Il Periodico News - APRILE 2020 N°153

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Oltrepò del vino & Coronavirus.... Cura e vaccino si cercano da vent’anni...

Anno 14 - N° 153 APRILE 2020

20.000 copie in Oltrepò Pavese

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

Coronavirus

Potrebbe essere un’opportunità per ripopolare i piccoli comuni dell’Oltrepò

VOGHERA

varzi CASTEGGIO «A bilancio 600mila euro in opere pubbliche» L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova i comuni di tutta Italia. Abbiamo scelto di fare qualche domanda a Lorenzo Vigo, sindaco di...

CODEVILLA Movimento Turismo del Vino, «Cercare di non sparire e coltivare i contatti» Caterina Brazzola è la titolare, insieme alla sorella Giovanna, dell’azienda Montelio di Codevilla. Una cantina fra le più storiche dell’Oltrepò...

godiasco salice terme «In ferie a Salice Terme per colpa del Covid-19»

L’Oltrepò agricolo non si arrende al Covid

val Di nizza «Fare il pane in casa non è difficile, servono passione, precisione e volontà» La quarantena forzata dovuta all’emergenza sanitaria cambia il carrello della spesa e i consumi degli italiani. Secondo gli ultimi dati, i prodotti...

colli verdi

Fabrizio Guerra, vive con la sua famiglia, nel comune di Colli Verdi. Saldatore da una vita, si è fatto le ossa nel campo della raccorderia...

esperienze precedenti…

news

«L’industria in Oltrepò è solida, non vedo pericoli per l’occupazione»

Partito i primi di Marzo scorso alla volta di Hollywood, alla ricerca di ulteriore esperienza, si è visto costretto “ad una ritirata” causa emergenza sanitaria...

Saldatore in Cina: «Appena atterato mi misurarono la temperatura, era solo il 2009...»

Anche in Oltrepò Pavese il coronavirus ha “picchiato secco” colpendo, oltre che la sfera degli affetti, causando malattie e lutti, l’economia, un’economia quella dell’Oltrepò già per molti versi affetta da “coronavirus”. Ora, in un modo o nell’altro sarà necessario ripartire e, dato per assodato che il Covid è stato un duro colpo, è altrettanto assodato che il mondo non si ferma. Stanno arrivando, hanno promesso, arriveranno… comunque dei soldi dalla Regione e dallo Stato centrale. Quando e quanti ne arriveranno certamente è difficile dirlo e soprattutto non bisogna dare credito, per amare

il Periodico

«Ai maturandi mancherà un pezzo dell’esperienza delle superiori» Daniela Lazzaroni, dirigente del Liceo Galileo Galilei (e sez. Grattoni) di Voghera commenta il modo in cui si stanno preparano all’esame di Stato 2020...

«L’ospedale di Varzi sta facendo un lavoro straordinario»

Editore


Oltrepò del vino & Coronavirus.... Cura e vaccino si cercano da vent’anni...

Anno 14 - N° 153 APRILE 2020

20.000 copie in Oltrepò Pavese

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

Coronavirus

STRADELLA

Potrebbe essere un’opportunità per ripopolare i piccoli comuni dell’Oltrepò

BRONI Fondo di sostegno alle imprese, «30mila euro, con riserva di incremento»

Sostenere le realtà economiche cittadine, è questo l’obbiettivo del “fondo di aiuto alle imprese”, istituito dal Comune di Broni.

varzi MEZZANINO Ponte Della Becca, «Preferirei la soluzione a monte...» È una delle opere più attese dell’ultimo decennio in tutta la provincia di Pavia, sulla quale la politica ha “speso” promesse più o meno mantenute...

colli verdi Saldatore in Cina: «Appena atterato mi misurarono la temperatura, era solo il 2009...»

L’Oltrepò agricolo non si arrende al Covid

Anche in Oltrepò Pavese il coronavirus ha “picchiato secco” colpendo, oltre che la sfera degli affetti, causando malattie e lutti, l’economia, un’economia quella dell’Oltrepò già per molti versi affetta da “coronavirus”. Ora, in un modo o nell’altro sarà necessario ripartire e, dato per assodato che il Covid è stato un duro colpo, è altrettanto assodato che il mondo non si ferma. Stanno arrivando, hanno promesso, arriveranno… comunque dei soldi dalla Regione e dallo Stato centrale. Quando e quanti ne arriveranno certamente è difficile dirlo e soprattutto non bisogna dare credito, per amare

esperienze precedenti…

Fabrizio Guerra, vive con la sua famiglia, nel comune di Colli Verdi. Saldatore da una vita, si è fatto le ossa nel campo della raccorderia...

castana «L’ansia più grande è la paura che non si torni mai più alla vita di prima» La situazione di emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19 mette a dura prova anche la salute psicologica. Le preoccupazioni e l’incertezza...

I PICCOLI PRODUTTORI

il Periodico

Don Orezzi: «Questo tempo, se utilizzato bene può essere prezioso» “L’oratorio è chiuso, come tutti gli oratori, da quando è partita l’emergenza coronavirus. Siamo anche molto incerti sul futuro… a giugno solitamente...

«Qui la vita si svolge lenta e senza pretese, sarebbe bello tornarci a vivere»

«Sicuramente un abbassamento delle rese produttive sarebbe ottimo, ma questo indipendentemente dal virus…»

Alice Rosati, giovane fotografa di moda, ha lavorato per Grazia e Madame Figaro, attulamente collabora con varie edizioni internazionali di Vogue...

Le aziende vitivinicole, sebbene con alcune limitazioni per quanto riguarda la vendita diretta e le attività agrituristiche, hanno avuto la fortuna di essere autorizzate a poter proseguire il proprio lavoro, mantenendo la possibilità di poter consegnare i propri prodotti a domicilio. Ma non è tutto oro ciò che luccica…

SANTA MARIA DELLA VERSA

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Editore



LA TRIPPA

il Periodico News

APRILE 2020

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Il “Coronavirus” potrebbe essere un’opportunità per ripopolare i piccoli comuni dell’Oltrepò Anche in Oltrepò Pavese il coronavirus ha “picchiato secco” colpendo, oltre che la sfera degli affetti, causando malattie e lutti, l’economia, un’economia quella dell’Oltrepò già per molti versi affetta da “coronavirus”. Ora, in un modo o nell’altro sarà necessario ripartire e, dato per assodato che il Covid è stato un duro colpo, è altrettanto assodato che il mondo non si ferma. Stanno arrivando, hanno promesso, arriveranno… comunque dei soldi dalla Regione e dallo Stato centrale. Quando e quanti ne arriveranno certamente è difficile dirlo e soprattutto non bisogna dare credito, per amare esperienze precedenti… agli annunci dei vari politici locali che si attribuiscono spesso la paternità di qualunque denaro pubblico arrivi in Oltrepò. Pochi o tanti che siano, arriveranno in tutta Italia e quindi anche in Oltrepò… per forza perché diversamente si rischia una mezza catastrofe economica ma, ed il passato dovrebbe aver insegnato… dovrebbe…, non rischiamo di commettere sempre lo stesso errore: “abusare” di questi soldi spendendoli in modo sciagurato e fine a se stesso. Perché il punto è proprio questo, questi soldi non andrebbero spesi, ma investiti per creare opportunità. Quale potrebbe essere un’opportunità, concreta e possibile, per il nostro Oltrepò? Una buona fetta dell’Oltrepò soffre di spopolamento, soprattutto l’Oltrepò collinare e montano, uno spopolamento che lo inaridisce sia dal punto di vista sociale che economico. Qualche amministrazione comunale negli anni scorsi ha provato ad invertire la tendenza, offrendo facilitazioni, anche se non di grande portata, a chi si fosse trasferito nel proprio comune, facilitazioni che normalmente consistevano in: taglio o abbassamento delle tasse comunali e/o taglio o abbassamento degli oneri edilizi. L’intento generale era comunque quello di portare nel proprio territorio giovani o nuclei familiari con figli, che, oltre a vivere nel comune, iniziassero a lavorare direttamente o indirettamente nel comune stesso. I risultati sono stati modestissimi, al limite dello zero. L’errore di fondo, a mio giudizio, è stato quello di voler “parlare” ai giovani con la speranza che questi, con la valigia in mano, venissero a vivere ed a lavorare in Oltrepò. Questa esperienza, che ha ottenuto numeri bassissimi, ha insegnato che non sono i giovani i possibili e papabili “candidati” a diventare i nuovi residenti dell’Oltrepò… Pertando la mia domanda è: paradossalmente questo virus, che ci ha messo in ginocchio, potrebbe trasformarsi in un’opportunità per ripopolare i nostri comuni? Io penso di sì, potrebbe, non solo in Italia ma anche in Francia e Spagna dove c’è stata da parte di molti, al momento della pandemia, una vera e propria fuga dalla grande città. In Oltrepò questo non è avvenuto in modo significativo, non ci sono state molte famiglie oltrepadane trapiantate nei centri

urbani o nelle metropoli che sono tornate al paese d’origine. Mi metto però nei panni di una qualsiasi persona originaria di uno dei nostri paesi che ad esempio vive a Milano per lavoro e ora, raggiunta l’età della pensione, si trova oramai da diverse settimane chiusa in un appartamento con un balcone di 10 metri quadrati… a esser fortunati... Forse questo pensionato in queste settimane di clausura avrà pensato con nostalgia alla sua casa in collina dove è nato ed ha anche accarezzato l’idea che forse sarebbe stato meglio passare la quarantena lì piuttosto che in un condominio a Milano, con tutti gli annessi e connessi. Tante sono le seconde case in molti comuni dell’Oltrepò, abitate per pochi giorni o poche settimane nel periodo estivo da oltrepadani d’origine, emigrati per lavoro in città, e molti di questi oramai sono in pensione e rimangono in città, o perché sono abituati a quella vita o perché lì, hanno figli e nipoti… In questo momento però il “nostro” pensionato oltrepdano trapiantato a Milano, potrebbe aver rivalutato l’idea di ritornare in Oltrepò…Ecco il punto: cercare di far ritornare in Oltrepò i pensionati. Penso siano loro gli interlocutori possibili da convincere e non i giovani, certamente non con l’intento di trasformare l’Oltrepò in una grande casa di riposo, ma con l’intento di convincere il maggior numero di persone, anche in età avanzata, a ripopolare i nostri comuni. Può essere che, arrivando i nonni ad abitare qui, i figli possano x o x+y volte al mese venire a trovarli ed i nipoti poi, magari nei periodi di sosta scolastica, potrebbero rimanere in vacanza dai nonni. Queste persone, oltre ad incrementare in termini numerici il tessuto sociale, incrementerebbero anche l’economia locale, perché comunque tutti farebbero la spesa, chi più o chi meno userebbe l’autovettura, chi più o chi meno per ingannare il tempo coltiverebbe un orto o andrebbe al bar… Parlare oggi di feste paesane è sicuramente fuori luogo, ma si ritornerà prima o poi e magari in modo diverso ad una vita “normale” per cui queste persone socializzeranno, porteranno idee, avranno voglia di fare ed organizzare cose. Come dicevo prima, non è che l’Oltrepò debba diventare una grande casa di riposo, ma “sfruttando” la possibilità che tanti “pensionati” ripopolino i loro paesi d’origine, per molti dei nostri comuni, potrebbe essere un modo per rilanciare il proprio tessuto socio economico. Potrebbe anche essere un modo per dimostrare ai figli di queste persone che comunque, trasferirsi in Oltrepò non è poi così male e magari pensandoci bene, magari con qualche sacrificio logistico, è meglio vivere in Oltrepò che in un condominio in una città. Vivere in Oltrepò è anche più conveniente, perché è pur vero che c’è meno scelta rispetto all’offerta di una città, ma è altrettanto vero che è meno dispendioso in termini economici e di stress, vivere in una zona rurale piuttosto che in una metropoli: i costi

sono inferiori ed in questo momento in cui il coronavirus ha colpito l’economia di tante famiglie, risparmiare in tasse comunali ed economizzare nelle spese familiari generali, è una cosa che molti potrebbero considerare. Questo però a mio giudizio non basta. In molte nazioni del mondo, visto che lo spopolamento delle aree rurali è un problema planetario, molte piccole località con lo slogan “ti paghiamo se vieni a vivere qui”, hanno ottenuto successo. Allora è chiaro che ci sono vincoli legislativi ed amministrativi di vario tipo, dalla legge di bilancio al patto di stabilità… etc. etc. etc.che frenano questa iniziativa, ma se con i soldi che arriveranno, per affrontare e per cercare di attenuare l’impatto socio economico del post coronavirus, qualche amministratore comunale decidesse di dare tutte le facilitazioni possibili e concedibili dalla legge per un determinato periodo ai pensionati che si trasferiranno nel proprio comune e oltre a questo prendesse l’iniziativa ad esempio di erogare buoni spesa (200€ mensili) per ogni nucleo familiare di pensionati, ecco, farebbe un investimento e non spenderebbe soldi pubblici nel nulla! Ci saranno poi i dettagli da affinare: i buoni spesa in via prioritaria potranno essere spesi per i prodotti alimentari ma, ed ogni comune deciderà in base alle proprie attività economiche, dovranno essere spesi all’interno del territorio comunale. Qui qualcuno potrebbe obbiettare che in molti comuni dell’Oltrepò non sono rimaste attività commerciali… Vero, ma è altrettanto vero che se il piccolo comune non ha attività commerciali, può accordarsi con i comuni limitrofi ed indirizzare la spendibilità dei buoni lì. Con la speranza che se un comune non ha ad oggi più alcuna attività commerciale, aumentando il numero dei residenti, forse e speriamo, qualcuno potrà considerare l’idea di riaprire un negozio. Questo potrebbe essere un modo concreto e tangibile per incentivare le persone a ritornare ad abitare in Oltrepò. Chiaramente si dovranno mettere dei “paletti”, il primo che mi sovviene è: “noi ti diamo i buoni spesa per un anno, ti riduciamo le tasse comunali ma tu ti impegni per almeno tre anni a risiedere nel nostro comune”. Le misure fino ad ora accordate dai comuni oltrepadani, che hanno proposto facilitazioni in tal senso e per questo sco-

po erano quantificate in 400/500 € annui ed è chiaro che un pensionato di Milano per quella cifra, difficilmente si convincerà a “far su ran e baran”, ma se oltre a quello gli viene garantito un contributo di 2mila/3mila € per il primo anno di residenza a cui va aggiunto un costo della vita inferiore ed una qualità della vita superiore, magari si convincerà e magari senza pensarci troppo. Rimane il problema di come far conoscere l’iniziativa ai tanti pensionati che vivono nelle città metropolitane ma che sono originari dell’Oltrepò: scriverlo sui giornali e sui social non basta, ogni comune può rintracciare, grazie all’ufficio anagrafe, una grande fetta di queste persone che vivono in città e a queste persone va scritto chiaramente quelli che sono i vantaggi economici se trasforma la sua seconda casa nella sua residenza primaria, abituale e continuativa, oppure se decide, invece di pagare l’affitto a Milano, di prendere in affitto, spendendo meno, una casa in Oltrepò. L’idea non è di difficile applicazione ed inoltre i contributi erogati a questi nuovi possibili residenti rimarrebbero sul territorio, aiuterebbero le attività locali, rifarebbero partire una parte dell’economia. L’Oltrepò, ed è inutile raccontare balle, non ha le infrastrutture idonee oper essere attrattivo e per far sì che nuove imprese si trasferiscano qui, ed è difficilmente e non immediatamente attrattivo neppure per i giovani, ma a mio giudizio potrebbe esserlo per i pensionati. È inutile inseguire chimere di rilancio, in questo momento di grande crisi è meglio partire dalla base, dalle cose più semplici e dalle strade più perseguibili, invece di spendere per l’ennesima volta fondi per fare parchi giochi dove non ci sono bambini, piccoli centri sportivi dove non c’è nessuno sportivo, o nuovi musei della zappa piuttosto che del salamino cotto, là dove non c’è alcun visitatore.… Forse destinare i soldi che arriveranno, pochi o tanti che siano, per rendere attrattivo l’Oltrepò agli occhi di chi potrebbe venirci a vivere... potrebbe essere una grande opportunità, forse l’unica. Se non funziona, rimarrebbero nelle casse dei comuni i soldi dei contributi che si spera arriveranno dalla Regione e dallo Stato, per fare altro... di Antonio La Trippa


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LETTERE AL DIRETTORE

APRILE 2020

Figli minorenni, «Come faremo?» Gentilissimo Signor Direttore, da più di un mese continuo a pensare al problema figli minorenni, per tutti i genitori che lavorano. Gli altri anni, tra mille problemi, siamo sempre riusciti a gestire la pausa estiva tra centri estivi e nonni, ma quest’anno senza i primi e con il rischio di contagiare i secondi, come faremo? Babysitter? Allora diventa inutile utilizzare tutti gli accorgimenti del caso, quando hai qualcuno che entra giornalmente in casa tua. Se potessimo fare test sierologici sapremmo

almeno quanto rischiare, per questo tipo di gestione, invece nulla. Quindici giorni di congedo sono una goccia nel mare, è necessario trovare soluzioni stabili fino alla ripartenza delle attività scolastiche di settembre (sempre che sia possibile). Non sento una sola voce della politica che parli di questo grande problema, con conseguenze di perdita di lavoro per badare ai figli o rischi per la salute degli anziani. Carla Perduca - Voghera

Politici, «Non sarebbe ora che anche loro andassero a “scuola”?

Egregio Direttore, alla luce degli avvenimenti di questi ultimi mesi e alla inadeguatezza ed incompetenza dimostrata dai nostri governanti, anche alcuni dell’Oltrepò, mi viene spontanea una domanda: se per fare il medico, l’avvocato, l’insegnante e così via si devono sostenere corsi di laurea, esami di stato, esami di abilitazione, corsi di specializzazione ed in aggiunta continui aggiornamenti, per di più stabiliti dai nostri stessi governanti attraverso leggi, decreti e disposizioni varie, perché per fare il politico ed arrivare pure a coprire le più alte cariche dello stato, non è richiesta nessuna preparazione specifica? Non sarebbe ora che anche chi voglia intraprendere la carriera politica e pensare di arrivare a governare una nazione debba avere una preparazione adeguata attraverso precisi percorsi di studio e di «gavetta», come tutti gli altri cittadini sono tenuti a seguire, onde evitare di arrivare ad uno sfacelo come quello attuale di incompetenza, incapacità e mania di protagonismo, crean-

do così danni gravi ed a volte irreparabili alla cittadinanza? Non sarebbe ora che anche loro andassero a «scuola»? A prescindere naturalmente da ogni ideologia politica, non sarebbe ora che anche a loro venisse richiesta una seria preparazione ed imparassero a svolgere il loro «mestiere» con serietà e competenza? Se ad ogni cittadino viene richiesto un titolo di studio per svolgere qualsiasi tipo di attività perché non istituire un percorso adeguato anche per chi vuol fare politica? Dovrebbe essere addirittura molto più serio e selettivo di altri, onde oltretutto evitare che la gente esasperata e non sapendo più per chi votare, alla fine voti degli illustri sconosciuti e spesso del tutto impreparati. Ritornando agli inizi della nostra Repubblica di ben altra preparazione e spessore intellettuale erano i nostri politici anche in Oltrepò, ma dalla seconda repubblica in poi è iniziato in continuo ed inesorabile declino. Lettera firmata - Stradella

LETTERE AL DIRETTORE

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«Molti sindaci dell’Oltrepò in prima linea ci rendono orgogliosi» Egregio direttore, è la prima volta che mi trovo a scrivere al giornale. E lo faccio perché tutti i giorni apprendo di storie di molti sindaci dei comuni dell’Oltrepò che, nonostante tutto quello che avranno da fare in questo periodo, trovano il tempo per scrivere e telefonare ai propri cittadini, o ancora portano caramelle ai più piccoli e mascherine per i nonni.

Sicuramente ce ne saranno altri che non fanno cose di questo tipo. Ma apprendere queste notizie dove alcuni primi cittadini non lasciano soli gli abitanti del Comune che amministrano, ma compiono questi gesti di solidarietà e di vicinanza ai propri concittadini, deve renderli e deve renderci orgogliosi di chi abbiamo scelto come guida. Lettera Firmata - Varzi

«Abbiamo abbassato la guardia? Spero di no» Gentile Direttrice, vorrei esprimere una mia paura che spero rimanga tale, in tal caso mi dovrò ricredere sul buon senso e sulla disciplina di noi oltrepdani. In questi giorni, alcun dei quali a cavallo di feste e ponti, con il mio cane (rispettando tutti i divieti e gli obblighi imposti dalla legge) mi trovavo lungo il viale delle Terme di Salice ed ho avuto la strana sensazione che alle persone fosse passata “la paura”. Complici le belle giornate di sole o i svariati annunci più o meno ufficiali sulle possibili riaperture, è come se la gente dicesse “Bhe... se riaprono le attività ne siamo fuori… il problema è risolto… Se lo dicono loro che ci governano….” Ecco è questo il punto, perché mi chiedo: se fino a ieri eravamo tutti chiusi in casa, se fino a ieri saltavamo dall’altro lato della strada se sulla nostra traiettoria incontravamo un altro camminatore solitario, se fino a ieri il runner era l’untore e guanti e mascherine erano accessori indispensabili, oggi mi

pare che le persone abbiano un po’ abbassato la guardia. Il vicino di casa che prima ti evitava (giustamente) oggi si ferma e ha voglia di fare quattro chiacchere, il runner solitario si sbraccia dall’altro lato della strada per salutarti e qualche ragazzino sfreccia via con la sua bicicletta. Non è una polemica sulla mancanza di buon senso, abbiamo dimostrato in queste settimane di averne e anche tanto ma è una riflessione su come la gente abbia una dannata voglia di tornare alla “normalità”. Mi chiedo io: è il momento giusto per abbassare tutte le difese che con così grande fatica abbiamo costruito? Dico di no… A breve e gradualmente ci saranno delle riaperture come credo sia giusto perché non si vive d’aria, ma noi privati cittadini cerchiamo di continuare ad essere attenti, facciamolo per noi stessi e per tutte quelle persone che hanno bisogno di lavorare. Non facciamo come i gamberi… Lettera firmata - Salice Terme

«Il vaccino anti Covid sarà obbligatorio?» Signor Direttore ancora non c’è il vaccino per difendersi dal coronavirus ma mi chiedevo quando - e speriamo il prima possibile dal mio punto di vista - sarà disponibile sul mercato, come verrà gestita la sua obbligatorietà. La logica direbbe che visti i danni che ha creato il virus, renderlo obbligatorio sarà una necessità, ma leggendo le dichiarazioni ad un noto quotidiano nazionale di un consigliere grillino della Regione Lazio, noto per le sue posizioni ‘free vax’ mi è venuto un dubbio. Il consigliere dichiara: «No all’obbligo per tutti del vaccino anti-Covid. I vaccini devono essere somministrati

secondo un’anamnesi personale, in base alle caratteristiche di rischio, diffusione e modalità di contagio. Inoltre dobbiamo tenere conto delle reazioni avverse e dei rischi esistenti, nonché dell’efficacia... ci sono tante questioni aperte». Per carità parole condivisibili e lungi da me addentrami in questo spinoso argomento, mi auguro solo che la politica arrivi preparata nel prendere le giuste ed inequivocabili decisioni nel momento in cui si dovrà decidere sull’obbligatorietà del vaccino anti Covid. Marco Biglieri - Broni


CYRANO DE BERGERAC

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APRILE 2020

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Oltrepò del vino & Coronavirus.... Cura e vaccino si cercano da vent’anni... L’Oltrepò Pavese della vite e del vino non ce la può proprio fare, non contro il Coronavirus - in alto i calici per chi lo sta combattendo e lo vincerà - ma contro l’egoismo e il pensare in piccolo dei suoi produttori e del suo popolo dei forconi, che si fa usare da chiunque paghi due spiccioli maledetti e subito. Sorvolando sulle diverse forme di solidarietà pelosa trasformata in pubblicità, quando i nostri vecchi insegnavano che «il bene si fa ma non si dice», nemmeno l’allarme pandemia è riuscito a spingere questa terra, benedetta e maledetta insieme, a fare quadrato attorno ad un unico progetto. Il solito “gadanare”, in epoca di confinamento delle case dei clienti diretti di molte cantine, ha fatto spuntare come funghi svariati servizi e-commerce per il vino oltrepadano a domicilio acquistato via Internet. Non solo: scopiazzando a destra e a manca sono proliferati pure i canali doppione sui social, quelli che promettono attraverso un logo, un cellulare e una faccia di tolla la rinascita oltrepadana, obiettivo che neanche un esorcista con esperienza si sentirebbe di poter assicurare. Non servono opinion leader o professionisti del settore con una storia, basta aprire le porte all’ennesimo fancazzista allo sbaraglio che non sapendo come ingannare il tempo s’improvvisa un passatempo per intervistare i produttori fighetti, farsi regalare un po’ di vino e buonanotte al secchio di acqua e zucchero invertito… Non sarà un caso se quasi nessuna cantina del territorio ha un piano di comunicazione degno di questo nome, se nessuno investe in pubblicità e marketing sulle testate (locali e non) e se zone che sono un puntino sulla cartina d’Italia hanno più reputazione di un Oltrepò che regala il proprio vino a chi lo svende sugli scaffali di discount e supermercati senza possedere una pertica di terra. L’Oltrepò attira i Robin Hood al contrario, quelli che non rubano ai ricchi per dare ai poveri ma che rubano ai poveri (pecoroni) per dare ai ricchi, quelli che comandano e che anzi spadroneggiano in lungo e in largo. Intanto i piccoli produttori e gli alfieri della qualità, veri o presunti, si dividono anche sulle vendite online. Nelle settimane scorse è nato il portale oltrepoacasatua.it ]per le vendite via Internet ai clienti privati. Ovviamente la piccola Las Vegas oltrepadana, Canneto Pavese, ridente cittadina del più grande scandalo del vino falso del 2020 (strappata la fascia di reginetta 2014/2015 a Broni), ha rilanciato con il progetto vendita online e consegna del Consorzio Club del Buttafuoco Storico. Ognuno, facendo sfoggio della solita lungimiranza, ha scelto di vendere la propria

etichetta su un canale a sé, per poi dire il giorno dopo agli amici degli amici che lavorano per giornali e tv locali che i segreti per farcela ed uscire dalla crisi sono l’unità, la comunione d’intenti, il dialogo e la collaborazione. Anvedi come balla Armando! Ogni giorno una dichiarazione che poi stona con la realtà, quella del dito medio in faccia agli altri, ma tanto in Oltrepò della verità non importa niente a nessuno, poco importa che ci siano direttori che siedono ai tavoli istituzionali facendo sfoggio di belle parole e selfie, anche se poi si comportano come i peggiori agenti di commercio da pesca a strascico o come i garanti dei poteri forti. Ci sono direttori che di fronte alle storture non possono nulla, che fanno i forti con i deboli e i deboli con i forti. Il tempo sarà galantuomo,

anche se di tempo all’Oltrepò del vino ne è rimasto davvero poco. Valore dei terreni in caduta libera, prezzo dei vini in commercio sui canali che contano sottozero, valore degli sfusi deciso nei palazzi d’oro degli imbottigliatori amici del giaguaro, giacenze che aumentano, contratti milionari con i guru dell’enologia sottoscritti per nascondere gestioni fallimentari. Si sono già dimenticati tutti che prima che il Coronavirus mettesse agli arresti domiciliari tutti, qualcuno ai domiciliari c’era già e a Canneto aveva la base. Colpa di tutti e di nessuno. Tutti girati dall’altra parte. Tutti vicini di casa con le fette di salame di Varzi davanti agli occhi. Ora che il Ristretto del Vino di Qualità, come a Casteggio ho sentito definire il Distretto, si trova in disgrazia poiché l’amico di Gerry segue

Regione e Consorzio come un segugio ammaestrato (ha fiuto), tutti puntano su una nuova Wanda Osiris dal sangue blu. A risollevare Consorzio e territorio ci penserà qualcuno o qualcuna, che insegnerà a tutti come si fa a trasformare una terra da succhi di frutta in una terra del vino d’eccellenza, senza svendere tutto in grande distribuzione e senza puntare tutto sui volumi. Mettete il grembiulino, sedetevi ai primi banchi e prendete nota in silenzio. Chi salverà il Consorzio sa bene che nella vita non è solo questione di centimetri o d’intrugli in cantina. Il lockdown presto sarà solo un brutto ricordo, ma in Oltrepò il problema è “lùcdown”. Cura e vaccino si cercano da vent’anni… di Cyrano de Bergerac


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OLTREPò PAVESE, AGROALIMENTARE IN CRISI?

