Il Periodico News -DICEMBRE 2019 N°149

Page 1

Nel Consorzio Tutela Vini c’è davvero aria nuova, com’era stato annunciato più di un anno fa...

Anno 13 - N° 149 Dicembre 2019

20.000 copie in Oltrepò Pavese

pagina 11

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

CASEI GEROLA

CASTEGGIO «Fossi e torrenti da pulire, si intervenga subito» «I danni causati dall’ultima alluvione sono il risultato di anni e anni di immobilismo, superficialità, incompetenza e scarsa sensibilità...

pagina 27

RIVANAZZANO TERME «Le nostre dimissioni? Un segnale per chiedere più coinvolgimento» «Le nostre dimissioni di gruppo servivano per dare un segnale, per chiedere un maggiore coinvolgimento nei lavori dell’amministrazione»... pagina 17

VARZI «Strade vergognose e la Provincia non fa nulla» Cella di Varzi, località situata a 700 metri di altitudine sull’ Appennino Pavese, ospita da oltre settan’anni il Tempio della Fraternità... pagina 23

MONTEBELLO DELLA BATTAGLIA Deborah Aquilini, una vita per la moto Deborah Aquilini, più familiarmente Debby, ha 22 anni, è al terzo anno di studi presso la facoltà Agraria dell’Università... pagine 68 e 69

LA TRIPPA Mettiamo sulla “basacula” l’anno 2018 e l’anno 2019 dell’Oltrepò Per conoscere la dimensione, la grandezza ed il valore di molte “cose”, in diversi casi queste “cose” devono essere pesate. In Oltrepò Pavese... pagina 3

«L’accordo con i 5 Stelle? Chi tifa per il centrosinistra deve sperare che si realizzi» pagine 4 e 5

«In Oltrepò già abbastanza maiali da produrre Cuciti come 10 anni fa» Il “Cucito” come una Ferrari: non ce n’è per tutti, ma la sua sola esistenza basta già a nobilitare l’intera linea di produzione di un’azienda. Oggi il prodotto principe della norcineria d’Oltrepò è ai minimi storici: quindici anni fa quelli certificati con marchio... pagina 19

il Periodico

Brisca in cinque per Palazzo Gounela: la Lega “chiama”, chi è il socio?

Un maxi campo da tiro dietro l’ex zuccherificio Arriverà a Casei Gerola uno dei campi di tiro sportivo più grandi del nord Italia. L’apertura della nuova struttura è attesa dagli appassionati... pagina 16

In attesa dei regali natalizi, i politici vogheresi si scambiano bordate. A tenere banco dalle parti di palazzo Gounela è il caso Azzaretti. La Marina d’Oltrepò è in polemica aperta con il segretario di Forza Italia Giampiero Rocca, che sta cercando di defenestrarla dalla giunta Barbieri. Prima il ritiro delle deleghe, orchestrato dal numero uno di via Viscontina e messo in opera dal sindaco Carlo Barbieri poi l’invito, sempre a mezzo stampa, a prendere la porta. Il casus belli è stata la cena natalizia della Lega tenutasi a Varzi, a cui il super assessore vogherese ha preso parte “flirtando” colpevolmente con quello che, al momento, è ancora nemico dichiarato della giunta in carica. Il futuro politico della Azzaretti è oggi un punto interrogativo: l’intesa con la Lega è ormai conclamata, ma chi si aspettasse un suo...

news

pagina 6

«La 6 Giorni una grande occasione per dare visibilità a tutto l’Oltrepò»

La grande macchina organizzativa della 6 Giorni di Enduro 2020 si è già messa in moto. In vista della manifestazione, in programma dal 31 agosto al 5 settembre, i team hanno già incominciato a muoversi prenotando posti...

pagina 13 e 15

editore Editore



ANTONIO LA TRIPPA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

3

Mettiamo sulla “basacula” l’anno 2018 e l’anno 2019 dell’Oltrepò pavese Per conoscere la dimensione, la grandezza ed il valore di molte “cose”, in diversi casi queste “cose” devono essere pesate. In Oltrepò Pavese, quando ancora il frumento ed il mais e tanti altri prodotti della terra venivano raccolti in sacchi e pagati a peso, si usava come strumento di peso la “basacula” (bascula: bilancia a più leve mutuamente articolate in modo da poter equilibrare, con piccoli pesi, carichi decine e anche centinaia di volte maggiori). Se dovessimo mettere sulla “basacula” l’anno 2018 e l’anno 2019 dell’Oltrepò Pavese, purtroppo vedremmo che il 2019 “pesa” meno dell’anno precedente. Molti diranno che è andato peggio non solo in Oltrepò, ma un po’ ovunque, la realtà dei fatti è che noi parliamo e siamo dell’Oltrepò per cui dobbiamo guardare anche e soprattutto in casa nostra. Dove certamente le cose sono andate peggio è sul fronte strade: in Oltrepò hanno raggiunto livelli di “sgarruppamento” drammatici. Interventi significativi e risolutivi in questo 2019 non ne sono stati fatti, con l’aggravante che oggi le strade dell’Oltrepò hanno un anno di più e sono peggiorate in maniera drastica. Ridicoli poi alcuni interventi di lifting fatti a macchia di leopardo su 200/300 metri di strade oltrepadane. Chi almeno quasi giornalmente non ha visto il camioncino del Comune o della Provincia mezzo pieno (o mezzo vuoto, dipende dalla prospettiva) di catrame e due ligi operai (in genere si muovono in coppia) che con un “badile” buttano e livellano un po’ di asfalto nelle buche? Che tristezza… Le principali direttrici che dall’Oltrepò portano verso Pavia sono un percorso ad ostacoli e gli unici che forse traggono beneficio da questa situazione sono i gommisti ed i meccanici, loro malgrado. È incomprensibile anche come ogni 3 o 4 mesi vengano posti nuovi autovelox: non servono! Con le buche che ci sono se si superano i 50/60 Km orari si spaccano gomme, ammortizzatori, braccetti, etc. etc. etc. Il 2019 è andato peggio del 2018 anche sul fronte ponti: il ponte della Gerola, della Becca e di Portalbera, anche loro hanno un anno in più e sono messi peggio dell’anno precedente. Sul ponte della Becca poi, si sta sfiorando il ridicolo: ogni 3 per 2 c’è un esponente politico che dice che i soldi arriveranno, che ci sono e ci saranno… sì… per fare il progetto, perché siamo ancora a questa fase: il progetto!!! Allo stato dei fatti la realtà è una sola: al di là dei selfie postati nei vari social, dove i vari esponenti politici a 360° continuano a ripetere che grazie al lavoro di ognuno di loro sono stati stanziati i soldi necessari per il progetto del nuovo ponte e (forse) per costruirlo, di soldi per partire almeno con il progetto non ne sono ancora arrivati.

Se per ogni post fatto da qualsiasi politico oltrepadano fossero arrivati non dico tanto, ma almeno 10 euro, oggi i soldi almeno per il progetto ci sarebbero. Sulla paternità o maternità dei soldi che dovrebbero arrivare per il ponte della Becca si sta sfiorando il patetico! C’è poi il mondo del vino, che è una delle più grandi risorse economiche dell’Oltrepò e anche qui: litigi, discussioni, frammentazioni, strappi, ricongiungimenti, io lo faccio meglio di te e lui lo fa diversamente da te... Il Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò è diviso: un po’ di qui, un po’ di là, un po’ altrove… e intanto al di là di poche eccezioni, il prezzo del vino e delle uve oltrepadane è sempre più basso. Anche qui parole su parole. Il termine “qualità”, usato in ogni simposio e tavola rotonda, doveva essere il motto. Invece la stragrande maggioranza del nostro vino è venduto a prezzi ridicoli e la colpa è sempre dell’altro. Qualcosa di buono è successo in Oltrepò in questo 2019: sono arrivati ai vari enti statali, para o pseudo statali oltrepadani, tanti soldi. Finanziamenti li chiamano, ma c’è un ma: al di là di progetti “fantasiosi” e fini a se stessi concretamente di questi soldi l’Oltrepò ha percepito ben poco e ha raccolto quasi nulla. I soldi sono stati e vengono SPESI E NON INVESTITI, perché per essere investiti dovrebbero a monte avere un piano strategico generale e non diversi progetti creati al momento e che molte volte cozzano l’uno con l’altro. Mi spiego meglio: è inutile far arrivare soldi per finanziare il museo della “Zappa Vecchia” o “Della Libellula Impazzita” o per costruire “Cattedrali nel Deserto”: prima i politici e/o gli imprenditori dell’Oltrepò dovrebbero decidere che strada intraprendere, un’unica strada che è quella di stabilire quali sia la vocazione del territorio. Si decide che l’Oltrepò ha una vocazione agroalimentare? Bene, s’investe in modo sinergico su quello. Si decide che è lo sport? Bene, s’investe su quello, e così via… Invece no. Un po’ di soldi si danno all’agroalimentare, un po’ allo sport, un po’ alla cultura…. per accontentare tutti… inoltre cosa ben più illogica, anche all’interno dello stesso settore spesso si finanziano progetti che cozzano l’uno con l’altro e che non sono sinergici: se si decide di destinare fondi all’agroalimentare è inutile dare soldi per manifestazioni che promuovono il Salame di Varzi e contemporaneamente supportare economicamente la “Sagra del Wurstel”. Questo è l’esempio di due “cose” non sinergiche. Piuttosto semplice! Anche qui per usare un eufemismo, il pressapochismo la fa da padrone. La situazione politica oltrepadana è quella che è…. l’Oltrepò fino a pochi anni fa

ha espresso politici “di peso”, tipo Abelli ed Azzaretti giusto per citarne due. Piacessero o non piacessero è un altro paio di maniche. Ora dobbiamo confidare che i due Deputati oltrepadani, Elena Lucchini – Lega e Cristian Romaniello – M5S, consolidino la loro esperienza parlamentare e diano indicazioni chiare ai loro “sottoposti” politici, affinché l’Oltrepò scelga una strada economica da percorrere e puntare e scelga in via prioritaria come spendere i soldi che arrivano e che forse arriveranno. Non dimentichiamoci infatti che “il peso” di un politico lo si misura essenzialmente con i soldi che riesce a far arrivare o da Roma o da Milano al territorio che lo ha votato. Questa è la base, poi il politico bravo, oltre a far arrivare i soldi, indica anche (in maniera lungimirante e non clientelare) come spenderli, ma lì è già un altro livello. Fanno ridere quelli che dicono che Romaniello e Lucchini sono giovani… Quindi? Sempre di più nel mondo del lavoro e nella politica i giovani stanno assumendo posizioni di assoluto comando, pertanto essere giovani come lo sono i nostri due rappresentanti a Roma non è una condanna, anzi può essere un pregio e certamente non è una scusante! Mi auguro che l’Oltrepò si attenda e pretenda dai nostri politici, a partire dai più importanti, meno selfie e meno nastri tagliati per le più sciocche occasioni e più consigli o direttive politiche per cercare di fare inversione ad “U” in vista del domani. Qui non si tratta solo di rimettere la macchina in carreggiata, se si continua cosi nel 2020 oltre a cambiare la macchina bisognerà anche rifare la carreggiata. Nel 2019 poi, per una determinata parte politica è mancato anche l’”allenatore” in campo. È deceduto. Era Giovanni Alpeggiani. Proprio su questa pagina due anni orsono scrivevo di lui… Avevo pronosticato che quando sarebbe venuto a mancare i vari Alpeggiani “Boys o Toys” chiamateli come volete, si sarebbero presi a zuccate tra di loro perché non avrebbero saputo né cosa dire né cosa fare, e così è stato ed è evidente sotto gli occhi di tutti. Il 2019 però ha avuto anche qualche lato positivo: è vero che abbiamo molte più buche… ma abbiamo anche più dossi, è vero che abbiamo molte più frane … ma abbiamo anche più rotonde, è vero che abbiamo meno turisti… ma è altrettanto vero che i nostri politici hanno più nastri da tagliare per le numerose manifestazioni, spesso, ridicole. Al di là delle battute qualche segnale positivo c’è: il numero delle aziende che

per esempio nel mondo del vino iniziano a produrre meglio ed a posizionare il loro vino nella fascia “Premium”, quella più redditizia, ce ne sono e molte sono guidate da giovani, questo è un dato incoraggiante. Tanti giovani e questo è un ulteriore dato incoraggiante che ritornano a lavorare la terra anche nelle zone alte dell’Oltrepò e per lavorare la terra bisogna certamente avere un grosso spirito di sacrificio… Altre “cose” positive francamente non ne vedo o per lo meno “strategicamente” positive, che possano migliorare in maniera significativa e sostanziale la qualità della vita degli oltrepdani e soprattutto che abbiano una visione futura ed una prospettiva futura. Che dire poi delle Terme di Salice? Nel 2020 a metà gennaio andranno all’asta “ESPERIAmo” che trovino finalmente un compratore che possa riaprire e poi rilanciare quelle che erano fino a 10/15 anni fa il principale motore turistico dell’Oltrepò. A Salice Terme esistono alcune realtà che funzionano bene, proprio in settori contigui all’attività termale, come ad esempio Villa Esperia, realtà gestita in maniera seria. Ecco per le Terme di Salice il mio augurio è…”ESPERIAmo”. Vedremo se alla fine del 2020 se mettendo sulla “basacula” il 2019 ed il 2020 quest’ultimo sarà meglio a livello globale per l’Oltrepò, guardando oggettivamente la situazione nostra e quella generale che ci circonda, i dubbi rimangono, ma, da oltrepadano doc, io continuo a tifare per la nostra terra, nonostante i forti dubbi sulle capacità dei nostri politici (al di la dei selfie e le cene di gruppo) di saper adottare indirizzi strategici. di Antonio La Trippa


4

il Periodico News

VOGHERA

DICEMBRE 2019

«L’accordo con i 5 Stelle? Chi tifa per il centrosinistra deve sperare che si realizzi» Incassato ma non ancora digerito lo “strappo” di Pier Ezio Ghezzi, il PD vogherese cerca di riorganizzarsi. Il colpo è stato duro e l’ennesima spaccatura interna al centrosinistra rischia seriamente di compromettere la corsa a Palazzo Gounela prima ancora che la bagarre vera e propria cominci. Per la sezione locale del partito guidata dal segretario Alessandra Bazardi si prospetta un inverno lungo e pieno di nodi da sciogliere: primarie, alleanze, posizione (che a questo punto diventa determinante) dei 5 Stelle. Bazardi, partiamo dall’addio di Ghezzi: lei se l’aspettava? «È stata una mossa alla Renzi, ma da ex renziana dico che anche lui ha sbagliato i modi e i tempi. E ha deluso tanti. Sinceramente conoscendo Ghezzi non pensavo che avrebbe commesso un simile errore politico. Rompere con il partito a sette mesi dalle elezioni con queste motivazioni è come dire che vuoi correre da solo. Non vedo altre spiegazioni al momento… oltre al danno per la città». Beh, che lui volesse restare protagonista lo aveva fatto capire in ogni modo… Può essere che si sia sentito in qualche modo messo da parte? «Sgombriamo il campo dai dubbi. Pier Ezio Ghezzi è stato il nostro candidato nel 2015, io stessa ho iniziato il mio percorso politico con lui nella Lista Civica. Di questo lo ringrazio e lo ringrazierò sempre. Il PD lo ha sostenuto, si è schierato al suo fianco facendo un ricorso lungo, difficile e costoso e impegnandosi anche con i suoi rappresentanti provinciali, regionali e parlamentari affinché fosse data a lui e a coloro che erano scesi in campo con lui la possibilità di rigiocarsi la partita. Ricordo ancora la gioia di tutti quando arrivò la sentenza. Era la nostra rivincita, nel gennaio 2017 al riballottaggio abbiamo fatto una campagna elettorale fino all’ultimo voto! Penso che nessuno abbia mai messo in dubbio le capacità di Ghezzi, ma la politica è fatta di momenti. E di fasi. Alcuni dirigenti e compagni gli hanno solo consigliato di mettersi a disposizione di un progetto nuovo, di cui sarebbe stato sicuramente protagonista, ma, ciononostante, vista la determinazione di Ghezzi a ricandidarsi a sindaco e le ricostruzioni sulla stampa di presunte esclusioni, abbiamo redatto un regolamento aperto per le Primarie, che gli consentiva come iscritto PD di partecipare senza problemi. Diciamolo, abbiamo anche forzato un punto del regolamento regionale che cita che in caso di primarie di coalizione il candidato del PD deve essere uno solo, scelto in assemblea. E, siccome Ilaria Balduzzi aveva già dato la disponibilità, la commissione ha cercato di dare la massima agibilità a tutti.

lità di gareggiare, a una coalizione ampia ma senza pregiudizi e schemi prefissati. Soprattutto servono i contenuti. Voghera ha bisogno di un grande sviluppo e rilancio sul piano economico sociale culturale e produttivo. Il vecchio modello di sviluppo va sostituito con quello di una smart city in grado di costruire un patto verde con il mondo del lavoro. Una green economy, una città innovativa e a misura di uomo. Una città sicura, aperta, inclusiva, che si basi sulla cittadinanza attiva, che pensi agli anziani, alle famiglie, a chi ha bisogno e alle future generazioni. Vogliamo partire proprio da questo, attraverso una grande iniziativa politica e programmatica che faremo a gennaio per mettere allo stesso tavolo le categorie, le associazioni, il mondo sindacale e i semplici cittadini che vorranno aderire. La fretta da alcuni reclamata non aiuta, ma siamo altrettanto consapevoli che si avvicina il tempo delle decisioni politiche e programmatiche conclusive».

«Rompere con il partito a sette mesi dalle elezioni significa che vuoi correre da solo» Alessandra Bazardi

Un partito che ha l’ambizione di governare la città non può avere questa miopia politica ed escludere qualcuno burocraticamente». Cosa cambia nel partito adesso? Le liste pro Ghezzi e i voti del Pd convergeranno oppure si paventa l’ennesima divisione nel centrosinistra che potrebbe togliervi speranza nella già difficile sfida al centrodestra? «È innegabile che ci sia stata una frattura che va analizzata e valutata con molta obiettività e responsabilità. Il gesto di Ghezzi ha introdotto ancora una volta un elemento di confusione tra i nostri elettori e simpatizzanti.

Il percorso ha bisogno di tempo per essere riavviato ma nel partito non cambia nulla, si lavora come prima. Il circolo si è compattato, questo sì, come il gruppo consiliare, le scissioni uniscono sempre chi resta. In questi casi subentra il senso di appartenenza a una comunità che si sente ferita. Chi esce sbaglia sempre, perché le battaglie e le discussioni si fanno all’interno. Da dove ripartirete? «Penso che si debba ripartire dai programmi e dall’obiettivo da raggiungere. Sarebbe sbagliato chiudersi e cristallizzarsi sulle posizioni personali, perché occorre lavorare a un progetto che abbia possibi-

La fretta non aiuterà, ma per Ghezzi si sta “perdendo tempo” e quello delle primarie si è rivelato un nodo cruciale nel determinare il suo abbandono. Alla fine si faranno o no? Nel 2014 si tennero già il 30 novembre e le elezioni non andarono bene… «Lo dice lui e quindi è giusto? Per me in politica paragonare eventi di 5 anni prima è anacronistico. E comunque appunto nel 2014 le primarie furono fatte con largo anticipo e purtroppo non arrivammo nemmeno al ballottaggio. Se il motivo dell’abbandono fosse davvero il tempo o le primarie, significa che Ghezzi ha già deciso di correre da solo.


VOGHERA Il PD non le ha mai annullate, come d’altra parte non era stata ancora ufficialmente fissata una data. Semplicemente, come accade spesso in politica e, a livello nazionale ne abbiamo avuto una eclatante prova quest’estate, quando si verificano condizioni nuove le situazioni cambiano in 24 ore. Quello che fino a ieri non era possibile lo diventa. Un avversario diventa alleato. Un ostacolo diventa un ponte». è per questo che non sono ancora state fatte? Siete alla finestra? «Davanti all’ipotesi di apertura della coalizione a LEU e 5 Stelle, il Pd cosa doveva fare, dire “no” perché non dobbiamo perdere tempo e dobbiamo fare subito le primarie? Senza verificare la possibilità di una convergenza di altre forze che avrebbero dato linfa e numeri al progetto? Io questa responsabilità con una città in mano da 20 anni alla destra non me la prendo. Se se la vuole prendere Ghezzi… lo dica alla gente. Ma è anche vero che io non voglio fare il candidato sindaco quindi per me è diverso. Vedo tutto in modo più oggettivo». Quindi secondo lei quella di Ghezzi è stata una scelta dettata da egocentrismo? «Ghezzi è una persona intelligente, un gran lavoratore, ma è stato sempre abituato a muoversi da solo, lo dimostra il fatto che ha dichiarato di aver già pronte due liste civiche mai condivise con il partito pur non sapendo ancora di essere lui il candidato sindaco. E troppo spesso ha preteso di dettare lui la linea. Quando si è in una comunità ci sono delle regole e ci si deve adeguare al gruppo». Pochi giorni fa il deputato Cristian Romaniello ha detto che i 5 Stelle a Voghera non stanno valutando alleanze se non con liste civiche. Un “due di picche” che brucia? «Quale due di picche? Con i 5 Stelle c’è stata da subito grande intesa sulla visione della città, sulla strategia e i programmi.

il Periodico News

DICEMBRE 2019

«L’addio di Ghezzi? Mossa alla Renzi, con tempi e modi sbagliati» E sul fatto che occorra proporre un progetto innovativo per Voghera che coinvolga una nuova classe dirigente con cui lavorare per i prossimi 10 anni al rinnovamento e rinascita del territorio. Il PD nazionale è al governo con i 5 Stelle e quindi il confronto anche in prospettiva più ampia oltre che per le amministrative è opportuno e doveroso.

Alleanze: «Se non si va oltre il nostro “recinto” il ballottaggio è un’illusione»

Il fatto che il Movimento abbia al momento un regolamento e un’organizzazione (che peraltro sta discutendo) con proprie regole non significa che il dialogo non prosegua. E credo che chi tifa per una vittoria del centrosinistra debba augurarsi che continui e si concretizzi». Che ruolo avranno le liste come +Europa, Radicali o i Renziani di Italia Viva? «Sono al momento piccole e nuove realtà che però vanno assolutamente integrate e coinvolte nella coalizione. Gruppi che stanno lavorando bene, con entusiasmo e che sono preziosissimi nell’ambito di una coalizione e campagna elettorale, ma devono anche avere la voglia di interfacciarsi con il partito che al momento detiene la maggioranza dei numeri e che per primo si mette in discussione per ampliare il campo. Ora occorre coinvolgere anche l’altra parte della sinistra, i 5 Stelle e tutto quel mondo di moderati, cattolici, mondo civico e di associazionismo che si riconosce nei nostri valori e non in quelli della destra sovranista». Sperate di arrivare al ballottaggio e poi lavorare sulle alleanze? «Sulle alleanze si è detto e scritto tanto. Se riusciremo a proporre un progetto che piace per i contenuti e che ci può portare numericamente a concorrere per il ballottaggio penseremo poi ad aggregare anche

5

altri schieramenti. Sempre nel rispetto degli elettori che ci votano e dei programmi». Non teme che la presenza di troppe liste, seppure interne all’area di centrosinistra, possa finire per favorire una vittoria della destra già al primo turno? «Certo, per questo dobbiamo unire e il Pd sta tentando di farlo disperatamente. La coalizione tra PD, Lista Civica Ghezzi, Italia Viva e Civica Voghera Più Libera rappresenta un inizio, ma occorre andare oltre il recinto. Se ci illudiamo di arrivare così al ballottaggio… Benché la situazione delle amministrative sia diversa da quella nazionale è innegabile che un centrodestra a traino Lega sia un avversario forte e scomodo. Proprio per questo la discussione va fatta prendendo in considerazione ogni aspetto e negoziando con le forze all’interno della coalizione la soluzione migliore senza porre paletti che potrebbero escludere a priori ogni dialogo con altre forze che non vogliono o possono stare alle nostre regole. Ora sta a noi decidere la strada da intraprendere e ognuno si assumerà le proprie responsabilità». Chiudiamo su Asm. Condivide l’analisi fatta dal suo ex compagno di partito Ghezzi riguardo agli accordi tra Forza Italia e Lega in vista delle prossime elezioni? «La scorsa estate abbiamo proposto i nomi di due esperti per il nuovo cda a 5 di Asm. Manager competenti che avrebbero potuto esercitare un ruolo di controllo e mettere a disposizione le competenze. Addirittura alcuni sostenevano che il PD avrebbe “portato a casa” un posto perché aveva fatto un accordo elettorale con Forza Italia. Questa era l’accusa di molti e, diciamolo, anche di qualcuno al nostro interno. Sappiamo tutti come è andata. Evidentemente gli accordi li hanno fatti altri». di Christian Draghi


6

il Periodico News

VOGHERA

MAGGIO 2019

Brisca in cinque per Palazzo Gounela: la Lega “chiama”, chi è il socio?

In attesa dei regali natalizi, i politici vogheresi si scambiano bordate. A tenere banco dalle parti di palazzo Gounela è il caso Azzaretti. La Marina d’Oltrepò è in polemica aperta con il segretario di Forza Italia Giampiero Rocca, che sta cercando di defenestrarla dalla giunta Barbieri. Prima il ritiro delle deleghe, orchestrato dal numero uno di via Viscontina e messo in opera dal sindaco Carlo Barbieri poi l’invito, sempre a mezzo stampa, a prendere la porta. Il casus belli è stata la cena natalizia della Lega tenutasi a Varzi, a cui il super assessore vogherese ha preso parte “flirtando” colpevolmente con quello che, al momento, è ancora nemico dichiarato della giunta in carica. Il futuro politico della Azzaretti è oggi un punto interrogativo: l’intesa con la Lega è ormai conclamata, ma chi si aspettasse un suo imminente accasamento al Carroccio potrebbe restare deluso. Difficile pensare che, al di là dei sorrisi e dei brindisi di facciata, la compagine che fa a capo al deputato Elena Lucchini accetti di buon grado di candidare tra le proprie fila un esponente di spicco di quella che rimane pur sempre una compagine “avversaria”, ovvero la Forza Italia tanto spesso presa di mira del gruppo leghista. Va bene che in guerra e amore tutto è con-

cesso, ma se è vero che la facciata va pur sempre salvata, è più probabile immaginare che l’appoggio della Azzaretti possa arrivare (ben gradito) ma dirottato sotto forma di lista civica. Proprio le civiche, dicono i bene informati, saranno un format piuttosto gettonato alle prossime elezioni, al punto da creare un quadro molto frammentato per il primo turno elettorale. Chi ha un buon bacino di voti personali, potrebbe ritenere svantaggioso diluirli all’interno di una lista di partito: la tentazione di offrire una “prova di forza” alle urne e usarla come merce di scambio ad un eventuale ballottaggio è ghiotta, e chi ha i muscoli ben allenati potrebbe non lasciarsela sfuggire. Ghezzi docet. L’ingegnere Dem ha infatti silurato il Pd, reo di nicchiare troppo a lungo sulle primarie e di indulgere in un troppo sfacciato flirt con i 5 Stelle locali. Correrà da solo pure lui, forse con l’appoggio di Italia Viva, +Europa e Leu. Forse. Buio anche sulle intenzioni del gruppo Affronti: candidassero un loro uomo per una corsa solitaria, sarebbe sicuramente Nicola, figlio di Paolo. Il quadro politico oggi è quanto mai fumoso. è il gioco delle parti, si sa, ma le bocche restano cucite come non mai. Strappare un’intervista è impresa ardua, nessuno

vuole sbilanciarsi. Oltre a sorbirsi l’ormai stucchevole ping pong mediatico Azzaretti - Rocca non resta che rimpiangere i bei vecchi tempi del “puparo” Alpeggiani, abile non solo a manovrare la politica locale, ma a dare in pasto alla stampa gustosi “spuntini” di riflessione. Ci fosse ancora lui, difficilmente avremmo assistito alle uscite delle ultime settimane. In Forza Italia, partito in decomposizione, è iniziato il “si salvi chi può”. Di fronte ad una emorragia che pare inarrestabile, risulta comprensibile il tentativo del segretario Rocca di fare la voce grossa con la Azzaretti, un tentativo di chiudere la stalla arrivato però quando i buoi sono scappati. Qualcuno crede davvero che il ritiro delle deleghe alla donna da 508 voti sia arrivato come un fulmine a ciel sereno? Se i politici in corsa sono come cavalli, solo un colossale brocco avrebbe rinunciato per questioni personali all’apporto del suo stallone leader a pochi mesi dalla corsa più importante. Più facile dedurre che quest’ultimo avesse già deciso di cambiare casacca di suo. D’altra parte, se i Beatles dopo la morte del loro manager Brian Epstein sono andati ognuno per conto suo, perché non dovrebbe capitare lo stesso agli “orfani” di

Giovanni Alpeggiani? La Azzaretti, ormai a briglia sciolta, utilizza le sue armi senza remore: fa breccia sui social nei cuori dei follower. La sua bacheca, ad ogni post, si riempie di manifestazioni di stima e affetto e c’è chi si dichiara pronto a seguirla (leggi votarla) incondizionatamente qualsiasi scelta faccia. Capitano, mio capitano. Altroché Salvini. Con lui Marina condivide la passione per i social, la sua immagine nazionalpopolare e consapevolmente (e orgogliosamente) populista ne fa la protagonista incontrastata della scena locale, nonostante qualche osservatore “nerd” faccia notare che i suoi “like” non sono più quelli di una volta, al punto che considerare scontato il pacchetto voti già acquisito potrebbe rivelarsi un azzardo. La Lega a questo giro fa il mazzo e da tempo ha adottato il basso profilo e indossato la “faccia da poker” . Spizza le sue carte ma non dà segnali. Siccome siamo in Oltrepò, fosse una “brisca in cinque” sarebbero tutti al tavolo ad aspettare il seme della chiamata. Solo allora, forse, vedremo i primi bluff. di Nilo Combi


VOGHERA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

7

«Sfrattati dalla piscina per un video online» L’Iria Pallanuoto, unica squadra vogherese espressione di questa disciplina, non si allena più a Voghera e presto cambierà nome. è stata allontanata dalla piscina comunale lo scorso giugno in seguito a un video messo in rete dal suo allenatore Marco Zucchi in cui criticava duramente la gestione del centro natatorio ad opera della società Gesti Sport. Oggi la realtà sportiva vogherese ha trovato una nuova casa a Casteggio e si appresta a togliere dal proprio nome la dicitura “Iria”, scelta in omaggio alla propria città. Sarà rimpiazzata da un’altra più generica (ancora da ufficializzare) legata al mondo della pallanuoto. La “love story” tra la squadra e la città si è interrotta bruscamente: Gesti Sport, che ha in gestione l’impianto natatorio, non avrebbe gradito le critiche ricevute, mettendo letteralmente alla porta la squadra: «Il giorno stesso della pubblicazione del video, recatomi in piscina, mi veniva detto di non essere persona gradita e che tutto il materiale tecnico (porte, palloni, calottine, ecc.) era già stato portato fuori dall’impianto» spiega Zucchi. 28 anni, istruttore di nuoto, da circa otto si impegna a promuovere l’attività di pallanuoto. L’allontanamento dalla piscina “Dagradi” non è però l’unico motivo dietro cambio di nome e rinuncia alla “vogheresità”: «Neppure l’amministrazione comunale – spiega sempre il coach - ha mai mostrato interesse per noi. Nonostante più incontri in cui abbiamo chiesto aiuto per trovare una sede, nessuno si è mai preoccupato di venirci incontro. Addirittura, all’ultimo appuntamento che ci avevano dato, l’assessore neppure si era presentato». A vaso colmo, la decisione di tagliare i ponti. “Chi non mi vuole non mi merita”, dice il motto. Zucchi, partiamo dal vostro allontanamento dalla piscina di Voghera. Che cosa è accaduto esattamente? «è successo che ho espresso delle opinioni personali, molto critiche riguardo alla gestione attuale, e un’intera associazione sportiva è stata cacciata fuori in malo modo. 20 persone, dal più piccolo che ha 8 anni al più grande che ne ha 60. Siamo stati letteralmente messi alla porta. Non solo le nostre attrezzature sono state spostate all’esterno dell’impianto, anche lo striscione adesivo con il nome del nostro sponsor, che avevamo appena fatto stampare non senza dispendio di energie e soldi, è stato accartocciato e reso inutilizzabile. Stessa sorte è toccata alle foto che avevamo appese lungo il corridoio che porta al bar della piscina». Come mai ha scelto di utilizzare il canale Youtube per esprimere le sue critiche?

