Anno 13 - N° 139
Oltrepò & Wine: definirsi i migliori, senza lasciare ai consumatori l’ardua sentenza
FEBBRAIO 2019
20.000 copie in Oltrepò Pavese
pagina 13
Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV
RIVANAZZANO TERME Rivanazzano Terme: tangenziale sì, tangenziale no?
pagine 18 e 19
varzi «Ho iniziato come disegnatore meccanico alla Lawil»
Luigi Ginelli, varzese, classe 1953, non è un semplice esperto di musica. Per molti anni è stato un vero e proprio punto di riferimento... pagine 26 e 27
BRESSANA BOTTARONE Lorenzo Piccioni, fondatore di 235 gruppi Facebook con 196.000 utenti
Abbiamo incontrato Lorenzo Piccioni, 49 anni, di Bressana Bottarone. Il suo nome probabilmente dice qualcosa a molti abitanti dell’Oltrepò... pagina 43
BASTIDA PANCARANA
pagina 42
BRALLO DI PREGOLA Strade d’Oltrepò, il “panettiere volante” in difficoltà
La storia di Fabio Vergagni, il “panettiere volante” (o “Pan Man” in versione supereroistica) del Brallo di Pregola, ridefinisce il concetto... pagine 26 e 27
CALVIGNANO «Il nostro paese è bello, accogliente, ordinato, un borgo tutto da vivere» Il nome di Marco Casarini è legato indissolubilmente al paese di Calvignano. L’attuale primo cittadino, infatti, ha un passato da assessore dal 1997... pagina 31
Comitato “Borgo Antico del Pistornile”
«La situazione è in “stile Caracas”» La parte più antica della città di Casteggio sorge su un colle detto Pistornile e sulle sue pendici. Ancora oggi questa zona rappresenta la storia casteggiana e conserva le tradizioni culturali della città. Da qualche tempo però, il Pistornile versa in una situazione di degrado, tant’è che alcuni abitanti di Casteggio e non, hanno deciso di fondare un vero e proprio Comitato per salvaguardare e riqualificare questo pezzo storico della città. Il Presidente del Comitato “Borgo Antico del Pistornile” è l’avvocato Pier Francesco Fasano. è proprio lui a raccontarci come è nata questa associazione e come intende agire per il bene del Pistornile... pagina 35
L’Oltrepò come tante altre zone d’Italia presenta diverse criticità e problemi, problemi che per un po’ di mesi sembravano passati in secondo piano, surclassati dal tema immigrazione. Ora che il tema immigrazione, a parte qualche piccolo sbalzo, sembra stia passando di moda, l’Oltrepò si ritrova a fare i conti con i suoi vecchi problemi. Il problema che sicuramente “rompe di più le palle” alla gente è lo stato delle strade. Le strade oltrepadane sono effettivamente ed oggettivamente in uno stato pietoso e la gente è stufa di sfasciare le proprie auto per colpa di buche, che il più delle volte sono crateri. Sui social, sui giornali e nei bar, ogni giorno... pagina 3
Greenway Voghera -Varzi «Ci auguriamo che tutti i fondi vengano utilizzati al meglio»
news
oltre
Svolta “verde” a Bastida: le colture convertite al Bio Svolta “verde” nel Comune di Bastida Pancarana. Il paese imbocca la strada ecologica con le aziende agricole che si convertono al Bio...
La Lega vogherese ambisce a un posto al sole in vista delle prossime elezioni. A Palazzo Gounela siede ancora «(pier)felicemente» all’opposizione, ma il capogruppo in consiglio comunale Piefelice Albini non fa nulla per nascondere l’ottimo momento di forma del Carroccio. A chiedergli di candidature e alleanze... pagina 4
In Svizzera si mangia il formaggio con i buchi, in Oltrepò si viaggia in strade con le buche
il Periodico
Si torna a parlare di una nuova tangenziale a Rivanazzano Terme. Il progetto, mai abbandonato dalle amministrazioni comunali...
«Forza Italia? Nel 2020 potrebbe non esistere più»
La maggior parte della popolazione non riesce ad attribuire più alcuna importanza all’ambiente circostante e questa mancanza di sensibilità nei confronti della natura si rispecchia di conseguenza sulle amministrazioni, le quali promuovono interventi sul territorio che non rispettano i principi ecologici e biologici che stanno alla base della vita e del sostentamento umano. Il risultato è l’esistenza di distese chilometriche... pagine 14 e 15
Editore
ANTONIO LA TRIPPA
il Periodico News
FEBBRAIO 2019
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In Svizzera si mangia il formaggio con i buchi, in Oltrepò si viaggia in strade con le buche… L’Oltrepò come tante altre zone d’Italia presenta diverse criticità e problemi, problemi che per un po’ di mesi sembravano passati in secondo piano, surclassati dal tema immigrazione. Ora che il tema immigrazione, a parte qualche piccolo sbalzo, sembra stia passando di moda, l’Oltrepò di ritrova a fare i conti con i suoi vecchi problemi. Il problema che sicuramente “rompe di più le palle” alla gente è lo stato delle strade. Le strade oltrepadane sono effettivamente ed oggettivamente in uno stato pietoso e la gente è stufa di sfasciare le proprie auto per colpa di buche, che il più delle volte sono crateri. Sui social, sui giornali e nei bar, ogni giorno si parla delle buche delle strade dell’Oltrepò, buche che effettivamente indignano e che anche se ogni tanto vengono rattoppate alla “bel e meglio”, rendono pressoché tutte le strade dell’Oltrepò uno schifo e non c’è cittadina o paese oltrepadano che si salvi. Il problema si acuisce di più nella brutta stagione: qualcuno dà la colpa al traffico eccessivo, qualcuno alla pioggia o neve che sia, qualcuno al sale che viene cosparso per evitare il gelo e in questi qualcuno, che distribuiscono colpe a destra e a manca, ci sono anche gli amministratori pubblici. A dire il vero non ho ancora sentito o letto di un amministratore pubblico che si sia assunto la responsabilità di lavori stradali non fatti o meglio ancora, che si assume la colpa per quei pochi lavori fatti ma… con i piedi (per essere buoni). Eppure a mio modesto giudizio la verità è proprio questa: una manutenzione ordinaria di strade e di fossi fatta ogni tanto e così tanto per farla e una manutenzione straordinaria che non viene più eseguita da almeno 20 anni. È chiaro che se non vengono fatte nè la manutenzione straordinaria né quella ordinaria, le strade collassano, con gravi ripercussioni sulla viabilità, sulla sicurezza e sull’incolumità degli automobilisti oltrepadani che per lavoro, purtroppo per loro, le devono percorrere ogni giorno. Anche a me personalmente è capitato e per ben tre volte in un anno, di dover cambiare tre pneumatici ed un cerchione perché “ho preso” delle buche. Andando dal gommista lo stesso mi ha confermato che ogni giorno è un pellegrinaggio di automobilisti che devono cambiare gomme, cerchioni o ammortizzatori per problemi causati dalle buche. In Oltrepò le buche aumentano e si moltiplicano di giorno in giorno ed ormai hanno reso le strade non più come dei campi da golf dove c’è una buca ogni tot metri, ma le hanno rese come una fetta di formaggio Emmenthal, dove i buchi, in questo caso le buche, sono a distanza di pochi centimetri le une dalle altre. La cosa ha dell’incredibile perché la categoria degli automobilisti, motociclisti e camionisti è una delle più tartassate in Italia, categorie che pagano
svariati milioni di euro annui tra accise e imposte varie, per avere in cambio strade che sono dei colabrodo. Ma la speranza è l’ultima a morire: tra qualche mese ci saranno le elezione europee e quelle comunali in diversi paesi dell’Oltrepò, per cui in molti confidano nella cosiddetta , “asfaltatura pre elettorale”, asfaltatura che come avrebbe detto Paolo Villaggio nel mitico film Fantozzi: “Ha la sinistra caratteristica di essere un velo di asfalto che dura dal venerdì prima del voto al lunedì dopo lo spoglio”. Effettivamente questa è la realtà: quando ci sono le elezioni, in molti paesi o meglio in quasi tutti, viene messo uno speciale tipo di asfalto, un asfalto “usa e getta”, l’asfalto elettorale. A livello nazionale ci sono statistiche che dicono che ad inizio anni 2000 si usava una quantità di asfalto espressa in metri cubi di circa il doppio di quella attuale, questo cosa vuol dire? Le strade sono diminuite? No, sono aumentate. L’asfalto dura di più? No, alla luce della situazione del manto stradale, direi proprio di no. La realtà è che le amministrazioni pubbliche investono sempre meno, ma anche lo strato dell’asfalto steso è inferiore rispetto a prima. E qui ci sarebbe sicuramente il tecnico, il geometra di turno che controbatterebbe: “Eh no, l’asfalto steso è ben specificato nei capitolati e non è inferiore rispetto a prima etc. etc. etc. ”... E qui una maligna e magari infondata riflessione sorge spontanea, e non solo a me, ma a moltissimi, è una voce ricorrente, la si sente spesso durante le cene tra amici, la si sente nei bar e soprattutto la si sente tra le maledizioni che, a destra ed a manca, lo sfortunato automobilista spara dopo aver “preso” una buca. La riflessione è semplice: “Fanno i lavori con i piedi e chi deve controllare non controlla”. Non voglio spezzare una lancia a discolpa dei politici ma è altrettanto vero, e le cronache d’Italia sono piene di queste notizie, pertanto usando una citazione che viene solitamente ed erroneamente attribuita ad Andreotti, ma che appartiene a Pio XI: “A pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina”, forse anche i tecnici preposti al controllo dei lavori stradali….forse… magari… nehhh vero… non
sempre controllano con la dovuta attenzione. Sarà altrettanto vero che i politici per scelta, per costrizione o per incapacità non mettono a disposizione le risorse necessarie per le manutenzioni stradali, ma penso, alla luce dello stato del manto stradale, che quelle che decidono di far fare, poi vengano effettuate diciamo... maluccio. Gli appalti, parola magica che fa brillare gli occhi a molti politici, tecnici ed addetti ai lavori, vengono aggiudicati, a volte, con grandi ribassi ed è chiaro che se un’azienda per aggiudicarsi i lavori fa un grande sconto, per poterci guadagnare e mantenersi “in piedi”, a volte, non sempre e non tutte, ma spesso alla luce delle buche esistenti, utilizza materiale che non è esattamente quello del capitolato o a volte lo strato dell’asfalto steso non è esattamente dello spessore indicato sempre dal capitolato… Insomma tanti piccoli trucchetti per cercare di rientrare nei parametri dei costi e per avere un minimo di profitto per mandare avanti la propri attività. E qua il cittadino “qualunque” direbbe: “Va bene… ma ci sarà pur qualcuno che controlla se il lavoro non è stato fatto secondo le specifiche del capitolato…”. Sì che c’è qualcuno preposto al controllo e sono i tecnici dei vari enti statali, regionali, provinciali, comunali, para-statali etc. etc. etc. alcuni controllano, altri meno e questi ultimi sono sulla bocca di tutti per questi loro controlli diciamo… all’acqua di rose. Ma al di là di quello che si dice c’è un fatto inequivocabile: le strade sono piene di buche e la colpa a sentire gli amministratori locali non è la loro, a sentire le varie aziende non è la loro ed a sentire i vari tecnici che devono controllare neanche. Scartando l’ipotesi che la colpa sia degli automobilisti, almeno spero che questa ipotesi non venga neanche presa in considerazione, perché prima o poi vedrete che la colpa verrà data a loro, la colpa è anche dei sottofondi stradali ormai completamente ammalorati. Se il sottofondo stradale non è più compatto è inutile fare 100 metri di rattoppo e chiudere 50 buche perché nei 100 metri successivi se ne apriranno altre 50. Nella stragrande maggioranza delle strade oltrepadane non basta più dare una “lisciata” di asfalto pre elettorale, ma bisogna rifare i fondi e questo lo sanno tutti e se non lo sanno è preoccupante, avendoli eletti come amministratori pubblici o essendo pagati come tecnici della pubblica amministrazione. Dando sempre e solo asfalto pre elettorale e non risolvendo il problema alla radice si fa un po’ come quello che avendo il tetto rotto gli pioveva in cucina e invece
di aggiustarlo, comprava con i soldi, poco o tanti che aveva, secchi per raccogliere l’acqua piovana che gli cadeva in cucina, per buttarla nel cortile. Perché la scusa che politici e tecnici hanno sempre, è che ci sono pochi soldi, e questo è vero , ma se questi soldi vengono “buttati” in asfalti pre elettorali, avremo sempre strade simili al formaggio svizzero, l’Eemmenthal, quello con i buchi. Forse alla luce dei fatti, sarebbe quindi meglio, invece di stendere 1 km di asfalto pre elettorale, fare solo 300 metri, ma fatti bene, sistemando prima il sottofondo ed i fossi attigui e successivamente stendere l’asfalto del tipo e spessore corretto. Dando per scontato che le risorse sono sempre meno rispetto a prima, ma con il buon senso di un padre di famiglia, è certamente meglio fare meno metri quadrati di strada fatti bene che farne di più e fatti malamente. Sarebbe anche ora di iniziare a scegliere imprese che non solo offrono il prezzo più basso, ed una voce maligna sussurra… che queste imprese molto spesso sono imprese che occupano un posto importante nel cuore dei politici e dei tecnici... ma soprattutto controllare e veramente che queste imprese, dopo aver praticato lo sconto per aggiudicarsi l’appalto, eseguano il lavoro come Dio comanda o molto più semplicemente come indicato nel capitolato. Alcuni giorno orsono ero in Svizzera, patria del formaggio con i buchi ma delle strade perfette, stavano asfaltando un tratto di strada adiacente ad un bar. Per pura curiosità, mentre attendevo una persona, ad un signore entrato nel bar per bersi un caffè, una persona che mi sembrava il tecnico, ho chiesto, dopo essermi presentato, perché in Svizzera le strade non hanno le buche. La sua risposta gentile, è stata semplice e disarmante: “Usiamo asfalti di prima qualità, ci preoccupiamo di mettere a posto il sottofondo e controlliamo che il lavoro venga ben fatto anche con tanti carotaggi per controllare che i vari spessori di asfalto siano corretti”. Poi si è messo a ridere ed a sua volta mi ha detto…”Anche in Italia fanno così”… dopo avermi schiacciato l’occhio, mi ha salutato e si è diretto verso il cantiere. Ho pensato che la sua semplice risposta non facesse una piega… Alcuni giorni dopo, ho incontrato un noto tecnico della pubblica amministrazione oltrepadana e gli ho chiesto perché in Oltrepò ci sono strade con così tante buche, la risposta è stata: “Eh caro mio… fosse così semplice… non farmi parlare…!.”. Con sguardo complice è uscito dal bar ed è, probabilmente andato a controllare che i lavori appaltati venissero eseguiti secondo i capitolati. Due tecnici della pubblica amministrazione, due risposte diverse: In Svizzera si mangia il formaggio con i buchi, in Oltrepò si viaggia in strade con le buche… di Antonio La Trippa
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VOGHERA
FEBBRAIO 2019
«Forza Italia? Nel 2020 potrebbe non esistere più» La Lega vogherese ambisce a un posto al sole in vista delle prossime elezioni. A Palazzo Gounela siede ancora «(pier)felicemente» all’opposizione, ma il capogruppo in consiglio comunale Piefelice Albini non fa nulla per nascondere l’ottimo momento di forma del Carroccio. A chiedergli di candidature e alleanze non si ottiene risposta, ma la stoccata ai “rivali” di Forza Italia” non la risparmia: «Bisogna vedere se nel 2020 esisteranno ancora». Albini, che la giunta Barbieri vi stia di traverso è cosa nota. Recentemente però ha reclamato perché qualcuno si sarebbe anche preso dei meriti vostri. A cosa si riferiva? «Inizierei dal caso del Daspo Urbano: fortemente voluto dalla Lega e criticato dal sindaco Barbieri in quanto giudicato prima “poco incisivo e senza grande efficacia”, mentre poi sui giornali è diventato motivo di vanto per averne applicati “ben 75“ nel 2018, che a nostro dire sarebbero anche pochi. Voglio ricordare che il Regolamento di Polizia Locale a Voghera era datato 1907/1908 da cui la necessità di ridisegnarlo e riscriverlo. Ma ci sono poi altre battaglie vinte da noi con cui l’Amministrazione ha cercato di farsi bella». Ad esempio? «Ci siamo impegnati per evitare che venisse chiuso l’ Asilo Nido Gavina chiedendo che si ritornasse ad assumere educatrici e personale per sopperire a quello uscente. Valutazione effettuata col forte sostegno di Regione Lombardia tramite “Nidi gratis” e con sistema “zero-sei anni”, finanziamenti destinati a potenziare Nidi e Scuole Materne aiutando anche con le spese di gestione, allo scopo di incrementare i servizi offerti alle famiglie. Un’altra nostra battaglia vinta è stata quella di evitare che venissero vendute le tre Farmacie Comunali. Oltre all’ assunzione di nuovo personale per sostituire quello andato in pensione chiedevamo anche di impegnarsi a risolvere problematiche come gli orari di apertura al pubblico nei giorni di sabato e domenica ed essere competitivi con i farmaci da banco attraverso scontistiche adeguate». Anche sulla soluzione del caso Recology immagino avanziate la paternità dell’iniziativa, dato il coinvolgimento dell’assessore regionale leghista Terzi… «Assolutamente. Non bisogna dimenticare che abbiamo ottenuto il finanziamento da Regione Lombardia per bonificare l’area Recology a Voghera con procedura iniziata dalla Lega nel gennaio 2017 con la presenza in città dell’ Assessore Terzi e l’attuale onorevole Elena Lucchini allora segretario della Lega, mentre l’Amministrazione non si muoveva». A proposito della Lucchini. Recente-
Albini: «La Lega resta felicemente all’opposizione. Si fanno accordi solo con chi poi li rispetta»
Pierfelice Albini
mente il vostro segretario ha respinto categoricamente le voci relative all’ingresso in giunta di un esponente leghista. La Lega si conferma quindi una forza di opposizione. Che scenario si prospetta in vista delle prossime elezioni? «Elena Lucchini ha voluto fare chiarezza su delle insistenti voci che asserivano un imminente ingresso in maggioranza da parte della Lega con l’ assegnazione addirittura di un Assessorato. Attualmente la Lega a Voghera rimane felicemente all’ opposizione, continuando il lavoro svolto negli ultimi due anni, controllo serrato e proposte fattibili. In merito alle prossime elezioni è ancora tutto prematuro, il Segretario Cittadino farà tutte le valutazioni del caso al momento opportuno». Beh, ma un po’ di fantapolitica si può anche fare…Doveste pensare a possibili alleanze, verso chi guardareste oggi? C’è una forza politica con cui siete in maggiore sintonia? «Attualmente più che parlare di “nomi” conviene domandarsi quali partiti resteranno in vita nel 2020: ci sono buoni motivi per pensare ad esempio che Forza Italia potrebbe non esistere più. La Lega è comunque aperta al dialogo con le forze politiche che condivideranno il nostro programma. Detto questo,se faremo alleanze saranno solo con persone che mantengono gli accordi». Il Comune dovrà tirare su circa 700mila euro in vista del nuovo bilancio di previsione. Voi siete stati molto critici al riguardo. Può spiegarci i vostri timori? «Sono anni che il bilancio comunale viene
gestito politicamente in modo allegro, lo dimostra la richiesta della Corte dei Conti di rientrare di circa tre milioni di euro per spese fatte solo per eventi nel 2014 e 2015. Chi ha gestito Voghera non ha mai pensato di accantonare un piccolo tesoretto per poi reinvestirlo su opere primarie. Oltretutto con il problema nato nell’ultimo anno in ambito ASM VeS ci sono buone possibilità che i dividendi che annualmente il comune godeva da ASM non ci siano più, il che sarebbe una bella grana». Passiamo al commercio. In occasione dei saldi avevate chiesto i parcheggi liberi in centro, ma la giunta ha dato picche accusandovi di voler fare polemica,
La Lega all’attacco: «Prima di pensare alle alleanze bisogna vedere quali partiti ci saranno ancora»
sostenendo che il parcheggio centrale della caserma sia sufficiente. Com’è la situazione in città? «Anche sul discorso commercio il Comune non si è mai attivato più di tanto, lo dimostrano i negozi di proprietà del comune sfitti e mai assegnati, e precisamente quelli sotto i portici, in Via Garello e in Via Emilia. Noi stiamo progettando anche un piano parcheggio limitrofo a Piazza Duomo, pensiamo di ampliare quello in Piazza S. Bovo vicino alla Posta Centrale per permettere la possibilità di parcheggiare a chi debba recarsi a ritirare i pacchi. Ridisegneremo anche tutto il parcheggio in Piazza Duomo con percorsi viabilistici stabiliti, perché ad oggi ognuno percorre la piazza come vuole e parcheggia come vuole. Nel frattempo stiamo incontrando parecchi negozianti per raccogliere le loro esigenze o proposte per trovare dei punti per rilanciare il commercio in città». Un altro vostro cavallo di battaglia è da sempre la campagna anti slot. A Voghera, che vanta il triste primato di Las Vegas italiana, non esiste ancora un regolamento ad hoc… «Noi avevamo proposto al Sindaco di scrivere un Regolamento cittadino sulle norme per la prevenzione del gioco d’azzardo, chiedevamo che si basasse sulla Legge Regionale n. 8 del 21 ottobre 2013 e sue modifiche con la Legge Reg. n. 11 del 2015. Lo stesso Decreto Dignità contiene nuove norme per contrastare il fenomeno del gioco patologico. L’Italia è uno dei paesi al mondo dove si gioca di più e, visto che a giocare sono spesso i più poveri e i meno istruiti, prima si interviene meglio è. Aspettiamo, ancora una volta, la risposta dal Sindaco Carlo Barbieri sulla questione Slot Machine e VTL». di Christian Draghi
VOGHERA
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«Il caos bollette? Asm è un’azienda sana. Non serve a nessuno metterla in croce» »
è ufficialmente operativa Reti Di. Voghera Srl, la nuova società “costola” di Asm Voghera Spa che si occuperà di gas ed energia elettrica. La nascita della nuova realtà era stata sancita lo scorso giugno dal consiglio comunale, oggi è pronta ad entrare in azione con un piano investimenti. A guidare il consiglio d’amministrazione è il presidente, nonché sindaco di Robecco Pavese, Pier Luigi Bianchi, nominato da Forza Italia e, in particolare, dal sindaco di Voghera Carlo Barbieri. A fargli compagnia nel direttivo ci sono i consiglieri Giorgio Altafin e Patrizia Dellanoce. Bianchi, può spiegare innanzitutto in che cosa consiste questa società e di che cosa si occupa? «Reti Di.Voghera è una Srl cui Asm ha affidato la proprietà delle reti di distribuzione di gas ed energia elettrica su tutto il territorio comunale di Voghera e si occuperà delle attività di manutenzione e gestione delle reti medesime». Quali sono le “dimensioni” di questo impegno? «Parliamo di 194 chilometri di linee e tubazioni, tra gas ed elettricità. La società ha un capitale di 22 milioni che impiegherà per migliorare e la rete attualmente esistente e rimpiazzare le tratte obsolete o quelle che sono ormai sottodimensionate». Ci sono già degli investimenti in programma? «Per quest’anno sono stati stanziati 180mila euro per la manutenzione della rete elettrica e 250mila euro per quella della rete del gas». Come mai Asm ha dovuto affidare a questa società “esterna” la gestione delle reti di gas ed elettricità? «Si tratta di ottemperare a una normativa nazionale secondo la quale la stessa società, in questo caso Asm Spa, non può occuparsi di vendita, distribuzione e manutenzione allo stesso tempo».
La nuova Srl gestirà le reti di Luce e Gas: 194 km di linee e tubazioni, 22 milioni di capitale e 50 dipendenti provenienti da Asm
Pier Luigi Bianchi, Presidente di Reti Di. Voghera
Di fatto però Reti Di. Voghera appartiene ad Asm, quindi cosa cambia? «In realtà abbiamo la facoltà di agire indipendentemente se lo riteniamo e abbiamo un capitale nostro, anche se di fatto alla fine agiamo in sinergia con Asm. La nostra è più che altro una funzione di controllo e il mio un ruolo istituzionale, ad operare sono i tecnici». Per quanto riguarda i dipendenti cosa può dirci? «Che sono 45 e provengono tutti da Asm. In pratica sono le stesse persone che già operavano in azienda e che di fatto hanno semplicemente cambiato il datore di lavoro». Ci saranno nuove assunzioni? «Al momento non sono previste». Recentemente Asm è stata investita da una seria polemica a causa di quello che è stato battezzato come il “caos bollette”: fatturazioni sbagliate, doppie, gravi disagi per i clienti. Lei che idea si è fatto della situazione? «Sono entrato in azienda da pochissimo
Il presidente della neonata Reti Di. Voghera: «Caso montato. Il disagio esiste, ma non nelle proporzioni che si vuol fare credere» e in punta di piedi, posso dire che ho incontrato gande competenza da subito. Indubbiamente i disagi ci sono stati, questo è fuori discussione, ma la mia impressione è che tutto questo caso sia stato in qualche modo montato e ingigantito rispetto alle sue reali proporzioni. Chi ha pagato due volte è chi aveva la domiciliazione bancaria, mentre chi riceveva la bolletta cartacea ha avuto l’occasione di accorgersi dell’errore prima di pagare, per cui anche sulle proporzioni del danno reale ci sarebbe da discutere. Ma mi lasci dire
che Asm è una realtà sana e con un bilancio in attivo, che contribuisce in maniera sostanziale al bilancio comunale. Non serve a nessuno metterla in croce». Siamo in regime di libero mercato però. Non teme che qualcuno possa iniziare a rivolgersi ad altre aziende? «Il mercato era libero anche prima di questo “caso” ed è sempre altalenante. Non credo si debbano avere timori per il futuro anche se nessuno ha la bacchetta magica». di Christian Draghi
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VOGHERA
FEBBRAIO 2019
«In politica ho un’etica precisa che mi riconosco»
Da tanti anni impegnato nella politica cittadina vogherese, dal 2010, con la prima Giunta Barbieri, occupa uno scranno in Consiglio Comunale, e, con la seconda tornata dell’Amministrazione guidata sempre dal Dott. Carlo Barbieri, diviene Capogruppo dei Consiglieri di Forza Italia a Palazzo Gounela. Sempre attivo, come lui di se stesso dice, sulla strada, tra la gente, si è fatto promotore negli ultimi tre anni di un’iniziativa cultural-socioreligiosa che ha conosciuto, con il SS. Natale 2018, la sua massima espressione. Abbiamo incontrato il consigliere Claudio Zuffi. Iniziamo dall’anagrafe e ci spingiamo poi nel suo storico-politico? «Sono vogherese, classe 1954. La passione politica è in me radicata dai tempi dell’adolescenza, perché era un momento storico in cui la politica, a tutti i livelli, era molto sentita e partecipata, anche tra ragazzi al bar, per meglio dire. Ma la prima esperienza in campo, in tutti i sensi, politico inizia nei primi anni ‘80, e qualche anno dopo, a 30 anni se ricordo bene, mi sono candidato nelle fila del PSI cittadino, dando dimostrazione di buona volontà, certamente, e di un discreto risultato elettorale, che non era però bastato per entrare in Consiglio Comunale. Quello fu il mio battesimo “del voto”, che rimase ahimè fine a se stesso, non riuscendo a ricavare una collocazione né partitica né di ruolo, in quegli anni immediatamente successivi». Si è quindi, diciamo, allontanato dalla scena? «Sì, dopo quell’esperienza elettorale, per me tutt’altro che deludente, ho comunque preferito attendere di trovare una nuova sinergia con un Partito che più mi rappresentasse, o forse meglio, con persone con le quali le affinità fossero più spiccate. Questo avverrà, dieci anni dopo, grazie all’UDC di Giovanni Libardi, indimenticabile Primo Cittadino capace di raccogliere rispetto ed onore da ogni parte politica, e Graziano Percivalle. Con loro ritorno in campo, per restare legato a quella formazione sino, circa, al termine del secondo mandato del Sindaco Dott. Torriani, quando arriva la “chiamata” da Forza Italia a sostegno della prima Candidatura del Dott. Barbieri, “chiamata” che accetto di buon grado, non come quel “salto della quaglia” al quale siamo ormai tutti abituati nella politica nazionale degli ultimi decenni, ma reale intento di partecipazione alla vita ed alle necessità della collettività vogherese, nel concetto “del Fare” ». E nel 2010 entra in Consiglio Comunale... «Sì, riconfermato poi con le travagliate elezioni del quinquennio successivo. At-
Il consigliere di Forza Italia Claudio Zuffi durante una delle consegne di giocattoli e libri didattici
tualmente sono Capogruppo dei Consiglieri di Forza Italia». Ritornando un attimo alla precedente risposta, ove Lei diceva di essere transitato dalle file dell’UDC a quelle di Forza Italia, comunque sempre nell’area di Centro-destra, ricordo a tal proposito una sua interessante argomentazione territoriale sulla vocazione elettorale della nostra Valle Staffora, che vedrebbe il Centro-destra, appunto, da sempre, mi passi il termine, preferito... «Non è esattamente così. Mi spiego meglio. Certamente è innegabile che, dal Dopo-guerra, il cuore pulsante della Politica nella nostra valle sia stato il Centro-destra, ma, ancor prima di questo ventennio amministrativo, mi riferisco principalmente alla precedente DC, il Partito Democristiano, che appunto tra Varzi e Voghera ha avuto un grande, importante elettorato. Pensi ai successi di Paolo Affronti, Giovanni Azzaretti, Carlo Lavezzari... La mia, come da lei definita, “argomentazione territoriale” riguarda più strettamente un fattore sociale, demografico, se si vuole, della città di Voghera. Ad esempio nei quartieri cittadini possiamo notare la presenza di cognomi d’origine vogherese, certamente, d’origine meridionale, indiscutibilmente, anche se oggi molto meno data la crisi nazionale, quando negli scorsi decenni il Nord Italia era fucina di lavoro, arti e mestieri, ma anche, e molti questo forse non lo sanno, d’origine veneta e/o comunque del Nord-est d’Italia, quando, ad esempio, parecchi nuclei
«Ho deciso di realizzare un momento cristiano, religioso e culturale per il nostro territorio» familiari si trasferirono nella nostra Città a seguito della disgrazia del Vajont! Sradicati tragicamente dal loro territorio e re-insediati in un contesto completamente nuovo, sconosciuto, diverso! Ecco, è qui il vero significato di quella mia argomentazione: oggi, con tempi cambiati anche se, per esempio, negli ultimi anni molti abitanti dei paesi a noi vicini si sono trasferiti in Città, ed ancora, comunque, assolutamente maggior integrazione di ogni differenza di provenienza, a mio parere la Politica e l’Amministrazione cittadina devono sempre non dimenticare che è importante stare “sulla strada”, che è un po’ il mio motto, anche, a raccogliere le esigenze dei concittadini, a tentare di risolvere le problematiche eventuali ed anche, in virtù dell’esperienza, consigliare e coadiuvare vie di risoluzione alle domande del singolo. Questo è il ruolo che sento mio: dove si può, perché nessuno ha la bacchetta magica, né io ne vorrei una,
raccogliendo le esigenze della cittadinanza, dare soluzioni. Non illusioni: soluzioni, nel e se possibile. Quando una persona mi avvicina, ad esempio, per una ricerca d’occupazione, oggi, in questo momento storico, economico, imprenditoriale sul territorio... ecco, io non riesco a tentare la strada dell’illusionista. Ho sempre, non importa con quale colore politico, condannato questo atteggiamento illusorio, da parte dell’amministratore di turno, di mantenere un dialogo aperto sulle speranze del concittadino bisognoso. Se ho una possibilità, se ne ho sentore, la comunico: se non ho informazioni utili, almeno al momento, lo dichiaro seduta stante, in totale sincerità. Non voglio contribuire, un domani che l’illusione si sgretola, all’affossamento ulteriore del richiedente bisognoso: ho un’etica, precisa e che mi riconosco, ed è questa la mia, forse anomala, strada politica ed umana». Che l’ha portata a pensare e realizzare,
VOGHERA ormai da tre anni, un’iniziativa benvoluta e partecipata dalla cittadinanza, che ha tutta l’aria di diventare un appuntamento fisso annuale, legato alle Festività Natalizie... «La ringrazio per averla descritta così, e ne sono orgoglioso! Si, ormai da tre anni ho deciso di realizzare un momento Cristiano, Religioso, Culturale, perché fa profondamente parte della nostra Cultura, condividendone possibilità di realizzazione e svolgimento con tanti concittadini che vi partecipano felicemente!». Ce la vuole descrivere nel dettaglio? «Con piacere. Nei primi due anni, 2016 e 2017, abbiamo realizzato un bellissimo Presepe nei locali comunali di Piazza Duomo adiacenti il Municipio. Per quei primi 2 anni, oltre al Presepe, abbiamo introdotto la tradizione della raccolta dei giocattoli, provenienti da bambini, e dalle loro famiglie, più fortunati e da destinare a nuclei, scusi il gioco di parole ma fotografa il concetto, meno fortunati. Quest’anno, ovviando alla situazione di impalcature per i lavori in corso della ristrutturazione del nostro splendido Teatro Sociale, abbiamo trasferito quest’appuntamento civico nei locali della Sala Pagano, in Piazzetta Cesare Battisti, ampliandone le caratteristiche sia religiose sia sociali. Innanzitutto abbiamo avuto la possibilità di moltiplicare i Presepi in mostra, riuscendo a coinvolgere Artisti creativi dalle più svariate provenienze! Un esempio su tutti, lo straordinario, enorme Presepe realizzato dai detenuti della Casa Circondariale cittadina, realizzato interamente all’interno delle carceri e poi esposto per un mese presso la nostra Sala! Davvero un lavoro, un’Opera meravigliosa, per la quale realizzazione, e grande disponibilità, devo ringraziare caldamente l’Assistente Capo della struttura Sig. Giuseppe Rubbino. E le annuncio già che è in lavorazione, in allestimento il Presepe
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FEBBRAIO 2019
Il Presepe realizzato dai detenuti della Casa Circondariale di Voghera
per il prossimo Natale, ancora più grande, bello, in stile napoletano... insomma, una chicca. Ed ancora, splendida realizzazione, uno straordinario artigiano dell’alta Valle Staffora che ha portato in mostra il suo Presepe, raffigurante Bobbio, San Colombano, Ceci, fatto con una dovizia di particolari strabiliante! Anche questa un’Opera unica!». Quindi, grande partecipazione di pubblico e di operatori... «Tantissimi, ricordarli tutti non riesco, probabilmente...Un caloroso e sentito Grazie va certamente al Sindaco Carlo Barbieri, alla Giunta ed ai Consiglieri tutti che hanno sostenuto fortemente l’iniziativa, ed ancora a tutte quelle persone che ci hanno donato grandissima quantità del loro tempo, come la Dott.ssa Costantina Marzano, Presidente della Consulta del Volontariato, la Sig.ra Luisa Dosseni Spalla con il Presepe Contadino, la splendida Anna Gabetta detta Annina, la Comunità di recupero tossico-dipendenze San Pietro, il Don Gnocchi, l’Opera Don Guanella, gli Orti Sociali di Moreno Baggini, l’amico Agostino Zanotti per il Pino natalizio, ed ancora l’unico ed insostitui-
bile Giacomo Alloni, preziosissimo sotto ogni aspetto, dall’organizzazione alla raccolta e distribuzione di giocattoli e, novità introdotta quest’anno, libri didattici per gli asili cittadini... perché sorride?». Mi scusi, Claudio... Giacomo è un comune amico, persona molto intelligente ed ironica che certamente sorriderà divertito da questa mia sottolineatura, ma... direi una collaborazione tra diavolo ed acqua santa, politicamente... «Sì, ne sorrido anch’io e ne abbiamo spesso riso insieme! Ma la causa è talmente cara ad entrambi e sentita comunemente che le dirò... il diverso pensiero e collocamento politico si è completamente annullato tra noi! Giacomo è un prezioso collaboratore, una parte così importante dell’iniziativa che non vorrò mai né perdere né sostituire per alcuna ragione! Pensi che, una volta terminata la raccolta dei suddetti giocattoli e libri, ho invitato in prima istanza un rappresentante di un’Associazione di Clown in Corsia, che si adopera all’interno delle strutture ospedaliere infantili, ad effettuare la scelta dei doni da distribuire, preferenza, brutto il termine ma me lo passi, accordata soprattutto, anzi
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quasi esclusivamente, per poter scegliere quali tipologie di giocattoli fossero adatte all’uso; ad esempio, il peluche, con il pelo sintetico, le polveri, gli acari, etc. poteva essere, come poi si è rivelato, ritenuto non idoneo, giustamente... Bene: al termine di quella prima selezione, Giacomo ed io ci siamo fatti interamente carico della distribuzione dei doni ai bambini, alle famiglie ed agli asili!». Quante persone ritiene abbiano visitato la Vostra Esposizione? «Nel Libro Ospiti abbiamo raccolto oltre 1.200 firme, il che significa, statisticamente nel particolare, che le presenze potrebbero aver raggiunto il quadruplo all’interno del mese di durata, dal 13 Dicembre al 13 Gennio 2019! Abbiamo poi avuto ancora feste prima del Natale con la Parrocchia Don Orione, con il Coro dei bambini, insomma, tutte iniziative collegate tra loro nell’ambito dello stesso Evento...». Certamente è scontata la risposta, ma la domanda è doverosa: continuerà ad impegnarsi su quest’iniziativa? «Assolutamente! Ho già programmato l’Evento nel Dicembre 2019, e Le do un’anteprima: stiamo tutti insieme pensando alla possibilità di estendere l’iniziativa anche alla prossima Festività Pasquale!». Ultima domanda, questa strettamente politica: a Lei piacerebbe che la Lega si presentasse a voi riunita alle prossime Amministrative 2020? «Questa è una bellissima domanda, ma la risposta non la sarà altrettanto... al di là del momento attuale e della confusione di posizioni, da ora ad allora di acqua sotto i ponti ne passerà moltissima, e visto che la lungimiranza non ti può portare a dar risposte secche e precise, il bel dubitativo è qualcosa che non ti fa far brutta figura... Si vedrà». di Lele Baiardi
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VOGHERA
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La storia delle moto vogheresi è in via Sant’Ambrogio C’è un negozio di moto a Voghera dove tutti gli appassionati oltrepadani sono stati almeno una volta. è sempre lì da quando ha aperto, al civico 38 di via Sant’Ambrogio: il concessionario Lando Nobile dal 1967 è un punto di riferimento per tutti gli amanti delle due ruote. Un negozioofficina che è anche e soprattutto un affare di famiglia. Prima il padre Lando, oggi il figlio Diego, da oltre 50 anni la stessa passione, la stessa meticolosa attenzione per il dettaglio con un fine unico: servire al meglio il cliente per fidelizzarlo, farlo sentire accudito e unico. Non fosse così, al giorno d’oggi un piccolo negozio di provincia non avrebbe resistito. L’entrata con vetrina dà sulla centrale via Sant’Ambrogio, ma i clienti più affezionati si affacciano anche dal retro, da via Pisacane, percorrendo la vietta non asfaltata che conduce direttamente alla porta dell’officina. Moto sparse qua e là e varcata la soglia, l’odore inconfondibile della mòrchia, il grasso sedimentato dell’olio per motori che in un’officina che si rispetti non può mancare. Entrate e a un certo punto salterà fuori Diego Nobile, che vi verrà incontro con tutta la sua cordialità. «Per fare quattro chiacchiere andiamo in ufficio» ci dice, e ci porta in una saletta attigua al negozio vero e proprio, dove sembra che il tempo si sia fermato agli anni ’60. Non solo per gli arredi e gli infissi, ma anche per il numero impressionante di foto d’epoca che costellano le pareti. Moto, motociclisti, scatti di gare, personaggi pubblici, campioni di motociclismo come Giacomo Agostini. Ce n’è per tutti i gusti.
Oggi la porta avanti il figlio Diego: «Il futuro è su internet con i ricambi per moto vecchie»
Diego Nobile, figlio di Lando ed attuale proprietario
Diego Nobile, quando è cominciato tutto? «è partito tutto da mio padre Lando. Ha iniziato in giovane età, nel periodo bellico, come garzone nel periodo estivo presso un riparatore di biciclette, avendo sin da giovane la passione per la bici. Da lì è passato ai motori sempre come garzone e in seguito socio presso un’officina in via Gramsci a Voghera. Successivamente, dopo la metà degli anni cinquanta, in società con Marco Marconi ha aperto la Commissionaria Motom in via sant’Ambrogio 38 da cui tutto ha avuto inizio. A partire dal 1967 poi è diventato unico titolare della Concessionaria Moto, attiva fino ai giorni nostri, con il passaggio di consegne a me nel 2014». Lei da quanto tempo lavora al negozio? «Ufficialmente dal 1997, ma ci sono cresciuto dentro, fin da quando ero bambino». Com’è cambiato il mercato in tutti questi anni? «Dall’alto della nostra esperienza possiamo dire che il mercato motociclistico
alterna periodi di boom a periodi di crisi. Si va da quella del 1974 che ha spinto all’acquisto di biciclette e ciclomotori, al successivo ingolfamento del mercato, fino a ritrovare splendore ad inizio anni 80, per ricadere nuovamente in crisi nei primi anni 90. dopo la spinta degli ecoincentivi dei primi anni 2000 si è ricaduti nella solita crisi di saturazione del mercato e aggravata dalla crisi economica e dai costi in media elevati dei motocicli, tecnologicamente sempre più evoluti e interconnessi.