APRILE 2020

L’oltrepò agricolo non si arrende al Covid

L’emergenza dettata dall’epidemia in corso sta creando grossi problemi ai piccoli produttori della filiera agroalimentare. Perché è vero che le vendite di libagioni di ogni tipo non sono state fermate: anzi, sono anche aumentate. Ma questo riguarda in modo particolare il canale della grande distribuzione, la vendita sugli scaffali dei supermercati. Territorio straniero per quelle produzioni di qualità delle quali è ricco il territorio dell’Oltrepò Pavese. Quei piccoli produttori di frutta, di miele, ma anche del pregiatissimo Salame di Varzi. Alcuni di loro li abbiamo contattati telefonicamente, per farci raccontare le difficoltà di questo momento; le esigenze e le aspettative. Ma anche il modo in cui stanno provando a reinventarsi. Frutta - La crisi dovuta all’epidemia, in molti casi, è andata a sovrapporsi a problemi preesistenti. È il caso, per esempio, della frutticoltura. Abbiamo intervistato a questo proposito un imprenditore agricolo della Valle Staffora, il signor Aldo Agosti. Quali sono le problematiche più urgenti alle quali dovete far fronte? «Il problema principale è che non si sa cosa accadrà. Prima di tutto ci saranno problemi per la raccolta, per via della manodopera: i pochi pensionati gli studenti saranno difficili da reperire. Poi non possiamo sapere come andranno le vendite, dopo questo periodo. Ma soprattutto il problema che abbiamo riguarda il gelo, che qui ha fatto parecchi danni.» In che misura? «Anche quest’anno partiamo con una produzione quasi dimezzata per quanto riguarda il melo. Per quanto riguarda le albicocche, non so se ci sia qualcosa di più in alta collina, ma qua da noi è tutto gelato completamente, quindi il 100% della produzione è già persa in partenza. Con il susino siamo al 50%, quindi partiamo con metà raccolto. Il ciliegio non sembra aver subito un gran danno, probabilmente un 20/30%. Quindi la produzione parte già problematica, poi andiamo incontro al clima che c’è per questa emergenza. Il Coronavirus rappresenta anche per noi un’incognita, perché pur occupandoci di una produzione destinata più o meno principalmente al locale, ancora non si sa quando apriranno a pieno regime i mercati e che affluenza avranno. Il nostro settore soffriva già prima di coronavirus: le grandi aree di produzione, non potendo esportare (un po’ per l’embargo verso la Russia, un po’ per altri fattori) si sono rivolti all’interno, per cui lo spazio per noi si è sempre più ristretto.» Lo Stato vi sta aiutando? «Qualcuno di noi ha preso i 600 euro offerti dal Governo, ma non basta. Noi stiamo ancora aspettando qualche contributo

Aldo Agosti

per la gelata del 2017, quanto era stata proclamata la “calamità naturale”, c’erano stati sopralluoghi dei periti e tutto ciò che si deve fare in questi casi. Sono passati esattamente tre anni e ancora non è arrivata nessuna risposta. Questo per noi sarebbe importante in questo momento di incertezza, in cui non sappiamo a quali situazioni finanziarie andremo incontro.» Ci sono aziende che rischiano di chiudere, a causa del momento di difficoltà? Qual è lo stato del settore frutticolo in questo periodo? «Tanti hanno già smesso, penso a quelli più vicini alla pensione; tanti non hanno continuità. Fra quelli che siamo rimasti le prospettive sono poche, si rischia di non piantare più e di espiantare.» Salame di Varzi - Il salumificio Thogan Porri di Cecima è, diversamente da molti altri produttori di Salame di Varzi, indirizzato a singoli consumatori, alle attività di ristorazione, e ai piccoli negozi. È, cioè, lontano dalla Grande Distribuzione. Abbiamo chiesto un parere a Gentile Thogan proprio perché sono loro, i produttori che per scelta aziendale sono fuori dalle dinamiche delle grandi catene del commercio, a risentire degli effetti più gravi del lockdown. Come sta reagendo la vostra realtà? «Se parliamo di fatturato, tanto per essere concreti, già il fatto di potersi muovere solo a livello comunale ha fatto sì che lo spaccio non lavori quasi più: si è quasi del tutto fermato, e per noi un 20/25% lo rappresenta, una fetta importante. Poi noi facciamo un 30% con il canale horeca, soprattutto enoteche: un’altra fetta che si è fermata completamente. Per cui parliamo di più del 50%. Anche gli ambulanti sono fermi, perché i mercati sono chiusi. Qualcuno si è strutturato per effettuare consegne a domicilio, quindi diciamo che comunque un minimo si lavoricchia. Ma anche questa, per noi, era un’importante fetta del fatturato.»

Gentile e Giuseppe Thogan

E il negozio tradizionale? «Il negozio tradizionale, il cosiddetto “normal trade”, invece, ha tenuto. Qualcuno lavora di meno, qualcuno addirittura di più, come chi fa consegne a domicilio. Quindi in questo ambito abbiamo continuato a fare consegne, o con corriere o a domicilio. Ma parliamo pur sempre di un terzo del fatturato, questo significa che i 2/3 si sono persi per strada. Con 1/3 non si riescono a coprire i costi. Di conseguenza ogni giorno stiamo perdendo soldi. Prima di tutto viene la salute, per carità: e lo dico perché ci credo. Perché senza quella non si può neanche ripartire. Ma dopo bisognerà rimboccarsi le maniche. Ripartiamo da un terzo… anche quando finirà il tutto non credo si tornerà presto come prima, non penso che la gente si metterà in fila per andare al ristorante. Ci sarà molta prudenza.» Qual è in generale la situazione del vostro comparto? «La filiera agroalimentare ha sofferto meno di altri settori. In questo momento siamo pochi, nel Consorzio del Salame di Varzi, a non servire la Grande Distribuzione, ma siamo quelli che stanno soffrendo di più, perché la GDO ha tenuto. Per cui chi lavora con la GDO ha tenuto abbastanza, bene o male.» Cosa possono fare gli enti governativi per aiutare le realtà più in difficoltà? Partendo dagli aiuti economici in senso stretto. «Gli aiuti servono sicuramente: con tutti i soldi che stiamo perdendo, o non si fanno investimenti, o li si rimanda, oppure si devono chiedere finanziamenti alle banche, e qui si va in un “mare magnum”. Il Governo dovrebbe sicuramente intervenire con incentivi anche per responsabilizzare le banche, mettendo meno paletti al credito. E poi, sicuramente, intervenire sul fronte dei tassi di interesse, anche se sono già bassi.

Poi su fronte delle tasse… hanno detto tante belle cose, ma per ora non si è fatto nulla di concreto. Poter posticipare alcune incombenze non sarebbe male.» C’è qualcosa che chi governa potrebbe fare per favorire direttamente l’aspetto della commercializzazione? «Da un punto di vista strettamente commerciale non saprei dire, se non che bisognerebbe limitare tutta la burocrazia... tanti imprenditori hanno belle idee, come sempre accade in un momento di crisi. Mi piace ricordare una frase che aveva detto Kennedy, secondo cui in Cina indicano la crisi con due tratti: uno vuol dire pericolo, e l’altro vuol dire opportunità. Una frase bellissima, mai come adesso attuale. Quindi la crisi può anche essere opportunità, ma solo nel momento in cui puoi fare quello che hai in mente. Se ti mettono 10mila paletti, 10mila permessi, 10mila articoli di legge tutto diventa più difficile. Adesso momento di fare quello che hanno sempre detto, ma mai fatti. Noi italiani non siamo secondo a nessuno se ci si lascia libertà di fare.» Zafferano - Anche coloro che coltivano prodotti di nicchia sono in difficoltà. Lo zafferano locale, per esempio, che negli ultimi anni ha incontrato un grande successo di pubblico e di critica. Ormai non è più soltanto una “moda”, ma una delizia per tutti i palati fini. Abbiamo chiesto a Gianni Colombi, della società “Zafferano dei Colli Pavesi SSA”, con sede a Lirio ma siti produttivi anche ad Arena Po, Cigognola e Montescano. Come sta procedendo la vostra attività in questo momento di emergenza? «Siamo completamente fermi, perché i nostri canali di vendita erano i piccoli negozi, i ristoranti, gli agriturismi. Avevamo programmato un inizio 2020 perfetto, nel senso che avevamo acquisito nuovi clienti, e avevamo confermato la nostra partecipazione a feste, eventi e tante belle cose.»


OLTREPò PAVESE, AGROALIMENTARE IN CRISI?

Enrico Baldazzi al centro

Pensa che ci sarà modo di recuperare nei prossimi mesi? «No. Porto un esempio banale, che però rappresenta la realtà. Pensiamo al produttore di vino: se questo vendeva una bottiglia sul tavolo di un ristorante perché lo aveva in carta vini, non essendoci in questo periodo alcun commensale la bottiglia non sarà stata venduta. Ma alla riapertura non ne venderà due, ne venderà una sola. O forse mezza… Per quanto riguarda lo zafferano è la stessa cosa.» Quindi per voi è venuta meno un’importante canale di distribuzione. «Sì, la ristorazione sicuramente è penalizzata. L’emergenza è arrivata in un brutto momento. È con la primavera che si mette in moto la macchina commerciale, quello che hai perso non lo recuperi con l’estate. A parte che ci sarà un’estate anomala…» In che termini? «Io penso che per molte persone, penso al classico milanese, non ci sarà la possibilità di andare al mare o in montagna per farsi qualche giorno di ferie. I movimenti saranno limitati. Quindi sono in molti a sperare che si muova qualcosa per i nostri territori al momento della riapertura. Ci sarà un km0 anche a livello dello svago.» Vi state attrezzando con qualche proposta particolare? Vendite telematiche, consegne domiciliari… «Nei nostri programmi c’è l’apertura di un e-commerce, ma anche qualcosa che sponsorizzi un po’ il territorio dell’Oltrepò. Bisogna rimboccarsi le maniche, perché la situazione è pesante. Io abito a San Damiano, e vedo che qui intorno ci sono tante piccole aziende condotte dal pensionato, magari con il figlio che gli dà una mano: non sono attrezzate per distribuire porta a porta. Si basano ancora sul milanese che viene qui e porta a casa la damigiana. E hanno ancora la cantina piena. Cosa fai? Svendi il prodotto? La situazione è gravissima.» Ortaggi - Anche Cesare Malerba, di Mornico Losana, ha fra le sue coltivazioni quella dello zafferano. Ma non solo: patata rossa, viola, pepe di Sichuan, timo, santoreggia, salvia, issopo, maggiorana, rosmarino, fave, ortaggi, cavolfiore violetto, cavolo rosso. Piccole produzioni che potrebbero essere la classica ciliegina sulla torta del nostro territorio, e che troveranno la loro maturazione nei prossimi mesi. Che tuttavia sono oggetto di forti dubbi circa il ritorno alla normalità. Cesare, come sta andando il lavoro in campagna?

«La campagna non si ferma: rispettando le regole e le imposizioni noi andiamo avanti. Il ciclo agricolo deve proseguire. Ma i mercati sono bloccati, e le aziende piccole come la mia, che usufruiscono di questi canali, come anche di sagre e fiere, sono penalizzati. Mi è venuto a mancare forse l’indotto principale, avendo un prodotto anche particolare, di nicchia. I miei prodotti sono pronti per lo più in tarda primavera, in autunno, ma per me questo era il periodo in cui mi concentravo di più sulle vendite nei mercati. Per esempio, la fiera di Borgonovo a Pasqua, che è saltata, per me era una grande vetrina. Però diciamo che la mia stagionalità di produzione, i miei raccolti non sono caduti in concomitanza alla chiusura. Chi ha serre e produce tutto l’anno ora è molto più in difficoltà. Il mio punto vendita comunque resta aperto, ma mi sono dirottato su consegna a domicilio e vendita online.» Può essere il futuro da intraprendere anche a emergenza conclusa? «La mia idea è che la rinascita avverrà da noi piccoli produttori direttamente, non tramite il commercio su internet. Va bene, molti si sono rivolti all’online e alla consegna a domicilio. Ma forse abbiamo riscoperto in questo periodo cosa voglia dire avere un piccolo produttore sotto casa. Quindi, secondo me, finito questo momento contingente si tornerà ad apprezzare quello che ha la frutta fresca, che la coltiva direttamente, che ti porta a casa il chilo di mele, l’insalata, gli asparagi.» Miele - Anche i mielicoltori stanno affrontando momenti di difficoltà. La distribuzione del prodotto è certamente complicata, ma anche in questo caso i problemi derivanti dall’emergenza Covid-19 si sommano a quelli preesistenti, determinati da un mercato sfavorevole soprattutto per i piccoli produttori. Ne abbiamo parlato con Enrico Baldazzi, produttore di Zavattarello e presidente dell’Associazione Mielicoltori dell’Oltrepò Montano. Qual è la situazione in questo momento del vostro comparto? «Noi cominciamo a smielare domani il tarassaco. La campagna del miele, quindi, comincia adesso. In questo momento sembra che l’annata sia ottima, ma bisognerà vedere il meteo.» Per quanto riguarda la commercializzazione? «Per il resto siamo fermi. Noi abbiamo anche un’azienda alimentare, produciamo biscotti, risotti, ravioli, ma siamo completamente fermi anche qui.

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È una situazione drammatica, per un sacco di motivi. Noi a Zavattarello siamo un po’ tagliati fuori dal mondo, non vedo passare una macchina in tutta la giornata. Speriamo che il 4 maggio si riapra, per vedere che il mondo si muove ancora. Poi abbiamo in corso il premio letterario (il premio “L’oro di Zavattarello”, che dovrebbe svolgersi a settembre, ndr), e ci stiamo chiedendo: si potrà fare? Ci potremo riunire? Non sappiamo come sarà.» Per quanto riguarda il vostro comparto, quali sono i problemi da risolvere per arrivare ad una ripartenza che poggi su basi sicure? «Il problema mi sembra questo: il miele viene importato per il 62% dalla Cina. La Cina non ha più le api, quindi il miele non è miele. Report ha fatto una trasmissione su questo spiegando molto bene quello che succede. Non siamo tutelati in niente: la gente va al supermercato, e non c’è scritto che il miele è cinese. Non siamo difesi, eppure qui si fa un prodotto di grandissima qualità. Zavattarello, ad una premiazione a Bologna (Grandi Mieli d’Italia, ndr), ha preso due premi principali… abbiamo una situazione ideale, non abbiamo a che fare con gli anticrittogamici… Non tutti sanno che i conti Dal Verme sono stati i primi apicoltori italiani, nell’Ottocento: ci sono nel Castello di Zavattarello le prime arnie.» C’è la qualità, c’è la storia, ma manca la tutela. Dal momento che molti piccoli produttori avranno problemi a vendere il proprio prodotto nei prossimi mesi, c’è spazio per aspettarsi qualche contributo governativo?

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Cesare Malerba «Il problema è che l’anno scorso il miele non si è fatto. Quelli che sono i grandi produttori avranno dei contributi, noi come associazione abbiamo tra tutti meno di 40 alveari, che è il limite per i contributi, quindi non possiamo nemmeno fare domanda. Vorremmo costituire una cooperativa.» Questa potrebbe essere una bella risposta alla crisi: mettersi insieme per guardare a mercati più ampi. «L’idea di costituire una cooperativa era già pronta a gennaio, abbiamo già la bozza dello statuto, dovevamo andare davanti al notaio… poi con questa chiusura abbiamo dovuto rimandare il tutto.»

di Pier Luigi Feltri


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L’OLTREPò IN VIGNA AI TEMPI DEL COVID

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«Sicuramente un abbassamento delle rese produttive sarebbe ottimo, ma questo indipendentemente dal virus…» Lo scorso mese abbiamo ascoltato alcuni titolari di attività di Santa Maria della Versa per sapere come avevano affrontato l’inizio dell’epidemia e come si erano adattati alle misure imposte dal decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Nell’ultimo mese quasi nessuna delle attività sottoposte a chiusura temporanea ha potuto rialzare la saracinesca, ma ce ne sono altre che non si sono praticamente fermate, come nel caso delle aziende vitivinicole. Sebbene con alcune limitazioni per quanto riguarda la vendita diretta e le attività agrituristiche, queste aziende hanno avuto la fortuna di essere autorizzate a poter proseguire il proprio lavoro, mantenendo la possibilità di poter consegnare i propri prodotti a domicilio. Ma non è tutto oro ciò che luccica… La chiusura di bar, ristoranti, circoli e mense, il divieto del turismo e dell’enoturismo, ma soprattutto il blocco dell’esportazione all’estero causerà un’enorme perdita per i produttori di vini, i quali temono di ritrovarsi con maggiori quantità di vino invenduto rispetto la media degli anni precedenti. Ai tavoli di lavoro si sta cercando di trovare una soluzione per poter consentire alle cantine una migliore gestione dello stoccaggio dei vini, in quanto le previsioni di mercato sono tutt’altro che rosee. Assoenologi, per voce del Presidente Cotarella, suggerisce una distillazione volontaria di vini generici e IGT, mentre altre proposte riguarderebbero l’aumento del taglio dei vini di quest’annata fino al 30% con quella precedente o la diminuzione delle rese dei vigneti attraverso il diradamento sostenuto da contributi statali o regionali. Abbiamo intervistato alcuni titolari di aziende vitivinicole dell’Oltrepò orientale per sapere come hanno affrontato l’emergenza, quali sono i principali problemi constatati e, a loro parere, quali sono le migliori misure da adottare per affrontare la crisi che si verificherà a breve. Alessio Brandolini, titolare dell’omonima azienda agricola in San Damiano al Colle Nonostante il lockdown l’agricoltura non si ferma: come vi state organizzando per il lavoro in vigna? «Il lavoro in vigna va avanti nonostante il lockdown, essendo infatti possibile organizzarsi mantenendo la distanza di sicurezza oppure lavorando autonomamente per quelle mansioni che lo consentono. Ovviamente, bisogna rimodulare i tempi, ma non ci sono particolari disagi in vigna». Come state affrontando la problematica dei lavoratori dipendenti e stagionali?

Alessio Brandolini

Matteo Maggi

«Vendita diretta e consegne a domicilio, sono diventate essenziali per poter vendere» «La chiusura delle frontiere ha fatto sì che molti lavoratori stagionali provenienti dall’Europa dell’Est fossero impossibilitati a raggiungere l’Italia. Ovviamente questo sta creando disagi e ritardi per alcune aziende e ha imposto un reclutamento sul territorio e una totale rimodulazione del lavoro, che coinvolge tutti i livelli aziendali». Nonostante la chiusura di diverse attività commerciali, la vendita del vino, in quanto bene alimentare, è rimasta consentita. Come è cambiato il vostro modo di affrontare il mercato? «È cambiato radicalmente: prima della chiusura delle attività, il nostro mercato era rappresentato all’80% dal canale Horeca e solo 10-20% dal mercato privato. Ora la situazione è completamente cambiata: stiamo cercando di incentivare al massimo la vendita online, per la quale ci appoggiamo ad uno shop nostro partner, e la vendita diretta con spedizione a domicilio. Una volta entrati nella fase 2, è nostra intenzione potenziare le consegne a domicilio per i nostri clienti». Le vendite e gli ordini dai Paesi esteri hanno subito un forte calo? «Vendiamo all’estero solo una piccola percentuale dei nostri prodotti e quindi non possiamo dare una risposta significativa».

Quale, tra le proposte messe sui tavoli di lavoro, pensa possa essere la migliore soluzione? «Noi siamo favorevoli alla riduzione delle rese attraverso il diradamento, su esempio della proposta dei vignaioli del trentino». Matteo Maggi, titolare dell’Azienda Agricola “Colle del Bricco” di Stradella. sottolinea come Il Lavoro in vigna si sia dovuto adattare all’emergenza: «Sicuramente ci siamo dovuti adattare alle normative e alle variazioni che le diverse attività hanno subito. Acquistare prodotti e attrezzature necessarie ai lavori in vigneto non è semplice come prima del lockdown: sono cambiate tempistiche e modalità di acquisto. Prima bastava recarsi in negozio, ora molti fanno consegne a domicilio oppure orari ridotti». Reclutamento lavoratori stagionali e gestione lavoratori dipendenti ... «Non ho lavoratori dipendenti, ma penso che come prima cosa sia necessario tranquillizzare i propri collaboratori e fornire loro tutti i dispositivi necessari alla loro sicurezza. Per fortuna nella nostra attività è difficile creare assembramenti». Vendita diretta e consegne a domicilio. Come sta andando? «Sono tutti servizi che già utilizzavo e/o fornivo, ma in maniera molto ridotta: ora sono diventati essenziali per poter vende-

Giorgio Perego

re. Parlo soprattutto di vendita diretta e consegne a domicilio: prima erano molto marginali, ora sono la percentuale maggiore di vendita. Aiuta molto la comunicazione attraverso i social che permette di raggiungere un pubblico che prima era di gran lunga inferiore». Le vendite e gli ordini dai Paesi esteri hanno subito un forte calo? «Purtroppo si, in generale le vendite sono in calo, il clima di incertezza che c’è non aiuta nemmeno chi vorrebbe acquistare». Anche lei crede che una riduzione delle rese potrebbe essere la miglior soluzione per affrontare l’emergenza? «Credo che la miglior soluzione sia la diminuzione delle rese per la nuova annata. Con una gestione oculata si riuscirebbe a gestire perfettamente il mercato: ovviamente i contributi saranno fondamentali. Una distillazione volontaria su vini generici e IGT sicuramente aiuterebbe, ma non gestisce una potenziale remissione dei vini a denominazione. Mentre una deroga sul taglio dei vini lascerebbe invariati i quantitativi stoccati, oltre a poter portare a problemi commerciali di svariato genere». Giorgio Perego, titolare dell’Azienda Agricola Perego & Perego di Rovescala Com’è cambiato il lavoro in vigna a seguito delle misure adottate per arginare la diffusione del covid-19? «Fortunatamente il lavoro in vigna già di suo si svolge in isolamento quindi, a parte le forniture di materiali e i pezzi di ricambio per i trattori che sono difficilmente reperibili, non è cambiato molto». Trovare manodopera per la vendemmia, crede sarà una mission impossible? «Per ora, avendo un’azienda piccola e seguendo direttamente ogni fase di produzione, non ho riscontrato problemi: speriamo che per la vendemmia questa situazione sia risolta o perlomeno miglio-


L’OLTREPò IN VIGNA AI TEMPI DEL COVID rata, altrimenti credo ci saranno grossi problemi». Nonostante la chiusura di diverse attività commerciali, la vendita del vino, in quanto bene alimentare, è rimasta consentita. Come è cambiato il vostro modo di affrontare il mercato? «Noi ci siamo adattati a fare consegne a domicilio, anche per piccole quantità. Vendevamo già online e cerchiamo comunque di agevolare i clienti in qualsiasi modo» Come proseguono i rapporti commerciali con la grande distribuzione? Questa situazione ha creato delle ripercussioni? «Lavoriamo con la GDO da più di 15 anni e, come sempre, ci impegniamo a garantire le forniture». Le vendite e gli ordini dai Paesi esteri hanno subito un forte calo? «Lavoriamo con tre paesi esteri e in questo momento le vendite hanno registrato un forte calo». Quale, tra le proposte messe sui tavoli di lavoro, pensa possa essere la migliore soluzione? «Sicuramente un abbassamento delle rese produttive sarebbe ottimo, ma questo indipendentemente dal virus…». Patrizia e Cecilia Beltrami, dell’Azienda Agricola Beltrami di Soriasco (Santa Maria della Versa) si dicono preoccupate per il futuro: «Siamo un nucleo famigliare di 4/5 persone attive in azienda e insieme ai nostri 2 dipendenti fissi siamo riusciti a finire i lavori più necessari in tempo.

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Patrizia e Cecilia Beltrami

«Ci preoccupa il futuro: si teme anche per la vendemmia perché ci sarà poca manodopera» Ci preoccupa il futuro: si teme anche per la vendemmia perché ci sarà poca manodopera».

