Il Periodico News - MARZO 2020 N°152

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L’Oltrepò sfida il Coronavirus della vitivinicoltura locale con la grande ammucchiata

Anno 14 - N° 152 MARZO 2020

20.000 copie pagina 5

in Oltrepò Pavese

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

PRENDIAMO LE DISTANZE… ANCHE QUELLE VIRTUALI

CASTEGGIO

varzi BRESSANA BOTTARONE

pagine 30 e 31

«Sindaci snobbati, manca un politico forte a rappresentare il territorio» A cancellare i disagi dei pendolari ci ha pensato, almeno per un poò, il coronavirus. Prima dell’epidemia e delle restrizioni che ne sono... pagina 36

RIVANAZZANO TERME «Paese attrattivo perché ricco di servizi e avvantaggiato geograficamente» Il motivo di questo successo, a detta dell’assessore al commercio Elisabetta Bevilacqua, sarebbe il risultato di una concomitanza di fattori... pagina 18

VARZI

«Asm, il direttivo di Forza Italia auspicava un Cda tecnico» Dopo le nomine del nuovo cda di Asm, che hanno creato non poche frizioni tra Forza Italia e Lega, il neosegretario cittadino Giuseppe Carbone prende le distanze dal sindaco Carlo Barbieri. pagina 10

Testimoni di Geova: «Da 30 anni la nostra comunità a Varzi»

pagina 24

BORGO PRIOLO

pagina 35

COLLI VERDI Lodigiani: «Lontano dai grandi centri ci siamo scoperti più uniti» è passato poco più di un anno da quando Ruino, Canevino e Valverde si sono uniti diventando, a livello amministrativo, un’entità sola: era il... pagina 29

news

pagina 3

Il patron di Monsupello: «L’Oltrepò rinunci a mediatori e maxi rese impossibili sulle nostre colline»

Spesso ritenuta una setta da chi non ne fa parte, quella dei Testimoni di Geova è una comunità presente anche nel territorio d’Oltrepò, dove...

“Progetto Islander” denuncia il maltrattamento di trenta cavalliI Di recente si è interessata alla questione anche ENPA e sono state inviate segnalazioni da alcuni cittadini a Striscia La Notizia. Al momento...

Nei quattordici anni di vita del nostro giornale, questo è il numero più difficile da mandare alle stampe. Ci siamo chiesti se fosse il caso di uscire comunque e, nel caso, di che cosa parlare. Alla prima domanda ci siamo risposti di sì e abbiamo deciso di farlo sia per noi che per i nostri lettori, per dare un segnale di “resistenza” in un momento di grossa difficoltà. Considerando che questo giornale si finanzia solo attraverso la pubblicità e che la maggior parte dei nostri inserzionisti sono attività commerciali, comprendete bene come magari sarebbe stato più facile e conveniente tirare giù la clèr a questo giro. Ma il nostro dovere è anche e soprattutto quello di offrire un servizio ai cittadini ed è quello che abbiamo deciso di continuare a fare. Questa prima decisione ci ha portati al secondo dilemma: parlare o no del virus? Se sì in quali termini? A chi dare voce? Come farlo? Già ne parlano tutti, ovunque e sempre. Abbiamo pensato che l’ennesimo foglio tempestato da foto di mascherine, dati e chiacchiere sul virus non fosse quello che serviva.

il Periodico

Croce Rossa: «La situazione finanziaria attuale è stabile» Da poche settimane la Croce Rossa di Casteggio ha un nuovo presidente. È Cristian Tiengo, di professione infermiere, già responsabile...

«Salice si è persa con le Terme»

Benedetto Mosca, giornalista e scrittore, fratello del noto giornalista (e personaggio) televisivo Maurizio, è uno che in Oltrepò ci ha lasciato il cuore. Vive a Milano ma frequenta la Valle Staffora regolarmente dagli anni ’70, ha una seconda casa a Salice Terme... pagina 19

pagine 32 e 33

Editore



l’EDITORIALE

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PRENDIAMO LE DISTANZE… ANCHE QUELLE VIRTUALI

Nei quattordici anni di vita del nostro giornale, questo è il numero più difficile da mandare alle stampe. Ci siamo chiesti se fosse il caso di uscire comunque e, nel caso, di che cosa parlare. Alla prima domanda ci siamo risposti di sì e abbiamo deciso di farlo sia per noi che per i nostri lettori, per dare un segnale di “resistenza” in un momento di grossa difficoltà. Considerando che questo giornale si finanzia solo attraverso la pubblicità e che la maggior parte dei nostri inserzionisti sono attività commerciali, comprendete bene come magari sarebbe stato più facile e conveniente tirare giù la clèr a questo giro. Ma il nostro dovere è anche e soprattutto quello di offrire un servizio ai cittadini ed è quello che abbiamo deciso di continuare a fare. Questa prima decisione ci ha portati al secondo dilemma: parlare o no del virus? Se sì in quali termini? A chi dare voce? Come farlo? Già ne parlano tutti, ovunque e sempre. Abbiamo pensato che l’ennesimo foglio tempestato da foto di mascherine, dati e chiacchiere sul virus non fosse quello che serviva. Chi vuole può informarsi ora per ora attraverso il web, la tv o i quotidiani nazionali. Noi siamo un mensile di provincia, non

possiamo essere attuali o per così dire “sul pezzo” in una situazione simile, in continua evoluzione di ora in ora. Abbiamo fatto un’altra scelta: quella di prendere anche noi le famose distanze che tutti invocano. A parte un paio di pezzi che si spera possano diffondere informazioni realmente utili e un intervento dei commercianti della Val Versa, abbiamo scelto di evitare il tema principale di questi giorni, per non aggiungere ulteriori gocce di pioggia ad un mare già in tempesta. Per questo abbiamo cercato di realizzare, il più possibile, il numero che avremmo voluto dare alle stampe se questo maledetto contagio non fosse arrivato, o se si fosse riusciti a contenerlo in modo significativo. Scelta giusta o sbagliata? Decidetelo voi, non ci offendiamo. C’è chi ha declinato l’invito a un’intervista e chi invece l’ha accolto. Entrambe le posizioni sono per noi ugualmente condivisibili. Nessuno ha mai sperimentato una situazione del genere prima. Eravamo tutti vergini. I nostri nonni hanno avuto la guerra. Da allora siamo la prima generazione che si ritrova ad affrontare una situazione tanto critica da comportare severe restrizioni della libertà personale. La nostra scelta è non dire nulla sull’argomento.

Nel pandemonio di giudizi universali ci siamo smarriti nel rumore, nel chiasso delle nostre stesse chiacchiere al punto da non capirci più dentro niente. Tiriamo un respiro profondo, chiudiamo gli occhi un attimo e contiamo fino a dieci. Poi riapriamoli e vediamo se tutto ha riacquistato un po’ di senso. Se non funziona la prima volta chiudiamoli di nuovo e così via. La parola d’ordine è “mantenere la distanza”. E allora facciamolo una buona volta, prendiamoci questa benedetta – o maledetta, se preferite – distanza. E che non sia soltanto una distanza fisica. Mettiamo almeno un metro e mezzo tra noi e quello che può avvelenarci, perché il coronavirus (già solo a scriverne il nome viene ormai la nausea) non è l’unico agente patogeno in giro: ci sono ignoranza, presunzione, rabbia, stupidità, egoismo, frustrazione e paranoia che possono pure loro fare molti danni. Prendiamone le distanze. Prendiamo le distanze dai social network, di cui ormai abusiamo quasi fossero una sorta di psicoterapia di gruppo interattiva dove ognuno si sente libero di rigurgitare ogni suo pensiero. Prendiamo le distanze non tanto dalle nostre legittime opinioni personali, quanto dal sentirci in diritto di

esprimerle sempre e comunque in ogni modo. Prendiamo le distanze dai politici, e in Oltrepò se ne contano diversi, che utilizzano l’emergenza per fare campagna elettorale, da quelli (anche gli aspiranti tali, in vista delle elezioni) che si sentono in dovere di “informarci” su ogni minimo sviluppo della situazione propinandoci con pedante costanza i loro bollettini social infarciti di inutili commenti personali. Prendiamo le distanze dalla paranoia, così come dal menefreghismo, utilizziamo la ragione e per una volta, da italiani, proviamo a seguire le regole. Perché ad aggirarle con furbizia oppure a farcele da noi si rischia di finire chiusi in casa ad libitum o ad assaltare i supermercati. Da cosa non dobbiamo prendere le distanze? Dagli affetti, dalle passioni che ci tengono vivi giorno dopo giorno. Stringiamo (dopo averla lavata con attenzione, si intende!) la mano di chi sta con noi, perché dopotutto è quello che ci rende umani. Facciamo un passo indietro e ricordiamoci che, se proprio vogliamo apparire, restare in silenzio quando tutti urlano è il modo migliore per farsi notare. di Silvia Colombini


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ANTONIO LA TRIPPA

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OLTREPò IN CRISI. Ma in tutti questi anni i nostri politici non si sono accorti di nulla ? Preoccupante. Non era facile riuscirci, ma gli ultimi eventi, in primis l’allarme sanitario in atto, poi l’ennesimo ultimo scandalo del vino, le strade e i ponti in stato disastroso, hanno peggiorato l’Oltrepò. Non era facile peggiorare una situazione già di per sé disastrosa e ai minimi livelli, ma ahimè purtroppo è avvenuto. In questo momento di pseudo unità nazionale, anche in Oltrepò molti lanciano l’appello “Rimaniamo Uniti”, poi passata la buriana che sia domani o dopodomani, ho il ragionevole dubbio se non la certezza che ognuno andrà per la sua strada e curerà i propri interessi e l’Oltrepò farà lo stesso, andrà anche lui per la sua strada, che, e spero di sbagliarmi, sarà una strada senza uscita, un vicolo cieco. In questi ultimi mesi di crisi, prima imprenditoriale ed economica, successivamente sanitaria, ho letto come tanti le esternazioni di vari politici oltrepadani o pseudo tali e tutti sono concordi (dipende dall’interesse ma il succo è uguale) che l’Oltrepò è “un’area in crisi”. Ma se l’emergenza sanitaria passerà, e mi auguro come tutti con il minor numero di vittime possibile, l’emergenza strutturale in Oltrepò rimarrà tale e l’Oltrepò per questo rimarrà sempre e comunque “zona rossa”. Ma come si è arrivati a questo collasso? Doveroso chiamare in causa “i nostri” politici oltrepadani che nella stragrande maggioranza dei casi non sono stati capaci, né negli anni passati (e si va indietro nel tempo…) né ora e dubito anche in futuro, di ascoltare le esigenze dell’Oltrepò e della sua gente e soprattutto di capire quali tra queste esigenze portate alla loro attenzione sono state, sono e saranno prioritarie. Mi han fatto ridere le molteplici dichiarazioni di diversi politici “nostrani” in riferimento allo scandalo del vino, dichiarazioni sintomatiche che, tralasciando ogni commento ed ogni considerazione su quanto successo, mi hanno fatto riflettere sulla “faccia tosta”, la mancanza di dignità e la mancanza di vergogna dei tanti che hanno elargito - come novelli santoni - considerazioni su cosa si sarebbe dovuto fare negli anni passati e dispensato ricette su cosa si dovrà fare in futuro. La mia domanda è semplice: ma in tutti questi anni, in cui tutti questi politici hanno girato il territorio in largo ed in lungo per tagliare nastri, darsi pacche sulle spalle, organizzare cene e partecipare ad ogni sagra, non si sono accorti di nulla? C’è gente che è in politica da 10, 20, 30 anni… e ad ogni emergenza economica dell’Oltrepò alza la manina e offre ancora la sua ricetta! Niente… la cosa fa già ridere così! Questi politici che hanno girato e non sono ancora stufi di girare in lungo e in largo

l’Oltrepò per fare selfie con l’amico di turno (che poi “amico” è una parola grossa, dato che al primo “problema” imprenditoriale o economico del suddetto ne prendono immediatamente le distanze e buonanotte), questi politici che da anni girano l’Oltrepò con il contachilometri, dicendo che stanno vedendo come risolvere il problema delle strade e dei ponti oltrepadani, non vi fanno ridere? Ma in tutti questi anni di “onorata” carriera politica non avete visto o politici del “kaiser” che le strade ed i ponti si stavano degradando ogni giorno di più? Cosa guardavate? Evidentemente solo l’ennesimo e patetico nastro da tagliare alla sagra del cacciatorino senza pelle… Non solo non ve ne siete accorti, oggi dopo 10, 20 o 30 anni volete ancora dire la vostra e dare la ricetta su come risolvere i problemi di strade e ponti in Oltrepò. Ho detto prima che passata l’emergenza sanitaria, ognuno in Oltrepò (come in parte è giusto che sia) andrà per la sua strada… un vicolo cieco a mio giudizio, anche se spero di sbagliarmi e sarà un vicolo cieco perché anche molti dei giovani o pretendenti tali politici dell’Oltrepò, “il nuovo” insomma… al di là di qualche dichiarazione che generalmente è un mix tra il simpatico, il buonismo e lo pseudo buon senso… non hanno capito che non possono seguire le furbesche orme dei loro “padri o padrini” politici che li hanno preceduti, al contrario dovrebbero seguire strade nuove, capire che il primo e più grande problema dell’Oltrepò è un sistema produttivo imprenditoriale economico che fa acqua da tutte le parti. Spina nel fianco sono le infrastrutture, tra queste le priorità sono strade e ponti.

Non è necessario essere dei fini statisti o degli illuminati politici per capirlo, basta essere una persona “normale”: in tutto il mondo la prima cosa che ogni autorità pubblica fa per cercare di risollevare l’economia locale è quella di migliorare le vie di comunicazione. In Oltrepò invece no…si fanno corsi, simposi, bandi, quando se non ci sono le infrastrutture primarie tutto il resto non può funzionare. Se hai un tubo con tanti buchi è inutile continuare a immetterci acqua, prima cambia il tubo. In Oltrepò con la scusa che ci sono altri capitoli di spesa, con la scusa che “se non si chiudeva il finanziamento per quella cosa inutile non ci arrivavano neanche quei soldi…” con la scusa che “purtroppo non possiamo fare diversamente perché dalla Regione, dallo Stato o anche da... più in alto…. ci dicono di fare così…” e in base a queste scuse la maggioranza dei nostri politici continua a portare a casa un po’ di soldi per la sagra del paese a cui seguono immediatamente i selfie, per un nuovo computer in nuovo museo in cui nessuno andrà, a cui seguono immediatamente i selfie ed altre amenità di questo tipo… L’elenco è lungo. Certo non è facile districarsi nella complicatissima e cervellotica macchina politica e burocratica italiana, è sempre più difficile e sapete perché? Perché la “vecchia” politica l’ha creata ed i nuovi politici, prendendone atto, cercano di districarsi al suo interno oppure cercano all’interno della medesima di prendersi delle rendite di posizione. In dialetto oltrepadano: “truvà una bela cadrega e cercà da sta al pusè comud pusibil” (“trovare una bella sedia e cercare di starci seduti il più comodamente possibile”). Anche noi cittadini abbiamo colpe: abbiamo votato questa gente per anni e continuiamo a votare gente simile, questo perché abbiamo chiesto favori ed in molti casi siamo stati accontentati: dal posto per i figli in un ente pubblico, alla baby pensione (quando c’era) per la zia, la nonna, o un parente prossimo, dal percorso privilegiato quando venivano elargiti fondi per agriturismi, ristrutturazioni, acquisti di nuove macchine agricole, alla concessione edilizia adattata in base alle esigenze… insomma tutti quei piccoli favori che al momento sembravano belle cose ma che poi in realtà hanno permesso, non a tutti (alcuni grazie

a questi favori i soldi li han fatti) di sopravvivere e non di vivere. I cittadini, anche se con percentuali sempre più basse di voto, hanno votato questa gente e continuano a farlo… a loro scusante c’è da dire anche che è difficile votare qualcuno di meglio perché oggi, non in tutti i casi ma nella stragrande maggioranza, chi fa politica non la fa per mettersi al servizio della comunità o per migliorare la situazione del suo paese o dell’Oltrepò ma, nella stragrande maggioranza dei casi e ne conosco tanti, uno ad uno, lo fa per migliorare la propria posizione, perché spera che “di riffa o di raffa” possa mettersi in tasca direttamente o indirettamente qualcosa in più. E non intendo necessariamente soldi o privilegi concreti e tangibili, quel qualcosa in più potrebbe anche essere la visibilità mediatica… Triste vero? La vera riflessione che oggi l’Oltrepò dovrebbe fare è un’altra: perché solo la metà circa della popolazione si reca alle urne? Perché in molti casi non guardiamo chi inizia a fare politica oggi e non facciamo questa riflessione: ma chi era prima? Com’era collocato all’interno delle amicizie giovanili? Fate questo esperimento e vedrete che la maggior parte dei “nuovi” politici non erano attori nelle loro compagnie ma comprimari. Con la politica cercano di guadagnare posizione nella speranza di diventare attori protagonisti, e se sono donne nella speranza anche di ricevere qualche complimento in più. Complimenti che da giovani non hanno ricevuto con generosità e per ovvi motivi… Un inglese, Michael Young, nel 1958 ha scritto: “The rise of meritocracy”. Young è riconosciuto come il creatore del sostantivo meritocrazia. Per creare questa parola mise insieme la parola di origine latina “merito” con un’altra di origine greca “crazia”. Consiglio a molti politici (i “nuovi”, che quelli vecchio stampo sono causa persa) di leggere quanto scritto da Young e dopo chiedersi allo specchio: “Io ho in realtà le capacità e la preparazione per fare politica e sperare di fare l’amministratore pubblico? Oppure ho solo la capacità di fare dei post più o meno intelligenti, più o meno di buon senso, più o meno acchiappa like scopiazzati di qua e di là?”. Ecco … i nuovi politici o aspiranti tali dovrebbero farsi questa domanda, anche se ho il presentimento che non gli passi neanche per l’anticamera del cervello. Più probabilmente, continueranno imperterriti nella loro patetica corsetta nella speranza di trovare una sedia o uno sgabellino dove sedersi il più comodi possibile. di Antonio La Trippa


CYRANO DE BERGERAC

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L’Oltrepò sfida il Coronavirus della vitivinicoltura locale con la grande ammucchiata Tutti insieme allegramente. L’Oltrepò Pavese sfida il Coronavirus della vitivinicoltura locale, ovvero il deprezzamento di vino e terreni tra continui scandali, con il rimedio di sempre: la grande ammucchiata, la pace finta, l’unione d’intenti da edicola, la fame di poltrone per rifarsi una verginità. Stare insieme per prendere tempo, fino alla prossima tempesta e ai prossimi arresti perché sono quasi tutti concordi nel sostenere che non sia finita qui osservando a scaffale bottiglie a bassissimo costo che stonano rispetto a imprese in forte crescita economica. La politica regionale e l’Ersaf, dopo 2 anni di porta a porta che neanche i venditori del Folletto, hanno partorito un grande risultato: (quasi) tutti insieme verso il sol dell’avvenire. Io credo poco ai grandi ritrovi sul territorio dei distretti, dei club e dei ristretti non al bancone. Credo molto di più alla rilettura, che mi ha consigliato un amico che conosce bene l’universo di Assoenologi, di uno studio pubblicato nel 2016 dalla Fondazione Bussolera Branca e curato da Paola Rossi, all’epoca ricercatrice di Demoskopea. L’indagine, letta ma non capita da nessuno degli attori, era stata fortemente voluta

dalla Fondazione e dal suo presidente, Fabio Cei, per aiutare il territorio a trovare soluzioni efficaci. Si suggerivano soluzioni reali e non interventi ecumenici. Dieci gli obiettivi immediati che la ricerca, ancora molto attuale, metteva in luce dopo aver raccolto centinaia di opinioni e riflessioni: esportazioni (attrarre importatori e presidiare le fiere estere); lavorare sui marchi, non sul vino sfuso o sui vitigni; rifiutare la proposta multipla e polverizzata per puntare solo su alcuni vitigni («il resto verrà a rimorchio»); coordinare le rappresentanze d’interessi (conflittualità permanente e tendenze centrifughe); impedire che la grande distribuzione posizioni il vino dell’Oltrepò come prodotto a basso prezzo; indirizzare la politica; contrastare l’autoreferenzialità; promuovere un territorio intero e non solo vini, castelli o ristorazione; costruire ed educare il cliente dell’Oltrepò e corredare i vini di racconti; proporre il miglior rapporto qualità-prezzo, con attenzione al consumatore; puntare sul Pinot nero nelle tre declinazioni: metodo classico, Cruasé, rosso nobile; lavorare sulla Bonarda con blocco di prezzo verso il basso. Erano stati diversi e qualificati gli attori del territorio intervi-

stati: Riccagioia, Consorzio di tutela, Distretto di qualità, cantine sociali, Regione, Provincia, Comune di Broni, Ascovilo, Confagricoltura, Camera di commercio e ristoratori vari. Poi gli esperti del settore, la voce produttiva oltrepadana: aziende vitivinicole classiche (con vigna e cantina di vinificazione), aziende viticole (che producono le uve e le cedono alle cantine sociali), cantine sociali, imbottigliatori e imprenditori. Nel rapporto fra elementi a favore e a sfavore - aveva messo in luce la ricerca - oggi vince la percezione di un territorio ove “non vale la pena” recarsi perché non riesce ad attrarre, in quantità apprezzabili s’intende, il cittadino lombardo diretto in Liguria, né il milanese deciso a trascorrere un fine settimana in campagna; si fa fatica persino ad attrarre il pavese in gita domenicale. Per cambiare la reputazione dell’Oltrepò, dunque, il suggerimento era fare affidamento non tanto sui residenti e sui nativi, ma sugli imprenditori che in Oltrepò hanno speso e perciò sull’Oltrepò scommettono per vedere i ritorni dei loro investimenti. L’altra criticità che emergeva era poi che su 13.500 ettari di vigneti ci fossero troppi vitigni comunicati alla rinfusa.

Risultato: «offerta piatta e sfocata». La Fondazione Bussolera Branca aveva tentato di dare una chance al territorio per ripensare se stesso, tuttavia è rimasto tutto lettera morta. Al contrario, oggi, la politica regionale spinge nuovamente a fare ammucchiate anziché scelte. L’importante, forse, non sarebbe essere tanti quanto piuttosto mettere insieme i soggetti giusti. è un po’ come nel produrre vino: chi fa cisterne e chi non ha una vigna difficilmente saprà capire che spesso, quasi sempre in verità, per fare immagine presso il mondo degli amanti del vino si parte dalle bottiglie eccezionali che escono da una barrique selezionata, la proverbiale botte piccola… In Oltrepò si pensa ancora che il riavvio parta da una flotta di trattori, qualche poltrona, qualche fiera, qualche consulente e qualche giudizio comprato. La strada lunga è difficile, quella breve è un virus contagioso e letale. Sarebbe meglio non uscir di casa, anche perché il sistema immunitario dell’Oltrepò del vino è già fortemente compromesso. di Cyrano de Bergerac


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ATTUALITà

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Iniziativa della CRI: spesa e medicine a domicilio Battesimo di fuoco per la neopresidente della Croce Rossa vogherese Chiara Fantin, 39enne volontaria che dallo scorso 16 febbraio è stata eletta dall’assemblea dei soci alla guida del comitato locale. Non ha fatto neppure in tempo ad insediarsi che si è ritrovata in piena emergenza coronavirus. Oggi coordina 35 dipendenti e circa 300 volontari tra Voghera e Varzi, impegnati quotidianamente giorno e notte per dare supporto ad un sistema sanitario in situazione di fortissimo stress. Al momento la sezione vogherese manda quotidianamente un’ambulanza in supporto degli ospedali del bergamasco e la presidente lamenta la carenza dei cosiddetti dpi, ovvero dei dispositivi di protezione individuale: mascherine, camici, guanti e occhiali su tutti. «Quello di cui abbiamo maggiormente bisogno, in questo periodo, sono i dpi che ormai sono irreperibili ovunque» dice. «Stiamo cercando di contattare anche fornitori esteri ma con scarsi risultati. Se dovessi lanciare un sos in questo momento, sarebbe sicuramente per reperire i dpi da poter utilizzare in ambulanza». Le persone che stanno facendo donazioni per aiutare l’ospedale di Voghera sono già moltissime, chissà che non rispondano anche a questo appello. Nel frattempo la Cri lancia un’iniziativa di supporto alle fasce più deboli consegnando a casa spesa e medicinali. Fantin, oltre alle mascherine cosa può dirci dei vostri mezzi, quanti ne avete a disposizione e di cosa altro avreste bisogno? «Avremmo sicuramente bisogno di un’ambulanza in più per le emergenze in questo momento. Per il resto il nostro parco macchine è composto da 1 pullman, 1 ambulanza veterinaria, 1 camion, 2 fuoristrada, 2 furgoni, 1 camion, 2 rimorchi, 1 motopompa e 1 generatore per il reparto protezione civile ed emergenza. Ci sono poi 1 camper ambulatorio, 1 pulmino, 2 ambulanze a Varzi e 6 ambulanze a Voghera, 7 vetture e 3 per invalidi». Ci dica del nuovo servizio “Stai a casa, ci pensiamo noi” che avete appena lanciato… «è una iniziativa del comitato di Voghera con il patrocinio del Comune. Si tratta di un servizio gratuito per la consegna a domicilio della spesa, generi di prima necessità e farmaci. è rivolto a tutte le persone con problemi di salute, che in questo momento sono costrette a rimanere a casa». Come si richiede il servizio? «Dal lunedì al venerdì, dalle 16 alle 18, sarà possibile contattare il numero verde 800 200 988 istituito dalla Cri di Voghera e prenotare il servizio per la mattina successiva.

Chiara Fantin nuovo presidente del comitato locale: «Impegnati giorno e notte»

Chiara Fantin, neopresidente della Croce Rossa vogherese

«Servono mascherine e strumenti di protezione anche per le ambulanze» Tutto questo grazie al grande lavoro della delegata area sociale Enza Fazio e del suo staff. Grazie anche a tutti i giovani e tutti i volontari che ci aiutano in questa iniziativa». La Croce Rossa di Voghera sta dando manforte anche nel bergamasco. Com’è la situazione là? «La Sala Operativa Regionale ha fatto richiesta di un’ambulanza aggiuntiva per garantire il servizio in altri territori. In questi giorni siamo di supporto con un’ambulanza di emergenza e urgenza alla zona di Bergamo. Quella zona è una delle più colpite dal Covid, le emergenze sono molte e le ambulanze di Bergamo non riescono più a coprire tutta la zona. Ecco perché tutti i giorni mandiamo un’ambulanza aggiuntiva in aiuto da Voghera».

I servizi extra-Covid a Voghera sono mantenuti regolarmente? «Manteniamo attivo il servizio di emergenza e urgenza nella nostra zona. A questo proposito voglio ringraziare pubblicamente tutti i nostri dipendenti che stanno lavorando incessantemente da giorni, spesso con turni massacranti, senza mai guardare l’orologio, rientrando dalle ferie, dando massima disponibilità per coprire turni e servizi aggiuntivi richiesti in questo momento di emergenza. Sono veramente un esempio per molti e mi auguro che la cittadinanza capisca lo sforzo che arriva da tutti noi, pur tra numerose difficoltà». Lei succede nella guida del comitato a una figura storica per la Cri locale come Ondina Torti. La sua gestione manterrà le linee guida della preceden-

te o intende discostarvisi? «Il mio mandato sarà di continuità, non vogliamo stravolgere nulla. Daremo molta importanza alla formazione, sia interna dei nostri volontari e dipendenti, sia quella rivolta alla popolazione». Di che tipo di formazione parliamo e come viene effettuata? «I nostri volontari e dipendenti avranno una continua formazione interna per rimanere sempre aggiornati e preparati. Puntiamo poi molto sulla formazione nelle scuole, è molto importante ad esempio che anche i bambini sappiano effettuare un buon massaggio cardiaco. I corsi rivolti alla popolazione saranno di disostruzione pediatrica e di rianimazione cardiopolmonare. Il nostro obiettivo è portare tutta la popolazione a riconoscere un arresto cardiaco, a saper fare una corretta chiamata al 112 e a iniziare le manovre di rianimazione cardiopolmonare in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Questo aiuterebbe a diminuire le morti soprattutto per arresto cardiaco». di Christian Draghi

«Il mio mandato sarà di continuità, non vogliamo stravolgere nulla. Daremo molta importanza alla formazione»


ATTUALITà

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Gara di solidarietà sul web: «Boom di donazioni per l’ospedale» Quando ha visto le raccolte fondi online per gli ospedali di Milano e Pavia si è detta: «Perché non farlo anche per Voghera?». Rebecca Re, 35enne ricercatrice universitaria che si occupa di fisica biomedica, ha messo così in piedi una campagna di crowdfunding attraverso la piattaforma Gofundme.com con lo scopo di aiutare la terapia intensiva dell’ospedale della sua città. «Purtroppo ho avuto modo di entrare in reparti come questi – spiega - ed è tremendo. Ho pensato che è giusto dare una mano, come possiamo. Non possiamo uscire, “risparmiamo” i 2 euro della colazione e i 5 euro del cocktail, per cui possiamo investirli per una buona causa. Sono una cittadina indipendente, non ho interessi economici né politici, ma se i politici vorranno condividere ne sarò felice. Indipendentemente dal colore, siamo tutti vogheresi soprattutto in terapia intensiva». Al momento di andare in stampa la raccolta fondi sfiora quota 19mila euro e conta oltre 500 donazioni. L’obiettivo dichiarato di toccare quota 100mila euro è ancora lontano, ma la corsa alla solidarietà è appena iniziata e non ha limiti: «C’è chi ha donato anche 1000 euro, mentre la donazione minima è stata di 5. Tutti stanno dando un contributo comunque importante» spiega Re, che annuncia anche di avere opzionato, presso una ditta produttrice che si rifornisce all’estero, 1.500 mascherine con filtri ffp2 da mettere a disposizione del reparto per un valore di circa 16mila euro (costo di mercato 9 euro più iva), cifra già abbondantemente superata. Rebecca, come mai questo prodotto e proprio in questo numero?

Rebecca Re, ricercatrice universitaria di fisica biomedica

Caccia alle mascherine: «Ne ho opzionate 1500 ma sono merce rarissima» «Ho preso contatti, per ora indiretti, con l’Asst per capire quali fossero le esigenze principali. Servono ventilatori per la respirazione assistita e mascherine, che sono in assoluto merce oggi rarissima, oltre al materiale medico di protezione come camici guanti e occhiali. Abbiamo optato per le mascherine perché sono compatibili con il budget attuale e potrebbero essere in consegna già verso metà della settimana prossima, se tutto va bene».

Perché “se tutto va bene”? «La ditta sta opzionando le spedizioni in attesa di ricevere la merce a sua volta. Il venditore (azienda seria ed affidabile) aspetta il materiale per inizio settimana prossima. A causa del continuo cambiamento di regole e restrizioni che riguardano voli e trasporti però il carico potrebbe non arrivare. Se arriva sono prenotate, se non arriva...non ci sono». è davvero così difficile al momento trovare mascherine? «Assolutamente sì. I canali cui si appoggiano le aziende ospedaliere sono saturi e c’è tutto esaurito. Io lavoro in ambito medico e ho diversi contatti che mi hanno aiutata e consigliato. Esistono tanti siti che magari la ricerca di un privato raggiunge più facilmente rispetto a un’azienda che si muove per canali “ufficiali”». Riguardo ai ventilatori per la respirazione che ci può dire? Avete chiesto preventivi? «Sì, ma il problema è che, oltre al costo, tutti quelli disponibili sono stati precettati dallo Stato a causa dell’emergenza, e le consegne ai privati non possono avvenire con ogni probabilità prima di sei settimane, che in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo non sono poche. Per questo ci siamo orientati sulle mascherine, ma, casomai per qualche ragione l’ordine non dovesse andare a buon fine, ci orienteremmo su altro. L’importante è dare una mano in qualsiasi modo». Chi volesse contribuire come può farlo? «Può accedere all’indirizzo www.gofundme.com/f/terapia-intensivavoghera-coronavirus e scegliere la cifra

Il crowdfunding per aiutare la terapia intensiva: raccolti quasi 20mila euro in tre giorni che intende donare utilizzando come metodo di pagamento carta di credito o carte prepagate. Si può fare anche rimanendo anonimi. Alcuni mi stanno contattando personalmente chiedendo di poter inviare bonifici bypassando la piattaforma. A loro dico: donare con bonifico non si può, si accettano solo prepagate o carte. Per cui, o fate un bonifico a qualcuno che ha la carta e questi lo fa a nome vostro, oppure sono pronta a fornire il contatto dell’azienda delle mascherine (che stanno finendo e attenzione le vendono a multipli di 500) per versare la somma direttamente a loro. Sono contattabile su facebook, il mio profilo corrisponde al mio nome reale, Rebecca Re». di Silvia Colombini



POLITICA

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«La Lega ha il ruolo importante di tenere unita la coalizione» Dopo l’esperienza nella lista “Cambiamo con Toti”, Vittorio Pesato è tornato nella “casa” politica che, per storia e curriculum, gli è più congeniale: Fratelli d’Italia, un partito che a Voghera si candida a giocare un ruolo da protagonista, soprattutto dopo l’ingresso in squadra dell’ex “superassessore” Marina Azzaretti, defenestrata alcuni mesi fa dal direttivo di Forza Italia. Pesato, le elezioni comunali di Voghera slitteranno quasi sicuramente per via dell’epidemia in corso. Più tempo per tessere, valutare e decidere strategie. Qual è la sua opinione in merito alla destra cittadina, correrà unita oppure la Lega avrà un suo candidato? «La Lega ha un ruolo importante, prima di tutto tenere unita la coalizione. Si deve arrivare ad una sintesi vincente e soprattutto in questo periodo dare senso di unità di progetti e senso delle istituzioni. La destra ha donne e uomini sia del partito che della società civile in grado di candidarsi ad essere forza di governo». Lei e stato il “padrino” vogherese della lista “Cambiamo con Toti”, appoggiata da Delio Todeschini e da altri politici vogheresi provenienti dalla destra vogherese. Com’è la situazione in quella lista oggi? «Delio è una persona serie e moderata, sono convinto che sia la persona giusta per dar vita ad un progetto civico di forte aiuto alla coalizione». Come mai la scelta di “rientrare” in Fratelli d’Italia? «Io sono sempre stato a destra, con in mente l’idea di una grande destra di governo. Il PDL fu una grande opportunità, fatta arenare da leader troppo paurosi di gestire l’orticello senza rendersi conto che stavano già in un grande e disteso campo.

Azzaretti? «Marina è un amministratore navigato ed esperto. “Voghera” è la prima parola che gli esce dalla bocca ogni volta che parliamo»

Vittorio Pesato ancora più a destra: da Toti a Fratelli d’Italia

Vittorio Pesato, ex consigliere regionale

«Il turismo non decolla? In Franciacorta autostrade e ponti, noi abbiamo il ponte della Becca e manca la Broni-Mortara» Fratelli d’Italia ha oggi la grande opportunità di riunire il centro destra diffuso in unico progetto come forza di governo e di alternativa alle euro-sinistre». A tal proposito cosa ne pensa della scelta di Marina Azzaretti di unirsi a voi? «Marina è un amministratore navigato ed esperto. “Voghera” è la prima parola che gli esce dalla bocca ogni volta che parliamo, per cui per un progetto di governo sarebbe un innesto importante. Credo che chiunque voglia mettersi in gioco per Voghera debba seguire la strada di Fdi». ASM: concorda con la modifica del Cda e le nuove nomine? «Non seguo da vicino questa vicenda ma sono sicure che saranno state oggetto di riflessioni da parte della politica locale. Non mi piace dare giudizi su ciò che legittimamente fanno i vogheresi». In Oltrepò oggi c’è un politico di riferimento un erede di Abelli o di Alpeggiani?

«Non credo all’eredità politica, ci saranno nuovi futuri leader. Ci vorrà tempo e intelligenza ma come sempre nella politica gli spazi vuoti si riempiono e si riempiranno». Elena Lucchini (Lega) e Cristian Romaniello (M5S) sono i due rappresentanti oltrepadani a Roma. Il lavoro di questi due politici a Roma ha portato benefici in Oltrepò? «Sicuramente si danno da fare. L’Oltrepò oggi ha bisogno di ascolto e velocità non di diktat e soloni. L’Oltrepò è un territorio fantastico e complesso che ha bisogno di molta attenzione e di scelte importanti per la rinascita infrastrutturale, idrogeologica e un rilancio del comparto vino». Giovanni Palli, sindaco di Varzi e Presidente della Comunità Montana, può essere il nuovo punto di riferimento della valle Staffora? «Sicuramente il ruolo che ricopre gli può dare il giusto spazio.

Sta a lui costruire bene il tavolo delle alleanze». Scandalo del vino: tanti sapevano che la cosa era reiterata e diffusa. La politica “non sapeva nulla” e questi politici di lungo corso che ora danno ricette sul vino.... Dove erano? «Gabriel Garcia Marquez: cronaca di una morte annunciata. Andava fatto un nuovo progetto industriale aiutando parallelamente le aziende più virtuose. Speriamo per il futuro». Durante la sua campagna elettorale ha battuto tutto l’ Oltrepò pavese. Terra che conosce molto bene... Perché il turismo in Oltrepò non riesce a decollare? «Perché se da Milano non hai strade adeguate difficilmente arrivi in Oltrepò e soprattutto troppe Doc e Docg. Oltrepò è prima di tutto terrà del Pinot Nero, tra l’altro un vitigno fantastico sia sul rosso che sul metodo classico. La Franciacorta ha 1800 ettari di superficie vitivinicola coltivata, l’ Oltrepò 13.500 ettari. Loro hanno autostrade e ponti, noi abbiamo il ponte della Becca e non abbiamo la Broni-Mortara». di Silvia Colombini

«Credo che chiunque voglia mettersi in gioco per Voghera, debba seguire la strada di Fdi»


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«Asm, il direttivo di Forza Italia auspicava un Cda tecnico» Dopo le nomine del nuovo cda di Asm, che hanno creato non poche frizioni tra Forza Italia e Lega, il neosegretario cittadino Giuseppe Carbone prende le distanze dal sindaco Carlo Barbieri. «Il direttivo del partito avrebbe ritenuto più opportuno un Cda tecnico e non uno politico, soprattutto perché tra pochi mesi si vota» spiega Carbone, che rivela come la decisione relativa alle nomine sia stata presa da Barbieri in solitaria, stile “uomo solo al comando”: «Non ci ha consultati prima». Nel mirino la decisione del primo cittadino di affidare incarichi nel consiglio direttivo della municipalizzata ad esponenti politici “soliti noti”. Forte disapprovazione in particolare è stata espressa dai leader leghisti per la nomina del “fedelissimo” azzurro Delio Todeschini. Insieme a lui in consiglio siederanno Paolo Affronti, Patrizia Rosolin (già in Asmt di Tortona) e Grazia Lanfranchi. Presidenza affidata a Pierluigi Bianchi, altro nome vicino a Forza Italia e già presidente di Reti di Voghera Energia nonché sindaco di Robecco Pavese. Carbone, adesso cosa succederà? «Io mi attengo a quella che è la situazione, certo non posso andare contro il mio sindaco». Lei però aveva appena cominciato a tessere dei tavoli di trattativa, soprattutto con la Lega, in vista delle elezioni. I leader locali del Carroccio non hanno preso bene queste nomine, teme che adesso possa saltare il banco? «Il mio ruolo resta quello di cercare l’unione tra le forze del centrodestra. Per quanto mi riguarda l’apertura al dialogo rimane da parte del direttivo, con il nostro onorevole di riferimento (Alessandro Cattaneo, ndr) inalterata». Carbone, lei succede a Rocca alla guida del direttivo cittadino. Il suo predecessore ha sempre mantenuto un contegno piuttosto “orgoglioso” quando si trattava di rapportarsi ad alleati e rivali. Al nostro giornale, addirittura, aveva dichiarato «io non cerco nessuno». Quale sarà la sua di linea? «Giampiero è stato segretario cittadino del partito per vent’anni dando prova di grande impegno, passione e capacità. Ritengo che come centrodestra abbiamo dimostrato di sapere ottenere ottimi risultati quando corriamo compatti e uniti evitando divisioni. Quindi il dialogo è aperto a tutte le forze che si riconoscono nel centrodestra e che vogliono dare il loro contributo senza porre delle condizioni anticipate». Come definisce lo stato di salute del partito a pochi mesi dalle elezioni? «Forza Italia ha una base importante nel territorio vogherese che ha sempre dimostrato la propria appartenenza al partito. Un dato emerso finora nelle precedenti competizioni che verrà confermato».

