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SANTA MARIA DELLA VERSA Pagine 22 e
Come vede il futuro dopo la pandemia?
«Le dico la verità, io non ho paura, ma sono preoccupata per i giovani e...». Si interrompe, stava per dire per gli anziani, non per lei! 92 anni e mezzo precisa. D’altra parte, Mariuccia non è vecchia, è diversamente giovane. Nel cuore, nella mente, nei piccoli gesti delle mani, negli occhi buoni che di tanto in tanto guizzano indagatori su cose e uomini che le sono prossimi. Grande amabile signora d’altri tempi che ascolteresti per ore e ore senza rimpiangere il tempo che con lei non è scandito dagli orologi, è dettato dal suo sentire buono, dalla sua prosa fluente e piana e da un paio d’occhietti furbi e indagatori. Spengo il registratore, due foto con Mariuccia Casella e Antonio Ghelfi e la signora ne approfitta per offrirci un caffè, nel servizio buono, “ancora un regalo di nozze” dice. Prima di congedarci, mi racconta di fatti accaduti in tempo di guerra e di cui va fiera: «A quel tempo i militari in guerra scrivevano alle mogli, alle mamme o alle fidanzate ma, alcuni di quei ragazzi non avevano nessuno. Per questa ragione alcune ragazze scrivevano a questi soldati e venivano definite ‘madrine di guerra’. A me è capitato un giovane meridionale, un pochino scapestrato che in gioventù era stato espulso da tutte le scuole del regno per aver tirato in faccia alla maestra il calamaio. Era però un bravo ragazzo, solo e al fronte; scrivendogli, mi sembrava di alleviargli un pochino la pena di quegli anni». Ci congediamo mentre lei è impaziente di leggere la lettera che le ho consegnato all’inizio della nostra chiacchierata. Che dire di una donna di 92 anni e mezzo, lucida come una ventenne, entusiasta di una vita vissuta tra gioie e tribolazioni, ma vissuta in modo vero? Che dire di una memoria portentosa che riporta all’oggi fatti e persone di tantissimi anni or sono? Che dire di una donna innamorata della sua terra e di gesti d’amore che gli uomini sanno mettere in campo in momenti tragici? Non ho le parole giuste per ringraziarla, vorrei abbracciarla ma non oso, la lascio promettendole di rivederla magari portandole qualche copia del suo amato Periodico. Si congeda parlando per la prima volta in dialetto «chisà si dirän i me vsën quänd im vädrän in säl giurnal?». (Chissà cosa diranno i miei vicini quando vedranno la mia foto sul giornale?). Ci saluta e rientra in casa curiosa di leggere la lettera di risposta alla sua che gli ho consegnato prima dell’intervista. Curiosamente penso che, prima ancora di vederla o di parlarle, da quelle poche righe che mi aveva inviato, mi sembrava di conoscerla. “Carissima Mariuccia, signora nella vita e, soprattutto, nell’animo. L’animo buono dei principi della zolla, come amava definire i figli della terra il grande giornalista Gianni Brera, Gioanbrerafucarlo dei miei anni giovanili. La devo ringraziare dal più profondo del cuore per le nobili parole che mi ha indirizzato dopo aver letto un mio articolo sul Periodico. Da come scrive e per quello che scrive, non dimostra i 92 anni che confessa anzi, i contenuti profondi e la prosa scorrevole, sembrano nascere dalla mente di una ragazzina e il tratto grafico da quello usato dagli impiegati comunali che trascrivevano a penna, con pennino e inchiostro, i documenti anagrafici loro affidati. D’altra parte, lei è un eccellente esempio dei figli di inizio secolo di questo magico Oltrepo dai boschi smeraldini e dai vigneti multicolori. Nell’esplosione dei furiosi temporali di primavera, l’acqua scrosciante bagna i fiori nuovi e i giovani virgulti delle viti segnando l’aria di profumi antichi e colori laccati dalla ruvida carezza. Ecco, lei la immagino così: un donnino figlia della magia del tempo passato che faceva premio a difficoltà, tempi grami, fatiche e dolori, sfociando come un ruscello in piena, nell’umanità sincera di una vita improntata al rispetto, alla comprensione umana e alla cultura. A quella vera, fatta di letture e di esperienze, di gioie e traversie, di albe e di tramonti. Cara Signora, lei si scusa per “il suo modo un po’ sbilenco di scrivere”, in realtà la sua grafia curata, chiara e ben leggibile è gradevolissima e di facile comprensione. Vorrei saperla imitare ma preferisco risponderle con questo freddo mezzo per evitare figure. Dopo averla rassicurata sul messaggio che trasmetterò volentieri al mio amico alpino Stefano, le voglio ancora dire che la sua lettera, la sua umanità e i suoi ringraziamenti per i miei scritti e per il giornale, sono il premio più bello
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alle mie umili fatiche letterarie e la soddisfazione di aver sfiorato l’animo buono di una grande donna. Scrivo da tanti anni ma nessuno era mai riuscito a toccare le corde del mio essere e rendermi orgoglioso di raccontare l’Oltrepò e la sua gente. Raccontare sì, come a noi raccontavano le favole, ricorda? “C’era una volta.....”. Ecco Signora mia, la mia rubrica su Il Periodico da oltre quattro anni, si intitola proprio così “C’era una volta... l’Oltrepò”. Non conosco il suo indirizzo e quindi, un giorno di questi splendidi di un autunno magico, come magico è il nostro Oltrepò, sarò costretto a scendere a Santa Maria della Versa e a consegnarle personalmente la presente lettera. Nel frattempo, l’abbraccio caramente. Cereghini Giuliano”.