Maga a malincuore non fa una DOC, ma Lui è grande, solo con due vini
Anno 14 - N° 159
NOVEMBRE 2020
di Cyrano De Bergerac
varzi: intervista al sindaco Giovanni palli
Pagine 16 e 17
Elezioni di Voghera, «Vittoria che completa un percorso di rinnovamento dell’Oltrepò»
stradella: IL CONSIGLIERE DI MINORANZA GROSSI
Contributi a fondo perduto «Per l’Amministrazione, non aiuterebbero a dare respiro ai commercianti a lungo termine»
C’ERA UNA VOLTA RADIO VOGHERA
BRONI
Pagina 25
Biodigestore Le Ragioni del No Tiene banco a Broni il tema del nuovo biodigestore che dovrebbe sorgere ai confini con i Comuni di Stradella e di San Cipriano, in località Campo Viola. A portare avanti una battaglia contro l’impianto è il gruppo consiliare “Broni in testa”, con la consigliera Giusy Vinzoni che ci ha rilasciato alcune dichiarazioni.
Pagina 27
POLITICA
Pagine 6 e 7
MIRACCA E CALIFANO
«La prima voce uscita quel fine pomeriggio di dicembre del 1975 è stata la mia»
I due “campioni” delle ultime elezioni
Da un’ idea di Eugenio Grandi, insieme alla famiglia Orsi e a Luigino “Stereodisco” Alpago, nasce Radio TeleVoghera. A metà degli anni ‘70, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, vengono liberalizzate le frequenze radiofoniche. Per i giovani dell’epoca fu come trovarsi improvvisamente di fronte ad un terreno ampio e fertile, uno spazio aperto all’iniziativa e alla creatività dei più audaci. Fu così che in quegli anni, in Italia, sorsero migliaia di emittenti radiofoniche locali, tutte molto limitate territorialmente. I costi per metter su una radio non erano impossibili. Bastava comprare un ripetitore e un po’ di attrezzatura.
Francesca Miracca ha ottenuto 573 preferenze. Un successo che molti hanno accolto con gaudio e che molti altri faticano ancora oggi a digerire. Antonio Califano, candidato per la prima volta al Consiglio Comunale della città, è risultato recordman della lista UDC con 195 preferenze.
CASTEGGIO: il sindaco LORENZO VIGO
«Impennata degli investimenti, in campo 1 milione e 300mila euro»
Pagine 20 e 21
CANNETO PAVESE: FABIANO GIORGI
Pag 33
«Riusciremo, tutti uniti, ad uscire da una situazione difficile per il nostro territorio»
Oltrepò Pavese: Sesso & Politica, lettere anonime e censori
di Antonio La Trippa
Editore
ANTONIO LA TRIPPA
NOVEMBRE 2020
3
Oltrepò Pavese: Sesso & Politica, lettere anonime e censori
Spesso quando ci sono nuove persone che, politicamente parlando, hanno ruoli di responsabilità, oppure, ci sono dei cambiamenti nell’ambito di società pubbliche o para-pubbliche, il gossip di chi è contrario o più semplicemente di chi ha poco da fare ed ha pochi argomenti, impera. Molto spesso il “pissi pissi bau bau” nei bar, nelle pubbliche piazze – situazione che oggi, viste le restrizioni imposte dal Covid risultano essere difficili – o attraverso lettere anonime inviate in ogni dove, ivi comprese le redazione giornalistiche, vorrebbe portare alla ribalta situazioni piò o meno vere della sfera privata di politici o dirigenti. Un modo di agire che parte dall’Oltrepò orientale e arriva all’Oltrepò occidentale, che dalla pianura oltre padana sale fino alla sommità delle colline. Purtroppo. Puntuale come un orologio svizzero anche in Oltrepò, sempre, ma in questo ultimo mese intensificandosi, è ripartito il Festival del gossip a sfondo erotico-politico. Chiaramente le lettere che arrivano, essendo anonime, già di per sé sono impubblicabili, a maggior ragione quando entrano nella sfera privata di alcuni politici e manager – sfera che credo e spero non interessi a nessuno – e non colpiscono, cosa che invece avrebbe un senso e in alcuni casi anche una motivazione reale, la capacità politica o professionale del soggetto in questione , uomo o donna che sia. Il mondo, l’Italia ed anche l’Oltrepò è pieno di casi dove il marito o la moglie o l’amante, sfruttando la posizione e il potere di uno dei due, riescono a raggiungere posizioni politiche o professionali che