«Il candidato sindaco? Valutiamo anche nomi della società civile»

Giuseppe Carbone, neo segretario della sezione vogherese di Forza Italia

Il neo segretario Carbone: «Nomine politiche decise dal sindaco senza condividere la scelta» Però i numeri nazionali non possono certo dirsi buoni… «Il dato nazionale delle ultime elezioni non è indubbiamente stato brillante, ma la sfida comunale è differente perché si basano su una conoscenza diretta delle persone e sulla fiducia che viene riposta in esse». Quale sarà il destino politico del sindaco Carlo Barbieri? Il suo è un nome abbastanza indigesto soprattutto a diversi esponenti del Carroccio... «Barbieri è stato il nostro sindaco e amministratore per dieci anni con cui abbiamo condiviso progetti e scelte, confrontandoci serenamente valuteremo quale sarà la strada migliore da percorrere». Sempre riguardo alle nuove aperture, l’ingresso nel direttivo di Casaschi e Schiavi sa di ramoscello d’ulivo teso a Torriani. Ha parlato con l’ex sindaco? Conta di recuperarlo alla causa? «Conosco Torriani da molti anni e lo ritengo una persona intelligente con cui si possono fare dei ragionamenti in vista delle elezioni».

Si parla di un candidato sindaco esterno alla politica per mettere tutti d’accordo. Cosa c’è di vero? «Che un uomo della società civile è una delle possibilità che verranno valutate. Al momento opportuno ci confronteremo per avere un candidato condiviso da tutti». Sareste disponibili a rinunciare ad esprimere un vostro candidato se servisse per concretizzare l’alleanza? «Il ragionamento deve essere fatto come forza di centrodestra attraverso un confronto serio e costruttivo, la “ragion comune” è proporre un candidato che abbia le capacità necessarie per amministrare Voghera». Lei alla fine si candiderà? Girava voce che a questo giro avrebbe passato la mano… «Non ho mai dichiarato questo e credo, avendo fiducia delle persone che mi chiedono di rilasciare interviste, che qualche mia frase sia stata probabilmente fraintesa. Ci sono molti cittadini che in queste settimane mi hanno dimostrato vicinanza

e sostegno dopo aver avuto l’incarico di coordinatore cittadino. Quotidianamente passeggiando per Voghera ricevo attestazioni personali di stima che porterò alle prossime elezioni comunali» Forza Italia, è innegabile, ha perso moltissimi consensi negli anni, anche a livello locale. Dove ha fallito il partito che oggi lei guida? «Come le ho già detto nelle elezioni in comuni di dimensione come Voghera c’è un rapporto spesso stretto, diretto e immediato con gli amministratori, quindi la scelta diventa di fiducia. Credo che a livello nazionale il partito non abbia saputo fare delle proposte nuove che potessero coinvolgere gli elettori come successo in passato». “Rinnovamento” è uno dei termini che circola più spesso quando si parla di FI e dei suoi problemi. La lista che presenterete conterrà molti nomi nuovi? «Diciamo che sarà una lista forte, un giusto mix tra personalità politiche di esperienza, nuove leve che vogliono diventare protagonisti e cittadini appassionati di politica che provengono dal mondo civile». di Christian Draghi

Torriani verso il “rientro” in squadra? «Persona intelligente, con lui si possono fare ragionamenti»


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«Siamo la prima alternativa a questi ultimi 10 anni» Il Movimento 5 Stelle di Voghera accende i fari e inizia la corsa verso le elezioni, che a questo punto dovrebbero slittare a dopo l’estate. è stata la prima forza politica ad aver annunciato, lo scorso ottobre, il proprio candidato sindaco e, in coerenza con il suo statuto, non farà alleanze. La linea nazionale, dunque, non è interpretata come modello da seguire a livello locale. Antonio Marfi non ha dubbi sul suo team ed è ottimista: «Ci presentiamo per vincere». Marfi, tutto può succedere ma andare da soli a Voghera significa realisticamente non avere grandi speranze di raggiungere “un posto al sole”. Di un’alleanza col Pd o comunque con altre forze del centrosinistra proprio non volete sentir parlare? «Il termine “un posto al sole” non mi piace. Non cerchiamo poltrone o posti al sole, vogliamo prenderci la responsabilità di amministrare la bella città di Voghera mettendo in pratica le nostre proposte programmatiche, per farla crescere e farla piacere sempre di più a tutti. Nel rispetto delle regole dello statuto del M5S, presenteremo la nostra lista, ad oggi corriamo da soli e per vincere, perché siamo la prima alternativa a questi ultimi 10 anni». Diciamo che fino ad ora avete navigato a fari spenti. Una strategia specifica o non avevate ancora le idee sufficientemente chiare per iniziare la campagna elettorale? «Il Movimento 5 Stelle di Voghera, partendo dal programma elettorale del 2015 e dal lavoro svolto dal consigliere comunale Caterina Grimaldi, ha iniziato a lavorare alla fine di settembre 2019 definendo strategie e scegliendo il candidato Sindaco. Ha incontrato i cittadini in riunioni pubbliche, ha avviato laboratori del programma con cadenza settimanale i quali stanno dando ottimi risultati. Se questo significa viaggiare a fari spenti, i nostri avversari non hanno ancora acceso i motori». Come mai a Voghera il M5S non ha mai davvero fatto il “boom”? «I risultati andrebbero letti in maniera diversa. Nel 2010 il M5S si è presentato per la prima volta alle amministrative ottenendo il 10% dei consensi portando due consiglieri a Palazzo Gounela. Nel 2015 ha quasi ottenuto le stesse percentuali ed ha portato in consiglio Caterina Grimaldi. Nel 2018 il M5S in Italia è diventato primo “partito” politico e sono stati eletti un parlamentare della Repubblica Italiana, il deputato Cristian Romaniello e un consigliere della Regione Lombardia, Simone Verni. Il M5S a Voghera è una realtà politica consolidata e potrà solo crescere, grazie anche all’ottimo lavoro svolto dai suoi portavoce». Esiste una forza politica a Voghera con

«Sicurezza? Voghera è vuota perché non si è investito in cultura, eventi e riqualificazione urbana» cui vi sentite in sintonia? «Noi ci sentiamo in sintonia con quei cittadini che vogliono cambiare la città anche impegnandosi direttamente e con i quali saremo disponibili al confronto. La sintonia deve essere legata ad un progetto condiviso e strutturato nel tempo, non una scelta calata dall’alto, e ad oggi siamo l’alternativa più concreta e credibile». La vostra lista è ormai pronta. Come sarà composta? «La nostra lista è composta da cittadini a cui “affiderei le chiavi di casa mia”. Persone con le quali starei giorni interni a lavorare e progettare idee per risanare e far crescere la città. Una gran bella squadra che rappresenta uno spaccato sociale della città e del territorio oltrepadano. Persone che vogliono prendersi la responsabilità di amministrare e lo stanno facendo con grande spirito di sacrificio e grande entusiasmo». Quali saranno i temi su cui intendete giocare la vostra sfida? «Al centro c’è la persona, il cittadino a cui dobbiamo riuscire a garantire i servizi migliori e a cui vogliamo ridare una città viva sotto l’aspetto sociale, culturale ed economico. Un tema è lo sviluppo economico, siamo al lavoro sull’idea di “Voghera porta dell’Oltrepò”. Vogliamo istituire un ufficio specifico per il recepimento delle risorse economiche derivanti dai finanziamenti europei. Formeremo una figura professionale con alta qualificazione che diventi una sorta di ”agente di rete”. Lavoreremo con gli altri comuni del territorio oltrepadano per la creazione di un Oltrepò unito e determinato a valorizzare il proprio potenziale. Ci sarà poi la tutela dell’ambiente con l’incentivazione di interventi di riqualificazione energetica, la mobilità sostenibile per ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera. E poi tanti altri progetti, insomma un programma molto completo e innovativo». Uno dei temi su cui insistete spesso è quello della riqualificazione urbanistica: cosa non va a Voghera in tal senso? «Voghera è una bella città, a dimensione di famiglia. Dobbiamo avviare tutti quei progetti che la faranno diventare una smart

city: colonnine di ricarica auto elettriche, illuminazione a led ed intelligente, veicoli elettrici per lo spostamento dei dipendenti pubblici, al fine di migliorare la qualità della vita e soddisfare le esigenze di cittadini, imprese e istituzioni. Non bisogna sottovalutare l’importanza dell’urbanistica nel determinare il destino delle aree cittadine. Penso all’ex Caserma di Cavalleria, un immobile con un grandissimo potenziale per cui bisogna studiare un piano per sfruttarlo al meglio e renderlo un hub di servizi, un incubatore di imprese e un centro di aggregazione per i più giovani. Penso a Piazza San Bovo e a cosa diventerebbe se fosse più attraente e sicura, un luogo dove trovarsi insieme e socializzare. Riqualificare la piazza significherebbe renderla anche più sicura e stimolerebbe la ristrutturazione, anche degli immobili che si affacciano su di essa; immobili che acquisterebbero di conseguenza pregio e valore». Ha parlato di sicurezza. Secondo alcuni Voghera è vuota la sera perché non è sicura, secondo altri non è sicura perché è vuota. Qual è la vostra posizione su questo tema? «Gli amministratori devono smettere di cavalcare politicamente questo tema perché poi, alla fine, si instaura un clima di terrore ingiustificato che porta a vedere delinquenti ovunque, anche dove non ci sono. Oggi la città è vuota perché non si è investito in eventi, cultura e riqualificazione e si è facilitata la crescita di aree commerciali che hanno svuotato il centro storico. Noi certo opereremo contro la delinquenza e l’inciviltà. Le famiglie vogheresi, i pendolari e gli anziani devono vivere serenamente la città. Quello della sicurezza è però un concetto allargato e non va limitato alla semplice repressione, ma anche alla valutazione del rischio. Il nostro progetto vuole affrontare il tema della sicurezza in modo innovativo, dove l’innovazione partirà dal cambio di prospettiva: i luoghi stessi diventeranno parte attiva della sicurezza e quindi è importante lavorare sulla riqualificazione delle zone percepite come “insicure”. Insieme alle forze dell’ordine mapperemo le aree più insicure, soprattutto quelle de-

Antonio Marfi, candidato sindaco M5s

Niente alleanze: «Correremo da soli e lo faremo per vincere» gradate. Aumenteremo la presenza della polizia locale sul territorio, sia in centro sia in periferia e soprattutto nelle aree ritenute sensibili. Impegneremo le risorse della polizia locale anche in azioni di informazione per le persone anziane e più indifese». Asm è da un po’ nell’occhio del ciclone. Bollette pazze, tensioni, denunce interne, adesso le dimissioni del direttore unico. I conti tuttavia si dice siano in ordine. Quale la vostra posizione? «Per il M5S non basta fare degli utili, bisogna avere un’azienda che mostri anche una gestione trasparente e una struttura più autonoma rispetto al potere della politica. Fossimo noi a decidere, adotteremmo nuovi metodi di nomina degli amministratori, con scelte basate sul merito e sulla competenza, e non più alla appartenenza o simpatia partitica o a figure legate alla vecchia classe politica di questa città. ASM dovrà investire ancora di più in green economy e sostenere la rivoluzione verde che la città deve attuare in tempi brevi. Dovrà essere rivisto il sistema di raccolta differenziata, per poter successivamente arrivare alla tariffazione puntuale». di Christian Draghi



LETTERE AL DIRETTORE

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Salice Terme, «Villa Serena è casa mia»

Gentile Direttore, affido a Lei questa mia lettera: “Casa dolce casa”... Vi siete mai chiesti come dovrebbe essere una casa di riposo ideale per ciascuno di noi? Una casa di riposo è un alloggio ammobiliato multiresidenza, destinato agli anziani, parzialmente o non più autosufficienti. Storicamente il termine originario per designare il luogo dove venivano ricoverati i vecchi era quello di “ospizio”, dalle caratteristiche così negative che il lemma è stato sostituito con vocaboli meno sgradevoli come “pensionato, casa-famiglia, residence”. Il mio percorso di vita, a un certo punto, ha voluto che mi trovassi a Villa Serena, una struttura per anziani in quel di Godiasco Salice Terme, in provincia di Pavia. Ci vivo ormai da così lungo tempo, da considerarmi un “Veterano”, e, a questo proposito, devo dire in tutta franchezza che mi sento come a casa mia e che di tempo per annoiarmi non ce n’è. Stamattina, durante una pausa, mi sono fermato a sfogliare un album di foto-ricordo che ho trovato su di una mensola. Mi è capitato di vedere fotografie di ospiti che non ci sono più, di pranzi e feste da ballo in occasione dei compleanni. A un certo punto mi è caduto l’occhio su di una scritta: “Con la partecipazione straordinaria del maestro Dino Siani!!” (mio grande amico e maestro eccezionale, scomparso lo scorso anno) e mi è venuto un nodo in gola. A Villa Serena, la nostra casa-famiglia, l’ambiente è confortevole e familiare. Siamo seguiti in ogni momento della giornata e veniamo coinvolti in attività ricreative. Possiamo dedicarci ad attività motorie (ginnastica dolce) per mantenere

la mobilità, o tempo permettendo, possiamo fare passeggiate immersi nel verde, accompagnati da educatrici che non si tirano mai indietro, trovando ogni volta qualcosa di diverso e di bello da proporci e da condividere con noi. Il segreto per una vita serena sta proprio nella condivisione! Non tutti sanno, per esempio, che le persone anziane colpite dall’Alzheimer, sentendo la musica, si dimenticano della loro condizione di malati e cantano (o suonano addirittura uno strumento musicale). Un dono che certamente hanno gli infermieri, i fisioterapisti, i medici, gli educatori ed il personale degli uffici di Villa Serena è quello di avere pazienza ed empatia, che è la capacità di porsi in maniera immediata, nello stato d’animo o nella situazione dell’altra persona. Di pazienza, ve l’assicuro, ce ne vuole veramente tanta! Ve lo dice uno che ne ha da vendere, ma che la perde, spesso con facilità! In 17 anni di permanenza a Villa Serena, ho imparato a ritagliarmi degli spazi tutti miei: realizzo un giornalino interno alla struttura, suono il pianoforte, e collaboro con i ragazzi di V della scuola Elementare di fronte a noi. Ma no che non m’annoio! Ho persino incontrato Luciana, la mia dolce metà! Stiamo insieme da quasi sei anni. Le ho chiesto di sposarmi ma d’inverno dice che fa troppo freddo, d’estate troppo caldo, e in primavera…? Io attendo, aspetto e non dispero... Poi però mi sovviene il pensiero di un saggio: “Se la moglie fosse cosa buona, anche il buon Dio ne avrebbe una!”… Non siete d’accordo anche voi? Enrico, ospite “Veterano” di Villa Serena - Salice Terme

«In Oltrepò buche e spazzatura sulle strade, quale sicurezza per i ciclisti?» Egregio Direttore, sono un ciclista amatoriale e mi spiace constatare la situazione drammatica in cui versano le strade dell’Oltrepò! Si parla tanto di tutela e sicurezza nei confronti dei ciclisti però i fatti purtroppo sono ben altri… è brutto da dire ma fra buche e strade dissestate una piacevole uscita in bici per passare un paio d’ore di sano sport é diventata un reale pericolo dove ci si chiede di volta in volta se si riesca a tornare a casa sani e salvi. Possiamo anche aggiungere l’inciviltà di parecchi automobilisti che

buttano bottiglie di vetro a bordo strada e per un ciclista o un passante a piedi diventa un vero disagio e pericolo. Negli ultimi tempi, soprattutto, si incitano le persone ad utilizzare di meno le auto e ad usare di più le biciclette. Scrivo questa lettera per denunciare lo stato pessimo in cui vertono le nostre strade e l’inciviltà della popolazione e si possa sensibilizzare qualche mente che è ancora troppo stolta per capire. Un vostro caro lettore indignato. Lettera Firmata Santa Maria della Versa

LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate DIRETTORE RESPONSABILE: Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale: Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 - Godiasco Salice Terme (PV) Tel. 0383/944916 - www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto

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«A Menconico è arrivato il solito demolitore» Egregio direttore, vorrei rispondere alla lettera del consigliere comunale Sig. Alessandro Callegari pubblicata sul numero di Febbraio 2020 Oramai non fanno più notizia le esternazioni del “demolitore” di Menconico: il consigliere comunale Alessandro Callegari . Costui infatti non fa nessuno sforzo per proporre e migliorare situazioni che ritiene precarie e migliorabili, ma è solo alla ricerca di demolire e distruggere ciò che di buono c’è a Menconico. Eppure è un consigliere comunale il cui compito è quello di fare gli interessi dei propri cittadini, di proporre soluzioni migliorative e di valorizzare i beni che il Comune possiede. Callegari invece fa l’opposto, cioè vuole distruggere e demolire i grossi beni di proprietà comunale tipo la casa di riposo “I Germogli” di San Pietro Casasco e il centro sportivo “La pernice rossa”. Ritornando alla lettera in cui si parla della casa di riposo, il consigliere comunale Callegari cerca di screditate questa nostra importante realtà facendo paragoni sbagliati e dando informazioni non corrette, infatti paragona la nostra casa di riposo (che è una RSA ) con quella di Varzi o di Godisco che sono invece Fondazioni e quindi con statuti, regolamenti e gestione completamente diverse; basta pensare che il Comune di Menconico incassa dalla casa di riposo circa 80mila euro annui, cifra che non incasserebbe se fosse una Fondazione. Perchè Callegari questo non lo dice? Perchè non dice che il Comune ha ampliato la casa di riposo con 10 nuovi posti letto senza investire niente? Perchè non dice che il Comune ha ridotto le rette degli ospiti residenti nei Comuni di Menconico, Brallo e

Santa Margherita, da 59 a 46 euro giornalieri? Perchè non dice che la società che gestisce la struttura ha l’obbligo di assumere il personale dando precedenza ai residenti nei Comuni convenzionati? Per quanto riguarda la commissione di controllo è ovvio che si è fatta una commissione tecnica in quanto ciò che deve controllare è solo ed esclusivamente di carattere tecnico . Mi spiace che le esternazioni del consigliere Callegari altro non fanno che creare un grosso danno d’immagine ad una struttura che sta lavorando bene e che è uno dei nostri fiori all’occhiello . Mi spiace anche per tutti i dipendenti della nostra casa di riposo che, tutti i giorni,si impegnano e fanno del loro meglio per i nostri anziani e leggere ciò che il consigliere Callegari scrive, vale a dire che la nostra casa di riposo “gode di una fama non positiva”... penso o che non è per niente informato e quindi dà delle informazioni sbagliate, oppure, per fini politici, vuol fare il solito demolitore e distruggere tutto ciò che il nostro Comune possiede e questo non è nè accettabile nè tollerabile. Spero tanto che il consigliere Callegari cambi atteggiamento ed inizi a pensare allo sviluppo del nostro Comune, facendo proposte, suggerendo soluzioni atte a migliorare l’esistente e soprattutto proponendo idee e progetti atti a creare sviluppo ed occupazione nel nostro Comune. Questo è ciò che i nostri cittadini si aspettano da tutti noi che abbiamo il difficile compito di amministrare la cosa pubblica. Il Sindaco Paolo Donato Bertorelli Menconico

Salice Terme, «I cani devono stare al guinzaglio»

Egregio direttore, per l’ennesima volta, ci siamo trovati di fronte al non rispetto delle regole su come gestire il proprio cane all’interno del parco di Salice. Abitiamo vicino a Salice e abbiamo due bambini piccoli, quindi ci andiamo spesso. Sarà una coincidenza... ma tutte le volte che andiamo noi alcuni cani girano liberi non tenuti al guinzaglio. Ora, premesso che amiamo gli animali, che in famiglia abbiamo un cane, che capiamo quanto un animale possa essere un compagno di vita per alcune persone, ci troviamo in questo specifico momento ad essere genitori e a mettere davanti a tutto la sicurezza di due bambini molto piccoli. Ritengo che dei bambini di pochi mesi e di pochi anni possano avere paura o rischiare di farsi male con un cane che semplicemente vuole giocare; è successo (anche a persone che conosciamo) e può succedere, è nella natura del cane e del bambino. Mio figlio di 6 anni ha paura dei cani che gli

corrono incontro, devo fargliene una colpa? Tutte le volte, a fronte di una richiesta di tenere un cane legato nel parco abbiamo ricevuto l’ennesima risposta scocciata e sarcastica: «Vieni Fido, fai vedere quanto sei pericoloso!» o «Come il mio cane dovrebbe stare nella zona dedicata allora anche i bambini dovrebbero stare nella loro zona sicura...», dopo ovviamente la frase ripetuta da tutti «ma il mio cane è buono» Insomma, ti fanno passare dalla parte del torto e hanno ragione loro… I cani hanno diritto a stare nei parchi pubblici e il guinzaglio garantisce il diritto ai bambini di starci in tranquillità. I padroni devono essere semplicemente i garanti di questo civile equilibrio, ma non solo non lo sono, purtroppo non rispettano una legge e per questo spero che ci siano più controlli e non solo a Salice, da chi di dovere. Barbara Girani - Voghera


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Too Good To Go: l’app contro gli sprechi alimentari approda in Oltrepò. Too Good To Go, l’applicazione contro gli sprechi alimentari, è presente nel nostro paese da circa un anno grazie ad Eugenio Sapora, il Country Manager Italia di questa multinazionale che ha origini danesi. All’inizio di quest’anno le funzionalità dell’app sono state rese disponibili anche a Pavia e Vigevano e alcuni esercizi commerciali in Oltrepò hanno già aderito. In questo intervento, Sapora spiega il funzionamento di Too Good To Go e perché, oltre ad avere un impatto positivo dal punto di vista ambientale, rappresenta un vantaggio sia per i consumatori che per i commercianti; senza escludere “l’effetto collaterale” , ovvero un maggiore afflusso di clientela verso le attività stesse, legato al fatto che l’app non prevede un servizio a domicilio. Come, dove e quando nasce Too Good To Go? «Too Good To Go ha origini danesi e risale al 2015. è stata progettata per combattere la problematica sempre più urgente e diffusa degli sprechi alimentari. Ha avuto fin da subito un grande successo e si è diffusa con rapidità in tutta Europa, tanto che ora è presente in 14 paesi e ha iniziato le prime operazioni di recruiting, ossia di reclutamento, anche negli Stati Uniti. Io, nel 2019, ho deciso di raccogliere la sfida e di lanciare l’app anche in Italia. Già in questo primo anno di attività soltanto, abbiamo riscontrato grandi risultati: basti pensare che raggiungeremo presto un milione di utenti registrati e 500.000 Magic Box vendute! è un’enorme soddisfazione». Qual è il funzionamento di Too Good To Go? «Too Good To Go è un’app molto semplice e intuitiva e lì risiede gran parte del suo successo: innanzitutto è gratuita, e la si può trovare in qualsiasi store online di qualsiasi dispositivo. Dopo aver effettuato il download, l’utente può registrarsi, impostare la propria posizione sulla map-

pa e visualizzare gli esercizi commerciali che intorno a lui hanno Magic Box a disposizione, da prenotare e passare a ritirare nella fascia oraria indicata. La Magic Box non è altro che un sacchetto di cibo invenduto, che altrimenti verrebbe buttato, ancora perfettamente buono e conservato, che viene messo in vendita a un terzo del prezzo originale. Il vantaggio, così, è duplice: il consumatore può gustare il proprio pasto ad una cifra più che ragionevole, e allo stesso tempo il commerciante recupera qualcosa sia dal punto di vista economico sia pratico, evitando costi e tempi di smaltimento degli invenduti. Il servizio è totalmente flessibile e personalizzabile: in base a quanto si prevede di avanzare, si può decidere di impostare lo stesso numero di Magic Box tutti i giorni, oppure aggiornare quotidianamente la disponibilità, senza nessun vincolo. L’utente inoltre non può scegliere che cosa troverà all’interno del sacchetto: il contenuto è davvero basato su cibo che altrimenti andrebbe sprecato, per cercare, ognuno nel proprio piccolo, di fare la differenza». Per quali tipi di punti vendita è valida? Si rivolge a realtà indipendenti o anche a catene? «Non abbiamo restrizioni di sorta, tutte le attività che hanno sprechi alimentari possono aderire, che siano piccoli indirizzi di quartiere come una panetteria, che grandi catene di supermercati». Quando è stata lanciata l’iniziativa in Oltrepò? «Pavia e Vigevano si sono ufficialmente inserite a inizio gennaio e ad oggi aderiscono più di 50 negozi, con un grande successo di pubblico. Le operazioni in Oltrepò, con le attività sul territorio dei nostri business developer, inizieranno nei prossimi mesi, anche se alcuni punti vendita hanno già richiesto di aderire e sono tuttora visibili sull’app: ad esempio il Naturasì presente a Voghera e il Carrefour Market situato a Casteggio».

Eugenio Sapora, il Country Manager Italia di TooGoodToGo

Oltre a ridurre gli sprechi, è possibile che Too Good To Go possa rappresentare un vantaggio per le piccole realtà locali? «Certamente: oltre ai vantaggi dal punto di vista ambientale, Too Good To Go ha anche come scopo di riavvicinare le persone agli indirizzi di prossimità: si prenota la box tramite l’app ma non è un servizio di delivery, l’utente si deve recare in negozio a ritirare, portando così nuovo traffico all’interno del punto vendita, che ne può approfittare conoscendo nuovi clienti, i quali potrebbero poi diventare abituali. Aderiscono a Too Good To Go pasticcerie, panetterie, gastronomie, che sono il cuore pulsante di cittadine e paesi, e possono

trarre soltanto beneficio da un flusso sempre più consistente di persone» In che modo un punto vendita può aderire all’iniziativa? Deve rispondere a determinati requisiti? «Un esercente per aderire può utilizzare una delle seguenti modalità: attraverso il contact form che trova sul sito internet toogoodtogo.it, via email oppure via telefono. L’unico “requisito” è proprio quello di produrre sprechi, l’obiettivo ultimo di Too Good To Go è eliminare questa problematica, che in Italia vale quasi 10 miliardi di euro l’anno». di Cecilia Bardoni


LA DENUNCIA

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Boom di vertenze contro le compagnie telefoniche: «Utenti tartassati» Si fa sempre più complicato il rapporto tra gli utenti oltrepadani e le compagnie telefoniche. Negli ultimi mesi la sezione vogherese di Federconsumatori Pavia è stata presa d’assalto da un numero cospicuo di cittadini che lamentano diatribe di vario genere con i loro fornitori del servizio: si va dalle bollette che “lievitano” mese dopo mese alle disdette ignorate, passando per i disagi legati a linee Adsl che non funzionano e passaggi alla fibra ottica che finiscono per raddoppiare - letteralmente - le bollette a carico di alcuni malcapitati. Il campionario è estremamente variegato e sulla scrivania del responsabile Mario Spadini le pratiche impilate sono moltissime. «Quelle a portata di mano però non sono che una piccola parte, quella che riguarda una determinata compagnia telefonica». Di cui non facciamo il nome per non discriminarla inutilmente dato che, come spiega lo stesso Spadini, «l’aumento della vertenzialità non è imputabile a una sola compagnia, e i comportamenti scorretti sono diventati ormai una sorta di prassi adottata in modo “bipartizan” pressoché da tutte». Sono circa 400 i reclami annui che Federconsumatori inoltra dall’Oltrepò, un terzo di quelli di tutta la provincia. Negli ultimi mesi c’è stato un aumento dei contenziosi con le compagnie telefoniche, con i tempi per raggiungere la conciliazione che si sono quasi triplicati rispetto al passato. «Il campionario delle scorrettezze messe in pratica ai danni degli utenti in maniera quasi sistematica è ampio e variegato» e a sciorinarlo è sempre il responsabile Federconsumatori Mario Spadini. BOLLETTE GONFIATE - «Sono dovute per lo più a servizi aggiuntivi, costi che vengono letteralmente “appiccicati” alla bolletta di mese in mese e dei quali un utente che non sia più che attento e non controlli con attenzione tutte le voci potrebbe anche non rendersi conto. Alla lunga però il costo complessivo della fattura può lievitare notevolmente e chi doveva pagare inizialmente magari 25 euro si trova a lasciarne giù 30, 35 o anche 50». DISDETTE IGNORATE - «Fanno finta di non vederle e di accettarle. Ignorano anche le comunicazioni ufficiali, ovvero quelle a mezzo raccomandata, e continuano ugualmente a fatturare bollette anche nei tre, quattro o anche cinque mesi successivi». IL MODEM - «Viene fornito nel pacchetto contrattuale in comodato d’uso, quindi a pagamento. In barba a una sentenza del Consiglio di Stato che dice che il consumatore ha diritto di scegliere se comprarsi il modem oppure avere quello in comodato d’uso, le compagnie non rispettano questa libertà di scelta, di fatto imponendone

«Costi aggiuntivi in bolletta, disdette ignorate, elenchi telefonici fatturati e mai consegnati»

Da sinistra Mario Spadini e il presidente di Federconsumatori Pavia Cristiano Maccabruni

Federconsumatori presa d’assalto: «Scorrettezze di ogni tipo da parte dei gestori delle linee» l’usufrutto a pagamento, con una cifra mensile media di 5 euro. Il fatto è che non si tratta di soldi corrisposti fino alla copertura del valore dell’apparecchio, bensì di un costo fisso attuato fino a scadenza di contratto. Si capisce facilmente che, chi lo tenesse per un lungo periodo, finirebbe per rimetterci, di fatto strapagandolo». LA FIBRA E LE BOLLETTE DOPPIE - «In questo momento le compagnie stanno promuovendo a tappeto la fibra ottica, che costa molto di più della linea in rame e porta quindi guadagni superiori. C’è però un problema: normalmente la trasformazione della linea da normale a fibra comporta il cambio di numero e, casi sempre più frequenti, per alcuni mesi i cittadini si vedono recapitare in contemporanea due bollette, una per il nuovo numero e una per il vecchio. Questo accade perché la responsabilità della disattivazione di quest’ultimo ricade sull’utente, che dovrebbe mandare disdetta tramite raccomandata. è un assurdo considerando che entrambe le linee si appoggiano al mede-

simo filo». FATTURAZIONE A 28 GIORNI - «Esistono delle sentenze del Consiglio di Stato contro questa prassi, in cui si sostiene che le compagnie che hanno applicate devono rimborsare agli utenti le differenze. Nelle sentenze si parla di rimborsi automatici, mentre le compagnie fanno tutt’altro subordinando questi rimborsi a delle richieste scritte che devono essere inoltrate dall’utente. Si tratta quindi di un ulteriore reclamo da effettuare, un’altra seccatura cui la maggior parte degli utenti alla fine rinuncia». GLI ELENCHI TELEFONICI - «Questa rappresenta una “chicca”, ultima novità in provincia di Pavia, dove da due anni non viene consegnato un elenco telefonico, il cui costo però è ugualmente inserito in bolletta. Un’operazione che su scala nazionale fa entrare nelle casse di Telecom circa 200 milioni all’anno. Anche in questo caso per ottenere dei rimborsi occorre presentare un reclamo, cosa che circa il 2 per cento degli utenti fa.

La maggior parte neppure se ne accorge di questo costo in bolletta». ADSL TARTARUGA - «è un problema che riguarda soprattutto i comuni dell’Oltrepò collinare o montano, dove le linee sono scarse e spesso la velocità reale della connessione, anche se venduta a 6 o 7 megabyte al secondo è di uno ad andar bene». Chi ritiene di aver subito un’ingiustizia come procede? «Si fa reclamo e si attende un mese per la risposta, che arriva in media soltanto nel 10 per cento dei casi ed è comunque sempre negativa. Poi si gira il tutto in conciliazione. Una procedura lunga che prosegue in media per tre mesi, un tempo durante il quale le compagnie continuano a rivendicare soldi attraverso il recupero crediti nonostante la regola imporrebbe che, una volta inviata la domanda di conciliazione, le bocce dovrebbero per così dire essere ferme». Chi ha la pazienza e caparbietà di arrivare in fondo alla sua protesta ottiene quasi sempre soddisfazione. «Una volta arrivati in conciliazione di solito otteniamo ragione» spiega Spadini. Il problema, che gioca a favore delle compagnie disincentivandole di fatto a cambiare modus operandi, è che delle procedure di reclamo aperte solo una piccola parte arriva a termine. «Il 15-20 per cento, non di più» spiega l’esponente di Federconsumatori «perché molte persone alla fine si stancano oppure cedono alle pressioni del recupero crediti e preferiscono chiudere la faccenda pagando, soprattutto quando si tratta di cifre trascurabili». di Christian Draghi



PRODOTTI TIPICI

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Laura Marchesi racconta il “suo” biscotto salato al gusto di risotto ai peperoni di Voghera Anni fa avevo trovato la citazione di un proverbio norvegese per la prima pagina di “Dolci Tentazioni”, il volume di ricette dolci scritto in collaborazione con il mio amico Lele Baiardi, che mi sembra perfetto per introdurre l’intervista ad una donna con la passione per la pasticceria: “cookies are made of butter and love” - “I dolci sono fatti di burro e amore”. E devo dire che Laura Marchesi mi ha subito veicolato questo suo amore per la cucina non appena ho iniziato a parlare con lei nel laboratorio di pasticceria che ha da poco aperto a Voghera. Laura Marchesi, vogherese, insegnante, da trent’anni voce del gruppo “Sacher Quartet”, una donna con mille interessi e una grande passione da sempre, la cucina che l’ha portata a realizzare il sogno di aprire un proprio laboratorio nella sua città. Ci racconta come è riuscita ad attuare il suo progetto? «Fino all’anno scorso insegnavo inglese ai miei bimbi della scuola materna delle Suore Agostiniane e questa era la mia professione principale. Parallelamente da circa due anni avevo iniziato a preparare dolci su ordinazione per parenti ed amici e devo dire che prima delle feste natalizie la cosa mi richiedeva grande impegno . Ho deciso quindi di buttarmi a capofitto in questa esperienza del laboratorio di pasticceria» . La passione per i dolci nasce in famiglia? «Sì, la mia nonna materna è sempre stata appassionata di dolci, era una golosa (ride) e ,siccome mia mamma faceva l’ostetrica, mi lasciava spesso con lei e nella sua cucina ho iniziato molto presto a mettere le mani in pasta facendo le torte. Durante le vacanze estive spesso e volentieri mi faceva cucinare dandomi consigli preziosi e responsabilizzandomi molto e devo dire che mi piaceva moltissimo questo ruolo. Io sono della generazione del “dolce forno”, si ricorda quel giocattolo che permetteva alle bambine di cucinare? Era stato uno dei miei più graditi regali di Natale; tornavo da scuola, pranzavo e prima di mettermi a fare i compiti, mi preparavo il mio tortino al cioccolato per la merenda. Per la festa di compleanno mi son sempre orgogliosamente fatta la torta da sola. La mia nonna paterna invece, abitava in campagna, alla Marchesina ed è sempre stata molto legata alla tradizione della cucina dell’Oltrepò e da lei ho appreso le ricette più importanti del territorio. Inoltre anche la zia, che abitava proprio qui in questo appartamento che ho adibito a laboratorio, amava sperimentare in cucina. Mi ricordo che già ai tempi mi aveva insegnato a fare a pasta sfoglia» . Ha frequentato qualche scuola di pasticceria oppure si è basata solo sulla sua esperienza personale?

Laura Marchesi, durante una presentazione

«No, non ho mai fatto nessun corso specifico di pasticceria, solo alcuni approfondimenti, ad esempio quello sulla torta “sacher” che è una ricetta che per ovvie ragioni mi sta molto a cuore. Ho sempre amato molto fare i dolci per prendermi cura degli altri, non so se mi capisce… Quando faccio un dolce per un’ amica, lo faccio con tutto il mio affetto e penso alla condivisione di questo dono e, se è gradito, per me è una gratificazione personale. Mi è sempre piaciuto regalare dolci nelle ricorrenze e ho sempre cercato di ricordare quali erano i gusti degli amici o dei parenti per fare loro qualcosa che potessero apprezzare particolarmente». Come mai ha fatto la scelta di realizzare un laboratorio di pasticceria in un appartamento per produrre dolci solo su ordinazione? «Come le dicevo questo era l’appartamento di mia zia che è mancata nel 2017 e di conseguenza sarebbe rimasto vuoto. Il fatto di vedere questo spazio pieno di ricordi chiuso, mi intristiva e, visto che da tempo mi frullava per la testa l’idea di avviare un’attività di produzione artigianale, mi son sentita di rendere omaggio a mia zia utilizzando la sua casa per il mio laboratorio e in questo modo penso di sentirla ancora vicina. Ho effettuato le opportune modifiche per avere tutto a norma e nel 2018 sono partita con l’avventura “Marchesi di Voghera”. Lavoro su prenotazione perché sono da sola, non ho punto vendita ma produco e consegno ai clienti. Ho un profilo facebook, seguito dai miei figli perché io, non sono molto social (ride), dove pubblico le foto dei dolci che realizzo». Che tipi di dolci produce?

«Produco soprattutto torte per ricorrenze ed eventi come compleanni e feste. Non faccio cake design ma torte tradizionali farcite con creme oppure alla frutta con abbinamenti diversi secondo le richieste dei clienti. E poi, per l’inaugurazione della mia attività, mi sono inventata il biscotto di Voghera, il “riscotto” che non è dolce ma salato». Com’è nata l’idea di un biscotto salato al gusto di “risotto ai peperoni di Voghera”? «L’idea è nata assolutamente per caso. Oltre alle torte io preparo anche biscotti e confetture, insomma tutto dolce. Devo dire che ogni tanto la mia mente galoppa e ad un certo punto ho avuto il desiderio di fare qualcosa per Voghera, la mia città. Allora nell’ordine mi sono chiesta: cosa posso fare per Voghera, cosa c’è che più la rappresenta e la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il peperone. Andare a sperimentare qualcosa di dolce con il peperone diventava difficile aldilà di una confettura che poi ho realizzato in seguito. Pensando al risotto con il peperone di Voghera, ho cominciato a cercare di destrutturare gli elementi che componevano la ricetta. Quindi il riso, il peperone, la cipolla, il parmigiano, il burro, il vino bianco. Con questi elementi ho pensato di produrre un biscotto salato ed ho iniziato a sperimentare fino ad ottenere un impasto per un frollino non particolarmente croccante, da servire in abbinamento con una bollicina o anche con un vino rosso dell’Oltrepò. Per gli ingredienti ho voluto rimanere il più possibile legata al territorio e quindi la farina è quella dei Molini di Voghera, il burro viene dal caseificio della Valle Staffora “Cavanna”, il vino è un rie-

sling della cantina Torrevilla, il peperone di Voghera mescolato con quello rosso per dare una nota di colore, è quello disidratato della Cascina Malbosca come anche la cipolla. ll riso entra nell’impasto come olio di riso e riso soffiato che viene spezzettato e va a decorare il biscottino a forma di chicco di riso, realizzato utilizzando uno stampo artigianale creato da un amico. Quindi un prodotto artigianale, tutto realizzato a mano che ho presentato alla Fiera dell’Ascensione di Voghera nel 2018 e di cui sono molto orgogliosa. Ho partecipato all’Autunno Pavese e da lì, tramite “gli Stati Generali delle donne”, ho ricevuto un premio a Matera nel 2019 come impresa femminile». Il suo nuovo lavoro le sta regalando molte gratificazioni personali grazie all’inventiva e alla sperimentazione, sta progettando qualche nuova ricetta? «Sono molto curiosa e mi piace seguire anche blog di cucina stranieri per scoprire le tradizioni, le varie interpretazioni di una stessa ricetta. Quindi seguo blog francesi, americani, inglesi, australiani, tedeschi e in questo modo stimolo la mia creatività. Ci sono in cantiere alcuni nuovi prodotti che per il momento non posso ancora svelare e che sono in fase di elaborazione. Adoro lo scambio di ricette in Italia e all’estero perché la cucina è un pezzo di storia del paese, oltre che tradizione, radice e cultura. Mi è capitato ad esempio di conoscere una mamma libanese e ci siamo scambiate delle ricette con un piacere enorme. Offro volentieri le mie ricette, al contrario di come si faceva una volta, quando chi preparava un piatto non ne condivideva facilmente l’esecuzione con gli altri, c’era sempre quell’ingrediente segreto che faceva la differenza. Penso che la condivisione di una ricetta sia fondamentale perché altrimenti si rischia di perderla con il tempo. Trovo che anche la scuola italiana dovrebbe avviare, come succede all’estero, dei progetti per far scoprire la cucina del territorio ai ragazzi che sarebbero sicuramente interessati a mettersi in gioco e a sperimentare sensazioni nuove». Sogno nel cassetto? «Per il futuro, mi piacerebbe vedere questa attività proseguire nel migliore dei modi dandomi la possibilità di rimanere sempre più ancorata al mio territorio. Vedo che c’è molto fermento nel settore e mi fa piacere che ci siano tante persone che finalmente hanno capito che forse mettendosi insieme riescono a fare molto per il nostro Oltrepò. A me piace molto collaborare e cercherò di farlo sempre di più con i produttori della nostra zona mantenendo sempre l’artigianalità che contraddistingue i miei prodotti». di Gabriella Draghi


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RIVANAZZANO TERME

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«Paese attrattivo perché ricco di servizi e avvantaggiato geograficamente» Rivanazzano Terme è sotto molti aspetti una realtà in controtendenza. Mentre da altre parti le attività chiudono, lì aprono e il numero dei residenti è in aumento, a testimonianza di come il piccolo centro oltrepadano rappresenti una sorta di “isola felice” nel burrascoso mare dell’Oltrepò. Il motivo di questo successo, a detta dell’assessore al commercio Elisabetta Bevilacqua, sarebbe il risultato di una concomitanza di fattori che concorrono a fare del paese una realtà particolarmente attrattiva. Assessore, il commercio a Riva sembra non conoscere la crisi che invece ha colpito ad esempio la vicina Salice. Perché? «Salice ha avuto i suoi tempi d’oro grazie al turismo termale e la maggior parte delle abitazioni sono riconducibili a seconde case. Noi a Rivanazzano Terme, oltre alle Terme stesse che con la loro conduzione familiare sono ancora oggi il nostro fiore all’occhiello, abbiamo una configurazione geografica molto diversa, ben servita da strade che attraversano il paese ed attorno ad esse si sono sviluppate attività commerciali e industriali che ancora oggi sono presenti e ben gestite» Com’è il bilancio relativo alle attività aperte? «Il bilancio è positivo in quanto le nuove attività, insieme a quelle già esistenti, sono ben gestite offrendo prodotti di qualità di produzione propria legati alla tradizione, come ravioli, malfatti, formaggi freschi ma anche piatti attenti alle nuove esigenze del mercato per accontentare vegani, vegetariani e anche chi ha problemi di intolleranze alimentari. Abbiamo giovani attenti al cambiamento del mercato e alle richieste della clientela odierna e persone che hanno deciso di investire e vivere sul territorio: per questo abbiamo anche ciabattino, sartorie, lavanderia a gettoni, parrucchiere ed estetiste,

Salice in crisi: «I tempi d’oro erano legati al turismo termale, con tante seconde case» Elisabetta “Betty” Bevilacqua, assessore al commercio

tutte attività gestite da persone locali che hanno deciso di investire nel proprio territorio». Anche il numero dei residenti è cresciuto. Cosa rende Rivanazzano così attrattiva? «In paese si lavora come una squadra e insieme riusciamo a dare ai cittadini servizi, sicurezza, scuole, palestra, ma anche musica e teatro oltre a una biblioteca che abbraccia eventi per bimbi e adulti. Ci sono poi la Proloco e tante Associazioni. Tutto questo, unito alla presenza di numerose botteghe, offre un’attrattiva allettante e così il numero di cittadini cresce sempre più». Lei è anche commerciante eppure ha chiuso una delle due panetterie che gestiva in centro paese. Come mai? «è stata più che altro una scelta personale. La mia in piazza era una gestione che ho lasciato per tornare nel mio negozio in Via Malaspina dove dal Gennaio del 1992 insieme a mia mamma produciamo torte e biscotti artigianali e dove voglio e spero di festeggiare i 30 anni di attività a Rivanazzano Terme».