Naturalmente bisogna essere positivi e sempre propositivi. Prima o poi ci sarà una ripresa economica e con essa la ripresa del mercato motociclistico e occorre farsi trovare pronti con i prodotti giusti». Com’è cambiato il cliente oltrepadano negli anni? «Un tempo l’attività maggiore era concentrata tra maggio e ottobre, si vendeva al termine delle scuole in prospettiva dell’estate. Un tempo la motocicletta era il regalo più ambito, oggi probabilmente i ragazzi preferiscono il telefonino. In generale poi è cambiata la gestione del tempo: prima si lavorava parecchio il sabato, le persone erano libere e venivano in negozio. Oggi il sabato capita di restare aperti senza vedere un’anima. Il mondo è sempre più frenetico, si vuole fare sempre più in fretta e le abitudini di un tempo sono tutte cambiate. Viviamo l’imprevedibilità». Di moto però se ne vendono più oggi o in passato? «Sicuramente di più negli anni d’oro, diciamo nel ventennio tra l’80 e il 2000. Arrivavamo a 100 moto all’anno di cui 25 o 30 solo alla Fiera dell’Ascensione. Oggi ne vanno forse la metà. Più in generale si fanno meno chilometri, lo vedo perché tanti clienti vengono da noi per la manutenzione. Vent’anni fa si facevano 15 o 20mila km all’anno. Oggi 1.500, forse 2mila. I tempi sono cambiati, ci si prende sempre meno tempo per se stessi». Prima ha nominato la Sensia, di cui voi siete anche un espositore storico, dato che avete partecipato praticamente a tutte le edizioni fin dall’apertura nel 1967. è corretto? «Abbiamo saltato solo quella dell’anno del commissariamento e forse un’altra ancora, altrimenti ci siamo sempre stati». Com’è cambiata la Fiera negli anni? «Oggi è meno incentrata sul prodotto locale, ci sono tanti espositori che vengono da fuori. Diciamo che è meno sentita la “vogheresità” al suo interno». Si vende sempre? «Più che altro diciamo che oggi la Sensia serve per farsi pubblicità o suscitare inte-
La concessionaria di Lando Nobile è un punto di riferimento per gli appassionati dal 1967
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«Una volta via Sant’Ambrogio era una bella vetrina, oggi neanche più la via Emilia la è» resse. In passato si chiudevano vendite già nei giorni di esposizione, oggi magari si trovano potenziali clienti che però non comprano subito, ti dicono che passeranno poi in negozio». Ritenete che sia ancora una vetrina utile per una realtà del territorio? «Sicuramente dà visibilità, però per quanto riguarda il riscontro è sempre un punto interrogativo. Una volta si investiva senza troppi pensieri perché si sapeva che si sarebbe rientrati con sicurezza. Oggi resta sempre il dubbio». I costi sono aumentati? «Da quando l’organizzazione è stata affidata a una società esterna sì, logicamente anche loro devono ritagliarsi la loro fetta di guadagno». Torniamo al negozio. Suo padre Lando, recentemente scomparso, aveva anche una sua scuderia per le corse. Qualche nome illustre è passato da queste parti? «Sicuramente il personaggio più vincente ad aver iniziato a correre con le moto di mio padre è stato Giovanni Sandi, che come responsabile tecnico ha vinto 7 titoli mondiali tra Moto Gp e SuperBike. Uno con Harada in 250, quattro con Biaggi (3 in 250 e 1 in SBK ndr), due con Jorge Lorenzo in 250». Che ricordi ha di quel periodo e di Sandi? «Praticamente frequentando l’officina e correndo con la scuderia di mio padre Sandi ha accumulato esperienza sulle moto e dopo aver terminato di gareggiare ha iniziato come meccanico presso alcuni Team a livello nazionale. Passato al Team Italia della Federazione Motociclistica Italiana ha vinto nel 1986 il Campionato Europeo classe 500 con il pilota romano Massimo Messere. Giovanni per motivi di comodità logistica ha effettuato le manutenzioni della vittoriosa Honda RS 500 3 cilindri tra una gara e l’altra di quel Campionato proprio nella nostra officina. Ricordo la moto ogni volta completamente smontata in ogni sua parte e accuratamente rimontata dopo aver verificato e sostituito le parti sogget-
Lando Nobile con Giovanni Sandi
«Giovanni Sandi iniziò a correre con le moto di mio padre. Poi ha vinto 7 mondiali da responsabile tecnico» te ad usura, a testimonianza che i risultati si fanno oltre che con la bravura del pilota anche con la cura dei dettagli. Ricordo di aver contribuito allora 15enne, alcune volte a lucidare a specchio il telaio in alluminio. La corona d’alloro di Campione Europeo, insieme a quelle di alcune vittorie, è appesa su una parete del negozio». Qual è il segreto che vi ha permesso di essere tanto longevi? «La nostra mission è la soddisfazione del cliente finale, al quale forniamo una assistenza qualificata ed un prodotto di elevata qualità ed affidabilità prediligendo sempre un costo contenuto. Da sempre utilizziamo e vendiamo prodotti di sicura qualità ed affidabilità e con un elevato rapporto qualità prezzo. Selezioniamo i prodotti e li testiamo prima di decidere di venderli al cliente finale. Il credere nel prodotto che vendiamo è testimoniato nel corso degli anni dalla scelta di nuovi
marchi che si sono affacciati sul mercato e che nel giro di pochi anni si sono affermati ai vertici delle vendite». Qualche esempio? «Innanzitutto va detto che mio padre è stato uno dei primi a utilizzare per la sua scuderia moto giapponesi, mentre tutti gli altri utilizzavano brand italiani o austriaci. Poi negli anni 50 Motom, anni 60/70 MV Agusta, dal 1976/1978 Aprilia e Cagiva (prima H.D. Cagiva), dal 1985 Ducati e Husqvarna , dal 1997 Derbi e Kymco... primi anni ‘80 Caschi Bieffe. Ed ora crediamo fermamente oltre che nel prodotto Kymco anche in F.B. Mondial e nell’olio Eneos». Oggi che il mercato è cambiato come si fa a restare al passo? «Noi lavoriamo molto su internet. Ci siamo specializzati nel fornire pezzi di ricambi nuovi per moto vecchie ad esempio. E’ un mercato in cui riusciamo a tenere il passo».
Più in generale come vede, da commerciante, il commercio vogherese? «Un disastro mi viene da dire. I costi degli affitti sono decisamente alti, come testimoniano i negozi vuoti e in generale, anche in centro non c’è più passaggio. Una volta via Sant’Ambrogio era una bella vetrina, oggi neanche più la via Emilia la è». Mai pensato di trasferirvi? «Impensabile, con tutta l’attrezzatura che abbiamo qui dovremmo star chiusi dei mesi per spostare tutto». Potesse farlo dove andrebbe? «Restando a Voghera credo che oggi la zona con maggior passaggio sia via Piacenza». Quali sono le prospettive future per il vostro settore? «Una spinta potrebbe arrivare dall’imminente introduzione dei mezzi elettrici, in attesa degli incentivi statali all’acquisto. Un’altra strada che consente di mantenere prezzi alla portata di tutti e un ottimo livello di qualità e la scelta di motocicli prodotti in Cina sotto il controllo delle Aziende europee. Ormai tutte le aziende motociclistiche hanno la gran parte della loro produzione decentrata nel Far East (Cina, Vietnam, Taiwan, India), che è un mercato sempre vivo e che consente numeri che in Europa sono inimmaginabili». La più grande soddisfazione da esercente? «L’aver inculcato la passione per le moto in tanti adolescenti». di Christian Draghi
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«Da 30 anni aiutiamo giovani madri e famiglie in crisi» Da 30 anni portano aiuto a giovani madri in difficoltà, favorendole emotivamente ed economicamente, sostenendole in un percorso difficile con l’obiettivo di scongiurare il ricorso all’aborto. Era il 2 febbraio del 1989 quando è nato il C.A.V., il “Centro di Accoglienza alla Vita” vogherese, ispirato da un’idea di una ostetrica in pensione, Giuliana Armella, che desiderava poter aiutare il prossimo in modo ancora più concreto. All’epoca la prima sede era sita al 263 di via Emilia, presso la parrocchia S. Pietro dei Don Orione. Oggi dimora in via Mentana 43, dove ad ospitare l’associazione sono i padri Barnabiti. Tra volontarie e volontari iscritti i membri attivi del Cav sono 41 e nei 30 anni appena trascorsi sono riusciti a prendersi cura e ad aiutare oltre mille famiglie in difficoltà economiche. Il socio-presidente è Luigi Ermano. Presidente, è piuttosto chiara la forte appartenenza Cattolica della vostra associazione… «Certamente. Ci ispiriamo ai valori umani a difesa della vita, salvaguardati dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa Cattolica. A livello statutario Il nostro obiettivo è la riaffermazione nella società civile, nelle istituzioni, nella legislazione, del diritto e dovere del cittadino di sostenere e difendere la vita fin dal suo concepimento in tutte le sue esigenze e in tutto l’arco del suo sviluppo. Allo stesso modo l’organizzazione e il sostegno delle iniziative idonee a far si che la paternità e la maternità siano atti responsabili nel rispetto per la vita». A chi vi rivolgete? «Alla donna che si trova di fronte ad una maternità difficile per realizzare un’accoglienza generosa della nuova vita, ma anche al bambino bisognoso di accoglienza. Alla coppia in vista di una procreazione responsabile e più in generale a tutti coloro che si trovano soli ad affrontare situazioni di difficoltà e di emarginazione».
«Nel 2018 aiuti a 106 famiglie in difficoltà. A inizio 2019 già 60 i casi»
Giuliana Armella, ostetrica in pensione con il Vescovo Monsignor Viola e i volontari del “Centro di Accoglienza alla Vita”
Che tipo di assistenza fornite? «Assicuriamo gratuitamente sulla base di un rapporto di ascolto e di dialogo personale, tipi di intervento quali: promozione di corsi, incontri ed ogni altro tipo di iniziativa educativa per favorire la crescita di una cultura ed una pratica di accoglienza e solidarietà. Tali iniziative potranno essere proposte sia all’interno delle strutture del Centro di Accoglienza alla Vita Vogherese sia all’esterno di esse, anche in collaborazione con altri Enti ed Associazioni esistenti. Un aiuto ai genitori a ricercare e possibilmente rimuovere la non accettazione del figlio». A livello economico che tipo di supporto date? «In questi 30 anni con l’ operosità di ben 72 volontari che si sono avvicendati, abbiamo distribuito gratuitamente alle mamme in difficoltà : latte medicato per lattanti, omogeneizzati, biscotti, pastine, pannolini, accessori per neonati e riciclato moltissimi capi di vestiario per l’ infanzia oltre ad una straordinaria disponibilità all’ ascolto». Come riuscite a finanziarvi? «Contiamo principalmente su molti sostenitori generosi, i contributi 8 x mille concessi dal Vescovo di Tortona e la collaborazione con la Caritas locale».
«Il Centro di Accoglienza alla Vita ispirato ai valori Cristiani: «Un supporto concreto per gravidanze indesiderate» Com’è la situazione attuale a Voghera? «Nel 2018 abbiamo sostenuto ben 106 nuclei familiari in difficoltà. In particolare, per loro, abbiamo raccolto e acquistato e poi distribuito aiuti concreti per un valore economico importante, del quale hanno beneficiato complessivamente ben 125 bambini. Inoltre abbiamo distribuito generi di prima necessità e spese per utenze familiari straordinarie da noi precedentemente acquistati con le offerte ricevute per un valore complessivo di 15.500 euro. Alla fine di gennaio sono già 60 nuclei familiari in difficoltà che stiamo aiutando». Come venite a conoscenza dei casi di cui poi vi occupate? «Alcuni si rivolgono a noi, altre volte ci vengono segnalati in particolare dagli
operatori Caritas di Voghera e dai servizi sociali. Abbiamo stipulato anche una convenzione con l’ Ospedale Civile di Voghera che ci consente di colloquiare con le donne in gravidanza che si trovano in condizioni economiche disagiate e per sostenerle cristianamente dinanzi ad una eventuale gravidanza indesiderata». Dove è possibile trovarvi? «Oltre che alla sede di via Mentana siamo presenti nei pressi del reparto di ginecologia il lunedì mattina dalle ore 10 alle 12 per colloqui dove possiamo offrire aiuto ed una testimonianza importante. Abbiamo anche un sito internet, www.cav-voghera.it, dove è possibile contattarci». di Christian Draghi
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CYRANO DE BERGERAC
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Oltrepò & Wine: definirsi i migliori, senza lasciare ai consumatori l’ardua sentenza
A Canneto Pavese, il solo comune figo dell’Oltrepò rappresentato nello star system dal neo cittadino onorario Gerry Scotti, c’è una cantina cooperativa storica che si contraddice da sola già a partire dal proprio sito Internet. Si tratta della Cantina di Canneto Pavese. Nella pagina intitolata “l’azienda” si legge: «Situata nel cuore dell’Oltrepò Pavese, zona ad alta vocazione vitivinicola, la Cantina di Canneto raccoglie dal 1961 le uve migliori di oltre 300 produttori associati, trasformandole con cura ed impegno in vini e spumanti di prestigio (…). Il risultato è la nascita di prodotti classici dell’Oltrepò Pavese qualitativamente superiori». Nella pagina “il territorio” si legge: «Situata nel cuore dell’Oltrepò Pavese, la Cantina di Canneto Pavese, fondata nel 1961, è una cantina cooperativa composta oggi da 160 soci i cui vigneti si estendono sulle colline che circondano il paese di Canneto, in provincia di Pavia, coprendo un totale di circa 400 ettari». I soci passano dall’essere 300 a 160, quale delle due tenere buona? In merito ai prodotti auto definiti «quali-
tativamente superiori», beh, questa ricorda un po’ la storia della «Bonarda Perfetta» ora «Mossa Perfetta», ovvero un altro emblema di quell’odiosa mania degli oltrepadani DOC davanti (all’apparenza) ma un po’ declassati dietro (non pensate male… intendo solo privi di classe) di auto definirsi i migliori, senza lasciare a consumatori, enotecari e ristoratori l’ardua sentenza. Dovrebbero tutti quanti imparare, facendo un bagno di umiltà, dai fratelli pugliesi di Redavalle che - come spiegato a un mio amico piccolo produttore - a volume sarebbero addirittura i primi imbottigliatori di Bonarda dell’Oltrepò Pavese pur senza possedere un filare di vigna (gli altri big puntano sullo sfuso così grazie a Dio non si sovrappongono) che vanno avanti nel silenzio a dare tanto al territorio che li ha adottati, aprendo loro le valvole delle cisterne in consegna ogni giorno, come una moderna rivisitazione delle nozze di Cana. Dovrebbero anche tutti quanti ispirarsi alla semplicità dei fratelli di San Damiano, da tempo immemore senza soluzione di continuità produttori del miglior Metodo Marti-
notti d’Italia, secondo la guida del sommelier multisensoriale Luca Maroni, battendo bazzecole di zone vinicole come Prosecco o colossi della spumantistica italiana nel mondo. Miracoli del lavorar bene, facendo sacrifici e parlando sempre bene. I veri grandi non si vantano, ma purtroppo a Canneto pare che il narcisismo viaggi negli acquedotti. Ciò che a volte non si legge sui siti di alcune Cantine è che negli ultimi anni, tra una lezione data agli altri e l’altra, sono lievitati moltissimo i conti lavorazione per garantirsi la sussistenza e si sono dilatati i tempi di pagamento. Più che le medie (al quintale) interessano i mediatori (cittadini onorari?) per fare fatturato? Non si capisce. Fatto sta che la comunicazione della Cantina di Canneto è rimasta molto anni ’70, con foto che sembrano scansionate ancora impolverate dal baule della nonna. Meglio dunque soffermarsi sul posizionamento dell’azienda: amici del settore commerciale mi hanno spiegato che sul canale della ristorazione la cooperativa, da 160 a 300 soci, praticamente c’è ma non si vede, sebbene invece
in grande distribuzione si trovino i vini di Canneto, compreso il Buttafuoco frizzante che passa in fotografia sull’home page del sito della cantina quasi fosse qualcosa da vantare e non un limite, ovvero la versione banale di un vino che deprime l’immagine del nome di una denominazione dinamica che vuol paragonarsi, ovviamente nella sua versione ferma, al Bolgheri o all’Amarone. Per ora l’amarone si crea in bocca quando si comprende, leggendo il sito della Cantina di Canneto, che non esiste un’identità forte, chiara e percepibile su cui punti la dirigenza della cantina. «Di tutto un po’», “qualitativamente superiori” però. Complimenti! Certamente con il lauto montepremi che la politica metterà a disposizione dell’Oltrepò Pavese dei sepolcri imbiancati ci sarà ancora da divertirsi tra Amarcord, tavoli, tavolini, sedie, divani e quiz tv. Caro Gerry, in Oltrepò cercano ancora l’aiuto del “pubblico”, il 50/50 lo usano ogni giorno e la telefonata… non sanno più a chi farla… di Cyrano de Bergerac
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OLTREPò PAVESE
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Greenway Voghera -Varzi, «Ci auguriamo che tutti i fondi vengano utilizzati al meglio» .
Un esempio di Greenway
La maggior parte della popolazione non riesce ad attribuire più alcuna importanza all’ambiente circostante e questa mancanza di sensibilità nei confronti della natura si rispecchia di conseguenza sulle amministrazioni, le quali promuovono interventi sul territorio che non rispettano i principi ecologici e biologici che stanno alla base della vita e del sostentamento umano. Il risultato è l’esistenza di distese chilometriche destinate all’agricoltura intensiva senza alcun albero, senza alcun accenno di rete ecologica. La situazione ecologica si presenta altrettanto gravemente nelle grandi città dove la natura viene modellata a piacimento di ingegneri che Le conferiscono forme che hanno ben poco a che vedere coi fondamentali principi ecologici della Madre Terra. Nel progettare parchi urbani viene attribuita maggiore importanza alla componente architettonica rispetto a quella naturalistica. Il risultato è una vegetazione che non presenta alcuna valenza ecologica e non è in grado di apportare alcun beneficio alla città. Probabilmente è giunto il momento di cambiare rotta, altrimenti se si continua a vivere con questo stile intensivo, a breve la natura non sarà più in grado di sostenerci. è necessario ristabilire, il più in fretta
possibile, quell’equilibrio tra uomo e natura, rinnovare l’ecologia del paesaggio, attribuendo ad esso maggiore importanza e riconoscendolo come sistema vivente. Abbiamo intervistato Filippo Pozzi, di Cappelletta di Borgo Priolo, giovane laureato in scienze e tecniche agrarie, specializzato in architettura del paesaggio per capire meglio le problematiche del nostro territorio in questo campo. Filippo, prima di specializzarsi all’Università, lei si è diplomato all’Istituto Tecnico Agrario “Carlo Gallini”, quindi la sua passione per la natura ha avuto un ruolo fondamentale per la scelta del suo percorso di studi? «Vivo in campagna da quando sono nato e amo la natura sin da piccolo quando avevo propensione a stare fuori, a seguire mia nonna in giardino. Si può dire sia stata lei la figura fondamentale che mi ha fatto nascere la passione per l’osservazione degli insetti e delle piante. Amavo anche molto lavorare nell’orto con lei e già allora avevo un orto personale che coltivavo con molta cura. Poi ho frequentato l’Istituto Agrario a Voghera con indirizzo Gestione Ambiente e Territorio perché, non avendo terreni agricoli, ero più interessato alla gestione del verde e nel 2010 mi sono iscritto all’Università di Milano alla Fa-
coltà di Scienze e Tecnologie Agrarie. Il curriculum era denominato “Sistemi del verde” ed era già orientato allo studio delle piante ornamentali piuttosto che a quello delle classiche piante agrarie. Finiti i tre anni mi sono iscritto al corso Magistrale inter-ateneo a Genova – Torino – Milano e ho conseguito la Laurea in Architettura del paesaggio». Finita l’Università, come si è attivato per trovare un’occupazione? «Intanto, negli ultimi anni di frequenza all’Università, ho avuto la fortuna di svolgere un tirocinio in uno studio di progettazione del verde di Milano, da un Agronomo, la dott.sa Neonato, uno studio multidisciplinare cioè composto da una naturalista, una forestale, due agronomi e questo mi ha permesso di approfondire la tematica della progettazione del paesaggio. Ho poi analizzato il settore per cui mi sono laureato ed ho mandato diversi curricula senza alcun successo. Facendo delle ricerche , ho trovato poi un corso per “giardinieri d’arte” alla Reggia di Venaria Reale, un corso gratuito finanziato dai Fondi Europei e dalla regione Piemonte, sono stato ammesso tramite colloquio e frequentandolo, ho potuto ottenere maggiori competenze dal punto di vista pratico che erano quelle che mi
mancavano perché progettando molto al computer e vedendo le cose dal punto di vista teorico si perde di vista la vera applicazione in campo. Mi sono reso conto che molti progetti di tipo naturalistico nascono da figure professionali come architetti e geometri che spesso non hanno niente a che fare con il settore del verde perché non fa parte proprio della loro formazione. Molto frequentemente queste figure professionali, vedono le piante come degli oggetti mentre le piante sono degli esseri viventi, hanno bisogno di un terreno particolare e adatto a loro, di nutrimento, di speciali condizioni climatiche, tutte cose di cui bisogna tener conto quando si mettono a dimora perché hanno anche uno sviluppo finale molto diverso. Ad esempio in Oltrepò Pavese mi capita spesso di vedere cedri o abeti rossi, che andavano di moda negli anni’70, che hanno raggiunto dimensioni ragguardevoli e questo implica un problema di tipo scalare, cioè sono stati utilizzati alberi troppo grandi per il luogo di messa a dimora e spesso compromettono e danneggiano le strutture, vengono abbattuti o sono soggetti ad un’operazione definita capitozzatura che è la cosa peggiore che si possa fare ad un albero, perché questi tagli di grandi di-
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«Servirebbero persone competenti che lavorassero con le amministrazioni comunali per le scelte delle piante e la progettazione degli spazi verdi» mensioni decretano la fine dell’albero e , parlando dal punto di vista del paesaggio, sono anche molto deturpanti». Il corso alla Venaria Reale le ha dato la possibilità di svolgere un interessante stage all’estero, ce ne vuole parlare? «Sì, c’era la possibilità di aggiudicarsi uno dei sei posti per uno stage alla Reggia di Versailles e, sostenendo una prova di francese, ne ho ottenuto uno. è stato molto interessante ed è durato quattro settimane. Vivevo in un appartamento a Versailles, iniziavo alle 7.30 del mattino e finivo verso le cinque del pomeriggio lavorando con équipes di giardinieri diversi e questo mi ha dato la possibilità di confrontarmi con vari settori. Ad esempio la prima settimana ho lavorato nel potager di Alain Ducasse, celeberrimo chef stellato francese con ristorante al Plaza Hotel di Parigi e mi occupavo del grande orto singolare anche dal punto di vista estetico. Una cosa che mi ha molto interessato è stata la scarsa presenza di attrezzi a motore, quasi tutto il lavoro veniva svolto con gli attrezzi a mano con grande attenzione per le piante. In Italia non c’è molta cultura per i parchi e i giardini come ad esempio in Inghilterra e in Francia; spesso e volentieri vediamo lavorare personale non specializzato che danneggia le piante con potature non adatte o con l’utilizzo di attrezzi sbagliati. Tornando allo stage, la seconda settimana ho lavorato al “Petite Trianon”, il giardino di Maria Antonietta, la terza al villaggio bucolico di Maria Antonietta, al Mamo de la Renne e infine nel “Grand Trianon”, la reggia esterna a quella principale. Al termine di questo stage mi hanno proposto di rimanere a lavorare per un periodo con un contratto a tempo determinato di quattro mesi rinnovabile e io ho accettato, occupandomi principalmente nel borgo della regina e nel “Grand Trianon”». Lei ha lavorato a Versailles fino alla fine del 2018, perché poi ha deciso di tornare in Oltrepò? «Ecco, questa è una bella domanda (ride). Sono tornato perché io credo che ci sia ancora la possibilità in Italia di lavorare in questo settore, gli italiani sono i capostipiti nella storia del giardino cosiddetto all’italiana che i francesi ci hanno copiato. Secondo me è un peccato che tutti gli specializzati se ne vadano e vorrei provare a dare il mio contributo soprattutto nella
mia zona o in Italia in generale». Cosa le piacerebbe fare? «Il mio progetto sarebbe quello di aprire una mia attività e quindi di avere uno studio di progettazione e realizzazione del verde, un progetto ancora un po’ da definirsi. Vedo che soprattutto nella nostra provincia di giardini e verde urbano se ne occupano molti, come le dicevo prima, con poche competenze e specializzazioni. Ci sono i vivaisti che sono i produttori di piante che possono sì consigliare il cliente ma di solito orientano in base alle piante che hanno a disposizione. Servirebbero persone competenti che lavorassero con le amministrazioni comunali per le scelte delle piante e la progettazione degli spazi verdi. Non ci sono piante più o meno belle ma, come le dicevo prima, non tutti i tipi di piante possono essere utilizzate sempre. Le faccio un esempio. A Voghera ci sono alcune strade dove sono state piantate delle robinie che non sono per niente adatte perché hanno le spine e rami che si rompono facilmente con le intemperie atmosferiche. Spesso e volentieri le amministrazioni comunali si lamentano perché la cura del verde pubblico è molto costosa ma a volte gli alti costi dipendono proprio dalla messa a dimora di specie sbagliate. Le faccio un altro esempio. Nell’ottocento c’erano molti grandi viali alberati soprattutto di platani perché abbiamo importato questo modo di pensare dai francesi e tutt’ora ritroviamo ancora a Voghera alberi di platano e di celtis che hanno carie del legno importanti con potature non adeguate, a volte drastiche, molto dannose per la pianta. Purtroppo le amministrazioni pubbliche hanno una visione non sempre adeguata del verde mentre per la Francia, l’Inghilterra e tutti i paesi nordici il verde pubblico è un investimento sul futuro perché migliora la qualità della vita delle persone. L’Oltrepò pavese però è ancora abbastanza fortunato dal punto di vista naturalistico perché è stato risparmiato dall’eccessiva urbanizzazione, il paesaggio non è tanto cambiato nel tempo e quindi ci sono molte aree naturali come i due Siti di Interesse Comunitario, il Monte Lesima e i Sassi neri di Pietra Corva. Purtroppo queste bellezze naturali non sono facilmente raggiungibili per via del dissesto delle strade e la mancanza di collegamenti ade-
Filippo Pozzi, di Cappelletta di Borgo Priolo
guati». Nei giorni scorsi è arrivato il via libera della Conferenza dei Servizi di regione Lombardia, ultimo passaggio burocratico che consentirà il completamento della Greenway da Voghera a Varzi. Attualmente il percorso arriva fino a Rivanazzano e mancano circa 20 chilometri di ciclopedonale fino a Varzi. In primavera prenderanno il via i lavori per i quali la Provincia ha stanziato circa 3 milioni di euro grazie anche alla partecipazione ad un bando di Fondazione Cariplo. Come vede l’attuazione di questo progetto? «Allora, il termine greenway tradotto dall’inglese significa letteralmente tragitto verde; si tratta di “corridoi” sviluppati lungo vie di comunicazione già utilizzate in passato, dedicati ad una circolazione dolce, ovvero ad una mobilità ciclopedonale. Le greenways più note, nascono grazie alla riqualificazione di linee ferroviarie dismesse, come nel caso oltrepadano della linea Voghera-Varzi. Le ex infrastrutture ferroviarie possiedono caratteristiche tecniche ottimali per essere convertite in percorsi ciclopedonali: sono collocate su un tracciato ben definito con un limitato numero di intersezioni, il destino della ferrovia è di controllo pubblico, la massicciata ferroviaria normalmente è una buona base su cui lavorare, la pendenza è modesta e regolare. Inoltre il processo di conversione è reversibile nel caso in cui si manifesti l’interesse di riavere una linea ferroviaria. Le greenways sono strategiche perché hanno un’enorme potenzialità esercitando diverse funzioni al servizio del paesaggio: di trasporto per una mobilità lenta, turistico-ricreativa, educativa ed ecologica. Un buon progetto di greenway dovrebbe
considerare queste valenze relazionate tra di loro per ottenere un connubio vincente. L’ex linea ferroviaria Voghera-Varzi si trova in una posizione strategica nel contesto paesaggistico dell’Oltrepò Pavese, è un asse Nord-Sud che permette al fruitore di immergersi in una moltitudine di paesaggi differenti passando dalla città all’alta Valle Staffora. Questo potenziale può essere ottimizzato perseguendo una serie di obiettivi ed azioni quali l’unione delle risorse storico-culturali con quelle ambientali creando degli itinerari alternativi opportunamente indicati sulla greenway (monumenti di particolare interesse, itinerari CAI), la connessione dei centri di vita facendo rete con attività e servizi facilmente raggiungibili dal tragitto (strutture ricettive, ristorative, sportive), l’aumento della biodiversità locale mettendo a dimora siepi e filari con specie vegetali di interesse faunistico (piante da bacca per l’avifauna, piante mellifere che attirano api e farfalle). Inoltre bisognerebbe calendarizzare in modo consolidato eventi ricorrenti con caratteri didattico-ambientali, sportivi, enogastronomici attraverso realtà ed associazioni locali (visite guidate, maratone, fattorie aperte). Ci auguriamo che tutti i fondi vengano utilizzati al meglio e che venga curato maggiormente l’aspetto ecologico-botanico per meglio godere dell’ambiente circostante. Un turista che percorre la greenway ha la fortuna di far parte di un paesaggio, nella fattispecie del paesaggio molto vario dell’Oltrepò perché si passa dalla pianura, alla collina, e pian piano si sale nella fascia altitudinale più alta della valle». di Gabriella Draghi
LETTERE AL DIRETTORE
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«Un consiglio al sindaco: provi ad informarsi quali potranno essere le responsabilità per il Comune in caso d’incidente» Gentile Direttore, non avendo mai ricevuto alcuna risposta in merito a quanto di seguito, chiedo ospitalità al giornale da Lei diretto. Mi sono stabilito da circa un anno a Salice Terme in via Rovati e prendo spunto dall’avere visto ieri sera per l’ennesima volta, una signora residente in zona fare passeggiare il suo cane per via Mancinelli debitamente munita di giubbotto a catarifrangenti anti investimento. Mi chiederà perchè anti investimento? è presto detto. Deve sapere che il tratto di via Mancinelli che va da via Giardini alla prima villetta così detta del golf è totalmente priva di camminamento per pedoni, altrimenti detto marciapiede, mettendo a
rischio l’incolumità delle persone che vivono nella zona e che cercano di raggiungere senza danni fisici le loro abitazioni in qualunque ora del giorno. Ora provi a pensare durante le ore serali con il buio magari d’inverno con nebbia, pioggia, o meglio neve. Tenga presente una cosa importantissima stiamo parlando di centro abitato. Nel mese di novembre, ho ingenuamente pensato come cittadino di parlarne con il nostro signor sindaco, non prima di essermi consultato del problema con professionisti di settore, il quale dopo avermi gentilmente ricevuto e ascoltato, mi ha più o meno messo al corrente del fatto che i pedoni devo fare attenzione a non finire investiti oppure per raggiungere casa sarebbe me-
«Situazione economica problematica della Società Terre d’Oltrepò e di Valle Versa S.r.L.» Egregio Signor Direttore, come è noto la società Valle Versa S.r.L. è posseduta al 70% dalla Cantina Terre d’Oltrepo’ di Broni- Casteggio. Essa è stata acquistata dal fallimento della Versa S.p.A.al prezzo di Euro 4.250.000 di cui il 70% (euro 2.975.000) pagato da Terre d’Oltrepo’ e il 30% (euro 1.275.000) da Cavit cioè dall’altro socio. Ognuno dei due soci decorsi 5 anni può esercitare il diritto (chiamato put) di acquistare la quota in possesso dell’altro socio ad un prezzo ragguagliato al valore della quota del socio da cui va detratto l’ammontare delle perdite degli ultimi 2 esercizi. Negli ultimi due esercizi la Versa S.r.L. ha perduto Euro 53.000,00+ Euro 456.000,00 e quindi in totale euro 509.000,00 superando il terzo del suo capitale sociale di euro 1.000.000,00 con obbligo a norma del codice civile di adottare provvedimenti di riequilibrio del bilancio o di riduzione del capitale sociale. I soci di Terre d’Oltrepò che aspirano a vedere meglio retribuite le UVE da essi conferite potrebbero correre i seguenti rischi: a) La Versa S.r.L.potrà essere acquisita dall’altro socio ad un prezzo molto basso
glio fare la strada alta che anche se più lunga e in salita è certamente più sicura. Forse quel giorno il signor sindaco ed i signori assessori anche loro presenti, non mi erano sembrati molto in forma nell’ascoltarmi probabilmente concentrati su problemi sicuramente più seri ed importanti. Mi avrebbero comunque aggiornato dopo aver affrontato il problema. Non ho ancora ricevuto risposta forse ancora impegnati da cose più serie di un cittadino da loro amministrato, incapace di evitare un investimento. Devo dare atto che da poco è stata installato un passaggio pedonale/dosso ben segnalato, che provvede ad unire i due fossi ai lati della strada. Problema risolto. O forse
Ospedale, «Attese insostenibili»
(quota di Terre d’Oltrepò meno le perdite accumulate); b) Terre d’Oltrepò chiamata a reintegrare il capitale sociale delle perdite di Versa S.r.L.; c) Il pagamento delle rate di Euro 700.000,00 annue da pagare per 7 anni al fallimento o alle Banche per l’acquisto di Versa S.r.L. e la rata di euro 300.000,00 annue per 16 anni; d) Le uve ai soci di Terre d’Oltrepò rischierebbero di essere pagate sempre di meno e le nostre aziende ridotte sul lastrico per il patteggiamento delle sanzioni per l’illecito arricchimento dovuto ai reati commessi,prefigurano una situazione finanziaria di Terre d’Oltrepò drammatica. Dico perciò ai colleghi soci di non farsi più illudere dal CdA e dal Presidente di Terre d’Oltrepo’ sulla situazione tranquilla della cantina poiché essa è allarmante: la riprova è l’acconto di solo 10 euro al quintale corrisposto a dicembre. Altre cantine hanno corrisposto 13/15 Euro al quintale che a seguito della precedente vendemmia flgellata dalle gelate e dalla siccità ci avrebbe fatto molto comodo.