Com’è il lavoro in vigna in questo periodo di lockdown? «Il nostro lavoro per il momento non ha

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avuto danni troppo gravi da pandemia, anche se abbiamo dovuto riorganizzare la normale quotidianità; siamo stati fermi con le vendite per circa 20 giorni dunque e siamo riusciti a dedicarci alla campagna». Nonostante la chiusura di diverse attività commerciali, la vendita del vino, in quanto bene alimentare, è rimasta consentita. Come è cambiato il vostro modo di affrontare il mercato? «La nostra produzione era già basata per circa il 70% di vendite ai privati. Notiamo che la gente in questo momento particolare apprezza ricevere beni alimentari a domicilio e soprattutto il vino. Stiamo dunque lavorando con i nostri clienti storici e con alcuni nuovi cercando di accontentare tutti nonostante le mille difficoltà per viaggiare. Il rimanente 30% di clienti si divideva tra ristorazione/ eventi, purtroppo sarà ancora tutto fermo per un po’». Quale, tra le proposte messe sui tavoli di lavoro, pensa possa essere la migliore soluzione? «Vista la grande produzione dell’Oltrepò e la difficoltà dei piccoli produttori di vendere le uve, potrebbe essere una buona proposta la potatura verde per puntare poi a prodotti migliori in vigna visto che i prezzi delle uve sono stabili da anni e i guadagni in agricoltura sono minimi. Anche il taglio dei vini al 30% potrebbe essere una buona proposta per chi vinifica e avrà delle giacenze invendute». di Manuele Riccardi



la scuola in Oltrepò ai tempi del CoVid-19

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«La mancata esperienza dell’esame vero e proprio è una perdita piuttosto ingente dal punto di vista umano» Una delle conseguenze più tangibili dell’epidemia di coronavirus, oltre al sovraccarico degli ospedali e il crollo dell’economia, è il totale arresto delle attività didattiche di qualunque ordine e grado. Daniela Lazzaroni, dirigente del Liceo Galileo Galilei (e sez. Grattoni) di Voghera, e Roberto Olivieri, dirigente dell’Istituto Faravelli di Stradella (comprensivo del distaccamento Golgi di Broni), commentano il modo in cui i due principali poli scolastici dell’Oltrepò si preparano all’esame di Stato 2020 e affrontano la didattica in quarantena. L’argomento maturità è uno di quelli su cui si hanno più incertezze. Per ora, l’unica certezza è che la commissione sarà formata da 6 membri interni e un presidente esterno. Riguardo lo svolgimento dell’esame, il Ministero ha ipotizzato due alternative: nel caso si rientrasse a scuola entro il 18 maggio, si svolgerebbe: una prima prova a carattere nazionale elaborata dal Ministero stesso, una seconda prova elaborata dalla commissione in base alle materie di indirizzo, e un colloquio che manterrebbe la struttura dello scorso anno. In caso contrario, l’esame consisterà unicamente in un colloquio dalla durata minima di un’ora. Entrambi i dirigenti concordano sul fatto che lo scenario più realistico sarebbe rappresentato dalla seconda ipotesi e, circostanze permettendo, preferirebbero che l’esame fosse sostenuto in presenza; anche perché tutti e due gli istituti sono dotati di spazi in cui sarebbe possibile svolgere l’orale mantenendo la distanza di sicurezza – così è stato dichiarato. «Ho posto una domanda all’ispettore Franco Gallo, il referente per l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia, in merito alla struttura di questo colloquio: verterà sulle 6 materie detenute dai professori di commissione? L’eventuale domandastimolo permetterà di agganciare altre conoscenze al di fuori di quelle materie? Al momento non è ancora stato chiarito». Questo è il dubbio messo in luce dalla dirigente Lazzaroni. «Ho trovato molto buffa una terza ipotesi che è saltata fuori, quella dello studente a scuola – non si sa dove e con chi – e la commissione in videoconferenza». Ha commentato il dirigente Olivieri, il quale, inoltre, si è posto il problema dei trasporti: «Il giorno dell’esame in quanti dovranno prendere mezzi pubblici? Discorso che vale per l’Oltrepò, ma soprattutto nelle grandi città. Temo che vedremo i mezzi intasati». I dirigenti hanno sollecitato i professori a distinguere il peso delle valutazioni assegnate prima del 21 febbraio, data di inizio della sospensione delle lezioni, e dopo il 21 febbraio, sia per l’inevitabile mancanza di misure di controllo, sia perché la distanza ha reso l’insegnamento molto

più limitato. Ad accusare il colpo sono in particolare alcune discipline o indirizzi: «Il nostro istituto non presenta grande incidenza di attività in laboratorio, ma sono comunque necessarie, e con la didattica online non c’è modo di praticarle; possiamo solo fornire materiale video di riferimento» dichiara Lazzaroni. Da questo punto di vista, è più sofferente l’istituto Faravelli: «La componente laboratoriale del percorso didattico si è completamente annullata e ciò ha danneggiato soprattutto l’indirizzo MAT (il vecchio IPSIA) – ai ragazzi, al massimo, possiamo mandare una foto dei torni… Chimica, in generale le materie scientifiche, stanno seguendo per forza un percorso esclusivamente teorico, che non equivale assolutamente a trascorrere due ore alla settimana in laboratorio». Si è resa inevitabile anche una revisione del programma di studi per tutte le classi. Lazzaroni spiega: «Come indicato dalla nota protocollo 388 del 17 marzo, i dipartimenti si sono riuniti e hanno rivisto la programmazione, in modo da riadattare gli argomenti mancanti ai nuovi metodi di insegnamento. Chiaro che, per le classi quinte, il tutto dovrà essere propedeutico allo svolgimento, in qualunque forma, dell’esame di Stato. Per le altre classi deve essere garantito almeno il possesso dei requisiti minimi per frequentare la classe successiva». Facciamo poi chiarezza sulla questione “tutti promossi”: «Ogni studente verrà ammesso al grado successivo e i maturandi verranno tutti ammessi all’esame, ma coloro che frequentano le classi dalla prima alla quarta e hanno delle insufficienze, dovranno colmare le lacune con un piano di recupero straordinario, che il Ministro ha ipotizzato di far cominciare il primo settembre; allo stesso modo gli alunni di quinta accederanno alla maturità con un credito proporzionato ai loro voti». A tal proposito, Olivieri si è così espresso: «Il passaggio alla classe successiva è assicurato ma, se uno studente presentasse numerose insufficienze, a parer mio si ritroverebbe con un sovraccarico di lavoro non indifferente anche con il piano di recupero previsto; a meno che l’alunno non recuperi da solo, d’estate, il rischio sarebbe quello di ripetere l’anno a cui è stato automaticamente ammesso». Una sospensione così repentina delle lezioni ha colto alla sprovvista molte famiglie, che per svariati motivi talvolta non hanno potuto garantire ai figli la frequentazione dei corsi online. Le scuole, perciò, si sono impegnate a fornire agli studenti che ne avevano bisogno i mezzi necessari. «L’istituto Galileo Galilei ha messo a disposizione delle famiglie un modulo per fare richiesta di hardware e connessioni internet per chi ne fosse sprovvisto o per

Daniela Lazzaroni

Roberto Olivieri

dirigente del Liceo Galileo Galilei (e sez. Grattoni) di Voghera

dirigente dell’Istituto Faravelli di Stradella (el distaccamento Golgi di Broni)

chi non potesse utilizzare il proprio dispositivo – è un periodo anche di smartworking, perciò a volte uno o due devices per casa non sono sufficienti. Fino ad ora abbiamo consegnato 17 computer ai ragazzi, in un paio di casi anche ai colleghi, e a due situazioni particolarmente sfortunate abbiamo installato una connessione internet dedicata. Inoltre abbiamo collaborato con diversi gestori per mettere a disposizione una maggiore quantità di gigabyte». Olivieri dichiara invece che, per quanto riguarda Broni – Stradella, non ci sono stati problemi di connettività, ma la richiesta di dispositivi è stata maggiore: «Per la distribuzione dei PC e delle connessioni di rete, ho creato un questionario chiedendo: il numero di membri della famiglia, quanti di loro fossero studenti e quanti studiassero al Faravelli - in modo da procedere in ordine di priorità. Non ci sono stati problemi con internet, ma abbiamo consegnato in totale 35 computer. Da parte dei docenti non sono arrivate richieste». Entrambi gli istituti si sono mobilitati molto velocemente per iniziare al più presto le lezioni online, tuttavia il Faravelli è riuscito a convertirsi allo smartworking molto prima. Olivieri dice: «Questo perché, fortunatamente in questa sfortuna, avevamo precedentemente archiviato in uno spazio cloud la maggior parte dei documenti, per cui la segreteria era praticamente pronta a spostarsi al digitale, a cui ovviamente anch’io e i professori ci siamo adattati». Al Galilei, invece, la chiusura definitiva ha necessitato più tempo: «Gli studenti sono rimasti a casa dal 21 febbraio, ma la segreteria ha continuato a lavorare fino al 27 marzo, con la protezione di guanti e mascherine e due persone per ufficio molto distanziate tra loro. Ogni tanto è necessario anche controllare che i dispositivi continuino a funzionare e assicurarsi del buono stato degli edifici. Lavorare in queste condizioni è stato surreale ed estremamente pesante».

Sarà possibile, quindi, valorizzare appieno gli studenti che si accingono a lasciare la scuola superiore? Sia Olivieri che Lazzaroni si augurano questo, cioè che, indipendentemente dalla modalità di svolgimento dell’esame, venga usato il buonsenso e che il presidente non stravolga il lavoro della commissione, unico punto di riferimento saldo dei ragazzi. Il preside del Faravelli aggiunge: «Io stesso probabilmente ricoprirò questo ruolo in qualche istituto, e mi impegnerò ad essere il più accondiscendente possibile». Inoltre – i due dirigenti si trovano d’accordo – «La mancata esperienza dell’esame vero e proprio è una perdita piuttosto ingente dal punto di vista umano». Secondo Lazzaroni: «è un diritto per uno studente conseguire tutte le tappe del proprio percorso formativo. Ai maturandi mancherà un pezzo dell’esperienza delle superiori, perché si sono ritrovati di colpo a dover stare a casa da liceali, e verranno catapultati nella loro vita da universitari o lavoratori saltando il processo intermedio. L’importante sarà uscire indenni da questa situazione, ma mi auguro che le cose vadano per il meglio in modo tale da sostenere almeno l’esame in presenza». Olivieri sostiene: «L’esame per eccellenza, quello che spesso, da adulti, si ricorda con più nostalgia, è la maturità. è un rito di passaggio il cui valore risiede anche nei momenti di tensione, nelle ore di studio intenso, nell’adrenalina appena finito l’orale e nel sollievo che si prova una volta esaurite le prove; il tutto insieme ai propri compagni». Infine, un ringraziamento da parte di tutti e due i dirigenti va ai docenti, che si sono adattati in brevissimo tempo ai nuovi metodi didattici, ad insegnare senza avere davanti una classe ma una webcam, e stanno dando un enorme contributo nel tenere in piedi il sistema scolastico senza perdere il legame con gli studenti. di Cecilia Bardoni


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CODEVILLA, TORRAZZA COSTE

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«Distribuire il pane è diventato anche il “pretesto” per mantenere i contatti con alcune categorie particolari» Durante il periodo pasquale l’amministrazione comunale di Codevilla, guidata dal sindaco Marco Dapiaggi, ha messo in atto la distribuzione del “pane solidale”: in collaborazione con il Panificio San Francesco, colosso della panificazione industriale avente sede proprio nel paese dell’Oltrepò, due volte alla settimana (il lunedì e il venerdì) un gruppo di volontari si occupa di sfornare centinaia di pagnotte e di distribuirle a tutti i cittadini. È anche “l’opportunità per mantenere i contatti con alcune categorie particolari”, spiega il sindaco, cui abbiamo rivolto qualche domanda. Come ha preso vita l’iniziativa del “pane solidale”? «Tutto è nato da un’idea del Panificio San Francesco, che ci ha proposto di distribuire il suo pane ai cittadini. L’idea ci è subito piaciuta e abbiamo risolto in fretta alcune difficoltà provvedendo a trovare alcuni volontari che improvvisatisi panettieri, due volte la settimana, provvedono alla finalizzazione della cottura, all’insacchettamento e all’inscatolamento di quasi 500 pagnotte» Possiamo nominarli? «Certo: si tratta di Ivano Alini, Daniele Carega e Nicola Cozzi. Ormai sono affiatati, stanno lavorando molto bene. Iniziano alle 5 e mezzo di mattina, accendono il forno e iniziano a sfornare il pane. Tutta la logistica della distribuzione è stata un po’ da inventare, adesso ci siamo rodati e abbiamo cinque coppie di volontari che mi piace definite come “pattuglie automontate” formate da 3 membri della Protezione Civile di Codevilla e da alcuni volontari

Marco Dapiaggi, sindaco di Codevilla

che si sono messi a disposizione per coadiuvarci in questa iniziativa e riusciamo ad effettuare celermente a distribuzione che avviene tra le 9 e le 11, riuscendo a consegnare il pane ancora caldo. Qual è stata la risposta della cittadinanza? «La risposta è stata veramente soddisfacente i Codevillesi apprezzano il gesto. Ma vorrei precisare che il senso di questa iniziativa assume anche un valore altamente simbolico, perché questo alimento porta con sé memorie, valori, tradizioni che vanno oltre il semplice sfamare il corpo, perché il pane sfama anche lo spirito. Con questa iniziativa andiamo a porre l’accento proprio su questa sua peculiarità, ovvero essere allo stesso cibo e segno. In questi giorni di quarantena collettiva il messaggio che come amministrazione

vogliamo portare, grazie al contributo disinteressato del Panificio San Francesco, è proprio quello di condividere, di fare comunità, recandoci presso ogni famiglia, vogliamo sentirci tutti vicini gli uni agli altri, spingendoci al di la dell’idea che il pane sia semplice cibo, trovando nel contempo l’opportunità che cercavo per mantenere i contatti con alcune categorie particolari.» Per esempio? «A Codevilla ci sono, per esempio, tanti anziani che vivono da soli. Già all’inizio dell’emergenza mi chiedevo: come facciamo a mantenere i contatti con le persone più in difficoltà? Distribuire il pane è diventato quindi il “pretesto” per mantenere questi rapporti. Rispettando distanze, indossando le mascherine e i guanti. Mentre consegniamo il pane o lasciamo il pane sul muretto o sul davanzale, la persona si affaccia alla finestra, ci si saluta, le chiediamo se va tutto bene, se c’è qualche problema o commissione che possiamo fare per conto loro. Tutti quegli aiuti che già la Protezione Civile stava proponendo con il Centro Operativo Comunale, ma di cui magari non tutti avevano avuto notizia. Ipotizzo che qualcuno poteva sentirsi in imbarazzo nel chiamare per chiedere aiuto. Con l’occasione che ci viene data dal pane, invece, possiamo verificare sul campo la situazione, verificando di persona le condizioni di salute – ma anche quelle del morale – di queste persone. Trovare parole di sostegno è stato bello. Mi piace dire che questo insieme ad altre iniziative sono un modo di fare comunità.»

I volontari diventano panettieri «Provvedono alla finalizzazione della cottura, all’insacchettamento e all’inscatolamento di quasi 500 pagnotte» Oltre al pane, e oltre al vino (di cui parliamo a pag. 17 con Caterina Brazzola), sono stati distribuiti altri generi alimentari? Le colombe agli anziani, per esempio… «Le colombe sono state un’altra idea, venutaci qualche giorno prima di Pasqua. Avendone ricevute in donazione alcune ne abbiamo acquistate altre ed abbiamo pensato che potevamo distribuirle una ogni ultraottantenni ed anche a qualche altra famiglia che sapevamo essere in difficoltà economica. Insomma, anche le colombe hanno allietato la Pasqua di ottantacinque famiglie… il messaggio è proprio quello di voler essere vicini a tutti nei momenti di difficoltà. Settimanalmente distribuiamo anche la “spesa della solidarietà: alle famiglie in difficoltà economica consegniamo un sacchetto contenente generi alimentari di prima necessità, pasta, sugo di pomodoro, olio, pane, biscotti, barattolame, cibo in scatola. Proprio l’altro ieri ci sono stati donati quasi due quintali di riso, che nei prossimi giorni distribuiremo a chi ne ha davvero bisogno.»


CODEVILLA, TORRAZZA COSTE Sono state distribuite anche delle uova pasquali… «L’idea delle uova di Pasqua ci è stata proposta tempo fa dai membri della Giunta del Consiglio Comunale dei ragazzi. Ci è piaciuta e l’abbiamo realizzata per rendere omaggio ai bambini di Codevilla. Un uovo di Pasqua è solo un piccolo pensiero. Conscio che durante le pasque passate i bambini ricevevano dai famigliari numerose uova di cioccolato, inoltre, considerato che in questo periodo dove gli spostamenti sono limitati e che i pensieri sono sicuramente altri, al fine di far percepire anche a loro che la Pasqua stava arrivando, abbiamo acquistato e distribuito una novantina di uova di cioccolato ed è stato bello vedere i sorrisi dei bambini, dobbiamo ricordarci che anche loro patiscono per le limitazioni imposte non potendo correre, giocare, andare in bicicletta e avere interazioni sociali.» Altri interventi? «Ad oggi abbiamo distribuito più di tremila mascherine, da subito avendo percepito che l’esigenza dei cittadini era quella di poter avere dei dispostivi di protezione individuale, dei quali erano sprovvisti (dato che non si trovavano né in farmacia né in altri negozi), ci siamo attivati e siamo riusciti a trovare ed acquistare oltre migliaio di mascherine chirurgiche che abbiamo subito distribuito nel numero di due per famiglia, per tamponare almeno per 2/3 settimane le esigenze principali, come la spesa nel negozio di vicinato, per recarsi

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in farmacia o per uscire a sbrigare altre necessità. L’idea che da subito avevamo avuto era quella di trovare delle mascherine lavabili e riutilizzabili per fornire a tutti i Codevillesi una protezione superiore a quella delle classiche “tre veli” monouso e che non dovesse essere cestinata andando ad incrementare i rifiuti. Da una ditta del Bresciano che produceva abbigliamento tecnico, che ha riconvertito la sua produzione, abbiamo acquistato delle mascherine in ePTFE, un materiale molto simile al GoreTex, lavabili anche in lavatrice. Qualche giorno prima di Pasqua le abbiamo distribuite a tutti e quindi per un po’ di tempo ogni cittadino ha la sua dotazione personale. Fra l’altro ci sono stati alcuni problemi con la consegna, per questo motivo siamo andati noi a recuperarle dal fornitore. Recentemente ci sono arrivate altre mascherine di tipo chirurgico da Regione Lombardia, queste le stiamo distribuendo man mano che ci vengono richieste. Sabato ne abbiamo ricevute altre 1000 dalla Croce Rossa Italiana di Voghera, che abbiamo distribuito lunedì con il pane.» Anche a Torrazza Coste è avvenuta la distribuzione del pane solidale. Nel comune retto dal sindaco Ermanno Pruzzi, che si trova proprio a pochi metri di distanza dal panificio, la distribuzione è stata effettuata sabato 11 aprile, in occasione del Sabato di Pasqua. Unanimi i consensi, come ci racconta lo stesso sindaco: «È stata un’iniziativa molto interessante, sicuramente un plauso va fatto al Pa-

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«Un plauso va fatto al Panificio San Francesco che si è interessato a questa proposta»

Ermanno Pruzzi, sindaco di Torrazza Coste

nificio San Francesco che si è interessato a questa proposta. Per quanto riguarda il Comune di Torrazza devo dire che dalla popolazione abbiamo avuto dei riscontri molto positivi. Il pane è stato distribuito a tutte le famiglie del territorio. Un lavoro molto impegnativo.» Anche perché Torrazza ha un territorio molto esteso e svariati centri abitati… «Sì, abbiamo 11 frazioni. Fin dalle 5 del mattino sono iniziate le operazioni di panificazione, e poi ci siamo impegnati a distribuirlo su tutto il territorio.» Chi si è incaricato della distribuzione? «La distribuzione è stata effettuata grazie all’aiuto della Protezione Civile, degli Amici del 112, di alcun volontari e anche di consiglieri comunali.»

Il vostro comune si è impegnato anche nella distribuzione di pacchi alimentari alle famiglie più in difficoltà? «Sì, attualmente abbiamo 14/15 famiglie presso le quali portiamo pacchi alimentari. Si tratta di situazioni diverse, di famiglie che hanno basso reddito, non lavorano, o si trovano comunque in condizioni di disagio. Per quanto riguarda il contenuto dei pacchi cerchiamo di variarlo di settimana in settimana, per non portare sempre le solite cose. Anche in questo caso abbiamo avuto dei ringraziamenti, dei riscontri molto positivi. Aiutare le famiglie è una cosa che ci sta molto a cuore.» Qual è la situazione dei contagi nel suo paese? So che ad oggi sono stati registrati diversi decessi a causa del Coronavirus… «La situazione si è un po’ assestata per fortuna, non ci sono più stati nuovi decessi. Abbiamo ancora qualche persona ricoverata, due in particolare, che si trovano presso strutture di riabilitazione.» di Pier Luigi Feltri



VOGHERA

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«Noi dobbiamo ad Arbasino tutto quello che abbiamo avuto» Se ne è andato, poco dopo l’alba dei suoi novant’anni, Alberto Arbasino. L’ultimo dei grandi interpreti della lingua, della linguistica, delle lettere, della letteratura. Vogherese di nascita, del mondo cittadino. Viveva da tempo a Roma e chi ebbe a conoscerlo lo ritrae come un elegantissimo, raffinato, sornione, eclettico viveur. Tutte queste cose. Negli ultimi anni, un canuto viveur. Niente male. Mi sono chiesto, alle volte, cosa c’entrasse con le casalinghe. Cioè: il perché, ogni qual volta si parli di Arbasino, saltino fuori anche costoro. Una sbirciata a qualcuno dei parecchi coccodrilli? Ebbene: ça va sans dir, “de mortuis nihil nisi bonum” – e di nuovo, ça va sans dir, la casalinga non manca mai. È come una medaglia sul petto dello scrittore caduto. Ebbene: non mi sono dato una risposta. Da che nascono le fortune di siffatta locuzione? La “gita a Chiasso”, nessuno la va a riesumare. Pare: fuori dalla realtà. Perché, chissà. Di una cosa - e non è banale - sono certo: Arbasino, le casalinghe di Voghera e di ogni dove, le guardava con rispetto. Con garbo. E dire che, per alcuni, tale locuzione discenderebbe da Carolina Invernizio (altra vogherese), secondo altri da Beniamino Placido. Arbasino ne rivendicava la paternità. Noi non stiamo qui a far della glottologia: con tutto il rispetto per la glottologia, non vorremmo spaventare qualche casalinga: e ci fidiamo sulla parola, individuando in Arbasino il vero, se non l’unico, autore. Come è noto a Voghera, negli anni ’90, è stata fondata l’associazione delle casalinghe di Voghera. La presidente Paola Zanin, pochi giorni fa, ha voluto scrivere una lettera al Corriere della Sera per ricordare il compianto Arbasino. Mi ha fatto pensare alle lettere che Arbasino usava scrivere a vari giornali: i redattori, terrorizzati, le chiudevano nei cassetti, non essendo capaci di decifrarle. Ma, alla fine, non potevano non pubblicarle. La lettera della signora Zanin, invece, è stata pubblicata subitaneamente, e si è guadagnata la risposta di Aldo Cazzullo. La simpatica casalinga di Voghera ne è rimasta molto soddisfatta. Tornando ancora una volta alla ribalta della carta stampata. L’indomita, immortale “casalinga di Voghera / in attesa della corriera / con le sataniste di Mortara / e i fidanzatini di Novara”. Le abbiamo telefonato: ci sembrava giusto, se non farle le condoglianze, per lo meno ricordare insieme a lei i trascorsi con il padre letterario. L’occasione per questa intervista ci è data dalla recente scomparsa di Alberto Arbasino. Che ricordo ne ha? «Noi dobbiamo ad Arbasino tutto quello che abbiamo avuto. Ci siamo parlate,

quando abbiamo saputo la notizia della sua scomparsa, e ci siamo chieste cosa potevamo fare. Allora abbiamo telefonato ad Aldo Cazzullo, e abbiamo scritto una lettera al Corriere della Sera. Lui poi ci ha risposto, ci ha fatto tanto piacere. Peccato questa confusione per il Coronavirus, non c’è nemmeno la possibilità di capire dove sia stato sepolto… speriamo più avanti di saperlo, per un ultimo saluto.» Lei lo ha conosciuto personalmente? «Sì, qualche anno fa, parliamo del 2007. Un paio di anni prima però abbiamo scritto un libro e lo abbiamo presentato, allora gliene abbiamo mandato una copia. Lui ci ha risposto con una lettera, che ho incorniciato.» E cosa diceva nella lettera? «“Cara presidente, care casalinghe, grazie vivissime per i sapori e i profumi, così autentici, con i miei più vivi complimenti per la fedeltà ai ricordi migliori”. Bella eh! Poi, dicevo, nel 2007 era venuto a Voghera a presentare “Le piccole vacanze”, una ristampa. Insomma, hanno parlato tutti e poi alla fine hanno chiesto se qualcuno voleva fare qualche domanda. Io ho alzato la mano e gli ho chiesto: “Che ne pensa adesso della casalinga”?» E lui? «Rispose: “Guardi, anzitutto vi seguo sempre e sono informato sulle vostre iniziative. Poi la casalinga di Voghera è all’avanguardia, diffida delle cose. Poi guardate, vi dedicherò un… rap”!» I suoi versi simil-rappeggianti erano saliti alla ribalta proprio pochi anni prima. Lei sa dirmi come nacque il termine “Casalinga di Voghera”? «L’idea gli venne pensando alle sue zie di Voghera. Che lui vedeva come le classiche donne lombarde, e diceva: loro valutano tutto bene. Poi lo stesso Arbasino e poi anche Beniamino Placido ci hanno ricamato sopra, e la “casalinga di Voghera” è diventata emblematica. Comunque lui si riferiva alle zie. Lì è cominciata la storia.» Mi dica, invece: perché la locuzione “casalinga di Voghera” continua a godere di questo successo di popolo, dopo così tanti anni? «Anche io mi meraviglio. Eppure resiste. Porto l’esempio di quello che mi è successo di recente: a fine gennaio mi telefona la giornalista di un mensile prestigioso, “La cucina italiana”. Questa signora mi ha detto: “Ho sentito che avete fatto tante cose, vorremmo venire a Voghera a trovarvi”. Va bene. “Però dobbiamo vederci in una casa, dovreste cucinare”. Ci siamo messe d’accoro e sono venuti il 6 febbraio, la giornalista e fotografo. Le devo dire: due ottimi professionisti, poi la copertina del giornale mi è piaciuta molto. A noi avevano detto di trovarci in 4 o 5,

Paola Zanin,, presidente associazione delle Casalinghe di Voghera non di più. L’articolo è stato pubblicato poi a marzo.» Ora ci deve svelare in cosa è consistito il pranzo della perfetta casalinga. «Come antipasti: il salame di Varzi, la mostarda di Barbieri e una caciotta di Cavanna. Di primo, gli agnolotti col ripieno di stufato. Poi di secondo la trippa in umido. Per dolce, oltre alla torta Paradiso, la buséla, il dolce tipico che si fa per Natale, tutto fatto da noi.» La buséla, certo: il biscottone a forma di ometto. «Solo che lei (la casalinga che ha preparato la bùsela, ndr) ha fatto il papà e la mamma e poi il bambino e la bambina. I nonni le avevano lasciato questi stampi. Insomma, è piaciuto tutto, guardi il giornale, che titolo: “Le casalinghe di Voghera esistono davvero e noi siamo andati a trovarle. Mangiando bene. Abbiamo conosciuto un gruppo di signore orgogliose e piene di voglia di fare”. È stato un bell’evento. Poi quest’anno ne sono successe di cose, a cominciare da Aldo Cazzulo che ci ha ringraziate… E dopo una settimana è arrivato anche Aldo Grasso su Sette. Sa, il settimanale del Corriere. Ha scritto: “Casalinga di Voghera, tu vivrai”. Poi parla di Arbasino e tutto il resto, ci hanno messo anche la foto della statua.» Credevo fosse una vicenda chiusa! Ma in effetti la è, la statua è… scomparsa, e non la tireremo fuori certo oggi. Ma mi diceva di Aldo Grasso… «Alla fine dice: ci sarebbe anche Carolina Invernizio, che era stata avvicinata alla “casalinga di Voghera”, ma solo Arbasino l’ha resa un archetipo sociale, di cui ancora oggi non possiamo fare a meno. Ci ha fatto piacere leggerlo. Ma già altre volte Aldo Grasso ci aveva citate.» Si vede che siete simpatiche! «È che adesso siamo un po’ tutte invecchiate. Una cosa bella: nel 2010, mi aveva telefonato Francesco Cevasco, “Signora

mi è stata segnalata da Arbasino ed Emiliani, vorrei farle un’intervista” che infatti poi è stata pubblicata… insomma, sentire parlare di nomi così… sono nomi importanti.» Mi racconti dei vostri inizi. «Noi abbiamo cominciato nel ’96, come associazione. All’inizio partite con quello che si poteva fare, chiamavamo gli esperti perché pensavamo: dobbiamo sapere che cosa fanno, dobbiamo capire. Per esempio avevamo chiamato l’ingegner Bina dell’ASM per farci spiegare come funzionavano le acque pubbliche e l’igiene urbana, per saperne qualcosa in più. Poi incontri inerenti alla salute… insomma, per farla breve, quando ci veniva in mente qualcosa che volevamo sapere chiamavo qualche esperto che conoscevo e organizzavo un incontro. Certo in questi anni ho avuto l’opportunità di conoscere tante persone…» Anche personaggi famosi. «Quando sono andata a Milano al Castello, per una manifestazione della Coldiretti, ho conosciuto Renzo Arbore. Ci hanno presentati; quando mi ha visto, lui mi ha messo le mani sulle spalle, e mi ha chiesto: “Ma è proprio vera? È proprio lei?” E poi ci siamo messi a parlare, mi ha raccontato che anche lui, a Roma, va a visitare i mercatini, un po’ come facevamo noi quel giorno lì. Ho conosciuto anche Vittorio Emiliani. Poi mi piace molto partecipare alle presentazioni dei libri.» Senta, in conclusione volevo chiederle una confidenza. So che la sua torta Paradiso è speciale e molto famosa. Le volevo chiedere, se può, dirmi qual è il segreto della sua ricetta. Non mi dirà che le casalinghe hanno dei segreti… «Il segreto è che la mia è più soffice. Ma il perché è un segreto.» di Pier Luigi Feltri