L’allenatore critica duramente Gesti Sport e Comune su Youtube: Iria Pallanuoto messa alla porta

L’allenatore Marco Zucchi, con il team Iria Pallanuoto

«è uno spazio che mi sono preso online per l’impossibilità di comunicare altrimenti e serenamente ai gestori i disagi sia degli atleti sia degli utenti. è stato uno sfogo personale e a mente fredda riconosco che potevo magari usare toni meno accesi». Ha suscitato una reazione decisamente dura. Che cosa dice in quel video? «Le mie critiche erano rivolte soprattutto al fatto che Gesti Sport, che da fine 2007 ormai gestisce la piscina comunale, è di fatto una società cooperativa che si occupa di fitness e non di sport di squadra in senso stretto. La sua gestione negli anni ha snaturato completamente l’impianto natatorio di Voghera, rendendolo sempre più inadeguato per lo svolgimento di sport di squadra. In generale, affidare un impianto sportivo a chi si occupa di fitness ha causato disservizi e quella che ho definito una mala gestione». Quali sarebbero questi disservizi? «Innanzitutto la piscina vogherese era l’unico impianto in Lombardia con un trampolino per tuffi da venti metri. La prima mossa di Gesti Sport all’epoca fu riempire la fossa da 5 metri, rendendo di fatto il trampolino un monumento all’inutilità, buona giusto ad ospitare piccioni. Se questa può essere ritenuta una scelta “gestionale”, per quanto a mio giudizio incomprensibile, i danni maggiori sono stati fatti alle vasche coperte. Aggiungere ad esempio una settima corsia alle vasche per il nuoto, al solo scopo di aumentare il

profitto, ha comportato la riduzione dello spazio a disposizione degli utenti, con conseguente disagio generale. Per introdurre l’idrobike poi, di tendenza alcuni anni fa, si erano inventati una pedana da mettere nella vasca da 180 centimetri per ridurre l’altezza a 80, sempre a scapito della comodità di chi pratica il nuoto. Per non parlare poi dell’aumento del costo delle docce da 20 a 25 centesimi con l’introduzione di una tessera magnetica. Un dettaglio che a qualcuno potrà sembrare irrisorio, ma che ha un impatto su chi si allena tutti i giorni. Business is business, si dice, e in base a questa logica pace se si offrono servizi scadenti e non si permette alle società vogheresi di fare sport nell’impianto vogherese». Da quanto vi allenavate nella piscina di Voghera? «Da quando la squadra è stata fondata, nel 2011». Adesso dove vi allenate? «Attualmente ci alleniamo nella piscina di Casteggio dove abbiamo avuto massima disponibilità e abbiamo creato per la prima volta anche un settore Aquagol sotto i 10 anni di età. Oltre a Casteggio abbiamo avuto disponibilità anche dalle piscine di Tortona e Novi Ligure». Con il Comune avevate cercato contatti. Com’era andata? «Già 4 o 5 anni fa ci eravamo rivolti all’assessore allo sport, che inizialmente si era detto interessato alle nostre rimostranze ma che poi è sparito. In seconda

“Voghera” via dal nome della squadra: «Basta omaggi a chi non ci considera» battuta poi ci avevano dato buca ad un appuntamento già preso. Il Comune latita, d’altra parte non si è neppure mosso per celebrare in qualsivoglia modo i 70 anni della piscina che, quasi nessuno lo ricorda, è stata inaugurata il 10 luglio 1949». In un altro suo video lei ha parlato di “vuoto cosmico” a proposito di questa ricorrenza. è a questo che si riferiva? «Sì, in particolare volevo sottolineare il totale disinteresse dell’amministrazione locale per un anniversario così importante di cui io stesso sono venuto a conoscenza solo grazie ad una lettera pubblicata su un giornale locale. Senza andare lontano, a Tortona hanno celebrato i 30 anni del loro impianto comunale con una grande festa. Noi che ne abbiamo più del doppio niente. Mi chiedo se qualcuno si ricorderà almeno nel 2049 di festeggiare il centenario dell’impianto». di Christian Draghi



VOGHERA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

9

«Aiutiamo i giovani a diventare imprenditori di sé stessi» è passato circa un anno da quando Gianni Schiesaro, storico direttore della Fondazione Adolescere di Voghera, ha passato il testimone a Silvia Armandola. La neo direttrice racconta il primo anno al timone di una delle più antiche istituzioni dell’Oltrepò, nata nel 1870 come orfanotrofio maschile e femminile e dal 2003 trasformatasi in fondazione no profit. Ogni anno 3000 studenti passano per le sue strutture residenziali. Più di 200 ragazzi con le rispettive famiglie fanno parte del servizio di tutela ai minori, mentre una cinquantina è seguita in modo sistematico dai servizi di affiancamento o residenziali. Ci sono poi tra i 30 e i 35 giovani adulti con fragilità psichica compresi nel programma riabilitativo. Completano il quadro circa 200 giovani atleti circoscritti nell’ambito sportivo. Questi sono i numeri, oltre ai quali però c’è un interesse nei confronti del processo di crescita dei minori immutato negli anni al punto da essere ormai una vera e propria missione, quella di «rendere l’adulto attento alle problematiche adolescenziali per essere un adulto capace di relazionarsi con i minori, con i giovani». Armandola, qual è lo scopo finale del percorso? «Miriamo a rendere questi stessi giovani “imprenditori” del loro stesso futuro, tramite percorsi non di assistenza ma piuttosto di accompagnamento, in cui il rapporto tra ragazzi e operatori è simmetrico. Il tutto con una grande considerazione del territorio: non siamo un ente alienato ma ben inserito nel contesto comunale, provinciale e regionale. L’associazione si rivolge a ragazzi non ancora maggiorenni e a giovani adulti con problematiche psichiatriche tramite quattro aree di intervento: l’area minori, l’area psichiatrica, l’area scolastica e l’area dedicata al tempo libero». Ci descriva il funzionamento di queste aree di azione. «L’area minori consiste in un servizio di affiancamento alla famiglia: si occupa di minorenni che si trovano in condizioni familiari problematiche, assistiti tramite un percorso di affiancamento – anche diurno – o di residenzialità che sostenga la crescita di questi ragazzi; nonostante il nostro target principale sia costituito dai bambini, non dimentichiamo gli adulti: c’è anche un grosso impegno da parte degli operatori,che sono tutti educatori professionali, a sostegno delle famiglie stesse – chiaramente quando è possibile intervenire a questo proposito. Il servizio è accreditato presso l’ATS di Pavia e monitorato dai controlli della medesima agenzia. Per conto del comune di Voghera, invece, gestiamo un servizio di

I numeri di Adolescere: 3000 studenti all’anno passano per le strutture residenziali più recente attivazione, ossia di tutela dei minori, in cui operano più che altro assistenti sociali e psicologi, al fine di riconoscere i problemi interni a una famiglia, gestirli e risolverli. Vi è l’area psichiatrica, cosiddetta riabilitativa, in cui ci prendiamo cura di giovani adulti con problemi di tipo psichiatrico, appunto. Abbiamo un centro diurno e degli alloggi di residenzialità leggera destinati a persone che, dopo un percorso di cura, si sono stabilizzati dal punto di vista clinico e possono quindi vivere autonomamente ma sempre supportati dai nostri operatori». La collaborazione con le scuole del territorio è un sodalizio che dura ormai da vent’anni... «Esatto, da vent’anni è attiva l’area dedicata ai progetti per le scuole e con le scuole – dalle elementari all’università – le cui attività si svolgono nelle nostre sedi di Pietragavina, Romagnese e al Passo Penice. Per quanto riguarda soprattutto le elementari e le medie, quest’area educativa è trattata con l’uso di un sistema educativo che ha lo scopo di prevenire e intercettare fenomeni di bullismo, di esclusione rispetto al gruppo classe o difficoltà di comunicazione; in sostanza, il LARA: Laboratorio per le Aggregazioni e le Relazioni con gli Adolescenti. Il progetto, che per la classe ha valore curricolare, si svolge tramite uno stage di 3 giorni presso una delle nostre sedi, a Pietragavina oppure a Romagnese. I ragazzi sono entusiasti di tale iniziativa, in quanto viene vista come una “gita”: e lo è anche, ma accanto allo svago sono inseriti momenti di lavoro collettivo e cooperative learning, dove ognuno può dimostrare i propri punti di forza – che non sempre a scuola possono essere messi in risalto – in funzione del gruppo, a vantaggio di sé e della classe. L’esperienza è come un acceleratore dei processi relazionali: per questo lo proponiamo all’inizio

Il Direttore Silvia Armandola

della vita scolastica di un gruppo classe». Da cosa è motivata la scelta di collocare nei due paesi ulteriori sedi? A che cosa è adibita quella a Passo Penice? «Nel ’91 il presidente della Comunità Montana ci ha messo a disposizione la struttura di Pietragavina, che in quegli anni non veniva utilizzata, essendo a conoscenza del fatto che avessimo bisogno di una sede per dare il via ai nostri progetti scolastici. L’ubicazione è particolarmente favorevole in quanto ci ha permesso di sviluppare OltreLARA, progetto incentrato sulla sensibilizzazione al valore del territorio che procede di pari passo con il percorso di relazione interpersonale. Con la crescita di domanda ci siamo allargati anche a Romagnese, in cui abbiamo a disposizione anche un maneggio, valore aggiunto in quanto il cavallo è un ottimo attivatore di relazioni: non tanto per andare a fare equitazione, quanto per sviluppare un ulteriore livello di sensibilità di interazione, trasferibile nel bagaglio di competenze che i ragazzi devono acquisire al termine dello stage». A che cosa è adibita la sede collocata a Passo Penice? «Abbiamo acquisito la Penicina perché, a fronte delle precedenti strutture dedicate ai più giovani, ne mancava una dedicata all’adulto studente universitario. E’ un complesso di tre residenze, dotato di spazi adibiti allo studio, ai pasti, all’amministrazione, il tutto immerso nella suggestione del parco della Penicina, frequentato specialmente da chi ha fatto del LARA in quanto metodo educativo l’oggetto dei propri studi. In questa stessa sede realizziamo anche della formazione residenziale per gli insegnanti, che possono usufruire della nostra offerta formati-

va, i cui corsi sono certificati dal MIUR». La quarta ed ultima area d’intervento riguarda il tempo libero. Cosa proponete? «Esatto: si declina in due pilastri principali che sono “Civica musica” e “Polisportiva”. Quest’ultima nello specifico riscuote molto successo, tant’è vero che speriamo di poter consolidare il prima possibile le sezioni sperimentali che abbiamo istituito a Varzi e a Romagnese, con l’intento di creare una rete territoriale che tenga in contatto i comuni ma soprattutto i ragazzi. La disciplina scelta per Polisportiva è la pallavolo: presenta tutti i benefici di uno sport di squadra, è molto inclusiva, educativa e bilanciata tra i sessi. Polisportiva presenta parecchie squadre che competono anche in serie C; la componente agonistica, tuttavia, è inserita quanto basta a motivare. Non è l’aspetto dominante, anzi è nettamente subordinata allo scopo educativo e di iniziazione allo sport per cui si sono create le nostre squadre. Vogliamo che, nel gioco, i ragazzi trovino benessere. è da sottolineare inoltre la partecipazione energica e assidua dei genitori, alcuni dei quali si fanno carico della direzione delle squadre». Sono già state pianificate novità nella programmazione Adolescere? «Non abbiamo in mente, per ora, di attuare nuove iniziative che partano da noi. Tuttavia, siccome uno dei nostri obiettivi è di radicarci sempre di più nel territorio, siamo sempre molto disponibili nel partecipare o nell’accogliere eventi promossi da associazioni o unità locali, in modo tale da mettere a disposizione dei nostri giovani una gamma di opportunità il più vasta possibile». di Cecilia Bardoni


10

il Periodico News

LETTERE AL DIRETTORE

DICEMBRE 2019

«Parlano di vino e non sanno che si fa con l’uva...»

Ambiente, le associazioni fanno appello ai sindaci Gentile Direttore, Vittorio Finardi dell’associazione Anpi ha pensato di riunire le associazioni che si occupano di ambiente e animali per dare un segnale al nostro territorio troppo fermo nella reazione al cambiamento climatico e all’inquinamento che lo attanaglia, per questo motivo abbiamo redatto la seguente lettera (che verrà inviata a tutti i sindaci) e nel 2020 abbiamo intenzione di portare a termine una serie d’iniziative. C.ATT.SINDACI Con questa lettera le associazioni dell’Oltrepò Pavese ANPI – WWF – LEGAMBIENTE - LAV – LAC – ENPA Voghera - LIPU desiderano informarvi che intendono unire le forze per raggiungere risultati concreti sul nostro territorio. Per questo scopo abbiamo stilato un elenco di problemi divisi in tre tematiche principali: ambiente - animali – alimentazione, ragionando sulle possibili soluzioni da intraprendere. Confidiamo che questa lettera sia presa seriamente in considerazione e possa essere l’inizio di un nuovo dialogo costruttivo con la politica che gestisce l’Oltrepò Pavese e la provincia di Pavia in generale. AMBIENTE Per contrastare il cambiamento climatico e l’inquinamento che attanaglia la nostra provincia confidiamo in Voi per aumentare le aree pedonali nei centri storici, stabilire giorni di chiusura del traffico, promuovere l’utilizzo della bicicletta con punti noleggio cittadini e pianificare una valida rete di piste ciclabili, vanno individuati percorsi alternativi per i mezzi pesanti rispetto ai centri abitati. è importante porre un freno al consumo di suolo ed incentivare la ristrutturazione delle aree dismesse. è necessario un Parco regionale Oltrepò Montano messo in sicurezza nel quale promuovere la cultura del rischio, il riutilizzo delle biomasse forestali, piantumazioni di alberi autoctoni, il censimento e la protezione degli alberi monumentali, vanno individuate discariche abusive contrastando l’utilizzo indiscriminato di veleni, diserbanti, fanghi e gessi in agricoltura, confrontandosi con le realtà agricole per l’incremento del biologico. Le compensazioni ambientali devono entrare a far parte dei PGT. Moratorie nuove antenne 5G fino a dati certi riguardanti l’impatto sulla salute della popolazione. Va intrapresa un’azione di continuo miglioramento della raccolta differenziata estendendola a tutto il territorio, potenziando i punti di raccolta ed includendo la

possibilità per le associazioni/cittadini di poter ricevere materiale da riutilizzare con aree apposite. Sarebbe opportuno incentivare le ditte del territorio all’utilizzo delle energie rinnovabili. ECO-ALIMENTAZIONE Il mondo che ruota intorno alla nostra alimentazione pesa notevolmente sul cambiamento climatico, per questo riteniamo vada intrapresa una campagna di promozione nelle scuole del nostro territorio tramite opuscoli in cui venga promossa una nuova cultura alimentare che si avvicini il più possibile ad una dieta priva di derivati animali, a km zero, stagionale, senza sprechi e senza imballaggi (in molti casi non necessari). Andrebbe contrastato/modificato tutto quello che è gestito in forma “intensiva” (coltivazioni/allevamenti) non solo per l’impatto ambientale ma anche per l’alto rischio biologico, infine sarebbe importante un piano per lo sviluppo di orti e frutteti urbani. ANIMALI Il cambiamento climatico influisce anche sulla fauna del nostro territorio che tutti gli anni viene sottoposta a svariati stress dovuti in primis all’alto tasso di bracconaggio perpetrato principalmente da cacciatori forestieri, per questo sarebbe opportuna l’individuazione di aree dove vietare la caccia come ad esempio le sponde dei corridoi biologici (reticoli idrici) in favore del recupero della biodiversità e del turismo. La creazione di un CRAS (centro recupero avifauna selvatica) è punto fondamentale per l’Oltrepò Pavese. Vanno promosse campagne di sterilizzazione felini, ogni comune per legge dovrebbe essere convenzionato con un canile ed attuare piani di controllo microchip. Servono maggiori controlli sul problema diffuso dei “bocconi avvelenati” e dei cani alla catena. Un potenziamento delle guardie ecologiche e maggiori convenzioni con i comuni potrebbe migliorare notevolmente la situazione. Il divieto di fuochi artificiali o perlomeno la modifica con quelli di nuova generazione (“a rumore ridotto”) sarebbe infine importante per diminuire problematiche sia agli animali selvatici che agli animali domestici. Fiduciose in un pronto riscontro. Le associazioni dell’Oltrepò Pavese: ANPI, WWF, LEGAMBIENTE, LAV, LAC, ENPA Voghera, LIPU

Gent. Direttore, ho letto sul Vostro mensile una lettera scritta da una Signora di Pietra de’ Giorgi, che portava ai lettori con grande chiarezza, il problema dell’agricoltura in Oltrepò. In un periodo come questo, dove se non tutte ma tante aziende agricole oltrepadane sono in sofferenza, sembra che quella lettera (che io personalmente condivido pienamente), non abbia interessato nessuno. I nostri mosti se ne vanno chissà dove e

le nostre uve calano di prezzo... Ma come può accadere tutto questo? Cosa fanno tutti questi Enti per il territorio? Parlano di vino e non sanno che si fa con l’uva... Gli agricoltori non possono lavorare sottocosto e per avvicinare i giovani all’agricoltura ritengo che oltre alla fatica nel lavorare la terra, ci debba essere anche un guadagno. Fiorenza Fugazza - Montescano

«Senza lavoro, a 50 anni... mi sento perso» Sig. Direttore, scrivo queste righe dettate da un senso di inadeguatezza verso il mondo che parte dal cuore di un uomo, a quanto pare, inutile alla società moderna. A 52 anni, oggi, non si può più trovare lavoro, non si è considerati... Si cercano soluzioni per gli immigrati e si parla di disoccupazione giovanile… e noi, popolo di 50enni, non esistiamo più? Purtroppo siamo in tanti in Oltrepò in questa fascia di età, che cercano di restare a galla con lavori molto precari, a volte in nero, pur di guadagnare qualcosa per la famosa «fine del mese». Leggo puntualmente le offerte di lavoro pubblicate e mi sovviene spontanea una domanda: possibile, che con tutta la disoccupazione che c’è, gli annunci si ripetano

puntualmente per svariate settimane? A rigor di logica dovrebbero trovar lavoro centinaia di persone, ma non è così. Stesso discorso vale se si decide di avvalersi dei siti per la ricerca del lavoro, spesso la risposta che si ottiene è la seguente: «ti sei già candidato a questa offerta il (data di un paio di mesi prima)» Come è possibile? Annunci fasulli? Sarebbe cosa grave visto che si gioca con la speranza di persone che cercano il lavoro, ma non riesco a trovare un’altra spiegazione. Hai bisogno di lavoro, hai voglia di riprenderti la dignità, di riprendere il mano la tua vita e… il nulla. Non si è degni nemmeno di ricevere una risposta negativa. Franco Alberti - Voghera

«Un Grazie di cuore ai volontari dell’Auser ed alle loro famiglie» Gent. mo Direttore, siamo a fine anno e come consuetudine è momento di bilanci, auspici, riconoscenza e compartecipazione. Vorrei dedicare questo momento all’AUSER di Godiasco Salice Terme, associazione di volontariato e promozione sociale attiva sul territorio dall’inizio dello scorso anno. Per quanto di mia conoscenza ( numeri sicuramente in difetto), in questo suo primo anno di vita l’AUSER, con i suoi circa 125 tesserati ed i suoi 25/30 volontari attivi, “capitanati” da un presidente instancabile, hanno asssistito circa 70 persone con più di 500 interventi di accompagnamento, percorrendo con le

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

2 vetture in carico circa 30mila KM. Un bilancio più che positivo, con l’auspicio di poter fare meglio me sempre di più. Dico un GRAZIE di cuore a tutti questi volontari estendendolo a tutti coloro che facendo volontariato donano agli altri un poco del loro tempo e un poco della loro vita. Il tempo dedicato dai volontari è anche tempo rubato alle loro famiglie, pertanto, alle famiglie dei volontari dico che siamo tutti debitori. Sosteniamo l’AUSER di Godiasco Salice Terme e sosteniamo il volontariato. Ermes Rigoli - Salice Terme

DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 27052 Godiasco Salice Terme (PV) - Tel. 0383/944916 www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto


il Periodico News

CYRANO DE BERGERAC

DICEMBRE 2019

11

Nel Consorzio Tutela Vini c’è davvero aria nuova, com’era stato annunciato più di un anno fa...

Nella sede del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese c’è davvero aria nuova, com’era stato annunciato più di un anno fa. Tra tavoli di discussione eterna, giri d’Italia con la maglia nera, armonie disarmoniche e trasferte a Merano per essere re per una notte… resta la dura realtà. Mentre il neo direttore, Carlo Veronese, va per cantine come la povera Greta a parlare di futuro e democrazia, all’atto pratico governano sempre altre (il)logiche. La colonna sonora è di Nino Rota, la sceneggiatura è a metà tra quella del Padrino e quella dei Simpson. Fuori dalla finestra degli uffici consortili c’è il Centro Riccagioia, ancora in attesa di uno scopo, e poco più in là ci sono i discount in cui si svende persino il Metodo Classico DOCG a base di nobile Pinot nero, senza che nessuno batta ciglio. Il mese scorso, per alleggerire il clima e ritrovarsi per la foto di gruppo, hanno consegnato all’Enoteca Regionale di Broni, dove la Regione c’è ma non si vede, il premio territoriale ai benemeriti dell’Oltrepò Pavese, ribattezzato premio Giorgi Vini, perché Fabiano Giorgi era lo sponsor e ha dato il nome pure al premio territoriale che altrove sarebbe stato patrocinato

da un’istituzione. Il Consorzio, per non disturbare, ha messo nella giuria del premio di un’azienda privata il suo direttore. In Consorzio e in Oltrepò è proprio cambiato tutto, anche se accorgersene è difficile se oltre alle parole si ha la pretesa d’individuare fatti. Non sono certamente cambiati - questo è sicuro - i disciplinari di produzione, rimasti quelli con le maxi rese stellari della Prima Repubblica della cisterna, nonostante ne fossero stati approvati di nuovi nel 2018 e nonostante in collina 200 quintali per ettaro non li fa nemmeno il genio della lampada di Aladino se strofini tanto. L’ha appurato anche la magistratura, nell’ambito dell’inchiesta sul falso Pinot grigio Igt. All’epoca Coldiretti voleva fermare il vino di carta. Ora però ci si può fidare… passata l’inchiesta gabbato lo santo: dunque meglio non porre un tetto a ciò che un vigneto può produrre in media, in fondo Madre Natura può anche concedere ai puffi blu miracolosi raccolti. Finalmente, però, la stampa nazionale parla dell’Oltrepò per altri motivi. L’11 novembre infatti la testata di settore WineMag, pubblica questo titolo: «Oltrepò pavese shock: ricatti alle cantine

per non perdere l’Erga Omnes». Il pezzo, firmato dal direttore Davide Bortone, si apre così: «O rientri in Consorzio, o compro uve e sfuso da qualcun altro». Quando nel piatto dell’Oltrepò pavese scrive Bortone - ci sono gli euro dell’Erga Omnes, i ricatti sono serviti in tavola senza troppi giri di parole. Questo, infatti, l’aut aut col quale sono stati costretti a fare i conti i titolari di alcune aziende di trasformazione di uve. La notizia arriva alla redazione di WineMag.it sottovoce, da fonti che preferiscono rimanere anonime. Si tratta di cantine - si legge ancora su WineMag - il cui business è legato principalmente alla vendita di uve e vino sfuso. I ricatti non sono stati denunciati alle autorità competenti, ma hanno comportato il rientro in Consorzio di alcune aziende minacciate». L’erga omnes non è una pozione ma il meccanismo per cui si può chiedere anche ai non soci di sostenere in quota parte specifiche attività consortili. Con un tempismo bruciante, il 27 novembre, 16 giorni dopo il primo articolo, il Consorzio ha risposto tramite la stessa testata smentendo categoricamente ogni presunto ricatto. A certificare che il clima sia sereno e che i metodi

sono assolutamente cambiati, come tutto il resto, ci ha pensato l’azionista di maggioranza del Consorzio, Andrea Giorgi, presidente di Terre d’Oltrepò e La Versa, che viene sovente definito dalla stampa amica «il numero uno di Terre d’Oltrepò» (linguaggio che neanche allo stadio con i capi ultras). Giorgi (Andrea) che ha abituato l’Oltrepò all’empatia, al dialogo, alla distensione e all’autorevolezza contrapposti all’autoritarismo del passato, a margine del Cda consortile del black friday ha sobriamente dichiarato: «Troppo immobilismo su alcune questioni chiave e poca comunicazione interna». Il comunicato prosegue: «Il presidente di Terre d’Oltrepò, Andrea Giorgi, boccia senza giri di parole la gestione dell’ultimo anno del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Una presa di posizione che si basa su alcune situazioni che si sono venute a creare con la presidenza di Luigi Gatti che hanno portato Giorgi, per divergenze sull’operato, ad abbandonare l’ultimo consiglio di amministrazione». Nell’Oltrepò del vino si respira già aria di Natale. Tanti auguri. di Cyrano de Bergerac


12

il Periodico News

OLTREPò PAVESE: verso la 6 giorni di enduro

MAGGIO 2019

«L’Oltrepò non deve diventare il paradiso dell’Enduro» Secondo un folto gruppo di associazioni ambientaliste la maxi manifestazione legata all’enduro che arriverà in Oltrepò l’agosto prossimo rischia di rivelarsi per il territorio un pericoloso boomerang. «Vogliamo veramente dare di questo territorio l’immagine di un “paradiso dell’enduro” senza regole?». A chiederselo è una rete di associazioni arrivata oggi ad inglobare Comitato delle 4 provincie, Legambiente Voghera-Oltrepò, Gruppo micologico ed escursionistico di Voghera, Iolas-studio e conservazione delle farfalle, Amici del parco Le Folaghe, Cai Voghera, Cai Pavia, Commissione Regionale TAM (CAI Lombardia), La Pietra Verde, I Giardini di Tilde Odv, Terre della Montagnina, ChiCercaCrea, Bosco Arcadia, Strada Facendo, Associazione Codibugnolo e Associazione Volo di Rondine. Appreso che si intendeva organizzare nelle nostre valli la “Sei Giorni di Enduro 2020”, una manifestazione emblematica del fuoristrada a motore, la rete si è unita per rappresentare le istanze di una parte della popolazione locale che guarda con diffidenza a questo tipo di manifestazioni. Siete uno schieramento di forze notevole. Tutto è nato per via della 6 Giorni? «No, è da anni che ci battiamo per la qualità della vita e l’ambiente della nostra terra. Il discorso relativo all’enduro “selvaggio” poi è da tempo che lo portiamo avanti. Già lo scorso 6 settembre, a Valverde, abbiamo promosso un’affollata assemblea per contrastare la persistente e diffusa frequentazione del territorio dell’Oltrepò montano da parte di mezzi fuoristrada a motore, in spregio alle regole e ai divieti e senza che vengano messi in campo i controlli necessari per contrastare questo fenomeno. Ne è uscito un appello alla Comunità montana, per ottenere un incontro in cui riferire le nostre osservazioni e le nostre proposte e per ottenere dall’ente l’impegno a mettere a punto strumenti che consentano di affrontare e risolvere la questione del fuoristrada abusivo, garantendo il rispetto delle regole. è bene ribadire che in Lombardia, come in tante altre regioni d’Italia, oltre che in Germania, in Francia, in Svizzera, in Spagna, non è consentito fare del fuoristrada a motore dove e come si vuole per divertimento». Questo incontro c’è stato? «Sì, il 15 novembre scorso. Abbiamo ribadito in Comunità Montana la necessità di mettere a punto una serie di strumenti tra cui, proprio in vista dell’ISDE (acronimo per la manifestazione ndr), un serio regolamento per definire percorsi di enduro fuoristrada». Che cosa vi hanno risposto? «Quanto all’ISDE, i membri della Comunità Montana ritengono che sia un’oppor-

«Chiediamo un regolamento preciso sul fuoristrada prima della manifestazione» tunità per far lavorare le attività turistiche della zona. Concordando sul fatto che il fuoristrada abusivo sia un problema serio, la giunta ci ha dato atto che è urgente arrivare ad una soluzione si è impegnata a convocare a breve, all’inizio del mese di dicembre, il tavolo di lavoro. Importante il fatto che la giunta abbia convenuto con noi che, prima di valutare se concedere lo svolgimento nel nostro territorio dell’ISDE 2020, dovranno essere compiuti atti concreti e seri per far rispettare i divieti e per stabilire se, dove e in che modo si possano individuare i percorsi regolari». Che cosa vi preoccupa in modo particolare di questa grande manifestazione? «L’ISDE diffonderebbe a livello internazionale un’immagine del territorio oltrepadano e del suo uso (il “paradiso dell’enduro”) incompatibile con i diversi progetti che la Comunità Montana e i comuni (dopo aver ottenuto ingenti finanziamenti) stanno attuando in valle per creare e sviluppare un turismo lento e rispettoso dell’ambiente. Lo stesso obiettivo cui miravano anche i forti investimenti già effettuati per la rete sentieristica delle Terre Alte, non destinati, in tutta evidenza, alla pratica del fuoristrada a motore». Prevedete un impatto duro sull’ambiente? «Sicuramente molto maggiore di quello, già rilevante, di cui si è fatta esperienza con le gare fino ad oggi ospitate in Oltrepò. Erosione dei tracciati, contaminazione acustica, disturbo degli habitat sono alcuni dei problemi: ogni giorno (salvo l’ultimo) i concorrenti, in numero di 600/700 (più del doppio di quelli che di solito abbiamo visto in gara da noi), dovrebbero percorrere circa 200 chilometri (non i 40/50 chilometri delle altre gare), su viabilità VASP, sentieri, aree boscate, pascoli, il cui utilizzo, proprio per motivi di tutela ambientale, è sottoposto a condizioni, divieti, limiti». A chi spetta vigilare? «La Comunità Montana dovrà essere messa in grado di verificare e garantire la compatibilità dei tracciati ipotizzati dagli organizzatori con tutte queste regole. Nell’alto Oltrepò sono poi presenti tre siti di Natura 2000, il Monte Alpe, l’area del

La Rete ambientalista sulla 6 Giorni: «Contrasta con le linee di sviluppo del territorio su cui si sta investendo» Lesima e quella di Pietra Corva, rispetto ai quali la richiesta di autorizzazione dovrà essere sottoposta a valutazione d’incidenza, come prevede la normativa europea per manifestazioni che anche indirettamente interferiscano con i siti tutelati». Qualcuno penserà: “I soliti ambientalisti che dicono no a tutto”. Che cosa rispondete? «Non accettiamo la logica intrinseca nella domanda, secondo cui ci sarebbe un ambientalismo buono ed uno cattivo. Non siamo i “soliti radical chic” che vengono da fuori e pensano solo all’escursionismo opponendosi a tutto, siamo ambientalisti in quanto viviamo e lavoriamo in questo territorio ed operiamo per difenderlo e tutelarlo. Noi diciamo “sì” a moltissime proposte, soprattutto a quelle che valorizzano in modo sostenibile queste valli che amiamo. Anni di impegno e di attività sul territorio delle nostre associazioni testimoniano nella pratica e in concreto che una simile distinzione è del tutto infondata». Non credete che la 6 Giorni creerà intorno al territorio d’Oltrepò un interesse che possa portare indotto economico? «Bisogna rifiutare la logica del “mordi e fuggi”. Se si considera che nel medio lungo periodo l’indotto consisterebbe nell’at-

tirare in valle i fautori dell’”enduro libero” di tutto il mondo, ci chiediamo se ne valga la pena , soprattutto se saranno più i danni che i vantaggi per un territorio dove vi sono attività forestali ed agro zootecniche in fase di rilancio e valorizzazione. A novembre abbiamo anche ricordato alla Comunità Montana che dai consuntivi economici delle recenti edizioni dell’ISDE risulta che si sono sempre sforate le previsioni di spesa e si sono sempre sopravvalutati gli introiti». Qual è quindi secondo voi la strada da percorrere per rilanciare il territorio? «Quella intrapresa finora sia dalla Comunità Montana che dalla Fondazione Oltrepò, con progetti che sono stati dedicati alla riscoperta e alla valorizzazione vera del nostro territorio e delle sue risorse. Una manifestazione del genere sposta invece la visuale dall’immagine del territorio biodiverso e sostenibile che tutti vogliamo promuovere. Comunque, se mai si svolgerà l’ISDE, noi saremo un occhio attento e vigile su quello che accadrà, anche perché finita la manifestazione si aprirà il capitolo del ripristino dei danni arrecati. Insomma una storia che non finirà a breve». di Christian Draghi


il Periodico News

OLTREPò PAVESE: verso la 6 giorni di enduro

DICEMBRE 2019

13

«La 6 Giorni una grande occasione per dare visibilità a tutto l’Oltrepò» Tra chi vede nella 6 Giorni di enduro una preziosa occasione per l’Oltrepò c’è anche Alberto Lucotti, presidente di Terranostra Pavia, associazione che riunisce gli agriturismi di Coldiretti. Agriturismi a indirizzo “famigliare“ (non più di 50 pasti), aziendali (180 pasti), e altri con pernottamento che hanno solo camere e servono la prima colazione. Una presenza capillare sul territorio. 6 giorni di Enduro 2020. Un volano o un’arma a doppio taglio? «Sicuramente può essere un evento importante per il territorio, un evento internazionale di così grande impatto non può che farci conoscere ancor di più». Eppure chi sostiene che la vocazione del territorio dovrebbe essere esclusivamente legata al turismo, “verde” ed enogastronomico, punta il dito contro la 6 giorni… «Precisando che anche Terranostra è un’associazione ambientalista riconosciuta dal Ministero, ritengo che le grandi manifestazioni possono coesistere sul nostro territorio perché iniziative anche internazionali portano un turismo sicuramente nuovo che può portare vantaggi alle nostre strutture ricettive». Avete già ricevuto prenotazioni? «Per ora ci sono state diverse richieste di informazioni, soprattutto da turisti, per fermarsi a mangiare da noi». Vi aspettate il tutto esaurito? «Ci aspettiamo di lavorare bene, coma da anni già facciamo sul territorio, in modo da essere attrattivi anche per una clientela internazionale».

Crede che questa manifestazione possa essere davvero una vetrina per il territorio portando in futuro nuova clientela o comunque il ritorno di chi ci verrà? «Manifestazioni del genere possono portare tanti visitatori stranieri, che sono attenti al turismo enogastronomico e dedicato all’ambiente e questo è dimostrato dall’aumento costante del turismo internazionale verso il Nostro Paese. Sono turisti che non si fermano solo in giornata ovviamente e vogliono scoprire le tipicità del luogo visitato, comprando anche i prodotti tipici e creando il più delle volte un “canale” con l’azienda per poi farsi mandare i prodotti, se possibile, anche via corriere nonostante le distanze». Cosa dicono i numeri sullo stato di salute del turismo oltrepadano? «I numeri sono in crescita rispetto ad altri settori, proprio per il crescente interesse per manifestazioni a carattere ambientale e turistico. Penso però che più che i numeri conti dare al visitatore la “qualità” della visita: se un agriturismo lavora come sa e nelle proprie possibilità senza strafare, quell’agriturismo lavorerà sicuramente tutto l’anno e non solo nei periodi festivi ed è quello che cerchiamo di fare nella nostra associazione». Cosa manca all’Oltrepò per diventare attrattivo come altre Regioni italiane più “quotate”? «Al nostro Oltrepò non manca nulla per essere al pari di territori ben più conosciuti. Faccio un esempio: tanti turisti che vengono nel mio agriturismo il più delle volte guardandosi intorno mi dicono che

Alberto Lucotti, presidente di Terranostra Pavia, associazione che riunisce gli agriturismi di Coldiretti

“sembra di essere in Toscana”. Credo che qui manchi tante volte la fiducia nei propri mezzi e il coraggio di proporsi anche con eventi magari fuori dai soliti canoni, ma che a lungo andare, se non si tralasciano le caratteristiche e i valori tipici del turismo enogastronomico, possono diventare punti fermi di un turismo rurale semplice, ma di Eccellenza». di Christian Draghi

«I turisti stranieri si fanno spedire i nostri prodotti a casa loro»


VISTARINI


OLTREPò PAVESE: verso la 6 giorni di enduro

il Periodico News

DICEMBRE 2019

15

Gli albergatori: «Senza grandi eventi non si va da nessuna parte» La grande macchina organizzativa della 6 Giorni di Enduro 2020 si è già messa in moto. In vista della manifestazione, in programma dal 31 agosto al 5 settembre, i team hanno già incominciato a muoversi prenotando posti letto presso le strutture ricettive d’Oltrepò. Il direttore dell’associazione albergatori Simone Scarani vede tuttavia nella manifestazione un’occasione importante per il territorio al di là di quelli che sono gli introiti derivanti da eventuali soggiorni sold out. «Se si pensa che il ritorno economico siano le 5 o 6 notti vendute in occasione della gara, o i pasti al ristorante ed i panini venduti dai negozietti locali probabilmente non varrebbe la pena ospitare la kermesse». Scarani, la vostra associazione era di fatto inattiva negli scorsi anni. Con la 6 Giorni alle porte avete ricominciato a fare rete? «Per quanto riguarda l’associazione, è rimasto un piccolo gruppetto di tre o quattro albergatori e ci sentiamo periodicamente per confrontarci sull’andamento degli affari, sulle novità, su temi tecnici o normativi. Sul “Fare rete” penso che sia il motivetto del momento, qui in Oltrepò Pavese, come se fosse la parolina magica che risolve tutti i problemi, a partire dal turismo fino alla produzione di vino». Non è importante secondo lei? «Secondo me in Oltrepò non si è mai smesso di fare rete: c’è un vasto e fitto sistema di relazioni e rapporti tra i soggetti, molto più ampio di quanto si possa immaginare, ma nessuno ha la bacchetta magica, e la rete finisce per ingarbugliarsi sempre di più. Anche in questo caso, in occasione della 6 giorni, sono certo che si sia scatenato fin da subito un tourbillon di telefonate, email, incontri, tutti con lo scopo di fare bene e di contribuire alla buona riuscita della manifestazione, a parte qualche guastafeste che cerca sempre di mettere i bastoni fra le ruote, che siano di moto, auto, o biciclette». A chi si riferisce? «A chi fa ostruzionismo, come chi è già intervenuto per esprimere il proprio disaccordo con la manifestazione». Come gestirete l’afflusso di persone sul territorio? Non teme possa crearsi caos o che si possa finire per perdere l’ennesima occasione agendo secondo la logica dell’ognun per sè? «A mio avviso è impensabile che debbano essere gli albergatori a gestire l’afflusso di persone in ambito di una manifestazione così importante. Il mestiere dell’albergatore è accogliere le persone nel migliore dei modi, non siamo né tour operator né agenzie di viaggio. Mi sono informato ed ho scoperto che gli organizzatori della 6 Giorni hanno giustamente incaricato un tour operator specializzato nella gestione delle trasferte di gare motoristiche. I par-

tecipanti hanno un unico interlocutore, che conosce le loro esigenze e che si è già messo in contatto con alcune strutture locali. Si può prenotare da tutto il mondo in qualsiasi momento e alcuni si sono già organizzati in modo autonomo, fermando le prime camere nelle strutture di Salice Terme». C’è da aspettarsi il tutto esaurito? «L’auspicio è quello. Ed il tour operator si sta mettendo in contatto con le varie strutture e molto probabilmente fermerà un gran numero di camere in allottment». Al momento hanno prenotato solo gli addetti ai lavori o anche potenziali turisti o spettatori? «Al momento le prenotazioni sono solo da parte dei team». La 6 Giorni è un evento che fa discutere e divide tra chi la ritiene un’opportunità imprescindibile per il territorio e chi invece prevede effetti negativi sull’ambiente a fronte di un effettivo ritorno economico incerto. Lei come la vede, al di là dei vostri interessi di albergatori? «Non ritengo che sia un’opportunità imprescindibile per il territorio, ma che sia un’opportunità molto preziosa a livello di immagine. Dipende poi da cosa si intende per ritorno economico: forse c’è ancora qualcuno che pensa che il ritorno economico siano le 5 o 6 notti vendute in occasione della gara, o i pasti al ristorante ed i panini venduti dai negozietti locali. Si provi a cambiare prospettiva e si pensi, invece, di vedere delle belle immagini del nostro territorio sui giornali, in TV, sui social, dove i bolidi sfrecciano nei paesaggi dell’Oltrepò Pavese, dove si vedono i nostri borghi e i castelli, i nostri prodotti locali. Immagini che fanno il giro del mondo sul web e che rimangono sulla carta stampata». C’è chi sostiene che la vocazione del territorio dovrebbe essere esclusivamente legata al turismo “verde” ed enogastronomico e che una manifestazione simile contrasti con queste linee di sviluppo… «Allora le gare di sci, i rally, i Gran Premi di auto e moto, i concerti, le maratone, il Giro d’Italia? Sono queste le manifestazioni che hanno permesso a tante località, anche sconosciute, di uscire alla ribalta. Personalmente sono un sostenitore del turismo verde, ho realizzato anche una bike room all’interno del mio hotel, ma sappiamo bene che non saranno gli effetti negativi di quei 6 giorni in particolare a rovinare l’ecosistema dell’Oltrepò. Sono certo anche che gli organizzatori ed i partecipanti sono persone che amano stare in mezzo alla natura e che hanno ben chiaro il concetto di rispetto per l’ambiente e per i percorsi, a differenza di tanti escursionisti, ciclisti e motociclisti “improvvisati” che frequentano i nostri sentieri nei rimanenti 359 giorni dell’anno». Cosa si sente di dire a chi non vorrebbe

Simone Scarani, direttore dell’Associazione Albergatori Oltrepò

Alberghi verso il sold out: «I team in gara hanno già iniziato le prenotazioni» questa manifestazione? «Di sfruttare invece questa opportunità per far conoscere l’ecosistema dell’Oltrepò Pavese. Mettete un bello stand nella zona di partenza della gara, con immagini del nostro ecosistema ed uno staff che possa spiegare ai visitatori cosa lo rende unico. Organizzate escursioni e attività durante la 6 Giorni: ad esempio per andare a vedere la gara in bicicletta o raggiungere i punti più spettacolari o panoramici a piedi con escursioni guidate. Non ci si chiuda a riccio e si lasci che siano i fatti a parlare». Crede che non esista una alternativa alle grandi manifestazioni per incrementare il numero di turisti? «Senza eventi non si va da nessuna parte. Le grandi località turistiche che non hanno problemi di visibilità, usano gli eventi per destagionalizzare, noi li dobbiamo sfruttare per farci conoscere». Chi arriva qui da dove viene e come ha scoperto l’Oltrepò? «Chi viene in Oltrepò non viene per piacere, ma viene per motivi lavorativi (come

nel caso di molti stranieri) o perché “ci si trova” di passaggio». Pare che non ci siano alberghi o strutture ricettive sufficienti per ospitare tutte le persone che verranno qui per la Sei Giorni. Molte poi sono ancora impiegate per l’accoglienza migranti… «Le persone che prenoteranno “per tempo” dormiranno in Oltrepò, gli altri troveranno posto un po’ più lontano, nelle zone circostanti: di sicuro non rimarranno senza un posto dove dormire. Ci sono team che vengono dall’altra parte del mondo, e non si faranno problemi a dormire a 30 o 40 km dal centro della gara. Molti si spostano con i motorhome ed i caravan: è stata predisposta una zona attrezzata. Rimane il rischio grosso, purtroppo ormai inevitabile, dei cosiddetti “improvvisati”: B&B, agriturismo, affittacamere, o peggio ancora privati che si cimentano nell’ospitalità senza ben conoscerne le regole fondamentali e che potrebbero causare un ritorno d’immagine negativo. Ma non ne farei una tragedia... la gente che viaggia spesso sa bene come muoversi. Sul tema dell’accoglienza migranti, è un’attività che non condivido, ma rispetto le decisioni dei miei colleghi e non mi permetto di giudicare». Cosa manca all’Oltrepò per diventare attrattivo come altre Regioni italiane più “quotate”? «E se le dicessi che mancano proprio le manifestazioni che possano concedergli la giusta visibilità?». di Christian Draghi


16

il Periodico News

CASEI GEROLA

DICEMBRE 2019

Un maxi campo da tiro dietro l’ex zuccherificio Arriverà a Casei Gerola uno dei campi di tiro sportivo più grandi del nord Italia. L’apertura della nuova struttura è attesa dagli appassionati di armi da fuoco per la prossima estate. La sua realizzazione avviene grazie all’investimento che il Conrad Shooting Club, società dilettantistica vogherese, ha fatto su un’area di ben quattro ettari che è oggi adiacente al maxi “cimitero” dell’ex zuccherificio. Il progetto nasce dalla passione di un imprenditore vogherese, Corrado Montagna, che ne è anche ideatore e realizzatore. Montagna è un artigiano ed elettricista vogherese, da anni agonista di tiro dinamico che partecipa al campionato italiano di varie discipline di tiro, Idpa e Ipsc. è anche il proprietario del campo di tiro e il presidente dell’associazione sportiva Conrad Shooting Club che lo gestirà. «Quello che vedrà la luce nel nostro territorio è una struttura innovativa atta ad ospitare discipline di tiro dinamico e tiro difensivo». Il disegno progettuale, ideato due anni fa, è condiviso e appoggiato dalla precedente ed attuale amministrazione comunale e trova la sua ubicazione nei pressi dell’ex area zuccherificio, lungo la strada che conduce verso Alzano Scrivia, su quarantamila metri quadri di terreno in zona riqualificata e sottratta al degrado. La previsione è di reIl progetto del campo di tiro sportivo, che con i suoi 40mila metri quadrati è tra i più grandi d’Italia alizzare un’area ad uso sportivo dove si svolgeranno non solo le attività di tiro, ma anche altre ludico- istruttori federali nel pieno rispetto delle ricreative e socio-aggregative e che sarà norme di sicurezza, nella disciplina sporpossibile frequentare in qualsiasi periodo tiva del tiro dinamico Ipsc, tiro difensivo dell’anno, anche in presenza di condizioni Idpa o il tiro classico da piazzola». meteo avverse grazie ad una struttura del La struttura del campo prevede argini in campo realizzata con materiali drenanti. terra battuta che permetteranno il conte«I lavori – spiega sempre Montagna – nimento del rumore entro i limiti stabiliti sono già iniziati con il movimento terra dalle perizie fonometriche e dovranno gama ora sono stati interrotti a causa mal- rantire inoltre la sicurezza come stabilito tempo e riprenderanno appena possibile. dagli studi tecnici in materia di balistica. L’obiettivo sarebbe quello di riuscire ad «Lungo tutto il perimetro di circa 800 meaprirlo in tarda primavera, a maggio o tri – aggiunge Montagna – è prevista per giugno, in modo da poter sfruttare la bel- fini squisitamente ornamentali la piantula stagione». La presenza di un poligono mazione di alberi autoctoni ad alto fusto Conrad Shooting Club mira infatti ad amdi tiro nella vicina Stradella non scorag- che daranno all’intero complesso posiziopliarsi anche alle gare internazionali, con gia affatto l’imprenditore, che anzi speci- nato al crocevia dell’autostrada Milanoatleti da tutta Italia e Europa e sarà anche fica: «Non si tratta di un poligono ma di Genova e Torino-Piacenza una maggiore a disposizione delle Forze dell’Ordine che un campo di tiro all’aperto con ventuno visibilità per i tiratori che decideranno di potranno utilizzarlo per le esercitazioni. linee di tiro, protette da ampie tettoie in convergere al campo di Casei per i loro legno dove gli agonisti e gli appassionati allenamenti settimanali e per le competidi Christian Draghi tiratori si potranno cimentare, seguiti da zioni».