Buongiorno Direttore, la mia sarà una delle innumerevoli lamentele che riceverete a questo proposito. Vorrei far comunque presente il disagio dei pazienti che effettuano visite all’ospedale. L’orario degli appuntamenti viene regolarmente NON rispettato. Purtroppo negli ultimi mesi, causa gravi problemi di salute, ho dovuto effettuare diverse visite ed esami, spesso il ritardo, rispetto all’orario indicatomi, si aggira intorno alle due ore… una vergogna! L’anno scorso, cercando di ovviare a questa ‘consuetudine’, ho scelto il primo appuntamento del mattino… peccato che il medico sia arrivato con oltre mezz’ora di ritardo! Vorrei anche segnalare la poca disponibilità di alcune infermiere a fornire informazioni relative a queste insostenibili attese. Ma questa è la nostra sanità pubblica?? Ma questo è il rispetto delle persone che devono recarsi al lavoro, o di ragazzi che organizzano un appuntamento per non perdere corsi universitari?? Cordiali saluti
Avv. Ennio Granata - Borgo Priolo
Silvia Novelli - Casteggio
LETTERE AL DIRETTORE Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate
con un po’ di ingenio (sic) basterebbe in quel tratto, rasare il fosso per renderlo percorribile e tracciare una vistosa linea gialla ben visibile anche di notte che separi la strada dal (virtuale) camminamento. Un consiglio al signor sindaco ora che il problema è stato risolto con il dosso/ passaggio pedonale: provi ad informarsi presso lo studio legale del Comune quali potranno essere le eventuali responsabilità e le conseguenze per il comune in caso di malaugurato incidente . La ringrazio per l’ospitalità e cordialmente la saluto. Eugenio Zemola - Salice Terme
Quando la maleducazione non si ferma neppure davanti ad una donna in carrozzella Egregio Direttore, domenica scorsa mi sono recato in un locale vicino a Broni con una mia amica in carrozzina. Appena arrivati ho cercato il parcheggio riservato che, naturalmente era occupato da una macchina senza contrassegno. Mentre la moglie del proprietario stava facendo salire in macchina il figlio piccolo, mi sono avvicinato per fare presente che quel posto era riservato a chi ne ha veramente bisogno. Come risposta, sono stato investito da una serie di parolacce e bestemmie. Essendo la coppia giovane (avevano circa 40 anni) mi sono domandato che educazione potranno ricevere i figli. È questo il futuro che vogliamo? Confesso, anche se in parte sono abituato, di essere molto amareggiato. Carlo Nascimbene - Broni DIRETTORE RESPONSABILE Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 27052 Godiasco Salice Terme (PV) - Tel. 0383/944916 www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. Via Brescia 22 - 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto
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RIVANAZZANO TERME
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Rivanazzano Terme: tangenziale sì, tangenziale no? Si torna a parlare di una nuova tangenziale a Rivanazzano Terme. Il progetto, mai abbandonato dalle amministrazioni comunali del paese, prevede di collegare, grosso modo, la zona dell’aeroporto con quella ove è situata la Valvitalia. Questo, nelle intenzioni dei proponenti, andrebbe ad eliminare dal centro storico la maggior parte del traffico che percorre la direttrice Tortona – Voghera, ed in particolare i mezzi pesanti che dall’area industriale di Rivanazzano si dirigono verso le autostrade. Il che non è tuttavia scontato, dal momento che l’area in questione è praticamente equidistante dai caselli di Tortona e di Casei Gerola. Occorrerebbe porsi, poi, il problema del consumo di suolo: in una provincia relegata al ruolo di fanalino di coda nelle apposite classifiche di Legambiente. Certo è che l’effettiva realizzazione di questa infrastruttura sarebbe piuttosto complicata e richiederebbe anni. Il comune di Rivanazzano non potrebbe certo farsi carico in autonomia di un progetto di tale portata. Servirebbero risorse esterne. Le stesse che non si trovano per il prolungamento della tangenziale di Voghera fino a Retorbido e addirittura a Rivanazzano, idea ben più antica e altrettanto mai dimenticata dai suoi fautori, anche se attualmente non all’ordine del giorno. Si era anche parlato, in relazione a questo prolungamento, di un nuovo ponte sullo Staffora, a monte rispetto al precedente e dunque capace di tagliare fuori Rivanazzano dal passaggio verso Varzi e il resto della valle. Opportunità da incentivare o da condannare? Con riferimento a queste due tangenziali, il vigente Piano di Governo del Territorio di Rivanazzano Terme dice chiaramente: ‘‘Queste nuove infrastrutture consentiranno di intercettare e di smistare il traffico proveniente da nord e diretto verso la Valle Staffora (anche in funzione del previsto completamento della tangenziale sud di Voghera), nonché quello da e verso Tortona (specie il traffico pesante)’’. In ogni caso, l’idea in questione è di quelle che lasciano il segno. E infatti in paese si sono scatenati i commenti. Da una parte, quanti risiedono lungo la direttrice Tortona – Voghera sono favorevoli, in linea di massima, a uno spostamento del traffico lungo altre vie di percorrenza. Dall’altro lato, diversi commercianti temono che una riduzione del traffico porti, di conseguenza, una riduzione della clientela. Abbiamo parlato con alcuni commercianti di Rivanazzano, proprio per ascoltare quali sono le loro opinioni in merito. Giampaolo Monastero, titolare del negozio Riva del Gusto, è anche consigliere
Giampaolo Monastero
Sandro Sartori
comunale; dunque, persona informata dei fatti. Con grande disponibilità ci ha spiegato il suo punto di vista, tutto sommato positivo. Monastero, cosa ne pensa? «In Comune si è parlato effettivamente di questa tangenziale, che dovrebbe partire dall’imbocco di Rivanazzano (verso Voghera) e arrivare dove c’è la Valvitalia. Sicuramente verrebbe tagliata solo la parte di traffico che arriva da Tortona, quindi a livello di commercio, secondo me, non perderemmo molto.» Si eliminerebbe il traffico pesante dal centro del paese. «Sì, verrebbe meno il traffico pesante che provenendo da Tortona si immette in via XX Settembre e si dirige verso il semaforo del teatro, che magari causa disagio ai residenti. Riuscire a spostare i camion che arrivano da Tortona sarebbe già una bella cosa. Non sono i camion che si spostano fra Voghera e Tortona a portarci o portarci via il lavoro. Il paese sarebbe più in difficoltà se si spostasse il traffico che va verso Varzi arrivando da Voghera o da Pavia. È da lì che arrivano le persone interessate a fermarsi. Quindi secondo il mio punto di vista per le attività commerciali cambierebbe poco, con questa nuova strada.» Crede sia realistico pensare che questo intervento venga realizzato effettivamente? «In Comune ne abbiamo parlato e lo abbiamo fatto nel corso tempo; sicuramente è un’opera che si vuole realizzare.» Certamente molto dipenderà dai finanziamenti esterni che eventualmente si riusciranno a reperire. Si tratta di
un’operazione costosa. «Certamente non è una cosa che si può fare dall’uno al tre. Però un progetto di massima c’è già. Non è una cosa campata per aria. Può portare molto benessere alla cittadina, anzi, eliminare almeno una parte del traffico pesante. Penso soprattutto alla zona delle scuole.» Rivanazzano si configura come paese del benessere, anche data la presenza dell’impianto termale. Pensa possa essere di beneficio al commercio insistere su questo aspetto? «Se vogliamo che la gente vada nelle attività commerciali, direi che bisognerebbe non fare i centri commerciali intorno ai paesi.» Rivanazzano non ha mai agito in questo senso. Non ci sono grandi aree commerciali, come in alcuni comuni limitrofi, poco fuori dal centro abitato. «No, anche perché c’è un piano regolatore che non lo permette. La scelta è quella di favorire le piccole imprese.» Abbiamo poi sentito Sandro Sartori, titolare del Punto Pesca Sport. Ha sentito parlare di questa tangenziale? Cosa ne pensa? «Avevo sentito parlare del prolungamento verso la valle Staffora. Comunque sono favorevole anche a questa infrastruttura, ci sarebbe meno traffico in mezzo al paese e questo non può che essere positivo. Poi Rivanazzano è conosciuto come uno dei paesi più belli dell’Oltrepò. La gente viene non tanto perché di passaggio, magari per caso, ma perché qui trova i negozi giusti. Quindi, secondo me, ci verrà anche più volentieri se ci sarà meno caos
per strada. Penso soprattutto a un negozio come il mio. Potrebbe dare più fastidio magari a una gelateria o a un bar. Io d’altra parte mi occupo di un settore particolare, che non è molto influenzato dal passaggio.» Un’attività abbastanza settoriale, ma ben inserita nel tessuto cittadino. «Un negozio simile al mio lo si trova solo a Pavia. Sì, sono tanti anni che ho il negozio. Festeggio a giugno il trentesimo anniversario. Molte cose sono cambiate negli anni, ma non sarà questa strada a stravolgere tutto.» Giancarlo Guidobono, titolare de ‘‘L’edicola di Gian’’, non vede questa idea del tutto positivamente. «Si perderebbe certamente il passaggio di un certo numero persone. Di pro, ne vedo pochi. L’unico pro può essere che porta via un po’ di camion, in mezzo a Rivanazzano, ma soltanto quello.» Anche Maurizio Villa, proprietario del bar La Tour e in passato presidente della Pro Loco di Rivanazzano Terme, non vede positivamente questa novità. «Non è la prima volta che si parla di questa idea. Oggi come allora il mio parere è contrario, perché togliere passaggio significa togliere vitalità a Rivanazzano.» Un siffatto progetto non potrebbe essere portato avanti dal comune di Rivanazzano in autonomia. Pensa che le risorse che eventualmente altri enti do-
«Per le attività commerciali cambierebbe poco, non sono i camion che si spostano fra Voghera e Tortona a portarci o portarci via il lavoro»
RIVANAZZANO TERME
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«Si perderebbe certamente il passaggio di un certo numero persone. Di pro, ne vedo pochi» Giancarlo Guidobono
vessero avere a disposizione potrebbero essere impiegate per manutenere la viabilità già esistente? «Sicuramente sì, se si trovano risorse potrebbero essere investite diversamente.» Last but not least, abbiamo chiesto il parere di Betty Bevilacqua, titolare della Panetteria Betty e assessore al commercio. «Per le attività commerciali sicuramente non sarebbe positivo. Se si toglie un passaggio, viene meno anche un certo nume-
Maurizio Villa
Elisabetta Bevilacqua
ro di clienti. Tant’è vero che paesi come Codevilla, dove la strada provinciale passa all’esterno, sono un po’ tagliati fuori dal punto di vista del commercio. Non ti capita di passarci dentro apposta e di farci un giro. Quando la gente passa, magari si ferma, vede una vetrina, entra, fa un giro, e in un modo o nell’altro porta un po’ di vita nel paese. Da quando a Varzi non ci sono più certe attività, come la Zincor e altre, c’è sicuramente meno traffico di camion, di rappre-
sentanti, di dirigenti, che magari passando si fermavano a prendere un caffè. Per Rivanazzano sarebbe un po’ la stessa cosa. Poi, ormai, siamo abituati alla comodità. Se arrivi con la macchina davanti a un posto ci entri, altrimenti vai da un’altra parte.» Spera che le cose per le attività commerciali possano proseguire in questo modo, o auspica qualche cambiamento? «No, anzi: a Rivanazzano, come ammi-
nistrazione, di base c’è sempre il desiderio di agevolare le persone, non certo di ostacolarle. Per esempio, qui i parcheggi non sono stati messi a pagamento. Certo, capisco anche che ci siano dei cittadini in via XX Settembre che reclamano perché passano troppi camion. Bisognerebbe comunque trovare una soluzione che accontenti tutti.» di Pier Luigi Feltri
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Negozi che chiudono, le Terme chiuse ed il Parco... Per fortuna ci sono i locali del divertimento A Salice Terme, frazione del Comune di Godiasco, da alcuni anni e con ritmo regolare, hanno chiuso e continuano a chiudere diverse attività commerciali e ogni volta che un negozio chiude, molti dicono: “Ecco un altro negozio chiuso, va sempre peggio”… etc. etc. etc. La realtà è che in tanti paesi, piccoli e grandi, dell’Oltrepò e quindi non solo a Salice Terme, molti negozi chiudono e stiamo parlando di paesi nel senso più completo del termine, paesi con famiglie che da decenni se non centinaia di anni sono nate, cresciute e continuano a vivere lì. Salice Terme che paese non è, essendo una frazione del Comune di Godiasco, non è neanche paese nel significato più vero: salicesi veri non ce ne sono o se ce ne sono si contano sulle dita di una mano, molti dicono che non è vero e si autoproclamano salicesi doc affermando che “Dopo 50 anni che abito qui sono salicese a tutti gli effetti…”. Sì forse sarà pur vero che tu che da 50 anni vivi qui ti senti salicese, ma se vai in un altro qualsiasi paese dell’Oltrepò troverai persone e famiglie che vivono lì da 100, 200 o anche più anni. E questo che c’entra? C’entra, altrochè se c’entra… Salice non ha uno zoccolo duro di salicesi, Salice quindi non ha un numero di persone sufficientemente e storicamente innamorate del proprio paese, ma al contrario ha un numero di persone che abita a Salice perché è o meglio era, piacevole abitarci, ed un numero di persone (poche in realtà ed ogni anno sempre meno…) che è salicese perché vi lavora. Non sto dicendo che tutti gli abitanti di Salice non siano innamorati del proprio paese, sto dicendo che gli abitanti di Salice non hanno un innamoramento storico del proprio paese e la maggior parte degli oggi salicesi, che negli anni si è trasferita qui, ha scelto di farlo consapevolmente perché Salice era una località piacevole, piacevole perché c’erano e ci sono ancora tanti eccellenti bar, tanti eccellenti ristoranti e pizzerie, divertenti discoteche e ottime possibilità di divertimento sportivoludico, come le piscine, il golf, il tennis… A tutti questi salicesi di fare la spesa a Salice, se non in qualche caso la domenica mattina perché non hanno voglia di andare a Rivanazzano o a Voghera o in qualche centro commerciale, non passa neanche per l’anticamera del cervello. La crisi dei negozi salicesi non è degli ultimi anni e non si può incolpare nessuna delle amministrazioni che in questi anni si sono succedute La crisi è dovuta in parte alla crisi termale, perché piaccia o non piaccia i clienti delle Terme nel 2004 erano 24mila e questi clienti, non tutti ma alcuni sì, un salame, il pane, la carne, la frutta… intanto che erano alle Terme…
acquistavano, oppure per chi soggiornava in Hotel capitava di doversi fare lavare una camicia in lavanderia. E voi capite bene che 24 mila persone che ogni anno venivano a Salice per effettuare le cure termali, e ci venivano per 12 giorni, un bel po’ di movimento lo creavano. Non tutti comperavano nei negozi di Salice, ma anche se solo 1 su 10 lo faceva, su un numero di 24mila clienti, capite bene che i negozi qualche cosa incassavano. Ora le Terme sono passate da 24mila clienti del 2004 ad essere… chiuse. Le Terme nel 2004 erano aperte tutto l’anno con la sola interruzione di 7/10 giorni a cavallo del Natale, pertanto seppur non omogeneamente spalmati, di clienti termali che giravano per Salice durante il giorno ce ne erano certamente di più rispetto ad oggi che le Terme sono chiuse. Questo è uno dei motivi, anche se non il principale, della crisi di alcuni negozi di Salice. L’altro motivo come dicevo prima sta nella tipologia dei residenti che abitano a Salice ma che non sono salicesi, in ultimo è lampante, e questo non riguarda solo Salice, ma quasi tutti i paesi oltrepadani, che purtroppo diversi piccoli negozi, quelli di prossimità, chiudono, anche se sembra che con grandi sforzi, in alcune zone d’Italia si stia invertendo questa tendenza. Ogni paese o località d’Italia ha una sua vocazione, chi vinicola, chi agroalimentare, chi industriale e chi turistica, Salice fino a circa 10/15 anni fa, aveva una vocazione turistica che ora purtroppo non ha più, ma le è rimasta una vocazione che la rende unica nel panorama oltrepadano: la vocazione ludica.
A Salice durante tutto l’anno le persone vengono prevalentemente la sera e nei fine settimana per andare nei ristoranti, nelle pizzerie, nei bar e nei locali pubblici che offrono musica e divertimento, inoltre per alcuni mesi dell’anno, durante la bella stagione, la gente viene a Salice anche durante il giorno ed anche nei giorni feriali per frequentare le piscine ed i vari impianti sportivi. La gente non viene a Salice per comperare generi di prima necessità ed è per questo che i negozi chiudono. Se è giusto o sbagliato questo non lo so, ma questa è la realtà dei fatti e bisogna farsene una ragione e non tutte le volte che chiude un negozio commentare l’episodio come se fosse la fine del mondo. Bisognerebbe anzi vedere la chiusura di un negozio come un’opportunità per avere un locale libero affinchè lo stesso venga occupato da un’altra attività che invece a Salice sembra ancora funzionare: un bar, una paninoteca o un qualsivoglia locale a scopo ludico. L’ amministrazione comunale attuale né le precedenti hanno colpe specifiche, forse l’amministrazione potrebbe incentivare l’apertura di nuove attività o aiutare le attività esistenti, dando nuove facilitazioni, diminuendo ulteriormente le imposte o mettendo in campo altre brillanti idee che senz’altro il sindaco-geometra avrà in testa, per incentivare gli esercizi pubblici a scopo ludico ricreativo. A tal proposito qualche salicese ipotizza per i negozi sfitti, causa richiesto affitto troppo alto o per libera scelta del proprietario, di prendere misure coercitive affinchè gli stessi proprietari “dei muri” scen-
dano a più miti consigli e a più ragionevoli richieste economiche d’affitto, affinchè questi spazi commerciali trovino locatari. Non so se questo sia possibile perché per ora e per fortuna una persona delle proprie proprietà, nell’ambito della legge, fa quello che ritiene giusto ed è nella sua piena libertà decidere se vendere o affittare o se non farlo. La frazione di Salice Terme forse non è mai stata, certamente negli ultimi 20 anni non è stata, ed in futuro ho la ragionevole certezza che non sarà, una località con dei negozi, ma sarà, spero, perché altrimenti Salice muore definitivamente, una località di locali pubblici ludici. Piaccia o non piaccia, l’unica cosa che oggi funziona a Salice dopo la disdicevole ma prevista, per manifesta incapacità, chiusura delle Terme, sono i locali pubblici. Certo i locali pubblici creano più problemi ambientali di un negozio qualsiasi, la clientela dei locali pubblici è considerata dai più chiassosa e maleducata, da altri che hanno più spirito di tolleranza, viene considerata festosa, ma se viene a mancare anche questa chiassosa o festosa clientela, ripeto, Salice già agonizzante muore definitivamente. Qualcuno dirà: “Ma noi a Salice abbiamo il Parco... Che suggestive le passeggiate nel Parco... Che bella la quiete e la pace del Parco”... Appunto quiete e pace: quiete perché di gente che va nel Parco ce n’è poca e sempre meno, se non il 25 Aprile ed il 1° Maggio se fa bel tempo, pace perché chiuse le Terme anche per il Parco vale la frase “Pace all’anima Sua”. di Nilo Combi
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GODIASCO SALICE TERME
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«Sempre presenti quando ci chiamano»
Il Gruppo Alpini di Godiasco, Montesegale , Rocca Susella
L’Associazione Nazionale Alpini – ANA – esiste dall’8 Luglio del 1919, data in cui, presso la Birreria Spatenbräu di Milano, un gruppo di reduci della Prima guerra mondiale, decise di ufficializzare quei sentimenti di solidarietà, amicizia, senso del dovere e amore per la Patria “imparati” durante la “naja”. Oggi l’Associazione Nazionale Alpini conta circa 350mila soci con 80 sezioni in Italia e 30 sezioni nei vari paesi del mondo. Le Sezioni si articolano in quasi 4.500 Gruppi ed uno di questi Gruppi è quello di Godiasco – Montesegale – Rocca Susella, che insieme agli altri 19 Gruppi presenti in Oltrepò Pavese, fanno capo alla Sezione di Pavia. 38 ex Alpini praticanti sono affiancati da 16 “amici” che di fatto non sono mai stati alpini ma che condividono lo spirito alpino, 54 “amici” che ogni martedì sera si ritrovano in quel di Godiasco, dove chiacchierano di un po’ di tutto «Si ride e si scherza, non si parla di politica, assolutamente vietato e si commenta ciò che succede, dallo sport al tempo…», come precisa Tino Rolando, 74 anni salicese ed ex alpino che riveste il ruolo di Tesoriere dell’Associazione, affiancando Andrea Franchi, rivanazzanese, che ne è il capogruppo. Rolando in che hanno lei ha fatto l’Alpino? «Era il 1965 e sono stato nel corpo degli
alpini per 18 mesi». Sono passati 54 anni. Qual è la motivazione che, dopo così tanti anni, la rende ancora legato al mondo degli alpini? «Certamente è il risultato di come il corpo degli Alpini sia particolarmente unito e solidale, quello spirito alpino che non muore mai e che si può tradurre nell’affezione che si ha per la gente, nel mettere all’occorrenza a disposizione di tutti il proprio tempo libero per la voglia di fare ed aiutare. Credo che in questo gli Alpini siano un grande esempio di solidarietà e convivenza civile». Questo spirito alpino le è stato insegnato durante la naja o è un qualcosa che si ha di intangibile e spontaneo? «Assolutamente insegnato durante la naja, successivamente diventa intangibile e una parte di te. Quei 18 mesi di naja sono stati molto duri, non dimentichiamo che gli Alpini sono le truppe da montagna dell’Esercito Italiano, considerati uno dei corpi più difficili sia per le condizioni climatiche in cui si è costretti ad operare sia perché ha sempre vantato una disciplina ferrea imposta dai superiori che allora noi, proprio per questa loro inflessibilità chiamavamo ‘impestati’». Lo spirito alpino che lei ha recepito nel 1965 c’è ancora oggi? «Certo che sì. Gli anni immediatamente successivi alla naja, quelli del post conge-
«Tutte le attrezzature di cui disponiamo, oltre a utilizzarle per le nostre attività, le mettiamo a disposizione di qualsiasi associazione o gruppo che ce lo richieda, sempre». do sono gli anni in cui gli ex Alpini sono maggiormente distratti nella partecipazione attiva all’interno dell’Associazione. Molto spesso per motivi lavorativi non si ha il tempo e la condizione mentale di mettere concretamente in pratica lo spirito alpino, spirito che dopo gli anni passati a lavorare e con l’età della pensione da “dormiente” ritorna attivo, se prima ci si limitava a partecipare o a guardare qualche raduno nelle occasioni ufficiali, dopo ci si può permettere di fare, di lavorare, di partecipare...». Quando e per volontà di chi è nato il Gruppo di Godiasco – Montesegale –
Rocca Susella? «Il gruppo Alpini di Godiasco, Montesegale e Rocca Susella nasce nel Maggio 1992 per volontà di tanti Alpini ma soprattutto per l’impegno degli indimenticabili Romualdo Lardini, primo capogruppo e Pietro Iannuzzi, suo successore». Qual è il vostro punto di ritrovo? «La sede fu individuata nel 1992 ed è la stessa dove ancora oggi ci si ritrova, l’ex Asilo Infantile “Monumento ai Caduti”. Un grazie alla disponibilità dell’amministrazione comunale di Godiasco ed all’impegno degli alpini, impegno sempre mantenuto, di corrispondere in opere di
GODIASCO SALICE TERME manutenzione dell’edificio, il canone di locazione». 54 iscritti, tra questi quanti sono i giovani? «Quattro o cinque». C’è differenza nello spirito alpino tra voi “anziani” ed i giovani? «No, non c’è differenza alcuna, passano glia anni ma lo spirito rimane». Con la vostra Associazione in che modo siete attivi nel territorio del Comune di Godiasco Salice Terme? «Sempre presenti quando ci chiamano, in prevalenza siamo impegnati in attività a carattere sociale ed in numerose iniziative benefiche, ad esempio con la Fondazione Don Gnocchi di Salice Terme abbiamo da diversi anni una bella collaborazione attraverso la quale portiamo ogni anno un po’ di allegria con le nostre caldarroste, la polenta ed il vin brulè. Tanti momenti di aggregazione sia con la popolazione che con le altre associazioni presenti sul territorio come alla festa patronale di San Giovanni o a quella di Salice Terme o ancora alla Fiera di San Martino a Godiasco». La vostra attività e presenza è solo nel comune di Godiasco Salice Terme? «Sì siamo operativi solo nel nostro Comune, fuori dal territorio comunale siamo spesso presenti e con molto piacere, ma solo per partecipare alle manifestazioni che altri gruppi organizzano». Che rapporti avete con le altre associazioni attive nel Comune di Godiasco Salice Terme? «Molto buoni e di massima collaborazione. Ad esempio durante la Fiera di San Martino abbiamo dato in uso ai volontari la nostra tenda da campo, questo è solo un piccolo esempio dello spirito fattivo di noi Alpini e dello scopo del nostro gruppo, partecipare attivamente alla vita sociale del Comune. Tutte le attrezzature di cui disponiamo, oltre a utilizzarle per le nostre attività, le mettiamo a disposizione di qualsiasi associazione o gruppo che ce lo richieda, sempre».
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Tino Rolando, ex Alpino, Tesoriere del Gruppo
Qual è il sogno nel cassetto del vostro Gruppo? «Sopravvivere e mantenere attivo il gruppo è già una buona cosa, purtroppo ogni anno qualcuno di noi “passa a miglior vita”… e con il fatto che la naja non sia più obbligatoria ci ha reso sempre in meno. Inoltre noi non abbiamo alcun finanziamento o aiuto pubblico quindi dobbiamo per forza restare con i piedi per terra». Non avete alcun aiuto pubblico? «Nessuno. Ci automanteniamo con il pagamento della tessera associativa annuale di 25 euro stabilita dalla sezione di Pavia, specifichiamo che di questi 25 euro, 20 vanno alla sezione di Pavia a cui facciamo capo e 5 rimangono nelle nostre casse, quindi dobbiamo per forza arrangiarci… Abbiamo un ex alpino anziano di 84 anni che è un ottimo cuoco e ogni 15/20 giorni organizziamo pranzi e cene che ognuno di
noi paga, cifre modeste ma che ci permettono di pagare le spese e con gli utili comperare ciò che ci serve per le manifestazioni in cui siamo presenti, vino, salame…». Nessun aiuto dal Comune di Godiasco? «Il Comune ci ha dato 260 euro come rimborso spese per una manifestazione pubblica, contiamo poi sulle donazioni ad esempio il Gulliver ci ha regalato 1 quintale di castagne». Come gruppo di Godiasco avete una festa vostra? «Sì certo, a Chiusani nel Comune di Rocca Susella, per l’esattezza a Poggio Alemanno dove sorge una piccola Chiesa, l’Oratorio di San Rocco che 3 gruppi di alpini tra i quali il nostro ha interamente ristrutturato. Alla prima domenica di Maggio ci ritroviamo per la Santa Messa e poi “come tradizione” ci rifocilliamo con una bella tavola imbandita».
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Il raduno nazionale degli ex Alpini muove una quantità enorme di persone. Voi partecipate? «Sempre, ovunque sia è sempre presente una delegazione del nostro Gruppo». È pensabile ed è nelle vostre aspirazioni organizzare una grande manifestazione nel territorio di Godiasco? «È certamente possibile, perché le manifestazioni di un certo livello organizzate dagli Alpini richiamano sempre tanta gente, Alpini e non. Vale come esempio la manifestazione da noi organizzata, alcuni mesi orsono, al Teatro Cagnoni di Godiasco dove il teatro era gremito di persone. Certamente se ad esempio si invitasse Bepi De Marzi, autore tra le più belle e commoventi canzoni degli alpini, sono ragionevolmente certo che dalla provincia di Pavia e limitrofe arriverebbero non meno di 2mila persone». Una grande manifestazione organizzata dal vostro Gruppo è pensabile? «Potrebbe essere un’idea per portare gente nella nostra località, il costo sarebbe assolutamente ragionevole ed i ricavi dati sia dalla vendita dei prodotti alimentari dell’Oltrepò Pavese, da noi cucinati e serviti, sia dall’ ingresso fatto di offerte, questa è una nostra regola, noi non facciamo mai pagare alcun biglietto, potrebbe, penso, pressoché coprire i costi. Una manifestazione che costa qualche migliaio di euro potrebbe attirare, se ben pubblicizzata, oltre duemila persone, per cui penso che potrebbe essere un ottimo evento». Durante la “chiacchierata” con Tino Rolando abbiamo capito dalle sue parole che essere alpino vuol dire essere fiero di essere “italiano”, onorare la bandiera e ricordare i tanti caduti morti sui campi di battaglia, che sono partiti abbandonando la loro famiglia ancora giovanissimi per dare a noi un’Italia “libera”, gente che conserva e tramanda i valori propri della gente di montagna, volontà di lavorare, di sacrificio e di solidarietà per chi è in difficoltà. di Silvia Colombini
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VARZI
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«Ho iniziato come disegnatore meccanico alla Lawil, dove si produceva la famosa Varzina» Luigi Ginelli, varzese, classe 1953, non è un semplice esperto di musica. Per molti anni è stato un vero e proprio punto di riferimento. Per gli appassionati, che accoglieva nei mitici negozi Settenote e Music Box di Voghera. Per il popolo della notte, dagli esordi al “Rondò’’, fino alle serate live con i Music Box nei più importanti locali della zona. Una vita consacrata alla musica, come racconta lui stesso: «Tutti i ricordi che ho fin da bambino hanno sempre a che fare con la musica». Dalla sua passione e dalle sue conoscenze è nato un volume, “Che spettacolo a Varzi... Gli anni ‘60’’, edito da Guardamagna. Il libro consegna alla storia una memoria che rischiava di finire nel dimenticatoio: quella di un paese attivo, dinamico, aperto alle novità, e non soltanto a quelle musicali. Il punto di partenza è una biografia sui Barracuda, storica band, ma gli esiti sono ben più ampi. E la storia personale di Ginelli, che si intravede fra le righe, va ben oltre gli anni cui si riferisce il volume. Siamo andati da lui per farcela raccontare. Mi racconti dei suoi inizi. «Ho iniziato la mia carriera lavorativa come disegnatore meccanico. Lavoravo alla Lawil, dove si produceva la famosa Varzina. Ho disegnato anche un catalogo cartaceo, a metà anni ’70, dove erano illustrati tutti i pezzi di ricambio. Un catalogo tutto fatto a mano, in esploso». Se oggi qualche nostalgico volesse rimettere in produzione una nuova versione di quel mitico mezzo dovrebbe partire proprio dai suoi disegni. «Sì, probabilmente sì. In quegli anni ero stato anche in Indonesia, a Giakarta, per due mesi e mezzo, perché un industriale svizzero molto facoltoso, un certo Hansen, aveva impiantato lì una fabbrica, dove producevano una macchina con gli stessi pezzi della Varzina. E io, conoscendo bene quei pezzi, ero andato per assistere le maestranze locali. Fornivamo loro, come Lawil, il motore, il cambio e una parte dell’impianto elettrico. Le macchinette che costruivano, simili alle nostre, venivano usate come taxi. In seguito sono passato alla Lavezzari Impianti, che era in fase di espansione. Sotto lo stesso proprietario». La musica è sempre stata con lei, anche in quel periodo? «Fra il ’76 e il ’78, era nata a Varzi la discoteca ‘‘Il Rondò’’, che era situata fra il ponte sullo Staffora e le scuole medie. Facevo il deejay: sono stato uno dei primi, probabilmente. La mia attività in prima persona nel mondo della musica ha preso il via da lì; per l’amicizia che era nata con Pepi Zacchetti e con gli altri. Era proprio Zacchetti che gestiva il locale, anche se
Luigi Ginelli, varzese classe 1953
eravamo in tanti a dargli una mano. Tempo dopo, lui ha poi ha rilevato il negozio Settenote, a Voghera, che in precedenza era di Poggi Francesco, ed era situato in via Cernaia. L’anno dopo mi ha convinto ad andare a lavorare da lui, quindi mi sono licenziato da Lavezzari Impianti». Un bell’acquisto per Zacchetti… lei era già un intenditore. «La musica la conoscevo: suonavo, poi ho sempre collezionato dischi. Sono arrivato ad averne più di 30mila, tra LP e 45 giri. Poi mi interessavo di alta fedeltà, quindi conoscevo bene gli apparecchi che uscivano man mano, le nuove tecnologie». La sua passione per la musica ha radici famigliari? «I miei, mio papà e mia mamma, hanno sempre cantato. Lo facevano spesso con mio zio Egidio, che suonava la chitarra. Ci si trovava in casa, e cantavano a tre voci. Io ho assimilato molto da queste serate». Non avevano una formazione musicale vera e propria… «Nessuno dei tre. Ma nemmeno io». Cosa si cantava in casa? Canti popolari? «Certo, ma si cimentavano anche in cose più elaborate. I primi dischi, quando avrò avuto tre o quattro anni, li ho sentiti proprio da mio zio Egidio, che era appassio-
nato dei Los Paraguayos, dei Platters… Gruppi del genere, che erano prettamente impostati sul vocale». È stato suo zio a insegnarle le basi per il suono della chitarra? «Sì, i primi rudimenti li ho avuto da lui, in qualche modo. Ricordo che andavo a casa dei nonni, quando lui non c’era, prendevo in mano la chitarra e mi mettevo a pizzicare le corde, per far uscire dei suoni che mi sembravano incredibili». Ricorda la sua prima chitarra? «La mia prima chitarra, quella acustica della Ariston, la presi nel ‘67/’68 da Moroni, a Voghera». La ‘‘Casa della Musica’’ di Via Emilia, negozio storico… non sapevo vendesse anche strumenti. «Allora i negozi del genere, oltre agli elettrodomestici e ai dischi, vendevano anche strumenti musicali». Con la prima chitarra ha iniziato anche le esibizioni dal vivo, in occasioni pubbliche? «Ero particolarmente portato per il canto: avevo un certo orecchio, e l’avevo comprata principalmente per accompagnarmi mentre cantavo. Ai tempi si frequentava l’oratorio, qui a Varzi, dove c’era anche qualcun altro che suonicchiava e cantava. Si passavano pomeriggio e serate in compagnia, tutto qui».
Cosa suonavate? «Da Celentano a Battisti, passando per gli stranieri, anche. Quella volta in cui si ruppe la batteria (episodio raccontato nel libro, ndr) stavamo suonando ‘‘Monya’’ di Peter Holm. Quella batteria, di un ragazzo un po’ più alto, venne poi portata via e la sostituimmo con dei fustini di Dixan, e con dei coperchi. Andava bene anche così, per quei nostri inizi…».
«Tutti i ricordi che ho fin da bambino hanno sempre a che fare con la musica»
VARZI Non era così strano, l’oratorio come sala prove. Succede ancora oggi, talvolta, che i giovani si trovino per suonare in questi ambienti. Chi era il prete di Varzi in quel periodo? «C’era don Mario. Aveva fatto nascere anche un gruppo di boy scout, qui a Varzi. Nel 1967. Allora suonavamo anche in quella compagnia. Andavamo a fare i campeggi, e io e un altro ragazzo alla sera strimpellavamo la chitarra intorno al fuoco, e tutti cantavano… Passavi dal ‘‘Canto del Cuculo’’, che è proprio del repertorio scout, ad Azzurro di Celentano. Un repertorio molto vasto». Che importanza hanno avuto i suoi anni in Settenote nell’accrescimento della sua cultura musicale? Quel negozio era un vero e proprio punto di riferimento per la città, e notevoli erano i musicisti che vi bazzicavano… «Tramite Settenote ho conosciuto persone con le quali ho suonato tantissime volte. Musicisti come Enzo Draghi, chitarrista e cantante, forse tra i più preparati in assoluto. Poi Marco Forni, che poi ha suonato con Ramazzotti, Zucchero, Renato Zero. Antonio Giardina, Paolino Canevari, Jimmy Ragazzon, Cece Chiesa, Fabrizio Poggi: questi sono i nomi un po’ più grossi, ma ho conosciuto un sacco di gente. Una band fatta e finita non c’era, però avevamo una casa, per andare a Pietragavina, dove ci trovavamo per suonicchiare. C’era quello che suonava la batteria. C’era il basso di Pepi Zacchetti (che come bassista era dotato e mi aveva instradato musicalmente), o magari quello di mio fratello. E poi gli altri venivano su a turno, o a volte tutti insieme. Suonavamo, facevamo magari delle jam session, andavamo avanti interi pomeriggi e poi la sera. Certi lunedì di Pasqua ci trovavamo là per fare delle merende già dal mezzogiorno e poi andavamo avanti fino a sera a suonare». Ricorda con affetto quegli anni? «Antonio Giardina, che era quello più giovane (forse non aveva ancora diciotto anni), ancora adesso ogni tanto mi ricorda che lo andavo a prendere la sera a casa sua a Voghera, lo portavo su, suonavamo e poi lo riportavo a casa. Cosa non si faceva per suonare…». Torniamo a Settenote. Il negozio ha subito alcuni spostamenti negli anni... «Inizialmente il negozio è rimasto in via Cernaia, ma per poco tempo, poi si è spostato in piazzetta Plana. Ma Pepi voleva fare un negozio di soli strumenti musicali, per diventare più specializzato». Di cos’altro si occupava il negozio, all’inizio? «C’erano anche i dischi, di cui mi occupavo io. C’era l’alta fedeltà, e all’inizio tenevamo anche i televisori… Poi spostandosi ancora, di fronte all’autoporto, il negozio è diventato davvero proprio specializzato, tenendo solo strumenti musicali e basta». E il suo ruolo? «Io mi occupavo principalmente di dischi e di alta fedeltà, perché quando veniva qualcuno che voleva comprare qualche impianto, siccome ero quello che se ne intendeva di più, mi occupavo di consi-
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gliare, di mettere insieme i pezzi dell’impianto. Andavo a fare le consegne, anche. Quante vigilie di Natale sono andato a consegnare qualche impianto stereo a casa di qualcuno…». E cosa è successo, quindi, quando il negozio ha smesso di occuparsi di dischi e di alta fedeltà? «Quando Pepi ha voluto spostarsi, io ho ritirato il negozio Discomania, in via Depretis, e l’ho chiamato Music Box». Li ha potuto dare sfoggio alla sua grande cultura, costruita negli anni… «Ho sempre avuto la passione per i dischi. Mi ricordo che ero un bambinetto e per Varzi chiedevo già i dischi ai ragazzi un po’ più alti di me». Come scovava le ultime novità, per rimanere sempre al passo con una cultura musicale che in quegli anni andava rapidamente in evolversi? «Ho sempre seguito le riviste musicali. Negli anni ‘60 compravamo Giovani e Amici. Fino a che è stato una rivista decente, fine anni ‘70 / primi anni ‘80, ho sempre comprato Ciao 2001. Ho ancora tutti i numeri, dal 1969 al 1983, tutti rilegati». Giornali che hanno segnato un’epoca... «C’era un mio amico che, quando avevamo sistemato la prima stanzetta per andare a suonare giù nell’oratorio, ha portato tutti i suoi manifesti per tappezzare la stanza dove si suonava. Perché allora queste riviste inserivano loro interno il manifesto di un cantante o di un complesso. Li col-
«A quei tempi allo Sporting suonavamo solo noi e Giacomo Cocola» lezionavamo». Dei poster, insomma? «Sì, noi li chiamavamo manifesti… il poster è già una cosa più moderna. Allora si chiamava precisamente il ‘’Manifesto di Giovani’’, dal nome di una rivista. Io ne ho ancora, incorniciati, sotto vetro». Ha memoria del primo disco che ha acquistato? «Tralasciando i 45 giri, che comprava principalmente mia mamma, il primo LP, che menziono anche nel libro, è stato ‘’Introduce Barbara Ann’’ dei Beach Boys. Lo acquistai in un negozio di elettrodomestici di Varzi. Appena arrivato a casa con l’LP, mia mamma me lo fece portare indietro. “Cosa spendi i soldi in un LP’’, mi disse, “che c’è una canzone bella sopra, Barbara Ann, e le altre sono tutte brutte’’! Allora l’ho portato indietro e ho comprato solo il 45 giri di Barbara Ann. Il disco intero l’ho ricomprato, poi, anni dopo. Anche perché era uscito solo in Italia, quindi
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«Fra il ’76 e il ’78, era nata a Varzi la discoteca “Il Rondò’’, che era situata fra il ponte sullo Staffora e le scuole medie. Facevo il deejay» era diventato anche un disco particolarmente raro. Non poteva mancare nella mia collezione». Mi parli della sua attività nei complessi musicali. «Da quel negozio a Voghera, o comunque poco prima, sono nati anche i miei primi gruppi per andare in giro a suonare. All’inizio le esibizioni erano solo alle feste. Ai tempi avevamo qualche ritrovo privato, si portava la chitarra a casa di uno o dell’altro, si suonava e ci si divertiva. La prima esibizione in gruppo l’ho fatta con l’ultima formazione dei Barracuda. Sono riuscito a fare quattro suonate, un’estate; prima che si sciogliessero definitivamente. Avevo vent’anni, nel ‘73. Quattro pomeriggi e sera: a Ferriere, in provincia di Piacenza. Eravamo io come chitarra e voce, Pepi Zacchetti al basso e voce, Mario Pusterla alla tromba, Angelo Lazzati alla batteria, Giuseppe Meghella alla fisarmonica». Poi come ha proseguito? «Dopo questa esperienza, a parte queste jam session che facevamo con i musicisti citati prima a Pietragavina, il primo gruppo è stato ‘’New Barracuda Band’’. Quando ho avuto il negozio a Voghera, poi, abbiamo creato un altro gruppo che si chiamava proprio come il negozio, Music Box. Eravamo arrivati a un livello anche abbastanza alto. Ci avevano dedicato un articolo anche sulla Provincia Pavese, che ci aveva definiti ‘’fra i big del rock’’. Eravamo sempre io, chitarra e voce, mio fratello Giorgio, basso e voce, Micio Fassino alla chitarra, Jimmy Meschini alla batteria, Nicola Imbres, tastiera e voce». Dove vi siete esibiti? «Suonavamo parecchio, eravamo fissi al Mayerling e allo Sporting, tra fine anni ‘80 e inizio anni ‘90. In quei tempi allo Sporting suonavamo solo noi e Giacomo Cocola, magari lui il sabato sera e noi la domenica. Non facevano andare chiunque. Noi tiravamo parecchio, e ci facevano suonare. Nel repertorio avevamo da Battisti, a Dalla, ai Rolling Stones… Poi ci siamo sciolti, perché mi sono accorto che dovevo trascurare il negozio per poter suonare». Ma non è rimasto molto senza il contatto con il palcoscenico... «Dal 2012 ci siamo rimessi insieme, inizialmente come ‘’Barracuda 60 Acoustic’’. Suonavamo solo in acustico all’inizio, due chitarre, tre voci, batteria e basso.
Luigi Ginelli chitarra e voce, Giorgio Ginelli chitarra e voce, Stefano Ginelli tastiera e voce, Mario Bernini basso e voce, Sergio Tambornini, batteria. Poi ci siamo diretti all’elettrico, perché c’erano tante canzoni che suonando solo in acustico non saremmo riusciti a rendere come meritavano. Suoniamo tuttora, anche se gravitiamo principalmente su Varzi e dintorni, perché desideriamo non andare troppo lontano da casa. Tutto sommato, riusciamo a suonare parecchio… nonostante ci attiviamo soltanto da metà giugno a settembre, e nonostante abbiamo scelto di rimanere in quest’ambito territoriale, riusciamo a fare magari 10 o 12 suonate nella stagione, che non sono poche.» Il suo libro è pieno di storie, ma immagino ne siano rimaste fuori altrettante. Pensa di raccontarle, prima o poi? «Inizialmente volevo fare solo una biografia sui Barracuda. Poi mi sono reso conto, dopo le ricerche, che erano tantissime le cose da raccontare. Cose che nemmeno io sapevo, ad esempio l’esistenza di altri gruppi. Avevo già preso accordi con diversa gente che suonava a Varzi, ai tempi, per scambiare qualche parola, ai fini della mia ricerca. Ma qualcuno, man mano, ha iniziato a mancare. Gli anni, d’altra parte, passano. Ho scritto questo libro adesso perché, se avessi aspettato ancora un po’, questo aspetto musicale di Varzi sarebbe andato perso per sempre. Nessuno fra qualche anno sarebbe stato più in grado di mettere insieme quello che ho scritto. Mi sarebbe dispiaciuto, anche perché mio zio è stato uno dei musicisti principali ai tempi, dalla metà degli anni ‘50.» Dal libro si evince che Varzi, musicalmente, era un paese in fermento. Nonostante fosse ben lontano dai più grandi centri urbani, dove nascevano le avanguardie. «Posso dirle una cosa. Per quello che mi ricordo, e non tanto per le ricerche che ho fatto, tra le metà degli anni ’50 – prima non ero ancora nato – e negli anni ‘60 in particolare, c’era molta più gente capace di suonare e cantare rispetto a adesso. C’erano quelli che suonavano il mandolino, la chitarra, il contrabbasso, la fisarmonica. Molte persone conoscevano la musica. Se entravi in un’osteria o in un bar, trovavi il gruppo di persone che cantava, e gli andavi dietro...». di Pier Luigi Feltri
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BRALLO DI PREGOLA
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Strade d’Oltrepò, il “panettiere volante” in difficoltà La storia di Fabio Vergagni, il “panettiere volante” (o “Pan Man” in versione supereroistica) del Brallo di Pregola, ridefinisce il concetto di sacrificio. 38 anni, da cinque ormai percorre circa 200 chilometri al giorno dal martedì alla domenica, feste comandate incluse e con qualsiasi condizione metereologica, per consegnare il pane in un’area che copre Oltrepò montano e piacentino, senza conoscere sosta. La sua somiglia più a una missione che a un’impresa commerciale e di fatti è probabilmente lo scopo sociale del suo lavoro, insieme alla consapevolezza di essere indispensabile per molti, quello che lo anima spingendolo a continuare imperterrito il servizio nonostante un grande nemico: le strade d’Oltrepò. «Ogni giorno mi scontro con gravi problemi, soprattutto adesso che è inverno: strade bloccate da rami, neve ovunque. Il servizio di pulizia è insufficiente, servono interventi urgenti. Rischio vita e furgone». Fabio aiuta mamma Silvana e papà Franco con il panificio artigianale di famiglia sin da quando aveva la patente. «Mio padre ha ritirato il negozio nel 1987. Prima di me lui faceva il giro dei paesi col furgone, ma solo nella zona di Brallo, quando la gente nei paesi ci viveva ancora, e la popolazione era di 10 volte superiore». Altri tempi, altra storia. Oggi la realtà è molto diversa. «Non è più possibile vivere col solo giro dei paesi del comune di Brallo – spiega Vergagni - in quanto sono rimaste poche persone a viverci e per quanto riguarda molti prodotti si riforniscono nei grandi market, aiutati da figli e parenti che abitano per questioni di comodità o lavorative nelle città».
Dal Brallo a Piacenza, per poi tornare a Menconico. Porta il pane a 30 anziani in 15 paesini.
Fabio Vergagni fa 200 km al giorno per servire gli anziani: «Su queste strade rischio vita e furgone»
Fabio Vergagni, il “panettiere volante”
C’è però un piccolo “esercito” di anziani, alcuni soli, che senza di lui non potrebbero proprio stare. Li chiama i suoi “nonnini” per l’affetto con cui lo accolgono ogni volta che lo vedono. «Per loro sono come un nipote. è soprattutto per loro – dice – che vado avanti». Fabio, quanti paesi serve esattamente? «Una quindicina, magari un po’ di più nei weekend estivi dove qualche frazione si ripopola». E quante persone in tutto? «Se parliamo dei miei “nonnini” forse meno di una trentina». Ammirevole, ma a conti fatti non deve essere un gran business… «Infatti non lo è. Se si guarda l’aspetto economico, non c’è assolutamente vantaggio, anzi spesso è controproducente soprattutto nel periodo invernale, ma posso dirvi che entrare casa per casa e conoscere tutti ed essere atteso come un nipote ripaga in gran parte tutti gli sforzi». Come fate però a sopravvivere? L’amore e la gratitudine, purtroppo, non fanno quadrare i bilanci…
«Nel nostro piccolo, per quanto riguarda il giro delle consegne, abbiamo avuto l’enorme fortuna di poter allungare il nostro giro presso altri punti vendita, questo grazie alla qualità dei nostri prodotti».
Che tipo di pane producete? «Forniamo pane, focaccia o piccola pasticceria che mantengono le proprie qualità organolettiche anche a distanza di giorni. Questo permette di poter acquistare il pane anche una sola volta a settimana, come si faceva una volta. Mio padre utilizza ancora la lievitazione naturale e questa richiede 14 ore circa, per poi essere lavorata. Quindi l’impasto è fatto la mattina, per poi essere pronto la sera alle 21,quando iniziamo la produzione partendo dal reimpasto. Non è stato facile far conoscere il nostro prodotto, soprattutto nei market, dove la tendenza attuale è quella di prendere pochissimo pane ogni giorno». La sua giornata quando inizia? «Alle 4:30 del mattino, quando preparo le ceste per le consegne. Alle 5:30 parto».
