SCANDALO DEL VINO… SI VENDEMMIA ANCORA CON RESE FANTASCIENTIFICHE E SI FANNO TAVOLI ANZICHÉ SCELTE
Anno 14 - N° 151 FEBBRAIO 2020
20.000 copie in Oltrepò Pavese
pagina 3
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV
6 Giorni Enduro in Oltrepò:
CONFAGRICOLTURA «L’Oltrepò è in controtendenza per quanto riguarda i prezzi delle uve»
varzi ponte nizza
pagine 22 e 23
” Quest’anno, tra agosto e settembre, l’Oltrepò ospiterà il più grande evento di enduro internazionale, la Sei Giorni. In un clima di pareri contrastanti su i problemi che questa Sei Giorni potrebbe generare, ma anche sui benefici a livello turistico che ne dovrebbero conseguire, ascoltiamo il parere di un esperto in quanto motociclista...
«Bisogna creare una filiera che valorizzi le produzioni locali» Realizzata nel 1984 ad opera della Comunità montana, la Centrale della frutta di Ponte Nizza è un magazzino di stoccaggio al servizio... pagina 26
retorbido «Il nostro obiettivo è arrivare ad una tariffazione puntuale» A Retorbido l’amministrazione guidata da Isabella Cebrelli prosegue il proprio mandato amministrativo con una particolare attenzione... pagine 23 e 24
ROBECCO PAVESE «Sono più che pronta a prendermi cura del mio Comune» Il 26 maggio 2019 si è votato per il rinnovo della carica di Sindaco e del Consiglio Comunale. Robecco Pavese ha visto insediarsi...
«Se me ne danno la possibilità, in un anno ridarò slancio a Voghera» pagine 6 e 7
ZAVATTARELLO Record di finanziamenti: «In 10 anni oltre 5 milioni in opere pubbliche» Il sindaco di Zavattarello Simone Tiglio lancia un appello al presidente della Provincia Vittorio Poma per la sistemazione delle strade... pagina 38 e 39
brallo di pregola
Aperto nel 2011 e gestito dalla associazione Adara, l’osservatorio del Parco Astronomico di Colleri, piccola frazione di Brallo di Pregola... pagina 36
news
pagine 72 e 73
Nivione isolata: «Qui si interviene solo dopo le emergenze»
pagina 47
Il cielo del Brallo sul sito della Nasa grazie all’osservatorio di Colleri
il Periodico
«Suggerirei di lasciar perdere i pregiudizi...»
Confagricoltura spegne quest’anno ben cento candeline. Un traguardo importante, le cui celebrazioni sono iniziate, a livello nazionale...
Casteggio - Terreni inquinati:
«Nessun pericolo per la
salute pubblica»
pagina 41
Da ormai quasi due mesi la strada che collega Varzi alla piccola frazione di Nivione è chiusa in seguito alla frana del 20 dicembre scorso. Il Comune è in attesa, a giorni, degli esiti di uno studio per avere una panoramica dei costi di intervento, mentre i disagi per la popolazione sono notevoli, dato che l’interruzione della provinciale 166 costringe diverse piccole pagina 27 frazioni...
Editore
CYRANO DE BERGERAC
il Periodico News
FEBBRAIO 2020
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SCANDALO DEL VINO… SI VENDEMMIA ANCORA CON RESE FANTASCIENTIFICHE E SI FANNO TAVOLI ANZICHÉ SCELTE
Da un anno e mezzo Regione Lombardia ed Ersaf pestano l’acqua nel mortaio delle lobby e delle riforme interrotte per pensarci meglio; si vendemmia ancora con le rese fantascientifiche dei tempi dello scandalo del falso Pinot grigio di Terre d’Oltrepò (2014); si fanno tavoli anziché scelte; ci si costituisce parte civile solo quando conviene; ci si pente tardivamente; persino i pochi nobili dei rubinetti aperti leccano il sedere al sistema. Insomma, tanto tuonò che poi piovve. Cosa? L’acqua trasformata in vino di cui aveva scritto Il Periodico, unica e sola testata giornalistica, già a febbraio 2019. Non ci voleva un fiuto da segugio ma alcuni altri organi d’informazione allineati, con collaboratori che chattano e cinguettano tutto il giorno con i poteri “forti” (lo fa persino un direttore - addetto stampa), si erano ben guardati dal mettere in guardia il settore, le istituzioni e il mondo consumatore. Neanche a farlo apposta, la nostra riflessione del febbraio 2019 ospitata su queste pagine si apriva così “A Canneto Pavese, il solo comune figo dell’Oltrepò rappresentato nello star system dal neo cittadino onorario Gerry Scotti, c’è una cantina cooperativa storica che si contraddice da sola già a partire dal proprio sito Internet. Si tratta della Cantina di Canneto Pavese”. E poi ancora: “Meglio soffermarsi sul posizionamento dell’azienda: amici del settore commerciale mi hanno spiegato che sul canale della ristorazione la cooperativa praticamente c’è ma non si vede, sebbene invece in grande distribuzione si trovino i vini di Canneto, compreso il Buttafuoco frizzante che passa in fotografia sull’home page del sito della cantina quasi fosse qualcosa da
vantare e non un limite, ovvero la versione banale di un vino che deprime l’immagine del nome di una denominazione dinamica che vuol paragonarsi, ovviamente nella sua versione ferma, al Bolgheri o all’Amarone”. Poche righe dopo l’articolo proseguiva: “Ciò che a volte non si legge sui siti di alcune cantine è che negli ultimi anni, tra una lezione data agli altri e l’altra, sono lievitati moltissimo i conti lavorazione per garantirsi la sussistenza e si sono dilatati i tempi di pagamento. Più che le medie (al quintale) interessano i mediatori (cittadini onorari?) per fare fatturato? Non si capisce”. In quell’articolo, allargando il ragionamento ad altri fenomeni inspiegabili eppure noti a tutti, si parlava anche della rivisitazione delle nozze di Cana. Ebbene l’acqua che si trasformava in vino c’era davvero e secondo molti quanto accaduto il 22 gennaio non chiude il cerchio ma allunga solamente la brodaglia di acqua, zucchero, aromi, interessi e dichiarazioni da sepolcri imbiancati. Tornando ai giorni nostri, per chi non ne avesse avuto notizia, la Cantina di Canneto è la stessa che ha regalato al territorio buona reputazione il 22 gennaio ultimo scorso quando all’alba, tra colonne di mezzi delle forze dell’ordine ed elicottero a solcare ancora i cieli dell’Oltrepò del vino, sono scattate le misure cautelari e le manette nell’ambito di un’operazione dei carabinieri e della guardia di finanza denominata Dioniso; cinque arresti e due obblighi di firma. Le ipotesi di reato per ora formulate sono l’associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio e contraffazione d’indicazioni geografiche o denominazioni di
origine di prodotti agroalimentari, oltre alla falsificazione e all’emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti. Negli ultimi giorni è anche emerso da articoli di stampa locali, regionali, nazionali ed internazionali (si sono svegliati tutti a buoi scappati dalla stalla) che si sarebbe trattato di vino contraffatto con acqua, zucchero e uso di aromi; la truffa ha coinvolto ben 5 regioni italiane, che erano quelle che facevano affari con la Cantina di Canneto. Una nota insegna della grande distribuzione, a scopo cautelativo, ha anche sospeso l’offerta volantino di un Bonarda della Cantina di Canneto a 1.90 euro prontamente sostituita con la bottiglia del re degli imbottigliatori (consigliere forte del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese) a 1.85 euro, così, giusto per far capire quanto valga una denominazione e un buon marketing di valorizzazione dopo l’ennesima batosta. In tutto questo, però, a bruciare di più sono i pentimenti tardivi e le prese di posizione da circo di molti sindaci, diverse istituzioni locali, vari esponenti di consorzi e associazioni. Tutti ad affannarsi a prendere le distanze, a spiegare che non sapevano, a far sfoggio di un’indignazione perfetta per la prima pagina dopo uno tsunami. Nessuno legge, nessuno dice, nessuno sa... fino a quando è troppo tardi. Paradossale che persino la sindaca di Canneto e quel Gal di suo marito, pur amministrando un comune di mille abitanti, non si fossero accorti che l’unica cantina cooperativa di un piccolo comune di collina, che se la tira come neanche Hollywood, non avessero mai avuto il minimo dubbio e il più piccolo sentore. Meglio tardi che mai... ma la scoperta,
l’analisi dei fatti e il pentimento dovrebbero avvenire in privato non sui giornali. Quanto accaduto, pur travolgendo notabili dei quali non si può mai dire una parola in negativo, non è solo colpa degli arrestati. Fra gli arrestati il primo mediatore d’uva dell’Oltrepò Pavese e persino lo storico leader dell’Assoenologi locale e già vice presidente Lombardia-Liguria nonché presidente delle commissioni di degustazione della DOC, messo lì dal crapa pelada delle lettere anonime e dei sermoni che è sparito temporaneamente dalle scene. Sarà stato un caso che Assoenologi non partecipò al lavoro per i nuovi disciplinari di produzione e si disse contraria a tutto, compresa pure la fascetta di Stato adottata a fatica per le DOC locali, superando petizioni e lotte interne? Singolare anche il fatto che di fronte alle cronache e alle riflessioni del primo giornalista-blogger del vino d’Italia, Franco Ziliani, le sole repliche siano state il silenzio e la denigrazione tramite le brigate della curva della cisterna, del mosto e dell’acqua mille sapori. Tornano anche alla mente le crocifissioni in pubblica piazza cui vennero sottoposti, a varie riprese, alcuni privati che nel recente passato avevano commesso alcuni illeciti amministrativi a casa loro. Sbagliatissimo, certo, ma una goccia nel mare rispetto a quanto accaduto a Terre o, peggio, a Canneto Pavese. Ma c’è chi può... In tutto questo le risposte del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese sono state: un comunicato di rito scritto in qualche modo, il neo direttore a spiegare al primo TGR regionale andato in onda che certi controlli non spettano al consorzio (non che si deve fare di più), l’annuncio di una costituzione di parte civile (non una richiesta danni a Terre d’Oltrepò che ha patteggiato e anche a Canneto) e la dichiarazione geniale, sempre del neo direttore, che il Consorzio non farà più promozione in grande distribuzione. Nota bene: in grande distribuzione si vende circa l’80% del vino italiano e nei segmenti premium sempre di più; Ca’ del Bosco o Ferrari Spumanti, per parlare di cose serie, ci fanno una fetta grande grande del loro bilancio. La sensazione comunque è che in Oltrepò Pavese non sia finita, specie a leggere le classifiche delle aziende della provincia di Pavia con il maggiore fatturato. In una terra di poveri vitivinicoltori, che si fanno usare da tutti, c’è chi senza un ettaro di terra e in un territorio che esprime denominazioni d’origine da 1.85 euro alla bottiglia al pubblico è sempre più ricco. Come fa? La terza serie sta per iniziare, restate sintonizzati. di Cyrano de Bergerac
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ANTONIO LA TRIPPA
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SCANDALO DEL VINO IN OLTREPÒ, GLI INQUISITI SONO ANCHE SIMPATICI, IL NUOVO DIRETTORE DEL CONSORZIO È SIMPATICO E FA TENEREZZA È successo di nuovo e tanti di primo acchito hanno manifestato un’indignata sorpresa. Nei giorni successivi è iniziata a circolare, tra la gente, sui giornali e sui social la frase: “Sì… ma lo sapevano tutti!”. Una frase che esprime una situazione che ad onor del vero era palese, perché nei bar e tra le strade delle nostre colline tanti, pressoché tutti, lo dicevano già da prima, da anni, e lo ribadiscono ora. Se dice il vero la locuzione latina “Vox populi, vox Dei” (“Voce del popolo, voce di Dio”) forse anche a quello che dice la gente un po’ di credito bisogna darlo, a maggior ragione se sono viticoltori o addetti ai lavori. Là dove si produce la prima risorsa economica dell’Oltrepò, il vino, da sempre si vocifera di queste piccole o grandi truffe o degli “arrangiamenti” che, lo sanno anche i sassi, da molto tempo e da molti vengono utilizzati come escamotage. Ecco, “da tanto e da molti”… perché senza troppi giri di parole, questo modus operandi non è cosa nuova. Ora molti - non tutti perché comunque vale sempre il detto “tengo famiglia”chiedono “pene esemplari”. Si tratta però di un’espressione abusata e con poco senso: ci sono delle leggi, (la giustizia è cosa diversa dalla Legge, ma questo è un altro discorso) ed in base a queste leggi i malcapitati arrestati ed indagati, se saranno ritenuti colpevoli, saranno condannati in base alle leggi, ma in modo equo e non “esemplare”! Dico “malcapitati” perché alcuni di questi mi sono anche simpatici, anche se negli anni e mesi scorsi bollavano come sciocchezze quanto Il Periodico diceva, forse perché leggendo gli articoli si sentivano toccati (ed alla luce dei fatti magari anche giustamente). Non avendo poi tendenze forcaiolo-giustizialiste, aggiungo che questi “malcapitati” non sono i soli e se gli organi di giustizia faranno il loro dovere non saranno neppure gli ultimi a “malcapitare”. Non devo difenderli io, ripeto che mi sono anche simpatici, ma mi chiedo se sono davvero i soli presunti colpevoli o se invece ad altri viticoltori, cantine, commercianti ed imbottigliatori è fino ad oggi andata bene. Vi riporto per intero le parole che l’ex Ministro dell’Agricoltura e attuale parlamentare Gianmarco Centinaio ha rivolto all’assessore regionale all’agricoltura Fabio Rolfi in occasione della conferenza svoltasi a Riccagioia ultimamente, dopo
l’ennesimo scandalo vino: «Non era scontato il fatto che un Assessore regionale spendesse così tanto tempo ed impegno e ci mettesse la faccia per un territorio che non ha dimostrato, ahimè negli anni, di voler cambiare le cose e non ha dimostrato di voler andare in quella direzione in cui alcuni imprenditori, e sottolineo alcuni, vogliono andare e perché sottolineo alcuni? Perché quando si parla di qualità non è tutto l’Oltrepò che vuole parlare di qualità, perché se così fosse non ci sarebbe in COOP oggi, una bottiglia di Bonarda in vendita ad 1,85 euro, perché avere una bottiglia di Bonarda ad 1,85 euro vuol dire, e voi lo sapete meglio di me che siete del settore ed io no, come mi diceva un noto imprenditore dell’Oltrepò pave-
se che io non capisco un cazzo di vino, vuol dire che d’ora in avanti le bottiglie di Bonarda in giro non verranno considerate prodotto qualità, che sarà difficile vendere il Bonarda di qualità, che sarà difficile se non praticamente impossibile visto e considerato come sta andando il mercato a livello internazionale e a livello italiano, scalare questa situazione il più velocemente possibile. E’ necessario che si cominci a parlare realmente di qualità e quindi si cominci a dare voce a quei pochi imprenditori e sottolineo la parola imprenditori dell’Oltrepò, che hanno voglia di parlare di qualità. Parlare di qualità vuol dire cambiare i disciplinari, perché con i disciplinari che ci sono in questo momento, e lo sapete be-
nissimo tutti, non si può parlare di qualità, vuol dire finalmente smetterla di avere a che fare con i “furfanti” perché non è mettendo la testa sotto la sabbia e non parlandone e facendo finta di niente che l’Oltrepò va avanti ed io sono contento che il Consorzio abbia chiesto i danni a chi di dovere, ma dovrebbe farlo tutto l’Oltrepò e dovrebbero farlo anche tutti i sindaci del territorio. Qui hanno e stanno massacrando il territorio. Non è solo una questione di social, ma quando accendi la televisione e ti fanno vedere gli elicotteri della Polizia sopra il nostro territorio non ti fanno vedere una cosa bella, e quando io passo una settimana in Emilia Romagna e parlo con i viticoltori, i ristoratori, gli albergatori, e dico loro da dove arrivo… non c’è una risposta, ma c’è un sorrisino…. vista la situazione. Non va a male la reputazione di Gianmarco Centinaio, ma va a male la reputazione dell’intero territorio, e va male la reputazione di un territorio che vuole investire sul turismo, sull’enoturismo e sulla valorizzazione perché chi sta vincendo questa sfida sono quei territori che hanno fatto del prodotto e del territorio un punto di forza, ma se noi non lo facciamo e andiamo avanti a mettere la testa sotto la sabbia, vorrà dire che aspetteremo altri 4 anni... Se non ricordo male risale a poco più di 4 anni fa l’altra vicenda... (riferimento allo scandalo di Terre d’Oltrepò ndr) e tra 4 anni avremo il prossimo… e speriamo non prima… Allora cominciamo a tagliare con queste persone, cominciano a non fornire le uve a queste persone, perché si sa chi fa cosa in questo territorio, lo sanno tutti, lo sanno anche le vostre uve chi fa cosa in questo territorio… se siamo in grado di aiutare chi fa produzione di qualità, allora a quel punto, benissimo, chi fa produzione di qualità si porta dietro anche gli altri se no, in caso contrario, andiamo a fondo tutti e va a fondo tutta la Provincia, perché quando si parla di Oltrepò Pavese non si parla di Oltrepò Mantovano! Voi avete una responsabilità cari signori, sulle vostre spalle oltre che dell’Oltrepò Pavese dell’intera provincia e se ci sono gli elicotteri sopra l’Oltrepò Pavese, ci sono su tutto il territorio della Provincia di Pavia. Chi fa il mascalzone deve pagare, per tutto il resto disponibile a valorizzare, promuovere ad aiutare, attraverso i contatti che abbiamo anche con esportatori ed importatori che arrivano da altri paesi».
ANTONIO LA TRIPPA Le parole dell’Ex Ministro sono forti e chiare, oggi qualcuno dirà che le ha sempre dette, ma onestamente io personalmente in questa forma e con questa chiarezza non le ho mai sentite… ma andiamo oltre, meglio tardi che mai… Ciò che dice Centinaio al di là di ogni colore politico è cosa giusta e di buonsenso, quando risponde a coloro che in modo stupefacente danno la colpa ai giornali, alle televisioni e ai social che parlano male del nostro Oltrepò. ribadendo che la colpa è dei fatti incresciosi che avvengono e non dei media che riportano il fatto o dei social dove il fatto viene commentato, l’ex Ministro dice una cosa ovvia: è ovvio che la colpa non è di chi riporta la notizia di reato ma di chi lo commette, come è ovvio che nascondere la polvere sotto il tappeto o mettere la testa nella sabbia non è una buona strategia. Centinaio sostiene un’altra cosa ovvia: che le rese per ettaro devono essere abbassate perché altrimenti una parte del vino sarà sempre fatto solo di carta e qui… dovrebbe intervenire il Consorzio … vedremo se, come ed in che tempi interverrà. Il nuovo direttore Carlo Veronese a me personalmente fa tenerezza: il suo è un compito arduo, è passato dall’essere direttore del Consorzio del Lugana DOC al Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese, che è un po’ come passare dalla guida di una Fiat 500 Abarth a quella di un camion rimorchio. Ne sarà capace? Forse sì o forse no, solo il tempo darà la risposta, perché è certo che le due situazioni sono ben diverse. Dove lavorava prima il vino da promuovere era uno, il Consorzio formato da produttori con le idee chiare sempre uniti per perseguire un obiettivo comune e gli ettari di vigneto 2.500. In Oltrepò i produttori sono molti di più, gli ettari sono 13.500, le tipologie di vino un’enormità e gli interessi oltre ad essere di più sono anche diversi tra di loro. Insomma il suo compito non sarà una passeggiata, ma chi l’ha
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“messo lì” evidentemente lo ritiene persona adatta a svolgere tale compito. Per inciso, chi lo ha messo lì non sembra essere l’Assemblea del Consorzio dopo l’azzeramento della governance e le regole di voto riscritte, come in realtà sarebbe stato logico… ma al di là di chi ce lo abbia messo, speriamo ce la faccia. Non lo spero io ma lo spera l’intero Oltrepò. Capiamo il “sangue amaro” che si sta facendo in questo giorni, non è mai bello essere criticati, neanche sui social, ma certamente dopo le sue prime “incazzosette” risposte sui social e le prime “incazzosette” prese di posizione verso giornali che, dando spazio a tutte le opinioni in una delle pagine hanno criticato il suo operato, ci auguriamo sappia in futuro accettare gli elogi ed anche le critiche. Magari consigliato anche da chi di professione fa l’addetta stampa e che, balzellon balzelloni, è balzata al Consorzio. Certo, sempre che l’addetta stampa in questione sia in grado di tenere con i media un rapporto costruttivo e di dialogare con tutte le testate, non solo con quelle che stendono tappeti rossi. Sì, perché ci sono anche quelle che esprimono critiche: esistono anche quei media che per par condicio pubblicano le opinioni di tutti i colori, perché mettere i tappeti di tutti i colori vuol dire dare spazio a tutte le opinioni anche se tutte le opinioni sono opinabili. Ci sono stampa e ufficio stampa, anche se ultimamente in Oltrepò Pavese la differenza tra i due non è più chiarissima e così ben distinta... Il buon Veronese ha un compito difficile, è evidente, ecco perché mi fa tenerezza. Nel mazzo di carte del vino dell’Oltrepò ci sono alcuni “jolly”, lui ne ha già estratti alcuni e qualcuno certamente sbagliato. Se è amante della musica risenta la strofa di una canzone di Baglioni: “Strada facendo vedrai... perché domani sia migliore, perché domani tu”. A proposito di jolly sbagliati, che dire della sua affermazione sull’idea, poi più o meno spiegata, di non fare più promozione come Con-
sorzio ai vini oltrepadani nel canale della grande distribuzione organizzata (spesso abbreviata GDO), che rappresenta circa l’80% del mercato in bottiglia del vino oltrepadano? Che dire? nulla… poi sui social ha cercato di spiegarla… ecco: spiegarla. Ma Veronese, così come i “malcapitati”, a me è anche simpatico: il suo compito è arduo in Oltrepò e, ripeto, mi fa tenerezza anche quando pesca i jolly sbagliati. Ritornando alle parole di Centinaio quando dice “iniziamo a tagliare queste persone” riferendosi a chi mette in atto azioni illecite nel mondo del vino oltrepadano, mi sento di dire che la sua è un’opinione ovvia e
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semplicistica: perché è l’occasione che fa l’uomo ladro e l’occasione la offrono in primis le regole e la prima regola nuova dovrebbe essere abbassare e di molto le rese per ettaro, soprattutto dell’IGT. Due anni fa lo si fece, poi qualcuno volle fermare i nuovi disciplinari già approvati e ripensarci, forse più per avere mani libere ancora, ancora e ancora... Ripensandoci senza decidere, ci si è caduti ancora. Fa più freddo del novembre 2014 e non finirà. Questo nuovo scandalo del vino, piaccia o non piaccia, non è e non sarà l’ultimo in Oltrepò. di Antonio La Trippa
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VOGHERA
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«Se me ne danno la possibilità, in un anno ridarò slancio a Voghera» Un passato (recente) da super-assessore, un presente (in divenire) apparentemente da separata in casa del centrodestra. Un futuro, forse, da leader. Marina Azzaretti sta attraversando un periodo di transizione. O, come dice lei, sta “riflettendo, organizzando”. L’unica certezza, ad oggi, è che sarà in campo nelle prossime elezioni vogheresi. Come, e con chi? È ancora preso per saperlo; lei non si sbilancia, e ne ha ben donde. Ma un’idea, dopo questa chiacchierata, me la sono fatta: e la vede recitare, ancora, in un ruolo da protagonista. Sono ormai passati due mesi da quando è stata “allontanata” dalla giunta comunale. A mente fredda, la delusione è ancora tutta lì̀ o ha lasciato il posto a nuovi sentimenti? «Diciamo che il cuore si sta raffreddando... è ancora “tiepido”. Posso solo dire che dal punto di vista umano è stato un colpo basso. Credo di aver dato molto, sicuramente troppo, con i miei voti e il mio operato ad un partito e ad un gruppo e ad un sindaco che non lo meritavano. Su aspetti importanti della gestione e della programmazione politica ero da tempo però in disaccordo e, non essendo proprio una “signorsì”, ho cercato di cambiare le cose da dentro e speravo di farcela. Così da tempo davo “fastidio”. Certo allontanarmi a pochi mesi dalle elezioni dimostra ancora una volta la convinzione di superiorità e di invincibilità cieca di persone facenti parte degli organi direttivi di un partito che è riuscito, agendo così ed allontanando ovunque i migliori, a scendere dal podio fino all’ultimo 2,5 per cento delle elezioni in Emilia Romagna. Oramai, senza urgenti modifiche sostanziali, sulla via dell’estinzione.» Cinque anni fa lei coniò uno slogan che le portò fortuna: “Viva Voghera”. Oggi dice e scrive spesso: “Voghera nel cuore”. Sarà la sua parola d’ordine per la prossima stagione politica? «“Voghera nel cuore” è sempre stato il mio slogan! “Viva Voghera” è l’obiettivo: non è la lode “evviva Voghera”, ma un fine, ciò che mi e ci deve muovere: far vivere Voghera, quasi un’esortazione a me e a tutti per farlo. “Voghera nel cuore” è un mantra, anche un modo per ricordare a tutti che quello che faccio per Voghera lo faccio sempre col cuore, senza fini personali. Un richiamo a tutti ad amare la città in cui viviamo. Parole mosse proprio dall’amore per la nostra città e la nostra comunità: che dalla politica ha tanto bisogno di essere più amata.» Al di là delle spiegazioni ufficiali, possiamo dire che nessuno a Voghera abbia capito i reali motivi di quanto suc-
cesso. Ma bisogna guardare avanti e lei lo sta facendo. In che termini? «Sto lavorando a un progetto politico per la nostra città, proseguendo la mia strada con delle relazioni consolidate, con persone che stimo assolutamente, di grande professionalità̀ , che come me e anche molto più̀ di me sono impegnate politicamente per il nostro territorio.» Da sempre lei cerca un contatto diretto con i suoi elettori attraverso i social network. E i cittadini rispondono. Non ha smesso di farlo in queste ultime settimane, anche come semplice cittadina. È curiosa, tuttavia, la presenza costante che molti dei suoi ex colleghi assessori hanno ritrovato solo nelle ultime settimane o negli ultimi mesi. Quanto conta davvero, ai fini elettorali, il confronto via web con la gente? «Io innanzitutto, devo dirle, mi sento comunque sempre cittadina, ma non smetto il mio ruolo politico, per soli quattro mesi di “aspettativa”. È innegabile che siamo in campagna elettorale. Devo dire, per il resto, che sicuramente sono stata la prima che ha usato questa modalità̀ per comunicare il mio operato. Con i social, soprattutto con Facebook: per far vedere alla gente quello che faccio, valorizzando allo stesso tempo la città e i luoghi, come anche le associazioni, gli enti e le persone: tutti coloro con i quali ho collaborato e collaboro o con i quali si organizzano le iniziative o, anche, che mi invitino alle loro. Un utile modo per far conoscere cosa offre la nostra Voghera, per valorizzare la nostra città, la sua operosità̀ , e anche la sua vitalità̀ . Vengo dal mondo della comunicazione. So come si fa. Certo sono stata molto, direi, seguita, oltre che, in effetti, copiata dagli altri politici in questo modo di fare.» Alcuni commercianti, anche dalle nostre pagine, hanno espresso rammarico per come è stata gestita piazza Duomo durante le ultime festività̀ natalizie... insomma, secondo alcuni si è sentita la sua mancanza. «Li ringrazio e li rassicuro. Se lo vorranno, devono solo aspettare due o tre mesi. Io sono pronta a ripartire... prima ho fatto quello che potevo, se mi fossero state messe a disposizione risorse sufficienti avrei potuto fare anche molto di più̀ . Faremo molto, molto di più in futuro. Avevamo avviato un bel discorso di collaborazione con le associazioni, sono certa si potrà̀ riprendere il percorso e che sarà molto produttivo. Lo ho già detto e lo riprometto qui: in un anno prometto di ridare slancio vitale a questa città. E credo di essermi meritata la fiducia dei vogheresi.
Marina Azzaretti
«Rocca? Uno strascico dell’Ancient regime, sicuramente non uno stratega visto come ha fatto crollare il gradimento di Forza Italia» Ci spieghi meglio... «Per quello che sarà il mio ruolo, se sarò̀ messa nelle condizioni di poterlo fare, in un anno costruirò̀ le basi di un percorso di rilancio serio, con una road-map precisa, indicando degli step, degli obiettivi chiari. Un percorso che dovrà essere partecipato alla città e valuteremo tutti insieme lo “stato avanzamento lavori”. Quello che conta, ribadisco, è che ogni azione sia il più possibile partecipata, senza “divide et impera”. Dobbiamo chiedere e ottenere dalla città che lavori con noi. E questo lo si ottiene con la fiducia, l’onestà, la trasparenza. E la professionalità e le capacità. E credo di averle già dimostrate.»
Per i commercianti ha un messaggio? «Necessariamente i settori commercio, fiere e mercati e cultura devono cooperare, perché́ si può̀ valorizzare il commercio valorizzando la cultura, e viceversa. Le iniziative culturali, insieme alle iniziative aggregative, possono dare maggiore visibilità̀ alle attività̀ commerciali. Poi c’è molto da fare, ad esempio per i negozi sfitti e per sostenere e incentivare. Su questa strada ho idee ben chiare, e posso chiedere ai commercianti di non smettere di avere fiducia nel futuro. Ma servono le persone giuste, perché́ sono solo le persone giuste che fanno le cose giuste.»
VOGHERA Con la mente fredda, o tiepida, come dice lei, mi sembra decisamente più̀ agguerrita... «Il silenzio di questo periodo – perché́ , a parte qualche exploit momentaneo sono, per i miei gusti, praticamente in silenzio sui social – da parte di una come me super social... la dice più lunga delle parole.» Non voglio estorcerle un ulteriore giudizio su chi l’ha sostituita all’assessorato, ovvero Martina Fariseo. Però vorrei chiederle un parere su una delle primissime iniziative del post-Azzaretti: i the a Casa Gallini. «Sono contenta se si fanno delle iniziative nella nostra città. Non esprimo un giudizio qualitativo sull’iniziativa, non c’ero. Lei è una ragazza giovane, sicuramente ce la sta mettendo tutta per farsi conoscere e per imparare. Credo sia un indice di buona volontà. Anche se certi ruoli, forse, avrebbero bisogno di molta esperienza. Ma apprezzo il suo impegno e la sua ambizione politica.» Tuttavia questa apertura di Casa Gallini a molti non è parsa un’assoluta novità̀ ... «È comunque una iniziativa. Meglio di niente. Se me lo chiede, certo che iniziative di questo tipo ne abbiamo sempre fatte tantissime. Proprio a Casa Gallini: con quattro, cinque, sei turni di visite al giorno. In questi anni a Casa Gallini si sono aperte le porte tutti i giorni per visite in orario di ufficio, si sono organizzate tantissime visite guidate.
«Io e la Lega? Apprezzo i suoi leader»
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Spessissimo sono venute scolaresche, dalle scuole primarie ai licei; si sono proposte iniziative culturali importanti, percorsi anche in collaborazione con la Soprintendenza, conferenze sulla quadreria di Casa Gallini...» C’è qualcosa per cui si rammarica del suo periodo da assessore? «Io credo moltissimo nel progetto Attract, impegno che richiede esperienza e a cui ho lavorato tantissimo. E che esce ora; non a mia firma, ma a firma di chi non ha fatto sforzi personali né per idearlo, né per strutturarlo, né per metterlo in pratica. Ma quei quattro incontri che ho programmato io non sono che un’azione preliminare per costruire la base sostanziale su cui avviare un percorso che richiede ulteriori sforzi importantissimi...» Per quale obiettivo? «Per riuscire a individuare canali mirati, per intessere quelle relazioni sovralocali che possano incentivare imprenditori esterni ad allocare qui le loro attività̀ . Ritengo che una delle priorità̀ fondamentali per Voghera sia il lavoro. Bisogna portare nuovo lavoro a Voghera. Ma non solo. Attirare nuove attività̀ significa attirare investimenti; poi le ditte pagano gli oneri e gli oneri permettono di aggiustare le strade... ci sono solo ricadute positive. Il “di più” che vorrei attivare inoltre con questo progetto, dovrà essere il cercare di promuovere Voghera come “locus amoenus”, come una bella e tranquilla città alle pendici oltrepadane dove c’è una certa qualità̀ della vita. Dove le relazioni sono più umane e piacevoli. Bisogna però garantire al meglio la sicurezza pubblica ventiquattrore su ventiquattro, valorizzare gli aspetti positivi e soprattutto ottimizzare i servizi per promuovere Voghera come luogo dove poter vivere bene. E vicino a Milano. Ho raccolto esperienze di alcuni che l’hanno fatto: vorrei che più̀ persone, fra quelle che vivono e lavorano nello stress di Milano e delle aree metropolitane, possano scegliere di venire a vivere a Voghera.
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Avanti a fari spenti: «Sto lavorando a un nuovo progetto politico per la città» Perché vorrei che a Voghera il welfare vorrei fosse garantito meglio che altrove.» Argomento complesso. E soluzioni complesse. «Si deve innanzi tutto ottimizzare il servizio di trasporto pubblico: un servizio che deve essere ottimizzato non solo per potenziali nuovi residenti o industrie, ma anche per i pendolari di Voghera che, oggi, sono troppo spesso in difficoltà. Ricordiamo che tra poco sarà̀ quadruplicata la linea tra Milano e Pavia, mentre da Voghera non si è fatto niente per cercare di inserirsi in questo discorso. È necessario poi ottimizzare i servizi essenziali.» Per esempio? «Pensiamo a ciò̀ che è essenziale... certamente i servizi legati alla scuola, che tanto mi è cara, e sportivi. Ma soprattutto quelli primari. Esempio. In alcune aree periferiche della nostra città non arriva ancora nemmeno il gas metano, e chi ci abita deve scaldarsi con la bombola... poi ci chiediamo perché́ i cittadini siano insoddisfatti e si lamentino di pagare le tasse.» Altro argomento complesso. Per stemperare (o forse no?) le propongo un gioco. Ora le dirò̀ alcuni nomi, lei mi risponderà̀ con il primo pensiero che le verrà̀ in mente. Cominciamo con Giovanni Alpeggiani. «Alpeggiani era un amico, indiscutibil-
mente teneva le redini e le fila in questa città. Discutibilmente forse, ma certamente lo faceva.» Gian Piero Rocca. «Uno strascico dell’Ancient regime, sicuramente non uno stratega visto come è riuscito a far crollare il gradimento del partito di cui ha tirato, per me malamente, le fila per anni» Carlo Barbieri. «Sono sempre stata leale con lui. Ho scoperto chi è. Anche se tantissimi me lo dicevano... io l’ho scoperto col tempo, fino alla fine, all’atto più vile che potesse compiere nei miei confronti, insieme a Rocca, e con giustificazioni inesistenti e facendo scaricabarile.» L’ultimo non è il nome di una persona, ma di un partito: Lega. «Io mi riconosco nel centrodestra. Apprezzo i suoi leader.» Beh: la Lega fa parte del centrodestra. Ultima domanda: come si vede Marina Azzaretti tra 5 anni? «Mi vedo a fare il resoconto di quello che nei cinque anni passati abbiamo realizzato per la nostra città. E a dire, con soddisfazione e rinnovato entusiasmo, cosa faremo nei prossimi.» di Pier Luigi Feltri
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«Pronti al dialogo, ma Nicola Affronti è il nostro candidato» Nello scacchiere in fase di composizione anche l’Udc cittadina presenta i suoi pezzi. Il partito governato a livello locale da Paolo Affronti non può che calare l’alfiere: il figlio di Paolo, Nicola Affronti, attuale presidente del consiglio comunale. Paolo affronti, la Lega dice: «Noi ci apprestiamo a condividere con chi vorrà il nostro programma per Voghera, in primis con le forze politiche dell’area di centro destra», lei cosa risponde? «Chiaramente se si pensa al centrodestra si riconosce l’indispensabile valore del centro, che specialmente nella nostra città pensiamo essere tra coloro che indiscutibilmente lo rappresentano da sempre. Condividere un programma significa per noi discuterlo, ma soprattutto confrontarlo con quello dei possibili partner tenendo conto dei soggetti politici che hanno governato la città in questi anni (Forza Italia ,UDC ,NCD o Idea che dir si voglia e liste civiche)». A Voghera però che è successo? «A Voghera la Lega ha contribuito ad assumersi responsabilità dirette nella gestione dell’azienda servizi alla persona “Pezzani”(presidente e vice presidente) e quella più o meno evidente e condivisa nell’Asm holding ove è stata decisiva nell’assemblea per la conferma dell’amministratore unico, evitando così la ricostituzione del consiglio di amministrazione». Perché la Lega intenzionata a fare un accordo e a parlare con il centro destra definisce disastrosi i cinque anni di governo Barbieri? «Mi permetta la battuta: forse perché nei cinque è prevalente il giudizio per l’anno di gestione commissariale. La giunta Barbieri di fatto è stata in carica infatti solo quattro anni. D’altra parte non potrebbe essere diversamente, come potrebbero accettare un giudizio così “tranchant” gli assessori dell’attuale giunta, che pur intravedendo e auspicando il matrimonio con la Lega non trascurano, qualcuno esibendo anche il ‘casco’ da cantiere, di magnificare i risultati delle loro fatiche nella ‘squadra” di Barbieri?». Allora il giudizio sulla Giunta Barbieri è totalmente positivo ? «Non sempre i rapporti con Barbieri e Forza Italia sono stati idilliaci. Non abbiamo condiviso alcuni atteggiamenti contraddittori ed alcune scelte (fra l’altro il consiglio Asm) e non sempre gli accordi sono stati rispettati, a volte con conseguenze facilmente riscontrabili. è innegabile però che anche grazie all’apporto dei nostri assessori (Gianfranco Geremondia, Simona Panigazzi, Alida Battistella) del presidente del consiglio (Nicola Affron-
tività produttive. In primis vogliamo parlarne con le forze di centro destra e poi se ci saranno con quelle forze disponibili al confronto. I Grillini dichiarano di non voler discutere con noi, ma nessuno ha mai chiesto di confrontarsi con loro. Li sappiamo troppo impegnati a dibattere su progetti di legge sul tema della prevenzione del suicidio e quindi non li disturberemo per banalità locali». Fino ad oggi avete avuto colloqui più o meno ufficiali? «A parte gli incontri con Sindaco e segretario di Forza Italia mi pare che sia avviato un discorso tra sordi, ognuno si bea dei risultati raggiunti, ma che comunque vanno rivisti e considerati per una consultazione amministrativa quale è la nostra e non si va oltre».
Paolo Affronti
ti) del gruppo consiliare (Elisa Piombini e Daniela Galloni ) ben supportati da un partito che ha dimostrato sempre grande lealtà verso la maggioranza, risultati importanti sono stati ottenuti». Ne citi qualcuno… «Non c’è stato aumento della pressione fiscale, i conti sono in ordine e gli investimenti possibili sono stati fatti. è certo che troppo spesso il comune ha dovuto sopperire da solo alle emergenze e alle necessità. Vorrei ricordare alcuni meriti e battaglie UDC quali quella per mantenere gli uffici finanziari in città e il ripristino dei locali dell’ex tribunale che presto ospiteranno anche il comando guardia di finanza; l’ampliamento del Palaoltrepo che da mille posti è passato a 1800 con la possibilità di far gareggiare squadre di professionisti del basket (leggi Berthram Derthona); realizzazione di una pista di atletica al campo giovani, inaugurazione del parco inclusivo Moschini tempo libero e sport, lavori al museo Beccari, ripristino strade comunali disastrate, valorizzazione di prodotti tipici, avvio alla conclusione dei lavori per il ripristino del teatro Sociale iniziati nel 2018 e (qui non si può sottacere anche l’impegno dell’ex assessore Marina Azzaretti) avvio e prossimo inizio dei lavori per la bonifica Recology (un grande risultato ottenuto grazie all’impegno degli esponenti UDC) mentre la frazione Oriolo avrà l’ampliamento del cimitero con la
realizzazione di nuovi loculi. Un futuro avranno le nostre farmacie comunali per cui si è deciso di non procedere alla vendita salvaguardando un patrimonio pubblico, ma di affidarle in house ad Asm mantenendone la proprietà. Particolare attenzione è stata data attraverso il nostro assessorato competente alla salute e quindi alle nostre strutture ospedaliere assicurando collaborazione alla direzione generale dell’ASST. Non si può neanche sottacere il risultato insperato raggiunto nella raccolta differenziata che ha raggiunto il 70%, mentre dal punto di vista istituzionale grazie al lavoro del presidente del consiglio Nicola Affronti abbiamo un nuovo statuto comunale, i vogheresi emeriti che hanno onorato la città nei contesti nazionali ed internazionali hanno ricevuto la civica benemerenza ‘summa viqueria’ (grazie al nuovo Regolamento che ha istituito le Civiche Benemerenze) senza tralasciare l’impegno per cercare di aiutare il commercio con le evidenti difficoltà che si registrano un po’ in tutte le città delle nostre dimensioni vicine a centri commerciali di grande importanza ,talune oggi anche nel nostro territorio». Qual è la posizione dell’UDC oggi? «La mia non è una risposta molto diversa rispetto a quella data dalla Lega. Noi abbiamo le nostre idee ed eventuali programmi, ma vogliamo concentrarci su progetti possibili ed attuabili e tendiamo a cogliere ogni opportunità per le nostre at-
E di candidati sindaci si è parlato ? «Mai in sede di incontri. Sui giornali la Lega parla di candidature della società civile, si intuisce possa essere un industriale di materie plastiche ben evidenziato anche in un convegno (Massimo Bergaglio ndr) e per il segretario di Forza Italia di una nota e apprezzata commercialista. Da parte delle due forze politiche non si fa riferimento a persone con esperienza di consiglio comunale o militanti in partiti politici». Lei è d’accordo di ricercare all’esterno? «Prima di tutto mi spiace che la coalizione attuale FI e UDC non presentino al confronto candidati comuni (una rosa ben inteso) e poi non accetto il metodo secondo cui chi ha esperienza e non ha nulla per essere dichiarato impresentabile debba essere messo da parte a priori». Quale è la vostra candidatura? «La nostra numerosa assemblea lo ha ribadito a gran voce, la candidatura che offriremo alla maggioranza possibile e quella dell’attuale presidente del consiglio comunale Nicola Affronti. Un politico di buona esperienza e di indubbie conoscenze amministrative e giuridiche: conosce la realtà della città e soprattutto nel suo curriculum può far risaltare di essere un pendolare perché lavora a Milano e tutte le mattine raggiunge il proprio posto di lavoro». Valmori, Fratelli d’Italia, Italia Viva. anche il PD vorrebbe il confronto… «Con Valmori il problema non si pone siamo amici da sempre ,con Fratelli d’Italia ci fa piacere che sollecitino il tavolo di centro destra, con gli altri il confronto è sempre possibile, naturalmente non trascurando la realtà». di Silvia Colombini
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Fratelli d’Italia lancia la sfida Adesso siamo determinanti» Con un indice di gradimento in costante crescita a livello nazionale e percentuali che anche a livello locale mostrano un trend positivo, la sezione vogherese di Fratelli d’Italia si prepara ad affrontare la bagarre elettorale consapevole di poter giocare un ruolo da protagonista. Al punto che secondo il segretario cittadino Vincenzo Giugliano la sua compagine potrebbe risultare addirittura «decisiva» per le sorti del centrodestra nella volata a Palazzo Gounela. Giugliano, in vista delle elezioni l’alleanza tra voi e la Lega appare ormai piuttosto scontata. Conferma oppure avete una posizione diversa? «A livello nazionale abbiamo un ottimo rapporto. A livello locale il rapporto è buono, ma dobbiamo ancora parlare di programmi, anche se credo si abbiano le stesse visioni e soprattutto si deve trovare una convergenza sul candidato sindaco. Convergenza che non vuol dire imposizione». Restiamo sulle alleanze. Il segretario di Forza Italia Gianpiero Rocca ha mostrato una certa sicurezza dichiarando di non cercare nessuno e dicendosi pronto ad inserire Carlo Barbieri anche come capolista, nonostante il suo nome abbia più volte creato malumori in seno al centrodestra stesso. Per voi un’alleanza con Forza Italia sarebbe possibile? «Io credo che la coalizione classica di centrodestra unita (Lega-FdI-Fi) sia la formula vincente. Detto questo il vento ora è cambiato e i rapporti di forza all’interno della coalizione si sono modificati. Ora noi siamo determinanti, siamo un partito in crescita che ha superato abbondantemente il 10% a livello nazionale a anche a Voghera siamo cresciuti e continuiamo a crescere. Il nostro elettorato ora è numericamente superiore a quello di Forza Italia.