Ipsc e Idpa: il glossario del tiratore L’International Practical Shooting Confederation è l’associazione mondiale che riunisce tutte le Federazioni Nazionali (Region), tra cui la nostra Federazione (FITDS). Iscrivendosi alle varie Federazioni Nazionali si diventa membro dell’IPSC. Per iniziare questo sport è sufficiente iscriversi in una qualsiasi delle centinaia di Associazioni Sportive Dilettantistiche affiliate alla FITDS e frequentare successivamente un apposito corso di tiro tenuto da uno dei tanti istruttori Federali. L’International Defensive Pistol Association (IDPA) è uno sport di tiro che simula divertenti scenari accessibili sia ad esperti tiratori ma anche da chi si affaccia come “novice” a questo sport stimolante ed in continua crescita. Una persona interessata nell’iniziare IDPA può spendere una somma minima per l’equipaggiamento ed essere immediatamente competitiva.

“Conrad Shooting Club” gestirà la struttura, tra le più grandi del nord Italia

Corrado Montagna


RIVANAZZANO TERME

il Periodico News

DICEMBRE 2019

17

«Le nostre dimissioni? Un segnale per chiedere più coinvolgimento» «Le nostre dimissioni di gruppo servivano per dare un segnale, per chiedere un maggiore coinvolgimento nei lavori dell’amministrazione». Così Alice Zelaschi, la più giovane e votata della giunta Poggi (seconda solo a Romano Ferrari) spiega quanto accaduto nelle scorse settimane tra le mura dell’amministrazione comunale di Rivanazzano Terme, dove la crisi sembrava ufficialmente aperta dopo le dimensioni in blocco degli assessori. L’intento iniziale sembrava quello di isolare il sindaco Marco Poggi nel tentativo di costringerlo alle dimissioni, in mancanza delle quali si sarebbe dovuto procedere almeno a un maxi rimpasto con l’ingresso in giunta di altri esponenti, tra cui il consigliere Stefano Alberici. Uno spostamento degli equilibri che non ha evidentemente accontentato tutti ed è così che le dimissioni sono rientrate e il rimpasto sembra essere stato barattato con un «cambiamento del “modus operandi” interno all’amministrazione». Parole di Alice Zelaschi. 21 anni, diplomata all’istituto tecnico agrario Carlo Gallini, attualmente studia “Scienze e tecnologie agrarie” presso l’Università Cattolica di Piacenza. La sua esperienza politica è iniziata nel 2017 proprio con l’attuale amministrazione. «Sono stati Marco Poggi e Romano Ferrari a volermi nella loro lista» racconta. Ora, grazie ai 514 voti ottenuti, fa l’assessore e cerca di calmare acque che parevano piuttosto agitate. Zelaschi, l’attuale amministrazione comunale è espressione di una lista unica, non c’è quindi minoranza. il consigliere Alberici è stato piuttosto critico riguardo l’esperienza maturata finora, definendola deludente. Lei concorda con lui o ha un’opinione diversa? «Noi abbiamo fatto la nostra lista tutti insieme, in continuità con la precedente amministrazione Ferrari. Non è colpa nostra se non abbiamo avuto avversari».

Listone Unico esperienza flop? «Non è colpa nostra se non abbiamo avuto avversari» Qualche problema però c’è. Prima gli assessori si dimettono in blocco, poi l’emergenza rientra e si va avanti come nulla fosse. Che cosa è accaduto? «Le nostre dimissioni hanno avuto lo scopo di far emergere una nostra richiesta di confronto sul metodo di lavoro per cercare di avere un maggior coinvolgimento nostro e di tutto il gruppo che ringraziamo per averci sostenuto». La sensazione però è che ora il sindaco sia piuttosto isolato. La squadra di governo è unita? «In una squadra che lavora nessuno è isolato, ci mancherebbe. Tutti devono poter dare il loro contributo, in modo tale da lavorare al meglio; abbiamo messo in campo azioni correttive di cui potremo valutare i risultati». Passiamo a problemi più concreti. Parliamo dell’alluvione. Arriveranno fondi da stato o regione per i danni subiti? «Abbiamo ottenuto lo stato di emergenza dalla Regione che si è attivata immediatamente, infatti, dopo una verifica dei danni subiti, ha già provveduto a mandare una ditta incaricata allo sfondamento, alla pulizia e alla protezione degli argini sul Rio Limbione in località Canova, in un tratto di sponda vicino alla Greenway erosa dal torrente Staffora e, successivamente, interverrà anche in località Spagnola.

Ulteriori ispezioni sono state effettuate nei giorni scorsi, da parte di tecnici di Regione Lombardia e del Ministero». I fossi, dopo l’ultimo nubifragio, ancora non sono stati puliti. O per lo meno qualcuno questo ha fatto notare, e si teme per un nuovo disastro. Avete emesso un’ordinanza? «Al momento non è stata fatta alcuna ordinanza, siamo intervenuti dove possibile con la pulizia dei fossi». Dove, esattamente? «I primi interventi d’emergenza fatti per garantire il deflusso dell’acqua piovana sono stati fatti con la pulizia dei fossi alla Chioda, in strada Boggione, via Kennedy, strada Pontecurone, via De Amicis, strada Moroni, via San Francesco, via Fermi. Quando le condizioni climatiche lo permetteranno, verrà effettuato il totale ripristino dei fossi di competenza al Comune di Rivanazzano Terme». Gli abitanti di via Tiziano si sono rivolti a voi con una petizione per richiedere un intervento urgente sul Rio Garello. Cosa rispondete? «Riguardo alla richiesta presentata dai residenti di via Tiziano, l’Amministrazione ha stanziato dei fondi, necessari alla pulizia dell’intero tratto del Rio Garello e nel contempo stiamo affidando uno studio ad esperti per valutare opere necessarie ad un potenziamento del collettamento delle ac-

«Al

Alice Zelaschi, la più giovane e la seconda più votata della Giunta Poggi

que in tutto il Paese». Le è stato delegato l’assessorato all’agricoltura e rapporto con le associazioni. C’è qualche progetto in ballo? «Abbiamo rinnovato la Commissione Agricoltura con l’aggiunta di nuovi giovani agricoltori, con cui abbiamo collaborato attivamente sia durante gli eventi (Fiera d’Aprile, Fiera d’Autunno e Festa del Ringraziamento) sia durante le emergenze, come l’alluvione del 21 ottobre». di Christian Draghi

momento non è stata fatta alcuna ordinanza, siamo intervenuti dove possibile con la pulizia dei fossi»



il Periodico News

VALLE STAFFORA: la sfida del salame

DICEMBRE 2019

19

«In Oltrepò già abbastanza maiali da produrre Cuciti come 10 anni fa» Il “Cucito” come una Ferrari: non ce n’è per tutti, ma la sua sola esistenza basta già a nobilitare l’intera linea di produzione di un’azienda. Oggi il prodotto principe della norcineria d’Oltrepò è ai minimi storici: quindici anni fa quelli certificati con marchio Dop erano 10mila, oggi sono appena un centinaio. Anche gli allevamenti autoctoni sono ridotti: negli anni ’90 i suini allevati in loco erano 4.500 - 5.000, nel 2010 erano calati a poco più di un migliaio. Oggi in Alto Oltrepò sono circa 500, distribuiti su 61 allevamenti dei quali solo 22 non sono finalizzati all’autoconsumo. E senza marchio “Dop” il prodotto non ha un peso commerciale che garantisca un ritorno, economico o d’immagine, al territorio. Non porta, in altre parole, acqua al mulino. Ad oggi la quasi totalità di 
suini con cui è prodotto il salame di Varzi proviene da allevamenti esterni all’area della Dop. La filiera, quindi, è tronca a monte. Per rilanciarla la Comunità montana prova ad invertire un trend di diminuzione della produzione del Salame di Varzi “Cucito” Dop partendo “dal basso”: «Agriseed non è solo un bando che permette di finanziare interventi infrastrutturali per gli allevatori, ma è prima di tutto un progetto per rilanciare il Cucito Dop ricostruendo una filiera a km0». L’assessore all’agricoltura e sviluppo Andrea Gandolfi interviene per spiegare il senso del bando appena pubblicato e che ha fatto discutere la Valle Staffora. «L’evoluzione del mercato e delle certificazioni ha portato una contrazione degli allevamenti sui territori collinari, con una maggiore concentrazione verso i grossi centri di pianura. Questa evoluzione ha avuto delle ricadute anche in Oltrepò».

Un bando per rilanciare la filiera: «Non servono grandi contributi per fare grandi cose»

Ruolo centrale per il Consorzio: «Chi alleva a km0 ha la garanzia di vendere a prezzi prestabiliti» Il Progetto Agriseed, redatto di concerto con il professor Tito Bianchi e Fondazione Cariplo, restituisce un’interessante disamina sull’evoluzione dell’allevamento e della produzione della filiera del salame di Varzi Dop. Ne emerge un quadro in cui la forza della Dop è sempre più fragile sia dal lato della produzione (solo un terzo del prodotto è marchiato “Salame di Varzi Dop”, 400 tonnellate Dop contro le 1200 tonnellate complessive), che dal punto di vista dei soci del Consorzio: infatti oggi sono 9 i soci produttori contro i 29 alla sua nascita nel 1984.
La lenta ma progressiva erosione del legame fra prodotto e territorio risulta quindi evidente. Bisogna invertire subito la tendenza, ricostruendo la filiera con mattoni solidi: il “top” per eccellenza., da queste parti, è proprio il “Cucito”. Gandolfi, con il Progetto e poi bando Agriseed pensate di poter “ripopolare” la Valle di maiali? «Il progetto ha alcune ambizioni precise, come quella di innovare la filiera del Salame di Varzi DOP Cucito prevedendo l’esclusività dell’utilizzo di materia prima nel territorio della DOP costruendo così una filiera a Km0. Detto ciò bisogna essere realistici e partire da basi solide, come costruire una seria e strutturata alleanza tra chi già opera sul territorio». In che modo pensate di crearla? «La prima forza sta nell’accordo di filiera: chi aderisce al bando avrà la garanzia di poter vendere i suoi maiali alle aziende che operano nel Consorzio a prezzi prestabiliti, messi nero su bianco e anche trattabili». C’è chi ha detto che con i fondi messi a disposizione dal bando (massimo 25mila euro a soggetto) non si possono fare grandi cose... «Serve superare la logica che per fare grandi cose servano grandi contributi. Ad esempio, i suini che si allevano oggi sul territorio, che sono almeno 500, sarebbero già di per sé sufficienti a riportare la produzione del Cucito DOP ai livelli di 10 anni fa».

Andrea Gandolfi, assessore all’agricoltura e sviluppo della Comunità Montana d’Oltrepò

I numeri: in Alto Oltrepò 61 allevamenti di suini, ma solo 22 non sono per autoconsumo. Nel 2005 si producevano 10mila Cuciti certificati oggi solo 100 La scommessa del bando quindi non è quella di creare “grandi numeri” quanto utilizzare il già esistente.. «L’obiettivo è quello di dare una dignità commerciale al nostro prodotto principe. I “numeri” per iniziare bene, come detto, ci sarebbero già. Come farlo? «Le condizioni per ricostruire una filiera del Salame di Varzi Cucito Dop, sono praticabili grazie ai reciproci impegni tra allevatori del territorio, consorzio del Salame di Varzi DOP e produttori. Gli allevamenti del territorio, se opportunamente strutturati ed in possesso delle idonee certificazioni, quindi attraverso un accordo di filiera per alla produzione del Cucito DOP con il relativo Consorzio, saranno nelle condizioni di conferire un quantitativo di materia consistente e la Co-

munità montana si impegna a dare a tutti gli allevatori il sostegno anche burocratico di cui avranno bisogno». Il Consorzio però negli anni ha perso soci. Dai 29 del 1984 ai 9 attuali. Come mai secondo lei non riesce ad essere davvero attrattivo per tutti i produttori? «Credo che sia la D.O.P. a dovere essere attrattiva per tutti i produttori, nonché l’unica scelta possibile se davvero abbiamo a cuore la crescita del nostro territorio e la valorizzazione di sua maestà il Salame di Varzi. Le porte sono aperte per potenziare la D.O.P. nel rispetto delle differenti tipologie di propensioni al mercato ed alla produzione e, siamo certi, che il Consorzio di tutela è al nostro fianco come un alleato del territorio». di Christian Draghi


20

il Periodico News

VALLE STAFFORA: la sfida del salame

DICEMBRE 2019

«Per un salame d’eccellenza serve una filiera a km0» «è sbagliato dire che la provenienza dei maiali non è importante per fare un salame buono». Parola di un allevatore, Marco Cavalleri, che ha deciso di puntare tutto sulla qualità, riducendo il suo allevamento del 70% pur di riuscire a garantire ai suoi clienti materia prima per produrre un salame top di gamma. La sua azienda è storica, si trova a Valverde nel comune di Colli Verdi e quando l’ha rilevata contava circa 1000 capi di suini. Nel tempo li ha ridotti, fino ad arrivare all’attuale numero di 300. La comunità montana d’Oltrepò ha da poco pubblicato un bando, denominato Agriseed, per sostenere gli allevamenti autoctoni di maiali al fine di rilanciare la filiera del salame di Varzi Cucito Dop, un prodotto artigianale d’eccellenza che ha subìto negli ultimi anni un autentico collasso (dai 10mila pezzi del 2005 si è scesi a 100). Voci critiche hanno fatto notare che i finanziamenti previsti per gli allevatori tocchino la quota massima di 25mila euro, cifra da alcuni ritenuta risibile. C’è poi chi ha fatto notare come il luogo in cui gli animali vengono allevati non sia così determinante al fine di ottenere un prodotto di qualità. Cavalleri, che da poco ha iniziato anche una piccola produzione, non è d’accordo: «Avere maiali allevati in un certo modo e in un determinato luogo valorizza tutta quanta la filiera e il fatto di allevarli in loco rappresenta un quid in più per la qualità». Quali sarebbero i vantaggi di avere una filiera a chilometro zero? «La qualità del prodotto diventa assoluta solo se una serie di fattori coincidono. Non dico che non si possa fare un salame buono prendendo la carne o i maiali da fuori, ma se si vuole riportare in auge il Cucito allora bisogna tenere conto che si tratta di un prodotto che deve rispettare degli standard d’eccellenza. La materia prima, in questo caso la carne, è fondamentale e perché la qualità sia massima occorre che gli animali non solo siano allevati e trattati a dovere, ma anche che non subiscano stress nel trasporto: un conto è portarli al macello facendo 15 km, un conto stiparli nei camion per qualche centinaio. Lo stress incide sulla morbidezza della carne. Altro esempio: nel periodo del calore sarebbe meglio non trasportare neppure l’animale, perché il sangue in quel periodo assorbe meno le spezie e i prodotti che saranno utilizzati per la preparazione del salame. Un’accortezza che solo piccoli allevamenti possono permettersi di seguire. Chi ha 20mila maiali di sicuro non cura certi dettagli». Questo implica che, per forza di cose, non si possano fare grandi numeri e , di conseguenza, nemmeno business…

L’allevatore Cavalleri: «Lo stress del trasporto condiziona la qualità della carne»» «Non si fa business con il Cucito, si crea un prodotto d’eccellenza che dà valore al territorio e a tutta la filiera». Come mai però questo tipo di salame, fiore all’occhiello della norcineria oltrepadana, è passato dai fasti del passato al rischio di estinzione? «Perché produrlo ha costi molto alti e una resa bassa. Il prodotto a fine stagionatura arriva a perdere anche il 50% del peso originario. Va da sé che tenere in cantina un prodotto che in sei mesi cala della metà rappresenta per un’azienda che ci deve campare un danno economico non trascurabile. Negli anni i consumi sono cambiati: si utilizzano maiali più leggeri, da 160 kg, macellati più giovani, anche a 9 mesi e con una stagionatura ridotta, assecondando il gusto del mercato. Allevare maiali ha un costo che incide non poco sul prodotto finito. Per questo molti, per cercare di “fare business”, hanno smesso di allevare e comprano carne già macellata». Che caratteristiche hanno i maiali allevati da voi? «Quelli destinati alla produzione del Cucito vivono 12-15 mesi e hanno un peso minimo di 230 chili. Abbiamo un 30% in più di spese: il costo supera i 2 euro al chilo, ma la qualità è di gran lunga superiore». Perché questa produzione sia sostenibile economicamente quanto dovrebbe costare un Cucito? «Per un’azienda che deve essere perfettamente in regola con tutti gli adempimenti burocratici direi non meno di 40 euro al chilo». Lei che ne pensa del bando Agriseed pubblicato dalla comunità montana? «Credo che sia una buona iniziativa, che si muove nella direzione giusta». C’è chi l’ha criticata, ritenendola poco incisiva in termini economici.

Marco Cavalleri, allevatore di Valverde (Colli Verdi)

«Il Consorzio non piace a tutti? Equiparare chi alleva maiali a chi compra la carne ha suscitato malumori» «Non cambierà le sorti del territorio forse, ma è un primo passo. è vero che magari 25mila euro in termini assoluti non sono molti per incidere su un’attività, tanto che non credo sorgeranno nuovi allevamenti, però sarà possibile potenziare quelli esistenti. Se i piccoli allevatori potessero arrivare ad avere 30 o 40 maiali ciascuno da dedicare alla produzione del Cucito sarebbe già un enorme passo avanti e questo con i fondi della comunità montana si può arrivare a farlo. Se poi qualcuno si aspetta di avviare un’attività per fare business con il portafoglio di qualcun altro sbaglia prospettiva. Chi vuole fare l’imprenditore deve investire». L’accorso di filiera prevede che i maiali allevati siano poi destinati alle imprese appartenenti al Consorzio Tutela, di cui però fanno parte solo 9 soci produttori. Molti altri ancora restano fuori. Crede che in questo modo più aziende saranno incentivate a consorziarsi? «Questo non lo so. Personalmente al momento non rifornisco aziende del Consorzio e ho chiesto lumi in comunità montana

al proposito perché intendo aderire al bando. Mi è stato detto che non è obbligatorio conferire i propri maiali ad aziende del Consorzio, bensì a chi è iscritto alla filiera certificata Dop, indipendentemente che sia socio consorziato o meno». Perché crede che produttori anche storici, come Bertorelli di Menconico o Dedomenici di Casanova Staffora, si siano allontanati dal Consorzio e che altri esitino a entrarci? «Per quanto riguarda i primi, penso che essendo loro anche allevatori e non solo produttori abbiano lasciato perché non volevano essere equiparati a chi invece compra carne già macellata. Per quanto riguarda i produttori che stentano a consorziarsi credo che giochi un ruolo importante la consapevolezza di quanto sia complicato avere a che fare con la burocrazia e con i costi e gli “ostacoli” che magari si hanno nel doversi conformare a dei regolamenti molto precisi». di Christian Draghi


VALLE STAFFORA: la sfida del salame

il Periodico News

DICEMBRE 2019

21

Bagnaria, si torna ad allevare allo stato semi-brado Che l’attività di allevamento e produzione di salame di Varzi stia diventando una tentazione sempre più forte lo testimonia la crescente nascita di nuove aziende. “Dalla Terra Il Salame”, con sede a Bagnaria in Località Casa Massone, è nata da poco più di quattro mesi. Ha in progetto di allevare tra gli 80 e 100 maiali l’anno allo stato semibrado con a disposizione una struttura chiusa per il ricovero notturno e l’alimentazione ed un appezzamento di terreno annesso per il pascolo libero. Una produzione “piccola” in termini assoluti, ma che punta all’eccellenza. Il norcino, Alessandro Volpe, nonostante la giovane età ha alle spalle anni di esperienza nei salumifici della zona ed ha collaborato con alcuni dei nomi storici del territorio. «Ho avuto la fortuna di lavorare in alcuni dei laboratori storici della zona ed imparare il mestiere dai “senatori” del salame e tutti mi hanno sempre detto che la materia prima è fondamentale» afferma. «Partire da un maiale di qualità, allevato bene è la base per produrre un grande prodotto. Per questo motivo abbiamo deciso di partire dall’allevamento curato direttamente da noi e successivamente trasformare le carni ottenute». «Macelliamo maiali maturi – spiega uno dei soci, Filippo Prè - del peso di circa 230/240 kg, che hanno vissuto alcuni mesi senza stress, in un ambiente aperto, con la possibilità di pascolare liberamente, ma comunque sempre sotto il nostro controllo».

Nuova azienda a Bagnaria: «In un anno alleviamo dagli 80 ai 100 maiali in stato semi brado» Da sx: Filippo Prè, l’assessore Luca Meisina, Alessandro e Daniele

Quali vantaggi ha un allevamento come il vostro rispetto ad uno intensivo? «Allevando noi i singoli capi conosciamo perfettamente l’origine della carne e le caratteristiche di ogni animale: nella fase di mondatura i capi vengono gestiti separatamente in modo da rispettare l’originalità di ogni esemplare. Il continuo pascolo poi rende la carne molto asciutta ed il grasso molto compatto. L’insieme di queste cose ci permette di avere un certo tipo di prodotto e di poter tenere un salame in cantina per un lungo periodo di stagionatura, senza avere problemi di alcun tipo e senza ricorrere ad ulteriori ingredienti a noi

sgraditi». Produrrete anche dei Cuciti? «Sì, con quelli però inizieremo con la macellazione di gennaio, in modo da averli pronti per il Natale prossimo». Quanti pensate di poterne produrre? «Diciamo tra i 300 e i 400 all’anno». La Comunità montana ha promosso un bando per finanziare gli allevamenti autoctoni. Cosa ne pensate? «Ne siamo al corrente, ci sembra un’ottima cosa e penso che faremo domanda per accedere a quei finanziamenti». Uno degli scopi del bando è quello di rafforzare il marchio Dop. Voi pensate

di entrare nella filiera certificata? «Siamo nati da poco, ma sicuramente è un aspetto che ci interessa e verso cui ci muoveremo». Del Consorzio invece che ne pensate? «Per una piccola realtà come la nostra non credo che esserne socio o meno faccia alcuna differenza. Producessimo 1000 maiali potrebbe essere una cosa da valutare, ma così non ci cambia molto. Al momento, non è comunque una nostra priorità, siamo solo all’inizio del percorso». di Paola Invernizzi



varzi

il Periodico News

DICEMBRE 2019

23

«Turismo in crisi: strade vergognose e la Provincia non fa nulla» Cella di Varzi, località situata a 700 metri di altitudine sull’ Appennino Pavese, ospita da oltre settan’anni il Tempio della Fraternità, affiancato da circa dodici dal museo dell’ aeronautica militare. Negli ultimi anni sono sorte alcune problematiche che vanno dal furto di alcuni preziosi cimeli alle strade dissestate che rallentano il flusso turistico e il rettore don Luigi Bernini, mandato sul posto dal vescovo 20 anni or sono perché si occupasse del suo paese natale, ci racconta la storia. In che condizioni era il Tempio quando è arrivato a Cella? «Praticamente stava cadendo a pezzi, sui cimeli cadeva la pioggia e venivano coperti come meglio si poteva. Fu necessario chiedere il contributo della Regione per il restauro della chiesa a quel punto non avevamo altra scelta». Come fu accolta tale richiesta? «Ci fu data la possibilità di ricostruire la chiesa ottenendo i contributi. Per l’esattezza abbiamo speso 750mila euro lavorando quindici anni per il restauro completo». Quando e perché fu realizzato il tempio? «Con la fine della seconda guerra mondiale un cappellano militare, don Adamo Accisa, rientrando in Italia dalla Grecia aveva chiesto al proprio vescovo di essere mandato in un posto dove potesse riprendersi nello spirito dopo tanto dolore. Fu mandato a Cella e nel 1952 cominciò a costruire questa chiesa per lanciare un messaggio di pace e lo fece raccogliendo da tutto il mondo le rovine della guerra. Cominciò a scrivere e a viaggiare, arrivò a Parigi dove conobbe quello che poi divenne Papa Giovanni XXIII, il quale all’epoca era Nunzio della Santa sede in Francia a Parigi. Anche lui era stato cappellano militare negli alpini durante la guerra e volle abbracciare l’idea di don Adamo Accosa con la promessa di mandare a Cella la prima pietra per la costruzione della chiesa».

Don Bernini lancia l’allarme: «Prima venivano 100 pullman all’anno, adesso solo 20»

Come avvenne poi tutto ciò? «Nel 1952 Roncalli mandò una delegazione per consegnare una piccola lastra di marmo presa dalle macerie di una piccola chiesa distrutta durante lo sbarco in Normandia». Quanto tempo ci volle per costruire il tempio? «Ci vollero sei anni l’inaugurazione fu celebrata ne settembre del 1958. Da allora nella chiesa vediamo le armi trasformate in simboli di pace: per citarne una, il fonte battesimale ricavato dall’ otturatore di cannone in acciaio cecoslovacco della corazzata Andrea Doria facente parte della marina militare italiana». Quante persone hanno contribuito alla raccolta dei cimeli? «Diverse persone, me in particolare. Ricordo anche Fausto Tommei, giornalista radiofonico famoso negli anni ’50, che trascorse un mese in America a cercare cimeli ricordi testimonianze da portare qui a Cella. Ci sono rovine Delle città di Hiroshima e Nagasaki e del campanile di Giotto di Firenze». L’oggetto rosso posto sull’altare maggiore sembra una pallottola gigante da dove viene? «Dall’ arsenale militare di la Spezia si tratta di un bossolo di cannone del peso di quattro quintali trasformato in tabernacolo». Tra i tanti cimeli c’è n’è uno particolare ci riconduce al 12 novembre 2003 ci può dire chi ha portato qui questa pietra? «È stata portata qui dai carabinieri in ricordo della strage di Nassirya è una pietra raccolta dalla palazzina crollata durante l’attentato dove persero la vita i loro colleghi. Le guerre purtroppo non sono ancora finite molte persone vengono da ogni parte del mondo per portare oggetti dei loro cari deceduti». A parte i soldati e le guerre chi altro viene ricordato in questo luogo? «Le vittime civili. Per esempio è stato portato un pezzo di carbone dalla miniera di Marcinelle in Belgio dove persero la vita duecento minatori di cui centoquaranta erano italiani. Sono arrivati frammenti Delle torri gemelle e altro ancora». Corre voce che alcuni cimeli sono stati rubati, è vero? «Purtroppo sì e quindi ci siamo organizzati per proteggere al meglio gli oggetti qui riposti dato che la chiesa è molto visitata». Scendendo la scalinata fuori dalla chiesa si passa nel museo dell’ aeronautica militare. Da quando esiste e perché? «È stato creato dall’associazione aeronau-

Il Tempio della Fraternità di Cella di Varzi

Il Tempio della pace costruito con armi e rovine di guerra: «La prima pietra nel 1952 arrivò dal futuro Papa Giovanni XXIII» tica militare di Pavia nel 2008. C’è fuori un F104 donato per ricordare tutti i piloti caduti dell’ aeronautica e sono bene in vista anche i componenti dell’ aereo, il motore e le pale. Questo museo è nato collegato al tempio e la scalinata è chiamata la “scalinata della civiltà” in quanto rappresenta le varie civiltà greche, romane e medievali. Aggiungiamo che qui le varie associazioni militari sono di casa con le loro cerimonie e raduni. Oltre all’aeronautica vengono anche i carabinieri e gli alpini, che nonostante la fine del servizio di leva obbligatorio sono pochi ma resistono». Rispetto al passato l’affluenza si è ridotta. Perché e in che misura?

«Si deve dire che le strade non sono tenute molto bene dalla provincia e i pullman per venire qui devono passare da Fabbrica Curone in provincia di Alessandria e poi salgono mentre la strada provinciale è tenuta malissimo e non viene fatto nemmeno lo sfalcio degli argini. è una cosa vergognosa. Degli oltre cento pullman che venivano all’anno ora ne vengono una ventina. Le vie di comunicazione sono fondamentali per mantenere il flusso turistico, qui siamo sul confine con il Piemonte e la parte piemontese è tenuta bene, ma la parte Pavese lascia molto a desiderare». di Stefania Marchetti



il Periodico News

“Oltrepò drink twist”

DICEMBRE 2019

25

LA GRAPPA dell’OLTREPÒ! CALDA anzi CALDISSIMA! di

Emanuele Firpo

Quarto appuntamento legato al magico mondo della miscelazione, al quale abbiniamo la naturalezza dei prodotti tipici firmati Oltrepò Pavese. “Quel maledetto giorno che ho messo in lista l’IRISH COFFEE lo ricorderò tutta la vita” . Manu

L’IRISH COFFEE, il principe dell’inverno, è il più famoso drink corroborante della storia della miscelazione e nasce all’aeroporto di Dublino, inventato dal barman Joe Sheridan. La leggenda narra che, in una fredda notte d’inverno si ruppe il riscaldamento della sala d’aspetto gremita di persone in attesa del loro volo transoceanico e che per dare loro calore, energia ed alleviare la noia dell’attesa, il barman miscelò caffè lungo dolcificato con zucchero di canna, whiskey irlandese e panna. Nella realtà pare che la nascita di questo drink sia molto meno epica e romantica. Il barman accolse semplicemente la richiesta di alcuni clienti americani, che non gradivano il classico beverone irlandese fatto con whiskey e the forte, chiedendo la cortesia di sostituire quest’ultimo con del filter coffee. La crema di latte fu l’ingrediente successivo, tipicamente irlandese, per aumentare le doti corroboranti del delizioso drink. In commercio esiste anche un liquore dolce ispirato all’Irish Coffee, da bere on the rocks, il cui nome Sheridan’s è un tributo al suo inventore. Ma non siamo in Irlanda e tanto meno abbiamo un aeroporto con un bar… il freddo, però, non manca e quindi scaldiamoci e divertiamoci creando questo drink bollente e soprattutto molto piacevole al palato. Siamo in Oltrepò e qual è l’abbinamento perfetto ad un buon caffè se non la nostra amata GRAPPA? Bianca, secca, morbida, gialla, barricata, affinata, aromatizzata… insomma ne abbiamo di scelta tra le varie aziende vitivinicole del territorio che producono questa acquavite! La grappa purifica, disinfetta e santifica. Ed è pure buona! Ma che cos’è la grappa? La grappa è il distillato ottenuto dalla vinaccia, la parte solida a residuo della torchiatura dell’uva da vino, la cui paternità esclusiva spetta all’Italia. La grappa infatti è l’unico distillato ottenuto partendo da una materia prima solida, uno scarto produttivo altrimenti destinato ad essere disperso nei campi come concime naturale.

L’utilizzo di una materia solida avvicina il distillato italiano, più di tutti gli altri, al principio alchemico che voleva estrarre l’anima, la quintessenza dai corpi solidi che vide secoli di tentativi vani nel tentare di ottenere oro da metalli di ogni genere. Lasciando da parte la legislazione e i principi alchemici, la definizione che meglio descrive la grappa è di Carlo Cambi, che riprende una frase di Mario Soldati e dice: “SE IL VINO È LA POESIA DELLA TERRA, LA GRAPPA È LA SUA ANIMA”. Il termine grappa compare ufficialmente alla fine dell’Ottocento e verranno codificate le procedure per la sua produzione e la materia prima da utilizzare. Un documento del 1443 attesta il pagamento di una tassa su un’acquavite di origine enologica, definita nel documento “BRANDA di Barbera e Moscato”. L’alcol viene estratto dalle vinacce tramite il delicato passaggio di vapore acqueo, che ha il compito di estrarre la frazione alcolica in esse contenuta. La grappa per un lungo tempo fu un prodotto tipico del nord Italia, radicato in Lombardia, Piemonte, Trentino, Veneto e Friuli. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’ingresso di aziende enologiche e di alcuni liquoristi del sud Italia, si conquistarono nuove fette di mercato e di consumatori entusiasti, diventando culturalmente il distillato nazionale. Una grappa molto conosciuta a livello regionale è il “Filu e Ferru”, la cui distillazione fu introdotta dai piemontesi durante il “Regno delle due Sicilie”.

L’originale definizione pare derivare dalla consuetudine di occultare il distillato sotto terra, segnandolo con un filo di ferro che usciva dal terreno; la distillazione famigliare divenne illegale nel 1627, vietata da Carlo Emanuele I con il nobile intento di scongiurare la piaga dell’alcolismo, ma nei fatti per riempire le casse del Regno Sabaudo con le tasse applicate ai distillatori legali. Le famiglie che non volevano pagare le tasse spesso distillavano di notte e durante le nebbie, per dissimilare il vapore dell’alambicco. Il MONOVITIGNO consentì un eccezionale balzo qualitativo alla grappa, prima vissuta come prodotto povero per colpa dei contadini che spesso vinificavano più vitigni e dei distillatori che caricavano tutto sul carro mescolando le bacche. La produzione di una grappa monovitigno, dalle caratteristiche precise e riconoscibili anche nel vino, attirò per la prima volta il consumatore sofisticato che prima di allora si rivolgeva solo ai distillati d’importazione. Nacquero grappe definite, morbide, ottenute con il Moscato, il Gewurztraminer e altri vitigni aromatici che donano i loro ricchi profumi coprendo le durezze caratteristiche della grappa. Queste grappe non subiscono un invecchiamento, per premiare gli aromi, a eccezione di alcune produzioni legate al Moscato. Torniamo al nostro Oltrepò Coffee, una rivisitazione davvero accattivante da provare nelle fredde giornate di fine ed inizio anno con amici oppure semplicemente in compagnia di un buon libro. La ricetta originale prevede il whiskey irlandese ed è così strutturata, 4 cl di irish whiskey, 12 cl di caffè, 3 cl di panna e 2 cucchiaini di zucchero di canna grezzo. Creiamo la nostra versione avvalorata da un tocco speziato dato dal cardamomo! In un bicchiere da vino piccolo (consiglio questo bicchiere perché è facilmente reperibile e lo stelo impedisce di bruciarsi la mano degustando il drink): 1 caffè lungo aromatizzato al cardamomo 4 cl di grappa Oltrepò affinata almeno 12 mesi 2 cucchiaini di zucchero di canna grezzo 3 cl di panna fresca

Oltrepò Pavese Coffee…

i COCKTAIL d’autore con i prodotti del nostro TERRITORIO

Procedimento: versate il caffè bollente nel bicchiere insieme allo zucchero e fate sciogliere quest’ultimo, aggiungete la grappa ed inserite la panna fresca con l’aiuto di un cucchiaino che la farà scendere pian piano adagiandosi sul resto del drink creando l’effetto “float” rimanendo in superficie. Per il caffè al cardamomo: aprite 5/6 capsule di cardamomo, estraete i piccoli semi e mischiateli al caffè prima di inserirlo nel filtro della caffettiera. Otterrete così un caffè speziato e profumato. Per la panna: per rimanere in superficie la panna va montata leggermente agitandola per circa 15 secondi in un vasetto tipo Bormioli alto 13 centimetri con il tappo. In alternativa potete utilizzare la panna spray anche se la ritengo troppo dolce. Eseguite il drink abbastanza velocemente, la sua bontà sta quando la bocca riceve il caffè bollente mescolato alla panna fredda! Consuma sempre i drink a stomaco pieno e non far mancare, di tanto in tanto, un sorso di acqua fresca. DEGUSTARE UN COCKTAIL È UN PIACERE… SE TI PERDI CHE PIACERE È?! DRINK RESPONSIBLY

Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme.