molto probabilmente senza l’intimità delle lenzuola non potrebbero essere raggiunte. I casi sono veramente tanti, di ieri, oggi e molto probabilmente domani, perché al cuor non si comanda e tante volte neppure al sesso. Penso che pochissimi, anche tra coloro che hanno fatto il voto di castità, possono condannare i gusti e le voglie di chi – non tutti ovviamente – politicamente o professionalmente governa in Oltrepò, perché fondamentalmente ognuno va a letto con chi meglio crede. Altro paio di maniche se nell’ambito dell’alcova – cosa che è successa alcune volte (per usare un eufemismo) in Oltrepò, si tira la volata finale al proprio partner, ufficiale o clandestino di turno; non dovrebbe succedere, è una questiona di etica, ma senza scomodare questa parolona, è anche una questione di estetica. Un altro problema si pone quando, come si dice da noi, qualcuno “agà al cù brùt” (ha il sedere sporco) e si erge a fustigatore dei costumi. Chiaramente il peggio del peggio è quando chi ,avendo fatto voto di castità, pontifica magari dopo aver bevuto un bicchiere di troppo dopo qualche fetta di salame, ma lì saranno i superiori della sua Confessione di appartenenza che potranno, se lo vorranno, intervenire. Certo è che l’estetica in questo particolare momento è sempre più opinabile e molti per difendersi dicono: “Beh, cosa c’è di male se Caio o Caia sono amanti di Tizia o Tizio?”. Non c’è assolutamente niente di male, purché questo loro legittimo desiderio non vada ad inquinare o inficiare la loro attività politica. Molti altri si faranno forza dicendo: “Ma chi vuoi che lo sappia e poi
come si fa a dimostrarlo?” Ecco, qui casca l’asino, perché in Oltrepò c’è un altro detto che recita: “Se at vò no che la sappian, fal no” (se non vuoi che si sappia non farlo). Il mondo è piccolo e rispetto a prima, purtroppo per molti versi, il mondo oggi è anche pieno di gente che nel caso specifico non si fa i fatti propri e c’è anche tanta gente che, nell’ambito dell’alcova, per immortalare la sua ultima conquista, a volte a tradimento senza che il partner lo sappia, scatta foto o video, mostrandoli poi a pochi intimi, che a loro volta hanno amici intimi a cui farli vedere, i quali a loro volta hanno amici intimi … così “il trofeo” che era per pochi, diventa per tutti o quasi. Ecco… oggi in Oltrepò stanno girando foto e video che per qualsiasi persona, che magari ha avuto una scappatella oppure ha un rapporto clandestino più duraturo, risultano essere imbarazzanti, perché a nessuno o nessuna piace, se non lo fa come attore o attrice professionista, essere filmato o filmata inconsciamente durante un rapporto amoroso oppure fotografato o fotografata mentre entra in un hotel o anche a casa propria, in tenero atteggiamento, in compagnia clandestina. Spero, anche se non ne ho la fondata speranza, che questa onda di discredito, di lettere anonime, di foto e di video che si sta trasformando in onda lunga che coinvolge politici, pseudo politici e boiardi pubblici (e anche qualcuno che ha fatto voto di castità) si fermi. Il gossip si plachi e si ritorni a giudicare, politicamente o professionalmente, chi riveste incarichi pubblici o para-pubblici per quello che ha fatto, sta