«Accordo con Forza Italia? Solo se si tiene conto che il nostro elettorato adesso è maggiore» Un’alleanza è possibile, ma solo considerando questa nuova situazione politica. Per il resto non amo entrare nelle dinamiche degli altri partiti e della composizione della loro lista». Che ne pensa dell’Udc? «In passato spesse volte il nostro programma e il loro non coincidevano. Siamo disponibili ad ascoltare». Dove secondo voi la giunta uscente ha fallito? «La città negli ultimi anni è peggiorata, ed è sotto gli occhi di tutti. Sotto l’aspetto della percezione della sicurezza è desolante vedere Voghera in queste condizioni. Ci sono alcune zone della città che hanno subito un forte degrado e i quartieri sono sistematicamente dimenticati. Vi è stata un’assenza di programmazione sulle infrastrutture e il restauro del Teatro Sociale non basta». In materia di immigrazione porterete avanti la battaglia sul “Modello Voghera” o “Modello Sartori” che dir si voglia, per limitare l’accesso ai benefit comunali da parte dei cittadini extraco-
Vincenzo Giugliano, segretario cittadino di Fratelli d’Italia
munitari? «Sì, certo. Il modello Voghera è nel pieno rispetto delle leggi della Repubblica italiana e ci batteremo con tutte le nostre forze affinché venga applicato. Gli italiani non possono e non devono essere scavalcati nell’assegnazione delle case popolari e nei servizi sociali solo perché a qualcuno non piace applicare certe normative». Voghera non è solo la capitale dell’Oltrepò, lo è anche delle slot machine. Un primato di cui c’è poco da andare fieri, anche se finora poco si è fatto in questo senso. Voi avete in programma interventi in materia di gioco d’azzardo? «Esistono già leggi regionali in materia e devono essere applicate. La ludopatia va combattuta, è un male assoluto che rovina molte persone e di conseguenza molte famiglie. Sarà di sicuro un punto cardine del nostro programma». Il commercio di vicinato soffre da tempo la concorrenza della Grande Distribuzione. Si può fare qualcosa di concreto a livello amministrativo oppure è una situazione che non si può recuperare?
«Aver favorito negli ultimi anni la costruzione di centri commerciali ha portato a questa situazione. Un’amministrazione ha il dovere di aiutare il commercio di vicinato e quindi deve cercare di percorrere tutte le strade possibili, con iniziative, ma anche con utilizzo di fondi regionali ed europei affinché il commercio di vicinato possa rinascere». Capitolo Asm. Azienda in salute e motivo di vanto oppure una struttura in crisi? «Questo è un tasto dolente. Si sono create situazioni poco chiare che noi di FdI già da mesi denunciamo ottenendo pochissime risposte. C’è scarsa comunicazione riguardo l’operato dell’azienda e credo che il Comune in qualità di socio di maggioranza debba dare alla cittadinanza la massima trasparenza. La nostra impressione è che si sia pensato più a gestire situazioni personali piuttosto che gli interessi della collettività. Il caso delle “bollette pazze” è indicativo in questo senso». di Christian Draghi
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«Alleanza con il Pd possibile, ma si facciano le primarie di coalizione» Anche l’area liberal democratica vicina al centrosinistra scalda i motori in vista delle elezioni di primavera. “Alleanza Civica” è un fronte politico che sosterrà la ricandidatura di Pier Ezio Ghezzi ed è composta, oltre che dalla lista “Ghezzi Sindaco”, dalla costellazione denominata “Voghera +Libera”, che raggruppa le liste PiùEuropa, Radicali Italia, Volt e Azione. Nella difficile sfida al centrodestra ricercare l’unione è una necessità imprescindibile e negli ultimi giorni il dialogo con il PD si è rafforzato alla ricerca dell’accordo che consenta alle parti di presentarsi unite alla tornata elettorale. Conditio sine qua non, indire al più presto le primarie di coalizione per stabilire chi, tra Ilaria Balduzzi e Pier Ezio Ghezzi, sarà il candidato da sostenere. Alessandro Traversa spiega la genesi del progetto politico: «La lista nasce dalla volontà del gruppo vogherese di impegnarsi a creare un contenitore, un polo in cui finalmente l’area liberal democratica, radicale e liberale potesse riconoscersi». Traversa come mai la necessità di “staccarsi” dal PD per perseguire questi obiettivi? «è dalla scorsa primavera che chiediamo un progetto chiaro, forte e di rilancio per la città passando per le primarie di coalizione. Quindi credo sia errato dire che ci siamo “staccati” dal Pd, non abbiamo mai cambiato posizione. Abbiamo recentemente lanciato con Ghezzi un accordo elettorale, un fronte chiamato Alleanza Civica di cui fanno parte appunto la nostra lista Voghera+Libera, e la lista civica Ghezzi Sindaco. Anche al Pd abbiamo ribadito la necessità di svolgere le primarie, seppur in notevole ritardo». Recentemente vi siete incontrati con la segreteria del PD. Di che cosa avete parlato? «Abbiamo parlato delle problematiche della città, delle visoni che abbiamo in comune con la promessa di risentirci a brevissimo per sciogliere i nodi non ancora risolti». La possibilità di correre tutti insieme in un’unica coalizione è quindi concreta? «Certo, ma ripeto, il nostro obiettivo è sempre stato questo, avevamo già trovato e sottoscritto una intesa col PD e Lista Ghezzi già a fine settembre. Le primarie avrebbero dovuto tenersi a fine novembre, poi il Pd ha preferito congelare quella proposta. Avremmo presentato anche una nostra bravissima candidata alle primarie. Da allora diciamo che la situazione è andata in stallo. Non abbiamo mai però chiuso i canali con nessuno. Abbiamo sempre e solo chiesto di iniziare la campagna elettorale il prima possibile».
Alessandro Traversa, coordinatore cittadino di “Voghera + Libera” e coordinatore provinciale di “+Europa”
Il Pd ha già annunciato la candidatura di Ilaria Balduzzi. Sareste disposti a immolare quella di Ghezzi sull’altare della coalizione? «Appoggeremo Ilaria Balduzzi in caso vincesse le primarie di coalizione. è molto semplice, basta solo tornare al documento sottoscritto ad ottobre, oggi la situazione è la medesima di qualche mese fa. Adesso Siamo a febbraio, il nodo va sciolto entro pochi giorni. Il candidato Sindaco dovrà avere almeno tre mesi per fare campagna elettorale, proporre alla popolazione il programma, incontrare le parti sociali e le associazioni di Voghera. Noi abbiamo già iniziato come Alleanza Civica». Che il centrodestra parta avvantaggiato numericamente è piuttosto evidente, presentarvi in qualche modo divisi non credete favorirebbe ulteriormente i vostri avversari? «Sicuramente un fronte progressista con il Pd numericamente sarebbe più forte. Per questo abbiamo insistito sulle primarie di coalizione. Certamente il Cdx a Voghera è storicamente forte, ma non è più quello di cinque o dieci anni fa. Anche a Voghera il cdx non mi sembra coeso, da una parte ci sono Forza Italia e Udc che raccolgono un elettorato moderato e popolare, dall’altra la Lega che dopo i risultati delle Europee in città credo voglia un suo candidato sindaco. Ma sarebbe la terza città della provincia di un certo peso dopo Pavia e Vigevano con un candidato leghista, diciamo che potrebbe creare malumori ai piani alti
in Regione e Provincia». Come sarà composta la vostra lista? «I candidati della nostra Lista Civica si riconoscono nei valori Liberali, democratici e Radicali. Abbiamo in lista imprenditori, studenti alla prima esperienza ma molto motivati, avvocati, esercenti, fotografi medici e infermieri. Credo sia la forza della nostra lista e del lavoro che stiamo portando avanti, abbiamo estrazioni sociali e lavorative molto differenti per cui abbiamo un background multi settoriale». Dove l’amministrazione attuale ha compiuto gli errori più gravi? «Non ha avuto una visione a lungo periodo, la città ha le stesse problematiche di 10 anni fa. è immobile, restia al cambiamento e all’innovazione. Ha ideato un Pgt disastroso, non è riuscita a risolvere le problematiche sulla viabilità, ha investito su progetti che si son rivelati dei veri e propri fiaschi anche per le casse del comune. Ha gestito in modo pessimo e poco trasparente Asm, da più di un anno, nonostante le assunzioni, il problema del caos bollette non è ancora stato risolto. Non è riuscita a dare un aiuto concreto agli esercenti del centro storico, anzi ha portato il commercio cittadino in due aree commerciali periferiche». C’è qualcosa che ha fatto bene? «Devo essere sincero, credo di no. Non ricordo un intervento comunale che abbia portato benefici ai cittadini. Forse negli ultimi anni c’è stata più attenzione per l’area museale e qualche iniziativa di marketing territoriale, ma il comune su questo deve
trovare fondi per intervenire in modo molto più massiccio». Quali saranno i temi chiave della vostra campagna elettorale? «Partiamo dalla considerazione che la nostra zona ha ricevuto zero finanziamenti. Contando che il sistema Italia da recenti studi perde il 40% dei fondi europei erogati, crediamo sia fondamentale a Voghera aprire uno sportello europeo, dedicato alla ricerca di finanziamenti, uno sportello che serva sia all’amministrazione comunale, sia a tutto il mondo produttivo dell’Oltrepò. Crediamo sia necessaria una drastica riqualificazione urbana, seguendo due priorità: intervenire nelle zone con edifici vetusti e privi di qualità e, con la finanza di progetto, favorire la nascita di luoghi di aggregazione e socializzazione e contemporaneamente fare acquisire valore agli immobili che oggi vedono le loro quotazioni crollate. Inoltre, abbiamo strumenti informatici che, fino a qualche anno fa, erano usati solo a livello sperimentale. Mi riferisco in particolar modo al mondo degli Open Data, uno strumento potentissimo in mano all’amministrazione, che potrebbe facilmente ricavare dati e statistiche per migliorare l’ambiente, per fare scelte oculate di viabilità, per investire al meglio i soldi di noi cittadini avendo già una cassetta degli strumenti pronta. Allo stesso modo un privato potrà analizzare più facilmente il rischio d’impresa, potrà valutare meglio il target in base alla popolazione. Un vero nuovo approccio multi settoriale che potrà dare una grossa mano a tutti». Dove il centrosinistra può recuperare quei voti persi nel corso degli anni? «Sicuramente deve intercettare il malumore degli esercenti, oggi quelli più in difficoltà, deve ascoltare i giovani che ogni giorno, alle sei del mattino, sono costretti a uscire dalla città per poter lavorare. Deve ascoltare e proporre idee concrete per risolvere quel senso di insicurezza e abbandono presente in alcuni quartieri periferici. Bisogna ripartire da qui». Lei è anche amministratore della pagina facebook Politica@Voghera. Le sembra che la cittadinanza si stia “appassionando” alla bagarre elettorale? «Notiamo che a ridosso delle elezioni le iscrizioni e le interazioni aumentano in modo esponenziale. Quindi per rispondere alla sua domanda, mi pare di sì, molto di più che 5 anni fa. Facebook potrebbe rivelarsi uno strumento utile per tutti i partiti e i candidati, quindi il mio consiglio è di usarlo. I post, anche quelli con meno interazioni hanno comunque migliaia di visualizzazioni». di Christian Draghi
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«Pronti a sederci al tavolo con il Malox se sarà necessario» Manca ancora la componente renziana di Italia Viva per delineare lo scacchiere del momentaneamente frammentato centrosinistra vogherese. Le elezioni si avvicinano e impongono un cambio di marcia nei tempi di una campagna elettorale che di fatto non è neppure iniziata. Il Pd schiera Ilaria Balduzzi, mentre Pier Ezio Ghezzi conta già sul supporto del fronte Alleanza Civica che comprende le liste di Voghera + Libera e Ghezzi Sindaco. Giacomo Lorenzo Botteri, coordinatore locale di Italia Viva, è reduce dall’assemblea nazionale di Roma. Con chi si schiereranno i suoi è un nodo ancora da chiarire. Botteri, avete deciso cosa farete a Voghera? «Nei prossimi giorni arriveranno indicazioni su come Italia Viva si presenterà alle elezioni amministrative e se lo farà o meno col proprio simbolo o trovando ospitalità in altre liste locali o civiche. A giorni avremo gli elenchi degli iscritti on line a livello locale e convocheremo un’assemblea per decidere il da farsi». Non è un po’ tardi? «Personalmente, e di questo il coordinatore nazionale Ettore Rosato è stato informato, posso aspettare ancora al massimo 10 giorni indicazioni, dopo di che, decideremo autonomamente». Dovrete scegliere tra Balduzzi e Ghezzi. O sperate in nuovi risvolti? «Noi auspichiamo che a Voghera ci siano persone disponibili a fare dei passi indietro per poterne fare in avanti nell’interesse della città». Niente primarie di coalizione quindi?
Lorenzo Botteri coordinatore locale di Italia Viva
«Non credo oggi ci siano più le condizioni per pensare di fare le primarie. Trovare chi è disposto a fare passi indietro per favorire un ricompattamento la vedo dura ma dovremmo provarci». Con che spirito vi siederete al tavolo delle trattative? «Italia Viva può anche farsi carico di portare al tavolo tanti flaconi di Malox se serve, ma è evidente che bisogna non solo ricompattare la sinistra ma anche tentare un accordo col centro». Parla dell’Udc? «Parlo dell’area moderata che credo non abbia nulla a che spartire, salvo forse qualche poltrona, con la destra estrema populista ed antieuropiesta, rappresentata da Lega e Fratelli d’Italia». Come vede il centrodestra a questo giro? Non è più un’Invincibile Armata? «A Voghera il centrodestra orfano di Gio-
vanni Alpeggiani viaggia in ordine sparso. Alcuni sono già saliti sul carro del presunto vincitore (Lega, Fratelli d’Italia), altri ci vorrebbero salire ma magari non vengono accettati. Qualche problema credo ce l’abbiano anche loro, primo fra tutti il nome del candidato sindaco. Detto questo è chiaro che se non facciamo tutti insieme l’elenco delle priorità abbiamo perso in partenza e consegneremo Voghera alle destre al primo turno». E se questo “elenco delle priorità” (diciamo pure accordo) non riusciste a comporlo? «Daremo a questo punto il nostro appoggio alla candidatura che ci parrà essere la più autorevole e spendibile in termini di cambiamento della città e non nascondiamo che stiamo guardando con interesse alle civiche di Ghezzi». A livello di programma, che iniziative avete in cantiere per recuperare terreno sui rivali? «Italia Viva ha già in cantiere alcune iniziative che siamo disponibili anche a fare diventare di coalizione, senza bandierine. Stiamo pensando di lavorare con gli agricoltori (visto anche il nostro ruolo al Governo), con le associazioni di volontariato attraverso la legge Gadda sullo spreco alimentare, e soprattutto stiamo pensando ad una iniziativa sul piano shock da 120 miliardi per rilanciare i cantieri e l’economia che è in fase di recessione e verrà l’onorevole Raffaella Paita ad illustralo». A questo proposito, alcuni giorni fa aveva annunciato di aver parlato proprio con Paita della possibilità di inse-
rire il completamento della tangenziale Voghera-Rivanazzano tra le opere finanziabili. D’accordo che sarebbe utile averla, ma non crede che l’emergenza e la priorità da queste parti siano i ponti? «Il discorso della tangenziale non nasce dalla valutazione che sia la priorità assoluta, ma dal fatto che il provvedimento che Italia Viva depositerà il 14 febbraio prevedrà oltre 120 miliardi che riguardano opere già finanziate ma per qualche motivo ferme, come la Gronda di Genova che ci toccherà da vicino. La tangenziale di Voghera è di fatto incompiuta e che sia prioritaria non lo dico io, ma lo ha scritto la Regione Lombardia nel 2007 quando la Provincia chiese 6 milioni di euro per il suo completamento». Sui ponti ci sono novità? «Mi pare che l’onorevole Lucchini sia esperta in materia ed abbia già provveduto più volte al rifacimento di quello della Becca! Battute a parte, ci penserà il decreto Shock che riguarderà la sicurezza delle scuole e le infrastrutture». Nel mentre ci sono opere a Voghera che si possono realizzare senza spendere miliardi? «Gli interventi sul verde, sui parchi, sulla viabilità sono a costo quasi zero. Perché poi ad esempio non trovare il modo di impiegare utilmente il tempo degli immigrati utilizzandoli ad es nella manutenzione del verde pubblico ? Perché non sperimentare soluzioni viabilistiche alternative atte a rendere la città più vivibile?». di Christian Draghi
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Ambulanti in crisi: «Più controlli per verificare chi è in regola e chi no» «A Voghera si chiedono cifre troppo alte per partecipare alle Fiere»
Domenico Nicodemo, commerciante “di piazza”
Se il commercio fisso in Oltrepò vive da anni una situazione di crisi, quello ambulante versa se possibile in condizioni ancora più critiche. Reduci da uno dei Natali peggiori degli ultimi anni, gli ambulanti chiedono un aiuto concreto: «servono più controlli per garantire a chi lavora seriamente la possibilità di offrire qualità e a un prezzo adeguato». A parlare è Domenico Nicodemo, commerciante “di piazza” fin da quando era bambino e oggi unico erede di una tradizione di famiglia. Non aderisce a nessuna associazione di categoria ma negli ultimi mesi ha raccolto gli umori di almeno un centinaio di colleghi sparsi tra i mercati di Voghera, Broni, Stradella, Rivanazzano Terme e Varzi. Ad aprile tenterà l’avventura politica candidandosi per il consiglio comunale di Voghera tra le fila del movimento civico Italia del Rispetto nel tentativo di portare dentro le istituzioni le istanze di una categoria che si sente «sempre più bistrattata». Nicodemo, perché il commercio ambulante è così in crisi? «I fattori sono tanti, sicuramente il più importante è che negli anni è venuta a mancare la qualità. Troppa roba usata, di poco valore, venduta per altro a prezzi ridicoli
con cui non è possibile competere per chi invece lavora con prodotti di livello. Questo fatto disincentiva automaticamente le persone dall’andare al mercato e a orientarsi sempre di più verso i centri commerciali». La qualità è importante, d’accordo, ma come è possibile intervenire “dall’esterno” per garantirla? «Innanzitutto servono più controlli da parte degli organi competenti per accertare che tutti lavorino seguendo le regole.
«I Comuni ci vengano incontro abbassando il costo dei plateatici»
Si cominci dal verificare il rispetto di semplici regole basilari come la verifica che sul posto ci sia il proprietario della carta d’esercizio con relativa foto e l’obbligo dell’esposizione di cartelli per chi vende prodotti usati. In secondo luogo si faccia attenzione anche ad altri aspetti che possono sembrare dettagli ma che non lo sono, come il rispetto dell’obbligo degli spazi tra i banchi e la verifica delle assenze da parte di fissi e spuntisti. Soprattutto, che questi controlli riguardino tutti allo stesso modo». Rivendicazioni precise, ma secondo lei il problema è tutto qui? «Certo che no, ma si comincia dalle basi. Dobbiamo affrontare una concorrenza che, visti certi prezzi, è quantomeno sospetta. Se poi risulta tutto regolare va bene, però che almeno si facciano i controlli del caso. Lavorare a bassi prezzi e bassa qualità penalizza tutta la categoria». Ci sono altri aspetti che vorreste migliorare? «Su tutti direi la sicurezza. La quantità di furti nei mercati è impressionante e colpiscono tutti, dagli anziani cui viene scippato il portafoglio agli stessi ambulanti cui viene indebitamente sottratta della merce. Questa sensazione di insicurezza si percepisce ed allontana ulteriormente la clientela. Dovrebbero essere intensificati i controlli dei vigili che ad oggi sono insufficienti». Uno dei rappresentanti della vostra categoria, Rocco del Conte di Apva, ha polemizzato con alcuni commercianti fissi del centro che si sarebbero lamentati per la presenza di bancarelle che, nel periodo natalizio, avrebbero ridotto in maniera eccessiva i parcheggi a disposizione delle auto. Lei condivide? «Su questo devo dire che non capisco certe lamentele, sinceramente non vedo come la presenza di oltretutto pochi banchi in piazza possa creare un vero danno a chicchessia. Bisogna che i commercianti si uniscano e solidarizzino di più. Siamo sulla stessa barca e solo se stiamo insieme possiamo ottenere qualche risultato».
Come sono andati gli affari lo scorso Natale? «Sono stati i peggiori degli ultimi anni, avremo fatto un quarto degli incassi del Natale precedente». Le amministrazioni comunali potrebbero fare qualcosa per aiutarvi? «Non esiste la bacchetta magica, però ci potrebbero sicuramente venire incontro in tanti modi: uno su tutti abbassare i prezzi dei plateatici. I nostri incassi diminuiscono, ma gli abbonamenti che dobbiamo pagare sono sempre gli stessi. Un altro aiuto sarebbe l’introduzione del parcheggio gratuito nelle zone vicine alle piazze nelle ore concomitanti al mercato». A Voghera i costi per la partecipazione a fiere importanti, come ad esempio quella dell’Ascensione, sono spesso stati oggetto di discussione. Che ne pensa? «Che sono assolutamente troppo alti. Per questo che poi gli ambulanti del territorio non partecipano più. Pagare certe cifre vorrebbe dire lavorare in perdita». La Sensia non è una bella occasione per fare affari? «Non direi proprio, ci sarà anche tanta gente, ma se non compra… con certi costi poi davvero non conviene. A Tortona ci sono prezzi molto più ragionevoli». di Christian Draghi
«Bisogna che i commercianti uniscano e solidarizzino di più...»
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Rinasce la DC. Valmori: «Saremo presenti nella prossima competizione elettorale» Come l’araba fenice, è rinata dalle proprie ceneri la Democrazia Cristiana. La Balena Bianca, la Diccì, il partito della nazione che in molti rimpiangono (e altrettanti denigrano). Si è arrivati a questa decisione dopo un lungo iter giudiziale – che non ripercorreremo in questo spazio perché davvero complesso; materia squisita per gli appassionati della scienza giuridica, meno per noi cittadini. Ciò che è stato, è stato. Guardiamo, piuttosto, al futuro: anche sui nostri territori iniziano a fermentare gruppi che intendono riprendere quella tradizione. E quando si tratta di democristiani, si tratta di gente che sa come muoversi sul palcoscenico politico. È difficile stabilire il peso elettorale di questa formazione nell’Anno del Signore 2020; è facile, invece, pensare che se torneranno in campo alcuni “cavalli di razza” della vecchia politica questi potranno, indipendentemente dalle percentuali risultanti dalle urne, ritagliarsi uno spazio dignitoso, cannibalizzando quanti sono finiti in politica per opportunità o per opportunismo. Con poco talento. E sono tanti. Un “cavallo di razza” è già sceso in campo ufficialmente: è l’avvocato vogherese Giovanni Valmori. Un uomo che vanta un lunghissimo curriculum nella pubblica amministrazione (sfiorò anche la candidatura a sindaco a metà degli anni ’90), ma rimasto per molti anni lontano dai ruoli attivi. Avvocato, mi permetta di darle il mio “bentornato” nell’agone politico. Dunque, rinasce la Democrazia Cristiana. A molti verrà un brivido nel leggere questa notizia... «Non lo so, perché ormai i partiti nascono e muoiono nel giro di cinque minuti. Da Renzi a Calenda, ognuno decide di fondare un partito: in tutta onestà penso ce ne siano troppi. La DC, se non altro, può vantare una tradizione lunghissima. Era morta o sembrava fosse morta, e in effetti si discuteva in tribunale sull’appartenenza del simbolo. Finalmente la Cassazione ha stabilito che questo simbolo esiste ancora ed è utilizzabile, e quindi è rinato o sta rinascendo il movimento.» Quali sono i vostri punti di riferimento sullo scenario nazionale? «Noi facciamo capo (dico noi perché io sono il responsabile per Voghera e il nord Oltrepò), ad un referente, che è il vicesegretario nazionale: l’onorevole Baruffi. Abbiamo aperto la sezione a Voghera, che è la prima a livello provinciale.» Nella compagine dei rifondatori figurano esclusivamente coloro che erano iscritti al partito nel ‘93. Significa che, sotto sotto, non vi siete mai persi di vista?
«Non ci siamo mai persi di vista, assolutamente. Chi è nato democristiano, chi ha sempre avuto in mente e nel cuore i valori della DC, non si è mai perso di vista. E neanche adesso ci si perde di vista. A livello nazionale è stato fatto un patto: una confederazione fra movimenti di ispirazione cattolica in area di centro, quindi con l’UDC di Cesa, con i democratici cristiani di Rotondi (che si fregia di questo titolo), e con altri. Non è mai morta l’idea di ricreare il partito. E poi certamente i contatti, i segnali, ci sono sempre stati in questi anni.» A Voghera chi ha già aderito? «Stiamo organizzando a livello provinciale un gruppo di lavoro. Abbiamo già avuto adesioni, anche se non posso dirle quante perché non ho ancora formalizzato il tutto. Anche i contatti con gli altri partiti cattolici, parlo del mio amico Affronti e dell’UDC, ci sono. Ho visto tanta curiosità; il risveglio di vecchi sentimenti. E anche adesioni concrete, con richieste di iscrizioni.» Quando e come verrà allargata la compagine alle “nuove leve”? «Il movimento è già aperto a nuove iscrizioni. Chiunque si riconosca nei valori cattolici, nei valori che furono allora dettati da don Sturzo, nei valori sempre portati avanti dalla DC, le porte sono aperte. Anzi, ci auguriamo di ottenere presto nuove adesioni.» A livello nazionale è partita una diffida ad utilizzare lo scudo crociato nei propri simboli a tutti i partiti che, in questi anni, lo avevano fatto. A partire dall’UDC. Alcuni potrebbero vederlo come uno schiaffo. Pensa che in Oltrepò non succederà? «L’UDC a Voghera si basa su un uomo da sempre sulla breccia e con un consistente elettorato. Non credo si possano creare incomprensioni. Anzi, come dicevo, c’è un accordo a livello federativo – non solo quindi a livello locale – proprio per evitare scontri; con l’idea, al contrario, di collaborare insieme.» Cosa si aspetta da questa avventura? «Vediamo, intanto, la consistenza e la rispondenza sul territorio. A Pavia abbiamo già al lavoro un responsabile provinciale, che è il dottor Ernesto Chiesa. Quindi siamo presenti in tutta la provincia.» Avete fatto dei programmi sul territorio? «Programmi non ne abbiamo ancora definiti, però è chiaro ed evidente che essere presenti su un territorio significa interessarsi dei suoi problemi e delle sue istituzioni, come la Comunità Montana, o come quella che una volta si diceva essere la “capitale dell’Oltrepò”, cioè Voghera. Credo la sia ancora e spero rimanga tale.»
Giovanni Valmori
«Qualcuno potrebbe dire: “rieccolo”… perché io a Voghera ho fatto l’assessore, il consigliere comunale, il presidente di ASM…» Voghera è quest’anno chiamata alle urne per l’elezione del sindaco ed il rinnovo del consiglio comunale. Sono certo che abbiate già qualche idea in merito… come vi muoverete? «In questo momento non le so dire se ci sarà una nostra presenza autonoma o una collaborazione con altre forze di centro fondate sui nostri stessi obiettivi. Certamente le posso dire che saremo presenti nella prossima competizione elettorale. In qualche modo, in qualche forma, ma con una partecipazione attiva. Il nostro obiettivo è quello di dare il nostro apporto per risolvere insieme ad altri i problemi della città. Poi se ci sarà una nostra lista, o una partecipazione con nostri candidati in liste
di appoggio ad un candidato di centro, in questo momento è prematuro dirlo e mi riservo di farlo prossimamente.» Nel più squisito stile democristiano le sue parole mi sembrano tese a cercare l’incontro e non lo scontro. «L’odio che ha caratterizzato la politica in questi ultimi anni non ci è mai appartenuto. Quando io ero capogruppo in consiglio comunale, facevo interventi che mi dicevano essere anche molto pesanti; però non ho mai ravvisato odio nei miei confronti, né io ho mai odiato chi non la pensava come me. Se mai, c’era una rivalità politica o una rivalità di idee. Finito il consiglio comunale si andava tutti quanti a mangiare una pizza al Gallo Rosso.
VOGHERA Ho avuto più clienti, allora, iscritti al PCI che alla DC. Abbiamo sempre distinto il rapporto personale dalle diverse ideologie. Il modo in cui oggi si fa politica consiste nell’individuare un nemico, nel puntare sulla persecuzione personale, o su denunce alla magistratura per cose che c’entrano niente... uno stile che non mi è mai appartenuto e non mi apparterrà mai.» Se c’è un obiettivo che vi prefissate, quindi, è proprio quello di riportare sulla scena un modo sano di fare politica? «Uno stile che si è perduto, ideali che si sono persi, un modo di fare politica che non c’è più. Uno stile diverso da quello attuale: lo stile del gentleman. Il politico fa la sua parte perché ci crede, perché condivide un pensiero, perché sente di dover fare il suo dovere. Può riuscirci o meno; ma l’attacco personale, il considerare chi non la pensa come te un nemico invece che un avversario politico, non devono comparire. A questo si dovrebbe tendere: ad essere più uomini di fede politica, e meno avversari che si combattano per eliminarsi o per “sputtanarsi” l’un l’altro.» Non vi spaventa il rischio che quel tempo sia lontano dall’immaginario dell’elettorato? «Sì, è un rischio ed è comunque una concreta possibilità. Ma noi, senza nessuna velleità e senza nessuna pretesa particolare, ripresentiamo questo simbolo nel quale abbiamo sempre creduto e nel quale sempre crediamo e nel quale, per quanto mi riguarda, crederò sempre. Certo, per quanto mi riguarda qualcuno potrebbe pensare ciò che Montanelli aveva scritto ai tempi di Fanfani: “rieccolo”… perché io a Voghera ho fatto l’assessore, il consigliere comunale, il presidente di ASM…» Poi, però, molti anni di silenzio. «Le cose erano cambiate: il partito era scomparso, così come molti fra gli ex DC. Qualcuno non c’è più, qualcun altro è nel PD, qualcun altro in Forza Italia, molti nell’UDC... Noi con molta modestia ci presentiamo per dire che il simbolo è ancora qui, che alcuni di quegli uomini sono ancora qui. Poi l’obiettivo è semplicemente quello di lavorare insieme ad altri. I tempi sono cambiati e nessuno ha la pretesa di rifare la “balena bianca”...» Neanche una sardina... «Neanche una sardina, ma neanche una… trota.» Gli spazi al centro si sono sempre più compressi nel corso degli anni, ma Voghera ha sempre rappresentato una sorta di “eccezione”… «Ci si misura, non facendo l’errore di pensare che se tu nel 1996 hai preso 1500 voti li riprendi immediatamente adesso. Questo è un errore che fanno parecchi. Allora c’era una situazione, oggi ce n’è un’altra.» È vero che sono passati molti anni dai suoi ultimi incarichi nella pubblica amministrazione. E che sono passati molti anni da quando la DC governava il Paese. Ma l’esperienza conterà ancora qualcosa, forse.
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«Un messaggio a Marina, sei stata brava e sei stata forse offesa: ma l’offesa in politica è un schiaffo che prima o poi tutti quelli che fanno ricevono» «L’esperienza vuol dire tanto, l’inesperienza anche. Se io penso agli esponenti del Movimento Cinque Stelle che sono finiti al governo senza esperienza, senza una base culturale o politica seria, senza sapere neanche di cosa parlano o di cosa trattano, allora questo mi fa pensare che il “nuovo” può a volte essere un elemento positivo, ma l’inesperienza fa danni.» Un esempio? «I danni li ha fatti l’inesperienza di un sindaco eletto a Roma quando sembrava che i Cinque Stelle dovessero essere i salvatori della città: abbiamo visto la situazione che Raggi ha creato nella capitale. Abbiamo visto, e vediamo purtroppo ancora, quello che succede al governo; le cose inconcepibili che riesce a fare una classe politica impreparata, che cambia quotidianamente il programma pensato il giorno prima. E che su un tema importante come la giustizia propone cose assurde, come l’abolizione della prescrizione, che significa trasformare un indagato in un indagato a vita. Questo è assurdo, immorale e inqualificabile. L’esperienza certo che serve. Da parte mia dico: largo ai giovani. Ma una preparazione di base penso ci debba essere. In questi anni si è cercato di “rottamare” tutto, per usare un’espressione di Renzi che poi si è rivolta a suo carico, visto che hanno rottamato lui... Purtroppo sono state rottamate anche esperienze importanti che, insieme all’entusiasmo giovanile, avrebbero potuto portare qualcosa di più concreto.» Da qualche tempo si registra un desiderio diffuso di rivalutare la stagione politica conclusasi nel 1992. La recente canonizzazione mediatica di Bettino Craxi, pressoché incontrastata, la dice lunga sul punto al quale sia arrivata la riapertura di questi spazi. Ora, si tenta di far rinascere la Democrazia Cristiana: difficile pensare rinasca anche il Partito Comunista, o che tornino alla grande ribalta i Repubblicani, i Liberali, i Socialdemocratici o gli stessi Socialisti. Pensa sia possibile si verifichino episodi di trasformismo? Mi spiego meglio: pensa sia possibile che alcuni esponenti di altri vecchi partiti, accomunati dal desiderio di un modo di fare politica e messe da parte le ideologie del Novecento, entrino a far parte (a titolo personale) della vostra alleanza?
«Riprendo il discorso fatto prima. Più che voglia di tornare a quegli anni, penso ci sia fra la gente la voglia di riscoprire quei valori veri. Quando si parla di Prima Repubblica si parla di forze politiche ben definite - PCI, PSI, DC, PLI… - con dei programmi precisi, con una visione della società delineata chiaramente. Non c’era né l’odio, né l’idea di tracciare una linea politica contro un nemico. Contro Berlusconi, contro Salvini, contro chiunque altro. Ribaltiamo il pensiero: non ci pensiamo “contro”, ma “a favore di”. A favore della città, della popolazione, dei cittadini. Certo, ci sono stati dei problemi nella Prima Repubblica. La corruzione, il finanziamento dei partiti. Ma la corruzione non è stata scoperta durante la Prima Repubblica, non l’ha fermata la Seconda né lo farà la Terza. Esiste dai tempi degli antichi Egizi, figuriamoci… questo ovviamente non significa che si debba far finta di niente. I partiti sono soggetti strani: hanno grosse problematiche di organizzazione, devono trovare fonti di finanziamento. Il dibattito non ha mai trovato soluzioni adeguate.» Quindi? Come vi rapporterete con gli altri “reduci”? «Ritornare ai valori della Prima Repubblica significa ritornare ai valori veri, ai valori di una volta. Rimpiangere la Prima Repubblica significa rimpiangere l’esistenza di forze politiche vere, di uomini che ci credevano, con esperienze maturate in scuola di partito... ma vi ricordate la scuola di partito dei comunisti, o la scuola della Camilluccia... non si può
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mandare allo sbaraglio una persona a fare il consigliere comunale senza che questo sappia le norme che regolano un’amministrazione comunale. O addirittura a fare il senatore chi non conosce i principi fondamentali della Costituzione, il diritto amministrativo. Chi si riconosce in questa concezione può entrare in contatto con noi, al di là delle vecchie divisioni.» Pensa? «Certo che lo penso, lo penso e lo vivo personalmente. Ho avuto tante telefonate in questo senso di persone di cui non posso fare nomi che hanno visto e vedono con piacere un ritorno della “balena bianca”, come loro la chiamano ancora, e come la chiamo ancora io, anche se non sarà più una grande balena. Quindi penso proprio ci sarà questo aggregamento anche persone che allora gravitavano in altri partiti o che ora gravitano sotto bandiere diverse. E mi auguro accada, a patto che condividano questa nostra impostazione.» Nella politica vogherese c’è un nome forte che sta vivendo un momento di transizione. Un nome che ricorda molto della vecchia DC, per questione dinastica: Azzaretti. «Io a Marina Azzaretti esprimo, come ho sempre fatto, il più grande apprezzamento per quello che ha fatto durante il suo assessorato, perché era stata veramente l’asse portante di una amministrazione. Non ho capito e non voglio neanche capire i problemi interni a Forza Italia che hanno portato alla sua defenestrazione. Marina Azzaretti mi è cara per due motivi. Primo, perché la conosco da un’infinità di anni. Secondo, per il ricordo di suo papà, che per me non è solo stato un maestro ma anche un grande amico, come del resto ha sempre dimostrato anche lui nei miei confronti. Un duplice motivo di legame e di affetto. Credo che il suo ruolo non sia finito; mi auguro possa trovare la sua collocazione e possa ritornare ad essere un valore aggiunto per qualsiasi amministrazione futura di Voghera.» Vuole mandare un messaggio a Marina? «Un messaggio... Marina, sei stata brava e sei stata forse offesa: ma l’offesa in politica è un schiaffo che prima o poi tutti quelli che fanno ricevono. Ne ho ricevuto tanti anche io in passato. Però non mollare. Siamo qua, parliamone.» di Pier Luigi Feltri
«L’UDC a Voghera si basa su un uomo da sempre sulla breccia e con un consistente elettorato. Non credo si possano creare incomprensioni»
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«Restaurare mobili è anzitutto una passione e poi un lavoro» Il passato regala bellissimi esempi di alcuni tratti della sua storia. Sono monumenti, opere d’arte, tradizioni o semplici manufatti. Ciascuno, a suo modo, fa rivivere emozioni legate al pensiero di vite che si sono intrecciate con quegli oggetti o hanno prodotto quelle opere. Un mobile antico è un esempio di una parte tangibile del passato che ha vissuto la sua storia ed è arrivata a noi. è anche un prodotto affascinante, soprattutto per i suoi estimatori e per chi si sofferma a pensare a cosa avrà vissuto quel pezzo d’arredamento, di quali stanze è stato un componente, quali segreti ha nascosto e quali mani lo hanno curato o usato. Molti vecchi mobili, antichi o d’epoca, sono conservati in buono stato e necessitano soltanto di un’adeguata lucidatura per tornare al loro originario splendore. Altri, purtroppo, hanno subito maggiori peripezie o sono stati troppo trascurati ed hanno bisogno di mani esperte che sappiano eliminare i danni e risanare segni del tempo trascorso. Il restauratore è colui che si occupa, prima di tutto per passione, di riportare i vecchi mobili del passato a nuova vita. Luca Nascimbene, classe 1986 è un giovane vogherese che ha scelto di fare questo lavoro affascinante e non comune. Nascimbene, lei si definisce un restauratore ligneo di mobili antichi. In un mondo che vive sempre più di tecnologia è abbastanza insolito trovare un giovane che si occupa di artigianato, com’è nata la sua passione trasformatasi poi in lavoro? «La mia passione deriva dal fatto che, quando ero piccolo, i miei genitori coltivavano l’hobby del restauro e quindi sono cresciuto in mezzo ai mobili antichi. Le confesso che inizialmente non amavo questo genere si mobili perché, come può immaginare, un bambino vuole giocare, ha la curiosità di toccare tutto e a casa mia questo non era possibile, diciamo che il tipo di arredamento era per me una limitazione. Poi, verso i 10 anni, ho cominciato ad andare spesso nel laboratorio di mio nonno che faceva il falegname e, imparando da lui i primi rudimenti, ho iniziato a fare i primi lavoretti con il legno e mi sono appassionato, ho scoperto di avere una predisposizione naturale per questo tipo di lavoro. Finita la scuola media, mi sono iscritto prima al Liceo Classico e poi al Liceo scientifico ma mi sono presto accorto che questa tipologia di studi non mi interessava quanto la lavorazione del legno e quindi ho deciso di lasciare per dedicarmi alla mia passione». Ha frequentato dei corsi specifici per intraprendere la sua attività?