26

il Periodico News

C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò

DICEMBRE 2019

Quando lo spazzacamino non era un ricordo di Mary poppins

Giuliano Cereghini

Nell’immaginario collettivo ”moderno” alla parola spazzacamino si associa il film di Mary Poppins, dove Bert è un simpatico e spensierato spazzacamino. Spesso si immagina lo spazzacamino come quella persona, non più giovane, che si adatta ad un lavoro sporco e umile in cambio di un pasto caldo e di una stalla dove passare la notte. La realtà è che il mestiere di spazzacamino, nato alcuni secoli fa in Italia, è stato il tipico mestiere destinato a bambini e ragazzi oppure a mendicanti o orfani. La caratteristica che questi ragazzi dovevano possedere era l’essere molto magri al fine di entrare agevolmente nella canna fumaria e pulirla. La Val Vigezzo, in Piemonte, è chiamata la “Valle degli Spazzacamini” per il gran numero di ragazzi, soprattutto tra il Seicento e il Settecento, che emigrarono in nord Europa per svolgere questo mestiere Cosa succedeva in Oltrepò alla’arrivo dello spasäcämè? Raramente operava un solo spazzacamino: il lavoro prevedeva una fase a quattro mani e per tale motivo, generalmente si presentavano in coppia. Gipétu diceva che “pär fà spasäcämè bsögna vis àlt un smäs e bsà gnënt” - per fare lo spazzacamino bisogna essere alti una spanna e pesare pochissimo. Tanto erano piccoli, leggeri e neri, quanto allegri e burloni. Il più vecchio prima ancora di giungere in paese intonava con voce potente e melodiosa una canzone: “Come rondine va, senza un nido n’è un raggio di sole, per l’ignoto destino il suo nome e lo spazzacamino”. Nell’udire quel canto la gente sorrideva e si affacciava sulla porta di casa, attendeva l’arrivo degli spazzacamini che, giunti davanti alla soglia di casa della prima bella

ragazza, intonavano un’altra canzone che riandava ad un baldo spazzacamino che era stato invitato in casa da una giovinetta, rifocillato e coccolato, dopo aver ben eseguito il ‘suo lavoro’, aveva lasciato il paese e la luna che... cresceva. “Dopo nove mesi era nato un bel bambino che assomigliava tutto allo spazzacamino”, così raccontavano concludendo la ballata i due menestrelli che in questo modo avevano attirato la curiosità di tutto il paese. La gente sorridendo e raccomandando ai due birbanti di occuparsi solo del camino, apriva porte e finestre, copriva con teli e tovaglie usate i poveri mobili di casa e attendevano fuori la fine del lavoro affidato. I due iniziavano le operazioni dividendosi i compiti: l’uno si armava di lunghe canne sormontate da ganci e lamelle oscillanti, entrava in casa ed iniziava ad infilare gli attrezzi nella cappa che sormontava il grande camino di casa che, a quei tempi, era riscaldamento ma anche strumento per cucinare i cibi in un paiolo appeso ad una catenella che scendeva dalla cappa, era la televisione di quell’era fortunatamente priva dello strumento di tortura successivamente adottato da uomini convinti della sua bontà. Era il luogo in cui si riuniva la famiglia, dove si raccontavano e si esaminavano gli accadimenti quotidiani, le malefatte di bambini che vivevano liberamente la loro splendida età, dove si ammirava l’incanto del veloce ricamo della fiamma guizzante ed allegra e, alla giusta stagione, si cuocevano le castagne nell’apposita padella bucherellata. Per dar corso alle operazioni di pulizia, veniva momentaneamente violato nella sua sacralità, imbrattato di calcinacci e fuliggine che sarebbero stati prontamente rimossi e smaltiti lontano. Nel frattempo l’altro galantuomo canterino era salito sul tetto armato di corde, ramponi, fasci di lunghe lamelle pieghevoli e corte aste di legno. Raccordandosi con robuste grida trasmesse dalla cappa del camino, i due iniziavano il lavoro di pulitura della canna fumaria raschiando con le canne o le aste di legno, calando con le corde prima i ramponi e poi le lunghe lamelle, sospendendo temporaneamente i lavori per traguardare dal basso e dall’alto la canna fumaria e la cappa finale per verificare la pulizia del manufatto ed il suo conseguente ottimo funzionamento. L’operatore superiore rischiava in ogni momento di scivolare su rare tegole o sulle molte pietre “ciàp” che allora costituivano la normale copertura delle case, ma in compenso godeva di in ottimo paesaggio e di aria buona. Il tapino che occupava la parte inferiore lavorava in un turbinio accecante ed asfissiante di polvere e fuliggine densa e nera come l’anima di chi

picchia senza ragione un bambino. Dio volendo il supplizio terminava, i due si riunivano riconoscendosi solo dalla voce, le donne di casa cominciavano pulizie più approfondite di quelle sommarie dei due spazzacamini, mentre “l’arsadù” - padrone di casa -, usciva dalla cantina con un bottiglione di quello buono ed un unico attrezzo di mescita: “ä scüdlòt”! (la scodellina da mescita). Raccontavano i vecchi che in alcuni casi la canna fumaria era talmente sporca che uno dei due spazzacamini veniva letteralmente calato dall’altro nel comignolo per una puntuale pulitura a mano, risalendo dopo un pò di tempo con il viso ed i polmoni neri come la pece. Una buona bevuta, la giusta mercede contrattata lungamente, ed i due erano pronti per la casa successiva magari tossendo ma con la forza di intonare di tanto in tanto le canzoni sopra ricordate. Raramente si usavano al-

tri sistemi per la pulizia del camino che, anche con l’adozione delle stufe, continuò ad essere usato solo nella parte relativa alla canna o condotto fumario. Alcuni, per pulirli introducevano nella canna fumaria il fucile da caccia carico a piccoli pallini e, sparando, “pulivano” il camino dalla fuliggine. Si ha memoria di due tentativi che non riportarono risultati lusinghieri: un mio vicino sparò dalla cappa demolendo completamente il comignolo senza scalfire la tenace fuliggine; in un paese vicino un altro “artigliere” edotto dal fallimento ricordato, sparò dal comignolo verso il basso rimediando alcuni mattoni divelti in casa ed un principio d’incendio della fuliggine, - calìsnä - spento allagando parzialmente la casa. di Giuliano Cereghini


CASTEGGIO

il Periodico News

DICEMBRE 2019

«Fossi e torrenti da pulire, si intervenga subito» «I danni causati dall’ultima alluvione sono il risultato di anni e anni di immobilismo, superficialità, incompetenza e scarsa sensibilità verso il decoro, la manutenzione ordinaria e la pulizia di fossi e torrenti» il consigliere comunale Salvatore Seggio, candidato sindaco appoggiato dalla Lega lo scorso maggio, attacca l’amministrazione. La città ha avuto diversi problemi dovuti al maltempo. Cosa non ha funzionato secondo lei? «Prima di ogni considerazione mi sento in dovere di ringraziare la protezione civile, la Croce rossa, le ditte e tutti coloro che hanno lavorato impegnando il massimo sforzo per far si che si tornasse alla normalità nel giro di poco tempo, oltre ai cittadini privati a cui mostro la mia vicinanza per i disagi e i danni subiti a causa dell’evento che si è verificato. Si è trattato di un evento intenso, la cui forza era quasi imprevedibile, ma abbiamo pagato a caro prezzo anni e anni di mancata manutenzione dei fossi e controllo capillare delle fasce di rispetto delle coltivazioni. Questo evento ha lasciato il segno oltre a qualche responsabilità indiretta ma in ogni caso ne siamo venuti fuori a testa alta»

Salvatore Seggio, consigliere di minoranza della Lega

Come giudica questi primi mesi di amministrazione Vigo? «Non si percepiscono cambiamenti, d’altronde questa amministrazione è la continuità degli ultimi venti anni che ha visto alternarsi alcune componenti senza mai stravolgere l’assetto governativo e quindi il modo di operare. Auspico maggiore sensibilità su alcune tematiche quali ambiente, scuole, sicurezza e lavoro senza tralasciare il rilancio del commercio locale e maggiore vicinanza alle nostre preziose associazioni che sono un grande punto di forza e di riferimento sul nostro territorio. Abbiamo

mostrato di essere un territorio fragile e sotto certi aspetti mi aspetto sempre maggiore attenzione e meno superficialità». Che linea di opposizione avete deciso di seguire? «Digerita, seppur con qualche rammarico, la sconfitta elettorale abbiamo fin da subito, assieme alla Consigliera Spanu, adottato una politica al fine di instaurare un dialogo costruttivo nell’interesse della collettività, accantonando in maniera netta personalismi che non rientrano nel nostro modo di operare, bensì di continuare ad essere sempre un punto di riferimento per i cittadini a cui dare risposte concrete tramite la vita amministrativa. Saremo attenti e vigili, ma ancor di più, nei prossimi mesi ci assicureremo che il programma elettorale presentato dalla Lista Vigo sia rispettato, secondo quanto promesso ai cittadini in campagna elettorale. Riteniamo sia importante e rispettoso nei confronti dei cittadini adoperarsi secondo quanto promesso e seguendo una chiara ed inequivocabile idea politica che comporta scelte e priorità». Quali sono i problemi principali di Casteggio in questo momento? «I problemi che caratterizzano la nostra

27

realtà sono diversi, spiacente che se se ne parli poco e vi sia poca informazione e scarso interesse. Dovremo lavorare molto sul tema ambiente, preservare il nostro territorio e adottare contromisure in grado di poter rilanciare la raccolta differenziata, la pulizia dei fossi e dei torrenti per, quantomeno, limitare il più possibile eventuali danni a seguito di eventi piovosi e intensi. Abbiamo il dovere di guardare alle future generazioni e in particolare mi riferisco al discorso scuole elementari, dobbiamo intervenire assolutamente prevedendo alcuni interventi estetici e, qualora fosse necessario, strutturali. Diversi sono i problemi che si possono elencare per ogni settore o categoria, ma ritengo sia davvero necessario tornare a ragionare da Paese, prestando attenzione ai servizi semplici che si possono offrire all’interno di una comunità che ha sempre gran voglia di fare come Casteggio». A suo parere cosa è prioritario in città? «Abbiamo la necessità di riportare gente e visitatori a Casteggio, sfruttando al massimo le nostre potenzialità e non più essere un paese di passaggio. Sono diverse le priorità, tante quanti sono i problemi e dovremo lavorare su questo». Cosa si aspetta per il 2020? «Non mi aspetto grandi cose ma se si riuscisse a far mantenere a Vigo la metà di ciò che è stato promesso e inserito all’interno del programma elettorale sarebbe già una grande vittoria. Noi ci siamo e ci aspettiamo molto perché prima di essere amministratori siamo cittadini e vogliamo il meglio per Casteggio». di Elisa Ajelli


TEATRO CARBONETTI


BRONI

il Periodico News

DICEMBRE 2019

29

Porta a porta al via, da febbraio multe a chi sgarra La novità più importante di questa fine 2019 per il comune di Broni è stata l’attivazione del servizio di raccolta differenziata porta a porta. Nonostante qualche intoppo nella prima settimana, il sindaco Antonio Riviezzi si dice soddisfatto e annuncia, a partire dal mese di febbraio, l’introduzione delle prime misure repressive per chi fosse particolarmente restìo all’adeguarsi. «Ci tengo però a rassicurare i cittadini che l’intenzione dell’Amministrazione non è di sanzionare ma di guidare i cittadini verso una corretta applicazione del porta a porta con gradualità e buon senso». Sindaco, a un mese dall’avvio del nuovo servizio può tracciare un bilancio? «Il bilancio è sicuramente positivo, posso ritenermi più che soddisfatto. Fondamentale è stata la ottima collaborazione con la Broni Stradella pubblica, che ha permesso di risolvere eventuali problematiche che si sono presentate in questo periodo. In concomitanza con la raccolta porta a porta è stata attivata anche un’isola ecologica, presso il parcheggio della stazione, ad accesso personalizzato per il conferimento d’emergenza. Inoltre, per consentire lo smaltimento di alcune tipologie di rifiuti, sono stati posizionati tre ecopunti, attivi da qualche giorno, dove poter conferire piccoli elettrodomestici, olio vegetale, pannoloni e pannolini. I punti sono situati presso il parcheggio del Gulliver, dell’Eurospin e nel parco Ferrara. Ricordo inoltre che, a partire dal mese di febbraio, saranno gradualmente introdotte le sanzioni previste nel regolamento approvato in Consiglio Comunale». Un’altra questione che l’ha vista impegnata nell’ultimo periodo riguarda sicuramente le annose problematiche del trasporto pubblico locale. Può dirci quali sono state le azioni intraprese? «A partire dal mese di ottobre abbiamo ricostituito il gruppo di lavoro formato da amministratori locali e rappresentanti dei pendolari, al fine di redigere un report completo di quelle che sono le problematiche del trasporto pubblico locale, ferroviario e su gomma. Successivamente abbiamo chiesto un appuntamento ufficiale al Prefetto per chiedere che le nostre istanze trovino riscontro nelle sedi opportune». Veniamo agli eventi. Siamo in pieno periodo natalizio e Broni è ormai nota per la casa di Babbo natale, quest’anno trasformata in un villaggio. In cosa consiste questa iniziativa ? «Visto il grande successo dello scorso anno, abbiamo deciso di ampliare questo coinvolgente progetto portando a Broni un vero e proprio villaggio, costruito

nell’area delle ex scuole di via Emilia. Al suo interno troverete ambientazioni magiche, laboratori per bambini e la ricostruzione della casa di Babbo Natale. Inaugurato lo scorso 30 novembre, il villaggio è aperto tutti i weekend di dicembre, e nelle giornate di lunedì 23, martedì 24 e dal 26 al 30 dicembre. L’ingresso è gratuito per chiunque voglia visitarlo». Le chiediamo anche una battuta sul Teatro Carbonetti: come sta andando la stagione? «La stagione teatrale sta andando benissimo, oltre le più rosee aspettative; tutti e tre i primi spettacoli hanno fatto registrare il tutto esaurito; la biglietteria non è riuscita a soddisfare le numerosissime richieste pervenute, tant’è che per tutti questi spettacoli abbiamo dovuto istituire una vera e propria lista d’attesa; anche per il quarto spettacolo in cartellone, Figlie di Eva del prossimo 11 gennaio, sono rimasti pochi tagliandi. Ma non sono solo gli spettacoli in cartellone ad andare alla grande: il primo appuntamento del Carbonetti 2.0, la rassegna dedicata ai più giovani, ha visto 340 ragazzi affollare platea e galleria: un successo senza precedenti, che si accompagna alla crescita di spettatori anche per gli spettacoli per i bimbi più piccoli, che stanno raccogliendo sempre più consensi non solo dalle famiglie di Broni, ma anche del circondario. Questi numeri stanno a testimoniare, se ce ne fosse ancora bisogno, come il Teatro Carbonetti stia diventando sempre più un punto di riferimento per tutto l’Oltrepò Orientale; la sua importanza per il territorio è rappresentata da numerosi fattori; in primis, dal fatto che tanti ragazzi, alla domenica pomeriggio, possono stare insieme e divertirsi in un ambiente sano senza stare soli davanti allo schermo di uno smartphone; secondo, dal fatto che i nostri bambini e i nostri ragazzi possano provare l’emozione di salire su un palco prestigioso come questo e di farsi applaudire dai propri familiari;

«L’intenzione dell’Amministrazione non è di sanzionare ma di guidare i cittadini verso una corretta applicazione del porta a porta»

«Come Amministrazione continueremo ad investire nel teatro, nei suoi spettatori e in tutti coloro che lo frequentano»

Antonio Riviezzi

terzo fattore, il fatto che le associazioni cultuali della città e del circondario abbiano a disposizione uno spazio dove potersi esibire; senza dimenticarci anche del fatto che centinaia e centinaia di persone di Broni possano trascorrere serate piacevoli e stare in compagnia e che numerose realtà del territorio decidano di diventare partner del Carbonetti e di investire proprie risorse per sostenerlo. Come Amministrazione comunale conti-

nueremo ad investire nel teatro, nei suoi spettatori e in tutti coloro che lo frequentano; non solo, continueremo a destinare risorse adeguate in tutto ciò che crea e favorisce la cultura nella nostra Città, come la biblioteca, le associazioni culturali, quelle sportive, di volontariato, di promozione del territorio e gli istituti scolastici di Broni». di Elisa Ajelli



CIGOGNOLA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

«Cancellati anni di buona amministrazione» Superata la delusione per la sconfitta elettorale, l’ex sindaco e attuale leader dell’opposizione del comune di Cigognola Marco Fabio Musselli attacca la giunta Orioli, rea di aver sconfessato quanto di buono fatto dalla sua Amministrazione. Musselli, è stata dura digerire la sconfitta? «Il comune di Cigognola è uno dei comuni più virtuosi della Provincia di Pavia perché ci siamo sempre impegnati per migliorare la situazione economica e finanziaria ottenendo ottimi risultati; abbiamo lavorato molto per la cura del territorio, con particolare attenzione al dissesto idrogeologico, sulla manutenzione degli spazi pubblici (edifici, piazze, verde pubblico) e per la promozione territoriale con una serie molto importante di iniziative sia durante il periodo invernale sia durante il periodo estivo. Abbiamo dedicato anche una particolare attenzione al settore del sociale affinché nessuno si sentisse abbandonato di fronte alle difficoltà della vita. Forte della convinzione di aver operato bene per il mio Comune non mi aspettavo di perdere, anche se durante la campagna elettorale mi sono reso conto che le cose fatte passavano in secondo piano di fronte a promesse elettorali e attacchi all’amministrazione uscente che non avevano alcun fondamento di verità». Quali fattori l’hanno maggiormente penalizzata, secondo lei? «Sicuramente la situazione politica nazionale ha avuto una forte ricaduta anche sul livello locale: l’attuale Amministrazione ha potuto contare sulla presenza di Ministri e Parlamentari allora al Governo mentre io avevo fatto la scelta di presentarmi con una lista civica dove le appartenenze politiche erano secondarie rispetto all’azione amministrativa». Continuerà a ricoprire un ruolo attivo all’interno del comune? Da che cosa sarà caratterizzata la minoranza consiliare nei prossimi 5 anni? «In veste di consigliere comunale, rappresento pur sempre il 45% della popolazione che ha votato e quindi, insieme agli altri due consiglieri di minoranza vigileremo sull’operato di questa Amministrazione e faremo un’opposizione positiva e propositiva». è stata la sua ultima candidatura? «Non so cosa farò tra quattro anni, ci penserò a tempo debito insieme al gruppo di persone che in questi anni hanno condiviso con me questo percorso» Ritiene valida questa nuova amministrazione? Secondo lei ha delle potenzialità e quali sono? «Devo dire che pur avendo amministra-

tori che negli anni precedenti sono stati in consiglio comunale, non mi pare che riescano a mettere a frutto quello che avrebbero dovuto imparare, anzi, mi pare che per ora l’unico obiettivo sia quello di fare esattamente il contrario rispetto alle scelte della precedente amministrazione anche se si tratta di situazioni che hanno dato risultati positivi, senza però avere la capacità di proporre soluzioni nuove. Sembra piuttosto che si sia tornati indietro nel tempo cancellando anni di buona ed efficiente amministrazione». I rapporti tra maggioranza e minoranza sono buoni? Esiste un dialogo efficace tra le due controparti? «I rapporti personali ovviamente sono buoni, perché siamo persone civili, ma i rapporti tra maggioranza e minoranza sono molto difficoltosi perché c’è una totale chiusura della maggioranza nei nostri confronti». Condivide qualcuna delle scelte fatte dall’attuale amministrazione? «Assolutamente no, siamo proprio su posizioni diverse per quanto riguarda l’idea di come deve funzionare un Comune e di come si debbano utilizzare le risorse». Ci sono problemi argomento di dibattito? «Ci sono molti problemi a partire dal bilancio appena presentato che non contiene nulla di quanto promesso in campagna elettorale. Nonostante, come dicevo, l’attuale vice sindaco sia stato consigliere di minoranza nella precedente amministrazione, quindi avrebbe dovuto conoscere la situazione finanziaria del Comune, in campagna elettorale hanno promesso di togliere l’addizionale comunale (irpef) che vale circa 50mila euro ma ovviamente non sono in grado di farlo perché non è così semplice recuperare questa somma da altri capitoli di bilancio. Inoltre, mentre la mia giunta aveva rinunciato agli emolumenti facendo risparmiare al Comune circa 20mila euro all’anno (100mila in 5 anni) l’attuale non lo farà e quindi devono recuperare altre risorse per coprire anche questa posta di bilancio. Non c’è traccia quindi di nessun nuovo progetto, un bilancio che prevede solo ordinaria amministrazione. L’unica opera in cantiere è stata finanziata con fondi arrivati alla fine del mio mandato, destinati a opere di efficientamento energetico e sviluppo sostenibile e si è pensato bene di fare più di mille metri quadrati di parcheggio in asfalto (quindi certamente non ecocompatibile) al servizio della scuola dell’infanzia che secondo noi non ne aveva alcuna necessità in quanto già dotata di parcheggio. Su questa vicenda abbiamo presentato una diffida a

31

Marco Fabio Musselli

«La mia giunta aveva rinunciato agli emolumenti facendo risparmiare al Comune circa 20mila euro all’anno, l’attuale non lo farà» procedere con i lavori in quanto, per avere il benestare dal Ministero per l’utilizzo dei fondi, si è esposta la situazione in modo fuorviante lasciando credere che ci fosse la necessità di una messa in sicurezza per tutelare i bambini durante l’ingresso e l’uscita dalla scuola materna». Ritiene che la nuova amministrazione li stia affrontando in modo risolutivo e che dia il peso adeguato ad ognuno di essi?

«Ritengo che la nuova Amministrazione non abbia ancora capito quanto tempo, attenzione e dedizione siano necessari per fare un buon lavoro ed ottenere dei risultati. Certo, possono sempre accontentarsi di fare solo ordinaria amministrazione, con la situazione che abbiamo lasciato possono vivere di rendita almeno per i prossimi due anni....». di Cecilia Bardoni


32

il Periodico News

STRADELLA

DICEMBRE 2019

A 19 anni costruisce case in legno per passione Davide Pellegrini, classe 2000, è un ragazzo della cosiddetta Generazione Z, la generazione dei giovani che hanno maggiore accesso alle informazioni grazie ad internet, declinata nell’uso di vari supporti tecnologici, dei giovani cresciuti più in fretta e diventati più sensibili verso i problemi del mondo e dell’ambiente delle generazioni precedenti. Sono infatti molto abili nel trovare soluzioni rapide ai problemi, sono di fatto molto intraprendenti e portati all’imprenditorialità. Si auto-identificano come leali, compassionevoli, spontanei, avventurosi e di mentalità aperta. Davide vive sulle colline dell’Oltrepò a Solinga, una piccola frazione del comune di Stradella, si è diplomato all’Istituto Tecnico Agrario “Gallini ” di Voghera, lavora nell’azienda vitivinicola di famiglia, si destreggia nella cucina dell’agriturismo alternandosi con la mamma, ma ha da sempre una grande passione, la lavorazione del legno che lo ha portato al raggiungimento di grandi soddisfazioni personali. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua storia. Pellegrini, lei è cresciuto in campagna, sempre a contatto con la natura in questo posto Solinga, con una bellissima vista sulle colline circostanti, un luogo quasi magico per un bambino... «Direi proprio di sì, io ho sempre amato questo posto, fin da bambino, quando c’era bel tempo, stavo fuori tutto il giorno a giocare con la terra e tutto ciò che di “naturale” avevo intorno. Mio papà ha sempre fatto l’agricoltore in questa azienda vitivinicola e nel 2006 ha costruito anche l’agriturismo in questa zona sopra le vigne e devo dire che il mio interesse per l’ambiente si è consolidato anche grazie a mio nonno, anche lui agricoltore. Mi sono quindi iscritto all’Istituto Tecnico Agrario a Voghera anche se, quando frequentavo la scuola media, i miei insegnanti me lo avevano sconsigliato perché, a loro avviso, era una scuola troppo impegnativa per me che avevo il problema della dislessia. Ma io, testardo come un mulo (ride), ho sempre avuto un carattere molto risoluto, seguendo la mia filosofia che dice che nella vita bisogna provarci, ho fatto questa scelta e devo dire, grazie agli ottimi insegnanti che ho trovato nel mio percorso e alla mia caparbietà e impegno nello studio, sono riuscito a diplomarmi con una buona media. Sicuramente ho fatto molti sacrifici perché avevo il problema del viaggio, spesso tornavo a casa a pomeriggio inoltrato, però, grazie a questa scuola, sono riuscito ad imparare un metodo di studio che mi è servito per ottimizzare i tempi e a ritagliarmi degli spazi per fare

Il progetto: realizzare un mini villaggio sul monte Giarolo

La casa in legno sul Monte Giarolo

altre cose». Quali erano le cose che più amava fare in questi ritagli di tempo? «Fin da quando ancora frequentavo la scuola materna ho sempre avuto la passione per il disegno. Per me il disegno è sempre stato un mezzo per tirare fuori tutte le mie idee ed anche un ottimo metodo per rilassarmi quando sono stanco. Devo dire poi che il disegno ha avuto un ruolo importantissimo anche nel mio apprendimento, perché la psicologa Laura Forni che mi ha seguito per i miei problemi di dislessia, ha saputo trasformare questa mia passione in strumento per ottimizzare lo studio. Durante il mio percorso scolastico, ho sempre utilizzato dei disegni per meglio ricordare le informazioni. Ad un certo punto il disegno non mi è più bastato per esprimere la mia creatività, avevo bisogno di tridimensionalità, ho iniziato con il dash, la pasta da modellare ma avevo bisogno di qualcosa di più natu-

rale e così sono passato al legno. A proposito di tridimensionalità, devo fare un passo indietro e ricordare che da bambino ho sempre giocato tantissimo con il LEGO e questo mi ha dato delle competenze strutturali che non avrei mai immaginato di avere, consiglio vivamente ai genitori di far usare le costruzioni ai bambini perché, secondo me, sono fondamentali per sviluppare la creatività e le capacità logiche». Che cosa creava inizialmente con il legno? «Il coltellino svizzero ricevuto in dono da mio padre da bambino è stato il mio primo attrezzo di lavoro con il quale ho iniziato intagliando i manici dei bastoni che usavo per andare nei boschi. Utilizzando le forcelle degli alberi creavo dei galletti, scolpendo testa e coda e un giorno mia zia, che doveva fare un regalo particolare, mi ha chiesto di farle una cornice per una fotografia.

Avevo 15 anni. L’ho realizzata, le è piaciuta ed anzi mi ha regalato 20 euro. Io felicissimo, ho subito investito quel denaro acquistando in ferramenta una sega e un martello e da lì non mi sono più fermato». Ha realizzato un suo laboratorio di falegnameria nel tempo? «Sì, sono partito con un banco da lavoro e degli attrezzi rudimentali e di scarsa qualità e sono arrivato ad avere attualmente una buona attrezzatura professionale. Ho iniziato a fare prima degli oggetti come taglieri ornati con disegni al pirografo o contenitori per amici e parenti ma il tempo durante gli anni della scuola è sempre stato poco. Con legno di recupero ho realizzato il bancone e i pensili della cucina di un appartamentino dell’agriturismo e mi sono molto divertito. Il legno è magico, se pialliamo delle travi che sembrano bruttissime, otteniamo un materiale praticamente nuovo con delle bellissime venature. è molto bello valorizzare quello che la natura ha creato». Quando ha concepito l’idea di costruire una vera e propria casa di legno? «Quando ero in quarta superiore ho partecipato con la scuola ad un progetto di trekking in Valle Staffora e durante questa esperienza ho conosciuto i ragazzi dell’associazione culturale “Pietra verde” che hanno un rifugio in Val Curone e durante l’estate organizzano un gruppo di tende vicino al rifugio per dare ospitalità ai visitatori. Un’altra delle mie passioni è la montagna e così, durante l’estate, sono andato a trovarli. Parlando del più e del meno è uscita l’esigenza del rifugio di avere un aiuto in cucina per una settimana e così mi son fermato e cucinavo paste e risotti.


STRADELLA Mentre ero lì, mi sono offerto di riparare una ringhiera di legno di una scala. Sono stati entusiasti del mio lavoro, abbiamo iniziato a fare dei progetti ed è nata l’idea di costruire una casetta ecosostenibile con cento per cento materiali di recupero e che potesse ospitare la gente anche nei periodi un po’ più freddi». A che cosa si è ispirato per progettare questa casa di legno? «L’idea della struttura della casa era nata 5 anni prima nel boschetto vicino a casa dove, con i miei amici, avevo costruito una casetta sull’albero che in pratica ho riprodotto al rifugio in dimensioni maggiori. Non bisogna mai dare niente per scontato nella vita. Abbiamo iniziato la costruzione a gennaio con temperature bassissime perché il rifugio è a 1100 metri. Stavo frequentando l’ultimo anno di scuola, dovevo prepararmi in vista dell’esame di maturità e ho dovuto organizzarmi al meglio per non trascurare lo studio e portare avanti il mio progetto che sognavo di vedere finito al più presto. Un progetto impegnativo, di dimensioni 4m x 7m di base e quasi 4m di altezza, su di una piattaforma a 50cm dal suolo. è stata una sfida con me stesso. Era la prima volta che mi cimentavo in una costruzione così grande. L’ho realizzata usando legno di bancali che alcuni ragazzi smontavano di volta in volta. Per il tetto ne ho usati circa 200. Ho dovuto tenere conto poi di tutti i problemi di sicurezza perché le persone dovevano essere tranquille quando andavano a dormire lì. Dopo vari tentativi ho deciso di realizzare la casetta con un angolo di apertura di 60° che mi permetteva di rendere la struttura molto solida e faceva scivolare via facilmente la neve dal tetto. Uscivo dalla scuola alle 15.00, in un’ora di macchina ero a destinazione, lavoravo fino alle 18.00/19.00 aiutato dai gestori del rifugio. Poi tornavo a casa e dovevo studiare.

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Davide Pellegrini, all’interno della sua casa di legno

è stato un periodo molto faticoso ma non mi accorgevo della stanchezza perché ero troppo preso dal progetto. L’ho terminata nel mese di giugno, prima della maturità. L’ho anche arredata con un letto, un soppalco con un altro letto, una poltrona e alcune piccole luci.

All’esterno ho realizzato due poltrone per il balcone». Cosa ha provato quando ha visto il suo progetto finalmente realizzato? «A metà febbraio avevamo finito la base e a terra avevo costruito la travatura del tetto e, quando le due persone che mi aiutavano

33

hanno alzato insieme il primo anello, mi sono emozionato e quasi commosso. Finché il progetto era nella mia testa era un conto ma vedere una struttura alta quasi 5 metri realizzata è stato fantastico! Ho sostenuto l’orale della maturità il 27 di giugno e dopo due giorni son partito per la vacanza di una settimana nella mia casetta tra i faggi in alta montagna. Una bella soddisfazione. Quando son tornato ho postato le foto sul mio profilo Instagram e una mia amica mi ha fatto conoscere il blog “Narrando Oltrepò” che consiglio a tutti perché fornisce notizie molto interessanti sul nostro territorio. Mi hanno contattato per far conoscere la mia esperienza. Ho ricevuto tantissimi like sulla mia pagina Instagram e da lì mi ha addirittura contattato il “Corriere della sera”. Un successo incredibile! Parlando con i ragazzi dell’associazione, è scaturita l’idea di progettare un mini – villaggio di casette e dobbiamo organizzare un budget per la costruzione. Sono molto orgoglioso e felice!». Pensa di continuare gli studi compatibilmente con tutti i suoi progetti? «Ho voglia di apprendere e di crescere in tutti i campi e non escludo di frequentare qualche corso di specializzazione a livello universitario. Vedremo, non ho ancora deciso bene. Inizio ora un corso di soft skills, abilità trasversali, public speaking e poi mi impegnerò sicuramente a sviluppare un’agricoltura che si sposi con l’ambiente, che pensi al benessere delle piante perché se una pianta sta bene, produce buoni frutti. Da quattro anni in azienda non usiamo nessun tipo di prodotto chimico con buoni risultati. è un percorso che ci porta chiaramente a doverci accontentare di quello che la terra ci offre. E poi, secondo me, bisogna mettere una grande passione in qualsiasi campo e essere sempre attivi». di Gabriella Draghi



STRADELLA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

35

Italia Viva è approdata a Stradella Anche in Oltrepò si sono creati i primi gruppi afferenti a “Italia Viva”, il nuovo soggetto politico ispirato da Matteo Renzi. A Stradella fra i promotori c’è Lele Filipponi, amministratore di lungo corso della città e in passato membro del Partito Democratico. Filipponi ci ha spiegato questo momento di transizione. Filipponi, per lei il recente è stato un periodo di cambiamenti. «Dal 1° settembre mi sono dimesso dal PD, partito di cui facevo parte da quando era nato a Stradella, e per il quale sono stato anche dirigente provinciale, a Pavia.» Ed è successivamente approdato nel nuovo soggetto renziano, Italia Viva. Quali le ragioni? «Io sono sempre stato renziano, premetto. Abbiamo fondato il comitato a Stradella con l’obiettivo di creare un’alternativa che possa far avvicinare i giovani alla politica, che sappia come affrontare i problemi del territorio. Come quelli relativi a lavoro, sanità, logistica, agricoltura, trasporti e ambiente soprattutto. Temi che hanno causato tante criticità sul nostro territorio.» Ed il PD questo non lo faceva? «Il PD è un partito dove ho avuto modo di lavorare per tanti anni. È diventato scollegato, a mio parere, con le realtà territoriali; un po’ stagnante. Ma non voglio parlare del PD a cui auguro buon lavoro. La mia decisione è arrivata al di là delle scelte che ha intrapreso Renzi. Del resto il 1° settembre, quando sono uscito dal partito, ancora non avevo deciso di confluire in Italia Viva.» Una nuova strada per lei, insomma, ci sarebbe stata al di là della novità renziana. Certo la sua è un’uscita di peso; non voglio fare una conta dei voti che lei porta in dote, ma quantomeno per la sua esperienza in comune che non inizia certo ieri... «Sono stato Consigliere comunale, Capo di gabinetto del Sindaco, Consigliere delegato e poi Assessore alla sicurezza, ai trasporti, al turismo, alla Protezione Civile e alla Polizia Locale. Tutto il pacchetto sicurezza, insomma. Porto la mia esperienza a disposizione dei giovani.» Parliamo allora delle sue idee a proposito di trasporti: la situazione dello stradellino. «Ci sono delle grosse lacune. Viabilità, strade, problemi di trasporti, sia su gomma che su ferrovia... i giovani – ma non solo loro, tutti i pendolari – hanno veramente dei grossi disagi per raggiungere Pavia e Milano tutti i giorni, un problema che sussiste da tantissimi anni. Alcuni politici locali hanno provato a bussare alle porte che contano cercando di farsi valere... ma non abbiamo avuto molti esiti positivi. Quando ero assessore ai trasporti siamo andati da tutti: consiglieri provinciali, consiglieri

regionali. Per cercare di far sì che si mettessero carrozze più idonee sui treni. Devo constatare che oggi i problemi sono ancora gli stessi di cinque anni fa.» Poco fa ha marcato l’accento sulla questione ambientale. Vuole spiegarmi meglio? «Ambiente, inquinamento, smog. Sono temi di cui dovremo parlare di più. Come dei problemi idrogeologici di questo territorio: abbiamo visto in queste settimane cosa è successo con il maltempo. Ringraziando il cielo tutto qui è andato tutto bene o quasi, ma i nostri terreni sono soggetti a smottamenti e non si può aspettare che succeda il peggio.» Il comitato quando e come è stato costituito? «Il comitato è stato costituito nei tempi necessari, quindi ai primi di ottobre. Un gruppo di ragazzi, e anche un buon gruppo di cittadini, che avevo coinvolto durante le ultime elezioni amministrative (poi perse), aveva l’esigenza, il desiderio, di fare qualcosa di nuovo. Così è nato il Comitato Stradella - Oltrepò orientale, comitato di azione civile locale “Ritorno al futuro”. E sono andato alla Leopolda.» Come vi rapporterete da Stradella con i territori limitrofi? Immagino vi occuperete non solo della città ma anche dei paesi circostanti. E, già che parliamo di rapporti intercomunali, magari può dirmi se vi siete già incontrati con gli altri renziani dell’Oltrepò, a cominciare dai vogheresi, capitanati da Giacomo Lorenzo Botteri... «A Zenevredo è nato un altro comitato, che raggruppa tutte le colline. Loro si occupano di Zenevredo, Montù Beccaria, San Damiano al Colle, Santa Maria delle Versa e tutta la Valle Versa. Tutta la zona della collina. Il comitato si chiama CAC - Democrazia Zenevredo. Però noi lavoriamo in simbiosi. Siamo uniti e operativi, c’è differenza anche rispetto ad altre volte in cui si interagiva con i territori circostanti all’interno del PD. Non c’è campanilismo. Lavoriamo tutti uniti. Ci siamo visti a Pavia per alcuni incontri con gli altri rappresentanti del territorio, per discutere dei progetti locali e a livello nazionale. Per me si è trattata di una bella esperienza. In questo partito ho visto ragazzi giovani e con voglia di fare. A cominciare dal gruppo della Leopolda. Quello che mi piace è il modo in cui si fa politica qui. Una politica nuova. Non si va a sbandierare o urlare in piazza, magari senza avere dietro i contenuti. Si fanno tavoli di lavoro con giovani che portano le loro idee. Questo è quello che mi interessa e che mi è piaciuto di quei 3 giorni a Firenze. Questo è lo spirito innovativo di questi comitati.» Come pensate di farvi conoscere dai cittadini?