facendo o ha promesso di fare. I segnali non sono incoraggianti, si continua ad attaccare per iscritto in modo anonimo, verbalmente in modo molto più diretto, anzi, molti e anche soprattutto chi dovrebbe tacere, quando gli si pone la provocatoria domanda: “Perché non fai una bella intervista e ripeti quanto dettomi ora?” La risposta è sempre un imbarazzato silenzio… oppure ti rispondono “Beh io nella mia posizione…”. Posizione? Vedremo cosa succederà, e non mi riferisco a quale lieto o meno lieto fine avranno queste vere o presunte love stories ma a quali decisioni saranno prese, in futuro, a favore dell’Oltrepò, in tutto l’Oltrepò a livello politico e manageriale. L’unica cosa che si può dire e che si è sempre detta, è che “Se una roba at vo no ca sappia, agh và fala no” (se una cosa non vuoi che si sappia non bisogna farla); ma un’altra frase della saggezza popolare, a chi rende o vorrebbe rendere pubbliche queste vicende private, calza a pennello: “A parlat propri ti?” (proprio tu parli?). Perché: “Giove ci ha imposto due bisacce: dietro la schiena c’è quella piena dei nostri difetti, appesa al petto c’è la pesante bisaccia dei vizi degli altri. Per questo non possiamo vedere i nostri difetti, ma facciamo i censori non appena gli altri sbagliano”. Sono passati 21 secoli da quanto Fedro ha scritto la favola delle due bisacce, eppure la sua attualità non è scemata. Tantomeno in Oltrepò.
di Antonio La Trippa
4
LETTERE AL DIRETTORE
NOVEMBRE 2020
Voghera e l’infinita sfilza di sacchetti abbandonati Egregio Direttore, la mia sarà molto probabilmente l’ennesima lettera che denuncia l’inciviltà delle persone per quanto riguarda la raccolta rifiuti. Giornalmente si vede per i vari quartieri di Voghera l’infinita sfilza di sacchetti abbandonati all’esterno dei vari cassonetti e come viene utilizzato il cassone aperto del verde. Vedi macchine che arrivano in ogni orario e che con noncuranza lasciano il sacchetto dentro il verde e questo succede sia di giorno che di notte. Di questa situazione vengono spesso accusati stranieri che magari non avendo un domicilio non sono in possesso della famosa tesserina apri cassonetto;
posso affermare che non sono solo loro, ma la grande maggioranza sono concittadini che hanno un grado di civiltà e di educazione assolutamente inesistente e un egoismo talmente becero che non vedono oltre il loro misero naso. Sono le squallide persone che dicono che «andava meglio prima» quando si gettava tutto assieme e non si differenziava; calcoliamo che noi siamo fortunati ad avere una raccolta mista contrariamente ad altre realtà di paesi dove la raccolta è davvero «porta a porta» e non ci sono più i cassoni in strada. Che persone misere e piccole e assolutamente incivili. Carla Lombardi - Voghera
«Un po’ di gentilezza nei luoghi pubblici potrebbe alleviare la cappa di piombo creata dal virus» Gentile Direttore, se il virus è una bestia velenosa, la società fa di tutto per renderlo più brutto e cattivo. I pazienti dei medici di base devono starsene fuori dall’ambulatorio, all’aperto, alla pioggia, al freddo e al gelo. Si fanno code in ogni dove, sempre all’aperto, per i prelievi, alla Posta, per le bollette in posti disagiati e senza protezione. E non è raro che gli addetti ai servizi pubblici, come ad esempio quelli degli uffici postali, siano sgarbati ed intolleranti. Certi uffici, inoltre, sono stati completamente chiusi. La vecchietta deve usare il computer per comunicare con loro.