Luca Nascimbene, restauratore
«I miei genitori mi hanno indirizzato presso alcuni restauratori e sono andato a bottega come si faceva un tempo perché in zona non esistevano scuole professionali con indirizzo del restauro ligneo. Da ognuno di loro ho imparato qualcosa, cercando di capire un po’ i loro trucchi del mestiere, perché noi restauratori siamo un po’ restii a confidare i segreti del nostro lavoro, ho osservato molto per capire i procedimenti di lavorazione. Pian piano ho anche approfondito le mie conoscenze studiando i vari stili artistici che hanno accompagnato la storia del mobile. Nel 2007 ho aperto la mia attività di restauro qui a Voghera. Il lavoro del restauratore è molto impegnativo ma anche appassionante perché si dà “una nuova vita“ a mobili spesso abbandonati, dimenticati e non valorizzati. Restaurare mobili è anzitutto una passione e poi un lavoro, che necessita di esperienza, studio e pazienza: non ci si improvvisa restauratori, bisogna conoscere molto bene, come in tutti i mestieri, la tecnica. Il legno, infatti ha molte problematiche che devono essere trattate e risolte con le giuste tecniche di restauro, in modo artigianale e nel pieno rispetto della tradizione classica. Il restauro non è un lavoro ripetitivo, ogni intervento è diverso e nuovo, richiede molta attenzione ai dettagli ma per me è molto stimolante. Sono sempre alla ricerca di legni antichi, o almeno con una certa stagionatura, perché non è consigliabile l’uso di legni poco stagionati. Bisogna essere molto bravi poi ad uniformare le tinte del legno e questa è un po’ una delle sfide».
Quali tecniche di rifinitura utilizza maggiormente? «Ci sono moltissime tecniche di rifinitura ma per il mobile antico sono principalmente due: la rifinitura a gommalacca e la rifinitura a cera. Ci può essere anche una terza variante che è un mix tra le due precedenti per creare un effetto semilucido. La finitura viene anche indicata dallo stile del mobile, ad esempio un “Luigi XVI” ha una finitura a gommalacca a tampone ed ha una lucidatura a specchio mentre invece altri mobili come ad esempio una madia o una cassapanca del settecento, richiedono una lucidatura semplicemente a cera anche perché la gommalacca era una tecnica non ancora presente a quell’epoca». Quale tipologia di clientela si rivolge al suo laboratorio? «Il target di età dei miei clienti va dai 40 ai 65 anni, i giovani in genere hanno più il gusto verso il mobile moderno, anche perché inizialmente, quando si va ad arredare una prima casa non si hanno molte disponibilità finanziarie. Quando subentra un minimo di stabilità economica, iniziano anche ad apprezzare quello che è l’effetto che il calore del legno produce in un ambiente, la bellezza degli stili e spesso si integra un arredamento moderno con un pezzo di antiquariato. Diciamo che il mobile antico deve essere prima di tutto funzionale in una casa. Spero che sempre più giovani si avvicinino a questo tipo di manufatto. Io realizzo anche soluzioni classiche su misura come possono essere librerie in legno massiccio». Ha avuto clienti che, dovendo di arredare una casa, abbiano deciso di recuperare mobili di famiglia abbandonati magari in cantina e quasi dimenticati? «Di solito si va proprio a recuperare dei mobili che hanno anche un legame affettivo perché appartenuti ai nonni o alle generazioni precedenti. Non tutti capiscono che possono essere in possesso di un pezzo di antiquariato nascosto in casa. In Oltrepò ci sono ancora molti mobili antichi nelle case di una volta o provenienti da castelli disseminati sul territorio. Mi è capitato di essere contattato per restaurare un mobile di inizio ‘900 in una cascina della zona e abbiamo scoperto in un garage un cantonale del periodo dei Savoia che era adibito a ricovero di pezzi di ricambio del trattore. Dobbiamo sottolineare che in genere tutti i mobili d’epoca anche se verniciati o trascurati nel tempo, a meno che non siano devastati dai tarli, possono essere recuperati e portati all’antico splendore». Quindi il lavoro dell’artigiano ha ancora ragione di esistere al giorno d’oggi?
«Il lavoro dell’artigiano dovrebbe essere maggiormente valorizzato, con scuole adeguate a formare dei professionisti competenti» «Il lavoro dell’artigiano dovrebbe, secondo me, essere maggiormente valorizzato, soprattutto con scuole adeguate a formare dei professionisti competenti. Penso che i giovani potrebbero appassionarsi e cimentarsi in lavori interessanti che stanno man mano scomparendo. Ad esempio, quando mi trovo a restaurare un divano antico, ho bisogno di un tappezziere che me lo ricopra con il tessuto giusto e i tappezzieri sono artigiani ormai anziani che presto chiuderanno le loro botteghe se non interverranno nuove leve. Bisognerebbe anche incentivare con aiuti e meno burocrazia gli stages dei giovani presso le botteghe artigianali che sono un prezioso patrimonio italiano. Sicuramente consiglierei a un giovane di intraprendere il mio lavoro. Bisogna avere molta pazienza, tanta passione ma si hanno molte soddisfazioni». Lei ha scelto di rimanere a lavorare a Voghera, in provincia, pensa che questo possa essere un limite per il suo lavoro? «Io non mi posso lamentare, pur lavorando in provincia, ho clienti che vengono da fuori, anche da altre regioni. Certo bisogna lavorare molto bene per farsi apprezzare. Spesso un cliente arriva perché ha visto realizzato un mio lavoro e lo ha apprezzato, funziona un po’ con il passaparola. Ho lavorato anche per la Fondazione Bussolera eseguendo restauri per la villa della tenuta Non sono molto social con la mia attività perché ho poco tempo ed è difficile che un cliente si fidi vedendo una foto on line di un lavoro realizzato. Ho comunque una pagina facebook , L.N. Restauro Conservativo Mobili Antichi e anche una pagina Instagram. In futuro mi piacerebbe ampliare il mio laboratorio e affiancare al restauro l’attività di creazione del mobile che ora è una percentuale veramente ridotta del mio lavoro. Il restauratore deve essere anche falegname e questo permette di dare spazio maggiormente alla propria creatività costruendo mobili su misura». di Gabriella Draghi
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Il modellismo in corsia: «Il mio aiuto ai malati» La passione di una vita al servizio dei malati. Alessandro Ricci, 22 anni, studente di Farmacia, innamorato sin da bambino del modellismo, da 8 anni è anche volontario presso la Croce Rossa di Voghera e ha deciso di mettere a disposizione del comitato locale la sua passione per portare un po’ di distrazione e sorriso presso le corsie dell’ospedale cittadino. Ha iniziato un po’ per caso, montando modellini in scala 1:50 fino ad arrivare ad oggi, con radiocomandati in scala 1:14. La sua collezione vanta 130 modelli statici. Il suo sogno, però, è di estendere l’attività agli altri ospedali presenti nel Nord Italia, coinvolgendo in particolare i più piccoli. Alessandro, com’è nata la passione per il modellismo? «In realtà credo sia una passione nata per caso, fin da piccolo mentre gli altri bambini giocavano con supereroi o con le carte io ho sempre giocato con camioncini e macchinine, mi piaceva creare ambientazioni per i miei giocattoli. Poco dopo arrivò il mio primo camion in scala 1:50. Da quel momento ho iniziato a guardarmi intorno, mi balenava l’idea di far tutto nelle stesse dimensioni, nella stessa scala. Scoprii che proprio la scala 1:50 era fornita di una miriade di “mezzi” (camion, gru etc) e da li iniziò una lenta ma inesorabile passione per quei modelli dal costo elevato, ma bellissimi. Poco più di un anno fa ho iniziato ad abbracciare la scala 1:14, modelli radiocomandati anch’essi molto costosi, conosciuta grazie a un caro amico. Ho iniziato a cimentarmi nell’elaborazione di un modello, quello che userò per il mio progetto negli ospedali. A fine anno ne inizierò uno che avrà una portata di oltre 200kg, sempre nella medesima scala». Ha seguito dei corsi di formazione? «No, non ho seguito alcun corso di formazione, a parte qualche tutorial trovato per caso su internet. Per fare diorami (plastici, ovvero una ambientazione in scala ridotta che ricrea scene di vario genere, come ad esempio un presepe ndr) ho imparato guardando le foto dei pionieri del modellismo, cercando di inventarmi qualche metodo per realizzarli. Ad oggi, è in arrivo un diorama di ingenti dimensioni, per ospitare l’ultimo mio acquisto in scala 1:50, una delle gru su ruote più grandi al mondo». Quanti modellini ha collezionato finora? «Finora nella mia collezione sono presenti oltre 130 modelli statici, molti dei quali rappresentano delle rarità, alcuni in edizione limitata e altri introvabili. Al momento possiedo un modello radiocomandato ricco di accessori “handmade”».
«Mi piacerebbe espandere l’attività ad altri ospedali del Nord Italia, e portare in alto il nome del Comitato Cri di Voghera» Dove li acquista? «I modelli vengono acquistati su shop online o direttamente in un negozio storico presente qui a Voghera». Ha già partecipato a eventi di settore, e quali i prossimi in programma? «Sì, da 7 anni partecipo al Model Expo Italy di Verona, che tra l’altro si terrà tra poco, il 7 e l’8 Marzo. A partire dall’anno scorso, ho iniziato a gareggiare con il mio modello radiocomandato personale. Un altro evento a cui vorrei partecipare è la fiera di modellismo di Novegro, che si terrà tra qualche mese». Per quanto riguarda il ruolo in Croce Rossa, quali sono i progetti futuri? «In Croce Rossa sono volontario da ormai 8 anni. Inizialmente, durante le scuole superiori, avevo molto più tempo da dedicare al Comitato, purtroppo con l’inizio degli studi universitari le cose sono cambiate. Al momento sono concentrato su questo progetto a livello locale per portare in corsia i miei modellini, da usare come attrattiva per i bambini ricoverati, anche affetti da patologie gravi, come attività ludica. Se dovesse avere successo, mi piacerebbe riuscire a espandere l’attività ad altri ospedali del Nord Italia, anche più grandi, e portare in alto il nome del Comitato Cri di Voghera». Quali pensa potrebbero essere i benefici psicologici e “medici” sui piccoli pazienti e gli anziani? «Credo che un sorriso possa far bene a tutti, sia ai grandi che ai piccini. Ho potuto constatare che questo tipo di intrattenimento piace molto ai bambini. Riuscire a far divertire o anche solo a strappare un sorriso a bambini con patologie gravi, credo sia stupendo!
Alessandro Ricci e un modellino
«Collezione da record per il vogherese Alessandro Ricci: 130 modellini tra cui rarità e pezzi unici Lo stesso vale per gli anziani, magari in case di cura o ospedali… oltre ad avere la nostra compagnia, potrebbero ricevere anche una sorta di “spettacolo” divertente da parte dei nostri camion, riprodotti fedelmente alla realtà. Un piccolo aneddoto: qualche tempo fa ero in giro per Voghera con il mio modellino, per un evento in centro città. Un gruppo di anziani si è fermato incuriosito e ha iniziato a chiedere informazioni sulla sua costruzione, spiegando che uno di loro, ai tempi, ne guidava uno simile. Diciamo che è stato il mio primo piccolo traguardo».
Ha mai pensato di estendere la tua attività alle scuole primarie vogheresi, come attività ludica di intrattenimento per i bambini? «Onestamente a questa iniziativa non avevo ancora pensato ma penso sia una buona idea, anche per avvicinarmi ai bambini, facendoli appassionare a quelli che sono i giochi “sani”, rispetto all’uso smodato degli smartphone. Sono sempre disponibile a ricevere inviti da parte delle scuole primarie e da coloro che desiderassero la mia partecipazione». di Federica Croce
LETTERE AL DIRETTORE
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«Le persone interessano solo al momento delle elezioni per il restante tempo non contano» Egregio Direttore, le scrivo per far conoscere le ECCELLENZE in provincia di Pavia, ossia STRADE colabrodo, FRANE e DISAGI che vanno a beneficio degli utenti per non dire della popolazione intera. Mi sembra che nessuno e ripeto nessuno, pensi ai DISAGI che la popolazione deve subire senza alcuna possibilità di intervenire, ma quello che più mi fa arrabbiare è che non esiste un responsabile nella pubblica amministrazione ed è chiaro che poi tutto ricade sui politici in carica (responsabili anche di avere dei tecnici incapaci). La mancata manutenzione delle strade porta inevitabilmente al dissesto del manto stradale e tenendo conto che la manutenzione ordinaria costa poco... forse è per questo motivo che si evita di farla. Altra questione più grave riguarda il capitolo Frane. Mi riferisco all’ultima frana nella strada provinciale Varzi - Fabbrica Curone. Nello stesso punto 5 anni fa si è verificato un evento franoso. Strada chiusa 4 mesi e DISAGI a non finire senza contare i soldi pubblici buttati. Indipendentemente da quanto speso, nessuno si è preoccupato
di limitare il disagio (tanto questo non ha prezzo, è gratis). In tutte le altre Provincie d’Italia la priorità di fronte ad eventi calamitosi è quello di alleviare e ridurre il più possibile il disagio che l’evento causa. Se questo aspetto non è una prerogativa dei tecnici lo deve essere della parte politica, ma a qualcuno non importa, mi auguro solo che ora si facciano progetti di sistemazione meno ridicoli del precedente. La frana è avvenuta verso metà Dicembre, ora a distanza di 2 mesi non si vede alcun intervento se non quello di mettere divieti e chiudere il tratto interessato... e il DISAGIO PERMANE. Non pensano di adottare provvedimenti tampone per eliminare il disagio creando un percorso e/o una sistemazione provvisoria per permettere agli utenti di passare senza far fare un giro turistico dell’Appennino. Devo ammettere che è preferibile lasciare il DISAGIO che affrontare responsabilmente la questione in tempi brevi e con competenza. Le persone interessano solo al momento delle elezioni per il restante tempo non contano. Non aggiungo altro. G.T. - Varzi
Voghera, «Mi rivolgo a quel quasi 58% che nel 2015 non ha votato....» Egregio Direttore, per sopraggiunti limiti d’età e per oggettive difficoltà non uso i social, ma leggendo i giornali locali mi sembra di capire che la “liquidità” della politica nazionale sembra l’orizzonte anche della politica vogherese, dove da tempo i trasformisti delle poltrone si agitano per avere un posto in prima fila. Sono iniziate le manovre pre – elettorali tra alcune forze politiche locali che nascondendo segretamente le loro difficoltà, lavorano a tessere strategie ridicole e assurde eludendo prospettive e valori per il futuro di Voghera. Si sono dimenticati che al ballottaggio delle elezioni comunali del 2015 il 58% degli elettori non ha votato. Gente che non vuole partecipare alla vita democratica della città, forse perchè stufa di sentire le solite diatribe partitiche. Parole come “inclusione”, “partecipazione”, hanno da tempo lasciato il posto a progetti di difesa partitica di maggioranze
poco equilibrate che non fanno altro che confermare che bisogna cambiare. Forse i vari partiti e politici vogheresi dovrebbero cambiare e puntare a cose più semplici e concrete e cercare di risolvere la “morte” che si percepisce girando le strade della nostra, una volta, bella città!! Mi rivolgo a quel quasi 58% che non ha votato, ci siete anche voi tra coloro che soffrono dello stato, sempre peggiore, in cui versa Voghera, ci siete anche voi tra coloro che faticano a parcheggiare, ci siete anche voi ad aver diritto di vivere le piazze della nostra città senza sentirsi minacciati ed impauriti. Bene allora, alla luce del sole, trasparenti, sereni e chiari preparatevi anche voi a costruire le prossime elezioni perché tutti i cittadini possano sorridere a una città liberata dai garbugli di una politica che si avviluppa su scarabocchi tra partiti, civismi estinti sempre pronti a rigenerarsi, progetti irrealizzabili. Giuseppe Toscani - Voghera
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«Un automobilista è sempre colpevole di girare in macchina» Gentile Direttore, tutti gli automobilisti hanno fatto l’esperienza dell’acquisto di una prima automobile. Si sono superate tutte le prove, orali e pratiche, in modo eccellente; si è sborsato un bel gruzzoletto; ora si ha la patente e si va in macchina. Si entra così a far parte dell’immenso universo degli automobilisti che circolano sulle strade. Sei bello, gioioso, felice del traguardo raggiunto, ma non sai che ora dovrai vivere in un girone infernale. Diventando automobilista hai commesso il peccato originale, sarai sempre e comunque colpevole. Anche se ti comporti in modo esemplare, sei inesorabilmente colpevole. I Comuni e le Province considerano gli automobilisti, tutti, dei potenziali trasgressori. Su tutte le strade dell’Oltrepò le telecamere sono in agguato. I vigili urbani e la Polizia controllano i viaggiatori col sospetto che qualcosa di «losco» abbiano nel baule. Se sbagli, anche
di poco, superi la riga bianca, vieni punito con rigore e possono toglierti l’agognata patente. In questo caso della macchina che te ne fai? Il problema fondamentale è che chi acquista una macchina lo fa per necessità gravi di mobilità e di lavoro. Deve muoversi in fretta. Sbaglio tremendo! Il percorso, soprattutto in Oltrepò, che prima, in bicicletta, ti chiedeva un quarto d’ora, ora in macchina lo copri in due ore. Non devi mai avere fretta, devi sempre stare tranquillo e sereno, come quando cammini in montagna. Altrimenti la multa è assicurata. È impossibile sfuggire agli autovelox ed alle multe, pesanti di ogni tipo. Inoltre devi affrontare le spese enormi per l’uso della macchina, Un piccolo tamponamento ti svuota il portafoglio. Anche se hai ragione sei comunque colpevole, perché un automobilista è sempre colpevole di girare in macchina. Alberto Cazzola Voghera
«È evidente che la R.S.A di Menconico gode di una fama non positiva...» Egregio Direttore, sul suo sito istituzionale, l’A.T.S. Pavia tiene una scheda aggiornata di tutte le strutture per anziani della nostra provincia. Vi sono riportate informazioni interessanti e significative: per esempio le persone il lista di attesa. Alla “Varni-Agnetti” di Godiasco sono ben 796 (tariffe comprese tra 45 e 50 Euro/gg). Alla R.S.A. di Varzi sono ben 727 (tariffe comprese tra 44 e 50 Euro/gg). Alla casa di riposo di Menconico sono solo 4 (le tariffe sono tre: 46, 59 e 75 Euro). È evidente che la R.S.A di Menconico gode di una fama non positiva: pochi anziani vogliono farsi ospitare qui. Anche quelli del posto cercano di evitarla. Vi sono dunque problemi che devono essere analizzati per individuare soluzioni e far tornare la struttura “appetibile”. Il nostro primo cittadino ha fatto distribuire un pieghevole per le feste natalizie proclamandosi soddisfatto dei risultati raggiunti. Ci chiediamo quali? Le tariffe praticate sono più elevate se confrontate con le due vicine R.S.A. Al piano terra e nel seminterrato vi erano ampi spazi comuni per tenere incontri, riunioni, feste ecc. Questi spazi destinati alla fruibilità collettiva sono stati sacrificati per realizzare ulteriori 10 posti
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letto che ovviamente sono non utilizzati. Si doveva istituire anche la commissione comunale di controllo ma, avendone richiesto la presidenza i gruppi di minoranza come prevede il regolamento, con grande spirito collaborativo il Sindaco ha ripiegato sulla nomina di una commissione tecnica composta ovviamente dalle solite persone di sua fiducia. I cittadini che volessero visitare il sito del nostro Comune non troveranno alcuna informazione né foto della struttura: nulla sull’asset più importante del Comune. Con queste premesse riteniamo molto difficile invertire il trend negativo della nostra R.S.A. Alessandro Callegari - Menconico
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
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Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO
I CECI DELL’OLTREPò, PIù PICCOLI, MA RICCHI DI GUSTO
di Gabriella Draghi I ceci sono dei legumi salutari dalla storia molto antica; sono i semi di una pianta leguminosa che veniva coltivata fin dall’età del Bronzo e nella zona dell’Iraq. Erano un alimento già diffuso nel mondo antico tra Greci, Romani ed Egizi. Tra il 1580 e il 1100 a. C., ci sono testimonianze scritte della presenza del cece in Egitto. Venivano impiegati soprattutto per alimentare gli schiavi, perché erano fonte di energia e permettevano di lavorare anche nelle giornate più estenuanti. Anche i Greci credevano che il cece desse potenza, infatti il nome greco dei ceci era kikus, che appunto significa forza. Nella Roma Imperiale, le famiglie nobili usavano i nomi dei legumi come cognomi. I ceci furono utilizzati per dare il cognome a Cicerone, perché un suo antenato aveva una verruca a forma di cece sul naso. Oggi sono consumati in tutto il mondo, occupano il terzo posto nella produzione mondiale di legumi, dopo la soia e i fagioli. I ceci più diffusi sono di colore giallo chiaro hanno superficie liscia o grinzosa, a secondo della varietà. In Italia vengono ancora coltivate delle varietà antiche che sono di colore scuro, praticamente nero, e che si trovano soprattutto in alcune zone della Toscana, dell’Umbria e della Puglia. Da qualche tempo anche in Oltrepò Pavese è stata incrementata la coltivazione di varietà antiche che hanno dimensioni più piccole ma ricche di gusto. Sono legumi molto nutrienti, ricchi di proteine vegetali ma anche una fonte di sali minerali, in particolare di calcio, ferro, fosforo e potassio, di fibre e di vitamine (A e vitamine del gruppo B) e di acidi grassi polinsaturi (omega 3). Quindi, per le loro proprietà nutrizionali, sono un alimento importante per la nostra salute perché aiutano a ridurre i livelli del colesterolo cattivo nel sangue, diminuire la pressione arteriosa e la quantità di trigliceridi e ad avere benefici per l’intestino.
I ceci sono un alimento mediamente calorico ed energetico: 100 gr di ceci cotti apportano al nostro organismo circa 120 calorie. Sono legumi adatti ai celiaci perché non contengono glutine, e fondamentali per chi pratica un’alimentazione vegetariana o vegana perché sono fonte di proteine. Per cuocere al meglio i ceci bisogna metterli in ammollo per 12 ore in acqua, scolarli, sciacquarli sotto acqua corrente e trasferirli in una casseruola. Riempire la casseruola con acqua fredda, aggiungere una foglia d’alloro e cuocere per 1 ora e mezza. Al termine della cottura, salare e cucinare a piacere. Le nostre nonne ci hanno tramandato la ricetta della zuppa di ceci con le costine di maiale un po’ eccessivamente calorica per i nostri giorni e la nostra vita un po’ troppo sedentaria ma possiamo utilizzare questi buonissimi legumi per svariate altre preparazioni un po’ alternative e molto gustose. Questo mese vi propongo una ricetta che può essere utilizzata come piatto unico abbinata ad un’insalata di stagione.
Come si preparano: Nel bicchiere del mixer ad immersione mettiamo i ceci con qualche cucchiaio della loro acqua di cottura e frulliamo fino ad ottenere una crema liscia e densa. Trasferiamo il composto in una ciotola ed uniamo il parmigiano grattugiato e un albume e mescoliamo molto bene. Uniamo ora le erbe aromatiche tritate e un po’ di pepe macinato. Ungiamo molto bene 4 stampini di alluminio con l’olio d’oliva e li spolverizziamo con il pane grattugiato. Versiamo ora una bella cucchiaiata di composto di ceci negli stampini facendo una piccola conca dove metteremo un pezzetto di caciotta. Copriamo con altro composto di ceci e livelliamo bene. Irroriamo i nostri tortini con un filo d’olio, li disponiamo in una teglia e li inforniamo a forno caldo a 200° per 15 minuti. Nel frattempo tagliamo le fettine di pancetta a metà e le facciamo diventare delle cialde mettendole per pochi minuti sul fuoco in una padellina antiaderente, rigirandole spesso.
Siamo ora pronti per impiattare. Mettiamo sul piatto una pennellata di aceto balsamico, capovolgiamo il nostro tortino togliendolo dallo stampino e appoggiamo due cialde di pancetta sulla sommità a decorare. Buon appetito!! You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”
TORTINI DI CECI CON CUORE DI CACIOTTA E PANCETTA CROCCANTE
Ingredienti per 4 persone: 500 g di ceci lessati in acqua 30 g di parmigiano grattugiato 1 albume 30 g di caciotta locale 4 fettine di pancetta tesa 1 cucchiaino tra timo, origano e rosmarino tritati qualche cucchiaio di pane grattugiato olio extravergine d’oliva aceto balsamico pepe
IL PERSONAGGIO
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«L’Oltrepò come la Contea degli Hobbit ne “Il Signore degli Anelli”» Simone Marini, vogherese doc classe 1981, è uno dei tanti italiani che si sono lasciati il Belpaese alle spalle per realizzarsi professionalmente. Ricercatore universitario, laureato in ingegneria biomedica, si è specializzato nell’applicazione e sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nato a Voghera, ha studiato a Pavia fino al 2008, anno in cui ha scelto Hong Kong per il dottorato di ricerca. A voler utilizzare un’espressione ormai abusata, si può inserirlo senza dubbio nella categoria dei “cervelli in fuga”. Da oltre 10 anni ormai vive e lavora all’estero. Cina, Giappone, Stati Uniti. Oggi vive in Florida e torna in Oltrepò due o tre volte all’anno a trovare famiglia e amici. Non ha perso l’amore per la sua terra, né l’attitudine a esprimersi in dialetto. Marini, come mai ha scelto di andarsene? Solo una questione di opportunità professionali o c’era altro? «Diciamo che, al di là di qualunque crisi, volevo andarmene in un posto dove sentirmi straniero e fare scienza». Come mai proprio Hong Kong? «Volevo un posto che non c’entrasse assolutamente nulla con la cultura nella quale ero cresciuto, per cui Hong Kong era la scelta ideale: avevo l’Asia senza dover imparare una lingua difficile, perché si parla inglese. Da allora sono stato, oltre che in Cina, in Giappone, indietro in Italia, e alla fine negli USA». Oggi dov’è di casa? «Lavoro all’Università della Florida». Di che cosa si occupa esattamente? «Sono un ricercatore universitario. Creo delle intelligenze artificiali, che altro non sono se non dei programmi per computer, che analizzano dati di biologia e medicina e, per prove ed errori, imparano a interpretarli e ad elaborare delle previsioni». Di che tipo? «Ad esempio sul fatto che un determinato paziente affetto da una certa malattia sviluppi o meno certe complicazioni». è un lavoro che potrebbe fare anche in Italia o qui non ci sono le opportunità? «Le competenze in materia di intelligenza artificiale aprono porte in tutto il mondo. In Italia potrei fare questo lavoro, ma sarebbe pagato meno. Il problema principale è che a me piace molto fare ricerca senza essere legato a un’azienda, il che significa che devo farla in ambito universitario. Per forza di cose ho dovuto scegliere delle realtà che investono molto di più di quanto non faccia l’Italia. Dove tra l’altro sono tornato nel biennio 2013-2015 lavorando a Pavia, con i colleghi con cui avevo fatto gli studi». Come è stato? «Si fa un’ottima ricerca anche qui, ma i
«Voghera è sempre lei: grigia, umida, incazzata» mezzi sono molto più limitati. Questioni di budget». Torna mai a Voghera? «Due o tre volte l’anno». Come l’ha trovata l’ultima volta? «Come al solito: grigia, umida e incazzata. Voghera è quel posto dove tua nonna, se ti vuole bene e non vuole che ti ammali, quando esci perché fa freddo non ti dice “Amore, non dimenticare la sciarpa”, ma ti dice: “Ma vedat no ca fa fred? Quàtat, semo!”. Insomma, Voghera è sempre lei. Mi spiace solo che abbia chiuso il circolo “lo Stanzone”, alla Soms, mio grande punto di riferimento sin dall’adolescenza». Che cosa rappresenta l’Oltrepò per lei? «Un posto del cuore. Guidare di notte d’estate nelle strade comunali fra i suoi campi non ha nessun equivalente al mondo. è però anche un posto piccolo, chiuso su sé stesso». Tocca un tasto dolente. Qui se ne discute da parecchio: come mai questo territorio non vuole saperne di decollare? Abbiamo bei paesaggi, buon cibo, vino, eppure fuori non lo conosce nessuno… «Non ho le informazioni per rispondere a questa domanda, da ingegnere dico che bisognerebbe fare uno studio su quali sono i problemi del territorio e ragionare sui dati. Di pancia, credo che l’Oltrepò subisca gli effetti di “vùla bas e s’civa i sas”: se da un lato si sta coi piedi per terra, dall’altro lo si sta anche troppo, senza osare. Ci porti gli amici cinesi a bere e mangiare e si chiedono come mai questo posto non sia più famoso: semplice, non vuole. Non vuole imparare l’inglese, non vuole il turista da fuori, non vuole adattarsi al mondo che cambia. Sto molto semplificando, ma spero di aver reso l’idea. Però ripeto, vorrei vedere un’analisi con dei numeri su cui ragionare, se no sono chiacchiere da bar». In primavera ci saranno le elezioni. Segue la politica locale? «Non più, da diverso tempo ormai». Lei ha girato parecchio. Ha trovato territori con caratteristiche simili a quelle dell’Oltrepò in giro per il mondo?
Simone Marini, ingegnere biomedico in Florida
Ricercatore universitario, vive e lavora in America: «Oltrepò terra del cuore, ma chiusa in se stessa» «Più che altro ho girato l’Asia. Sono sicuro però che in Europa o alcune parti rurali degli Stati Uniti ci siano posti simili. Due cittadine universitarie in cui ho vissuto qui in America (Ann Arbor, Michigan e Gainesville, Florida) hanno molti punti contatto con Pavia. Ma fuori non c’è l’Oltrepò». è davvero così unico? Non le è mai capitato di imbattersi in un posto che le ricordasse, per tutta una serie di caratteristiche, “casa”? «Di luoghi “reali” non me ne vengono in mente. Le similitudini le ho riscontrate semmai con una terra immaginaria, quello sì: la Contea degli hobbit ne “Il Signore degli Anelli”». Voliamo alti. Come mai? «In primis per motivi geografici: ci sono le colline, le pianure fertilissime, paesaggi mozzafiato. Poi perché sono entrambi luoghi che “si fanno i fatti loro”, isolati dal resto del mondo, in cui il tempo sembra essersi fermato e non sono interessati ad adeguarsi a quel che gli cambia intorno. è un po’ il loro bello e anche il loro
limite. C’è anche la mentalità: ha presente la scena del film in cui Frodo e gli altri eroi tornano alla Contea dopo aver realizzato un’impresa epica? Ecco, in un campo c’è un vecchio che lavora la terra e mentre passano li guarda di sottecchi, con un po’ di disapprovazione come a dire: “vàrda li lur, cui chi han vursù viagià”. Si fa i suoi, non gli interessa quel che è successo, non lo capisce, lavora il suo campo e non gli importa d’altro. Ecco, in quel vecchio io rivedo l’Oltrepò». Crede che tornerà in Italia per vivere o solo da turista? «Credo solo da turista, anche se c’è sempre un piano B per tornare in Europa se le cose dovessero crollare qui negli USA. In Europa però, non in Italia. Purtroppo vedo solo un futuro di declino economico da noi. Diverso sarebbe se le cose dovessero crollare di colpo: per capirci, se parte una guerra o una rivoluzione torno al volo. Ma difficilmente succederà, più probabile che sia un lento declino con sottofondo di mugugni». di Christian Draghi
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confagricoltura
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«L’Oltrepò è in controtendenza rispetto ad altri territori per quanto riguarda i prezzi delle uve» Confagricoltura spegne quest’anno ben cento candeline. Un traguardo importante, le cui celebrazioni sono iniziate, a livello nazionale, con una manifestazione a Roma la scorsa settimana. Ma le radici di questa confederazione sono anche più antiche sui territori: l’organismo nazionale, infatti, unisce gruppi locali che, in molti casi, hanno già compiuto da tempo il traguardo del centenario. Anche a Pavia, come nel resto d’Italia, Confagricoltura rappresenta la principale organizzazione del settore agricolo. Un settore che vive certo momenti difficili, ma è composto da una galassia di aziende che si sono dimostrate capaci di rapportarsi con il mondo che cambia. E di tracciare la via del futuro. Una delle peculiarità di Confagricoltura, rispetto ad altre associazioni, è quella di non riconoscersi in un sistema verticistico: le realtà locali aderiscono a quella nazionale, dunque è dalla base – direttamente dagli imprenditori – che avvengono gli input verso le politiche generali della compagine. In un mondo globalizzato questo sistema consente sì di proiettarsi unitariamente verso confini lontani, ma nel rispetto totale delle esigenze delle periferie. Abbiamo parlato di passato, di presente e di futuro di Confagricoltura con il direttore della sede provinciale, Sergio Bucci, e con il vicedirettore, Bruno Marioli. A livello nazionale quest’anno si celebra il centesimo anno di attività per Confagricoltura. Un gran bel traguardo. Come viene celebrato dalla confederazione? «Compie i cento anni la confederazione nazionale, che è costituita dalle singole sedi provinciali. A livello nazionale sono state prese una serie di iniziative, avviate con il forum tenutosi a Roma, a Villa Blanc, presso la sede delle LUISS Business School. Poi ci saranno altre iniziative, già calendarizzate, fra cui ad esempio il Vinitaly e l’inaugurazione della nuova sede della confederazione a livello comunitario, a Strasburgo. Questa serie di eventi troverà il suo clou a giugno, in un importante incontro con il Capo dello Stato. Però sono tutte iniziative che riguardano il livello nazionale, proprio perché è il livello nazionale che compie cento anni. A livello locale c’è stato l’impegno, da parte di tutti quanti, a riportare il logo della celebrazione su tutte le nostre comunicazioni. Teniamo conto che nel 2020 ci sarà, a livello nazionale, anche il rinnovo delle cariche.» Ci saranno celebrazioni anche sul nostro territorio? «Celebreremo il traguardo con un ciclo conferenze, quelle che in passato organizzavamo presso le Rotonde di Garlasco. Avremo la presenza del presidente nazio-
nale, e saranno l’occasione per ribadire questo traguardo.» Che importanza riveste oggi Confagricoltura in Oltrepò Pavese? Quali sono i numeri che caratterizzano la vostra realtà? «Abbiamo circa 2.000 imprese associate, e rappresentiamo oltre il 44% della superficie agricola utilizzata in provincia di Pavia. C’è da dire che Confagricoltura, di fatto, difende gli interessi diffusi, generali e qualificati delle imprese agricole nella loro realtà economica. Non ci occupiamo nella nostra azione di rappresentanza sindacale di chi produce per il piccolo consumo personale, per esempio.» In cosa consiste la vostra preminenza rappresentativa nel settore? «In assoluto siamo i primi rappresentanti del settore in termini di ore lavorate. Siamo l’associazione che rappresenta la parte datoriale in modo più forte, e questo lo si vede soprattutto dal dato delle ore di lavoro. Chiaramente questo dato è cambiato nel corso del tempo. Nel 1950 si parlava di determinati numeri; con la meccanizzazione questi si sono ridotti, ma come rappresentanza rimaniamo i primi sia a livello nazionale che a livello provinciale. Quindi non in base al numero delle aziende, ma a quello delle ore lavorate. I dati del 2018 dicono che, come Confagricoltura, abbiamo registrato circa 255mila giornate di lavoro in provincia di Pavia, quasi il doppio delle altre associazioni.» Scendiamo nel dettaglio: il mondo vitivinicolo. «La maggior parte delle ore lavorate arrivavano nelle fasi di produzione e raccolta del prodotto. Oggi come oggi la raccolta, soprattutto per quanto riguarda i vegetali di tipo erbaceo, avviene quasi esclusivamente in modo meccanizzato. Anche la raccolta del pomodoro, che richiedeva e richiede tanto lavoro, oggi ha a disposizione macchine che valutano addirittura il colore del prodotto, o il grado zuccherino. Queste attrezzature sicuramente hanno sostituito gran parte del lavoro manuale. Ma per quanto riguarda il raccolto della frutta e la vendemmia, la manodopera incide ancora molto. Questo perché, nonostante ci sia stata negli ultimi anni una grande evoluzione tecnologica, la raccolta a mano permette un certo tipo di dosaggio, un certo tipo di scelta dell’uva che si va a raccogliere, e pensiamo in particolare all’uva in cassetta per quanto riguarda certi vini pregiati, a partire dal Metodo Classico dell’Oltrepò Pavese.» Quali sono in questo momento le principali criticità da affrontare per gli agricoltori del nostro territorio? «L’andamento dei prezzi. La provincia di Pavia si contraddistingue per essere la pri-
A sinistra Sergio Bucci, direttore provinciale di Confagricoltura con Bruno Marioli, vicedirettore
ma provincia italiana nel settore del riso, e purtroppo oggi il riso sta scontando dei prezzi assolutamente non remunerativi, a seguito anche delle importazioni dai paesi dell’est asiatico. Che, nonostante i blocchi e le clausole di salvaguardia, continua ad arrivare in quantità notevoli sul mercato italiano. La conseguenza è che, per il rapporto fra domanda e offerta, i prezzi riconosciuti ai produttori locali sono ridotti. Nonostante in provincia di Pavia ci siano tutte le principali industrie risiere d’Italia. Poi un altro discorso che ci coinvolge particolarmente riguarda i prezzi delle uve in Oltrepò.» Ne parliamo spesso, ahinoi, anche su queste pagine. «L’Oltrepò è in controtendenza rispetto ad altri territori per quanto riguarda i prezzi delle uve, che in Italia, mediamente, sono abbastanza remunerativi. Sicuramente oggi scontiamo dei prezzi che non sono assolutamente vantaggiosi. Oggi la produzione lorda vendibile mediamente si aggira sui 5/6mila euro a ettaro, mentre in altre zone del nord Italia superiamo tranquillamente i 10mila euro/ha. Qui da noi la media dei prezzi delle uve si aggira intorno ai 50/60 euro al quintale. Date le produzioni medie delle aziende, si capisce perché chi, in particolare, conferisce le uve in cantine sociali cerchi di produrre sempre di più. Per cercare di restare a galla. Ma il problema non è soltanto la presenza di prezzi bassi, bensì come questi si accompagnino a costi alti. Perché se i prezzi fossero bassi, ma anche i costi rispecchiassero il mercato, la bilancia sarebbe equilibrata.
Ma qui abbiamo prezzi bassi e costi alti.» Quali le ragioni recondite di questo sbilanciamento? «Mentre si possono comprendere con relativa facilità le dinamiche interne al mondo del riso, nel vino è più difficile capire le ragioni. Anche se leggendo le ultime cronache si è avuta la conferma di molti sospetti.» Quanto conta il mondo del vino nel contesto territoriale pavese e, in particolare, all’interno di Confagricoltura? «In provincia di Pavia, su un totale di 298/299mila ettari complessivi, la superficie utilizzata in agricoltura si aggira sui 174mila. Di questi, noi incidiamo per 80/90mila ettari con le nostre aziende. Il riso occupa, in totale, 80/88mila ettari di territorio provinciale. Naturalmente, nella bilancia economica, è quello che fa la parte del leone. Anche perché sul territorio è presente tutta la filiera, con le industrie di trasformazione. A seguire ci sono gli altri cereali, che insieme superano i 20mila ettari. Poi il mais da granella, 14mila ettari circa. Ma dal punto di vista economico il settore vitivinicolo rappresenta una realtà di fondamentale importanza, capace di condizionare un’intera area geografica. La provincia di Pavia è la prima superficie vitata in Regione Lombardia, con 13.200 ettari circa, sui circa 26mila a livello regionale. Parliamo di oltre la metà dei vigneti lombardi. L’Oltrepò, inoltre, presenta la più vasta superficie italiana coltivata a di Pinot nero, la seconda a livello europeo e la terza a livello mondiale.