«Ci è stata assegnata dal Comune una bacheca a Stradella in Piazzale Trieste, dove saranno pubblicate le nostre iniziative. Una piccola cosa ma anche un bel punto di partenza in questa casa liberale, giovane, innovativa, riformista e garantista in cui io e Maurizio Visponetti ci stiamo impegnando. Andiamo avanti con le nostre idee e con i progetti che questo territorio necessita da tempo.» La presenza di Visponetti nel movimento è certamente “di peso”. Ci saranno altri ingressi eccellenti? «Anche lui è sempre stato renziano come me, e ha seguito Renzi nel nuovo soggetto. Devo assolutamente dire che La Torre Alleanza Civica ha lavorato molto sui giovani; abbiamo lavorato tutti sui giovani, compreso Pier Giorgio Maggi. Abbiamo perso per una manciata di voti, anche se quei giovani ce l’hanno messa tutta. Alcuni di essi sono entrati in Italia Viva, e non si sarebbero riconosciuti, però, nel Partito Democratico. Per quanto riguarda Maurizio, il suo impegno mi ha fatto molto piacere. Ci siamo parlati - lui era uscito molto prima di me dal Partito Democratico - e abbiamo cercato di portare avanti questo progetto. » E gli altri esponenti politici del territorio? «Alla Leopolda mi sono visto con Emanuela Marchiafava, riferimento provinciale, e un gruppo di amici ed ex amministratori del nostro territorio e abbiamo ragionato. Quello che voglio dire è che questa esperienza a Firenze è stata bella per il concetto di fare una politica diversa. Partecipare a un tavolo di lavoro, costruire progetti intorno ai giovani, avere la possibilità di portare le proprie esigenze e idee... è un modo di fare contrapposto alla vecchia politica, ai personalismi. È giusto sia nata Italia Viva come è giusto che si creino uno spazio altri soggetti moderati, che possano contrastare il sovranismo di questi partiti che portano e trasmettono solamente odio e cattiveria. Speriamo che il nostro nuovo partito possa riuscire in questo compito.» Una delle proposte del vostro movimento, a livello nazionale, è “Shock Italia”, ossia l’idea di replicare a livello nazionale il modello “Expo” per sbloccare 120 miliardi di lavori pubblici bloccati da anni. In zona ci sono esempi di opere che potrebbero essere interessate da questa proposta o dalle sue evoluzioni? «Dobbiamo pensare e progettare il futuro dell’Oltrepò e pertanto ipotizzare nuove e moderne infrastrutture, pertanto il nuovo Ponte della Becca diventa improcrastinabile: c’è la necessità quanto prima del ponte sostitutivo che possa portare i pendolari a Pavia in breve tempo. Le persone impiegano almeno 50 minuti la mattina per arrivare a Pavia. Il sogno è quello di arrivare ad

Lele Filipponi avere strade senza buchi, che creano problemi e disagi. Anche di sicurezza. Abbiamo visto quanti incidenti sono successi per questi eventi climatici a novembre, quando ci sono state più di 12 perturbazioni in un mese, una media di 3 volte a settimana.» Il vostro prossimo obiettivo a Stradella? «Se riuscissimo oltre alla bacheca ad avere anche una sede, sarebbe un’ottima cosa. Abbiamo già dei contatti. L’idea è quella di uno spazio che possa raggruppare tutti gli iscritti ed essere a disposizione in particolar modo dei giovani. Perché no, anche dei colleghi di Zenevredo, per essere ancora più uniti nei progetti che porteremo avanti. Non voglio essere campanilista, dobbiamo collaborare insieme per il nostro territorio. Collaborare con tutte le forze democratiche e progressiste per il rilancio del territorio.» Come pensa che dovrebbe essere questa sede? «Una sede che avrà sicuramente idee, tavoli di lavoro. Una sede dove la gente non venga a leggere manifesti... dovranno esserci riunioni, tavoli di lavoro dove le persone possano portare il loro contributo. Poi ci saranno corsi di politica. Gli iscritti verranno e porteranno le loro problematiche quotidiane. Non sarà una sede da avere giusto per tenere accesa la luce e appeso fuori il manifesto, ma un luogo di incontro aperto a tutti.» Come ci si iscrive a Italia Viva? «Abbiamo già messo sulla bacheca le istruzioni per iscriversi online. Una cosa molto importante che è uscita dai tavoli alla Leopolda è quella di non fare la classica tessera di partito, che spesso in alcuni vecchi partiti veniva anche elargita gratuitamente dal politico di turno per consolidare il proprio potere interno. Da noi sarà tutto svolto online. Si tratta di un atto più corretto, nel rispetto degli altri e di sé stessi.» Italia Viva ha un proprio rappresentante nella compagine di governo: è il Ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova. Non sarebbe male se lei o altro esponente governativo venisse a fare un giro in Oltrepò... «L’idea c’è. A Milano abbiamo già contattato degli esponenti importanti, sicuramente l’idea insieme agli altri colleghi della provincia di Pavia è quella di portare qualcuno anche qui. Certo, il ministro Teresa Bellanova sarebbe la benvenuta nel nostro Oltrepò prevalentemente agricolo. Ci stiamo lavorando.» di Pier Luigi Feltri




40

il Periodico News

STRADELLA

DICEMBRE 2019

Viaggio nella Stradella “stellata”: l’alta cucina come ricetta anticrisi Voghera sarà anche la capitale “politica” dell’Oltrepò ma, se si parla di divertimento e ristorazione, la leadership sul territorio appartiene a Stradella. Una piccola realtà di Provincia che offre un numero così elevato di ristoranti di alto livello rappresenta sicuramente una rarità. Perché in tanti l’hanno preferita alla pur vicina Voghera? La crisi economica rappresenta una zavorra oppure un trampolino di lancio per chi ha idee su cui investire? Infine, lavorare in Oltrepò piuttosto che in un centro più attrattivo dal punto di vista turistico è davvero così penalizzante? Sulla tavola dei ristoranti di Stradella, uno dei quali può da poco vantare anche una Stella Michelin, tradizione e innovazione si incontrano. L’offerta culinaria è ampia e fonde la tradizione oltrepadana all’oriente, la Provincia di Pavia con Roma e alterna con disinvoltura carne e pesce. PERCHè STRADELLA – Chi ha scelto di aprire o restare a Stradella lo ha fatto per una serie di ragioni. Secondo Caterina D’Urso, del Garybaldi Japanese Restaurant, la posizione geografica è stata determinante. «Stradella ha una posizione strategica, a metà tra la provincia di Pavia e quella di Piacenza e quindi potenzialmente offre un bacino molto ampio di clientela». Secondo Giacomo Viglini, di Villa Naj (ristorante fresco di stella Michelin), è importante essere qui perché «Stradella è una città che vive, non tanto per il contributo delle varie amministrazioni che si sono succedute nel tempo, ma per il contributo dei singoli commercianti che credono in questa realtà, che credono nel territorio e che investono in esso ogni giorno. Soprattutto vive per la gente che popola la città e i dintorni, che sempre hanno eletto Stradella come punto di riferimento per il tempo libero, il piacere ed il divertimento».

Tutti per uno: «Tra noi unità di intenti, al contrario delle Cantine»

Caterina D’Urso e lo chef Federico Baraldi, del Garybaldi Japanese Restaurant

Sempre dettata da motivi strategici la scelta di Filippo Savini, titolare del White Rabbit: «Fare un locale in un altro luogo non avrebbe lo stesso effetto, perché qui c’è una massa di gente che si sposta in città. Logisticamente, poi, è un posto che è in mezzo ad altri paesi che alla sera non lavorano o dove comunque c’è poco. Qui invece c’è pieno di bar e ristoranti». LA CRISI – Ci sono diverse scuole di pensiero riguardo ai periodi di congiuntura economica particolarmente difficile. Una di queste vede nei periodi di crisi terreno fertile per idee nuove e innovative. Nel caso di Stradella, i ristoratori hanno saputo reagire in modi diversi, ma sempre in sinergia, facendo gioco di squadra come nel caso della manifestazione “Le Vie del Gusto” organizzata l’estate scorsa. Il resto lo hanno fatto fantasia e piglio imprenditoriale. Filippo Savini si è perfino inventato il ristorante “segreto”, unico nel suo genere in Italia. «Il White Rabbit – racconta – in realtà è un bar, ma se si entra nella porta giusta, che va cercata, si entra nella parte ristorante». Porte segrete, un pozzo da 15 metri e un menù con il lucchetto. Se le è inventate tutte, e funzionano. «Arrivano moltissimi clienti da fuori e le grandi aziende ci contattano perché interessate dal progetto». «Non si può stare fermi e aspettare che i clienti arrivino – gli fa eco Caterina D’Urso del Garybaldi – Periodicamente creiamo serate ed eventi speciali, i social sono fondamentali per pubblicizzarsi an-

Filippo Savini del White Rabbit

Elena Grigoroi e lo chef di Gioele

Boom di locali che puntano sulla ristorazione ad alto livello: «è una città viva» che al di fuori del proprio territorio e credo che le collaborazioni con altri locali siano utilissime a promuovere il territorio e quindi se stessi». Se l’unione fa la forza, un’altra ricetta anticrisi è l’investimento sulla qualità assoluta. Così ha fatto Villa Naj: «Nel difficile momento storico in cui viviamo l’unico aspetto da non sacrificare è la qualità, imperativa nella responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri clienti quotidianamente» dice Giacomo Viglini. Qualcun altro, invece, come Simone Cucchiarelli del Simo Restaurant, ha scoperto di avere un talento anche sui social network, riuscendo a tenere alta l’attenzione sul proprio lavoro sfruttando il web a suo vantaggio: «Le sere un po’ scarse ogni tanto capitano ancora ma grazie al lavoro sui

social riusciamo sempre a garantirci un buon risultato. Per questo Simone si impegna molto» spiega la partner Deborah Leonello. «Studia i social ed è diventato molto bravo con pubblicità, video, locandine. Riesce sempre ad attirare l’attenzione della gente e non a caso abbiamo più di 10 mila follower su Instagram e Facebook». TRADIZIONE O INNOVAZIONE? – Le strade scelte dai ristoratori per percorrere le vie della qualità sono diverse ma, a loro modo, tutte efficaci. Il Garybaldi ha dedicato una sezione del bar alla cucina giapponese, con un concetto lontano dallo stile dell’all you can eat che oggi è di tendenza: «Puntiamo sull’abbinamento con materie prime del Mediterraneo e vini di qualità. Abbiamo pochi coperti,


STRADELLA solo 24, che permettono anche una maggiore attenzione al dettaglio e soprattutto al cliente». Sempre legato all’esotico il “White Rabbit”, la cui cucina è figlia delle esperienze internazionali del suo proprietario Filippo Savini. Nord della Spagna e Oriente le principali fonti di ispirazione. A Villa Naj, con l’acquisto dello chef Proietti Refrigeri, forte delle esperienze al Noma di Copenhagen e alla Pergola di Roma, è arrivata la Stella Michelin (attualmente l’unica in Oltrepò). “Simo” invece punta sulla tradizione (che sia romana e non pavese poco importa) e sulla fidelizzazione della clientela. La semplicità è regola anche per il Gioele, che per ottenere il massimo dal rapporto qualità prezzo ha puntato sull’ “home made”, producendosi in casa gran parte delle materie prime. «Pasta, pane, dolci. Abbiamo tantissime cose fatte in casa – spiega Elena Grigoroi - che sono quelle che permettono di risparmiare e di dare comunque un’alta qualità». OLTREPO: TERRA ARIDA O FERTILE? – Investire e lavorare in Oltrepò vuol dire confrontarsi con un territorio “gnucco”, ma anche ricco di risorse da sfruttare. Nel giudizio sul territorio i pareri dei ristoratori stradellini si dividono. C’è chi vede il bicchiere mezzo pieno delle potenzialità ancora inespresse e chi invece sente di più il peso di una “zavorra”. «Alla gente del posto – spiegano da “Simo” – piace godere del buon cibo e

il Periodico News

DICEMBRE 2019

41

sviluppo che potrebbe essere più rapido. «Operare in Oltrepò attualmente non è un vantaggio, perché non è una zona rinomata, e perché non c’è un’unità di intenti, come ad esempio tra le cantine» attacca Filippo Savini. «Ma la nostra città, grazie alla collaborazione e la sana concorrenza tra gli operatori del settore, può diventare un vantaggio: un locale solo non fa il posto, ma dieci locali vicini sì». Conclude Elena Grigoroi: «L’Oltrepò è un bel territorio, lo dico molto onestamente, ma non siamo bravi a valorizzarlo. Proprio per questo dobbiamo fare tanto per crescere e farci conoscere. Ma non lo ritengo uno svantaggio». Al centro lo chef Alessandro Proietti Refrigeri con i fratelli Viglini di di Villa Naj

del buon vino e in più tante persone del milanese (e non solo) vengono qua per scappare dai ritmi caotici della città. Posto più azzeccato per aprire un ristorante non c’è!». Dello stesso segno l’opinione di Viglini a Villa naj: «L’Oltrepò non è un limite, anzi, dovrebbe essere il nostro cavallo di battaglia da sfruttare per attirare a noi il turismo, realtà ancora così poco sviluppata nel nostro territorio in realtà fatto di scorci, sapori e profumi unici e di una bellezza e ricchezza rara». Al Garybaldi, invece, vedono contrapposto a un enorme potenziale inespresso una «mentalità chiusa e rivolta al proprio orticello» che finisce per fare da tappo a uno

di Elisa Ajelli

Deborah Leonello e Simone Cucchiarelli del Simo Restaurant


VILLA MAGGI


STRADELLA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Barman stradellino protagonista a Roma Il giovane maître e barman stradellino Benito Langella, 29enne originario di San’Angelo Lodigiano ma cresciuto tra Broni e Stradella da sempre, si è aggiudicato un importante premio durante un concorso a Roma, dove si è aggiudicato il primo posto nella categoria “sparkling” per il miglior cocktail a livello nazionale utilizzando le bollicine. Cresciuto accanto alla nonna ai fornelli, fin da piccolo voleva fare il cuoco. Dopo tre anni al Santa Chiara di Stradella passa al Cossa di Pavia per completare i cinque anni, e nel 2009 si diploma come ‘operatore di sala’ e, nel frattempo, fa un corso da barman a Pavia. Langella, come mai la scelta di operatore di sala, rispetto al sogno iniziale di diventare cuoco? «Il cambiamento è dovuto ad un amico di famiglia: suo figlio, mio carissimo amico, ha scelto ‘sala bar’…io con il professore di ‘sala bar’ non ci andavo molto d’accordo ed è stata questa persona a farmi capire di cambiare atteggiamento con il professore, di prendere le cose da un altro punto di vista, perché questo percorso poteva essere giusto per me. Piano piano sono riuscito a fare questo cambiamento e sono riuscito a conquistarmi la fiducia del professore e ad essere scelto per questo percorso». Dopo le scuole superiori cosa ha fatto? «Ho iniziato a lavorare da subito. Mi sono diplomato a luglio e a settembre già lavoravo, nel bar del paese a Belgioioso, grazie ad amici di famiglia che avevano necessità di assumere qualcuno e hanno scelto me. Poi ho lavorato a Stradella, a Santa Maria della Versa e poi ancora a Pavia, in un bar prima e in un ristorante poi. Successivamente ho deciso di fare il ‘salto’». Quindi? «Ho iniziato a mandare curriculum vitae a destra e a sinistra, fino a quando mi ha chiamato il Trussardi alla Scala. Qui ho fatto un anno e poi lo chef, cambiando location, ha voluto che lo seguissi a Palazzo Parigi, che è un locale 5 stelle lusso in zona Brera. Poi mi sono preso un anno sabbatico e ho deciso di diventare un ‘extra’…stavo quindi dietro a ristoranti e alberghi che mi chiamavano». Come mai questa scelta? «Perché volevo capire da più persone come lavoravano, approfondire di più il mio livello di preparazione». è servito? «Assolutamente sì, perché ogni settimana vedevo diversi responsabili di sala lavorare…e da ognuno di loro prendevo qualcosa». E poi? «A gennaio del 2018 mi ha contattato questo posto di Sannazzaro, dicendomi

43

Benito Langella e Annalisa Magri

che avevano bisogno di una figura di responsabile di sala per un progetto interessante: ho deciso di accettare questa sfida, insieme allo chef con cui avevo lavorato a Milano». E come è andata? «Direi bene per il momento, visto che sono ancora lì! Il percorso è sicuramente lungo, perché si è a Sannazzaro e ci vuole tempo per farsi conoscere bene, però sta andando bene». Attualmente di che cosa si occupa? «Sono responsabile di sala in questo ristorante gourmet di recente apertura, è una struttura importante perché messa all’interno di un hotel con 75 camere e io mi occupo del servizio ai tavoli, degli ordini, della gestione dei ragazzi e dell’organizzazione della cantina e della carta dei vini». Ha fatto molti concorsi? «Li faccio dal 2007 in realtà. Prima come emergente e poi come barman a tutti gli effetti. Sono andati sempre abbastanza bene, l’apice l’avevo raggiunto due anni fa a Roma, dove avevo vinto la semifinale e in finale avevo raggiunto il ventiduesimo posto.

Benito Langella è anche maître di successo: «Senza passione si va a casa dopo due giorni» Ultimamente ne ho fatto uno a Merano come emergente responsabile di sala e infine di nuovo a Roma pochi giorni fa». Risultato? «Era il settantesimo concorso nazionale Aibes (associazione italiana barman e sostenitori)…su 56 partecipanti alla semifinale passavano in 16 e io sono passato in finale nazionale…e ho vinto la categoria sparkling! Poi i primi classificati delle otto categorie presenti si sfidavano per andare al mondiale…io sono arrivato a solo due punti dal podio, ma è stata comunque una soddisfazione davvero enorme». Non le chiediamo la ricetta del cocktail vincente, ma almeno può indicarci gli

ingredienti? «Sciroppo di fragole, sciroppo di cranberry, vodka, succo di lime tutto nello shaker. Poi si completa tutto con champagne blanc de blanc». Il fatto di arrivare da un paese dell’Oltrepò ha rappresentato un ostacolo alla sua carriera? «No, assolutamente. In questo lavoro serve tanta voglia di lavorare e tanta pazienza. Se non si ha la passione dopo due giorni si torna a casa: io ho avuto tanta passione e tanta determinazione». di Elisa Ajelli


44

il Periodico News

VALLE VERSA

DICEMBRE 2019

Vignaioli Indipendenti: boom di adesioni in Oltrepò Si è da poco conclusa l’edizione 2019 del “Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti” organizzato dalla FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti): un’edizione da record, con 626 vignaioli presenti e 22.500 visitatori. Costituitasi nel 2008, la FIVI è una federazione di vignaioli nata per difendere gli interessi dei propri aderenti in ambito morale, tecnico, sociale economico e amministrativo; per partecipare alle politiche di sviluppo viticolo a scala locale, nazionale ed europeo ed, infine, proporre misure economiche e norme legislative nell’interesse dei Vignaioli Indipendenti. La federazione inoltre propone e promuove un’organizzazione economica del vino sostenibile e razionale, dialogando con i poteri pubblici con l’obiettivo di esprimere le problematiche specifiche dei vignaioli associati. Gianluca Cabrini, 40 anni, titolare dell’Azienda Agricola Belvedere di Montecalvo Versiggia, dal 2016 è delegato FIVI Oltrepò Pavese. Gianluca, quando ha iniziato la sua attività agricola? «La mia realtà nasce nel 2013, quando ho fatto ripartire l’azienda agricola che era di proprietà dei nonni di mia moglie. La mia fortuna, come dico sempre, è stata quella di avere lo storico in vigna e non in cantina: vigneti dai trenta ai sessant’anni di età che mi hanno permesso di avere già un prodotto interessante da poter trasformare». Come mai questa scelta? «Io non arrivo da questo mondo: fino al 2012 vendevo automobili nel lodigiano. Saturo di questo mondo mi sono buttato in questa impresa. Prima di allora non mi

Gianluca Cabrini delegato FIVI Oltrepò Pavese ero mai occupato di vino, anzi ero un consumatore molto “basic”. Poi frequentando corsi ed interessandomi sempre di più mi sono trovato immerso in questa realtà». Che tipo di impostazione ha dato alla sua azienda? «Ovviamente, dovendo iniziare da zero, ero consapevole di non poter fare grandi numeri e che l’unica soluzione era fare della qualità, qualcosa di diverso. Il mio vino più rappresentativo è il Wai, un vino che finisce la fermentazione in bottiglia: una sorta di metodo classico senza sboccatura, come i vini frizzanti di una volta. Sono prodotti di nicchia, ma da bere tutti i giorni. Quando ho iniziato ho da subito pensato di dover dirigermi verso una certa direzione. Attualmente abbiamo i vigneti in conversione bio e in cantina facciamo il minimo della lavorazione: nessun filtraggio, nessu-

na chiarifica e rifermentazione spontanea. Ora va di moda parlare di “vino naturale”, ma io parlerei di “vino rispettoso”: al consumatore bisogna fargli capire innanzitutto che esistono due tipi di vini, quello industriale e quello artigianale. Tra gli artigianali troviamo il convenzionale, il biologico, il biodinamico e il naturale. Poi naturalmente molte tipologie si vanno a sovrapporre e sono collegate tra di loro». Perché ha scelto di aderire alla FIVI? «Io non mi sono associato subito, in quanto il primo anno la cantina era in ristrutturazione e ho vinificato presso terzi. Terminati i lavori mi sono subito iscritto, perché ho trovato questa associazione “pura”, fatta di vignaioli che portano avanti un progetto comune senza divisioni. Io non conoscevo ancora bene le realtà e le dinamiche del ruolo, ma da subito ho avuto fiducia in questa federazione». Lei è delegato per l’Oltrepò Pavese: negli ultimi anni la FIVI ha avuto un vero e proprio boom nella nostra zona, con l’adesione di diverse aziende… «Sono delegato FIVI dell’Oltrepò Pavese dal novembre 2016: questa funzione nasce in quanto FIVI nazionale non riuscirebbe ad occuparsi di tutto il territorio italiano senza un referente che faccia da tramite. Non sono solo, in quanto sono aiutato da Luca Padroggi, Alessio Brandolini, Riccardo Riccardi e Matteo Maggi, altri vignaioli associati. In Oltrepò il numero di aziende è aumentato notevolmente ed è per questo che si è deciso di alzare l’asticella ufficializzando una delegazione, per avere un maggiore peso e maggior rappresentatività in Consorzio di Tutela Vini. Ora la delegazione

Oltrepò vanta 35 aziende associate e il merito di questo successo va dato a tutti: ognuno ha messo del suo per raggiungere questo risultato. Non bisogna limitarsi a identificare la FIVI solo come il “Mercato dei vini” di Piacenza, come molti pensano. “Il Mercato” è un complemento di un lavoro di un anno, dove la federazione permette all’associato di vendere il suo prodotto. La FIVI svolge il ruolo di un sindacato, che non da servizi, ma che porta avanti progetti comuni e fa valere le proprie ragioni ai tavoli di lavoro, al Ministero o a Bruxelles». Pensa che questo interesse collettivo per la Federazione possa dare uno spunto al rilancio del settore vitivinicolo oltrepadano? Cosa potrebbe fare (o sta facendo) la FIVI a favore dell’Oltrepò? «La FIVI è rappresentata in Consorzio da un nostro socio, Camillo Dal Verme. Anche FIVI sta portando avanti l’idea che un vignaiolo venga considerato in modo più bilanciato per i tre ruoli che ricopre: quello di produttore, di vinificatore e di imbottigliatore. La FIVI non darà uno spunto ma sarà fondamentale per il rilancio di questo territorio, perché le aziende associate sono tutte di livello qualitativo medio-alto. Come delegazione Oltrepò non abbiamo potuto ancora fare nulla di particolarmente rilevante, in quanto ci siamo costituiti da poco: per ora di tangibile è stata organizzata la giornata di presentazione della delegazione a Pavia e un’anteprima del Mercato dei Vini all’enoteca regionale. Stiamo organizzando anche “punti di affezione” presso ristoranti ed enoteche dove si potranno trovare i nostri vini. Da oggi cercheremo di far scoprire il nostro territorio a noi stessi, agli oltrepadani e ai pavesi, facendo capire che anche noi facciamo vini interessanti. L’Oltrepò non è solo grande distribuzione e grandi cantine». A fine del mese scorso vi abbiamo visti impegnati al Mercato dei Vini di Piacenza 2019, un’edizione record. Com’è andata? «Ogni anno è un’edizione da record: solo sabato ci sono stati 10.100 ingressi. Aver


VALLE VERSA ampliato l’evento a tre giornate è stata una mossa azzeccata, in quanto al lunedì ci sono stati parecchi operatori. Da alcuni anni il mercato è frequentato anche da diversi stranieri, buyers e non solo, provenienti da USA, Spagna, Corea e altri paesi: certo, non sono buyer da grandi numeri, ma sono rapportati a nostri numeri e nostre esigenze». Per concludere, pensa che la FIVI possa accogliere altre aziende oltre padane interessate? Non si rischia che l’ingresso di troppe aziende possa creare degli squilibri? «Tutte le aziende che supportano la nostra filosofia sono ben accette, non abbiamo imposto vincoli o numeri chiusi. Basta avere e garantire i requisiti richiesti dalla federazione. Proprio due anni fa è stato rivisto il regolamento per evitare l’ingresso di società commerciali e mantenere pura l’associazione con soli vignaioli. Non penso che l’ingresso di altre aziende possa causare degli squilibri: se sono omogenee e spinte dagli stessi ideali credo che si andrà a creare un gruppo ancora più forte e con un peso più rilevante».  Oltre a Gianluca Cabrini, abbiamo voluto sentire il parere di alcuni vignaioli oltrepadani presenti al Mercato dei Vini di Piacenza. Alessio Brandolini, titolare dell’omonima azienda vitivinicola di San Damiano al colle Quando si è iscritto alla FIVI e quale è stata la motivazione che l’ha spinta a farlo? «Mi sono iscritto alla FIVI nel 2015 perché è l’unica associazione che difende gli interessi dei vignaioli, che curano tutta la filiera produttiva». Da quanto tempo partecipa al Mercato dei Vini di Piacenza? Come ha trovato l’edizione 2019? «Partecipo dal Mercato dei Vini di Piacenza dal 2015 (cinque edizioni). L’edizione 2019 è stata una delle migliori sia dal punto di vista organizzativo che per l’affluenza dei visitatori. Negli ultimi anni l’appeal del Mercato è molto migliorato».

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Come Vignaiolo cosa si aspetta da FIVI nei prossimi anni? Quali problematiche spera che vengano affrontate? «Spero che la FIVI nei prossimi anni toccherà il tema della riforma dei Consorzi, perché considerando la nostra zona, sarebbe molto importante che i vigniaioli avessero più peso all’interno dei Consorzi». Valeria Radici Odero, titolare dell’Azienda Agricola Frecciarossa di Casteggio Quando si è iscritta alla FIVI e quale è stata la motivazione che l’ha spinta a farlo? «Ci siamo iscritti alla FIVI nel 2015, che è stato un anno particolare perché ha marcato lo strappo con il Consorzio da parte di una serie di aziende del territorio, tra cui la nostra. Walter Massa è venuto a Casteggio ad inizio marzo per la presentazione della Guida Slow Wine e ha parlato della FIVI. Nella lettera che ci ha poi inoltrato ho capito che la FIVI poteva aiutarci, perché è l’unica associazione che si batte per i problemi dei piccoli e dei vignaioli. E quando si è piccoli, da soli è impossibile far cambiare le cose. In FIVI siamo tutti vignaioli e ci battiamo per proteggere il nostro modo artigianale di fare vino, proprio a cominciare dalle leggi che a volte andrebbero riviste per proteggere chi dà valore al vino, al territorio e alla tradizione». Da quanto tempo partecipa al Mercato dei Vini di Piacenza? Come ha trovato l’edizione 2019? «Partecipiamo dal 2015, ho visto crescere in modo esponenziale la manifestazione, sia dal punto di vista dei produttori presenti, che del pubblico. É un bellissimo momento di incontro, tra noi vignaioli di tutta Italia e con i visitatori, un pubblico di appassionati e professionisti del settore. Ho l’impressione che quest’anno sia cresciuta la presenza di importatori stranieri e sommelier di ristoranti di tutta Italia. Chi cerca un certo tipo di produttore, lo trova più facilmente qui, dove c’è la garanzia che siamo tutti vignaioli, che a Vinitaly dove c’è il mondo».

45

Alcuni dei Vignaioli FIVI della Delegazione Oltrepò presenti al Mercato del Vino 2019

Come Vignaiolo cosa si aspetta da FIVI nei prossimi anni? Quali problematiche spera che vengano affrontate? «FIVI è già molto attiva nella battaglia per la governance dei Consorzi, che però non è ancora terminata. Spero che si riesca in seguito a fare qualcosa per ridurre la burocrazia, macchina complicatissima, che, cosi com’è oggi, è un costo e una perdita di tempo per le piccole aziende». Tosi Giuseppe, titolare dell’Azienda Agricola Tosi di Montescano Quando si è iscritta alla FIVI e quale è stata la motivazione che l’ha spinta a farlo? «La nostra azienda è iscritta alla FIVI dal 2017. Avevo alcuni amici e colleghi che erano iscritti già da alcuni anni e mi parlavano benissimo dell’associazione, quindi ho approfondito e mi è piaciuto molto il clima che si respira tra i vignaioli e le motivazioni della FIVI». Da quanto tempo partecipa al Mercato dei Vini di Piacenza? Come ha trovato l’edizione 2019? «Questo appena passato è per me il secondo mercato FIVI a Piacenza a cui partecipo (oltre alla partecipazione a quello di Roma nell’anno 2018), ma ero andato come visitatore a quasi tutte le edizioni e mi ha

sempre colpito l’unione tra vignaioli di zone completamente diverse, il clima che si respira durante il mercato è festivo ed è anche un modo per scambiarsi idee e pareri ,fuori dalla logica economica e relazionarsi come colleghi e magari futuri amici e non come concorrenti». Come Vignaiolo cosa si aspetta da FIVI nei prossimi anni? Quali problematiche spera che vengano affrontate? «La FIVI sta facendo molto per i vignaioli che, purtroppo, non sono rappresentati in modo giusto da nessuna altra associazione. Essendo aziende spesso molto piccole, gli associati FIVI faticano ad adempiere a tutto quello che la burocrazia ci impone, e quello che mi aspetto è uno snellimento proprio di quella burocrazia che è spesso deleteria per le piccole aziende, in quanto toglie tempo e risorse ai lavori di campagna e cantina, che sono poi quelli che determinano la qualità di un vino. Mi aspetto anche una maggiore sensibilità e competenza tra le persone che effettuano i controlli nelle aziende per quanto riguarda qualità, sofisticazione ecc., e so che la FIVI si sta già muovendo per questa problematica». di Manuele Riccardi


46

il Periodico News

ROVESCALA

DICEMBRE 2019

Il Castello dove fu venduto il primo vino d’Oltrepò Arrivando da Viale Frascati, il Castello di Rovescala colpisce immediatamente per la sua imponenza e si rimane tentati a farvi una visita. Purtroppo però questo non è possibile, in quanto l’attuale struttura seicentesca non è aperta al pubblico per il turista occasionale, ma solo per eventi speciali. La villa e il suo complesso sorgono su quelle che erano le fondamenta dell’antico fortilizio medievale, distrutto più volte dai piacentini (come tutti i castelli della Valversa) tra il 1215 e il 1220 e ancora, una volta riedificato, nel 1290. Dal 1415 il feudo venne concesso a Galeazzo Sforza, il quale lo succedette al casato dei Pecorara, che ne rimasero titolari fino al 1786. Successivamente la proprietà passò a diverse famiglie, tra le quali i Valle e i Beretta fino ad arrivare agli attuali Perego. Del castello originario rimane solo la torre risalente al ripristino operato nel 1371 da Galeazzo Visconti, interamente coperta da intonaco. All’interno della villa seicentesca, costruita dai Pecorara nel XVIII secolo nel perimetro del castello originario, sono presenti grandi stanze affrescate con opere di Giovanni Angelo Borroni (1684-1772) ancora in ottimo stato di conservazione. Abbiamo intervistato Giorgio Perego, titolare dell’”Azienda Agricola Perego & Perego”, la cui famiglia è l’attuale proprietaria della struttura. Perego, quando la vostra famiglia è entrata in possesso del Castello di Rovescala? «Il castello è stato ereditato da mia madre nel 1996 e prima apparteneva a mio zio, deceduto in quell’anno, che ne era diventato proprietario nel dopoguerra. Quindi sono almeno 70 anni che è di proprietà della nostra famiglia». Perego non è un cognome tipico dell’Oltrepò... «Perego è un cognome originario della zona di Lecco ed è una delle famiglie più antiche della Lombardia. Mia mamma è originaria di Rovescala, ma ha sempre vissuto a Milano dove insegnava. Anch’io sono nato e cresciuto in città ma nel 2001 mi sono trasferito in Oltrepò riaprendo l’azienda agricola del mio bisnonno». Vi siete sempre occupati di viticultura? «Ho iniziato nel 2001 appunto, con poco meno di un ettaro di terreno per poi arrivare agli attuali dodici, di cui sette vitati e due e mezzo con noccioleti piantati nel 2016». La struttura è sempre stato funzionante? «Il castello è sempre stato abitato e la cantina è stata funzionante fino ad una ventina di anni fa, in quanto era stata affittata a

Giorgio Perego, titolare dell’ Azienda Agricola Perego & Perego, la cui famiglia è l’attuale proprietaria della struttura

terzi per la vinificazione, ma attualmente è dismessa. Io produco vino in una struttura situata sempre a Rovescala, a pochi metri dal castello. Si tratta di una cantina di fine ‘700 completamente ristrutturata a cui è stata aggiunta una parte più moderna. Spero in un prossimo futuro di riuscire a rimettere in utilizzo la cantina del castello, non tanto per la vinificazione ma solo per l’invecchiamento dei vini in botte». Il Castello di Rovescala è custode di una testimonianza importante per la storia dell’enologia oltrepadana e italiana. Per quale motivo? «Parte dell’importanza storica di Rovescala è contenuta in un atto datato 22 marzo 1192 in cui il Conte Anselmo, signore di Rovescala, vende a dei “forestieri” provenienti dal nord alcuni congi (congio, unità di misura romana equivalente a 3,283 l ,ndr) di vino, specificando “della miglior qualità”, prodotto nelle cantine del castello. Si tratta di uno dei primissimi documenti che attestano una vendita di vino dell’Oltrepò, che fino ad allora era prodotto in gran parte per uso personale e

non commerciale». è rimasta ancora qualche testimonianza enologica tangibile quel periodo storico? «Nelle cantine del castello c’era fino a poco tempo fa uno dei più antichi torchi risalenti a quell’epoca, con il basamento costituito da una grossa rovere tagliata. La pietra usata per pressare è ancora visibile qui in castello, mentre il basamento è custodito alla Certosa di Pavia.Per quanto riguarda invece il territorio di Rovescala in passato erano stati fatti degli scavi archeologici nel fondo valle, dove sono stati rinvenuti strumenti utilizzati per produrre vino già nell’epoca romana. Di questi la scoperta più interessante riguarda un pentolino che fungeva da unità di misura per la miscelazione del garum, che era una sorta di poltiglia prodotta all’epoca romana con interiora di pesce e vino. In base alla qualità con il quale veniva costruito questo utensile si può sapere a chi era destinato il garum miscelato: quello rinvenuto qui a Rovescala era in argento, quindi il garum era destinato ad un nobi-

le edi conseguenza si può affermare che il vino prodotto qui era uno dei migliori in assoluto. Ci sono poi anche documenti che attestano che qui già all’epoca romana la vite cresceva autoctona qui a Rovescala». Avete dovuto sopportare elevati costi di ristrutturazione per rendere visitabile il castello? «Il castello si trova in stato di conservazione originale e lo stiamo ristrutturando poco per volta. Ci sono stati movimenti di assestamento negli anni scorsi che hanno causato qualche danno. Nel corso del prossimo anno faremo innanzitutto degli interventi di carattere strutturale, per stabilizzarlo meglio. Successivamente ci concentreremo sul recupero della cantina». Organizzate visite guidate presso la vostra struttura? «Al momento il castello viene utilizzato come locale degustazione dell’azienda. Non è aperto al pubblico ma su richiesta effettuiamo visite scolastiche e istituzionali.