C’è però anche chi lamenta la scarsa attrattività di alcune manifestazioni e chi sostiene che le feste al parco Brugnatelli siano troppo decentrate... Com’è ad oggi la situazione e cosa si sente di rispondere ai critici? «Dico che il nostro parco Brugnatelli è ben attrezzato e offre feste diversificate che attirano in paese numerose persone che hanno così la possibilità di conoscerci e di tornare a trovarci in altre occasioni per trascorrere una serata nei nostri locali o semplicemente acquistare i nostri prodotti tipici. Ho da sempre partecipato attivamente alla iniziative delle associazioni e le donne di “Occasioni di Festa” ci hanno dato la possibilità di rivivere le emozioni di un tempo con Fiere che ancora oggi l’amministrazione comunale insieme alla nostra Proloco portano avanti con orgoglio». Prima ha parlato di gioco di squadra. Il paese sarà anche unito ma la giunta qualche problema di coesione lo ha avuto. Pochi mesi fa c’è stata una crisi al vostro interno e l’assessore Zelaschi aveva spiegato al nostro giornale che le

vostre dimissioni di gruppo erano motivate da una richiesta di maggior coinvolgimento nell’attività amministrativa. Le dimissioni poi le avete ritirate, ma le cose sono cambiate? «È tutto rientrato ed è stata l’occasione per alcuni chiarimenti. Le correzioni apportate ci hanno permesso di affrontare gli impegni cui abbiamo tenuto fede in questi mesi come i lavori messi in cantiere e soprattutto di affrontare le difficoltà incontrate come ad esempio l’ultima alluvione». Secondo alcuni però l’esperienza del listone unico sarebbe un flop. Qual è la sua posizione? «Il listone è nato per coinvolgere tutto il paese e tutte le parti politiche che allora e credo tutt’ora avevano dimostrato apprezzamento verso l’operato della giunta precedente. Non è stato unico per scelta nostra ma perché nessuno ha voluto contrastare un’amministrazione che negli anni aveva, a detta dei Rivanazzanesi e di tanti altri, fatto senz’altro bene. Comunque penso che la diversità di idee, se ben incanalata, sia una risorsa». di Christian Draghi


GODIASCO SALICE TERME

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«Salice si è persa con le Terme e si è dimenticata la cultura» Benedetto Mosca, giornalista e scrittore, fratello del noto giornalista (e personaggio) televisivo Maurizio, è uno che in Oltrepò ci ha lasciato il cuore. Vive a Milano ma frequenta la Valle Staffora regolarmente dagli anni ’70, ha una seconda casa a Salice Terme dove si può tranquillamente dire che abbia messo radici, dato che ci vive anche il figlio Michele. Anche lui è giornalista, come il papà e prima ancora il nonno Giovanni. Tre generazioni abituate a osservare e raccontare con occhio critico la realtà che le circonda. Benedetto, classe 1936, è uno che ne ha viste tante: ha iniziato a fare questo mestiere a 18 anni, con Edilio Rusconi all’epoca in cui fondò il settimanale Gente, per passare poi ad essere inviato di Oggi. Ha diretto Annabella, Amica, la Domenica del Corriere e Corriere di Informazione prima di trasferirsi in Argentina per dirigere la sezione editoriale della Rizzoli. Erano gli anni della dittatura, lavorare era difficile e rischioso. All’epoca in cui dirigeva il Corriere degli Italiani pubblicò i nomi dei desaparecidos suoi connazionali attirandosi l’inimicizia del regime. «Ebbi quei nomi grazie alla conoscenza con il presidente argentino Eduardo Viola, i cui genitori – racconta erano originari di Casatisma, ma dopo la loro pubblicazione la vita lì divenne difficile. Pensai che da quella situazione non si poteva uscire e tornai in Italia». Così Mosca entrò nella direzione della Rai occupandosi della realizzazione di serie televisive tra cui l’indimenticata “La Piovra”, dopodiché proseguì lavorando nell’editoria. Tutto senza mai dimenticarsi di Salice o dell’Oltrepò, che visitava quasi settimanalmente. La realtà di quegli anni aveva altri colori: «Salice era una porta su un mondo ricco e bello, di cui oggi è rimasta poco più che un’ombra». Mosca, quando ha scoperto Salice per la prima volta? «Era il 1974, un pediatra milanese mi aveva invitato lì perché i miei figli avevano bisogno di cure termali»

«La Sei Giorni di Enduro? Non sarà la manifestazione ideale, ma non avrebbe senso rinunciarvi»

Qual è il suo primo ricordo del territorio? «Arrivammo al Grand Hotel di Salice, all’epoca era ancora in funzione. Inizialmente stavamo lì nel periodo delle cure, poi prendemmo un appartamento in affitto e infine ne comprammo uno nostro». Com’era la Valle Staffora all’epoca? «Era un mondo ricco e bello di cui Salice era la porta di ingresso. I boschi erano curati, c’erano strutture sportive, ristoranti e buoni alberghi fino a mille metri di altitudine. Si facevano dei bei giri e si arrivava fino al fiume Trebbia. Era un po’ come andare in Riviera, ma in un modo alternativo». Veniva qui spesso? «All’epoca venivo settimanalmente, ci ho scritto alcuni dei miei romanzi a Salice. Mi piaceva molto scrivere qui». Il “successo” di quell’epoca dipendeva esclusivamente alle Terme secondo lei? «Le Terme erano certo un motore trainante, ma intorno a loro si muoveva un microcosmo animato da imprenditori particolarmente capaci. Una generazione di “maghi” come Bruno Fava, autentico nume tutelare del paese, promotore del Concorso Ippico, gestore della piscina e dei campi da tennis nel parco delle terme. Santinoli era un altro nome importante, nel settore del divertimento. Diciamo che c’erano personaggi di grande profilo». Quasi tutti collegano il declino del paese a quello delle Terme. Concorda? «Sicuramente le Terme rappresentavano il terreno di base che rendeva tutto possibile e florido, ma credo anche che ci sia un altro problema: nessuno ha più curato o preso in mano un altro aspetto importante, che è quello della cultura. I politici possono anche portare finanziamenti, ma il turismo si fa con la cultura. Gli alberghi poi lavorano di conseguenza, ma tutto è legato alle congiunture economiche favorevoli. La cultura invece andrebbe valorizzata di più. L’Oltrepò ha un legame forte con il futurismo che è stato poco sfruttato, e numerosi pittori e scultori amano questa terra e l’hanno frequentata». Quindi secondo lei da dove si deve ripartire? Perché a Salice non è rimasto più nulla di quel mondo che lei ricorda… «Non c’è più nulla finché non lo si resuscita. Bisogna smetterla di pensare solo alle Terme. Se ci si aspetta che il rilancio debba essere per forza legato a quelle allora campa cavallo, perché prima che escano dal tunnel, ammesso che accada, dovrà passarne di tempo. Gli spunti dovrebbero arrivare direttamente dal “sistema Oltrepò”». A dire il vero, a fare “sistema” questo territorio non è che sia proprio bravo… Lei come farebbe? «Si parta dal creare una sorta di “Comitato di Rilancio Oltrepò” perché manca innan-

Benedetto Mosca, giornalista e scrittore, con la moglie

zitutto una rete di collegamento tra le varie potenziali attrattive, che ci sono: borghi bellissimi, rocche suggestive, paesaggi che nulla hanno da invidiare a quelli toscani. Solo che è tutto abbandonato a se stesso. Bisogna inventarsi punti strategici, aperture straordinarie, creare mete conosciute e pubblicizzarle con un’adeguata campagna stampa. Servono poi investimenti, non sconti per i ristoranti». Qualcuno le farebbe notare che creare turismo con una rete stradale così disastrata è difficile. Le strade erano messe così anche anni fa? «La tendenza dell’Oltrepò a franare c’è sempre stata, anche se all’epoca si interveniva di più. C’era una sovrintendenza stradale apposita, ricordo, ma poi furono tagliati i rifornimenti economici. Il problema principale però è attrarre turisti e per farlo servono gli eventi di livello, come lo era appunto il concorso ippico». A proposito di grossi eventi. Ad agosto Rivanazzano Terme ospiterà la Sei Giorni di Enduro, campionato mondiale della moto che porterà in Oltrepò migliaia di appassionati. è una di quelle manifestazioni che auspicava? «Magari non è quella ideale ma va comunque fatta, non avrebbe senso rinunciarvi». C’è chi teme un danno ambientale e pochi riscontri economici effettivi… «Per il discorso dei danni ci sono accordi da prendere prima per le riparazioni eventuali. Il vero punto è che bisogna essere in grado di organizzare piccoli altri eventi collaterali mirati al pubblico che rappresenta il target della manifestazione, in modo da sfruttare l’evento per dare un vero ritorno di immagine al territorio».

«Negli anni ’70 era una porta su un mondo ricco e bello, oggi abbandonata a se stessa» Cambiamo fronte. Suo fratello Maurizio era un volto noto del giornalismo sportivo. Il suo “pendolino” della domenica lo ricordano tutti gli appassionati di calcio. Lei segue lo sport? «Non molto a dire il vero. Con Maurizio avevo un rapporto anche professionale, certo, ma più che altro essendo un fratello maggiore mi chiedeva consigli». A distanza di molti anni può finalmente svelarcelo: per che squadra faceva il tifo? «Era juventino. Aveva un legame diretto con l’Avvocato, Trapattoni, ma anche Silvio Berlusconi. Era uno dei pochi cui questi tre davano retta». Veniva in Oltrepò? «Sì, di tanto in tanto. Andava da Romè a mangiare le rane per lo più. Era una persona benvoluta, era riuscito a creare un clima leggero intorno al mondo del calcio e anche per questo in molti lo ricordano con affetto». di Christian Draghi



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«Dal sindaco un abbondante eloquio ma nessuna risposta concreta» Un consiglio comunale straordinario non è bastato a placare le polemiche nel comune di Godiasco Salice Terme. La seduta, tenutasi il 20 gennaio scorso e chiesta a gran voce dalla minoranza capitanata da Luca Berogno non ha soddisfatto i richiedenti che accusano il sindaco di aver utilizzato «Un abbondante eloquio che ha prodotto un effetto “disorientamento” col fiume di parole che pronuncia, dando però risposte ondivaghe, indefinite e approssimative». I temi sui quali si era chiesto il confronto per fare chiarezza erano diversi: il “buco” negli incassi di Tari e Imu dovuto ai cittadini morosi, il metro di giudizio utilizzato nel concorso per vigili, il destino della bocciofila affidata a un ex esponente della maggioranza, la situazione relativa alla fondazione (ex Rsa) Varni Agnetti, opposta al Comune da una vertenza in corso. Berogno, andiamo per ordine. Riguardo alla bocciofila Fontana avete sollevato una questione di correttezza politica e di legittimità giuridica dell’assegnazione a un ex componente della giunta. Che cosa vi ha risposto il sindaco? «Ha dato una risposta alla “vogliamoci bene”, di tipo paternalistico. Nessuno mette in discussione l’ovvia considerazione che sia meglio un’attività funzionante nel cuore del paese al posto di un locale chiuso. Nessuno meno che mai intende penalizzare la ex consigliera Fiori (aggiudicataria dell’appalto dimessasi soltanto appena prima dell’assegnazione definitiva) che tanto si starebbe prodigando per aprire il nuovo locale pagando spese e affitto come, del resto, da bando di appalto. Quello che non funziona è il prolungarsi dei lavori oltre il termine stabilito dalla maggioranza (non da noi!). Dovevano finire il 31 dicembre, invece si è arrivati al 7 gennaio». Non pare un ritardo significativo… o sì? «Il punto è che la dilazione, comunque, favorisce l’aggiudicataria e impedisce, di fatto, di verificare se ci sono ulteriori imprenditori interessati, magari più solerti e capaci. Purtroppo anche se la Sig. na Fiori è “cresciuta a Godiasco” assieme a me e a altri giovani, come sottolineato dal sindaco, questo non impedisce di mettere doverosamente in evidenza pecche e non troppo nascosti favoritismi di una vicenda decisamente poco chiara, come sarà facile dimostrare in altre sedi». Parliamo di tasse. Avete chiesto conto di quanto la giunta si fosse impegnata per recuperare i mancati introiti dovuti all’evasione di Imu e Tari. Che risposta avete ottenuto? «La nostra domanda era semplice, ma il sindaco ha tirato in ballo i tecnici come si trattasse di questioni molto complicate. Invece di fare inutili accuse alle richieste della minoranza o citare le somme che il Comune, per Legge, deve versare allo Sta-

to, bastava elencare semplicemente i numeri: evasione IMU + TARI luglio 2018 1.058.071 euro; evasione IMU + TARI dicembre 2019 767.432 euro. É il segno che dopo il nostro intervento ci si sta muovendo nella direzione giusta; pur rimanendo una grande cifra per un Comune come il nostro». Il sindaco però ha affermato che parte dell’evasione è legata a difficoltà economiche dei cittadini… «Se è così non sarebbe il caso di attivare degli aiuti come hanno fatto per esempio, l’autorità ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) e la Provincia di Pavia per il bonus acque? Perché vista la somma ancora elevata la rateizzazione non è sufficiente». Passiamo al concorso per vigili. Avevate chiesto l’apertura di una Commissione di inchiesta per verificare la correttezza dei criteri di valutazione attuati dalla commissione giudicatrice composta da capo ufficio tecnico, il comandante della Polizia Locale e il segretario comunale che però è stata respinta. Il sindaco ha rispedito al mittente le accuse di scarsa trasparenza dichiarando che tutto si è svolto regolarmente… «Certo, peccato che non esistano concorsi in cui non si stabilisce anticipatamente quante prove saranno svolte (oltre all’orale, la delibera di Giunta diceva una prova scritta, la Commissione, nella sua prima riunione, ne fissava invece due). Non si è poi spiegato secondo che criteri sarebbero state corrette e valutate le prove: la prima prova scritta, a risposta chiusa, con crocette, non poneva problemi per l’assegnazione dei punteggi perché il verbale era chiarissimo, mentre la seconda prova scritta, a risposta aperta, avrebbe dovuto indicare i criteri di valutazione, gli indicatori con i relativi punteggi, dei quali però non c’è traccia negli atti pubblicati sul sito del Comune. Anche il colloquio orale, del quale si conoscono le domande avrebbe dovuto avere una griglia di valutazione elaborata in base a criteri e indicatori; anche di questa non c’è traccia. Il Concorso dei vigili è stato, quindi, secondo il sindaco, perfetto, tutti gli esecutori della procedura sono stati bravi e non c’è nulla da indagare, anzi bisognerebbe quasi chiedere scusa». Quindi secondo voi la mancanza di trasparenza non è dovuta al fatto che le prove non si sarebbero svolte “alla luce del sole”? «Esatto, gli indizi sono da ricercare altrove e sono: due scritti decisi dalla Commissione, senza alcuna motivazione, al posto di uno previsto dalla Giunta. L’adozione della correzione a “cascata” per cui se nella prima non hai almeno punti 21 non ti correggono la seconda (ma quante dovevano essere le prove scritte? Chi decideva,

la Giunta o la Commissione?). La metodologia adottata che, di fatto, ha portato all’orale solo tre candidati, meno del 10 % dei molti partecipanti. Due di essi, addirittura, dopo aver sbaragliato la concorrenza, all’orale hanno perso la memoria e hanno fatto scena muta. I bocciati ad oggi non sanno con quali criteri sono stati valutati e non sono stati ammessi all’orale. Senza considerare lo spreco di danaro pubblico per rifare tutto daccapo: nuovo bando, nuovo concorso, eccetera, eccetera. Tra poco avremo la seconda puntata». Riguardo la situazione della Varni Agnetti invece che cosa non la convince? «Il succo del discorso del sindaco, in Consiglio, è stato che è meglio un presidente autoctono: Conti, Fontana, Berogno piuttosto che uno di Lungavilla come l’attuale. Ma che significa? Se dati alla mano porti la prova che le precedenze dei ricoveri e dei servizi per i nostri concittadini alla casa di riposo rimangono e crescono, perchè il sindaco continua a dire che si sono persi i vantaggi per il Comune? Tra l’altro senza nessuna prova di questo. Se non ci sono svantaggi per il Comune quali sono gli interessi che il sindaco tutela?». Riva è stato piuttosto duro nei suoi confronti, l’ha accusata di aver fatto scena muta in consiglio e di lamentarsi solo sui giornali… «Quello che lui chiama “scena muta” in realtà è il mio rispettare i tempi per gli interventi concessi in consiglio». L’ha anche accusata di essere “imbeccato” da esterni… «Al di là dell’intenzione offensiva, non sbaglia nella conclusione: infatti io ho

«Concorso vigili regolare? Non si era stabilito prima il numero di prove e non si conoscono i criteri di valutazione...» “informatori” e “suggeritori”. Sono i cittadini stessi, che si rivolgono a me e agli altri amici della nostra lista segnalando questioni e dando suggerimenti vari, come è naturale che sia. I cittadini, quelli scontenti (e sono tanti) sono i miei suggeritori come è giusto che sia. O il sindaco pensa di avere il consenso universale? Da ultimo, le critiche io non le raccolgo al bar, come il sindaco ha detto in Consiglio, bar che non frequento abitualmente. Magari il Sindaco non lo sa, ma esistono persone in grado di valutare il suo operato anche in contesti diversi dai bar.». Nell’ultimo consiglio comunale, del 12 Marzo si è discusso della proroga variante per Villa Luisa a Salice Terme. Ci sono novità in merito?. «Il sindaco ha detto che si tratta di una proroga, prevista per Legge, per dei lavori per i quali la proprietà ha già versato (nel 2008, 2009) circa 180.000 euro per il cambio di destinazione d’uso dei locali». di Silvia Colombini


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Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO

“del maiale non si butta via niente”

di Gabriella Draghi

I primi due mesi dell’anno sono per antonomasia quelli in cui, da rito antico, si macella il maiale. Una tradizione che affonda le proprie radici in tempi lontani e che coincide con gli usi e i costumi dei contadini che ne sfruttavano ogni parte. In antichità, assieme al pollame, costituiva la principale fonte di proteine. Quasi tutte le famiglie allevavano uno o più maiali che venivano ingrassati soprattutto con gli scarti dell’orto, e con gli avanzi del cibo quotidiano. L’uccisione e la macellazione dell’animale riunivano intere famiglie e amici di famiglia in una festa quasi rituale. Oltre ai prodotti conosciuti da tutti esistevano alcune usanze particolari. I peli più lunghi del crine venivano passati nella pece per essere utilizzati dai ciabattini per cucire le scarpe , le setole venivano usate per fabbricare pennelli. La pelle del maiale, opportunamente pulita e aromatizzata veniva tagliata in pezzi, arrotolata e legata con spago per confezionare i “preti” che, insieme agli zampini, venivano utilizzati nella preparazione del brodo di ceci e fagioli o verze. Anche il sangue del maiale veniva utilizzato. Veniva raccolto in un apposito contenitore e, dopo una cottura, veniva tagliato a fette e fatto rosolare con la cipolla. Venivano poi prodotti gli insaccati tipici, quali il salame crudo e i cacciatorini, il cotechino, la coppa e la parte di carne rimasta attaccata alle costole veniva tritata finemente e serviva a produrre la salsiccia. Non si gettavano nemmeno le ossa dopo lo spolpamento. Queste venivano fatte bollire a lungo in modo tale da far distaccare i gustosissimi rimasugli di carne che venivano consumati accompagnati, secondo tradizione, da un’insalata di cavoli crudi tritati finemente. Altro capitolo molto importante è quello dell’utilizzo della materia grassa.

Lavorazione delle carni del maiale in Oltrepò

A parte la produzione del lardo e della pancetta, il grasso rimanente veniva messo a cuocere in paioli di rame e pigiato con un grosso pestello di legno. Così compresso il grasso diventava liquido lasciando piccole parti di carne gustosissime, i ciccioli, ottime consumate ancora tiepide. Ciò che avanzava veniva utilizzato in parte per la conservazione dei salami crudi nella “duja”, soprattutto in lomellina e in parte veniva usato come condimento in cucina, lo “strutto”. Un altro utilizzo del grasso era quello “cosmetico”. Infatti, facendolo bollire in una pentola di rame con una giusta quantità di soda, serviva a produrre il sapone. Un pezzo “vergine” di grasso (non trattato) veniva invece impacchettato nella carta da zucchero (che assorbiva l’unto) e appeso in cantina per essere utilizzato come medicamento per le screpolature di mani e piedi. C’era poi il quinto quarto che era costituito da tutte quelle parti anatomiche che non rientrano nei quattro tagli principali, come gli organi interni, chiamati anche frattaglie : la testa, la lingua,

le guance, il cervello, le zampette, il codino, la sugna, i polmoni, la milza, i rognoni, la cotenna, il cuore e il fegato. Il quinto quarto ha avuto un’evoluzione storica interessante. Inizialmente gli Antichi Romani lo consideravano un cibo nobile, infatti macellando gli animali solo quando non erano più utili, le frattaglie diventavano quasi introvabili. Ma nel tempo aumentò il consumo generale di carne e quindi anche di frattaglie, per cui divenne più accessibile a tutti. Invece, verso la fine del Settecento, divenne un alimento per poveri, una parte da scartare che ormai compravano solo gli operai. Arriviamo a noi: con il tempo e l’abitudine a consumare sempre gli stessi tagli di carne, abbiamo assistito alla riscossa delle frattaglie tant’è che molti chef ne hanno fatto dei piatti prelibati e portato così alla ribalta il quinto quarto che ora si trova sia nelle tipiche osterie che nei ristoranti stellati. Dal punto di vista del gusto sono tagli con un sapore unico, le ricette per prepararli sono infinite .

La più famosa in Oltrepò Pavese è sicuramente la “polenta con la frittura” dove la frittura è proprio formata da tutte queste interiore tagliate a pezzi e rosolate con la cipolla in abbondante olio. La testa, le guance, le zampette e il codino, lessati, con o senza ceci sono ancora una prelibatezza invernale sulle nostre tavole. Non dimentichiamo il “ragò” o bottaggio che è un insieme di costine, cotenna e zampini rosolati con le verze e con l’aggiunta di brodo. Il 19 Marzo, la festa di San Giuseppe è famosa dal punto di vista gastronomico per le frittelle che, per tradizione, sono rigorosamente fritte nello strutto di maiale. I ciccioli si trovano ancora spesso sulle nostre tavole ma non sono più grassi come una volta perché vengono pressati e diventano delle sfoglie croccanti molto gustose. Insomma, come dice un famoso detto “del maiale non si butta via niente”. Utilizzando i ciccioli, vi propongo questo mese una focaccia molto gustosa che faceva sempre la mia mamma in questo periodo prima della quaresima.


Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO Come si prepara: Versiamo la farina e il lievito nell’impastatrice, oppure potete usare una semplice ciotola e impastare a mano. Iniziamo a versare l’acqua tiepida e a lavorare l’impasto, ma avendo cura di versarla in modo graduale. Una volta ottenuto un impasto ben incordato aggiungiamo il sale fino e la restante acqua, continuando a lavorare l’impasto e, dopo qualche minuto, aggiungiamo i ciccioli precedentemente tagliati a pezzetti e amalgamiamo bene il tutto. Mettiamo l’impasto in una ciotola e sigilliamo bene con la pellicola trasparente. Mettiamo la ciotola in forno con la luce accesa e lasciamo lievitare almeno un paio d’ore fino al raddoppio del volume dell’impasto. Ungiamo bene una teglia con l’olio extravergine d’oliva e vi stendiamo delicatamente l’impasto. Ora in una tazzina, prepariamo un’emulsione con 4 cucchiai d’acqua, 2 cucchiai d’olio e un cucchiaino di sale. Mescoliamo bene e, utilizzando i polpastrelli, li intingiamo nell’emulsione e pratichiamo delle fossette nella focaccia avendo cura che venga ben condita. Copriamo la teglia con pellicola trasparente, la mettiamo dentro al forno spento e lasciamo lievitare la focaccia ancora per 1 ora circa, i tempi di lievitazione possono variare in base alla temperatura. Scaldiamo il forno a 250°C, possibilmente ventilato, aggiungiamo un po’ di

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sale grosso alla focaccia e inforniamo la teglia per 15 minuti circa. I tempi possono variare in base al forno, la focaccia comunque è pronta quando è ben dorata e fragrante, ve ne accorgerete dal profumo ! Non ci resta che servirla, ottima sia calda che fredda, se vi dovesse avanzare al giorno dopo vi consiglio di scaldarla per qualche minuto al forno. Buon appetito! You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”

FOCACCIA CON I CICCIOLI Ingredienti per 6 persone: 600 g di farina 0 150 g di ciccioli di maiale 15 g di sale 1 bustina di lievito madre liofilizzato o 1 cubetto di lievito di birra acqua quanto basta, circa 380 ml sale grosso olio extravergine d’oliva


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VARZI

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Testimoni di Geova: «Da 30 anni la nostra comunità a Varzi» Spesso ritenuta una setta da chi non ne fa parte, quella dei Testimoni di Geova è una comunità presente anche nel territorio d’Oltrepò, dove vanta una congregazione che conta circa un centinaio di fedeli. Tutti ne abbiamo sentito parlare, quasi tutti li abbiamo trovati alla nostra porta almeno una volta. Pochi però sanno in che cosa realmente consista la loro religione. Il punto attorno a cui ruota il credo dei testimoni di Geova è il Giorno del Giudizio Universale. I testimoni di Geova credono che alla venuta del Giorno del Giudizio Dio giudicherà i vivi e i morti, eliminando gli effetti della ribellione originale di Adamo ed Eva e creando un nuovo paradiso in cui i buoni potranno vivere in comunione con il Signore. I testimoni di Geova nel mondo sono 8,3 milioni. Sono conosciuti in tutto il mondo e anche nella nostra nazione si distinguono per la loro opera di istruzione biblica svolta di casa in casa. La loro opera è svolta anche nelle carceri, riconoscendo che i testimoni rendono un importante servizio alla collettività le autorità dell’ Istituto penitenziario di Bollate comune situato a 15km a nord di Milano hanno assegnato ai Testimoni di Geova un ampio locale da usare come luogo di culto o Sala del Regno. Negli ultimi tredici anni i testimoni di Geova hanno avuto il permesso di offrire corsi biblici gratuiti ai detenuti con risultati positivi in termini di recupero. Anche a Varzi c è una piccola comunità che il 7 aprile celebrerà la commemorazione della morte di Gesù o Pasto Serale del Signore. Ce ne parla il testimone Leonardo Guaraglia. Da quanto esiste la congregazione di Varzi? «Da oltre trent’anni abbiamo la nostra Sala del Regno in paese. Prima ci riunivamo a Voghera e Tortona. La nostra opera consiste nell’incoraggiare le persone a conoscere il proposito di Dio, il cui nome è Geova, attraverso la Bibbia, e lo scopo per cui Gesù ha dato la sua vita per il genere umano ci rivolgiamo a persone di ogni estrazione sociale». Quando predicate vi capita di incontrare delle realtà talvolta complicate e in quei casi vi limitate solo alla religione o fate fronte al caso umano? «Dove occorre facciamo fronte offrendo il nostro aiuto pratico inoltre le nostre pubblicazioni trattano temi riguardanti tutti i campi della vita quotidiana come affrontare una malattia, lo stress, il dare il meglio a scuola e come avere una famiglia felice ecc. Dove c’è la volontà da parte di chi ci ascolta offriamo l’opportunità di studiare gratuitamente la Bibbia con noi». La commemorazione della morte di

La Sala del Regno di Varzi, luogo di culto della comunità dei Testimoni di Geova

La congregazione ha un centinaio di fedeli: «I nostri figli decideranno autonomamente in cosa credere» Gesù è considerata un evento fondamentale dai Testimoni di Geova e dai loro simpatizzanti. 20 milioni di persone hanno accettato l’invito in tutto il mondo nel 2019. Cosa si prospetta per quest’anno nella piccola realtà di Varzi? «La nostra piccola realtà non raggiunge il centinaio ma ci sentiamo comunque partecipi di questo evento straordinario». Siete ben accolti dalle persone a Varzi? «Certo e poi questo è un evento che richiama l’attenzione anche di chi di solito mostra poco interesse. Il sacrificio di Gesù e il suo ricordo è un momento che porta molti a riflettere sul presente e futuro». Dato che i vostri simpatizzanti superano il vostro numero e la vostra Sala del Regno non è molto grande dove ospiterete quest’anno i vostri invitati? «Abbiamo ritenuto opportuno affittare la sala al centro servizi Terre Alte in via G.Azzaretti in piazza della Fiera, che si presta bene per l’occasione. Per il 7 aprile alle 20 l’invito è rivolto agli abitanti di paesi appartenenti a quattro regioni diverse

confinanti tra loro». Dal punto di vista economico come vi gestite? Siete mai stati in difficoltà? «Ci finanziamo da soli e con le contribuzioni volontarie teniamo la nostra Sala pulita e svolgiamo piccole manutenzioni rispettando le normative vigenti in materia di salute e sicurezza. Sinceramente non siamo mai stati in difficoltà». Signor Guaraglia, lei come è diventato Testimone di Geova? «Grazie a qualcuno che ha suonato alla mia porta mi sono incuriosito e ho deciso di conoscere meglio la Bibbia con i Testimoni. Prima non l’avevo mai studiata così bene quindi la mia fede è maturata fino al punto che ho deciso di battezzarmi nel 2004 e mia moglie è Testimone come me». Come è composta la vostra comunità? «Seguendo il modello dei cristiani del primo secolo i Testimoni non sono divisi in clero o laicato, tutti i membri battezzati sono ministri ordinati e prendono parte all’opera di predicazione. Siamo organizzati in piccole comunità dette congregazioni composte da un centi-

naio di persone. In ogni congregazione ci sono uomini maturi in senso spirituale che servono in qualità di “anziani” senza ricevere alcuna retribuzione, sposati o no». I Testimoni di Geova obbligano i loro figli a seguire la loro religione? «No, perché ognuno deve decidere personalmente se e come adorare Dio. I Testimoni insegnano ai loro figli quello che pensano possa aiutarli nella vita a livello pratico morale e religioso. Quando cresceranno i figli faranno la loro scelta se seguire o no la stessa fede dei genitori». Perché il vostro luogo di culto si chiama Sala del Regno? «Per varie ragioni, primo perché si tratta di una sala e ci raduniamo per adorare Geova il Dio della Bibbia e per rendergli testimonianza come dice Salmo 83:18 e poi per imparare da quello che dice Gesù a proposito del regno di Dio». Quante volte vi incontrate a Varzi e cosa fate? «Abbiamo due riunioni settimanali al giovedì e alla domenica lo facciamo con cantici e preghiere sul modello dei primi cristiani quindi lettura e spiegazioni della Bibbia. Quello che facciamo qui viene fatto allo stesso modo nelle oltre 110.000 congregazioni sparse in tutto il mondo». Quindi andrete ancora a suonare i campanelli di casa in casa? «Certo. Gesù disse ai suoi seguaci “fate discepoli di persone di tutte le nazioni”, noi seguiamo il comando dato ai primi cristiani e riscontriamo che il porta a porta è un buon metodo e anche nella nostra zona e dintorni riscontriamo un certo interesse». Come finanziate la vostra opera? «Come già accennato siamo noi stessi. Alle nostre riunioni non si fanno collette ne viene chiesto di versare decime o quote specifiche: ci sono apposite cassette dove chi può e lo desidera mette in forma anonima una contribuzione. Un motivo per cui i costi da noi sostenuti sono ragionevoli è che non abbiamo un clero da retribuire. Non siamo pagati per predicare e i nostri luoghi di culto non sono sfarzosi. Tutte le donazioni inoltrate alle varie filiali vengono utilizzate per portare soccorsi alle vittime dei disastri naturali per sostenere i nostri missionari e ministri itineranti, per costruire Sale del Regno nei paesi in via di sviluppo e per stampare e spedire bibbie e pubblicazioni. Periodicamente ogni congregazione rende noto il resoconto mensile della contabilità che tutti i membri possono consultare e per ulteriori chiarimenti anche il sito JW.org». di Stefania Marchetti


VARZI: le attività storiche

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«Oggi c’è poca attività imprenditoriale, bisogna reinventarsi di continuo» Regione Lombardia ha recentemente allargato il novero delle attività storiche sul territorio. Varzi ne vanta diverse e da questo mese in avanti dedicheremo loro una pagina, per raccontarsi e farsi conoscere. La prima fermata in questo particolare viaggio è al civico 72 di via Luigi Mazza, dove ha sede, fin dal giorno della sua apertura, la Crosina Impianti. Qui ad oggi hanno lavorato quattro generazioni di idraulici: Agostino (bisnonno), Mario (nonno), Roberto (padre) e Daniele (figlio). Tra diciotto anni magari toccherà a Cesare dato che proprio Daniele, con i suoi 32 anni il più giovane della famiglia, diventerà padre tra pochi mesi. Daniele quando e chi ha fondato l’impresa e di cosa si occupa esattamente? «L’attività artigiana trova le sue radici nell’esperienza maturata dal mio bisnonno Agostino arrivato dal Trentino. Mio nonno Mario, dopo un breve periodo di attività con suo fratello Cesarino, apre il negozio di idraulica in via Luigi Mazza, dove si trova ancora oggi, nel 1972. Mio padre Roberto e mio zio Fausto hanno iniziato a lavorare appena raggiunta la maggiore età, siamo negli anni ’80. Io ho iniziato nelle vacanze estive delle scuole superiori». Chi ci lavora oggi? «Ad oggi lavoriamo nella Crosina impianti io mio padre e mio zio; ognuno di noi è specializato in un settore specifico ad esempio io ho sono frigorista con patentino f-gas, mio zio si occupa della parte burocratica e delle energie rinnovabili». Roberto com’è cambiato il lavoro rispetto a quando avete iniziato? Quali sono le differenze principali tra ieri e oggi? «Nel lavoro si è sicuramente più facilitati di una volta, a livello di manualità, è divenatato più leggero. Certo, richiede più tecnica e necessita di continui aggiornamenti per le nuove regolamentazioni e richiede più responsabilità (abilitazioni per tutto,anche per l l’aspetto burocratico).

«Il segreto per durare? Farsi un nome che sia garanzia di qualità e passione»

Da sinistra: Roberto, Fausto e Daniele Crosina

Ad esempio il multistrato, utilizzato oggi, rende il lavoro più semplice e rapido nell’esecuzione, mentre il ferro richiedeva di essere filettato e saldato. Quando una volta era l’esperienza sul campo a farti imparare il mestiere, ora è necesario essere specializzati in ogni ambito dell’idraulica». I vostri clienti sono soltanto in Valle Staffora? Daniele C.«I clienti sono principalmente della zona, lavoriamo per privati e per la PA, ma ci capita anche di andare oltre, dal mare della liguria (Arenzano, Diano marina) alle grandi città come Milano. Il tipo di intervento è molto vario, tutto ciò che riguarda idraulica». Che cosa distingue un idraulico davvero bravo da uno... meno? Roberto C.:«L’idraulico bravo sa che l’acqua calda si mette a sinistra quella fredda a destra (dice ridendo, perché anche l’idraulico può scarso lo sa)!». Quali devono essere le caratteristiche di una impresa idraulica per “resistere” negli anni? Roberto C.:«L’esserci costruiti, nel tempo, un nome che potesse garantire lavoro di qualità e una grande passione: siamo

Crosina Impianti, quattro generazioni di idraulici dal 1972 in via Luigi Mazza

sempre disponibili e cerchiamo di rispondere ad ogni esigenza del cliente». Come avete visto Varzi cambiare negli anni? Roberto C.«Rispetto ad un tempo, e penso riguardi tutte le attività, c’è poca attività imprenditoriale: per l’artigiano è difficile tirare avanti. Una volta la nostra zona era ricca di imprenditori e artigiani che creavano una piccola economia locale in grado di autosostenersi, ora non è più così bisogna e reinventarsi costantemente. Abbiamo perà fiducia nei giovani, sono in tanti quelli che hanno deciso di continuare

l’attività dei genitori o iniziarne di nuove». Sono tante le “leggende” sugli idraulici…Raccontate un aneddoto riguardo al vostro lavoro che vi è rimasto impresso nella memoria… Roberto C.«Beh, nella nostra carriera abbiamo vissuto la classica situazione dell’idraulico nell’immaginario collettivo: ci è capitato di essere accolti in casa da una signora in abiti succinti… ma dall’età un po’ troppo avanzata!». di Christian Draghi


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“Oltrepò drink twist”

LUGLIO 2019

CON IL MIELE DI ZAVATTARELLO L’OLTREPÒ RESPIRA ARIA CUBANA!