CODEVILLA

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Movimento Turismo del Vino «Cercare di non sparire e coltivare i contatti» Caterina Brazzola è la titolare, insieme alla sorella Giovanna, dell’azienda Montelio di Codevilla. Una cantina fra le più storiche dell’Oltrepò, che ha cercato nell’innovazione digitale la risposta alle sfide che questo momento di crisi comportano. Senza dimenticare, tuttavia, il rapporto diretto con i consumatori, soprattutto locali. Su questo aspetto la risposta dell’azienda si è concretizzata, per esempio, nella distribuzione gratuita di una bottiglia di spumante a tutti gli abitanti di Codevilla, in occasione delle festività pasquali. Un gesto che definiremmo di grande generosità, più che di marketing. E, difatti, apprezzatissimo da ogni parte, proprio perché sincero. Caterina Brazzola è anche presidente del Movimento Turismo del Vino della Lombardia. Come si legge sul sito internet dell’associazione (fondata nel 1993), “il Movimento Turismo del Vino è un ente non profit e annovera circa 900 fra le più prestigiose cantine d’Italia, selezionate sulla base di specifici requisiti, primo fra tutti quello della qualità dell’accoglienza enoturistica. Obiettivo dell’associazione è promuovere la cultura del vino attraverso le visite nei luoghi di produzione. Ai turisti del vino il Movimento vuole, da una parte, far conoscere più da vicino l’attività e i prodotti delle cantine aderenti, dall’altra, offrire un esempio di come si può fare impresa nel rispetto delle tradizioni, della salvaguardia dell’ambiente e dell’agricoltura di qualità.”. Il Movimento si è reso particolarmente noto in questi anni per diverse iniziative che hanno riscosso successi non trascurabili. Due su tutti: “Cantine aperte” e “Calici di stelle”. Si tratta di eventi diffusi, ossia che si svolgono nelle varie cantine aderenti all’associazione. In Oltrepò Pavese sono parecchi gli aderenti; e molti dei nostri lettori avranno avuto modo di parteciparvi, sperimentando la formula che conduce a

do e quanti riapriranno. Sicuramente la mancanza di tutta quella fascia si fa sentire. Poi ci siamo attrezzati con alcune piattaforme come Divinea per proporre piccole degustazioni in videoconferenza, abbiamo proposto sui social dei piccoli spot… anche quello non sembra ma aiuta, anche perché le persone, essendo a casa, hanno magari Caterina Brazzola, presidente del più possibilità per Movimento Turismo del Vino della Lombardia un’occhiata a quello che facciamo. Un modo per mantenere visitare la tenuta fin nel proprio intimo; e vivo l’interesse per il movimento. E siamo che coinvolge, spesso e con piacere, altri riusciti a spedire del vino anche in Giapproduttori di tipicità del territorio e non pone...» solo, che partecipano con i loro banchetti, Beh, un bel messaggio di speranza, in un ospiti nelle cantine, alle giornate di festa. momento certo non facile anche per chi Certo è che nel periodo venturo queste esporta. formule, così apprezzate dai visitatori, «Devo dire che è il carico è partito trandovranno subire alcune modifiche, deterquillamente, ma ci sono grossi problemi minate dalla situazione contingente. Queper chi fa tanta esportazione, chi lavora sto non significa che le cantine staranno a soprattutto con Stati Uniti e Cina: come guardare: anzi. chiudono i ristoranti qui, chiudono anche Caterina, come ha reagito la vostra lì. È stata ed è una situazione pesante. Ma azienda a questa crisi? Fra le varie inila situazione è la stessa un po’ in tutto il ziative, so che vi siete organizzati per mondo: quando si ripartirà, bisognerà farlo effettuare consegne a domicilio, con il in maniera corale.» vostro furgone. Che si aspettano i produttori del suo «La consegna a domicilio è stata la cosa comparto da parte degli organi di gopiù immediata da fare, perché avevamo verno? già una certa fetta di clientela privata. Ov«Uno degli aspetti grossi su cui interveniviamente le consegne non le facciamo pare sarebbe la semplificazione: ci riempiogare, sarebbe assurdo in questo momento. no tutti giorni di decreti e decretini; non Devo dire che questo servizio sta funziosi riesce a capire cosa si può fare e cosa nando. Anche perché le persone mangiano no. Anche gli interventi che stanno pubblia casa, quindi si sono mantenute le posicizzando: sicuramente dovrebbero essere zioni. Quello che attualmente manca è la rivisti in maniera diversa, molto più snelparte di piccola e grande distribuzione, i la. In situazione del genere non adeguato bar, i ristoranti… bisognerà vedere quan-

complicare le cose.» E dalla (si spera prossima) ripresa delle normali attività? «Le aspettative sono legate alla speranza che si riesca a ragionevolmente capire come funziona questo virus e cosa si possa fare per limitarne la diffusione. Si stanno studiando diversi vaccini, ma finché non avremo qualcosa di concreto non credo si potrà tornare a quello che si faceva prima. Per il tipo di mercato che riguarda noi penso ci vorrà parecchio tempo perché si possa ripartire completamente. Noi lavoriamo tanto sul turismo, e temo che la situazione sarà difficile per molto tempo. Forse è anche giusto così. Non vuol dire essere tragici, voglio essere realistici.» Lei è anche presidente del Movimento Turismo del Vino della Lombardia. Le chiedo: state già ipotizzando a come occorra ripensare l’offerta enoturistica per il post-lockdown? «L’idea sarebbe quella, quando si sarà riaperto, di organizzare piccole visite guidate, per esempio gruppi di 10 persone ogni 2 ore, su prenotazione. Mantenendo quelle che sono le sicurezze e le distanze adeguate. Sicuramente con le visite in campagna possiamo essere abbastanza tranquilli, ma per sedersi in sala degustazione ci vuole un certo grado di sicurezza. Anche per quanto riguarda il Movimento, in questo momento, sono in molti a essersi organizzati, con dirette via social, con piccole trasmissioni. Sono strumenti utili per mantenere l’attenzione sul Movimento. Anche piccole degustazioni in rete: le stanno facendo un po’ tutti, e anche per le nostre cantine è importante tenere coinvolto il consumatore. Cercare di non sparire, coltivare i contatti. E adesso per lo meno siamo fortunati, perché i mezzi per comunicare ci sono: un tempo sarebbe stato ancora più difficile.» di Pier Luigi Feltri


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«L’industria in Oltrepo è solida, subirà i contraccolpi della crisi, ma non vedo pericoli per l’occupazione» Un curriculum vitae davvero infinito... Laureato presso l’Università di Pavia in Medicina e Chirurgia, specialista in Medicina del Lavoro ed Igiene, Medicina Preventiva-Sanità Pubblica, dal 1995 al 2004, per due tornate consecutive, è stato Sindaco di Rivanazzano Terme. Dal 2001 al 2006 Senatore della Repubblica Italiana, XIV Legislatura. Dal 2006 al 2008 Deputato al Parlamento, XV Legislatura e Capogruppo della XI Commissione Permanente – Lavoro pubblico e privato. Membro del Comitato Schengen, dal 2012 al 2013 è di nuovo Deputato parlamentare, mantenendo l’incarico della suddetta Commissione. E questo ne è solo un sunto... Autore di svariate pubblicazioni a riguardo Medicina del Lavoro, e di 3 Manuali, la sua attività nel settore continua incessante ai massimi livelli, tra Ministeri, Associazioni e tante Aziende, molte note a livello nazionale ed internazionale, e diverse, anche, del nostro Territorio. Abbiamo contattato il Dott. Luigi Fabbri. Emergenza sanitaria mondiale: quale la sua sensazione e visione? «Questa è una “domandona”! L’uomo è uguale a tutte le latitudini: noi abbiamo sottovalutato ciò che stava accadendo in Cina; Inghilterra, Francia e Germania hanno sottovalutato quello che stava accadendo da noi. Trump ha sottovalutato quello che sta accadendo in Europa. Tutti quindi ci siamo mossi in colpevole ritardo (ma è facile dirlo col senno di poi). Pagheremo tutti con un numero elevato di vittime, e gli U.S.A. più di tutti. Dalla Cina veniamo a sapere adesso che i morti sono molto di più di quelli dichiarati “ufficialmente”. Ci sarà una crisi economica la cui gravità è tutta da definire, ma mi domando come sia

Luigi Fabbri, specialista in Medicina del Lavoro ed Igiene, Medicina Preventiva-Sanità Pubblica

possibile pensare che sistemi economici così avanzati possano subire una crisi così grave come le Cassandre di turno amano preconizzare... Le guerre mondiali sono durate cinque anni ognuna, e le economie di quelle epoche non erano lontanamente paragonabili a quello che siamo oggi. Può uno stop di tre mesi, più altri due, forse tre, probabilmente, per far ripartire gradualmente la produzione, scatenare una crisi così grave?! Spero di no!

Certo, tutti ci rimetteremo qualcosa, ed i più deboli pagheranno di più... Certi settori economici subiranno una crisi enorme: penso al settore turistico-alberghiero, primo fra tutti nel nostro Paese... ma per moltissimi settori la ripresa, pur con sacrifici, non avrà tempi lunghissimi». Come considera l’attuale operato di Governo, sia Regionale sia Centrale? «Come ho detto prima, è facile, col senno di poi, criticare. In un paese democratico,

il processo decisionale non è snello: da noi, poi, è complicato anche dalla presenza di una burocrazia, a tutti i livelli, che non aiuta. Però... un po’ più di coraggio al Governo Centrale avrebbe consentito di chiudere tutto prima. Per intenderci, quando ha chiuso le scuole, ad esempio. Il Sindaco di Milano, che oggi chiede scusa ammettendo i suoi errori, a Febbraio, con i suoi aperitivi e lo slogan “Milano non si ferma! Milano va avanti!“, sicuramente non ha contribuito al rallentamento della diffusione del virus. Per non parlare delle immagini delle carrozze del metrò con la gente stipata come a Tokyo con l’Italia già in quarantena! Sul Governo Regionale è cascato un lavoro enorme: potevano dichiarare Alzano, Bergamo e la Val Seriana “zona rossa” una settimana prima; che ci fosse un focolaio era evidente... e forse hanno tentennato sulla spinta di interessi economici forti in quelle zone. La Regione, comunque, non è stata supportata come si sarebbe dovuto, neanche nelle forniture dei dispositivi, o dei respiratori. Qualcuno ora mette in dubbio l’eccellenza del Sistema Sanitario Lombardo, e questo sarà un tema del dibattito politico che si svilupperà, finita la crisi». Da esperto del mondo del lavoro, quali perdite, quali possibilità di rinascita/ ripresa, quale futuro: sarà un cambiamento mondiale epocale? «L’Industria manifatturiera avrà perdite, ovviamente, soprattutto perché la crisi è globale ed i nostri partners commerciali sono nei guai come noi. Niente, però, che non si possa rimediare negli anni a venire, soprattutto se lo Stato saprà intervenire nei tempi e nei modi necessari.


RIVANAZZANO TERME L’Artigianato, con settori già in crisi come l’edilizia, rischia di perdere parecchie imprese... idraulici, elettricisti, etc. E qui, le Associazioni di Categoria devono fare un grande lavoro, con lo Stato, per garantire la sopravvivenza di quelle che nel frattempo sono riuscite a sopravvivere. Analogamente, il Commercio, per quanto riguarda quei settori che non sono potuti rimanere aperti come l’alimentare, e sono numerosissimi... legga, gli studi professionali, ad esempio, subiranno qualche ripercussione dalla chiusura di molte attività artigianali e commerciali. L’Agricoltura apparentemente è più pronta per la ripresa, non avendo interrotto del tutto la propria attività. Ma adesso è in crisi per la prossima raccolta di grano, pomodori e frutta. Ed infine credo che tutti siamo a conoscenza del dramma del settore turistico alberghiero, organizzazioni, congressi, cinema, bar, teatri...». Si poteva fare qualcosa di più agli inizi? «Si poteva fare di più, ma lo diciamo oggi. C’è chi ha minimizzato perché ha pensato che “noi non siamo la Cina”: sul web sono comparsi sproloqui, come quello di Vittorio Sgarbi, che derubricava il fenomeno ad “inluenzetta”, così come altri “autorevoli”opinionisti nelle loro comparsate alla TV. Qualcuno è stato timido, come il sindacato che invece oggi è molto attivo sul tema, ed il Governo sicuramente poteva fare di più. Le associazioni di categoria hanno badato ai loro interessi fino all’ultimo. I sindaci “smarriti” in attesa di direttive ed i Presidenti di Regione attenti a non entrare

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in conflitto col Governo, anche se poi più di un Presidente in contrasto ci è andato. Anche questo fatto della concorrenza dei Poteri tra Stato e Regioni in tema di sanità sarà argomento di dibattito politico, finita l’epidemia, perché qualche crepa si è aperta dal punto di vista dell’organizzazione dei servizi». Il Governo Centrale avrebbe, secondo lei, dovuto preferibilmente fare un passo indietro ed affidarsi ad esperti delle emergenze? «Il Governo avrebbe sicuramente dovuto affidarsi di più agli esperti, agli scienziati. è chiaro che i tecnici danno un parere, che per quanto autorevole, deve essere filtrato dalla politica che deve decidere. Ma il Governo non ha mostrato compattezza, è stato titubante nelle decisioni per la paura di scontentare... e così ha perso di vista l’unico obiettivo che doveva perseguire: arginare il contagio. Un’annotazione: Il Ministro della Salute è stato il grande assente in questa vicenda: non si è mai visto!». Cosa e come chiedere aiuto all’Europa? «è un tema in corso di svolgimento. Il Governo sta perseguendo l’unica strada percorribile, in questo seguito dalla Francia e da tre quarti d’Europa. Unici avversari Germania, Olanda ed Austria. Non basta abolire i vincoli di bilancio come l’Europa ha già fatto, e ci mancherebbe...! Occorre potere utilizzare il fondo SalvaStati della Zona-Euro, il Mes, ed i fondi della Banca Comunitaria, la BEI, Banca Europea per gli Investimenti, da parte dell’Italia e degli altri paesi colpiti dall’epidemia.

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«Il turismo, che sarà il settore che uscirà peggio da questa crisi, da noi è in crisi da un pezzo: ne sono emblema le Terme di Salice». Si stima siano necessari mille miliardi di euro per aiutare tutti gli stati membri: all’Italia potrebbero arrivare 36 miliardi dal solo fondo Salva-Stati. Ed altri dalla BEI. Ci sarebbero gli Eurobond, ma la vedo dura scontrarsi su un tema così... divisivo, che potrebbe portare alla fine dell’Europa». Qual è la sua personale previsione per il nostro territorio oltrepadano? «Che dirle... che non ci siamo già detti in altre chiacchierate... Noi siamo il sud della Lombardia, e l’Oltrepo è ancora più “sud”, con tutte le accezioni positive e negative che questa definizione può avere. Il turismo che, come abbiamo già detto, sarà il settore che uscirà peggio da questa crisi, da noi è in crisi da un pezzo: ne sono emblema le Terme di Salice. Andavano molto bene le Terme di Rivanazzano, ma questa chiusura le azzopperà. Agli operatori turistici delle nostre colline

e montagne facciamo tanti auguri di cuore, ma la maggior parte delle persone rinuncerà, o quasi, ad andare in vacanza, oltre che per motivi economici, anche per paura. L’industria in Oltrepo è solida, non numerosa ma solida: penso a Valvitalia, Bormioli, Cifarelli, Decsa, Piber e Brambati, solo per citarne alcune... subirà i contraccolpi della crisi, ma non vedo pericoli per l’occupazione. Discorso più complicato per l’artigianato, perché molte piccole imprese artigiane per sopravvivere saranno costrette a lasciare “a casa“ qualcuno, temo. Speriamo che le Associazioni di categoria e lo Stato trovino con le banche strumenti utili per la loro ripresa. L’agricoltura in Oltrepo è l’attività più importante e andrà sostenuta, come ho detto prima, più di quanto non sia stato fatto fino ad ora». di Lele Baiardi



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«Stiamo ricaricando le pile per quando tutto sarà finito e le coppie torneranno ad organizzare i loro matrimoni» Matrimonio ai tempi del coronavirus: meglio rinviarlo? Per chi vuole festeggiare con una cerimonia in grande stile, la risposta è sì. Lo consigliano gli esperti del settore, soprattutto a coloro che hanno fissato le nozze in primavera. I wedding planner suggeriscono di spostare la data del lieto evento, di fare in fretta a riorganizzare, poiché in tanti penseranno di far slittare il matrimonio nel periodo in cui si allargheranno le maglie delle restrizioni. La prima cosa a cui pensa una futura sposa è l’abito e di solito la scelta viene effettuata con largo anticipo. Abbiamo intervistato Beatrice Bina dell’Atelier “Mondo Sposi” di Rivanazzano, punto di riferimento nel settore abbigliamento sposi dell’Oltrepò pavese . A partire dal prossimo mese inizia il periodo in cui si celebrano solitamente molti matrimoni ma la situazione di emergenza attuale ha sconvolto tutti i programmi dei futuri sposi. Il vostro atelier, come tutti i negozi è chiuso da più di un mese, com’è la situazione per quanto riguarda l’ abbigliamento sposi e cerimonia? «Noi abbiamo deciso di chiudere il nostro punto vendita nel mese di Marzo ancora prima dell’ordinanza emessa dal Governo. L’abbiamo fatto consapevoli dei rischi che avremmo potuto correre sia noi che la nostra affezionata clientela. Il nostro lavoro comprende spesso una alta “fisicità”; è nostra abitudine e consuetudine aiutare nella prova degli abiti le nostre clienti per via degli ingombri degli stessi e per meglio personalizzare un capo adattandolo alle misure di chi lo andrà ad indossare . Come dicevo il nostro atelier è chiuso da settimane, tutto al suo interno è rimasto fermo e immutato.

Beatrice Bina, titolare dell’Atelier “Mondo Sposi”

Per quanto ne sappiamo, i nostri colleghi - competitors hanno seguito la stessa procedura un po’ in tutto il nord Italia, nello stesso nostro modo, ovvero a malincuore e con un grande punto di domanda sulla piega che le cerimonie di questa stagione avrebbero preso. In generale, posso affermare tranquillamente che, come tanti altri settori, il nostro funziona come una sorta di catena di montaggio, siamo fermi noi come punti di vendita dell’abbigliamento e cerimonia ma anche tutto ciò che è necessario il giorno del “sì” quindi le locations, i catering, le

produzioni video e via dicendo». Quali sono le maggiori difficoltà che vi trovate ad affrontare in questo periodo? «Sicuramente le maggiori difficoltà che stiamo incontrando sono a livello psicologico perché è tutto fermo, siamo come in una grande bolla. Stiamo anche tranquillizzando i nostri clienti che ci chiamano dubbiosi sul da farsi. Ci siamo trovati da un giorno all’altro con uno stop di richieste nel pieno del periodo. Non essendo autorizzati non possiamo neanche entrare in negozio e metterci già a lavorare per il futuro. Le aziende, le case madri produttrici di abiti da sposa, sposo e cerimonia non sono ferme. Sono state costrette a rivedere la loro impostazione di lavoro ma la produttività va avanti. Le tempistiche sono garantite. Ovviamente ciò che cambia sono le spedizioni a nostro favore, che sono bloccate, ma gli abiti ci sono e sono pronti per essere recapitati ai rivenditori autorizzati. Possiamo solo dire che stiamo ricaricando le pile per il periodo in cui tutto sarà finito e le coppie torneranno ad organizzare i loro matrimoni. Mi sento di assicurare che faremo, se necessario, l’impossibile per rispettare gli impegni che abbiamo preso». Che servizi offrite alle coppie che hanno dovuto “congelare” la data delle nozze? «Noi cerchiamo di offrire alle coppie che sono state obbligate a congelare la data delle nozze la completa trasparenza e collaborazione. Siamo trasparenti assicurando che gli abiti e tutto ciò che è stato prenotato nei mesi precedenti sia a loro disposizione nel momento del bisogno. Collaboriamo garantendo la maggior flessibilità possibile in tema di tempistiche richieste e variazioni dell’ultimo momento».

Quando prevedete che la situazione possa tornare verso la normalità? «Ci auguriamo che il nostro settore possa ripartire entro maggio e quindi speriamo che si vada verso la normalità per giugno. La maggior parte dei matrimoni è programmata nel periodo estivo, specialmente durante il trimestre giugno - settembre. Ribadisco che appena tutto tornerà alla normalità, con le dovute precauzioni, torneremo a lavorare spinti dalla stessa passione di prima». Le coppie di solito programmano le nozze con più di un anno di anticipo e sono solite venire in atelier per visionare gli abiti e tutto quanto serve per la cerimonia. Ora siamo bloccati in casa. Se una futura sposa, avendo tempo, volesse avere qualche idea in merito, trova vostre proposte on-line? «Per quanto riguarda le coppie che stanno già sognando di organizzare le nozze durante il 2021, prima di tutto consigliamo loro di iniziare a fare una visita o un tour all’interno del nostro atelier, appena sarà garantito farlo ovviamente, in modo che possano già capire che stile dare al loro matrimonio. In questa quarantena invece, comodamente da casa è possibile, sia per le future spose ma anche per gli sposi e tutti i loro invitati, visionare sul nostro sito Internet tutto l’assortimento dell’ atelier Mondo Sposi. Mi preme aggiungere che proprio in momenti difficili come questi di certo l’antidoto migliore per combattere la tristezza è sognare. Sognare il giorno più bello della vostra vita». di Gabriella Draghi



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Salice Terme, «La situazione è e sarà pesantissima» Rivanazzanese, 72 anni portati con grande smalto, si è diplomato Geometra, in gioventù, ma da sempre, in rispetto al prestigioso cognome anche, sinonimo di successi in terra oltrepadana ed oltre nei decenni, è imprenditore nel settore turistico e del divertimento, più in generale. Abbiamo raggiunto Franco Santinoli. Emergenza pandemica mondiale: quale la sua sensazione e visione? «Sono, come tutti, in casa e naturalmente sento in TV tutto ed il contrario di tutto. Credo che nessuno al mondo sappia in effetti affrontare il problema con certezza e, di conseguenza, avere soluzioni immediate. Certo alla fine di tutto, sarebbe opportuno che ONU o chi per esso facesse un’ analisi mondiale seria sull’accaduto dandone, se possibile, responsabilità a chi di dovere..». Il mondo imprenditoriale è praticamente bloccato, in maggioranza: quali effetti, in ricaduta generale, teme per il prossimo futuro? «Anche in questo caso, ognuno esprime le proprie opinioni: aprire le aziende, ed inevitabilmente aumentare a dismisura il numero dei decessi, ma salvare per quel che si può l’economia. O rimanere chiusi ed affossare tutto». Le sue attività in Salice Terme, cioè La Buca, il Lido e l’Hotel Clementi, sono interamente basate sulla, chiamiamola, “libertà di circolazione della popolazione”: teme ne soffriranno anche “come scia”, in caso di prossima riapertura estiva? «Non essendovi precedenti è difficile fare previsioni. Per la verità mio papà, che face-

«Mio papà, mi raccontava che alla fine dell’ultima Guerra la popolazione, pur essendo in gravi difficoltà economiche, aveva voglia di svago e di divertimento»

Franco Santinoli con la figlia Valeria

va il mio stesso lavoro, mi raccontava che alla fine dell’ultima Guerra la maggior parte della popolazione, pur essendo in gravi difficoltà economiche, aveva voglia di svago e di divertimento, ma... credo che oggi si dovranno affrontare momenti ancora più duri e più tristi... Per quello che riguarda la mia attività attuale, e per quelle che ho seguito in passato che sono per la maggioranza situate in Salice Terme, la situazione è e sarà pesantissima. Salice vive, o meglio dire viveva, di due anime: una turistica mirata ad una clientela non giovane collegata al termalismo che è morta e sepolta, a mio parere, già da qualche anno prima che le Terme di Salice fallissero, affossando con se la gran parte delle strutture alberghiere

e strutture collegate; adesso, la già difficile situazione, con l’arrivo di questa pandemia, è a mio parere agonizzante. Tutte le prenotazioni di privati, gruppi, congressi, etc. sono azzerate. Quando si potrà ripartire, si vedrà... Ed anche per l’altra anima turistica di Salice Terme, quella mirata ad un pubblico sia diurno con piscine, sport vari, etc., sia serale, riferito a dancing, discoteche, pub, disco bar... nessuno sa quando e come si potrà ripartire. E quale, in quel momento, sarà l’umore e la voglia del pubblico». Si poteva fare qualcosa di più agli inizi, intendo dal punto di vista politico e/o governativo? «Non voglio esprimere giudizi in merito: già si sprecano le troppe opinioni di illustri personaggi amanti dei Social». Il Governo avrebbe, secondo lei, dovuto, o potuto, preferibilmente fare un passo indietro ed affidarsi ad esperti delle emergenze?

«Sì, se ci fossero esperti certificati, ma... dove sono? Sinceramente non mi ricordo un politico con l’umiltà di fare un passo indietro davanti a situazioni per lui ingestibili...». Le associazioni di categoria alle quali fanno riferimento le sue attività stanno rispondendo in maniera adeguata all’emergenza, a suo parere? «Non ho notizie in merito. Posso solo dirle che alcuni operatori con coscienza hanno deciso di chiudere i battenti ancora prima dei vari decreti, forse arrivati troppo tardi, per salvaguardare il proprio personale e le loro famiglie» Qual è la sua personale previsione per il nostro territorio oltrepadano? «Si dovrà ripartire a fatica, con gran forza d’animo e soprattutto tanto coraggio. Ma prima di parlare di “fare sistema” o simili, ognuno dovrà curare il proprio orticello». di Lele Baiardi


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GODIASCO Salice terme

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«In ferie a Salice Terme per colpa del Covid-19» Nato a Voghera, classe 1994. Residente nel Comune di Godiasco-Salice Terme, si laurea nel 2018 presso il D.A.M.S. (Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) a Bologna, inseguendo e realizzando quelle che sono state le proprie passioni sin dagli anni dell’adolescenza, ovvero: musica, teatro, letteratura, arti figurative e, soprattutto, cinema, materia sulla quale si è maggiormente concentrato. E filosofia, che auto-definisce come “la mia croce”. Partito i primi di Marzo scorso alla volta di Hollywood, Los Angeles – California, Stati Uniti d’America, alla ricerca di ulteriore esperienza, si è visto costretto “ad una ritirata” causa emergenza sanitaria. Ci racconta la sua esperienza anche se breve Haikel Amri. La prima domanda che voglio rivolgerle è, probabilmente, scontata: cosa l’ha portata ad optare per questo trasferimento? «Guardi, non è una domanda per nulla scontata, in virtù degli eventi... La mia prima destinazione alla ricerca di esperienze nel settore cinematografico, mesi or sono, è stata Roma, la Città Eterna dell’Arte e del Cinema Italiano. Era questa la scelta iniziale per la mia carriera lavorativa. Avevo giò pianificato la partenza per Martedì 4 Febbraio, ma... nella notte di sabato 1 Febbraio ho incontrato, davvero con sorpresa, l’amica liceale Marta Aramini, che non vedevo da tempo. Conoscendomi e conoscendo le mie passioni, è stata lei, al termine della narrazione del mio imminente trasferimento capitolino, a propormi di condividere l’appartamento in Los Angeles dove vive

Haikel Amri, all’eroporto desero di Parigi al suo rientro dagli States

con il compagno Rodolphe, conosciuto in Erasmus a Strasburgo. Dopo una telefonata durata fino all’alba con un amico dalle grandi, grandissime esperienze, alle 6.30 avevo già deciso che l’avrei richiamata e non mi sarei fatto scappare l’occasione! Esattamente un mese dopo, il 4 di marzo, ero dall’altra parte del mondo...». Che impressione le ha dato Los Angeles, la sua atmosfera, la sua vita... «La prima impressione per i “Fresh-off of the Boat”, così vengono qui definiti quel-

li come me appena sbarcati, è di essere spersi in una giungla di asfalto. Le macchine sfrecciano veloci per strade enormi, tutto è più... grande “del normale” per un europeo. Automobili di grossa cilindrata, strade a minimo 4 corsie, spiagge e parchi sterminati. Insomma, nulla è a misura d’uomo. è impossibile “camminare”: qui ti serve sempre un’automobile. Ma ancor più che l’impatto visivo e spaziale (lo spazio è sempre una costante in abbondanza), l’energia delle persone è... differente.

La sensazione è di poter essere partecipe in qualunque momento di qualsiasi cosa accada. Ed è più di una sensazione: sembra proprio che possa accadere qualsiasi cosa in ogni momento! Non si possono fare piani o programmi, nemmeno la mattina prima di uscire di casa. Credo che questa sia la cosa che ho amato di più da quando sono sbarcato». Com’è cambiata Los Angeles dal suo arrivo, considerando il tragico momento storico? «Alla metà di Marzo tutto è cambiato. In maniera graduale, ma molto rapida. Le persone hanno cominciato a tenere le distanze, prima e poi, nel giro di pochi giorni, si sono auto-isolate. Ognuno stava nella propria abitazione, ancor prima che il Governo annunciasse lo stato di emergenza. Le attività hanno chiuso ogni tipo di servizio, fino a lasciare solo il “Delivery” (consegna a domicilio, n.d.r.) per beni di qualsiasi ordine, dagli alimentari agli alcolici, ai tabacchi, etc. Uscire e vedere Los Angeles deserta, di persone ma ancor più di automobili, è davvero... straniante! Nonostante non ci sia l’obbligo tassativo di rimanere a casa, come in Italia, il senso civico e di sicurezza personale è assai maggiore qui, ed ognuno è molto attento alle precauzioni del caso. A Mezzanotte del 28 marzo sono stati chiusi parchi e spiagge, monitorati dalla polizia, ed imposta una multa di 500/1000 dollari per i trasgressori. Da quel momento più nessuno, neanche chi avesse un minimo deficit di quel senso civico intrinseco, ha più trasgredito ogni consiglio di cautela precauzionale».