ROVESCALA Lo scorso marzo, durante la “Primavera dei Vini”, abbiamo avuto come ospiti l’allora Ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio e l’Assessore Regionale al Turismo Lara Magoni». Fate già rete con altre strutture simili o fate parte di qualche associazione? «No, come castello non facciamo parte di nessuna associazione». La vostra azienda produce vini bio e vegan. Quando avete iniziato questo tipo di produzione? «La nostra azienda è associata alla Fivi, Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti, e a Vinnatur. Nel 2001 abbiamo iniziato con vini più convenzionali, ma sempre di qualità con la pratica della lotta integrata. Nel 2011 abbiamo deciso di concentrare la produzione su un settore più di nicchia, quello dei vini vegan e senza solfiti aggiunti, rispettando il disciplinare di produzione di Vinnatur. Bisogna avere pochi accorgimenti ma nei momenti giusti: non servono né chimica né pratiche invasive, ma solo sapere cosa si sta facendo perché è molto più complesso che vinificare dei vini convenzionali». I vostri vini li definireste quindi “naturali”? «Il termine “vini naturali” è ormai inflazionato e spesso utilizzato in modo errato: il disciplinare Vinnatur stabilisce che in vigna non si possa utilizzare nulla di chimico, solo rame e zolfo in quantità minime; in trasformazione viene solo ammessa 30mg\l di solforosa per i rossi e 50mg\l per i rossi, vietando chiarifiche, filtraggi sotto i 50 micron e pratiche fisiche invasive. Il principio ispiratore sin dai primi anni di vinificazione è stato quello di creare un’azienda che producesse solo prodotti di qualità elevata, non di fare del vino qualsiasi. Da allora stiamo lavorando in quella direzione…». Tornando al turismo, come vedreste un circuito di promozione dei castelli e delle dimore storiche dell’Oltrepò Pavese?

ediltecno

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Il Castello visto dal campanile ad inizi ‘900

«Io sono decisamente favorevole per un’iniziativa del genere: queste strutture vanno valorizzate e per fare ciò la gente deve essere spinta a visitarle. Una cosa che manca secondo me all’Oltrepò, che invece esiste in tantissime altre zone d’Italia, è la capacità di far venire il turista qui da noi, in campagna o in cantina. Incrementando il turismo si incrementa anche il valore dei terreni, degli immobili e delle aziende, sempre se si producono vini di una certa qualità e venduti a prezzi adeguati». di Manuele Riccardi Interni del castello

47


PANIFICIO BORIN


SANTA MARIA DELLA VERSA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

51

«Due nuovi negozi ed un ristorante, un segnale di ripresa» Il Comune di Santa Maria della Versa nacque nel 1894 in seguito al Decreto Reale di Umberto I, emanato l’anno precedente, che prevedeva la soppressione della storica municipalità di Soriasco (antico borgo medievale già capoluogo del Mandamento composto dai comuni Soriasco, Montarco, Donelasco, Montecalvo, Volpara, Canevino, Golferenzo, Rovescala e Luzzano) in favore di quella più recente, situata a fondovalle. Tutto questo per un semplicissimo motivo: la frazione di Borgata Versa era più facilmente raggiungibile dalle carrozze e dai commercianti. Così dal 1853 iniziarono a tenersi il mercato settimanale e la fiera annuale in Piazza Foro Boario e successivamente, dal 1874, nella nuovissima piazza oggi intitolata a Vittorio Emanuele II. Fu proprio in quegli anni che parecchi servizi vennero trasferiti in Borgata Versa, come la casa comunale, la prefettura e la posta. Dai primi del ‘900 fino ai primi anni’80 Santa Maria della Versa è stata il fulcro del commercio della vallata, con attività fiorenti di vario tipo, non solo enologiche e vitivinicole. Ma negli ultimi trent’anni la crisi ha lentamente ucciso il turismo e, inevitabilmente, il commercio: un esempio su tutti la cattiva amministrazione della cantina “La Versa” ed il conseguente fallimento che ha messo in ginocchio l’intera vallata. Da maggio 2019 il nuovo sindaco è Stefano Riccardi, 27 anni, già assessore dell’amministrazione precedente. Spetterà a lui in questi cinque anni di mandato portare una “ventata di gioventù” e di novità ad un paese da troppi anni in difficoltà. Stefano, a soli ventisette anni è già sindaco di un Comune così grande. Come le è nata l’idea di candidarsi? «L’idea è nata alcuni mesi prima della fine dell’ultimo mandato, quando mi sono incontrato con altri due consiglieri della vecchia amministrazione e abbiamo pensato che fosse il caso di proseguire questo percorso per poter portare a termine alcuni progetti che non erano ancora stati conclusi». Come in tutto il territorio, Santa Maria della Versa negli anni passati ha subito una forte perdita di attività commerciali, che ha causato anche una sorta di “stallo” per lo sviluppo economico della vallata. Pensa che la situazione sia ancora sanabile? «Questo discorso sicuramente vale per tutti i piccoli comuni d’Italia, e qui da noi è ancora più amplificato. La continua apertura di supermercati e di centri commerciali ha certamente influito, e le piccole botteghe faticano sempre di più a sopravvivere. Però c’è da aggiungere che a Santa Maria forse qualcosa si sta muovendo, nell’ultimo anno hanno aperto due negozi

Stefano Riccardi, neo sindaco di Santa Maria della Versa

La “questione fusione” per ora è stata accantonata» e in questi giorni ha riaperto un ristorante. Quindi possiamo dire che c’è stata una piccola controtendenza. Non è molto, ma è pur sempre qualcosa…». Già a poche settimane dall’insediamento la nuova amministrazione ha spinto per proporre nuovi eventi durante la stagione estiva. A detta di molti l’esperimento parrebbe riuscito… «Quest’estate per la prima volta abbiamo proposto un nuovo evento per Santa Maria: “Calici & Sapori”. Posso confermare che è stato un evento riuscito alla grande, sebbene organizzato in poche settimane: nasce dalla necessità di sostituire i passati giovedì (e venerdì) in centro, che si basavano su un format vecchio e non più seguito. Così si è deciso di organizzare questa serata, cercando di coinvolgere il più possibile tutte le attività presenti sul territorio comunale. Certamente lo riproporremo anche il prossimo anno con piccole migliorie». Nel comune da lei amministrato sono presenti diverse associazioni, che partecipano attivamente con iniziative ter-

ritoriali. Vi sono state proposte nuove iniziative? «Tra il Comune e le associazioni c’è un rapporto di collaborazione reciproca che prosegue molto bene. Anche per quanto riguarda la riapertura dell’Oratorio l’amministrazione comunale ha dato il suo totale appoggio all’iniziativa, dando una mano nelle trattative. Anche le associazioni, tra le quali la Sezione Autieri Oltrepò, stanno collaborando per la pulizia e la sistemazione dello stabile». Per quanto riguarda i rapporti con i comuni limitrofi, nella scorsa amministrazione il suo predecessore aveva paventato l’idea di una fusione, cosa che poi non si è realizzata. Cosa ne pensa? Secondo lei si potrebbe ancora riproporre con modalità differenti? «A Santa Maria sono localizzati i principali servizi della vallata e penso che con una fusione si possano solo migliorare. Certamente la popolazione faticherebbe ad abituarsi alla scomparsa del proprio comune e certi servizi sarebbero certamente da ampliare. Posso solo dire che per ades-

so non se n’è più parlato e discusso e la “questione fusione” per ora è stata accantonata». Le strade provinciali sono in pessimo stato, è sotto gli occhi di tutti. Allo stesso tempo, invece, gran parte delle strade comunali si trova in buono stato. è notizia dei giorni scorsi che la Provincia di Pavia asfalterà alcuni tratti nel suo comune. Esattamente di cosa si tratta? «Le strade comunali in gran parte sono in buono stato: alcune erano state rifatte anni fa con i soldi arrivati dal bando “6000 campanili”; lo scorso anno è stata rifatta l’intera Via XXV Aprile, con il rifacimento dei marciapiedi e inoltre è stata asfaltata la piazza nuova in centro. In primavera, se possibile, vorremmo asfaltare quelle strade comunali a cui non si era ancora messa mano. Per quanto riguarda le strade provinciali, la Provincia di Pavia ha asfaltato alcuni tratti della strada che porta da Prago a Vicobarone e in primavera hanno annunciato che sistemeranno un tratto di strada tra le frazioni Pizzofreddo e Torrazza: non si tratterebbe solo di riasfaltatura ma anche di lavori strutturali». Parlando sempre di lavori pubblici, quali opere avete programmato per i prossimi mesi? «Abbiamo appena appaltato un lavoro di settantamila euro per il fosso di Moglialunga che verrà effettuato nelle prossime settimane, al quale seguiranno altre opere in primavera per cui sono stati ottenuti contributi di centomila euro dalla Regione Lombardia, in aggiunta a sessantamila stanziati dal Comune. Stiamo attendendo di partecipare ad altri bandi per la sistemazione del cimitero di Donelasco, che si trova in una situazione di forte criticità, nel quale dovranno essere fatti interventi per circa centossessanta mila euro. Anche il centro polifunzionale, Palazzo Pascoli, subirà alcuni lavori di restyling alla facciata». Concludendo, quali progetti intende portare avanti nei suoi cinque anni di mandato? «Certamente è ancora presto per parlare di lavori che verranno fatti nei prossimi cinque anni. Per il momento l’obiettivo è quello di sistemare e mettere in sicurezza le strutture già esistenti, come per esempio il cimitero di Donelasco prima citato, e di riuscire a costruire una postazione fissa da poter concedere alla Pro Loco. Invece per quanto riguarda la promozione del territorio abbiamo già in mente di poter organizzare un evento enogastronomico, di più giorni, che coinvolga tutta la vallata. di Manuele Riccardi


52

il Periodico News

MEZZANINO

DICEMBRE 2019

Ponte Becca: quattro ipotesi per il nuovo tracciato Il mese scorso a Linarolo si è tenuta la terza edizione di Ponte Becca News, l’ormai immancabile appuntamento organizzato dal Comitato Ponte Becca per informare la cittadinanza circa lo stato dell’arte relativo alla strategica infrastruttura situata nei pressi della confluenza fra il Po e il Ticino. Abbiamo incontrato il sindaco di Mezzanino, Adriano Piras, per conoscere tutti gli ultimi aggiornamenti sul ponte. O meglio: sui ponti. Quello vecchio e quello nuovo, attualmente in fase di progettazione. Sindaco, tanto per iniziare tornerei sullo status quo del “ponte vecchio” e su ciò che gli sta intorno. I pilomat sono croce e delizia dei sistemi di sicurezza di questo ponte: funzionano bene, quando non sono rotti. E i guasti purtroppo non sono rari... anche perché c’è chi si diverte a sbatterci contro. «Più volte ho avuto occasione di parlarne con il presidente Poma. Gli ho anche proposto un’alternativa ai pilomat attuali: mettere delle sbarre, come quelle all’ingresso delle autostrade. Certo, le sfonderebbero lo stesso; però il prezzo per sistemarle sarebbe molto più basso. Il pilomat è una bella idea, e la colpa non è della provincia se ci sono dei problemi. A volte a romperli è addirittura il “fuoco amico”... Ora il lato di Mezzanino è di nuovo giù, da qualche giorno.» Di chi è la colpa? «Tante volte la colpa è di persone che pensano di essere furbe, e si mettono in coda alla corriera pensando di recuperare del tempo. Quando la corriera passa, il pilomat si alza subito e loro ci si schiantano sopra. Finché ci sono guasti che richiedono interventi di elettronica, questi vengono risolti nel più breve tempo possibile, con piccoli costi. Ma quanto ci vanno a sbattere sopra, i tempi si allungano e i costi si alzano. Poma mi ha detto che hanno preso alcuni pezzi in più, da tenere di scorta.» Ma con i pezzi di scorta non varrebbe la pena aggiungere, allora, una seconda barriera oltre a quella già esistente? In questo modo, qualora si rompesse il primo varco, resterebbe attivo il secondo. «Ne abbiamo parlato sabato scorso a Linarolo con il presidente del Comitato Ponte Becca, Fabrizio Cavaldonati. È stata chiesta anche questa seconda opzione.» La tanto agognata rotatoria sul lato Mezzanino pare essere ancora lontana dall’essere realizzata. Qual è la sua posizione? «La rotatoria serve, perché quando si arriva davanti al ponte con un mezzo pesante ci si accorge di non poter passare, ma ormai è troppo tardi: si creano disagi, soprattutto ai pendolari costretti ad affrontare lunghe code quando si verifica questo caso. È da un anno e mezzo che chiedo questa rotatoria.

Il sindaco Piras: «Sto gestendo il comune come farebbe un imprenditore»

Adriano Piras Che è stata appoggiata pienamente dal presidente della provincia.» Si era pensato di utilizzare i fondi derivanti dal ribasso degli ultimi lavori al ponte, proprio per realizzare la rotatoria... ma l’idea è rimasta sulla carta. «È stato assegnato un bando per il rifacimento del ponte, lavori per un milione e mezzo di euro. Il ribasso è stato di 130mila euro, che non bastano per fare la rotonda. Quindi si è voluto destinare questi soldi alla casa cantoniera.» Appunto: la casa cantoniera di Mezzanino. Con le economie dell’ultimo lotto di lavori, come ha detto, arriverà il recupero. Si parla di spazi destinati alla polizia provinciale, alla protezione civile ed alle associazioni che si occupano del ponte. Per un comune come Mezzanino potrebbe trattarsi di un polo strategico. «La proprietà della casa cantoniera è della provincia. Ho chiesto al presidente di donarcela perché, prima di tutto, volevo dare una sede idonea la Protezione Civile di Mezzanino.» Funziona questa realtà? «Quando sono diventato sindaco mi sono trovato con soltanto due persone in Protezione Civile, ma con un territorio come il nostro per me si tratta di un tema importante. Fatto sta che ora i volontari sono 27 e puntiamo ad andare anche oltre. Ci stiamo lavorando. Sono state acquistate divise, stivali, guanti e caschi. Un investimento di 5mila euro per il primo anno e altri 3mila per altri 3 anni. E tutti vanno sempre in giro a fare corsi e aggiornamenti.»

Perché c’erano soltanto due persone nel gruppo? «Prima era un gruppo un po’ chiuso, e subito dopo le elezioni ne sono usciti tutti quanti. Bisognava un po’ riprenderlo in mano. Oltretutto Mezzanino è comune capo COM. Sto iniziando a parlare di questo tema con i sindaci di Campospinoso e Albaredo, per unire le forze con questi altri due comuni e fare un lavoro di unione, in modo che tutti possano trovare spazio nella casa cantoniera. Ci sarà anche la Polizia Provinciale, che porterà lì una sede.» Mi sembra molto in sintonia Vittorio Poma. «Con il presidente Poma c’è un bel rapporto. Ci mancherà quando andrà via, anche perché l’anno prossimo finisce il suo mandato.» Torniamo alle ultime novità. Il passaggio della strada Bronese ad ANAS è in dirittura d’arrivo? «Ancora stamattina (qualche giorno fa, per chi legge, ndr) ho letto che il passaggio sarebbe imminente. Per poter andare avanti con il progetto del ponte, per forza il tracciato deve passare ad ANAS. Chi di dovere sa già tutto, quindi aspettiamo. Mi auguro che nei primi mesi dell’anno venga definito il passaggio, che al massimo per l’estate sia tutto pronto. Il Governo ha tutto nelle proprie mani.» Veniamo al nuovo ponte. Il documento di fattibilità sarà pronto, pare, a marzo; in netto ritardo rispetto ai tempi preventivati inizialmente. A marzo sarà tardi per riuscire a far inserire l’opera nel piano quinquennale di ANAS. Cosa accadrà? «Lo studio di fattibilità doveva essere pronto a novembre, per entrare nel piano quinquennale di ANAS per il 2020-2024. Ma dopo la nuova normativa Sblocca Cantieri del 2019, Poma ci ha fatto presente che è stato aggiunto un altro step...» Quale? «Lo studio di fattibilità avviene in due fasi, per primo uno studio di fattibilità e per secondo un progetto di fattibilità tecnico economica (documento delle alternative progettuali e progetto di fattibilità, ndr).

Lo studio di fattibilità è stato finanziato da Regione Lombardia per 800mila euro. Ora ci sono un gruppo di ingegneri italiani e due gruppi di ingegneri spagnoli che stanno studiando costi-benefici, impatto ambientale e tutto il resto.» Sono trapelate informazioni circa il progetto in corso di realizzazione, in particolare per quanto concerne il posizionamento? «All’inizio c’erano in ipotesi sette progetti per il nuovo ponte. Ne hanno già scartati tre, quindi ne restano quattro: tre a valle e uno a monte dell’attuale. Io ho chiesto che venga realizzato quello a monte, come era anche ipotizzato dal progetto dell’ingegner Calvi, con una tangenziale esterna a Mezzanino, in modo che i mezzi pesanti non vengano ad intasare la strada esistente.» I detrattori di questa possibilità sostengono che con un nuovo ponte a monte si potrebbero creare delle correnti capaci di danneggiare la struttura del ponte attuale. «Ma il vecchio ponte sarà messo in sicurezza. Diventerà ciclopedonale e utilizzabile per i mezzi di emergenza. Ovviamente quando è stato costruito un secolo fa era un discorso, oggi ci sono studi molto più affidabili.» Torniamo agli step da seguire. «Finito il passaggio attuale, a maggio si passerà al secondo step: il Progetto di fattibilità tecnico economico. Poi mancheranno il progetto definitivo e l’esecutivo. Quando la settimana scorsa è venuto qui il Sottosegretario alle Infrastrutture (Salvatore Margiotta, senatore PD, ndr) ha detto che arriveranno 4 milioni per il progetto definitivo ed esecutivo. Vedremo.» Tutti promettono. Ma qualcuno mantiene? «C’è da dire un’altra cosa. Quando c’era la Lega al governo, Toninelli e la Lucchini erano arrivati ad un accordo: questi famosi 250 milioni che dovevano andare al bacino del Po per la costruzione dei nuovi ponti e per mettere in sicurezza quelli esistenti. Erano stati stanziati 250 milioni per cinque anni. Era stato fatto un censimento dei vari ponti ed erano risultati 258 quelli malati. I 250 milioni non sarebbero bastati per tutti, quindi sono andati a prendere i più ammalorati e ne hanno selezionati 36. Il Ponte della Becca era all’ottavo posto. La Lucchini è stata anche criticata da Toninelli, che sosteneva lei pensasse solo ai ponti del suo territorio. Io ammiro la Lucchini, lei è stata votata dal suo territorio, quindi giustamente deve lavorare per il bene del suo territorio. Poi si è scoperto, cadendo il governo quest’estate, che pare questi 250 non saranno più destinati al bacino del Po ma saranno suddivisi in tutta Italia.»


MEZZANINO Siamo sempre nel campo delle ipotesi. Se così fosse, la torta è sempre quella, ma la fetta diventa sempre più piccola. «C’è da dire che la Lega ha fatto un nuovo emendamento al Senato, per incrementare questi 250 milioni di euro con altri 500 milioni, portando la cifra complessiva a 750 milioni, anche in conseguenza dei recenti problemi. Andremo a vedere cosa ci diranno». L’essere sindaco di Mezzanino la porta spesso agli onori delle cronache in quanto osservatore privilegiato di quanto accade al Ponte della Becca. Ma l’amministrazione comunale è fatta anche (e soprattutto) di tanti altri impegni. Mi racconti come sta andando questa avventura da primo cittadino. «È dal 10 giugno 2018 che un po’ a sorpresa sono diventato sindaco, perché ho avuto solo un mese di tempo per fare la campagna elettorale, e comunque ho vinto le elezioni. Considerando che io non avevo mai fatto politica in vita mia, sto gestendo il comune come farebbe un imprenditore, che è poi il mio lavoro.» Come farebbe un imprenditore? «Sono una persona che non si fa nessun problema a chiamare gli altri sindaci, i colleghi, i consiglieri regionali o provinciali... Poi comunque ti rendi conto che fare l’imprenditore è una cosa e gestire un comune un’altra, anche per la burocrazia che c’è dietro. Posso dire che in un anno e mezzo di lavoro siamo riusciti a realizzare diverse cose.» Me ne racconti qualcuna. Cominciamo con la prima. «Come prima, nel primo mese, abbiamo sistemato la scuola, rendendola più accogliente. Sono stati realizzati controsoffitti nuovi, la tinteggiatura e una generale messa in sicurezza. Oltre agli interventi sulle strutture, abbiamo lavorato anche sui servizi, aggiungendo il post-scuola (completamente gratuito) che si è aggiunto al prescuola, che esisteva già.» Proseguiamo con il resoconto. «C’era poi un progetto della vecchia amministrazione: una rotonda all’uscita della via Malpensata di Sotto, che non era ancora finanziato. Siamo riusciti a farlo noi, ed è un intervento importante anche per dare la possibilità ai mezzi che si recano verso le fabbriche di percorrere meglio la strada. Poi con il Decreto Salvini ci sono arrivati 40mila euro che sono stati impiegati per le asfaltature, a cominciare dalle parti peggiori, dove non si era mai fatto nulla in passato. La congiunzione delle due Malpensate, tratti di via Palazzo e di via Cassinetta.» Anche le provinciali nel suo territorio, come un po’ dappertutto, avrebbero bisogno di un po’ di catrame... «Ho avuto un accordo con la Provincia. Stiamo aspettando: a giorni, probabilmente la settimana prossima, ci dovrebbero asfaltare un tratto di provinciale. Non bisogna dare colpa alla provincia se la situazione è tragica: non avevano un soldo, negli anni indietro... quest’anno ci hanno presentato un bilancio positivo per la prima volta, e con un piano triennale dotato di fondi già esistenti, non presunti. La Provincia ha fatto un lavoro eccezionale.»

il Periodico News

DICEMBRE 2019

53

«Abbiamo messo sul tavolo 400mila euro per un progetto omologato e approvato dal CONI»

Le 4 ipotesi per il nuovo tracciato del Ponte della Becca L’ipotesi 4 è quella più accreditata Sicurezza? «Abbiamo già fatto un progetto per le telecamere, per migliorare la sicurezza del paese, con 10 varchi situati ad ogni ingresso di mezzanino e 16 telecamere di contesto in tutto il paese. Un progetto da 150mila euro che abbiamo già realizzato. L’anno prossimo lo porteremo avanti, sperando anche in qualche bando. Sempre parlando di sicurezza, in questi giorni finiremo il progetto della nuova illuminazione. Abbiamo riqualificato 190 punti luce, ne abbiamo aggiunti 160 tutti nuovi, quasi raddoppiando dunque il numero iniziale. Tutte le lampade saranno a led, per un totale di 350 punti luce e per una spesa di 250mila euro.» Tutte belle cose. Ma il progetto principe? «Il progetto più grosso che abbiamo adesso in ballo – cominceremo a marzo – riguarda l’impianto sportivo e il centro ricreativo per gli anziani. Abbiamo messo sul tavolo 400mila euro: smaltimento dell’amianto, riqualificazione di tutto l’impianto sportivo con nuovi spalti, nuovi spogliatoi, recinzioni tutte nuove e a norma... per un progetto omologato e approvato dal CONI. Abbiamo ottenuto un finanziamento a tasso zero, ventennale. Senza contare che ci aspettiamo esca un bando regionale che ci potrebbe restituire il 50% dell’investimento.» Sarebbe un bel colpo. «Diamo servizi al paese e senza aumentare tasse o tagliare altri servizi.

Tutto quello promesso in campagna elettorale andrà a buon fine. Un altro intervento che vorrei segnalare è la piantumazione del viale del Cimitero, grazie a un progetto sperimentale con il Parco del Ticino. Poi la potatura di tutte le piante del paese, che non si faceva da anni. Infine, pochi mesi fa abbiamo comprato un terreno di circa 3mila metri quadrati, al centro di Mezzanino, in una zona residenziale. Questo terreno era una vera e propria discarica a cielo aperto, dove scaricavano di tutto: da amianto a vari generi di materiali pericolosi. Avevo mandato tante lettere ai curatori fallimentari per trovar una soluzione, poi l’area è andata all’asta e il comune di Mezzanino se l’è aggiudicata per 30mila euro. Una cifra molto bassa.» Ed ora cosa pensa di realizzarvi? «È già stato ripulito tutto. Ora, grazie ad un finanziatore privato, realizzeremo un’area per i cani, un’area per i bimbi, un bocciodromo e un’area per gli anziani.» Parliamo di raccolta differenziata. I grossi centri del suo circondario sono passati, o stanno passando, alla raccolta porta a porta. Pensa di introdurla anche a Mezzanino? «Abbiamo lavorato molto sulla raccolta differenziata. Sono stati aggiunti circa 80 punti in più, per la raccolta di carta, plastica e vetro, cercando di sensibilizzare e di educare la gente a fare un po’ di raccolta.» Si vedono i risultati? «Abbiamo risparmiato tante tonnellate di rifiuti.

Al momento non sono intenzionato a passare alla raccolta porta a porta, perché passando in altri paesi mi sembra a volte di trovarmi in discariche a cielo aperto. Preferisco una raccolta con dei punti sparsi per il paese. Abbiamo comprato anche una fototrappola, da posizionare lungo la strada statale. Per molti cittadini di altre località era comodo passare per Mezzanino e scaricare i rifiuti. Ne abbiamo beccato qualcuno, e multato. La situazione è andata molto a migliorare.» Parliamo di arredo urbano. «Abbiamo adesso cominciato riqualificando altri due parchi, in via Roma e via Marconi. Una spesa di 25mila euro totali. Verranno riqualificate tutte le panchine del centro e i cestini, ed è appena stata rifatta la segnaletica orizzontale e verticale in località Caldera.» Altri investimenti? «È stata acquistata un’automobile comunale per consentire gli spostamenti dei dipendenti; abbiamo anche comprato un mezzo nuovo al nostro cantoniere, un porter. Altra cosa: abbiamo disdetto subito, all’inizio della nuova amministrazione, un contratto con una ditta di Campobasso che sarebbe costato 120mila euro in tre anni per il taglio del verde. Nei primi mesi di attività ci siamo resi conto che le cose non funzionavano affatto bene... Ma abbiamo preso questa decisione anche perché il comune, secondo me, deve lavorare con chi è vicino. Ora il servizio viene svolto dalla Rosa dei Venti di Stradella e le cose sono migliorate.» Pare di capire che il bilancio di questo primo anno e mezzo sia positivo. Di chi è il merito? «Sicuramente io ci metto tutto il mio impegno, ma tutto questo è stato possibile anche grazie ai miei assessori, ai miei consiglieri, ai dipendenti che lavorano nel comune, ai cantonieri, alla leva civica. Si tratta di un lavoro di squadra, se non fosse per questo ci sarebbe ben poco. La nostra è una bella squadra.» di Pier Luigi Feltri



ARENA PO

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Il “Rifugio”, casa di riposo per cavalli La cura e il sostentamento di un cavallo non sono semplici come per un normale animale domestico: si tratta di un impegno maggiore sia a livello fisico, che a livello economico. Parliamoci chiaro, si parla di migliaia di euro ogni anno. Proprio per questo, spesso, si sente parlare di cavalli più anziani, che acquistati come per svago o come animali da maneggio per insegnare equitazione ai bambini, vengono poi abbandonati e affidati al commercio della carne. Quello è il loro destino. Tino e Laura Zonca, fratello e sorella di Arena Po, sono i proprietari de “Il Rifugio Onlus”, un luogo in cui i cavalli che hanno la fortuna di capitare, possono passare la loro vecchiaia in pace e tranquillità. Che cos’è esattamente “Il Rifugio Onlus”? «è un’associazione no profit che nasce con l’intento di “combattere” la violenza di ogni genere sui cavalli. In questa direzione il nostro lavoro è prendere contatto con persone che, per qualche motivo, non possono più provvedere al sostentamento del proprio cavallo e offriamo loro una sistemazione attraverso un sodalizio. I soci possono regolarmente venire da noi per curare e provvedere a tutti quei cavalli a cui noi diamo dimora». Come è nata l’idea di creare questa tipologia di associazione? Vi siete accorti che il territorio ne aveva l’esigenza? «Diciamo che è nata per caso quando, anni orsono, alcuni amici ci hanno affidato i loro cavalli, non avendo più la possibilità di provvedere loro. In pochi giorni i due cavalli sono diventati di nostra proprietà e sono entrati a far parte a tutti gli effetti della nostra fattoria. Nel 2012 poi è nata la Onlus. I nostri soci non sono però solo proprietari di cavalli che non possono più tenere, ma anche semplici appassionati o conoscenti che vogliono venire a trovarci dandoci anche una mano». Quali sono le situazioni di emergenza in cui vi è capitato di intervenire? «Molti dei nostri animali provengono da situazioni di emergenza, e per emergenza si intendente il fatto che un cavallo quando smette di “essere utile” o più semplicemente quando un proprietario non ha più la volontà o la possibilità di badare a lui (si tratta spesso di questioni economiche), viene destinato al macello. Si può affidare a noi un esemplare tramite un sodalizio, oppure ci arrivano proprio cavalli di cui acquistiamo la proprietà». Quanti cavalli vivono nel vostro rifugio? «Attualmente si parla di 16 esemplari, di cui 9 di nostra proprietà. Due delle nostre esperienze più belle sono state quelle di Stella e Havana. Stella è arrivata da noi

55

«Per i politici e i comuni dell’Oltrepò praticamente non esistiamo». con gravi problemi di salute e quindi necessitava di molte attenzioni e cure costose, ma fortunatamente siamo riusciti a farle passare in serenità e salute i suoi ultimi anni di vita; Havana era una cavalla portentosa, che ha eseguito per anni il suo lavoro di “maestra di salto” per bambini e che, dopo aver fruttato un sacco di soldi al suo padrone, è stata destinata al “commercio” (così si dice adesso!)... Per fortuna qualcuno ha deciso in qualche modo di portarcela e farle passare da noi la sua meritata pensione». Un cavallo rischia di essere destinato al macello solo quando invecchia ed è una destinazione, diciamo obbligatoria per un esemplare? «Vecchiaia, malattia o insufficienza economica del proprietario sono i motivi di maggiore abbandono dell’animale. Purtroppo sì, a parte grazie ad alcune associazioni o rifugi come il nostro, la destinazione finale di questi animali è il macello. Certo è triste pensare che il “grande amore” di un proprietario possa svanire subito nel momento in cui il cavallo inizia ad essere un peso per le sue tasche… però è proprio così». Siete gli unici in Oltrepò che si occupano di queste situazioni? «Un’attività del genere esiste ma non in Oltrepò, in provincia sempre di Pavia, a Monteleone, ma le loro possibilità economiche sono in realtà maggiori delle ». Spesso si sente parlare di ippoterapia per bambini e per adulti, usata molto per curare alcuni stati di cattiva salute; cosa ne pensate? «L’ippoterapia, a parere personale, è un grande strumento per l’aiuto delle persone in difficoltà di vario genere e pare avere estrema efficacia. Per la sua pratica però è necessaria esperienza e anche una qualifica che noi non possediamo. Qui da noi l’aspetto principale è quello di fare del bene agli animali, che spesso arrivano con grandi sofferenze alle spalle... quel tipo di attività, una cosa onorevole sicuramente, andrebbe fatta però con animali adatti e con personale qualificate e non come un gioco o solo per farsi pubblicità. Noi, non

Laura e Tino Zonca

essendo un centro ippico, ci proponiamo in maniera diversa: gli appassionati possono venire a trovarci e passare del tempo con i nostri cavalli, che già a loro modo fanno del bene a chi gli sta vicino... non è ippoterapia “ufficiale” ma comunque funziona!». Voi siete di origini milanesi, per quale motivo avete deciso di trasferirvi proprio ad Arena Po? «Sì siamo di origine milanese. Io ero grafico e ho sempre lavorato a Milano, ma appena raggiunta l’età della pensione ho deciso subito di abbandonare il milanese e di trasferirmi qui in Oltrepò con mia sorella. Poco dopo è nata l’idea del Rifugio». Prima eravate anche un agriturismo, per quale motivo avete deciso di chiudere questa parte di attività? «Esatto, prima eravamo anche agriturismo e abbiamo tentato quella strada senza però riscuotere sufficiente interesse. Diciamo che le pretese della clientela di questi luoghi era troppo alta per le nostre possibilità. Il cibo che si va a ricercare in un agriturismo di paese non può avere la stessa qualità di un hotel cinque stelle... eppure era così. Abbiamo deciso quindi di chiudere l’attività di agriturismo ma continuiamo a offrire ristoro e pernottamento agli appassionati che giungono da noi per i cavalli». Come valutate la risposta della popolazione dell’Oltrepò, alla vostra idea e quali sono i vostri sogni per il futuro?

Un’Oasi di pace per i cavalli ormai non più “utili” «Piuttosto scarsa. Per i comuni e i politici di questa zona noi praticamente non esistiamo. Certo è che gli interessi dei giovani e delle nuove generazioni stanno cambiando e stanno diventando più “green”; speriamo quindi prossimamente in una maggiore partecipazione e in qualche aiuto che renda tutto più sostenibile per noi». Su quali aiuti economici potete contare per la vostra associazione? Esistono enti di riferimento? «Purtroppo è molto triste da questo punto di vista vedere come i grandi enti di riferimento nazionali pensino quasi esclusivamente alla loro immagine e che poi in realtà facciano poco di concreto. Per quanto ci riguarda, qualsiasi spesa e fatica grava totalmente sulle nostre spalle, su quelle dei nostri soci e di chi aiuta in qualche modo. La nostra speranza è quella di riuscire ad allargarci un po’ e di trovare nuovi amici anche nei comuni limitrofi». di Elisabetta Gallarati



OLTREPò PAVESE

il Periodico News

DICEMBRE 2019

57

«Portiamo la Pet Therapy nelle scuole d’Oltrepò» Quasi tutti ormai conoscono la Pet Therapy e i benefici che il rapporto con un amico a quattro zampe può apportare anche alla salute di persone malate. L’associazione “ConFido in un Sorriso” dal 2011 opera con lo scopo primario di diffondere la bellezza insita nell’interazione dell’umano con il cane e negli ultimi anni ha rafforzato la collaborazione con diverse scuole primarie d’Oltrepò. La coordinatrice dei progetti è la dottoressa Silvia Razzini. Dottoressa, che tipo di progetti proponete nelle scuole? «Insieme a Francesca Rana (alla quale è stato assegnato il premio Young Ambassador da parte dei Lions per l’anno 2017) abbiamo realizzato due progetti molto interessanti presso le primarie di Verrua Po e di Mezzanino. Attraverso il racconto “ Giacomino nel villaggio del Silenzio” abbiamo voluto offrire ai bimbi le conoscenze di base per una comunicazione efficiente e “sicura” con i cani conosciuti e sconosciuti. Al progetto hanno partecipato i quattro zampe Isotta, Elsa e Jo, che hanno riscosso un notevole successo tra i bimbi e gli insegnanti. Dopo il progetto, ogni classe ha presentato dei bellissimi lavori, che sono stati premiati alla fine dell’anno scolastico». Si tratta delle prime collaborazioni in Oltrepo? «No, negli ultimi anni abbiamo organizzato diversi progetti nella zona dell’Oltrepò, anche grazie alla collaborazione con il Lions Club di Stradella, Broni e Montalino. In particolare, presso la Fondazione Cella abbiamo organizzato progetti al CSS di Vescovera e presso la RSA (sede di Broni e Arena Po). Abbiamo in programma altri interventi nel territorio di Stradella e Portalbera di cui non conosciamo ancora i termini precisi, ma che siamo sicuri arriveranno a compimento consentendo ai destinatari di godere della gioia dei nostri cani». Esiste un progetto che coinvolge il reparto di pediatria dell’ospedale di Voghera. Di cosa si tratta? «Il progetto è nato dalla nostra collaborazione con Il Lions Club di Stradella, Broni e Montalino. Con questo intervento attuato sia nello scorso anno che in questo, grazie al consenso dei sanitari e dei vertici dell’Azienda Ospedaliera di Voghera, abbiamo voluto testimoniare quanto sia bello ed importante, per i piccoli pazienti, ricevere la visita di simpatici quattro zampe. I nostri cani sono stati veri portatori e donatori di sorrisi per i bimbi che, dopo un ini-zio un po’ timoroso, hanno poi apprezzato e goduto nel giocare con Isotta e Chicca, le nostre cagnoline particolarmente docili e sensibili (perciò adatte all’ambiente ospedaliero).