CONFAGRICOLTURA Nonostante questi dati importanti, il cruccio è che non si riesce a valorizzare questa filiera.» Per quanto riguarda le altre piccole produzioni agricole, quali possiamo citare? «Ci sono le orticole, soprattutto nell’Oltrepò vogherese. Qui siamo attorno ai 400/500 ettari tra patate e cipolle. Tra l’altro a Voghera è presente la Borsa della cipolla dorata. Tanto per dare un termine di paragone, la cipolla di Breme può contare su 3 ettari totali: è uno dei più grandi esempi di marketing che ci siano in Italia, perché pur con una produzione esigua la cipolla di Breme è conosciutissima in tutta la penisola. Abbiamo poi 300/400 ettari di pomodoro, coltivazione che sta diminuendo fortemente, sia per i costi, sia per le vicende di mercato che hanno creato non pochi problemi ai nostri soci. Poi i frutteti, intorno ai 150 ettari, soprattutto nelle valli Staffora e Coppa. Ma non dimentichiamoci delle colture foraggere, perché sul territorio sono ancora presenti alcuni allevamenti, l’industria casearia, i suini e un po’ di avicolo. Non sono dimensioni pari a quelle di altre provincie, però ci sono. L’erba medica è una delle foraggere più pregiate; in questo caso c’è anche il completamento della filiera in Oltrepò, con due stabilimenti che disidratano l’erba e la trasformano in “pillole” simili al pellet, che vengono vendute prevalentemente nei paesi arabi, essendo pregiatissime per i cavalli.» Torniamo al vino. Perché si è giunti alle difficoltà cui abbiamo fatto cenno? «Probabilmente bisogna risalire alle scelte effettuate negli anni passati. Anni nei quali i viticoltori dell’Oltrepò hanno privilegiato – e sono scelte imprenditoriali – di massificare la quantità delle loro produzioni più che la qualità, perché evidentemente in questo modo si poteva contare su più immediati ritorni in termini economici. Una decisione piuttosto diffusa, anche se ci sono state alcune aziende di avanguardia che hanno fatto diversamente. In generale sono state effettuate delle scelte che oggi si rivelano penalizzanti sul settore vitivinicolo dell’Oltrepò, un territorio che non viene considerato dal consumatore finale nella posizione che merita. Poi ci sono delle persone che ci hanno creduto, che hanno investito: perché credere nei vini di qualità significa non solo puntare sui vigneti (mantenendo per esempio delle rese diverse dagli altri), ma anche sulla cantina; attrezzandosi con macchinari nuovi e all’avanguardia, organizzando lo stoccaggio, la distribuzione... ci sono diverse nostre aziende che hanno voluto fare queste scelte. Il problema è che quando poi accadono vicende spiacevoli, come quelle recenti, finiscono per fare male a tutti.» Deprezzamento dei terreni: esiste una ricetta per risolvere problema? «Vedendo come ci sia nell’aria la voglia di impegnarsi, e come si stia finalmente pensando di fare un po’ di ordine, esiste proprio anche questa aspettativa. Che ci possa essere un miglioramento in tutti i sensi. Nel recente passato questa predisposizione non c’è stata. Anzi, c’è stato un calo importante del valore dei terreni. È chiaro che una produzione che non ottiene dai mercati quello che si merita, determina poi
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valori ingiusti sia per i vigneti, sia per le aziende sia il territorio. Ma le cose stanno cambiando.» Quindi la vostra è una posizione ottimista. «Diciamo che noi stiamo facendo – o meglio: lo stanno facendo le nostre imprese, più che noi direttamente – il possibile per cambiare un certo trend e raggiungere il target che compete alle aziende del territorio in base alla qualità che producono. Siamo a fianco delle nostre aziende e speriamo che diventino trainanti per tutte le altre. Del resto sono tante le realtà che producono vini di un certo livello, riuscendo anche a proporre prezzi adeguati alla qualità del vino.» Aziende che, però, sono state anche disposte ad investire. A rischiare. Penso, per citare l’esempio più recente – anche se non è la sola – alla realizzazione della nuova cantina Conte di Vistarino. «Abbiamo raccolto dai nostri associati l’idea che pur di fronte ad una situazione così grave si può credere ancora nel territorio e puntare sulla qualità, anche essendo disponibili a fare investimenti. Infatti alcuni li stanno facendo. Noi raccogliamo le istanze di questi agricoltori e ci mettiamo al loro fianco supportandoli, e sperando possano essere di traino anche per gli altri. Anche perché siamo convinti che non ci siano alternative, che non esista una seconda strada. Per le nostre colline un’alternativa alla produzione del vino non c’è. In particolare la viticoltura incide fortemente sul paesaggio: i vigneti sono un elemento essenziale non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello ambientale. C’è poi l’aspetto idrogeologico: dove ci sono vigneti, in collina, c’è un mantenimento del territorio; magari ci sono investimenti in drenaggi che permettono, in qualche misura, di mitigare il rischio idrogeologico.» A proposito del paesaggio e anche delle strategie di rilancio territoriale... qualche mese fa è stato ripreso, questa volta da Stradella, il tema della candidatura dell’Oltrepò a patrimonio Unesco. A rimettere il tema sul tavolo è stata l’amministrazione comunale di Stradella, con un “libro bianco” prodotto dal professor Ettore Cantù. Cosa ne pensate? «C’era stata una conferenza presso l’Università di Pavia, che era stata promossa dalla Società Agraria di Lombardia, il cui presidente allora era proprio Ettore Cantù, intorno agli anni 2009/2010. Da lì era nata questa idea, che anche noi a suo tempo avevamo spinto. Ora si parla di una candidatura che mette al centro la tradizione del vino. Quindi non solo le caratteristiche ambientali (la bellezza delle colline), ma anche la cultura che abbiamo nella produzione del vino. La tradizione. Noi abbiamo cantine che sono fra le più antiche d’Italia. Per esempio il primo Metodo Classico nel nostro paese è stato realizzato in Oltrepò. Il “Priolino” è uno dei primi esempi in Italia di etichettatura della bottiglia. I vini Frecciarossa e Ballabio si trovavano sulle tavole della Casa Bianca. Non solo: i nostri emigranti, quando arrivavano in America, si trovavano di fronte la Statua della Libertà, e sotto di essa la pubblicità della SVIC
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Deprezzamento terreni agricoli, «È chiaro che una produzione che non ottiene dai mercati quello che si merita, determina poi valori ingiusti sia per i vigneti, sia per le aziende sia per il territorio». di Casteggio.» Le ricadute positive potrebbero riguardare anche i prezzi dei terreni? «Sicuramente sì, abbiamo visto anche altrove recentemente le ricadute positive. Pensiamo a Matera, ma anche alle Langhe. Chiaramente non basta solo questo. Bisogna creare anche infrastrutture, perché fino a quando ci sarà un certo tipo di viabilità sarà difficile poter puntare su grandi flussi di visitatori sul territorio. Ma bisogna pensare anche ad ospitalità e ricezione. In tutta la provincia di Pavia non ci sono grossi alberghi, capaci di ospitare gruppi importanti... noi organizziamo incoming internazionali a Riccagioia tutti gli anni, con persone che provengono da tutto il mondo. Normalmente si tratta di circa 25/30 tra buyers e accompagnatori provenienti da tutto il mondo, e diventa anche difficile trovare luoghi adatti ad ospitarli. Occorre ricercare posti fuori dalla zona vitivinicola, come ad esempio il Castello di San Gaudenzio a Cervesina.» In cosa dovrebbe consistere una eventuale candidatura? «Esistono alcuni passaggi da considerare. Prima di tutto l’area deve avere un pregio paesaggistico, e ci deve essere una storia: noi su quasi ogni collina abbiamo un castello. Poi ci deve essere un prodotto agricolo che caratterizza tutta l’area: anche questo, qui, c’è. Con tutta una serie di indotti: si produce uva, si vinifica e si vende il vino. Naturalmente si può migliorare ancora sotto il profilo qualitativo. E occorrono infrastrutture: abbiamo tanti agriturismi che non superano una capacità di tre o quattro camere, per la maggior parte. Tra l’altro occorre una grande professionalità da parte di tutti gli operatori: ci sono per le aziende, con la nuova legge sull’enoturismo, grandi possibilità di miglioramento e di sviluppare la branca della ricezione. E poi ci vorrebbe un minimo di compattezza territoriale, una delle cose mancate all’Oltrepò nel tempo. Tutti questi elementi sono necessari per arrivare a definire il passaggio della candidatura. Certo, avremmo bisogno anche di qualcuno che racconti l’Oltrepò in certi termini, come faceva Gianni Brera. La storia ce l’abbiamo: dell’Oltrepò vitivinicolo parlavano già Strabone e Plinio il Vecchio. Stiamo parlando di duemila anni fa.» Il mondo agricolo, e quello locale non fa eccezione, è oggi caratterizzato da timori che involgono la sua presenza internazionale. Le minacce di Trump, la Brexit... qual è la vostra posizione sul
posizionamento internazionale delle nostre aziende? «Sicuramente c’è una preoccupazione generale per quanto riguarda la Brexit e le esportazioni che avevamo in Gran Bretagna. In particolare, se guardiamo l’attività dell’agroalimentare italiano in quel paese, questo è rappresentato per la stragrande parte dal vino. Di conseguenza la preoccupazione riguarda anche i vitivinicoltori dell’Oltrepò, in particolare quelli che erano riusciti a posizionare i loro prodotti oltremanica. Ma non vorremmo fasciarci la testa prima di essercela rotta. Certo esiste una grossa preoccupazione, ma vediamo quello che può succedere. Come ha ribadito il nostro presidente nazionale, Massimiliano Giansanti, “una proroga del periodo transitorio è assolutamente necessaria per scongiurare il ripristino dei controlli doganali, i dazi e la non tutela sul mercato britannico delle indicazioni geografiche protette”: se così non fosse, si creerebbe un grave danno per tutto l’agroalimentare italiano e anche quello per quello della provincia di Pavia. Con la Brexit un altro problema grande per l’Italia e per la provincia di Pavia è che viene ridotto il budget a disposizione dell’Unione, e quindi della Politica agricola comunitaria che dovrebbe entrare in vigore dopo il 2021. Questo perché naturalmente verrà a mancare l’apporto finanziario del Regno Unito. Non possiamo dimenticare che, attualmente, le nostre aziende fanno il bilancio anche con contando sulla PAC.» Direttore, questa estate il suo mandato è in scadenza. Cosa accadrà a Confagricoltura Pavia? È già stata tracciata una linea di continuità? (Ricordiamo che lei arrivò a Pavia nel momento in cui Luciano Nieto, che era stato direttore per moltissimi anni, era partito per Roma, dove ha rivestito l’importante ruolo di capo della segreteria tecnica al Ministero dell’Agricoltura con Gianmarco Centinaio). «Devo precisare che si tratta di un discorso ampiamente programmato, che quindi non vedrà traumi. Sicuramente ci sarà una prosecuzione, anche perché abbiamo rinnovato a ottobre dell’anno scorso tutti gli organi direttivi, quindi possiamo contare sulla stabilità. Questa è la cosa importante per il socio. Una continuità perfetta. Il consiglio è composto da venti persone complessivamente, e si è creato un ottimo clima di collaborazione.» di Pier Luigi Feltri
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RETORBIDO
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Raccolta differenziata, «Il nostro obiettivo è arrivare ad una tariffazione puntuale» A Retorbido l’amministrazione guidata da Isabella Cebrelli prosegue il proprio mandato amministrativo con una particolare attenzione alle esigenze delle famiglie. Il sindaco rimarca diversi risultati raggiunti: non ultimo, quello relativo alla raccolta differenziata. Sindaco Cebrelli, dopo circa un anno e mezzo dall’introduzione del nuovo sistema di raccolta, è tempo di bilanci. Perché avete introdotto questo sistema di raccolta con cassonetti “a calotta” e come sta andando? Si sono verificati problemi particolari? «Tanto per iniziare, devo dire che ci sono state varie riunioni per definire questo sistema. Sia con ASM, che con i cittadini, dopo che abbiamo scelto questo tipo di raccolta differenziata. Con ASM non ci sono stati problemi: abbiamo esposto le nostre esigenze, come volevamo impostare la raccolta, e loro ci hanno fornito un piano che abbiamo ritenuto soddisfacente. Mentre per quanto riguarda la cittadinanza, effettivamente, qualcuno era più propenso a fare la raccolta “porta a porta”. L’amministrazione, tuttavia, ha deciso per questo tipo di raccolta, con cassonetti “a calotta”, sia per la raccolta dell’umido che dell’indifferenziata. I risultati? «Dopo un primo momento, un po’ di assestamento, al momento mi pare che le cose vadano bene e abbiamo una raccolta che si attesta intorno al 61/65%. Tutto è migliorabile, però mi sento di dire che mi sento soddisfatta di questo primo risultato. Ma il nostro obiettivo è arrivare ad una tariffazione puntuale. Un sistema che permetterà ai cittadini di pagare in base ai rifiuti conferiti. Chi si comporterà correttamente vedrà ridotta la sua tariffa. Abbiamo fatto già alcuni incontri con ASM per arrivare ad adottare la migliore soluzione possibile: cercheremo di far partire questo servizio dal 2021.» Non si rischia con questo sistema di trovarsi cumuli di sacchetti accanto ai cassonetti, come succede in altri comuni? «Si rischia, perché si rischia in tutto. Mi permetto di dire che anche con il “porta a porta” si rischia. Ci possono essere degli aspetti negativi: alcuni cittadini, magari, invece di aspettare il giorno in cui ASM viene a raccogliere i rifiuti potrebbero pensare di portarli nei cassonetti dei paesi vicini.» Per evitare abbandoni incontrollati è fondamentale un controllo del territorio. Voi avete puntato forte, già da tempo, sulla videosorveglianza. «Abbiamo un buon controllo del territorio, perché negli scorsi anni ci siamo dotati di alcune telecamere di videosorveglianza. In più, stiamo posizionando delle
Isabella Cebrelli
fototrappole nelle varie isole ecologiche e abbiamo già scoperto alcune persone che ha avevano abbandonato sacchi di rifiuti per terra invece che all’interno dei cassonetti.» Un sistema, quello delle fototrappole, che potreste utilizzare anche per verificare casi di abbandono esterni al centro abitato. «Sì, infatti abbiamo iniziato a verificare i punti più critici.» La tariffazione puntuale potrà incitare cittadini a migliorare la qualità del conferimento? «Io spero che con la tariffazione puntuale i cittadini arrivino a capire che se conferiranno bene pagheranno di meno. In questo modo penso che la nostra percentuale possa aumentare ancora. È il nostro scopo, quello che noi vorremmo ottenere.» Penso che tuttavia in questo settore, particolarmente, occorrerebbe un migliore dialogo fra gli enti territoriali. La condivisione di strategie comuni. «Questo non solo per i rifiuti, ma per tutto. Bisognerebbe ci fosse un comune che fa da capofila – potrebbe essere Voghera – e più colloqui fra i vari sindaci. Si potrebbe arrivare più spesso a soluzioni comuni per vari problemi amministrativi... poi capisco che ogni comune ha le proprie
«Abbiamo un buon controllo del territorio, perché negli scorsi anni ci siamo dotati di alcune telecamere di videosorveglianza» esigenze e per varie ragioni, tante volte, ognuno può essere portato a prendere decisioni solitarie.» A proposito di sistema territoriale: durante lo scorso autunno in molti comuni del circondario si sono verificati gravi disagi in seguito ai nubifragi. Retorbido, pur con qualche difficoltà, è riuscito a uscire discretamente da questo periodo difficile. Diciamo che, rispetto ai paesi limitrofi (Rivanazzano su tutti) i problemi verificatisi sono stati tutto sommato circoscritti. Siete stati meno sfortunati degli altri, o c’è stata dietro
una certa programmazione? «Da noi abbiamo in particolare un punto critico attualmente. Prima anche in via Gorini c’erano dei grossissimi problemi, poi abbiamo realizzato il tratto di fognatura e quindi sono stati risolti. Adesso il nostro cruccio, il luogo critico quando succedono questi nubifragi, è il sottopasso in via Umberto I. Ci sono problemi perché i privati non hanno rifatto i fossi. Noi abbiamo cercato di allargare il fosso lungo la strada, e stiamo facendo uno studio per capire dove intervenire perché non si presenti più questa situazione.»
retorbido Come vi siete mossi per risolvere la situazione? «Come prima cosa abbiamo effettuato delle segnalazioni ai tecnici regionali relativamente a quello che è successo il 21 ottobre. Dalla regione hanno validato l’entità dei danni che noi avevamo indicato sulle schede RASDA. Siamo per cui ottimisti: speriamo che la regione ci dia qualche contributo. Per la verità, un intervento la regione l’ha già fatto: per prevenire le numerose frane lungo le sponde del torrente Rile. Anche in questo caso, il primo passo è stata la segnalazione che noi abbiamo fatto alla regione, che poi è intervenuta per riqualificare e mettere in sicurezza il tratto lungo via Rocca Susella, dove si sono verificate queste piccole frane.» Qualche mese fa si è svolta la campagna elettorale che si è conclusa con la sua rielezione. Una campagna elettorale che definirei molto accesa. Dopo, la macchina amministrativa si è rimessa in moto molto velocemente. Quali sono stati i vostri impegni in questi mesi? «Siamo ripartiti dalla scuola. Avevamo, già prima delle elezioni, effettuato una programmazione su questo tema, quindi ci è venuto più facile ripartire da lì. Ma la macchina burocratica non si è mai fermata nella nostra amministrazione. Da questo punto di vista è stato un vantaggio essere rieletti, perché abbiamo proseguito sulla strada tracciata, di fatto senza mia fermarci. Non voglio dire che noi siamo più bravi degli altri, ma maga-
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ri un sindaco nuovo sarebbe stato più in difficoltà per il momento del passaggio di consegne.» La scuola: parliamo allora, più in dettaglio, della vostra visione. «Da quest’anno è entrato in funzione il post-scuola sportivo, dal lunedì al giovedì dalle 16 alle 17.30, con corsi di ginnastica artistica, tennis, pallavolo e calcio propedeutico. Un servizio che funziona molto bene. Siamo partiti con molti bambini, via via si è sparsa la voce sempre di più e ci sono tanti iscritti alle varie attività sportive. Da quest’anno, diciamo dal prossimo settembre, partirà anche il post scuola classico, sia per la scuola d’infanzia che per la primaria, proprio per andare incontro a tutte le famiglie che hanno bisogno di posticipare il rientro da scuola dei bambini.» Se un paese è dotato di una scuola che funziona, e anche di un servizio per il post-scuola, esso diventa appetibile per giovani famiglie che potrebbero scegliere di insediarsi qui. «La scelta del post scuola nasce anche per questo. Ci sono tante famiglie giovani venute ad abitare a Retorbido che ci hanno manifestato questo problema. Penso sia giusto che quando c’è un problema il comune se ne faccia carico.» Andiamo avanti. Mi parli degli investimenti fatti sulle attrezzature scolastiche. «Nella mensa è stato installato un depuratore per migliorare l’acqua e permettere l’uso della stessa ai bambini. Inoltre sono
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Post scuola: una scelta destinata alle tante famiglie di giovani che si sono trasferite a Retorbido
state consegnate a tutti i bambini delle borracce ecologiche in collaborazione con la cooperativa Stella 2 e con gli Orti sociali di Voghera, che ci hanno fornito il materiale. Abbiamo inoltre dotato di una nuova lavagna multimediale la scuola; col prossimo bilancio ne acquisteremo un’altra, così tutte le classi avranno a disposizione questo importante strumento.» Mobilità sostenibile: parliamo della pista ciclopedonale «Abbiamo predisposto un intervento a favore della mobilità sostenibile, realizzando un nuovo tratto di pista ciclabile per collegare il tracciato già esistente con via Garlazzolo e quindi con il paese. Verrà presto installata anche una colonnina per le biciclette elettriche, stiamo valutando la posizione ideale. Nel piazzale dell’ex cantina sociale sono state posizionate anche due colonnine per la ricarica delle auto elettriche: saranno attivate a breve.»
Altri interventi? «Attraverso un intervento del Gal verrà posizionata una nuova cartellonistica luminosa all’entrata del paese. Dovrebbe arrivare altri contributi statali per la sistemazione del nostro edificio comunale e in particolare del tetto. L’idea è quella di installare dei pannelli solari. Inoltre dovremmo riuscire a eliminare la barriera architettonica situata all’ingresso dell’ufficio postale... Dopo un iter burocratico molto lungo, finalmente è in fase di conclusione l’impianto di illuminazione pubblica che verrà affidato ad un nuovo gestore. Verrà realizzata una riqualificazione dell’impianto secondo i criteri dell’efficientamento energetico, in particolare verranno sostituite le vecchie lampadine con la tecnologia led.» di Pier Luigi Feltri
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PONTE NIZZA
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Consorzio Frutta: «Bisogna creare una filiera che valorizzi le produzioni locali» Realizzata nel 1984 ad opera della Comunità montana, la Centrale della frutta di Ponte Nizza è un magazzino di stoccaggio al servizio dei soci del consorzio ortofrutticolo della Valle Staffora. Mele, pere, pesche, ciliegie, albicocche: le risorse più pregiate messe a disposizione dagli alberi del territorio sono conservate in stato di refrigerazione in questo grande magazzino dietro la vecchia stazione della ex ferrovia Voghera-Varzi. Una struttura che è messa alla prova dal tempo e richiede oggi importanti opere di ristrutturazione. Per il presidente del consorzio Fabrizio Lanzarotti si tratta di un’occasione da non lasciarsi sfuggire per restare al passo con i tempi e mantenersi attivi – e competitivi - sul mercato. «I nostri prodotti sono da sempre di altissima qualità, vengono ad acquistarli clienti dal milanese, da Genova e Torino, ma dobbiamo essere in grado di ampliare la nostra offerta muovendoci nella direzione di creare una filiera che ci consenta di lavorare direttamente i nostri prodotti». Non più soltanto stoccaggio quindi, ma anche produzione in loco di derivati come ad esempio succhi di frutta biologici e marmellate. Prodotti che potrebbero acquisire ancora maggiore visibilità considerando che a breve sarà completato il percorso cicloturistico della greenway. Lanzarotti, il consorzio gestisce la Centrale che però è di proprietà della Comunità montana. Avete già parlato con loro degli interventi necessari? «Sì, ci sono stati degli incontri e hanno avuto buon esito. Il dialogo con il nuovo presidente è stato positivo: serve una ristrutturazione completa e un ammodernamento dei macchinari perché sono ormai vetusti e la loro manutenzione, che è a carico di noi soci, sta diventando troppo costosa perché continua. Ci è stata data disponibilità da parte dell’ente e i lavori dovrebbero essere messi a progetto e realizzati entro il 2021». Qual è la capienza della Centrale ad oggi? «Ci sono otto celle frigorifere che possono contenere in totale tra gli 8 e i 10mila quintali, poi in base alle diverse annate si possono riempire di più o di meno. Diciamo che nel corso degli anni la produzione media è stata di cinque o seimila quintali». Com’è stata l’ultima annata? «La produzione si è attestata intorno ai 3mila quintali». Meglio o peggio del solito? «Sicuramente meglio di quella disastrosa del 2017, condizionata dalla tremenda gelata di aprile, ma non abbondante come quella del 2018».
Da sinistra, il presidente del Consorzio Fabrizio Lanzarotti e il consigliere Aldo Agosti
Realizzata nel 1984, la struttura conserva mediamente 5mila quintali di frutta all’anno Si parla spesso di cambiamenti climatici e non soltanto in Oltrepò, logicamente. Voi sul territorio notate grosse differenze rispetto al passato? «Diciamo che se in passato eventi straordinari come le gelate si verificavano in media ogni cinque o sei anni, negli ultimi tempi si verificano con molta più frequenza. Addirittura ogni due o tre anni se ne può verificare uno che danneggia l’intero raccolto». L’annata in corso come sta procedendo? «Gennaio è stato caratterizzato da temperature miti, al di sopra delle medie stagionali. Il timore è che un caldo eccessivo possa portare a una prematura germogliazione delle piante. In tal caso, il rischio di andare incontro a danni seri sarebbe elevato, visto che è assai probabile che il freddo intenso torni entro primavera». è il clima l’unico “nemico”?
«Ultimamente un altro fattore di rischio arriva dai nuovi parassiti arrivati dai paesi asiatici. Un esempio è l’insetto “alieno” conosciuto appunto come Cimice asiatica, che attacca il frutto. L’altro è la Drosophila Suzuki, moscerino della frutta. Entrambi richiedono trattamenti costosi e continui che si ripercuotono sul prezzo finale dei prodotti». Parliamo del Consorzio. Quanti soci comprende e che tipo di mercato ha? «I soci sono circa 45. Racchiude produttori di diverso tipo che poi gestiscono autonomamente la commercializzazione: c’è chi rifornisce i supermercati, chi fa vendita diretta, altri ancora fanno i mercati come quello di Campagna amica di Coldiretti». Quello d’Oltrepò resta un mercato di nicchia. Quale deve essere la strategia per mantenersi competitivi? «Puntare sempre sulla massima qualità. Il
nostro fiore all’occhiello resta la Pomella genovese, una varietà autoctona di mele che ha già la denominazione regionale di prodotto tipico e stiamo lavorando per fare diventare a breve un presidio di Slow Food. è già molto conosciuta al pubblico e ha un prezzo di vendita superiore di circa il 30% rispetto agli altri prodotti. La ristrutturazione della Centrale deve diventare un’occasione per investire su nuovi macchinari che consentono di diversificare la produzione: non basta vendere solo frutta, servono prodotti derivati di diverso tipo e bisogna creare una piccola filiera chiusa, che consenta di abbattere i costi di produzione e aumentare il loro prestigio». di Christian Draghi
«Gennaio troppo caldo, produzione a rischio gelate»
VARZI
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Nivione isolata: «Qui si interviene solo dopo le emergenze» Da ormai quasi due mesi la strada che collega Varzi alla piccola frazione di Nivione è chiusa in seguito alla frana del 20 dicembre scorso. Il Comune è in attesa, a giorni, degli esiti di uno studio per avere una panoramica dei costi di intervento, mentre i disagi per la popolazione sono notevoli, dato che l’interruzione della provinciale 166 costringe diverse piccole frazioni in una situazione di isolamento che non è esente da rischi: il percorso verso Varzi, che prima richiedeva cinque minuti, oggi ne comporta circa trenta. Anziani, disabili, una donna incinta: dovesse verificarsi un’emergenza per cui la tempestività dell’intervento può fare la differenza tra la vita e la morte, la paura che l’ostacolo possa rivelarsi decisivo è tanta. Se è vero che le chiamano “calamità naturali”, è altrettanto vero che per gli abitanti della zona non rappresentano novità: il dissesto idrogeologico in l’alto Oltrepò è una ferita sempre aperta, e una frana simile già nel 2016 aveva invaso la medesima strada. A questa condizione si aggiunge poi il fatto che a Nivione e paesi limitrofi manca da anni il segnale telefonico per i cellulari. Se una parte della popolazione sembra essersi ormai rassegnata, altri esprimono apertamente il malumore. Tra loro c’è Clara Dirotti, giovane residente che in paese ha scelto di rimanere e mettere su famiglia (a maggio è atteso il primogenito) alla faccia dello spopolamento. «Penso di parlare a nome di più persone esprimendo questo forte stato di disagio e penso sia un dovere del cittadino far sentire la sua voce in situazioni come questa» spiega. «Non si tratta di un semplice “lamentarsi”, quanto l’iniziare a prendere consapevolezza del potenziale di questo territorio e cominciare a muoversi in collaborazione con tutti gli attori ed enti coinvolti per mantenerlo sicuro e accogliente». Una critica, questa, che sembra esulare dalla situazione contingente che riguarda la frana… «In Valle Staffora e in generale in Alto Oltrepò si parla tanto di marginalità, spopolamento, investimenti per ripartire… il dissesto idrogeologico è un fenomeno che purtroppo colpisce parecchio la nostra zona ma non fa certo notizia, è così da anni: la tipologia di intervento per garantire sicurezza e normale viabilità dovrebbe comprendere manutenzione delle strade e monitoraggio dei lavori già effettuati mentre la nostra esperienza, al contrario, ci dimostra che questi lavori vengono effettuati solo in situazioni d’emergenza». L’ultima frana in effetti risale al 2016…
Senza strada e senza segnale telefonico: «Ma la situazione era nota da anni»
Clara Dirotti
«Questa situazione è anche un danno di immagine per tutto il territorio» «Ed è proprio questo che mi fa arrabbiare: per la seconda volta nel giro di cinque anni ci ritroviamo isolati a causa di una frana, situazione maggiormente aggravata dalla mancanza di segnale telefonico nelle frazioni di Nivione e Cella, situazione anche questa che si protrae dal 2016». Avevate già provato a segnalare queste problematiche? «Nel settembre 2019 attraverso l’associazione di cui faccio parte, Nuvun, ho mandato una segnalazione dettagliata di questa problematica ad Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), e dovrebbero essere queste le attività del cittadino per far valere i propri diritti e migliorare la propria vita». Queste segnalazioni hanno portato qualche risultato? «Purtroppo no, perché ci vorrebbe più aggregazione da parte dei residenti e meno paura di confrontarsi con le istituzioni». Quali sono oggi le vostre difficoltà quotidiane? «Le difficoltà quotidiane riguardano sia le frazioni del comune di Varzi che la vicina Val Curone. Non c’è solo la lunghezza e scomodità dei percorsi alternativi da prendere per aggirare la frana. Strettamente collegato alla viabilità è anche il discorso delle emergenze mediche e sanitare: tanti anziani abitano nella zona e in questi casi di emergenza la tempestività di intervento può fare la differenza tra la vita e la morte.
Ci sono anche persone disabili che devono essere assistite (quindi i costi a carico delle famiglie si alzano) e bambini che vengono sballottati per più di un’ora per andare a scuola». Il disagio riguarda solo le categorie più “deboli”? «Non solo, colpisce soprattutto chi deve recarsi quotidianamente a lavoro, percorrendo strade alternative che solo a fronte dell’emergenza sono oggetto di manutenzione. Altro aspetto da prendere in analisi è quello delle attività imprenditoriali, che si trovano in difficoltà per la perdita di clienti e lavoro, e del turismo che subisce un duro colpo sia in termini di “incoming” sia in termini di immagine del territorio. I servizi primari dovrebbero essere non solo garantiti ma, altresì, incrementati costantemente: ci sembra paradossale, nel 2020, sentirci nuovamente cittadini isolati e senza alternative».
Il protrarsi di questa emergenza non interessa soltanto le piccole frazioni. La provinciale 166 dopo Valle di Nivione diventa provinciale 111, collegamento diretto con il comune di Fabbrica Curone. La frana di Nivione ha interrotto la possibilità di raggiungere agevolmente Varzi costringendo gli abitanti a lunghi giri per raggiungere il capoluogo dell’alta Valle Staffora. Da Fabbrica bisogna risalire la strada che porta a Cella di Varzi quindi raggiungere Castellaro e seguire la provinciale numero 91, che risulta per altro in più parti dissestata. Anche in questo caso, circa venti minuti di strada in più rispetto a prima. Le attività commerciali, soprattutto i ristoranti, denunciano un pesante contraccolpo negli affari. Qualcuno si sarebbe detto perfino a rischio chiusura.
Nivione: la frana del 20 dicembre scorso
di Christian Draghi
VARZI
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Gli anni d’oro del Carnevale e del Cinema Italia nella “Varzi da bere” In calendario per domenica 23 e lunedì 24 febbraio con il rito della Pentolaccia sabato 29, il carnevale di Varzi, simbolo di un divertimento dissacrante e dissoluto, è una tradizione antica che anche nel 2020 si rinnoverà. Benché da tempo abbia perso quell’appeal che lo rendeva un evento memorabile per tutta la vallata, l’edizione di quest’anno tornerà al “centro” del paese grazie al tendone posizionato in piazza della Fiera. Per i nostalgici la sua sede “naturale” era però quella del Cinema Italia, che oggi neppure esiste più. I tempi in cui 3mila persone ne affollavano il salone in occasione della festa varzese per antonomasia appaiono oggi un ricordo dal sapore dolce e amaro, simile a quello del Campari. Erano altri tempi e parlare di una “Varzi da bere” potrà magari far sorridere, anche se tutto si può dire meno che si trattasse di una festa sobria. Il connubio tra Carnevale e Cinema Italia è durato moltissimi anni e ha segnato gli anni d’oro della festa, sebbene le location che hanno ospitato l’evento siano state diverse. Prima che il Cinema si spostasse nell’attuale sede di via Luigi Mazza nel 1963, la festa da ballo si svolgeva nella più piccola sala del Teatro al numero 6 di via Pietro Mazza, oggi sede della biblioteca comunale. Cos’era a rendere speciale quello che potrebbe apparire tutt’al più un semplice fatto di costume “mondano”? Perché si faceva la corsa a partecipare da tutta la vallata e anche dalla vicina – ma allora neanche troppo – Voghera? Laura Brignoli, varzese doc, ricercatrice e docente universitaria, sul Carnevale di Varzi ci ha scritto un libro, uscito nel 2007 intitolato “Come eravamo”. Dottoressa Brignoli, qual era il segreto di quella festa? «La singolarità non sta né nella sua durata, né nella tradizione culinaria o tanto meno nell’accompagnamento religioso. Accanto ai tradizionali carri che ripetono le grandi kermesse di ben più famosi carnevali un’abitudine oserei dire unica vuole che nelle serate danzanti di domenica, lunedì, martedì e della “pentolaccia” le ragazze sole si mascherassero nascondendo completamente il volto e camuffando la voce per non farsi riconoscere. Sono loro che all’interno della festa invitavano gli uomini a ballare ribaltando, nella più pura espressione dello spirito carnevalesco, i ruoli». Una peculiarità tipicamente varzese? «Sì, tanto che al proposito venne creata quella che si definiva “maschera alla varzese”: laddove gli altri carnevali variano a piacere la forma e il colore della copertura del volto, più o meno grande e scintillante, da noi si indossa il famoso “cappuccio”, una copertura che permette di nascondere anche i capelli.
Maschere libertine e varzesi “senza freno”: tanti gli aneddoti intorno alla festa
Laura Brignoli, ricercatrice e docente universitaria
Sul cappuccio viene cucita la maschera, cui poi vengono praticati dei buchi per naso e bocca e, talora, viene posta una retina sugli occhi per nasconderne il colore e la foggia». Un travestimento di tutto punto. Si dice che le mogli approfittassero di questo anonimato e “insidiassero” i mariti per metterli alla prova… conferma? «C’è un’aneddotica piuttosto vasta al riguardo. Un esempio è la storia della “maschera dei tre soldi”». Può raccontarcela? «Si dice che un giovane marito abbia festeggiato il carnevale con una “maschera” particolarmente libertina, che dopo diversi bicchieri gli si è concessa sotto i portici, in un luogo appartato, chiedendo dopo tre soldi in pegno e come “ricordo” della bella esperienza. L’uomo sarebbe poi ritornato a casa di soppiatto, per non far rumore e non svegliare la moglie che a letto già dormiva. Il mattino dopo, mentre si veste per andare a lavorare, l’uomo trova sul comodino i tre soldi e resta inebetito. Con il cuore che galoppa fa per prenderli e nasconderli in tasca quando la moglie gli arriva dietro e gli dice “at l’ho saempor data per nent, tegnöt inca chi lè”. Cioè: “Te l’ho sempre data per niente, tieniti anche quelli”». Oltre al libertinismo delle mascherine, altra ricorrenza del Carnevale erano anche le scazzottate tra varzesi e “foresti”… «I locali non hanno mai visto di buon occhio tutta quella moltitudine che, da altri paesi, veniva e gli faceva concorrenza contendendo le “loro” donne. Per cui, corroborati dal Campari, spesso e volentieri attaccavano briga». Come mai la fortuna del Carnevale era così tanto legata al Cinema Italia? «Sicuramente occorre riconoscere diversi meriti a Gigi Comolli, proprietario del cinema fino al 1965 e imprenditore lungimirante, che ha saputo dare un impulso straordinario alla festa, rendendola un evento
atteso e preparato tutto l’anno. Ingaggiava le orchestre più quotate, elargiva premi importanti, per anni anche in denaro. Era lui talvolta a procurare i figurini alle mascherine, i modelli degli abiti che loro stesse confezionavano. Era attento a ogni dettaglio e teneva molto alla perfezione dei costumi». Per molti la fine del Cinema Italia ha segnato anche le sorti del carnevale che, festeggiato prima in una tensostruttura in piazza della Fiera e poi alla Rive Gauche, ha lentamente finito per perdere il suo antico appeal. Secondo lei è davvero questa la causa del declino? «Io credo che il cambiamento dei costumi abbia avuto un ruolo importante. All’epoca il fatto che le donne prendessero l’iniziativa di invitare l’uomo al ballo era una vera trasgressione, e al contempo una “messa alla prova” dei maschi che potevano avere più o meno successo, quindi essere invitati oppure no. Questo rovesciamento peraltro alimentava non poche leggende, attribuendo alle varzesi la fama di lasciarsi andare alle più audaci trasgressioni e spingendo molti “forestieri” a presentarsi al carnevale pieni di aspettative. Spesso se ne tornavano delusi, ma bastava che ad uno di loro capitasse una ragazza più libera, o forse più “affamata” per mancanza di pretendenti quando aveva il viso scoperto, per tenere viva la leggenda delle “varzesi a briglia sciolta”. Tempi e costumi però cambiano e, si sa, ciò che era tabù può diventare consuetudine».
Il “factotum” del Carnevale Gigi Comolli nel 1954
«Gigi Comolli imprenditore “illuminato”: «Buona parte della fama del Carnevale la si deve a lui»
Se l’evento clou del Carnevale oggi è la sfilata dei carri allegorici, del Cinema e delle “mascherine varzesi” resta soltanto il ricordo.
Donne in maschera nel 1968
di Christian Draghi
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“Oltrepò drink twist”
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CON LA MELA DI BAGNARIA L’OLTREPÒ FIRMA IL SUO SPRITZ! Oltrepò Pavese Spritz
Di Emanuele Firpo
Sesto appuntamento legato al magico mondo della miscelazione, al quale abbiniamo la naturalezza dei prodotti tipici firmati Oltrepò Pavese. Golden bianca classica, rossa Stark, Renetta, Annurca, Fuji, Champagne, Granny Smith… sono MELE prodotte nella nostra terra ed il comune di Bagnaria è un importante “vetrina a cielo aperto”. Utilizziamole per creare il nostro OLTREPO’ PAVESE SPRITZ, ovviamente con un vino del territorio.
Come ci ricorda Fulvio Piccinino, lo Spritz è un cocktail sulla cui data di nascita regna l’incertezza, si dice che sia stato creato per “necessità” dai soldati austriaci di stanza nel Triveneto durante la sua occupazione negli anni precedenti al Risorgimento e all’Unità d’Italia. Altri sostengono che sia stato creato nel 1917, sempre dagli austriaci di stanza sul fronte del Piave. Se la data è dubbia, la ragione è la medesima e concorde, cosi come gli inventori… Il nome Spritz, di origine austriaca, si traduce con “spruzzare”, termine onomatopeico che indica l’azione dell’allungamento del vino con l’acqua gasata usando la vecchia pistola da selz o un sifone. La ragione della nascita è semplice, gli austriaci erano abituati ai freschi, leggeri e leggermente frizzanti vini bianchi delle loro montagne o alle gradazioni alcoliche della birra. I vini bianchi italiani e in special modo i veneti erano e sono molto più alcolici, quindi venivano allungati con acqua di soda per renderli frizzanti e meno “forti”. Spesso si aggiungeva una fetta di limone, che poteva essere anche spremuta, per aumentare le note citrine e il grado di acidità, tipiche dei vini austriaci. La bevanda risulta diffusa in molte altre aree d’Italia con diversi nomi, fra i quali il “Paccatello” nelle Marche, o il “Mezzo e mezzo” a Napoli, spesso eseguito anche con gazzosa, con l’obiettivo di accompagnare il vino per il pranzo, senza ubriacarsi.
La ricetta dello Spritz era piuttosto semplice, ed era composta da pari quantità di acqua di soda e vino bianco, da non confondere quindi con la ben più famosa variante con l’Aperol. Questa miscela nasce, secondo alcuni, a Padova, negli anni successivi alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando inizia ad essere richiesta nei bar come aperitivo e dissetante, secondo altri a Treviso, patria elettiva del Prosecco. A detrazione della seconda ipotesi, vedremo come l’aggiunta del Prosecco sia in realtà postuma all’invenzione. L’Aperol nasce a Padova nel 1919 ad opera di Barbieri, ed è qui che, secondo una prima ipotesi, si inizia a “macchiare” lo Spritz, preparato con il vino bianco fermo dei Colli Euganei, con una piccola dose di agrumato liquore. L’invenzione del cocktail sarebbe stata proprio all’interno del bar pasticceria per favorire il consumo della nuova creazione di Barbieri, utilizzando un classico dell’epoca “twistato”, come diremmo noi oggi. La ricetta subisce successivamente un’altra importante modifica, con il progressivo scomparire delle “pistole” da selz e delle acque di soda dai bar moderni, sostituite dalle normali acque gasate, decisamente più deboli in termini di “bollicine”. Per mantenere inalterata la gasatura del cocktail si decide di utilizzare un bianco frizzante emergente della zona che trarrà
moltissimo giovamento dall’importante ribalta, catturando nuovi consumatori ed estimatori, anche per il consumo “liscio”. La ricetta ufficiale riportata è tratta dal sito ufficiale dell’Aperol, questo perché esistono alcune varianti e modifiche con aggiunte successive, così come è oggetto di discussione il bicchiere da utilizzare, che secondo i tradizionalisti dovrebbe essere il rock basso, quello “dell’ombretta de vin”, mentre per gli altri si dovrebbe utilizzare il tumbler alto o il bicchiere da vino bianco, tutti comunque pieni di ghiaccio. Discussioni a parte, il successo del cocktail e la sua diffusione hanno fatto si che nel 2011, l’Aperol Spritz, codificato come Italian Spritz o Spritz Veneziano, per confondere ulteriormente le idee circa le sue origini, sia stato incluso nei 60 internazionali IBA. La “denominazione di origine” è stata necessaria per distinguerlo dal predecessore austriaco, di cui ne rappresenta, come detto, il “twist”. Questo ci deve rendere orgogliosi come italiani, visto che da lungo tempo non avevamo avuto nostri drink nei recenti aggiornamenti della famosa lista.
Torniamo nelle nostre colline e prepariamoci a creare un buonissimo SPRITZ senza Aperol, il quale sapore dolce amaro e di agrumi sarà sostituito dal gusto morbido e saporito delle mele. Ecco la ricetta del drink e dello sciroppo di mele. Per lo spritz, in un calice da vino colmo di ghiaccio: 3 cl di sciroppo di mela (lascio a voi la scelta, io adoro la verde Granny Smith) 15 cl di vino bianco frizzante Oltrepò Pavese (provatelo con il Pinot Noir) 3 foglioline di basilico 1 scorza di limone (da spremere per far fuoriuscire gli oli essenziali). Mescolate delicatamente e degustatelo con gli amici. Per lo sciroppo alla mela: togliete buccia e torsolo a due mele, tagliatele a tocchi per lo più piccoli ed aggiungete 200 grammi di zucchero bianco. Lasciate riposare
Oltrepò Pavese…
i COCKTAIL d’autore con i prodotti del nostro TERRITORIO in frigorifero per almeno tre ore. Passate il tutto con un minipimer o al frullatore ed aggiungete un po’ di acqua per far sciogliere del tutto lo zucchero. Questo sciroppo home made andrebbe consumato in giornata, il giorno successivo al massimo. Se la pigrizia regna nel vostro essere potete procurarvi una marmellata di mele e fatela sciogliere con un po’ del vino bianco e poi procedere come da ricetta. La gradazione risulterà molto bassa, è quindi ideale come aperitivo. Il nostro SPRITZ ricorda il drink, oggi molto in voga, HUGO, preparato con sciroppo ai fiori di sambuco, prosecco e foglioline di menta. In abbinamento… una bella forma di caciotta STAFFORELLA sporcata dal nostro sciroppo alla mela (o dalla marmellata) e qualche foglia di basilico. Consuma sempre i drink a stomaco pieno e non far mancare, di tanto in tanto, un sorso di acqua fresca. DEGUSTARE UN COCKTAIL È UN PIACERE… SE TI PERDI CHE PIACERE È?! DRINK RESPONSIBLY
Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme.