Zava Honey Daiquiri… ed è subito “FIESTA”!

di Emanuele Firpo

Settimo appuntamento legato al magico mondo della miscelazione, al quale abbiniamo la naturalezza dei prodotti tipici firmati Oltrepò Pavese. Il nostro è un territorio incontaminato, ricco di essenze arboree e floreali. La natura di Zavattarello è ideale per la produzione di MIELE e altri prodotti dell’alveare. Qui si producono principalmente miele di acacia, castagno, erba medica, millefiori, tarassaco, trifoglio, robinia e melata. Ottimo non solo per addolcire latte o tisane, ma anche degustato con i formaggi locali o spalmato sul pane. Zavattarello ha acquisito negli ultimi anni un primato nella produzione di miele di qualità, tanto da portare nel 2015 alla nascita dell’Associazione Apicoltori dell’Oltrepò Montano, con l’obiettivo di ottenere il marchio D.O.P. per il prodotto locale. Abbiamo per le mani un prodotto di altissima qualità, facciamone un ingrediente per il DAIQUIRI! Un drink nato dal mix di prodotti locali cubani che noi avvaloreremo con la dolcezza e l’esclusività del nostro frutto dell’alveare. Prima di procedere con la RICETTA dello ZAVA HONEY DAIQUIRI due parole su questo cocktail datato 1896. Pare sia stato inventato da due ingegneri minerari americani tali Cox e Pagliughi che lavoravano a Cuba. Un giorno imprecisato di quell’anno, erano in attesa di un grande capo in visita alla miniera di ferro e decisero, vista l’importanza dell’ospite, di servire un cocktail di benvenuto. Avendo solo del rum di qualità dubbia, non potevano servirlo liscio, a questo punto miscelarono dentro una boule le uniche cose che avevano, lo zucchero di canna, il succo di lime e del ghiaccio. Il cocktail piacque molto e quando si trattò di decidere il nome, la scelta ricadde su quello della magnifica spiaggia nelle vicinanze della miniera chiamata appunto Daiquiri. In realtà sembrerebbe che il drink fosse già stato sperimentato in precedenza da Cox, il quale si dilettava in esperimenti di miscelazione durante le sue ore libere per allietare le ore passate in compagnia dei suoi amici. Un giorno ricevette la visita di Pagliughi al quale fece assaggiare la sua mistura, che tanto successo aveva fra i suoi amici. Alla domanda di Pagliughi di come si chiamasse il drink, Cox rispose che tecnicamente era un rum sour, nome

Oltrepò Pavese… Rivisitiamo i COCKTAIL d’autore con i prodotti del nostro TERRITORIO

triste per così delizioso cocktail. Decisero quindi, di comune accordo di chiamarlo come la splendida spiaggia. Una ulteriore versione, datata 1898, la stessa del Cuba Libre, sostiene che l’inventore sia un marine americano che ordinò in un bar del rum con succo di lime per dissetarsi, non trovandolo di suo pieno gradimento chiese al barista di aggiungere dello zucchero, creando di fatto il mix che battezzò, Daiquiri, trovandosi il bar sulla spiaggia omonima. Qualunque sia la paternità, il drink ebbe così successo che negli anni successivi l’ammiraglio Jonhson della Marina Militare Americana lo adottò come drink ufficiale, tanto che il lodge a Washington ha una targa al suo ingresso, a ricordare i due ingegneri, suffragando così la prima tesi. Anche Hemingway contribuì non poco al successo del drink bevendone svariati litri al bar “Floridita”. Storica la sua frase: “Mi Mojito alla Bodeguita, mi Daiquiri alla Floridita”. Il grande scrittore fu un assiduo frequentatore dei bar di Cuba durante la stesura del “Il vecchio e il mare”, il libro capolavoro che gli diede fama e riconoscimenti, fra cui il Nobel per la letteratura. Una variante molto gradita da Hemingway era il “Papa Doble” o “Hemingway Special”, ricetta molto in voga al Floridita. “Papa” era il soprannome con cui amava farsi chiamare lo scrittore, il cui spirito narcisistico era noto, mentre “doble” richiama le dosi del drink. Dalle fonti non si riesce a risalire se la ricetta sia stata inventata dallo scrittore o se sia stato il barman a “cucirgliela addosso” in base alle sue richieste.

Infatti il grande scrittore, diabetico, ma soprattutto amante dei cocktail secchi, potrebbe aver chiesto al barman di non mettere del tutto lo sciroppo di zucchero. La cosa certa è che lo bevesse nella versione “doppia” con 6 cl di rum, 2 cl maraschino, 3 cl di lime e 3 di pompelmo. Torniamo in Oltrepò e prepariamoci a respirare aria cubana sorseggiando il nostro Zava Honey Daiquiri. La ricetta che ho elaborato è così strutturata: 5 cl di rum cubano (consiglio un havana ambrato 3 anos) 2 cl di succo di limone non trattato 3 cl di ZAVA HONEY MIX (segue la ricetta) Alcune gocce di Maraschino Ricetta per lo Zava Honey Mix: l’honey mix non è altro che una miscela di acqua e miele. Il miele a contatto con altri ingredienti freddi non si scioglie, bisogna quindi trattarlo prima. Per prepararlo dovete versare in un contenitore il miele, aggiungere acqua tiepida o a temperatura ambiente, e miscelare con un cucchiaino finché questo non si sarà completamente sciolto. A questo punto potete travasare il preparato in una bottiglia e utilizzarlo. La proporzione da seguire è assolutamente personale. Se volete un honey mix meno dolce diluite maggiormente il miele, se lo volete più dolce aggiungete poca acqua. Io personalmente metto 60% miele e 40% acqua. Preparazione: mettete in frigorifero una coppetta da cocktail o un calice da degustazione vino; il drink si serve senza ghiaccio ed è importante che il bicchiere sia bello freddo! Munitevi di un vasetto tipo Bormioli alto 13 cm con coperchio, colmatelo per tre quarti di ghiaccio ed inserite tutti

gli ingredienti. Chiudete il vasetto ed agitate a due mani per circa 10 secondi [cantando Guantanamera a squarciagola ovviamente] e versate il tutto, tranne il ghiaccio, nel bicchiere precedentemente raffreddato. All’olfatto sentirete il profumo floreale del rum ambrato e del Maraschino, al palato la dolcezza e la morbidezza dello Zava Honey Mix vi lascerà un sublime piacere. Il drink ha una gradazione medio alta, lo consiglio, in un dopo cena, accompagnato da ciambelle tipiche dell’Oltrepò Pavese, i barsadè, la cui cottura avviene prima in acqua bollente e poi al forno, proprio perché era, ed è, un dolce che deve mantenersi a lungo. Consuma sempre i drink a stomaco pieno e non far mancare, di tanto in tanto, un sorso di acqua fresca. DEGUSTARE UN COCKTAIL È UN PIACERE… SE TI PERDI CHE PIACERE È?! DRINK RESPONSIBLY

Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme.


ZAVATTARELLO

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Zavattarello riparte dalle donne, nasce una Pro Loco tutta al femminile” Con un direttivo tutto al femminile, la Pro Loco di Zavattarello si presenta rinnovata e pronta alle nuove sfide che si porranno davanti una volta che, come tutti auspicano, l’emergenza Covid potrà considerarsi superata. Andiamo a conoscere le protagoniste di questo nuovo corso. Sabrina Valdi, 27 anni di Crociglia (una frazione del comune di Zavattarello), lavora come parrucchiera a Varzi da quasi 4 anni e da gennaio è presidente della Pro Loco di Zavattarello. Pregi e difetti di una squadra tutta al femminile. «Noi siamo prima di tutto amiche. Le donne hanno molte qualità, anche se è risaputo che i rapporti tra donne non sono semplici da gestire. Siamo quattro, tutte accomunate dal grande senso di responsabilità, dalla voglia di darsi da fare e, non meno importante, ragionevoli». La presidenza è stata frutto del suo lavoro, negli anni passati, in prima linea? «Ho sempre partecipato attivamente alle iniziative organizzate dalla Proloco uscente ed è per questo motivo che mi è stata riconosciuta la presidenza della nuova squadra». Quale sarà il suo personale contributo alla Pro Loco di Zavattarello? «Amministrare una Pro Loco non è un compito facile, in questo complesso mondo di leggi, direttive, procedure fiscali e burocratiche. Il mio contributo principale sarà riuscire a far combaciare il tutto». Quali sono gli obbiettivi che si pone per i prossimi 4 anni? «La Pro Loco svolge attività di promozione e divulgazione del territorio, quindi il nostro obbiettivo principale sarà organizzare eventi ricreativi e di aggregazione sociale, contribuendo a sviluppare la nostra comunità collaborando con gli altri Enti del Comune. Un altro obbiettivo è quello di riuscire ad allargare il gruppo coinvolgendo tutti coloro che sono interessati, riuscendo così a promuovere ed organizzando gite, escursioni, feste e fiere per attirare i turisti nella località e dare svago a quanti vi soggiornano». Una squadra tutta la femminile, una rarità, cosa ne pensa? «Avevo una sorta di timore a costituire una squadra interamente di donne, ma già alla prima festa abbiamo trovato il giusto equilibrio, grazie all’empatia che si è generata e alla predisposizione ad accettarsi con i rispettivi pregi e i difetti personali. Credo sia necessario creare un manuale di sopravvivenza che ci renda all’altezza del lavoro di squadra senza gettare la spugna troppo presto. Bisogna imparare a tenere sotto controllo stress ed emozioni, selezionando quello per cui vale la pena davvero lottare ed arrabbiarsi da quello, invece, che

Cinzia Cavalleri

Federica Cavalleri

Jessica Novantini

Sabrina Valdi

è relativamente importante e che potrebbe solo distrarci dall’obiettivo». Jessica Novantini, 29 anni, Farmacista. Nonostante gli innumerevoli spostamenti, prima per studio e poi per lavoro, la sua “base” è sempre stata Zavattarello. Da gennaio è vice-presidente della Pro Loco. Quale è stato il segreto del successo delle iniziative portate avanti fin’ora? «Credo che la riuscita delle varie manifestazioni sia dovuta al fatto che si è creato negli anni un equilibrio tra tradizione e voglia continua di innovazione, per offrire alla popolazione ed ai turisti sempre quel qualcosa in più. Così anche per il 2020, non appena sarà di nuovo possibile operare, manterremo questa linea e non mancheranno gli appuntamenti musicali, gastronomici e di intrattenimento per grandi e piccini ai piedi del nostro bellissimo castello». Potete contare sull’aiuto e sulla partecipazione dei cittadini di Zavattarello? «Faccio parte del direttivo della Pro Loco da diversi anni e nonostante il nostro impegno, posso affermare che l’aiuto della popolazione sia stato spesso fondamentale per la riuscita delle manifestazioni. Vorrei ringraziare fin da subito tutti coloro che daranno e che hanno dato anche il più piccolo contributo per la realizzazione dei nostri progetti, aiuto importantissimo oltre che per l’evento in sé, soprattutto per mantenere vivo il paese.

Mi auguro di vedere in questi anni una partecipazione crescente da parte di tutti e soprattutto dei più giovani che rappresentano il futuro di “Zava”». Federica Cavalleri, 28 anni, lavora a Varzi in Coldiretti, laurea magistrale alla statale di Milano in “Scienze della produzione e protezione delle piante” alla facoltà di Scienze Agrarie e Alimentari, da sempre residente a Zavattarello e da gennaio è segretaria della Pro Loco di Zavattarello.
 Ci sono stati giudizi negativi per quanto riguarda questa nuova gestione della Proloco? 
 «Non si può avere la pretesa di piacere a tutti e indubbiamente qualcuno potrebbe avere delle riserve, succede sempre quando si cambia, quando si passa il testimone. Siamo state tutte sempre partecipi anche nella gestione precedente, ognuna per come poteva e questo ha permesso di farci conoscere e quindi il paese si è potuto fare un’opinione su di noi. In una realtà piccola come la nostra, dove è sempre più difficile coinvolgere la comunità, soprattutto i giovani che per questioni di studio o di lavoro sono spesso costretti a trasferirsi, lo sforzo che quattro ragazze hanno deciso di fare per portare avanti questa associazione mi auguro possa venire apprezzato».
 Come definirebbe i rapporti con l’amministrazione comunale?
 «Amichevoli, con alcuni membri esiste un rapporto di amicizia che dura da anni.

Si collabora tanto, fortunatamente! E insieme sono sicura che porteremo a termine numerose iniziative».
 Perché un turista dovrebbe scegliere Zavattarello?
 «è un paese piccolo, ma ha tanto da offrire e tanto da raccontare. Tanta storia, tanta tradizione, panorami bellissimi e il nostro castello è al centro di tutto questo. Per non parlare del buon cibo che i ristoranti locali offrono! La cosa che più colpisce è la calma. Tutto è più “rallentato”: la quotidianità, la vita, più in generale, la si vive più serenamente. L’ho notato ai tempi dell’università, quando tornavo da Milano, ero si felice di rivedere la mia famiglia, ma provavo un senso di pace. Non si può raccontare, ma solo viverlo!». Cinzia Cavalleri, 28 anni, da sempre vive nel comune di Zavattarello. Diplomata in ragioneria, lavora a Varzi e da gennaio è contabile della Pro Loco di Zavattarello. Forse il ruolo più noioso, ma di grande responsabilità. La burocrazia rappresenta un ostacolo? «Sì, è una grande responsabilità ma al tempo stesso è un ruolo che mi permette di mettermi in gioco e sono contenta di poterlo fare per il mio paese. La burocrazia bisogna conoscerla: nell’immaginario collettivo è una macchina complessa che rallenta o addirittura ostacola la realizzazione di progetti ed eventi. In realtà è uno strumento nobile per organizzare persone e risorse nella comunità con criteri di razionalità e imparzialità». Quali sono gli investimenti che vorrete fare nella vostra associazione? «La precedente gestione ci ha lasciato in eredità attrezzature nuove e sicuramente questo aspetto ci permetterà di fare valutazioni diverse. Investire e contribuire allo sviluppo di un marketing territoriale facendo rete con le altre associazioni potrebbe essere una prima idea. Vedremo, siamo appena partiti». Si sente di fare un appello alla popolazione? «Alla popolazione posso dire di sostenerci perché per Zavattarello avere una Pro Loco giovane e tutta al femminile deve essere motivo d’orgoglio. Sicuramente abbiamo tutto da imparare, ma proprio per questo chiedo alla comunità la massima collaborazione ed entusiasmo. Noi ci crediamo perché amiamo il nostro territorio». Oltre al direttivo composto da donne, l’associazione è animata da un nutrito gruppo di volontari di cui fanno parte Mauro Colombini, Iacopo Pallavezzati, Matteo Valdi, Nicolas Marchesi, Alessandro Mirani, Daniele Cavalleri, Paolo Balma, Francesco Febbroni, Alex Crevani. di Silvia Colombini



Colli verdi

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«Lontano dai grandi centri ci siamo scoperti più uniti» Colli Verdi è il primo comune nato da una fusione sul territorio d’Oltrepò. è passato poco più di un anno da quando Ruino, Canevino e Valverde si sono uniti diventando, a livello amministrativo, un’entità sola: era il primo gennaio del 2019. Sergio Lodigiani, ex sindaco di Ruino, ha vinto le elezioni ed è ora il primo cittadino. Proprio Ruino è stata scelta come nuova sede comunale, mentre quelle di Canevino e Valverde sono rimaste aperte per i servizi di front office agevolando così gli accessi agli uffici da parte dei residenti in determinati giorni della settimana. Lontano dal caos e dai grandi centri, anche quelli commerciali, la comunità sembra essersi abituata ad operare in armonia valorizzando al meglio le proprie risorse: «Siamo molto più uniti, anche a livello umano» spiega Lodigiani. Sindaco, si parla spesso di fusioni come di uno strumento efficace per snellire la macchina burocratica e aiutare anche economicamente i piccoli comuni. Che cosa è cambiato per voi rispetto a prima? «Sicuramente rispetto al passato c’è stato un miglioramento dal punto di vista organizzativo degli uffici e del loro funzionamento. Avere un solo ente permette sia alla compagine politica che a quella amministrativa di operare in tempi più stretti e dà la possibilità di confrontarsi in tempo reale sulle possibili problematiche. Gli uffici, dopo essersi occupati per anni di quattro enti (ovvero i tre Comuni più l’Unione che gli stessi avevano costituito), adesso affrontano i loro compiti concentrandosi sulla specializzazione delle tematiche attribuite. Sicuramente il maggior apporto economico dovuto alla scelta di fondersi consentirà a noi amministratori di studiare strategie di rilancio attraverso investimenti in opere e progetti per il territorio». Avete ricevuto finanziamenti in seguito alla fusione? «La normativa sulla fusione prevede un contributo straordinario decennale pari al 60% delle attribuzioni erariali che lo stato aveva assegnato ai Comuni preesistenti nell’anno 2010. Tale somma è quantificata in 385.000 euro annui». Come li utilizzate? «Innanzitutto diciamo che attualmente il contributo della fusione ci permette di mantenere l’imposizione fiscale del Comune al minimo consentito dalla legge, pur ampliando la gestione di alcuni servizi essenziali sia in tema sociale che in tema più istituzionale. Poi, per l’anno in corso, il contributo verrà impiegato per finanziare il sociale, l’adeguamento del Pgt, la regimazione del verde pubblico, l’acqui-

Sergio Lodigiani

sto di uno scuolabus, l’acquisizione di un gruppo elettrogeno per garantire il funzionamento della macchine elettromedicali salva vita nella R.S.D. della Frazione Ruino, la realizzazione di un marciapiede in località Pometo, l’asfaltatura della Strada del Mollio (frazione Valverde) e la pavimentazione di un tratto della Via Zanini in Località Caseo, frana Sant’Antonio, oltre a diverse spese gestionali. Quelli elencati sono ovviamente una parte lavori già in programma che dà l’idea delle possibilità di crescita offerte da una scelta così radicale come la fusione. Non dimentichiamo che il comune gode oggi anche di un consistente avanzo di amministrazione il cui utilizzo è ancora al vaglio». Ci sono stati disagi particolari nella transizione post fusione? «Difficoltà legate principalmente al numero di enti coinvolti in questa operazione, Agenzia del territorio, Agenzia delle entrate, Camera di commercio, Motorizzazione che hanno dovuto aggiornare le posizioni sia dei singoli cittadini che delle imprese operanti sul territorio. Abbiamo dovuto sopperire all’impossibilità di operare come nuovo comune non essendo ancora riconosciuto da nessun organismo burocratico nazionale, in particolare gli accreditamenti alle piattaforme internet necessarie al funzionamento degli uffici hanno richiesto un lavoro notevole. I disagi sono stati quelli tipici dei periodi di transizione». C’è stato un cambiamento nei servizi erogati? «I servizi non hanno subito alcuna riduzione, la scelta di mantenere in alcuni giorni l’apertura delle sedi decentrate di Valverde e Canevino è andata proprio nella direzione di agevolare il più possibile la popolazione in modo tale da rendere il passaggio il più indolore possibile.

Nell’immediato futuro i servizi verranno implementati, proprio perché una maggior razionalizzazione degli uffici e del personale garantirà una risposta più efficiente alle esigenze della popolazione». La sua gestione ha ereditato anche i progetti in cantiere negli altri ex comuni, come ad esempio il centro sportivo polifunzionale di Valverde: a che punto è? «Il centro sportivo “Stefano Bozzola” della Frazione Valverde è una splendida realtà, con notevoli potenzialità di utilizzo. Attualmente sono attive convenzioni con varie Università, fondazioni e associazioni di tutela della biodiversità. La sala è dotata di impiantistica multimediale di ultima generazione che consente agli utenti di realizzare i propri programmi di lavoro con facilità». Per gli altri due comuni invece che progetti c’erano? «Gli altri cantieri erano soprattutto inerenti la manutenzione straordinaria della rete viaria e il ripristino di alcuni versanti in frana, e sono stati ultimati dal nuovo Comune che, per legge, è subentrato nei contratti stipulati dai Comuni fusi. In fase di realizzazione vi sono anche quattro progetti finanziati con i fondi di Aree Interne per un importo complessivo di 715.000 euro». Quali sarebbero questi progetti? «Sistemazione del castello di Valverde, interventi importanti in materia di risparmio energetico sul plesso scolastico di Pometo e delle ex scuole della frazione Casa d’Agosto, infine la sostituzione dell’illuminazione pubblica con lampioni a led nella frazione Ruino». Parliamo di dissesto idrogeologico: tra dicembre e gennaio c’erano state alcune frane lungo le provinciali. Com’è la situazione attuale a Colli Verdi? «Il comune di Colli Verdi è stato interessato da alcuni movimenti franosi. In località Valverde la strada è stata consolidata e in località Torre degli Alberi i lavori di ripristino sono in esecuzione. A Colombara nella Frazione di Canevino (SP40), dove si è verificato uno smottamento, il ripristino è in fase di valutazione da parte della Provincia». Uno dei problemi critici delle cosiddette “zone svantaggiate” è la mancanza di attività commerciali. Com’è la situazione a Colli Verdi? «In realtà da noi non solo non ci sono state recenti chiusure, ma molti si sono migliorati proprio per accettare la sfida del rilancio. Nella località di Pometo, per esempio, troviamo due ottimi panifici artigianali, un negozio di abbigliamento, un negozio di vendita di prodotti a servizio dell’agricoltura, un bar tabaccheria, un

Colli Verdi a un anno dalla fusione fa gioco di squadra: «Si fa spesa nelle botteghe e ci si aiuta tra noi»

circolo ricreativo, la farmacia e due giorni a settimana nella piazza del paese troviamo un banco di frutta e verdura, un fiorista e saltuariamente anche una produttrice di miele. Accanto a questa realtà troviamo su tutto il territorio diversi ristoranti e moltissime realtà agrituristiche e due centri sportivi». A Valverde però non è rimasto nulla… «La mancanza di attività è sopperita dalla presenza di due ambulanti e nel periodo estivo da un esperimento mercatale che nel 2019 è stato molto apprezzato dalla popolazione. Si tende a pensare che la lontananza dai grandi centri sia un minus per la popolazione delle nostre colline, ma la realtà è che la comunità è molto più unita, fa la spesa nelle botteghe di paese, si ritrova al bar e si dà sostegno nei momenti di difficoltà. Inoltre, tutti, dagli artigiani ai commercianti, si sono sempre adoperati per rimanere al passo con i tempi e sono il fulcro del rilancio soprattutto in tema di turismo». Ci sono riscontri importanti sotto questo aspetto? «Le nostre colline sono mete di molti milanesi e pavesi che hanno trovato sul territorio una fuga dal caos cittadino, spesso acquistando anche casa, e il tutto senza rinunciare ad una rete internet veloce, al servizio postale che da qualche mese è fornito anche di sportello bancomat, ad un’ampia scelta culinaria e a prodotti d’eccellenza locale. Per concludere credo che la nostra popolazione si sia dimostrata in grado di superare le difficoltà e di trovare in esse uno spunto di crescita». di Christian Draghi


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CASTEGGIO

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Croce Rossa: «La situazione finanziaria attuale del comitato è stabile» Da poche settimane la Croce Rossa di Casteggio ha un nuovo presidente. È Cristian Tiengo, di professione infermiere, già responsabile della formazione presso lo stesso comitato. Subentra alla gestione commissariale del dottor Roberto Arpesella, al timone dallo scorso luglio. Il comitato di Casteggio, fondato nel 1973, serve un bacino di 22 comuni nell’Oltrepò centrale. Della situazione attuale, delle esigenze dei volontari e dei progetti futuri abbiamo parlato con il nuovo presidente. Intanto, congratulazioni per la nomina e in bocca al lupo. Ci sarà tanto da lavorare, ma questo lo sa. Vuole raccontarci qual è stato il suo percorso in Croce Rossa, prima di arrivare a questo nuovo punto di partenza? «Il mio percorso in Croce Rossa inizia giugno 2013, quando ho fatto il mio primo corso di base. Ho poi spaziato tra i vari obiettivi strategici, le varie attività istituzionali della Croce Rossa. Prima mi sono occupato dell’area emergenza - protezione civile, poi dopo due anni sono diventato soccorritore, poi istruttore regionale AREU e infine referente per la formazione del comitato di Casteggio, qualifica tenuta per tre anni. Quello che mi ha portato a candidarmi, alla fine di questo percorso, è stato il voler dare uno sprint nuovo al comitato. Un tocco di innovazione; sempre salvaguardando il volontario, che è la parte fondamentale della nostra associazione.» In cosa consiste questa innovazione? «L’aspetto fondamentale che mi ha portato a decidere di candidarmi è la consapevolezza che attorno a me c’è una squadra davvero forte e competente. Della lista che si è candidata con me fanno parte Elena Risi, Erica Prevadini, Federico Ferri, Anna Rita Perruchon, Massimo Ronchi, Giuseppe Croci, e come “consigliere giovane” Samuel Luigi Senatore. Sono persone che hanno molta esperienza; un gruppo molto eterogeneo per quanto riguarda le rispettive competenze: chi è stato in precedenza dipendente amministrativo (quindi preparato su tutti gli aspetti gestionali), chi addirittura è stato socio fondatore, quindi conosce la Croce Rossa di Casteggio fin dalle origini. E poi ci sono io, che mi sono sempre occupato di formazione.» Quindi varie anime, unite per il medesimo obiettivo. «Un gruppo eterogeneo per quanto riguarda le competenze, ma allo stesso tempo molto omogeneo perché c’è fra noi un grande affiatamento, una coesione non indifferente. Questa è stata la spinta in più che mi ha portato a prendere la decisione di candidarmi.»

Da sinistra a destra: Samuel Luigi Senatore, Elena Risi, Andrea Buschi, Cristian Tiengo, Anna Rita Perruchon, Erica Prevadini.

Tiengo è il nuovo presidente: «È stato nominato direttore sanitario il dottor Lorenzo Callegari» Quali sono gli incarichi del gruppo dirigente? «Il Delegato per l’Area 1 (salute, rapporti con AREU) è Elena Risi. L’Area 2 (la sfera del sociale, con il sostegno ai bisogni della popolazione) è in capo ad Anna Rita Perruchon. Dell’Area 3 (emergenza, protezione civile) si occupa Andrea Buschi. L’Area 4 (principi CRI, diritto internazionale umanitario) è attualmente vacante perché in comitato non abbiamo persone formate per questo ruolo istituzionale; ci stiamo predisponendo per formare un nuovo delegato, cosicché sappia lavorare su questo tema. L’Area 5 (giovani) è coordinata da Samuel Luigi Senatore. Infine, dell’Area 6 (sviluppo e gestione volontari, ufficio soci, eventi) si occupa Erica Prevadini.»

Gli ultimi mesi sono stati difficili per il Comitato di Casteggio. Qual è la situazione attuale? «Veniamo da sei mesi di commissariamento. La situazione finanziaria attuale del comitato è stabile.» Certo non si naviga nell’oro, e la ricerca di volontari sarà sempre all’ordine del giorno... «Siamo sempre alla ricerca di attività in più, posto che questo periodo non è favorevole a nessuno, in quanto sono state emanate istruzioni operative da parte dell’Unità di Crisi regionale, con cui collaboriamo, e della Direzione Sanitaria regionale; per cui sono state sospese le attività aggregative e ricreative. Collaboriamo altresì con la Sala Operativa regionale per la gestione questa emergenza.»

Lo ricordiamo, proprio all’indomani del vostro insediamento è arrivata la tegola che tutti avremmo evitato volentieri: il Coronavirus. Come sono stati questi primi giorni di lavoro in “emergenza”? «Diciamo che è stato un inizio in salita, calcolando che la nomina ufficiale è arrivata giovedì 24 e dal venerdì/sabato immediatamente successivi ci siamo trovati a dover gestire questa emergenza. Per adesso l’attività è praticamente invariata. Manteniamo il servizio quotidiano di ambulanza dell’urgenza ventiquattro ore su ventiquattro. e stiamo garantendo un’ambulanza aggiuntiva da adibire alla territorialità. Questo fino a data da destinarsi, proprio per venire incontro alle numerose richieste di interventi da parte della popolazione. Per adesso tutte le altre attività sono sospese. Stiamo poi continuando a monitorare i bisogni della popolazione, il sociale, per quanto riguarda ad esempio la distribuzione degli alimenti.» Chi è il nuovo direttore sanitario, dopo il trasferimento della dottoressa Martinotti al comitato di Pavia? «È stato nominato nuovo direttore sanitario il dottor Lorenzo Callegari, che ringrazio per la disponibilità e la fiducia dimostratami.


CASTEGGIO

185 i soci attivi. Fra questi circa 100 soccorritori che svolgono il servizio in ambulanza per le urgenze

Spero davvero che si riesca a collaborare bene e portare avanti i nostri progetti.» Quanti sono i volontari della Croce Rossa di Casteggio? «Sono 185 i soci attivi attualmente. Fra questi, circa un centinaio di soccorritori, che quindi svolgono il servizio in ambulanza per le urgenze. Ma non si lavora a compartimenti stagni: la Croce Rossa è un mondo trasversale, nel quale tutti danno il loro contributo. Prova di questo è l’attua-

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le emergenza, dove la richiesta di un’ambulanza in più è stata soddisfatta in breve termine. I volontari hanno risposto molto rapidamente all’emergenza in atto.» A proposito: i volontari corrono rischi? «I nostri equipaggi sono salvaguardati, perché qualora sia necessario venire a contatto con pazienti sospetti l’indicazione è quella di provvedere a segnalare l’evento; la segnalazione viene trasmessa all’Unità di Crisi, che fa da filtro ed effettua una valutazione. In base alle istruzioni operative erogate si decide come comportarsi.» Quali sono le necessità più impellenti del comitato locale di Casteggio? «Ci auspichiamo, semplicemente, che questa emergenza abbia termine a breve nel migliore dei modi e si possa partire presto con tutti i progetti che ci eravamo prestabiliti.» Ecco, spendiamo dunque due parole sul programma che avete presentato ai soci. «La nostra idea è che al centro di tutto ci sia il volontario, quindi che si debba mantenere un particolare occhio di riguardo per tutti coloro che prestano la propria disponibilità, nonostante i mille impegni, alla Croce Rossa.» Come si concretizza questa attenzione? «Intendiamo predisporre resoconti periodici dei consigli direttivi che verranno effettuati. Abbiamo deciso, poi, di fissare un’assemblea dei soci a cadenza almeno trimestrale, stabilendo preventivamente un calendario annuale, in modo tale che

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Salvaguardia dei volontari: «In caso di pazienti sospetti lo si comunica all’Unità di Crisi che fa da filtro e decide»

tutti abbiano la possibilità di parteciparvi.» La parola d’ordine, dunque, è: trasparenza. «Trasparenza, sì, e anche ascolto. Ascoltare le problematiche che i soci possono avere. Verrà messa a disposizione una sorta di urna nella quale i soci potranno inserire messaggi, firmati o non firmati, riguardo idee, suggerimenti; cose positive o negative. Questo per dare la possibilità al volontario di esprimersi senza problemi. Vogliamo anche valorizzare le competenze dei volontari: se una persona dispone di capacità in determinati ambiti, tenteremo di coinvolgerli ulteriormente nell’utilizzo di queste, se possono essere utili alla causa.»

Per quanto riguarda le attività di formazione? «Intendiamo mantenere un occhio di riguardo alla formazione, con l’ampliamento dei corsi BLSD (corsi di 5 ore dove si apprendono le basi della rianimazione cardio-polmonare e l’utilizzo del defibrillatore) e di primo soccorso aziendale (in base al DL 81/08). Tutto questo si aggiunge, naturalmente, al mantenimento della formazione interna: il corso base annuale di accesso alla Croce Rossa Italiana, e poi, a seguire, un corso per servizi in emergenza-urgenza della durata di 120 ore.» di Pier Luigi Feltri


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TORRICELLA VERZATE

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«L’Oltrepò rinunci a mediatori e maxi rese impossibili sulle nostre colline» Pierangelo Boatti, patron di Monsupello, commenta con preoccupazione le ultime vicende legate all’Oltrepò del vino e scatta la sua istantanea relativa a situazione territoriale e scelte aziendali di un’impresa che ha scelto di puntare sul proprio marchio e su un posizionamento forte, a valore, in tutta Italia. Perché Monsupello ha scelto una strada individuale? «La nostra azienda è partita facendo territorio più di ogni altra. Carlo Boatti è stato uno dei padri del Consorzio e poi animatore dell’associazione produttori del Classese, dedicata alla produzione di un Metodo Classico con un nome territoriale forte e percepibile. Purtroppo l’Oltrepò Pavese negli anni, anziché elevarsi, è sprofondato lungo il baratro di una massificazione al basso, fatta solo di volumi e basso prezzo. Quando la politica territoriale è diventata offrire vini che costassero meno di quelli delle altre zone di produzione pur di vuotare in fretta le cantine, noi non abbiamo avuto altra scelta per difendere ciò che avevamo costruito, con molto sacrificio. Ci siamo concentrati progressivamente sempre più sul nostro marchio, divenuto sinonimo in Italia di vini e spumanti blanc de noir Metodo Classico di qualità esclusivamente nel canale Horeca (wine bar, ristoranti, enoteche e catering). Le nostre etichette sono prodotte con scrupolo dalla vigna alla cantina e fino all’abbigliaggio. Non abbiamo scelto la strada più facile, abbiamo optato per un percorso che valorizzasse quanto di meglio potevamo offrire al mercato attraverso una vitivinicoltura altamente qualitativa, facendo di rese basse e identità in bottiglia il nostro valore aggiunto. Ci sarebbe piaciuto veder fare la stessa cosa a livello territoriale, purtroppo abbiamo assistito al fallimento di tutti i progetti qualità attuati in Oltrepò Pavese. I piccoli produttori locali e le poche medie aziende che remavano controcorrente sono rimasti vittime di concorrenza sleale e politiche miopi fatte di tantissime parole, qualche titolo e pochi fatti. Siamo andati da soli perché maxi rese e ammucchiate per interessi non fanno per noi». Come ha riverberato l’ultimo scandalo sull’Oltrepò e sul posizionamento delle aziende? «Malissimo. Ha certificato agli occhi dei professionisti del settore e dei consumatori una deriva che prosegue da anni, senza soluzione di continuità. Viviamo in una terra benedetta da madre Natura ma purtroppo condannata dagli uomini. Il caso Canneto Pavese, su cui farà piena luce la magistratura e non certo noi che siamo solo spettatori di uno spettacolo cui

A destra Pierangelo Boatti con Angelo Gaja

non volevamo assistere, si poteva però in qualche modo prevenire. Una terra storica e vocata come l’Oltrepò Pavese dovrebbe fare a meno di mediatori e maxi rese impossibili sulle nostre colline. Fino a quando si avrà paura di affermare nero su bianco quanto può davvero produrre un vigneto non ci sarà pace in Oltrepò e questo nome territoriale varrà sempre meno». La politica ha fatto abbastanza per il territorio in questi anni sul fronte valorizzazione e promozione? «No, perché si sono distribuite risorse a pioggia senza affermare forti principi meritocratici rispetto alle politiche poste in essere dalle aziende. Guardando le delibere di riparto dei fondi si nota chiaramente come i soggetti più finanziati dal sistema pubblico siano in fondo stati quelli che hanno fortemente concorso a mettere in ginocchio il territorio e a danneggiarlo in modo forte sotto il profilo reputazionale. L’Oltrepò aveva bisogno di avere a Riccagioia la sua San Michele all’Adige, ma si sono spesi tanti soldi a vuoto». Cosa c’è in Oltrepò che non funziona sotto il profilo dell’assetto territoriale? «L’eccessiva sudditanza al mondo post damigianaro confluito in quello delle maxi rese e della cisterna ha notevolmente danneggiato l’assetto territoriale. Per assurdo i progetti culturali e qualitativi sono sempre stati stoppati o comunque hanno sempre dovuto risalire le correnti. Qui chi ha intrapreso seriamente percorsi

«Se non si mette nero su bianco quanto può davvero produrre un vigneto, l’Oltrepò varrà sempre meno» qualitativi e distintivi è stato sempre preso in giro dalla collettività. Non c’è mai stato rispetto verso i pionieri ed è anche per questo che non abbiamo avuto leader riconosciuti, capaci d’ispirare un’evoluzione positiva su scala territoriale. Qualcuno dice che Monsupello è un leader, per i risultati che ottiene ogni anno, per la notorietà nazionale del suo brand e per la critica positiva che genera, eppure alle ultime elezioni in Consorzio hanno preferito tenerla fuori dal consiglio di amministrazione. Per noi è stato forse meglio così, ma tutto accade per un motivo… e bisogna trarre le conclusioni». Come mai ha sentito di lanciare un’associazione dei brand del blanc de noir? «Perché lavorare con chi la pensa come te è più facile, coinvolgente e porta a risultati. L’idea è quella di costituire in Oltrepò Pavese, patria del Pinot nero, un’associazione, prima locale e poi nazionale, che raduni i produttori di Metodo Classico blanc de noir.

Ci sono realtà accomunate dal vedere nella spumantistica base Pinot nero il vero volano a valore del territorio, al 45° parallelo, sinonimo nel mondo di terre di grandi vini, dove i terreni di tre ere geologiche e il microclima assicurano una maturazione fenolica delle uve senza eguali. Si stringeranno insieme aziende con filosofia, valori, visione e strategia comuni. Non è un passo contro nessuno. Non è un Consorzio, non è un Distretto e non è un club. Sarà una cabina di regia per il business. A noi serve generare economia attraverso qualcosa che ci distingue, elevare immagine e reputazione della nostra grande spumantistica in Italia e nel mondo. Prezzi delle uve, dei terreni e degli stessi vini non possono essere così bassi. Serve uno slancio d’orgoglio. L’unione con chi la vede come noi farà la forza di tutti. La politica non c’interessa, le poltrone nemmeno. Noi faremo impresa e marketing, esplorando scenari in cui Oltrepò


TORRICELLA VERZATE non si sa nemmeno cosa voglia dire. a nostra pubblicità saranno l’identità e la qualità in bottiglia. L’associazione punterà su Italia, internazionalizzazione, dialogo con gli opinion leader, incoming e missioni comuni. Ci sarà spazio anche per periodiche riunioni di confronto interno, con il supporto di una condotta tecnica qualificata, così come per degustazioni delle referenze dei competitor internazionali. Il pensiero del Duca Denari è stato troppo a lungo accantonato. Lui diceva che il blanc de noir Metodo Classico dell’Oltrepò aveva il profilo per dialogare, nel rispetto delle specificità, con la Champagne, per dare lustro all’Oltrepò nel mondo. Riattualizzeremo il suo pensiero, in chiave moderna». Il Consorzio: perché scegliete di star fuori? «Negli ultimi 2 anni molti esponenti istituzionali e della politica hanno bussato a tante porte per animare una sorta di pressing dello stare insieme. La domanda che ci si dovrebbe fare è… per fare cosa? Manca del tutto una visione territoriale comune. Si dice che tutti fanno lo stesso lavoro, pur nel rispetto dei ruoli, ma non è vero. Non c’è vera voglia di ripartire da zero, come sarebbe auspicabile. Qualcuno pensa si possa ripartire da politiche di promozione senza prima un prodotto all’altezza e senza un posizionamento a valore. Negli ultimi vent’anni si è distrutto il mercato del Bonarda dell’Oltrepò Pavese e nel 2019 abbiamo visto svendite della DOCG Metodo Classico Oltrepò Pavese presso catene di discount nazionali, anche appena prima delle festività natalizie, un momento magico per questo tipo di prodotto. Tutte cose di cui nessuno sente di essere colpevole e rispetto alle quali nessuno dice di avere strumenti per intervenire. Se questo è lo scenario che senso ha rientrare in un Consorzio dove comunque una cantina sociale e i suoi grandi clienti

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«La politica? Distribuiti soldi a pioggia a quelli che hanno messo in ginocchio l’Oltrepò» hanno un rapporto di reciproca dipendenza? Che valore avrà togliere un po’ di voti a un soggetto singolo quando il combinato disposto dei voti sarà ancora a favore del mondo della cisterna e degli ex della damigiana? Come si può rientrare in un Consorzio che pensa si possano produrre 200 quintali per ettaro sulle nostre colline? C’è poi un’altra ragione che affonda le radici ai tempi del Consorzio diretto da Carlo Alberto Panont, che definiva obbligatoria una tracciabilità sperimentale e non ancora riconosciuta dal ministero, spiegando che saremmo stati sanzionati. Io e Riccardo Albani ci opponemmo, creammo un comitato e io spesi 100.000 euro in consulenti legali a beneficio di un territorio che non seppe nemmeno dire “grazie”. Lo feci perché un’autorità non prendesse in giro tanti produttori. Fui fatto passare da pazzo, ma avevo ragione. Peccato che accesso agli atti, viaggi a Roma, carteggi con gli uffici competenti e braccio di ferro con la politica compiacente pesarono su di me e basta. Prima ti usano, poi ti buttano fuori e poi ti rivogliono? Per carità… ma chi ci crede?». La storia di Monsupello cosa insegna? «Che cambiare richiede tanti sacrifici, investimenti e idee chiare. Che fare squadra con staff, rete agenti e rete clienti non sono cose che si decidono il lunedì per il

venerdì. Che tenere duro e non demordere, cioè il non seguire il canto delle sirene, sono le uniche cose importanti quando si fa impresa. Noi viviamo di vitivinicoltura, siamo contadini diventati imprenditori. Noi il mercato non l’abbiamo subito, ci siamo fatti largo tra tante grandi e agguerrite realtà con la forza dell’identità». Qual è oggi il vostro posizionamento? «Abbiamo oltre 100 agenti e 8.500 clienti nel settore Ho.Re.Ca. italiano. Esportiamo solo il 5% della nostra produzione, perché non abbiamo sufficiente prodotto e non vogliamo scendere a compromessi. Abbiamo scelto di crescere a valore e non a volumi; producendo 300.000 bottiglie ogni anno, 150.000 di Metodo Classico, abbiamo più margine di molti giganti con i piedi d’argilla. Non è stato facile arrivare qui, ci siamo riconvertiti anche noi ma l’abbiamo fatto in trent’anni, non in due minuti. Lavoriamo su prenotazione e con pagamenti anticipati, spediamo i nostri vini in tutte le province italiane e ai pubblici esercizi selezionati delle grandi città che partecipano allo storytelling del marchio Monsupello. La famiglia Boatti va avanti, fedele ai valori di sempre, senza improvvisare mai niente. Non ci sentiamo arrivati, sappiamo di aver sempre qualcosa da imparare e andiamo avanti con umiltà un passo alla volta».