GODIASCO Salice terme Al suo arrivo in aeroporto, prima del check-out, è stato visitato? Le son state fatte domande? «All’arrivo negli States la cosa più temuta è il Customer Border Control. Mi sono state fatte domande tra le più comuni, inizialmente, tipo “come mai negli USA? Prima volta? Dove risiedi? A quando il rientro?”, prima di essere inviato ad un altro sportello dove un altro Agente ha esaminato la mia situazione, personale e familiare, sotto la lente d’ingrandimento. Eravamo in 4 in tutto il volo a essere sottoposti a questo scrupolosissimo secondo controllo: io, due ragazzi algerini ed un quarto sempre di origini non europee. Nessuno domanda, in tutti i 50 minuti, ha toccato l’argomento del virus o della mia provenienza (partivo da Parigi, ma la mia partenza effettiva era la Lombardia, nel pieno della contaminazione), se non la provenienza di mio padre e il mio rapporto con l’altra mia cittadinanza, quella tunisina. Dopo grandi sorrisi e chiare spiegazioni sulla motivazione del mio viaggio, il mio percorso di studi e di lavoro, il rapporto che avevo con le persone che mi aspettavano ed ospitavano in California, e, soprattutto, sulla situazione economica familiare, anche nel mio tutt’altro che perfetto inglese ho avuto il tanto atteso timbro d’approvazione. Qualche secondo dopo aver lasciato l’ufficio, mi è venuto alla mente di condividere il cognome con il terrorista della strage di Parigi del novembre 2015, e... tutta quella

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scrupolosa attenzione alla mia persona ha quindi avuto un senso...». Qual è la sensazione degli Angelenos che conosce a riguardo di questa emergenza? «Inizialmente, nei primissimi giorni, di ironica noncuranza, ad esempio nel momento in cui dicevo di essere appena arrivato dall’Italia. Erano a conoscenza della terrificante situazione del Bel Paese ma per nulla spaventati dal fatto che io potessi portare contagio. Neanche ho avvertito la preoccupazione da parte loro che la pandemia potesse arrivare nella loro “Terra felice”. In pochi giorni, però, tutto è stato sconvolto, in concomitanza con i discorsi del tanto odiato (in California, n.d.r.) Presidente Trump riguardo all’allerta. Dai grandi abbracci si è passati al contatto gomito-a-gomito per salutarsi, fino ad evitare ogni tipo di interazione. Come le dicevo, gli americani, almeno i californiani, a differenza nostra hanno molto più senso civico sia nella protezione di se stessi sia di prevenzione per gli altri. Ancor più sorprendente è il sentimento di solidarietà, e in questa situazione globale è ancor più tangibile, nei confronti del prossimo, per quanto si conosca una persona o magari un estraneo che mai più si rivedrà nella vita. Ma sempre a distanza di sicurezza». Le notizie a riguardo la Città e la Contea di Los Angeles vengono date in modo chiaro ed esaustivo? Più volte al giorno? «Informarsi è possibile seguendo i cano-

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«Il mio viaggio a Los Angeles, in pochi giorni tutto è stato sconvolto, dai grandi abbracci si è passati al contatto gomito-a-gomito per salutarsi, fino ad evitare ogni tipo di interazione» ni standard di sempre: telegiornali (CNN, ABC, CBS), quotidiani online (L.A. Magazine, L.A. Times, N.Y. Times) etc. Particolare attenzione riscuotono, nei cittadini, i discorsi del Presidente Trump e/o delle sue Commissioni di Sicurezza e Sanità. Le regole che ne derivano sono seguite dalla popolazione in maniera stringente, anche senza l’obbligo tassativo imposto dalla legge. Come ovvio, nelle chiacchiere “da strada” le notizie sul virus viaggiano incontrollate, talvolta creando apprensione e psicosi ingiustificate. Tra tutte, la maggiore preoccupazione avvertita riguarda la situazione lavorativa e assistenziale, non essendoci un Welfare nazionale. L’angoscia è il “quanto tempo sarà necessario per terminare il Lockdown” e come, e chi, potrà ottenere assistenza dal governo in via storicamente straordinaria per gli USA. Ma gli esercenti con cui ho potuto parlare non sono per nulla ottimisti: prevedono una chiusura totale o parziale per almeno 60 giorni,

durante i quali potranno rimanere aperti solamente i servizi di Delivery per molte tipologie di prodotti». Rimpatrio “forzato”... «Purtroppo restare sarebbe stato impossibile per tutto quanto detto sopra. Ma posso dirle con certezza di essermi innamorato di questa città, per diversi motivi. Sono qui nella mia amata Salice Terme ma tempo che tutta questa maligna nuvola nera passerà e tutto tornerà a funzionare a pieno regime, tornerò negli States, anzi in California, anzi... a Los Angeles! Non voglio fare progetti, non in una città come questa che non permette di farne. Probabilmente mi iscriverò a un college e cercherò un lavoro che mi consenta di portare la mia passione con me ogni mattina, che, e non servivano 9.970 chilometri forse per capirlo, è la più bella cosa che si possa fare nella vita!». di Lele Baiardi



CORONA VIRUS E I BAR DELL’OLTREPÒ

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È ORA DI RIPARTIRE! MA COME? di Emanuele Firpo Questo non ci voleva proprio. Ma è successo e ci siamo dentro fino al collo. Fare una previsione su come sarà è impossibile quindi premetto che le mie sono solo ipotesi, ma chissà che possano darvi un piccolo aiuto quando si potrà nuovamente servire i prodotti al bar, dal caffè all’aperitivo, dal pranzetto al drink post cena. Il settore dei pubblici esercizi, che include bar, ristoranti, pizzerie, catering, pasticcerie ecc. è in uno stato di crisi profonda. A conferma di questo già molti imprenditori stanno maturando l’idea di non riaprire l’attività. Escludiamo il discorso tasse e affitti “che è meglio”. Ma noi siamo in provincia ed abbiamo il vantaggio di avere una clientela del posto. Quanti di voi barman o camerieri hanno pensato, più di una volta, “non sopporto più i clienti, sono sempre gli stessi”… bè adesso è ora di pensare a come coccolarli appena si tireranno su le claire. Ironia a parte i bar di Ponte Nizza, per fare un esempio, avranno ancora i soliti bellissimi clienti affezionati. Bisogna solo capire come gestirli. Al momento non ci è stato comunicato come dovremmo fare le “cose”, quanti tavoli potremmo tenere e a che distanza, se il bancone ritornerà ad essere un banco bar e non un laboratorio a vista. Prepariamoci a più opzioni. Se prima eravamo abituati a sfornare prodotti al bancone, per ora sicuramente questa abitudine andrà persa, per ora ma non per sempre. Inoltre non abbiamo impiegato molto ad avviare un servizio a domicilio, ora quasi tutti lo fanno.

Personalmente non credo che questo possa risolvere i problemi in futuro ma se accostato alla riapertura sicuramente darà i suoi benefici. Se gli ingressi saranno scaglionati ed il distanziamento sociale sarà una regola ferrea che ben venga ANCHE il cliente che si gusta il piatto o il cocktail a casa. In questo scenario che è difficile da ipotizzare dobbiamo, oltre che rimboccarci le maniche, aguzzare l’ingegno. Il cliente verrà comunque nel nostro bar, dopo 2 mesetti a casa figuriamoci. Lo faremo accomodare al tavolo e se prima le proposte erano ridotte adesso dobbiamo integrare prodotti che fanno gola. Diciamo che se tanti frequentavano i bar per svago, per incontrare altra gente, per conoscere nuove persone adesso la solfa sarà un po’ diversa. Io consiglio di rivedere la lista da portare al tavolo, so che tanti bar hanno sempre lavorato senza ma mai come adesso è fondamentale presentarci con un buon elenco dei prodotti che offriamo. Nella lista io ci metterei pure le caramelle considerando che il bancone bar è tabù! Chi ha un bar caffetteria può sbizzarrirsi con più miscele di caffè e con tisane e the intriganti. Le birrerie si possono divertire regalando i bicchieri ogni tot consumazioni. I cocktail bar dovranno giocare su drink fuori lista con cadenza breve per incentivare la gente a provare nuove esperienze di degustazione. Per ultimo ma più importante è garantire la sicurezza dal punto di vista sanitario, sia per i clienti che per il personale. L’igiene e la sanificazione dovranno essere ancora più maniacali di prima.

Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme. Il primo criterio di scelta delle persone sarà la sicurezza, si andrà in un locale se ottempererà a determinati standard, e solo dopo verrà la preferenza delle offerte. Non credo che i clienti avranno problemi ad adeguarsi a regole anche rigide, poiché saranno fondamentali per la salute.

Senza dubbio, in questa emergenza Covid19, la priorità sono le cure ai malati e la tutela della salute. Oggi è ancora il tempo del dolore ma domani, però, nel rispetto di tutti dobbiamo ripartire. Lo ripeto… AGUZZATE L’INGEGNO.


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«L’ospedale di Varzi sta facendo un lavoro straordinario» Classe 1981, Laurea in Economia Aziendale, con esperienze lavorative bancarie, da Maggio dell’anno scorso è Sindaco di Varzi, e da Luglio, sempre dello scorso anno, Presidente della Comunità Montana. Abbiamo contattato il Dott. Giovanni Palli. Emergenza mondiale: quale la sua sensazione e visione? «Ci troviamo purtroppo all’interno di una vera e propria “guerra sanitaria”: il virus è diventato pandemico ed ormai si è diffuso in tutto il mondo. In attesa di una cura e di un vaccino, che oggi non ci sono, è fondamentale cercare di contenere il contagio il più possibile e l’unico modo è ridurre al minimo i contatti tra le persone. Stare a casa non è uno slogan, ma è l’unico rimedio che abbiamo oggi a disposizione. Riusciremo a superare questa emergenza, non solo sanitaria ma anche sociale ed economica, se tutte le Istituzioni, nazionali, europee ed internazionali, saranno all’altezza della sfida, agendo in una direzione unitaria nell’interesse dei popoli, con modalità e strumenti nuovi e radicali rispetto al passato». Il mondo del lavoro e quello imprenditoriale, e dei servizi, è praticamente bloccato, in maggioranza: quali effetti, in ricaduta generale, teme per il prossimo futuro del nostro territorio? «Questa emergenza sanitaria globale vede in prima linea chi con responsabilità, ed ancor prima di decisioni nazionali, ha optato per tutelare le proprie comunità, e la salute pubblica, andando contro, con grande coraggio e personale ammirazione, ad interessi economici ed imprenditoriali a qualunque livello. Una profonda ammirazione va inoltre a chi, in questi giorni, si sta spendendo con generosità per garantire supporto ed assistenza alle nostre comunità ed alle perso-

Giovanni Palli ne più fragili, e tra questi troviamo realtà commerciali attive nei servizi di consegna a domicilio, ma anche realtà imprenditoriali che stanno convertendo le proprie linee per forniture utili al sistema sociosanitario. Siamo consapevoli che il comparto produttivo, ma anche quello del terzo settore, è già oggi tra i più colpiti e questo, se non interverremo con forza come sistema Paese e noi stessi nel nostro piccolo, creerà una progressiva chiusura delle attività produttive sul nostro territorio, e situazioni di povertà ed aumento dei fenomeni di “abbandono”. Dobbiamo sostenere, con liquidità economica immediata e burocrazia nulla, il comparto produttivo attraverso interventi radicali da parte di ogni Istituzione, secondo le proprie possibilità e competenze. In questa direzione, ad esempio, non posso che condividere una proposta di buon senso come quella dell’esonero, per il 2020, dal pagamento di tutti gli oneri previdenziali e dei tributi a carico delle attività produttive danneggiate

dall’emergenza. Non possiamo rispondere ad una crisi di questa portata con le solite ricette economiche e con la solita burocrazia statale. Servono misure economiche radicali che permettano di tutelare tutti i lavoratori, compresi i lavoratori stagionali specie nell’ambito del comparto turistico ed agricolo, ed impostare una serie di interventi pubblici a sostegno dei privati che vorranno investire per la ripartenza appena sarà possibile. La Comunità Montana dell’Oltrepò Pavese, nell’ambito delle sue competenze, farà la sua parte per consolidare un rapporto di alleanza con le piccole imprese del territorio al fine di dar forza alle nostre comunità locali» Come si è adattato il lavoro di Amministratore e Politico all’emergenza, nei confronti della popolazione? «Il sindaco è il punto di riferimento della cittadinanza, e la presenza costante è fondamentale soprattutto in casi di emergenza. È importantissimo informare costantemente, e noi lo facciamo attraverso il servizio whatsapp “VARZI INFORMA” e videomessaggi che periodicamente pubblico su Facebook. A Varzi, al primo caso accertato di contagio da covid-19, ho istituito il Centro Operativo Comunale, C.O.C. VARZI, che è una vera e propria unità di crisi che tutti i giorni può contare su volontari che rispondo ai numeri di telefono che abbiamo indicato alla popolazione, ed intervengono in aiuto della popolazione più fragile con consegne di farmaci, di beni di prima necessità e bombole del gas. Un servizio che ha come tre responsabili il sottoscritto, l’Ass. Indolenti e l’On. Lucchini, che ringrazio perché è presente in municipio dall’inizio di Marzo, e può inoltre contare sul supporto della protezione civile di Nivione e sul dottor Paolo Mazzocchi, che tutti i giorni telefona alle persone con febbre o positive al Coronavirus dando loro

ed alle loro famiglie utili consigli ed un costante conforto». Si poteva fare qualcosa di più agli inizi, intendo dal punto di vista politico e governativo? Il Governo avrebbe, secondo lei, dovuto preferibilmente fare un passo indietro ed affidarsi ad esperti delle emergenze? «Sì, paghiamo il fatto di non aver messo in quarantena da subito le persone arrivate in Italia dalla Cina, e la chiusura dei voli senza tracciare gli arrivi... perché a quel punto si è potuto fare scalo ed arrivare da altre località. È l’errore principale che è stato rimproverato al Governo anche dal membro del consiglio direttivo dell’OMS, Prof. Walter Ricciardi, in un’intervista alla Stampa dello scorso 21 febbraio. I governatori regionali, tra i quali Attilio Fontana, avevano proposto un mese prima che scoppiasse l’epidemia di essere messi nelle condizioni di aumentare i controlli e di mettere in quarantena tutti gli studenti che rientravano dalla Cina. Purtroppo, non solo non sono stati ascoltati, ma sono anche stati accusati di essere razzisti e di voler diffondere il panico. Anche nei vari D.P.C.M., noi Sindaci abbiamo avuto molte difficoltà di interpretazione e molte misure restrittive che sono state poi inserite dal Governo in seguito, come per esempio la chiusura dei mercati e dei parchi: abbiamo deciso di applicarle direttamente noi attraverso ordinanze sindacali fin dall’inizio dell’emergenza. Talvolta, inoltre, si è assistito ad una spettacolarizzazione dei provvedimenti nazionali senza un filo diretto con il territorio e con noi amministratori in prima linea con le comunità locali, da questo punto di vista invece, il contatto e coordinamento con Regione Lombardia è sempre stato rigoroso, puntuale e tempestivo nella gestione delle misure di contenimento dell’emergenza e nelle attività


VARZI quotidiane di monitoraggio e coordinamento socio-sanitario». Quali le urgenze tra Comune di Varzi e Comunità Montana che sono al momento bloccate? Quale possibile soluzione? «Questa emergenza non ci ha bloccati, ma ha certamente reso necessario ripensare alcune priorità ed accelerare necessari processi tecnologici e nuove modalità per la prosecuzione delle nostre attività. Abbiamo senz’altro dato la massima priorità alla gestione dell’emergenza, al supporto della popolazione, specie quella più fragile, attivando un coordinamento costante con gli altri Comuni, le reti di volontariato, la Protezione Civile, le realtà commerciali che hanno attivato servizi a domicilio, Regione Lombardia, l’ATS e ASST di Pavia per monitorare giorno dopo giorno la situazione e sviluppare soluzioni concrete per i bisogni mutevoli in questa fase di emergenza. Abbiamo attivato in tal senso strumenti di comunicazione ancora più incisivi, provveduto a sanificare il Comune di Varzi per tutelare la salute pubblica, ed attivato un importante acquisto di dispositivi di protezione individuale insieme alla Fondazione San Germano per gli operatori più esposti e le persone fragili che vivono nel nostro territorio. D’altro canto, per rispondere alle nuove modalità di lavoro, ci siamo attrezzati dal punto di vista tecnologico attivando alcune situazioni di smartworking, potenziando la nostra infrastruttura digitale, e creando una stanza virtuale al servizio dei 18 Comuni della Comunità Montana per poter svolgere le sedute degli organi collegiali ed andare avanti nelle attività.

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Per Varzi, sebbene in tempi di emergenza, è rimasta inoltre una priorità assoluta quella del ripristino, messa in sicurezza e riapertura della tratta di strada provinciale interessata dalla frana che ha colpito alcune frazioni, come Cella e Nivione, possibile in tempi flash grazie a 600.000 Euro ottenuti tramite importanti interlocuzioni con Regione Lombardia e Provincia di Pavia. Procedono, inoltre, molti dei progetti ambiziosi che abbiamo lanciato negli scorsi mesi, come la Convenzione per la valorizzazione dei reticoli idrici con l’Agenzia interregionale per il fiume Po’ e Regione Lombardia, altresì come il percorso di valorizzazione della Piazza della Fiera in Varzi. E sono in costante evoluzioni altri che già da tempo si stanno sviluppando, come la Strategia Nazionale per le aree interne che vede oramai conclusa la fase di progettazione degli interventi infrastrutturali. Inoltre, proprio dalle pagine di questo giornale vorrei davvero ringraziare tutti i protagonisti di questa complessa macchina operativa, come il personale dei Comuni, i volontari, la protezione civile, gli operatori medici ed amministrativi di ATS e ASST, gli operatori dei sistemi di informazione, per il loro lavoro ancora più intenso e generoso nei confronti dei cittadini e di tutte le nostre comunità in questa fase di emergenza». Come vengono assistiti i pazienti varzesi infetti? Hai riscontrato criticità particolari nelle operazioni di assistenza e soccorso? «L’ospedale di Varzi sta facendo un lavoro straordinario: medici, infermieri, OSS e tutti gli operatori non si sono mai rispar-

miati, mettendo a rischio la loro vita per soccorrere e curare i cittadini in difficoltà. Voglio ringraziarli perché loro sono i veri eroi. Nel nostro nosocomio vengono fatti tamponi a persone che arrivano in pronto soccorso in auto-presentazione e che hanno sintomi da covid-19. Se il tampone è positivo, i pazienti più gravi che hanno bisogno di cure vengono trasferiti a Voghera, mentre quelli con sintomi lievi vengono dimessi e tornano a casa in quarantena. In quest’ultimo caso vengono monitorati telefonicamente e si curano a casa. Il sistema funziona bene, al netto dell’emergenza che sta mettendo a dura prova anche un’eccellenza come la Sanità Lombarda». Qual è la sua personale previsione per il nostro territorio oltrepadano? «Siamo consapevoli delle complessità, sociali ed economiche, che siamo e saremo costretti ad affrontare anche nel nostro territorio. Già oggi, in piena emergenza, oltre ad un supporto senza tregua e senza confine alla popolazione ed alle strutture sanitarie e sociosanitarie, siamo al lavoro per immaginare politiche dirette per la nostra gente, per le nostre famiglie ed imprese che stanno subendo in prima istanza le drammatiche criticità di questa crisi sanitaria globale. Se da un lato sono consapevole di tali difficoltà, sono senz’altro confortato da una generosità e spirito di comunità che il territorio oltrepadano sta mettendo ormai da settimane in moto con forza sempre maggiore. Avremo bisogno di tutto ciò anche, e soprattutto, quando l’emergenza sarà passata. Stiamo parlando, anche se al momento non è facile definirlo, di centinaia di

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«Sebbene in tempi di emergenza, è rimasta una priorità assoluta quella del ripristino, messa in sicurezza e riapertura della tratta di strada provinciale interessata dalla frana che ha colpito alcune frazioni, come Cella e Nivione»

persone impegnate in attività di innovazione sociale ed una macchina operativa strutturata e funzionale anche per il futuro. Abbiamo testato modalità di comunicazione innovative ed efficaci che ci permetteranno di essere ancora più Comunità radicata nel futuro. Siamo, come anticipato, in prima linea per mettere a regime alcune pratiche efficaci, anche per tempi ordinari, e per sviluppare interventi puntuali a burocrazia zero che ben si dovranno connettere con le importanti misure di sviluppo locale già messe a regime negli scorsi anni. Siamo a disposizione, e lo saremo, dei nostri cittadini perché solo insieme riusciremo a ripartire ed intraprendere l’importante strada di cambiamento dell’Oltrepò Pavese percorsa negli scorsi mesi. Noi ci siamo!». di Lele Baiardi



VAL DI NIZZA

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«Fare il pane in casa non è difficile, servono passione, precisione e volontà» La quarantena forzata dovuta all’emergenza sanitaria cambia il carrello della spesa e i consumi degli italiani. Secondo gli ultimi dati, i prodotti che vanno per la maggiore sono la farina e il lievito che hanno riscontrato una crescita di vendita del 205% per la farina e del 203% per il lievito. Considerata la grande abbondanza sui social network di foto di pane, pizza e impasti dolci vari c’è da crederci, tutti vogliono sperimentare il fai da te in cucina anche solo per postare orgogliosi una foto su instagram. Il pane è senza dubbio il re della tavola, già gli antichi romani compresero la potenzialità di questo grandioso alimento, le capacità nutrizionali e l’alta digeribilità, lo ricordano gli editti di quell’epoca che ne consigliavano il consumo. Passato ad alimento out ai tempi moderni, sconsigliato dai nutrizionisti e bandito nelle diete ipocaloriche, in tempi di Covid-19 sembra aver riacquisito il suo ruolo di re della tavola. Concedersi del buon pane è uno dei piaceri della vita e non stona con i regimi alimentari più restrittivi. Contiene carboidrati complessi ovvio, ma questi devono quasi sempre comparire in una dieta, basta limitare gli eccessi. C’è poi il pane di tipo integrale, ricco di fibre e perciò in grado di saziare maggiormente. Oppure quello multicereali, con un mix di grano, orzo, segale e mais, contenente anche vitamina A e altri minerali utili per fortificare le ossa. Più in generale questo alimento è in grado di assicurare alle cellule un rifornimento di energia che sarà duratura nel tempo. Come fare il pane in casa e farlo esattamente come lo facevano le nostre nonne? Forse aspirazione utopistica a partire dal forno a legna ma se siamo disposti a non mettere proprio tutti i puntini sulle i, si può ottenere un ottimo risultato. Ci siamo fatti aiutare in questo percorso da Paolo Culacciati, panificatore di Sant’Albano. Culacciati si può ancora fare il pane in casa? «Fare il pane in casa non è difficile, servono però passione, precisione e tanta buona volontà. Conoscere a fondo gli ingredienti, che pur se semplici e minimi, occorrono per una corretta panificazione è un altro step fondamentale: tramandate di generazioni in generazione o studiate sui libri, conoscere le caratteristiche di ogni singolo componente di quella che sarà la nostra pagnotta in tavola è basilare per chi decide di fare il pane in casa». Se utilizziamo il detto non tutte le ciambelle escono con il buco possiamo anche dire che non tutti i pani sono buoni allo stesso modo al palato «Assolutamente, c’è pane e pane… il pane prodotto con materie prime ottime e parlo principalmente di farine, ecco dovrebbe far cambiare opinione ai nutrizionisti che bandiscono il pane dalle tavole».

Farina, acqua, lievito e sale. Quattro ingredienti semplici ma che decretano già se un pane è più o meno buono. Partiamo dalla farina. «La farina di tipo 00 è la più pregiata, bianca e sottilissima. La farina di tipo 0 è raffinata e priva di crusca. Le farine rustiche tipo 1 e tipo 2 contengono percentuali variabili di crusca, pertanto risultano essere meno raffinate. La farina integrale deriva dalla lavorazione di tutto il chicco del grano». Se al posto del comune lievito di birra facilmente reperibile, volessimo impegnarci e produrre lievito madre come fare? «Intanto il pane che viene fatto con il lievito madre è un pane con una crosta “importante”, io utilizzo lievito madre che oltre alla produzione del pane è necessario per produrre panettoni e colombe Il primo lievito madre utilizzato da me è stato quello della pasticceria Pini di Godiasco 7 anni fa e da allora l’ho sempre rinnovato 3-4 volte la settimana. Il lievito madre non è nient’altro che farina e acqua con l’aggiunta di un po’ di pasta “vecchia”. Va conservato ben stretto avvolto in tessuti, legato con spaghi e conservato in frigorifero. Per rinnovare 1kg di lievito madre, è necessario re-impastare 3hg con altri 7hg di farina. Si aggiunge poi acqua, la restante parte, i 7hg, la utilizzo per fare pane, pizza oppure in stagione panettoni, pandori e colombe. Il lievito madre può essere inserito anche in polvere, si trova facilmente in commercio oppure lo si può ricavare dall’impasto del giorno prima, dalla biga, ora che in commercio si fa fatica a recuperarlo… Si fa essiccare l’impasto del giorno che va quindi sminuzzato con un attrezzo tipo infrangitutto ottenendo così una polvere che altro non è che polvere di lievito madre». Da chi ha appreso i segreti della panificazione? «Sono stato aiutato in questo mio percorso di panificatore da mio padre Aldo e da mio cugino Roberto che hanno iniziato nel 1952, allora “si viaggiava” con farine ben diverse rispetto alle attuali» In che senso? Non ci sono più le farine di una volta? «Una volta le farine non venivano miscelate come invece succede oggi». Lei che tipologia di farina usa e perché? «Preferisco usare farine leggere tipo 0, o rustiche anche macinate a pietra, sono le più digeribili. Io mi servo di farine prodotte in Oltrepò dove la scelta è veramente ampia, nel Mulino dove mi rifornisco ci sono in commercio circa 25 farine, è per questo che è importante conoscere il prodotto giusto di cui abbiamo bisogno per ottenere un buon pane e per buon pane intendo un pane

che sia il più digeribile possibile, con una minima quantità di glutine, inoltre può essere usata anche una farina grezza in quanto contiene un alta percentuale di fibre e sali minerali ottimi per il nostro organismo» Partiamo dall’impasto «Partiamo dalla biga o crescente che altro non è che l’impasto che viene fatto il giorno precedente. Farina, lievito e sale. Nel caso in cui si utilizzi il lievito di birra, evitare il contatto prolungato diretto tra sale e lievito: possiamo disperdere il lievito nella farina e sciogliere il sale nell’acqua, o viceversa. Cominciare a impastare aggiungendo l’acqua a filo, poco alla volta. Uno dei segreti di un buon pane sta nel riuscire a incorporare la più alta quantità di acqua possibile impastando nella maniera corretta, evitando però che l’impasto sia troppo liquido. Questo perché, durante la cottura, l’acqua che evapora forma gli alveoli contribuenPaolo Culacciati, panificatore di Sant’Albano do a rendere il pane soffice, mentre quella che non evapora crea umiscio lievitare di nuovo per 35/40 minuti a dità, allungando la vita del pane. Anche 25 gradi». per questo è fondamentale la scelta della In questa fase il pane viene inciso. Perfarina, poiché le farine di alta qualità tratchè? tengono una quantità di acqua superiore. «Prima della cottura è necessario praticaPer fare il crescente se facciamo le proporre delle incisioni sulla superficie del pane, zioni per 1 kg di farina devo aggiungere con la punta affilata di un coltello. Le inci3,5 cl di acqua, 5g di lievito di birra ma sioni non sono solo un elemento decoratimeno se ne mette e meglio è... vo, facilitano la cottura e fanno aumentare Ottenuta la giusta consistenza, un impasto la proporzione della crosta rispetto alla omogeneo, liscio, elastico e idratato, va mollica». lasciato ad una temperatura di 20/25 graParliamo della cottura… di a riposare e più si lascia riposare più la «Per gli addetti ai lavori basta “bussare” farina prende forza. Il giorno successivo alla parte inferiore della pagnotta, quella al crescente va aggiunta un po’ di farina adagiata sulla griglia sul forno per capire tipo zero, molto leggera oppure una farina se è cotto oppure no, in quanto emette un di tipo rustica, circa 400 g, sale nelle perrumore particolare e ci si fa con il tempo centuali del 1/1,5 % del peso finale, 10g l’orecchio a questo suono. Comunque, dudi lievito ed un po’ d’acqua. Nell’impasto rante la cottura, è importante che in forno finale e mai nel crescente vanno aggiunti i ci sia un buon livello di umidità. Per ottecondimenti, io di solito aggiungo olio extra nerlo, basta mettere un pentolino pieno di vergine di oliva, sconsiglio altri condimenacqua fredda in forno. Una volta raggiunta ti come lo strutto ma per il semplice fatto la temperatura, il forno sarà pieno di vapoche non è più ahimè lo strutto di una volre e lo conserverà per circa un’ora, donanta, quello che sapeva di grasso di maiale, do morbidezza al pane. oggi risulta essere completamente inodore Mediamente, cuoceremo una pagnotta dal per cui … Sconsiglio l’ olio di palma per peso di 6 hg per circa 50 minuti a 200 gradi me bandito anche se ad esempio i rapprein forno non ventilato mentre per gli ultimi sentanti che bazzicano da me l’hanno pro15 minuti è necessario azionare la venposto più volte… costa poco… Una volta tilazione del forno per togliere umidita al terminato l’impasto finale lascio lievitare pane». la pastella per 30 minuti a 25 gradi, spezzetto il pane nelle forme desiderate e lo ladi Francesca Miele



Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO

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“la TURTA DAL CARSENT” La torta fatta utilizzando lievito madre

di Gabriella Draghi Oggi, più che mai, siamo costretti, per cause di forza maggiore, a restare chiusi in casa. C’è chi lo definirebbe un assoluto cataclisma, ma non è del tutto così! Stare in casa è rilassante e ci permette di andare avanti con i nostri mille progetti, quelli per cui, data la vita frenetica di tutti i giorni, non abbiamo mai tempo di portare a termine. In questo momento dovremmo abituarci a condurre una vita diversa da quella di sempre e, dopo tutto, approfittare del tempo guadagnato, non è una cattiva idea. Da dove iniziare? Quanti di voi fino a ieri si lamentavano di non aver tempo per il cambio di stagione negli armadi o per mantenere un po’ d’ordine in casa? Rimboccatevi le maniche e incominciate con le grandi pulizie. Cercate di rendere la vostra dimora un ambiente piacevole da vivere, mettete ordine nella dispensa o nel famoso sgabuzzino in cui avete sempre paura di entrare. Sarà anche un modo per rispolverare vecchi ricordi e rivivere con la famiglia i bei momenti passati insieme. Tutti abbiamo dei libri accantonati che attendono di essere letti. È arrivato il momento di tirarli fuori e poter dedicare tempo alla lettura. Leggere ci aiuta a viaggiare con la fantasia, a ricordare e immaginare dei luoghi e degli scenari fuori dal comune. Lasciatevi ispirare e provate a scrivere la vostra storia...è il modo migliore per allentare l’ansia e rilassarsi, eliminando lo stress. E poi, visto che il tempo non manca, divertitevi in cucina realizzando ricette che non avete mai provato prima per mancanza di tempo o coraggio oppure provandone altre che, con pochi ingredienti e pochissima spesa vi faranno fare un’ottima figura con i vostri cari. Vi capiterà di aprire il frigo, senza un’idea in mente. In questi giorni di emergenza il capitolo spesa è uno dei più dolenti e ci viene raccomandato di concentrare gli acquisti e non recarsi spesso al supermercato. Diventa quindi indispensabile trovare il modo di abbinare avanzi, non sprecare e inventare accostamenti sulla base degli ingredienti semplici e di uso

quotidiano. Pensando alla primavera e ai picnic all’aperto, che quest’anno si faranno in giardino o sul terrazzo, a me è venuto in mente di rivisitare una torta antica che le nonne dell’Oltrepò preparavano utilizzando il lievito madre che rimaneva dalla preparazione del pane, la TURTA DAL CARSENT. Una torta contadina molto semplice che veniva inzuppata nel latte la mattina o nel vino a fine pasto. Ho pensato di renderla un po’ moderna e di portarla in tavola sia come antipasto che come dolce da merenda, modificando leggermente i semplici ingredienti. Ci vorrà un po’ di tempo perché ci vogliono due lievitazioni ma siamo in casa no? Ci possiamo provare e saremo molto soddisfatti del risultato! Buon appetito!!! Come si prepara: Sciogliamo il lievito nell’acqua tiepida ed aggiungiamo 150 g di farina. Risulterà un composto semiliquido che poniamo a lievitare in una ciotola coperta con la pellicola in luogo tiepido per circa 30 minuti. Possiamo mettere la ciotola in forno spento con la luce accesa. Otterremo un composto lievitato e andremo ad inserirlo nella ciotola dell’impastatrice. A questo punto avviamo la macchina ed aggiungiamo tutti

gli ingredienti tranne il burro ed un tuorlo d’uovo che ci servirà per la lucidatura, alternando piccole quantità di ciascuno con la farina. Continuiamo a lavorare finche il composto risulterà liscio ed omogeneo. A questo punto uniamo il burro a pezzetti e lo facciamo incorporare molto bene. Chi non avesse l’impastatrice può fare l’impasto a mano utilizzando una ciotola grande. Lasciamo lievitare per due ore l’impasto nella ciotola dell’impastatrice , coprendo sempre con la pellicola in luogo tiepido o nel forno spento con la luce accesa. Disponiamo ora l’impasto in una tortiera dai bordi foderata con carta da forno. Sbattiamo leggermente il tuorlo con una forchetta , pennelliamo delicatamente la superficie della nostra torta e pratichiamo un taglio a croce con le forbici, non affondandole ma sollevando leggermente la pasta. Lasciamo lievitare un’altra ora in forno spento con la luce accesa. Siamo pronti ora per infornare a forno caldo a 160° per una trentina di minuti. La nostra “turta dal carsent” sarà pronta quando avrà preso un bel colore . Lasciamo raffreddare e poi mettiamo la torta su di un piatto da portata o un tagliere. Serviamo tagliata a fette accompagnando con salame di Varzi, caciotta della

«TURTA DAL CARSENT Ingredienti: 500 g di farina (250 g 00 e 250 g Manitoba) 110 g di zucchero 75 g di burro morbido 1 uova intero e 2 tuorli mezzo cucchiaino di sale scorza grattugiata di un limone e una arancia non trattati 1 bustina di vanillina 30 gr. di lievito di birra o una bustina di lievito madre liofilizzato 150 ml di acqua tiepida Valle Staffora o marmellata di prugne. You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”



COLLI VERDI

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Saldatore in Cina: «Appena atterato mi misurarono la temperatura, era solo il 2009...» Fabrizio Guerra, classe 1971, originario di Milano e residente in Oltrepò da quasi trent’anni, vive con la sua famiglia a Carmine di Ruino, nel comune di Colli Verdi. Saldatore da una vita, si è fatto le ossa nel campo della raccorderia tra le provincie di Pavia e Piacenza ed ha lavorato per Alied s.p.a, dal 2009 al 2016, presso la sede di Tianjin in Cina. Attualmente è capo reparto di saldatura presso Piana s.p.a di Stradella, gruppo O.M.R. Riassumendo: da Milano all’Oltrepò e infine l’approdo in Cina. Immagino che sia stato traumatico il confronto tra il piccolo paese di Carmine e la città di Tianjin, che conta circa 15 mln di abitanti. «Ho sempre lavorato tra la provincia di Pavia e Piacenza, dove il settore della raccorderia rappresenta una realtà economica importante, conosciuta a livello mondiale. Nel 2009 mi è stato offerto un incarico in qualità di responsabile del reparto di saldatura, raccorderia per centrali nucleari, presso lo stabilimento di Tianjin, megalopoli cinese a circa 200 km da Pechino. L’impatto? Appena atterrato all’aeroporto, la cosa che mi ha colpito di più è che mi hanno misurato la temperatura, era il 2009 e non c’era l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19». Il suo lavoro le ha dato modo di vistare altre città della Cina? «Per motivi di lavoro ho visitato diverse centrali nucleari della costa per cui producevamo i tubi per il raffreddamento dei reattori, da Dalian, nel nord-est della Cina, a Nanning nel sud del paese e le grandi città. Mi ha colpito il fatto che la Cina che tutti conosciamo è quella delle grandi metropoli, come Shangai, Pechino ed Hong Kong, ma esiste una parte meno nota che è quella delle campagne e dei piccoli centri, dove la vita sembra essersi fermata a cinquant’anni fa». Dal punto di vista lavorativo ha riscontrato degli ostacoli dovuti alle differenze culturali?

«Il più grande ostacolo è stato quello linguistico, fortunatamente la mia azienda mi ha affiancato una traduttrice con la quale nel tempo ho instaurato un rapporto di profonda amicizia. È un popolo educato, gentile e disciplinato. All’inizio non è stato semplice entrare in sintonia, le differenze culturali si sono fatte sentire, ma una volta settato il passo si è instaurato un rapporto di collaborazione e stima reciproca. Le posso raccontare un aneddoto divertente, per capire come le abitudini altrui a volte ci appaiono incomprensibili. La prima volta che li ho visti in officina erano accovacciati a terra e stavano lavorando, allora ho pensato di costruire un piano d’appoggio, una sorta di tavolo, per rendergli il lavoro più agevole. Il giorno dopo erano accovacciati non più a terra, ma sul tavolo». In questo periodo di emergenza sanitaria, a causa del Covid-19, cosa può dirci rispetto alla situazione ospedaliera, nel caso specifico, della città di Tianjin? «Mi è capitato di recarmi in ospedale per ragioni più e meno gravi. La figura del medico di base non esiste e quindi per qualsiasi tipo di malessere si è costretti a recarsi al pronto soccorso, sempre molto affollato. Le strutture ospedaliere sono molte così da poter far fronte ad una popolazione che conta milioni di persone. Per gli stranieri l’assistenza sanitaria è a pagamento. Io personalmente non mi posso lamentare, mi hanno salvato la vita. Ho scritto all’ambasciata cinese per poter ringraziare l’equipe che mi ha permesso di tornare a casa dalla mia famiglia in seguito a un infarto, ma chiaramente per motivi di privacy questo non è stato possibile. Ho comunque scritto una lettera di ringraziamento all’ospedale di Tianjin». Vista l’emergenza sanitaria ha avuto modo di contattare alcuni suoi ex colleghi che ancora lavorano e vivono in Cina? «Dalle conversazioni è emerso che la popolazione fin da subito ha preso seriamente le restrizioni. La grave situazione ha visto

l’attuazione di norme straordinarie, ma già dieci anni fa ricordo che la stragrande maggioranza della popolazione adottava precauzioni quali: la mascherina chirurgica e il servizio di consegna a domicilio era già largamente diffuso. Alcuni comportamenti facevano già parte della vita quotidiana, per noi italiani la storia è po’ diversa, soprattutto in Oltrepò non abbiamo Fabrizio Guerra, dal 2009 al 2016 ha lavorato mai necessitato di girare e vissuto in Cina con la mascherina per rallentamenti e alle problematiche convia dell’inquinamento ambientale». seguenti l’emergenza sanitaria? Saldatore da una vita, a che età ha mos«Il settore sicuramente ha risentito so i primi passi nel mondo della saldadell’emergenza sanitaria, ma sono fidutura? cioso perché nell’arco della mia carriera «All’età di 16 anni ho iniziato con la carho assistito a diversi alti e bassi. È anche penteria industriale, poi mi sono appassiovero che, da che ho memoria, non ho mai nato di saldatura all’età di 17 anni. A Mivisto un crollo così significativo del prezzo lano ho fatto le mie prime esperienze, ma al barile del petrolio. Parte della produziosolo dopo essermi trasferito in Oltrepò ho ne delle aziende del settore è rappresentato avuto l’occasione di crescere professionaldalla lavorazione di pezzi per gli impianti mente: corsi, produzione serbatoi, impianti di estrazione petrolifera, che a cascata posdi perforazione e raccorderia». sono avere ripercussioni sul petrolchimico, Cosa l’ha spinta a trasferirsi in Oltrepò? su impianti di raffineria e oleodotti». «Mi sono trasferito a Carmine dopo aver Quali sono le misure precauzionali che conosciuto mia moglie Laura, alla quale adottate durante una giornata lavoratidevo tutto, e ora sono quasi trent’anni che va? vivo qui. Contrariamente a quanto si possa «Lo stabilimento dove lavoro ha una mepensare, della città non mi sono mai mantratura molto importante, quindi è poscate le comodità, mia moglie aveva un nesibile mantenere la distanza di sicurezza gozio di alimentari e quindi continuavo ad prevista per legge. L’azienda ci ha fornito avere tutto il necessario sotto casa. È stato mascherine e guanti, c’è attenzione da pardifficile riuscire a dormire i primi tempi, te di tutti e mi sento tutelato nello svolgere a causa del silenzio. Mi mancava il rumola mia mansione». re della città, ma non tornerei mai indieVuole aggiungere qualcosa? tro. Il panorama da casa è eccezionale, si «Sono convinto che se noi italiani ci dipuò scorgere anche Milano se il tempo lo mostreremo un popolo disciplinato come permette… e la raffineria di San Nazzaro quello cinese usciremo presto dall’emer(ride)». genza Covid-19”. Qual è la sua percezione a proposito di Carlotta Nobile dell’andamento del settore, in seguito ai





casteggio

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«Serve un’amministrazione attiva A bilancio 600mila euro in opere pubbliche» L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova i comuni di tutta Italia. Abbiamo scelto di fare qualche domanda a Lorenzo Vigo, sindaco di Casteggio, che oltre ad amministrare la città è anche uno stimato medico. Sindaco la situazione di emergenza sembra rallenatre nel suo Comune. Ultimi aggiornamenti? «Dopo il mese di marzo, che è stato davvero tremendo, sia dal punto di vista dei contagi che, purtroppo, da quello delle persone decedute, si è verificato un rallentamento del contagio. Diciamo che dal punto sanitario l’andamento che c’è stato da noi è simile a quello di molti altri comuni e zone della Lombardia: abbiamo avuto il polso abbastanza duro sulle serrate e abbiamo evitato assembramenti. Questo ha portato un po’ di critiche, ma siamo andati avanti per la nostra strada: abbiamo chiuso, per esempio, il mercato, ancor prima che ci fosse il decreto attivo, e, anche così, il contenimento c’è stato. Abbiamo avuto qualche segnalazione per episodi di aggregazione, ma nel complesso devo dire che la cittadinanza ha risposto bene a tutte le regole. C’è stata comprensione da parte di tutti, e allo stesso tempo impegno, e di questo sono contento». Dal punto di vista, invece, gestionale, come vi siete mossi? «Abbiamo iniziato con la prima fase, che era quella ‘della serrata’. Abbiamo creato, grazie ai commercianti che si sono resi disponibili, una sorta di catalogo per la spesa a domicilio, abbiamo fatto una serie di riferimenti online per trovare tutte le informazioni che potevano e possono servire ai cittadini e abbiamo gestito tutta quella che è ‘la quotidianità’: la gestione dei servizi e quella del comune con i dipendenti messi in smartworking. Adesso c’è, come è logico, una seconda fase dell’emergenza, che è quella sociale. Due mesi di chiusura, due mesi di stipendi che sono bloccati, due mesi di lavori saltuari che sono saltati: tutto ciò ha messo in difficoltà tante persone e non poche aziende». Le iniziative intraprese in questa direzione? «Di fatto, nella scorsa settimana abbiamo fatto la prima valutazione e distribuzione di buoni spesa, che abbiamo creato per questa emergenza: sono stati finanziati con i soldi che ci ha dato lo Stato, con risorse del Comune e con importanti donazioni che sono state fatte. Abbiamo avuto molte domande per questi buoni spesa e stiamo cercando di non abbandonare nessuno e di dare un sostegno a tutti, sia per quanto riguarda la parte di questi ‘buoni spesa’, che ovviamente i commercianti. Ci sono sia buoni cartacei da 5 euro da utilizzare nelle botteghe, che tessere di valore più elevato per la media/grande distribuzione».

Quella dei buoni spesa è stata una vostra scelta? «Lo Stato ha dato i soldi e le varie amministrazioni hanno potuto scegliere come gestire la questione. Noi abbiamo valutato varie opzioni e la linea di intervento si è basata su più filoni. Il primo filone, che non si è ancora esaurito è quello della Caritas, che raccoglie cibo, pasta e scatolame e ha distribuito alle persone in difficoltà dei pacchetti già pronti; poi c’è stato questo grosso introito da quello che ci è arrivato dallo Stato e abbiamo optato per fare i buoni spesa e le tessere». Come funzionano? «Per quanto riguarda la spesa nella media/grande distribuzione ci saranno delle tessere elettroniche da utilizzare, caricate dell’importo previsto: non si potranno andare a ritirare i soldi, si potranno usare esclusivamente nei punti vendita indicati per prodotti di prima necessità. Poi, non volendo tagliare fuori i ‘piccoli’ negozi della nostra città, abbiamo optato per i buoni per gli esercizi che si sono convenzionati (panettieri, fruttivendoli, farmacie, ecc…), in modo da distribuire i 35 mila euro previsti per questo progetto sia ai cittadini che ai commercianti. I buoni cartacei sono 5 euro, perché era impensabile farli da tagli più piccoli, hanno un numero di serie e sono affrancati a secco dal comune, quindi non sono falsificabili. E sono nominali: ogni persona va nel negozio convenzionato, fa la spesa e paga con il buono. A fine mese i buoni verranno ritirati dal comune, che salderà la cifra ai commercianti». Come avviene la richiesta per questi buoni? «Tutte le persone possono fare richiesta. Naturalmente c’è una valutazione telefonica da parte dell’Ufficio Servizi Sociali sul tipo di lavoro che la persona richiedente svolge, sul perché il lavoro è stato perso, sull’introito che è venuto a mancare e altre domande. Ci sono poi, a questo proposito, delle linee-guida da parte dello Stato: per esempio, se una persona già percepisce il reddito di cittadinanza a sufficienza e in periodo di emergenza la situazione non è cambiata, andrà ‘in coda’ ad altri che hanno più necessità. Abbiamo poi fatto una graduatoria tra chi è solo, chi ha minori, chi ha patologie, eccetera… così facendo abbiamo assegnato degli importi alle persone e abbiamo distribuito una prima tranche di questi buoni, per poi proseguire nelle prossime settimane». Ci sono tante persone che hanno fatto richiesta? «Quasi 200. Non sono poche…». La fase 2... Come vi state muovendo? «Ci stiamo preparando... Procederemo con l’approvazione di bilancio: anche se i termini sono stati prolungati fino a luglio, noi abbiamo comunque deciso di continuare a

Lorenzo Vigo portare avanti la macchina comunale, perché non vogliamo assolutamente pensare di fermarci. Il paese ha bisogno di interventi, di lavori e che l’amministrazione sia attiva. Ne hanno bisogno sia i cittadini che le aziende, per ripartire con strutture politicoamministrative che funzionino al cento per cento. Quindi, abbiamo deciso di portare avanti questo bilancio ‘come se non ci fosse il coronavirus’, passatemi questo termine! A parte, perciò, tutti i capitoli legati ad eventi e manifestazioni che, per forza di cose, sono stati congelati, abbiamo un bilancio che prevede quasi 600 mila euro per opere pubbliche, tra interventi sui torrenti, frane, strade e molto altro ancora. Si tratta di una cifra davvero considerevole…non so da quanti anni Casteggio non spendeva così tanto in un colpo. Di questo siamo contenti: aldilà di questa situazione in cui lo Stato dovrà intervenire per sostenere le difficoltà economiche, se vogliamo uscire da questo momento difficile la strada è solo ed esclusivamente l’investimento pubblico. Regione Lombardia nei giorni scorsi ci ha assegnato 350 mila euro di contributo e mi aspetto che si vada in questa direzione, anche facendo dell’indebitamento, che però deve essere un indebitamento sano, per fare opere pubbliche: mettere soldi nelle imprese che assumono persone, che comprano pezzi per le macchine e molto altro. Spero che questo ci sia anche da parte dello Stato». Serve quindi un po’ di positività per il futuro… «Certo. Con tutte le precauzioni del caso, è ovvio. Io sono sempre stato un sostenitore della chiusura: probabilmente avrei chiuso molto di più e molto prima, perché era evidente che la situazione non poteva essere controllata diversamente. Ma, nello stesso tempo, non possiamo immaginare di stare chiusi per sempre. Servono regole e precauzioni per far ripartire l’economia. Quello che mi auguro, sia a livello centrale che locale, è che si cerchi di trasformare questa brutta situazione in un’opportunità». Lei è anche medico: come valuta tutta questa situazione da amministratore e

da professionista nel campo sanitario? «Da medico mi fermo alla gestione medico-locale: ho sentito tantissime opinioni, da parte di chiunque e posso dire che se non si è virologi esperti, parlare di queste cose è una follia. Ci sono davvero troppe opinioni che stanno distorcendo la realtà. L’opinione dei virologi e scienziati esperti, ancorchè non ci sia unità di pensiero, è quella che va seguita. Dal punto di vista sanitario, io sono sempre stato per una chiusura ferrea e rigida e continuo ad essere di questa opinione. Non sappiamo poi come andrà questa cosa, non sappiamo se riusciremo a debellare questo virus, se dovremo conviverci in futuro. Ribadisco, però, che spero che questa emergenza possa diventare opportunità, anche di andare ad intervenire in quelle situazioni sanitarie che non sono ottimali: come, per esempio, la carenza di medici specialisti, piuttosto che strutture del sistema sanitario a livello nazionale che sicuramente vanno raddrizzate. Quello che non tollero, però, sia da medico che da amministratore, è l’attacco vergognoso che si è tentato di fare a Regione Lombardia». Ci spieghi meglio… «In una situazione totalmente imprevedibile e assurda per chiunque, dove si sono sviluppati i focolai più grandi e virulenti, non si può dare la croce addosso a qualcuno, invocando il commissariamento o chissà cos’altro. è chiaro che si tratta di un attacco al potere: si cerca di sfruttare un momento di debolezza e lo trovo terribile. L’Italia avrà sicuramente fatto degli errori, sia a livello di Stato che di Regione, ma stiamo fronteggiando una cosa mai vista… a gestire una pandemia dal divano di casa siamo tutti capaci…». Un anno intenso per la sua amministrazione... «Diciamo che è stato un anno che non ci ha lasciato molto tranquilli! Prima l’alluvione dell’autunno e adesso questa situazione legata al coronavirus sicuramente ci hanno fatto tenere altissima l’attenzione. Il normale sviluppo amministrativo non c’è stato, ma tutto sommato, come dicevo prima, andiamo ad approvare il primo bilancio con ambizione, senza tagliare i servizi: abbiamo chiuso la fusione dei Piani di Zona, abbiamo un piano delle opere davvero importante, abbiamo aperto il Piano di Governo del Territorio, da cui speriamo possano nascere buoni investimenti… è chiaro che bisogna avere pazienza e disegnare lo sviluppo del Comune per i 5 anni. Per essere il primo anno, direi che si sono gettate le basi, anche se questo coronavirus può destabilizzare un po’ tutti. Per fortuna, poi, abbiamo un bilancio sano ed anche in queste situazioni di emergenza non abbiamo l’acqua alla gola. Ci vorrà molta cautela per il futuro, ma siamo positivi». di Elisa Ajelli


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BRONI

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Fondo di sostegno alle imprese, «30mila euro, con riserva di incremento» «Oggi al primo posto c’è l’aiuto alla persona: buoni spesa, mascherine, servizi a tutela delle fasce più sensibili. Ma tra non molto tempo in testa alla classifica delle urgenze ci sarà la sussistenza di tutte le attività messe a dura prova dal lockdown, da quelle che hanno visto calare drasticamente il proprio volume di affari a quelle, e purtroppo non sono poche, che si sono trovate costrette a chiudere per un periodo tutt’altro che breve» - Dichiara il sindaco Riviezzi. Da qui, la necessità di pensare a medio lungo termine e accanto al fondo di aiuto per le imprese, l’amministrazione di Broni ha pensato di commissionare (18mila e trecento il costo dello studio)ad un Team di esperti un progetto per il rilancio del territorio. Lo studio, condotto in collaborazione con l’Università degli Studi di Pavia si baserà su diversi dati raccolti quali l’analisi del contesto, la redazione di schede progetto e la mappatura delle diverse opportunità economiche, quali bandi e finanziamenti, che spesso il territorio non sa cogliere. Non sono ancora disponibili informazioni certe a proposito dei tempi e delle modalità con le quali il tessuto economico potrà ripartire. Certo è che moltissime imprese usciranno da questo periodo con le ossa rotte. Si fa molto parlare della “fase 2”, e secondo alcuni sarebbe addirittura ora parlare della “fase 3”, ossia quella del rilancio economico. Pensiamo alle nostre realtà locali e facciamo qualche esempio. “Il settore dei pubblici esercizi - bar, ristoranti, pizzerie, catene di ristorazione, catering, discoteche, pasticcerie, stabilimenti balneari - con 30

«In particolare guarderemo agli artigiani e al commercio di vicinato, due dei settori più a rischio»

Antonio Riviezzi

miliardi di euro di perdite è in uno stato di crisi profonda con il serio rischio di veder chiudere definitivamente 50.000 imprese e di perdere 300 mila posti di lavoro. Molti imprenditori stanno maturando l’idea di non riaprire l’attività perché le misure di sostegno per il comparto sono ancora gravemente insufficienti e non si intravedono le condizioni di mercato per poter riaprire”. È quanto si legge in una nota di Fipe-Confcommercio. “Infatti – prosegue la nota - gli interventi sin qui messi in campo dal Governo sono solo una risposta parziale: la liquidità non è ancora arrivata, la garanzia al 100% dello Stato per importi massimi di 25.000 € è una cifra lontanissima dalle effettive esigenze”. L’Ufficio Studi della CGIA di Mestre ha approfondito il tema della liquidità relativamente alle piccole e medie imprese.

Dichiara il coordinatore Paolo Zabeo: “La questione liquidità per le piccole imprese è dirimente. Se anche coloro che hanno lavorato faticano ad incassare le proprie spettanze, è evidente che bisogna cambiare registro. Ovvero, stop a prestiti bancari a tassi comunque non proprio prossimi allo zero, che costringono le attività ad indebitarsi ulteriormente. Sì, invece, a contributi a fondo perduto”. Sempre Zabeo: “Non sono pochi gli artigiani e i piccoli commercianti che hanno deciso di mitigare il forte calo dei flussi di cassa non pagando le bollette di acqua, luce, gas, l’affitto o le spese condominiali. È il caso di tanti calzolai, tappezzieri, orafi, gelatieri, pasticceri, sartorie, fiorerie, barbieri, parrucchieri, estetiste, bar, ristoranti e negozi vari che per legge hanno dovuto tenere chiuso l’esercizio. Anche chi ha potuto tenere aperto – come i fotografi, gli ottici e le pulitintolavanderie – ricavi ne ha fatti molto pochi e sta riflettendo se con la fine del lockdown avrà comunque senso continuare l’attività”.