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brallo di pregola
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Il cielo del Brallo sul sito della Nasa grazie all’osservatorio di Colleri Aperto nel 2011 e gestito dalla associazione Adara, l’osservatorio del Parco Astronomico di Colleri, piccola frazione di Brallo di Pregola, rappresenta un fiore all’occhiello dell’astronomia oltrepadana. Per quanto ad usufruirne siano più che altro amatori o appassionati, dalla sua fondazione ad oggi già per tre volte delle immagini riprese al suo interno sono state selezionate dalla Nasa e pubblicate sul proprio sito come “foto del giorno”. L’ultima delle quali ritrae una cometa, chiamata C/2017 K2, da record: scoperta nel 2013, è la cometa attiva più lontana dal Sole mai osservata. Composta da cinque cupole con osservatori remotizzati, quella di Colleri è una struttura che continua a guardare al futuro: ha appena acquisito un planetario e si prepara a potenziare le sue attività. Il suo fondatore è Vittorino Suma. Partiamo dall’immagine della cometa che avete ripreso. Vi capita spesso di fare simili scoperte? «Preciso che noi operiamo a livello amatoriale e di fatto non facendo ricerca non è che “scopriamo” le cose. In questo caso seguiamo alcune comete e supernove che ci limitiamo a fotografare. Poi, per via dell’ottima posizione e del cielo limpido, ci capita ogni tanto di “azzeccare” lo scatto, come nel caso della cometa C/2017 K2». Questa cometa è visibile solo attraverso le apparecchiature? «Al momento sì, ma tra un paio d’anni, pare intorno al Natale del 2022, acquisterà maggiore luminosità da poter essere visibile a occhio nudo sotto un cielo non inquinato come quello di montagna». Avete degli osservatori remotizzati. Come funzionano? «Sono telescopi che possono essere controllati anche da un computer collocato in un’altra struttura. Ad esempio, da casa tramite internet fotografiamo il cielo pilotando tutte e cinque le postazioni». A che finalità sono mirate le vostre osservazioni? «Innanzitutto la fotografia astronomica. Poi, grazie alla struttura in nostra dotazione, possiamo osservare le stelle con dei telescopi mobili. Di fatto organizziamo delle serate di osservazione in cui vengono date spiegazioni della volta celeste e quindi mostrati i pianeti visibili per quella sera in particolare». Ci sono collaborazioni scolastiche? «Certo, collaboriamo con il dipartimento di fisica dell’università di Pavia e abbiamo due appuntamenti fissi all’anno cui partecipano gli studenti del quarto anno del liceo scientifico Copernico e del primo anno di fisica dell’università di Pavia. Si tengono anche una serie di conferenze
Vittorio Suma, fondatore dell’ osservatorio del Parco Astronomico di Colleri
sul tema astronomia a valenza scientifica». Il parco astronomico è aperto tutti i giorni? Ci sono orari da rispettare? «Non c’è una frequentazione quotidiana, queste sono solo postazioni fotografiche e come detto lavoriamo da casa pilotando con il computer le cupole». Come e dove organizzate gli incontri con gli studenti? «I professori ci chiamano e stabiliamo insieme la data dell’incontro, che avviene in una struttura adatta come per esempio un agriturismo. Tramite il computer mostriamo i risultati del nostro lavoro, dopodiché li accompagniamo al parco astronomico. Al di là di questo facciamo incontri estivi con chiunque voglia partecipare, rivolgendoci a un pubblico più ampio». Come comunicate le date estive? «Tramite internet principalmente. Poi Comune e Pro loco stampano i volantini con le date e gli orari e viene fatto il volantinaggio. Finora abbiamo avuto molte soddisfazioni». Personalmente che cosa prova nel momento in cui osserva il cielo? «Spesso mi commuovo perché grazie al telescopio abbatto le infinite distanze di anni e anni luce. Con questo strumento incredibile si abbatte la distanza tra noi e l’oggetto e si possono ammirare stelle dove, chissà potrebbe esserci qualche forma di vita o magari nuovi mondi. Per un profano tutto ciò ha dell’incredibile. Dalle città vediamo solo pochissimi puntini luminosi, mentre con un telescopio possia-
mo osservare il sistema solare ed esplorare la nostra galassia e sconfinare oltre, addirittura a dieci milioni di anni luce. Il telescopio è l’unico strumento, oltre alla fantasia, che può farci venire i brividi annullando distanze inimmaginabili».
Cosa avete in mente per un prossimo futuro? «Abbiamo appena acquistato un planetario e questo ci permetterà di organizzare serate divulgative in mancanza di un cielo sereno e a chi non può venire di sera poter comunque mostrare i movimenti delle stelle e le loro caratteristiche. Un altro sogno da realizzare, ma un po’ limitato dai nostri vari impegni, sarebbe quello di mettere in piedi un osservatorio solare e di portare avanti uno studio sulla spettrografia solare così da proporlo alle scuole». è stato difficile economicamente mettere in piedi tutto questo? «Inizialmente abbiamo messo soldi di tasca nostra, ma poi abbiamo ricevuto sovvenzioni da parte della Regione e il Comune ci ha messo a disposizione l’area di Colleri, senz’altro la più adatta nell’Oltrepò Pavese per questo tipo di osservazioni. è una delle poche rimaste con un cielo pulito ma dotata di corrente elettrica e di internet e dobbiamo ringraziare l’ingegner Fabio Tagliani che è riuscito con un’opera ingegneristica a far arrivare internet. La banda via cavo era debole, mentre adesso siamo collegati tramite il satellite è stato un lavoro certosino ma è risultato un grande successo». di Stefania Marchetti
Due dell cinque cupole del parco astronomico
romagnese
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Castello di Romagnese: sede del Museo dell’Appennino Lombardo delle 4 Province Continua il nostro viaggio attraverso i castelli e le dimore storiche dell’Oltrepò Pavese. Torniamo nelle terre dei Dal Verme, già raccontate precedentemente, e più precisamente a Romagnese, dove abbiamo incontrato Greta Nobili, consigliere comunale con l’incarico di occuparsi agli eventi relativi il Museo Contadino e il Giardino Alpino, che ci parlerà del castello e del museo da esso ospitato. La storia del Castello di Romagnese è molto frammentaria: impropriamente viene datato del XV secolo, ma con molta probabilità le sue origini sono più antiche. Nel 1548 venne distrutto da una barbara invasione piacentina, ma in breve tempo venne ricostruito dai Dal Verme che lo trasformarono in una rustica dimora di caccia, utilizzata fino alla fine del XIX secolo. Successivamente la proprietà passò alla famiglia Garbarini di Gorreto e poi ancora a Zambarbieri Antonio, il quale poi cedette una parte al comune ed una alla famiglia Pietra. Il castello, costruito in pianta rettangolare in pietra, vanta un torrione che presenta l’originale merlatura guelfa poi coperta, nella metà dal XIX secolo, da un’ampia tettoia. All’interno della struttura esistevano le prigioni, il locale della tortura e, secondo una leggenda popolare, un sotterraneo collegato, tramite una galleria segreta, alla frazione Costa. Le origini di questo castello non sono molto chiare… «Non si conosce l’epoca esatta di costruzione, si ipotizza che sia stato edificato dai Dal Verme alla fine del XV secolo, probabilmente soppiantando una “casaforte” abitata dai frati del Monastero di San Colombano. Ma non si esclude che abbia origini più antiche, edificato su una preesistente roccaforte di epoca romana». Il castello è sempre stato utilizzato come sede comunale? «I Dal Verme sono stati proprietari fino alla fine del XIX secolo, mantenendolo sempre operativo. La sede comunale è sempre stata qui ed è stata ristrutturata e riorganizzata negli anni ‘90. Precedentemente gli uffici si trovavano al pian terreno, mentre in quello superiore vi erano degli appartamenti abitati da alcune famiglie del paese. All’interno del castello, oltre al Municipio, hanno sede il museo e la farmacia». Dovete sopportare costi di gestione elevati per mantenere la struttura attiva? Attualmente chi si occupa della manutenzione? «Ovviamente i costi di gestione e di manutenzione non sono pochi e sono a carico del comune, essendo quasi totalmente utilizzato per gli uffici amministrativi».
Il castello è sede di associazioni o enti? «è sede della Pro Loco, dell’Associazione Nazionale Alpini Montepenice Romagnese e, come anticipato precedentemente, del Museo Civico di Arte contadina». Il museo quando è stato inaugurato? «Il Museo Civico di Arte contadina è stato inaugurato, con questa denominazione, nel 1997. Si tratta di un museo etnografico costruito e costituito con materiale donato dalle famiglie di Romagnese: si tratta di oggetti di uso quotidiano e attrezzi di lavoro di artigiani del luogo. è stato sistemato e riorganizzato grazie ai fondi di Fondazione Cariplo e del progetto Oltrepò Biodiverso e inaugurato nuovamente nell’aprile 2019, con la nuova denominazione “M.AP.LO. 4 P – Museo dell’Appennino Lombardo delle quattro province”. Il progetto è stato sviluppato dal Museo di Scienze Naturali di Voghera, diretto da Simona Guioli». Com’è strutturato il museo? «Il museo è interattivo ed è composto da alcune stanze: nella prima è stata ricostruita la “casa del contadino”, all’interno della quale si può sentire dagli altoparlanti la voce del contadino, che spiega cosa possiamo vedere e trovare all’interno della sua abitazione; nella seconda stanza invece troviamo tutti gli attrezzi degli artigiani: dall’arrotino al fabbro, dal barbiere al calzolaio. Tutti oggetti, come detto precedentemente, donati dalle famiglie di Romagnese. Sono costuditi inoltre numerosi attrezzi agricoli, anche di vinificazione: sebbene Romagnese non sia un territorio propriamente dedito a questa attività, in passato
Greta Nobili, consigliere comunale con delega al Museo Contadino e al Giardino Alpino
venivano utilizzati per produrre vino da autoconsumo per le famiglie del paese». Organizzate visite guidate? Ha orari di apertura particolari? 1 museo è aperto alle visite guidate preventivamente organizzate e prenotate presso il comune. Si può visitare anche durante la settimana, senza visita guida-
Il borgo di Romagnese
ta, chiedendo alle impiegate del comune. Durante la stagione primaverile ed estiva verranno fissati dei giorni specifici di apertura. Organizziamo anche visite per le scolaresche degli istituti della zona». Il museo è associato a qualche ente o associazione? «Al momento fa parte del progetto Oltrepò Biodiverso – Attivare con progetti sviluppati dal Museo di Scienze naturali di Voghera, ma non è associato a nessun’ente o associazione. Nel 2020 c’è però l’idea di creare un sistema museale della comunità montana». Nella vicina Emilia Romagna da diversi anni è attiva un’associazione che promuove il turismo nei castelli e nelle dimore storiche del Ducato di Parma e Piacenza. Pensa che un tipo di iniziativa simile possa avere un riscontro positivo per il turismo? Per il Castello di Romagnese, visto in un’ottica di residenza storica, non è possibile effettuare visite guidate, in quanto sede di uffici amministrativi e di altre attività. Certamente potrebbe essere interessante per poter portare visitatori al museo. Tutto quello che può creare sinergie e collaborazione con i paesi vicini è sicuramente benvisto. di Manuele Riccardi
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zavattarello
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Record di finanziamenti: «In 10 anni ottenuti oltre 5 milioni di euro» Il sindaco di Zavattarello Simone Tiglio lancia un appello al presidente della Provincia Vittorio Poma per la sistemazione delle strade: «Perché non concordare con i Comuni degli interventi secondo il principio di sussidiarietà? Chi ha risorse da investire perché non può farlo anche su tratti che interessano alla Provincia e magari viceversa?». La manutenzione delle strade provinciali infatti è oggi in campo a un ente, quello di piazza Italia, che non dispone delle risorse necessarie per far fronte all’emergenza. Senza una convenzione specifica, i Comuni (neppure quelli che ne avrebbero le possibilità) possono intervenire su qualcosa che non è di loro proprietà. Quello del “Tiglio tris” è un nuovo gruppo amministrativo che mantiene la vecchia “consuetudine” di portare a casa finanziamenti importanti: «In dieci anni e mezzo di amministrazione – dice con orgoglio il primo cittadino – abbiamo effettuato oltre 5 milioni di euro di investimenti per opere pubbliche, un assoluto primato nel panorama locale, anche da un punto di vista storico». Tiglio, quello delle strade è un problema ormai annoso per l’Oltrepò montano. Crede che l’attuale sistema di gestione sia ormai totalmente inefficace? «La Provincia sta scontando troppi anni di scarsa manutenzione delle strade. E anche se negli ultimi tre-quattro anni c’è stata un’attenzione diversa nell’affrontare per lo meno le emergenze, è sotto gli occhi di tutti l’incapacità di arrivare dappertutto: non ci sono le risorse, non c’è più neppure una Provincia vera e propria. Io credo che la collaborazione con i comuni sia fondamentale e a questo proposito chi ha delle risorse a disposizione da spendere in materia di difesa del suolo e viabilità, perchè non concorda con la Provincia un intervento importante su un versante, dividendo il lavoro in due tronconi, in base al principio di sussidiarietà? Se un comune può risanare un versante interessato da due o tre chilometri di strada provinciale, perché la Provincia non può dirottare le proprie risorse su interventi di asfaltatura di altri tratti ammalorati, magari sempre nello stesso comune o in un comune vicino posto sulla stessa direttrice? Magari non saranno interventi risolutivi, ma certamente più efficaci di qualche decina di gabbioni o di cento metri di asfalto su una strada lunga dieci chilometri». Torniamo alla sua amministrazione. La riconferma al 70%, anche se al terzo mandato, se l’aspettava tenendo conto che all’inizio neppure voleva più candidarsi? «In realtà era al di là delle attese. Io avevo previsto, la sera prima dello spoglio,
Strade da riparare: «Serve un accordo con la Provincia che lasci intervenire i Comuni»
Simone Tiglio, al suo terzo mandato da sindaco
un lusinghiero risultato: 66,5 per cento. I miei erano in parte scettici, in parte speranzosi. Dall’altra parte della barricata, pur attendendosi la sconfitta, tutti sostenevano che non saremmo andati oltre il 55-60 per cento. E invece.... beh, al di là della cabala delle percentuali, ciò che rileva è che gli zavattarellesi hanno premiato dieci anni di buona amministrazione ed un gruppo di persone valide, che si sono impegnate su un programma di azioni ambizioso ma realistico». Come sono partiti questi primi mesi di amministrazione? «Siamo riusciti a portare a casa finanziamenti per oltre 1.500.000 euro, un successo da condividere con tutti gli amministratori che si sono impegnati e si stanno impegnando per il nostro paese, ma anche con i cittadini, che hanno visto e apprezzato già molti cambiamenti positivi, e molti altri ne vedranno nel prossimo futuro». Quali interventi saranno finanziati con quei soldi? «Abbiamo ottenuto 61.000 euro dallo stato per opere di messa in sicurezza delle infrastrutture comunali, 373.000 euro da Regione Lombardia per il recupero e la valorizzazione del borgo storico di Moline, altri 111.000 euro per la regimazione idarulica e la messa in sicurezza del torrente Vago. A ciò si aggiungano gli interventi che saranno finanziati con risorse proprie del comune: la riqualificazione della casa di riposo comunale, con il pro-
gressivo ammodernamento delle camere e degli spazi comuni e la riattivazione del distributore di carburanti di Moline, che il Comune ha rilevato dalla società Europam circa un anno fa». Se lo guardasse da fuori dimenticando, se possibile, di averlo amministrato, come descriverebbe il paese oggi?
«Fusioni? Ragioniamo sulla val Tidone come area amministrativa unitaria»
«Zavattarello è un paese in continuo movimento, a dispetto dei suoi mille abitanti e della sua ubicazione geografica, non proprio agevole. A dispetto della crisi perdurante ci sono imprese che hanno continuato ad investire e ad assumere persone. L’attività edilizia, pur ridotta, non si è mai fermata del tutto. Le attività turistiche e commerciali resistono e, a fronte di un negozio che chiude, c’è per fortuna chi vuole aprire una nuova attività. Non ci troviamo certo in una condizione di grazia: le difficoltà economiche si fanno sentire eccome, il rischio di un arretramento c’è sempre. Ma devo dire, con un certo sollievo, che in un modo o nell’altro gli zavattarellesi riescono sempre a tenere botta, a fare qualche passo in avanti. E compito dell’amministrazione è di sostenere e cercare di indirizzare, se necessario, tutte le iniziative in campo economico, sociale e culturale che possono dare nuova linfa vitale al paese». A proposito di linfa vitale. Zavattarello vanta un numero significativo di associazioni che operano per mantenere vivo il territorio. Quante ce ne sono? «Tante davvero. Così su due piedi mi vegono in mente Pro Loco, Presepe e Passione, Associazione Apicoltori, Magazzino dei Ricordi, La Burela di Crociglia, Chicercacrea, Amici della Biblioteca, Le campanelle, il nucleo di protezione civile, l’associazione alpini. Poi ci sono le associazioni sportive, dal calcio al fitness, passando per l’equitazione, il panorama delle realtà associative a carattere sportivo è piuttosto ricco. Mi chiedo spesso se in paesi più grandi del nostro, o anche in qualche media città, esista una densità di iniziative associative paragonabile a quella di Zavattarello». è arrivata la notizia della chiusura, dopo cinque anni, del centro profughi. Che cosa rimane di questa esperienza? «La notizia l’abbiamo appresa direttamente dagli operatori del centro.
zavattarello Come nel 2015 sono arrivati senza informare il Comune, così nel 2020 se ne vanno senza dire nulla. Quasi come se fossero un corpo estraneo, un’astronave che è piombata su Moline e che ora si rialza in volo, lasciando dietro di sé nulla se non un edificio storico, il vecchio dazio, completamente fatiscente e abbandonato». Ci sono mai stati problemi con i profughi? «I profughi non hanno mai creato reali problemi alla comunità e ci sono stati anche tentativi di minima integrazione, soprattutto nei primi anni di permanenza. Poi più nulla, fino a questo triste epilogo, che rivela tutta la pochezza della strategia dell’accoglienza messa in campo fra il 2014 ed il 2018. Finito il business, il giocattolo si è rotto». Parliamo della Comunita montana. Da sei mesi c’è un nuovo direttivo, che impressioni le ha fatto? «C’è stato un netto rivolgimento, con l’elezione alla presidenza del nuovo sindaco di Varzi Giovanni Palli ed il cambio degli assetti politici che stavano alle spalle della precedente gestione. Per la prima volta, dopo dieci anni, si è assistito anche ad una dialettica tra maggioranza e minoranza, il che non è un male. Ciò che conta è che adesso, dopo la fisiologica fase di assestamento, si proceda spediti nella realizzazione del programma, condividendolo ove possibile anche con i comuni che si sono chiamati fuori, ma che per forza di cose devono essere coinvolti in decisioni che li riguardano
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direttamente. Altra grande sfida sarà quella della realizzazione della strategia Aree interne, rispetto alla quale auspico ci sia una regia politica che scandisca bene gli obiettivi ed i momenti per realizzarli». E il Gal invece? «è una realtà da cui mi aspetto, con il nuovo anno, un cambio di passo. Le persone che sono state scelte per guidare la società, a partire dal presidente, sono valide. Dobbiamo cercare tutti insieme di spendere bene le risorse, rendendo meno difficile l’accesso ai bandi». Uno dei temi sempre attuali per i comuni montani è quello delle fusioni con comuni limitrofi. Negli anni scorsi era sorto anche un comitato per promuovere quella tra voi, Romagnese e, perché no, Valverde e Ruino, che alla fine l’hanno fatta e ora si chiamano Colli Verdi. Qual è la sua posizione? «Ora che l’esperienza del comitato è finita e che la situazione politica si è stabilizzata, direi che sarebbe il caso di ragionare seriamente su tutto quello che abbiamo in comune e possiamo fare insieme a breve. Poi l’unione e successivamente la fusione saranno quasi passi naturali. Si sono dette molte fandonie circa l’inammissibilità di Zavattarello a qualsiasi processi di fusione a causa della sua presunta drammatica situazione finanziaria. I fatti, anche in questo caso, si sono incaricati di smentire quanti sostenevano una tale tesi, anche dentro i confini comunali. Quella è acqua passata. Adesso è il momento di ragionare seriamente sul futuro della val Tidone pa-
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Chiude il centro accoglienza migranti: «Finito il business, si è rotto il giocattolo» vese come area amministrativa unitaria». Come sono i rapporti con i comuni limitrofi? «Ottimi, finalmente. Collaboriamo quotidianamente con i Comuni di Colli Verdi e di Romagnese, dove il nuovo giovane sindaco e la sua amministrazione si stanno impegnando per far crescere il loro paese e trovare una soluzione ai loro storici problemi. Speriamo di approfondire ulteriormente la collaborazione, poiché siamo parti di una stessa valle di una stessa storia; speriamo anche di essere attori di un destino comune». Dopo dieci anni da amministratore ha ancora sogni nel cassetto per Zavattarello? «In realtà ne ho tanti, ma tra tutti quello che si sta per realizzare lo conservo da al-
meno 20 anni: ridare dignità e vita a Moline, dove ho vissuto gli anni dell’infanzia e della gioventù, grazie al progetto di recupero dell’ex convento degli Scolopi, prima scuola pubblica dell’Oltrepo montano e dell’annessa piazzetta medievale. Il complesso ospiterà una struttura ricettiva e spazi per esposizioni, seminari, convegni. Il secondo step del progetto prevede anche di ripristinare l’antico collegamento pedonale in selciato che univa Moline a Zavattarello percorrendo meno di un chilometro. Se Moline tornerà a vivere, sarà tutto Zavattarello a beneficiarne. E in futuro dovremo pensare anche a come rivitalizzare le altre frazioni storiche del comune».
Filippo Pozzi
di Silvia Colombini
CASTEGGIO
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Terreni inquinati: «Nessun pericolo per la salute pubblica» «Potrebbe non essere stata la ditta Ab Mauri ad aver provocato l’inquinamento del terreno vicino alla ex statale». Il sindaco di Casteggio Lorenzo Vigo interviene sulla delicata vicenda apertasi dopo l’allarme per un possibile danno ambientale lanciato dal capogruppo leghista Stefano Poggi dopo il ritrovamento di pozze con liquami inquinati in un terreno agricolo di proprietà della ditta Ab Mauri (ex Casteggio Lieviti). Da una parte il primo cittadino rassicura la popolazione invitandola sia a non temere per un disastro ambientale, sia a non colpevolizzare apriori l’azienda di via Milano. Negli stessi giorni è arrivata anche la notizia della chiusura del Centro accoglienza migranti di via Marconi, il secondo a cessare l’attività in paese. Anche in questo caso Vigo interviene per spiegare come non si tratti di altro se non della «naturale prosecuzione dell’iter legislativo seguita all’apertura dello Sprar di via Manzoni». Sindaco, andiamo per ordine. Iniziamo dai valori riscontrati dalle analisi dei liquami ritrovati nei terreni a lato della ex statale 35 per i quali il consigliere Poggi ha espresso preoccupazione. Qual è la posizione del Comune in merito? «Prima di tutto ci tengo a rassicurare i nostri concittadini sul fatto che non ci sono rischi per la salute pubblica e che gli elementi nocivi si trovavano su terreni non coltivati. Dico “trovavano” perché al momento, grazie all’intervento di Ab Mauri che si è resa subito disponibile, le sostanze inquinanti sono state rimosse». Non c’è pericolo che abbiano raggiunto le falde acquifere? «No, perché il terreno è argilloso e impedisce la penetrazione dei liquami in profondità. è proprio questo il motivo per cui si trovavano in superficie. Per la natura geologica del terreno l’assorbimento è ridotto e, in concomitanza con piogge abbondanti, i liquidi restano in superficie». Rimane il fatto che le sostanze sversate sono inquinanti e alcuni giorni fa Arpa e Carabinieri Forestali si sono recati presso Ab Mauri per ulteriori controlli. Avete parlato con la ditta? «Certo. Ci tengo però a precisare che al momento non è stato accertato che la responsabilità di questo inquinamento sia da imputare all’azienda, che non ha tubazioni sotterranee in quel punto. Per quanto se ne sa al momento, questo sversamento di soda caustica potrebbe anche arrivare dalla rete fognaria già esistente. Ci sono comunque indagini in corso e non possiamo certo sostituirci agli organi competenti. Riteniamo però sbagliato creare allarmismi inutili e additare qualcuno senza
«Non è detto che sia stata Ab Mauri, ci sono degli accertamenti in corso»
Lorenzo Vigo
Chiuso il secondo Centro Accoglienza: «Immigrati ospitati nello Sprar»
certezze. Non ho problemi a ribadire che non ci sono pericoli per la salute pubblica». Ab Mauri aveva però annunciato un importante investimento per mettere fine alla problematica ambientale legata anche ai miasmi, che tante proteste hanno sollevato da parte della cittadinanza. A che punto sono questi lavori? «Li stanno eseguendo ed entro fine anno sarà portato a termine il potenziamento del depuratore: sarà realizzata una tubazione che vi condurrà direttamente gli scarichi dell’azienda in modo diretto, così da non mischiare più quelli civili a quelli industriali». Una delle polemiche era nata per la concessione alla ditta del diritto di scaricare in deroga ai limiti di legge per un certo periodo. Com’è la situazione attuale? «Ab Mauri non scarica più in deroga, né in acqua né in aria, e i parametri imposti dalla Provincia sono rispettati».
Passiamo alla chiusura del Cas, Centro assistenza straordinaria per migranti, di via Marconi. è il secondo che chiude in paese dopo quello di via Emilia. Come mai? «La chiusura dei Cas è prevista per legge nei comuni che aperto uno Sprar, ovvero un “Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati”. A Casteggio si tratta di una struttura aperta già da tre anni e sita in via Manzoni, negli uffici della ex ditta CL rimessi a nuovo». Che differenza c’è tra un Cas e uno Sprar? «Lo Sprar è aperto per iniziativa del Comune e ad esso fa capo. Viene finanziato dal Ministero che ci fornisce i fondi, che noi a nostra volta giriamo alle cooperative che poi di fatto li gestiscono». Come mai però aprire uno Sprar se c’erano già due Cas a Casteggio? «Perché mentre i Cas sono strutture in qualche modo calate dall’alto e nascono tramite dei privati che mettono locali a
disposizione della Prefettura, senza che il Comune possa metterci becco, uno Sprar consente all’amministrazione di mantenere un occhio vigile e avere parte attiva nella loro gestione, eventualmente allontanando anche chi dovesse diventare elemento di disturbo. Tempo fa ci era stata comunicata l’intenzione di aprire addirittura un terzo Cas sul nostro territorio, che avrebbe ospitato circa 80 nuovi rifugiati. Per questo abbiamo agito di conseguenza: per legge, infatti, non si possono aprire nuovi Cas nei comuni che hanno uno Sprar e anzi, quelli già esistenti vengono progressivamente chiusi». Quante persone ospita il vostro Sprar? «Quindici, ed è il numero massimo». I migranti nei Cas però erano molti di più… «Per poter entrare a far parte dello Sprar occorre avere un preciso status, che è quello di rifugiato o richiedente asilo». Che ne è stato delle altre persone? «I migranti che non hanno i requisiti per entrare allo Sprar vengono redistribuiti presso altri Cas. Qui a Casteggio erano una quarantina in tutto». Che tipo di attività si svolgono nello Sprar? «Attività per favorire l’integrazione e l’inserimento nel nostro sistema. Gli utenti studiano, seguono corsi di lingua, sono forniti di un permesso di soggiorno a tempo determinato e possono lavorare». C’è chi ha già trovato impiego? «Sei degli attuali ospiti hanno già regolari contratti a tempo determinato, tre fanno tirocini retribuiti. C’è poi chi frequenta corsi, chi da panificatore e chi da mulettista. Abbiamo creduto che investire su un centro di questo tipo fosse meglio che lasciare delle persone “parcheggiate” senza scopo nei Centri accoglienza, dove per forza di cose cresceva anche il malcontento dei rifugiati stessi». di Christian Draghi
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Ombrellaio, straccivendolo e barbone I mestieri del passato oltrepadano “Mulìta, cädrighè o cädärghè’, mägnän, umbrälè, cävägnè, spàsäcämê, märciàio, sträsè, ligéra, gelatè, frè, cantastòri “, sono attività ambulanti di un passato di cui ormai si è perso traccia: arrotino, impagliatore di sedie, stagnino, ombrellaio, riparatore di ceste, spazzacamino, merciaio, straccivendolo, barbone, gelataio, fabbro, cantastorie, sia i nomi che le attività di questi ambulanti si perdono nella poesia dei ricordi di chi ha avuto la fortuna di vivere quei magici e lontani anni, ma non trovano concreto rilievo nell’economia moderna poco disposta a riparare alcunché e più portata alla consunzione e sostituzione dei prodotti che la tecnologia moderna mette a disposizione OMBRELLAIO - era un anziano piemontese a volte accompagnato dal figlio. Tale era perché il padre così lo chiamava, ma in realtà non si era mai visto nulla di così diverso: tanto il padre era piccolo, tosto, nero e silenzioso quanto il figliolo alto, allampanato biondo, ridanciano e chiacchierone. Andavano di casa in casa riparando in loco, sotto un portichetto o all’ombra di un vecchio olmo, ombrelli o grandi ombrelloni da carrettiere. In quei tempi lontani nulla si buttava ed i vari attrezzi venivano usati sino a consunzione, riparati se possibile, riusati sino alla dissolvenza del materiale e mai gettati anzitempo. L’ombrello classico, di tela nera con fusto e manico di legno, stecche di ferro e gancetti di filo metallico, a volte subiva lesioni o falle riparabili. Si accantonavano in attesa ad’lumbrälè e si affidavano alle sue abili mani che provvedevano a ricucire o rammendare la tela, a sostituire la stecca o il manico rotto o, se possibile, a ripararli. Solo in casi disperati gli artigiani consigliavano la sostituzione dell’attrezzo e ciò non accadeva mai se in questione era l’ombrellone da carrettiere. In origine era usato dai carrettieri che non potevano interrompere il viaggio intrapreso anche se pioveva o nevicava; dovevano continuare a dispetto delle momentanee avversità confidando nell’assistenza del fedele ombrellone: era enorme, riusciva a riparare contemporaneamente l’uomo a cassetta ed il cavallo aggiogato o il mulo di turno. Il grosso manico di olmo o altro legno resistente, era fissato lateralmente il carretto all’altezza dell’attaccatura delle stanghe, sorreggeva un enorme telo grezzo variamente colorato, fissato a bacchette di legno o canne di bambù. Le lesioni del telo venivano pazientemente riparate con pesanti cuciture che solo i riparatori professionisti sapevano realizzare usando enormi aghi e filo speciale. Raramente venivano inserite toppe che alteravano l’uniformità del disegno ma,
se necessarie, sopportate in nome del recupero ad ogni costo e non solo per motivi economici. Se iumbrälè si trovavano presso casa all’ora di desinare “l’ùra ad disnà” non era raro che fosse loro offerto un piatto di minestra ed un bicchiere di vino che consumavano all’ombra della pianta di casa rifiutando decisamente di sedersi con la famiglia per non recare altro disturbo. A volte, richiesto, il vecchio artigiano riparava o costruiva capaci ceste di vimini dette in dialetto “cävägn o cavägnö” assumendo la veste ambulante di un antico mestiere che, generalmente, era eseguito presso la rimessa dell’artigiano “al cävägnö”. L’umbralè lasciava silenziosamente il paese seguito a notevole distanza dal chilometrico rampollo intento a giocare con i ragazzi, a scherzare con le ragazze o ad essere, a sua volta, scherzato dagli adulti. Il tutto in una bonaria atmosfera scevra da cattiverie, ripicche od angherie, tra brava gente che raramente concepiva la vita in modo diverso da un esperimento non chiesto da vivere con serenità ed allegria. Raffronto con i tempi presenti quel mondo rimarca i sentimenti di quegli uomini che vivevano serenamente pur in presenza di povertà ed ignoranza che oggi sicuramente favorirebbero l’aggressività .
STRACCIVENDOLO - in dialetto l’appellativo “sträsê” rende più l’idea di uno strano mestiere che essenzialmente prevedeva il ritiro di stracci ma anche delle pelli di piccoli animali; i toscani, nel loro fossile e noioso dialetto, come veniva definito da Gianni Brera, lo appellavano cenciaiolo. Gli stracci o cenci di cui stiamo parlando, non erano le linde pezzuole che oggi rinveniamo nelle nostre cucine o nei ripostigli: erano brandelli informi di stoffe o di maglie che, oltre alla primaria funzione per cui erano nate, avevano già svolto l’onesta attività di supporto allo scarso riscaldamento delle case, alla nobile funzione di straccio o canovaccio nella sua più ampia accezione, ad un’ulteriore cernita per ricavarne suole o tomaie di eleganti ciabatte realizzate dalle donne di casa nei mesi invernali, che rispetto agli zoccoloni di legno, erano molto più calde e silenziose ed infine ormai ridotti ad informi brandelli di stoffa, venivano ceduti come stracci al Mändrògn. Non era il nome dell’ambulante
Giuliano Cereghini
ma la località di provenienza dello stesso: Mandrogne in provincia di Alessandria, nota località patria di personaggi dediti a lavoretti sani e disposti a tutto pur di sfangare qualche liretta anche se di dubbia provenienza. L’altro filone di affari trattati riguardava le pelli di coniglio, di lepre e di altri piccoli animali di cui e bene dimenticare il nome. I graziosi animaletti venivano soppressi con un colpetto ben assestato sulla cervicale, venivano scuoiati e le pelli rovesciate venivano impagliate perché meglio seccassero impedendo il deterioramento che le avrebbe reso inservibili. L’uomo si presentava un paio di volte all’anno con un triciclo munito di un ampio pianale posteriore, raccoglieva stracci e pelli chiedendo di essere pagato per il servizio prestato e dopo le risolute rimostranze dei contadini, accettava di pagare pochissimo il materiale che raccoglieva spesso offrendo in pagamento un puzzolentissimo quadrotto di sapone di dubbia provenienza. Truce come era arrivato, ä strasê lasciava il paese pedalando a fati-
ca senza salutare nessuno e senza che alcuno sentisse la necessità di offrire come consuetudine, un bicchiere di vino o una fetta di salame. Improvvisamente non si presentò al consueto incontro semestrale, e neppure l’anno seguente: voci di paese riportavano turpi avvenimenti a Lui attribuiti e di soggiorni nelle patrie galere. Qualche tempo dopo un onesto operatore della zona sostituì nel ritiro degli stracci e delle pelli al Mandrògn, senza rimpianto alcuno da parte dei suoi clienti. Solo chi ha avuto occasione di vedere il materiale di che trattasi può esattamente comprendere il significato della frase ‘non buttare via nulla’ ma i tempi e le ristrettezze economiche di un paese ridoto sul lastrico da uomini incauti, contemplavano anche nobili sacrifici per risollevare la testa e rimettersi in linea. BARBONE - il brutale termine italiano non rende merito alla poesia di un clochard o di una ligèra di quei tempi ma tant’è, le varianti lessicali dell’italiano sono ben note e sottolineate da moderni barbari che, se
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò sognanti, sono innocui, ma da svegli perseguono sanguigne espressioni dialettali che, seppur prive di costruzione logica, spesso sono dirette ed efficaci. Una domanda sorge spontanea: perché parliamo di barboni assimilandoli ai mestieri ambulanti? Perché sostanzialmente ambulanti lo erano più di altri ed il loro aveva tutte le caratteristiche di un mestiere. Tanti ne passavano in quei primi anni del dopoguerra: sbandati, poveri, traditi dalla patria o dalla moglie, senza arte ne parte preoccupati esclusivamente di procurarsi un bicchiere di vino, un piatto di minestra e un portico sotto il quale ripararsi dormendo su un comodo letto di paglia. Uno però è rimasto nel mio e nel cuore di molti che lo conobbero in quegli anni: Paolo Braghieri da Piacenza detto Pàul ciùc. Era un impiegato delle poste in pensione, reduce della guerra quindicidiciotto, rimasto con il cuore, con la mente e con tutto il suo sentire nelle trincee del Grappa e del Monte Nero dove era stato gravemente ferito. Indossava esclusivamente vecchi abiti militari che consunti, sostituiva con donazioni da privati o direttamente al distretto militare di Piacenza. All’apparenza destava quasi apprensione nella sua divisa sdrucita, con quegli scarponi troppo larghi per Lui e con quell’andatura dondolante e ritmica che gli conferiva un’aria patetica e toccante nel medesimo tempo. La sera, ubriaco fradicio, entrava nell’osteria del paese, iniziava a camminare, quasi a marciare avanti ed indietro misurando in silenzio la stanza, quindi repentinamente si fermava e con aria spiritata, alzava la mano destra tendendo l’indice verso l’alto esclamando ad alta voce “abbiamo ricacciato il lupo tedesco nelle sue tane e glùm tnìc col müs in tlà màta can ad la....” - abbiamo respinto il nemico tenendogli la faccia nella malta, cane di.....- Ultimata la sfuriata nel silenzio dei presenti, Paul riprendeva a misurare a falcate dondolanti la stanza in tutta la sua lunghezza per ripetere la patriottica sfuriata diverse volte. Non dava fastidio a nessuno, non chiedeva elemosine, perché disponeva di una magra pensioncina che ritirava all’ufficio postale, si aggirava per i paesi ben voluto da tutti ed aiutato da molti in cambio di picco-
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li leggerissimi lavoretti. Casa mia era tappa obbligata per il piacentino: mia nonna offriva sempre un piatto di minestra ed un bicchiere di vino al povero uomo a condizione che non fosse già ubriaco nel qual caso lo rimproverava severamente negandogli il vino e provocando un contrito e sincero pentimento momentaneo. Chiaramente minestra e vino venivano rispettivamente versate nella gavetta e nel gavettino militare e consumate per sua volontà, all’aperto anche quando il tempo era inclemente; d’inverno accettava di dormire nella stalla dopo aver consegnato i fiammiferi a mio padre che temeva incendi provocati inavvertitamente dall’accensione del sigaro. Il mattino seguente i fiammiferi venivano restituiti al legittimo proprietario che, se si offriva per qualche leggero lavoretto, denunciava il suo desiderio di sgranocchiare un po’ di pane e formaggio che la nonna realizzava con il latte delle nostre mucche. Salutava tutti, ringraziava ed iniziava il giretto che lo riconsegnava a Bacco dopo poco tempo. Dopo due giorni di neve un pomeriggio ricomparve in fondo alla stradina che conduceva alla mia cascina; non aveva il coraggio di presentarsi alla nonna che lo avrebbe sonoramente redarguito stante la sua situazione altamente alcolica; mi chiamò con la mano ed appena giunsi al suo cospetto, mi ricordò che i miei familiari erano molto buoni con Lui, tutti, anche la nonna. Mio fratello
Gianni, detto allora Gianô per le notevoli dimensioni e per il colorito roseo che perennemente esibiva, ci raggiunse curioso. Paul, appena lo vide, lo squadrò a lungo e disse “come sei bello, ti voglio dare un bacio” Si avvicinò e, mentre si abbassava per baciarlo, gli franò addosso seppellendolo letteralmente nella neve fresca ed abbondante. Il tenore alcolico impediva al povero uomo i movimenti e quindi non riusciva a rialzarsi, imprigionando sotto di se nella neve fresca mio fratello. Provai a spostare il vecchio beone con tutte le mie forze ma non riuscii nell’intento. Da lontano mio padre aveva assistito agli avvenimenti, si avvicinò ridendo, prese il malcapitato per il pastrano e lo
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sollevò di peso mentre Gianni si rialzava a sua volta un po’ spaventato. Dopo un attimo d’imbarazzo scoppiammo in una risata liberatoria mentre il buon Paul, sorretto da mio padre, abbracciava con trasporto Gianni finalmente sorridente. Mio padre sempre ridendo, accompagnò la stagionata ligèra dalla nonna pregandoLa per una volta di non sgridarlo, di rifornire la gavetta militare di un po’ di minestra e il gavettino di un’abbondante razione di barbera prima di alloggiarlo al caldo tepore della stalla avendo rifiutato di entrare in casa per scaldarsi al morbido tepore del camino. Per tanti anni Pàul ciùc si è aggirato dalle nostre parti, sempre militarmente impegnato, buono come un pezzo di pane e spesso ubriaco come una bertuccia. Improvvisamente diradò i suoi giretti sino a non presentarsi più . Si seppe che una figlia era riuscita a convincerLo e ad accasarLo presso un ricovero per anziani da dove non usci più . Il Suo corpo non usci dal ricovero non la Sua anima che per la verità non vi era mai entrata, era ed e’ ancora a S.Eusebio per le vie del paese o meglio, lassù sul Grappa e nelle trincee del Monte Nero a fronteggiare spavaldamente i crucchi, con un cappello alpino, un vecchio pastrano militare e il sorriso beffardo di uno degli uomini più buoni che io abbia avuto avventura di conoscere. di Giuliano Cereghini
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«Sono più che pronta a prendermi cura del mio Comune in prima persona» Il 26 maggio 2019 si è votato per il rinnovo della carica di Sindaco e del Consiglio Comunale. Robecco Pavese ha visto insediarsi, in qualità di neo Prima Cittadina, Elena Villani, la quale ha ottenuto la vittoria insieme alla lista “Nuovi Orizzonti”, di cui è membro già da sei anni. La situazione del comune, nel complesso, è buona e stabile. Inoltre, il sindaco smentisce la problematica riguardo un presunto semaforo che starebbe causando disagi ai cittadini: si tratta di un malinteso. Sindaco, cosa ne pensa del risultato delle elezioni? Ne è soddisfatta? «Assolutamente; la vittoria di queste elezioni è stata gratificante, un’enorme emozione; tuttavia, al contempo, sono anche consapevole dell’enorme responsabilità che grava sulle mie spalle, in quanto dall’operato mio e della mia squadra dipendono il futuro del mio Paese e un’appagante qualità di vita per i cittadini. Il nostro gruppo, “Nuovi Orizzonti”, si è formato nel 2004 e ne sono entrata a far parte nel 2014 nel ruolo di Consigliere Comunale. Già da allora, durante le legislature precedenti, abbiamo dato prova di tener fede agli impegni presi e di saper operare con onestà, competenza e responsabilità, raggiungendo importanti risultati. Ora, in qualità di sindaco, sono più che pronta a prendermi cura del mio comune in prima persona». Qual è il maggiore punto di forza della nuova amministrazione? «Sappiamo gestire le finanze in maniera efficiente: con soddisfazione possiamo affermare di aver realizzato tutte le nostre opere senza ricorrere a nuovi finanziamenti, riuscendo anche ad ottenere un buon avanzo di amministrazione, grazie ad una opportuna razionalizzazione delle spese e ad una contemporanea riduzione dei debiti contratti nelle amministrazioni precedenti. Abbiamo abbastanza risorse per affrontare le spese necessarie, che riguardano ad esempio i servizi sociali. Inoltre facciamo parte del Piano di Zona di Casteggio, che ci garantisce delle sovvenzioni». Al momento il Comune ha all’attivo lavori rilevanti? «Sì, sono trascorsi pochi mesi dal nostro insediamento ma, grazie ad un finanziamento regionale, quindi che non comporta un esborso di spesa per il nostro Comune, stiamo provvedendo alla riqualificazione del Rile San Zeno. C’è da dire anche questo: siamo stati molto fortunati, oggi e in passato, ad aver ottenuto dei finanziamenti a livello regionale e statale; ovviamente faremo del nostro meglio per sfruttare nella maniera più efficiente possibile anche altri eventuali sussidi futuri. Tra non molto ci metteremo al lavoro
Elena Villani, neo eletto sindaco di Robecco Pavese
presso il Campo Sportivo Comunale per lo smantellamento della copertura in eternit degli spogliatoi, e la sostituzione degli impianti di riscaldamento ed elettrici volti all’efficientamento energetico. Sempre nel corso di quest’anno si otterrà un nuovo finanziamento, con il quale si provvederà alla ristrutturazione, all’ampliamento e alla messa in sicurezza dell’area adibita a Campo Sportivo Comunale. A giorni ci sarà un incontro con i vertici di ASM Voghera per l’installazione di proiettori a LED, per migliorare la qualità dell’illuminazione pubblica, e di videocamere, per garantire un’ancora maggiore sicurezza del nostro territorio. Sempre con ASM Voghera stiamo lavorando per affidare il servizio di raccolta, trasporto e smaltimento rifiuti volto a ridurre i costi nella tutela dell’ambiente. Infine, è nostra intenzione ampliare il
Cimitero Comunale mediante la realizzazione di nuovi loculi e cappelle gentilizie nell’area adiacente acquistata in precedenza». Per quanto riguarda le strade, com’è la situazione? Online sono presenti articoli riguardanti un semaforo che starebbe causando disagi ai cittadini. «Robecco è un Comune di pochi abitanti ma si estende su una superficie di 6,93 Km², è attraversato da due strade provinciali e da alcune di competenza comunale: le strade comunali che presentavano situazioni disagevoli sono state soggette a manutenzione; le strade Provinciali interessate dai lavori per la sostituzione delle tubazioni del gas metano, verranno riasfaltate. A proposito del semaforo, ci sono arrivate parecchie segnalazioni in merito, perché si riferisce ad un altro comune quasi omonimo: Robecco sul Naviglio,
non Robecco Pavese. Capita spesso che la gente si confonda e chieda spiegazioni, ma la problematica non riguarda il nostro Comune». In che rapporti siete con i comuni limitrofi? «Direi ottimi; la solidarietà e l’aiuto reciproco non mancano: come già detto, facciamo parte del Piano di Zona di Casteggio; con il Comune di Pinarolo Po abbiamo condiviso il progetto di riqualificazione del Rile San Zeno; con il Comune di Bressana Bottarone abbiamo collaborato in passato e speriamo di farlo anche per il futuro; nel Comune di Casatisma si sta sviluppando un’ importante logistica che spero coinvolga i terreni insistenti sul nostro territorio». di Cecilia Bardoni
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Porta a porta a singhiozzo: «In alcune frazioni la raccolta non è mai partita» Raccolta differenziata, amianto, assunzioni e molto altro. Giusy Vinzoni, consigliere di opposizione del gruppo “Broni in Testa”, interviene per segnalare una serie di disservizi legati all’avvio del servizio porta a porta nella raccolta rifiuti, contestare delle assunzioni in seno al comune ritenute superflue e per chiedere lumi sulla rimozione di alcuni container in via Po che secondo alcuni cittadini potevano contenere amianto. Vinzoni, iniziamo dal tema della raccolta differenziata porta a porta che è partita qualche mese fa. Cosa non funziona? «Il porta a porta è iniziato a novembre. Noi del gruppo di minoranza abbiamo più volte sottolineato, sia nelle commissioni che sui social, che i problemi di questo tipo di raccolta ci sono e sono tanti. Il Sindaco Riviezzi si dichiara soddisfatto. Mi chiedo: soddisfatto da che cosa? Tutte le volte che c’è il passaggio del servizio di raccolta differenziata leggiamo post sui social di zone in cui gli incaricati non sono passati. Una volta può essere un caso, un’altra volta può essere una dimenticanza, e poi? Teniamo anche conto che siamo dovuti intervenire noi come minoranza perché riceviamo molte segnalazioni. Siamo contenti di poter aiutare laddove le cose non funzionano, ma ci spiace perché questo evidenzia un disservizio. Addirittura siamo dovuti intervenire noi per far capire che in una frazione la raccolta non era addirittura mai iniziata: dopo la nostra segnalazione il camioncino ha iniziato a passare. L’ultima segnalazione che abbiamo ricevuto è di una signora della frazione Mattelotta, ultima cascina al confine di Broni, che ad oggi non ha mai avuto il servizio di raccolta porta a porta. Le sono stati consegnati i bidoni, che sono regolarmente esposti fuori dalla casa della signora, ma mai nessuno è passato a raccogliere. di conseguenza, in quella zona, c’è un grande problema. Siamo sempre in contatto con gli abitanti che ci hanno comunicato di aver avuto un proficuo incontro con l’assessore di riferimento che ha promesso che posizioneranno dei bidoni dove le persone potranno andare a buttare i rifiuti. Staremo a vedere». Contestate la gestione da parte della Broni Stradella Pubblica, concessionaria del servizio? «Non capiamo perché a Broni questi problemi si verifichino quotidianamente. Chi svolge questo servizio non lo fa per la prima volta, lo fa in altri paesi e quelle che possono essere le problematiche di Broni sono quelle che ci sono anche altrove. La raccolta porta a porta è sicuramente una novità per tutti, ma non di certo per
Sospetto amianto: «Container rimossi da via Po, ci dicano cosa c’era dentro»
Giusy Vinzoni, consigliera di minoranza
chi la fa, cioè per la società che gestisce questo ambito». Disfunzioni nel servizio raccolta rifiuti a parte, come valuta la pulizia generale della città? «Non abbiamo più i bidoni e di conseguenza i mobili appoggiati ai bidoni, ma in compenso abbiamo una città piena di deiezioni canine e di sacchetti contenenti queste deiezioni. So che dovrebbero finalmente arrivare più cestini, dopo varie nostre richieste, che sono indispensabili e servono a chi ha i cani. Basta girare per la città, comunque, per vedere la situazione… quello che ci sembra strano è proprio questo: non ci possono essere due visioni, la nostra e quella dell’amministrazione, così diverse dello stesso paese. Il Sindaco non può dire che va tutto bene, mentre noi diciamo che ci sono problemi. Ci sono zone in cui c’è pieno di bottiglie di plastica, lattine di metallo, sacchetti abbandonati. è vero che c’è maleducazione della gente e questo noi l’abbiamo sempre detto, ma c’è anche un servizio che non funziona. Ci sono state anche tante segnalazioni di persone che dopo il passaggio del camioncino si sono ritrovati tutto sparso per terra. Poi ci auguriamo però che tutto venga poi correttamente smaltito. Il Sindaco aveva poi promesso di convocare periodicamen-
te delle Commissioni per parlare di questo argomento…». è avvenuto? «Ho chiesto al Sindaco di convocarne una, perché ci sono temi di cui bisogna assolutamente discutere, ma ad oggi non ho avuto risposta affermativa. Probabilmente per lui va tutto bene, visto quello che dichiara ai giornali: gli consiglierei, però, di farsi qualche giro per Broni… ricordandogli che siamo ancora in inverno e il ‘problema rifiuto’ non è ancora così pesante… aspettiamo il caldo e la primavera… gatti, scarafaggi e topi che girano…». Come si può fare, secondo lei, per migliorare il servizio? «Il Sindaco deve far valere la sua posizione, nei confronti di chi questo servizio lo deve svolgere e lo deve fare in maniera corretta. A tre mesi di distanza dall’inizio di questa nuova raccolta, il trovarsi tutti insieme per parlare di questo argomento mi sembrerebbe giusto e utile. Mi piacerebbe anche vedere dei dati sui risultati di questi primi mesi: gli aggiornamenti in merito possono anche essere gratificanti per chi la raccolta la fa e la fa bene». Non sono previste sanzioni per chi sgarra? «Le sanzioni erano previste e lo aveva specificato l’amministrazione nel regolamento della raccolta differenziata. Poi il Sindaco aveva fatto marcia indietro, er-
roneamente secondo me. La sanzione, infatti, non deve essere esagerata: è chiaro che se un cittadino si sbaglia a mettere un tappo di plastica nel sacchetto della carta non avrà la multa, ma deve essere di sprono per chi la raccolta differenziata la fa in maniera più ‘leggera’ a stare più attento, a seguire le regole. Non ci deve essere un regime di terrore, ma sventolare il fatto che non ci saranno sanzioni mi sembra eccessivo… Noi, comunque, continueremo nel nostro lavoro e continueremo a far vedere quello che non va, fotografando e documentando anche sui social». Sui social avete polemizzato sulla questione inerente una nuova assunzione decretata dal Sindaco. Cosa è accaduto? «Ci siamo trovati di fronte a un nuovo decreto, per cui è stato nominato come “collaboratore dell’ufficio di staff del primo cittadino” il dottor Edoardo Depaoli. Premetto una cosa importantissima: tutto questo discorso non ha nulla a che vedere con il soggetto scelto, che giudico persona in gamba. La cosa che ci ha lasciato basiti, e non solo noi, è la motivazione data per questa assunzione: “Depaoli supporterà il sindaco, occupandosi di seguire i suoi impegni in agenda, aprendo la corrispondenza particolare, curando i rapporti con i gruppi consiliari e svolgendo le attività che il sindaco riterrà utili”. Siamo arrivati ad un anno dalla fine del mandato: ma era davvero necessaria questa mossa? Il Sindaco è stato nominato nel 2016 e nel 2019 si rendi conto della necessità di avere un collaboratore? è una figura che serviva davvero?