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Quali sono i vostri progetti futuri? «Presenteremo a breve, nel corso di un evento dedicato, un nuovo Metodo Classico a cui lavoriamo da 6 anni. Noi che siamo nella terra del blanc de noir da Pinot nero, abbiamo sviluppato anche un progetto in serie limitatissima partendo dallo Chardonnay. Siamo convinti che il nostro Oltrepò sia la culla del Metodo Classico italiano e che come tale debba essere fatto brillare con tutte le sue potenzialità». Doveste dare un consiglio alle imprese dell’Oltrepò di qualità, cosa vi sentireste di suggerire? «Di non aspettarsi niente dall’esterno, perché la fortuna non esiste: nel fare impresa si devono fare ogni giorno precise scelte, con coraggio e lucida determinazione. Non bisogna mai salire su carrozzoni o inseguire falsi miti. Bisogna intraprendere un progetto aziendale con metodo e non abbandonarlo di fronte alle prime difficoltà. è solo perseverando che si ha ragione nel medio e lungo periodo. è solo con i sacrifici che si raggiungono grandi risultati». di Silvia Colombini

«Qualcuno dice che siamo un’ azienda leader, eppure ci hanno lasciato fuori dal Cda del Consorzio»


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MORNICO LOSANA

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Il castello di Mornico, tra le residenze signorili meglio conservate di tutto l’Oltrepò Nell’Oltrepò centrale, a dominare le valli del Rile e di Santa Giuletta, troviamo il castello di Mornico, la cui storia si intreccia per diversi secoli con quella del Castello di Montalto, entrambi appartenenti all’antico feudo della famiglia Belcredi. Venne eretto nel XII secolo a scopo difensivo, in seguito ad un privilegio accordato dall’Imperatore Federico II ai ghibellini Belcredi, i quali dovettero per anni difendersi dai guelfi Piacentini, che nel biennio 1215-16 (e anche successivamente) misero a ferro e fuoco la vicina Valversa. Nel 1275 riuscì a resistere agli attacchi dei Sannazzaro che, con gli aiuti milanesi, miravano ad impossessarsi del più strategico Castello di Pietra de’ Giorgi. Ma la sottomissione milanese riuscì solo alcuni anni più tardi, nel 1378, quando il feudo passò sotto i Visconti. I rapporti tra i Belcredi e i duchi milanesi non furono subito facili: già nel 1402 i feudatari si rifiutarono di pagare le tasse sui focolari e sull’imbonato. Tutto si risolse qualche anno dopo, quando i Visconti annullarono il credito in cambio della rinnovata fedeltà della famiglia feudataria. Tra la fine del ‘400 e i primi del ‘500, il feudo di Mornico passò agli Scotti di Piacenza, poi agli Strozzi e ai Taverna, per poi tornare di nuovo tra le possessioni della famiglia Belcredi, i quali ne diventeranno marchesi nel 1701. Nei primi dell’800 i Belcredi si trasferirono a Vienna, quando Riccardo, dopo essere stato capitano degli Ussari ed aver ricoperto la carica di Deputato della Dieta, divenne cancelliere e ministro dell’Impero austro-ungarico. Da allora il castello fu sottoposto ad un susseguirsi di nuove proprietà: venne acquistato dal Marchese Doria, al quale susseguirono i Marchesi Brignole di Genova. Questi alienarono la proprietà a Giovanni De Filippi, che in seguito la rivendette alla famiglia Lorini: fu proprio il Professor Lorini ad effettuare i più importanti restauri, trasformandolo in un signorile palazzo residenziale, dotato di eleganti arredi, terrazze pensili e giardino contornato da un piccolo boschetto. Alla famiglia Lorini si susseguirono molti altri proprietari, tra i quali la “Casa di Riposo per Musicisti Giuseppe Verdi” di Milano, che lo cedette agli attuali detentori. Oggi il Castello di Mornico è tra le residenze signorili meglio conservate di tutto l’Oltrepò Pavese, da diversi anni ambita location per cerimonie nuziali ed eventi di ogni tipo. Abbiamo intervistato Elena Colombari che, insieme alla sorella Ilaria, è l’attuale proprietaria della struttura. Quando la vostra famiglia è entrata in possesso del Castello di Mornico? «Il castello fu acquistato da mio nonno

«Abbiamo iniziato questo tipo di attività circa 10 anni fa: questo ci consente di continuare a mantenere la struttura come merita. Inoltre, organizzare matrimoni, porta alla Castello energie positive e gioia, che rendono ancora più magica l’atmosfera». Che tipi di servizi offrite? «Al castello organizziamo matrimoni molto selezionati e, per poter offrire un servizio unico e speciale, ci avvaliamo di personale attento e qualificato. Ogni anno arriviamo a svolgere un massimo di 15 cerimonie. Inoltre, abbiamo molto a cuore la valorizzazione del territorio ed è per questo che abbiamo aperto da alcuni anni un B&B di charme con sei meravigliose suites, dove accogliamo ospiti provenienti da tutto il Mondo ai quali offriamo un’experience unica. Pianifichiamo per i nostri ospiti visite guidate nelle cantine, tour enogastronomici, passeggiate a cavallo, attività sportive, pedalate in mountain bike e molto altro».

Effettuate visite guidate o solo eventi? «Principalmente eventi, ma in occasioni particolari, possiamo organizzare visite. Per esempio, in occasione della Giornata del FAI la visita al castello ha riscosso un grande successo. Anche quest’anno ospiteremo manifestazioni promosse dal comune, dalla pro loco di Mornico Losana e da altre associazioni dell’Oltrepò». Come vedreste un circuito di promozione dei castelli e delle dimore storiche dell’Oltrepò Pavese? «Consapevoli che le nostre zone sono molto apprezzate sia per la bellezza del paesaggio che per i prodotti enogastronomici, siamo favorevoli ad una valorizzazione del territorio, quindi promuovere sia i castelli che le dimore storiche, in modo pianificato, porterebbe una concreta opportunità di crescita per l’Oltrepò». di Manuele Riccardi

Elena Colombani

Camillo Colombani nel 1980, e successivamente donato a mio padre Piero Colombani dal quale poi io e mia sorella Ilaria l’abbiamo ereditato. Quindi sono circa 40 anni che appartiene alla mia nostra famiglia». La struttura è sempre stata abitata? «Da quando è stato acquistato sono state fatte numerose ristrutturazioni sia interne che esterne. Dalla famiglia Colombani è sempre stato abitato, prevalentemente nei weekend in quanto le nostre attività si sviluppano a Milano» Avete dovuto sopportare elevati costi di ristrutturazione per rendere visitabile il castello? «I costi di ristrutturazione e manutenzione in dimore come queste sono sempre molto elevati e non finiscono mai. Ogni anno c’è sempre qualche cosa su cui intervenire per mantenere nel migliore dei modi il castello». È stato un grosso impegno per voi mantenere attiva la struttura? «Ovviamente c’è stato e c’è tutt’ora un enorme impegno, sia a livello economico che di tempo, ma continuiamo a fare questi sacrifici per l’amore verso l’Oltrepò, un territorio stupendo non ancora valorizzato come dovrebbe. Per noi è una anche una grande soddisfazione, in quanto otteniamo riscontri super positivi dei nostri clienti». Quando avete iniziato l’attività di ricezione?

Castello di Mornico, anni ‘50

Il Castello oggi


BORGO PRIOLO

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“Progetto Islander” denuncia il maltrattamento di trenta cavalliI Ci è stata segnalata da una nostra lettrice la situazione di degrado che riguarderebbe alcuni cavalli, ospitati presso un agriturismo nel Comune di Borgo Priolo (Centro Ippico La Torretta). Un caso sul quale si è già espressa l’autorità giudiziaria, ma che continua a destare le perplessità, se non addirittura le ire, delle associazioni animaliste. Di recente si è interessata alla questione anche ENPA e sono state inviate segnalazioni da alcuni cittadini a Striscia La Notizia. Al momento, tuttavia, non è possibile sapere se il programma di Canale 5 interverrà sul posto. La situazione incresciosa si protrarrebbe da circa un anno; periodo durante il quale sono accaduti fati degni di nota. Innanzi tutto, un’associazione del settore si è interessata per trovare una soluzione. Si tratta di “Progetto Islander”, con sede a Villanterio e attiva anche sul territorio dell’Oltrepò Pavese. Nel tentativo di dare maggior risalto alla questione, e con la speranza che essa si possa risolvere il più rapidamente possibile, riportiamo qui di seguito le informazioni pubblicate da “Progetto Islander” sulla propria pagina Facebook. Come dichiarato dall’associazione, il primo sopralluogo presso l’agriturismo che ospita questi cavalli risale al 24 aprile 2019. «Troviamo circa trenta cavalli», si legge, «chiusi in un capannone insieme a mucche e capre, in condizioni igieniche indecorose; altri cavalli erano all’interno di alcuni box, in una struttura lontana dal capannone sopra indicato, in cui veniva svolta un’attività di messa in sella per bambini provenienti da scuole elementari del circondario; altri ancora erano liberi nei terreni». Dopo questa prima constatazione è partito un iter finalizzato ad un’ipotizzabile risoluzione “bonaria” della vicenda. «Insieme all’A.T.S. e ai Carabinieri abbiamo quindi incontrato il proprietario, e abbiamo cercato di parlare a tavolino della situazione in cui vigevano i suoi cavalli». Ma le cose non si sarebbero messe nella giusta direzione. «Il proprietario affermava che i cavalli chiusi nel capannone si trovavano lì perché non avendo le recinzioni in sicurezza spesso scappavano in strada e arrivavano fino in paese (varie testimonianze ci hanno poi confermato che sono stati anche causati alcuni incidenti ). Il veterinario dell’A.T.S. ha imposto delle prescrizioni per cui i cavalli sarebbero dovuti essere messi in sicurezza, alimentati a dovere e gestiti in maniera idonea.» L’associazione, tuttavia, si è mossa anche direttamente. Continua il resoconto pubblicato sul popolare social network: «Noi abbiamo inoltre dato la nostra di-

sponibilità per trovare dei volontari e aiutarlo a sistemare le recinzioni, di cui già disponeva. Abbiamo voluto dargli fiducia, soprattutto perché non sarebbe stato semplice trovare sistemazione a 40 cavalli e il posto, se gestito bene, sarebbe perfetto per ospitare tra le colline moltissimi esemplari. Successivamente però ci sono arrivate molte altre segnalazioni e siamo venuti a conoscenza di una triste realtà. Siamo rimasti in contatto con l’A.T.S. circa ulteriori controlli». Qualcosa, però, è andato nuovamente storto. Passano alcune settimane, e si giunge ad un nuovo capitolo. «Prima dell’estate da una segnalazione ci hanno riferito che la situazione si era complicata e diamo così la nostra disponibilità ad occuparci dei cavalli, poi il silenzio... L’A.T.S. ha effettuato un altro controllo durante il periodo estivo dove sono state rilasciate altre prescrizioni. A fine dicembre riceviamo un’altra segnalazione e così chiediamo un controllo alle autorità. Arriviamo così al 20 giugno 2019». In questa data si svolge un nuovo sopralluogo. «Ci siamo recati sul posto, il proprietario ci ha invitati ad entrare per mostrarci i cavalli. La situazione era decisamente peggiorata. Abbiamo trovato quasi tutti i cavalli chiusi all’interno di quel capannone e altri chiusi in box fatiscenti. I cavalli mangiavano le loro feci, non vi era un filo di fieno per terra. C’era un solo beverino mal funzionante per tutti. Il veterinario A.T.S. ha controllato e censito tutti i cavalli. Due mancavano all’appello. Ci viene detto che un puledro era morto pochi giorni prima e un cavallo una decina di giorni prima. 10 cavalli sul totale vengono valutati “1” nella “Body condition score” (scala che stima la conduzione di nutrizione di un cavallo e va da 1 a 10, dove 1 corrisponde alla mancanza assoluta di tessuto adiposo e all’atrofizzazione delle masse muscolari, mentre 10 corrisponde ad uno stato di abbondante sovrappeso). I soggetti del capannone oscillavano dall’essere estremamente denutriti a molto magri (Body condition score: 2/3)». Occorreva trovare soluzioni immediate. E, secondo quanto riportato sempre nel post che stiamo qui ricopiando quasi parola per parola, sarebbero anche in questo caso state effettuate alcune proposte. «Abbiamo insistito per ottenere il sequestro almeno dei cavalli segnalati con Body condition score pari a 1. I cavalli sono stati sequestrati e affidati al proprietario stesso, per darci il tempo di organizzare il loro trasferimento. Terminato l’intervento abbiamo inviato subito una mail con la disponibilità da parte di Progetto Islander a prendere i cavalli in custodia, facendoci

Alcuni cavalli del Centro ippico La Torretta carico di tutte le spese, chiedendo l’autorizzazione per poi poterli affidare a terzi, previo controlli pre e post affido. I cavalli avevano estrema urgenza di essere nutriti e curati.» C’è stato anche un appello via social da parte di Progetto Islander nei confronti di quanti fossero disposti a dare una mano per aiutare questi cavalli. «Tantissime persone tramite l’appello sui social si sono resi disponibili a stallare o ad adottare i soggetti, pur non sapendo nulla di loro. C’è stata estrema solidarietà e come spesso accade non c’è però stata la collaborazione della burocrazia e della giustizia italiana. Non abbiamo più saputo nulla e ad oggi veniamo a sapere che i cavalli sono stati dissequestrati e restituiti al proprietario stesso nonostante le condizioni di gestione non siano minimamente cambiate.» Stante questa descrizione la situazione sembrerebbe quindi particolarmente grave. Si attendono ulteriori sviluppi; al momento, tuttavia, non sembrano intravedersi spiragli di cambiamento. Prosegue ancora il comunicato pubblicato su Facebook: «Sono 40 anni che questi signori ricevono denunce su denunce, che i cavalli scappano e si ritrovano per le strade con il rischio di causare incidenti. Anni fa un cavallo ha causato un incidente mortale. Dopo le mille prescrizione dell’A.T.S. senza ottenere risultati, e dopo la decisione della procura di restituirgli i cavalli in condizione più grave che cosa possiamo fare???» In conclusione, un appello: «Chiediamo l’aiuto e lo sdegno di tutti. Questo posto è aperto al pubblico, le scuole organizzano gite quotidianamente e portano i bambini a fare la scuola cavalli. Le recensioni sono da film horror. Ne abbiamo pubblicate sui nostri social alcune degli ultimi mesi / anni (tutte verificabili sulla loro pagina FB, Google e TripAdvisor, e non le abbiamo scritte noi!» Come ben spiegato sul sito internet ufficiale, “Progetto Islander Onlus é un’Associa-

zione no-profit nata nel 2012 con l’intento di promuovere una serie di iniziative volte alla difesa del cavallo e alla sensibilizzazione verso la triste realtà dei maltrattamenti. Fondatrice e presidente di Progetto Islander è Nicole Berlusconi. L’associazione si impegna attivamente nel portare alla luce dinamiche spesso tenute nascoste e si prodiga nella ricerca di fondi che supportino il recupero e la riabilitazione dei cavalli maltrattati. Progetto Islander è un’associazione no profit rivolta alla tutela dei cavalli e degli equidi in generale (pony, asini, muli e bardotti). L’associazione si occupa della riabilitazione psico-fisica di animali provenienti da sequestri per reati di maltrattamento. Una volta riabilitati gli animali vengono dati in affidamento e adozione secondo procedure e norme prestabilite. Progetto Islander collabora con le Autorità (Polizia, Carabinieri, Asl, Finanza, Guardie Ecozoofile) nei casi di sequestri per reati di maltrattamento con la nomina di Custode Giudiziario.” A proposito dell’adozione a distanza, ecco cosa riporta, ancora il sito internet dell’associazione. “Adottando un cavallo a distanza ci aiuterai a contribuire alle spese per il suo mantenimento (mangime, pareggiatore, cure veterinarie). Diventerai così indispensabile per donargli un futuro migliore e potrà nascere così una storia d’amore a distanza. Potrai venire a trovarlo ogni volta che vuoi e sarà nostra premura tenerti aggiornato riguardo ad ogni suo piccolo progresso. I nostri cavalli sono tutti adottabili a distanza, se ci arriverà una richiesta di adozione definitiva per quello che sceglierai, potrai decidere di aiutare un altro cavallo. In questo modo ci permetti di poterne salvare tanti altri. Mandaci una mail con scritto il nome del cavallo che vorresti adottare e decidi tu che somma destinargli; anche un piccolo gesto sarà per lui un aiuto prezioso. Una volta fatta richiesta, riceverai un certificato di adozione.” di Pier Luigi Feltri


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BRESSANA BOTTARONE

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«Sindaci snobbati, manca un politico forte a rappresentare il territorio» A cancellare i disagi dei pendolari ci ha pensato, almeno per un poò, il coronavirus. Prima dell’epidemia e delle restrizioni che ne sono conseguite, però, i lavori sul ponte del Po (chiuso dalle 22 alle 6 del mattino) e un servizio ferroviario non all’altezza delle aspettative dei comuni limitrofi alla struttura rischiavano di creare un corto circuito nella rete dei trasporti e fare imbufalire ancora di più i già tartassati pendolari, che a prescindere dai problemi contingenti già da anni lamentano disservizi cronici, destinati a ripresentarsi una volta che le nostre vite torneranno “alla normalità”. Il sindaco di Bressana Bottarone Giorgio Fasani, insieme a numerosi colleghi, ci aveva anche provato a farsi sentire in Regione, ma «senza ottenere udienza». Sindaco, quali problemi volevate portare all’attenzione del Pirellone? «Le nostre richieste sono le stesse da mesi e sono quelle che portiamo avanti in concertazione con praticamente tutti i comuni della bassa: servono delle fermate in più su determinate tratte, in particolare sulla Milano – Genova e sulla linea che va verso Stradella e un potenziamento del servizio, con qualche treno in più soprattutto nelle fasce orarie in cui rientrano i pendolari da Milano. Non ci sembra di chiedere la luna». Temevate disagi per i lavori al ponte? «Diciamo che l’emergenza coronavirus ha ridotto in maniera drastica gli spostamenti, quindi in questa fase è normale che, muovendoci tutti meno o per nulla, i problemi siano ridotti. In teoria comunque la fascia oraria notturna dovrebbe limitarli, ma se ad esempio qualche treno tarda o qualcuno deve fermarsi in ufficio più a lungo occorre ricordare che dalle dieci in poi bisogna fare il giro dell’oca passando dal ponte della Becca. Inoltre, allo stesso modo raggiungere Pavia in quella fascia oraria è ugualmente complicato». Che tipo di lavori sono stati eseguiti sulla struttura? «Si tratta di opere a carico della Provincia per la messa in sicurezza statica necessaria, contando che la struttura è comunque vetusta (fu realizzata nel 1949 ndr) ed è l’unico collegamento ferroviario tra Oltrepò e milanese». Riguardo i problemi dei pendolari, come mai non siete stati ricevuti dalla Regione? «A dir la verità non solo non ci hanno ricevuto, ma neppure ci invitavano ai tavoli di discussione. La mia impressione è che se oltre venti sindaci non vengono presi in considerazione significa che il peso specifico del territorio a livello politico è davvero inconsistente. Non abbiamo chi è in grado di battere i

Problema pendolari: «Mai ricevuti al Pirellone, non ci invitano neppure ai tavoli»

Giorgio Fasani

«Via Depretis a senso unico? Non senza il benestare dei cittadini» pugni sul giusto tavolo e la conseguenza di certi disservizi è che l’Oltrepò, terra di pendolari, continua a svuotarsi». Quelli dei pendolari non sono gli unici problemi cui dovete far fronte. Ad esempio, in paese è molto sentita la questione della viabilità e ci sono state discussioni riguardo alcuni interventi che state mettendo in atto nel centro. In che cosa consistono? «Gli interventi riguardano l’asfaltatura di via Rossina, una parallela alla centrale via Depretis cui è collegata dalla perpendicolare via V Martiri. Questa strada a nostro avviso potrebbe rappresentare la soluzione all’annoso problema di trovare un’alternativa per alleggerire il transito dei veicoli nella centrale via Depretis, su cui da tempo le amministrazioni si arrovellano». Qualcuno, in particolar modo i commercianti, teme che, una volta terminata la sua asfaltatura via Depretis diventerà un senso unico… «A questo proposito ci tengo a rassicurare tutta la cittadinanza riguardo al fatto che nessuna decisione del genere sarà presa senza un consulto pubblico. Il nostro obiettivo al momento è reperire i fondi per terminare l’opera in via Rossina e solo dopo valuteremo qualsiasi opportunità. Ma non decideremo senza prima aver ascoltato i cittadini».

Quante risorse saranno impiegate in questo intervento? «Un primo lotto da 170mila euro è stato fatto, costi che comprendono sia parte dei lavori che le spese per l’acquisto delle porzioni di terreno che appartenevano ai privati. Un secondo, da circa 150mila che prevede l’asfaltatura e la realizzazione dei marciapiedi, partirà non appena avremo reperito le risorse necessarie. Se non entro la fine dell’anno, sarà l’anno prossimo». L’ex sindaco Torretta vi ha criticato per aver abbandonato il progetto di sistemazione di via IV novembre. Secondo lei avreste fatto meglio a proseguire in quello invece che investire risorse su via Rossina… «Ognuno ha le sue opinioni. La nostra scelta è stata diversa, in quanto abbiamo ritenuto prioritario investire in altro modo, come ad esempio nella realizzazione dei marciapiedi lungo via Primo Maggio che erano assenti, un intervento che è più importante a nostro avviso perché riguarda la sicurezza dei cittadini. O ancora nella sistemazione dello stabile del distretto sanitario, dove abbiamo investito i 50mila euro messi a disposizione dallo Stato per il decreto crescita. In ogni modo andremo avanti anche con i lavori in via IV novembre, solo lo faremo con tempistiche diverse».

Per i piccoli comuni pare che le fusioni siano un mezzo valido per ovviare alla cronica emorragia di finanziamenti statali e fare entrare in cassa un po’ di fondi in più. Lei come la vede? «In linea teorica sono d’accordo, ma all’atto pratico per noi non la vedo una strada percorribile. Non per il momento, almeno». Come mai? «In generale ci sono troppi campanilismi, qui già si fatica a realizzare un’Unione, figuriamoci una fusione». di Annalisa Pesci

Ponte chiuso fino al 18 marzo: dopo le 22 bisogna fare il giro dal ponte della Becca


LUNGAVILLA

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«Da quasi vent’anni raccogliamo fondi per l’ospedale di Bukavu» Bukavu è una città di 870.000 anime della Repubblica Democratica del Congo, dal 1908 al 1960 colonia belga, Stato conosciuto fino al 1997 con il nome di Zaire. È situata nell’estremo est, nella zona più critica della nazione, al confine con Ruanda e Uganda. Nell 1994, in seguito al genocidio del Ruanda, ex membri del governo si sono rifugiati nei campi profughi situati nel circondario della città portando negli anni alla nascita di disordini e insurrezioni. La regione subisce fortemente dell’influenza degli stati confinanti, essendo un crocevia di truppe e milizie armate mercenarie al soldo di imprenditori locali (interessati alle miniere del centro) e a governi che ne rivendicano la sovranità, sottoponendo la città a saccheggi e violenze. Una situazione critica, che si riflette sull’intera città, estremamente popolosa, con una densità di 13.500 abitanti\Km². Oltre all’instabilità politica e militare, Bukavu (come la stragrande maggioranza dell’Africa centrale) è colpita da una grave crisi sanitaria e alimentare, soprattutto per quanto riguarda i bambini spesso denutriti e malnutriti. Per questo la zona necessita di strutture e centri nutrizionali destinati alla parziale risoluzione del problema, che è ulteriormente aggravato dal fatto che la sanità congolese è totalmente a pagamento: se i genitori del dimesso non riescono a pagare la degenza, il bambino e la madre sono costretti a rimanere all’interno dell’ospedale, senza posti letto e senza alcun sostentamento, fino al saldo della fattura. Una situazione drammatica che spesso si verifica. Per questo motivo nel 2002 nasce a Lungavilla la Onlus (oggi ODV) “SOS Ospedale di Bukavu” della quale, dal 2013, Elena Simoni è la presidente. Quando si è costituita la vostra associazione? Cosa vi ha spinto in questa iniziativa? «Nel 2002 Don Alfredo Ferrari, un sacerdote della Diocesi di Tortona, originario di Oliva Gessi, che ha trascorso più di trent’anni della sua vita come missionario nella Repubblica Democratica del Congo, durante un suo rientro in Italia ha lanciato un appello di aiuto, denunciando le gravi condizioni legate alla denutrizione e alla malnutrizione dei bambini nella città di Bukavu, dove lui era missionario. Questo appello è stato subito accolto da alcuni cittadini di Lungavilla, i quali si sono impegnati per raccogliere i fondi e riuscire a costruire un centro nutrizionale all’interno dell’ospedale diocesano. Il centro venne completato in poco tempo in un edificio totalmente dedicato, con circa quaranta posti letto destinati ai bambini».

Quanti associati avete sul territorio? «Siamo circa un’ottantina di soci. L’associazione è nata a Lungavilla, dove abbiamo ancora la sede sociale e alcuni associati, ma con il tempo si è fatta conoscere su tutto il territorio pavese». Qual è la mission principale? «Lo scopo per cui era stata costituita l’associazione venne da subito raggiunto, nel 2004: spinti dall’onda emotiva e dalla voglia di aiutare il prossimo, gli associati decisero di proseguire con il nuovo obbiettivo di sostenere in modo costante e aiutare economicamente il centro nutrizionale nel suo funzionamento». Voi che spese sostenete? «La nostra associazione sostiene il costo della degenza del bambino in ospedale. Va precisato che nella Repubblica Democratica del Congo la sanità è a pagamento: una volta che il paziente viene dimesso dall’ospedale riceve una fattura, relative alle cure mediche sostenute e ai giorni di degenza. È quindi chiaro che le famiglie dei bambini che arrivano in ospedale completamente denutriti non sono in grado di sostenere economicamente il ricovero. I nostri fondi servono anche per coprire le spese delle madri che rimangono con i figli in degenza: infatti, accanto al centro nutrizionale, è presente un centro sociale destinato a loro, in cui aiutano le suore a cucinare». Come funziona il centro nutrizionale? «All’interno della struttura vengono ricoverati i bambini denutriti e malnutriti: i primi, ovviamente sono i casi più gravi, i quali devono essere rinutriti con uno speciale sondino. Con gli anni i posti letto sono aumentati a 50, ma in certi casi di ulteriore crisi si raggiungono anche i 70 bambini ricoverati. All’interno del centro si trovano un nutrizionista, che stila una dieta personale per ogni paziente, dottori e infermieri, dipendenti dell’ospedale diocesano, e suore missionarie. Quando vengono ricoverati, i bambini devono essere totalmente curati, in quanto la malnutrizione e la denutrizione comportano altre gravi patologie, tra le quali problemi renali e linfatici: vengono così sottoposti ad una rieducazione all’alimentazione, nutriti con un latte in polvere particolare prodotto da una ditta francese. Questo deve essere servito ogni quattro ore, perché chi soffre di malnutrizione deve mangiare poco ma spesso, avendo lo stomaco disabituato al cibo. Per ovvi motivi spesso capita che anche la madre del bambino ricoverato si trovi in ospedale con i fratellini, che non possono essere abbandonati: quindi, in molti, casi vengono aiutati anche loro. Fino a qualche anno fa questo latte veniva fornito dall’Unicef ma, da quando è cessata la fornitura, le suore

Elena Simoni presidente “SOS Ospedale di Bukavu”

e i nutrizionisti hanno cercato riprodurlo in loco con gli stessi principi nutritivi, in quanto i costi per la spedizione dall’Europa all’Africa sono nettamente superiori rispetto alla produzione sul posto». Avete un vostro referente in città che si occupa di mantenere i rapporti tra l’associazione e la struttura ospedaliera? «Le nostre referenti al centro polifunzionale sono le Suore dell’Ordine di Santa Dorotea da Cemmo, un Ordine di suore missionarie bresciano. Nel tempo ovviamente si sono susseguite diverse suore referenti: attualmente l’incarico è ricoperto da Suor Anuarite, originaria di Bukavu, responsabile del centro nutrizionale e dipendente dell’ospedale. Fino a qualche mese fa l’incarico era Suor Helena Albarracin, un’infermiera argentina che, dopo dieci anni, è stata trasferita dal suo ordine in una missione in Camerun. Noi ci occupiamo solamente della raccolta fondi che inviamo trimestralmente, tramite bonifico, alla nostra referente». Oltre al progetto principale, quello contenuto nello statuto, avete altri progetti secondari? «Nel corso degli anni abbiamo fatto fronte anche ad altre emergenze che ci sono state segnalate, come per esempio un’epidemia di morbillo scatenatasi qualche anno fa. Spesso le madri malnutrite affrontano il “diabete gravidico”, una patologia che viene trasferita ai figli: noi stiamo portando avanti anche un piccolo “progetto diabete”, inviando annualmente le strisce per la misurazione della glicemia e i glucometri. Dall’anno scorso, grazie al 5x1000 abbiamo attivato il nuovo progetto chia-

mato “Spazio Kavumu”. Questo villaggio si trova a circa 70 chilometri da Bukavu, e da qui arrivano parecchi bambini al centro nutrizionale. A Kavumu è stato costruito recentemente, non per merito nostro, un centro d’accoglienza con scuola e alcuni alloggi, al quale noi abbiamo contribuito finanziando una mensa occupata quotidianamente tra i 100 e i 120 bambini ai quali viene servito regolarmente un pasto. Questo per noi è un modo per cercare di arginare la malnutrizione in quella zona estremamente povera». Quali tipi di iniziative svolgete per raccogliere i fondi? «Per diversi anni l’associazione ha raccolto fondi attraverso numerosi mercatini di beneficenza: per esempio sia a Natale che a Pasqua eravamo presenti alla Clinica Maugeri e l’8 di dicembre alla Clinica Santa Margherita. Inoltre, effettuiamo la vendita di fiori sui sagrati delle chiese in occasione di festività, organizziamo eventi, concerti, lotterie e spettacoli teatrali. Per anni abbiamo svolto anche numerose iniziative nelle scuole, in modo da poterci far conoscere e spiegare i problemi della malnutrizione africana ai giovani». Per il futuro, quali progetti o iniziative vorrebbe portare avanti per l’associazione? «Il nostro obbiettivo resta quello di riuscire a proseguire negli anni il nostro scopo sociale, garantendo costantemente fondi per il centro nutrizionale, ed incrementare con il 5x1000 il nuovo progetto a Kavumu». di Manuele Riccardi



VERRUA PO

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Giovanissimo hairstylist verruese approda al Festival di Sanremo Alessandro Scuteri è un hairstylist, ha 22 anni e ha da poco festeggiato un anno di attività: ha aperto il suo salone a Verrua Po nel dicembre 2018. Ha seguito un percorso di studi propedeutico alla sua carriera di parrucchiere: sin da piccolo era interessato al mondo stilistico e del fashion. Nonostante abbia già preso parte a diverse sfilate di moda, questo 2020 per lui è iniziato con un’esperienza davvero esclusiva: ha portato le sue capacità dietro le quinte dell’Ariston, al Festival di Sanremo. Com’è stato contattato per andare a Sanremo? «Una delle aziende da cui acquisto i prodotti per il salone ha vinto un concorso che le dava la possibilità di scegliere alcuni hairstylists suoi acquirenti, perché partecipassero ad alcuni eventi come, appunto il Festival di Sanremo. Martedì 7 gennaio arrivò in negozio il capoarea della ditta per propormi di acconciare al Festival: ovviamente ho accettato senza pensarci due volte». A che livelli ha lavorato? «Ho avuto l’opportunità di pettinare perlopiù ospiti di Amadeus, il quale aveva organizzato una cena con invitati e cantanti vari. Ho lavorato, insieme ad altri colleghi, da mercoledì a sabato sera, quindi per tutta la durata dell’evento. La nostra “base operativa” era l’albergo in cui soggiornavamo, ma il più delle volte ci recavamo “a domicilio” noi stessi dal VIP in questione, accompagnati dal manager di riferimento. Sono stati tutti molto soddisfatti del mio lavoro, ho conosciuto molte persone e ho acquisito diversi contatti. Alcuni di loro li ho incontrati di nuovo alla Milano Fashion Week, che è stata, per così dire, una conseguenza del Festival. Io ho un classico salone unisex, quello dove vai “a farti sistemare i capelli”. Però la mia grande passione è l’hairstyling stilistico e artistico; i miei cavalli di battaglia sono le acconciature da sposa o da danza: seguo gruppi di ballerine che gareggiano a livelli internazionali e hanno bisogno di acconciature stabili ma anche molto sceniche. Di base sono un parrucchiere “normale”, ma la parte del mio lavoro che preferisco è quella più artistica: infatti a Sanremo ho potuto sbizzarrirmi». Come ha vissuto il backstage di Sanremo? «è tutto un altro mondo rispetto alle giornate in salone. Ho potuto toccare con mano i retroscena del mondo dello spettacolo: la parola d’ordine è frenesia. C’è gente che corre ovunque, lo stress è palpabile, anche mentre acconci: io ho ovviamente dato il meglio di me, e nessuno si è lamentato una volta finito, anzi; tuttavia

ho potuto percepire una certa diffidenza. Sono personaggi abituati ad essere ogni giorno tartassati da mille hairstylist e make-up artists, quindi è difficile soddisfare le loro aspettative e stare al passo con determinati ritmi ed esigenze». è un ambiente diverso da quello, ad esempio, della Milano Fashion Week, a cui ha partecipato? «Sì, la differenza principale riguarda le tempistiche. In entrambi i casi non c’è assolutamente un clima tranquillo, ma a Sanremo i tempi sono più dilatati ed è possibile dedicarsi molto più alla persona. C’è il momento in cui dobbiamo lavorare alla velocità della luce e il momento invece in cui possiamo lavorare con più calma, ma è molto diverso da una sfilata, in cui la modella deve essere pronta e deve aver cambiato totalmente il proprio look in pochi minuti. La Milano Fashion Week è molto più movimentata». Si sente più stimolato a lavorare così tanto sotto pressione, o ha preferito i tempi un po’ più dilatati dell’Ariston? «Non m fa molta differenza: quando so che devo preparare un look, lo elaboro nella mia testa e lo adatto alle tempistiche. Da questo punto di vista cerco di essere versatile». A quali nuovi eventi parteciperà? Tornerà a Sanremo? «Parteciperò a settembre al Festival del Cinema di Venezia, poi ci saranno altri eventi in collaborazione con la Rai come Miss Europa, e sarò già presente al Sanremo 2021 come tecnico hairstylist». Come ha fatto, partendo da un paese di modeste dimensioni, ad approdare ai grandi eventi nazionali? «Sicuramente da parte mia c’è e deve esserci una base di capacità tecniche imprescindibili: è inutile condividere un lavoro se fatto male. Ma la visibilità mi è garantita soprattutto dalla mia clientela molto giovane e che spesso condivide le loro acconciature fatte da me su Instagram o mi tagga su Facebook. Anche le star che ho avuto modo di acconciare a Sanremo hanno pubblicato sui loro account dei video di ringraziamento in cui mi hanno menzionato. Inoltre, cerco io stesso di essere attivo e costante sulle mie pagine social, postando i miei look e le recensioni degli utenti. Il web è un’ottima piattaforma di lancio ed è importante cercare di stare al passo con i tempi e i trend». Pensa di espandersi in futuro? «Sì, l’idea è quella di aprire altri saloni improntati sul valore della cura della persona, sulla qualità del lavoro e dell’esperienza del salone, quindi non saranno locali low cost. In questi nuovi punti vendita ci saranno degli hairstylist fissi tutti i

Alessandro Scuteri, 22 anni, è un hairstylist di Verrua Po

«Aprire il salone a Verrua Po è stata semplicemente una comodità, perché abito lì, e l’ho chiamato Maison perché è davvero come se fosse casa mia» giorni, poi io andrò a rotazione di salone in salone per qualche giorno. Sarebbe il massimo poter aprire questi nuovi punti vendita a Pavia o a Milano, proprio per il tipo di servizio che offrono». Qual è la sua opinione sull’ambiente dell’hairstyling in Oltrepò? «In questo campo, definirei le nostre zone “abitudinarie”. Non tutti sono aperti al cambiamento e alla sperimentazione. è difficile talvolta ottenere anche la fiducia dei clienti quando vuoi proporre tecniche o look nuovi, ma se sai cosa stai facendo alla fine ne escono soddisfatti. Clienti che vengono da città un po’ più grandi e anche più abituate alla novità, sono invece pronti a tutto, sono predisposti al cambiamento totale e ai look strong.

La mia clientela è così suddivisa: il 20% è rappresentato dai clienti del circondario, l’80% invece è clientela esterna, distribuita tra Milano, Pavia, Voghera e Piacenza. Aprire il salone a Verrua Po è stata semplicemente una comodità mia perché abito lì, e l’ho chiamato Maison perché è davvero come se fosse casa mia, e mai avrei pensato che quello diventasse il mio target principale, dato che in quelle città ci sono hairstylist con un’esperienza di gran lunga superiore alla mia e molto più conosciuti. Tuttavia dopo solo un anno quest’utenza fa già parte della mia clientela abituale». di Cecilia Bardoni



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Piazza Italia, proseguono gli sfratti per liberare le palazzine Il Comune di Broni ha avviato il procedimento per l’apposizione del vincolo espropriativo dei palazzi di Piazza Italia e via Leonardo da Vinci. L’operazione è parte del progetto che porterà al loro abbattimento per la riqualificazione di piazza Italia, un intervento che era parte del programma di governo del sindaco Antonio Riviezzi e che prevede un restyling completo dell’area. I due palazzi però, sono case popolari e non tutti gli abitanti hanno ancora trovato una sistemazione alternativa. In questo contesto si inseriscono anche i lavori di recupero dell’ex caserma di via Cavour, dove saranno realizzati sei nuovi alloggi abitativi d’emergenza. «Attualmente – spiega Riviezzi - è in corso la procedura di liberazione dagli immobili come disposto dal Tribunale di Pavia. Alcuni sfratti sono già stati eseguiti, altri verranno effettuati nei prossimi mesi. Il settore servizi sociali del Comune è in stretto contatto con la Prefettura, l’ufficiale giudiziario e con le famiglie in difficoltà». Sindaco, il Comune come si sta muovendo per aiutare queste persone? «In questa fase, la nostra principale preoccupazione è quella di tutelare al massimo i nuclei familiari più sensibili, con figli minori o condizioni particolari di fragilità. Alcune famiglie hanno già trovato una sistemazione provvisoria o una nuova abitazione in affitto. Quelli che sono rimasti, purtroppo, non riescono a trovare una nuova abitazione in quanto non sono in grado di dare garanzie per un affitto perché in gran parte disoccupati. Ricordo che, a prescindere dall’acquirente, pubblico o privato che sia, l’immobile dovrà essere liberato prima della consegna. Prima dell’apposizione del vincolo d’esproprio, sarà nostro impegno mettere in campo tutte le soluzioni disponibili per non abbandonare queste persone che si trovano in condizioni di fragilità». In che cosa consiste esattamente questo progetto? «Si tratta di una riqualificazione urbanistica che prevede l’acquisizione dei due edifici ed il loro successivo abbattimento. Una volta abbattuti i palazzi, è previsto l’ampliamento del parcheggio, che potrà contare su almeno il doppio dei posti attualmente a disposizione. Inoltre verrà realizzato un vero e proprio giardino urbano. Sarà infatti ampliata l’area verde dell’ex scuola elementare, permettendo un collegamento diretto tra via Emilia e viale Matteotti». Perché l’esigenza di riqualificare questa zona? «L’esigenza nasce dalla necessità di recuperare una zona centrale di Broni.