In questa situazione disastrosa ogni contributo può essere utile, anche il più piccolo, a salvare una parte di quel tessuto economico che, come abbiamo visto, si trova in grandissima difficoltà. Sindaco Riviezzi, in questi giorni si parla molto della “fase 2” e delle ripercussioni che l’emergenza sanitaria avrà sul sistema economico. Pur essendo questo un tema che appartiene soprattutto alla politica nazionale, che cosa può essere fatto a livello locale per aiutare le imprese? «Certamente le modalità della ripartenza dovranno essere definite da una cabina di regia nazionale, ma credo che sia sbagliato sedersi dal lato degli spettatori e aspettare passivamente l’evolversi della situazione. I mesi a venire saranno difficili, forse ancor più di quelli che abbiamo affrontato dall’inizio della pandemia. È quindi fondamentale che ognuno faccia la propria parte, in funzione delle rispettive possibilità e competenze, ovviamente nel rispetto dei ruoli.


broni Come Comune di Broni stiamo seguendo due traiettorie: una guarda all’immediato, l’altra al medio e lungo periodo. La prima andrà a concretizzarsi a breve in un vero e proprio fondo di sostegno alle imprese. La seconda consiste in un progetto di ricerca, affidato ad un team di esperti dell’Università di Pavia. Lo sfondo condiviso dalle due azioni è la volontà di favorire lo sviluppo del territorio, contrastando sia gli effetti collaterali del distanziamento sociale, sia quei fattori di impoverimento demografico ed economico che già esistevano prima del coronavirus». Cominciamo allora dal fondo di sostegno alle imprese. A quanto ammonterà? «Voglio fare una premessa, indispensabile per illustrare le caratteristiche dell’intervento. È evidente come l’emergenza sanitaria abbia disegnato una gerarchia delle priorità inedita, costringendoci a ridefinire l’agenda amministrativa sulla base del quadro che va componendosi di giorno in giorno. Oggi al primo posto c’è l’aiuto alla persona: buoni spesa, mascherine, servizi a tutela delle fasce più sensibili. Ma tra non molto tempo in testa alla classifica delle urgenze ci sarà la sussistenza di tutte le attività messe a dura prova dal lockdown, da quelle che hanno visto calare drasticamente il proprio volume di affari a quelle, e purtroppo non sono poche, che si sono trovate costrette a chiudere per un periodo tutt’altro che breve. L’orizzonte è quindi mutevole, in divenire, e noi dobbiamo comportarci di conseguenza. Per questo abbiamo pensato di

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procedere per gradi, partendo da una somma di circa 30mila euro. Non si tratta di un importo definitivo. Ci riserviamo infatti di incrementare la dimensione del fondo in corso d’opera, in funzione delle esigenze e delle disponibilità di cassa. Di certo lavoreremo incessantemente per sbloccare risorse e reperirne altre da eventuali sponsor, così da alimentare la dotazione finanziaria in continuo. Per quanto riguarda la difesa degli equilibri sociali della nostra città, noi non vogliamo lasciare nulla di intentato». Sindaco, in che modo queste risorse saranno distribuite alle aziende? Avete già definito le modalità di accesso al fondo? «Prima ho accennato a due aspetti importanti, vale a dire il rispetto dei ruoli e la gradualità delle azioni. Al momento seguiamo con attenzione le decisioni dell’Unione Europea, del Governo e della Regione. Non appena il quadro sarà più nitido, andremo ad individuare una strategia per integrare quanto messo in campo dai soggetti istituzionali che ci precedono. Non vogliamo sovrapporci, né tanto meno sostituirci agli organismi che stanno gestendo le fasi dell’emergenza. Quello a cui invece puntiamo è arrivare in quelle zone dello spaccato produttivo eventualmente lasciate scoperte dagli interventi regionali, nazionali e internazionali. In particolare guarderemo agli artigiani e al commercio di vicinato, due dei settori più a rischio, e lo faremo con un approccio il più possibile sburocratizzato. Cercheremo insomma di ridurre al mini-

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Progetto di ricerca affidato agli esperti dell’Università di Pavia «L’obiettivo è di inquadrare criticità e risorse del nostro territorio» mo indispensabile il volume delle pratiche da istruire per accedere ai contributi». E il progetto di ricerca affidato agli esperti dell’Università di Pavia? Di che cosa si tratta? «È un programma articolato in tre segmenti e condotto a più livelli, con l’obiettivo di inquadrare criticità e risorse del nostro territorio. Abbiamo scelto di affidarlo a un team di altissimo profilo, guidato dal professor Stefano Denicolai, oggi componente della task force nominata dal Governo per fronteggiare l’emergenza coronavirus, e da Andrea Zatti. La prima parte consiste in una ricognizione delle dimensioni che compongono il nostro tessuto sociale, non solo in ambito economico: filiera vinicola, logistica, ambiente, cultura, sport, trasformazione digitale, commercio, trasporti, imprenditorialità innovativa. Senza tralasciare i fenomeni di interdipendenza con i Comuni contermini. Una volta ultimato questa fase di studio, saranno realizzate schede progetto dedicate a specifici interventi per lo sviluppo,

anche in funzione di bandi e finanziamenti pubblici. Il segmento conclusivo, infatti, riguarda proprio la mappatura di queste opportunità, per le quali è sempre più richiesta la programmazione di progettualità specifiche. Voglio ricordare che da tempo, insieme ad altre amministrazioni locali, siamo impegnati nel contrasto alle cause di impoverimento demografico e produttivo della zona. Il progetto da noi commissionato, dunque, percorre lo stesso solco delle numerose iniziative assunte nei mesi scorsi. Andremo ad ascoltare tutti i soggetti coinvolti nelle dinamiche sociali ed economiche, dalle imprese ai pendolari, dai commercianti agli agricoltori. E anche in questo caso non mancheremo di chiamare in causa i Comuni limitrofi, consapevoli del fatto che per uscire dall’impasse odierna serve una risposta corale. Oggi siamo chiamati a una grande sfida: difficilmente riusciremo a vincerla senza guardare con occhio critico ai nostri limiti e alle nostre risorse». di Silvia Colombini



C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò

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“Giulê” e “il Toscano” i märciài dell’oltrepò Il merciaio è una di quelle professioni ormai scomparse, sostituite dalla tecnologia e dagli usi e costumi delle persone, radicalmente cambiati nel corso dell’ultimo secolo. Un tempo era uno di quei mestieri che facevano guadagnare le famose “mille lire al mese”. Uno dei merciai oltrepadano per eccellenza era Giulê si chiamava o meglio tutti chiamavano così, Angelo Gatti da Voghera. In tempi molto lontani si aggirava per la valle Ardivestra e per la valle Staffora con un carretto trainato da un cavallo. Aveva successivamente sostituito il mezzo di locomozione con una bella bicicletta nera ‘Amerio’ con due grosse scatole di legno: l’una fissata sul parafango posteriore e bloccata alla larga sella, l’altra su quello anteriore con ganci metallici al manubrio del mezzo. I due contenitori non erano piccoli ma ciò che riuscivano a contenere aveva dell’incredibile. “Il magazzino posteriore” era completamente riservato alla merce da vendere mentre quello anteriore era in parte riservato alla merce da cedere ed in parte a quella che il commerciante acquisiva in pagamento, in genere uova di gallina od anatra che molti usavano come merce di scambio. In realtà non era un vero e proprio baratto, che avrebbe semplificato di molto i conti a menti non propriamente aduse a tale esercizio, era una doppia valutazione prima delle uova e poi dei bottoni che si arenava nel quantificare il conguaglio e la direzione dello stesso. Due volte al mese, generalmente lo stesso giorno, ma il cattivo tempo o le strade potevano altrimenti disporre, Giulê parten-

do da Voghera, risaliva ora la Val Coppa ora la Valle Ardivestra, ora la Val Nizza o la Val Staffora. Per meglio dire i paesi o paesini che si affacciano su queste valli. Giungeva con la fiammante bicicletta alle porte del paese, prima rallentava la già ridotta corsa e quindi si fermava in un cortile. Da questa e dalle altre case sbucavano donne intente alle faccende domestiche senza che il commerciante richiamasse in alcun modo la loro attenzione se non con la sua presenza. Chi cercava bottoni per giacche o camicie, chi un particolare fermaglio dorato smarrito durante l’ultimo ballo, chi passamaneria, altre aghi corti o lunghi, altre ancora filo di seta, di lana o di lino, chi cercava lacci, stringhe, elastici o fettucce colorate. Qualsiasi prodotto venisse richiesto il venditore o lo possedeva o si impegnava a consegnarlo la volta successiva. Trattava contemporaneamente con tre, quattro donne alla volta ammagliandole con la calma dell’esperto imbonitore e con la sicurezza dei prodotti che proponeva. Quando il pagamento avveniva come ricordato in natura o, per meglio dire, con le uova, iniziava un teatrino tra il commerciante e la contadina a cui partecipava spesso qualche vicina, al fine di complicare la già intricata matassa. Prima si valutavano le uova non trovandosi d’accordo sul prezzo, quindi la merce acquistata dalla donna giudicata eccessivamente cara dalla stessa supportata dalle vicine, e da ultimo, si stabiliva il conguaglio in danaro, non trovando l’accordo su chi dovesse sborsarlo.

L’accordo arrivava spesso per sfinimento delle parti con il vecchio Giulê che se non risultava vincitore, sicuramente non era il perdente. In questa fase gli uomini si tenevano prudentemente lontano dalla contesa e solo quando vedevano rarefarsi e quindi sciogliersi il crocchio delle allegre comari, si avvicinavano all’uomo salutandolo e chiedendogli ora una forbice, ora una piccola tosatrice per capelli da usarsi sul cranio prezioso del pargoletto di casa. Il parrucchiere era un lusso che pochi adulti e in specialissime occasioni potevano permettersi; normalmente gli adulti e sempre i più piccoli o venivano brutalmente tosati da un sarto che, a tempo perso, esercitava anche l’attività di tagliatore di capelli (al cinquanta per cento circa, perché metà li tagliava e metà li strappava letteralmente, attribuendone la colpa alla macchinetta-tosatrice ) oppure provvedeva direttamente il capofamiglia ponendo sul capo del malcapitato una scodella rovesciata e tagliando i capelli che sporgevano dalla stessa: il taglio veniva appunto detto “dlä scûdëla “. Gli uomini confabulavano piacevolmente con l’ambulante chiedendo a volte notizie diverse dalla sua attività, quali il prezzo del bestiame o dei foraggi sul mercato di Voghera o la qualità del vino e del salame nelle diverse valli che Lui attraversava. A tappe successive il merciaio serviva i diversi raggruppamenti di case del paese quindi risaliva in bicicletta e raggiungeva il paese limitrofo oppure tornava a casa se la giornata stava chiudendosi. Altro merciaio conosciuto in valle Ardivestra,

Giuliano Cereghini era Giulio Del Buono, meglio noto come il Toscano. Abitava a Fortunago con la moglie e, di buon mattino, da lì partiva puntando un paese vicino: le due cassette poste sul parafango posteriore e sul manubrio della bicicletta, contenevano oltre che filati ed affini, sapone, liscivia, qualche maglietta e qualche intimo femminile che preparava la moglie: la raccomandazione del Toscano alla sua Signora, era che fossero rifinite con l’elastico con stampato un uccellino. Ciò dava modo al buon uomo, per altro di costumi molto morigerati, di decantare la propria merce invitando le donne a comprare le mutande con…l’uccellino. Da nonna Ernestina passava non solo per proporre la sua merce, ma anche per acquistare la robiola di latte vaccino, magari barattandola con qualche pezzo di buon sapone marsiglia.



MEZZANINO

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«Preferirei la soluzione a monte affinchè la frazione Tornello non resti isolata»

Le ipotesi di tracciato del nuovo Ponte della Beccai

È una delle opere più attese dell’ultimo decennio in tutta la provincia di Pavia, sulla quale la politica ha “speso” promesse più o meno mantenute e ha portato avanti battaglie più o meno “riuscite”. Sono nati Comitati, si sono organizzate manifestazioni e presidi. Ad oggi il primo passo concreto è certamente la consegna, da parte della società incaricata da Regione Lombardia finanziataria del progetto costato 900 mila euro, dello studio di fattibilità che prevede 7 diverse ipotesi per il nuovo viadotto, ipotesi che si differenziano essenzialmente nel tracciato del percorso: 2 a monte con 2 varianti di ipotesi e 3 a valle. Regione e Provincia sembrerebbero privilegiare una delle soluzioni a valle in quanto sarebbe da considerarsi la miglior per il rapporto costi e benefici: 2,3 km di tracciato per un costo complessivo di 119 milioni di euro, 30 mesi per l’avvio del cantiere e 28 mesi per la conclusione dell’opera, in totale 4 anni e 10 mesi. La soluzione a monte invece sembrerebbe quella in pole sia per il sindaco di Linarolo sia per quello di Mezzanino, quest’ultima prevede un tracciato lungo 2,6 km e per la sua realizzazione tra apertura del cantiere e durata dei lavori occorreranno circa 6 anni. Costo variabile da 145 a 154 milioni di euro. Il sindaco di Mezzanino Adriano Piras spiega il perchè la soluzione a monte è preferibile dal suo punto di vista. Sindaco Piras nella nostra ultima intervista nel dicembre 2019 ci “siamo lasciati” con quelle che erano solamente delle ipotesi, inerenti il nuovo tracciato del Ponte della Becca. Ora la Società di ingegneria a cui Regione Lombardia ha affidato lo studio di fattibilità del “nuovo” viadotto (spesa di circa 900 mila euro) ha presentato alcune proposte concrete. Proviamo a spiegare in modo semplice qual è la differenza tra gli uni e gli altri? «I progetti a monte prevedono la costru-

zione di un ponte che dal punto di vista strutturale riprende quello esistente mentre le altre varianti prevedono costruzioni più moderne con un ponte sicuramente più lungo ma visivamente più leggero, sostanzialmente la differenza è questa» Quale dei 7 progetti presentati è a suo giudizio il preferibile e perché? «A mio giudizio preferirei venisse realizzata la soluzione a monte perché in questo caso la frazione Tornello non sarebbe isolata e questo non danneggerebbe le attività presenti in quel tratto». Lo studio di fattibilità ha presentato alla Regione anche quelle che potrebbero essere le tipologie strutturali, con una versione “più economica” e si parla di 119 milioni ed una più esosa e raffinata,154 milioni… «Le opzioni presentate hanno sicuramente costi diversi perché sono state considerate soluzioni strutturali completamente diverse e questo inevitabilmente va ad incidere sul costo complessivo dell’opera». Entro quale data si deciderà definitivamente quale strada perseguire e quali saranno le modalità di decisione? «Probabilmente se ne parlerà in estate». Facciamo “finta” di aver concluso lo step 1 inerente lo studio di fattibilità e di aver preso tutte le decisioni in merito. Inizierà lo step 2, vale a dire il progetto di fattibilità tecnico economica che dovrebbe partire a maggio. Quale informazione in più su questo secondo passaggio? «In questo momento non possiamo pensare al passo successivo, dobbiamo prima arrivare alla conclusione del primo step». Ultimo step quello conclusivo, il progetto definitivo e l’esecutivo. Nella nostra ultima chiacchierata lei aveva fatto riferimento al Sottosegretario alle Infrastrutture (Salvatore Margiotta, senatore PD,) il quale ha detto che “arriveranno 4 milioni per il progetto definitivo ed esecutivo”. Com’è ad oggi la situazione?

«Ad oggi la situazione è ferma e non ci sono stati aggiornamenti in merito. Un po’ dipende dall’emergenza che stiamo vivendo, in ogni caso attendiamo sviluppi». Impossibile non parlare dell’emergenza sanitaria che ha colpito il mondo. Com’è la situazione a Mezzanino? «A Mezzanino al momento abbiamo avuto diversi contagiati, di cui uno guarito, 3 ricoverati in strutture sanitarie e 5 al proprio domicilio, seguiti dall’A.S.S.T. di Pavia e da questo Comune, il quale quotidianamente assume informazioni sul loro stato di salute». Come avete gestito l’emergenza? «Abbiamo da subito affrontato il problema cercando di supportare le persone, distribuendo mascherine a tutti i cittadini con l’aiuto della Protezione civile che ci ha aiutati anche a sanificare le strade. Abbiamo raddoppiato la somma che il ministero ha attribuito al nostro Comune in modo da sostenere con i buoni spesa il maggior numero di famiglie in difficoltà. Le diverse donazioni ricevute ci hanno permesso di aprire un nuovo bando per supportare coloro che non hanno potuto aderire al primo. Ora stiamo cercando di capire come poter aiutare le aziende presenti sul nostro territorio»

«Ora stiamo cercando di capire come poter aiutare le aziende presenti sul nostro territorio»

La situazione è preoccupante e guardando al futuro la percezione della gente non è delle più ottimistiche. Come vede lei e che iniziative pensa di poter portare avanti per il post covid? «Purtroppo, ritengo che il periodo postcovid sarà caratterizzato da una crisi economica senza precedenti. Vedremo di farvi fronte con ogni mezzo. I mezzaninesi sono grandi lavoratori, l’economia del paese poggia non solo sull’agricoltura ma anche sulle numerose realtà industriali presenti nel territorio. Sono certo che ce la faremo, anche se la ripresa non sarà un’impresa facile. Dipende anche da come si comporteranno la Regione, il Governo e la Comunità Europea». Lei oltre ad essere il sindaco di Mezzanino è anche un imprenditore, la sua attività è certamente una di quelle che più è stata penalizzata dall’emergenza sanitaria. Come pensa di reinventarsi una volta terminata l’emergenza? «Questa emergenza ha occupato la maggior parte del mio tempo in veste di amministratore locale, ma essendo anche un imprenditore ho pensato anche ai miei dipendenti e a come poter riavviare la mia attività nei prossimi mesi che ad oggi ha subìto, con la chiusura, una forte difficoltà economica. I molti dipendenti e l’affitto devono comunque essere pagati e gli incassi sono azzerati. In verità continuiamo a preparare pasti che recapitiamo a domicilio ma con il ricavato riusciamo appena a coprire le spese. Ma non vogliamo spegnere del tutto i fornelli… sarebbe troppo triste. Questa attività l’ho creata con le mie mani, superando mille difficoltà. Non sarà il Covid a fermarmi».

Adriano Piras, sindaco di Mezzanino e imprenditore nel campo della ristorazione

Che ne è stato del progetto inerente l’impianto sportivo ed il centro ricreativo per gli anziani che sarebbe dovuto iniziare a marzo? Immaginiamo tutto in stand by… «Il progetto relativo al campo sportivo è pronto ma in questo momento la priorità è stata un’altra. Vedremo di riprendere questo discorso non appena la situazione si sarà stabilizzata e si potrà ricominciare a guardare con occhi diversi al futuro». di Silvia Colombini



STRADELLA

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Drone alla Polizia Locale, tra le novità introdotte in campo sicurezza Alla sua prima esperienza come amministratore, Isabella Giannini è stata eletta lo scorso maggio consigliere nel Comune di Stradella: funzionario amministrativo presso Asst di Pavia e laureata in Giurisprudenza, presiede la “Commissione consiliare IV, Welfare e Cultura” ed è membro della “Commissione consiliare I Polizia Urbana e Sicurezza” In passato ha fatto parte del coordinamento di Forza Italia Giovani, partito nel quale tutt’ora milita. In questa situazione di emergenza il settore welfare ha dovuto rivedere le proprie priorità. A stradella quali sono state le misure adottate dall’amministrazione e quali sono state le proposte avanzate dalla commissione welfare?” «In questa situazione di emergenza causata dal coronavirus il settore welfare, anche grazie all’ausilio delle associazioni di volontariato, sta lavorando per aiutare chi è particolarmente in difficoltà. Il 15 aprile si è riunita, a distanza, la commissione welfare per aggiornare i consiglieri sulle attività di questo settore durante l’emergenza sanitaria: questa situazione che stiamo vivendo ha forti risvolti sul sociale. Al fine di gestire l’emergenza sono nate diverse iniziative, tra le quali l’istituzione del Centro Operativo Comunale di protezione civile e di un servizio di volontariato permette alle persone fragili o con difficoltà di ricevere a domicilio farmaci e generi alimentari. Grazie ad alcuni volontari, accompagnati dalla protezione civile e dalla polizia locale, è stato possibile provvedere alla consegna delle mascherine agli over 65 e ai commercianti. La polizia locale ha intensificato i controlli al fine di verificare che

tutti rispettino le regole e le limitazioni imposte dal Decreto e, fino al 3 maggio, è stata prorogata la sospensione del pagamento dei posteggi nelle strisce blu, proprio per facilitare chi deve uscire per spostamenti essenziali e improrogabili. Inoltre, è stato aperto un conto corrente dove è possibile fare una donazione per l’emergenza alimentare. Colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente i medici ospedalieri, i medici di medicina di base, le forze dell’ordine, la protezione civile e tutti i dipendenti comunali che ci stanno aiutando in questo difficile momento.» Con l’insediamento dell’ultima amministrazione, come sono state riorganizzate le nuove commissioni? «Come Presidente della “commissione consiliare IV Welfare e Cultura” ho avviato un’ottima collaborazione con l’assessore e vicesindaco Dino Di Michele e, per quanto riguarda il settore demografico ed elettorale, con l’assessore Maria Grazia Vercesi, dato che la commissione ha la competenza anche del settore demografico ed elettorale, che ringrazio per il lavoro svolto. Quali sono le idee e i progetti che la “Commissione Consiliare Welfare e Cultura” intende proporre per sfruttare al meglio le potenzialità del patrimonio culturale stradellino? «Per quanto riguardo il settore cultura continuerà la stagione teatrale e l’attività della prestigiosa Accademia del Ridotto non appena sarà terminata l’emergenza. Inoltre, è stata istituita una collana di pubblicazioni denominata “Quaderni della Nostra Storia” con la quale si vuole promuovere la raccolta di scritti che trattano la storia, i personaggi, gli eventi del territorio locale: il primo libro inserito in questa collana è

“Agostino Depretis Sindaco di Stradella”, il cui autore è il Dott. Ettore Cantù. Ricordo che per il secondo anno consecutivo il Museo della Fisarmonica è stato presente agli eventi dell’Accordian Show, al Festival internazionale degli strumenti di alta gamma di Cremona e agli eventi collaterali tenutesi a San Giovanni in Croce. Inoltre, dal mese di settembre al 20 febbraio le fisarmoniche di Stradella sono state esposte a Merano all’interno della mostra “Design from Alps 1920-2020”». La costituzione della “Consulta Giovani” è stata un’altra grande novità della nuova amministrazione... «Fin dal suo insediamento l’amministrazione si è mostrata attenta all’ascolto dei bisogni della comunità, grazie al lavoro in sinergia con il consigliere Alessandro Quaroni e Francesca Manelli, ho coordinato i lavori per la costituzione della “Consulta Giovani” e per il rinnovo della “Consulta Welfare- famiglia e volontariato”, nella quale è confluita anche la “Consulta della Pace”. Abbiamo deciso di istituire la “Consulta Giovani” al fine di ascoltare la voce del mondo giovanile e a limitarne l’emarginazione in quanto crediamo che i giovani abbiano molto da dire e possano esercitare un ruolo importante, così come il mondo del volontariato e la famiglia che sono il fulcro della società. Ci tengo a sottolineare che la nostra volontà è quella di far lavorare autonomamente le consulte, senza condizionamenti da parte dell’amministrazione». Quali altre novità sono state introdotte? «L’assessorato al welfare ha realizzato anche il “Progetto reciprocità”, un programma molto importante perché permette alle persone che necessitano di sostegno eco-

Isabella Giannini, consigliere comunale

nomico di sentirsi utili per la comunità e non di ricevere mera assistenza». Inoltre, è membro di un’altra commissione… «Sono anche membro della “Commissione consiliare polizia urbana e sicurezza”: colgo l’occasione per complimentarmi e ringraziare la polizia locale di Stradella, che ultimamente si è distinta per le operazioni svolte. Mi riferisco in particolare all’indagine di truffa coordinata dall’assistente Marco Marini, per la quale ha ricevuto un riconoscimento da Regione Lombardia, e all’operazione attuata in sinergia tra Polizia Locale, carabinieri forestali e Arpa, che ha portato a individuare una discarica illegale posta sul territorio comunale. Tra le novità introdotte nel campo della sicurezza, il comune ha deciso di dotare la Polizia Locale dell’utilizzo di un drone: a tal fine due operatori stanno partecipando a un corso per poterlo utilizzare, il quale sarà di aiuto anche all’attività investigativa». di Manuele Riccardi


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«Nonostante io sia in opposizione, le mie proposte sono sempre vagliate attentamente dalla maggioranza» In emergenza coronavirus tanti cercano di rendersi utili e di fare la propria parte. è successo anche ai ragazzi del gruppo di Minoranza “La Strada Nuova”, che è presente nel consiglio comunale stradellino con Mattia Grossi, che alle elezioni dello scorso anno si era presentato come candidato sindaco. Si parla di donazioni e corsi online: a lui abbiamo chiesto come si sta muovendo il suo gruppo per dare supporto in questo delicato momento. Mattia, ci parla di quello che state facendo per la comunità? «Lo scorso anno abbiamo fatto dei corsi su svariate tematiche da cui sono anche conseguiti diversi tesseramenti. Con il ricavato di tali attività, volevamo proporre quest’anno alla cittadinanza tre serate cinema che avrebbero affrontato altrettante tematiche. Appena abbiamo capito che non avremmo potuto realizzare tali eventi a causa del coronavirus, abbiamo pensato a come poter reindirizzare i fondi raccolti per le attività e a come metterli a disposizione di Stradella. Abbiamo, quindi, colto l’occasione di aiutare i cittadini quando il Comune ha istituito la raccolta fondi per la solidarietà alimentare. Inoltre, siccome lo scorso anno ai corsi c’era stata una buona partecipazione, abbiamo pensato di riproporli online, richiedendo per la partecipazione l’esecuzione di un’offerta libera direttamente sul conto corrente comunale per la solidarietà alimentare». Come sono strutturati questi corsi e quali sono le modalità per accedervi? «Abbiamo pensato di proporre due corsi online: uno sarà tenuto da me e verterà sul trading e l’educazione finanziaria, l’altro,

Mattia Grossi capogruppo di minoranza “La Strada Nuova”

invece, sarà un corso di fotografia con il cellulare tenuto da Luca Salviati. Il primo corso ha come obbiettivo quello di far capire come funzionano i mercati finanziari, quali siano i principali strumenti finanziari e mettere in evidenza a cosa bisogna prestare attenzione quando si decide di investire. Il secondo, invece, è dedicato agli amanti della fotografia a cui sarà spiegato come poter sfruttare al meglio la fotocamera del proprio cellulare per poter ottenere foto meravigliose avvalendosi, anche, dei giusti effetti». Perchè la scelta di questa tipologia di corsi? «La nostra scelta di effettuare questi due corsi si è basata sul fatto che essi sono stati quelli più seguiti l’anno scorso e sul fatto che siano comodamente eseguibili online». Cos’altro pensate di fare in questo momento così difficile? «Abbiamo pensato di metterci al servizio della cittadinanza in prima persona. Infatti alcuni di noi si sono resi disponibili a far parte del gruppo di volontari, istituito dal Comune di Stradella, che si occupa di con-

segnare la spesa, i farmaci e le mascherine agli anziani. Voglio approfittare di questo spazio per fare i complimenti e ringraziare tutto il gruppo di volontari, composto da ragazze e ragazzi straordinari, per l’indispensabile servizio che stanno svolgendo in questo periodo». Emergenza sanitaria a parte, come definirebbe questo suo anno da consigliere di minoranza? «Lo definirei sia impegnativo che gratificante. è stato impegnativo perché, nonostante non sia mancato il supporto di tutti i ragazzi che erano in lista con me, in poco tempo ho dovuto imparare molte cose sul funzionamento della macchina Comunale. è stato, poi, anche molto gratificante perché ho potuto dare il mio contributo e proporre idee e iniziative per Stradella. Mi ha fatto anche molto piacere il fatto che, nonostante io sia in opposizione, le mie proposte siano sempre state vagliate attentamente dalla maggioranza. In Consiglio, infatti, mi sto impegnando a svolgere al meglio il ruolo di Consigliere di opposizione. Ritengo che l’opposizione non debba fare mero ostruzionismo, ma che debba contribuire allo sviluppo della Città, mettendo in campo idee e competenze, promuovendo le iniziative che ritiene essere corrette e opponendosi a quelle che pensa non portino a benefici». Quali sono state le iniziative concrete che avete portato avanti come gruppo di monoranza a partire dal vostro insediamento a maggio 2019? «Per quanto riguarda l’attività consiliare, la prima problematica che abbiamo evidenziato è stata la mancanza di parcheggi per i lavoratori delle logistiche, che sono spesso costretti a parcheggiare lungo strade molto

trafficate e quindi rischiose da percorrere. Successivamente mi sono occupato delle aree verdi e di svago della città, al fine di renderle utilizzabili, pulite e sicure. Ponendo l’attenzione sul Bosco Negri, attualmente in fase di riqualificazione, la Strada del Corriggio, in cui purtroppo molto spesso vengono abbandonati rifiuti, e il parco giochi di via Amendola. A tal proposito avevo presentato un ordine del giorno, approvato all’unanimità dal Consiglio, in cui si richiedeva la riqualificazione dei campi da calcio di via Maggi e via Sicilia e del campo da basket di via Brodolini. Sono molto felice di questo risultato, sia perché i cittadini avranno ulteriori spazi in cui passare il tempo libero, sia per la collaborazione della maggioranza e dell’altra parte di opposizione. Mi sono anche interessato delle strade, presentando due interpellanze per porre l’attenzione sulla riqualificazione di un tratto di strada di via Levata e strada della Solinga. Inoltre nell’ultimo consiglio ho presentato un’interpellanza per conoscere gli attuali e futuri utilizzi dell’ex centro di aggregazione ludoteca. Come associazione invece stiamo continuando con due importanti servizi per i cittadini: lo streaming online dei Consigli Comunale e la gestione di un gruppo facebook di offro/cerco lavoro per l’Oltrepò». Cosa si auspica per i prossimi mesi? «Il mio augurio è che si possa tornare alla normalità al più presto, ma nel frattempo dobbiamo rispettare alla lettera tutte le regole e tenere i giusti comportamenti per contrastare l’epidemia. Solo così, infatti, potremo vincere questa battaglia e tornare alla vita di prima». di Elisa Ajelli


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«Questo tempo, se utilizzato bene può essere prezioso» L’oratorio è il luogo di aggregazione per antonomasia e in tempi di emergenza da Covid-19 è davvero impensabile svolgere le normali attività che avvengono in questi luoghi speciali. Abbiamo chiesto a Don Cristiano Orezzi, viceparroco di Stradella e da tantissimi anni responsabile dell’oratorio della città, come si sta affrontando questo particolare momento. Don Orezzi, com’è la situazione del suo oratorio? «L’oratorio è chiuso, come tutti gli oratori, da quando è partita l’emergenza coronavirus. Siamo anche molto incerti sul futuro…a giugno solitamente partono i vari grest, i centri estivi e i campi scuola. Non sappiamo se si potranno fare, come si potranno fare… siamo in attesa di risposte in questo senso… attendiamo in 4 maggio per capire cosa fare. Nel frattempo, ci siamo ingegnati, noi ed altri oratori, per rimanere in contatto almeno con quelli che sono gli animatori e con quelli che sono più vicini al percorso dell’oratorio». In che modo? «Come Pastorale Giovanile di Tortona stiamo facendo i ‘quasi esercizi spirituali’, li abbiamo chiamati così. In settimana, attraverso un’applicazione (go to meeting), c’è sempre un sacerdote diverso della Diocesi o anche frati e suore di Assisi, che raccontano testimonianze o fanno interventi. Ci sono parecchi giovani che ascoltano e che si collegano: è una bella iniziativa e un bel momento di condivisione. Questo è per quanto riguarda i giovani ‘un po’ più grandi’, diciamo in età universitaria». Con i più piccoli invece? «Ci sono sempre i vari gruppi whatsapp, in cui si cerca di stare vicino.