Questo progetto ha rappresentato una bellissima novità nel panorama ospedaliero della Provincia di Pavia. Speriamo che il successo avuto dai nostri pelosetti costituisca un buon precedente per porre in essere collaborazioni future». Come si svolge una seduta di Pet Therapy? «Innanzitutto una seduta di Pet Therapy non deve mai superare i 45 minuti di lavoro effettivo con il cane. Le modalità variano molto a seconda dei soggetti coinvolti. Di base, ogni seduta viene iniziata con un momento di presentazione e di accudimento da parte del paziente nei confronti del cane (carezze, spazzolatura offerte del cibo), successivamente se le capacità dell’assistito lo permettono si può passare ad una fase di interazione, dove l’umano è invitato ad impartire semplici comandi al cane, che in risposta obbedisce. In realtà, tutte le attività appena descritte sono propedeutiche e preparatorie al percorso emozionale che coinvolge il paziente mentre sta operando con il cane (ricordi, sen-sazioni, allegria, entusiasmo)». Quali sono i fondamenti di base della Pet Therapy? «Le attività di Pet Therapy possono essere suddivise in: attività assistita dall’animale, terapia assistita dall’animale ed educazione assistita dall’animale. Il fondamento alla base di tutto il lavoro è comunque il benessere apportato dall’animale all’uomo, non tralasciando ovviamente il benessere animale, nel senso che l’animale impiegato nelle attività deve essere sempre tenuto sotto controllo a livello fisico e psicologico». Che tipo di percorso educativo segue l’animale, per arrivare a svolgere il ruolo di “terapeuta”? «Il cane, che può essere di qualsiasi razza, deve fin da piccolo essere abituato all’interazione in qualsiasi ambiente, in particolare negli ambienti nei quali andrà a lavorare da grande, deve essere abituato a particolari manipolazioni, alla sopportazione di alcuni rumori ma innanzi tutto deve maturare un’esperienza di relazione con la persona che diventerà il suo “coadiutore”; il cane e il coadiutore devono diventare un “binomio perfetto” nel quale l’uno riuscirà a scorgere nello sguardo dell’altro le in-tenzioni, ed è questa una delle parti più interessanti del lavoro». Quali sono i cani che utilizzate nel vostro percorso? «Attualmente i cani coinvolti nelle nostre attività sono tre Labrador di 6 anni: Chicca, Jo e Amos, una giovane bassotta di nome Eva e la nostra mascotte Isotta, che è una meticcia di dieci anni che ha “formato “quasi tutti gli altri colleghi che si sono succeduti nel tempo. Colonna portante del nostro branco è stata Elsa, una meraviglio-

Dal 2011 l’associazione “ConFido in un Sorriso” opera sul territorio con l’aiuto di “terapeuti” a 4 zampe Silvia Razzini con Jo

sa Golden Retriever, attualmente a riposo perchè ha raggiunto il limite di età. La salute dei nostri cani è costantemente monitorata dal dottor Garbagnoli della Clinica Veterinaria Sant’Anna di San martino Siccomario, il cui super Labrador Jo collabora con noi come terapista a quattro zampe». Quali sono i benefici che si ottengono, a livello psicologico, nel rapporto con il cane? «La Pet Therapy si identifica come un intervento sussidiario che aiuta, rinforza, arricchisce e coadiuva le tradizionali terapie e può essere impiegata su pazienti di qualsiasi età e affetti da diverse patologie, con l’obiettivo di migliorare la qualità di vita dell’individuo. La sua efficacia in termini di maggior benessere psicofisico è scientificamente dimostrata: in particolare sono stati dimostrati benefici sugli stati di ansia e depressione e sugli stati di forte stress psicofisico, come può essere un ricovero ospedaliero. Sono stati altresì dimostrati i correlati fisiologici della percezione di maggior benessere, attraverso indicatori quali un miglioramento della pressione sanguigna, della frequenza cardiaca e dei livelli di immunoglobulina, nonché una generale migliore percezione della salute psicofisica. Il contatto con l’animale, in definitiva, aiuta a ridurre lo stress e a sentirsi più sereni e distesi». Avete esteso l’attività anche alle case di di cura, occupandovi degli anziani. Esistono degli effetti positivi sulle malattie neurodegenerative? «L’attività di Pet Therapy con gli anziani ha da sempre ottenuto un forte consenso in quanto risveglia in loro tanti ricordi e soprattutto permette di soddisfare quella

voglia di “accudimento” che contraddistingue gli esseri umani nella tarda età. Anche coloro che sono affetti da particolari patologie degenerative possono godere degli effetti positivi del contatto con il cane, che agisce a livello emozionale. Naturalmente la Pet Therapy non è una terapia sostitutiva, ma una coterapia che coa-diuva i benefici della medicina tradizionale». Concludiamo parlando dell’associazione. Quali figure operano al suo interno? «All’interno dell’associazione operano tutte le professionalità richieste per porre in essere “attività assistite dal cane”, termine tecnico che sostituisce il termine “pet therapy”, secondo quanto disposto dalle linee nazionali in materia di attività assistita dal cane, emanate con decreto del marzo 2016. In particolare, in questo ultimo periodo operiamo io e la Dott.ssa Alessandra Maffina, coadiutori del cane e referenti di progetto quali professionalità riconosciute dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, riconosciuto quale Ente nazionale in materia di attività assistite dall’animale. I nostri progetti sono elaborati e condivisi da qualche tempo con la Dott.ssa Alessia Silvani, psicologa. Ciò non toglie che altri professionisti vengano chiamati in causa qualora la particolarità del progetto lo richieda… La nostra psicologa si occupa di osservare le interazioni tra gli utenti ed i cani ed interviene in caso di necessità, fornendo indicazioni specialistiche. Ad esempio, nell’intervento col bambino, osserva sia le interazioni che i bambini hanno tra loro che quelle tra i bambini ed il cane e può fornire, qualora ravvisasse ad esempio difficoltà comportamentali, le corrette strategie per gestire tali difficoltà». di Federica Croce


60

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Cheap but chic : PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE CON I PRODOTTI DELL’oLTREPò

Natale con i sapori dell’Oltrepò

Ci siamo, mancano pochi giorni a Natale, ecco che diventa impellente la necessità di mettere a punto il menù natalizio e di cominciare a cercare le ricette giuste che ci permettano di fare bella figura senza spendere molto. Il pranzo di Natale è uno dei momenti più aspettati delle feste. E se il tradizionale cenone è il momento dell’attesa, della sorpresa e del mistero, il pranzo del 25 dicembre è dedicato alla famiglia, alla convivialità, al buon cibo e agli affetti.

Il compito dovrebbe essere piuttosto piacevole, specie se amiamo il cibo, i pranzi e le cene in compagnia. Questo però non toglie che organizzare il menu con le relative ricette di Natale richiede un discreto impegno: con la casa piena di ospiti, cenone della vigilia e pranzo di Natale devono essere curati nei minimi dettagli. Insomma, anche se non siete grandi amanti della cucina stavolta è il vostro turno: dovrete mettercela tutta per portare in tavola un pranzo

perfetto! Primo obiettivo: eliminare l’ansia da prestazione. Come? Facendo tutto con molto amore e semplicità. Io vi propongo un menù natalizio completo e sfizioso che, utilizzando gli ingredienti della stagione e del territorio, non vi farà spendere molto e stupirà piacevolmente i vostri ospiti! Le ricette sono di semplice esecuzione e di grande effetto. Spero che possiate utilizzarle al meglio con l’augurio di un Natale sereno e ricco di amore e felicità.

Rose di Salame di Varzi Ingredienti per 6 persone: per la pasta brisée: 180 g di farina 00 90 g di burro 40 g di acqua molto fredda 3 g di sale oppure 1 rotolo di pasta brisé già pronto 100 g di ricotta 100 g di caprino 1 cucchiaino di semi di finocchio 6 steli di erba cipollina 100 g di salame di Varzi 6 fiori di cappero

Involtini di peperone Ingredienti per 6 persone: 1 peperone rosso 1 peperone giallo 100 g di tonno sott’olio 1 cucchiaio di maionese 4 alici sott’olio 1 cucchiaino di capperi dissalati 1 ciuffetto di prezzemolo sale olio extravergine d’oliva

Tagliatelle in salsa di noci con carciofi Ingredienti per 4 persone: 280 g di tagliatelle secche 200 g di gherigli di noce 4 carciofi 1 ciuffo di prezzemolo 3 fette di pancarrè senza crosta 100 g di ricotta latte 1 spicchio d’aglio 1 cucchiaio di cipolla tritata succo di limone olio extravergine d’oliva sale e pepe

Come si preparano: la pasta brisée può essere preparata manualmente in una ciotola oppure con un mixer. Tagliamo il burro a tocchetti e impastiamolo insieme alla farina, aggiungiamo il sale e infine l’acqua, nella quantità necessaria a creare un impasto omogeneo. Formiamo una palla, la avvolgiamo con pellicola trasparente e la lasciamo riposare per circa un’ora in frigorifero, poi la stendiamo su un tagliere con il mattarello ad uno spessore dicirca 5 mm ma senza surriscaldarla troppo, altrimenti si sgretola. Utilizzando uno stampino circolare, ricaviamo dalla pasta brisée 6 cerchi , foderiamo 6 pirottini e bucherelliamo il fondo della sfoglia con una forchetta. Li adagiamo su una teglia e li cuociamo in forno caldo a 200°C per 10 minuti. Lasciamo raffreddare le nostre tortine. Ora ci dedichiamo al ripieno. Setacciamo la ricotta e il caprino e li mescoliamo in una ciotola con i semi di finocchio e l’erba cipollina tritata. Spalmiamo la crema ottenuta sulle tortine. Pieghiamo a metà le fette di salame, le arrotoliamo a cono e le inseriamo nella base di formaggio esercitando una leggera pressione con il dito al centro del cono in modo da formare una rosellina. Ne mettiamo 3 per ogni tortina. Guarniamo ogni tortina con un fiore di cappero al centro, togliamo il pirottino e impiattiamo.

Come si preparano: laviamo i 2 peperoni e li abbrustoliamo nel forno a 180° per 30-40 minuti, secondo la grandezza. Li facciamo raffreddare in un sacchetto di carta, poi li spelliamo, li priviamo del picciolo e dei semi e li dividiamo ognuno in 4 falde. Tritiamo ora il tonno con le alici e i capperi e li trasferiamo in una terrina, uniamo il prezzemolo tritato e leghiamo il composto con la maionese. Distribuiamo la farcia su ogni falda di peperone e la arrotoliamo a involtino. Adagiamo gli involtini su di un piatto da portata, saliamo leggermente ed irroriamo con un po’ d’olio extravergine d’oliva.

Come si preparano: in una ciotola , facciamo ammorbidire il pancarrè con un filo di latte. Mettiamo nel bicchiere del tritatutto 150 g di gherigli di noce, il pancarrè strizzato, l’aglio tritato, la ricotta e un filo d’olio e frulliamo. La nostra salsa alle noci è pronta. Ora puliamo e tagliamo a fettine sottili i carciofi e li immergiamo in acqua acidulata con il succo di limone. Lessiamo la pasta in abbondante acqua salata. Nel frattempo mettiamo un po’ d’olio in una padella e vi facciamo appassire la cipolla.

Rose di Salame di Varzi

Uniamo le fettine di carciofo e le facciamo rosolare per pochi minuti. Saliamo, pepiamo e le spolverizziamo con poco prezzemolo tritato. A questo punto scoliamo le nostre tagliatelle, le mantechiamo bene con la salsa di noci e le dividiamo nei piatti distribuendo i carciofi su ogni porzione. Completiamo con i gherigli di noce rimasti spezzettati grossolanamente. Arrosto di Natale con funghi porcini Ingredienti per 6 persone: 1,5 kg di rotondino di vitello olio extravergine d’oliva mezzo bicchiere di vino bianco secco 30 g di burro 2 cucchiai di farina mezzo litro di latte 50 g di funghi porcini secchi 1 spicchio d’aglio 1 ciuffo di prezzemolo - sale


Cheap but chic : PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE CON I PRODOTTI DELL’oLTREPò Come si prepara: mettiamo i funghi secchi ad ammollare in acqua tiepida. In un tegame con 4 cucchiai d’olio, rosoliamo bene il rotondino da tutte le parti, sfumiamo con il vino bianco e portiamo a cottura a fuoco lento coperto. L’arrosto sarà pronto quando la forchetta entrerà facilmente nella carne. Prepariamo una besciamella sciogliendo il burro a fuoco lento, aggiungiamo la farina e da ultimo il latte. Cuociamo per alcuni minuti, continuando a mescolare e saliamo leggermente. Scoliamo i funghi e li rosoliamo brevemente in una padella antiaderente con olio, aglio e poco prezzemolo tritato. Aggiustiamo di sale. Togliamo l’aglio e frulliamo una parte del composto di funghi e prezzemolo, lasciando in disparte alcune fette per decorare. Aggiungiamo la besciamella al frullato di funghi e mescoliamo. Affettiamo l’arrosto e disponiamo le fette su di un piatto da portata. Copriamo con la salsa di funghi e besciamella calda e decoriamo con le fette di funghi tenute da parte.

DICEMBRE 2019

61

Gabriella Draghi

Tagliatelle in salsa di noci con carciofi Mousse di castagne con salsa di cachi e croccante di mandorle Ingredienti per 4 persone: 200 g di crema di marroni 4 cachi 2 cucchiai di rhum 200 ml di panna fresca 1 limone 2 cucchiai di pepite di cioccolato per il croccante di mandorle: 100 g di zucchero 100 g di lamelle di mandorle 2 cucchiai di acqua gocce di succo di limone

Arrosto di Natale con funghi porcini

il Periodico News

Come si prepara: spelliamo 4 cachi maturi, eliminiamo eventuali semi e li frulliamo con il succo di 1 limone filtrato . Trasferiamo il frullato

in frigorifero a raffreddare. Ora mescoliamo bene 200 g di crema di marroni pronta in vasetto in una ciotola con 2 cucchiai di rum, fino a ottenere un composto omogeneo. Montiamo la panna e la incorporiamo delicatamente alla crema di marroni. Mettiamo la mousse ottenuta in frigorifero per circa 1 ora. Nel frattempo prepariamo il croccante di mandorle. Versiamo in un tegamino lo zucchero con l’acqua e qualche goccia di limone e facciamo caramellare. Quando avremo ottenuto un bel colore ambrato, uniamo le lamelle di mandorle e mescoliamo bene. Togliamo dal fuoco e versiamo il composto su una spianatoia coperta da carta da forno. Copriamo con un altro foglio di carta e ,con un mattarello , spianiamo bene il nostro croccante fino ad ottenere una sfoglia sottile. Tagliamolo a listarelle prima che si raffreddi completamente. Ora suddividia-

Mousse di castagne mo la mousse preparata in 4 coppe, copriamo con il frullato di cachi e decoriamo con alcune pepite di cioccolato e le listarelle di croccante di mandorle.

di Gabriella Draghi



ARTE & CULTURA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

63

«Penso in dialetto e mi traduco in italiano» Sénsa Insìma di prudut a t’légi…sénsa, sénsa pù cuschì, sénsa pù cul là, l’è ‘l prugrès d’la mudèrna sjénsa che, sénsa gnént, la séguita créà.

«I giovani non conoscono più il dialetto, lo si può sentire solo da chi ha più di 40 anni»

Al càfé lè sénsa cafeìna, s’fa da mangià sénsa cundimént, la caran la gh’ha ‘lmà la pruteìna e t’fa murì sénsa…jàcidént! Son tuti nuvità ch’i fan cuntént Però in gìr gh’è tanti manigòld E alùra ciàrcuma da stà atènt. Parchè pö dàs che vön fürb mè Bàrtold U posa pensà dabòn un bel mumènt, d’inventà i stipéndi…sensa sold! Senza Sopra i prodotti si legge…senza, senza più questo, senza più quello, è il progresso della moderna scienza che, senza niente, continua a creare. Il caffè è senza caffeina, si fa da mangiare senza condimenti, la carne ha solo la proteina e ti fanno morire senza gli accidenti! Sono tutte novità che accontentano, ma in giro ci son tanti manigoldi e allora cerchiamo di stare attenti. Perché può darsi che un furbo come Bertoldo possa pensare un bel momento, d’inventare gli stipendi senza… soldi! La poesia dialettale “Sénsa” di Angelo Vicini è tratta dalla seconda raccolta “Ciaciar vugherès” pubblicata 1984 che, con la prima raccolta “Un Vugherés…’d Vughéra” del 1982 e la terza raccolta “A la fén d’un vìag” del 2004 ,rappresentano il percorso del poeta dialettale vogherese sempre fedele alla propria lingua e al proprio territorio. Vicini ha sempre scritto versi in dialetto vogherese e proprio in questi giorni ha pubblicato “Nâsü e tirà sü in djâlât vugheréš” (Nato e cresciuto in dialetto vogherese), antologia poetica dal 1962 al 2017 con poesie e Haiku inediti ed. Ticinum, che raccoglie 35 anni di versi dell’autore che si definisce “l’ultimo difensore dell’idioma vogherese”. L’abbiamo incontrato per sapere qualcosa di più sulla passione per il dialetto. Vicini lei è un vogherese doc, nato nel 1944, proveniente dal mondo operaio e cresciuto, si può quasi dire, a pane e dialetto in un periodo storico in cui questo idioma era molto diffuso nella nostra città. Quando nasce la sua passione per il dialetto vogherese? «Guardi, ricordo che quando avevo circa 5 anni mi facevo raccontare le storie in dialetto da mia mamma anche perché, come ha detto lei, allora si parlava quasi esclu-

Angelo Vicini, si definisce “l’ultimo difensore dell’idioma vogherese”

sivamente in dialetto. Io pensavo e penso ancora in dialetto. Ho iniziato a studiare l’italiano alla scuola elementare e mi ricordo che il mio maestro, il maestro Marconi apprezzava il modo in cui scrivevo in italiano e mi ha stimolato ad appassionarmi alla lettura e alla scrittura. Nel 1961 poi, ho iniziato a collaborare con il giornale locale “Il cittadino” nato nel 1957 ad opera di Ambrogio Arbasino fino al 1967 quando il giornale ha chiuso. Nel 1980 ho pensato di scrivere in dialetto per fare satira e ,grazie all’invito del maestro Marconi, ho iniziato a collaborare a Radio Voghera ed ho poi pubblicato il primo libro che ebbe molto successo nel 1982. Due anni dopo ho pubblicato il secondo libro ed ho dovuto aggiungere un glossario perché le persone che telefonavano in trasmissione chiedevano delucidazioni sui termini usati. E da lì è iniziata una lunga ricerca sulla terminologia del dialetto vogherese. Mi ricordo che l’interesse per il dialetto era molto vivo ed ero andato a presentare i miei libri anche nelle scuole. Ho continuato a scrivere poi per 20 anni senza più pubblicare nulla. Nel 2004 ho fatto la terza pubblicazione però con il testo a fronte in italiano, perché nel frattempo i parlanti di dialetto erano notevolmente diminuiti ma c’era sempre una larga fascia di pubblico interessata». Qual è stata l’evoluzione del dialetto dalla prima poesia che ha scritto ad oggi? «La poesia dialettale era una poesia folcloristica, scritta in rima e in genere molto ironica. La mia poesia in dialetto è diversa, io uso il dialetto come lingua, a volte usando la rima e, a partire dal 1984 ho trattato temi che, affiancando la traduzione italiana al dialetto, possono essere com-

presi a livello nazionale. Il dialetto poi è una lingua viva, in evoluzione con i tempi e quindi cambiano le espressioni con il passare degli anni. Un esempio lampante dell’evoluzione del dialetto è l’espressione italiana “mercato coperto”, coperto in dialetto si dice “quatà”. Se diciamo “marcà quatà” fa ridere, se volgiamo al dialetto la parola italiana “coperto” cioè “cupert” , sta bene, “marcà cupert”. è anche una questione di musicalità del dialetto». Ci vuole parlare della passione per gli “haiku” giapponesi? «Ho sempre avuto la passione per gli “Haiku” giapponesi e che per un certo periodo mi sono dilettato a scrivere in italiano. Che cosa sono gli Haiku? Sono dei componimenti di 3 sillabe con lo schema 5-7-5, sono detti componimenti dell’anima che per i giapponesi devono avere come tema la natura. Io quando li scrivevo mettevo come tema l’uomo e così sono andato a sottoporli ad una scuola giapponese di Milano che li ha apprezzati ed è stata una contaminazione tra diverse culture. Ho lasciato i miei “haiku” , ognuno scritto su di un foglio, a Milano e mi è stata fatta una bellissima sorpresa: una maestra calligrafa giapponese li ha tradotti in ideogrammi e me li ha donati. Ora i 37 pezzi realizzati su carta di riso sono esposti alla Fondazione “Adolescere” di Voghera. Ho quindi deciso di iniziare a scrivere gli haiku in dialetto vogherese e, quando con la casa editrice Ticinum abbiamo deciso di pubblicare l’antologia, li ho pubblicati con tutte le altre poesie ed alcune composizioni degli ultimi anni. Haiku I ricòrd di vég - I ricordi dei vecchi Son girasù int’i camp - Son girasoli nei campi

Quand riva sira - Quando cala la sera». Oggigiorno si sente sempre meno parlar dialetto nella nostra città, si è un po’ persa la tradizione, lei pensa che questo idioma meraviglioso vada scomparendo? «Nel 1984 le persone riuscivano anche a leggere il dialetto ma negli ultimi 20 anni gli ultimi parlanti sono quasi del tutto spariti. Con parlanti intendo le persone che ,leggendo 2 volte una poesia riescono ad esporla in modo fluido. C’è ancora molta gente che parla il dialetto ma i giovani non lo conoscono, lo si può sentire da persone con più di 40 anni. Io penso in dialetto e devo tradurmi in italiano(ride), faccio il contrario. è importante comunque scriverlo per vedere il cambiamento e l’evoluzione delle parole». Per lasciare il dialetto come patrimonio ai posteri non sarebbe importante effettuare registrazioni di poesie o conversazioni su cd? «Certo, sarebbe un progetto da portare avanti. Ho già alcune registrazioni di conversazioni con parlanti il dialetto di Voghera e dei dintorni, quindi il materiale su cui lavorare c’è per cui in futuro.. chissà. Intanto continuo a scrivere. Ho tradotto anche “L’Infinito” di Leopardi e la sfida è stata trovare la giusta traduzione dialettale di “infinito” e così ho intitolato la poesia: “là in da ca ‘sperda l’og” ma non l’ho ancora pubblicata». Ci sono compagnie teatrali a Voghera che utilizzano ancora il dialetto per le loro rappresentazioni dopo i compianti ed indimenticabili Buzzi e Malacalza? «Sì, c’è la compagnia “Fuori di copione” che utilizza a volte il dialetto. Un bel dialetto era quello della compagnia “Le cicale” che ormai non esiste più». di Gabriella Draghi


64

il Periodico News

MUSICA

DICEMBRE 2019

Corpo Musicale Città di Voghera, verso i 130 anni di storia Anche se non sono lo strumento più trendy per le nuov generazioni, i fiati restano una tradizione per la città di Voghera, che vanta un Corpo Musicale storico con quasi 130 anni di attività (certificati dall’archivio storico). Ha sede al 30 di via Covini ed è aperto a chiunque desideri imparare uno strumento, a chi vorrebbe riprendere un vecchio hobby lasciato nel cassetto, o anche solo per ascoltare della buona musica. A dirigerlo è il maestro e direttore Franco Garbarini. Maestro, quando è nato il Corpo Musicale Città di Voghera? Ci racconti un po’ le origini e ci parli della sua formazione professionale… «Le prime testimonianze, datate 1886, si trovano presso l’archivio storico del Comune di Voghera. In quell’anno veniva emesso il bando di concorso per la nomina del diret-tore della Scuola di Musica, al quale veniva affidato anche il compito di dirigere la banda. La banda rimane così legata alla Scuola di Musica fino al 1910, quando venne sciolta per dissidi interni. Rifondata l’anno seguente, fra varie interruzioni dovute agli eventi bellici, svolge regolarmente la propria attività fino agli anni ‘50. Dopo qualche decennio di completo silenzio, in occasione del centenario dalla fonda-zione, nel 1989 ho proposto la creazione di un gruppo di strumenti a fiato, con l’intento di riprendere, sostenere e valorizzare la tradizione bandistica vogherese. Dal 2002, con l’avvio dei corsi di orientamento bandistico, è nata la sezione giovanile del Corpo Musicale Città di Voghera, che si è affiancata ai veterani del gruppo, diretta dal Maestro Albina Sambusseti. Oggi dirigo il Corpo Musicale Città di Voghera, costituito da circa 30 strumentisti di età compresa tra i 14 e gli over 70. La mia formazione si è svolta presso il Conservatorio G.Nicolini di Piacenza. Dopo il conseguimento del diploma, ho fatto parte di varie orchestre sinfoniche e liriche e ho ricoperto l’incarico di docente presso la Civica Scuola di Musica a Voghera. Attualmente insegno alle scuole medie inferiori di Bressana Bottarone». Quanti iscritti conta il Club? «Il Club conta 50 iscritti, anche se solo 25 svolgono attività musicale e hanno seguito una formazione specifica». Da chi è composto l’organico? «Il Direttivo è composto da me sottoscritto (Direttore, Fondatore e Consigliere), Andrea Olezza (Vice Presidente), Maria Cristina Gangale (Segretaria e Consigliere), Dino Roccuzzo (Consigliere), Lucia Agnelli (Consigliere)». A che pubblico vi rivolgete?

Corpo Musicale città di Voghera durante un’esibizione

«Il nostro pubblico è vario. Quando partecipiamo alle parate, siamo molto seguiti dai sindaci, dall’Arma dei Carabinieri e da cittadini. Quando organizziamo i concerti, il nostro pubblico è di vario genere, in prevalenza non giovane». Ci sono anche giovani che si avvicinano alle vostre attività? «Posso dire che siamo una banda composta da giovani, anche se attualmente stiamo passando un periodo un po’ morto, perché i giovani d’oggi si avvicinano molto poco agli strumenti a fiato…. è presente, a livello generale, una mancanza di cultura musicale, soprattutto a livello scolastico e accademico». Che categorie comprende il vostro repertorio? «Suoniamo marce da sfilata, marce miltari, inni solenni, musiche religiose, trascrizioni di musica classica, colonne sonore, brani originali per banda, musica operistica, musica leggera». è prevista una quota di iscrizione all’associazione? «La quota associativa chiede un minimo di 5 Euro e permette di sostenere il Corpo nell’impegno musical-sociale. La stessa, inoltre, permette di partecipare alle attività, con l’opportunità di mantenere viva la tradizione musicale bandistica, poco nota in provincia». Che corsi organizzate e come sono strutturati? «I corsi (strumento flauto, clarinetto, tromba e trombone, bassa tuba, saxofono e per-cussioni ) prevedono una lezione settimanale, sia individuale che collettiva, che com-prende teoria e pratica. L’associazione fornisce lo strumento e l’intero materiale di-dattico. Alla fine del percor-

«è presente, a livello generale, una mancanza di cultura musicale, soprattutto livello scolastico e accademico» so, di durata triennale, è previsto un esame finale, che at-testa l’entrata nel Corpo Musicale. In passato organizzavamo anche il saggio finale, anche se attualmente non lo stiamo più facendo per carenza di iscritti. Si organizzano anche lezioni, concerti e workshop presso scuole di ogni grado, teatri e auditorium con lo scopo di far conoscere la banda, la musica e gli strumenti a fiato». Dove vi ritrovate per le prove? «Le prove si svolgono ogni mercoledì sera dalle 21:00 alle 22:30 presso la sede in Via Covini, 30». Dove vi esibite e per quali eventi?

Il maestro e direttore Franco Garbarini

«Suoniamo ai carnevali, alle commemorazioni e valutiamo la partecipazione a eventi privati». Tra gli eventi ai quali avete partecipato in passato in tema Oltrepò, quale ricordate con più affetto? «Ricordo con piacere la partecipazione a una trasmissione tv su Antenna 3, nella quale eravamo gli unici musicisti a esibirci dal vivo». Collaborate con le scuole vogheresi? «In passato abbiamo collaborato con la Scuola Media Plana. Attualmente, portiamo avanti l’attività con la Scuola Primaria di Rivanazzano Terme, sezione di Retorbido». Eventi futuri? «Abbiamo in programma la partecipazione alla Festività di Santa Cecilia, nel mese di Dicembre». di Federica Croce


MUSICA

il Periodico News

DICEMBRE 2019

65

Esordio discografico per la band metal oltrepadana: «anticommerciali fino al midollo» Stampano musicassette, hanno un nome impronunciabile, fanno un genere di nicchia e hanno dedicato il loro album a due etichette non più in attività. Eppure i Lhurgoyf, forse proprio perché fuori dal tempo, sono la prova vivente che la musica unisce le età e azzera le distanze. Tra i 44 anni del bassista e i 18 del batterista si annidano generazioni tenute insieme dal collante di una musica che nulla ha a che vedere con mode o gusti di tendenza. Formatisi nel 2017 sulle colline dell’Alto Oltrepò, hanno da subito assunto un piglio anticommerciale. La loro musica è “violenta”, puro heavy “vecchia scuola” rumoroso e inquietante quanto un urlo nel bosco nel cuore della notte. Fondatori della band sono Federico “Boss” De Carli (ex The Nerds) e Francesco Filippini (bassista dei Doctor Cyclops), entrambi in qualche modo pionieri dell’underground oltrepadano. Ad accompagnarli in questa nuova avventura, appena concretizzatasi nella pubblicazione del primo disco “Raw Matters”, ci sono il bassista Cristiano Trappoli e il giovanissimo batterista neo diciottenne Guglielmo Draghi. Li abbiamo incontrati in occasione del release party svoltosi sabato 7 dicembre a Salice Terme. Inizierei dal vostro nome, quasi impronunciabile e ancora più difficile da scrivere correttamente. Che cosa significa, perché lo avete scelto e a quale immaginario si riferisce? Filippini: «Il nome è preso in prestito da una creatura bestiale del gioco di ruolo Magic The Gathering». De Carli: «Così come il Lhurgoyf trae forza dai cadaveri di cui si nutre, noi prendiamo ispirazione da quella musica che le mode ed il mainstream hanno sepolto e dimenticato». Come è nata l’idea di creare questa band? è stato facile trovare i componenti? Filippini :«Chiedendo a Boss se gli andava di incontrarsi e discutere di un’idea e del materiale che avevo per le mani. C’è stata subito intesa ed abbiamo iniziato l’avventura con me al basso, Boss alla voce e Emanuele Dirotti alla batteria. Abbiamo inaugurato il progetto così, senza chitarra. Poi c’è stato il periodo in cui abbiamo affrontato dei live senza la presenza del basso. Allora era già subentrato alla batteria il sedicenne Guglielmo Draghi. Ora nel Lhurgoyf suono la chitarra e abbiamo completato il cerchio con l’ingresso di Cristiano Trappoli al basso. No, non è stato affatto semplice trovare componenti, ma abbiamo insistito e continuato a provare e scrivere». Si capisce, non solo per il genere musicale che suonate, che di “commerciale” avete poco o nulla. Vi muovete nell’un-

“Lhurgoyf”, la

derground ed è evidente, ma quale motivazione artistica c’è dietro questa scelta? De Carli: «Per me all’ascolto è fondamentale percepire immediatezza, che non significa però semplificazione: quale che sia il genere, cerco l’intenzione dietro alla musica, l’urgenza di espressione dell’artista, non voglio necessariamente il “prodotto perfetto”. Per questo pesco tantissimo dai periodi di transizione tra generi musicali, più che da scene consolidate, e mi piace pensare che sia difficile etichettare quello che suoniamo». Parliamo del vostro primo lavoro, Raw Matters. Da quanti pezzi è composto e come sono nati? Filippini: «Raw Matters è un Ep autoprodotto, in cui sono contenute 5 canzoni originali e una cover. I brani nascono probabilmente dall’esigenza di “scaricare a terra”, attraverso il coinvolgimento di tutto il corpo, in un bagno di suono. Chi si metterà in ascolto dell’Ep riceverà questo messaggio chiaro e distorto. Abbiamo deciso di dedicarlo a due etichette discografiche “fantasma” perché non più in attività come Nicotine Records e Scary Records, un gesto di riconoscenza per chi ha supportato l’underground per molti anni». Dove è possibile trovarlo? «Abbiamo stampato 50 musicassette che venderemo ai nostri concerti insieme a un codice per il download digitale». Di cosa parlano i vostri testi? C’è un filo conduttore che li accomuna o sono “episodi” a sé stanti? De Carli: «Alla base di tutto c’è una riflessione sulla violenza come elemento imprescindibile che permea tutto l’universo, considerandola in tutte le sue forme: fisiche, psicologiche, storiche, sociali ma anche naturali, dagli sconvolgimenti climatici alle catastrofi su scala cosmica». Avete parlato di “violenza”. Il metal, specialmente nelle sue correnti più estreme, evoca fantasmi. Per lo più sono luoghi comuni, ma è innegabile che esoterismo, satanismo e violenza siano associati spesso a questa corrente musicale. Voi che la vivete da dentro ci vedete qualcosa di vero? De Carli: «Io credo nella “potenza” di cer-

I “Lhurgoyf”, band formatisi nel 2017 sulle colline dell’Alto Oltrepò

te simbologie, in particolare quelle legate alla morte, che si presentano in ogni epoca e cultura: sono concetti universali che vanno a toccare gli strati più profondi ed ancestrali del nostro subconscio, e nessuno è immune al fascino che esercitano, positivo o negativo che sia». L’Oltrepò è terra di vino, pifferi e fisarmoniche ma anche di boschi e montagne. Sarà quello il filo di collegamento con il metal... fatto sta che di band “heavy” ce ne sono parecchie. Come mai? Cosa c’è in questo territorio che evoca certi “spiriti”? De Carli: «Sicuramente il clima fa la sua parte: nebbia, pioggia e fango non stimolano certo pensieri solari... poi credo che ci sia un’affinità mentale e spirituale con le avversità e le superstizioni proprie della vita “grama” condotta dagli antenati che abitavano le nostre montagne e colline, da cui ci sentiamo inconsapevolmente attratti». Questa band è nuova, ma alcuni di voi sono “nel giro” da parecchio. Doctor Cyclops e Nerds ad esempio sono band che hanno girato l’Europa per anni. Che giudizio esprimete invece sulla scena musicale oltrepadana? Filippini: «Semplicemente, in diversi Paesi esteri la gente non ha mai smesso di ascoltare musica in tutte le sue espressioni e in quei luoghi c’è spazio anche per questo tipo di musica. Quei palchi sono accomunati da uno stesso caratteristico odore: sono vivi e vissuti. Le persone che seguono questa scena in altri Stati non hanno mai smesso di fare rete, perché proprio dall’esistenza di quella stessa realtà dipende parte del loro piacere. Non si sono mai dovuti chiedere come fare per rimettere in moto il carrozzone!» Quali sono le difficoltà maggiori che si incontrano a volere essere “band” da queste parti? De Carli: «Senza dubbio è sempre più evidente l’isolamento in cui ci si trova nell’ambiente musicale. Nonostante negli ultimi anni sia cresciuto il numero di musicisti, anche giovani, di pari passo si

è verificato un calo costante nell’interesse a dare vita ad una “scena” locale, intesa sia come partecipazione agli eventi live che come luogo di confronto di opinioni, scambio di informazioni e discussione in generale. Ognuno resta nel proprio spazio, chiuso e circoscritto, fatto di “mi piace” e “parteciperò”». Esistono locali che appoggiano la scena underground? De Carli: «Per fortuna in zona abbiamo un giro di locali che ancora scommettono sulla musica live, nonostante la risposta del pubblico sia spesso scarsa. Spaziomusica a Pavia, Bonnie & Clyde a Torricella, Wally’s Pub e Dazibao a Tortona sono dei punti di riferimento per l’underground musicale oltrepadano e meriterebbero un supporto maggiore. Ora Soqquadro di Salice Terme e Dagda di Retorbido pare abbiano aperto le porte ai gruppi locali». Guglielmo, quando ha iniziato a suonare nei Lhurgoyf aveva 16 anni. Quello che suonate non è certo un genere musicale con cui oggi si entra in contatto facilmente. Bisogna andarselo a cercare. Come si è avvicinato a questo mondo? «Il primo contatto con la musica metal è avvenuto quando mi è stato proposto di far parte del progetto Lhurgoyf. Prima non avevo mai ascoltato questo genere. Sono entrato in questo mondo ascoltando quello che mi veniva proposto, principalmente band quali Merciless ed Entombed. è un genere con cui non ho una reale affinità. Trovo che da questo conflitto sia fiorito un aspetto molto importante dei Lhurgoyf, ovvero l’incontro tra un cantato metal ed una sezione ritmica più orientata verso altri generi. In questi ultimi anni, grazie all’ambiente scolastico, dove sono regolarmente ascoltati gruppi dal new metal (Korn, Slipknot, Disturbed) al prog (Dream Theater, Leprous, Haken), ho maturato un interesse crescente verso questo genere». di Christian Draghi


68

il Periodico News

SPORT

DICEMBRE 2019

Deborah Aquilini, una vita per la moto

Deborah Aquilini, più familiarmente Debby, ha 22 anni, è al terzo anno di studi presso la facoltà Agraria dell’Università di Piacenza e pianifica anche di conseguire una laurea magistrale; attualmente lavora part-time presso un distributore di benzina a Montebello, si allena regolarmente e si impegna a trovare del tempo da passare con le persone che ama. Ciò che la contraddistingue di più, però, è la sua passione per la motocross. A causa degli stereotipi che gravitano intorno al suo lavoro e allo sport che pratica, questa instancabile ragazza deve affrontare commenti e atteggiamenti che spesso raggiungono i livelli dell’inciviltà e della molestia – fenomeno di cui sono purtroppo vittime anche molte altre donne ogni giorno. Tuttavia lei continua per la sua strada a testa alta e combatte la disparità fra i sessi in silenzio, dimostrando il valore del genere femminile, esattamente pari a quello maschile, sia nel quotidiano che in pista. Deborah, ha un sogno che vorrebbe realizzare una volta terminati gli studi? «è una cosa abbastanza da pazzi per i tempi che corrono, però vorrei aprire un agriturismo con produzione propria: una delle mie 3 sorelle sta studiando pasticceria, quindi i dolci sono assicurati; poi la passione per la cucina l’abbiamo un po’ tutte in realtà. In ogni caso ora la priorità è laurearmi e fare la magistrale, poi, prima di buttarmi a capofitto nell’apertura di una mia attività, valuterò la situazione e mi guarderò un po’ intorno». Tutto questo in parallelo con la sua passione per la motocross. «Assolutamente, io lavoro praticamente per la moto: se non ci fosse lei è vero, mi sarei già laureata probabilmente e dovrei sforzarmi meno a incastrare tutti gli impegni, ma mi mancherebbe quel momento di libertà in cui posso sconnettere tutti gli altri pensieri e concentrarmi solo a dare il meglio di me in pista. Non è che io stacchi il cervello – anzi, devo usarlo eccome, ma è per me un divertimento tale che qualunque influenza esterna svanisce». Quando e come si è appassionata a questo sport? «Pratico motocross da 4 anni e da 3 in modo agonistico. è stata una scoperta un po’ casuale. Ho sempre voluto provare ad andare in moto, ma i miei genitori me l’hanno impedito perché questo sport li spaventava un po’; finché non hanno pronunciato le parole “a 18 anni fai quello che vuoi” e così ho fatto (ride): una volta maggiorenne, grazie a mio cugino che già faceva motocross, ho fatto la mia prima corsa, e da lì è nato l’amore per le due ruote». Ha iniziato a gareggiare molto presto, solo un anno dopo aver iniziato a prati-

Deborah Aquilini, 22 anni di Montebello della Battaglia

care motocross. Perché? «Ho cominciato così presto perché in un anno sono migliorata veramente tanto, soprattutto quando ho fatto il passaggio da 85cc a 125cc. In questo anno ho anche conosciuto moltissime persone – tante ragazze – e sono entrata un po’ nel giro insomma. Mi ha spinta a competere la ricerca di stimoli diversi per migliorare: secondo me il modo più efficace per fare progressi in più o meno qualsiasi cosa è il confronto con altre persone, di ambo i sessi ovviamente. Ho appena concluso il campionato regionale Piemonte – Lombardia femminile, ma ho affrontato anche gare miste con i ragazzi, in cui impari soprattutto a farti la pelle, a farti rispettare. Il prossimo anno, se tutto va bene – incrociamo le dita, parteciperò al campionato italiano». Quanto sacrifica per questa sua passione? «Ora le acque sono un po’ più calme dato che gli allenamenti in moto sono meno frequenti e con le lezioni siamo fermi, ma di solito devo incastrare tra di loro le lezioni in Università, lo studio che di conseguenza ne deriva, il lavoro, gli allenamenti un paio di volte a settimana per 3 ore circa ciascuna, la palestra e la piscina che consentono la preparazione fisica adeguata alle corse,e ovviamente tempo per il mio ragazzo e i miei amici. Di norma, se non c’è allenamento, il mio giorno libe-

ro è il sabato; ma, contando che le gare si tengono di domenica, devo essere a letto alle 21 per svegliarmi alle 4 o alle 5, raggiungere la pista, fare le prove e tutto il resto. Quindi le uscite la sera – anche se andare a ballare non mi piace – sono quasi sempre escluse. Il periodo più difficile è tra marzo e ottobre circa, perché parte la stagione delle gare e quindi gli allenamenti sono più frequenti: è in questo lasso di tempo che mi tocca sacrificare la maggior parte del tempo». In che cosa consiste la sua preparazione fisica al di fuori delle esercitazioni? A cosa serve? «Il mio standard è di due o tre volte in palestra alla settimana, un allenamento, chiamiamolo così, all’aria aperta – in bicicletta di solito, e adesso che il brutto tempo limita le ore in cui posso andare in moto, inserisco anche il nuoto – la parte di cardio. Serve allenare anche il proprio fisico per essere più prestanti in corsa: equilibrio, forza nei muscoli e fiato sono indispensabili. Inoltre è si è più resistenti ad eventuali cadute o incidenti di altro tipo: metti che, anche da fermo, ti cade la moto su una gamba – sì, può capitare; devi essere forte abbastanza da tirarla su se sei solo o nessuno può aiutarti». Com’è, per lei in quanto donna, lavorare ad un distributore di benzina? «Frustrante. Soprattutto gli uomini dai 30 anni in su pensano che tu non valga nien-

te. Io qualcosa ci capisco di motori, vuoi per la moto vuoi perché è un argomento che mi ha sempre interessata; ecco, c’è chi, nonostante non sia capace egli stesso, non vuole accettare aiuto da me per gonfiare le gomme, banalmente. E non offro il mio aiuto per vantarmi del fatto che so gonfiare le ruote: uno, è il mio lavoro; due, è buona educazione dare una mano a chi ha bisogno. Certo che sentirsi dire, senza una motivazione fondata “no, tu non sei capace”, ti fa venire voglia di rispondere “arrangiati”. Io non sono fatta così, quindi soggetti del genere di solito li lascio tribolare un po’ e poi vado ad aiutarli. Poi c’è chi esagera con gli apprezzamenti al punto da arrivare alla molestia. Capitano anche i complimenti educati e fin lì ci può stare, mi fanno anche piacere: sorrido e ringrazio. Ma la maggior parte delle volte sembra di essere la ragazza immagine di un pub, messa lì non tanto per fare il proprio lavoro quanto per appagare i clienti. Certi cafoni, se gli si risponde a tono, capiscono e se ne vanno; per altri invece non si può fare altro se non ignorarli e sperare che la smettano il più velocemente possibile. Sono comunque clienti e quindi non si può esagerare nel ribattere. Lo stress che deriva da questo impiego è soprattutto psicologico, però quando hai degli obiettivi da raggiungere e quindi necessità di un lavoro, passi oltre. Il lato positivo è che sono piccola e questo tipo di esperienze mi serve per farmi le ossa». Le sono mai capitati episodi tanto gravi da dover chiamare la polizia? «Non legati al fatto che qualcuno mi stesse dando fastidio: ero tentata di chiamare quando uno (abbastanza conosciuto in zona quindi avevo in mente che soggetto fosse) ubriaco, ha davvero esagerato e mi ha fatta spaventare; per fortuna mi sono venute ad aiutare delle persone dal bar qui di fianco ed è stato allontanato. Mi è capitato quest’anno di chiamare la polizia a causa di un uomo armato. Si è allontanato dopo che ho avvertito le autorità, ma la loro reazione mi ha lasciata allibita: al telefono mi hanno chiesto chi mi assicurava che avesse la pistola; la sagoma dell’arma si vedeva chiaramente al di sotto della maglietta – era estate. Avevo anche fornito la targa del furgone. Sta di fatto che non mi hanno creduta; sì, penso proprio per il fatto che dall’altro capo del telefono avessero sentito la voce di una giovane ragazza. Poi mi hanno richiamata dicendo che avevo ragione e che quest’uomo aveva subito dopo fatto una rapina a Stradella. è comprensibile che questi episodi – due dei tanti che mi sono capitati – non mi facciano sentire tutelata come donna e come persona. L’altra mia collega è nella stessa situazione».