Una delle strade innevate dell’Alto Oltrepò che Fabio percorre ogni giorno
BRALLO DI PREGOLA
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Strade ostruite dai rami, ghiaccio e neve. «Nessuno ci ha mai dato aiuti, ma non mollo per i miei “nonnini”»
Fabio Vergagni e uno degli “spuntini” offerti dal Signor Carluccio
Può raccontarci il suo giro nel dettaglio? «La prima consegna è a Salice, poi a Voghera in un piccolo negozio. Da lì vado diretto fino a Piacenza per poi salire verso Settima dove consegno ad un ristorante. Da lì salgo a Rivergaro e consegno alla Crai, poi in successione Mezzano e Bobbio dove consegno in 2 negozi. Verso le 9:30 sono di ritorno a Brallo, scarico le ceste e ricarico tutto e riparto per i paesi. Prima vado nel comune di Menconico, in quanto sono più lontani e non hanno più botteghe di qualsiasi tipo in tutto il comune. Inizio da Carrobiolo e scendo fino a San Pietro, passando per tutti i paesini. La
media si aggira attorno 10-15 persone. Spesso vado porta a porta, perchè alcune persone son davvero anziane e non sentono quando avviso il mio arrivo, e altre non riescono a camminare bene. Finito Menconico torno nei paesi attorno a Brallo, ed anche li si tratta di servire in totale 10-15 persone». Il suo è sicuramente anche un servizio sociale. Ha mai ricevuto aiuti o sovvenzioni di alcun tipo da parte di enti o chicchessia? «Non abbiamo ricevuto mai nessun aiuto, né sovvenzioni o sconti su qualsiasi altra cosa, anzi. L’usura dei mezzi è terribilmente elevata a causa di strade rovinate e piante che gettano i rami in carreggiata.
L’anno scorso sono stato costretto a cambiare il furgone dove aver polverizzato cambio, semiasse e differenziale a furia di far km su strade improponibili. Per fortuna una persona generosa, il signor Maurizio Casarin che tengo a citare e ringraziare, ci ha dato una mano ad aprire un leasing». Parlando di strade. Girare in montagna d’inverno ha i suoi rischi. Se l’è mai vista brutta, tra gelicidi e nevicate e strade di ghiaccio? «L’anno scorso mi è capitato di finire fuori strada per schivare un turista che stava scivolando, in quanto si era avventurato sulle strade innevate senza nemmeno le gomme invernali. per questo ringrazio chi
effettua il sevizio spartineve, i quali mi han soccorso e mi han permesso di finire il giro dei miei “nonnini”». D’estate va meglio? «I due mesi estivi, grazie alle vacanze si lavora un po di più, ma solo se il clima in città diventa insopportabile e i bambini stanno meglio nei nostri paesi, liberi di giocare per strada e respirare aria buona. Purtroppo anche il periodo estivo è vincolato dal fatto che ci deve essere sole e poche giornate di pioggia, in caso contrario le persone preferiscono altre mete». I suoi “nonnini” la trattano come un nipote. Può raccontare un aneddoto che spiega che tipo di rapporto si è instaurato? «Mi ricordo un giorno che una mia amica d’infanzia che vive a Londra è venuta in vacanza a trovarmi e ha voluto fare il giro con me. Quel giorno abbiamo finito il giro tre ore dopo, circa verso le 19, perche tutti pensavano fosse la mia fidanzata e in ogni posto volevano che stessimo con loro a bere qualcosa e a mangiucchiare. è stato bellissimo, ma ahime sono tuttora single! In ogni modo mi invitano sempre a entrare, bere un bicchiere con loro e mangiare pane e salame. Finché ci sarà gente così non mollerò». di Christian Draghi
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LA “NOSTRA” CUCINA
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Cheap but chic: piatti golosi e d’immagine al costo massimo di 3 euro! Pigne di Cioccolato Ingredienti: 100 g di cioccolato fondente 80 g di biscotti del tipo Digestive 50 g di panna 1 cucchiaio di cacao amaro 1 ciotola di cereali al cioccolato zucchero a velo
In alcune diete, considerando principalmente il suo alto contenuto calorico, è decisamente bandito. Eppure il cioccolato fondente, può aiutare davvero il benessere dell’uomo. Ma non solo: è un alimento importante per mantenersi reattivi e per aumentare il proprio apprendimento. E il merito è principalmente dei suoi flavonoidi, composti chimici naturali diffusi nelle piante superiori, potenti antiossidanti utili a garantire l’ottimale funzionamento di fegato, sistema immunitario e capillari, che contribuiscono inoltre alla prevenzione di numerose patologie, come quelle cardiovascolari e infiammatorie. Grazie alla loro presenza importante nel cioccolato fondente, è possibile dunque prendersi cura del proprio organismo con sapore. Un sapore forte al quale è oggettivamente difficile resistere. Contenente una buona quantità di fibre, di carboidrati, zuccheri e proteine, il cioccolato fondente è inoltre leggermente meno calorico di quello al latte e sicuramente buone sono anche le quantità relative a ferro, magnesio, potassio e fosforo. Al di là dei valori prettamente nutrizionali, comunque, non rinunciare al cioccolato fondente e concedersi qualche barretta di sapore e salute anche un solo giorno a settimana ha diverse validissime ragioni la più famosa delle quali è quella di risollevare il molare. Quando ci si sente un po’ depressi, scoraggiati o stressati, non c’è niente di meglio di un bel pezzo di ciocco-
lato per sentirsi subito meglio. Ho utilizzato il cioccolato fondente per la preparazione della ricetta di questo mese, un dolce molto semplice da preparare, sfizioso e dalla presentazione insolita e molto chic. Pigne di cioccolato Come si preparano: Per prima cosa spezzettiamo i biscotti e li frulliamo fino ad ottenere una farina. Versiamo la panna in un tegamino e la scaldiamo sul fuoco senza farla bollire. Spegniamo la fiamma e aggiungiamo il cioccolato a pezzetti. Mescoliamo bene fino ad ottenere una ganache. Ora aggiungiamo il cacao mescolando bene ed infine uniamo i biscotti tritati. Versiamo il composto ottenuto in una coppetta, copriamo con la pellicola e la mettiamo in frigorifero per un’ora.
Passato questo tempo il nostro composto avrà la consistenza di una pasta modellabile con la quale andremo a realizzare le pigne. Utilizzando un paio di guanti usa e getta, prendiamo una cucchiaiata di composto a cui diamo la forma di un cilindretto leggermente più schiacciato da una parte. Lo appoggiamo dalla parte più larga su di un tagliere e cominciamo a formare la nostra pigna conficcando i cereali al cioccolato ad uno ad uno nell’impasto girando in tondo fino a raggiungere la cima del cilindretto. Abbiamo ottenuto una pigna di cioccolato del tutto simile a quelle del pino. La appoggiamo su di un piatto e continuiamo a realizzare tutte le altre. Cospargiamo le nostre pigne con una spolverata di zucchero a velo per creare l’effetto neve. I nostri dolcetti molto chic sono pronti per essere serviti come fine pasto, come me-
renda e, perché no, come colazione. YouTube Channel: Cheap but Chic – Facebook Page: Tutte le Tentazioni. di Gabriella Draghi
CALVIGNANO
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«Il nostro paese è bello, accogliente, ordinato, un borgo tutto da vivere» Il nome di Marco Casarini è legato indissolubilmente al paese di Calvignano. L’attuale primo cittadino, infatti, ha un passato da assessore dal 1997 al 2002 e poi ha iniziato il primo mandato da sindaco fino al 2012. Dopo una pausa forzata causa secondo mandato di fila, Casarini è tornato al timone di Calvignano due anni fa. Sindaco ne avrà di cose da raccontare in questo suo lungo percorso, cosa le piace ricordare di quanto fatto? «Prima di tutto la Sala Consigliare. Appena insediati abbiamo subito pensato di dotare il comune di una sede dignitosa per le attività del consiglio comunale. Là dove c’era un magazzino abbiamo ricavato l’attuale sala consigliare, inaugurata di fronte ad una significativa partecipazione di cittadini e di amministratori anche di comuni confinanti. è stato il primo vigoroso segnale di “voglia di fare e cambiare”. Abbiamo contemporaneamente voluto sistemare con arredi appropriati e funzionali gli uffici comunali. Al cimitero abbiamo tinteggiato ed effettuato la messa in opera di siepi interne ed esterne. Abbiamo inoltre terminato da poco il rifacimento del tetto». Anche la Chiesa ha avuto la vostra attenzione… «Il centro del paese da sempre ed ovunque simbolo di aggregazione della comunità doveva ritornare ad essere lo specchio della nostra gente: ordinato e fruibile. La prima attività da fare era la sistemazione completa della Chiesa, dal campanile con il suo orologio e con le campane che dovevano ritornare a scandire il tempo della vita quotidiana della popolazione, al riscaldamento, all’impianto elettrico. Con tenacia e determinazione iniziammo un lungo lavoro di contatti e riunioni con la Curia di Pavia per l’acquisto della ex canonica e del terreno adiacente. Era questo l’obiettivo forte del programma amministrativo largamente condiviso dalla popolazione. L’acquisto e la successiva ristrutturazione della ex canonica, poi, hanno richiesto tempo, capacità di iniziativa e di relazionarsi costruttivamente con le Istituzioni. I finanziamenti, rapportati al nostro comune furono elevati, ma vennero trovati . L’idea-progetto che avevamo condiviso con tutti i cittadini, era non solo possibile ma anche interessante, meritevole di attenzione. E così la Fondazione della Banca regionale Europea, la Fondazione Cariplo, la Provincia, la Comunità Montana, la Regione Lombardia, hanno co-finanziato in diversa misura il progetto. Non è stato solo un recupero-ristrutturazione di un bene materiale che meritava di andare in rovina, ma è stato come ricostituire i caratteri distintivi del nostro paese: bello, accogliente, ordinato, “un borgo tutto da vivere” per le sue qualità ambientali-naturalistiche, per le sue eccellenze delle produzioni ti-
Marco Casarini piche come i vini rossi e riesling, per il carattere ospitale della sua gente. Con la sistemazione della piazza, della realizzazione del marciapiede, dell’ illuminazione pubblica, con la nuova sistemazione del monumento ai caduti il nostro borgo è ancora più bello!». Il paese di Calvignano è stato dotato anche di un sistema di videosorveglianza… «Certo, un sistema di video-sorveglianza integrato da disposizioni per il traffico con divieti di sosta ai lati della strada per garantire lo scorrimento “sicuro” dei mezzi agricoli e delle auto». E infine anche un bel sito web. «Devo dire che abbiamo realizzato, e in questi ultimi anni notevolmente migliorato, il sito web del nostro Comune. La casa del Comune si può dire è aperta e quello che le avviene in seno è trasparente, visibile a tutti. Il Comune è più vicino alla sua gente e voi, cittadini, potete sentirvi parte attiva, informata sulla vita amministrativa. Potete partecipare segnalando anche mancanze, disservizi, o necessità, esprimere opinioni e valutazioni su atti e decisioni del Comune: insomma potete partecipare responsabilmente essendo sicuri di dare un contributo al miglioramento della vita nella nostra comunità». Per il Piano di Governo del Territorio cosa può dire? «Dopo anni di lavoro è stato predisposto il Piano. è lo strumento più importante, più incisivo che il Comune ha per governare il territorio nei prossimi anni. I pilastri, largamente condivisi, su cui si è retto tutto l’impianto del PGT sono stati il tutelare l’ambiente rurale in cui, ben posizionato, si trova il paese e tutelare i suoi insedia-
menti abitativi sparsi e privilegiare le iniziative, per residenze nuove, per recupero fabbricati, piuttosto che individuare nuove aree di espansione che avrebbero penalizzato e sottratto suolo agricolo, realizzando una crescita poco compatibile con la vocazione naturale del territorio comunale e snaturando la storia del nostro paese diviso fra tante piccole frazioni e un piccolo centro. E poi ancora incentivare la crescita dell’urbanizzato nelle aree che possono essere considerate di completamento del centro e delle frazioni. In questo modo non si stravolge l’attuale, già dispersivo, assetto dell’urbanizzato. Il Piano di Governo del Territorio è stato largamente condiviso dai cittadini. Segno indubbio di un lavoro svolto in sintonia con la voce dei cittadini che hanno compreso che con questo strumento si disegna il nostro paese, come deve continuare ad essere, operando per la valorizzazione delle sue indiscutibili qualità. Il comune e diffuso sentire su questi temi può essere tradotto in questo modo: vogliamo che queste risorse di cui è dotato il nostro Comune continuino ad essere il bene a cui bisogna dedicare il nostro impegno ed il nostro lavoro per difenderle e migliorarle. Infine, come ultimo grande sforzo profuso come gratitudine per il mio mandato posso comunicare che tra pochi giorni partiranno i lavori per piastrellare con il porfido la parte antistante la piazza, il rifacimento del giardinetto e del marciapiede posteriore e la sistemazione della fascia dietro la canonica». Il programma del nuovo mandato invece cosa prevede? «Il programma con il quale, con la mia nuova squadra, ho di nuovo vinto le ultime elezioni è ricco di obiettivi: la realtà della finanza locale è però molto peggiorata per la drastica riduzione dei trasferimenti statali e regionali degli ultimi anni, anche l’IMU sulla prima casa e sui terreni agricoli è stata abolita. Di conseguenza i piccoli comuni fanno molta fatica a sopravvivere. Per migliorare i servizi ed incrementare le entrate abbiamo deciso di costituire l’Unione dei comuni Oltrepò Lombardo con il comune di Fortunago che ci ha consentito di realizzare alcuni progetti come la videosorveglianza che è associata anche a telecamere per lettura targhe per verificare la regolarità della revisione e dell’assicurazione delle auto migliorando anche la sicurezza sul territorio. Particolare cura è stata data alla manutenzione del verde pubblico ed alla segnaletica stradale ed è stato sistemato l’archivio al primo piano che si trovava in uno stato di grande disordine». Calvignano è un paese difficile da amministrare? Ci sono problematiche particolari? «Dobbiamo fare i conti con la scarsità di
risorse finanziarie e con una condizione storica legata alla presenza di un’importante azienda vitivinicola qual è Travaglino che, se da una parte con il suo marchio ha fatto conoscere il nostro piccolo comune, dall’altro essendo proprietaria della maggior parte del territorio e degli immobili ne condiziona il suo sviluppo ed evoluzione, con particolare riferimento al recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente che potrebbe ospitare nuove attività ecocompatibili riducendo lo spopolamento del territorio». è un paese sicuro? «Fortunatamente sì, ad oggi non vi sono stati episodi di criminalità per furti o droga. La videosorveglianza installata di recente ha sicuramente aiutato come deterrente per i malintenzionati». Lei come vede l’Oltrepò attualmente? «Con poche idee e molte potenzialità non sfruttate a dovere. Gli operatori economici e le istituzioni non fanno rete e non cooperano come dovrebbero per migliorare l’immagine del territorio all’esterno». Che differenze nota rispetto ad anni fa? «Meno entusiasmo e voglia di investire e rischiare, ci siamo seduti sui pochi allori conquistati, non abbiamo politici importanti di riferimento sul territorio, speriamo nei giovani ed in coloro che dall’esterno vorranno investire, perché apprezzano le bellezze e le peculiarità del nostro territorio a cui noi siamo abituati e a cui prestiamo purtroppo sempre meno attenzione» Cosa servirebbe secondo lei per rilanciare il territorio e quali sono le caratteristiche su cui puntare? «Occorre puntare sul turismo enogastronomico, promuovendo un territorio collinare splendido in un contesto naturalistico unico. La sfida è quella di trovare nuove idee per portare gente, valorizzando le bellezze naturalistiche e la produzione vitivinicola d’eccellenza». Progetti per questo 2019? «In primavera partiranno i lavori di risanamento e sistemazione esterna della sede municipale mediante la costruzione di un drenaggio a monte che dovrebbe risolvere anche il problema dell’umidità. Sulla chiesa parrocchiale sarà eseguito il rifacimento degli intonaci e tinteggiatura esterne ammalorate per una spesa di circa 40.000 euro. Intendiamo inoltre organizzare un importante evento enogastronomico culturale ed un momento di incontro e discussione, da ripetere anche nei prossimi anni, per valorizzare il tessuto socioeconomico dei paesi collinari attraversati dalla S.P. 188, ripetendo e migliorando un’analoga manifestazione a livello sperimentale tenutasi la scorsa estate nella piazza municipale che ha avuto un inaspettato successo». di Elisa Ajelli
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«Non candideremo nessuno che abbia già amministrato» Forte del crescente consenso nazionale, la Lega di Casteggio si prepara alla sfida elettorale della prossima primavera. Il segretario Giuseppe La Torre, in carica dalla scorsa estate, ha già una tattica: «Riproporremo sul territorio la strategia vincente del nostro partito, rimodulata sulle esigenze degli enti locali». Inutile però chiedergli di eventuali alleanze o nomi di candidati: La Torre si schermisce con la diplomazia: «Saremo disponibili al democratico confronto ed alla collaborazione, senza pregiudizi né faziosità e nel rispetto delle diverse identità, con chiunque condividerà i nostri ideali, i metodi e gli obiettivi». Medico chirurgo e odontoiatra, nonché professore a contratto presso l’università di Pavia, ha una naturale propensione a fare “opposizione”: nel 2009 venne eletto sempre per La Lega tra le fila dell’allora amministrazione Manfra, ma dopo soli tre mesi si accasò in minoranza «per manifesta incompatibilità con il sindaco e i suoi metodi». Segretario, con Callegari non è che le sia andata meglio… La Vostra opposizione all’attuale maggioranza è stata decisa. Dove secondo lei la giunta attuale ha fallito? «L’amministrazione Callegari non ha realizzato, né elaborato in misura sufficiente ed accettabile, alcuno degli obiettivi programmatici del proprio manifesto elettorale. Inoltre, la situazione economico-finanziaria comunale è andata progressivamente peggiorando fino al dissesto odierno; nessun impegno per limitare i danni, nessun tentativo di reazione, di recupero, di rilancio del territorio. Prendiamo atto della manifesta incapacità degli amministratori, coordinati da un sindaco che fa e disfa con irridente disinvoltura trascurando il civico interesse; prerogativa piuttosto usuale tra i rappresentanti del vecchio apparato politico ormai marcescente, che disconosce talenti e virtù e celebra l’apparenza più che la sostanza, gli intenti più che gli esiti, le convenienze personali più di quelle sociali.
La Lega lancia la bagarre elettorale: «Sul caso Ab Mauri fatti gli interessi dell’azienda»
Giuseppe La Torre
Oggi il clima politico è diverso, i cittadini giustamente pretendono di essere protagonisti e sono abbastanza smaliziati per capire che è necessario un radicale cambiamento di pensiero e di sistema, per contrastare la deriva». Uno dei temi caldi di questi ultimi anni è stato quello delle “scuole fantasma” di via Montebello…Il consigliere Arnese, suo “collega” di minoranza, ha tirato in ballo la corruzione e invocato l’intervento della magistratura...Lei che idea si è fatto di questa vicenda? «Le scuole di via Montebello sono un problema “milionario” che si trascina da un decennio, aggravato dal sospetto di atti illeciti tuttora al vaglio della magistratura. Aspettiamo un verdetto definitivo per accertare eventuali responsabilità e, qualora confermate, certamente si chiederà ragione e risarcimenti a chi ha maldestramente impoverito le casse comunali». Lei che cosa ne farebbe di quella struttura? «è nostra convinzione che le scuole elementari e medie stiano bene dove sono: non riteniamo né utile né intelligente, almeno finché non sarà fatta chiarezza, di destinare risorse economiche agli edifici di via Montebello che comunque, ribadisco, non sono strutturalmente idonei per l’utilizzo cui le vorrebbero adibire». Un’altra delle vostre battaglie è stata quella sull’inquinamento del Coppa e contro i miasmi causati dalla AB Mauri, fatti che avete denunciato attraverso il movimento “Basta Puzza”. Una realtà che spesso l’Amministrazione ha criticato. Poi sono seguite una serie di vicende giudiziarie che hanno evidenziato come l’inquinamento del torrente perdurasse e infine all’azienda è stata rinnovata l’autorizzazione ad operare.
Oggi com’è la situazione? Chi vigila sulla situazione ambientale? «AB Mauri ha operato per anni al di fuori delle regole e gli amministratori comunali, benché più volte esortati, non hanno mai provveduto; i cittadini e l’ambiente ne hanno pagato le conseguenze. L’intervento del comitato “Basta Puzza” è risultato fondamentale nell’obbligare tutti a prendere formalmente atto della pericolosa ed insostenibile contingenza, così come la mediazione della Lega è stata determinante nelle trattative per impegnare le parti in provvedimenti risolutori. Infine, l’azienda si è resa disponibile ad ingenti investimenti per rientrare nei parametri consentiti di depurazione delle acque reflue ed emissione di gas maleodoranti. è stato inoltre imposto il monitoraggio continuo delle sostanze inquinanti, a disposizione “in tempo reale” degli enti competenti». La situazione è finalmente risolta quindi? «Possiamo ritenerci soddisfatti, certo, se gli accordi saranno rispettati». Qualcuno ha detto che a Casteggio si è preferito salvaguardare il lavoro a scapito della salute della gente. Secondo lei è un’affermazione esagerata? «Credo che si sia preferito salvaguardare gli interessi dell’azienda AB Mauri». Parliamo di sicurezza. è un problema oggi a Casteggio? «Come nel resto d’Italia, la criminalità dilagante è un problema reale e quotidiano: disdicevole conseguenza delle carenze nella gestione del territorio, dell’immigrazione, dell’integrazione, dell’educazione civica e della legittima difesa. Noi della LEGA da tempo chiediamo di assumere seri impegni di ristrutturazione dei sistemi di sorveglianza della sicurezza pubblica,
dotando le Forze dell’Ordine di strumenti adeguati per una più approfondita analisi delle realtà malavitose che ci circondano e ci stanno soffocando, e per essere in grado di organizzare ad ogni livello una più determinata e concludente capacità di reazione. Ma le nostre proposte, sistematicamente inascoltate, sono evidentemente un impegno troppo oneroso per un’amministrazione comunale politicamente confusionaria e incapace di affrontare il presente e di programmare il futuro». A proposito di sicurezza. L’assessore Guerci ha detto che il progetto di istituzione di guardie civiche è stato un fallimento: un solo volontario si sarebbe presentato per essere “arruolato”… «Si tratta di un’operazione che è stata boicottata dalla maggioranza stessa che l’assessore rappresenta e che ha sempre osteggiato il progetto. Il Prefetto ha dato l’autorizzazione ma è chiaro che se non viene fatto alcun tipo di informazione o promozione ma anzi, si fa di tutto per sottacere la cosa, il progetto non può avere risonanza o alcun riscontro. I casteggiani non sanno nulla di questa opportunità perché fa comodo a chi amministra che sia così». A Casteggio, cuore dell’Oltrepò vitivinicolo, da ormai diversi anni Oltrevini non si tiene più. Come mai secondo lei manca una manifestazione degna di un prodotto simbolo del territorio? «Direi per mancanza generale di competenze degli amministratori. Siamo nauseati dai teatrini di politici locali che simulano competenze mai avute e dai fuochi di paglia propedeutici alle campagne elettorali». Responsabilità solo politica quindi? O anche imprenditoriale? «Direi entrambe». Pensando alle prossime elezioni. Quali saranno gli obiettivi della Lega? «Il nostro obiettivo è una politica onesta, moderna, lungimirante e trasparente; il desiderio di innovazione comincia dalla preclusione alla candidatura di chi abbia partecipato a precedenti amministrazioni. Quali siano i dogmi della Lega poi è noto, e non sono in discussione: confermiamo la massima attenzione al territorio ed al suo sviluppo commerciale in modo ecologicamente sostenibile, alla sicurezza ed all’ordine pubblico, ai servizi dedicati alle fasce sociali più deboli, anziani e bambini». Ha detto escludere chiunque abbia partecipato a precedenti amministrazioni…La sua elezione del 2009 la taglia quindi fuori? «No, parlo di persone che hanno effettivamente amministrato ricoprendo incarichi in giunta». di Christian Draghi
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Comitato “Borgo Antico del Pistornile” «La situazione è in “stile Caracas”» La parte più antica della città di Casteggio sorge su un colle detto Pistornile e sulle sue pendici. Ancora oggi questa zona rappresenta la storia casteggiana e conserva le tradizioni culturali della città. Da qualche tempo però, il Pistornile versa in una situazione di degrado, tant’è che alcuni abitanti di Casteggio e non, hanno deciso di fondare un vero e proprio Comitato per salvaguardare e riqualificare questo pezzo storico della città. Il Presidente del Comitato “Borgo Antico del Pistornile” è l’avvocato Pier Francesco Fasano. è proprio lui a raccontarci come è nata questa associazione e come intende agire per il bene del Pistornile. Fasano, cosa ci può dire in merito alla zona storica della città? «Il Pistornile negli ultimi anni, nonostante le dichiarazioni d’amore delle varie amministrazioni comunali e aldilà dei colori politici, sta vivendo un lento scivolamento verso l’emarginazione e a volte il degrado la fa da padrone con fenomeni di piccolo spaccio e imbrattamenti vari. Io e mia moglie siamo avvocati e abbiamo gli “strumenti” per muoverci. Non abitiamo a Casteggio, viviamo attualmente a Milano, ma torniamo in Oltrepò ogni weekend e d’estate ci trasferiamo qui: mia moglie è oltrepadana e abbiamo parenti e amici che vivono qui». Come è nata la vostra idea di salvare questa zona? «Tanti anni fa avevamo iniziato una battaglia e siamo riusciti a far mettere la ZTL (zona traffico limitato) da un certo punto in poi e anche le telecamere. Nonostante questo nostro impegno e questa battaglia, c’è da considerare l’isolamento logistico perché è una zona chiaramente decentrata. Senza dimenticare poi la crescita sottozero: la zona è abitata solo da anziani e non ci sono esercizi commerciali, a parte un panificio. Molte case sono in rovina e non parlo solo di abitazioni private, ma anche di case di proprietà del Comune». Come ha deciso di muoversi? «Ho postato sui social dei video per far vedere la situazione che è in “stile Caracas” con ragazzi che si prendevano a bottigliate. O ancora gente che fa i picnic e lascia lì qualsiasi cosa. Questi episodi sgradevoli hanno però portato a una riflessione, mia e di altre persone, e abbiamo deciso di fondare questo Comitato, che è un esempio di cittadinanza attiva. Un tentativo di prendere modelli che ci sono già in altre città, in cui si fa un’interlocuzione con il territorio, non solo con il Comune quindi: si deve agire sentendo le aziende, i cittadini, i lavoratori. Vogliamo riqualificare la zona visto che è una zona storica, che ha anche per esempio il palazzo della Feudataria e l’ex monastero delle Claris-
«Hanno scelto me perché ho pochi legami con il territorio e non ho peli sulla lingua»
Pier Francesco Fasano, Presidente del Comitato “Borgo Antico del Pistornile”
se. Ci siamo detti: cerchiamo di riprendere delle buone prassi e magari di prendere dei finanziamenti, presentando naturalmente dei progetti concreti». Per esempio? «Esiste il bilancio partecipativo con cui il Comune si interfaccia con i comitati attraverso proposte concrete: è un’operazione ovviamente ambiziosa e velleitaria, che si scontra con la teoria del “lascia stare”, del quieto vivere. Voglio davvero fare qualcosa per recuperare un minimo questa zona. I residenti vorrebbero qualcosa ma hanno bisogno di un’entità come il comitato per potersi interfacciare con il Comune». Come è avvenuta la scelta del Presidente? «Quando abbiamo deciso di creare il comitato la scelta è ricaduta su di me: io sono molto legato a questo posto, amo Casteggio e amo il Pistornile, con tutti i pregi e i difetti. Hanno scelto me perché ho pochi legami con il territorio e non ho peli sulla lingua». Ci sono altre persone? «Certo, stiamo cercando di coinvolgerne parecchie, soprattutto tra i giovani. Vogliamo fare piccole iniziative e puntare poi su progetti più ambiziosi come l’esenzione totale di Imu e Tari perché le gente se già deve ristrutturare le case almeno non ha altre tasse da pagare. Poi vorremmo concentrarci anche sulla questione parcheggi e viabilità e il ripristino della chiesa. L’andamento è quello di abbandonare la zona del Pistornile, noi invece vogliamo l’esatto contrario. Dove
non può arrivare il settore pubblico vorremmo chiedere finanziamenti a eventuali sponsor, naturalmente con il consenso del comune. Le aziende che vorranno aiutarci saranno assolutamente ben accette». Altri progetti che intendete realizzare? «Stiamo mettendo a punto un po’ di idee e faremo dei gruppi di lavoro: abbiamo attivato “Next door”, che è una piattaforma americana che è arrivata anche in Italia e supporta il vicinato. Un’applicazione tramite cui le persone possono interagire, evidenziando situazioni pericolose o inviandosi foto di persone sospette. Poi serve anche per altri servizi, come il cercare una baby sitter… Poi vorremmo
riprendere il cinema all’aperto d’estate. Proprio per questo stiamo creando gruppi di lavoro, in modo tale da valutare anche i possibili eventi da realizzare». Quando avete iniziato a lavorare? «Abbiamo iniziato a fare una prima assemblea pubblica lo scorso gennaio ed stato davvero un successo, c’era molta gente. Poi abbiamo aperto una pagina Facebook». Nel Comitato quanti siete? «Al momento nel database che stiamo creando ci sono una sessantina di persone. Naturalmente è un gruppo aperto a tutti, non solo ai residenti del Pistornile. Tutti gli interessati possono partecipare. Ovviamente per fare tutto quello che abbiamo in mente ci vorrà molto tempo. Quando la situazione è così abbandonata, ci vogliono per forza anni per recuperarla». C’è però positività da parte sua? «Sì, c’è davvero molto entusiasmo. Anche per il fatto che all’assemblea c’erano molti giovani. Li ho subito precettati e li ho messi a gestire la pagina social. Le persone invece più mature si occuperanno della storia: stiamo pensando di fare degli incontri in cui verrà raccontata la storia di ogni singolo palazzo». di Elisa Ajelli
Il Pistornile di Casteggio
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«Ci piacerebbe vedere un Consorzio che faccia bene e che permetta ai produttori di farsi conoscere»
Elisa e Silvia Piaggi, titolari dell’azienda vitivinicola Lefiole
Elisa e Silvia Piaggi sono “Lefiole”. Originarie di Montalto Pavese, nate e cresciute nel territorio oltrepadano fino ai vent’anni circa, si sono poi trasferite a Milano per intraprendere gli studi universitari. Hanno deciso di tornare per iniziare un progetto legato al vino e all’attività di famiglia e hanno costruito così un loro personalissimo brand. Elisa ha 40 anni e da 15 lavora nell’editoria e al momento vive sul lago Maggiore. Silvia, invece, di anni ne ha 36 ha studiato prima a Milano e poi a Londra: vive attualmente nel capoluogo lombardo e si occupa di turismo online. Prima di tutto come nasce la passione per il vino? «C’è sempre stata l’azienda di famiglia, fin dagli anni Venti con i nostri nonni. Il nonno aveva iniziato ad acquistare i primi terreni intorno alla casa e con nostro padre l’azienda si è poi pian piano ingrandita.
Abbiamo al momento 12 ettari di terreno, di cui dieci sono vitati. Erano anni che pensavamo noi sorelle di fare qualcosa, per la nostra azienda e per il nostro territorio, anche perché il papà non continuerà in eterno a lavorare la terra e vogliamo quindi esserci noi. Lui continua comunque in questo lavoro, perché è la sua vita e la sua passione. Fino ad oggi lui ha sempre conferito le nostre uve alla cantina sociale: quando c’era ancora il nonno si vinificava, ma dopo la sua scomparsa si è deciso di fare così». Nel 2017 arriva la svolta… «Sì, abbiamo preso questa decisione e abbiamo scelto di vinificare solo una piccola parte della produzione totale: circa il 10% viene vinificato e abbiamo creato i nostri due vini, mentre il resto viene ancora conferito alla cantina». Come vi è nata questa idea? «Noi siamo nate a Montalto e abbiamo
un forte legame con il territorio e con le zone in cui siamo cresciute. È vero che siamo “fuori casa” da parecchio tempo, ma proprio perché c’è questo legame e questo sentimento volevamo continuare a coltivare e a mantenere la tradizione di famiglia. Quello che ci ha spinto nella scelta, inoltre, è il fatto di dare un contributo all’Oltrepò Pavese, che secondo noi ha tanto bisogno di essere conosciuto e apprezzato. Volevamo dare un nostro tocco, anche di femminilità». Il nome che vi identifica “Lefiole” come è stato deciso? «è nato pensando al territorio, alla femminilità e al fatto di valorizzare quello che volevamo creare. Abbiamo invitato un gruppo di amici che ci conoscono e sanno bene le nostre caratteristiche e i nostri valori: abbiamo raccontato loro quello che volevamo esprimere nel nostro progetto, ossia qualcosa legato ai punti che abbia-
Consorzio e Distretto, «Al momento non abbiamo ancora avuto modo di fare una bella chiacchierata… ma la faremo di sicuro in futuro»
MONTALTO PAVESE mo detto prima, alla famiglia, che fosse fresco e nuovo… Nella giornata sono uscite diverse idee e quella che ci è piaciuta di più è stata appunto “Lefiole”: un po’ perché riprende la parola dialettale che vuole dire ragazze e poi nostra mamma è marchigiana e ci chiama sempre così, non usando la parola in dialetto vera e propria. Abbiamo deciso poi di scriverlo tutto attaccato e di creare un nostro logo che ricorda il volto di una donna di profilo: volevamo qualcosa di unico e questo brand ci rispecchia davvero molto». Quali vini producete? «Il pinot grigio Elivià e il pinot nero Alené. Anche qui abbiamo giocato nella creazione dei nomi: il primo è la fusione di Elisa e Silvia, mentre Alené l’abbiamo dedicato ai nostri genitori che si chiamano Angela ed Enzo. Abbiamo scelto dei vitigni nobili: abbiamo optato per il pinot nero, vino principe dell’Oltrepò e ci sembrava giusto fare anche il pinot grigio. Questi vini ci rappresentano, perché sono prodotti giovani e freschi». Il progetto vero e proprio quando è partito? «A dire il vero è iniziato molto velocemente. Ci pensavamo da un po’, ma la decisione vera e propria è arrivata nel 2016. Ristrutturando la vecchia cascina del nonno, abbiamo trovato due vecchie bottiglie dei nostri anni, quindi 1978 e 1982: ci è sembrato davvero un segno del destino. Poi abbiamo deciso di fare anche un corso di avvicinamento al vino e lì abbiamo
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«Abbiamo scelto di vinificare solo una piccola parte della produzione totale: circa il 10% viene vinificato e abbiamo creato i nostri due vini, mentre il resto viene ancora conferito alla Cantina»
iniziato a raccontare il nostro progetto all’enologo, che ci ha dato una grande mano nella realizzazione. Nel 2017 abbiamo fatto la prima vendemmia». Vostro padre come ha preso la vostra decisione? «Forse all’inizio era un pochino perplesso, ma solo per il fatto che il territorio dell’Oltrepò non è valorizzato al punto giusto… adesso sicuramente molto contento. Sia lui che nostra madre ci stanno dando una grandissima mano e stanno partecipando insieme a noi al progetto. Poi grazie a lui i vini sono veramente buoni perché lavora la terra con un amore incredibile: ha il suo metodo che si è creato con tanti anni di esperienza».