In questo modo i cittadini si sentono doppiamente umiliati, dal virus e dalla società. Possibile che nessuno ponga rimedio a questo disagio? Spesso si tratta solo di organizzarsi meglio, di predisporre qualche ombrellone o gazebo. Un po’ di gentilezza sarebbe un buon costituente. Non si può continuare a vivere in un ambiente così ostile. Un po’ di gentilezza nei luoghi pubblici potrebbe alleviare la cappa di piombo creata dal virus. È chiedere troppo? Lettera Firmata - Rivanazzano Terme
«Per me Stradella è destinata a morire commercialmente» Gentile Direttore, questo nuovo periodo difficoltoso del Lockdown ha decretato la fine del mio percorso da commerciante. Ho aperto la mia attività nel 2016 facendo molti sacrifici. Il tempo di pagare una parte dei debiti per l’apertura del negozio e c’è stata una prima mazzata l’inverno e la primavera scorsa, a distanza di pochi mesi la mazzata finale per noi piccoli commercianti: il secondo lockdown. Perchè praticamente di un nuovo lockdown si tratta. Se non ci fosse stata la seconda chiusura forzata a causa della pandemia da Covid-19, ci sarebbe stato certamente più ossigeno. Molti altri miei colleghi hanno le mie stesse difficoltà, inoltre lo Stato non ha aiutato noi piccoli commercianti.
Ma forse il problema è principalmente Stradella: sono convinta che sia poco attrattiva a livello commerciale; a volte mi chiedo perché qualcuno dovrebbe venire a Stradella. Ritengo che, a causa della maggioranza di catene e negozi di grande distribuzione, Stradella sia poco appetibile per i piccoli negozi, quelli che un tempo erano la sua anima pulsante. Mi sembra che manchi l’input ad incentivare la piccola distribuzione. Mancano dei punti di riferimento per noi piccoli commercianti, e lo si può notare andando in giro per le vie del centro: ci sono troppi negozi sfitti e poche iniziative degne di chiamarsi tali. Per me Stradella è destinata a morire commercialmente. Lettera firmata - Stradella
«Meglio continuare a pedalare anche senza bonus, che magari passa pure il nervoso» Egregio Direttore, In pieno Covid e in pieno fermento del «vivi sano e fai sport» il governo crea il bonus bici. Vuoi usufruire del contributo del 60% (fino ad un massimo di 500 euro)? Sì! Allora vai subito a comperarti una bicicletta poi ti spieghiamo meglio. Vado a comperare una nuova bicicletta fidandomi delle buone intenzioni e assicurazioni del governo. Dopo qualche settimana dall’acquisto, ti dicono che solo ad inizio novembre ci sarà il famoso rimborso perché le richieste sono state moltissime e cercheranno di accontentare tutti... Nessun problema, aspetterò. Nel frattempo non si sa se il fondo stanziato coprirà i rimborsi ma... i geni non fermano la promozione del bonus bici anzi, la spingono sempre di più, estendendola al 31 dicembre 2020. Sicuramente avendo creduto cronologicamente alle buone intenzioni sarò premiato...