Don Cristiano Orezzi, vice parroco di Stradella

Da quando è iniziata la Quaresima e di fatto anche la quarantena, ogni giorno mandiamo un brevissimo commento del Vangelo del giorno, per offrire un piccolo momento di ascolto della Parola di Dio quotidiana. Poi, noi di Stradella in particolare, ci siamo dati un appuntamento serale, per darci la buonanotte: su un’altra applicazione, ognuno, a turno, si collega per dare la buonanotte, lasciando un commento sulla giornata oppure facendo ascoltare una canzone o leggendo un testo e ci si saluta così. Si cercano momenti in cui sentirsi vicini anche se si è distanti». Nota qualche sofferenza particolare nei giovani in questo periodo? «Ho notato e noto la disponibilità ad aiutare, questo sì. Quando il Comune mi aveva chiesto di sentire un po’ di ragazzi per aiutare a portare la spesa agli anziani, ho ricevuto un ottimo riscontro: in molti si erano resi disponibili. Poi ci sono state delle limitazioni, in quanto potevano

aderire all’iniziativa solo i maggiorenni, e quindi non tutti hanno potuto partecipare, ma la disponibilità è stata davvero tanta. Un altro esempio della loro disponibilità è stato l’attivazione, sempre da parte della Pastorale Giovanile, di un numero di telefono e di un progetto chiamato ‘Pronto PG’, in cui venti giovani si sono messi a disposizione per rispondere alle chiamate di chiunque si trovi in difficoltà e abbia il bisogno di scambiare quattro chiacchiere in questo periodo. è un’iniziativa rivolta soprattutto agli anziani, ma anche i giovani possono sentirne l’esigenza». Giovani attenti e disponibili... «La cosa di cui assolutamente mi rendo testimone è la disponibilità dei ragazzi ad inventarsi qualcosa per mettersi a servizio. Poi c’è chi sta vivendo questo momento particolare in altro modo, per esempio mettendosi nella riflessione e nel desiderio di sfruttare il periodo per crescere… e infine c’è purtroppo chi si mette davanti ad uno schermo e ai videogiochi e questo mi spiace. Non dico che non si debba stare con i videogiochi in mano, ma se diventa l’unico obbiettivo della giornata in questo periodo non va bene. Si potrebbe invece dedicarsi a qualche buona lettura, a qualche film interessante, a qualche telefonata in più all’amico per sapere come sta, a fare esercizio fisico anche se in casa… è sempre importante organizzarsi la giornata e scandirla bene: naturalmente ci auguriamo che la situazione migliori e si possa tornare presto ad essere un po’ più liberi. Questo tempo, però, se utilizzato bene, può essere prezioso». La vostra Parrocchia ha fatto anche le dirette delle Sante Messe? «Sì, da subito. Abbiamo sempre trasmes-

so e trasmettiamo le dirette delle Messe e del Rosario, tutte le sere alle 19 su Instagram. Il riscontro è molto positivo». Da vice parroco cosa può dire, invece, per i meno giovani? Ci sono state richieste di aiuto? «Il nostro centro caritativo continua a funzionare perfettamente, grazie all’instancabile lavoro di tutti i collaboratori. Devo dire che i momenti di preghiera che facciamo online sono apprezzati da diverse persone che a prima vista magari non mi sarei aspettato, ma che invece ringraziano perché per loro è davvero un momento della giornata molto confortante e di sollievo. Anche tanti affetti dal virus, o che hanno avuto famigliari affetti, si sono fatti sentire per una preghiera o una parola. Proviamo davvero in tutti i modi a stare vicino alle persone: sappiamo che ovviamente non è la stessa cosa rispetto alla presenza, però si fa quello che si può». Per il futuro cosa si aspetta? «Dobbiamo aspettare le disposizioni. Sono personalmente un po’ dubbioso sul fatto che a giugno possano partire i vari grest, però è anche vero che se i genitori devono tornare a lavorare i bambini da qualche parte devono stare. Vedremo…». Secondo lei le persone come “usciranno” da questa situazione delicata? «Voglio sperare che sia un po’ migliorata, a partire dalle cose minime…dal non buttare per terra gli oggetti al rispetto del linguaggio. Mi auguro che si possa crescere nella civiltà e che Dio ritorni ad essere presente nell’orizzonte delle persone: è questa la mia speranza». di Elisa Ajelli



CASTANA

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«L’ansia più grande è la paura che non si torni mai più alla vita di prima» La situazione di emergenza dovuta alla pandemia di Covid-19 mette a dura prova anche la salute psicologica. Le preoccupazioni e l’incertezza aumentano con l’aggiornamento quotidiano dei dati sul contagio e sulla letalità del virus, le abitudini sono drasticamente cambiate da marzo in poi e si sono limitate al minimo le attività e gli spostamenti al fine di contenere l’epidemia. Tutto questo ha portato sicuramente ai reazioni psicologiche differenti. Abbiamo rivolto qualche domanda alla dottoressa Isabella Brega, giovane psicologa e psicoterapeuta originaria di Castana che fa parte del team “per il sano comportamento alimentare” del Mondino di Pavia e di Milano per capire nel dettaglio quali sono i problemi e i rischi che il coronavirus ha portato. Emergenza coronavirus: si sono rivolti in tanti a lei per superare questo momento critico? «Sì, diverse persone si sono rivolte a me per effettuare consulenze telefoniche, perché stiamo vivendo un periodo molto difficile per una serie di motivi. Innanzitutto a causa della paura di contrarre il coronavirus. Si teme anche per i propri cari, soprattutto se sono particolarmente esposti al rischio del contagio, come gli operatori sanitari. A questo si aggiunge la difficoltà a rimanere a casa e ad organizzare le giornate in modo gratificante e produttivo». Quali sono le maggiori paure che ha riscontrato tra i pazienti? «Si riscontrano diverse paure o ansie. Oltre a quelle precedentemente citate, l’ansia che non si torni mai più alla vita di prima. Alcune persone temono di perdere il lavoro e già si immaginano a dovere ricominciare tutto da capo, anche se non sono più giovanissimi. Altre persone temono di perdere persone significative a causa di lutti o allontanamenti. Diverse coppie, infatti, stanno vivendo questo periodo di “convivenza forzata” o, al contrario, di “lontananza forzata” come una prova particolarmente difficile da superare». Quali sono i rischi più grandi a livello mentale che questa pandemia ha portato o può portare, per giovani e meno giovani? «I rischi più grandi a livello mentale, per tutti, rappresentano l’insorgenza o l’aggravarsi di disturbi d’ansia, depressione, disturbi alimentari e disturbo post-traumatico da stress. L’attuale situazione, caratterizzata da paura e da preoccupazioni, può generare facilmente uno stato d’ansia più o meno grave. Anche la tristezza risulta un’emozione particolarmente attuale, ad esempio a causa della lontananza dai nostri cari e in alcuni casi anche a causa

della perdita dei nostri cari. L’insorgenza o l’aggravamento dei disturbi alimentari risultano invece associati ad una serie di motivi, tra i quali la limitata possibilità di praticare attività fisica e l’esposizione a grandi scorte alimentari. In generale, si riscontra un’elevata intensità di emozioni spiacevoli (ad esempio, paura e tristezza) e un’evidente difficoltà a gestirle in modo funzionale. Alcune persone presenteranno anche il disturbo post-traumatico da stress, caratterizzato da sintomi come ansia, alterazioni dell’umore, dell’attenzione e della memoria, legati all’esposizione ad un evento traumatico». Cosa consiglia di fare in questo periodo in cui si è ancora costretti in casa? «Innanzitutto attribuire un altro significato al rimanere a casa. Capisco perfettamente che non sia facile essere costretti a casa, a maggior ragione per un lungo periodo di tempo come questo, ma dobbiamo capire che lo facciamo per proteggerci, per tutelare la nostra salute e quella degli altri. Importante è anche pianificare la giornata, magari alla sera del giorno prima, imponendosi di andare a dormire e alzarsi ad orari regolari e abbastanza presto. Ogni giornata va pianificata inserendo attività fisica, che si può e si deve praticare a casa, e un’alimentazione equilibrata. Oltre a prendersi cura della propria salute e del proprio corpo, occorre occuparsi della propria mente attraverso attività stimolanti e piacevoli come leggere un buon libro, creare o cimentarsi in giochi di enigmistica e colorare mandala (motivi geometrici e disegni circolari, stampabili da Internet). Per aumentare il benessere psico-fisico, consiglio anche la pratica di mindfulness, utilizzata nella psicoterapia cognitivo comportamentale: su Internet si trovano video grazie ai quali praticare esercizi di questo tipo» Guardiamo avanti, finita l’emergenza si proverà a tornare alla vita “normale”. Quali consigli si sente di dare per affrontare questo step? «Ritengo opportuno iniziare a prepararsi alla “normalità”, pensando e magari scrivendo le attività che dobbiamo e vogliamo fare dopo questo periodo. Consiglio comunque di tornare alla vita “normale” in modo graduale perché dopo settimane trascorse giustamente a casa sono cambiate le nostre abitudini». Come è nata in lei la passione per la mente umana? «La passione è nata dalla mia curiosità. Sono curiosa di scoprire le storie di vita delle persone, le loro emozioni e le loro aspettative. Quando si conoscono veramente si possono riuscire a comprendere le scelte e i comportamenti delle persone,

Isabella Brega, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Mondino

anche quelli apparentemente incomprensibili. La passione per la mente umana è nata anche grazie a mia mamma, che fin da bambina mi faceva osservare le espressioni e le azioni delle persone, cercando di farmi riflettere su quello che probabilmente stavano provando e sulle conseguenze dei diversi comportamenti. Oltre ad insegnarmi la buona educazione, mi ha, senza saperlo, avvicinata al mondo della psicologia. Anche per questo le sarò eternamente grata». In che cosa si è specializzata? «In psicoterapia cognitivo comportamentale. Ho scelto di specializzarmi in questo tipo di psicoterapia poiché studi scientifici decennali ne dimostrano l’efficacia nella maggior parte dei disturbi psicologici, come i disturbi d’ansia, la depressione e i disturbi alimentari. Inoltre, è un tipo di psicoterapia breve, che utilizza tecniche molto apprezzate dai pazienti. Mi sono anche specializzata nella prevenzione e nella terapia dei disturbi alimentari e dell’obesità nel centro del dottor Dalle Grave, che in materia è un riferimento a livello internazionale». Qual è stato il suo percorso di studi? «Dopo il diploma in ambito psico-pedagogico non ho avuto dubbi sulla scelta del corso di laurea e dell’Università. Ho quindi sostenuto il test d’ammissione per Psicologia all’Università di Pavia. Ho conseguito la laurea triennale e poi la laurea magistrale in Psicologia con 110 e lode. Ricordo ancora il 10 settembre 2013 (giorno della laurea magistrale) come il più bello della mia vita. I sacrifici di cinque anni di studio e di lavoro (perché mi sono dovuta pagare quasi da sola l’Università) finalmente ripagati con una laurea e i complimenti da parte dei professori.

La psicologa «Iniziare a prepararsi alla “normalità”, pensando e magari scrivendo le attività che dobbiamo e vogliamo fare dopo questo periodo»

Prima di iniziare l’Università credevo che con la laurea sarebbe finito il percorso di studi invece è continuato con la scuola di psicoterapia e un master, e sta continuando con un altro master e la partecipazione a corsi e convegni. Credo infatti che per svolgere bene il proprio lavoro occorra un continuo approfondimento e aggiornamento professionale». Lei è anche scrittrice: ci parla del suo libro e di come è nata l’idea di scriverlo? «L’alba del coraggio è un romanzo psicologico incredibilmente attuale. La protagonista, nella quale tutti possiamo identificarci, si ritrova in una situazione molto difficile, che rappresenta una sfida. Leggendo il libro scopriamo molto della protagonista, le sue emozioni più profonde e i suoi pensieri più nascosti, e soprattutto impariamo a conoscere meglio noi stessi. è un libro che spinge alla riflessione personale e allo stesso tempo regala messaggi di speranza, fondamentali in questo periodo. L’idea di scrivere “L’alba del coraggio” è nata da un sogno fatto anni fa, che mi ha subito colpito per i suoi molteplici significati, che ho cercato di esprimere al meglio nel libro». di Elisa Ajelli


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CANNETO PAVESE

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“C’era una volta un bellissimo castello…” “C’era una volta un bellissimo castello…”: mai più adatto può risultare il più banale degli incipit fiabeschi per poter introdurre la storia del Castello di Montuè, nel Comune di Canneto Pavese, o meglio, delle sue macerie. La rocca, venne edificata probabilmente nel IX secolo e sopravvisse alle distruzioni e ai saccheggi piacentini avvenuti in Valversa nel 1216. Dal XIII al XV secolo fu proprietà della famiglia guelfa dei Gabbi, signori di Monteacutello, questa successivamente ridotto in Montù de’ Gabbi (denominazione che mantenne fino al 1886, anno in cui il comune mutò il nome in Canneto Pavese). Ad essi successero, per un breve periodo i Beccaria. I Valperga, una delle più antiche e potenti famiglie del Piemonte, ne furono proprietari dalla metà del XV secolo al 1587, quanto i conti Gaspare e Antonio Valperga cedettero tutta la proprietà al signore Giovanni Antonio Candiani per la cifra di tredicimila scudi, interamente saldati nel 1593. Successivamente, nel 1647, ne divennero anche feudatari e mantennero tale privilegio fino alla fine del XVIII secolo, quando ad essi subentrarono i piacentini Rota-Candiani, che mantennero la proprietà fino alla demolizione. Il Castello di Montuè, nel 1818, vide come sua ospite Carolina d’Hannover, moglie dell’allora Principe del Galles e futuro Re di Inghilterra, Giorgio IV, il cui processo per adulterio fu uno degli scandali più rilevanti del XIX secolo. Ai primi del Novecento la rocca presentava una struttura ettagonale, simile a quella appartenente al Castello di Zavattarello e alla Rocca de’ Giorgi. Vantava importanti rifiniture, sia esterne che interne, con due imponenti scale a chiocciola e, secondo la tradizione popolare, 365 finestre, una per ogni giorno dell’anno. Era un immobile totalmente conservato, che non mostrava

Michele Ciulla, attuale proprietario della Rocca di Montuè

segni di cedimento da dover far presagire l’imminente triste sorte. Nel 1925 le sorelle Vittoria e Romana Rota-Candiani stipularono un compromesso di vendita con l’Ing. Angelo Pollini di Pavia, il quale ottenne da subito il diritto di poter entrare nell’immediato possesso del castello, riservandosi di poter stipulare l’atto di vendita solamente in un secondo momento. Immediatamente venne privato di tutti i mobili e gli ornamenti, che vennero venduti nonostante gli accordi prevedevano che il Castello dovesse essere preservato nella sua integrità. L’11 settembre 1925, l’Ing. Pollini chiese l’autorizzazione alla Sovraintendenza di poter effettuare una parziale demolizione interna per poter meglio consolidare la struttura, impegnandosi a non modificare esteriormente l’edificio.

Ma questa fu tutta una farsa: ottenuta l’autorizzazione iniziarono veri e propri lavori di demolizione. La popolazione capì immediatamente i piani della nuova “proprietà” e cercò disperatamente di fermare lo scempio, firmando una petizione con la speranza di coinvolgere le autorità, le quali tacquero nella più totale indifferenza. Gli abitanti della frazione cercarono in lacrime di bloccare l’accesso degli operai incatenandosi al cancello, ma questo non bastò. La struttura venne privata del tetto e lasciata alle intemperie invernali e, nella primavera successiva, iniziarono le operazioni di smantellamento dei muri esterni: tutto questo per ricavare materiale edile da rivendere per la costruzione di nuovi edifici. Solo l’anno successivo, nel 1926 il Podestà di Canneto chiese l’intervento della Soprintendenza, la quale ordinò l’interruzione dei lavori. Ma ormai era troppo tardi e del castello rimanevano solo poche mura esterne pericolanti.

Castello di Montuè, «Demolito per ottenere materiali da costruzione che, secondo le informazioni, sono stati utilizzati per restaurare e ampliare il Teatro Fraschini di Pavia»


CANNETO PAVESE Questo non fermò la furia demolitrice dell’Ing. Pollini, il quale chiese, nel 1927, l’abolizione del vincolo della Soprintendenza, per poter terminare la demolizione delle ultime macerie e disporre l’area alla vendita di qualche interessato. Ma la Soprintendenza confermò il vincolo, motivando la decisione con la seguente risposta: «Se il ricordo storico e le tradizioni paesane si compendieranno d’or innanzi in pochi ruderi anziché nel fabbricato che dai secoli era giunto sino ai nostri giorni, i cittadini di Canneto ne vorranno certo, consapevoli di quanto è accaduto, attribuire la cagione a Vossignoria». La cosa più sconvolgente di questa “tragedia storica” sta nel fatto che l’Ing. Pollini riuscì, grazie alle clausole stabilite dal compromesso, ad effettuare la demolizione del Castello di Montuè senza mai esserne il vero proprietario in quanto, non versando mai il saldo di L.10.000 alla famiglia Rota Candiani, non venne mai stipulato un contratto di vendita vero e proprio. Fu grazie questo escamotage che, dinanzi alla condanna del Pretore di Broni, riuscì a dimostrare di non essere il vero proprietario dell’immobile il quale, a catasto, risultava ancora delle sorelle Rota-Candiani.

«Da Provincia e Regione, interventi limitati al solo censimento delle strutture per la valorizzazione del territorio»

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APRILE 2020

Negli anni a seguire, durante lo smantellamento delle macerie, vennero rinvenuti due cannoni di difesa, nei quali erano impresse le frasi «Il difensore di Montuè de’ Gabbi sono io» e «Il furore del nemico sono io». Ancora oggi alcuni abitanti ricordano l’esistenza di un tunnel difensivo che collegava la rocca di Montuè con il fortilizio della Malpaga, situato secoli fa nelle imminenti vicinanze, anch’esso tutt’ora scomparso. Ma cosa ne è stato del Castello di Montuè dopo la sua parziale demolizione degli anni ’20? Abbiamo intervistato l’attuale proprietario, il Dott. Michele Ciulla di Milano, il quale ci ha raccontato di alcuni vecchi progetti e nuove idee per ridare vita a questo sfortunato pezzo di storia oltrepadana. Da quando la sua famiglia è proprietaria dei ruderi e delle pertinenze del Castello? «Il castello, e le sue pertinenze, sono stati acquistati negli anni ’50 da mio padre, Ugo Ciulla, di professione medico, che lasciò la proprietà in uso agricolo alla famiglia di mia madre, Paolina Filighera, nativa di Pietra de’ Giorgi la quale, prima con il fratello Fausto e poi con il mio aiuto, ha gestito l’Azienda Agricola Castello di Montuè, un’azienda vitivinicola con attività agrituristica, al momento non in attività. Il cognome della famiglia di mia madre, Filighera, è di derivazione Longobarda: anche un comune in provincia di Pavia porta lo stesso nome. La proprietà, così come acquistata da mio padre, si presentava in ottime condizioni per quanto riguarda le pertinenze, tra cui casamenti coevi al castello, ma in condizioni già molto precarie per quanto riguarda il Castello in quanto, proprietari precedenti, avevano proceduto alla demolizione per ottenere materiali da costruzione che, secondo le informazioni, sono stati utilizzati per restaurare e ampliare il Teatro Fraschini di Pavia».

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La Rocca di Montuè in una cartolina dei primi del ‘900

C’è o c’è stata una volontà da parte sua di voler recuperare quel che rimane del castello? «Trattandosi di Ruderi del Castello, di cui ancora visibili una parte di cinta perimetrale e alcuni locali, ad uso stalle, ancora conservati con volte ad arco acuto, la volontà si scontra con la difficoltà di un progetto di recupero che avrebbe come obiettivo una vera e propria “ricostruzione”. Più praticabile la via del consolidamento per cui abbiamo contattato le Belle Arti». La pubblica amministrazione ha mai manifestato qualche interesse a riguardo? «Il Comune ha sempre manifestato interesse, ma trattandosi però di un piccolo paese, è difficile andare oltre con progetti più organici. Uno dei progetti che abbiamo portato avanti è stato quello relativo alla sentieristica, con placca di segnalazione del sentiero “Recoaro di BroniCastello di Montuè”, ma si tratta di un progetto da valorizzare.

Per quanto riguarda Provincia e Regione, interventi sono stati limitati, in pratica, al solo censimento delle strutture per la “valorizzazione del territorio.”». Secondo Lei, un “Circuito dei castelli dell’Oltrepò” sarebbe utile per la riscoperta di questi luoghi storici? «Personalmente punterei alla “sentieristica”, cioè alla costruzione e manutenzione di percorsi per il trekking che, unendo località collinari, possano portare anche alla valorizzazione del patrimonio storico-artistico dell’Oltrepò Pavese. Penso, ad esempio, ad una dorsale che, unendo i comuni di collina, possa costeggiare la via Emilia. Per questo sarebbe necessario lavorare con le amministrazioni su un progetto supportato da applicazione dedicata per smartphone con cui valorizzare i sentieri e geo-localizzare la posizione». di Manuele Riccardi



ARTE & CULTURA

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«In Oltrepò la vita si svolge lenta e senza pretese, sempre di più penso che sarebbe bello tornare a vivere e a lavorare qui» Si è da poco conclusa “I am a mermaid”, la mostra esposta presso la Galerie Charredeau di Parigi di Alice Rosati, fotografa di moda milanese con l’Oltrepò nel cuore. Un progetto che l’ha vista impegnata per diversi anni, che vede protagonista una figura misteriosa con il corpo avvolto da un involucro di lamèe dorato, dal volto irriconoscibile e una coda da sirena, nelle cornici più variegate e variopinte. Alice Rosati nasce nel 1985 e si appassiona alla fotografia fin da piccola, da quando suo padre, all’età di 4 anni, le regala la sua prima macchina fotografica. Ha lavorato per Grazia e Madame Figaro, per citarne alcuni, attulamente collabora con varie edizioni internazionali di Vogue. Alice, lei è sei originaria di Milano, ma ha trascorso gran parte della sua infanzia a Casino di Soriasco (Santa Maria della Versa), in Valversa, dove tutt’ora vivono i suoi genitori. Questo posto le è molto caro e, nonostante ormai viva a Parigi, spesso ne fa ritorno … «Sì, vengo spesso per passare del tempo con la mia famiglia, generalmente a Natale e poi d’estate». Che scuola ha frequentato e come è arrivata a questo lavoro? È una passione che ha sempre avuto o è nata per caso? «La passione per la fotografia è qualcosa che ho sempre avuto: mio padre mi ha regalato la mia prima usa e getta a 4 anni per Natale. Non ho fatto una scuola specifica ma non credo che serva, infatti sono laureata in Critica d’Arte. Trovo che sia molto più utile assistere un fotografo il cui stile ci appassiona, invece che studiare in una scuola, i cui corsi si rivelano spesso troppo teorici e disconnessi dal reale mondo del lavoro». Quali sono stati i suoi primi progetti fotografici e collaborazioni? «Ho iniziato la mia carriera assistendo Graziano Ferrari, iconico fotografo di sfilate del parterre milanese. Successivamente mi sono trasferita ad Atene dove ho iniziato a collaborare con le prime riviste». Ha trovato difficoltà ad inserirsi in questo settore? «Non ho incontrato particolari difficoltà, ma a volte è solamente perché ci troviamo nel posto giusto al momento giusto. Non dipende solo dalle nostre capacità». Con quali riviste collabora attualmente? «Lavoro con varie edizioni internazionali di Vogue, come Vogue Ukraine e Vogue Cecoslovakia, che ritengo le più avanguardistiche e che lasciano molto spazio alla mia creatività, ma anche per giornali più mainstream, come EXPRESS DIX o Vogue Spagna. Per il resto del tempo sono

impegnata su progetti commerciali». Qual è il suo maestro o artista a cui si ispira? «Miei maestri indiscussi sono Bourdin e Newton, ma adoro anche Philippe Lorca di Corcia, per le atmosfere, David Lachapelle, per l’humour e, tra i contemporanei, Jamie Hawkesworth». Cosa rappresenta per lei la fotografia in termini emotivi? «Fotografare significa fermare un attimo del presente e renderlo eterno. Per me è un modo per aiutarmi a ricordare, una sorta di “madeleine proustiana”». Qual è la cosa che trova più difficile fotografando e quella che invece ti gratifica di più? «Catturare l’attimo necessario, quello che racchiude il significato è la cosa più difficile, mentre quella più gratificante è riuscire nell’impresa». Ora lei vive in Francia. Cosa ama di questo popolo e di questa nazione? «I pain au chocolat e le passeggiate con la mia bici lungo la Senna». Parliamo del suo ultimo progetto presentato recentemente a Parigi: “I’m a mermaid” (“Io sono una sirena”), progetto che è stato raccolto nel libro omonimo recentemente pubblicato da Kahl Editions Com‘è nata l’idea? «“I am a mermaid” è il risultato di una performance di 5 anni che indaga sulla condizione umana, sulla difficoltà della ricerca di sé e lo scontro con la società». La critica francese come ha accolto la sua mostra? «Direi bene, c’è stato un buon ritorno di stampa». Alice, lei ha scattato fotografie in diverse parti del Mondo. Quale luogo le è rimasto più impresso? «Naoshima in Giappone, il posto più incantevole che ho visitato fino ad ora». Quali sono i suoi obiettivi e le sue aspirazioni per il futuro? «Diventare la versione migliore di me stessa, vivere nel presente». Del nostro Oltrepò cosa apprezza? Non ha mai pensato di sviluppare qualche progetto in questa cornice? «Il profumo dell’erba appena tagliata da mio padre nel nostro giardino, le bellissime rose che coltiva mia madre e il nostro orto, i leprotti che corrono e si nascondono sotto la nostra siepe, la nebbia che d’autunno fa sì che Golferenzo appaia come un paese incantato sopra una nuvola, il buon vino dell’Oltrepò, i tortelli della pastaia in paese, il fuoco del camino che riscalda la casa d inverno, una vita che si svolge lenta e senza pretese, seguendo il ritmo delle stagioni, non ancora corrotta dalla fretta e della macchinosa freddezza

Alice Rosati, fotografa di Vogue originaria di Santa Maria della Versa

delle metropoli. Sempre di più penso che sarebbe bello tornare a vivere e lavorare in una dimensione più autentica, quindi chissà che non

decida di passare più tempo in questa graziosa cornice». di Manuele Riccardi

Una foto del progetto “I am a mermaid”, la mostra esposta presso la Galerie Charredeau di Parigi





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