Dove vendete il vostro vino? «Abbiamo appena iniziato e quindi al momento la vendita la stiamo facendo in Cantina e in Oltrepò: dobbiamo farci conoscere. Stiamo iniziando poi a spostarci verso Milano e il lago Maggiore, visto che ci viviamo. Poi in futuro ci piacerebbe sicuramente tentare anche il mercato estero…il tutto però a piccoli passi. Per adesso abbiamo prodotto 4000 bottiglie per tipologia di vino». Cosa ne pensate del Consorzio e del Distretto del vino? «Al momento non siamo ancora legate a questi enti. è difficile parlarne senza avere esperienza. Quello che possiamo dire che associazioni così, se funzionano bene,
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possono dare sicuramente vantaggi. Bisognerebbe andare tutti nella stessa direzione per il bene del territorio e ci piacerebbe vedere un Consorzio che faccia bene e che permetta ai produttori di farsi conoscere. Al momento non abbiamo ancora avuto modo di fare una bella chiacchierata… ma lo faremo di sicuro in futuro». Il fatto di arrivare dall’Oltrepò ha rappresentato un ostacolo per voi? «Il territorio ha qualche problema e lo sanno tutti, ma negli ultimi anni abbiamo notato che c’è tanto avvicinamento al mondo del vino e anche l’Oltrepò sta iniziando a farsi conoscere. Ci sono tanti produttori che fanno bene. è chiaro che è più difficile emergere perché la concorrenza è tanta, ma secondo noi siamo in un periodo in cui si parla tanto di cibo e di vino e qui nel territorio ci sono tanti prodotti buoni che secondo noi riusciranno a essere valorizzati». Progetti per il futuro? «Abbiamo iniziato a commercializzare nel giugno del 2018, quindi da poco… il progetto principale per noi è quindi quello di farci conoscere. Stiamo mettendo a punto un piano per capire quali siano le possibilità principali: qualche fiera sicuramente e il continuare a utilizzare con buonsenso i social. Abbiamo le pagine Facebook ed Instagram, che cerchiamo sempre di movimentare mettendoci la faccia. Facciamo vedere i vari step del nostro progetto». di Elisa Ajelli
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“C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI
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Cärvà o Cärnuàl, la tradizione voleva che tutti, ricchi o poveri, a carnevale mangiassero ravioli in quantità Tra Febbraio e Marzo di ogni anno, si festeggiava la prima festività laica dell’anno, carnevale – cärvà o cärnuàl– che anticipava una festività religiosa, le Sante Ceneri inizio della quaresima. Il mio amato mondo contadino del primo dopoguerra, usciva da un periodo di semi letargo invernale e si preparava ad affrontare i pesanti lavori previsti nel periodo che va dalla tarda primavera all’estate. In inverno i contadini rallentavano le attività spesso impedite dalle abbondanti nevicate che ricoprivano l’Oltrepò da novembre a marzo; alcuni lavori quali la cura del bestiame era costante durante tutto l’anno, altri ancora quali la potatura delle viti, l’abbattimento degli alberi per legname da ardere nella stufa o nei capaci camini, alcuni piccoli lavori di artigianato quali ceste, scope, rastrelli, forconi e zappe, erano riservate a quel periodo di cosiddetto riposo. Carnevale rappresentava spesso lo spartiacque tra il periodo tranquillo e la frenesia lavorativa del resto dell’anno, era la prima festa dopo il periodo natalizio e gli animi, ben riposati, cercavano motivi di distrazione e di divertimento. Per la verità tra Natale e carnevale, una festività molto sentita dal popolo contadino era il diciassette di gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali e molto invocato per la salute degli stessi allora determinanti per la scarna economia contadina; ogni stalla esibiva con gli animali, una piccola nicchia con la statua del santo che veniva benedetta dal Parroco in quei giorni in visita presso tutti i rustici del paese. La tradizione voleva che il giorno di Sant’Antonio in ogni casa fossero bollite delle castagne secche in acqua o latte e zucchero da consumarsi in famiglia e da offrire agli amici. Carnevale giungeva quindi come una benedizione per quella gente che preparava festeggiamenti adeguati alla ricorrenza. Settimane prima si accordavano suonatori liberi per i tre o quattro giorni di festeggiamento di quell’anno. Liberi dovevano effettivamente esserlo perché, di fatto, vivevano giorno e notte nel paese per le diverse fasi dei festeggiamenti. Come solito festeggiare significava mangiare, bere, ballare ma carnevale significava anche, recarsi presso ogni singola casa del paese, suonare, cantare e fare festa presso ogni famiglia. Nei calendari il giorno delle Sante Ceneri è sempre di mercoledì: i festeggiamenti di carnevale iniziavano la domenica prima, proseguivano nella giornata di lunedì e martedì per concludersi la domenica dopo detta di carnevalone. La tradizione voleva che tutti, ricchi o poveri, nei giorni di carnevale mangiassero ravioli in quantità. Così avveniva: presso ogni famiglia, con la con-
vinta partecipazione di uomini e donne, si attivavano enormi pentole di stufato profumatissimo, si provvedeva a tritarlo minuziosamente con la mezzaluna e tanto olio di gomito, a stendere sottilissime strisce di pasta all’uovo, posarle su appositi stampi e preparare il ripieno con lo stufato, il parmigiano grattugiato, l’uovo e uno spolvero di noce moscata o pepe. Si ricopriva lo stampo con una prima sottilissima striscia di pasta, si trasferiva negli appositi alloggiamenti una pallina di ripieno, si ricopriva il tutto con altra sfoglia di pasta e quindi si passava il matterello. Ultimata tale operazione, si staccavano con cura i ravioli posandoli delicatamente su un supporto intriso di farina. Tutti partecipavano in allegria alle varie fasi delle lavorazioni profittando della disattenzione dell’arsadùra, per trangugiare con rapidità un raviolo crudo. A Sant’Eusebio di Montepico, a Carnevale, dopo una pantagruelica mangiata di ravioli, uomini di tutte le età, si davano appuntamento a cà d’Arnësta - casa di Ernesta - il bar, trattoria, commestibili, sale e tabacchi, posto telefonico pubblico, sala da ballo e albergo del paese. In poco tempo il centro di ritrovo si animava della più varia umanità: uomini giovani, anziani, ricchi, poveri, tutti accomunati in quel giorno benedetto, dalla voglia di trascorrere insieme il pomeriggio in allegria. Finalmente giungeva il fisarmonicista con il fido strumento e, in lenta processione laica, l’allegro gruppo si incamminava verso la prima casa del paese diviso alla bisogna, in tre tronconi o gruppi di case, che sarebbero state attinte dall’allegra brigata nei pomeriggi di domenica, lunedì e martedì. Giunti alla prima casa, dopo i saluti di rito, ci si avviava all’interno dove sulla tavola troneggiavano diverse bottiglie di vino buono già stappate ed altre ancora da stappare. Veniva servito il miglior vino dell’annata per l’apprezzamento dei compaesani produttori e quindi esperti conoscitori della materia. Erano altresì schierati, come soldatini di piombo, tutti i bicchieri in possesso della famiglia e, raramente, qualche dolcino, qualche cicciolo di maiale o, a pomeriggio inoltrato, qualche acciughina sotto sale che aveva il compito di risvegliare seti ormai sopite. In una sola casa del paese non veniva servito il vino migliore: era ormai noto a tutti ma nessuno si permetteva di fare dell’ironia o, peggio ancora, di non accettare o non brindare con quel pessimo prodotto che solo il padrone di casa chiamava vino. Passata la festa qualcuno ebbe ad affermare che non era vino d’uva quello offerto, ma fatto con le polverine e con il bastone. Dopo un brindisi d’auguri per la famiglia, uno per la buona salute, uno per i futuri raccolti, uno per le donne di casa,
Giuliano Cereghini uno per l’arsadù - capofamiglia - , uno per l’arsadùra e avanti con la fantasia e la sete legata all’orario del pomeriggio, si iniziava uno splendido coro a tre voci dove il secondo o baritono intonava una canto della tradizione, il primo o tenore entrava con voce potente e tutto il resto della compagnia fungeva da basso. Chiaramente i primi due erano molto bravi, i bassi o per meglio dire alcuni bassi, lasciavano spesso a desiderare. Il risultato complessivo era comunque molto buono e gli stessi interpreti a volte si giudicavano con espressioni del tipo “la và”, oppure “la và no”, ed in questo caso si apportavano le dovute correzioni che spesso erano un semplice invito a qualche basso stonato ad andare a fare un giretto al fresco e berci sopra. Dopo qualche cantata, si invitava il fisarmonicista a suonare. Tutti ascoltavano in religioso silenzio, a volte i vecchi si commuovevano ricordando i bei tempi e, se esisteva lo spazio necessario, i migliori ballerini invitavano le donne di casa ed aprivano le danze. Dopo le diciotto, era facile imbattersi anche in balletti tra soli uomini leggermente brilli. Questo era il termine da loro usato: allegri o leggermente brilli, per significare la loro condizione alcolica: in realtà si trattava di sane ubriacature dette anche ciùcch o sùmi. Dalla prima si passava alla seconda casa del paese con la processione guidata dal fisarmonicista che suonava preavvertendo l’imminente arrivo della banda. Qui il rito si ripeteva con le modalità ricordate e così sino a tarda sera, verso le venti, quando l’allegra, in tutti i sensi, compagnia si scioglieva per permettere a ciascheduno di ritornare a casa,
sopportare i rimbrotti delle donne, occuparsi blandamente della stalla, abbuffarsi di nuovo di ravioli e da ultimo prepararsi per il ballo serale nella ricordata sala da ballo a Cà d’ Arnësta. Inutile aggiungere che la cosiddetta sala da ballo altro non era che che uno stanzone di una sessantina di metri quadri: serviva alla bisogna e, quando i ballerini erano troppi per le ridotte dimensioni della sala, interveniva il capofesta che invitava gruppi alterni al ballo sfoltendo in tal modo i ballerini sulla pista: chi non aveva ancora ballato saliva in pista mentre chi scendeva si metteva disciplinatamente in fila e ruotava ai bordi della sala o addirittura usciva da una porta per rientrare dall’altra; tale operazione avveniva in pieno inverno, era denominata cäré e personalmente non sono mai riuscito a capire il significato di tale sostantivo: forse intervallo tra due balli. Poco tempo dopo l’apertura delle danze, il cosiddetto salone brulicava di uomini e ragazze in apparenza timide ma in realtà determinate ad accasarsi al più presto, stante l’affollamento delle rispettive dimore causate dai matrimoni dei fratelli maggiori che, nella stragrande maggioranza dei casi, aumentavano di un’unità il già affollato parco residente. Il fumo delle sigarette saliva verso la volta dell’edificio unitamente ai pochi profumi esibiti da alcuni e dai molti strani afrori offerti dai più. Predominava un sano profumo di stalla che persisteva presso molti in tonalità diverse, seguito da un leggero aroma di sudaticcio dovuto alla concentrazione della folla per finire con un sano sentore di cipolla o d’aglio prerogative salutistiche di quei tempi. Per fortuna era
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò “ DI GIULIANO CEREGHINI una condizione largamente condivisa e pertanto minimamente influente sui sani rapporti tra le varie umanità. A questo poco edificante sentore di vita, non partecipavano signore e signorine profumatissime e ben truccate impegnate nelle ricerche di cui sopra. A tardissima ora per quei tempi, intervallando canti, balli, bevute ed allegria in ogni sua forma, la festa si scioglieva e gli attori si ripromettevano di trovarsi il pomeriggio successivo per progredire nelle visite di cortesia presso tutte le case del paese, e quindi, per un’altra serata danzante con lo stesso spirito ridanciano e festoso. Solo nella giornata di martedì, identica alle due precedenti per attività e festeggiamenti, si notavano alcuni, lievi primi segni di cedimento fisico per le abbondanti libagioni oltre al ballo, al canto e alla frenesia degli avvenimenti. Nelle tradizionali tre giornate tutte le famiglie venivano in tal modo visitate, ad ognuna di loro era data la possibilità di offrire vino ed ospitalità in cambio di tanta armonia e auguri di buona sorte. Da tempo immemorato si ripetevano i riti ricordati con gli stessi personaggi e le medesime procedure attuative: verso gli anni settanta alcuni iniziarono a ritenere tali tradizioni retaggio di incultura e di comportamenti grevi e maldestri. In tal modo una splendida tradizione che si, forse poteva subire alcune modifiche, mantenendo però il vero significato originario, venne sacrificata a squallide cenette in pizzeria o ad una triste serata davanti ad una televisione sempre più demenziale. I riti si erano ripetuti immutabili per tanti anni senza subire sostanziali modifiche tranne, a mia memoria, in due occasioni. Nella prima i giovani del paese, notando che negli spostamenti tra una casa e la successiva, si lasciano alle spalle tanto ben di Dio sotto forma di bottiglie stappate e non completamente vuotate, si ingegnarono a costruire un carretto sormontato da una specie di marionetta realizzata a grandezza d’uomo, che sosteneva un grosso imbuto collegato con una cannuccia ad una graziosa botticella che veniva in tal modo riempita con il vino rimasto sulla grande tavolata, permettendo a quegli allegri beoni di avere una riserva per la sera a costo zero. Per alcuni anni questo fantomatico carretto circolò per le vie del paese e quindi, furtivamente come era giunto, sparì. Nella seconda occasione, nei primi anni di un difficile dopoguerra , un simpaticissimo personaggio, tale Picchi Giuseppe detto Gipétu, ebbe la brillante idea di coinvolgere i più piccoli nei festeggiamenti che li vedevano di fatto esclusi o comunque molto emarginati. Si vestì in modo trasandato, si dipinse la faccia di nero con un tappo di sughero bruciacchiato da un lato, coinvolse i bambini più piccoli del paese mascherandoli in qualche modo, si armò di un lungo e nodoso bastone e con andatura dondolante seguì quella strana processione laica degli adulti a sua volta tallonato dai suoi piccoli mascherati e vocianti. L’allegra combricola non gradiva il vino ma chideva uova, farina e zucchero che sarebbero serviti per confezionare delle splendide frittelle dette farsö, la domenica successiva di carneva-
lone, a cà ad don Gustê. La trovata ebbe un clamoroso successo, accolta con simpatia ed ilarità pari alla generosità dell’orgoglioso ispiratore dell’originale bizzarria. Per qualche anno Gipétu guidò l’allegra comitiva e quindi, per sopraggiunti limiti di età, cessò questa splendida usanza senza che nessuno sapesse raccoglierne l’eredità. Successivamente, dopo tanti anni, anche in sua assenza e in concomitanza con il carnevale dei grandi, i ragazzi autonomamente proseguirono nella tradizionale raccolta e nel successivo realizzo delle frittelle di carnevale. Coordinatrice delle attività dopo il buon uomo, fu la maestra della locale scuola elementare rallegrata, in occasione dei festeggiamenti, dal grammofono a manovella del signor Dùlfo. L’impareggiabile Gipétu aveva interrotto la ricordata attività di capocomico non per volontà ma per età conservando sempre, anche in tardissima età, uno spirito giovanile e la battuta pronta. Una sera, buia come i pensieri degli invidiosi, mentre mi recavo al bar del paese, senza distinguere bene quanto avveniva data l’assenza di illuminazione, lo sentii bofonchiare in lontananza qualcosa che non capii. Mi avvicinai e lo sorpresi ancora armeggiante con i pantaloni; chiesi cosa stesse accadendo e se avesse bisogno d’aiuto. Mi guardò, mi riconobbe e, sorridendo, mi disse “stasìra
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no e mé fiö, stasìra le andata bê”, sarebbe bello continuare con il dialetto ma l’italiano garantisce una più facile comprensione. “Questa sera non ho bisogno di aiuto figlio mio, questa sera le attività si sono svolte in modo regolare contrariamente a qualche sera fa quando, uscito di casa per fare un po’ d’acqua”, così definiva una sana pisciatina, “dopo aver frugato nei pantaloni, aver scelto quello che al tatto ed al buio sembrava il giusto attrezzo, mi ritrovai la gamba destra bagnata. La sera seguente la ricerca fu ancor più minuziosa ma il risultato simile a quella precedente con la sola differenza di ritrovarmi bagnata la gamba sinistra. Questa sera, memore degli infortuni precedenti, ho aperto per bene la braghetta, ho provveduto ad estrarre tutta la mobilia, ho detto loro sotto a chi tocca e finalmente non mi sono bagnato; come ti dicevo, tutto è andato bene”. Lo salutai sorridendo e trattenendo una risata sguaiata per rispetto alla sua veneranda età ma, successivamente , ho riso di tutto cuore ogni volta che ho ripensato alla vicenda e con me hanno riso di gusto gli amici a cui o raccontato l’avventura. Questo era il personaggio, questo era Gipétu, mitico anche nel trasformare una disavventura in una autoironica battuta da condividere con un giovane fanciullo qual io ero in quei lontani e magici tempi. Anche se non paragonabili al mitico Gipètu, altri
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buffi personaggi rallegrarono quelle lontane feste a volte per innate capacità, altre per effetto dell’euforia alcolica momentanea che permeava le gesta di molte persone, in altri momenti, serissime. Carnevale aveva questi significati ludici che molto raramente sconfinavano nello scherzo crudele o becero, il rispetto comunque prevaleva anche nei momenti di allegria e di estremo divertimento. Le feste, così come velocemente erano iniziate, altrettanto velocemente terminavano lasciando uomini e cose a confrontarsi con la dura realtà, certi che altre occasioni festose avrebbero rallegrato la loro grama vita, ma coscienti che in nessun altro caso la partecipazione avrebbe coinvolto la totalità del paese in modo così radicale, spontaneo e coinvolgente come i festeggiamenti di carnevale. di Giuliano Cereghini
VOCABOLARIO Cärvà o cärnuàl: Carnevale Arsadùra: capo famiglia femminile Arsadù: capo famiglia maschile La và o la và no: va bene o non va bene Ciùcch o sùmi: ubriacature Cäré: intervallo tra due balli Farsö: frittelle dolci
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BASTIDA PANCARANA
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Svolta “verde” a Bastida: le colture convertite al Bio
Svolta “verde” nel Comune di Bastida Pancarana. Il paese imbocca la strada ecologica con le aziende agricole che si convertono al Bio. «Abbiamo aderito al progetto Europeo “Città libere dai pesticidi” con due aziende del nostro comune: sono cambiate le coltivazioni con passaggio al Bio, oggi prive di pesticidi e con la massima riduzione dei concimi chimici, segno dell’interesse dell’Amministrazione per la tutela dell’ambiente e della sensibilità di chi opera sul nostro territorio». A spiegare questa svolta è il sindaco Renata Martinotti, che sta per raggiungere i due anni di mandato. Sindaco, ci dica di più di questo progetto legato al “Bio”. Quali realtà hanno aderito e in che cosa consistono le loro produzioni? «Si tratta di due cascine modello, la Macerina e la Santa Caterina. La prima ha diversificato le coltivazioni passando da quelle tradizionali al Bio con certificazione biologica dell’ente certificatore Bio Agricert, con vari prodotti sul mercato nazionale ed estero: salse, composte di frutta e verdura, pasta propria con semola di grano duro della vecchia varietà Cappelli e da ultimo la coltivazione di ceci neri più rari e pregiati dei bianchi. L’obiettivo dell’azienda è concentrato sulla qualità del prodotto e non sulla quantità per offrire al consumatore prodotti ottenuti nel rispetto della sostenibilità ambientale e dei cicli della natura. Inoltre con il ramo Oltregreen prepara rotoli di prato per giardini e campi di calcio: Marassi ed i campi di Appiano Gentile sono made in Bastida Pancarana.
Disoccupazione a zero: «Qui aziende agricole e industrie d’eccellenza danno lavoro a tutti» La Cascina Santa Caterina invece negli anni ha diversificato le coltivazioni passando dalla risicoltura ad altre tipiche del territorio. Aderendo ad un progetto europeo di energie rinnovabili i proprietari hanno costruito un impianto di biogas che utilizza il mais trinciato ai fini energetici ed è in funzione dal 2010».
Bastida è un Comune piccolo ma detiene un record che ha lo stesso un valore di questi tempi: conta il 100% di occupazione, è corretto? «Da noi praticamente non esiste disoccupazione. Qui abbiamo una diversificazione economica che passa dall’agricoltura all’insediamento di due realtà industriali quali Provema e Vip Logistics. Realtà che danno lavoro a tanti bastidesi e a persone dei paesi vicini. Si è subito instaurato un rapporto di reciproca fiducia e collaborazione tra le attività presenti sul territorio e la nostra amministrazione». Di che cosa si occupano queste attività? «Provema è da noi dal 2007, opera nel campo del caffè con produzione e revisione di tostatrici, detiene un brevetto per il sigillo del caffè sotto vuoto ed opera sia sul mercato nazionale che estero. I soci hanno acquistato l’area e l’hanno bonificata spendendo 220mila euro per smaltire 3.500 metri quadrati di cemento amianto a tutela della salute pubblica e dei dipendenti. Per questo noi, come amministrazione, per questo motivo, abbiamo conferito loro due benemerenze. Vip Logistics invece è da noi dal 1973 e cioè da quando è stata fondata dall’imprenditore Giorgio Montini. Opera nel settore della verniciatura industriale e logistica integrata, su una superficie di 140mila mq. È l’unica realtà europea a coniugare un processo industriale di verniciatura ad una logistica di distribuzione nel settore auto-motive. La Vip Logistics è caratterizzata da un lungo percorso di crescita e di successi che ha portato il gruppo ad una integrazione funzionale con i propri clienti di riferimento, quali: Fiat, Crysler, Alfa Romeo, Jeep. Inoltre ha investito nel settore delle energie rinnovabili realizzando uno tra i più grandi parchi fotovoltaici a tetto esistenti in Italia. La famiglia Montini ha dato molto al nostro territorio e noi come Amministrazione abbiamo intenzione di dare un segno tangibile di riconoscenza, intitolando il campetto di calcetto posto in via dei Pelizza al fondatore dell’azienda Giorgio Montini». Che bilancio fa dei primi due anni del suo mandato? Quali sono i risultati che avete portato a casa? «Il bilancio è soddisfacente. Nel campo della sicurezza abbiamo installato la videosorveglianza in punti strategici del paese, per la sicurezza viabilistica sono stati posizionati in via sperimentale due passaggi pedonali rialzati cui ne seguiranno altri che saranno realizzati in condizioni meteorologiche favorevoli. è stato tolto lo spartitraffico davanti al campo giochi e si è provveduto ad effettuare un passaggio pedonale protetto, sono in corso il procedimento per l’efficientamento della pubblica illuminazione e per il rifacimento
Renata Martinotti
della segnaletica orizzontale e verticale; abbiamo fatto anche lavori per la messa in sicurezza delle scuole. Per il sociale poi abbiamo posto attenzione particolare alle fasce deboli: bonus acqua, bonus casa, REI e contributo di 5mila euro all’Auser». Quali sono i prossimi investimenti in programma della sua Amministrazione? «Per la sicurezza: manutenzione straordinaria della viabilità comunale, ulteriore incremento delle telecamere, rifacimento della segnaletica orizzontale e verticale e ulteriore sistemazione della scuola primaria. Realizzeremo poi una rete wi-fi aperta, per la fornitura di servizi alla cittadinanza, programmeremo nuovi incontri di prevenzione ed educazione sanitaria, aderiremo al progetto Vento, che può essere un volano per la nostra economia con il varo del nuovo Pgt. è poi in cantiere la realizzazione di un museo contadino delle terre del Po, nell’ambito del progetto del museo diffuso. Provvederemo alla sistemazione del cimitero con installazione di un cancello automatico, sostituzione dei lampioni e delle lampade; piantumazione di cespugli; posizionamento di due panchine ed aggiunta di cassonetti per migliorare la raccolta differenziata. Sistemazione della piazzola ecologica e messa a norma del campo sportivo». Veniamo alle note dolenti, o almeno a quelle che sono tali a detta della minoranza, che alcuni mesi fa vi ha attaccato soprattutto sulla situazione della Protezione Civile. è ancora senza sede? «La Protezione Civile non è mai stata senza sede. E’ composta da volontari che non lesinano il loro aiuto in casi di necessità:
vedi l’ultima piena del Po, situazione tenuta continuamente monitorata dai nostri volontari in collaborazione con Aipo. Quest’anno abbiamo intenzione in collaborazione con Asst di Pavia e CRI di Casteggio di tenere anche un corso di primo soccorso e antincendio». Un altro oggetto del contendere è il destino della storica tribuna del campo da calcio. Come mai è chiusa? Ci sono progetti al riguardo? «La tribuna è attualmente chiusa perché stiamo predisponendo la documentazione richiesta dal Vigili del Fuoco per la variante all’attuale certificazione di prevenzione incendi che, allo stato attuale, non ne prevede l’uso». di Christian Draghi
«I campi da calcio di Marassi e Appiano Gentile sono made in Bastida Pancarana»
BRESSANA BOTTARONE
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Lorenzo Piccioni, fondatore di 235 gruppi Facebook con 196.000 utenti iscritti Abbiamo incontrato Lorenzo Piccioni, 49 anni, di Bressana Bottarone. Il suo nome probabilmente dice qualcosa a molti abitanti dell’Oltrepò, ma non soltanto. Piccioni infatti, nel tempo che il lavoro gli lascia libero, si occupa di fondare e moderare gruppi su Facebook. Il suo interesse principale riguarda gli animali, ma non disdegna il dare visibilità alle attività per il tempo libero e alle politiche locali. Gli utenti iscritti ai suoi gruppi sono quasi 200mila. Lorenzo, di cosa si occupa su Facebook? «Mi occupo di animali al 100%. Poi per una parte minore di tempo anche di altri gruppi, come Sei di Bressana se…, Sei di Genova se…, Sei di Piacenza se…, poi Rozzano, Quinto de’ Stampi… Oppure come Politica a Bressana e dintorni, Mezzanino, Pavia, Provincia di Pavia». In pratica lei ha individuato quei paesi o quelle città che erano ancora prive di una ‘‘agorà’’ digitale e si è occupato di crearne una? «Diciamo così, principalmente si trattava di paesi che non avevano un gruppo dove interagire e allora l’ho creato io». Pensa sia importante per queste località avere uno spazio digitale? «Sì, perché così si fanno conoscere le idee, quello che succede in loco, gli eventi». A volte diventano anche uno strumento di denuncia. Qualche mese fa si è registrato un atto vandalico sul monumento dei martiri partigiani, a Bressana. Il gruppo Facebook è stato il primo luogo dove il fatto è stato denunciato pubblicamente. «Abito a cento metri da dove è situato il monumento, e anche io ho saputo da Facebook dell’accaduto». Ad ogni modo, la sua occupazione riguarda anche altre tematiche. Quali? «Un gruppo è dedicato agli appassionati dell’Alfetta. Un altro si occupa di compravendita, per Pavia e per la Lombardia. Un altro ancora è per chi cerca e per chi offre lavoro, sempre per la provincia di Pavia e per la regione». Facciamo qualche numero. Cosa dicono i suoi contatori, in quando a numero di gruppi e ad iscritti? «Nel 2014 gestivo 124 gruppi con 32.700 iscritti. Nel 2017, 150 gruppi con 120.000 iscritti. Alla fine del 2018, 235 gruppi con 196.000 iscritti». Numeri importanti. Prevede un’ulteriore crescita nei prossimi anni? «Come numero di iscritti sì, come numero di gruppi direi di no». È impossibile che si occupi da solo di moderare tutti questi utenti. Ha dei collaboratori? «Ho una collaboratrice, il mio braccio destro, che si chiama Niki Luc. Mi dà una
Lorenzo Piccioni mano nel moderare i gruppi. Poi ci sono altri collaboratori, circa una trentina». Ci sono delle linee guida che lei impone ai partecipanti dei gruppi che gestisce? «Su tutti i gruppi ho messo un post in evidenza che spiega cosa fa il gruppo. Su dieci persone, sette rispettano le linee guida. Gli altri proprio no…». I contatti nati nel mondo digitale si sono tradotti, in qualche occasione, in incontri nel mondo reale? «Fino ad ora no, ma dal 2019 ho intenzione di iniziare ad andare in giro, a prendere contatti con realtà come canili e gattili». Lei copre una parte geografica molto importante, fra i gruppi di appartenenza ai vari paesi e città e fra quelli che riguardano gli animali. A livello personale, cosa la spinge a portare avanti questo impegno? «Sì, in pratica ho contatti in tutta Italia. Oltre all’area dove vivo, sono molto attivo su Genova, perché ho vissuto lì dal 1989 al 1994. Quindi conosco bene la zona. Devo dire che mi piace molto la geografia. Forse è per questo che ho così tanti gruppi in tutta Italia». Dicevamo che la maggior parte del tempo lo dedica ai gruppi che riguardano gli animali. Vuole raccontarci cosa fa? «Mi occupo principalmente di animali persi, smarriti e ritrovati». Questo genere di gruppi, in genere, sono molto partecipati. Le persone che amano gli animali sono molte. «Ho gruppi che partono da 50 e arrivano a 6/7mila iscritti. Poi dipende dall’argomento e dal posto a cui si riferiscono». Da quanto tempo prosegue questa sua attività? «Il mio inizio su Facebook risale a circa dieci anni fa. Ho iniziato a creare alcuni gruppi che mi servivano per lavoro, erano quattro o cinque».
Per quale lavoro? «Per il multilevel marketing». C’è stato un momento in cui il suo interesse è iniziato ad aumentare? «Il 24 luglio del 2012 è mancato il mio cane, che si chiamava Pongo. Ne ho sofferto moltissimo. Si può dire che è stato da allora che ho iniziato ad occuparmi degli animali degli altri. Dal 2013 al 2015, poi, sono rimasto fermo. A ottobre 2015 ho messo la connessione WiFi con la rete fissa e ho iniziato la mia ascesa nel mondo di Facebook». So che gestisce anche una pagina che si occupa di formazione digitale… «Sì, è vero. (Mostra un post) ‘‘Siamo un gruppo di amministratrici/tori di gruppi per animali persi-smarriti-ritrovati. Ci siamo resi conto che la gestione dei post nei gruppi è difficoltosa. Ci sono ancora tante persone che cancellano gli appelli, non sanno cambiare la privacy, creano tantissimi post nuovi, non inseriscono tutti i dati utili e non aggiornano nel modo corretto. Così abbiamo chiesto aiuto agli utenti per diffondere alcune semplici regole’’». Di che genere? «Faccio dei post dove spiego come condividere correttamente, come creare i post, e spiego cose utili, come il perché non si debba cancellare il post una volta risolto il problema che uno aveva segnalato, per esempio un cane perso». Ci dia allora una lezione. Perché non bisogna cancellare il post, anche a problema risolto? «Perché ci sono tantissime persone che hanno condiviso quel post, e bisogna aggiornarle. Anche per correttezza». Negli ultimi tempi si fa tanto parlare di bufale. Questo problema riguarda anche gli animali sul web. Fra le sue attività c’è anche il fact checking, ossia la verifica della veridicità dei post che girano su Facebook? «Sì. Ci sono tantissimi post sbagliati o falsi che fanno perdere tempo». Si tratta, secondo lei, di mitomani o di utenti inesperti? «I mitomani sono pochi. Il più delle volte si tratta di persone che non si rende conto di cosa condivide. Il 27 marzo 2017 Licia Colò ha pubblicato un filmato in cui parla di cani e gatti a Palermo. Il video ha avuto molto successo. Ma ci sono persone che me lo mandano ancora oggi per posta privata, pensando sia una novità. Non si rendono conto che è datato. Un altro caso celebre è quello del cane Willy, che sarebbe in cerca di adozione dopo che gli sono morti i padroni. Invece è una bufala». Ci sono altri modi in cui si occupa di animali sul web? «Ho anche un gruppo che si attiva in caso di emergenze, sempre per aiutare gli animali e i loro padroni. L’ho aperto quan-
do c’è stato il terremoto di Amatrice e di Accumoli. È stato utile, alcuni sono stati ritrovati. Poi ho un altro gruppo, che chiamo ‘‘jolly’’, che uso per emergenze diverse dai terremoti, come alluvioni, incendi. Sempre rivolto al mondo degli animali». C’è stato, magari, un episodio che le ha dato particolare felicità; magari una situazione risolta che ricorda con particolare piacere? «Due anni fa, nel mese di giugno, una coppia che abita a Gambolò aveva un gatto, e lo aveva portato qui ad Argine presso un loro parente per alcuni giorni. Durante l’ultimo giorno di permanenza il gatto è scappato. Mi hanno contattato, allora ho suggerito di preparare alcuni volantini da mettere nei negozi, mentre io mi sono occupato di diffondere la sparizione su Facebook. Il gatto è stato avvistato nei pressi del Gulliver, poi dopo 4/5 giorni era vicino a casa mia. Io e il proprietario siamo andati all’ENPA a farci dare una gabbia-trappola; l’abbiamo messa dietro casa e dopo qualche giorno abbiamo preso il fuggitivo». È bello quando si ha la dimostrazione che i rapporti digitali possano avere ricadute utili anche nella vita reale. Senta, a questo proposito: lei pensa che i gruppi che trattano di politica o di attività nelle comunità locali possano avere un ruolo attivo durante le tornate elettorali, e dunque anche durante le prossime amministrative? «Secondo il mio punto di vista i gruppi su Facebook possono essere un luogo utile per la propaganda politica. Ma ci sono gruppi diversi, come ‘‘Sei di…’’ e gruppi come ‘‘Politica a…’’. Cercherei di instradare più verso i secondi la comunicazione politica, per non mischiare le cose. Come il lavoro e la vita privata sono cose distinte, anche l’impegno pubblico e il modo in cui passare il tempo libero secondo me hanno bisogno dei propri spazi distinti». A proposito di Bressana, che è uno dei comuni al voto: ho notato un gran fermento sui social negli ultimi mesi. Gruppi e profili che spuntano come funghi, per lo più anonimi. Attacchi, smentite, apparizioni, sparizioni. Perché questa agitazione? «Su Facebook c’è anche tanta invidia, gelosia. Se nel giro di quattro anni ho fatto quello che ho fatto, molto lo devo anche alla mia esperienza lavorativa, per quanto riguarda il come gestire le persone e come promuovere i gruppi. Ho appreso nel mondo reale e ho messo in pratica su Facebook. C’è un film che si chiama ‘‘Il segreto – The secret’’. Dice che per la legge di attrazione, bisogna essere sempre positivi in tutto. È un po’ la mia filosofia». di Pier Luigi Feltri
CIGOGNOLA
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«Non si vive solo di vino a Cigognola» Il Comune di Cigognola sfida con i mezzi che ha a disposizione lo spauracchio della disoccupazione: la paventata chiusura del supermercato Superdì preoccupa il sindaco Marco Musselli, la cui amministrazione sta portando avanti una trattativa con la proprietà per capire i margini di intervento, lasciando aperti gli spiragli di lavori socialmente utili per i residenti a Cigognola. Sindaco Musselli, com’è la situazione lavorativa? «Siamo preoccupati per le vicissitudini del Superdì, che dà lavoro a molte persone tra cui anche nostri concittadini. Stiamo parlando con i delegati della società per vedere in che modo si possa intervenire e abbiamo aperto le porte a queste persone per quel riguarda i lavori sociali che si possono svolgere nel nostro territorio, per chi volesse guadagnare qualcosa». Avete messo in campo delle iniziative per aiutare i disoccupati? «Abbiamo istituito una leva civica per chi aveva la volontà di guadagnare qualche soldo, in qualità di disoccupato. Quello che facciamo in questo senso è sottoporre le persone a dei sondaggi per stabilire quali fossero le problematiche e quali le varie esigenze. Quello al lavoro è un diritto inalienabile per l’uomo. Non siamo per le forme di assistenzialismo se non come unica spiaggia, cerchiamo in ogni modo di dare lavoro, e così dignità, alle persone». Parliamo invece di occupazione. Il territorio di Cigognola è prevalentemente agricolo, ricco di aziende che impiegano manovalanza in quel settore. Cosa può dirci al riguardo? «Nella nostra zona esistono, fra piccole medie e grandi, all’incirca 400 aziende agricole.
Tecnologia d’avanguardia a disposizione degli agricoltori: «Droni dal Sud Africa per controllare la salute delle viti»
Crisi del Superdì: «Stiamo seguendo da vicino la vicenda del supermercato»
Marco Fabio Musselli
Fra queste ci sono quelle che lavorano e producono vino privatamente e quelle che vedono il prodotto alla cantina sociale di Broni. Quelle private sono circa una settantina. Il vino è ancora uno dei motori portanti dell’economia, nonostante noi possediamo una vasta zona industriale e una casa di riposo molto grande, quindi diciamo che non si vive solo di vino a Cigognola. A favore delle aziende vitivinicole del nostro Comune, abbiamo organizzato recentemente una attività molto innovativa, proveniente dal Sud Africa». Di che cosa si tratta? «Mettiamo a disposizione una tecnologia che utilizza il volo dei droni per monitorare lo stato di salute delle piante, in maniera molto accurata, per poter stabilire con precisione gli interventi da applicare per la salvaguardia e alla cura delle malattie dei singoli filari. Questa è una grande innovazione, che abbiamo deciso di mettere disposizione dei nostri agricoltori e poi sarà a loro discrezione decidere se volerla utilizzare oppure no». A maggio ci saranno le elezioni. Li si ricandiderà? «Personalmente, non so se sarò presente alle elezioni in quanto il consiglio deve ancora decidere chi si candiderà per la nostra parte. Noi andremo avanti a lavorare come se il mondo non finisse alle votazioni, su questo non c’è dubbio». Quali sono i risultati più importanti che ha portato a casa con la sua Amministrazione?
Il Comune lancia la “leva sociale”: «Non siamo per l’assistenzialismo, lavorare è un diritto» «Innanzitutto, se parliamo di opere di ristrutturazione e di rinnovo, ci siamo occupati della cura delle aree verdi e degli addobbi floreali, in maniera da non lasciare trascurate le strade e le piazze; siamo intervenuti con alcune opere di recupero di una zona di Vicomune, abbattendo una casa fatiscente e creando al suo posto una piazzetta verde; abbiamo sistemato il campo sportivo che possedeva un’area esterna attrezzata all’allenamento dei cani della protezione civile e che ora è pubblica ed aperta a chiunque voglia portare il suo cane a giocare; abbiamo creato vicino al centro polifunzionale, un’area adibita alla sosta dei camper; abbiamo allargato l’area coperta del polo civico di Cigognola; abbiamo installato in tutto il paese delle telecamere di sorveglianza e controllo delle targhe. In generale abbiamo investito molto negli ultimi anni e ci siamo impegnati in molti campi».
Parliamo della situazione rifiuti: molti paesi stanno passando alla raccolta differenziata, farete così anche voi? «Sì, ci stiamo accordando in questo periodo con la Broni e Stradella spa per quel che riguarda l’organizzazione di un metodo di raccolta differenziata dei rifiuti. Cigognola è un paese molto pulito e vuole essere anche un centro ecologico. A questo proposito abbiamo stanziato 40.000 euro e siamo in stato di valutazione, speriamo di attivare la differenziata già nei prossimi mesi». Sulla situazione delle strade cosa ci può dire? «Abbiamo investito ben 60mila euro in lavori di intervento sul manto stradale nell’anno 2018. Quest’anno faremo altri interventi per un totale di 50mila. Per quel che riguarda le strade comunali abbiamo quindi una situazione più che accettabile. Possiamo fare niente per quel che riguarda le strade provinciali, dove possiamo solo mantenere le strade pulite, tagliare le siepe e i bordi delle strade». Per quanto riguarda i servizi, cosa offre il comune ai cittadini? «A livello scolastico, abbiamo solo la scuola dell’infanzia, con due classi e un bel numero di iscritti provenienti non solo dal nostro paese, ma anche da Broni. Ci appoggiamo a Broni per quanto riguarda elementari e medie. Per quanto riguarda gli altri servizi abbiamo un ottimo servizio di trasporto “taxi” per chi non avesse un’auto: organizziamo i prelievi del sangue e le visite con trasporto da parte nostra o diretta assistenza domiciliare. Questi servizi sono in parte finanziati dalla nostra amministrazione: regolarmente versiamo una parte del nostro compenso per la sponsorizzazione di questi servizi e in 5 anni si può parlare di circa 100mila euro di finanziamenti erogati. Dal punto di vista culturale vorrei segnalare la presenza dell’associazione “OBI” (Officine delle Buone Idee), che nel nostro comune si occupa di tutte le manifestazioni e le attività». di Elisabetta Gallarati
BRONI
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«Incentivi a sostegno del commercio locale e di contrasto al fenomeno di chiusura delle attività» è stato recentemente approvato in Giunta lo schema del bilancio di previsione 2019, che verrà presentato in Consiglio comunale seguendo il previsto iter normativo. Abbiamo chiesto al Sindaco di Broni Antonio Riviezzi di darci qualche anticipazione. Sindaco Riviezzi, quali sono le linee guida che avete seguito per la predisposizione del bilancio 2019? «Nonostante il perdurare del difficile contesto economico, abbiamo lavorato per mantenere invariati tutti gli stanziamenti degli anni precedenti; anche per il 2019, ci saranno risorse importanti per continuare il programma delle asfaltature e implementare le manutenzioni per la cura e il decoro della città, delle frazioni, dei cimiteri e delle aree verdi. Confermeremo il servizio di leva civica volontaria, rivolto a persone disoccupate, che si occuperanno del decoro e la pulizia della città e del verde pubblico tramite lavori di piccola manutenzione. Altra priorità su cui continueremo a lavorare sono le misure per aumentare il controllo del territorio e garantire sempre più sicurezza, tramite il potenziamento del sistema di video sorveglianza con l’acquisto di nuove videocamere, utilizzabili anche per individuare chi abbandona i rifiuti e chi si rende colpevole di atti di vandalismo». Per quando riguarda il welfare, quali sono gli interventi più importanti previsti? «Ci saranno conferme importanti: garantiremo tutti i servizi assistenziali dell’anno precedente, destinando circa il venti per cento delle risorse delle spese correnti, che cercheremo di implementare tramite la partecipazione a bandi regionali, per sostenere anziani, minori e famiglie in difficoltà. Inoltre, implementeremo il ‘Fondo Straordinario Anticrisi’, misura introdotta nel 2017 per le emergenze sociali, in particolare per salvaguardare le famiglie con figli minorenni. Per ciò che concerne le politiche abitative, il Comune intende continuare a gestire i fondi messi a disposizione da Regione Lombardia a sostegno degli inquilini, sia per chi vive in un alloggio di privati che in uno di edilizia residenziale pubblica. Inoltre, nel 2019 partiranno i lavori di ristrutturazione della ex caserma di via Cavour finalizzati alla realizzazione di alloggi destinati temporaneamente a chi si trova in situazione di grave disagio abitativo». Il 2019 si preannuncia un anno importante anche per l’occupazione, visto lo sviluppo delle attività logistiche nella zona di Cascina Monache… «Dopo gli oltre 200 nuovi posti di lavoro assegnati alla fine del 2018, il 2019 è iniziato con un evento di selezione, patro-
Antonio Riviezzi
cinato dal Comune, per altri 50 posizioni da impiegare nel comparto della logistica. La collaborazione dell’Amministrazione per quanto riguarda l’inserimento di nuove figure nel comparto della logistica di Broni proseguirà con un altri progetti, il primo dei quali, in partenza questo mese, riguarda la realizzazione di un vero e proprio corso di formazione per formare professionisti del settore: si tratta di una vera e propria “Logistic Academy” organizzato dai formatori di AxL e dalla Società di logistica Winlog Srl. Naturalmente continuerà anche la preziosa opera di intermediazione tra domanda ed offerta svolto dallo Sportello Lavoro comunale». Rispetto ai tributi locali, nel bilancio ci saranno conferme e novità, soprattutto. Ci può dire qualcosa in merito? «Per quanto riguarda i tributi locali, nonostante la legge finanziaria abbia sbloccato la possibilità, da parte dei Comuni, di aumentare sia l’IMU che la TARI, a Broni abbiamo deciso di non fare nessun aumento, confermando le aliquote in vigore lo scorso anno, comprese anche le tariffe per tutti i servizi comunali, che non subiranno nessun aumento. La novità principale riguarda le misure a sostegno del commercio locale, visto che purtroppo è tra i settori economici più in difficoltà. Una delle maggiori novità del bilancio 2019 riguarda l’inserimento di una serie di incentivi a sostegno del commercio locale e di contrasto al fenomeno di chiusura delle attività». In che cosa consistono queste misure? «Per contrastare in maniera decisa il fenomeno delle chiusure dei negozi, chi intende aprire una nuova attività commerciale, artigianale o un esercizio pubblico verrà esentato per un anno dal pagamento della TARI, mentre chi subentrerà ad un’attività
già avviata potrà godere di un’agevolazione del 50 % dell’importo dovuto». Su quali altri progetti sarete impegnati nel 2019? «Controllo dell’avanzamento della bonifica Fibronit, implementazione di misure volte a favorire lo smaltimento dei privati, studio di misure per il potenziamento della raccolta differenziata, e tutela delle istanze dei pendolari, sia per quanto riguarda il trasporto ferroviario che su gomma». Riguardo alla questione della riorganizzazione del servizio di autobus proposto dal gestore, ci può dire a che punto è la situazione? «Su questa proposta, sia io che i sindaci del territorio stavamo monitorando la situazione da alcuni mesi: il 15 ottobre, a Casteggio, avevamo visionato una prima bozza di riorganizzazione del servizio, che non conteneva però ancora nessuna indicazione di revisione di corse ed orari, ma solo un impegno di massima a fornirci, successivamente, una proposta articolata. Quest’ultima è arrivata il 18 gennaio scorso, ed era totalmente differente dalla precedente. Così come era stata presentata, la proposta era totalmente irricevibile ed avrebbe danneggiato i cittadini di Broni e dei Comuni collinari del circondario. Dopo un attento esame congiunto, sabato 26 gennaio ho trasmesso alla Provincia di
«Partiranno i lavori di ristrutturazione della ex caserma di via Cavour finalizzati alla realizzazione di alloggi destinati temporaneamente a chi si trova in situazione di grave disagio abitativo»
Pavia, all’Agenzia per il Trasporto Pubblico Locale del bacino di Milano, Monza e Brianza, Lodi e Pavia e al gestore del servizio Autoguidovie un dossier contenente le mie osservazioni critiche al piano per quanto riguarda Broni, esternando la mia contrarietà alle misure proposte e richiedendo con urgenza, al contempo, un incontro con i responsabili provinciali e del servizio di trasporto locale; così hanno fatto anche i colleghi Sindaci del territorio. A fine gennaio ho avuto rassicurazione dal Direttore dell’Agenzia del Trasporto Pubblico Locale dottor Luca Tosi, confermata anche dal Presidente della Provincia di Pavia, che per il momento la riorganizzazione del sistema del trasporto pubblico locale su gomma è momentaneamente sospesa. Inoltre, l’Agenzia si farà promotrice per organizzare un incontro con i sindaci del territorio e verrà anche costituito un tavolo tecnico, con tutti i soggetti interessati, per discutere insieme della futura riorganizzazione del servizio. Naturalmente, terremo alta l’attenzione perché nessuno degli utenti del servizio di trasporto locale, in particolar modo i pendolari e gli anziani, non abbiano pregiudizio dalla futura riorganizzazione del servizio». Per quanto riguarda la situazione del trasporto ferroviario, quale sarà il prossimo step? «Insieme ai Sindaci del territorio, ai Consiglieri Regionali e ai rappresentati del comitato dei pendolari, dopo i vari incontri organizzati nello scorso mese di novembre, abbiamo inoltrato, in maniera unitaria e coordinata, una richiesta di incontro ufficiale con l’Assessore Regionale ai Trasporti Claudia Terzi per discutere delle criticità del trasporto ferroviario nel nostro territorio. Siamo in attesa che ci convochi; in quell’occasione, mi farò portavoce delle istanze presentate dai pendolari, perché una Regione come la Lombardia ed una provincia come Pavia meritano un sistema di trasporti ed una flotta adeguata alle esigenze di chi li utilizza. Non è giusto che a pagare il prezzo dei disservizi siano sempre e solo i cittadini, stipati in treni affollati, costretti loro malgrado ad arrivare in ritardo al lavoro, all’università o a perdere visite specialistiche prenotate da tempo. Chi ha responsabilità di governo deve fare la propria parte perché queste istanze trovino ascolto nelle sedi opportune; per questo motivo, non ci fermeremo finché non avremo delle risposte concrete, da parte degli enti gestori, da dare ai cittadini interessati». di Elisa Ajelli
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«Buoni i nostri pinot neri, ma a livello internazionale ci si confronta su dei palcoscenici dove è difficile competere»
Matteo Maggi, deus ex machina di Colle del Bricco, giovanissima azienda di Torre Sacchetti
Secondo una ricerca pubblicata in occasione del Vinitaly 2015, l’87% dei giovani tra i 18 e i 35 anni consuma vino; il vino è la bevanda alcolica preferita dal 49% di essi; il 71% è disposto a spendere fino al 40% in più per un biologico. A guidare la scelta sono solo marginalmente la marca (5%) o il packaging (8%). Piuttosto, invece, l’attenzione al territorio (18%), alla qualità dei prodotti (12%) e alla sostenibilità. Il ‘‘come’’ parlare a questa ampia fetta di mercato è un tema non abbastanza dibattuto. Parlare ai giovani con le medesime strategie comunicative di trent’anni fa è folle, eppure diffuso. E non spingiamoci a disquisire di digital marketing e web reputation. Terminologie ‘‘arabe’’ alle nostre latitudini. Uno che però capirebbe di cosa stiamo parlando è Matteo Maggi, deus ex machina di Colle del Bricco, giovanissima azienda di Torre Sacchetti, presso Stradella. Non che il Maggi sia fissato con il web e con le nuove tecnologie; tutt’altro. Le utilizza con parsimonia ma in modo corretto. L’80% del suo lavoro, come dichiara lui stesso, si svolge nella vigna. Lì bisogna non aver paura di sporcarsi le mani. Nonostante la giovane età sua e della sua azienda (nata nel 2012), numerosi sono gli estimatori. Merito di idee chiare e ben raccontate. La prima: il mercato va in-
fluenzato e non seguito. La seconda: se ti vuoi rifare il naso per necessità è un conto, se lo fai per passare da bello a bellissimo è un altro ed è sbagliato. Chi ha orecchi, intenda. E chi ha il naso ancora attaccato alla faccia, annusi in direzione di Torre Sacchetti. Sentirà odore di novità. La viticultura è parte della storia della sua famiglia? «Non avevamo un’azienda di famiglia; ma una parte, un nucleo, esisteva già. Ricordo, da che ho memoria, delle vendemmie con i parenti. Mio nonno (da parte di mio padre) ha ereditato e poi ingrandito un primo insieme di vigneti, fino ad arrivare a una superficie di tre ettari. Ma per lui questo non è stato mai il primo lavoro: conferiva le uve totalmente alla cantina di Broni. Un hobby, sia per lui, sia per mio padre negli ultimi anni. L’unico della mia famiglia che viveva grazie al vino era mio bisnonno, che lavorava alla cantina sociale di Montù Beccaria. Mio padre aveva provato prima di me a mettersi in proprio, ma il nonno gli ha messo un po’ i “bastoni fra le ruote”, per così dire. Era un uomo vecchio stampo, e allora c’era il mito del posto fisso…». Quale è stato il punto di partenza che l’ha portata a sviluppare un’attività imprenditoriale? «Io ho studiato comunicazione e mar-
keting. Facevo poi tutt’altro lavoro, in un’agenzia che si occupa del lato artistico degli eventi commerciali, a livello internazionale. Non avevo ancora finito l’università quando ho iniziato a lavorare. In famiglia abbiamo sempre fatto il vino per il nostro uso quotidiano, circa 300 litri, che si consumavano tutti durante l’anno. Per gioco ho voluto iniziare a farlo in prima persona, e si vede che mi è piaciuto, dato che poi è diventato il mio lavoro. In realtà sono sempre stato appassionato di vino, ma aver provato a vinificare mi ha fatto scoccare in testa una scintilla». Come questa scintilla si è trasformata in un fuoco solido? «Nel 2012 si è svolta la mia ultima vendemmia non professionale. Due mesi dopo, a tavola, dopo cena, mio papà ha buttato lì l’idea di vendere i terreni, perché non riusciva più a seguirli. Lì mi è scoccata un’altra scintilla». Bella questa immagine, di un futuro che si decide a tavola, in famiglia. «Qualcuno diceva che gli affari migliori si fanno a tavola. Vedremo col tempo se ho fatto un affare…». Come è arrivato nella struttura dove ha oggi la sede aziendale? «Mi sono messo alla ricerca di una struttura che potesse diventare la mia cantina, e l’ho trovata qui a Torre Sacchetti, con
circa due ettari di vigneto, per lo più da reimpiantare. Così ho passato da gennaio a novembre 2013 a preparare la mia tesi di laurea, a studiare i loghi per la mia nuova attività e a imparare le operazioni colturali, come la potatura. Fino alla vendemmia del 2013 ha lavorato più mio padre rispetto a me per l’azienda. Ufficialmente la prima vendemmia è stata quella del 2013. E allo stesso anno risalgono quindi i miei primi test di enologia. Ho dovuto documentarmi, ovviamente, a livello enologico; per cercare di capire come funzionava il tutto». Autodidatta, quindi. Come ha impostato il suo lavoro di cantina? «A livello aziendale ho un’impostazione abbastanza artigianale. Non faccio nulla che non sia strettamente necessario, sia in cantina che in vigneto. Il mio lavoro si svolge per l’80% in vigneto e per il 20% in cantina. Nella vigna, per esempio, non diserbo e faccio i trattamenti solo con rame e zolfo, senza alcun sistemico; infatti da quest’anno vorrei fare anche richiesta di conversione in biologico». Vuole dirci il perché di questa scelta che sa di ‘‘antico’’? «È più basso il rischio di trovare residui sui grappoli - residui che comunque non dovrebbero esserci nei sistemici. In più le piante hanno dei sistemi immunitari: e
STRADELLA così facendo, io cerco di mantenere quella protezione. È una scelta personale, che si rivede anche un po’ anche nelle attività di cantina. Io non sono contro l’utilizzo della chimica, però ho una visione dell’enologia che ha a che fare con la necessità. Mi spiego: se ti vuoi rifare il naso perché necessario è un conto, se lo fai per passare da bello a bellissimo è un altro conto, ed è sbagliato. Tant’è che, per fare un altro esempio, io non uso lieviti selezionati, faccio un pied de cuve con le mie uve». Ovvero? «Raccolgo un 5/10% dei grappoli migliori, la metto in un mastello, la schiaccio con i piedi – perché è il metodo più pratico per pigiare piccole quantità – e la lascio a fermentare da sola. Dopo un tempo di latenza di tre o quattro giorni lo inoculo». Queste abitudini, però, rendono praticamente impossibile ottenere un vino uguale fra un anno e l’altro; dunque il prodotto sarà meno riconoscibile e forse più difficile da far capire al pubblico… «Io ricerco proprio anche la differenza fra le annate. Infatti non ho un vino uguale ogni anno. Simile sì, ma si nota molto la differenza. Io lo vedo come un punto di forza. Ho scelto un percorso di nicchia, che mi permette di valorizzare quello che ho soprattutto dal punto di vista dei vigneti. Anche perché non sono un enologo». Un enologo, però, che bazzica da queste parti c’è… Un nome che è una garanzia. «Collaboro con Mario Maffi. Ci troviamo di tanto in tanto, assaggiamo i vini in progresso, e mi dà qualche consiglio. Soprattutto a livello degustativo. Mi è capitato di fare dei rimontaggi o dei travasi perché lui percepiva una riduzione del vino che io nemmeno mi sognavo. E aveva ragione». Considerando il suo percorso professionale, che parte da una formazione in comunicazione e marketing, pensa di aver portato una qualche novità rispetto alle pratiche tradizionali degli altri viticoltori – e mi riferisco soprattutto al lato commerciale? «Portato di nuovo probabilmente no. Più che altro, non scendo a compromessi». Sotto il profilo del prezzo? «Prezzo, condizioni, qualsiasi cosa. Cerco anche di lavorare scremando, cioè scegliendo i clienti. Fra l’altro non ho un agente. Sono i clienti che hanno iniziato a cercarmi. Qualche appassionato di vino ha iniziato a chiedermi di assaggiare i miei prodotti e questi sono gli unici clienti che ho in provincia. Un po’ per scelta, perché a livello commerciale è la più battuta dai produttori dell’Oltrepò e quindi non ci sono molti spazi, e un po’ per necessità. Per la parte commerciale ho iniziato di recente a lavorare con alcuni distributori, anche perché io sono da solo. Ma gli agenti, in provincia di Pavia, sono difficili da trovare. Anche alcuni distributori che operano in Lombardia o a livello nazionale non hanno un agente sul nostro territorio». Dove si trovano i suoi principali clienti? «Adesso soprattutto a Milano, in Veneto, in Emilia-Romagna… è solo da settembre che ho iniziato a collaborare con una distribuzione nazionale». Un punto di svolta. Vuole parlarcene?