BRONI Probabilmente serviva una figura in qualche altro settore, come per esempio, un cantoniere. Ma non è finita qui». Cioè? «Da poco abbiamo attivato un servizio mail per ricevere le segnalazioni dei cittadini (bronintesta.broni@libero.it), mantenendo assolutamente la privacy degli abitanti, per critiche costruttive e non. E proprio grazie a una mail che ci è arrivata abbiamo scoperto che da poco c’è anche una persona delegata alle associazioni sportive. Anche qui nulla da dire sulla persona scelta per questo ruolo, ma ci chiediamo sempre a cosa serve, visto che abbiamo un Assessore allo Sport che viene pagato». Dell’Università dei Sapori di cui non si è saputo più nulla c’è qualche novità? «è una misteriosa università. è stata pubblicizzata tempo fa come la struttura che avrebbe dovuto dare pregio a tutto l’Oltrepò… peccato che nessuno dica nulla. Funziona? Non funziona? Quanti sono gli iscritti? Ci sono stati laureati? Non si sa niente, nessuno ne parla. Mi ricordo la fatica che avevamo fatto per andare a vedere con i nostri occhi i locali di questa Università: una struttura veramente meravigliosa che però, è bene ricordarlo, a Broni e ai bronesi è costata tantissimo. Giro la sua domanda al sindaco». Tornando un attimo al servizio mail che avete attivato, avete avuto altre importanti segnalazioni? «Devo dire di sì. Per esempio, ci hanno fatto notare che, sotto la rampa dell’autostrada, dall’oggi al domani, hanno smontato i container che stavano lavorando. Io e il mio collega Luigi Catena abbiamo fatto un giro qui, in via Po: la situazione
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è drammatica, perché è una strada brutta e distrutta, una zona dimenticata. In cui però abitano cittadini bronesi che hanno diritto di vivere in una zona in cui il comune sia presente. Bisogna controllare questa zona e l’amianto che c’è sempre stato, a detta di chi abita lì. A questo punto abbiamo presentato un’interrogazione all’amministrazione, chiedendo se lo smontamento dei container sia dovuto alla presenza proprio dell’amianto. Vedremo cosa ci risponderanno…». Per ultimo, parliamo del Teatro Carbonetti. Tempo fa avevate sollevato perplessità sui costi di gestione. Come è proseguita la vicenda? «Si tratta di un argomento triste, perché trovo che sia davvero pazzesco non riuscire ad avere quattro risposte in croce. La cosa che mi da più fastidio è che quando parliamo di teatro, questo fatto viene sempre strumentalizzato: la dimostrazione l’ho avuta incontrando una signora in giro per il paese che mi ha chiesto “Ma perché tu ce l’hai con il teatro?”. Questo mi ha fatto capire che, purtroppo, il messaggio che qualcuno vuol far girare è che noi della minoranza siamo contro il teatro. E non sappiamo più come dire che non è così! Nessuno di noi è contro il teatro, contro la cultura o contro la struttura del Carbonetti. Quello che chiediamo sono spiegazioni su alcuni costi che il teatro deve gestire. Potrebbe bastare un incontro con il Sindaco per chiarire un sacco di nostri dubbi, magari è sufficiente una sua semplice spiegazione per farci capire come stanno le cose».
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Il sindaco assume un nuovo collaboratore: «Si accorge dopo tre anni di averne bisogno?»
di Elisa Ajelli Broni: Piazza San Francesco - Via Parini
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Ottenuto il finanziamento per l’ultimo tratto della Gronda Nord In questi primi dieci mesi dal suo insediamento, la nuova amministrazione di Stradella si è trovata ad affrontare diverse problematiche, non solo con la realizzazione di progetti nuovi, ma anche portando a termine quelli approvati dalla vecchia amministrazione. A parlarcene è Roberta Reguzzi, architetto e Assessore esterno con deleghe alla pianificazione urbanistica e edilizia privata, all’ecologia e ai rapporti con le frazioni. A dieci mesi dal vostro insediamento, quali progetti avete portato a termine? «Abbiamo concluso diversi lavori, in parte già programmati dalla precedente amministrazione: completamento dell’illuminazione pubblica con 1800 punti luce, in aumento rispetto al progetto precedente su richiesta dei cittadini; lavori di efficientamento energetico; adeguamento impiantistico del Palazzetto dello Sport e dello Stadio “Scirea”; sostituzione della copertura in amianto sempre del Palazzetto; rifacimento di alcuni marciapiedi della Piazza Vittorio Veneto; lavori di manutenzione straordinaria all’ala ovest del nuovo cimitero». Spesso le frazioni sono le zone che manifestano maggiori attenzioni. è da poco stata istituita la Consulta Permanente delle Aree Omogenee. Di che cosa si tratta? «Abbiamo istituito la Consulta Permanente delle Aree Omogenee, organismo di partecipazione della comunità locale alla vita amministrativa a base volontaristica e non a scopo di lucro, per cercare di risolvere le problematiche delle frazioni. è composta da cittadini residenti nelle sette aree periferiche di Casamassimini, Torre Sacchetti - Cassinello, Badia, Colombetta, Santa Maria - Valle Muto - Orzoni - Santa Croce, Solinga - Casa Agati - Montebruciato - Casa Berni, Cadonica - Boccazza. La Consulta rappresenta una modalità indispensabile per stimolare la più ampia partecipazione dei cittadini alla vita socio-politica: ha funzioni consultive e di coordinamento per la formazione e presentazione di istanze, petizioni e proposte da sottoporre all’Amministrazione Comunale, atte a tutelare gli interessi collettivi della Comunità residente nell’ambito territoriale. Si tratta di un istituto la cui funzione è rivolta all’individuazione di quei problemi propri delle specificità territoriali delle frazioni, favorendo la presenza dei cittadini alla formazione delle decisioni. Assicura un rapporto costante di collaborazione, diretto ed articolato fra Comunità e rappresentanza elettiva, nel quale i cittadini esercitano il ruolo di protagonisti.
Roberta Reguzzi, Assessore esterno con deleghe alla pianificazione urbanistica e edilizia privata, all’ecologia e ai rapporti con le frazioni
Consulta Permanente delle Aree Omogenee, «Nata per cercare di risolvere le problematiche delle frazioni» Il 22 gennaio si è riunita per la prima volta la consulta per definire le cariche: è stato nominato presidente Alessandro Torregiani che sarà affiancato dal vicepresidente Armando Zoccola e da Paola Tamborini, segretaria. Abbiamo già iniziato a lavorare sulle problematiche emerse, a cominciare dai temi della sicurezza, della mobilità, dei collegamenti pubblici fra le frazioni e la città: tutti aspetti che meritano un’attenta riflessione per trovare le soluzioni più adeguate». Parliamo della Gronda Nord: nell’aprile del 2019 i Comuni di Stradella e Portalbera avevano sottoscritto un protocollo di intesa per definire meglio gli aspetti viabilistico. Come sta procedendo il progetto? «La denominata “Gronda Nord” è un’ope-
ra strutturale che identifica il tracciato stradale tangenziale all’abitato della città di Stradella, finalizzato a costituire un by-pass all’abitato stesso nei confronti sia dei flussi di traffico provenienti da Nord e diretti al casello della Autostrada A21 di Broni-Stradella, sia dei flussi transitanti sulla direttrice Est-Ovest. L’espansione dei centri abitati di Broni e di Stradella e lo sviluppo economicosociale delle aree gravitanti nell’orbita di influenza di questi insediamenti hanno portato nel tempo ad un graduale incremento del traffico veicolare leggero e pesante sulle principali strade ordinarie intercomunali, particolarmente sulla Ex SS.10 “Padana Inferiore”. I fattori sopracitati hanno portato nel tempo a crisi sempre più frequenti della rete viaria urbana locale, con frequenti ingorghi nelle ore di
punta lungo tutta la Ex SS10 tra Broni e Stradella ed un sensibile aumento dei costi diretti ed indiretti di accesso alla rete autostradale, con particolare riferimento ai flussi provenienti dalla SP.200 e dalla SP.201. Quest’ultimo aspetto assume particolare importanza considerando anche le attuali limitazioni di transito ai mezzi pesanti imposte su due dei tre ponti sul Po esame (Ponte della Becca, Ponte di Spessa e Ponte di Pieve Porto Morone) che sono usualmente fruiti dagli utenti nelle aree in esame. La bretella stradale, pertanto, riveste fondamentale importanza nell’assetto urbanistico del territorio dell’ Oltrepò Pavese: il suo tracciato è già stato recepito nei Piani di Governo del Territorio dei comuni interessati (Stradella e Portalbera) e nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale. Del tracciato della Gronda Nord, per una lunghezza complessiva di ml. 3.770,00, è già stato realizzato il primo lotto di circa ml. 1.280,00 denominato “Via Zaccagnini”, ma restano da realizzare 3 tratti: due interventi sono a carico del soggetto attuatore del Piano di lottizzazione artigianale industriale “ATPS – Matellotta – Gronda Nord”, mentre il completamento dell’intera bretella è invece a carico del Comune di Stradella e Amministrazione Provinciale.
STRADELLA
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«La bretella stradale, riveste fondamentale importanza nell’assetto urbanistico del territorio dell’ Oltrepò» L’Amministrazione Comunale, particolarmente attenta e sensibile a questa problematica, si è attivata, contestualmente all’Amministrazione Provinciale, per ottenere un finanziamento ad hoc per completare l’ultimo tratto. A dicembre scorso è emersa l’opportunità di partecipare ad un riparto di fondi della società SATAP, gestore del tratto autostradale, per completare l’intera “Gronda Nord”. A tal proposito il progetto definitivo, completo anche dell’ultimo tratto, della cui stesura si è occupato il Comune, è stato inviato dall’Amministrazione Provinciale al Ministero, per partecipare al riparto di fondi; nel contempo è stata attivata la procedura relativa alla V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale), necessaria per mantenere l’equilibrio tra il bisogno di opere infrastrutturali e la necessità di preservare l’ambiente, al fine di acquisire il relativo parere di competenza. Appena ottenuto il parere sarà possibile dare l’avvio ai lavori del secondo lotto». Per quanto riguarda l’area industriale gli operai e i dipendenti delle aziende lamentano una rilevante scarsità di parcheggi. Più di un anno fa era stata presentata una raccolta firme, ma la situazione sembrerebbe invariata. Il Comune come pensa di affrontare questo problema? «Al fine di verificare lo scenario infrastrutturale verrà realizzata con personale qualificato e con la collaborazione della Polizia Locale un’indagine sul traffico delle strade interessate al problema, per individuare i principali flussi veicolari con particolare riferimento alle fasce orarie di carico e scarico della merce. Nel frattempo, stiamo individuando delle aree potenzialmente adatte a realizzare un parcheggio aggiuntivo». Altre problematiche di cui vi state occupando riguardano l’ambiente, nello specifico la pulizia dei fossi e l’inquinamento da amianto. La nuova amministrazione cosa sta facendo a riguardo? «Per quanto riguarda la regimazione idraulica dei fossi, abbiamo ottenuto un contributo regionale di € 85.000,00 relativo all’intervento di “Sistemazione idrogeologica per il consolidamento della strada
Il progetto completo della Gronda Nord
per Torre Sacchetti. Inoltre, sempre tenendo conto delle esigenze del territorio parteciperemo, al bando regionale “Misure forestali, sistemazioni Idraulico Forestali e Imboschimento” al fine di ottenere un finanziamento riguardante i “Lavori di risagomatura di un tratto del Rio Rividizzolo“, dell’importo di € 40.000: il fosso che scorre nella parte sud del territorio è soggetto ad esondazione a causa delle piogge e necessita pertanto di una corretta regimazione idraulica. Per l’inquinamento da amianto di concerto con il Comune di Broni ci siamo attivati per estendere il perimetro del SIN agli interi territori comunali di Broni e Stradella. Qualora l’istanza venisse accolta dal Ministero dell’Ambiente permetterebbe di aiutare, concretamente con incentivi pubblici, anche i privati cittadini a rimuovere e smaltire le coperture di amianto sparse sul territorio, la cui bonifica è rallentata dal costo elevato dello smaltimento. La nostra Amministrazione è particolarmente attenta anche al benessere degli animali, a tal proposito per promuovere l’affidamento dei cani randagi ritrovati sul territorio ed ospitati presso la struttura deputata alla custodia e cura convenzionata con il Comune è stata creata una pagina web che si trova sul sito istituzionale,
«Per l’inquinamento da amianto di concerto con il Comune di Broni ci siamo attivati per estendere il perimetro del SIN agli interi territori comunali di Broni e Stradella» dove i cittadini possono conoscere i nostri cani e possibilmente accoglierli nella propria casa». Quali altri progetti pensa di portare a termine durante il suo mandato? «Direi che è ancora prematuro elencare i progetti che si pensa di portare a termine, soprattutto perché la maggior parte sono ancora in fase di programmazione e progettazione. Per quanto riguarda il mio assessorato, sicuramente a breve verrà concluso l’iter riguardante l’approvazione del nuovo Regolamento Edilizio Tipo, con un impianto unico per tutto il Paese che comporta un’evidente semplificazione nel lavoro dei professionisti. Nei prossimi mesi verrà assegnato anche
l’incarico per la stesura del Piano Cimiteriale, propedeutico all’ampliamento del cimitero, in quanto le disposizioni dell’ATS non consentono di approvare progetti definitivi in assenza del suddetto piano. Prima di chiudere il mio mandato, gradirei veder realizzati i primi due tratti della “Gronda Nord”, l’ampliamento del cimitero, e vorrei iniziare la riqualificazione della città, in particolare per quanto riguarda il centro storico, concludere il parcheggio comunale in Vicolo Oratorio e completare il rifacimento dei marciapiedi». di Manuele Riccardi
REDAZIONALE A PAGAMENTO
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STRADELLA
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«Stiamo valutando l’avvio del progetto Muro Solidale, per donare indumenti ai meno fortunati» Dal 2004 a Stradella opera un’associazione che si occupa di beneficenza e lo fa con successo. Il suo nome è “La Casa del Sole”, ne abbiamo parlato con la presidente Federica Sclavi. Presidente, quali sono le finalità che si prefigge l’Associazione? «La Casa del Sole è un’associazione che persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale, non ha fini di lucro ed ha per oggetto l’attività nel settore della beneficenza. è inoltre regolarmente iscritta all’Anagrafe Unica delle Onlus ai sensi del D.Lgs n. 460/1997 tenuto dall’Agenzia delle Entrate Direzione Regionale della Lombardia». Quando e come è nato questo progetto? «è nato a Stradella, nel giugno del 2004, per desiderio di alcuni amici di riservare un pò di tempo, energie e denaro a chiunque ne avesse bisogno». Chi ha partecipato alla nascita di questa associazione e adesso come siete organizzati? «Come detto, l’associazione nasce grazie ad un gruppo di amici, professionisti operanti in diversi campi, che hanno messo a disposizione le loro professionalità. La Casa del Sole, essendo una Onlus riconosciuta, opera seguendo le indicazioni di un Presidente che rappresenta il Consiglio Direttivo composto da nove membri. Periodicamente si riunisce l’Assemblea di tutti gli Associati per l’approvazione del bilancio, nomina dei consiglieri e molto altro». Quali sono le vostre finalità e come agite sul territorio? «L’oggetto dell’attività della associazione, ben delineato nel suo Statuto, riguarda la beneficenza che si può concretizzare attraverso attività assistenziali, educative, ricreative e culturali principalmente a favore di persone o famiglie svantaggiate, particolarmente bisognose per motivi riconducibili a disagio socio - economico, condizioni sanitarie, handicap, fragilità sociale. Vengono attuate anche forme di sostegno economico, quali ad esempio il pagamento di utenze domestiche o fornitura di generi e beni di primaria necessità. Particolare attenzione viene, poi, data alle famiglie con minori, anziani, disabili, anche attraverso l’intervento di volontari o di operatori professionali appositamente individuati. Possono essere svolte anche attività accessorie ed integrative di quelle istituzionali quali ad esempio la promozione di manifestazioni di ogni genere come conferenze, incontri, scambi culturali, istituzioni di borse di studio sempre finalizzate ad aiutare persone o famiglie svantaggiate.
La Presidente Federica Sclavi
La nostra associazione, al fine di raccogliere fondi destinati alle varie attività contemplate dallo Statuto, organizza inoltre numerosi eventi, come cene benefiche, eventi a teatro e altro ancora, durante i quali i partecipanti, divertendosi, contribuiscono con le loro donazioni alla realizzazione dei vari progetti. Una di queste serate si terrà a fine meseio presso il ristorante “Locanda dei Beccaria” a Montù Beccaria. Insieme a tanti amici festeggeremo il carnevale con una bella serata di musica ed allegria. Approfitto per ringraziare i proprietari, Franco e Luisa, in quanto l’incasso della serata andrà totalmente alla Casa del Sole per la realizzazione dei propri progetti. Ricordo inoltre che anche per il 2020 è prevista la possibilità per i contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell’Irpef a finalità di interesse sociale. Tutte le indicazioni a tale fine si possono trovare nel sito internet della associazione». Quali sono le attività che avete attualmente in corso? «Stiamo attuando aiuti diretti alle famiglie bisognose ed è in corso di programmazione con le scuole primarie della zona il progetto di dopo scuola denominato “Oltre Scuola” che è nato diversi anni fa per offrire un servizio educativo pomeridiano agli studenti della Scuola Primaria. Si tratta di un servizio di supporto allo studio, gratuito per i partecipanti, svolto da professionisti psicologi incaricati dall’Associazione, oltre che da volontari. La Casa del Sole si rivolge anche ai Comuni della zona e ai servizi sociali dei medesimi al fine di conoscere quali situazioni siano meritevoli di attenzioni». E quali invece ricordate maggiormente tra le attività fatte in passato? «In passato ricordiamo sicuramente il ser-
vizio domiciliare a favore di malati terminali, il progetto Custode Sociale che consisteva nell’invio presso l’abitazione di anziani bisognosi di figure specializzate che provvedevano alla spesa, alle faccende domestiche o semplicemente alla compagnia degli anziani stessi. Infine, la donazione al comune di Stradella di un pullmino per il trasporto di disabili e anziani bisognosi». Il vostro “bacino” è il territorio oltrepadano? «Sì, la zona interessata dalla nostra attività è sempre l’Oltrepò Pavese». Vi piacerebbe estendere la vostra attività anche al di fuori dell’Oltrepò? «L’abbiamo già fatto in passato, ma poi ci siamo resi conto che anche nella ricca Lombardia ci sono situazioni di povertà inimmaginabili. E queste situazioni di bisogno non riguardano solo persone provenienti da altri Paesi, ci sono tanti residenti che vivono in povertà ma che per pudore o vergogna non si manifestano. Operare su un territorio conosciuto ci dà la speranza di riuscire ad arrivare anche a loro».
Quali sono i progetti per il 2020? «Oltre al proseguimento delle attività in essere, stiamo valutando l’istituzione di borse di studio e l’avvio di un progetto che sta prendendo piede nella maggiori città del mondo, il Muro Solidale. Si tratta di attrezzare una parete con ganci e attaccapanni in una via del centro Città. Si possono lasciare cappotti, abiti caldi e altri indumenti che possono essere presi da chi ne ha bisogno. In particolar modo nei periodi invernali e nei mesi più freddi dell’anno, il muro della gentilezza incoraggia molte persone a lasciare indumenti che non utilizzano più per donarle a chi è meno fortunato affinché possa difendersi dal gelo. Soprattutto con l’avvento del Natale sono molte le città che hanno preso parte a questa iniziativa benefica, diventando virale sui social e nel mondo. Il motto è: “Se non hai bisogno lascialo, se ne hai bisogno prendilo”». di Elisa Ajelli
Progetto “Oltre Scuola” diretto alle famiglie bisognose
Il vice presidente Sandro Evangelisti con l’ex sindaco Maggi durante l’inaugurazione del mezzo donato al Comune dall’Associazione
portalbera
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Ciclabile Portalbera-Stradella: «Con l’amministrazione di Stradella l’accordo c’è già» Il Sindaco di Portalbera, Pierluigi Bruni, traccia un bilancio di quello fatto finora per il suo paese e racconta quello che avverrà in questo nuovo anno. Soprattutto con un argomento che al primo cittadino sta sempre molto a cuore, la scuola. Sindaco, come è andato il 2019? «Direi bene. Abbiamo fatto molte opere, dalla viabilità alle scuole. Tanti lavori erano iniziati nel 2018 e l’anno scorso si sono conclusi, specialmente quelli della viabilità». Lei ha da sempre molto a cuore la scuola «è vero. Deve ricordarsi una data: il 30 maggio. In quel periodo ci sarà la conclusione del concorso di letteratura ‘Luigi Heilmann’, che era uno scrittore originario del nostro paese che scrisse ‘La parlata di Portalbera’. Tutti gli anni, la nostra amministrazione, insieme con la biblioteca, organizza questo concorso di scala provinciale, per gli studenti delle classi quarta e quinta elementare e per quelli delle scuole medie di tutti gli istituti della Provincia. Siamo giunti alla nona edizione: è sempre stato un grande successo e speriamo che anche quest’anno sia così. Il momento della premiazione, poi, è molto bello e suggestivo. Oltre agli studenti vincitori, vengono i professori e i dirigenti degli Istituti. Un momento molto bello per la nostra comunità, se si pensa, oltretutto, che questo concorso aumenta di iscrizioni di anno in anno… siamo arrivati a quasi 200 elaborati da correggere! E vengono tutti corretti da docenti universitari». Il fatto che si sia giunti all’edizione numero nove è sintomo di successo… «Assolutamente sì. E aumentano sempre di più anche i posti da dove gli studenti partecipano. Mortara, Vigevano, Pavia… e poi tutto l’Oltrepò. Gli istituti ci tengono molto e i dirigenti scolastici aspettano sempre il nostro bando». Ogni anno c’è un tema particolare su cui i ragazzi devono cimentarsi. Quest’anno qual è? «è ‘Mi guardo intorno e…’: il mondo che ci circonda fornisce tanti stimoli, dall’osservazione del paesaggio che cambia al tipo di ambiente in cui si vive. I ragazzi devono scrivere i loro racconti su questo argomento e presentare gli elaborati entro e non oltre sabato 10 aprile (per la spedizione con posta ordinaria) e non oltre il 17 aprile (per la consegna a mano)». Sempre parlando di scuola, la sua amministrazione destina molti fondi ai lavori in questo settore… «Abbiamo iniziato dei lavori l’anno scorso, che termineranno in questo 2020: abbiamo fatto la scala d’emergenza, l’im-
Pierluigi Bruni
pianto anti-incendio tutto nuovo e adesso stiamo facendo il muro, che era pericolante, e il cortile, che sarà molto ampio e darà la possibilità ai ragazzi di trascorrere lì le ore di ricreazione. Le maestre sono molto contente di questi lavori e io, devo dire la verità, sono sempre lì a controllare che tutto funzioni. è un luogo che necessita sempre una presenza, per me è molto importante. Anche nella scuola materna abbiamo fatto due aule negli anni scorsi per l’ampliamento. Sempre nel 2019 abbiamo fatto dei giochi nuovi, sia nel centro sportivo che, appunto, nella scuola materna: ci è costato molto, ma siamo contenti di averlo fatto, perché ogni tanto bisogna rigenerare i giochi e aggiornarsi in questo campo». Cos’altro avete fatto in paese? «Abbiamo sistemato la cartellonistica e poi abbiamo iniziato i lavori nel cimitero. Si tratta di lavori piuttosto lunghi, perché abbiamo in atto un project financing per dei loculi nuovi, e stiamo ristrutturando la parte dei loculi sottoterra, perché erano fatiscenti: abbiamo messo rinforzi e intonacato tutta quella parte, che necessitava di manodopera. E poi c’è un altro progetto importante in cantiere…». Di che cosa si tratta? «Della ciclabile Portalbera-Stradella. Per
«Sto installando delle foto-trappole per riuscire a risolvere la situazione, ma vedo che non serve a molto, perché si aspetta che le tolgo per commettere infrazioni». questo lavoro si sono impegnati due professionisti del settore, due geometri, uno del mio paese e uno esterno: il loro progetto è gratuito, poi dovremo trovare noi i fondi per poterlo realizzare. Mi auguro che fondi europei o regionali ci consentano di realizzare questo sogno. Con l’amministrazione di Stradella l’accordo c’è già. Se va in porto è veramente una grande cosa… speriamo di riuscire a realizzarla. Ci tengo molto, come tengo a tutto quello che riguarda il mio paese: passo più tempo in Municipio che a casa mia! Voglio sempre che tutto funzioni bene e per fare questo ci vuole presenza. Vorrei solo più rispetto per il nostro territorio…». In che senso? «Vedo che manca, soprattutto per quanto riguarda i rifiuti. Le persone hanno poco
riguardo e buttano immondizia ovunque. Parlo in generale, non solo per Portalbera. Sto installando delle foto-trappole per riuscire a risolvere la situazione, ma vedo che non serve a molto, perché si aspetta che le tolgo per commettere infrazioni. Vorrei più educazione e rispetto. Perché qui non si parla di bambini, si parla di adulti che le regole le conoscono bene. Se non vogliamo morire di rifiuti bisognerebbe imparare a rispettare gli altri e il territorio. Il ‘porta a porta’ di Stradella sicuramente ha aumentato il problema e il disagio e ha creato danni: gente che viene qui a buttare i propri rifiuti e, anche se vedono i cassonetti pieni, abbandonano comunque i sacchetti fuori dai bidoni… bisognerebbe davvero usare un po’ di più la testa». di Elisa Ajelli
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CANNETO PAVESE
Febbraio 2020
«Serve un Consorzio vini equilibrato, dove nessuno abbia la maggioranza» Riccardo Fiamberti è presidente della Fondazione per lo Sviluppo dell’Oltrepò Pavese, che da diversi anni promuove progetti strettamente legati al territorio: dal turismo all’istruzione, passando per l’ambiente e il sociale. Da ex sindaco di Canneto Pavese non lesina la sua opinione sullo scandalo vinicolo che ha colpito il territorio nei giorni scorsi. «Per ripartire bisogna giocare di squadra: si metta mano ai disciplinari, si abbassino le rese e si crei un consorzio dove non c’è una maggioranza». Nel suo mirino finiscono anche le troppe denominazioni, colpevoli di «confondere il consumatore». Fiamberti, proprio in questi ultimi giorni la Cantina Sociale di Canneto Pavese è stata travolta da un grave scandalo... che ne pensa, sia da cittadino che da ex sindaco? «Avevamo già passato due momenti difficili negli ultimi anni, con scandali e fallimenti riguardanti altre cantine sociali. Stavamo risalendo la china grazie al lavoro svolto da molti produttori onesti e di qualità, che hanno fatto di tutto per tenere alto il nome del nostro territorio in Italia e all’estero, con vini che possiamo considerare alla pari con quelli di zone più blasonate. Quello che è successo in questi giorni è un fatto ancor più grave e va a danneggiare non solo l’Oltrepò Pavese, ma nello specifico soprattutto il nostro comune e i nostri produttori, in quanto la cantina indagata porta proprio il nome del nostro paese. Ho partecipato alla riunione organizzata dalla Regione Lombardia il 27 gennaio scorso presso il Centro di Riccagioia: in quell’occasione il presidente del Consorzio ha annunciato che si costituirà parte civile al processo. Aspetteremo di vedere quali saranno le prossime mosse. Quaranta sindaci dell’Oltrepò vitivinicolo nei giorni scorsi si sono riuniti e hanno firmato una lettera in cui condannano fermamente quanto accaduto e danno massima disponibilità agli enti e alle istituzioni per poter trovare una soluzione per il rilancio del territorio e del vino. Ma ogni azione definitiva potrà essere attuata solamente a fine delle indagini». A settembre durante il Vinuva di Stradella si era tenuto un convegno che illustrava un progetto finalizzato al riconoscimento del vino dell’Oltrepò Pavese come Patrimonio dell’UNESCO. Pensa che questo ennesimo scandalo andrà ad influire su questa domanda? «Posso solo dire che le pratiche riguardanti quel progetto ora sono in mano a Regione Lombardia, che è incaricata a svolgere le procedure utili a presentare la domanda. Noi abbiamo sicuramente bisogno di un riconoscimento del genere…».
Riccardo Fiamberti, presidente della Fondazione per lo Sviluppo dell’Oltrepò Pavese
Pensa che sarà possibile uscire da questa ennesima situazione negativa? «Io penso che parte importante riguardante il rilancio dell’Oltrepò riguardi i produttori: i tavoli dei DOC, voluti dalla Regione e dagli enti, sembrerebbero non aver ancora portato ad una conclusione. Abbiamo bisogno inoltre di un Consorzio Vini DOC snello ed equilibrato, dove nessuno abbia una maggioranza. Serve un’immediata riforma dei disciplinari: al momento abbiamo una sovrapposizione totale dei DOC e degli IGT, con rese troppo elevate. Questo assolutamente non va bene, bisogna abbassare le rese: sono troppo alte e portano a quello che è successo nei giorni scorsi. Nel 2015 la Fondazione Bussolera aveva finanziato uno studio riguardante la reputazione enoica della Provincia di Pavia, redato da Demoscopea: questo è stato l’unico studio professionale, finanziato da un privato
e dato a disposizione di tutto il territorio, che ad oggi non è ancora stato preso in considerazione da nessuno». Cosa diceva quello studio? «In sostanza che per l’Oltrepò c’è la percezione di un territorio ove “non vale la pena” recarsi perché non riesce ad attrarre, in quantità apprezzabili s’intende, il cittadino lombardo diretto in Liguria, né il milanese deciso a trascorrere un fine settimana in campagna; fatica persino ad attrarre il pavese in gita domenicale. Non si limitava però a questo e attraverso l’ascolto di numerosissimi attori (Consorzi, Fondazioni, Distretti, Cantine, Comuni ...) proponeva un’analisi dettagliata e delle possibili soluzioni». Che sarebbero? «Innanzitutto sfoltimento e semplificazione. Si faceva notare che in 13.600 ettari ci sono troppi vitigni: Croatina, Pinot nero, Barbera, Riesling, Pinot grigio, Moscato bianco e Chardonnay alla fine rendono “piatta” l’offerta. Allo stesso tempo anche gli organismi associativi sono “innumerevoli”: cantine sociali, Consorzio di Tutela, Distretto, Riccagioia, Enoteca, Coprovi, Strade del vino e Valore Italia, con “copioni sempre uguali nel tempo”. Quello studio effettuato con un serio criterio metodologico sarebbe stato una valida base di partenza». Parliamo della Fondazione di cui è presidente. Da chi è composta? «La Fondazione per lo Sviluppo dell’Oltrepò Pavese nasce come Gal nel 1997 e oggi vanta sessantasei soci, tra pubblici e privati, tra cui la Provincia di Pavia, la Camera di Commercio e la Comunità Montana; 45 comuni dell’Oltrepò Pavese, diverse associazioni di categoria agricola, artigianale, commerciali e dei lavoratori;
«Si riformino i disciplinari: le rese sono troppo alte e portano a quello che è successo nei giorni scorsi»
CANNETO PAVESE istituti bancari e associazioni Onlus. Ricopre un territorio di circa 800 km quadrati con una popolazione di oltre 65.000 persone». Com’è cambiata la popolazione negli anni? «Dal 1970 ad oggi la popolazione dell’Oltrepò Pavese è diminuita del 58%, con un indice di vecchiaia del 268%, nettamente superiore agli altri territori interni lombardi». Di che cosa vi occupate? «La Fondazione ha all’attivo numerose attività: alcune connesse direttamente alle tematiche dello sviluppo rurale, e quindi riconducibili alle risorse dei fondi comunitari; altre di natura più diversificate, finanziate da leggi regionali e statali, con finanziamenti di enti privati e fondazioni bancarie. Nel tempo la Fondazione per lo Sviluppo dell’Oltrepò Pavese ha focalizzato una sempre più cospicua parte delle proprie attività sulle tematiche riguardanti cultura, ambiente e sostenibilità affrontandole dal punto di vista multidisciplinare». Attualmente su quali progetti si sta concentrando l’azione della Fondazione? «Oggi la Fondazione è impegnata nel corposo progetto “Oltrepò Biodiverso” finanziato dal programma “Attivaree” di Fondazione Cariplo, la più importante fondazione bancaria d’Italia. Il programma si ispira ai principi che si trovano alla base delle strategie nazionali delle aree interne, con il vantaggio di essere più flessibile perché finanziato da strutture private». Più specificatamente, che cosa prevede il progetto “Oltrepò Biodiverso”? «Oltrepò Biodiverso è un progetto che progetto coinvolge 19 comuni dell’appennino lombardo, con oltre 25 partner e 4 università.