Sono stati gli stessi residenti, più volte, a chiederci di intervenire e di ridare vita ad un quartiere che si trova in prossimità del centro storico cittadino». Quali saranno i benefici per la comunità? «L’abbattimento dei palazzi consente in primo luogo una rigenerazione urbana, aumentando gli spazi verdi e la conseguente decementificazione dell’area interessata. Inoltre, con l’ampliamento del parcheggio e la realizzazione del giardino urbano, via Matteotti sarà collegata direttamente con via Emilia, tramite un’area verde aperta a tutti i cittadini». A che punto è arrivato l’iter? «Il Comune di Broni ha avviato il procedimento per l’apposizione del vincolo espropriativo dei palazzi. Siamo in attesa che si concluda la procedura di liberazione degli immobili da parte dell’istituto vendite giudiziarie, in quanto il curatore fallimentare ha l’obbligo di consegnare gli immobili liberi da persone e beni. Una volta risolta la questione sfratti e finita l’emergenza coronavirus, abbiamo in programma un incontro con le banche interessate ed il curatore fallimentare per l’espletamento delle procedure amministrative per procedere all’acquisizione della proprietà». Su Piazza Italia erano già stati attuati degli interventi. Uno su tutti quello al parcheggio e alla palestra, che inizialmente doveva essere abbattuta e invece non è accaduto. Come mai? «La decisione di abbandonare il progetto che prevedeva l’abbattimento dell’edificio, depositato nel 2001, è arrivata perché, dopo diversi incontri con le associazioni sportive e con i residenti della zona, ne abbiamo riconsiderato l’utilità alla luce del mutato contesto territoriale e temporale. A fronte di un investimento di circa 80mila euro, la struttura ha quindi riconquistato una dimensione moderna, funzionale ai bisogni effettivi delle realtà sportive locali. La palestra, con la cerimonia del 22 febbraio, è tornata a vivere nel nome di Primo Giauro, storico cestista bronese». Piazza Italia ma non solo. La riqualificazione di edifici ed aree della città di Broni era uno dei cardini del vostro programma elettorale. Quali sono le altre opere in cantiere? «Sono in cantiere i lavori di messa in sicurezza e consolidamento di Palazzo Arienti, il recupero dell’ex caserma di Via Cavour e la riqualificazione di Villa Nuova Italia. Tutto senza trascurare l’edilizia residenziale pubblica, per il quale sono in programma numerosi interventi di potenziamento per assegnare nuovi alloggi ai cittadini in emergenza abitativa».

Antonio Riviezzi

«Il Comune in contatto con le famiglie in difficoltà: «La priorità è aiutarle»

L’edificio che il Comune intende abbattere

Procediamo per ordine sindaco. Ci dica di Villa Nuova Italia… « Per quanto riguarda Villa Nuova Italia, abbiamo dovuto attendere il passaggio di proprietà dal Demanio al comune di Broni, avvenuto lo scorso mese di dicembre. I lavori sono poi partiti nel mese di febbraio e riguardano il completo rifacimento del tetto e delle coperture, per un importo di circa 600mila euro. Un progetto importante, che permetterà di accrescere il patrimonio culturale di Broni». Per l’ex caserma di via Cavour invece che progetti avete?

«Sono in corso i lavori di riqualificazione. Nell’immobile saranno ricavati sei alloggi da destinare temporaneamente a persone in situazione di grave disagio abitativo. Ricordo inoltre che, in aggiunta al piano triennale delle opere pubbliche, abbiamo approvato anche un progetto di bonifica dall’amianto di due edifici comunali, vale a dire l’ex scuola elementare di viale Gramsci e la palazzina ex sede dell’AVIS Broni». di Silvia Colombini



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«In arrivo sei nuovi alloggi per le emergenze abitative temporanee» Assessore con delega al welfare e alle pari opportunità del comune di Broni dal 2013, Cristina Varesi dedica gran parte della sua azione amministrativa al portare avanti iniziative “in rosa” o in favore delle fasce di popolazione più deboli. Quest’anno il coronavirus ha causato l’annullamento di due spettacoli teatrali al femminile in programma per il 7 e 14 marzo, ma non frena Varesi dal pianificare nuovi progetti. Nel frattempo sarà ulteriormente potenziata l’edilizia residenziale pubblica con i lavori di recupero dell’ex caserma di via Cavour, dove si realizzeranno sei alloggi rivolti ad emergenze abitative temporanee che andranno ad aggiungersi ai 22 già esistenti: 14 nuovi appartamenti già assegnati presso l’edificio dell’ex Mulino Meriggi e 8 in Via Cairoli. Altri 15 sono stati riqualificati nel corso del 2019 attraverso lavori di manutenzione: 11 alloggi al Fabbricato di Via Parini e 4 nella Frazione Cassino Po. Assessore Varesi, partiamo dalle note “in rosa”. è arrivato marzo, il mese delle donne. Che cosa avevate in programma? «Il mio impegno per le donne in questi 14 anni di mandato è stato assolutamente quotidiano. In questo mese, poi, in particolar modo per tradizione e significato. A causa dell’emergenza coronavirus abbiamo dovuto annullare due importanti eventi che avrebbero dovuto tenersi il giorno 7 e il giorno 14 al Teatro Carbonetti. Il primo era uno spettacolo dal titolo “Fame mia, quasi una biografia” con Annagaia Marchioro, liberamente ispirato a “Biografia delle forme” di Amelie Nothomb. Il secondo invece, il 14 marzo, sempre nel nostro Teatro, avrebbe dovuto essere la presentazione del libro di Viviana Galimberti “Preziose cicatrici”». “Preziose cicatrici”... Titolo senza alcun dubbio “forte”. Di che cosa parla? «Si tratta di un libro che è anche una guida rigorosa, ma piena di calore e ottimismo, che riguarda la patologia che più spaventa le donne: è un percorso di ricerca e speranza nella lotta al tumore al seno. La Galimberti è un medico specialista in chirurgia generale dedicata alla cura di questo tumore. La spiccata predisposizione alla ricerca in ambito chirurgico le ha permesso di ideare, realizzare e comunicare a livello internazionale numerosi studi sulle terapie più innovative». Quali sono i servizi che il Comune di Broni dedica “in via esclusiva” alle donne? «Tanti sono i servizi e i punti di ascolto per le donne, che vanno a coprire i loro bisogni, sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista legale. Non sottovalutando mai, ovviamente, il tema del con-

Violenza sulle donne: «Tanti i servizi e i centri d’ascolto dedicati»

Cristina Varesi, assessore con delega al welfare e alle pari opportunità

trasto alla violenza, per il quale ci sono stati, in questi anni, parecchi progetti che hanno finanziato il lavoro dei centri antiviolenza del territorio provinciale. Tutto questo grazie al tavolo provinciale, di cui il nostro comune fa parte, accanto a tutti i soggetti interessati, che vanno dalle amministrazioni comunali, all’Asst, all’Ats, agli ospedali, all’ordine dei medici e degli avvocati, alle forze dell’ordine. Ad oggi sono ancora molte le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza… molte, troppe!». In ambito sociale quali sono le altre iniziative che sta portando avanti? «Lavorerò senza risparmiarmi mai sui temi sociali a me cari, ossia donne, minori, anziani e disabili, anche attraverso il piano di zona che ha visto da poco la fusione con il distretto di Casteggio, unendo così realtà e capacità molto simili tra loro. Questo piano di zona, con i finanziamenti statali e regionali, offre servizi alle categorie disagiate e deboli. Penso all’assistenza domiciliare, alle badanti, ai trasporti, ai servizi per i minori. Aggiungo, poi, che il comune di Broni, in questi anni, ha risposto sempre in maniera decisa al problema della casa, con la realizzazione dell’Housing sociale, realizzando 22 mini-alloggi in un’area centrale della città, dotata di spazi verdi e di spazi di aggregazione sociale. Siamo uno dei pochi comuni in Regione a fare questo. Sono infine iniziati in questi giorni i lavori di recupero dell’ex caserma di via Cavour, dove si realizze-

ranno altri sei alloggi rivolti ad emergenze abitative temporanee». Come giudica il ruolo della donna nel 2020? «Ritengo che alle donne non manchi proprio nulla. La loro capacità di essere multitasking le contraddistingue già dalla nascita.

Il ruolo femminile si è affermato nella società, sia in ambito sociale che politico, oltre che in quello lavorativo. Il nostro paese ha ancora molto da fare sul tema dei servizi rivolti alle donne, in particolar modo nell’ambito della conciliazione. Una parola che a me è sempre molto cara e su cui abbiamo lavorato, sviluppando progetti ed azioni, che vanno a favore di un aiuto concreto alle donne nella gestione della vita lavorativa e di cura… doposcuola, babysitter, centri estivi, servizi di accompagnamento per genitori anziani. Io personalmente non ho figli, ma ho un lavoro e un impegno amministrativo che si affianca a quello politico: il tutto mi assorbe giornate intere e anche i fine settimana, ma sono felice di questo impegno che mi offre la possibilità concreta di lavorare per la mia comunità». di Elisa Ajelli

L’ex caserma di Via Cavour, dove verranno realizzati i 22 mini alloggi




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STRADELLA

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Pro Loco rinnovata: «Più giovani nel direttivo per dare una nuova impronta» Nei mesi scorsi c’è stata una sorta di rivoluzione all’interno della Pro Loco di Stradella. Il 25 novembre scorso l’assemblea dei soci ha espresso un nuovo direttivo, a capo del quale è stata nominata Elena Valizia. Insieme a lei ci sono Marisa Covini e Francesco Chirico, rispettivamente vice presidente e vice presidente vicario, il segretario Monica Bossi, il tesoriere Antonella Zucconi e i revisori dei conti Mariassunta Perotti, Mattia Grossi e Angelo Gramegna. Sono inoltre stati istituiti dei nuovi gruppi di lavoro, tra cui l’ Ufficio Stampa, con una forte partecipazione di giovani, che si occupa di comunicazione, grafica e social. Insieme al nuovo gruppo rimarranno però anche i “pilastri” di quello precedente, alla cui esperienza si è deciso di non rinunciare. Valizia, come mai si è deciso di fare una nuova Pro Loco? «Più che di una nuova Pro Loco, si tratta di una Pro Loco “rinnovata”: il consiglio di amministrazione uscente, nonostante non fosse ancora scaduto il suo mandato, ha deciso di procedere a nuove elezioni per consentire l’ingresso di nuove figure nell’organismo dirigente. In più, per la prima volta, c’è stato un coinvolgimento di giovani che hanno contribuito a portare a questa associazione una nuova impronta. Io personalmente ho voluto nel nuovo direttivo la presenza di figure nuove per dare la possibilità al gruppo giovani di avanzare idee innovative e promuovere una progettualità rispondente all’interesse comune.

Ma ho anche desiderato fortemente la presenza e la collaborazione di coloro che hanno ‘fatto’ la Pro Loco, i veri pilastri dell’associazione che, con la loro esperienza e la loro instancabile presenza attiva, hanno permesso di arrivare fino a qui». Come pensate di lavorare con Comune e commercianti? «Fermo restando i reciproci ruoli, è ferma la volontà di collaborazione con il Comune. Per quanto riguarda i commercianti, confidiamo nella loro costante collaborazione, in quanto i nostri eventi, hanno come finalità la valorizzazione della città e del territorio circostante e di tutte le sue attività». Cosa avete in mente per la “vostra” Stradella? «Oltre a collaborare con gli eventi proposti dall’amministrazione comunale, la Pro Loco intende creare e organizzare anche altre manifestazioni d’ambito culturale e tra queste stiamo pensando, ad esempio, al cinema all’aperto. Poi faremo eventi tradizionali, come il classico mercatino per l’8 dicembre. Questo è un appuntamento irrinunciabile: è qualche anno che va Il “polentone” di Vinuva 2019

La Pro Loco di Stradella

«Il nostro sogno? Una struttura fissa attrezzata con cucina per gli eventi» molto bene, richiama molti espositori, ci sono intrattenimenti per i bambini… insomma un evento che ci diverte, ci soddisfa e ci ripaga per gli sforzi fatti». Altre manifestazioni in programma? «L’amministrazione comunale ci ha chiesto di esserci per una nuova manifestazione, che si chiama ‘Sportiva’. Sarà una sorta di villaggio di tutti gli sport presso il palazzetto, dove noi come Pro Loco allestiremo la nostra struttura e le nostre cucine, e per tre giorni forniremo pasti magari abbastanza mirati per gli atleti. Una cosa nuova e originale. E poi ancora la tradizionale festa di Sant’Anna a luglio, nella frazione di Torre Sacchetti, Tregustando, che sarà la festa della via Trento e Vinuva, che è sempre il nostro fiore all’occhiello. Come sempre sarà a settembre e ci sarà la tradizionale esposizione dei nostri produttori di vino, per valorizzare il nostro territorio: anche qui allestiremo, grazie ai nostri uomini instancabili, la tensostruttura. Sono di solito giorni impegnativi, con un grande lavoro dietro, però ci dà davvero sempre molta soddisfazione vedere l’afflusso incredibile di pubblico».

Qual è il vostro sogno per il futuro? «è quello di avere a Stradella una struttura fissa adibita a cucina attrezzata nel centro della città, per evitare di dover ogni volta, in occasione di una manifestazione, allestire all’interno di una tensostruttura le attrezzature e le apparecchiature necessarie per la ristorazione». di Elisa Ajelli

«Tra le idee in cantiere per l’estate c’è il cinema all’aperto»


STRADELLA

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Servizi ad hoc per le fasce deboli: «Comune sempre in prima linea» I servizi sociali sono da sempre un fiore all’occhiello per il Comune di Stradella. Le varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della città hanno, infatti, sempre riservato ampio spazio a questo settore. Dal maggio 2019 anche la giunta capitanata dal sindaco Alessandro Cantù ha continuato su questa linea, affidando la delega del settore sociale a Dino Di Michele, che ricopre anche il ruolo di vicesindaco. Insieme ad Erika Agostino, responsabile del servizio ASAE (Attività socio assistenziali educative), Di Michele illustra i molteplici servizi che il Comune mette a disposizione delle fasce più deboli, disabili in testa, e annuncia un ulteriore giro di vite per «smascherare coloro che, pur non avendo un reale bisogno, tentano di avere benefici economici o di altra natura dal comune». Vicensindaco, il Comune di Stradella è ente gestore di tre unità di offerta in favore dei soggetti con disabilità. Può spiegarci quali sono e come funzionano? «Il Centro Diurno Disabili (C.D.D.) è un Servizio rivolto a persone con disabilità grave e con notevole compromissione dell’autonomia nelle funzioni elementari che accoglie di norma soggetti di età superiore ai 18 anni e fino ai 65, con lo scopo si favorire la crescita evolutiva. Questo centro attualmente è frequentato da 30 diversamente abili. Poi c’è il Centro Socio Educativo (C.S.E.), che è un Servizio diurno rivolto a persone con disabilità la cui fragilità non sia compresa tra quelle riconducibili al sistema socio sanitario. Attualmente è frequentato da 29 disabili. Infine, il Servizio Formazione all’Autonomia (S.F.A.) che fornisce risposte ai bisogni delle persone con disabilità di età comprese tra i 16 ed i 35 anni, in uscita dalle scuole al termine dell’obbligo scolastico o ad utenti rimasti al proprio domicilio, privi di interventi specifici. Sono previsti moduli aventi durata temporale non superiore a 5 anni (modulo formativo di durata triennale e modulo di consolidamento di durata biennale). Il servizio è frequentato da 8 diversamente abili. I tre servizi costituiscono una rete completa di unità di offerta sociale e sociosanitaria per disabili, arrivando ad erogare servizi a 67 soggetti in condizioni di fragilità e alle loro famiglie, provenienti non solo dal Comune di Stradella ma anche da altri Comuni». Per minori e giovani, invece, cosa è previsto? «Per i minori ho deciso la prosecuzione di progetti contro il bullismo e le dipendenze, al contempo si è avviato un tavolo

Dino Di Michele, vicesindaco con delega ai servizi sociali

Giro di vite contro chi abusa dei benefici economici: «Smaschereremo chi non ne ha davvero bisogno» di lavoro per comprendere meglio il disagio giovanile che vede coinvolti rappresentanti della parrocchia, l’oratorio, tutte le scuole cittadine, le forze dell’ordine e ovviamente l’amministrazione comunale. Abbiamo voluto l’istituzione di una consulta giovani, questo grazie all’impegno della presidente di commissione IV - Isabella Giannini e al consigliere e volontariato Alessandro Quaroni, auspico che questo nuovo strumento possa diventare davvero un luogo di confronto e di proposte per migliorare la nostra Città. È stata rinnovata la commissione welfare con una particolare attenzione alla famiglia e questo è nato da un’intuizione positiva della consigliera con delega speciale alla famiglia, Francesca Manelli. Ho fortemente voluto che nella parte di P.O.F. scolastico integrativo dell’istituto comprensivo, fossero inserite ed implementate aree di conoscenza della nostra cultura, storia, tradizione cittadina con la

previsione di possibili uscite didattiche e visite alle nostre realtà locali e produttive legate alla fisarmonica e al vino». Oltre a disabili e minori esistono altre categorie “deboli”, come ad esempio quelle persone che vivono ai margini della società per problematiche di vario genere. Esistono progetti anche per loro? «Sì. Uno degli strumenti innovativi è il “Progetto Reciprocità” il quale ha lo scopo di reinserire in un contesto sociale soggetti che temporaneamente ne sono usciti o vi sono ai margini, stimolando una proattività personale in cambio di un sostegno da parte del Comune. I soggetti interessati possono aver perso il lavoro o vivere di una pensione minima con ISEE molto basso come previsto dal regolamento. Non ultimo va considerato che spesso sono i cittadini seri e volenterosi che si trovano temporaneamente in fragilità socio - economica a chiedere di

potersi rendere utili a fronte di un sostegno economico e questo a mio giudizio non mortifica la dignità del singolo ma la valorizza e contraddistingue colui che sguazza nell’assistenzialismo da colui che necessita che la collettività lo sostenga temporaneamente per poi tornare nuovamente ad essere soggetto autonomo ed indipendente». Nonostante le ristrettezze economiche siete riusciti a mantenere attivi tutti i servizi esistenti? «L’amministrazione con notevole sforzo ha individuato le risorse economiche e umane necessarie a garantire la prosecuzione dei servizi oggi attivi, questo non con poca fatica essendo le necessità e i problemi sempre maggiori e pressanti. Vi è stato in questi primi mesi da parte di tutta l’amministrazione il tentativo di coinvolgere le diverse associazioni di promozione sociale che lavorano per sostenere le diverse forme di “disabilità”, questo grazie anche a specifici momenti ed eventi ideati dal collega assessore Andrea Frustagli, con lo scopo di rendere di tutti la conoscenza delle specifiche peculiarità e progetti aperti per garantire un “dopo di noi”». Lei è anche vicesindaco. Quali saranno negli altri ambiti le priorità dell’Amministrazione in questo 2020? «L’anno appena iniziato vedrà lavori pubblici, eventi e manifestazioni nuove come l’istituzione della festa Patronale il 12 luglio per i Santi Nabore e Felice, ed altre rinnovate, vedrà la sistemazione di monumenti e riqualificazione di aree in degrado, l’avvio progettuale dell’ampliamento del cimitero con contestuale piano cimiteriale e molto altro. Stiamo elaborando progetti in contatto continuo con la Regione Lombardia per portare una soluzione definitiva all’annosa questione Museo della Fisarmonica e recupero della fabbrica storica Dallapè, senza dimenticare le realtà produttive che ancora oggi con eroico impegno portano avanti una storia e una tradizione che ha portato il nome di Stradella in ogni parte del mondo. L’amministrazione comunale grazie all’impegno della consigliera con delega speciale al trasporto e pendolari Micol Galli darà sempre la massima attenzione ai grandi e piccoli problemi dei nostri pendolari e sin da subito abbiamo insieme a tutti gli amministratori dei comuni interessati direttamente ed indirettamente sollecitato le istituzioni di ogni ordine e grado e non ci fermeremo fino a che non ci saranno date risposte concrete. Abbiamo appena iniziato la legislatura ed il lavoro da fare è molto». di Elisa Ajelli


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CANNETO PAVESE

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«In azienda nessuno sapeva nulla, tutto era gestito da poche persone» All’alba di mercoledì 22 gennaio 2020, l’Oltrepò Pavese è scosso da uno nuovo guaio giudiziario, l’ennesimo scandalo del vino in pochi anni. Questa volta a restare imbrigliata nelle maglie della giustizia è la Cantina di Canneto: un’operazione congiunta di Carabinieri e Guardia di Finanza ha portato agli arresti del presidente Alberto Carini, della vicepresidente Carla Colombi, degli enologi Aldo Venco e Massimo Caprioli, del mediatore Claudio Rampini, e l’obbligo di firma per due produttori che avevano rapporti con la Cantina. L’accusa è “associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari, nonché alla falsificazione e all’emissione di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti”. Dopo giorni di incertezze, il 16 febbraio scorso l’assemblea soci ha eletto il nuovo consiglio d’amministrazione, di cui Antonella Papalia, imprenditrice agricola di Mornico Losana, è stata nominata presidente. Papalia, cosa l’ha spinta ad accettare questa onere, in una situazione non certo facile? «Premetto che tra i soci non c’era una grande corsa a farsi eleggere consiglieri, né tantomeno presidente. Siamo un gruppo di soci volenterosi rimasti stupiti e sconvolti da questo scandalo e da subito ci impegnati per capire cosa fare e come gestire la situazione. La prima ipotesi era quella di fare una cooptazione dei due consiglieri mancanti e proseguire, ma questa scelta poteva essere vista come un “metterci una pezza”. Per questo motivo si è scelto di convocare l’assemblea soci e rinnovare il consiglio, per mettere a conoscenza tutti gli associati del problema. Certo, sono stati rieletti alcuni consiglieri dell’amministrazione precedente, ma possiamo dire che la situazione ora è diversa, in quanto la gestione della cantina era totalmente accentrata. Ho accettato di fare la presidente non certo per ambizione, ma per cercare di smuovere questa situazione di stallo che si stava creando e permettere alla cantina di continuare a lavorare». Il consiglio si è parzialmente rinnovato: che ruolo affiderà ai consiglieri nel suo nuovo mandato? «In consiglio abbiamo un ex bancario, che ci sta aiutando per le questioni bancarie. Altri tre soci si stanno occupando dell’altra cantina di proprietà della cooperativa, situata a Moniga del Garda, di cui è stato nominato il nuovo cda. Altri stanno monitorando la cantina, con inventari e giacenze, anche della merce in rientro». Qual è la difficoltà principale che avete incontrato finora?

Il nuovo Cda della Cantina di Canneto

«La principale criticità lasciataci in eredità dall’amministrazione precedente è che nessuno in azienda sapeva nulla, venivano date direttive, ma tutto era accentrato a poche persone». Un film già visto in altre situazioni oltrepadane… «Assolutamente». Si è votata anche la proposta di Legacoop per istituire uno staff di crisi: da chi è composto e quale sarà il suo scopo? «Lo staff di crisi è composto da Vanis Bruni, ex presidente del Gruppo Italiano Vini, manager esperto in strategie e gestione aziendale nel settore vitivinicolo, già consulente della cantina fino al 2015, dall’Avvocato Gianluigi Bonifati, dello studio Bonifati & Roveda, e l’Avv. Vedani, che si sta occupando di analizzare la contabilità». La contabilità. Cosa dicono i documenti? Qual è lo stato dell’arte? «Al momento mancano parecchi documenti in cantina, tutto era nelle mani dell’ex presidente, o sotto sequestro: non abbiamo i contratti di acquisto delle uve, i contratti di vendita dei vini sfusi e altro. Sebbene sia stata approvata la nostra istanza di dissequestro delle carte, i tempi saranno ancora lunghi, soprattutto adesso che la burocrazia sta subendo rallentamenti per colpa dell’epidemia».

Nominato il nuovo Cda: Antonella Papalia imprenditrice agricola di Mornico Losana, alla guida del direttivo Prima ha citato la “Cantina della Valtenesi e della Lugana” con sede a Moniga del Garda (Brescia), della quale la cooperativa è socia, insieme ad alcuni indagati, dal luglio 2018: anche questa attività è stata colpita dallo scandalo? «In realtà Cantina di Canneto è proprietaria della cantina di Modica, al 67%. Moniga non è stata colpita dallo scandalo e attualmente è ancora operativa e funziona molto bene, con vini posizionati in alta gamma. Oltre alla produzione dei propri prodotti, la cantina ha un’attività connessa di imbottigliamento conto terzi. È una realtà che, per quello che sappiamo ora, è molto positiva anche a livello economico. Quello che noi soci non sapevamo è che Canneto fosse socia di questa cantina con altri soggetti, poi indagati e arrestati: in assemblea non c’è mai stato detto nulla a riguardo.

Una volta ottenute le dimissioni del vecchio consiglio e del presidente Carini, che ne era anche l’amministratore unico, nonché presidente della Cantina di Canneto, abbiamo immediatamente rinnovato il consiglio d’amministrazione e nominato il nuovo presidente, Massimo Piovani». La cantina ora è totalmente operativa? Avete già assunto un nuovo enologo? «In questo momento di crisi è indispensabile avere la presenza costante di noi consiglieri in cantina, ma per il futuro immediato è essenziale assumere una persona indicata. Per questo motivo il nostro primo obiettivo è quello di assumere un direttore di stabilimento, una figura che qui in cantina non c’è mai stata fino ad ora. Abbiamo già valutato chi dovrà ricoprire questo ruolo e ritengo questa persona molto valida e preparata, e certamente saprà


CANNETO PAVESE gestire la situazione. Il consiglio d’amministrazione, come in tutte le società, dovrà dettare la politica aziendale, mentre un comitato tecnico dovrà attenersi alle linee guida e occuparsi della gestione dello stabilimento». Molti soci sono preoccupati riguardo il saldo delle ultime vendemmie: come pensate di affrontare questo problema? Avete già vagliato qualche ipotesi? «Hanno perfettamente ragione ad essere preoccupati, ma siamo tutti nella stessa situazione, chi più e chi meno. Personalmente sto incalzando lo staff di crisi per avere un conteggio economico e poter analizzare la situazione, e valutare le prossime mosse. Ripeto, manca la documentazione necessaria: è una situazione incredibile. Mi auguro di avere a breve i dati per poter dare maggiori informazioni ai soci». Immediatamente dopo lo scandalo, alcune catene da voi fornite hanno ritirato dai loro supermercati i vini della cantina: siete riusciti a riallacciare o mantenere i rapporti commerciali? «Bruni si sta occupando di tutti i contatti con chi acquistava lo sfuso e con i vari imbottigliatori, per cercare di reperire anche i contratti che al momento non sono più in nostro possesso. Per quando riguarda l’imbottigliato se ne sta occupando il nostro commerciale: tutti i nostri clienti sono stati informati che è avvenuto il cambio della dirigenza e che stiamo facendo analizzare tutti i campioni dei vini attualmente in cantina, per avere un’ulteriore certezza che i prodotti siano in regola». Nei giorni successivi l’assemblea si sono susseguite voci riguardo possibili soluzioni extraterritoriali o “a completamento dell’unità cooperativa oltrepadana”, subito smentite da un vostro comunicato. Il presidente di Legacoop aveva dichiarato che sarà molto difficile salvare la cooperativa: com’è la situazione economica attuale della Cantina? «Le voci riguardanti soluzioni extraterritoriali o di fusioni con altre cooperative locali sono totalmente infondate e inventate di sana pianta dalla stampa.

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«Creato anche uno staff di crisi per rilanciare la Cantina: al suo interno un manager e due avvocati» Noi non siamo più soci delle Riunite di Reggio Emilia da diversi anni, da quando sono state cedute le poche azioni che erano ancora in nostro possesso, quindi non c’è più alcun legame con loro. Cercheremo il più possibile di mantenere la nostra indipendenza, evitando di creare monopoli. In assemblea il presidente di Legacoop ha sollevato alcune sue perplessità sul futuro della cooperativa, ma noi consiglieri ci stiamo impegnando il più possibile per garantirle un futuro. Ci stanno dando un grandissimo appoggio con il loro staff di crisi e noi cerchiamo di fare del nostro meglio». È vero, settembre è ancora lontano, ma le preoccupazioni riguardo la “Vendemmia 2020” iniziano già a manifestarsi, non solo fra i soci, ma anche per chi vi ha conferito uve negli ultimi anni. Come pensate di affrontare la prossima vendemmia? Tornerete a pigiare esclusivamente l’uva dei soci o vi affiderete anche ai fornitori esterni? «È ancora presto per dirlo e tutto dipenderà anche dai contratti di vendita dei vini e dalla capacità effettiva della nostra cantina. Ritirare solo ed esclusivamente l’uva dei nostri soci sarebbe riduttivo, per questo sicuramente punteremo ad acquistare

«Il nostro vino ritirato dagli scaffali? Test su tutti i campioni per garantire un prodotto ok e recuperare la fiducia dei clienti» altre uve da fornitori esterni. Io ho molta fiducia nella figura del nuovo direttore, che sicuramente saprà consigliarci ciò che è più opportuno. Negli anni passati c’era stata la necessità di aumentare la capienza dello stabilimento, ma c’era stato anche un importante utilizzo dello stoccaggio conto terzi in strutture esterne, che comportavano diversi costi. Tutto è ancora in valuta-

zione. Concludendo, quale messaggio vuole lanciare ai soci della cooperativa? «Dateci tempo: noi faremo il possibile per poter mettere la cantina nelle condizioni di poter tornare a lavorare e di riuscire a pagare tutti i soci e i fornitori». di Manuele Riccardi


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C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò

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MONTESCANO, “resort” maugeri, un’eccellenza oltrepadana “C’era una volta l’Oltrepò” per questo mese diventa “C’è… in Oltrepò”. Eh sì, perché se sino ad ora vi ho raccontato “il mio” Oltrepò con aneddoti del passato, legati a ricordi e tradizioni di un mondo che non esiste più, oggi voglio rimanere qui, al presente e raccontarvi una “bella” storia, sempre però con quello spirito burlone e a volte un po’ irriverente che mi contraddistingue. La mia esperienza, e cito testualmente, all’Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico Maugeri di Montescano, ma che io definisco più semplicemente “Resort Maugeri”. Il vocabolario della lingua italiana alla parola Resort recita: “Albergo situato in spazi aperti, al di fuori di un centro urbano”. Resort dal francese ‘resortir’, uscire fuori, riferito alla necessità di trovare un rifugio lontano dalla propria quotidianità. In altra accezione trattasi di un rifugio di lusso, ricco di piaceri e confort. Ecco a me è capitato proprio questo. Martedì dieci settembre 2019 alle ore nove come da dettami della dott.ssa Callegari, mi presento alla Maugeri di Montescano per ricoverarmi a seguito di visita pneumologica e riscontri su apnee notturne. In effetti l’albergo in questione è situato in spazi aperti e funge egregiamente da rifugio ad una quotidianità spesso monotona, non troppo ricco di piaceri ma sicuramente munito di confort: non potevo sbagliarmi è in uno splendido resort nel cuore verde d’Oltrepò, Resort Maugeri clinica di riabilitazione pavese d’eccellenza. L’accettazione mi pare molto ‘umana’ rispetto alle consorelle di molti Ospedali italiani, mi assegnano la stanza n. 506 al quarto piano della struttura, “nella parte nuova” mi dicono. La cosa in apparenza non mi tocca più di tanto e, inforcato un traballante ascensore carico all’inverosimile, giungo al quarto piano della struttura; attraverso un corridoio male in arnese, dalle porte del quale dato l’orario, sbuca di tutto: infermiere con carrelli di vivande, altri con attrezzi per la pulizia, sudati ospiti di ritorno dalla palestra che, dato i lavori di ristrutturazione e di ampliamento, è stata momentaneamente spostata in due ex camere di degenza. Via vai di medici, infermieri e di fisioterapisti riconoscibili dal giubbetto azzurro su pantaloni bianchi e qualche ricoverando come me, che si guarda attorno quasi spaurito. In questo movimentato andirivieni non si odono rumori o voci sopra le righe: un leggero chiacchiericcio di sottofondo e il ritmico scorrere delle ruote dei carrelli di servizio. Bene, premessa positiva. Percorrere però

questo antico corridoio non mi lascia la stessa impressione: da un lato camere strette e dall’altro, cameroni privi di intimità. Penso alla mia assegnazione nella parte nuova e mi reputo fortunato. Raggiungo il fondo del corridoio e svoltando a sinistra nella parte nuova, noto i numeri decrescenti delle camere e facilmente raggiungo la mia 506. Camera molto bella, spaziosa e ben illuminata con un antibagno munito di armadietti personali ed un bagno splendido per dimensioni, attrezzature e confort. Due soli letti di cui uno occupato da un fratello grasso con problemi cardiaci, respiratori oltre che di apnee e russamento da competizione. Un simpatico signore che in ventiquattr’ore mi racconta tutti i suoi problemi legati a polmoni, cuore, sistema circolatorio, apnee con russamento incorporato e senza, fegato e quant’altro del nostro malandato corpo può essere, è stato o sarà colpito da malattia; perché, secondo lui, una cosa è certa: noi dobbiamo ammalarci. A queste parole con noncuranza e senza dare nell’occhio, mi tocco non per superstizione ma, non si sa mai! L’ improvvisato compagno di stanza, di tanto in tanto, torna in argomento dichiarandosi fortunato perché già esperto in quasi tutta la materia di Esculapio a cui, detto tra noi, lui avrebbe potuto dare dei consigli. Dio volendo, il giorno successivo venne dimesso insistendo nella promessa di venire a fare quattro chiacchiere in caso di visite o nuovo ricovero (non si sa mai!), durante il mio soggiorno che mi auguravo breve. Per la verità non sapevo ben valutarlo: alcuni mi avevano parlato di una breve permanenza di pochi giorni, la dott.ssa Callegari iniziò a parlarmi di dieci giorni lavorativi, quindi due settimane ma i degenti esperti indicavano in tre settimane il tempo minimo per esami, terapie, riscontri clinici, uso di supporti respiratori e prova degli stessi. Oltre alla palestra quotidiana: mezz’ora di cyclette al mattino e mezz’ora di tapirulan al pomeriggio, aumentando la resistenza e la velocità. Definire salutare un tapirulan, attrezzo per camminare o correre restando sempre nello stesso punto, sembra quasi ridicolo ma tant’è, è di moda e fa molto bene. Immagino mio padre, vecchio e stanco contadino oltrepadano, rimirarmi su tale attrezzo, sorridere sotto i baffi e compatirmi come abitualmente fanno i vecchi contadini a cospetto del nuovo ed inutile, secondo loro. La cyclette è invece un attrezzino diverso, benefico per la salute ma leggermente dannoso per l’integrità di una parte anatomica innominabile si, ma molto importante per ciascuno di noi. Fortunatamente dopo poco, assegnano

Giuliano Cereghini

la camera ad un baldo settantenne, tale Claudio Schiappelli da Cigognola, località Stefano, ma di fatto bronese per frequentazioni, lingua ed amicizie. Lingua dicevamo, quello splendido slang butunon: al coor, la fiola, Sagnola e per finire, in let (per i non addetti ai lavori sta per letto o andare a letto, a me tanto caro perché mi ricorda Lasarat). Armato di un trolley per il contenitore d’ossigeno, di in perenne filo e due olivette infilate nel naso per alleviare la difficoltà respiratoria, contrariamente al primo compagno di camera, è simpaticissimo, educato e disponibile. Definisce il trolley con l’ossigeno un fratello che “fen ca mor mal port a dre” - compagno sino alla morte - sfatando e minimizzando una schiavitù, quella dell’ossigeno, abbastanza grave. Il suo maggior difetto è stata ed è la sigaretta, il suo maggior pregio, ai miei occhi, e’ stare ad ascoltarmi sempre e comunque. Tre settimane assieme al fiò ad Bron - ragazzo di Broni - mi fanno rimpiangere di non averlo conosciuto prima e, in parte, mi ‘rovinano’ la fine della degenza ed il ritorno a casa. MEDICI - Oltre ai diversi medici o tecnici ai quali vengo affidato per gli esami specialistici esistono in struttura diversi medici della pneumologia, in particolare ho avuto rapporti con la la dott.ssa Grassi e la dott.ssa Callegari tra loro accomunate da un’estrema competenza pur essendo abbastanza diverse tra loro. Le dottoresse sono sempre presenti, persino il sabato e la domenica: le ho sorprese ad aggirarsi tra i malati, meglio, tra i loro pazienti a qualsiasi ora e nelle giornate più impensabili. La dottoressa Grassi, gentilissima, competente e disponibile è l’esempio di

come dovrebbe essere un medico: bravissima nell’informarti sui cigolii della tua vecchia carcassa senza spaventati ma incitandoti a reagire ed affidarti ai tecnici competenti della struttura ed a lei nelle sue competenti decisioni che ti illustra in modo semplice, a bassa voce ma con il carisma vero dei professionisti seri. Con la sua calma mi ha invitato a mangiare poco, senza preoccuparmi delle diete e seguendo i suoi consigli sono diminuito di sei chili in tre settimane, con levità mi ha metaforicamente infilato una mascherina per tutta la notte, facendola sembrare una caramellina di camomilla, mi ha impedito di partecipare all’apertura annuale della caccia rifiutandomi con estrema cortesia un breve permesso che non lei, ma la direzione non gradiva. La dottoressa Callegari, altrettanto competente e calma, capace però di qualche battuta pungente e stimolante nei confronti di qualche paziente ‘poco paziente’. Da Pieve Porto Morone a Montescano, presta la sua sapiente opera con la tenacia dei ‘paesani’ (abitanti di paese)come lei stessa si definisce. è la prima persona che ho contattato telefonicamente e che mi ha indicato la disponibilità dell’Istituto al mio ricovero. INFERMIERI - con qualche giusta eccezione, sono molto professionali e cortesi. Giusta eccezione dicevamo, in tutte le comunità sono purtroppo sempre presenti, personaggi convinti di essere fenomeni sottovalutati e tartassati dalla vita e dai colleghi. Per fortuna sono pochi e i loro colleghi con tanta pazienza, professionalità e dedizione riescono a sopportare la loro superficialità e a sopperire alle loro mancanze. Noi poi pazienti lo siamo da


C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò contratto e quindi, quelli che non vanno bene, vanno bene lo stesso. Gli altri, uomini e donne prima ancora che seri e competenti professionisti, sono persone deliziose. FISIOTERAPISTI - la competenza prima di tutto, la pazienza nel fornire informazioni su sopporti medici e professionali. La palestra, la cyclette e il tappetino, la prova dell’ossigenazione e l’estrema pazienza nella riabilitazione dei più malandati. Filmini sulle apnee, illustrazione di maschere ed elenchi di catastrofi sanitarie in caso di mancato lavaggio della mascherina con il detergente per i piatti? Per i piatti? Per un leggerissimo rossore al naso si consigliano costosissimi trattamenti non riconosciuti dalla mutua e per lavare una maschera che costa un capitale si consiglia il detersivo per piatti senza specificare se con o senza limone? Pazzesco, occorre informare al più presto le case farmaceutiche che, usando il detersivo per piatti in formato gigante confezioneranno delle piccole provette di detersivo che inbusteranno in una confezione dorata con un’intestazione latina e con un nome oscillante tra ‘lavoben e sgrassa tutto’ e con un prezzo variabile tra i 200 e i 300 euro lo forniranno a noi pazienti prima che... perdiamo tale importante virtù e la temperanza. Altro che detersivo per piatti? Scherzo. Sono molto, molto bravi e pazienti (anche loro). RISTORANTE del Resort - qui qualcuno potrebbe leggere una leggerissima vena di sarcasmo ma non è così. E pura disperazione, fame, fame nera, paragonabile solo a tempi di guerra andati o carestie di antichissima memoria. Ma una ragione c’è, chiara e lampante: il primo principio di un istituto di riabilitazione e’ quello pensare alla riabilitazione fisica, del fisico, alla silhouette dei pazienti che spesso, ai loro, si presentano all’accettazione, con antiestetiche panze e fianchi trasbordanti. Con tre giorni di anticipo ci forniscono una lista di prelibatezze: risotti vari, pastasciutte diverse, minestroni ed altre leccornie che non ricordo. Di secondo, arrosti di pollo, di vitello, bolliti vari frittate, sformati di verdura-formaggio-uova e da ultimo i mitici straccetti arrosto. Contorno poi: carote, fagiolini, insalate verdi e pure’. Frutta fresca di stagione o mousse di frutta, sempre mela per la verità. Compilando la lista pregusti pranzetti e cene degne di un Grand Hotel ma il mio amico Claudio mi gela con un “po’ ad vadre” che non lascia presagire nulla di buono. Il presagio si avvera: un ricciolino di pasta scondita (solo questo tipo di pasta: si vede che ne e’ stato acquistato uno stok di dimensioni mostruose) e spesso fredda, peso stimato forse 30 grammi. I vari risotti per contro sono caldi, hanno nomi diversi, ma tutti lo stesso sapore. Presentano inoltre una quantità scarsa di brodo che non ti lascia certo nel giudizio: trattasi di riso in brodo o riso asciutto? I minestroni altrimenti chiamate zuppe di verdura o nomi simili. In realtà si tratta della seguente portata, spesso servita appena, appena tiepida: acqua tiepida che chiama-

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L’Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico Maugeri di Montescano

re brodo si rischia la querela di qualsiasi buongustaio, con all’interno timidi cubetti di carote, sedano, patate ed altre verdure di stagione che si inseguono radi nel liquido che le contiene, a volte sembrano guardarti con espressione compassionevole, non e’ colpa nostra! sembrano dire. Il quartino di pollo arrosto si fa rispettare anche se sorge spontanea una domanda: ma dove li vanno a prendere pollastrelli così piccoli? Sembrano una razza pigmea allevata solo per gli ospedali. Buono però l’arrosto. Il pollastrello bollito lascia invece un pochetto a desiderare: sembra di gomma piuma. Tralascio bolliti, frittate e sformati per avere spazio per i mitici ‘straccetti al sugo d’arrosto’ spesso abbinati a pallidi fagiolini sconditi. Trattasi di striscetta larghe due, tre millimetri massimo e lunghe pochi centimetri di un materiale strano, sottilissime che, nei momenti di euforia potrebbero ricordare la carne forse arrosto o forse solo scottata. In numero di quattro o cinque quando ti vedono un pochino più robusto della media, tra due belle cucchiaiate di fagiolini scotti e sconditi! Se pensate a esagerazione vi sbagliate di grosso, se carenza c’è e’ sicuramente dovuta alla mia incapacità lessicale e letterale di rendere la tristezza di questo piatto. Sui contorni, scotti e appena tiepidi, stendiamo un velo pietoso, se non per illustrare l’insalata verde: per giorni e stata servita con una bustina di sale e un contenitore di plastica per olio e limone. Con il sale e detto condimento era una delle poche cose che si salvavano. Improvvisamente, non solo non e’ più comparso il condimento ma, un’infermiera e passata camera, per camera a requisire eventuali tubicini di condimento conservato dai pazienti.

