Giro Aereo dei Sei Laghi, è paragonabile al costo di un weekend passato in qualche località della vicina riviera ligure. Inoltre, quest’anno la ditta AirBP, azienda di combustibili e servizi aeronautici, è stata sponsor della gara. Il tutto si è tradotto in forti sconti riguardo le spese di rifornimento degli aerei, agevolando quindi anche la partecipazione di equipaggi stranieri che sono potuti venire anche da paesi lontani,… addirittura era presente un pilota polacco!». Per chi si approccia per la prima volta a questa disciplina, quali sono i requisiti fondamentali richiesti, sia a livello attitudinale, sia riguardo al possesso delle licenze? «Sia per i piloti che per i navigatori è necessario superare una visita medico legale ed essere in possesso di una licenza di volo. Inoltre, solo per i piloti, è richiesta l’abilitazione al pilotaggio dell’aeroplano che si userà in gara. A livello attitudinale è richiesto un buon feeling tra i membri dell’equipaggio e in questo senso correre con un pluricampione come Gabriele Ferruzzi mi ha aiutato moltissimo; sono anche ri-chieste un’ottima conoscenza delle norme e dei regolamenti e la capacità di dividersi il lavoro da svolgere in cabina. Più nel dettaglio, al pilota si richiede una buona conoscenza dell’aereo sia a livello di prestazioni che di conduzione, mentre al navigatore solitamente è necessaria un’ottima competenza di calcolo e di pianificazione del volo». Come si sviluppa una lezione, a livello di contenuti e frequenza? «Il corso per l’ottenimento della licenza da pilota privato si articola in poco più di cento ore di teoria in cui si studiano mate-
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rie che spaziano dalla fisica del volo, alla meccanica degli aerei passando per la meteorologia ed il diritto aeronautico. Si passa poi al volo vero e proprio, dove in circa 12 ore di volo con l’istruttore, l’allievo pilota impara a portare l’aeroplano per la prima volta in volo da solo. Il primo volo da soli-sta, oltre a costituire il primo vero traguardo, è anche uno dei momenti più emozionanti e suggestivi nella carriera di un pilota. Si prosegue poi con la navigazione, sia a vista che con l’ausilio degli strumenti di volo. In poco più di 45 ore di volo si può ottenere la licenza da pilota con cui si può volare con passeggeri su aerei ad elica. Personalmente, oltre alla licenza da pilota privato, sia su aerei convenzionali che idrovolanti, ho conseguito anche l’abilitazione al volo acrobatico che è stata molto utile per migliorare la precisione nel pilotaggio dell’aereo, anche in occasione del rally». Esiste un Campionato riconosciuto dalla Federazione che disciplina questo sport? Ci spieghi meglio come si articolano le gare e come vengono conteggiati i vari risultati… «No, per svolgere i rally aerei non è previsto alcun corso specifico. Certo la precisione, la gestione metodica del velivolo e la consapevolezza della situazione sono elementi che vengono insegnati sin dalle prime lezioni e che devono accompagnare il pilota in ogni volo, sia che si tratti di un tranquillo volo con amici, sia che si tratti di una gara di Campionato. Il Campionato quest’anno è stato suddiviso in due gare, svolte nello stesso weekend. Il punteggio viene calcolato rispetto alle penalità che gli equipaggi prendono, che sono calcolate in base ai ritardi sui checkpoint e a seconda dell’aver riconosciuto o meno i luoghi che bisogna trovare e collocare nel percorso. Alla fine della gara, chi ha ottenuto il minor numero di penalità vince e, sommando le penalità di entrambe le gare, sempre chi ha ottenuto il minor numero di penalità viene dichiarato Campione Italiano. Quest’anno io e il mio navigatore Gabriele Ferruzzi siamo arrivati terzi in gara uno e abbiamo vinto in gara due, classificandoci quindi terzi nel Campionato Italiano». Oltrepò è terra di rally, è anche territorio ideale per il rally idrovolante? «Purtroppo l’Oltrepò non possiede fiumi o laghi sufficientemente spaziosi da consentirci di decollare ed atterrare in piena sicurezza. I luoghi vicini più idonei sono i fiumi Po e Ticino. Sarebbe molto bello organizzare una gara in un territorio bello come il nostro. Inoltre nel Ticino era presente fino a qualche decennio fa un idroscalo ed é presente ancora oggi una piccola idrosuperficie, che per altro verrà utilizzata a breve in occasione della commemorazione per il settantacinquesimo del bombardamento della città di Pavia. La commemorazione vedrà impegnati alcuni idrovolanti dell’Aero Club Como». Quali sono le condizioni meteo necessarie per un buon svolgimento delle esercitazio-ni e delle gare? «Le condizioni meteo minime sono imposte dalla regolamentazione aeronautica. Lo
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Atterraggio del Cessna-172, con cui Algeri ha corso entrambe le gare
«La passione per l’aviazione l’ho scoperta nel 1998, avevo appena 5 anni» spazio aereo in cui si svolgono sia le gare che gli esercizi per conseguire le licenze, solitamente sono detti di classe “G” e sono spazi aerei in cui si può volare con la visibilità minima di un chilometro e mezzo. Per lo svolgimento della gara è necessario, inoltre, mantenere un buon contatto visivo con il suolo sottostante. Nel weekend del rally le condizioni erano al limite per volare, a causa di alcuni temporali a sud di Como, ma gli organizzatori hanno accorciato il percorso, così da permettere che la ma-nifestazione si svolgesse in totale sicurezza». Quali sono i rischi maggiori che si corrono? «Rischi particolari non se ne corrono. Certo, il volo è un’attività con una sua pericolosità intrinseca, ma il rispetto delle norme, l’addestramento ed un alto livello di atten-zione rendono quest’attività molto meno pericolosa di un qualsiasi viaggio in mac-china. In cielo, nessuno mi ha mai tagliato la strada perché distratto dal telefonino, nè ho mai visto piloti volare ubriachi. Purtroppo non posso dire lo stesso della guida su strada». Che gare ha disputato, a livello nazionale e all’estero? Quali le prossime in programma? «Ho disputato il Giro Aereo dei Sei Laghi nelle sue ultime due edizioni; mi piacerebbe disputarlo anche l’anno prossimo, magari aggiungendo qualche partecipazione
anche a gare con aerei terrestri, quelli con il normale carrello di atterraggio per intenderci». Qual è la media degli spettatori che vi segue? «A Como ci sono sempre molti turisti che vengono a visitare l’hangar, specialmente durante il Giro Aereo dei Sei Laghi accorrono molti appassionati che condividono la passione per il volo, purtroppo quest’anno a causa della forte pioggia che ha caratterizzato il weekend di gara, che si è tenuta nel mese di Maggio, non c’era molta gente in giro. La gara, essendo anche unica nel suo genere, ha una forte copertura mediatica e riscuote molto interesse e curiosità specialmente tra gli appassionati e gli abitanti del lago di Como, che ormai sono affezionati ai nostri idrovolanti». Come vede proiettato il rally idrovolante a livello locale e nazionale? «La gara di Como non solo è unica in Italia ma anche in Europa, ma negli ultimi anni ha suscitato molto interesse e ha portato molti piloti a parteciparvi. La speranza è che si possa organizzare una gara di Campionato anche al di fuori delle acque del lago di Como e che qualche Aero Club straniero possa organizzare una competizione simile. La mia speranza è che il Giro Aereo dei Sei Laghi continui sulla via dei successi di pubblico e partecipazione che sta riscontrando». di Federica Croce