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Fiamberti dopo lo scandalo di Canneto: «Abbiamo una sovrapposizione totale dei DOC e degli IGT, con rese troppo elevate»
è rivolto ad una porzione di area interna, che mobilita le forze locali in partenariato con attori esterni ed investe su temi coraggiosi e di frontiera come: la ricerca e l’innovazione di un territorio sempre più spopolato e fragile, sotto il profilo delle competenze della capacità territoriale e del tessuto economico di partenza. Il percorso è stato avviato nel 2017 ed è accentrato sulla valorizzazione della Biodiversità». In sintesi, qual è il fulcro del progetto? «È quello di far tornare attrattivo, anche per i più giovani e per le nuove famiglie, un territorio depauperato dalla fuga demografica, dal dissesto idrogeologico, dagli scambi difficili con l’area Metropolitana milanese che è solamente distante un’ora di auto». Può elencarci alcuni risultati ottenuti? «In tutto il territorio interessato sono sorte sezioni Montessori all’interno della scuola pubblica, accogliendo da subito nuovi
iscritti, alcuni addirittura risaliti con le famiglie dalla pianura. Per gli anziani dell’alta collina, invece, è entrato in azione il “Maggiordomo rurale”, che a richiesta risolve le incombenze quotidiane. A Pietra de Giorgi il comune ha riqualificato il vecchio asilo parrocchiale, messo gratuitamente a disposizione dalla Diocesi di Tortona, creando sei mini alloggi che ospitano, con le loro famiglie, bimbi giunti da lontano, periodicamente in cura al Policlinico San Matteo. A Golferenzo è stato attivato un centro servizi per la comunità e per le imprese della Valversa». Per quanto riguarda l’ambiente sono state finanziate alcune azioni? «Un’azione importate è riferita alla gestione di foreste, pascoli e incolti: siamo riusciti a censire 8000 ettari di bosco destinati al PAF (Piano di Assestamento Forestale) del Consorzio del Brallo e del Consorzio di Bosmenso-Varzi».
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In ambito turistico invece ci sono progetti finanziati? «Il più portante riguarda la pubblicazione della guida “Oltrepò Pavese - L’Appennino Lombardo”: si tratta della prima guida realizzata per questo territorio attraverso un partner importantissimo, il Touring Club Italiano. La Fondazione è consapevole che il territorio possa essere inserito in un percorso di sviluppo sostenibile, capace di relazionarsi con altre esperienze e cogliere le opportunità che le programmazioni comunitarie e nazionali possano offrire. La nuova programmazione comunitaria 2021-2027 potrà essere un’occasione di rilancio per l’Oltrepò Pavese solo se la politica locale saprà raccontare agli interlocutori le specificità di un territorio appenninico da sempre rimasto in ombra in un contesto regionale. Il progetto “Oltrepò Biodiverso” si chiude il 30 giugno 2020: con una grande manifestazione presenteremo tutti i risultati delle nostre azioni. Siamo in attesa di poter accedere a nuovi bandi, sia a livello regionale che a livello nazionale ed europeo, al fine di dare continuità al lavoro della nostra struttura. Al momento non è ancora uscito nessun bando, ma puntiamo molto sul PSR 2021-2017. Nel frattempo stiamo portando avanti collaborazioni con GAL srl e Comunità Montana». Alla scadenza del triennio andrà a scadere anche il suo mandato. Pensa di ricandidarsi nuovamente? «Il 30 giugno 2020, quando ci sarà l’approvazione del bilancio, verranno rinnovate anche le cariche. Ne discuteremo tutti insieme, come fatto precedentemente». di Manuele Riccard
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SANTA MARIA DELLA VERSA
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febbraio 2020
Mezzo d’epoca oltrepadano nel nuovo film di Frammartino C’è anche una parte di Oltrepò protagonista nel film “Il Buco” (titolo internazionale “The Hole”) del regista calabrese Michelangelo Frammartino, girato nel Parco Nazionale del Pollino tra l’agosto e l’ottobre del 2019. Il film, prodotto da Doppio Nodo Double Bind, Rai Cinema, Société Oarisienne de Production e Essential Filmproduktion, con il sostegno della Fondazione Calabria Film Commission, Mibact, CNC, Artè\ZDF Eurimages. racconta la straordinaria impresa di 12 giovanissimi speleologi che nel 1961 scoprirono nel Sud Italia quella che - all’epoca - era la seconda grotta più profonda del mondo, l’Abisso di Bifurto. Lorenzo Blitto, commerciante d’automobili e socio della Associazione Nazionale Autieri d’Italia, sezione Oltrepò Pavese, è stato impegnato per diverse settimane in questa produzione internazionale, a bordo di un ex mezzo militare appartenente alla sua collezione. Lorenzo, come le è stato proposto di partecipare alle riprese? «Essendo il film ambientato nei primi anni’60 la produzione era alla ricerca di un veicolo militare che fosse operativo in tale periodo. Lo scenografo è arrivato al mio contatto tramite diverse ricerche da lui effettuate su gruppi di veicoli militari storici presenti sui social e nei vari siti dedicati. Per la produzione è stata una casualità abbastanza fortuita, in quanto in Italia, al momento, si contano solo 3 Fiat CM52 (autocarro medio 52, ndr) circolanti». Quale argomento tratta la trama del film? «Il film racconta di una spedizione speleologica realmente avvenuta nel 1961, nella quale 12 speleologi provenienti da Torino partirono alla ricerca di nuove grotte da scoprire nel sud Italia, essendo quelle del nord Italia già tutte conosciute ed esplorate. In questa spedizione l’esercito Italiano, in cambio della rilevazione topografica delle grotte, aveva fornito gli uomini e il mezzo di supporto necessario per il trasporto delle attrezzature nelle impervie montagne ubicate tra Calabria e Basilicata. In questa occasione venne scoperta nel Parco Nazionale del Pollino la grotta detta “Abisso del Bifurto”, che raggiunge quasi 700 mt. di profondità. Al momento della scoperta era la seconda grotta più fonda d’Europa». Quanto tempo è stato impiegato nella produzione del film? «Le riprese del film sono iniziate il 5 agosto 2019 ed hanno avuto termine alla fine di ottobre dello stesso anno. Tra i vari viaggi nel sud Italia ed all’estero, sono rimasto sul set circa un mese e mezzo». Questa è stata la sua prima esperienza o aveva già partecipato ad altre produzioni? Qual è stato il suo ruolo? «Questa per me è stata la prima esperienza
Un rarissimo Fiat CM52 dell’esercito s“scritturato” per l’opera del regista calabrese: lo guida Lorenzo Blitto
di questo tipo: il mio compito era quello di condurre il veicolo per le impervie strade di montagna, di preparare il percorso ed istruire l’attore sull’utilizzo del veicolo». Oltre al mezzo utilizzato per le riprese possiede altri veicoli militari? «Oltre al Fiat CM52 utilizzato per le riprese, possiedo anche una Fiat AR76 (autoveicolo da ricognizione modello 76, ndr) ed altre auto d’epoca». Nel caso le venga proposto, pensa di poter ripetere un’esperienza del genere in futuro? «Certamente la potrei ripetere un’esperienza simile, salvo ovviamente altri impegni lavorativi». di Manuele Riccardi
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“Willy e gli altri”, il primo romanzo di Annalisa Baldini Alla richiesta della confessione anagrafica, ha nicchiato sorridente, divertita. Giustamente: ad una signora, l’età... non si chiede. Non si deve chiedere mai. Iniziato il Liceo Linguistico presso l’Istituto delle Suore Marcelline in Milano, si è poi diplomata in Ragioneria, sempre ad indirizzo linguistico, presso l’Istituto Verga di Pavia. Il cognome, la sua famiglia e la loro storica attività commerciale sono ben conosciuti e riconosciuti, famosi, da quasi sei decadi, a livello provinciale ed extra-provinciale, da quando rilevarono un negozio di casalinghi trasformandolo nel celeberrimo “Magazzino Moderno” di Voghera, paradiso dei bambini, per via dell’enorme offerta di giocattoli, e di tanti adulti per l’altrettanto ricca proposta nel settore della modellistica. Da circa un decennio si divide tra Voghera e l’amata Isola D’Elba, ove trascorre tutte le estati, fine primavera ed inizio autunno compresi. Abbiamo con grande piacere incontrato la Signora Annalisa Baldini. Ma non per parlare della suddetta attività, bensì per approfondire una sua passione diventata... realtà. Prima di addentrarci nella, diciamo, vera intervista, vorrei chiederle come sta andando, in un momento certo non facile, la storica attività della sua famiglia... «Beh, sinceramente... il Magazzino Moderno, come classicamente per tanti anni è stato conosciuto, intendo come vendita diretta al cliente in negozio, risente della generale crisi. Come un po’ tutte le attività commerciali cittadine, ritengo. Non è certo in condizioni critiche, questo no, ma grazie al grande impegno profuso da mio fratello Fabio nella vendita online, su internet. Dov’è possibile acquistare anche rari pezzi ancora delle collezioni di mio padre... Devo dirle ad onor del vero, per quanto riguarda il settore “modellismo” della nostra attività, che neppure a Milano sono più presenti negozi di settore. I centri commerciali, ma più che altro Amazon, hanno certamente inflitto una pesante battuta d’arresto alle attività più piccole. Io però non lavoro più in negozio da dieci anni, ed ahimè... nel 2017 è anche mancato il mio adorato papà». Già anni fa, quando lei ancora lavorava in negozio, ricordo che aveva dato il via ad un’altra attività, legata ad una sua bellissima passione... «Sì. Anni fa ho iniziato a dipingere su vetro. Bicchieri, sottopiatti, eccetera. La collezione, ancora in produzione, si chiama Pako-line in onore a Pako, un mio amato cane che avevo preso al canile. Alla pittura su vetro ho poi aggiunto anche la pittura su legno...». Ed arriviamo al motivo della nostra intervista, ad una nuova avventura che
proprio dal suo amore per i cani è stata ispirata... «Da quando sono nata (sorride dolcemente) ho sempre avuto un cane. Chi mi segue sui canali Social senza dubbio avrà notato questo mio trasporto per questi quadrupedi speciali, unici. E proprio per unicità, ho sempre però ritenuto che nella vita di una persona ci sia sempre... il cane particolare. Quello speciale. Per me è stato Willy, il successore di Pako e come Pako preso al canile. Anche lui... ». Willy è di razza lagotto, vero? «Era, perché non c’è più. Si, comunque era un lagotto. Adesso nella mia vita c’è Tommy, un altro lagotto! Ma Tommy non l’ho preso al canile: mi è stato regalato da mio marito Fabrizio, affettuosamente “stanco” delle mie sofferenze ricordando il mio “preferito”». I ricordi legati a Willy, al suo “preferito” quindi, l’hanno condotta nel 2019 ad una realizzazione in campo letterario. Ce ne vuole parlare? «Con piacere! Ho appena pubblicato un libro, il mio primo romanzo, che s’intitola “Willy e gli altri”. Un progetto che giaceva nel cassetto da anni ma che l’anno scorso son riuscita a terminare. In verità, avevo già avuto un’esperienza di pubblicazione precedente, partecipando con una racconto dal titolo “Vita” all’interno di “Ricordi”, una raccolta di scritti legata ad amicizie di Facebook prodotta dal mio ex professore d’italiano dell’Istituto Verga di Pavia, il Professor Arona, ancora oggi mio caro amico». Il vero significato di “Willy e gli altri” è l’amore verso i cani? «Non esattamente. Il vero concetto è il non essere troppo concentrati su se stessi per potersi accorgere di quanto la vita sia bella dedicandosi agli altri. Dedicandosi con quello che si ha da dare, non necessariamente soldi, intendo. Può essere l’ascolto, un abbraccio affettuoso, risolvere a qualcuno un problema che magari per me è nulla ma per l’altra persona è una montagna invalicabile. In tutto questo concetto appena esposto, devo dirle che i cani ogni giorno ci danno lezioni, ma noi, sempre distratti, ci accorgiamo di pochissimo...». Willy ha qualcosa di speciale da mostrare per quanto concerne questa tematica? «Willy è l’anello di congiunzione con tutti gli altri cani presenti nel libro, ed ogni cane del libro migliora la vita a tanti personaggi presenti nella storia. Ed alla fine, come l’allacciarsi di una collana, come la ricomposizione di un cerchio, tutto va a posto nelle rispettive vite». Quindi i cani diventano entità taumaturgiche? «No, non si tratta di veri miracoli. Le faccio l’esempio di Willy, che salva la vita a
Giulia, la sua padroncina, e crea un rapporto di amicizia con Totò, un vagabondo che a sua volta facilita l’esistenza a diverse altre persone... Totò finirà al canile, ma il sodalizio e l’affetto profondo con Willy gli daranno lo spunto per la fuga. Il destino li aiuterà...» è un storia di pura fantasia? «Lo svolgimento della narrazione si, ma ad esempio, nella vita reale, io mi son sempre considerata aiutata, assistita dai cani che ho avuto. Tutte le persone che hanno avuto ed hanno un cane al fianco lo sono, anche senza scendere in tematiche psicologiche: pensi a quanto un cane, che deve uscire in passeggiata, aiuta il padrone nella conoscenza di altre persone che si fermano a complimentarsi, o semplicemente parlare, dei rispettivi animali. Parlo sia di due giovani, che magari scoprono di piacersi parlando dei loro cagnolini in un’occasionale conoscenza, sia di due anziani che quotidianamente si tengono compagnia grazie magari proprio ai loro cani. Spesso, per una persona diciamo... avanti con l’età, il cane rappresenta la quotidiana compagnia, il quotidiano impegno che aiuta la vita...» Qual è la parte concettualmente a lei preferita, intrinseca di un personaggio del libro? «La lepre. Ho usato questa immagine per far parlare la coscienza. All’interno del compimento degli eventi, come collettore delle storie intrecciate, la lepre è la parola, il pensiero, il testimone di una potenza superiore». Gli animali parlano? «Si, gli altri animali parlano. Ma solo loro possono sentire, e capire, ciò che dice la lepre, che non parla alle persone...». La lepre è allora il suo personaggio preferito? «No (sorride). Il mio personaggio preferito è Osvaldo. è un uomo dalla evidente corpulenza, l’uomo che trova Totò, il vagabondo. Non è una figura esteticamente molto curata: infatti lo presento sottolineando che “i suoi peli escono spavaldi verso il mondo”, vestito con tute logore e grossi sandali ai piedi. è un rigattiere che recupera tutto ciò che trova di dismesso per rivenderlo in un mercatino. Ma con i proventi delle vendite, l’unico interesse che coltiva è visitare i musei più belli di tutto il globo terrestre! La sua cultura è inversamente proporzionale alla sua immagine: è enormemente ricca e bella! Emotivamente intelligente e, ad esempio, con nozioni architettoniche da professionista di fama! Incontra Totò alla fuga di questi dal canile, accudendolo e permettendogli di proseguire la fuga alla ricerca, al ritrovamento di Willy». A chi si è rivolta per la pubblicazione? «Guardi, nella situazione attuale dell’editoria, dopo averne inviate copie a diver-
Annalisa Baldini
se Case Editrici, dopo aver nel contempo richiesto preventivi per l’auto-produzione ricevendo in risposta cifre esorbitanti per la stampa di relativamente pochi esemplari, essendo poi principalmente problematica la distribuzione, al di là della stampa, alla fine ho deciso per la pubblicazione su Amazon. Anche se, come ho detto all’inizio, questa multinazionale ha messo in crisi molte piccole, artigianali e familiari attività». Ha presentazioni in vista? «La prima sarà a metà mese presso la Libreria Ticinum, in Via Bidone a Voghera. Seguirà il 6 Marzo una serata, anche con musica, per la quale voglio ringraziare l’amico e strepitoso cantante Andrea Pasquali, presso il Bar Sant’Ambrogio di Via Cavallotti, sempre in Voghera. Poi veleggerò verso la mia Isola d’Elba dove lo presenterò in due librerie: a Porto Ferraio ed a Marina di Campo». Ci sarà un seguito? «Potrebbe essere... anche se ritengo, senza alcuna presunzione, di aver già “detto” molto in questa pubblicazione. Forse tutto. E forse... non necessita altro, a seguire». di Lele Baiardi
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Fuoridicopione, «Proprio perché siamo un po’ alternativi, un po’ fuori di testa...» Il teatro amatoriale costituisce una realtà indiscutibilmente viva e dinamica, fatto da persone che, oltre il lavoro e gli impegni familiari, portano avanti, in maniera assolutamente gratuita e volontaristica, il proprio amore per il Teatro, contribuendo alla crescita culturale e sociale della comunità in cui vivono e diffondendo l’amore e la conoscenza delle arti sceniche. Le compagnie teatrali amatoriali, con il loro radicamento sul territorio, favoriscono il rinsaldarsi delle comunità e rappresentano per molti il primo approccio alle scene, una vera e propria palestra artistica capace di offrire un’insostituibile opportunità formativa, culturale e aggregativa. Un teatro che spesso non fa notizia o che fa sorridere chi, abituato a professionalità interpretative più alte, lo incontra ma che riporta chi lo fa alle radici stesse del far teatro: l’incontro con l’altro. Fra le compagnie teatrali amatoriali presenti in Oltrepò Pavese i “FUORIDICOPIONE” di Voghera si distinguono per il loro impegno nel sostenere varie attività benefiche con i loro spettacoli. Abbiamo incontrato Lorenzo Somenzini, presidente dell’Associazione Volontari “Pro Familia” Maria Teresa Spinelli e del gruppo teatrale “Fuoridicopione”. Somenzini, quando si costituisce la compagnia teatrale amatoriale “Fuoridicopione”? «La casa madre è l’Associazione Volontari “Pro Familia” Maria Teresa Spinelli, madre fondatrice delle Suore Agostiniane, che si è costituita nel mese di giugno del 2000 per volere di un gruppo di famiglie con lo scopo di svolgere attività sociale a Voghera e nel territorio oltrepadano. Attraverso l’associazione aiutiamo le famiglie in difficoltà, abbiamo alcune adozioni a distanza nella Repubblica democratica del Congo e in India abbiamo adottato una classe della scuola elementare della missione delle Suore Agostiniane. Ci siamo sempre occupati anche di formazione per genitori con progetti dedicati. Un gruppo di genitori dell’associazione che dipingeva su ceramica per l’annuale mercatino di beneficenza di Suor Battistina, aveva preso il nome di “Fuori di pennello”, alcuni di loro erano appassionati di teatro e avevano frequentato i corsi della scuola vogherese di recitazione “Mino Battegazzore” di Beppe Buzzi. Nel 2005, quasi per scherzo, visto che nell’Istituto delle suore Agostiniane c’è un piccolo teatro, abbiamo messo in scena la prima commedia che si intitolava: “Quel simpatico zio parroco”, quasi una farsa, con protagonisti Piero Ghia, Giorgio Bonelli, Laura Barbieri, Andrea Civini e un gruppo di ragazzi della scuola. Poi, visto che eravamo vogheresi e alcuni parlavano bene il dialetto, Beppe Buzzi ci ha convin-
Voghera - La Compagnia Teatrale amatoriale “Fuoricopione” in scena per il Gelindo
ti a riprendere la rappresentazione di “Gelindo” che abbiamo portato in scena per la prima volta nel 2007 con i costumi e il copione adattato da lui. L’ideatore era stato Padre Maria Tognazzi, pittore, architetto e scrittore , che era padre priore dei frati Cappuccini di Varzi ma anche cappellano degli Artisti e della RAI di Milano, per cui i costumi e parte della scenografia che utilizziamo ancora oggi ,sono stati creati nei laboratori RAI». Quindi da quel momento i “Fuoridicopione” iniziano a mettere in scena commedie solo dialettali? «No, non solo dialettali ma anche commedie brillanti, alcune commedie di Gilberto Govi, sempre con la supervisione di Beppe Buzzi. Dopo la sua scomparsa, ci siamo sentiti un po’ persi, perché lui era stato il nostro “maestro”, non potevamo gestirci da soli. Alcuni di noi avevano partecipato ai laboratori della “FAMAFANTASMA” di Marco Vaccari e, avendo la necessità di avere un regista, lui ci ha dato la sua disponibilità e abbiamo messo in scena tre commedie con la sua regia. TRE VETRINE TRE, commedia degli equivoci parte in dialetto e parte in italiano, DUE FIGLIE 3 VALIGIE, adattamento dal film dell’attore francese Luis Defunes, LAPORTA ERA APERTA, adattata da un testo inglese. Poi Marco Vaccari ha scritto e diretto per noi la commedia DOTTOR SALASSO HO UN’ASCESSO, ispirandosi un po’ alle caratteristiche e ai difetti degli attori del nostro gruppo, che ha avuto un buon riscontro da parte del pubblico». Portare in scena commedie con testi complicati e tanti personaggi implica sicuramente un grande lavoro con letture di copione e prove ripetute, con quale frequenza si riunisce la compagnia? «Questa è una bella domanda. Circa 7 mesi prima, quando dobbiamo iniziare
un progetto, ci riuniamo una volta alla settimana. Assegnati i ruoli dal regista, si comincia con la lettura del copione a tavolino e l’approccio ai personaggi. Quindi si passa alla lettura del copione in piedi sul palco con un po’ di scenografia. Poi, con l’avvicinarsi della data di rappresentazione, facciamo mediamente due sedute di prove alla settimana, talvolta tre, a seconda della lunghezza della commedia, di solito alla sera dopo cena. Le nostre riunioni sono professionali ma anche molto allegre e spesso rilassanti dopo una giornata di lavoro, siamo diventati quasi una famiglia, facciamo spesso merenda dopo aver provato. Ci chiamiamo FUORIDICOPIONE proprio perché siamo un po’ alternativi, un po’ fuori di testa (ride)». Quanti attori e attrici amatoriali avete nella compagnia? «Dieci o dodici perché servono ,oltre agli attori ,anche persone dietro le quinte in assistenza per passare velocemente di mano un oggetto o far entrare parti di scenografia ingombranti, abbiamo un suggeritore e i tecnici audio e luci». Se qualcuno con la passione per il teatro volesse unirsi a voi per sperimentare questa esperienza non comune può contattarvi? «Quest’anno si sono uniti a noi già alcuni attori della compagnia dei genitori della scuola Dino Provenzal nella rappresentazione del Gelindo e abbiamo aggiunto la figura di re Erode con le sue guardie ed è stato un esperimento interessante. Se qualcuno fosse interessato ad unirsi alla nostra associazione, può contattarci». Dal piccolo teatro delle Suore Agostiniane siete passati poi a recitare sul palco del Teatro San Rocco e infine avete, si può dire, fissato la vostra sede al Teatro dei Padri Barnabiti, come mai questa scelta?
«Siamo passati dai 160 posti che si riuscivano a ricavare nella palestra delle suore al Teatro San Rocco anche perché le scenografie del GELINDO erano molto ingombranti. Poi abbiamo deciso di rimettere un po’ a posto il Teatro dei Padri Barnabiti facendo dei lavori a nostre spese e abbiamo chiesto di poterlo usare come sede permanente per i nostri spettacoli. Quest’anno per il Gelindo abbiamo avuto due sere il tutto esaurito e abbiamo dovuto aggiungere uno spettacolo alla domenica pomeriggio. Siamo molto contenti del successo di pubblico ottenuto perché, con il ricavato dei biglietti, siamo riusciti a dare piccoli aiuti sia alle attività della nostra associazione, sia ai Padri Barnabiti, sia il Centro Paolo VI di Casalnoceto che aveva avuto notevoli danni a causa dell’alluvione». Quale sarà la prossima commedia che metterete in scena? «Stiamo lavorando ad un nuovo progetto, una commedia di Luigi Orengo già cavallo di battaglia di Gilberto Govi, SOTTO A CHI TOCCA, tre atti con 10 personaggi, in omaggio a Beppe e Franca Buzzi. La commedia sarà recitata in italiano con qualche coloritura del dialetto genovese. Per la regia, saremo seguiti da Alessio Zanovello che ci ha dato la sua disponibilità. La porteremo in scena venerdì 27 e sabato 28 Marzo 2020, naturalmente presso il Teatro dei Padri Barnabiti. Speriamo di realizzare un buon lavoro e ottenere un buon successo di pubblico perché il nostro scopo è sempre quello di raccogliere fondi a scopo benefico. Dobbiamo ringraziare il negozio “Il bottone” che si mette sempre a disposizione come punto di prenotazione posti e cogliamo l’occasione per invitare tutti a trascorrere una serata divertente a teatro». di Gabriella Draghi
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Un camp estivo per bambini finanziato dal crowdfunding Francesca Raimondi ha 37 anni, vive a Voghera ed è una persona eclettica: insegnante di violino, suona anche il pianoforte ed è psicologa. Ha concentrato la sua esperienza e il suo percorso di studi, compreso di specializzazioni, nel progetto “Musica e gioia”, ovvero lo studio che Francesca ha aperto 6 anni fa. Il suo obiettivo è insegnare ai bambini, che rappresentano il target principale, a suonare il violino tramite la didattica musicale. I valori cardine sono professionalità e inclusione, in quanto lo studio si rivolge a bambini anche piccolissimi, disabili e con qualsiasi tipo di deficit mentale o fisico. Quest’estate Francesca spera di poter attivare un camp estivo che traduca su una lunghezza di cinque giorni i valori e i metodi del suo studio, per la cui realizzazione ha bandito una campagna di crowdfunding online. Francesca, da quanti anni insegna violino? «Ho avuto i miei primissimi pochi allievi nel ’98; tenevo lezioni private in casa mia e sono andata avanti così per 4-5 anni. In seguito c’è stata una lunga pausa, in cui ho deciso di concentrarmi sulla mia formazione, per poi riprendere nel 2009. La mia esperienza è ventennale, ma insegno in modo ufficiale e continuativo, con un mio studio, da 11 anni. All’inizio insegnavo anche le basi del pianoforte, ora solo violino e propedeutica per i bambini piccolissimi». In che modo è cominciato il suo percorso con il violino? «La mia storia con questo strumento è iniziata un mese prima di compiere nove anni. Per Natale i miei genitori mi regalarono un violino e iniziarono a mandarmi a lezione. All’inizio non è che mi interessasse granché – ho avuto una storia piuttosto travagliata, ho cambiato anche molti insegnanti; ho iniziato ad appassionarmi profondamente e a studiare intorno ai 15 anni, una volta maggiorenne sono entrata al conservatorio di Parma e lì mi sono diplomata». Quando e perché ha deciso di aprire il suo studio di musica? «Volevo che il mio lavoro principale diventasse quello di insegnare musica. Ho sempre avuto una propensione alla didattica sin da quando ero piccolissima. Essendo tra l’altro psicologa dello sviluppo, ho lavorato anche come educatrice in asili nido e scuole dell’infanzia, e come docente di sostegno in scuole materne pubbliche. Insomma, insegnare mi è sempre piaciuto tanto. Per cui, nel 2014, ho aperto a Voghera il mio studio “Musica è gioia”. Perché questo nome? «Si chiama così perché io credo che la musica, come tutte le discipline in realtà, si possa imparare in modo sereno e positivo. Ad oggi è anche ampiamente dimostrato da studi scientifici che un metodo di apprendimento propositivo, divertente – non
Artemisia Mantoan di Salice Terme, all’epoca 2 anni e mezzo e vincitrice del primo premio ad un concorso interno per allievi tramite la minaccia e la punizione, come si fa nelle nostre scuole – sia molto più efficace. Il motivo per cui insegno è proprio questo: la volontà di appassionare, motivare, rinforzare, di dimostrare che, appunto, la musica è gioia». Ha fatto della sua passione un lavoro: oltre ad insegnare ricopre anche altri ruoli? «Come musicista non svolgo attività concertistica, anche se attorno ai 20 anni sarebbe stato il mio sogno fare la solista. L’orchestra non mi interessava granché, perciò ho intrapreso quello che è il mio percorso attuale. Non ho mai pubblicato pezzi miei. Non è detto che un musicista sappia anche comporre perché in conservatorio c’è un corso apposito – è più o meno come studiare un altro strumento – che io personalmente non ho seguito. Pubblico “pezzi” ma nel senso che ho scritto e scrivo: al momento realizzo articoli per riviste specialistiche. Inoltre, come ho detto prima, sono psicologa, quindi spesso faccio colloqui di supporto psicologico a bambini e genitori e collaboro di frequente con l’università Bicocca di Milano». La sua formazione è estremamente solida e completa: che percorso di studi universitario ha seguito? «Oltre ad aver conseguito il diploma in conservatorio, all’Università di Parma mi
sono laureata in Psicologia dello sviluppo. Sono inoltre abilitata a diversi metodi e all’estero è diverso, ma in Italia permane questa convinzione che per insegnare basti l’amore, soprattutto per quanto riguarda i bambini con disabilità. Ho già detto quanto per me siano importanti il coinvolgimento, la piacevolezza, il divertimento, quindi non metto in dubbio il ruolo dell’amore. Ma è indispensabile che i più piccoli siano istruiti da insegnanti soprattutto competenti. Il bagaglio teorico, esperienziale, di strategie didattiche, fa la differenza tra un bravo insegnante e un insegnante qualunque. Secondo me bisognerebbe, senza ovviamente trascurare la passione, concentrarsi in modo molto più approfondito sull’aspetto formativo dei docenti di qualsiasi tipo e ordine». Ha scelto il suo percorso di studi già con in mente “lo scheletro” di tutti i progetti che ha all’attivo? «Sì e no, nel senso che ho scelto il mio percorso alla luce della mia vocazione per la didattica e del sogno di aprire un mio studio, ma mi sono ritrovata ad avere molta più formazione e a realizzare molti più progetti del previsto; man mano che, in itinere, mi vengono idee, per applicarle devo specializzarmi ulteriormente. Quindi è tutto un crescendo». Che tipo di specializzazioni ha consegui-
to? In cosa consistono a livello pratico? «Sono abilitata al metodo Suzuki, al CML e al metodo Lullaby. Il primo basa l’apprendimento di uno strumento musicale su un’induzione naturale che rispecchia quella del linguaggio, infatti è anche chiamato “metodo della lingua madre”. Un bambino impara a parlare sentendo mamma e papà che parlano a loro volta, e lo stesso processo viene applicato in ambito musicale. I cardini di questo metodo sono l’ascolto, l’imitazione e il gioco. Il genitore partecipa alla lezione insieme al bambino e viene formato, in modo da poter replicare in ambiente domestico le gestualità e i suoni propedeutici all’apprendimento di uno strumento, con la stessa naturalezza, spontaneità e frequenza di una conversazione. La massima efficacia di questo metodo si ottiene se lo si applica tra il primo e il secondo anno di vita del bambino, quando, appunto, sta imparando a parlare». Il CML invece? «Sta per Children’s Music Laboratory ed è una sorta di evoluzione italiana del metodo Suzuki, rivolta a bambini di 3-4 anni – fino agli 8 – in preparazione all’apprendimento dello strumento. All’Università di Chichester ho conseguito un master di primo livello in didattica del violino. E’ un master estremamente esperienziale, in cui tu devi riflettere sui tuoi metodi didattici e talvolta invii video del tuo lavoro. L’obiettivo è riuscire a insegnare nel modo più sintetico e mirato possibile aspetti anche molto tecnici del violino – i migliori docenti in questo campo non hanno nemmeno bisogno di parlare, nelle lezioni soprattutto con i bambini piccoli comunicano a livello non verbale. Che differenza c’è tra musicoterapia e didattica musicale, la disciplina che lei insegna? «Sostanzialmente: oltre ad essere poco efficace, trovo che la musicoterapia sia discriminante, poiché raccomandata per individui disabili.
«Meglio la didattica musicale: oltre che discriminante, la musicoterapia è poco efficace»
mUSICA La didattica musicale è apprendimento, la musicoterapia genera uno stato di benessere. Io, che applico didattica musicale, sono un’insegnante, il musicoterapista invece è, per l’appunto, un terapista; io adotto la didattica musicale con qualunque individuo, senza alcuna discriminazione di età e sesso, con o senza deficit fisici o mentali, con disabilità, con quoziente intellettivo superiore alla media; tutti suonano, tutti. E sottolineo suonano, non fanno terapia. La didattica musicale ha un approccio basato sulla motivazione all’apprendimento, la musicoterapia utilizza la musica esclusivamente come approccio con l’altro; io, in quanto insegnante di didattica musicale, faccio in modo che il bambino collabori con me e con gli altri per seguire le mie direttive, il che non vuol dire limitarne la creatività: la libertà di espressione deve essere incanalata dalla capacità tecnica, dai mezzi per esprimersi, altrimenti è caos, come accade nella musicoterapia; da me si impara a suonare il violino, nella musicoterapia i mezzi utilizzati servono a incentivare le relazioni; la mia orchestra è totalmente inclusiva di bambini neurotipici e non, nella musicoterapia ci sono pazienti divisi in categorie a seconda dei loro bisogni; io insegno a bambini molto piccoli, a partire dai 2 o 3 anni e come nel metodo Suzuki i genitori partecipano alle lezioni; in ultimo, io utilizzo metodi scientifici per valutare i progressi, mentre nella musicoterapia ci si basa su impressioni – “se il bambino sorride, allora è migliorato”». In che cosa consiste il progetto camp estivo: per quando è in programma? «Si terrebbe a Montebello della Battaglia per cinque giorni, in luglio – non so ancora le date precise. Il mio obiettivo è quello di fare un turno solo, perché l’organizzazione di un camp estivo ha un costo altissimo, ma se il successo fosse molto grande potrei prendere in considerazione di farne due. Ospiterebbe una decina di bambini dai 5 ai 10 anni». è indirizzato solo ai suoi allievi, a bambini che conoscono lo strumento, oppure
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è un modo per farlo conoscere anche ad altri? «è principalmente indirizzato a chi già suona, ma i neofiti non sono assolutamente esclusi: nel 2016 il gruppo era composto quasi tutto da bimbi che non avevano mai suonato, anche con disabilità grave, e in cinque giorni sono riusciti ad imparare un paio di pezzi basilari con un brano da solista a testa». Come sarebbe la giornata tipo al campo? «La giornata tipo è composta da una o due lezioni individuali di mezz’ora ciascuno, un’ora di orchestra, e per chi se la sente o è un po’ più grande è previsto tempo di studio coadiuvato da educatori. Ci sono inoltre attività di svago, laboratori di cucina, laboratori artistici, equitazione, yoga, l’immancabile piscina, passeggiate, sport». Che tipo di arricchimento si propone di fornire ai bambini? «Il progetto vuole essere un’esperienza di divertimento e soprattutto, dal momento che il camp prevede una permanenza di 24 ore su 24, di autonomia, abilità inestimabile da acquisire in particolar modo per i bambini disabili; ognuno ha i suoi piccoli obiettivi: imparare a vestirsi, a lavarsi, a mangiare da solo, a sopportare emotivamente la lontananza dalle figure di riferimento. Il tutto si fonda sull’inclusione, che costituisce un arricchimento reciproco, con il filo conduttore dell’apprendimento – o approfondimento intensivo – della musica». Ha adottato il crowdfunding, ovvero la donazione di denaro attraverso internet per finanziarsi. Come è possibile contribuire? «Le donazioni possono essere versate entro il 26 febbraio e ognuno può decidere di contribuire come vuole: ci sono degli scaglioni di 5, 10, 20, 30 e 60 euro, ma è possibile impostare una cifra a piacimento. L’obiettivo da raggiungere entro questa data è di 6mila euro e la piattaforma su cui è attiva la raccolta fondi è “eppela.com”. Ogni persona che donerà riceverà in segno
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Francesca Raimondi, insegnate di violino
Violinista e psicologa, Francesca Raimondi lancia il nuovo progetto: «Servono 6mila euro entro il 26 febbraio» di gratitudine varie ricompense, tra cui un CD registrato dai miei allievi, una maglietta di Musica è gioia, una citazione sul mio blog». è possibile contribuire anche in altri modi, oltre che a livello finanziario? «Ho avuto sponsor che si sono occupati di fornirmi strumenti musicali, cartoleria, corsi vari o ingressi in piscina agevolati,
ma tutto questo una volta che la realizzazione del camp è confermata. Questa raccolta fondi è necessaria soltanto alla realizzazione basilare del progetto e al finanziamento degli educatori scrupolosamente selezionati». Di Cecilia Bardoni
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MUSICA
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Pray 4 the Day, “Hatecore” anni 80 made in Oltrepò Nati nel 2018 dalle ceneri dei “Randy Watson” e degli “Inferior Surgez Sound”, i “Pray 4 the Day” vi urlano letteralmente in faccia la loro visione della vita e della musica. Sono in quattro, dislocati tra Lombardia e Piemonte, con l’Oltrepò Pavese e la voglia di suonare un genere “heavy” a fare da minimo comun denominatore. Si ispirano al Punk Hardcore americano, i loro brani sono caratterizzati da brevità, velocità e dall’aggressività del suono, saturo di distorsioni. La voce è caratterizzata dalla tecnica di canto “scream” con Stefano Galati alla voce e agli urli, Marco Rebollini alla chitarra e ai cori, Andrea La Fiura al basso e ai cori e Simone Albertocchi alla batteria. Hanno all’ attivo due singoli online: “Hate days” e “Macerje”, che si possono trovare su Soundcloud e Youtube, oltre ad alcuni live in giro nei principali locali della zona e un EP in fase finale di lavorazione che sarà ultimato nel 2020. «Ovviamente – specificano - il tutto ideato, registrato e pubblicato da noi in puro stile DIY». Una sigla che sta per “Do It Yourself”, “fai da tè” liberamente tradotto: un’attitudine fatta propria dalla musica indipendente underground in tutto il mondo e mutuata dalla cultura punk. Sulla pagina facebook della band definite il vostro genere “Hatecore”. Potete spiegarci che cosa significa e che radici ha? Marco Rebollini: «L’Hatecore è un genere di derivazione della prima ondata Punk Hardcore americano degli anni 80, per dare un piccolo cenno storico. Per noi però il concetto è un un po’ diverso… per questo passo la palla al nostro “urlatore” Stefano». Stefano Galati: «Diciamo che non siamo troppo legati al genere in sé, ma abbiamo in qualche modo racchiuso in un “nome” il modo di fare ed esprimere la nostra musica. Ad ispirarci ci sono anche band come i Converge». Rebollini, come in molti generi legati al metal estremo la violenza sonora viene spesso associata (o confusa) con quella fisica. Quanto è solo pregiudizio e che rapporto avete con esso? «Associare la musica che ha impatto sonoro, diciamo violento, alla violenza è abbastanza un classico però secondo me è soprattutto un cliché. Come sound siamo molto vicini, e a volte distanti, al Punk Hardcore americano sia East che West coast, però la durezza del genere è più che altro un modo per esprimersi, per comunicare concetti e non violenza. Poi ci sono persone che usano generi di musica estremi anche più del nostro solo per esprimere violenza, razzismo e quanto di peggio ancora, ma queli sono problemi loro. Personalmente mi piace suonare così per-
Da sinistra: Stefano Galati, Marco Rebollini, Simone Albertocchi e Andrea La Fiura
ché mi dà la carica per andare avanti nella quotidianità e infatti ascolto diverse band affini al nostro genere». Galati in che cosa consiste questo “hate” (“odio”, in inglese ndr) e contro chi è rivolto? «Fondamentalmente con “hate” diamo solo voce ad un stato d’animo, urliamo di paure, delusioni e gioie, riflessioni personali. Non ci rivolgiamo o attacchiamo mai qualcuno (al limite noi stessi!) ed è un po’ la maschera che portiamo quando suoniamo. Nella quotidianità, fuori dalla sala prove, giù da un palco, siamo tutt’ altro». Di che cosa parlano i testi delle vostre canzoni? «Inostri testi variano molto, spesso sono molto riflessivi, altre volte decisamente più espliciti. Raccontano di noi e del nostro punto di vista, esprimendoci come non facciamo mai nella realtà, come una sorta di Dottor Jekyll e Mr. Hyde, due faccie della stessa medaglia…dove devi sperare di non incontrare mai la seconda». Rebollini che giudizio esprimete sulla scena musicale oltrepadana? «Nel corso degli anni ho visto un sacco di band andare e venire come delle meteore, indipendentemente che eseguissero cover
o brani originali. Tanta “fuffa”, ma anche ottime cose. Direi che soprattutto non c’è costanza. La voglia di sbattersi veramente ce l’hanno in pochi, non importa se siano giovanissimi o meno. È proprio una questione di carattere e attitudine, non del genere che fai, sia commerciale o meno». Quali sono le difficoltà che si incontrano nel proporre un progetto come il vostro da queste parti? «Credo che la risposta più corretta sia che non c’è una scena per il genere che proponiamo noi. Abitassimo in Tri Veneto, diciamo, lì storicamente ci sono molte più band affini al nostro sound. Credo che la difficoltà maggiore sia questa. Poi, avendo tutti e quattro lavori diversi, facciamo anche fatica a incastrare i tempi un po’ per tutto. Non siamo più liceali di primo pelo che hanno dalla loro sicuramente molto più tempo da dedicare alla musica». Nel vostro video “Macerje”, pubblicato su Youtube, apparite nella scena finale uno di fianco all’altro con un nastro nero sulla bocca. Cosa volevate rappresentare? «Macerje parla di tutte quelle volte in cui si è taciuto invece di parlare, invece di prendere una posizione, invece di impor-
«La nostra “violenza” è soltanto sonora: uno sfogo nella quotidianità»
si... lasciando andare tutto, finché appunto non sono rimaste solo “macerje”, forse dello stupido rancore. Soprattutto verso se stessi. Lo scotch sulla bocca simboleggia proprio una scelta “forse forzata” e consapevole di non “parlare”. Una situazione molto comune, in cui a molti capita, è capitato, o capiterà di trovarsi». di Christian Draghi
SPORT
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è oltrepadano il campione europeo di Brazilian Jiu Jitsu Il 34enne casteggiano Giovanni Cardinale è il nuovo campione europeo di Brazilian Jiu Jitsu. Reduce dai campionati disputati a Lisbona, ha sbaragliato 5500 atleti tra i più forti a livello mondiale, aggiudicandosi il titolo IBJJF (International Brazil Jiu Jitsu Federation), dopo aver gareggiato nella categoria Cintura Blu 70 Kg. Cardinale pratica questa disciplina da diversi anni. Si tratta di un’arte marziale, uno sport da combattimento e un metodo di difesa personale specializzato nella lotta ed in particolare in quella a terra. Per la One More Round di Voghera, palestra dove Giovanni si allena ed è istruttore (unica a Voghera nella pratica di questa disciplina) è un grande successo, dopo una stagione che l’ha visto partecipare e vincere a vari Campionati Nazionali e Internazionale. Cardinale, il Brazilian Jiu Jitsu è apprezzato dagli abituali frequentatori della palestra? «Sì, è molto apprezzato dai frequentatori della palestra per ovvi motivi: in primis ci si diverte; questo è dovuto al fatto che, in natura, tutti gli animali per motivi ludici, di apprendimento o di difesa, lottano tra loro. Anche noi da bambini lottavamo fra coetanei, però poi crescendo dimentichiamo questo aspetto della nostra vita, per cui praticare questo Sport fa tornare alla mente quei ricordi e ci si ritrova a “rotolare” a terra cercando di prevalere sull’altro, ma in totale sicurezza». Come si articolano i corsi, a livello di contenuti e frequenza? «Il corso base è strutturato in tre lezioni a settimana da due ore ciascuna. Ogni lezione è suddivisa da una prima parte di riscaldamento, successivamente si passa a una parte di condizionamento fisico, infine si studiano le basi e si implementa una tecnica nuova o si consolida una già appresa, pro-vando a mettere in pratica tutto quello che è il proprio bagaglio atletico, in lotte a tempo». Quanto costa praticare questo sport? è prevista una prova gratuita? «Il costo è di circa 60 Euro e sono previste due lezioni di prova». Ci sono dei requisiti di base necessari per la pratica di questa disciplina? «Di base non ci sono dei requisiti particolari per poter praticare questa disciplina, ma è molto importante l’approccio che l’atleta ha nei confronti del BJJ. “Per far nascere in tè il seme del BJJ”, devi mettere da parte l’orgoglio e i tuoi pregiudizi ed essere un foglio bianco». Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato? «La difficoltà di cui le ho appena parlato è stata una delle maggiori incontrate all’inizio del mio percorso e che tuttora si ripete. Sta alla singola persona gestire questo aspetto, mettendo da parte il proprio ego e mettendosi in discussione».