Perché? mistero. Da quel giorno l’insalata viene servita condita. Condita? Sempre per la dieta niente sale, niente olio e niente limone: solo un pochino d’acqua di risulta da un cattiva centrifuga dell’insalata. Sulla frutta non c’è nulla da dire se non che pur non avendola mai ordinata, per cinque o sei volte mi è stata servita la mousse di mela che odio. Dimenticavo un suggerimento per chi redige i capitolati per la fornitura della frutta: risulta possibile inserire anche il calibro minimo di mele, pesche e prugne ad evitare la fornitura di frutta di dimensioni tali da ricordare più le noci che le mele e le pesche. Però fa bene alla dieta e da un punto di vista dietologico, le quantità più sono ridotte e meglio è! Per tale ragione, dopo aver sperimentato tale cucina e la quantità dei cibi previsti dal manuale, ho ritenuto di non dover disturbare le dietiste e, in tre settimane sono diminuito, mangiando esclusivamente quanto passava il convento, di oltre sei chilogrammi, dico poco? e senza spendere un soldo! benissimo! Di una sola cosa mi lamento: che per 20 giorni abbiano chiamato Schiapparelli il mio amico Schiappelli nonostante tutte le sere io stesso correggessi il nome sul foglio richiesta. Anzi di un’altra cosa debbo velatamente lamentarmi riconoscendo che può anche capitare. Un mezzogiorno io e il mitico Claudio Schiappelli, cioè i componenti la camera 506, siamo stati letteralmente saltati, dimenticati dal carrello delle leccornie. Sono passati davanti alla porta aperta aperta, io e il mio amico eravamo al posto di combattimento con tovaglietta, tovagliolino e armi da taglio e da pesca in mano, ma nessuno ci ha degnato di uno sguardo. Claudio calmo diceva “ades i vegna, e’ mai suces chi mabia salta’” - ora arrivano, non è mai

successo una tale dimenticanza. Educazione e cortesia permettendo verso l’una, non vedendo comparire il pur parco rancio, decisi di informare gli infermieri-camerieri. Meraviglia assoluta, immediata mobilitazione e nel giro di qualche minuto compare un’inc....cavolata infermiera che al grido di può capitare, condiviso dai due pazienti di camera 506, aggiunge “però la prossima volta che capita non aspettate tanto tempo ad avvertire, se no ci fate tribolare a reperire qualcosa in cucina”. La ringrazio per la cortesia e per la previsione prossima ventura, segnalando che oltre essere stato ‘dimenticato’ l’esserne anche colpevole mi sembrava un poco eccessivo. Per onestà devo aggiungere che forse non ho usato questo tono con la signora, ma tant’è, come direbbe lei, capita!. Si scherza un pochino ma sei chili in 20 giorni con il rancio sopra richiamato li ho persi davvero! meno male che non tutto il male viene per nuocere: a me e’ servito come una saggia dieta. Concludendo voglio ricordare la disponibilità di Claudio Fracchia, l’amico primario cacciatore impenitente come il sottoscritto e la cortesissima dott.ssa Paola Abelli direttore sanitario della struttura per l’amicizia e la cortesia che hanno usato alla mia modestissima persona. A loro chiedo scusa per i toni un pochino sopra le righe che ho usato ma complessivamente il loro Istituto, il mio personale Resort è stato per me ed è tuttora un’eccellenza pavese, meglio oltrepadana che chi come me è figlio di queste zolle, vorrebbe sempre al meglio. (Pochi giorni dopo la mia dimissione, è cambiata la ditta fornitrice del....rancio. Ci voleva!) di Giuliano Cereghini


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SANTA MARIA DELLA VERSA

MARZO 2020

L’appello delle piccole attività: «Lo Stato ci aiuti o non riusciremo a ripartire» Le pesanti ma necessarie misure restrittive decretate dal Governo per arginare la diffusione del coronavirus hanno condizionato pesantemente la vita di tutti, soprattutto quella di chi, con il contatto più o meno diretto con il pubblico, si guadagnava da vivere. Le restrizioni inevitabilmente hanno colpito le attività commerciali, che in breve tempo hanno dovuto adattarsi a quanto richiesto dai decreti attuativi.
 Queste misure hanno portato all’assalto di farmacie e negozi di alimentari, alla parziale chiusura di bar, attività di ristorazione, uffici pubblici e privati, e vietato totalmente attività ricreative e di intrattenimento.
Abbiamo voluto ascoltare alcuni titolari di attività e commercianti di Santa Maria della Versa, i quali ci hanno spiegato quali misure hanno dovuto adottare nel loro lavoro, esprimendo inoltre una loro opinione sui decreti emanati dal Governo e quali misure dovrebbero essere prese in futuro per poter rilanciare le attività colpite. Laura Achilli e Marta Bongiorni sono le nuove farmaciste di Santa Maria della Versa. Da qualche settimana hanno rilevato la Farmacia Bruni, probabilmente la più antica attività della vallata. Marta e Laura, avete ufficialmente iniziato l’attività ad inizio mese: è stato un “battesimo di fuoco”...
 «Certo. Un battesimo di fuoco che ci ha travolto come solo nei film pensavamo potesse accadere. Rilevare la Farmacia Bruni per noi è un sogno che si realizza e siamo grati a Giorgio e Luisa per averci dato l’opportunità di proseguire il loro operato. Con tanto entusiasmo, nei mesi precedenti, abbiamo iniziato questa avventura. Nelle scorse settimane potevamo ipotizzare di avere intoppi burocratici, ma di certo non avremmo mai immaginato di aprire le porte della nostra farmacia in un momento così critico. Questa epidemia, seppur preoccupante, sembrava così lontana da noi: sino a quel 21 febbraio, quando nel giro di poche ore la situazione è precipitata. Sia dal punto di vista umano che professionale, tutti i nostri pensieri si sono focalizzati a come supportare con opportuni consigli di azioni i nostri clienti». Sappiamo che c’è chi si fa prendere dall’ansia e chi invece minimizza la situazione. Quali casi avete riscontrato di più?
 «In realtà, giorno dopo giorno la situazione è cambiata e sta ancora cambiando. Inizialmente si considerava l’epidemia come circoscritta e lontana, quindi in pochi erano realmente preoccupati. Oggi tanti sono seriamente spaventati e cercano in ogni modo consigli per proteggere familiari anziani, o persone con patologie particolari.

Laura Achilli e Marta Bongiorni

Veder sospendere, inoltre, tanti servizi sanitari, a partire dalle visite ambulatoriali e ai prelievi di sangue in paese, preoccupa i nostri concittadini e crea insicurezza. Sottovalutare ora è praticamente impossibile. Noi cerchiamo di tranquillizzare i nostri clienti e pazienti dando informazioni chiare e consigli su come affrontare questa situazione senza farsi prendere dall’ansia. Principalmente spieghiamo come applicare il decalogo diffuso dal Ministero della Sanità, svolgendo un’opera di informazione faccia a faccia con le persone, facendoci portavoce delle misure di igiene e prevenzione e colmando lacune là dove servono ulteriori informazioni». Italia zona rossa: è sufficiente o bisognerebbe fare di più? 
 «Sinceramente non rientra nel nostro compito mettere in discussione le decisioni prese ad oggi dalle autorità. Di certo non è facile gestire questa emergenza. Noi, come tanti farmacisti, medici e infermieri, ci mettiamo a disposizione del servizio sanitario nazionale, come prima interfaccia con il cittadino cerchiamo di essere per tutti un punto di riferimento in questo momento di crisi». Un giudizio da medici: quale sarà l’evolversi dell’infezione? Potremo tornare presto alle nostre abitudini?
 «Sicuramente, il tutto non si risolverà in breve tempo. È un virus, il tempo di incubazione è di circa due settimane, l’infettività è elevata. Per l’uomo è un virus “nuovo”, che non ha mai incontrato, e quindi più difficile da combattere, ma non certo impossibile. Noi non possiamo sperare di non imbatterci nel COVID-19 ma dobbiamo cercare di essere sufficientemente forti fisicamente per contrastarlo. Rispettiamo le regole igieniche e sociali e proteggiamo le categorie più a rischio, così ciascuno di noi, nel suo piccolo, avrà fatto un semplice ma indispensabile passo per combattere l’epidemia».

Beniamino Sbaraglini,

Beniamino Sbaraglini, titolare di Les Folies e Bar Commercio. Cosa ne pensa del decreto “restoacasa”?
 «Penso che sia un decreto severo, che preso in un momento di grande emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo, potrebbe veramente aiutare a contenere l’espandersi del contagio del Covid_19. Abbiamo adempito immediatamente senza opporci o lamentarci, soprattutto perché queste restrizioni arrivano dal fatto che non tutti i locali hanno rispettato il precedente decreto emanato il 1° marzo scorso, applicando troppa libera interpretazione. Si è arrivato a questo per far capire alla gente che siamo arrivati ad un’emergenza senza pari. Molti di noi hanno a casa anziani o persone con patologie gravi, quindi era necessario dover contenere tutto questo.
Anche se non potremo lavorare come d’abitudine, penso che sia la scelta giusta».

Quali accorgimenti ha dovuto prendere per applicare le restrizioni alla sua clientela? È stato difficile farle rispettare?
 «Noi abbiamo applicato queste norme nel migliore dei modi: non abbiamo mai pensato di fare di testa nostra o trovare soluzioni alternative. Queste sono le regole e quindi vanno rispettate. L’Assessore Desimoni ha creato un gruppo di WhatsApp per comunicare tempestivamente a tutti i bar di Santa Maria della Versa ogni aggiornamento delle disposizioni imposte dal Decreto e cercare di applicarle al meglio. Da subito, come previsto dal primo decreto-legge, abbiamo anticipato la chiusura alle 18 ed effettuato servizio al tavolo, cercando di evitare assembramenti e basandoci sul buonsenso della nostra clientela.
 Con un ulteriore decreto inoltre era stato stabilito che il gestore non poteva applicare il sovrapprezzo per il servizio al tavolo, cosa non specificata e regolamentata in quelli precedenti.
Molti si sono stupiti della limitazione del servizio al banco e della chiusura anticipata alle 18, ma dati alla mano l’affluenza maggiore è per l’aperitivo a quell’orario, quindi naturalmente si cercava di limitare gli assembramenti.
Inoltre, per essere sicuri di far rispettare la distanza di almeno un metro tra le persone, avevamo eliminato alcune sedie e tavolini. C’è da dire che, una volta spiegate le regole, la clientela ha appreso in modo positivo le limitazioni: molti avrebbero voluto portarsi da soli il caffè al tavolo, il più per una questione di gentilezza verso noi baristi, ma non si transige». Quando sarà finita l’emergenza è ovvio che lo Stato dovrà intervenire a favore delle attività che hanno subito un violento arresto per colpa di un’epidemia alla quale non eravamo preparati: in che modo dovrà agire?
 «Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere. Sicuramente lo Stato ci dovrà aiutare, è ovvio che la nostra economia ha subito un grosso calo, che potrebbe arrivare anche al 70-80%: questo soprattutto al Bar Commercio, dove la clientela solitamente è più anziana e cercherà di evitare il più possibile di essere contagiata, in quanto categoria a rischio. La gente ha paura e io li capisco pienamente.
Penso che non riusciremo mai a rientrare dalle nostre perdite, ciononostante ritengo il provvedimento giusto, perché viene prima la salute e poi l’economia. Non so come potrà aiutarci, ma che sarà doveroso intervenire sull’abbassamento di alcune tasse o con una Flat Tax al 15% per almeno 2 anni. Però queste sono soluzioni tecniche che non competono a noi…».


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MARZO 2020

Matteo Borin e Elisa Albertini,

Matteo Borin e Elisa Albertini, titolari del “Panificio pasticceria B&A” Voi avete un’attività commerciale di prima necessità: cosa pensate del decreto “restoacasa”? «Credo che tali norme, anche se un po’ drastiche, forse dovevano essere emanate prima e in modo meno altalenante: come è accaduto con il primo decreto, che prevedeva inizialmente la chiusura dei locali alle 18 e successivamente ristabilita all’orario regolare. I media come al solito hanno pesantemente influenzato le normali attività delle persone che ancora oggi non riescono a capire la gravità della situazione. Pareri totalmente diversi sia da parte di medici, come per esempio la diatriba tra la direttrice del Sacco di Milano e il Professor Burioni, ma soprattutto da parte dei politici, che non hanno saputo prendere decisioni serie e chiare fin da subito e ci hanno portati essere il secondo Paese al Mondo a livello di numero di contagiati». Quali accorgimenti ha dovuto prendere per applicare le restrizioni al suo negozio? È stato difficile farle rispettare? «Essendo noi un’attività di produzione e vendita di generi di prima necessità non siamo coinvolti, fortunatamente, per quanto riguarda le restrizioni di orario dell’attività lavorativa. Abbiamo però contingentato l’ingresso sulla base delle metrature di superficie calpestabile da parte della clientela per garantire almeno un metro di distanza tra le persone che entrano nel locale. Inoltre, stiamo incentivando i clienti, soprattutto i più anziani e i più fragili, ad usufruire del nostro servizio gratuito di consegne a domicilio che effettuiamo regolarmente ogni giorno nel Comune di Santa Maria della Versa e nei comuni limitrofi. Abbiamo messo a disposizione dei dipendenti mascherine guanti e soluzioni disinfettanti e posto delle barriere in plexiglass nei punti più esposti e, inoltre, vengono regolarmente seguite le buone prassi igieniche come da manuale di autocontrollo. La clientela ha fin da subito capito e si è attenuta senza troppe lamentele all’ingresso contingentato, attendendo pazientemente al di fuori del negozio». Quando sarà finita l’emergenza è ovvio che lo Stato dovrà intervenire a favore delle attività che hanno subito un vio-

Alessandro Folli

Federico Maga lento arresto per colpa di un’epidemia alla quale non eravamo preparati: in che modo dovrà agire? «Quando tutto questo sarà finito sicuramente lo Stato dovrà far fronte ad aiuti economici e sgravi fiscali importanti soprattutto per le PMI che hanno sentito di più il colpo. Sicuramente i ristoranti, i bar e tutte le attività di intrattenimento che hanno dovuto cessare o sospendere la propria attività dovranno poter usufruire di aiuti economici adeguati. L’importante è cercare di non far morire tutte quelle microimprese presenti su tutto il territorio nazionale che tengono vivi i piccoli paesi come il nostro. Soprattutto i comuni e le province dovrebbero cercare di andare incontro alle esigenze delle piccole attività artigiane che sono il cuore dei paesi come il nostro, mettendosi in prima linea nell’aiutare quelle aziende sull’orlo della chiusura, evitando così ulteriori serrande abbassate». Federico Maga, titolare del Caffè Centro e deejay Federico, ritiene giusto ciò che è stato fatto? Solo dopo quindici giorni dall’inizio dell’emergenza il Governo ha preso la decisione di rendere obbligatoria la chiusura delle attività commerciali che vendono beni non essenziali. È stato difficile far rispettare la regola della distanza di un metro e il divieto di stare al bancone?
 «Non è stato difficile far rispettare queste nuove regole, in quanto c’è da subito stata molta collaborazione da parte del cliente, che è molto impaurito da un possibile

contagio. Abbiamo tenuto il bar aperto per garantire comunque un servizio alla nostra clientela, anche se stavo prendendo volontariamente la decisione di chiudere temporaneamente, in attesa che la situazione migliorasse. Ritengo sia stato idoneo introdurre l’obbligo di servizio ai tavoli per limitare l’assembramento al bancone, ma non ho ritenuto opportuno l’iniziale vincolo della chiusura alle 18, dato che da noi c’è stata molta disciplina tra i clienti». Essendo inoltre un deejay, Lei è stato colpito doppiamente da queste restrizioni: i locali notturni e di intrattenimento sono stati chiusi fino a nuove disposizioni poiché si è notato che una parte di giovani, forse per mancanza di responsabilità, fatica a rispettare le restrizioni. Qual è la sua opinione? «Purtroppo, tutti quei locali che praticano intrattenimento o organizzano eventi sono stati i primi ad essere totalmente chiusi nell’immediato, dato che sono ovviamente soggetti a forti assembramenti di persone: di conseguenza noi deejay, e chi opera in questo ambito, siamo al momento a casa. Questo settore non è al momento tutelato ed è stato dimenticato, anche se quando è scattato l’allarme il dito è stato immediatamente puntato sui locali e sulle discoteche. C’è anche da ricordare che molte di queste attività ora sono sul lastrico e rischiano di chiudere definitivamente. I giovani fanno fatica a capire la gravità di questa epidemia, ma sono sicuro che ora, con l’estensione della zona rossa a tutta Italia, forse molti se ne renderanno conto. Certo, chiudendo tutti i locali dopo le 18 si evitano gli assembramenti pubblici, ma nulla esclude che si possano riunire privatamente nelle proprie abitazioni. Questo è un rischio difficile da evitare». Quando sarà finita l’emergenza è ovvio che lo Stato dovrà intervenire a favore delle attività colpite: in che modo dovrà agire?
 «Ogni mattina ci svegliamo sperando che questo sia stato un brutto incubo, ma poi realizziamo che non è così. Lo Stato dovrà intervenire in modo sostanziale, dato che noi paghiamo parecchie tasse, senza con-

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tare tutte le imposte presenti sulle bollette e sui servizi. Questi soldi dovrebbero servire anche per tutelarci in queste situazioni. C’è chi dice che stiamo combattendo una “guerra biologica”, e questo mi sembra il termine più adatto per descrivere questa situazione: sono solo due settimane che noi in Italia stiamo lottando con questo virus, ma sembra già una vita. Ritengo che lo Stato dovrà congelare alcuni tipi di pagamento, facendo slittare tutte le tasse e contributi INPS all’anno successivo, perché per ripartire ci vorrà parecchio tempo». Alessandro Folli, chef titolare del Ristorante Ad Astra, aperto da pochi mesi. Cosa ne pensa del nuovo decreto? «Io penso che sia stato giusto porre delle restrizioni e dei limiti, ma questo doveva essere fatto immediatamente: si doveva agire subito, bloccando le frontiere e mettendo in quarantena le persone arrivate dalle zone infette. Le prime misure prese prevedevano la chiusura dei ristoranti alle 18: ma questo cosa significava? A pranzo il problema non sussisteva? Non aveva senso. Si doveva agire in un modo diverso e con tempistiche diverse». I gestori dei ristoranti di città hanno lamentato un calo di prenotazioni: qui da voi è stato lo stesso?
 «Abbiamo subito una forte perdita, soprattutto perché avendo aperto da pochi mesi e quindi in questo periodo siamo stati soggetti a molti più costi rispetto ai guadagni. Nel weekend questa crisi si è sentita un po’ meno, perché come si sa c’è molto più movimento che negli altri giorni, la gente tende di più ad uscire. Per rispettare i vari decreti usciti in queste settimane avevamo ridotto il numero di tavoli all’interno delle sale, sia per poter garantire le distanze minime richieste che per garantire l’ospitalità dei nostri clienti in massima sicurezza». Quali provvedimenti dovrebbe prendere lo Stato per aiutare le attività colpite?
 «Lo Stato deve fare assolutamente qualcosa, altrimenti ci sarà il collasso di tutta l’economia italiana, che già da prima non navigava nell’oro. Innanzitutto, ritengo che sia opportuno annullare tutte le tasse previste nel periodo di restrizione e applicare anche uno sgravo delle imposte dalle utenze, facendo pagare solo ed esclusivamente il mero consumo. Inoltre, alle banche andrebbe richiesto uno stop sui mutui, che sono stati accesi per finanziare attività. Bisognerebbe anche estendere la cassa integrazione anche alle piccole imprese: noi stessi che abbiamo tre dipendenti ci stiamo domandando “E adesso cosa facciamo?”. E di risposte, per il momento, non ce ne sono. Per le piccole partita IVA ritengo debbano essere destinate quelle risorse che, da quel che si è capito, l’Italia sta chiedendo all’Unione Europea: bisogna aiutare i piccoli imprenditori, che rappresentano il cuore dell’economia italiana. Senza essere pessimisti, ripartire senza il giusto aiuto dello Stato sarà praticamente impossibile. Speriamo davvero che questa situazione finisca il prima possibile, ma questo dipende dal senso civico delle persone». di Manuele Riccardi



MUSICA

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«Venire da Voghera può essere un problema tutt’al più…a Voghera» Una vita dedicata alla musica e tanti sogni ancora da realizzare. Da Voghera con furore arrivano Carolina Bertelegni e Alessandro Tuvo, i Family Business Duo, che si raccontano tra passato e futuro, parlando degli inizi della loro carriera e delle tante esperienze estere. Carolina, come è iniziato il vostro percorso? «Prima di tutto, nasciamo come coppia nella vita privata. Ci eravamo detti “Non suoneremo mai insieme” e invece eccoci qua. Quando ci siamo conosciuti avevamo già un percorso musicale alle spalle. Alessandro era già un musicista affermato, aveva frequentato la ‘Rock Italy Academy’, l’accademia di chitarra a Milano, insegnava e girava un po’ in tutto il mondo con la sua band metal, io invece cantavo in qualche gruppo, anche se non era niente di serio. Ale era già un professionista, io un po’ meno. Dopo un po’ di tempo che eravamo fidanzati, abbiamo fatto un video, un po’ per gioco, l’abbiamo postato su Facebook e abbiamo ricevuto molti commenti positivi e ci siamo detti che forse era il caso di pensarci sul serio. Poi ha iniziato a squillare il telefono e ci hanno proposto varie serate da fare insieme: da lì è iniziato tutto! Questo succedeva circa tre anni fa». Il nome “Family Business Duo” come l’avete deciso? «Ci ha aiutato il migliore amico di Alessandro. Noi volevamo una cosa un po’ italo-americana. Anche la prima foto che avevamo postato era in stile “gangster”…». Che genere di musica suonate? «Spaziamo dal jazz, al pop, al funk, al rock…dipende dall’evento in cui ci esibiamo». Dicevamo quindi che avete deciso, qualche anno fa, di intraprendere questo percorso musicale insieme… «Sì, all’inizio sinceramente non pensavamo di farlo come lavoro: io facevo tutt’altro e Ale insegnava. Poi da cosa nasce cosa e, dopo aver fatto un evento per la Formula1, ci ha contattato una persona per proporci di andare all’estero: da lì abbiamo pensato che potesse diventare un lavoro vero e proprio. Siamo infatti partiti per Bora Bora e siamo stati là tre mesi, poi è arrivato anche il momento di Dubai, del Barhain e abbiamo iniziato a viaggiare e a fare questa folle vita!». Cosa vi ha insegnato il fatto di girare per il mondo? «All’inizio c’era davvero molto entusiasmo. Magari qualcuno può pensare che i musicisti facciano due cose e basta, invece posso garantire che è difficile essere in paesi diversi e lavorare in questo settore: non c’è un’azienda italiana dietro che ti manda per poche settimane. Nel nostro caso siamo partiti per tre mesi, sei mesi, a volte un anno… bisogna sapere alla perfezione la lingua e sapersi rappor-

Carolina Bertelegni e Alessandro Tuvo, i Family Business Duo tare bene con le persone, perché all’estero, a differenza che in Italia, il musicista è un lavoro vero e si hanno le stesse regole di un dipendente classico. Si ha a che fare con tanta gente, con culture e vissuti diversi, ognuno con le proprie abitudini e non è sempre facile. Bisogna avere forza e grinta, insomma…avere le palle!». La prima esperienza estera è stata quindi Bora Bora? «Sì…come dicevo, avevamo fatto un evento privato per la Formula1, dove c’erano anche i piloti. A quanto pare, una persona che c’era durante questo evento, ha chiesto il nostro contatto e ci hanno chiamato per una nuova apertura proprio a Bora Bora. All’inizio non ci credevo! Sul nostro sito internet avevo anche raccontato di come, in un primo momento, avessi pensato che volessero ucciderci, vendere gli organi o cose simili…mi ricordo di aver pensato “è impossibile che vogliano proprio noi per l’apertura di un hotel a cinque stelle in un posto simile… proprio noi da Voghera!”. E invece era tutto vero… da Voghera con furore! Scherzi a parte, noi abbiamo veramente lavorato tanto per costruirci un’immagine seria, per non cadere nel trash e per offrire al cliente ciò di cui aveva bisogno, a seconda delle diverse situazioni in cui ci siamo trovati. è logico che se suoni in una festa delle birra dovrai presentarti in un modo, se suoni in un evento privato o “pettinato” dovrai presentarti in un altro». Come è stato lavorare lontano da casa? «Noi siamo legatissimi alle nostre famiglie ed essere sempre in giro per il mondo può creare un po’ di ansia. Poi vivevamo in affitto e c’era anche sempre il problema di lasciare la casa per tanti mesi.

Abbiamo fatto, quindi, tanti traslochi in pochi anni: una vita rock ‘n roll, ma anche molto stressante. Finalmente adesso abbiamo una casa nostra e almeno su quello siamo tranquilli. Comunque, la vita in giro per il mondo è bella, piena di luccichii e molto altro, ma lasciare a casa gli affetti è dura: ci rendiamo conto di perderci molti momenti in famiglia, il Natale, i compleanni, le nascite, ma il nostro lavoro ci piace e ci appaga». Attualmente cosa state facendo? «Abbiamo sempre dedicato la nostra vita a dividerci tra Italia ed estero: adesso siamo qui e stiamo facendo un po’ di date live in giro, poi vedremo cosa ci riserverà il futuro. Naturalmente poi arriverà la bella stagione con i matrimoni e quindi faremo quello, che rimane il nostro lavoro principale, insieme agli eventi privati di altro genere. Amiamo molto fare da cornice musicale, durante i matrimoni: il nostro obiettivo principale è proprio quello di fare da contorno durante giornate speciali dove i protagonisti sono e devono essere gli sposi. E poi, oltre al nostro Duo, suoneremo e canteremo anche con una band, una ‘party band’, che fa soprattutto feste della birra e simili: questa è una novità di quest’anno e tra poco inizieremo la stagione anche con loro. Abbiamo voluto ‘allargare’ un po’ la famiglia, anche per fare cose diverse rispetto al Duo». Carolina originaria di Cecima, mentre Alessandro è vogherese: è stato un ostacolo arrivare dal territorio dell’Oltrepò? «Per assurdo posso dire che arrivare dall’Oltrepò e da Voghera può essere un ostacolo a Voghera! Nessuno è profeta in

Il duo Family Business da Voghera a Dubai tra Hotel di lusso e matrimoni patria, come si suol dire, ed è più facile essere apprezzati fuori dal proprio territorio e dal proprio paese di origine. Però non è stato un ostacolo, anche perché abbiamo sempre amato entrambi viaggiare ed aprire la mente e non ci siamo mai posti limiti. L’Italia, invece, può essere un limite per la musica. Perché è uno dei pochi paesi al mondo che non riconosce il musicista come una figura professionale: da questo punto di vista il nostro paese è davvero indietro». State facendo quello che sognavate da bambini? «Io ho sempre cantato ma non pensavo di riuscire a farne un vero e proprio lavoro. Ho, però, sempre pensato che volevo lavorare in un contesto dove la gente fosse felice e quindi penso di esserci riuscita! Alessandro ha sempre voluto lavorare con la musica…quindi direi che sì, facciamo quello che abbiamo sognato da piccoli». E per il futuro cosa sognate? «Che questa nostra esperienza prenda sempre più forma, che si possa realizzare qualcos’altro come Duo ed essere ripagati di tutto quello che abbiamo fatto e stiamo facendo». di Elisa Ajelli


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ARTE & CULTURA

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Pittrice e scrittrice autodidatta: Rosa Albanese pensa di aprire un’associazione culturale a Varzi Nata a Genova da genitori calabresi Rosa Albanese vive a Menconico nella Valle Staffora con il marito da circa vent’anni, ma ama tanto il nord quanto il sud Italia. Laureata in pedagogia, è anche scrittrice e pittrice ed è stata la fondatrice dell’associazione “Oltre un Po” a Varzi, che ha però cessato la propria attività «per mancanza di appoggi», come afferma. Rosa però non si è arresa, anzi: si definisce «una donna che ha vissuto sei decadi e un vulcano di idee pronto ad esplodere». Di cosa si occupa innanzitutto? «Di arte e questo fin da quando ero bambina. L’arte è sempre stata uno dei miei canali preferiti, sono un’autodidatta nel senso che non ho fatto nè liceo artistico nè accademia, ma sono andata a bottega da pittori come Mario Demela e Aurelio Caminati tutti e due di Genova entrambi eccentrici e metafisici». Ci racconti di loro… «Il primo ha vissuto in un orfanotrofio e mi disse che la pittura lo aveva salvato dai traumi dell’infanzia, il secondo fece fortuna vincendo l’appalto dell’affresco al teatro Carlo Felice di Genova. Che esperienze ha avuto in Oltrepò? «Da quando vivo in Oltrepo, prima Varzi poi Menconico, ho avuto modo grazie alla mia primaria occupazione come funzionario della pubblica amministrazione di vedere realtà industriali molto importanti e di conoscere persone che danno lavoro e svolgono con passione l’organizzazione delle loro aziende. Ho anche avuto il privilegio di essere vicepresidente dell’associazione Varzi Viva dedita all’organizzazione di eventi culturali». Perché aveva creato l’associazione “Oltre un po’? Quale era l’esigenza?

Rosa Albanese

«Era nata per soddisfare il bisogno di un posto ludico a Varzi e questo si rivolgeva anche alle persone anziane. Negli ultimi tempi era frequentato da quindici bambini e quindici persone anziane. Abbiamo fatto cose bellissime, come corsi di disegno per bambini delle scuole di Varzi e bimbi che talvolta non riuscivano ad esprimersi, ma poi quando hanno cominciato a lasciarsi andare hanno fatto dei disegni semplicemente straordinari mettendo in luce tutta la loro ricchezza interiore. Abbiamo organizzato mostre di quei disegni in occasione di qualche festa a Varzi. Purtroppo nelle scuole il disegno non viene considerato al pari di altre materie mentre invece aiuta a sviluppare una parte del cervello che è l’emisfero destro ed è importantissimo. Una volta ho seguito un ragazzino che doveva dare un esame e aveva

grossi problemi era limitato ma disegnando ha tirato fuori il dono che aveva in sé e ha fatto cose semplicemente straordinarie. A volte capita di incontrare per strada quelli che erano bimbi ormai sono grandi e ricordiamo e parliamo di tante cose» Qual è la categoria di persone che apprezza di più? «Tutte le persone, non importano l’età e il sesso. Però amo molto le donne, che nel mondo ancora non si sono espresse al pieno delle loro grandi potenzialità. Qui cito Oscar Wilde:«Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto». Che cosa ha scoperto o non ha scoperto in ciò che la circonda? «Che lo schema che viene percepito come reale è già obsoleto: per esempio il fatto che noi non abbiamo nessun potere sulla realtà mentre invece ho scoperto l’esatto contrario e questo è anche il parere di alcuni scienziati di fisica quantistica. In realtà noi possiamo creare la nostra vita e nei migliori modi non lasciandoci dominare dai traumi subiti. Siamo dotati di discernimento, cerchiamo di saperlo usare. Siamo macchine biologiche meravigliose corpo mente e spirito Sono questi gli argomenti che la portano a scrivere libri? «Sì, ne ho cominciato diversi ho scritto anche sul volontariato e tuttora sto perfezionandolo, anche se orfano di titolo. è un libro su queste nuove conoscenze e filosofie di cui non si parla sui giornali, che preferiscono fatti tristi e parlano poco di eccellenze che ci circondano. Ci sono persone meravigliose che fanno il loro dovere, persone interessanti, integre e di loro non si parla. Vuoi per fare notizia, vuoi per altri motivi, ma quello che ci farebbe sor-

L’esperienza di “Oltre un Po” andata male: «Chiusa per mancanza di appoggi» ridere viene accantonato. è come se venissimo manipolati per vedere solo il male». Rimetterà in piedi l’associazione culturale? «Ancora qualche mese di pazienza. Prima devo concludere alcuni progetti. La mia idea è costruire una sorta di alleanza di cervelli, che significa fare cose insieme ad altre persone motivate come me dall’interesse per il territorio. Stiamo progettando ciò che possiamo offrire. Quale iniziativa artistica vedrebbe bene a Varzi? «Consiglierei al paese un laboratorio di arte, mi appellerei ai vari artisti per dipingere i muri delle case. Non quelle di sasso ma gli intonaci. Come ad esempio a Dozza, vicino Imola, che ogni due anni organizza un festival dedicato alla pittura. Ognuno di noi dovrebbe mettere a disposizione il proprio talento e donarlo agli altri, un valore fondamentale da lasciare in eredità». di Stefania Marchetti


SPORT

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«Voghera? Eccellenze come Adoloscere le metterei nel biglietto da visita...» Michele “Miky” Orione, la “penna romantica del volley” che qualcuno ha definito il “Gianni Brera della pallavolo” si racconta ai nostri lettori in questa intervista. Da semplice appassionato, Orione è diventato progressivamente un riferimento per moltissimi protagonisti del volley, grazie in particolare alle sue collaborazioni con la rivista “Pallavoliamo.it” e agli articoli pubblicati su “Volley People”, il blog da lui fondato. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo sul volley: “Ho imparato a sognare”. Come è entrato in contatto con questo sport? Un passato da giocatore? «Assolutamente no... per fortuna di chi guarda la pallavolo! Anzi, devo dire che fino ai primi anni Duemila la pallavolo non rientrava fra i miei principali interessi. Poi nel 2003, per un puro caso(lo sarà stato davvero?), mi trovavo in piscina a Rivanazzano quando arrivò una comitiva di dodici “valchirie” accompagnate da un uomo che poi ho riconosciuto essere il dottor Gianluigi Poma. Fui colpito dalla bellezza e bravura di queste ragazze (un po’ meno da quella di Poma… ah ah ah), che si trovavano lì per la preparazione atletica. Mi avvicinai, incuriosito. Non sapevo quasi nulla di pallavolo: una delle ragazze mi chiese quale ruolo preferissi, risposi “stopper”, ruolo che nel volley non esiste. Comunque, quella fu soprattutto l’occasione per conoscere Gianluigi Poma.» Un mentore? «Sì, gli devo molto. A dare veramente il via al mio contatto con il mondo della pallavolo fu una richiesta che gli feci: dal momento che mi piaceva molto la maglia della loro squadra, che all’epoca si chiamava Nadirex Villanterio (in seguito divenuta Riso Scotti Pavia, squadra giunta fino in serie A1), gliene chiesi una in regalo. Poma me la promise: “Vieni a Villanterio e ti darò la maglia”.» Come andò? «Cercai Villanterio sulla cartina e andai, ma ad oggi non ho ancora avuto quella maglia... In compenso ho trovato, su quella strada, la passione per la pallavolo. L’amore di una vita, la compagna di tante serate, di avventure, di viaggi. Momenti indimenticabili e migliaia di chilometri in Italia e in Europa.» A proposito di chilometri: lei è spesso a Conegliano, in Veneto… «Sì. Sono innamoratissimo. Della squadra ovviamente! Della società e del pubblico. Battute a parte, ho molti amici che pur a 370 chilometri di distanza mi fanno sentire come a casa. E poi la squadra è, quest’anno più di altri, la più bella e forte al mondo.» Tornando più vicino, può la pallavolo essere un potenziale inespresso nel nostro territorio? «Penso ancora a Poma, che è un grande amico; una persona con cui ho vissuto

Michele “Miky” Orione

grandi emozioni. Una di queste è stata in occasione di uno degli ultimi “Memorial” dedicati al padre, quando portammo al Palaravizza di Pavia oltre duemila persone per assistere ad un incontro amichevole. Il territorio ha voglia di volley; manca però l’apporto che tutti dovrebbero dare ad un progetto di sviluppo. Si tende troppo spesso a considerare lo sport come qualcosa di superfluo, di non importante, quando invece esso è un bisogno primario dell’essere umano. Sia per gli aspetti legati alla salute, sia per la socializzazione.» Cosa potrebbe fare una città come Voghera per migliorare il suo percorso in questa direzione? «Credo che l’impegno e la passione in città per certi versi ci siano, anche se purtroppo, tante volte, gli sforzi sembrano non essere ripagati. Penso che gestire un’attività in città di provincia o in piccoli comuni sia veramente un’impresa titanica; quindi tutta la mia stima va ai dirigenti locali, più ancora che a quelli riconosciuti a livello nazionale. Qui si fanno magari anche i conti con i 15 euro di costo per la maglietta.» Cosa manca allora? «A Voghera, per me, manca la consapevolezza delle proprie eccellenze e delle proprie potenzialità. Tutti siamo convinti di vivere in una città morta, e per certi versi lo è. Ma in realtà ci sono delle eccellenze, solo che sono nascoste. Persone che si alzano presto la mattina per portare avanti una, una passione, uno sport. Penso in particolare ad un centro come Adolescere, poi ce ne sono anche altri.» Forse quello che cita è l’esempio più in vista... «Sarà forse più in vista di altri, ma di certo non lo è abbastanza. Se io fossi un amministratore, eccellenze come Adoloscere, l’istituto Gallini, la mostarda, le metterei nel biglietto da visita.