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«Ho partecipato alla prima riunione a Riccagioia. Sembra davvero si vogliano cambiare le cose» «Si tratta di una società che distribuisce esclusivamente vino naturale, che in precedenza non aveva in catalogo vini dell’Oltrepò Pavese. Hanno assaggiato miei prodotti, gli sono piaciuti soprattutto bonarda e riesling, e da lì è iniziata ufficialmente la nostra collaborazione. Ho conosciuto la rete vendita a diversi eventi, e mi ha fatto un’ottima impressione. Non posso lamentarmi». Non gira ristorante per ristorante per proporre in prima persona i suoi prodotti, come fanno molti suoi colleghi? «Ero già partito in precedenza con una rete di agenti, poi una volta ricevuta questa proposta, e vedendo le loro capacità, ho accettato. Se non ci fosse stata questa distribuzione nazionale avrei proseguito con piccoli agenti. Senza dei collaboratori, dovresti occuparti della parte commerciale per 5 giorni su 7: non puoi pensare di farlo per soltanto un giorno a settimana. I clienti hanno bisogno di essere seguiti. Bisogna sempre farsi trovare pronti. Se un ristoratore finisce il tuo vino, dopodomani ha un’altra etichetta al posto della tua. Chi riesce a fare tutto in prima persona, buon per lui. Ovviamente penso che si debbano ottenere dei risultati, e per quanto mi riguarda la via migliore è questa».
Bonarda ferma o frizzante? «Il mercato va influenzato e non seguito»
Quale è la produzione attuale della sua azienda? «Oggi l’azienda conta cinque ettari di vigneti. Vendo ancora una parte del prodotto alla cantina sociale. Pian pianino sto riducendo la quantità che conferisco, ma per quanto riguarda il mio commercio punto più a innalzare il prezzo di vendita che la quantità. Attualmente produco 8/10 mila bottiglie, l’idea è quella di arrivare a 20/25 mila introducendo alcune novità». Sentiamo, allora, qualche anticipazione… «Quest’anno, per esempio, un riesling rifermentato in bottiglia. In futuro vorrei aggiungere un buttafuoco e un pinot nero vinificato in rosso, una riserva». Vuole parlarci delle sue etichette? Colpisce la loro eleganza, e la scelta dei nomi. «Ho puntato proprio sull’eleganza e sulla semplicità. Le etichette sono chiare, tutte bianche, con un piccolo logo. I nomi sono tutti legati in qualche modo al vino che rappresentano, o a quello che quel vino mi trasmette. Sono tutti di derivazione greca. Ad esempio il riesling si chiama Khione, come la dea della neve, perché il riesling ama il freddo. Stafilo, la barbera, significa grappolo. Lo produco con quella che era l’uva di mio nonno, quindi ho voluto chiamarla con un nome più strettamente legato all’uva. Agrios significa ribelle: è la croatina, quella che normalmente viene utilizzata come base per bonarda frizzante, e invece nella mia vinificazione è ferma. Makedon ricorda Alessandro Magno». Perché questa dedica al Macedone? «Si dice che morì perché gli fu somministrato un veleno nel vino; secondo alcuni a ucciderlo non è stata tanto la dose di veleno, quanto il fatto che il vino ne abbia accentuato gli effetti. Ho chiamato così la mia bottiglia perché, anche se forse è brutto da dire, ne berresti fino a morire». Nel momento in cui ha avviato l’azienda, su quali vini è ricaduta la sua scelta per farsi iniziare a farsi conoscere? «Sono partito con cinque vini, il primo anno. Non c’era ancora la croatina, che ho iniziato a produrre negli anni successivi, ma c’erano sauvignon blanc e cabernet. Principalmente perché erano gli uvag-
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gi che avevo a disposizione nel vigneto. L’anno dopo ho deciso di cambiare, anche perché qualitativamente non potevo raggiungere con quei vini i livelli che mi aspettavo. Quindi ho selezionato la rotta dell’autoctono e dei prodotti di bandiera dell’Oltrepò». Dal momento che cita la croatina, non possiamo evitare un riferimento all’eterno dualismo fra bonarda frizzante e ferma. Dualismo che sembrava definitivamente superato soltanto un anno fa; ma l’Oltrepò è il ‘‘Paese di Bengodi’’… Ad ogni modo, può spiegarci il suo punto di vista? «Ho deciso di fare solo la bonarda frizzante. Preferisco declassare la croatina ferma a IGT. Avere una bonarda ferma e una frizzante secondo me crea confusione, bisogna saperla spiegare… La mia è stata una scelta di marketing. Avere un prodotto bivalente confonde il consumatore. Sei riconosciuto più per uno dei due». Molte nuove aziende, a differenza della sua, si muovono in direzione opposta, seguendo la richiesta del mercato; perché comunque esistono, inutile negarlo, spazi commerciali per entrambe le bonarde, e a comandare le politiche aziendali, soprattutto nelle nuove realtà, è la richiesta dei consumatori e dei distributori. Ad ogni modo, questa non è l’unica scelta ‘‘controcorrente’’ che ha intrapreso… «Il mio professore di marketing all’università, nella prima lezione, disse una frase che mi colpì: il mercato va influenzato e non seguito. Quindi forse anche per una derivazione dei miei studi ho scelto di produrre il riesling italico, che sulla carta non vuole nessuno… però lo vendo. Ho declassato la bonarda a croatina, quindi perdendo la DOC per l’IGT, eppure anche questa la vendo abbastanza». Cosa pensa dell’idea di far diventare il pinot nero vinificato in rosso la bandiera del nostro territorio, in coppia con il metodo classico, e in sostituzione del martoriato bonarda, secondo alcuni già morto e sepolto? «Io punterei più su un rosso autoctono. Buoni i nostri pinot neri, ma a livello internazionale ci si confronta su dei palcoscenici dove è difficile competere. Comunque sarà il tempo a dire la verità». Parliamo dei tavoli di lavoro che stanno impostando il futuro dei vini oltrepadani – e il superamento del vecchio Consorzio. So che lei fa parte della partita, con un ruolo attivo. «Sono nati questi tavoli, di cui io faccio parte con riferimento al riesling. Ho manifestato un mio personale interesse a far parte di questi tavoli due o tre mesi fa. Ho quindi partecipato alla prima riunione che si è svolta a Riccagioia. È stato presentato il percorso svolto fino a questo momento, e abbiamo firmato un codice etico». Che aria tira? «Quello che ho percepito è che sembra davvero si vogliano cambiare le cose. Ho in mente qualche idea che proporrò ai prossimi incontri». di Pier Luigi Feltri
STRADELLA
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«Ogni Comune dell’Oltrepò ha avuto almeno un caduto, un reduce o un disperso in Russia» La Campagna Italiana di Russia rappresenta una delle pagine più cruente della partecipazione italiana alla seconda Guerra Mondiale, iniziata nell’agosto del 1941 e terminata con la tragica ritirata del gennaio 1943. Inizialmente l’esercito italiano fu presente per volontaria partecipazione di Mussolini con 65.000 uomini del CSIR (Corpo di Spedizione Italiano in Russia), con l’idea di essere il primo alleato tedesco e potersi fregiare del supporto al Reich nell’Operazione Barbarossa, inizialmente pensata come vincente. Successivamente, dopo le prime sconfitte, venne costituita l’8a Armata, denominata ARMIR (Armata Italiana in Russia) composta da 230.000 unità. Le sorti della Campagna Italiana di Russia sono ben note. Il 9 agosto 1946 a Roma, presso lo studio del Notaio Dott. Ignazio Arcuri, alcuni reduci della Campagna di Russia costituirono l’UNIRR - l’Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, con lo scopo principale di ottenere dal governo russo la possibilità di rimpatrio dei prigionieri e delle salme dei caduti. Il numero preciso dei morti e dispersi non è mai stato possibile calcolarlo precisamente, ma studi effettuati dall’UNIRR nel corso degli anni stimano più di 90mila uomini. Tra il 1942-43 si ipotizza che l’Armata Russa catturò circa 70mila superstiti, di cui 22mila circa uccisi prima dell’arrivo nei campi di lavoro. Solo 10.032 dell’ARMIR riuscirono a tornare a casa. Abbiamo intervistato Carlo Brandolini, 65 anni, dipendente per il Comune di Stradella in pensione, nuovo presidente della ricostituita Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia, Sezione di Stradella e Oltrepò Pavese. Quando è nata l’UNIRR di Stradella? «La sezione UNIRR di Stradella esisteva già parecchi anni fa. Il primo nucleo dell’associazione nasce intorno alla metà degli anni 50 per volontà di un gruppo di reduci di Russia. Il primo Presidente fu il Dott. Civardi. A lui seguirono, nel corso degli anni, il Prof. Spairani, Enzo Parisi e Calderoni. Con la scomparsa degli ultimi reduci e degli ultimi presidenti, il labaro era passato alle Patronesse UNIRR Sacchi Anna e Ines Montini, fino al 2007/08. Successivamente il labaro era stato consegnato al Gruppo Alpini di Stradella e veniva portato nelle manifestazioni più importanti». Per quale motivo avete deciso di rifondarla? «Su stimolo della Presidenza Nazionale, in particolare del Vicepresidente Nazionale Vicario Luigia Fusar Poli, si è deciso di ripristinare la sezione stradellina. Dopo alterne vicende, il 29 dicembre 2018, presso la sala “Ugo Magnani” del Comune di
Carlo Brandolini, Presidente UNIRR sezione di Stradella
Stradella, alla presenza del Vicepresidente Nazionale Vicario e del rappresentante del Sindaco di Stradella, la Dott. Federica Vannini, abbiamo ufficialmente riattivato la sezione nominandola UNIRR “Sezione Stradella e Oltrepò”, in modo da darle più ampia rappresentanza». Quali obbiettivi vi siete posti? «L’obbiettivo per me principale è quello di portare avanti e tramandare il ricordo dei reduci, prigionieri, caduti e dispersi nella Campagna Italiana di Russia. I libri di scuola trattano l’argomento in modo superficiale, senza andare a fondo, spesso commettendo errori o lacune. Questa tragedia andrebbe trattata più nello specifico, parlandone nelle scuole locali. Ogni Comune dell’Oltrepò ha avuto almeno un caduto, un reduce o un disperso in Russia. Altro nostro impegno sarà quello di recuperare dall’oblio le memorie storiche dei partecipanti a questa sfortunata pagina di storia, nello specifico ricercando e catalogando i decorati al valor militare della Zona». Ad oggi, dopo pochi giorni, quanti inscritti vantate?
Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia: «Attualmente siamo una cinquantina, ma il numero è destinato a salire»
«Attualmente siamo una cinquantina, ma il numero è destinato a salire. Quotidianamente stiamo ricevendo richieste di informazioni e adesioni sia dai familiari che da semplici sostenitori. La nostra associazione è aperta a tutti coloro che vogliono collaborare o che abbiano informazioni utili alle nostre finalità comuni».
Secondo Lei, nonostante i numerosi anni trascorsi dalla fine della guerra, sarà possibile ottenere qualche informazione in più sui nostri caduti e dispersi? «Certamente, le ricerche le stiamo sempre portando avanti. In passato gli archivi e i registri dei campi di prigionia, che i russi chiamavano in modo elusivo “ospedali da campo”, non erano accessibili, soprattutto per motivi politici ben noti. Con la Perestrojka di Gorbačëv alcuni archivi sono stati resi accessibili ed è iniziata una buona collaborazione tra Italia e Russia e gli ex paesi dell’URSS, la quale ha portato già nei primi anni novanta al riconoscimento e al rimpatrio di alcune spoglie. Il problema è che ora il 99% sono soldati ignoti. Le prime spoglie rientrate anni fa erano tutte riconoscibili, perché i caduti venivano seppelliti dai Cappellani militati e all’interno della cassa veniva messa una bottiglietta di vetro contenente i dati anagrafici e matricolari. Il tutto mappato con tanto di piantine precise che indicavano il luogo della sepoltura. Il problema è che esistono tantissime fosse comuni, in cui non ci sono solo soldati italiani. I cadaveri dei prigionieri venivano gettati tutti insieme: italiani, rumeni, cecoslovacchi, ungheresi sepolti a strati uno sopra l’altro. In questi casi è stato possibile stabilire la nazionalità di alcuni resti grazie ad alcuni brandelli divisa. Per non parlare poi di alcuni casi in cui, sopra le fosse comuni, è stato edificato senza alcun rispetto». Collaborate con altre associazioni d’arma o locali? «Innanzitutto collaboriamo strettamente con tutte le sezioni UNIRR limitrofe, ma anche con altre associazioni combattentistiche e di arma, tra le quali l’Associazione Marinai di Broni Stradella, la Sezione Autieri Oltrepò Pavese, alcuni Gruppi Alpini e Sezioni dell’Associazione Carabinieri». Avete in programma qualche iniziativa a breve? «A maggio, durante la Visita Pastorale, nell’ambito di una manifestazione in ricordo dei reduci e caduti sarà benedetto il nuovo Labaro. L’idea è di istituire una manifestazione annuale itinerante, che si ripeta ogni anno nei diversi comuni dell’Oltrepò». Quali sono le vostre aspettative? «Cerchiamo di lasciare una testimonianza per le nuove generazioni, con l’augurio che la sezione si rinnovi e abbia sempre più adesioni. La Campagna di Russia è una triste pagina di storia che non va dimenticata». di Manuele Riccardi
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OLTREPò PAVESE
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Come (non) è cambiato l’Oltrepò dal 1901 al 2019 Continua il nostro viaggio a ritroso tra le cantine sociali dell’Oltrepò, siamo a Montù Beccaria, primavera 1901. Il poco più che trentenne On. Luigi Montemartini iniziò una lunga campagna di promozione strutturata in riunioni, assemblee e contatti diretti, al fine di dar vita ad una cantina sociale a stampo cooperativistico. L’onorevole capì da subito che i per piccoli agricoltori era essenziale riunirsi in un unico gruppo per poter ottenere la giusta remunerazione delle uve ed evitare esorbitanti costi per la trasformazione dei vini, andando inoltre ad eliminare le tanto onerose mediazioni. L’8 giugno 1902, su iniziativa di 58 agricoltori che seguirono l’idea di Montemartini, venne costituita quella che si può definire la prima vera cantina sociale cooperativa d’Oltrepò, la Cantina Sociale di Montù Beccaria. L’idea piacque agli agricoltori oltrepadani (sì, agli agricoltori oltrepadani è piaciuto qualcosa, qualcuno potrebbe insinuare…) tant’è che negli anni successivi il progetto di Montemartini vide la luce anche in altri centri vitivinicoli della zona. Nello stesso anno venne fondata la sfortunata Cattolica di Broni a cui seguirono nel 1905 quelle di Santa Maria della Versa e Scorzoletta; nel 1906 quella di San Damiano a Colle, Canneto Pavese e Rovescala; nel 1907 quelle di Retorbido, Montescano, Torrazza Coste e Casteggio. Questo “sovraffollamento” portò le cooperative a competere tra di loro, portando all’abbassamento dei prezzi di mercato dei vini, situazione che non fu certamente preventivata da Montemartini agli albori del suo progetto. L’onorevole trovò ben presto la soluzione proponendo alle varie cantine di unirsi in una federazione, con lo scopo di incentrare sotto un unico ente la pubblicità e la vendita dei vini prodotti dalle singole cantine sociali, omologando i prezzi di mercato. Questo avrebbe sollevato le cantine, e i loro soci, dal pesante compito di
L’On. Luigi Montemartini
dover proporre e vendere singolarmente i loro prodotti. Infatti la produzione dell’intera federazione sarebbe stata commercializzata promuovendo un unico marchio. Il 16 febbraio 1909 i rappresentanti delle cantine di Montù, San Damiano, Montescano, Santa Maria, Torrazza Coste, Canneto e Retorbido costituirono la “Federazione Cantine Sociali Oltrepò Pavese”. Sempre nello stesso anno, iniziò anche la costruzione dell’enopolio federale in prossimità della Stazione di Stradella, per facilitare la spedizione dei prodotti. Si costituì anche il primo consiglio d’amministrazione, composto in modo proporzionale dai rappresentanti delle cantine aderenti. Ovviamente come presidente venne eletto Montemartini e Luigi Baraldi (già direttore delle cantine di Montù, Montescano e San Damiano) ne assunse la direzione. Gli spacci delle singole cantine vennero rilevati dalla federazione. Per rappresentare i prodotti confederati venne creato un marchio apposito a forma di ottagono, il quale conteneva un fascio di viti colme d’uva, accompagnato dal motto “Viribus Unitis”
Anni ‘20, l’esterno della sede di Stradella
(“con le forze unite”). A soli tre anni dalla fondazione, l’ente fu soggetto alle prime defezioni, e le cooperative confederate passarono presto da sette a quattro. La prima ad abbandonare fu quella di Scorzoletta a causa del suo fallimento nel 1910, seguita dalla Cantina Municipale di Canneto, nel 1912, per la medesima causa. Sempre nello stesso anno anche Torrazza Coste uscì dall’ente. A differenza di Scorzoletta e Canneto la decisione di Torrazza Coste venne deliberata dall’assemblea della cantina stessa. Il Presidente Orlandi venne a conoscenza di un grave fatto in violazione allo statuto dell’ente: all’insaputa di alcuni confederati, la direzione di Stradella avrebbe acquistato vino “estero”a basso costo da tagliare con quello della federazione, con la scusante di ottenere prezzi più competitivi sul mercato. Nonostante le voci non abbiano mai avuto fondamento, alla luce di questi presunti fatti la cantina di Torrazza Coste formalizzò una prima richiesta di messa in liquidazione, che poi si trasformò con la decisione della cantina di abbandonare l’ente. Nel corso degli anni ‘10 la federazione fu una vera e propria macchina da guerra sul mercato nazionale. Montemartini programmò una forte campagna pubblicitaria su diverse testate dell’epoca, soprattutto su quelle di stampo socialista come “La Plebe” e “Avanti!”. Per dimostrare al pubblico la vastità del progetto la direzione in certi casi mentì spudoratamente, come accadde su un numero de “La Plebe” del 1910: in un’inserzione si dichiaravano «quasi diecimila produttori piccoli proprietari riuniti» quando poi, agli albori, l’ente passava malapena i mille associati. Nel primo decennio d’attività vennero aperte succursali in tutto il nord Italia: cinque punti vendita a Pavia, tre a Milano, due a Piacenza e Bergamo, poi altri ancora a Monza, Genova, Savona, La Spezia, Parma e Crema. Vennero aperti alcuni spacci anche in Svizzera, a Canobbio e Lugano. Altro punto di forza della federazione fu la rete vendita basata sui primi gruppi d’acquisto, diventando fornitrice di diversi ospedali (S. Matteo di Pavia, Maggiore di Milano e i Civili di Vigevano, Monza e Busto Arsizio), cooperative di consumo, circoli e Case del Popolo. Sempre in quell’anno vennero prodotti e lavorati 70.000 ettolitri, per poi passare ai 30.000 ettolitri del 1919 e ai 50.000 ettolitri nel 1921. La produzione fu ampia e svariata: bianchi e rossi da pasto, vini fini e spumanti. Particolare attenzione venne data ai vini dolci, come il Moscato e il Sangue di Giuda. Nel 1922 anche la Cantina Sociale di Santa Maria della Versa abbandonò la Federazione, per motivi politici. In quell’anno
il fondatore Cesare Gustavo Faravelli, socialista e amico di Montemartini, dovette cedere la presidenza all’Avv. Luigi Gobbi Belcredi, per volontà del partito fascista. Questo cambio “politico” ai vertici influì anche sulla permanenza della cantina mariese nell’ente, di stampo meramente socialista. Anche Montemartini fu costretto ad abbandonare la sua creazione nel 1926 quando venne mandato al confino politico, in quanto oppositore al fascismo, prima a Roma e successivamente a Palermo. Ritornò in Oltrepò solo nel 1943, per sfuggire ai bombardamenti. La presidenza della Cantina di Montù e dell’ente passarono così all’Avv. Pollini. Sempre in quell’anno le singole assemblee delle cantine confederate votarono l’adozione di un nuovo regolamento per il conferimento delle uve che prevedeva la classificazione in tre categorie: fina, bastarda, nostrana. Al prezzo al quintale della nostrana (3^ categoria) veniva aggiunto un premio di 15 lire se classificata bastarda (2^ categoria) o di 30 lire se classificata fina (1^categoria). Tale classifica doveva essere redatta da un’apposita commissione composta da 15 soci, estranei al consiglio, e presieduta dal direttore Baraldi. Sempre in quegli anni la Federazione inglobò ad essa la Distilleria Sociale di Stradella (già Distilleria Stradellina e prima ancora Bobbio & Brambilla), la quale era stata già rilevata il 21 dicembre 1922 dalle cantine di Montù e Montescano su singola iniziativa. Tale stabilimento era stato precedentemente modernizzato con un contributo di 50.000 lire proveniente dalla Federazione stessa. Durante il ventennio la Federazione si ritrovò così composta da sole tre cantine sociali, le quali condividevano spesso presidenza e direzione.
Anni ‘20, una rivendita della Federazione
OLTREPò PAVESE
Il 1 agosto 1943 i tre consigli d’amministrazione, su spinta dell’Ente Nazionale della Cooperazione, si riunirono di fronte al notaio di Montù Beccaria, Dott. Antonio Gravellone, deliberando con rogito la fusione delle tre cantine sociali, assumendo la denominazione di “Cantine Sociali Riunite di Montescano, Montù Beccaria e San Damiano al Colle Società Cooperativa”. La sede venne stabilita a Stradella, nei locali della ormai ex federazione e venne nominato un nuovo consiglio d’amministrazione unico. La nuova cooperativa vantava più di 2000 soci conferitori. Già negli anni del secondo dopoguerra le “Riunite” arrivarono a pigiare uve per una quantità variabile tra 50.000 e i 80.000 quintali, sotto la presidenza del Cav. Mario Vercesi. Nel 1948 venne assunto il valente enologo Bruno Brunelli, il quale ne assunse successivamente la direzione fino alla metà degli anni ’60. Durante questo quindicennio i vini delle “Riunite” raggiunsero elevati livelli quantitativi ottenendo medaglie d’oro e riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali, entrando in alcuni casi in competizione con la più blasonata “La Versa”. Alla fine degli anni ’60 iniziò il lungo e travagliato declino della cooperativa. Il boom economico permise ai singoli agricoltori di poter commercializzare singolarmente il proprio vino, sfruttando il nome che l’Oltrepò Pavese si era duramente costruito anche per merito della vecchia federazione. In questo modo gli associati preferirono pigiare le uve migliori da destinare ai propri vini, finendo con il conferire alla cooperativa solo le uve di seconda scelta. Inevitabilmente questo portò le “Riunite” ad un ridimensionamento quantitativo e qualitativo dei prodotti commercializzati. Nel 1969 venne assunto l’enologo Alberto Vercesi, che successivamente ne divenne il direttore mantenendo tale carica fino al 1987, anno della sua scomparsa. Nel 1971 venne eletto presidente il Geom. Renzo Sclavi il quale, nonostante la nomina a senatore nella IX legislatura, mantenne
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l’incarico fino al 1994. Nei suoi 24 anni di presidenza, Sclavi tenterò in tutti i modi di mantenere viva la cooperativa. Con il trascorrere delle vendemmie i conferitori iniziarono a calare, arrivando a circa 860. Anche per questo motivo alla fine degli anni ’70 l’azienda venne ridimensionata, dismettendo i due enopoli di San Damiano e Montù Beccaria, ma mantenendo comunque una capacità produttiva di 100.000 quintali. Nel 1980 l’intera produzione venne concentrata nel moderno enopolio di Montescano (abbandonando definitivamente lo storico stabilimento di Stradella) e la cooperativa assume la denominazione di “Cantine Sociali Riunite di Montescano s.c.r.l.”. La crisi si fece sempre più forte e nel 1993 avvenne l’ultimo cambiamento della ragione sociale in “Viticoltori Valle Versa s.c.r.l.” (da non confondersi con il progetto “Cooperativa Viticoltori Valle Versa”, costituitasi più recentemente, per cercare invano di rilevare la Cantina di Santa Maria della Versa), mantenendo come marchio lo storico ottagono “Viribus Unitis”. Questo ultimo cambio di denominazione fu probabilmente un escamotage studiato per sfruttare al meglio il momento aureo di “La Versa”, la quale si era imposta da anni come azienda leader oltrepadana della spumantistica. Il senatore Sclavi lasciò la presidenza a fine 1994, sostituito dal Dott. Ettore Cantù che presiedette l’ultima storica assemblea straordinaria del 29 dicembre 1995: quel giorno gli associati, consci del fatto di non essere più in grado di salvare la cooperativa, votarono per la messa in liquidazione. I due liquidatori Rovati e Aricò terminarono la liquidazione solamente nel 2006, dopo aver concluso l’ardua alienazione dello stabilimento di Stradella. Ma al termine di tutte queste tumultuose vicende, che fine ha fatto il marchio “Viribus Unitis”? Per acquisire l’enopolio di Montescano dalla liquidazione, “La Versa” costituisce “Antica Cantina 1905 s.r.l.”, con lo scopo di inglobare in se gli ex soci della defunta cooperativa e poter accedere
a finanziamenti europei. Nel 1998 venne pomposamente proclamata la nascita del “Gruppo La Versa” e l’ottagono “Viribus Unitis” venne destinato ai prodotti della grande distribuzione. Nel 2002 “Antica Cantina 1905 s.r.l.” venne assorbita da “La Versa” e il marchio finì nel dimenticatoio. Come dimostrano i documenti però nessuna delle suddette aziende acquisì dalla liquidazione, registrò o rivendicò formalmente lo storico marchio all’Ufficio Marchi e Brevetti. Per questo motivo nel 2017 un gruppo di investitori ha ridepositato lo storico ottagono “Viribus Unitis”, con la dicitura “Cantina di Montescano 1907” nella speranza di poter mantenere viva la storia di questo glorioso marchio. Concludendo con un passo indietro di circa cent’anni, una chiara visione dei motivi per cui si arrivò alla cooperazione viene illustrata in un’inserzione pubblicitaria su un numero di “La Plebe” del 1914, così testualmente riportata: «Sui bei colli di Stradella e Broni, nel lembo orientale del Piemonte, dove tanto sono rinomate le uve di Canneto, Montescano, Castana, Cigognola, Montubeccaria, Rovescala e San Damiano, ecc. la proprietà della terra è assai suddivisa e migliaia e migliaia di piccoli proprietari viticoltori, danno alla vite le cure più affettuose e ne ricavano i frutti più prelibati. Tutta questa classe di lavoratori, che sono tra i più intelligenti, indipendenti ed attivi di quelle provincie, erano ferocemente sfruttati dai grandi mediatori e dai grandi negozianti di vini, perché non conoscendo i grandi mercati di consumo e non avendo la forza per accedere ad essi, ogni anno erano costretti alla vendemmia a vendere i loro prodotti per prezzi irrisori a persone che, non contente di guadagnare sul prezzo, facevano anche la speculazione dei tagli ed alteravano la qualità. Perciò sentirono anche quei lavorator la necessità di organizzarsi ed assecondando la propaganda del loro deputato On. Montemartini, fondarono parecchie Cantine Sociali, nelle quali riunirono le loro piccole quantità di prodotti per farne
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Giugno 1918, Inserzione pubblicitaria su Avanti
delle masse considerevoli, tali da poter con esse affrontare i grandi mercati. Colla solidarietà trovarono il credito e si resero indipendenti da strozzini, da mediatori, da speculatori. Riunirono poi le loro cantine sociali nella Federazione delle Cantine Sociali dell’Oltrepò con sede in Stradella in modo da procurarsi insieme la forza di cercare i mercati più lontani. La Federazione è presieduta dall’ On. Luigi Montemartini, deputato di Stradella, e diretta da bravi enologi che dirigono ed aiutano quei lavoratori a produrre il vino non più coi sistemi e coi piedi di Noè, ma colle norme razionali della enologia, applicando macchine filtri ecc. La facilitazione del credito, l’economia ottenuta colla lavorazione a macchina, il risparmio di spese di amministrazione che si hanno in una grande azienda, l’eliminazione delle spese di mediazione, l’esclusione di tanti intermediari, mette in grado la Federazione di vendere vini genuini di pura uva a prezzi convenientissimi per i consumatori. I grossi proprietari e negozianti che prima sfruttavano quei piccoli lavoratori, ora visto che sono loro sfuggiti di mano, cercano di imitarne nomi e tipi e sistemi di vendita, per sfruttare almeno la posizione che quelli hanno saputo guadagnarsi sul mercato. I consumatori sappiano distinguere!» Bentornati alla primavera 1901. Meditate agricoltori, meditate… di Manuele Riccardi
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SAN DAMIANO AL COLLE
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«Siamo contrari alle fusioni, si va avanti con le nostre forze» Le case si costruiscono dalle fondamenta. Devono pensarla così gli amministratori di San Damiano al Colle. Il sindaco Cesarino Vercesi e il suo vice Paola Brandolini, a sei mesi dalla riconferma alla guida del piccolo Comune oltrepadano che conta poco più di 700 anime, annunciano importanti lavori che rendono funzionante al 100% l’edificio comunale e i suoi servizi. Brandolini la prima novità della nuova gestione è stata la riorganizzazione degli uffici comunali, da lei fortemente voluta, è così? «Sì, finalmente posso affermare con soddisfazione che dal primo gennaio gli uffici comunali sono aperti tutte le mattine dalle 9.00 alle 13.00 dal lunedì al venerdì e dalle 9.00 alle 12.00 il sabato in quanto abbiamo assunto con mobilità la ragioniera e l’addetta all’anagrafe, inoltre tramite concorso abbiamo assunto un cantoniere autista di scuolabus. Tutti assunti a tempo pieno e affiancheranno il nostro vigile e il nostro tecnico già presenti nell’organico». Passiamo poi alle buone notizie: anche voi beneficerete del finanziamento del Governo per i piccoli Comuni? «Certamente, il ministero dell’interno ha finanziato 40mila euro a fondo perduto per i Comuni con meno di 2mila abitanti per la sistemazione di scuole, strade o edifici comunali, noi li useremo per le strade vicinali e per la sistemazione del tetto dell’edificio comunale». Quali altre opere sono state realizzate negli ultimi 6 mesi dell’anno appena trascorso? «In 6 mesi di carica l’amministrazione comunale ha già eseguito diversi interventi e spese: acquisto nuovo automezzo in uso al cantoniere, potatura di 75 piante, acquisto nuovi computer e un pc portatile per i dipendenti comunali, acquisiti fondi per l’ampliamento della video sorveglianza per circa 25.000,00 a fondo perduto grazie al buon lavoro dei nostri consiglieri di
maggioranza Sarchi e Mangiarotti, aumento contributo alla Proloco, fonte sociale per noi importante, assistenza educativa alunni avendo ricevute il 100% delle ore richieste per l’assistenza dagli istituti». Invece i prossimi interventi che i sandamianesi vedranno realizzati? «Interventi futuri vedranno la sistemazione dei tre cimiteri comunali e della Cappelletta Bianchi Mina posta nel cimitero comunale di San Damiano al Colle, manutenzione allo stabile comunale con tinteggiatura interna, sistemazione persiane e acquisto di climatizzatori, vetrificazione della nostra fontana nonchè simbolo della nostra lista civica, asfaltatura strada comunale Ghiarre». Brandolini, invece quelli ancora nel cassetto e che vedranno la realizzazione un po’ più in là? «Successivamente ci concentreremo sulla realizzazione di diversi punti, in primis la creazione di nuovi consorzi o nel caso procederemo con l’adeguamento di quelli già esistenti per la manutenzione delle strade vicinali (quelle che portano nei campi o nei boschi ndr) con la partecipazione attiva del comune per aiutare i nostri agricoltori, per noi figure molto importanti in quanto il
L’Amministrazione di San Damiano rinnovata dopo 6 mesi: «Sistemeremo le strade vicinali»
Il sindaco Cesarino Vercesi e il suo vice Paola Brandolini punto forte del nostro paese è basato sulle aziende vitivinicole. Ci stiamo già attivando per una possibile convezione con i Comuni di Rovescala, Bosnasco ed Arena Po per la polizia locale, è mia intenzione avviare l’iter per la richiesta di postamat alle poste italiane in quanto dopo la mia partecipazione al convegno a Roma nel Novembre scorso, su invito di Poste Italiane, ho riscontrato la facoltà di poste italiane ad ascoltare anche le esigenze dei piccoli comuni dove non è presente un istituto bancario. In ultimo un progetto che ci sta particolarmente a cuore è l’acquisizione dell’immobile Luisa Rossi Gè dove i bambini frequentano la scuola dell’infanzia, per ora in comodato d’uso gratuito. Stiamo cercando di acquisire la piena proprietà per poi poter intervenire sulla manutenzione e ristrutturazione dello stesso accedendo a eventuali fondi pubblici». Sindaco, le note dolenti. Il vostro è un Comune anziano, con un’età media di 52 anni e pochi under 14. Un vasto territorio sviluppato anche in diverse frazioni: Boffalora, Camporello, Casalun-
ga, Mondonico, Santa Giuliana e Villa Marone. Dato che la popolazione è in decrescita il trend della popolazione è negativo (– 11% negli ultimi 15 anni), non pensate ad eventuali fusioni con altri Comuni? «L’amministrazione comunale di San Damiano al Colle e lo affermo con decisione, è contraria alle fusioni con altri Comuni. Cercheremo di andare avanti il più possibile con le nostre forze e con eventuali convenzioni con le amministrazioni dei paesi limitrofi con le quali abbiamo un buonissimo rapporto specialmente con Rovescala e Bosnasco con le quali collaboriamo già da tempo» Quali sono i rapporti con la minoranza? «Più che buoni, abbiamo una minoranza molto attiva in quanto è sempre aggiornata su tutto quello che stiamo facendo e gli sviluppi futuri, e più che una minoranza si può definire una collaborazione esterna visto il bellissimo rapporto che abbiamo e colgo l’occasione per ringraziarli». di Giacomo Lorenzo Botteri
SANTA MARIA DELLA VERSA
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«Cesare Faravelli era un grand’uomo... ha dato da mangiare a tanta gente» La Valle Versa agli inizi del ‘900 poteva vantare il primo esempio di “azienda moderna”, perchè a detto degli abitanti più anziani di Soriasco, il Sig. Cesare Gustavo Faravelli nato nel 1872 e morto all’età di 94 anni (nel 1966), è stato un lungimirante ed intraprendente agricoltore, nonché fondatore della Cantina Sociale di Santa Maria della Versa (1905). Faravelli fu un uomo dal carattere forte con idee innovative, tutto ciò unito ad una qualità essenziale per un uomo pubblico, ovvero quella di saper lavorare in squadra, accettando suggerimenti e affrontando con obiettività i problemi. Inoltre, nel 1953 fu proclamato Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Luigi Scotti – classe 1943 – e Giovanna Beltrami – classe 1934 – hanno lavorato e dedicato parte della loro vita nell’azienda del “Signor Cesare”, come lo chiamano loro... nello specifico, Luigi si è dedicato dapprima ai campi e poi alla raccolta della frutta, mentre Giovanna si è occupata delle galline. Luigi che ricordo ha di quegli anni? «Per me è stato un periodo molto bello – dice con la voce strozzata dall’emozione - gli anni più belli della mia vita li ho trascorsi a Soriasco. A quei tempi c’erano persone in grado di lavorare, facevano le cose fatte bene; se un giovane voleva imparare, qui c’era tanto da imparare... era un’azienda modello. Non era solo la raccolta delle mele, c’erano gli animali (galline, conigli, maiali, mucche ecc.), si faceva il burro e il miele, si coltivavano le rose. La mia prima estate l’ho trascorsa nei campi e nei vigneti, mentre la mia prima raccolta delle mele l’ho fatta nel 1959; poi sono andato a militare e, una volta rientrato, sono tornato a lavorare ancora in questa grande azienda per un bel po’ di anni (fino al 1971). Quando ho iniziato eravamo in 14 ad occuparci dei trattamenti della frutta...poi c’era chi si occupava delle stalle, chi delle galline – come Giovanna – chi dei conigli, chi faceva il burro, chi il miele e chi si dedicava alla coltivazione delle rose baccarà, una qualità molto bella, che venivano vendute ai fioristi delle zone. Si facevano anche i mangimi per gli animali. Io ho imparato un sacco di cose, cose che i giovani d’oggi possono appena immaginare. I giovani li aiutavano, volevano che lavorassero e imparassero. Oggi non è più così...i giovani sono solo numeri, si è perso il contatto umano!». Che tipo di persona era Cesare Faravelli? «Cesare ha trasmesso il suo sapere; inoltre era preciso – pagava ogni settimana – ed ha aiutato tante persone. Lui aveva delle vedute imprenditoriali davvero avanzate per l’epoca. Non era sposato, non aveva eredi... aveva due fratelli, che facevano
Giovanna Beltrami e Luigi Scotti altri lavori, ma che non c’entravano con l’azienda. Era un grand’ uomo... ha dato da mangiare a tanta gente, non solo di Soriasco... arrivavano fin dal piacentino per lavorare. Ha creato la Cantina Sociale di Santa Maria, ma anche il tramvia elettrico che collegava Stradella a Santa Maria, il Ponte della Becca, la società del gas, l’asilo e la scuola a Soriasco... ha fatto tanto per la comunità. La Valle Versa l’ha fatta lui! Nel 1951 fu anche eletto Sindaco di Santa Maria della Versa».