Successo ai campionati di Lisbona per il 34enne di Casteggio Giovanni Cardinale
Giovanni Cardinale ai campionati Europei di Lisbona A che età è consigliabile avvicinarsi a questo sport? «Questo sport non ha una fascia d’età indicata in quanto, agendo sul miglioramento della singola persona, insegna qualcosa in ogni fase della vita». Che tipo di preparazione è richiesta a livello atletico e nutrizionale? «È molto importante capire le aspettative verso questo sport. Per intenderci, se si vuole competere a livello internazionale, mettendo alla prova se stessi e i propri limiti, è necessario seguire diverse sessioni di allenamento al giorno. Inoltre è doveroso farsi seguire dal punto di vista alimentare da uno specialista in nutrizione, che imposti un regime alimentare che soddisfi il requisito energetico necessario e che, al tempo stesso, ottimizzi al meglio il fisico. Diversamente, ci si può allenare tre volte a settimana, puntando sull’allenamento “cardio”» . Il Brazilian Jiu ijitsu è uno sport a prevalenza maschile e femminile? «Il BJ nasce principalmente come sport a prevalenza maschile, anche se ultimamente ho visto crescere in modo esponenziale la partecipazione del gentil sesso, forse per motivi legati al senso di sicurezza profonda che questo sport imprime». Organizzate gare a livello locale e nazionale? «In Italia e all’estero ci sono molte fede-
razioni e associazioni che organizzano gare e tornei, ogni singolo evento richiede un’enorme pianificazione ed organizzazione». Organizzate eventi di promozione? «Sì, in passato sono stati organizzati tanti eventi e ne organizzeremo sicuramente altri, sia di promozione ma anche di prevenzione contro la violenza in ogni sua forma. Siamo molto attivi in tal senso, collaborando a livello locale con un’associazione contro la violenza sulle donne». Chi sono i Maestri? «I nostri maestri sono Luca Pizzamiglio, che è anche Cintura Nera di riferimento in Italia, e il Maestro Tiago Domingues». Quali sono i contenuti teorici e pratici che si apprendono durante una lezione, in linea generale? «Durante una lezione vengono impartiti i rudimenti dei vari aspetti della lotta, dall’approccio iniziale fino alla gestione del proprio corpo nel tempo e nello spazio in condizioni di stress, imparando a gestirlo. Per dirla ironicamente, sfidiamo la relatività della realtà passando da una percezione stressante ad una situazione familiare, gestibile con tranquillità». Soprattutto a fronte della recente emergenza in materia di sicurezza e difesa personale, che attività organizzate? «Organizziamo corsi di difesa personale e collaboriamo con associazioni locali,
anche a livello gratuito, per poter aiutare chiunque sia soggetto a bullismo o soprusi». Come si riconosce un talento? «Un talento è difficile da scoprire… un talento si esprime nel tempo con dedizione e costanza. Il BJJ non è una disciplina di facile apprendimento, perchè plasma l’individuo e mette in discussione tutte le certezze e gli automatismi, spesso mettendo in crisi la persona stessa. La costanza e la dedizione alla fine paga, ed è proprio questo nel tempo fa emergere un talento». Quest’anno per lei è un anno da incorniciare date che ha vinto tutte le gare a cui ha partecipato. è corretto? «Quest’anno per me è stato fantastico. Sono riuscito a centrare tute le gare programmate, dai Campionati Nazionali italiani a Firenze, ai Mondiali a Bucarest, fino ai Nazionali a Francoforte e a Milano, passando successivamente agli Europei a Lisbona. Concluderemo la stagione con i Continental Pro a Roma e il Gran slam a Londra». Sono previsti esami di abilitazione per il conseguimento delle certificazioni, come per il Karate? «Nel BJJ ci sono 5 cinture: si parte dalla Bianca, per poi passare alla cintura Blu, Viola, Marrone ed infine Nera. I cambi di cintura sono decisi dai propri istruttori su una base di criteri molto ampi, che vanno oltre ai semplici e riduttivi parametri, in quanto viene valutata anche la maturità di una persona e il tempo dedicato a questa disciplina». Come vedi proiettato in futuro il Brazilian Jiu jitsu, sia a livello locale che nazionale? «Per il BJJ vedo un futuro molto positivo. In altri stati questo sport viene praticato da tutti (Polizia, pubblica sicurezza, neo mamme, studenti liceali soggetti a bullismo)». Di Federica Croce
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ENDURO
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6 Giorni Enduro in Oltrepò: «Suggerirei di lasciar perdere i pregiudizi, il che non significa avere la licenza di fare quello che si vuole» Quest’anno, tra agosto e settembre, l’Oltrepò ospiterà il più grande evento di enduro internazionale, la Sei Giorni. In un clima di pareri contrastanti su i problemi che questa Sei Giorni potrebbe generare, ma anche sui benefici a livello turistico che ne dovrebbero conseguire, ascoltiamo il parere di un esperto in quanto motociclista e imprenditore: Fabio Fasola, classe 1961, campione vogherese di enduro e insegnante di questa disciplina, ha alle spalle ben 13 edizioni di questa competizione. Quando ha iniziato a correre nell’Enduro? «Voghera è sempre stata famosa per la regolarità: il moto club Voghera è stato uno dei primi ad avere un tesseramento con la federazione motociclistica; per cui sono entrato in questo mondo anche grazie agli amici che ne facevano parte, tra cui i fratelli Spalla e Spairani. A sei anno ho avuto la fortuna di ricevere in regalo una moto e a 14 anni ho iniziato a fare le prime gare, sotto falso nome per una questione di età. Fino ai 16 anni ho avuto diversi nomi: Marco Chiapparoli, Pierantonio Rebasti, Claudio Montagna… questi sono stati i miei pseudonimi fin quando non ho potuto prendere la licenza e sono diventato “il vero Fabio Fasola”. Con già due anni di esperienza alle spalle in cui ho avuto l’occasione di confrontarmi con i “grandi”, ho iniziato ad ottenere risultati molto presto. Tant’è vero che a 18 anni vinsi il primo campionato italiano Cadetti e poi proseguii l’attività fino ad oggi». Che cosa la motiva ancora oggi, a 58 anni, ad affrontare le dune del deserto, come ha fatto quest’anno nella Parigi Dakar? «La follia. Ho già partecipato alla Parigi Dakar nel 1998, ‘99 e 2000 vincendo anche diverse tappe. Partecipare a questa competizione a 58 anni è pura follia e a volte mi sono fatto anch’io mi sono chiesto “ma chi me lo fa fare?”. C’è da dire che grazie alle competizioni e all’insegnamento – dato che con la scuola riesco ad istruire tutti gli appassionati che vogliono avvicinarsi a questo mondo – non ho mai abbandonato l’ambiente». Quest’anno ci sarà la Sei Giorni. A quante Olimpiadi di enduro ha partecipato e in quanti continenti? «Se contiamo anche questa edizione, a cui spero di poter accedere, ho partecipato a 14 Sei Giorni. La prima, per me, è stata quella del 1979, a Brioude, in Francia. Ho visitato diversi continenti ma considero l’Oltrepò la patria dell’enduro. Una volta lo era Bergamo; adesso questa città ma soprattutto l’Oltrepò hanno tutto ciò che possa esserci di più desiderabile per un endurista».
Cosa ne pensa delle polemiche mosse nei confronti di questo evento? è uscito anche il suo nome, poiché lei è stato uno dei primi ad aver portato in Oltrepò gli stranieri all’enduro. «Nel 1988 ho avuto l’idea di aprire questa scuola di fuoristrada al passo del Brallo, poiché lo ritengo un luogo eccezionale per praticare questo sport. è come per un tennista giocare a Wimbledon o per un golfista giocare in Scozia. Quello che mi è sempre stato contestato è che “porto gli stranieri”. Mi sembra lampante che lo sport non preveda discriminazioni di alcun tipo, tantomeno di nazionalità, non mi sento un illegale, mi sento uno che pratica e insegna un disciplina stupenda, che può togliere i ragazzini dalla strada. Le accuse di illegalità sono infondate, sono generate dall’ignoranza nel riconoscimento di ciò che è lecito o meno. L’80% dei cartelli che si trovano in giro è abusivo, quindi è facile che io passi inconsapevolmente in una strada vietata e di conseguenza che io venga additato come un delinquente». Un esempio pratico di cartello abusivo? «In moltissime strade ci sono segnali che citano “divieto di motocross”, ma che cosa vuol dire divieto di motocross? Se la mia moto è in regola con il codice della strada, chi mi vieta di passare in quel posto? Va sicuramente tutto regolarizzato, vanno trasmesse delle informazioni, ma soprattutto non va passato il concetto che il fuoristradista equivale ad illegalità». Regione Lombardia ha una normativa per quanto riguarda l’enduro. è difficile praticare questo sport secondo le leggi previste? «Vorrei poter mettere da parte tutti gli articoli di giornale che escono in questo periodo fino alla conclusione dell’evento e vedere quale sarà, dopo, l’opinione della gente, La Sei Giorni sarà motivo di visibilità per chiunque, poi è normale quando c’è un evento internazionale che molti, soprattutto coloro che cercano visibilità gratuita si sentino autorizzati a dire qualcosa o qualsiasi cosa. Andarsi a sciacquare la bocca è facile. Partiamo dal presupposto che ogni regione d’Italia ha delle problematiche a livello motociclistico, chi più chi meno. La Lombardia è una di quelle regioni in cui la normativa prevede che chi organizza gare per almeno due anni non può ripercorrere il sentiero su cui si è appena gareggiato. Però queste sono regole attuate nel momento stesso in cui si organizzano le gare. C’è un 50% che partecipa alle gare, non vedo perché l’altro 50% non possa usufruire di un tracciato solo perché ci hanno appena gareggiato sopra. L’importante è far capire chiaramente dove è possibile
Fabio Fasola, classe 1961, campione vogherese di enduro
«Sta ai comuni e alle comunità montane procurare un segnaletica che renda chiaro dove un fuoristradista è ben accetto». andare e dove no. Se poi qualcuno non ha la targa o non è in regola con il codice della strada questo è un altro discorso, ma spetterà alle autorità competenti segnalare e colpire coloro i quali fanno qualcosa che non va bene – non facciamo di tutta l’erba un fascio». In base alla sua esperienza ultradecennale e al suo buonsenso, dove e quando è possibile passare o meno? «è logico che se io vado in un sentiero dove so che è piovuto da due, tre settimane causo danni decisamente superiori rispetto a quando il terreno è asciutto. Perciò sarebbe opportuno possedere certe nozioni basilari dal momento stesso in cui
si entra in possesso di una moto. Ci vogliono intelligenza, educazione e rispetto verso qualsiasi tipo di proprietà. Ci sono posti dove effettivamente è vietato, altri dove non è vietato – qui non vedo perché io non possa passare; sta ai comuni e alle comunità montane procurare un segnaletica che renda chiaro dove un fuoristradista è ben accetto. Sono problemi che ci si tira dietro da tantissimi anni, e si parla si parla si parla, ma si fa sempre ben poco. Perciò vorrei sfruttare questo momento di gloria concesso all’Oltrepò per regolamentare in modo adeguato e concreto l’enduro aperto a tutti».
ENDURO I favorevoli all’enduro in Oltrepò sono molti, e tra questi ci sono le categorie economiche di albergatori, ristoratori… e chiunque per lavoro è interessato a questo evento. Lei ad oggi ha partecipato a 13 Sei Giorni ed è anche un imprenditore, quindi può fornirci un punto di vista non solo esclusivamente sportivo. Queste 13 Sei Giorni a cui lei ha partecipato, dal punto di vista imprenditoriale, che benefici hanno portato ai territori dove si sono tenute? «Una Sei Giorni muove circa 25-30mila persone, che di conseguenza circolano nel territorio e lo “usano” da un punto di vista economico perché mangiano, bevono, vanno nei negozi; grazie al passaparola fanno conoscere l’Oltrepò, le sue prelibatezze e tutto ciò che ha da offrire. Oltrepò che ad oggi non viene valorizzato come merita, quindi questo evento sarebbe un’ottima occasione per farlo. Non bisogna additare la manifestazione come controproducente, perché non lo è. Dove c’è gente c’è benessere, c’è lavoro». A proposito di afflusso: i partecipanti saranno circa 800, questo numero in quanti meccanici e assistenti si tradurrà? «Già nella preparazione, che dura circa 15 giorni, si conteranno più di ottomila persone, ancora prima dei meccanici e dei piloti. Per non parlare di chi segue la gara e a volte prende le ferie per non perdersene nemmeno un giorno. Nella fase finale, secondo me, si potrà arrivare anche a trentamila turisti totali, che si fermano per 4-5 giorni. L’enduro sembra uno sport di livello “medio”, ma non è così, soprattutto quando si va a toccare anche l’utenza delle adventure». Diventa una cosa importante anche a livello federale, tra tesserati e appassionati. Nelle Sei Giorni precedenti, ha potuto notare un grosso coinvolgimento della politica? «La politica è sempre coinvolta nel bene o nel male. In alcune nazioni l’influenza politica era un po’ più forte, in altre un po’ più labile. Mi ricordo ad esempio della Sei Giorni dell’81 all’Isola d’Elba e molti si chiedevano essendo un parco naturale, “come hanno fatto a correre?” Sono riusciti a trovare un compromesso per portare le moto anche lì. Ad oggi è la più ricordata sia dai giovani sia dai veterani perché è un fiore all’occhiello. Il pensiero di una nuova Sei Giorni di tale calibro alletta in fatto di visibilità anche a livello politico, quindi la passerella ci sarà sicuramente». A livello mediatico nazionale ed internazionale, le varie Sei Giorni hanno nel concreto portato lustro ai luoghi in cui si sono svolte? «Dipende sempre da chi gestisce questa “giostra”: se viene gestita bene porta una visibilità enorme e in senso positivo; al contrario, se viene gestita in malo modo sin dal principio, porta una visibilità controproducente. Sta al territorio che ospita l’evento creare un indotto mediatico positivo che duri a lungo nel tempo e non per forza legato al motociclimso. è una cosa
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«Mi piacerebbe molto partecipare perché quasi sicuramente questa volta sarebbe l’ultima. Sono abbastanza indeciso se correrla con una moto attuale oppure vintage, nei prossimi giorni deciderò». che ad oggi l’Oltrepò non è ancora riuscito a fare: la Sei Giorni è un evento prestigioso, che sicuramente porterà benefici al territorio». Se lei dovesse dare un consiglio alle varie istituzioni oltrepadane che si occupano di turismo, quale sarebbe? Anche alla luce di quanto ha potuto osservare nelle precedenti edizioni. «Sicuramente suggerirei di lasciare perdere tutti i pregiudizi che possono essere legati al mondo del fuoristrada – il che non significa avere la licenza di fare quello ciò che si vuole, assolutamente. Va costruito un percorso, vanno unite le forze, per far sì che questo non sia un evento controproducente. Il prestigio dell’Oltrepò non dovrà svanire dopo la Sei Giorni: lo scopo ultimo non è creare una concentrazione temporanea di gente, ma un continuo circolo». Nelle altre Sei Giorni ha potuto constatare, nei territori che le hanno ospitate, il ritorno di piloti, tifosi e turisti? «Certo, dove sono riusciti a far passare dei bei concetti e a fornire un’accomodation di qualità, l’obiettivo è stato raggiunto. La gente si ricorda della bellezza dei posti – l’Oltrepò non è mai riuscito a farsi apprezzare da più di un punto di vista alla volta». Ha mai avuto problemi di tipo territoriale, qui in Oltrepò, tra corse e scuola? «No, non ho mai avuto problemi, tranne il mio “marchio” di essere stato il “primo a portare gli stranieri”. Continuo a non vedere che male ci sia, il fuoristrada non è precluso a nessuno. Il problema di questo sport è il fatto che venga tradizionalmente legato a qualcosa di casalingo, rurale, autoctono – come se con la moto si marcasse il territorio. Oggi il mondo della bicicletta e della ebike è in costante espansione, perché noi non possiamo stare al passo?». Quindi è probabile che lei partecipi alla Sei Giorni: in che modo, con chi e come? «Sì, mi piacerebbe molto partecipare perché quasi sicuramente questa volta sarà l’ultima e vorrei coronare questo sogno di partecipare a quella che si svolge nel territorio in cui sono nato. Sono abbastanza indeciso se correrla con una moto attuale oppure vintage – nei prossimi giorni deciderò». Quali sono le motociclette vintage da corsa e perché alcuni le scelgono?
«Chi corre sulle moto vintage vuole rispolverare gli anni d’oro della regolarità. Il loro è uno spirito conviviale e altruista. L’unica pecca è che talvolta, se penso al vintage, mi sento più vecchio di quello che sono; ma ultimamente sta andando molto di moda e la federazione stessa sta spingendo parecchio perché si organizzino gare riservate a questo tipo di veicoli». In Oltrepò ci sono appassionati e preparatori di vintage? «Ho un amico, è un preparatore – Roberto Dagradi, e viene dal mondo della velocità. Oltre ad essere un appassionato è anche un bravissimo restauratore. Realtà di questo tipo si trovano un po’ ovunque. Il nostro territorio è cresciuto anche sotto questo aspetto». Consiglio dall’alto della sua esperienza che si sentirebbe di dare agli organizzatori di questa ? «Consiglio loro di prendersene cura per organizzarla nel modo migliore possibile, di sollevare meno problematiche possibili e cercare di condividere i vari step della Sei Giorni con chi è del luogo e sa come, quando e dove passare. Se si riuscirà a fare un buon lavoro, nondimeno ne gioveranno anche le e-bike, che sono un passaggio intermedio fisiologico tra la bicicletta e la moto. Chi si appassiona alle due ruote, chissà che non possa tornare in sella ad una e-bike. E in questo modo si ribalterebbe la frittata, con persone che chiederebbero la creazione di percorsi ed eventi dedicati». Momento più alto della sua carriera? «Forse il primo campionato italiano, che vinsi nell’81, e le tappe che vinsi nella Parigi Dakar. Non c’è un momento specifico che ricordo, ma tanti obiettivi raggiunti sono diventati splendidi ricordi e mi hanno permesso di essere ancora attivo in questo mondo. Potermi confrontare con giovani e meno giovani è sempre una cosa bella – è come se non si ricordassero dell’età che ho, e ne rimangono sorpresi quando glielo dico. Fa parte anche del mondo dell’insegnamento cercare di trasmettere la passione che il fuoristrada può dare». Riconosce un erede, in Oltrepò, un continuatore di Fabio Fasola in fatto di competitività sportiva? «L’Oltrepò è una fucina di piloti. So che ci sono i fratelli Buscone che stanno andando molto bene. Poi, si sa, in questo mondo anche la fortuna gioca un ruolo
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non indifferente; bisogna essere capaci di salire sul treno nel momento stesso in cui passa – ammesso che passi. Però trovo che ci siano dei giovani promettenti. Tanti ragazzi del moto club Valle Staffora e del Moto Club Varzi sono attivi. Ma quello che mi impressiona di più – in positivo – è la quantità di questi moto club; ognuno di essi sforna piloti competenti grazie ai quali l’enduro può mantenersi in continua ascesa». Nei mesi scorsi abbiamo intervistato uno dei fratelli Buscone che si occupa del moto club Varzi ed ha la passione di insegnare ai bambini. Lei si è mai occupato di questo settore? Come lo vede? «è dall’88 che insegno e il mio target comprende tutte le età, tutti i livelli e talvolta anche diverse specialità. Con i bambini mi trovo molto bene; sto portando avanti un progetto basato su camp settimanali, in cui il legame unificante è imparare ad andare in moto, ma che sono in aggiunta un ottimo modo per i bambini di imparare l’inglese e per gli stranieri di imparare la lingua italiana – sul fac-simile dei college, per intenderci. Alla fine del percorso il bambino avrà sì imparato ad andare in moto, ma avrà imparato altri sport, avrà imparato la cultura, a relazionarsi con gli altri. Grazie alla mia esperienza di istruttore sono riuscito a consolidare metodi di insegnamento sicuri. Oggi è più difficile far imparare ad una persona ad andare in fuoristrada perché sempre più spesso mancano i presupposti che di solito si acquisiscono in bicicletta. La bicicletta è sempre stata un mezzo di trasporto formativo, poiché, fin da piccoli, si imparava ad esempio a stare in equilibrio; oppure si imparava che sulla sabbia e sulla ghiaia le gomme scivolano. Oggi sempre meno persone vanno in bici, quindi mi trovo a dover colmare direttamente sulla moto queste lacune, che possono essere causa di incidenti». A tal proposito, parliamo di costi. Un campus settimanale, per dei bambini di 10-12 anni, secondo lei, quanto dovrebbe costare? «Il prezzo di un camp motociclistico non varia granché da quelli dedicati ad altri sport. La differenza è data dall’acquisto della moto e delle protezioni. Tuttavia, se si ha una visione un po’ più a lungo termine di questo percorso, i costi del mezzo e dell’attrezzatura si ammorbidiscono. Il discorso cambia quando e se il bambino è propenso ad entrare nel mondo agonistico. Bisogna comunque far sì che segua la sua strada senza pressioni». Ha figli? Stanno seguendo le sue orme? «Sì, ho un figlio di 11 anni e no, ha un’indole totalmente opposta alla mia, sembra un lord: ama la cultura, gli piace leggere, segue corsi di teatro, di lingue. Sono felice ugualmente perché mi dà delle soddisfazioni incredibili, per cui non ho alcuna pretesa che lui abbia la passione per la moto». di Silvia Colombni
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MOTORI
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Zavattarello, la perla motoristica dell’ Oltrepò: Filippini e l’Efferre
Zavattarello è un piccolo borgo medievale del nostro Oltrepò sito nell’ Alta Val Tidone, dominato dal Castello Dal Verme, immerso in una natura incontaminata, in cui regnano pace e serenità. Qui tradizione e modernità si mescolano, convivono e si fondono in un equilibrio armonioso. Zavattarello è in grado di regalare il ricordo permanente di uno stile di vita legato ai ritmi di una volta, ma aperto al futuro e lo dimostra il fatto che il piccolo centro medievale ha regalato tanto al modernissimo mondo delle quattro ruote. La passione per i motori è già da sola una confessione. A Zavattarello sanno di più su uno sconosciuto appassionato di motori che su qualcuno che ai motori è insensibile e che incontrano ogni giorno. Il piccolo centro, oltre ad essere stato testimone di sfide epiche dell’automobilismo su strada, ha dato i natali a parecchi piloti, appassionati e associazioni motoristiche di rilievo quali: Parco Chiuso Rally Club nel 2008 e Efferre Motorsport nel 2015. Di quest’ultima associazione abbiamo fatto, come si suole dire, quattro chiacchiere con il suo presidente, non che valido co-driver, Riccardo Filippini, fondatore con Flavio Rosato, Andrea Ballerini e Roberto Tedeschi del club stesso. A differenza di altri team pavesi, Efferre Motorsport é la scuderia che annovera tra i propri affiliati il maggior numero di piloti provenienti da zone extra provinciale. A cosa é dovuta questa scelta? è appunto Riccardo Filippini a rispondere: «Essendo Zavattarello una “terra di confine”, - dice Filippini - fin dalla nascita del team la sua particolarità é stata quella di annoverare nelle nostre file equipaggi che giungono da regioni e provincie confinanti.
Siamo partiti da un manipolo pochi amici e ormai è diventato una realtà abbastanza grande perché attualmente contiamo più di 35 unità, tra piloti e navigatori, provenienti da diverse regioni soprattutto da Liguria, Emilia Romagna, Piemonte e ovviamente Lombardia; le famose “4 Regioni”». Come team avete vissuto un quinquennio intenso in cui a piccoli passi lo avete fatto crescere lavorando per la soddisfazione dei vostri adepti. Cosa bolle in pentola per la stagione che s’appresta a cominciare? «Quest’anno è in programma la prima edizione di un trofeo scuderia denominato “EFFERRE trophy 2020” intitolato ad un grande appassionato di rally, Mario Crevani, vicepresidente della scuderia scomparso in tragiche circostanze. Sarà un trofeo basato su 4 gare, una in circuito, un rally Day, un Rally nazionale è una Ronde per permettere ai nostri iscritti di potersi cimentare con ogni tipo di gara del panorama rallystico. Questa iniziativa é utile soprattutto per dare motivazioni ad alcuni piloti che hanno meno possibilità di correre e vogliono cimentarsi comunque in una specie di campionato. Saranno previsti premi interessanti sia per i piloti che per i navigatori che affronteranno questa sfida». Si può avere un’anticipazione delle gare valide per il trofeo? «Le gare in oggetto sono: il Motor Rally Show del prossimo mese di marzo a Castelletto di Branduzzo, quindi il Rally castelli Piacentini, a cui farà seguito il rally del Piemonte, per finire con la Ronde Città dei Mille». è senza dubbio un’ottima iniziativa mirata al divertimento dei vostri soci, ma
Stefanone - Filippini su Mitsubishi Evo
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Riccardo Filippini
che comporta anche un notevole impegno «Cerchiamo sempre di rinnovarci e dare un servizio sempre migliore ai nostri sportivi. In passato ci hanno definito un po’ un gruppo di matti. A me piace questa definizione perché davanti a tutto io metto il divertimento, la passione e proprio per questo cerchiamo sempre di dare una mano anche i giovani che vogliono avvicinarsi a questo mondo fantastico. Offriamo loro un supporto mettendo a disposizione le nostre conoscenze e le nostre strutture per cercare di avvicinare sempre più gente a questo meraviglioso ambiente». Ma chi é Riccardo Filippini? Trentacinque anni da compiere e altrettanti rally all’attivo. Come per parecchi altri zavattarellesi, la sua passione per i rally è nata ancora bambino quando con il fratello si facevano accompagnare dal babbo a vedere i rally che dapprima si correvano vicino a casa, per poi spingersi un po più in la. «Ricordo ancora il rally di Pavia – racconta Filippini – poi, il Coppa d’Oro sulla Rocca del Giarolo o il Lanterna sulla mitica prova di Montebruno che dopo tanti anni, quest’anno sono riuscito a disputare e devo dire che arrivare in quei due tornanti alla fine di quella prova che andavo vedere da bambino, disputandoli ora in gara su di una Saxo kit nel bel mezzo di un diluvio universale, è stato molto molto emozionante». Con questo ricordo hai toccato un tasto interessante, parlaci della tua attività rallystica. Dove e quando hai iniziato? «La mia prima gara l’ho disputata affiancando Vittorio Belumè al rally del Pinot del 2009 corso con una Citroen C2. Ero emozionato perché oltre essere il mio debutto, la gara transitava in Zavattarello,
proprio sotto casa mia. Conservo il ricordo di mia figlia, ancora piccolissima, in braccio mio padre che mi salutava al nostro passaggio». Dopo quel debutto cos’é venuto? «Che dire. Da allora acqua sotto i ponti ne è passata molta e di gare ne ho disputate parecchie, un po’ in tutte le classi e con molteplici vetture dalla Clio gruppo A passando poi su tutte le sue tipologie, fino alla MG ZR, quindi: Saxo kit, 106 gruppo A, Panda kit, Punto Super 1600, Mitsubishi Evo per poi arrivare alla Fiesta R5 ed alla Skoda Fabia R5». C’é una gara in particolare che ti ha dato le maggiori emozioni? «Direi, la prima in R5, anche se si trattava di un rally anomalo: il Milano Rally Show. L’emozione di salire su una vettura top gamma come quella, é stata veramente forte. Però, pensandoci bene devo dire che é stata una emozione ancora più grande é stata la prima gara su strada con la R 5, sempre al fianco di Vittorio, affrontata lo scorso anno a fine stagione ovvero, la Ronde Città dei Mille sulla Skoda Fabia R5. Quella è stata una grande emozione oltre ad una grande esperienza, ho dovuto fare anche una riparazione volante con un elastico per permetterci di arrivare in fondo alla prima prova, poiché si è rotta la molla dell’acceleratore, un guasto più unico che raro su una R5». Dopo questa chiacchierata, ci congediamo da Riccardo Filippini e da Zavattarello, con la convinzione sempre più fondata che i rally hanno il potere di unire pacificamente le persone in un modo che pochi altri sport hanno. di Piero Ventura
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Rally storici - Paviarally apre la stagione 2020 La nuova stagione agonistica nel settore rally ha preso il via da poco e tra i primi equipaggi a scendere in campo ci sono quelli di Paviarally, un club di amici sportivi, amanti di corse, goliardia e buona tavola, che rappresentano l’intera provincia, iniziando dal capoluogo, capitale del regno longobardo e sede di una delle più antiche università italiane. Pavia è senza dubbio città dal passato importante, non solo storico e culturale, ma anche rallystico per aver dato i natali al Rally 4 Regioni nel lontano 1971. Prosegue poi con l’area territoriale della “Bassa pavese”, pressoché uniforme con un’altitudine media sul livello del mare di 65 metri e confina con tre province: Milano, Lodi e Piacenza. Non da meno la Lomellina, un mosaico di 60 paesi, interamente pianeggiante, in cui si coglie molto bene il mutare delle stagioni: bianca di brina o di neve in inverno, con il “mare a scacchi”, come viene definito lo straordinario specchio delle acque nelle risaie in primavera, calda e molto verde d’estate, e “dipinta” con mille tonalità di colori in autunno. Infine l’Oltrepò, conosciuto anche come “Vecchio Piemonte”, una delle aree territoriali della provincia con caratteristiche proprie. Geograficamente si presenta come un cuneo di territorio dalla forma a grappolo, proprio come l’uva dei suoi vini sublimi, che si insinua fra l’Emilia e il Piemonte. Famosissimo per i salumi e per la sua cucina di ampia fantasia e varietà, é anche zona di lunga cultura rallystica. Tornando al settore prettamente sportivo, Paviarally sarà presente i prossimi 14 e 15 febbraio a Bosco Chiesanuova per il 10° LessiniaSport, manifestazione che proseguirà nella sua tradizione come round d’apertura del Trofeo Tre Regioni 2020 in cui la squadra pavese sarà presente con Domenico e Barbara Gregorelli su Opel Manta, reduci dall’ottimo terzo posto assoluto e primo di Divisione ottenuto al Rally Giro dei monti Savonesi lo scorso mese di
Domenico e Barbara Gregorelli Opel Manta novembre nella gara di chiusura stagione 2019. Sugli sterrati senesi, appena una settimana dopo la gara veneta, si disputerà il secondo rally Storico della Val d’Orcia in programma a Radicofani i prossimi 21-22 e 23 febbraio, prova d’apertura del Campionato Italiano Rally Terra Storici 2020. Qui, tutti gli occhi saranno puntati sull’equipaggio oltrepadano composto dal driver di Zavattarello Domenico Mombelli e del codriver di Varzi Marco Leoncini, reduci da una stagione 2019 ricca di soddisfazioni, culminata con la vittoria nel “Trofeo Terra Rally Storici” (TTRS) 2019 nel Secondo Raggruppamento, in cui “Russel Brooks e John Brown” come simpaticamente vengono soprannominati per la loro guida spettacolare dai colleghi di squadra, hanno fornito una prestazione eccezionale, da incorniciare. Anche quest’anno, i portacolori di Paviarally al volante della Ford Escort MK1, rinvigorita da Marco Vecchi nella sua struttura CVM di Siziano, tenteranno l’ardua impresa di ripetere, in campionato, il risultato dello scorso anno nonostante impegni di lavoro li costringeranno a disertare due prove del torneo tricolore. di Piero Ventura
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La scuderia piloti Oltrepò alza il sipario Sarà l’Enoteca Regionale della Lombardia di Broni ad ospitare il prossimo 29 febbraio l’annuale festa della Scuderia Piloti Oltrepo, in cui si celebreranno i protagonisti della passata stagione agonistica e si festeggerà l’inizio di quella che va a cominciare. La scelta é caduta su di una location in cui si potrà scoprire la nostra terra sotto un’altra veste, non solo quella delle quattro ruote a cui i driver targati SPO sono abituati, bensì quella enogastronomica, in cui le specialità locali che rappresentano le eccellenze di questo meraviglioso territorio dalla natura variegata e stupefacente la rendono unica. è giusto ricordare che era il mese di febbraio 2011 quando sulla scena dell’automobilismo sportivo apparve una nuova realtà da subito identificata sotto la sigla SPO, acronimo di Scuderia Piloti Oltrepo. I suoi promulgatori furono tra gli altri: Claudio Biglieri, Matteo Musti e Giuseppe Fiori e proprio quest’ultimo, ne diverrà di li a presto presidente, ruolo ricoperto tutt’ora. Sotto la sua guida, il sodalizio oltrepadano é stato promotore di numerosi eventi mirati alla conoscenza, alla pratica e allo sviluppo dello sport delle 4 ruote e dei rally nello specifico. Di notevole spessore e altamente qualificati i corsi per navigatori più volte promossi con gran-
Da Sinistra: Claudia e Matteo Musti, Giuseppe Fiori, Marino Scabini, Agostino Benenti e Alessandro Ghezzi
de successo che in molti ricorderanno. Non va poi dimenticato con Aci Pavia, lo Slalom Collegio-Penice, altro evento da
incorniciare. Che dire poi del Rally Day Valleversa del 2018, una manifestazione che ha raccolto consensi da tutto il nord
Italia. Sono stati anni di intenso lavoro per SPO e di grandi soddisfazioni anche a livello agonistico grazie ai suoi validi piloti, sempre sulla cresta dell’onda, come nella scorsa stagione aperta dalla vittoria di Musti-Zanini nel Rally storico del Cuneese, proseguita con la doppietta ottenuta al Rally Race Storico con Musti-Biglieri e Ghezzi-Benenti rispettivamente al primo e secondo posto, risultato che questi ultimi ripeteranno al 4 Regioni storico. Nel 4 Regioni Trofeo Valleversa riservato alle vetture moderne c’é stata invece la vittoria di Claudia Musti che ha letto le note a Totò Riolo, mentre Claudio Biglieri vince al Valtellina storico navigando Sordi. Momento importante della stagione scorsa é stato il ricomporsi dell’equipaggio Brega-Zanini che festeggiano l’evento con una bellissima vittoria al Rally Race. Oltre a costoro sono stati in parecchi i piloti e navigatori che si sono messi in evidenza come Beniamino Lo Presti, Giorgio e Marco Verri, Michele ed Enrico Giorgi, Nicolas Riccardi, Fabio Fraschetta, Pietro Tronconi, Paolo Burgazzoli, Giorgia Petrosa e altri ancora che conosceremo nel corso della serata assieme ai programmi della Scuderia per questo 2020. di Piero Ventura
A Marzo torna il Motor Rally Show Pavia Con l’edizione numero 5 del Motors Rally Show Pavia in programma il prossimo 7 marzo, si alzerà ufficialmente il sipario sulla stagione motoristica 2020 nel nostro territorio. A scendere in pista saranno le vetture in allestimento rally moderne e storiche impegnate in due sessioni e 6 Prove Speciali. Un evento, quello che si svolgerà nel weekend del 7 e 8 Marzo 2020, promosso dalla collaborazione tra ACI Pavia e Motodromo Castelletto di Branduzzo in cui, come sempre, alla base ci saranno velocità e tanto spettacolo. La manifestazione manterrà il format delle recenti edizioni, molto apprezzate da piloti e team. Le iscrizione, già aperte, dovranno pervenire in Piazza Foro Boario, 33 – Santa Maria della Versa, entro le ore 18.00 di lunedì 02 Marzo 2020. L’evento entrerà nel vivo sabato 7 marzo con le Verifiche Sportive e Tecniche Ante Gara presso Castelletto Circuit Strada Vicinale della Scevola, 1. Quindi si procederà alla Ricognizione del percorso, mentre alle ore 11.30-13.30 ci sarà lo Shakedown (con vetture in assetto
gara). Alle 18.30 si inizierà a fare sul serio con la disputa delle 2 prove speciali in programma nella prima sessione: PS1 Aci Pavia km 7,33 e PS 2 Castelletto Circuit di km.8.35. Domenica 8 i concorrenti affronteranno le rimanenti 4 prove speciali: PS 3 e PS 4 di km 8.71; PS5 e PS 6 di km 9.80 al termine delle quali conosceremo chi andrà a iscrivere il proprio nome nel breve ma prestigioso albo d’oro. Lo scorso anno la manifestazione registrò il successo di Nucita.Mabellini con la Hiunday i20 R5, davanti a Longhi-Perico Skoda Skoda Fabia R5 e Araldo-Boero Skoda Fabia R5. Primo equipaggio pavese al traguardo fu quello composto da BregaZanini giunti sesti con la Skoda Fabia R5 per i colori della Scuderia Piloti Oltrepo. Podio interamente occupato da portacolori delle scuderie pavesi invece tra le storiche in cui la vittoria é andata a OttoliniNespoli (Bmw M3 – Road Runner Team) davanti a: Lo Presti-Biglieri (Porsche 911 – Scuderia Piloti Oltrepo) e Daglia-Partelli (Bmw 323 – Rally Club Oltrepo).
La Skoda di Brega Zanini nell’edizione 2019 (3).jpg
ALBO d’ORO 2016 Longhi-Succi 2017 Ogliari-”Cobra” 2018 Di Benedetto-Floran
2019 Nucita-Mabellini di Piero Ventura
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Tempo di premiazioni - EFFERRE in convivio
Si é tenuta ad inizio mese presso il ristorante Cascina Cabella di Casalnoceto, l’annuale cena sociale della Scuderia Efferre. Molti gli intervenuti tra cui amici e colleghi, come il presidente della Scuderia Piloti Oltrepo Giuseppe Fiori, del Road Runner Team di Casteggio, Giacomo Scattolon e della scuderia Pro Rally 2000, Giorgio Zelaschi. Con Riccardo Filippini, presidente del team di Zavattarello a fare gli onori di casa, la serata conviviale é stata arricchita dalla consegna di numerosi riconoscimenti a coloro che ne hanno tenuto alto i colori durante la passata stagione. Come detto, moltissimi i piloti e navigatori presenti in sala. Citandone alcuni iniziamo dalle graziosissime Susy Ghisoni, Nancy Bondi e Claudia Spagnolo per proseguire poi con Vittorio Belumé, Tigo Salviotti, Pier Sangermani, Andrea Compagnoni, Stefano e Luca Albera, Fabio Vasta, Flavio Ros, Davide Melioli, Riccardo Chiapparoli, Paolo Maggi, Crevani, Castelli, Stefanone, Madama, Berlese e molti altri ancora. Significativa la presenza del Presidente dell’Automobile Club di Pavia Marino Scabini. Al termine della piacevole serata, grande é stata la soddisfazione del Presidente Efferre, Riccardo Filippini il quale ha commentato: «Voglio ringraziare tutti, ma proprio tutti, dai piloti ai navigatori ai meccanici ai famigliari agli amici e appassionati agli sponsor intervenuti alla nostra cena sociale. Quest’anno eravamo tantissimi. Spero di aver offerto a tutti i presenti una lieta serata che chiude un anno ricco di soddisfazioni e ne apre uno spero ancor più avvincente. Si riparte subito con il nostro Davide Melioli impegnato alla Ron-
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Un gruppo di premiati
de Val Merula, gara sulla quale saranno puntati i riflettori in quanto, oltre essere il primo appuntamento della nuova stagio-
ne ligure, sarà anche la gara d’apertura dell’atteso “Campionato Rally Liguria Primocanalemotori”, l’inedita serie arti-
colata sui 9 rally». di Piero Ventura