Una Voghera “Città del Gallini”, “Città della Pallavolo Adolescere”, solo per fare qualche esempio. Non siamo bravi a valorizzare le eccellenze che abbiamo, ma siamo bravissimi a raccontare le cose negative. Questo non vuol dire che le cose che non funzionano non debbano essere raccontate, ma nemmeno che diventino l’unica ossessione città.» Un esempio di quelle cose negative alle quali si è dato tantissimo risalto è la “Voghera capitale della ludopatia”. «La ludopatia è una piaga, ma la soluzione deve essere legata ad un’alternativa. Sono convinto che se ci fosse lo spazio dove seguire una squadra, dove appassionarsi allo sport, almeno uno su mille si salverebbe dal rischio di cadere in strade sbagliate. Così, invece, siamo in un circolo vizioso. Un paio di anni fa, durante un seminario con il grande Julio Velasco a San Patrignano, mi spiegavano che i casi di ludopatia nel loro centro sono aumentati del 300% in pochi anni. Stiamo parlando di un’emergenza nazionale: questo non rende meno drammatico il problema di Voghera, ma in tutti i casi, nazionale e locale, bisogna lavorare per creare delle alternative. Passiamo dal gioco non sano al gioco sano per la mente, il corpo e lo spirito. Citando esempi che non ho vissuto direttamente, ci sono squadre che, pur militando in campionati amatoriali, sono riuscite a tirare fuori tanti giovani da situazioni di degrado.» Non ci ha ancora raccontato cosa ha fatto, dopo gli esordi, in questo settore. «A livello nazionale, per 15 anni ho collaborato con testate giornalistiche riconosciute. Una è stata “Pallavoliamo.it”: partita da Ceranova, è diventata in breve una rivista on line a livello nazionale. Lì, in un editoriale, ho scritto una delle mie frasi più belle “Questa rivista ha un editore estremamente esigente: la nostra passione”. Poi ho collaborato con vari periodici, fino all’apertura, due anni fa, di un mio blog, chiamato “Volleypeople.it”, che, a detta di qualcuno, sta avendo un successo clamoroso sia di pubblico, sia di follower.» Chi sono le persone che la seguono? Perché? «Mi seguono, inaspettatamente, in molti appassionati, tifosi e addetti ai lavori. Probabilmente perché nei miei pezzi non parlo di schemi o di tecnica: ci sono già esperti che si occupano di questo. Cerco invece di raccontare la parte umana e le emozioni dello sport. Senza dubbio quando entro in un palazzetto e qualcuno mi accoglie dicendomi: “Tu sei Michele Orione, quello di Volley People? Complimenti”... Beh, quello è il migliore dei like.» Qual è la sua esperienza sul territorio? «Sul territorio sono stato invitato – grazie all’amico Franchini – a Rivanazzano, dove per un circa anno ho seguito le ragazze della squadra femminile.»

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La penna romantica del volley: Miky Orione si racconta «Tanti sono convinti che vinte le elezioni si alzi il trofeo al cielo...» Con quale ruolo? «Rispetto i ruoli, ma non amo le etichette. Ho cercato di collaborare, di scambiare opinioni e confrontarmi. Negli anni ho allenato l’occhio a cercare di percepire i tratti umani, le reazioni, la smorfia, il sorriso... il non battersi un “cinque” fra compagni. Diverse volte azzecco l’osservazione; in questi casi un consiglio, una parola in merito, senza peccare di presunzione, può essere utile. A Rivanazzano ho fatto anche la bellissima esperienza di pubblicare un calendario con Federica Scarioni, famosa altresì per aver precluso i tempi ed essere stata la prima fotografa del calcio femminile in Italia.» Parliamo anche della sua attività lavorativa? «Lavoro presso il circuito Tazio Nuvolari, dove mi occupo dell’organizzazione e della gestione degli eventi che l’autodromo propone. Abbiamo un calendario intenso di iniziative, ma anche attività parallele che cerchiamo di portare avanti grazie all’impegno del patron Giorgio Traversa. Colgo l’occasione per ringraziarlo di avermi concesso permessi, talvolta anche last minute, per assecondare la mia passione pallavolistica.» Un altro potenziale inespresso del territorio? «Per quanto un’attività possa essere bella, se proposta in un deserto rimane solo “una bella attività” senza futuro. Se invece il territorio ci crede, anche a livello economico, questo circuito può essere l’occasione per creare indotto, per far crescere la ricettività. Devo dire che alcuni amministratori locali hanno colto questa opportunità e collaborano con noi per creare una rete. A loro va il mio grazie.» La sua è una presenza costante sui “social” che trattano di politica locale. Una battuta sulle prossime elezioni vogheresi? Il terreno sembra ancora molto frammentato... «La frammentazione da un lato può essere una cosa positiva, perché può portare più idee nella discussione relativa alla città. Dall’altro lato, tanti sono convinti, usando una metafora sportiva, che vinte le elezioni si alzi il trofeo al cielo. In realtà quel trofeo, che si chiama “città”, esige passione, ma anche pragmatismo: è necessario che a governare sia una squadra unita. La città ha bisogno di essere governata, e non è facile quando ci sono tante opinioni diverse. Oggi come oggi sono necessarie risposte immediate.» di Pier Luigi Feltri



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Le Edo’s Runners: «Obbiettivo?1.200euro per la Onlus vogherese “Una mano per…”

Annalisa Biso, Manuela Ferrari, Blediana Beqiri e Laura Sammataro quattro vogheresi unite dalla passione per la corsa formano la squadra delle Edo’s Runners. Il 5 aprile di quest’anno correranno, come già nel 2018 e nel 2019, la Milano Marathon Relay, una maratona a staffetta con l’obiettivo di raccogliere fondi per la Onlus vogherese “Una mano per…”, associazione nata nel 2015 dalla volontà di tre genitori con lo scopo di sostenere tutte quelle famiglie che si trovano a dover crescere un bimbo disabile o con una malattia invalidante. Le donazioni potranno garantire ai bambini seguiti dalla Onlus la partecipazione ad attività di terapia ricreativa. Annalisa, quando sono nate le Edo’s Runners e da dove viene il nome? Come vi siete conosciute? «Il nostro gruppo è nato nel 2018 e all’inizio eravamo gli Edo’s Runners, poiché la prima formazione era differente: comprendeva me – Annalisa, Manuela, Guglielmo e Andrea. Tutto è partito proprio grazie a Manuela e Guglielmo che furono contattati dal papà della nostra piccola mascotte, Edoardo, uno dei bimbi seguiti dalla Onlus “Una mano per”, con la proposta di partecipare alla Milano Marathon Relay di quell’anno. Noi ovviamente accettammo più che volentieri, e a quel

punto non fu nemmeno difficile scegliere il nome della squadra: avremmo corso per Edoardo, da qui, Edo’s Runners. Quest’anno la formazione si è rinnovata e ci presentiamo con una squadra tutta al femminile: a me e a Manuela si sono aggiunte Blediana, alla sua seconda partecipazione in team, e la new entry Laura. Ci siamo conosciute grazie allo sport, infatti corriamo tutte e quattro insieme nello stesso gruppo da circa un anno e mezzo». Come si svolge la Milano Marathon Relay e a quante avete partecipato, esclusa quella di quest’anno? «La Relay è la maratona di Milano a staffetta, il funzionamento è semplice: ogni squadra si presenta con 4 membri, ognuno dei quali dovrà percorrere una frazione del percorso con distanze variabili da 8 a 13 Km circa. La Relay ha già visto per due anni la presenza della nostra squadra come partecipante: quest’edizione 2020 sarà la terza». Da quanto tempo collaborate con la Onlus “una mano per” e come avete iniziato? «Come abbiamo detto prima, abbiamo iniziato a collaborare con la Onlus dopo la richiesta, che ci hanno fatto nel 2018, di partecipare sotto la loro egida alla Milano Marathon Relay di quell’anno. Grazie a quell’evento abbiamo potuto conoscere le

splendide persone che hanno dato vita al progetto “Una mano per…” , e che ogni giorno portano avanti i progetti dell’associazione. Ma, soprattutto, abbiamo avuto modo di conoscere i bambini che da questa Onlus sono seguiti; sono loro, senza ombra di dubbio, a darci la carica più grande di tutte; amiamo il nostro sport, ma è soprattutto per loro che ci alleniamo con energia ed entusiasmo, ed è per loro che parteciperemo all’evento di Milano con la massima motivazione». Quali progetti siete riuscite a finanziare finora, collaborando con la Onlus? «Quest’anno abbiamo creato una raccolta fondi con l’obiettivo di garantire un’ora di terapia ricreativa a settimana, per un intero anno, ai 30 bambini con disabilità seguiti da “Una mano per…”. Rinnoviamo questa raccolta fondi ogni anno, da quando abbiamo iniziato a collaborare con la Onlus.Ci impegneremo come sempre a raggiungere il risultato previsto, ma sarebbe stupendo riuscire anche a superarlo». Quali attività comprende? Qual è la quota da raggiungere tramite le donazioni? Entro quale data? «L’obiettivo è quello di raggiungere la quota di 1200euro entro il 5 aprile 2020, data in cui comincerà la maratona. La terapia ricreativa comprende diverse attivi-

tà tra cui pet therapy, musicoterapia , psicomotricità in acqua e laboratori didattici. Ognuna di queste attività si svolge all’interno del nostro territorio». Su quale piattaforma è possibile versare un contributo? C’è un importo minimo? «è possibile versare un contributo sul sito Rete del dono. Fare la donazione è un processo davvero semplice e immediato; la si può fare tramite qualsiasi modalità di pagamento, senza alcun importo minimo: ogni aiuto, anche il più piccolo, ha un grande valore per noi runners, ma in particolar modo per i bambini a cui sono destinati questi fondi. Inoltre, al momento della donazione, è possibile lasciare un messaggio ricordo che rimarrà visibile sul portale del sito: ci farebbe molto piacere se ne lasciaste uno, in modo da potervi poi ringraziare singolarmente». è possibile contribuire all’iniziativa anche in altri modi, ad esempio prendendo parte alla maratona in nome della Onlus? «Si può contribuire anche contattando il sito “Una mano per…”, chiunque può partecipare e diventare foundraiser come noi; oppure, cosa non banale, si può sempre fare il tifo per noi il giorno della maratona». di Cecilia Bardoni


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QUATTRO CHIACCHIERE CON GIUSEPPE FIORI, IL PRESIDENTE VOLANTE Una panoramica di alcune vetture sulle quali ha gareggiato: Fiat 124 e 131 Abarth con Filippo Musti, Lancia 037, sempre con Filippo Musti, A112 Abarth con Marco Carrera, Porsche 911 con Matteo Musti e Beniamino Lo Presti, Peugeot WRC con Matteo Musti e Opel Kadett con Riccardo Canzian Di Giuseppe Fiori, da Santa Maria della Versa, e dell’automobilismo, si può dire che si conoscono e camminano sottobraccio da sempre. Fino dalla fine degli anni ‘60, quando da giovanissimo spettatore vedeva le Colline del nostro Oltrepò solcate dai primi rallysti impegnati nell’allora Giro della Provincia, divenuto nel 1971, Rally 4 Regioni, gara in cui Fiori debuttò come co-pilota nel 1976. Fu quella la gara d’esordio di una carriera agonistica tutt’ora in corso. Al di la della bravura come co-pilota, divenuto un po’ la chioccia di giovani talentuosi piloti della nostra provincia come Filippo Musti negli anni ’70, Marco Carrera e Alberto Bruciamonti negli anni ’80, Matteo Musti negli anni ’90 e Riccardo Canzian nel 2015, occorre sottolineare che da 9 anni a questa parte è leader indiscusso della Scuderia Piloti Oltrepò, una delle più belle e prestigiose realtà sportive provinciali. A Fiori chiediamo: Cosa significa essere leader per così lungo tempo di un gruppo e qual è il segreto per renderlo sempre più prestigioso? «Il vero leader non è il più forte o il più bravo, ma è quello che aiuta gli altri ad essere più forti e più bravi. Io presiedo un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune. Lavorando tutti con la stessa passione e uguale impegno si può raggiungere ciò che ad altri può sembrare impossibile. Essere leader significa anche mettere in campo passione, impegno e molta serietà, utile a trasmettere un’immagine positiva di questo sport. Significa offrire spunti, consigli e insegnamenti ai giovani che vogliono avvicinarsi all’automobilismo sportivo, offrendo loro corsi adeguati per la preparazione alle gare.

Nel febbraio 2011 sono stato uno dei promotori nella nascita della Scuderia Piloti Oltrepò che ho l’onore di rappresentare come presidente dal 2012. In questo lasso di tempo, con i miei collaboratori, applicando quanto detto, abbiamo promosso parecchie iniziative portate poi a termine con successo, dai circuiti cittadini di Santa Maria della Versa a quello nell’area industriale di San Cipriano Po, dai 5 corsi navigatori con la partecipazione di 100 iscritti, dei quali il 25% portati al debutto agonistico. Siamo stati in appoggio ad ACI Pavia nella riedizioni, per 2 anni, dello Slalom del Monte Penice, per giungere fino all’organizzazione del Rally day Valleversa nel 2018 e del 4 Regioni Trofeo Valleversa moderno lo scorso anno».

L’attuale situazione sanitaria vi ha suggerito di rinviare il convivio annuale con i vostri piloti, sostenitori e stampa in programma per lo scorso 29 febbraio, occasione in cui, abitualmente, illustrate i programmi per la nuova stagione. Possiamo avere delle anticipazioni? «Purtroppo è stata una decisione presa a malincuore, ma doverosa, quella di annullare la conviviale che verrà riproposta non appena la situazione lo permetterà. In quanto alle anticipazioni, posso dire che con il nostro consiglio direttivo abbiamo messo al vaglio parecchie cose, tra cui, rifare il corso navigatori, organizzare una giornata di test per auto in allestimento gara, ma soprattutto, dopo le dovute valutazioni al nostro interno e con il Presidente ACI Pavia Marino Scabini, vorremo

riproporre, però nel 2021, il Rally Valleversa nella tipologia che andremo a verificare in base ai regolamenti in atto». Ora veniamo a Giuseppe Fiori rallysta. Abbiamo fatto il conteggio, con riserva d’inventario ovviamente, dei piazzamenti che ha ottenuto in gare di primaria importanza e ci risulta che ha colto 2 vittorie assolute, 5 secondi e 3 terzi posti, 13 piazzamenti nella top five, 17 nella top ten. Poi, quando le classi erano affollatissime, ha ottenuto 11 vittorie, 9 secondi posti e 4 terzi. Quali sono stati i punti salienti di un’attività sportiva iniziata più di 40 anni fa e portata avanti fino al 2018, seppure tra fasi alterne e lunghi periodi di interruzione? «La mia attività agonistica ha segnato il debutto nel 1976 al 4 Regioni con Filippo


MOTORI Musti e la Fiat 124 Abarth gruppo 4. Con Filippo ho corso fino al 1986 con Fiat 131 Abarth, Porsche 911 gr.4, Porsche 3300 turbo, Lancia 037 e una partecipazione nel 1983 al Rally Barum con la Opel Ascona gr.2. Tra le tante gare ricordo il 5° posto all Valli Piacentine del 1981; il 2° al Colline Oltrepò del 1982 anno in cui c’è stato il 5° al Città di Alessandria, il 9 al 4 Regioni e il 9° al Rally di Monza. Sempre nell’82 ricordo con piacere la partecipazione a 2 gare del Trofeo A112 Abarth ottenendo un 6° assoluto al Costa Smeralda con Giulio Trezzo e il 2° assoluto al Colline di Romagna con uno straordinario Marco Carrera. Non posso certo scordare il 1983 con la vittoria al Colline Oltrepò e per la seconda volta consecutiva il 9° posto al 4 Regioni nell’edizione vinta da BiasionSiviero con la Lancia 037, vettura con la quale nel 1985 vinsi nuovamente il Colline Oltrepò, sempre con Filippo Musti. Un ricordo che invece mi ha lasciato l’amaro in bocca, è stata la mancata vittoria, (che sembrava ormai cosa fatta), al 4 Regioni del 1986, uscendo di strada nella terzultima PS con la Lancia 037. Nel 1990 e 91 ho corso con Nico Zavattoni sulla Ford Sierra Cosworth gruppo N e Lancia Delta, sempre di gr.N. Nel 1994 portai al debutto Matteo Musti al Rally Oltrepò concludendo 30° assoluto e 2° di classe con la Pegeout 106 N2 cc.1300, staccando un fantastico 8° tempo sulla Scaparina nel diluvio universale, sempre con Matteo si fece anche un 5° di classe al Valli Imperiesi con la Opel Corsa N2 1600. Con Musti Junior sono tornato a correre nel 2003 con un bellissimo 2° posto assoluto al Rally di Lecco con la Clio gr.A, seguito nel 2004 dal 4° posto assoluto al Rally di Como con la Pegeout 206 WRC valido per il Trofeo rally Asfalto. Nuovo ritorno al fianco di Matteo Musti nel 2011 con il 3° assoluto è 1° del 3° raggruppa-

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Giuseppe Fiori e Matteo Musti

mento al Rally 2 Valli storico, risultato che ripetemmo nel 2012 sempre con la Porsche 911SC. Nel 2015, al Rally Motor Show storico portai al debutto come pilota Beniamino Lo Presti su Porsche 911SRS finendo 2° assoluto è 1° del 2° raggruppamento. Altra grande soddisfazione ci fu al 4 Regioni con un altro giovane di grande talento, Riccardo Canzian e la sua Opel Kadett gr.4 in cui si colse il 3° posto assoluto e 1° di classe in una gara per lungo tempo

si cullò il sogno d vittoria, infranto dalla rottura di un cerchio. Al Vedovati storico tornai a fianco di Filippo Musti finendo 2° assoluto e 1° del 3° raggruppamento con la Porsche 911SC. L’anno seguente, 2016, a 40 anni dal debutto mi ritrovai nella stessa gara, il 4 Regioni e con lo stesso pilota, Filippo Musti, finendo 10° assoluto con la Porsche 911SC. Nel 2018, al fianco di Matteo sulla Clio Gruppo A partecipai alla prima edizione del Valleversa. La gara, purtroppo per noi durò pochissimo».

Rammarichi e soddisfazioni? «Tantissime belle soddisfazioni ma anche 2 grossi rammarichi: aver sfiorato per ben 2 volte la vittoria nel 4 Regioni e non aver ottenuto una vittoria assoluta con Matteo”. Invece, una bellissima soddisfazione, tra le tante, a livello personale, essendo stato al suo fianco nel giorno del debutto, vedere nel 2013 Matteo Musti diventare Campione Italiano Rally Storici» di Piero Ventura



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DAVIDE NICELLI SVELA I SUOI PROGRAMMI

Davide Nicelli

Dopo aver ritirato i premi conquistati nel 2019, consegnati lo scorso 9 febbraio da Aci Italia in una mega cerimonia di premiazione tenutasi presso il Monza ENI Circuit, in cui al driver stradellino, Davide Nicelli ed il suo navigatore, Alessandro Mattioda, sono stati conferiti i riconoscimenti per il 2° posto ottenuto nel Campionato Italiano Rally 2 Ruote Motrici, la coppa ACI per il primo posto nel 2 Ruote Motrici Junior e quella per il primo posto tra gli Under 25, il pilota oltrepadano ha svelato i suoi programmi per la stagione in corso. «La scelta di quale macchina utilizzare quest’anno e il Campionato o Trofeo a cui partecipare, non è stata facile, visto che dopo la buona stagione dello scorso anno ho avuto diverse chiamate da più team – ha detto Nicelli – La possibilità era il passaggio su di una vettura R5 (probabilmente una Hyundai o una Skoda) nel CIRA, oppure utilizzare la nuova Clio R1 nel Campionato Italiano Rally R1 e partecipare al trofeo Renault, o invece con la 208, vettura già utilizzata gli anni scorsi, perché la nuova per i trofeisti sarà disponibile solo a partire dal 2021 e rifare il trofeo Peugeot e il due ruote motrici nel CIR come lo scorso anno. Dopo un’attenta analisi e diverse valutazioni, abbiamo deciso di rimanere legati a Peugeot, ripresentandoci per il terzo anno nel CIR per giocarci il Trofeo Peugeot e il due ruote motrici. Disputeremo tutto l’italiano tranne probabilmente il Sardegna, perché non valido per il nostro torneo. Credo di aver fatto la scelta migliore per quest’anno e per la mia carriera, perché penso di avere le carte in regola per poter vincere entrambi i campionati visto che l’anno scorso ci siamo andati molto vicino. Questa scelta la ritengo obbligata perché, prima di passare su di una vettura R5 in un contesto importante come il CIR, voglio provare a vincere e dimostrare il mio valore con una macchina piccola. Al di

A sinistra Alessandro Mattioda e Davide Nicelli, alla premiazione di ACI Italia

la di ciò, sicuramente qualche gara spot con una R5 la disputerò quest’anno. Questo non vuol dire che sarà una stagione facile perché dovrò misurarmi con piloti veloci e competitivi magari anche con più esperienza e tutti con le carte in regola per dire la loro in ogni gara. Bisognerà munirsi di umiltà e spirito di sacrificio dall’inizio alla fine del campionato se si vuole puntare in alto. Poche quindi le novità dallo scorso anno, al mio fianco sul sedile di destra sarà sempre Alessandro Mattioda e sarò nuovamente seguito e supportato dalla scuderia La Superba. L’unica novità sarà invece il Team con cui correrò; il toscano MM Motorsport,

che ritengo uno dei miglior team d’Italia e non solo, marchiato Peugeot, questo grazie agli sponsor, a mio padre e a tutte le persone che mi hanno permesso di ripresentarmi ai nastri di partenza della massima serie in Italia: il CIR. Avrei voluto togliermi un po’ di ruggine invernale a fine febbraio al Rally del Canavese, dove per l’occasione avrei dovuto gareggiare con una Clio S1600 del Team Erreffe, una voglia che volevo togliermi da tempo, visto che sono innamorato di quella macchina, ma la situazione sanitaria, alquanto preoccupante, che si sta delineando sul territorio, ha portato all’annullamento della manifestazione. Nessuna gara test

quindi». In relazione alla pubblicazione del Dpcm del 9 marzo 2020 recante nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale, e in base alle indicazioni della Giunta Nazionale del CONI, la Giunta Sportiva di Automobile Club d’Italia, ha deciso di sospendere tutte le gare di ogni disciplina dell’automobilismo sportivo su tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile, e tutte le attività di qualsiasi livello riconducibili al mondo del motorsport in ambito ACI Sport. di Piero Ventura


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ARGENTO PER MOMBELLI-LEONCINI AL VAL D’ORCIA STORICO Inizia con il piede giusto il Campionato Tricolore storico terra per gli oltrepadani Domenico Mombelli e Marco Leoncini capaci di cogliere l’argento nella gara d’apertura del torneo tricolore. Sono invece Mauro Sipsz, Monica Bregoli e la Lancia Stratos a dominare il II Rally Val d’Orcia Storico, gara del debutto per il Campionato Italiano Rally Terra Storico 2020, gara in cui, come detto, gli oltrepadani Domenico Mombelli e Marco Leoncini, a bordo della Ford Escort MK1 by CVM, si sono resi protagonisti di uno spettacolare secondo posto assoluto alle spalle dell’imprendibile “regina dei rally”. La splendida vettura di II Raggruppamento di Sipsz ha incantato il pubblico sin dal taglio del nastro nell’appuntamento inaugurale della nuova serie nazionale firmata ACI Sport. Grazie ad una prova esemplare la coppia Sipsz-Bregoli, già vincitrice dell’ultimo Trofeo Rally Terra 2019, si candida così per la corsa al titolo italiano. L’evento organizzato dalla Radicofani Motorsport ha offerto spettacolo anche grazie alle storiche, partite appunto in testa al gruppo delle 101 vetture iscritte, che non hanno risparmiato polveroni e traversi sugli sterrati della provincia senese. Ne è uscita una prestazione da applausi con sei scratch su sei crono. Un piacere per gli occhi e le orecchie di appassionati e non che hanno potuto osservare e sentire all’opera il motore della Lancia protagonista del Mondiale Rally negli “anni d’oro” della casa torinese. Prima quindi la Stratos, alle loro spalle la Ford Escort MK1 RS2000 nei colori Paviarally di Domenico Mombelli e Marco Leoncini. Il driver dell’Oltrepò Pavese ha ripreso subito nel migliore dei modi la sua nuova esperienza nella competizione e prova dopo prova è riuscito a ritrovare la quadratura della vettura dell’ovale blu già alla prima di Campionato, fino a centrare il secondo posto regalando spettacolari traversi ad un foltissimo pubblico accorso. Riviviamo la gara degli oltre padani nel racconto di Marco Leoncini il quale dice: «Il fondo non è bellissimo, in particolare la PS Radicofani è una mulattiera. Superiamo le verifiche senza patemi e facciamo quel trasferimento nel tardo pomeriggio che sa più di passerella ma tant’è che lo utilizziamo per provare il cambio nuovo 5 marce montato da CVM. È la prima volta che lo usa “Russel” alias Domenico Mombelli, ha le marce opposte al vecchio cambio, troverà difficoltà a ricordare che la seconda è in alto, soprattutto quando decide di traversare. Iniziamo con il nostro solito ritmo, la PS è corta e dobbiamo trovare feeling in fretta... il tempo è buono... cosi via fino

CLASSIFICA FINALE RALLY STORICO DELLA VAL D’ORCIA: 1. Sipsz-Bregoli (Lancia Stratos) in 44’02.2; 2. Mombelli-Leoncini (Ford Mk1 Escort Rs 200); a 5’02.8; 3. Rocchieri-Rocchieri (Opel Kadett) a 6’38.2.

L’Equipaggio Mombelli - Leoncini al via

Mombelli - Leoncini sul 2° gradino del podio

a quando vediamo in un incrocio Nerobutto fermo con l’Ascona 400 in attesa di assistenza, ha rotto il motore sapremo dopo... siamo dispiaciuti, è una persona molto alla mano e un gran pilota... Così, come si mettono le cose possiamo puntare al secondo posto. La VW Golf dietro noi di pochi secondi prova ad affondare l’attacco, ma “Russel” fa un tempone che ci colloca al secondo posto. Successivamente la Golf picchia nell’inversione di Radicofani, noi siamo applauditi dal pubblico proprio lì grazie ad un super traverso. Il rally è praticamente finito, Rocchieri non ci preoccupa e l Opel corsa del sammarinese è costretta al ritiro per la rottura del cambio. Sulla prima speciale da annotare il cappottamento dell’altra Ford. Riusciamo a guadagnare un podio da secondi assoluti, ora Virus permettendo, ci aspetta il Valtiberina. Buona organizzazione, strade non al meglio, pubblico notevole e pure qualche intervista». Terzi sul podio Marcello e Luca Rocchieri. Anche loro sono partiti con qualche af-

L’Equipaggio “Flo” Caushi - Luigi Bariani

fanno di troppo con la loro Opel Kadett e hanno ripreso alla lunga il passo di gara fino a centrare la vittoria per il III Raggruppamento. Le selettive speciali del Rally Val d’Orcia hanno messo a dura prova le storiche. “Una vera battaglia” come ribadito al traguardo da Pietro Turchi che, affiancato da Carlo Lazzerini, ha compiuto un’autentica impresa riportando la sua Fiat 125 S di I Raggruppamento nel centro di Radicofani, con il quarto posto assoluto in tasca, nonostante i problemi alla pompa della benzina sofferti da metà gara in poi. Ora il Campionato Italiano Rally Terra Storico ha stoppato la sua corsa, da definirsi la data del secondo dei sei round in programma, sospeso il III Rally Storico Arezzo e Crete Senesi Valtiberina che si sarebbe dovuto correre dal 21 al 23 marzo. Alle spalle delle vetture storiche c’è stata la prova valida per il Raceday in cui il driver albanese di nascita ma oltre padano d’adozione, Florenc Caushi, al debutto assoluto su terra e Luigi Bariani alle note sulla Fiat 600 nei colori dell’Efferre

Motorsport. Caushi aveva deciso che il 2020 fosse l’anno giusto per provare la terra, l’occasione era nel farlo con i famosi sterrati toscani. La formula del challenge Raceday prevede una gara compatta con spese limitate e cosi Florenc Caushi e Luigi Bariani si sono presentati al via del Rally val d’Orcia ed hanno tagliato ottimamente il traguardo. Un debutto pieno di incognite ma nel corso della gara ha permesso a “Flo” di capire la terra e divertirsi vincendo anche la classe di riferimento ed entrando nella Top Ten del gruppo A con la piccola Fiat 600. «Lo rifarei subito» le parole del pilota albanese che vive nell’Oltrepò pavese da anni «Mi è piaciuto molto come gara, mi sono divertito, chissà magari ci rivedrete ancora su terra». Florenc e Luigi hanno costantemente migliorato nella ripetizione delle tre prove, abbassando i tempi del primo passaggio di - 3”5 sulla ps di San Casciano, poi – 4”6 sulla Piancastagnaio ed infine – 14”5 sulla Radicofani. di Piero Ventura


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10° LessiniaSport, BENE DOMENICO E BARBARA GREGORELLI Con un finale in crescendo, Domenico e Barbara Gregorelli a bordo dell’Opel Manta 1.3 curata dalla CVM di Marco Vecchi, rimontano 20 posizioni e chiudono la gara al 22° posto assoluto e 2° di classe la decima edizione del Lessinia Sport che ha contato 93 equipaggi al via. è il 15 febbraio quando per Paviarally si apre ufficialmente la stagione agonistica con una trasferta in terra veneta, dove, come detto in apertura, si registra l’ottima prestazione di Domenico e Barbara Gregorelli nell’ appuntamento di apertura del Trofeo Tre Regioni di Regolarità Sport, in cui, i portacolori di Paviarally ottengono un risultato che li esalta in ottica del prosieguo dell’annata agonistica. Un simile risultato ottenuto in casa degli specialisti della disciplina, con quasi 100 equipaggi in gara, non é certo roba da poco. Per i primi dieci anni della gara veneta di regolarità sport si sfiora la centuria di iscritti con grande soddisfazione dell’organizzazione. Ovviamente diventa impossibile citare tutti i protagonisti o le vetture di pregio, dato l’importante livello degli equipaggi giunti a Bosco Chiesanuova a sfidarsi nei rilevamenti al centesimo di secondo, posti al termine di ciascuna delle nove prove cronometrate. Ma un piccolo tentativo lo facciamo partendo da colei che sicuramente ha avuto la maggior parte degli occhi puntati addosso, ovvero, la Lancia Stratos di “Febis”Finotti (Team Bassano) in livrea “Le Point”, così come per la Toyota Celica di Gasparini-Tommasi (New Rally Team) replica Sainz Rally El Corte Ingles 1988. Rara e ancora una volta al via del Lessinia Sport la Skoda 1000MB di Martin e Petr Uhrik (Murallyng Classic) proveniente dalla Repubblica Ceca e via ancora con le Ford Escort e Sierra, le tante BMW, la Fiat con la 131, 124 e 127, le Fulvia, le A 112, poi le numerose Opel Kadett e Man-

Prova n° 7; Domenico e Barbara salgono al 30° posto confermando il 2° di divisioni portando a 42 centesimi il margine sul terzo di categoria. Con due prove finali in grande spolvero, Domenico e Barbara recuperano in queste ben otto posizioni chiudendo alla grande l’impegnativa gara veneta e mettendo in bacheca di Paviarally la coppa riservata al 2° classificato nella combattutissima divisione 6. Il 10° Lessinia Sport va in archivio con la vittoria di Andrea Giacoppo e Nicola Randon, che sulla Lancia Fulvia HF del Team Bassano hanno finalmente centrato l’affermazione nella regolarità sport organizzata dal Rally Club Valpantena e valida per il Trofeo Tre Regioni e per la Coppa Regolarità Sport by Pro Energy Motorsport. Il pilota vicentino ha così chiuso un cerchio, dopo aver conquistato nelle ultime

quattro edizioni quattro piazzamenti sul podio: due volte terzo nel 2016 e 2017 e due volte secondo nel 2018 e 2019. Al secondo posto hanno chiuso Mauro Argenti e Roberta Amorosa (Porsche 911T/ Scuderia Palladio Historic), già vincitori al LessiniaSport nel 2016. Terzo posto e primo di 4^ Divisione per il vincitore dello scorso anno, Leonardo Fabbri, questa volta in equipaggio con Luca Taesi su Volvo 144S. Poca fortuna invece per l’equipaggio di Ruino, Daniele Ruggeri e Martina Marzi impegnati nel 2° Rally Lessinia Historic. I portacolori della Media Rally Promotion in gara con la Fiat 127 Sport, abitualmente bravi a fornire grandi prestazioni, sono stati invece costretti al ritiro per guasto meccanico già sulla prima prova speciale.

La premiazione di Barbara e Domenico Gregorelli

ta, tra cui quella dell’equipaggio pavese di cui vediamo il loro cammino. Domenico e Barbara Gregorelli sono 33esimi assoluti e terzi di divisione dopo il PC1. Al termine del PC2, GregorelliGregorelli perdono parecchie posizioni, occupano la 41esima piazza assoluta confermando però il terzo posto di divisione. Sulla Terza prova, i Gregorelli-Gregorelli si portano in 40esima posizione confermando sempre il terzo posto di classe incalzati da vicino dagli immediati antagonisti. Gregorelli é in recupero sul quarto tratto cronometrato, sale al 36° posto assoluto ed al secondo di divisione. Altre quattro posizioni le recupera sul quinto PC in cui sale al 32° posto confermandosi al secondo di divisione. Nella prova numero 6, Gregorelli cede una posizione ora é 33° si conferma però al secondo posto di divisione con 20 centesimi sull’immediato inseguitore quando mancano 3 prove al termine.

L’Opel Manta di Gregorelli - Gregorelli

di Piero Ventura



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RALLY IN PILLOLE RALLY STORICI MOMBELLI-LEONCINI PREMIATI A MONZA Il 2020 è iniziato bene per Paviarally, infatti il 7 febbraio scorso presso Monza ENI Circuit si è tenuta la Premiazione dei Campioni dell’Automobilismo 2019. Due giornate dedicate tutte al motorsport e ai campionati Italiani andati in scena nella passata stagione. Con il Presidente della Commissione Autostoriche Paolo Cantarella a fare gli onori di casa, i primi ad essere premiati sono stati i numerosi i protagonisti delle Autostoriche. Come avvenuto nella passata stagione, la cerimonia si é svolta presso le prestigiose strutture del tempio della velocità Due le giorna-

EFFERRE TROPHY 2020 SALVIOTTI PUNTA ALL’EFFERRE TROPHY Dopo una stagione 2019 dal bilancio molto positivo, Andrea “Tigo” Salviotti è pronto per la stagione 2020. Il suo obiettivo primario sarà quello di impegnarsi nel campionato Efferre Trophy 2020 promosso dalla scuderia di Zavattarello che prevede quattro appuntamenti. Il trofeo avrebbe dovuto prendere avvio dal Motor Rally Show Castelletto Circuit del mese di Marzo a cui avrebbe fatto seguito il Rally Castelli Piacentini, il Rally del Piemonte e il Rally ronde Città dei Mille. Salviotti, che molto probabilmente avrà al suo fianco la bella e brava Susy Ghisoni, sarà sicuramente al volante di una vettura marcata Abarth per tutte le gare valide ed eventualmente anche due gare extra campionato da definire strada

te di festa dedicate dall’Automobile Club d’Italia ai suoi protagonisti con oltre 900 premi e numerosi riconoscimenti importanti dedicata ai migliori piloti dei campionati ACI Sport 2019, tra cui il driver di Zavattarello Domenico Mombelli e il varzese Marco Leoncini, equipaggio di punta del team, i quali hanno brillato nel Trofeo Terra Rally Storici imponendosi nel Secondo Raggruppamento, Classe fino a 2000cc a bordo della Ford Escort MKI curata da Marco Vecchi nella struttura CVM. La consacrazione dei portacolori del team pavese é venuta all’ultima gara, al Rally Tuscan, in cui, pur rallentati pesantemente da problemi alla frizione, sono riusciti ad ottenere un’importante vittoria di classe. Un vecchio adagio recita: “Se il Buongiorno si vede dal mattino…”. di Piero Ventura

Da sinistra Marco Leoncini e Domenico Mombelli, premiati al Monza ENI Circuit

facendo. «Ho deciso di seguire il Trofeo promosso della mia scuderia d’appartenenza, che reputo molto interessante e basato su gare molto belle – ha detto Salviotti – sto anche valutando di inserire nei miei programmi una gara ad alto livello a fine stagione. Vedremo come si evolverà l’annata» di Piero Ventura

AUTO D’EPOCA ECCO IL CAMPIONATO TARGATO VCCC. Il Veteran Car Club Carducci di Casteggio che a breve tornerà con la sua sede a Voghera, città in cui è nato negli anni ’80, ha reso noto le gare valide per l’assegnazione dell’ambito campionato sociale. Il torneo riservato alle vetture d’epoca scatterà il 15 marzo con il Giro delle 2

Andrea Salviotti con il presidente Efferre, Riccardo Filippini.

Regioni, a cui farà seguito il 19 aprile la Coppa della Lomellina, quindi il 9 maggio Oltrepo Anciennes, 21 giugno Giro della bassa Lomellina e del Siccomario, 13 settembre Memorial Antonio Conten-

to, per concludersi il 18 ottobre con l’ormai classico appuntamento con il Corvino Storico. di Piero Ventura





L’Oltrepò sfida il Coronavirus della vitivinicoltura locale con la grande ammucchiata

Anno 14 - N° 152 MARZO 2020

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PRENDIAMO LE DISTANZE… ANCHE QUELLE VIRTUALI

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varzi SANTA MARIA DELLA VERSA

pagina 41

L’appello: «Lo Stato ci aiuti o non riusciremo a ripartire» Abbiamo voluto ascoltare alcuni titolari di attività e commercianti di Santa Maria della Versa, i quali ci hanno spiegato quali misure hanno dovuto... pagine 52 e 53

VERRUA PO Giovanissimo hairstylist verruese approda al Festival di Sanremo Alessandro Scuteri è un hairstylist, ha 22 anni e ha da poco festeggiato un anno di attività: ha aperto il suo salone a Verrua Po nel dicembre... pagina 39

MORNICO LOSANA

Il patron di Monsupello: «L’Oltrepò rinunci a mediatori e maxi rese impossibili sulle nostre colline»

pagine 32 e 33

Il castello, tra le residenze signorili meglio conservate di tutto l’Oltrepò

COLLI VERDI Lodigiani: «Lontano dai grandi centri ci siamo scoperti più uniti»

Ma in tutti questi anni i nostri politici non si sono accorti di nulla? Preoccupante. Non era facile riuscirci, ma gli ultimi eventi, in primis l’allarme sanitario in atto, poi l’ennesimo ultimo scandalo del vino, le strade... pagina 4

pagina 3

«In azienda nessuno sapeva nulla, tutto era gestito da poche persone»

pagina 34

OLTREPò IN CRISI?

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Cantina di Canneto

Da diversi anni ambita location per cerimonie nuziali ed eventi di ogni tipo. Abbiamo intervistato Elena Colombari che, insieme alla sorella Ilaria...

è passato poco più di un anno da quando Ruino, Canevino e Valverde si sono uniti diventando, a livello amministrativo, un’entità sola: era il... pagina 29

Nei quattordici anni di vita del nostro giornale, questo è il numero più difficile da mandare alle stampe. Ci siamo chiesti se fosse il caso di uscire comunque e, nel caso, di che cosa parlare. Alla prima domanda ci siamo risposti di sì e abbiamo deciso di farlo sia per noi che per i nostri lettori, per dare un segnale di “resistenza” in un momento di grossa difficoltà. Considerando che questo giornale si finanzia solo attraverso la pubblicità e che la maggior parte dei nostri inserzionisti sono attività commerciali, comprendete bene come magari sarebbe stato più facile e conveniente tirare giù la clèr a questo giro. Ma il nostro dovere è anche e soprattutto quello di offrire un servizio ai cittadini ed è quello che abbiamo deciso di continuare a fare. Questa prima decisione ci ha portati al secondo dilemma: parlare o no del virus? Se sì in quali termini? A chi dare voce? Come farlo? Già ne parlano tutti, ovunque e sempre. Abbiamo pensato che l’ennesimo foglio tempestato da foto di mascherine, dati e chiacchiere sul virus non fosse quello che serviva.

il Periodico

Piazza Italia, proseguono gli sfratti per liberare le palazzine Il Comune di Broni ha avviato il procedimento per l’apposizione del vincolo espropriativo dei palazzi di Piazza Italia e via Leonardo da Vinci...

Servizi ad hoc per le fasce deboli: «Comune sempre in prima linea» I servizi sociali sono da sempre un fiore all’occhiello per il Comune di Stradella. Le varie amministrazioni che si sono succedute alla guida della città hanno, infatti, sempre riservato ampio spazio a questo settore. Dal maggio 2019 anche la giunta capitanata dal sindaco... pagina 47

pagine 48 e 49

Editore


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