Il Cav. Cesare Gustavo Faravelli Giovanna, lei invece che ricordi ha di quegli anni? «Io mi occupavo delle galline, delle ovaiole... accudivo i pulcini appena nati e questi poi venivano rivenduti. Ho iniziato da ragazzina, quando avevo 12 anni; i tempi erano diversi: le famiglie erano povere e per mangiare, anche i più piccoli dovevano lavorare. Ho conosciuto personalmente Cesare... era come mio padre. Era una
persona buona e ha fatto tanto, per tante persone. Durante la guerra, ci accoglieva tutti (noi bambini) a casa sua... e dava da mangiare anche ai tedeschi... non ci hanno mai fatto del male. Una volta era diverso. Se qualcuno aveva la possibilità di aiutare la comunità, lo faceva (ci guadagnava giustamente), ma distribuiva il tutto su tutti... non come i politici di oggi! Una volta c’era la fame, ma si era più allegri e più onesti». Luigi tornando alla raccolta della frutta, per esempio, le mele le vendevano? «Sì certo; sia ai privati, ma anche ai negozi della zona. Il profumo che emanavano queste mele non potete neanche immaginarlo... le mele erano piccoline, ma erano profumatissime e gustosissime. Sapevamo davvero come coltivarle... ricordo che veniva un professore dell’Istituto Gallini di Voghera, e cercava di capire come fosse possibile realizzare un prodotto di qualità come quello.
Facevamo anche il vino buono... l’uva è più semplice e meno impegnativa rispetto alla frutta». Luigi il suo era un lavoro duro? «Raccoglievo mediamente 15qt di frutta da ciascuna pianta. Era un lavoro duro... arrivavo a casa alla sera dalla mia famiglia, distrutto e infreddolito». Quante persone hanno lavorato per quest’azienda? «Negli anni, tra quelli fissi e quelli di passaggio, saranno stati migliaia, venivano da ogni parte della vallata, fin dal piacentino». Giovanna come è cambiata l’azienda quando è stata ceduta al Clero? «Verso l’inizio degli anni ‘60, Cesare ha ceduto l’azienda al Clero, precisamente alla Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth di Brescia, e da qui è iniziato a cambiare tutto: volevano risparmiare sulla manodopera e non avevano lo spirito imprenditoriale del Sig. Cesare». Luigi e Giovanna siete mai saliti sul tramvia elettrico?
«Sì, una volta sola! Approfittiamo di questo perchè, una persona di nostra conoscenza vorrebbe realizzare un modellino ed è difficile stabilire quale sia il colore originale del tramvia e, visto che le foto sono in bianco e nero e noi anziani fatichiamo a ricordarcelo, vorremmo fare un appello per risolvere questo “mistero”». di Silvia Cipriano
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CANEVINO
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«Sono abituata a metterci la faccia. Sempre. Non mi tiro mai indietro» A meno di quattro mesi dalla prossima tornata elettorale, sono molti i comuni nei quali restano parecchi nodi da sciogliere, perfino in quanto ai nomi dei candidati sindaci. Il caso più eclatante, nella nostra provincia, è quello di Pavia. Con la ricandidatura del sindaco attuale, Massimo Depaoli, che appare ormai quantomeno improbabile; con un Movimento 5 Stelle che ancora non ha palesato le proprie intenzioni; e con un centrodestra che, in attesa dei movimenti della Lega (che rivendica il diritto di indicare un candidato unitario), ha per ora posto sul tavolo i nomi di Antonio Bobbio Pallavicini (Forza Italia) e di Paola Chiesa (Fratelli d’Italia). Già, Paola Chiesa. Una giovane donna dell’Oltrepò (ha quarant’anni ed è di Canevino) il cui profilo è di grande interesse. Insegnante di Lettere proprio a Pavia, da molti anni coniuga l’attività lavorativa a quella di ricercatrice storica. Alcuni anni fa fu definita dallo storico Ernesto R. Milani, in un’intervista, ‘‘l’insegnante che tutti avremmo voluto avere nelle nostre aule scolastiche’’. Ha all’attivo una ventina di pubblicazioni; il suo esordio, nel 2007, con ‘‘I caduti e i dispersi in della Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese nella Campagna di Russia (1941-1943)’’, con una nota di Mario Rigoni Stern. In relazione alle ricerche svolte, il suo nome è comparso nel 2016 sul Corriere della Sera, una fra “sedici storie di tenacia, fra sedici volti di un’Italia che non ha smesso di guardare avanti”. Nel 2017 è stata insignita del titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. “Per il centrodestra a Pavia occorre una candidatura condivisa, unificante e vincente - ha commentato l’ex ministro Ignazio La Russa e per questo motivo penso che sia un’ottima notizia la disponibilità a candidarsi a sindaco da parte della professoressa Paola Chiesa, molto stimata in città per le sue battaglie popolari a favore dei cittadini e ben conosciuta negli ambienti culturali, imprenditoriali e militari’’. La Chiesa, del resto, è entrata in Fratelli d’Italia fin dalla sua fondazione, e dallo scorso anno svolge il ruolo di segretario del partito a Pavia. Nonostante gli impegni sempre crescenti, trova il tempo per essere molto presente anche sui social network, dove rilancia con costanza le iniziative che vedono protagonista lei o il suo partito di riferimento. Fra quelle dei politici provinciali, la sua è una delle pagine aggiornate con più solerzia, e con i migliori risultati in termini di coinvolgimento del relativo uditorio. Frutto, questo, anche del forte coinvolgimento che caratterizza i simpatizzanti di Fratelli D’Italia, che può contare su un elettorato
Paola Chiesa, un’oltrepadana in corsa per Pavia
sicuramente ristretto rispetto ad altre forze politiche, ma molto mobilitato e stabile nel tempo. Uno zoccolo duro, insomma, su cui poter fare sicuro affidamento. È ancora presto per dire se questa candidatura proveniente da una fonte ‘‘terza’’ rispetto ai principali partiti cittadini possa superare il vaglio delle segreterie locali e dei dominus nazionali. Ma con questa nomination il profilo di Paola Chiesa, ormai sempre più spesso presente nelle liste elettorali, acquisisce prestigio e, siamo sicuri, lo sentiremo ancora pronunciare molte volte nei prossimi anni. L’abbiamo quindi contattata per conoscerla e per conoscere le sue opinioni sui temi tanto cari a questo giornale. Le ultime voci fanno di lei la papabile candidata a Sindaco di Pavia. Ci sono aggiornamenti? «Fratelli d’Italia ha proposto il mio nome al tavolo delle trattative del centrodestra.
Un onore. Alla chiamata del partito ho risposto, come sempre, con entusiasmo, presente. Sono a disposizione della città.» Tornando in terra oltrepadana da donna che fa politica pensa che le quote rosa in politica (oltrepadana) siano sufficienti? «Sono contraria alle quote rosa. Credo nella meritocrazia. Il merito è il mio metro di giudizio anche in politica.» Anche a Voghera si vocifera di una candidatura femminile alle prossime elezioni. Sono voci che le sono giunte? Cosa pensa al riguardo? «Sono stata commissario di partito a Voghera. Ho conosciuto donne capaci e donne ‘‘da quote rosa’’. Apprezzo solo le prime, ovviamente. Una donna come primo cittadino? Mi piacerebbe molto.» Lei fa politica da molto tempo, nonostante la sua giovane età. Il suo percorso è un po’ anomalo, nel senso che non
è partita dalla politica locale per fare la classica gavetta. Come mai? «Ho aderito a Fratelli d’Italia dalla fondazione. Sono sempre stata a disposizione del partito. Alle primarie in provincia di Pavia nel 2014 sono stata la più votata. Il partito sempre nel 2014 mi ha proposto le europee? Ho accettato. Sono risultata la donna più votata dopo Giorgia Meloni nella circoscrizione nord ovest (Lombardia, Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta). Nel 2016 sono stata nominata commissario a Voghera. Dal 2017 sono segretario a Pavia dopo un periodo da commissario. Il partito nel 2018 mi ha proposto di correre per le Regionali e per le politiche come capolista alla Camera dei Deputati nelle province di Pavia e Lodi? Ho accettato. Alle regionali sono stata la più votata del partito, che ha ottenuto il 3,54%, con 1.367 preferenze. Alla Camera dei Deputati non ce l’ho fatta per un soffio. Nel
CANEVINO 2018 sono stata eletta nell’Assemblea Nazionale del partito. Ora l’impegno alle comunali a Pavia... insomma, sono abituata a metterci la faccia. Sempre. Non mi tiro mai indietro.» Le elezioni in Oltrepò sono alle porte e non si tratta di rinnovare solo le amministrazioni locali di ogni singolo Comune, ma sono in gioco ben più ampi scenari, ad esempio per quanto riguarda la Comunità Montana Alto Oltrepò. Quale sarà a suo giudizio il futuro della Comunità Montana? «Con le elezioni nei vari Enti potrebbero cambiare gli assetti politici ma sono sicura che prevarrà il buon senso degli amministratori ed il loro attaccamento al territorio.» Lei arriva da Canevino, quindi da un territorio a vocazione vitivinicola. Il mondo del vino oltrepadano ha subito diversi scossoni negli ultimi anni. Cosa si dovrebbe e potrebbe fare? «Bisogna cambiare il modo di produrre. La strada vincente nel futuro sarà solamente la qualità. L’Oltrepò ha grandi uve. Eccellenze invidiate da tutto il mondo. Purtroppo negli ultimi anni si è puntato sulla quantità. E la nostra zona non può essere competitiva sotto questo aspetto. Le nostre eccellenze sono la nostra forza; la loro valorizzazione la strada vincente. Se dovessi riassumere con un motto direi: meno quantità, più qualità.» Consorzio tutela vini e Terre d’Oltrepò, gioie e dolori di tanti viticoltori… la sua idea? «In Oltrepò servirebbe un marchio unico che vada dal vino al turismo. Il marchio unico contraddistingue tante zone d’Italia ed ha contribuito alla loro fortuna. Il consorzio di oggi traballa. Non è più rappresentativo. Credo sia impossibile una ristrutturazione. Bisogna ripartire. Ripartire guardando con occhio attento a qualità e specificità territoriali, puntando ad una riduzione delle DOC. Si potrebbe ripartire da più “Consorzi”: uno per lo Spumante
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in Valle Versa. Uno per il Moscato nella zona dell’alta valle Versa. Uno per la Bonarda. Uno per il Buttafuoco ed uno per il Casteggiano. L’obiettivo? Costruire il vero consorzio a marchio unico Oltrepò che rappresenti non solo il settore vitivinicolo ma anche il settore turistico passando per l’Agro alimentare. Sono, da sempre, per le eccellenze.» Lei ha fatto gli onori di casa nella recente visita dell’assessore regionale al Turismo, Lara Magoni in Oltrepò. C’è stato qualche caso in cui si è sentita, mi passi il termine, mortificata da certe situazioni ‘‘scandalose’’ del nostro territorio? Ad esempio penso allo stato delle Terme di Salice… «In Oltrepò non ci si può sentire mortificati. L’Oltrepò nasconde tesori che sorprendono i visitatori quando vengono mostrati. Manca solo un po’ di consapevolezza sul nostro potenziale.» Di recente è avvenuta la fusione tra i comuni di Canevino, Ruino e Valverde. Qual è la sua opinione in merito? Auspicava un tale risultato? «Le fusioni non mi appassionano ma ho votato sì. Ho votato sì per i vantaggi che, da questa fusione, poteva trarre il mio comune: Canevino. Ben venga quindi la fusione, ma nel rispetto delle identità.» Da oltrepadana spesso in giro per l’Italia, quale percezione le pare si abbia, altrove, dell’Oltrepò? «La percezione è che non lo si conosca abbastanza. Dobbiamo tutti impegnarci di più. Ognuno nel proprio settore.» Parliamo della Paola Chiesa storica e non politica. Quanto l’arrivare dall’Oltrepò ha acceso la sua passione per la storia? «La passione per la storia nasce dai racconti del mio amato nonno paterno di Canevino, Nani Chiesa, che ha combattuto in Grecia nella seconda guerra mondiale, e di mio zio Dino Chiesa di Pometo, reduce dalla campagna di Russia. Impossibile restare indifferenti. Naturale quindi la ri-
chiesta all’Esercito Italiano di accedere ai loro archivi per portare alla luce storie e volti soprattutto di chi, dal fronte e dalla prigionia, non ha avuto la possibilità di ritornare e raccontare. Le mie ricerche sono soprattutto rivolte alle nuove generazioni affinché non dimentichino chi ha sacrificato la vita e la giovinezza per la Patria.» Alcuni anni fa è stata anche in Afghanistan. Ci racconti la sua esperienza. «Ho avuto l’onore di andare in Afghanistan con l’Esercito Italiano nel 2013. Ho visto con i miei occhi l’impegno dei nostri militari in quei luoghi martoriati da troppi anni di guerra. Uomini e donne eccezionali, orgogliosi di indossare la divisa e fieri di essere italiani: lo specchio migliore dell’Italia all’estero.» Come insegnante si trova a contatto quotidianamente con il mondo dei giovani. Come vedono la politica? «Ai miei ragazzi alle superiori cerco di insegnare, indipendentemente dalla nazionalità, l’amor di Patria, la legalità ed il rispetto delle regole. Valori fondamentali anche in politica. Chi fa politica in questo particolare momento storico rappresenta la parte migliore della società. Ho sempre dato tanto alla politica, in termini di impegno e anche in termini economici. Rifarei tutto. A distanza di anni sono sempre dalla stessa parte. Non ho mai cambiato partito. La coerenza è fondamentale: questo il messaggio che mi sento di lanciare ai giovani.» Lei è cittadina onoraria di Pietra de’ Giorgi, ma residente a Canevino. Come mai? «Sono diventata cittadina onoraria a Pietra de’ Giorgi nel 2014. Tante le iniziative che ho organizzato insieme al Sindaco Gianmaria Testori per il comune. Le più importanti? Sicuramente l’intitolazione di una piazza al Caporal Maggiore Capo Luca Sanna, Caduto in Afghanistan il 18 gennaio 2011, e la realizzazione di un nuovo monumento ai Caduti in occasione del Centenario della Grande Guerra.»
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«Sono contraria alle quote rosa. Credo nella meritocrazia. Il merito è il mio metro di giudizio anche in politica» Dare la cittadinanza onoraria è diventata in Oltrepò una pratica piuttosto diffusa: dopo Albano a Golferenzo, di recente anche Gerry Scotti a Canneto. Cosa ne pensa? «Se ci sono i requisiti, sono sicuramente a favore. È un modo per far conoscere il nostro Oltrepò.» Lei è certamente una persona dinamica e poliedrica, attivissima anche sui social. Domanda indiscreta: fa tutto da sola o ha un social media manager che la segue? «Non amo particolarmente i social ma la comunicazione, oggi, passa soprattutto attraverso questi canali. Faccio tutto da sola. Facebook, per esempio, è uno strumento utile per far conoscere le tante iniziative legate alla ricerca storica militare e alla politica. Per scelta non pubblico immagini o post legati alla sfera privata.» Qual è la soddisfazione più grande che ha avuto in questi anni? «Essere stata scelta nel 2014 dal Corriere della Sera tra le 16 storie di tenacia dell’Italia che non ha mai smesso di andare avanti.» di Pier Luigi Feltri
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«Il problema più grande in una sola parola? La mancanza di una cultura dell’identità» Lo psicologo di Stradella, Giuseppe Marino, ha realizzato, fra il 2017 e il 2018 un importante progetto che ha coinvolto numerosi abitanti di Stradella e dei comuni limitrofi, nella rielaborazione delle famose favole di Esopo. Il dottor Marino ci vuole spiegare in che modo si sono svolti gli incontri e il loro argomento principale, che ha poi tradotto in un libro che è appena uscito, intitolato per l’appunto, “Una vita da favola”. Ci risentiamo a distanza di poco più di un anno per trattare nuovamente di quegli appuntamenti fra le favole e la psicologia di cui all’epoca ci aveva parlato e che erano da poco iniziati. Ci rinfreschi la memoria, di che genere di progetto si tratta? «Il progetto delle favole aveva come obiettivo quello di avvicinare le persone al mondo della psicologia. Le favole di Esopo sono state un ponte tra la teoria psicologica, spesso complessa, e un pubblico curioso di scoprire questa affascinante materia. Conoscere i labirinti della mente non è facile, se però ci riesci ti cambia la vita. Potersi orientare con serenità lungo i viali della psiche incide molto sul benessere personale. Le favole hanno spianato la strada». Che tempistiche ha avuto il percorso di questa attività? «Il progetto delle favole è durato circa un anno e mezzo. È cominciato con l’estate del 2017 e si è concluso con pubblicazione del libro “Una vita da favola”, avvenuta proprio poco tempo fa – appena prima di Natale». Il progetto ha subito una mutazione rispetto all’idea iniziale che aveva, o ha rispettato gli “standard” che aveva scelto? «Certamente. Il progetto è cresciuto e maturato nel tempo. In principio tutto l’impegno era indirizzato su Facebook. Ogni giorno pubblicavo sulla mia pagina una favola di Esopo. Tutti avevano la possibilità di commentarne la morale: così nascevano tanti confronti, tante discussioni e molte riflessioni. Dato il piccolo successo sul web, ho pensato che riproporre lo stesso format vis a vis potesse funzionare: e difatti così è stato. Abbiamo realizzato 10 incontri con 10 temi differenti di psicologia. È stato davvero una splendida esperienza!». In quanti hanno partecipato e che tipo di partecipazione è stata? Si trattava di incontri privati o di gruppo? «Agli appuntamenti poteva partecipare chiunque, ma senza che si superassero le 25 persone ad incontro. L’intenzione era quella di creare un luogo di confronto, una chiacchiera serale attorno a un fuoco immaginario. Volevo che i partecipanti po-
po per aiutare chi legge a comprendere con facilità i macro-temi della psicologia. Un esempio? La favola della tartaruga che batte la lepre alla gara di corsa può aiutarci ad affrontare il tema del “limite”; la volpe che non si sforza a raccogliere il grappolo d’uva è un ottimo incipit per parlare di motivazione, ma anche di responsabilità. E così via. Il libro parla di figli, genitori, lavoro, sport e fobie dei piccioni. Ci sono capitoli sull’amore, sulle relazioni, sulla depressione e sull’ansia; ma anche sulla gioia e la felicità e tanto altro ancora. Per ogni argomento c’è il parallelismo con una o più favole di Esopo. Insomma, “Una vita da favola” è un piccolo vademecum su come affrontare la quotidianità». Giuseppe Marino, psicologo A chi si è appoggiato stradellino, ha rielaborato le famose favole di Esopo per la pubblicazione? tessero dialogare di psicologia, arricchen- Come funziona, in un contesto come il do le ore con tanti spunti su cui riflettere. È nostro dell’Oltrepò, quando si intende stato davvero stupendo: ad ognuno di loro pubblicare un libro? va un carissimo ringraziamento perché «La pubblicazione non è che l’ultimo tutti hanno davvero contribuito a rendere step della redazione di un libro. Non è così difficile trovare una casa editrice o speciale ogni minuto passato assieme». La pubblicazione del libro, che è stata una soluzione ottimale per poter dare alla alla fine consequenziale al progetto, era luce il proprio testo. L’importante, come un’idea che aveva fin dall’inizio, o è sta- in molte cose, è desiderare fortemente di ta solo uno dei risultati più diretti della raggiungere un obiettivo ed affiancare al sogno una buona strategia e tanto tanto sua conclusione? «L’idea c’è stata quasi da subito, ma i impegno». gruppi d’incontro hanno decisamente mo- Parlando più in generale della sua attivato questa scelta! Le ore passate assie- tività di psicologo, che cosa ci può dire me ai partecipanti hanno arricchito enor- del nostro Oltrepò. Quali sono le promemente le pagine del testo. Le difficoltà blematiche maggiori che riscontra nella emerse, i dubbi, le domande, tutti i crismi società che ci circonda? e le curiosità emersi dagli incontri sono «L’Oltrepò è una terra di mezzo. Vive a stati semi importanti per coltivare l’idea di metà tra gli influssi di Pavia e Piacenza, sente sui fianchi lo sfrecciare delle autoun libro di psicologia rivolto a tutti. Grazie a questi contributi, così policromi e strade e può rifugiarsi tra le verdi creste differenti, nasce “Una vita da favola”, un degli Appennini o sulle rive del grande testo in cui ognuno può trovare tanti spun- fiume. La sua natura fa del nostro territoti per affrontare con il sorriso la propria rio una bilancia i cui bracci non riescono a trovare mai il giusto equilibrio tra innoquotidianità». Ci parli esattamente del libro, il tema vazione e tradizione, apertura e custodia. principale immagino sia il collegamento Io credo che questa altalena sia un valodelle favole di Esopo con la vita reale di re immenso che non riusciamo a sfruttare. Per tanti aspetti siamo lo specchio di tutti i giorni, ci faccia qualche esempio. «“Una vita da favola” parla della vita di una realtà che scavalca i confini dei notutti i giorni, utilizzando le favole di Eso- stri colli. Il problema più grande in una
«L’Oltrepò è come una bilancia i cui bracci non riescono a trovare mai il giusto equilibrio tra innovazione e tradizione, apertura e custodia». sola parola? La mancanza di una cultura dell’identità». Ha intenzione di proseguire con altri progetti nel corso del nuovo anno? «Certo. Sicuramente punto molto sul format di questo libro: credo sia davvero efficace. Dovunque potrò riproporrò volentieri qualche incontro tra favole e psicologia. Già ho ricevuto alcune belle proposte. Tra i nuovi progetti c’è quello in collaborazione con Don Cristiano, vice-parroco di Stradella, di un ciclo di 7 incontri sulla Genesi e gli aspetti psico-pedagogici ed antropologici che può regalare la lettura del primo libro della Bibbia. In cantiere ho qualche idea per i giovani, qualche bozza su un percorso per supportare i liberi professionisti e un progetto sull’affettività. Sono comunque aperto a nuove proposte e collaborazioni». Sappiamo che poco tempo fa è andato in scena anche uno spettacolo teatrale, presso il Teatro Sociale di Stradella, in cui ha partecipato, ce ne può parlare? «La domenica, in collaborazione con la Croce Rossa di Stradella, coordino un laboratorio teatrale. Sono tutti ragazzi e giovani-adulti che hanno voluto impegnarsi in un percorso di crescita personale. Il laboratorio di teatro va ben oltre la semplice rappresentazione scenica. Durante le prove ci si mette davvero (gioco di parole) alla prova: si impara a lavorare assieme, a coordinarsi, a riflettere su se stessi e sulla propria natura. Il teatro permette di giocare alla vita, divertendosi e portando a casa ogni volta un grande insegnamento personale. A Dicembre siamo andati in scena con “Il Conte di Montecristo”; probabilmente ci saranno delle repliche, ma non siamo ancora certi. Stiamo aspettando alcune risposte». di Elisabetta Gallarati
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Voghera, Fotoclub ImmaginIria: «Un collegamento concreto con il territorio per valorizzare gli aspetti paesaggistici e socioculturali» Il Gruppo Fotocine DLF è stato fondato nel 1974 su iniziativa di Giancarlo Giorgini, allora Capo deposito locomotive a Voghera. Inizialmente non più del 20% degli iscritti poteva appartenere alla fascia dei soci frequentatori, quindi non ferrovieri. Nel primo anno si contavano già 51 iscritti, così si decise subito di organizzare corsi per lo sviluppo e la stampa in bianco e nero. Il luogo di ritrovo attuale è in via Arcalini 4 a Voghera, nella sede del DLF. L’Associazione è rappresentata nel suo organo direttivo dalla Presidente Marinella Damo e dai consiglieri Gigi Massone, Piero Facchini, Leonello Sala e Marco Rossi. Conta attualmente circa una quarantina di soci. Il fine dell’associazione è quello di promuovere l’attività di diffusione dell’Arte fotografica attraverso corsi di perfezionamento e di informazione, allestendo mostre personali, collettive e audiovisive e organizzando conferenze, dibattiti, ricerche fotografiche e scambi di esperienze sia fra associati che a livello di circoli provinciali accreditati. Rossi, quando è nato il gruppo fotografico ImmaginIria? «Il Gruppo Fotocine DLF ha visto la luce nel lontano 1974 su iniziativa di Giancarlo Giorgini, allora Capodeposito locomotive a Voghera e aderisce alla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche). Inizialmente non più del 20% degli iscritti poteva appartenere alla fascia dei soci frequentatori, quindi non ferrovieri. La camera oscura era assiduamente frequentata, ai soci si insegnava non tanto a stampare quanto a utilizzare le apparecchiature. Oltre al tesserino d’iscrizione al gruppo, per accedere alla camera oscura il socio doveva disporre del tesserino rosso, che veniva rilasciato solamente quando aveva imparato a usare l’attrezzatura. Si è poi provveduto a creare una piccola sala di posa per fare foto in studio. Venivano fotografati i parenti, i colleghi, i figli degli iscritti... Il DLF non disponeva di fondi per cui i 14 soci fondatori si sono autotassati per l’acquisto del materiale indispensabile al gruppo: ingranditore, taglierine, focometro per la camera oscura. Nel primo anno si contavano già 51 iscritti, così si decise subito di organizzare corsi per lo sviluppo e la stampa in bianco e nero. Il luogo di ritrovo attuale è in via Arcalini 4 a Voghera, nella sede del DLF». Qual è il fine della vostra attività di Fotoclub? «Vogliamo perseguire scopi puramente artistici, senza alcuna finalità di lucro, promuovendo l’attività di diffusione dell’Arte fotografica attraverso corsi di perfezionamento e di informazione, allestendo mostre personali, collettive e au-
Marco Rossi, consigliere Associazione ImmaginIria
diovisive e organizzando conferenze, dibattiti, ricerche fotografiche e scambi di esperienze sia fra associati che a livello di circoli provinciali accreditati. A disposizione degli associati, un attrezzato laboratorio fotografico (camera oscura), le apparecchiature per audiovisivi ed una biblioteca corredata da riviste, libri e pubblicazioni specifiche di settore. Inoltre vengono organizzati workshop in località di particolare interesse fotografico e culturale. Il FotoClub ImmaginIria DLF Voghera propone la fotografia come pratica ricreativa e culturale. A questo proposito allestisce mostre, organizza corsi, workshop e concorsi di fotografia, propone audiovisivi e attività di gruppo, partecipando a numerosi concorsi fotografici sia a carattere locale che nazionali». Cambiare nome è stato un semplice atto formale? «Dal 2005 il Gruppo Foto-cine, ha imboccato due “binari paralleli”: la fotografia e il video. Il cambio del nome da Gruppo Foto-cine a Fotoclub ImmaginIria (dall’antico nome della città di Voghera) non è stato solo un atto formale ma ha significato un ulteriore evoluzione di tipologia e qualità di lavoro da svolgere sempre più orientato a ricercare un collegamento concreto con il territorio per valorizzare sia gli aspetti paesaggistici che socioculturali, senza trascurare ovviamente l’obbiettivo primario
di insegnare e diffondere la passione per la fotografia». è prevista una quota annuale di iscrizione? «Sì, la quota associativa annuale è di 35 Euro». Organizzate corsi? «Sì, sia per amatori che per professionisti. Si parte con il corso base di fotografia digitale dal 18 aprile al 4 giugno, 8 incontri serali e 2 workshop esterni sulle colline dell’Oltrepò e nel Borgo Antico di Varzi, con mostra fotografica finale a cura dei corsisti. In calendario per il secondo semestre organizzeremo per il terzo anno consecutivo il Concorso Fotografico Nazionale dedicato al “Memorial Massimo Sala di Godiasco”. Dedichiamo due serate alla settimana martedì e giovedì sera dalle ore 21 presso la nostra sede per sviluppare i nostri progetti e confrontarci sulle tematiche riguardanti il mondo della fotografia». Quando organizzate le escursioni di gruppo in Oltrepò? «Le uscite di gruppo vengono organizzate generalmente di sera, dopo il lavoro, anche per avere la possibilità di discutere sulle pose lunghe con il cavalletto. Le escursioni toccheranno tutto il territorio dell’Oltrepò, dalla Valle Staffora alla Valle Versa, dalla Val Trebbia alla Val Tidone». Quali sono i temi delle vostre opere?
«Principalmente documentazione, denuncia di situazioni di disagio, senza rinunciare alla propria creatività ed alla propria libertà di vedere e raccontare. Abbiamo appena avviato un’importante collaborazione con la Sovrintendenza alle Belle Arti della Regione Lombardia, il Comune di Voghera, l’Azienda Ospedaliera di Pavia e l’Assessorato al Turismo dell’Amministrazione Provinciale, con grande successo». Riscontri circa la mostra ‘ Namibia’ che si è appena chiusa al Bar Teatro? Attualmente, altre in esposizione? «Sono state allestite mostre significative in occasione di eventi importanti, a partire dalla celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, alla mostra per i 40 anni del circolo “Extra Ordinario”; con il contributo del FAI la mostra “Frammenti” sui siti Unesco in Italia e nel Mondo, il Duomo Ritrovato di Pavia in collaborazione con la Soprintendenza dei beni culturali e architettonici di Milano; e un particolare ricordo al centenario della grande guerra “La Guerra lontano dal Fronte” e molte altre nel passato. Presso lo “Spazio Immagine” del Bar Teatro in via Emilia,79 a Voghera, prosegue la rassegna dedicata alle mostre permanenti dei nostri soci. Dopo la mostra personale di Paola Giglio in esposizione fino al 30 gennaio, dal titolo “Namibia” è la volta di Roberto Maggi con una sua personale dal titolo: “Sulle Rive del Po”, questo legame con il grande fiume che l’autore racconta attraverso le immagini che descrivono emozioni, riflessioni, gioie e dolori. In preparazione, la mostra collettiva annuale al Castello Visconteo che quest’anno avrà come tema: “il colore dentro” . Inoltre, parteciperemo alla rassegna “fotogiro 2019” riservata ai circoli ufficiali FIAF della Provincia di Pavia». di Federica Croce
«Documentazione, denuncia di situazioni di disagio, senza rinunciare alla propria creatività ed alla propria libertà di vedere e raccontare»
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«Amo molto la mia città e l’Oltrepò Pavese. Vedo però il territorio molto sofferente» Anche Stradella ha il suo artista. Si chiama Claudio Cerri, ha 42 anni e da venti lavora nel campo dell’illustrazione. Una passione nata tardi, ma che si è sviluppata poi in poco tempo e ha portato un notevole successo. Cerri racconta il suo percorso e i suoi progetti futuri, con uno sguardo al territorio oltrepadano. Claudio, come ha iniziato? «Ho iniziato disegnando fumetti, poi, gradualmente mi sono indirizzato verso il settore delle illustrazioni per l’infanzia e per ragazzi, un mercato con il quale mi sento più affine, illustrando prevalentemente albi illustrati, narrativa, riviste e libri scolastici. Lavoro, da molti anni, anche nel campo della grafica pubblicitaria». La sua passione per il disegno quando è nata? «Tardi. Da bambino non avrei mai immaginato di diventare un disegnatore, anche perchè, a dirla tutta, non mi piaceva disegnare. Seppur non abbia scelto una scuola artistica (ho frequentato l’istituto tecnico per geometri), è stato durante le superiori che è nata questa passione. Penso che nell’età adolescenziale il desiderio di comunicare e dire la propria al resto del mondo sia molto forte. C’è chi lo fa ad esempio suonando in una band musicale, io invece l’ho fatto avvicinandomi al disegno». Fa della sua passione un lavoro a tempo pieno? «Illustrazione e grafica riempiono letteralmente tutto il mio tempo. è difficile per me riuscire ad avere un sabato o una domenica completamente liberi, anzi, spesso mi capita di lavorare anche nelle feste, come Natale e Capodanno. Avendo comunque avuto la fortuna di trasformare la mia passione in lavoro, tutto ciò non mi pesa». Ci racconta come nasce e si sviluppa una sua “creazione”? «Per quanto riguarda l’illustrazione, solitamente è l’editore a contattarmi, proponendomi un testo da illustrare, che può essere un albo illustrato o un romanzo a seconda del target di età: il testo mi perviene con le indicazioni di dove verranno collocate le illustrazioni e dello spazio che devono occupare. Procedo quindi a disegnare le matite riguardanti la copertina e le pagine interne e le inoltro in redazione, dove verranno esaminate dall’editor. Se non necessitano cambiamenti, passo alla realizzazione delle immagini definitive colorandole. La direzione artistica deciderà se i disegni vanno bene per essere stampati, oppure necessitano di ulteriori modifiche. Quando si sfoglia un libro illustrato, non si ha l’idea di quanto lavoro ci sia dietro ad ogni singola immagine». Con quali case editrici collabora? «Collaboro sia con case editrici italiane
«Ho iniziato disegnando fumetti, poi, gradualmente mi sono indirizzato verso il settore delle illustrazioni per l’infanzia e per ragazzi» Claudio Cerri, illustratore stradellino
che estere. Rimanendo in territorio italiano lavoro con Mondadori, Piemme, De Agostini, Pearson, Giunti, Rcs, Fabbri e molte altre». Il fatto di arrivare da un territorio piccolo come l’Oltrepò è stato uno svantaggio? Ha incontrato ostacoli? «No, assolutamente. Stradella è situata in un’ottima posizione strategica, vicina a Milano che ospita una grande quantità di case editrici. Ma a dire la verità, ormai con la tecnologia è possibile lavorare in tutto il mondo comodamente dalla scrivania di casa. Per quanto riguarda il mercato estero ho un agente in Inghilterra che mi rappresenta, quindi diciamo che fa lui il lavoro sporco». Cosa pensa di Stradella e del territorio? «Amo molto la mia città e l’Oltrepò Pavese in generale. Vedo però il territorio molto sofferente. Mi auguro con tutto il cuore che in futuro la situazione possa migliorare e possa ottenere il riscatto che merita». I suoi progetti futuri? «Per quanto riguarda l’illustrazione ho già in programma per il 2019 di lavorare su quattro albi illustrati per il mercato canadese, un albo illustrato per il mercato italiano e la lavorazione di libri di scolastica». Sogni nel cassetto? «Più che un sogno è una speranza: quella di continuare così». di Elisa Ajelli
MUSICA
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I Tears of Angels, l’hard rock made in Santa Giuletta, Bressana Bottarone e Verrua Po
I Tears of Angels
I Tears of Angels sono tutti giovani - classi 1994/1997 - originari dell’Oltrepo Pavese, precisamente delle zone tra Santa Giuletta, Bressana Bottarone e Verrua Po, che amano il “vero” rock e che, con la loro interpreta-zione, vogliono farsi conoscere e far rivivere le emozioni che solo i grandi personaggi di quegli anni hanno saputo regalare. Quando nasce il gruppo dei Tears of Angeles? «Da poco, nasce a novembre 2017; però ci conosciamo ormai da tempo e stiamo crescendo insieme. Abbiamo tutti tra i 22 e i 25 anni». Stefano da chi è composto il gruppo? «Siamo in sei: Matteo Malchiodi – batteria, Mattia Castelli – voce, Matteo Cardaci – chitarra, Davide Rossi – tastiere, Cristian Cardaci – chitarra e poi io, Stefano Calvi – basso. Oltre ai membri veri e propri della band, ci sono Lorenzo Calvi (il nostro fonico di fiducia) e Veronica Orlandi (la nostra fotografa ufficiale), che ci seguono in tutte le date». Matteo a quale genere musicale vi ispirate? «Principalmente hard rock, con qualche
spruzzo di Heavy Metal. Ci piace definirci un “tributo alle leggende del rock”, nonostante la nostra giovane età. Fondamentalmente, ci ispiriamo ai Guns ‘n’ Roses, ai Kiss, agli ACDC, a Bon Jovi e molti altri». Davide dove vi esibite solitamente? «Attualmente nei vari pub oltrepadani e delle zone limitrofe; in estate alle varie feste locali organizzate dalle varie associazioni». Mattia chi è il vostro pubblico? «Il nostro pubblico varia per età e per gusti musicali, tuttavia ci capita di ricevere complimenti anche da per-sone che preferiscono altri generi musicali. Noi ci ispiriamo tanto a quegli anni e durante i nostri concerti cerchiamo di riproporre situazioni molto simili a quelli che si creavano durante le esibizioni di questi grandi personaggi; chi ci segue lo può confermare. Inoltre, abbiamo una pagina Facebook che teniamo costantemen-te aggiornata, dove è possibile individuare le date delle nostre esibizioni». Stefano i componenti sono tutti originari dell’Oltrepo Pavese? «Direi proprio di si... Santa Giuletta, Bressana Bottarone e Verrua Po; più Ol-
trepo di così!». Siete tutti nati e cresciuti dell’Oltrepo Pavese. Questo territorio offre spunti musicali e occasioni? «Forse un tempo, ma non oggi. Purtroppo è una zona difficile: locali ce ne sono pochi, le abitudini sono cam-biate, i gusti musicali sono diversi e la gente è diversa; inoltre, anche le amministrazioni comunali non sempre sono predisposte a questo genere di attività. Tuttavia, noi non ci arrendiamo». Cristian la vostra musica è una semplice passione o qualcosa di più? «Prima di tutto è una valvola di sfogo, che ci permette di evadere dalla routine quotidiana e pressante. Inoltre, mi sento di dire a nome di tutti che non è una semplice passione; stiamo cercando di creare qualcosa di più. Con il tempo e con il nostro costante impegno, speriamo di essere pronti a proporre la “nostra” musica». Davide come gestite la musica con le vostre vite private e quanto tempo dedicate? «Ognuno di noi ha un rapporto diverso con le ore di esercitazione giornaliera, però settimanalmente abbiamo l’appuntamento fisso in sala prove per cercare di
perfezionare il nostro sound. Tuttavia, abbiamo impegni scolastici e lavorativi, che ci “rallentano”, nonostante ciò cerchiamo di dare sempre il massimo in sala prove, con l’obiettivo di far diventare tutto questo la nostra vita!». In questi due primi anni avete già avuto qualche riconoscimento? «Riconoscimenti veri e propri, ancora no. Tuttavia, l’estate scorsa ci siamo esibiti alla Festa della Birra a Fumo, che ci ha portato alcuni nuovi agganci, e quest’anno speriamo ci siano tante altre occasioni per farci co-noscere e proporre la nostra musica». Stefano con la vostra musica e le vostre esibizioni, puntate a qualcosa in particolare? «In particolare direi di no. Vorremmo semplicemente riportare il vero rock all’orecchio di tutti. Quella si che era musica!». Quali programmi avete per il futuro? «Come abbiamo già detto, l’idea sarebbe quella di far diventare la musica parte principale della nostra vita... e di creare qualcosa di nostro». di Silvia Cipriano
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MUSICA XXXXXXXX
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«Riparto da me stesso: musica nuova con l’anima vintage» Anno nuovo, vita nuova. Anche in musica. E’ così che il cantante e chitarrista vogherese Christian Draghi inaugura il 2019, esordendo da cantautore con il primo disco da solista. Dopo dieci anni e tre dischi con la heavy rock band Doctor Cyclops l’artista oltrepadano scambia i Black Sabbath con i Beatles e dà alla luce un album che mantiene le tinte vintage ma trova spunti più melodici. “Black Roses & Hats”, questo il titolo della nuova opera appena uscita e presentata il 31 gennaio scorso allo Spaziomusica di Pavia, conta dieci brani in lingua inglese frutto di un’esperienza personale travagliata. Draghi come è nata l’idea di questo album e come mai ha scelto di allontanarsi dall’immaginario del metal? «è iniziato tutto alla fine del 2015, quando stavo attraversando una crisi personale piuttosto profonda. Grandi cambiamenti e turbamenti andavano di pari passo. Mi sono ritrovato nella classica condizione in cui ti rendi conto che forse avresti bisogno di uno psicologo. Invece ho preso in mano la chitarra e ho scritto delle canzoni con cui mi sono in pratica psicoanalizzato. Era evidente che lo stile non si adattava alle atmosfere heavy dei Doctor Cyclops, per cui al momento le misi da parte, nel metaforico cassetto». Poi che è successo? «Che nel gennaio del 2016, prima ancora che potessi pensare che fare di questi brani, un cane mi ha morso staccandomi una falange del pollice sinistro. Diciamo che lì ho toccato il fondo del mio periodo nero. Non sapevo più neppure se avrei potuto continuare a suonare, e invece…». Si è ripreso bene, vedo… «Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada un chirurgo della mano eccezionale, il dottor Francesco Negro, che purtroppo è scomparso recentemente in un tragico incidente stradale. Il disco è in sua memoria, senza di lui probabilmente non avrei più suonato per davvero. Invece ci ho messo un bel po’ di mesi ma sono tornato». Il disco quando lo ha registrato e dove? «L’estate scorsa, a Belgioioso, presso gli studi della Ultra Sound Records che lo ha anche pubblicato». Di cosa parla Black Roses & Hats quindi? «Di me, delle mie vicende private, della perdita e di un nuovo inizio. Diciamo che le rose nere del titolo sono una sorta di pietra tombale e dazio pagato per il passato, i cappelli sono (in una mia iconografia del tutto personale) un segno di rinascita». Quali sono i suoi nuovi riferimenti musicali? «In realtà più che nuovi sono vecchi. Ho ripreso dalla musica che ascoltavo quando ho iniziato a suonare le prime note alla
«L’Oltrepò non ha dato soddisfazione a nessun artista, figuriamoci a me!»