SPORT

«Studio agraria, sono una biker e benzinaia: non per questo meno donna o da sottovalutare» In ambito sportivo la situazione è diversa? Ha subito discriminazioni anche nell’ambiente motociclistico? «Sì, soprattutto in officina. Ripeto, io sostengo che la base del miglioramento sia il confronto, quindi come ascolto e apprezzo i consigli anche io mi sento di darne, nella maniera più educata possibile. Non a tutti è chiaro che in moto, in officina, siamo sì uomini e donne, ma soprattutto piloti. Detesto chi pretende di saperne più di te, chi crede che tu sia un’incapace, chi ti dice cosa devi fare dall’alto dei suoi attributi maschili. Se hai un suggerimento da darmi sono più che disposta ad ascoltarlo e poi sta a me se seguirlo o meno, ma chi si atteggia da superiore non lo tollero. Per il quieto vivere di solito ignoro, ma poi in pista dimostro quanto valgo e quanto la differenza di sesso non conti nulla quando sei sulla moto; e come rode a certe persone

il Periodico News

DICEMBRE 2019

essere battuti da una ragazza. Se pratichi questa disciplina e te la cavi anche bene piovono i “sei un maschiaccio”, “perché fai uno sport da maschi?”, “dovresti essere più femminile” – poi, quando ti vedono vestita bene e truccata fanno, tutti sorpresi “ah, ma quindi ti vesti anche da donna!”. Come un ragazzo può scegliere se uscire in smoking o con la felpa, allo stesso modo una ragazza può scegliere se uscire in tuta o vestito e tacco. Stessa cosa nello sport: non ci sono discipline da uomo o da donna, però se un maschio fa danza allora è gay per la società – come se ci fosse qualcosa di male, tra l’altro, e se una femmina corre in moto allora è uno scaricatore di porto. E purtroppo è molto difficile far cambiare idea al mondo; con qualcuno ci sono riuscita, ma la disparità uomo-donna è talmente radicata nella società che sarà difficilissimo annullarla». Aldilà dei pregiudizi e dei comportamenti intollerabili riservati alle ragazze, problemi legati, come ha detto lei, alla società intera e che poi si riflettono anche sullo sport, è soddisfatta di come qui in Oltrepò viene vissuto il mondo del motociclismo? «Trovo ci siano un bel po’ di pecche, le quali derivano dal fatto che molte piste sono gestite da gente poco qualificata, che non ti mette in condizione di poterne usufruire appieno. In primo luogo sono necessari dei parcheggi adeguati, che non si allaghino ad esempio, perché non sono pochi quelli che sostano presso una pista con il camper per più giorni e capita che

rimangano bloccati. Poi bisognerebbe equilibrare bene i livelli di difficoltà del sentiero: ovvio che per migliorare è necessario alzare poco a poco l’asticella, ma sfido a trovare qualcuno che venga da te se il circuito che offri nel complesso è basilare ma con sporadici ostacoli invalicabili anche per gli esperti. Anche lo sterrato deve essere idoneo – ne so qualcosa essendo questo parte del mio campo di studi: è impossibile correre su un terreno duro, che è quasi un sasso, e per questo deve essere supervisionato. Anche l’organizzazione di alcune gare lascia a desiderare… sono molto puntigliosa e critica a questo proposito perché ricerco sempre la perfezione. Tuttavia apprezzo la grande quantità di appassionati presenti nelle nostre zone e anche un po’ più lon-

69

tani, condotti qui dalle competizioni che muovono sempre un enorme flusso di persone: non dimentichiamoci che l’anno prossimo proprio in Oltrepò si terrà la Sei Giorni di enduro. Inoltre, la grande quantità di piste presenti ti permette di raggiungere in circa 20 minuti almeno un circuito, senza sprecare ore e ore nel viaggio, tempo che va sfruttato in moto. C’è da dire poi che, accanto ai gestori poco adatti, ci sono quelli che anche dopo giorni di maltempo sistemano il sentiero e ti mettono in condizione di poter correre. In sostanza, il nostro territorio ha enormi potenzialità: bisogna imparare a sfruttarlo e gestirlo nel migliore dei modi». di Cecilia Bardoni



MOTORI

il Periodico News

Pavesi a podio al Challenge del lupo

Marta Achino e Paolo Burgazzoli Con la miglior prestazione assoluta in Gara 1 e in Gara 3 e il tempo complessivo di 7’31” e 11 centesimi, il lariano Giancarlo Maroni Jr, su Osella PA 21/J, si riconferma vincitore del Challenge del Lupo corso in una fredda e umida domenica di novembre sulla pista di Castelletto di Branduzzo, teatro della competizione valida per il tricolore della specialità. Alle spalle del Campione Italiano Formula Challenge in carica, staccato di 18” e 10 centesimi, si piazza Antonino Scolaro, anche lui al via dei 1850 metri del percorso di gara da ripetere tre volte in altrettante manches con una Osella PA 21/J. Gradino più basso del podio, a soli nove centesimi, per il giovane Erik Campagna che con la sua Formula Arcobaleno porta a casa, oltre ad una meritata vittoria in Gruppo E2 SS, la conferma di essere ancora una volta l’under 23 più veloce della partita. Detto degli specialisti del settore che occupano il podio assoluto, andiamo ora a citare alcuni dei piloti locali che meglio si sono esibiti nella gara pavese e finiti sul podio di classe, iniziando dall’onnipresente Andrea “Tigo” Salviotti che al volante della Peugeot 106 S, si é aggiudicato la

vittoria di classe RS1.6. Il portacolori della Efferre Motorsport ha preceduto Paolo Burgazzoli su Citroen C2 VTS per i colori della Scuderia Piloti Oltrepo. In Gruppo N, classe fino a 2000 l’oltrepadano Roberto Nespoli con la Clio RS si é imposto precedendo il portacolori della Scuderia Piloti Oltrepò, Nicholas Riccardi su di una vettura gemella. Sempre in Gruppo N, ma in classe 1600, si registra il primo e quarto posto dei portacolori della Efferre Motorsport di Rmagnese rispettivamente con Davide Melioli (Peugeot 106) e Davide Sozzani (Citroen Saxo Vts). Vittoria nella RSTB 1.6 Plus di Roberto Reino al volante della Mini Cooper. Secondo posto nella E2SH 2000 per il vogherese Angelo Bonini su Fiat X1/9 motorizzata Honda, mentre nella SS-S5 c’é il terzo posto di Marta Achino sull’intramontabile Fiat Uno 70, che agguanta un piazzamento analogo anche nella classifica femminile. Tra le storiche, in classe HST1 2000, vince Luca Albera al volante dell’Alfa Romeo Alfetta per i colori Efferre.

DICEMBRE 2019

“Giro Monti Savonesi” Bene gli oltrepadani Con i pavesi a premi, si é conclusa la prima edizione del Rally Giro dei Monti Savonesi per auto storiche in cui a vincere é stato l’albese Sergio Mano, in coppia con Flavio Aivano sulla Toyota Celica St 165. Dopo aver chiuso la prima tappa in quarta posizione – alle spalle delle Bmw M3 dei locali Manuel Villa – Daniele Michi, primi leader del rally, poi ritirati per noie al motore, e di Gabriele Noberasco – Fulvio Gangi e della Lancia Stratos di Mauro Sipsz – Monica Bregoli, anche loro fermati per una toccata – nella seconda giornata di gara, avvantaggiato anche dalle condizioni del fondo stradale favorevoli alle quattro ruote motrici della sua Toyota, ha fatto sue tre delle cinque prove speciali disputate, successi parziali con cui prima è balzato al comando della gara e poi ha gradatamente aumentato il vantaggio finale nei confronti dei rivali. Alle spalle del vincitore, staccata di 31”, un’altra vettura a 4rm, la Lancia Delta Integrale 16v di Renzo e Alice Grossi. Terza posizione finale per l’attesissimo Gabriele Noberasco, al via con una Bmw M3 (Team Bassano) e con Fulvio Gangi alle note: 1’13”0 il distacco dal vincitore del popolare “Odeon”, che ha avuto un ruolo importante nella rinascita di questo rally e che ha patito le condizioni del fondo stradale, non favorevoli ad una “tutto dietro” come la sua vettura. Ma veniamo agli equipaggi di casa nostra. Al 19° posto assoluto troviamo l’Opel Kadett GT/E by Madama Autostoriche condotta da Gianbattista Tambussi ed Emilio Partelli, i quali, con la vettura del preparatore di Casteggio salgono sul secondo gradino del podio della classe 3/2/I fino a 2000 cc. Scorrendo la classifica, troviamo al 26° assoluto la Fiat Uno 70S nei colori della Scuderia Piloti Oltrepo, che l’accop-

Tambussi - Partelli secondi di classe 3-2 piata Giorgio e Marco Verri, é riuscita a portare sul gradino più alto del podio nella classe 1.300 J1 nonostante i problemi di carburazione patiti nella prima giornata di gara. Altro risultato di prestigio arriva dal settore della Regolarità Sport, in cui Domenico e Barbara Gregorelli con la Lancia Fulvia Coupè 1.3, hanno ottenuto un brillante terzo posto assoluto ed il primo della Divisione 4. La media dei tempi attribuiti a tre concorrenti sulla PS2 hanno impedito ai portacolori di Paviarally di ottenere un più che meritato argento.

di Piero Ventura

Andrea Salviotti, si é aggiudicato la vittoria di classe RS1.6

71

Verri - Verri primi di classe

di Piero Ventura


72

MOTORI

il Periodico News

DICEMBRE 2019

Special Rally Circuit by Vedovati, Vincono Miele-Cerutti; Brega-Zanini sfiorano la top ten Simone Miele e Mario Cerutti hanno vinto per il secondo anno consecutivo lo Special Rally Circuit by Vedovati andato in scena, domenica 17 novembre, all’interno del Monza Eni Circuit. In una gara resa molto insidiosa dalla forte pioggia abbattutasi senza soluzione di continuità, l’equipaggio della Giesse Promotion ha prevalso sulla stessa Citroen DS3 Wrc (Dream One Racing) con la quale aveva conseguito la vittoria nel 2018, grazie al vantaggio accumulato nella prima prova speciale che, ironia della sorte, li aveva visti addirittura andare in testacoda. La scelta di utilizzare pneumatici usati nella prima parte di gara ha impedito loro di prendere vantaggi rassicuranti tenendo tutti sulle spine fino all’ultima prova. Questa suspance è stata motivata anche dall’ottima prova dei fratelli siciliani Nucita: Andrea, fresco vincitore del Trofeo Abarth nell’ERC, ritrovava la Hyundai i20 (Bernini) dopo otto mesi ma la gestione superlativa del mezzo gli ha consentito di soffiare sul collo ai capo classifica e, addirittura, di aggiudicarsi anche lo scratch nella speciale conclusiva. Il podio è completato dal duo bresciano Tosini-Peroglio (Skoda R5 GIMA); anche il pilota camuno si rammarica per non aver optato per pneumatici nuovi viste le condizioni meteo ma il terzo gradino dell’assoluta è sicuramente un piazzamento di prestigio. Ecco il dettaglio delle categorie presenti in gara: 27 le R5 al via, la classe più numerosa mentre 11 le R2; 6 le R3C e 4 le Wrc oltre ad una, la più prestigiosa, la Wrc Plus. Le storiche sono 3 così come le N4, le S1600 e le RS Plus. Due vetture sono in gara per la classe A8, la RSTB e la N2; una sola rappresentante per la S2000, la RGT, la Prod E7, la Prod E6, la RS Plus, la RS 1.6 e la R1 Naz. Cinque invece gli equipaggi pavesi in gara: Davide e Ilaria Maggi (Ford Fiesta R5), Massimo Brega e Paolo Zanini (Hyundai i20 – R5), Stefano Sangermani e Davide Pisati (Ford Fiesta R5), Mauro Arlenghi e Giampiero Signorelli (Lancia Delta A8) e marco Melino e Giovanni Maifredini (Peugeot 208 – R2B). Ma veniamo alla cronaca. Sulla PS1, Brega-Zanini stampano un grintoso 7° tempo assoluto, Sangermani Pisati sono ventunesimi, Maggi-Maggi trentaduesimi, Melino-Maifredini, quarantottesimi con la 208, mentre Arlenghi-Signorelli sbattono rendendo inservibile la loro splendida Lancia Delta Integrale. La PS 2 trova ancora Brega-Zanini battersi nella top ten, sono decimi a 19’7 dal primo, Rizzello con la Fabia R5. Maggi 27°, Melino 29° e Sangermani 30°. La PS3 vede Brega-Zanini alzare il tempo, chiudono con il 20° assoluto, sempre più

Brega - Zanini (foto Lavagnini)

veloci tra i pavesi. Sangermani é 22°, Maggi 23° e Melino 34°. Sull’ultima speciale, Brega-Zanini tentano di recuperare la top ten, ma il 12° tempo di frazione non basta a farli entrare nei dieci, si collocano al 14° posto assoluto e 10° di classe. Chiudono con un onorevole 24° posto assoluto ed il 17° di classe il loro debutto in R5, Sangermani-Pisati, mentre Maggi-Maggi sono 27esimi assoluti e 19esimi di classe. Ottima la prova di Melino che chiude al 4° posto in R2B e 35° assoluto. Top ten finale: 1. Miele-Cerutti (Citroen DS3 Wrc) in 45’26”6; 2. Nucita-Nucita (Hyundai i20 R5) a 13”3; 3. Tosini-Peroglio (Skoda Fabia R5) a 26”4; 4. Mabellini-Lenzi (Hyundai i20 R5) a 30”6; 5. Rizzello-Sorano (Skoda Fabia R5) a 36”6; 6. Brusa-Guerini (WV Polo R5) a 54”6; 7. Babuin-Gaio (Ford Fiesta Wrc) a 57”4; 8. Della Casa-Beltrame (Ford Fiesta Wrc) a 1’17”3; 9. Fontana-Savastano (Ford Fiesta Wrc Plus) a 1’19”4; 10. Ogliari-Falzone (Citroen C3 R5) a 1’22”0. Nelle storiche ad imporsi sono Menegozzi e Bombardini, i due a bordo della Porsche 911 del team Orlando, hanno staccato la Triumph Dolomite di Conforti-Zaccaria di 2’19”6; nessun patema per loro specie dopo il ritiro di Vitali-Cairoli, per rottura del cambio (Porsche 911) avvenuto sulla Ps3.

Maggi - Maggi (foto Lavagnini)

di Piero Ventura Sangermani - Pisati (foto Lavagnini)


MOTORI

il Periodico News

Bene Caushi tra le piccoline

DICEMBRE 2019

Tutti in pista al 7 Laghi

RALLY RONDE COLLI MONFERRATO

AUTO D’EPOCA

Sono Gianluca Verna e Fabio Ceschino ad alzare la coppa dei vincitori assoluti alla 22° Ronde Colli del Monferrato e del Moscato. La coppia piemontese del VM Motor Team, a bordo di una Skoda Fabia R5 preparata da Balbosca, ha dominato la gara alessandrina fin dalle prime battute ed ha rispettato i pronostici degli addetti ai lavori, che avevano scommesso all’unanimità sulla vittoria del pilota di casa. Tre prove speciali vinte su quattro in programma la dicono lunga sulla superiorità di Verna, che proprio qui lo scorso anno debuttò sulla vettura cèca. Al secondo posto staccati di 10”, Patrick Gagliasso e Dario Beltramo, su un’altra Skoda R5 preparata da Roger Tuning con i colori della Turismotor’s. Completano il podio assoluto Fredrik Fassio ed Andrea Rossello con una terza Skoda Fabia R5 con quella preparata da D’Ambra e con i colori della Meteco Corse. Per i colori oltrepadani invece, c’é il buon 36° posto assoluto, nonché primo di classe A0 per i

Organizzata dal Veteran Car Club Carducci di Casteggio, si é svolta, sabato 23 novembre al Kartodromo 7 Laghi di Castelletto di Branduzzo, l’ultima prova del campionato sociale VCCC 2019, denominata “Tutti in pista”, riservata alle vetture d’epoca. Oltre cinquanta gli equipaggi che hanno aderito alla gara segnata dal maltempo, pronti a sfidarsi a suon di centesimi di secondo nelle prove di abilità previste dagli organizzatori. Tre le categorie ammesse: Soci Top, Soci Gentleman ed Esterni. Al termine, la vittoria assoluta é andata al vogherese Stefano Ercolani con al cronometro Tito Scabini sull’A112 Abarth del 1979 i quali hanno preceduto i concittadini Ugo Rancati e Gianfranco Ercolani su Fiat 128 Copupè del 1971. Terzo gradino del podio per gli oltrepadani Fabio Fronti e Roberto Ruggeri su A112 Abarth del 1976, mentre

Sortuna per Azzaretti - Spagnolo portacolori di Efferre Motorsport di Romagnese, Folrenc Caushi navigato da Luigi Bariani sulla piccola Fiat 600, i quali precedono nella classifica di classe la vettura gemella di Andrea Robone e Roberto Fugazza. Poca fortuna invece per Fabio Azzaretti e Claudia Spagnolo, in gara a bordo della Mini RS. I due occupavano la prima posizione di gruppo quando sull’inglesina sono emersi problemi ai freni che li ha costretti al ritiro.

Caushi - Bariani (foto Lavagnini)

73

completano la top five il lomellino Pietro Guatelli con Vistarini sulla Autobianchi Y10 del 1990 i quali hanno preceduto Cantarini-Soltoianu. Scorrendo la classifica troviamo al sesto posto Curone-Cristina (A112 Abarth del 1981); Crosignani-Crosignani (A 112 Abarth del 1974); Negrini-Taschin (Renault R5 GTL del 1986); Pegoraro-Bianchi (VW Golf del 1985); Biselli-Pinotti (A112 Elite del 1984) primi classificate categoria E. All’undicesimo posto si Collocano Bulgarini-Arlenghi (Lancia Fuvia Coupe del 1974), primi tra i Genleman. Con la gara di Castelletto di Branduzzo si é chiusa una stagione non certo facile, sotto l’aspetto gestionale, per Il Veteran Car Club Cadrucci di Casteggio, che promette però un 2020 mosso da nuova linfa organizzativa. di Piero Ventura

di Piero Ventura

Pista 7 Laghi del kartodromo di Castelletto di Branduzzo



il Periodico News

MOTORI

DICEMBRE 2019

75

Rally delle Marche, bene gli oltrepadani Il 13° Rally delle Marche, si é concluso con la vittoria di Christian Marchioro, in coppia con la moglie Silvia dall’Olmo sulla Skoda Fabia R5. Per il 36enne pilota padovano si tratta della seconda vittoria assoluta in carriera, un alloro conquistato con il cuore e con grande acume tattico. La gara, che aveva registrato il record assoluto di iscritti dalla sua prima edizione con 123 iscritti è partita poi con 118 equipaggi, che hanno decisamente animato una grande giornata di sport di questa prima prova del Campionato Raceday Rally Terra e penultima del Trofeo Terra Rally Storici. Tra i protagonisti della gara marchigiana anche due equipaggi Oltrepadani, quello composto da Davide Nicelli, in coppia con Mattioda su Peugeot 208

impegnato nel Race Day e MombelliLeoncini su Ford Escort MK1 nello storico. Per Nicelli si é trattato di una gara test ed il 3° posto in R2 lo ha pienamente appagato, per lo più in vista dell’importante impegno tricolore il Tuscan Rewind di fine stagione dove si giocheranno il Trofeo Peugeot. «Aver ottenuto un ottimo risultato è stato importante più che altro per il morale dopo un “2 Valli” negativo – ha detto il pilota stradellino – Un terzo posto che ci da la consapevolezza che al Tuscan sarà una gara durissima, ma che abbiamo le carte in regola per poter dire la nostra fino all’ultimo». Nella gara “historic”, penultima prova del Trofeo Terra Rally Storici, in cui la vittoria é andata a GuggiariSordelli (Ford Escort MKII), per tre quarti

Terzo posto assoluto per Mombelli - Leoncini

Nicelli - Mattioda, terzi di classe

di gara aveva comandato il cremonese cn licenza monegasca Mauro Sipsz, navigato dalla moglie Monica Bregoli, su Lancia Rally 037 con un vantaggio considerevole. Però, una penalità per un anticipo “pagato” al controllo orario che precedeva la quinta prova, lo ha relegato in retrovia, per cui gli è rimasta soltanto la soddisfazione di primeggiare nel 4° Raggruppamento. La seconda posizione assoluta, dietro a Guggiari, stata presa da Cesarini-Gabrielli (Ford Escort). Strepitoso il terzo posto

assoluto e 2° di classe per gli oltrepadani Mombelli-Leoncini su Ford Escort MK-1, una vettura che paga ben una settantina di cavalli in meno nei confronti delle due che l’hanno preceduta. Per i portacolori di Paviarally, il terzo gradino del podio é un bel trampolino di lancio, verso l’ultima prova di campionato in programma a Montalcino per il Tuscan. di Piero Ventura

Al Tuscan, i pavesi Davide Nicelli e Silvia Gallotti a podio Il Tuscan ha incoronato Basso-Granai campioni italiani rally. Tra i titoli tricolore ancora in palio nella gara toscana sono stati assegnati il Campionato Italiano Costruttori alla Ford, mentre il tricolore Due Ruote Motrici va alla Peugeot. Nel CIR Due Ruote Motrici, la gara toscana è andata allo stradellino Davide Nicelli su Peugeot 208 R2, davanti agli equipaggi femminili di Rachele Somaschini, Citroen DS3 R3T e Patrizia Perosino, altra 208 R2. Fuori dai giochi i campioni italiani Tommaso Ciuffi e Nicolò Gonella con la Peugeot 208 R2 ufficiale per il già ottenuto titolo tricolore nel Due Ruote Motrici hanno commesso un piccolo errore hanno preso un muro a metà gara. In scena sugli sterrati del Tuscan anche il duello finale tra le Ford Fiesta R2 dei giovanissimi CIR Junior Andrea Mazzocchi con la rivanazzanese Silvia Gallotti, vincitori nello scontro diretto con i campioni italiani junior Marco Pollara insieme a Rosario Siragusano. Nel trofeo firmato da Peugeot la vittoria della gara e del mo-

nomarca é andata a Michele Griso con la 208. Ma andiamo per ordine; come detto, il Campionato Italiano Rally si è chiuso al Rally Tuscan Rewind dopo un’intensa annata con a vittoria finale di Giandomenico Basso. Anche gli altri titoli sono stati assegnati nell’ultima prova. Tra questi il trofeo Peugeot, in cui Davide Nicelli, navigato da Alessandro Mattioda sulla 208 by Bianchi, non é riuscito a concretizzare il sogno che, per oltre metà stagione, fino al rally Due Valli, aveva cullato di conquistare il prestigioso trofeo messo in palio dalla Casa transalpina. Il driver pavese non c’è l’ha fatta a riportarsi in vetta al Peugeot, chiudendo al quarto posto la prova toscana e quindi sul terzo gradino del podio la classifica finale della Casa del “Leone”. Si è riscattato con il primo posto in gara nel due ruote motrici, prima affermazione stagionale davanti al pilota Peugeot Italia Ciuffi. Il successo gli è valso la seconda piazza nella classifica finale di specialità: «Ci abbiamo provato fino all’ultimo, purtroppo è andata

Nicelli - Mattioda

Mazzocchi - Gallotti

male – spiega Nicelli – è mancata la ciliegina sulla torta ma la nostra stagione è stata straordinaria; sono certo di essere cresciuto parecchio rispetto a un anno fa e questa è la cosa più importante in ottica 2020». Voltando pagina, il piacentino Andrea Mazzocchi e la pavese Silvia Gallotti sono saliti sul gradino più alto del podio in occasione del Tuscan Rewind, ultimo

appuntamento anche del Campionato Italiano Rally Junior. L’equipaggio emilianolombardo con la Ford Fiesta R2 si è imposto al termine di una gara senza storia dove solo il numero degli scratch parziali ha fatto emergere una situazione di parità: quattro vittorie spartite tra i due pretendenti al successo; Mazzocchi ha infatti concluso con un vantaggio di 27”1 su Pollara mostrandosi sempre più a suo agio sulla terra” ha dichiarato il giovane piacentino. Con il successo al Tuscan Rewind, Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti hanno chiuso il Cir Junior 2019 in terza posizione finale. di Piero Ventura



il Periodico News

MOTORI

DICEMBRE 2019

Bene i vogheresi alla Grande Corsa

77

Con Mombelli - Leoncini, arriva in Oltrepò il Trofeo Rally Storici 2019

RALLY STORICI Avvincente, combattuta e ricca di colpi di scena è stata la Grande Corsa, rally auto storiche giunto alla terza edizione che ha visto, dopo otto prove speciali, Nicholas Montini e Romano Belfiore salire sul gradino più alto del podio con la loro Porsche 911 RSR Gruppo 4 coi colori della Scuderia R-X Team. Per il duo già campione italiano 2014, una vittoria costruita piazzando due volte l’affondo sulla prova di Cinaglio e con la testa della classifica mantenuta per cinque delle prove disputate. Sono stati solo 4”7 di distacco quelli che hanno accusato “Lucky” e Fabrizia Pons, alla fine secondi con la Lancia Delta Integrale Gruppo A, con la quale sono stati protagonisti di un testacoda con una conseguente toccata al posteriore, che è costato loro oltre mezzo minuto nella prova d’apertura e la probabile, se non certa, vittoria. Senza perdersi d’animo si sono prodigati in una rimonta che li ha portati ad una passo dalla vittoria e con i punti acquisiti nel Memory Fornaca, per la terza volta consecutiva si aggiudicano il prestigioso trofeo che a Chieri doveva proclamare i vincitori. A completare il podio assoluto, sono Lucio Da Zanche e Denis Piceno con la Porsche 911 SC Gruppo B con la quale avevano realizzato lo scratch in apertura, conducendo la gara nella prima parte e dalla quinta alla sesta prova, brillanti protagonisti di un tiratissimo testa a testa coi due equipaggi che li hanno alla fine preceduti come testimoniato dal distacco di soli 5”2. Assegnati ai primi due classificati il 2° ed il 4° Raggruppamento, il 3° è stato appannaggio della Porsche 911 SC Gruppo 4 di Roberto Rimoldi e Loretta Casagrande, sesti nell’assoluta, mentre il 1° ha visto la vittoria di Antonio Parisi e Giuseppe D’angelo su Porsche 911 S Gruppo 4. Appena fuori dal podio la BMW M3 dei transalpini Marc Valliccioni e Maria Josè Cardi, mentre a completare la top five assoluta ci sono i vogheresi della Scuderia Piloti Oltrepo, Matteo Musti e Paolo Zanini sulla Porsche 911 RSR Ova Corse tornati a misurarsi a buon livello contro grandi campioni. Nella finale di Chieri, Sordi e Biglieri si aggiudicano il T.R.Z. per il 4° Raggruppamento. Ancora una significativa trasferta per i vogheresi del Team Bassano, SordiBiglieri che tornano dall’impegnativa gara di Chieri, con un bilancio soddisfacente grazie soprattutto alla conquista della finale T.R.Z. per il 4° Raggruppamento. Per il duo oltrepadano con la Porsche 911 SC Gruppo B c’é stata una prestazione accorta facendo attenzione a non cadere nelle insidie del percorso, e ritrovandosi al comando dopo l’abbandono di Nodari: concludono con l’undicesima prestazione assoluta che è valsa anche il secondo posto di classe.

Rossetta - Degliantoni, per loro podio della Quarta Divisione

Domenico Mombelli di Zavattarello e Marco Leoncini di Varzi

Ruggeri - Marzi, a loro il premio Coppa Fiat 127 (foto Lavagnini) La Grande Corsa, é stata anche l’ultima gara della Coppa Fiat 127, campionato riservato alle 127 promosso da Pro Energy Motorsport, che ha mantenuto la promessa della vigilia di regalare sorprese e sconvolgimenti di classifica. La manifestazione torinese ha visto infatti la vittoria arridere all’equipaggio di Ruino composto da Daniele Ruggeri e Martina Marzi, che hanno bissato la vittoria a maggio al Rally del Grifo. I portacolori della Media Rally e Promotion hanno così conquistato punti importanti sia nell’assoluta che nelle classifiche piloti e navigatori, interpretando al meglio le selettive prove speciali piemontesi. Nella gara di regolarità sport, invece, c’é stato il successo per la Renault Alpine A110 di Maiolo e Paracchini che bissano la vittoria del 2016. Non è stato solo il rally storico a tenere banco nella Grande Corsa a Chieri: sono state infatti concorrenti della regolarità sport giunta alla quarta edizione. In questa categoria che ha visto al via numerosi specialisti del settore, c’é stata la prova maiuscola del vogherese Roberto Rossetta navigato sulla Lancia Fulvia Coupè da Pepi Degliantoni, i quali, al termine delle otto prove cronometrate hanno centrato la vittoria nella Quarta Divisione ottenendo un più che onorevole settimo posto assoluto. di Piero Ventura

Il Tuscan Rewind, ultima prova del Trofeo Terra Rally Storici, corsa dal 21 al 23 novembre con partenza ed arrivo a Montalcino, é stata anche l’ultima prova tricolore stagionale a cui hanno preso parte gli oltrepadani Domenico Mombelli di Zavattarello e Marco Leoncini varzese, che proprio nelle campagne senesi, ricche di ricordi “mondiali”, hanno affrontato la prova più difficile della loro stagione, resa tale dallo stato febbricitante del driver Mombelli e dalle bizze della frizione della loro Ford Escort MK1 che ha rischiato di mandare in fumo il oro impegno profuso nella prestigiosa gara toscana, basata su 186 chilometri, dei quali 75 di Prove Speciali, cinque totali, tre da ripetere una volta, una per due volte (la più lunga del rally di ben 27 chilometri), oltre alla “Superprova”. Non poteva mancare all’appuntamento il campione italiano ed europeo “Lucky” sulla sua Delta Integrale, vincitore a Montalcino già un anno fa, qui chiamato a confrontarsi con i big del TTRS come Mauro Sipsz su Lancia Rally 037 e Simone Romagna e Nicolò Fenoli entrambi su altre due Delta Integrali, Zampaglione e Brunori con le Porsche, Muccioli e Pelliccioni con le Bmw, Ormezzano con la Talbot, Gugguari e Baldacci con le Escort MK2 e via dicendo. Insomma, ben figurare in un simile parco partenti non era certo impresa facile per Mombelli-Leoncini, oltretutto con il driver di Zavattarello non in perfette condizioni fisiche, debilitato da un forte stato febbrile. I giochi iniziano il venerdì sera con Mombelli-Leoncini per nulla intimoriti dai mostri sacri dei rally storici che stampano un prestigioso ottavo tempo assoluto nella classifica guidata da Lucky davanti a Romagna, Sipsz, Guggiari, Fenolfi, Ormez-

zano, Muccioli e Mombelli. Sugli 11 chilometri della prima prova del secondo giorno c’é l’affondo di Romagna che prende il comando davanti a Lucky, Sipsz, Guggiari, Baldacci, Fedolfi, Muccioli Ormezzano e Mombelli. Si giunge al primo passaggio sugli oltre 27 chilometri della Torrenieri in cui, la Ford di Mombelli-Leoncini inizia a denunciare lo slittamento della frizione. I due cercano di sopperire come meglio possono. Mentre al comando torna Lucky incalzato da Romagna e Sipsz, i portacolori di Paviarally chiudono con il decimo tempo rimanendo aggrappati alla top ten ma cedendo una posizione a Pelliccioni con la Bmw. All’assistenza, Marco Vecchi della CVM cerca di rimediare come meglio può all’inconveniente, ma il tempo é tiranno. Mancano 2 prove al termine, i 7 km della “La Sesta” e i 27 della Torrenieri. Sulla prima chiudono con il 17° tempo mantenendo il decimo posto nell’assoluta ed un margine di 45” su Ancona con l’Opel Kadett GSI (ex Martinelli) di Ancona, mentre Lucky porta a 6” il suo vantaggio su Romagna. Rimane l’ultima ps, la più lunga sulla quale succede di tutto. Lucky capotta e getta al vento una potenziale vittoria che va a Romagna davanti a Sipsz e Baldacci. Mombelli-Leoncini invece stringono i denti e viaggiando sulle uova portano a termine la gara cedendo però ben 10 posizioni nella classifica assoluta ma fregiandosi della vittoria in classe 2/2 2000 e con essa la vittoria tricolore del “Trofeo Terra Rally Storici” (TTRS) 2019 Secondo Raggruppamento. Con questa piccola grande impresa di Mombelli-Leoncini si chiude la stagione agonistica 2019 per i portacolori di Paviarally. di Piero Ventura





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.