Christian Draghi
Esordio da cantautore per il vogherese Christian Draghi: “Black Roses & Hats” in bilico tra rock e atmosfere acustiche chitarra o al pianoforte. Ci sono i Beatles, sia da gruppo che da solisti, David Bowie, i Jethro Tull, un po’ di Clapton, Bob Dylan, del grunge della Seattle primi anni ’90, magari una spruzzatina di Pink Floyd, ma senza esagerare…Quelle cose lì». Il disco è acustico o elettrico? «Un po’ e un po’. L’ho registrato con una full band composta da batteria, basso, organo hammond e chitarra elettrica, alterna momenti più rock ad altri soft e intimistici. E’ un po’ una casa di bambole, ogni canzone ha la sua storia a sé stante». Ha in programma molti concerti? «I prossimi mesi saranno abbastanza pieni, soprattutto febbraio e marzo. Suonerò molto nel nord Italia, tra Lombardia, Piemonte, Emilia e Toscana, con una capatina o due in Liguria». Con i Doctor Cyclops avete girato l’Europa e il suo nuovo disco è in inglese. Pensa di proporlo anche all’estero?
«Naturalmente sì, ma non sarà immediato né semplice. Il genere musicale che suono ora non mi consente “appigli” con la scena precedente. Devo ripartire quasi da zero, trovare un ufficio stampa estero che mi aiuti a proporre il progetto ecc. Sarà un processo più lungo, ma sono ottimista». Da oltrepadano: l’Oltrepò le ha dato soddisfazione? «L’Oltrepò a livello artistico non ne ha data a nessuno che io sappia. Artisti ben più noti e blasonati di me sono comunque ignorati “in patria”, gente che dovremmo portare in palmo di mano chiedendo loro di farci da vetrina. Ma fa nulla, anzi. Finiamola di pensare che “tùt al mond l’è vughera”, vediamo di sprovincializzarci». In Oltrepò, comunque, suonerà? «Ho in programma una presentazione per La Parrocchia del Blues, in calendario per lunedì 11 marzo al Teatro Cagnoni di Godiasco. Per il resto non escludo qualche
capatina acustica in qualche pub o bar, anche se le occasioni “degne” per il cantautorato da queste parti non sono molte». Mancano locali in cui è possibile esprimersi? «Quando parlo di occasioni “degne” mi riferisco a location in cui la gente va perché è interessata ad ascoltare musica che non conosce e non solo le hit radiofoniche del momento o i soliti successi degli anni 7080-90. Non fa nulla di male chi li suona, per carità, il fatto è che manca un po’ di curiosità e voglia di vivere la musica in un’ottica, diciamo, più culturale. Quindi, per rispondere alla domanda dico: i posti esistono, ma sono per lo più piccole realtà da carbonari. La normalità purtroppo, per chi non è un artista “famoso”, è suonare in un locale dove chi dovrebbe ascoltarti in realtà chiacchiera, non avendo (o avendo perduto) capacità di concentrazione o interesse». Di chi è la colpa secondo lei? «è un fenomeno sociale e culturale molto complesso! Viviamo in una società in cui tutto è fast food, express, insta… gramo. La musica ha perso la funzione di catalizzatore sociale: non ci si prende più nemmeno il tempo per ascoltare una canzone dall’inizio alla fine, figuriamoci un intero disco. Allo stesso modo, quando siamo in un locale e qualcuno suona, difficilmente riusciamo a restare attenti per più di pochi minuti…a meno che non abbiamo di fronte Paul McCartney… che pure, sono convinto, dovesse uscire con il primo disco oggi vivrebbe anche lui le sue difficoltà!». Detto ciò sorge una domanda: che senso ha fare un disco oggi per un artista che vuole emergere? «Alla fine ognuno fa quello che gli riesce o che lo fa stare bene, sperando che domani…sarà sempre meglio. E poi diciamolo pure: gli artisti son tutti narcisisti ed egocentrici. Dicono di suonare per il pubblico, ma sotto sotto, prima di tutto, lo fanno per loro stessi!». di Silvia Colombini
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«L’arrampicata è innata nel bambino: prima si inizia, meglio è» La Tana del Geco, con sede in via Tortona 33, è una palestra di Climbing e Bouldering. Nata nel 2008, con la vecchia struttura in Via Ugo Foscolo, è stata ampliata nell’attuale sede, dove è stata inserita l’arrampicata. L’attività è seguita dagli istruttori Paolo (corso adulti) e Elena (corso bambini). Daniela Gheza e Andrea Carpo si occupano della Società a livello amministrativo. Numerose le collaborazioni con le scuole: attualmente è in programma un progetto con l’Istituto Maserati e un evento, finanziato dal Comune di Voghera, che radunerà in palestra la Scuola di Scherma, Rugby e Tiro con L’arco. Gheza, quando è nata la “Tana del Geco” e a che pubblico si rivolge? «Siamo nati come progetto nel 2008, con la vecchia palestra in Via Ugo Foscolo, che però era una palestra solo di boulder. Ci siamo trasferiti nell’attuale sede nel 2018 e abbiamo ampliato l’offerta inserendo anche il climbing. Il pubblico va dai bambini agli adulti». Come si articolano i corsi, a livello di contenuti e frequenza? «Per i corsi di Climbing vi è una parte di teoria in cui vengono spiegate le manovre di sicurezza e una parte di pratica che si svolge direttamente sulla parete, con la conoscenza dei nodi e degli attacchi; ci si allena una volta alla settimana. Per quanto riguarda i bambini, abbiamo un corso di gioco arrampicata, nel quale si im-parano le tecniche dell’arrampicata in modo molto ludico. Partiamo con una prova su parete inclinata, per passare a quella verticale, man mano che l’inclinazione aumenta». Quanto costa praticare questo sport? «Sì, abbiamo una prova gratuita. Prevediamo una quota di iscrizione di 15 Euro, comprensiva di copertura as-sicurativa, di durata annuale. L’ingresso singolo per
l’arrampicata costa 10 Euro; prevediamo anche abbo-namenti con varie formule (10 ingressi, mensile, annuale)». Under 18? Qual è l’età migliore per iniziare? «La cosa positiva è che l’arrampicata è innata nel bambino ed è quindi meno difficile imparare. Prima si inizia, meglio è». Com’è il rapporto che si instaura tra maestro e allievo? «L’istruttore viene visto come un punto di riferimento importante che aiuta a lavorare su te stesso, perché l’arrampicata è una sorta di sfida dei propri limiti». L’arrampicata è uno Sport a prevalenza maschile e femminile? «Purtroppo la frequenza è sopratutto maschile, anche se per esperienza personale ritengo che la donna sia più facilitata alla pratica di questo Sport perché prevede una maggiore tecnica (rispetto all’uomo che possiede più forza)». è necessario possedere dei requisiti di base per praticare l’arrampicata? «Assolutamente no». Qual è l’attrezzatura necessaria per iniziare ad arrampicare? «Le scarpette e gli imbraghi tendiamo a noleggiarli per una prova ponderata dell’attrezzatura». Che differenze ci sono tra il Climbing e il Bouldering? «Il Climbing prevede un’arrampicata con imbrago e corda a un’altezza superiore ai 4 metri, mentre il Boulde-ring prevede la presenza di un materasso e un’altezza inferiore ai 4 metri. A differenza del Climbing, è uno Sport più dinamico». Organizzate gare a livello locale e nazionale? «A livello locale sì. Il 14 Marzo abbiamo una tappa del circuito “La presa in giro” che quest’anno si è ingrandito ulteriormente con la divisione in due gironi: Girone Nord (Voghera, Piacenza) e Girone
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Daniela Gheza e Andrea Carpo, titolari de La Tana del Geco
della Liguria». Sono previste prove pratiche outdoor? «Sì, ma a livello di amicizia, perché a livello professionale serve la presenza di una guida alpina. Arrampichiamo a Finale Ligure, per via delle temperature miti. Prima di formare il gruppo, si valuta sempre il livello di preparazione degli atleti, per scegliere la falesia più adatta». Praticate escursioni in Oltrepò e in che zone? «No, in Oltrepò non pratichiamo escursioni, solitamente ci dedichiamo alla Liguria o alla Valle D’Aosta». Organizzate eventi con altre associazioni e/o istituti scolastici? «Sì, ogni anno proponiamo progetti con le scuole. Attualmente dovrebbe partire un progetto con l’itis Maserati, anche se solitamente inviamo le proposte a tutte le
Scuole della zona». In che rapporti siete con l’amministrazione comunale? «A breve partirà un progetto in collaborazione con la Federazione Arcieri di Voghera, il Rugby e la Scuola di Scherma. Esso avrà come punto di riferimento la nostra palestra». Avete dei partners che vi sostengono? «Come Sponsor, finora abbiamo potuto contare sul Decathlon». Come vede proiettata questa disciplina, a livello locale e nazionale? «Bene, calcolando che nel 2020 l’arrampicata entrerà alle Olimpiadi per la prima volta. Negli ultimi 10 anni, tra l’altro, questo Sport ha avuto un’ascesa incredibile…. Quindi i risultati sono buoni». di Federica Croce
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«Crossfit è un trademark a cui noi paghiamo un’affiliazione e siamo gli unici a Voghera» Paolo Bozzi è il titolare della palestra Crossfit Voghera, con sede in via Cesare Pozzoni, 11. La struttura, che è la prima presente a Voghera, è stata inaugurata nel 2015 e ha avuto un enorme riscontro da parte del pubblico, grazie alla grande popolarità di questo Sport. L’offerta prevede un corso Crossfit kids dedicato ai bambini (non ancora introdotto, perché necessita di un’autorizzazione) e uno dedicato agli adulti, che può essere esteso fino a 3-6 lezioni a settimana. Gli allenatori cercano di studiare le potenzialità del cliente, cercando di adattare l’allenamento alle sue caratteristiche. Un punto di forza risiede nella collaborazione con i nutrizionisti, perché il Crossfit è uno Sport che, tra le tante caratteristiche, aiuta a ripristinare una corretta forma fisica, collegata alla perdita di peso e alla tonificazione a livello muscolare. Bozzi, che disciplina è il Crossfit? «La definizione di Crossfit è “movimento funzionale costantemente variato, eseguito ad alta intensità “. Chi ha studiato Crossfit ha imparato quello che da anni si pratica, creando un metodo fortemente variato all’interno dell’allenamento, con sessioni di Wild: pesistica, ginnastica a corpo libero, corsa, nuoto, etc… Gli allenamenti vengono creati tenendo conto delle regole di alta intensità e variabilità degli esercizi». Siete gli unici a Voghera a proporla? «Per ora sì. Crossfit è un trademark, a cui noi paghiamo un’affiliazione. Purtroppo una delle cose non belle è che molti spacciano un allenamento simile al Crossfit per ufficiale, ma in realtà siamo gli unici in città con la nostra palestra, inaugurata a Settembre 2015». Il Crossfit è apprezzato dagli abituali frequentatori della palestra, e perchè? «Sì. Crossift è un allenamento che negli ultimi anni ha avuto un boom pazzesco a livello mondiale. A livello italiano, il nostro Paese è il terzo in Europa per quantità di palestre dedicate. E’ apprezzato perché è uno Sport che porta grandi risultati ed è questo ciò che appassiona il pubblico. Non è semplicemente una moda». Com’è composto lo Staff abilitato alla disciplina? «Per ora siamo solo due istruttori, che svolgono anche il ruolo di allenatori». Come si articolano i corsi, a livello di contenuti e frequenza? «Abbiamo un corso Crossfit kids dedicato ai bambini (non ancora introdotto, perché necessita di un’autorizzazione) e uno dedicato agli adulti. Le lezioni hanno la durata di un’ora. Sono strutturati con un riscaldamento generale, un riscaldamento specifico, le skills (apprendimento dei movimenti) e i workout (breve riscaldamento). Ci si allena una
«Purtroppo una delle cose non belle è che molti spacciano un allenamento simile al Crossfit per ufficiale» Paolo Bozzi, titolare palestra Crossfit Voghera
volta alla settimana con delle lezioni di Home Rank introduttive, dopodiché si passa a tre-sei volte a settimana». Quanto costa praticare questo sport? «Facciamo prove gratuite, anche della durata di una settimana, in cui si apprendono i rudimenti del Crossfit. Dopodiché, il costo varia a seconda dei corsi e alla presenza del Personal Trainer. Ci aggiriamo sui 90 Euro mensili». Ci sono dei requisiti di base necessari alla pratica di questa disciplina? «No, anche se cerchiamo di studiare le potenzialità del cliente, cercando di adattare
l’allenamento alle sue caratteristiche». Quali sono i vantaggi che si ottengono a livello fisico e psicologico? «Collaboriamo con i nutrizionisti perché il Crossfit è uno Sport che, tra le tante caratteristiche, aiuta a ripristinare una corretta forma fisica, collegata alla perdita di peso e alla tonificazione a livello muscolare. La cosa più importante è il benessere fisico che si ottiene nella pratica di questa disciplina, che ti permette di affrontare la vita di tutti i giorni diversamente». Il Crossfit è uno Sport a prevalenza maschile e femminile?
Il gruppo di Crossfit vogherese
«Possiamo dire che è un 50% per entrambi i sessi». Organizzate eventi? «Sì, per ora abbiamo collaborato con Decathlon». Com’è il rapporto con gli istituti scolastici vogheresi? «Purtroppo non è presente; finora abbiamo provato a contattare la Facoltà di Scienze Motorie, ma non abbiamo ancora avuto la possibilità di collaborare insieme». di Federica Croce
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Broni - 1976: nasceva il Team Ova Corse, con direttore sportivo Romano Gandini
Punto assistenza in gara Ova Corse. Un 2018 vissuto e chiuso in modo scoppiettante con doppia vittoria al Rally 4 Regioni grazie a Matteo Musti nell’Internazionale e Alessandro Ghezzi nel Nazionale, fino al finale di stagione in cui Matteo si é imposto sia al Vedovati che al Master Show di Monza (le cui imprese leggeremo negli articoli che seguono), ha portato il piccolo team vogherese Ova Corse a muoversi e battersi alla pari con i più blasonati team del lotto, grazie ad un lavoro minuzioso da cui emergono passione e dedizione. Ma cos’é l’Ova Corse? I meno giovani lo ricorderanno come team già attivo più di 40 anni fa, quando Filippo Musti, prima con la Fian 131 Abarth (nel 1983) e poi, la Lancia Rally 037 (nel 1985 e 1987), mise a segno una splendida tripletta al Rally Colline dell’Oltrepo. Per i più giovani invece, diciamo che il Team Ova Corse prende vita nel 1976 per iniziativa di un gruppo di sportivi di Broni appassionati di rally, a cui faceva capo Romano Gandini, proprietario della Ova Alimentari. Da qui il nome Ova, che era oltretutto lo sponsor principale del team stesso. Gandini ne era il direttore sportivo, ne organizzava quindi le assistenze mettendo a disposizione i propri colorati furgoni aziendali. Ova Corse rimase attivo
fino al 1987, anno in cui furono proibiti i gruppi B. Tra i piloti di punta ha annoverato il già citato Filippo Musti; Alessandro Ghezzi e Vecchietti. Dopo una pausa di quasi 25 anni, il nome “Ova” viene rispolverato dai Musti e il Team rinasce nel 2011 a Voghera, nella cornice dell’Oltrepo Pavese, arcinota terra di vini e di corse automobilistiche, culla di numerosi piloti, entrando nel mondo dei rally storici con una Porsche 911 SC. A condurla é Matteo Musti. Il giovane vogherese mette assieme un buon numero di risultati positivi e addirittura un titolo tricolore. Da tre anni a questa parte, la Ova Corse, ha allestito, presso la sede di Voghera, un reparto specializzato in preparazioni e gestioni di automobili Porsche 911 in configurazione rally, grazie alle quali può vantare oggi già numerosi successi nel Campionato Italiano. Tra le altre attività, la Ova Corse si occupa anche della gestione di programmi sportivi di piloti. Gli ottimi risultati ottenuti hanno incentivato il Team ad un impegno ancora maggiore per raggiungere traguardi sempre più ambiziosi, avvalendosi dei migliori piloti della zona. Inoltre, è stato favorito lo sviluppo di nuove attività che orbitano attorno al mondo dei rally. General manager del team é oggi
Filippo Musti, il quale, con i tecnici che collaborano con la struttura, si occupa dello sviluppo delle vetture, oltre a seguire direttamente sui campi di gara le tre Porsche della squadra. L’ultima nata in casa Ova Corse, identica alle altre due, ad esempio, è la Porsche 911 che Alessandro Ghezzi e Agostino Benenti hanno portato al successo al Rally 4 Regioni storico 2018. Una gara che entrerà negli annali del team, perché nello stesso giorno, i figli di Filippo Musti: Matteo e Claudia, sempre con una Porsche 911 del team, si sono aggiudicati la vittoria nel Rally 4 Regioni International Historic. «Sono molto soddisfatto del lavoro profuso e dei risultati fin qui ottenuti – ha affermato Filippo Musi - Posso garantire che portare le nostre macchine al livello delle migliori in soli tre anni, è stato veramente molto impegnativo... anche perché, affermati preparatori come Pentacar, Guagliardo e altri ancora non sono mai fermi e devono continuare a evolversi e sviluppare per tener testa alle 037, alle Delta e agli altri Gruppi B che sono entrate ultimamente nei rally storici». Pilota principale del team fino ad oggi é stato Matteo Musti che con i colori della Ova Corse, ha messo in bacheca ben 10 vittorie assolute, 8 secondi posti, 8 terzi
Filippo Musti posti, 3 quarti posti e 2 quinti posti. Dal 2016 é entrato a far parte del team, Beniamino Lo Presti (per lui, una vittoria assoluta e cinque secondi posti). Dal 2018, nel gruppo c’é anche Alessandro Ghezzi che, come detto, ha vinto il 4 Regioni Storico e ha incamerato 2 quarti posti in altre gare. Un secondo posto lo ha messo a segno lo stesso Filippo Musti. Ciliegina sulla torta di Ova Corse, il Campionato Italiano Rally Storici vinto da Matteo Musti nel 2013. Ora, a Voghera si lavora, la nuova stagione é appena ripartita e a breve vedremo scendere in campo le Porsche “Ova” a caccia di nuovi traguardi. di Piero Ventura
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Master Show, Voghera ha preso la sua rivincita e con Musti, Fraschetta e Ova corse Chiusura di stagione spumeggiante per il vogherese Matteo Musti all’autodromo di Monza, in cui nello spazio di 15 giorni ha ottenuto due vittorie ed un secondo posto. Senza cadere in giudizi a dismisura, si può tranquillamente definire un fatto storico quello compiuto da Matteo Musti in questo finale di stagione in cui, assecondato sulla Porsche dal concittadino Fabio Fraschetta, in tre competizioni ha ottenuto due vittorie ed un secondo posto assoluto che gli sono valsi anche ben tre vittorie di Raggruppamento e altrettante di Classe. Tutto inizia a fine novembre quando, Matteo Musti e Fabio Fraschetta si sono largamente imposti nella gara riservata alle vetture storiche nell’ambito dello Special Rally Circuit Vedovati Corse disputatosi all’Autodromo di Monza, gara che tradizionalmente anticipa il popolarissimo “Monza Rally Show”. I vogheresi, con la loro Porsche 911 by Ova corse, hanno preceduto di ben 1’54”4 la Porsche 911 di Matteo Cairoli e Maurizio Vitali. Terza piazza per un’altra Porsche 911, quella di Franco Vasino e Maurizio Cerutti, che hanno concluso lontano a 3’01”4 dai primi classificati. Ritiro invece per un problema al cambio nella terza prova per Beniamino Lo Presti e il vicepresidente di Regione Lombardia Fabrizio Sala, fino a quel momento terzi in graduatoria. Al successivo Monza rally show Historic di dicembre, Matteo Musti e Fabio Fraschetta, sempre con la splendida Porsche 911 dei primi anni ‘80, messa a disposizione della vogherese Ova Corse, sono stati autori di una performance di altissimo livello, bravi a mettersi alle spalle piloti del calibro di “Lucky”, Caffi, Tony Fassina, Brusori, Noberasco, Bianchini ecc. I vogheresi, portacolori della Scuderia Piloti Oltrepo, hanno dovuto arrendersi solamente alla supremazia della più recente Subaru Legacy condotta dal campione palermitano Totò Riolo. Non dimentichiamo che la Legacy debuttò nel WRC nel 1990 guidata da Markku Alèn. Nel 1991 arrivò il campione britannico di rally Colin McRae e nel 1993 ci fu la prima vittoria del Team Subaru nel WRC dopo 23 gare, al rally di Nuova Zelanda con McRae. Venendo alla cronaca; la gara si apre con un guizzo di Riolo-Rappa che segnano lo cratch già nel primo crono, ma sul 2° lasciano qualcosa all’ex F.1 Caffi che chiude al comando la prima giornata di gara, la quale propone la seguente top ten: 1.Riolo,S. - Rappa,G. (Subaru Legacy Sedan) In 1’19.3; 2.Caffi,A. - Superti,M. (Porsche 911) a 0.3; 3° Musti,M. - Fraschetta,F. (Porsche 911) a 3.6; 4.Bianchini,M. - Darderi,D. (Lancia Rally 037) a 3.9; 5.Brusori,S. - Tridici,S. (Porsche 911) a 4.6; 6.”Lucky” - Pons,F. (Lancia Delta 16v) a 5.2; 7.Rizzuto,G. Rizzuto,F. (Porsche 911) a 5.3; 8.Rossi,M.
Matteo Musti e Fabio Fraschetta - Genovese,G. (Porsche Carrera) a 6.1; 9.Fassina,T. - Farina,S. (Lancia Stratos) A 6.8; 10.Visintainer,M. - “Fiore” (Bmw M3) a 7.0, mentre gli altri due equipaggi in gara con i colori della Scuderia piloti Oltrepo, si trovano il undicesima posizione Ghezzi-Benenti (Porsche 911 – Ova Corse) e in quindicesima Lo Presti-Sala (Porsche 911 – Ova Corse). Nella seconda giornata, Riolo-Rappa imprimono il proprio ritmo alla gara grazie alla perfetta intesa con la vettura giapponese che si è potuta esprimere al massimo delle potenzialità per via della trazione integrale, soprattutto nelle prove più guidate e su un fondo molto impegnativo. Rimontano decisamente dalla terza prova, andando a vincere tre delle quattro speciali in programma e allungare in testa alla competizione. Musti mette in pista tutto ciò che ha e agguanta la seconda posizione assoluta alle spalle dell’imprendibile binomio: Riolo-Subaru. Il vogherese, ex campione Italiano Rally Auto Storiche, pur non perdendo d’occhio la vetta della gara (per dirla in boscoviana maniera: “la corsa termina sotto la bandiera a scacchi”) intelligentemente bada a rispondere colpo su colpo agli attacchi al secondo gradino del podio portati dai suoi accreditati avversari. Si va così a dormire con la seguente situazione: 1.Riolo,S. - Rappa,G. (Subaru Legacy Sedan) in 41’12.3; 2.Musti,M.-Fraschetta,F. (Porsche 911) a 40.8; 3.Bianchini,M. - Darderi,D. (Lancia Rally 037) a 47.4; 4.”lucky” - Pons,F. (Lancia Delta 16v) a 1’07.0; 5.Rizzuto,G. - Rizzuto,F. (Porsche 911) a 2’07.0. Lo Presti-Sala (Porsche 911), si esibiscono in un’ottima rimonta che li porta in decima posizione assoluta,
12° posto per l’Equipaggio Ghezzi - Benenti davanti ai compagni di squadra GhezziBenenti con non poche difficoltà. Nulla cambia nell’ultima giornata di gara in cui Riolo é sempre più solo al comando e Musti, sempre più bravo a rispondere agli attacchi della Lancia 037 di Banchini e difendere un prestigioso secondo posto assoluto. Lo Presti si conferma 10°, mentre Ghezzi é costretto a cedere un’altra posizione e chiudere al 12° posto. Top ten finale:1.Riolo,S. - Rappa,G. (Subaru Legacy Sedan) In 1:04’27.7; 2.Musti,M. - Fraschetta,F. (Porsche 911) a 49.0; 3.Bianchini,M. - Darderi,D. (Lancia Rally 037) a 52.3; 4.Noberasco,G. - Noberasco,N. (Bmw M3) a 4’14.0; 5.Visintainer,M. - “Fiore” (Bmw M3) a 4’14.6; 6.Brusori,S. - Tridici,S. (Porsche 911) A 4’34.1; 7.Zanin,M. - Stoppa,S. (Bmw M3) a 5’00.2; 8.”Lucky” - Pons,F. (Lancia Delta 16v) a 5’05.7; 9.Rizzuto,G. - Rizzuto,F. (Porsche 911) a 5’20.2; 10.Lo
Presti,B. - Sala,F. (Porsche 911) a 6’22.8. Ma come si suole dire: “non finisce qui!”. Gli appassionati sanno, che il momento più emozionante e spettacolare della kermesse monzese é il “Master Show, che si disputa sul rettifilo principale dell’impianto brianzolo dinnanzi alle tribune gremitissime. Ebbene, qui, nella prova più seguita da pubblico e TV, Voghera ha preso la sua rivincita e con Musti, Fraschetta e Ova corse, ha occupato il gradino più alto del podio assoluto. Matteo Musti e Fabio Fraschetta mettendo a segno uno straordinario 3’12”55 hanno gelato la concorrenza andando a vincere l’ambito trofeo sotto gli occhi di migliaia di appassionati spettatori. Miglior modo per chiudere la stagione 2018 certo non c’era. di Piero Ventura
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Lo stradellino “Burga” ci ha preso gusto Dal 2002, per 16 stagioni consecutive, lo stradellino Paolo Burgazzoli é stato seduto sul sedile di destra di vari piloti, da Alessandro Caprio a Alessio Albertini, da Ivan Bertelli a Jacopo Bonecchi, da Michele Oliviero a Pietro Paolo Bellone fino a Simone Scarani con la Fiat 600 sporting, mentre dal 2005 in poi, é stato fedelmente al fianco di Nicola Trovato alternandosi sull’Opel Corsa nei rally moderni e sulla Fiat 124 Abarth Gruppo 4 negli storici. Poi, nel 2018, l’azzardo o forse é meglio dire: il colpo di fulmine. In occasione del Rally Valleversa, prova a cambiare sedile per capire quali emozioni si vivono guidare in un rally in cui può pensare soprattutto al divertimento senza prendersi eccessivamente cura dei tempi. Sale su di una Peugeot 106 N2 con al fianco la stupenda compagna Giorgia Pertosa, al debutto assoluto in campo rallystico (vanta solamente saltuarie esperienze nella regolarità classica al fianco del padre su di una Lancia Fulvia) e parte per questa nuova avventura rallystica vissuta da un’angolazione differente rispetto alle precedenti e portata egregiamente a termine. E’ stata un’esperienza che lo ha contaminato ed ora, a quanto pare, a fare il pilota ci ha preso gusto, e sembra non più intenzionato a tornare sul sedile di destra, ma proseguire sulla strada intrapresa. «Ho deciso di continuare anche quest’anno ad impugnare il volante – dice Burgazzoli – e ho in serbo una piccola novità; lascio quello della Peugeot N2 a favore del volante di una Citroen C2 che stiamo allestendo. Non ho ancora ben definito i programmi. Sicuramente sarò al via al Rally 4 Regioni, mentre un’altra presenza sicura
Giorgia Pertosa e Paolo Burgazzoli
nel mio calendario agonistico sarà il Rally di Como. Le altre partecipazioni le valuterò di volta in volta. L’obiettivo invece rimane immutato, ovvero: divertirsi sempre e disputare le gare che più mi appassionano. Anche la “naviga” non si cambia nel modo più assoluto, rimane sempre la mia compagna Giorgia che, nonostante fosse al debutto, si è mostrata perfetta nel suo ruolo e mi ha aiutato in modo fondamentale in certe situazioni un poco problematiche che si sono presentate in gara!». Dovendole dare un voto, quanto le darebbe?
«Voto: 10 e lode! Molto meglio di me alle note». C’è stato un momento, diciamo, un po’ toccante nel suo debutto lo scorso anno in veste di pilota? «Il momento più emozionante dell’anno scorso é stato l’arrivo all’ultima ps al Valle Versa, una gioia liberatoria, uguale uguale a quella provata 18 anni fa quando finii la prima gara al debutto da “naviga”». Quindi, da quanto si evince, ha chiuso come navigatore? «Non del tutto. Tornerei a navigare, ma solo con il mio pilota Nicola Trovato che
con la sua splendida Fiat 124 Abarth abbiamo ancora tanto da divertici». Nella sua attività agonistica, Paolo Burgazzoli ha ottenuto 2 vittorie assolute (Giarolo Storico 2012 e Monferrato Storico 2013) oltre a numerose vittorie di classe sia nei rally moderni che il quelli storici. Per lui, il 2019, sarà un’annata sportiva tutta da vivere in cui, senz’altro andrà alla ricerca di ciò che per lui rimane l’obbiettivo primario: il divertimento, condito magari con qualche buon risultato. di Piero Ventura
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Tra conferme e novità prende il via la stagione n° 9 targata Scuderia Piloti Oltrepò Con il rituale convivio di inizio stagione, la numero 9 della sua storia, la Scuderia Piloti Oltrepò (S.P.O.) ha chiamato a raduno i suoi adepti presso l’Agriturismo Corte Montini di Santa Giuletta. Come sempre, il compito di fare gli onori di casa é stato assolto dal “presidentissimo” Giuseppe Fiori, tra l’altro anche buon conduttore della serata. Nonostante il male di stagione (“l’influenza”), abbia costretto una ventina di invitati, come si suole dire: a “marcare visita”, le adesioni sono state comunque massicce con oltre 70 presenze, tutti curiosi di conoscere le novità che caratterizzeranno la stagione sportiva appena iniziata. Quella da poco conclusa invece, senza mancare di rispetto alle altre sette che l’hanno preceduta, é forse stata per la scuderia Piloti Oltrepo la stagione sportiva più ricca di soddisfazioni, che vanno oltre i risultati ottenuti sui campi di gara dai suoi piloti, soddisfazioni che sono andate a premiare in particolare modo l’incoscienza, la caparbietà e la bravura, di un “manipolo” di uomini (per dirla un po’ retrò) che hanno creduto nell’entusiasmo di un infaticabile sognatore, un inventore di progetti, un creatore di strategie, capace di contagiare gli altri con i suoi sogni, Giuseppe Fiori. Non è cieco, non è incosciente (forse solo un poco). Sa che ci sono difficoltà, ostacoli talvolta insolubili. Sa che su dieci iniziative nove falliscono. Ma non si abbatte. La sua mente è fertile. è un creatore di possibilità. E la possibilità se l’é costruita, riportando Stradella nuovamente al centro
Il presidente S.P.O., Giuseppe Fiori e il presidente Aci Pavia, Marino Scabini. del rallysmo pavese, imbastendo, con il supporto di Aci Pavia, il Rally Valleversa, portato poi a termine con un ricamo di virtuosismo gratificato da un grande successo. La serata si é aperta con la consegna di alcuni riconoscimenti agli ospiti, stampa e rappresentanti di team amici. Poi é stata la volta del presidente Aci Pavia, Marino Scabini a intervenire, il quale ha svelato interessanti anticipazioni sul Rally 4 Regioni Storico 2019 in programma i prossimi 5 e
6 luglio, con una logistica completamente rinnovata. è a questo punto che nell’ambito dell’evento promosso dall’Autoclub provinciale, entra in scena la Scuderia Piloti Oltrepò che in abbinamento con il Rally Storico propone il Rally 4 Regioni Trofeo Valleversa, rally Nazionale per vetture moderne che corre sulle stesse strade dello storico e in sostanza va a sostituire il Valleversa del 2018 disputato in versione Rally Day.
Due rally ben distinti racchiusi in un unico evento quindi, entrambi capaci di catalizzare l’interesse di tutti gli appassionati di questo sport in un fine settimana inedito per il nostro territorio. Molto probabilmente, SPO sarà poi nuovamente impegnata in una collaborazione con Beniamino Lo Presti, presidente e ideatore del Milano Rally Show, nel proporre la terza edizione dell’appuntamento meneghino in programma i prossimi 15 e 16 giugno che si preannuncia ricco di spettacolo, sorprese ed eventi collaterali che entusiasmeranno pubblico e appassionati. Tra le novità dell’edizione 2019 c’é il luogo di partenza che sarà Piazza della Scala. Le location che ospiteranno le prove speciali, oltre alla riconfermata Pista di Arese, saranno lo stadio di Meazza di San Siro, che fungerà anche da quartier generale, parco assistenza e luogo di svolgimento di tutta una serie di eventi collaterali, e l’Autodromo di Monza. La serata é poi proseguita con la consegna di alcuni riconoscimenti a piloti e navigatori che si sono distinti nel corso della stagione agonistica 2018, tra cui: Matteo Musti, Alessandro Ghezzi, Massimo Brega, Beniamino Lo Presti, Claudio Covini, Francesco Fiori, Claudio Persani, Mauro Pastorelli, Giorgio Verri, Agostino Benenti, Claudio Biglieri, Morena Cocco, Ferruccio Demacceis, Claudia Musti, Matteo Nobili, Lorenzo Paganin, Cristina Pastorelli, Marco Verri e molti altri ancora.
Rally in pista: con il Motors Rally Show Pavia si alza il sipario Con il Motors Rally Show Pavia giunto alla quarta edizione, il prossimo 2 marzo si alzerà il sipario sulla stagione motoristica 2019 quando a scendere in pista saranno le auto da rally impegnate in due sessioni e 6 Prove Speciali. Un appuntamento, quello che si svolgerà nel weekend del 2 e 3 Marzo 2019, organizzato dall’ACI Pavia e dal Motodromo di Castelletto di Branduzzo in cui alla base ci saranno velocità e spettacolo. PROGRAMMA DEL 4° MOTORS RALLY SHOW PAVIA 2 – 3 Marzo 2019 Iscrizioni Apertura: Piazza Foro Boario, 33 – Santa Maria della Versa (PV) dal 26 Gennaio 2019 Ore 8.00 Chiusura: Piazza Foro Boario, 33 – Santa Maria della Versa (PV) il 25 Febbraio 2019 Ore 18.00. Verifiche Sportive Ante Gara C/O Castelletto Circuit (Direzione Gara) Strada Vicinale della Scevola, 1 – Castelletto di Bran-
duzzo (PV) 02 Marzo 2019 Ore 8.00-10.30 Verifiche Tecniche Ante Gara C/O Castelletto Circuit (Direzione Gara) Strada Vicinale della Scevola, 1 – Castelletto di Branduzzo (PV) 02 Marzo 2019 Ore 8.30-11.00 Briefing (Obbligatorio per entrambi i conduttori) C/O Castelletto Circuit Strada Vicinale della Scevola, 1 – Castelletto di Branduzzo (PV) 02 Marzo 2019 Ore 11.15 Ricognizioni con Vetture di Serie C/O Castelletto Circuit Vedere RPG per modalità di svolgimento 02 Marzo 2019 Ore 11.3013.30 Shakedown (Con Vetture in assetto da gara) C/O Castelletto Circuit Vedere 02 Marzo 2019 Ore 14.00-17.00 Partenza 02 Marzo 2019 Ore 18.30. Arrivo e Premiazione 03 Marzo 2019 Ore 15.49. di Piero Ventura
Nella foto di repertorio Alberto Canzian in azione
di Piero Ventura
MOTORI
il Periodico News
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La Efferre Motorsport di Romagnese premia i suoi Campioni Presso il ristorante Penice di Casa Matti, si sono svolte le premiazioni del campionato sociale indetto dalla scuderia EfferreMotorsport di Romagnese. Erano un centinaio le persone presenti tra equipaggi, rappresentati di scuderie e appassionati locali per una serata all’insegna dell’allegria, dei ricordi corsaioli del 2018 e dei buoni propositi per affrontare un 2019 rallystico. Presentatori della serata I due presidenti della scuderia EfferreMotorsport, il fondatore Flavio Rosato e l’attuale presidente Riccardo Filippini, abile anche a leggere le note. Mattatore della serata tra I piloti della categoria moderne, il genovese Davide Melioli, vincitore sociale 2018 che ha preceduto Pier Sangermani e Alberto Biggi, tra I navigatori vince Mattia Domenichella che precede proprio il Presidente Riccardo Filippini e Ruggero Tedeschi. Dalla scorsa stagione il team oltrepadano ha una nutrita schiera di piloti impegnati anche nel settore “Rally storici”, il vincitore tra I piloti di questa categoria è Antonio Madama che ha preceduto Andrea “Tigo” Salviotti e il giovanissimo Luca Albera, tra I coequipier vince il locale Nicola Crevani davanti a Giorgio Invernizzi e Ivan Lovagnini. Il presidente sottolinea la crescita del team e la fortuna di aver la possibilità di premiare anche la categoria femminile. Tra I conduttori vince Sara Farinella che occupa anche la terza piazza tra I navigatori, dove a vincere e Carmen Razza davanti a Susy Ghisoni e Nancy Bondì, appaiate a pari merito. Riconoscimenti anche per Aci Pavia, il
Alcuni dei piloti premiati
presidente Marino Scabini tra I presenti, per il lavoro svolto in tema rallystico in provincia dove sta rinascendo il settore Rally, la Scuderia Piloti Oltrepò, presente il presidente Giuseppe Fiori, che lavoreranno insieme ad Aci per organizzare il nuovo Rally 4 Regioni in versione storica e moderna, e poi ancora la Road Runner,
presente il forte pilota Giacomo Scattolon che ha svelato qualche news sulla stagione che andrà ad affrontare, assente invece per il maltempo e la piemontese Pro Rally. Il team non smette di crescere e per la stagione 2019 ha già annoverato altre presenze tra le sue fila. Ad inoltire la categoria piloti arrivano Stefano Sangermani di Pa-
via e Fabio Azzaretti di Valverde, mentre tra I copiloti giungono Claudia Spagnolo e Fabio Vasta. Intanto ci si prepara al debutto agonistico 2019, saltata la gara sul circuito di San Martino in Lago (CR), saranno Melioli-Morando e Ippolito-Pastorelli ad aprire le danze alla Ronde Val Merula. di Marco Bonini