Invece non è così, poiché solo alcuni giorni fa hanno detto che il primo che arriva, cioè che clicca, beneficerà del bonus! Senza dimenticare che per renderti la vita facile lo potrai conseguire solo se richiedi lo Spid (altra pratica molto snella... ve la consiglio!) e copia in Pdf della fattura oppure... oppure... oppure... Non mi spingo fino a parlare di truffa, ma certo che da un lato la procedura macchinosa, anche nel caso di fortunato accesso, e dall’altro la ressa di domande che, ampiamente prevedibile, avrebbe richiesto un’adeguata e preventiva strutturazione del sito, fanno assumere alla vicenda il sapore di un ennesimo distorto rapporto dell’amministrazione pubblica con il cittadino. Beh, forse è meglio continuare a pedalare anche senza bonus, che magari passa pure il nervoso. Carlo Dellabora - Voghera
LETTERE AL DIRETTORE
Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3500 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente. Le lettere con oltre 3500 battute non verranno pubblicate DIRETTORE RESPONSABILE: Silvia Colombini direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 334-2663509 Responsabile Commerciale: Mauro Colombini vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 - Godiasco Salice Terme (PV) Tel. 0383/944916 - www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto
CYRANO DE BERGERAC
NOVEMBRE 2020
5
Maga a malincuore non fa una DOC, ma Lui è grande, solo con due vini Isabella Perugini sull’Huffington Post Italia ha aperto una finestra sul vero Oltrepò Pavese da amare, da preservare e da premiare. L’ha fatto raccontando la storia del vitivinicoltore-filosofo Lino Maga, il signor Barbacarlo, paladino del mondo contadino e ancora fedele al pensiero di Luigi Veronelli e Gianni Brera, suoi grandi amici ed estimatori. Perugini scrive: «Chi ama il vino, i suoi protagonisti e le sue storie non può non passare da qui. Siamo a Broni, paesino di quasi diecimila abitanti nella provincia di Pavia. In questo luogo situato ai piedi delle colline dell’Oltrepò Pavese nacque il 24 agosto 1931 Lino Maga, conosciuto ai più come il Siur Barbacarlo». L’autrice e giovane sommelier continua: «Un artigiano del vino, coerente a sé stesso e al suo territorio. Ha la vite nel suo DNA, basti pensare che è stato partorito nella cantina sotterranea del nonno paterno, lì dove si pigiava l’uva per farne mosto. A sei anni poi era già in vigna. Quella del 1937 fu, infatti, la sua prima vendemmia. Sono passati ottantaquattro
anni da allora, ben ottantaquattro vendemmie, ma Lino è sempre lì». Da rileggere la storia di Maga, in una terra ancora benedetta da Madre Natura ma ancora troppo umiliata e maledetta dagli uomini, dai giochi di potere, dalle spartizioni politiche, dalle parole e dai discorsi che corrispondono ancora troppo poco ai fatti. Maga è un produttore che ha dimostrato che i risultati non stanno nel produrre tanto ma nel produrre bene, tra qualità e coerenza, tra identità e cultura. La sua vita testimonia di un impegno costato lacrime e sangue, persino una battaglia contro il consorzio di tutela che voleva portargli via il nome del suo vigneto per farlo diventare una denominazione per tutti. Dopo anni di battaglie a suon di udienze e carte bollate, di incontri negli uffici e al Ministero, Maga ha ottenuto che trionfasse la verità: nessuno è riuscito a scippargli barbaramente la sua identità. Una vicenda che la dice lunga sulla differenza tra nomi di denominazione, talvolta asserviti all’interesse dell’industria cinica ed egoista, e nomi del cuore, quelli dei vi-
gneti e dei vini con un’anima del mondo contadino. Luigi Veronelli, indimenticato cantore dell’Italia dei vignaioli, diceva: «Il peggior vino contadino è migliore del miglior vino d’industria». In effetti l’industria, servita in larga parte dalle cisterne della mega cooperativa oltrepadana che non cambia, ha spersonalizzato l’Oltrepò Pavese e lo ha anche impoverito: sono scesi i prezzi dell’uva, del vino e dei terreni. Eppure quando l’organizzazione di categoria e qualche politico chiamano, i soci vanno a votare per chi ancora vende Metodo Classico DOCG al discount a 4 o 5 euro, per chi rifornisce imbottigliatori che piazzano il vino Bonarda DOC a 0.99 a scaffale. Tutto cambia, tutto resta com’era. Maga è un’altra cosa. Maga fa un altro lavoro. Maga non si arrende. Maga a malincuore non fa una DOC, perché non ne riconosce un valore aggiunto per il territorio al contrario di quanto avviene in Francia dove le regole contano e il rispetto del valore collettivo di una denominazione anche.
In Oltrepò vince sempre il più potente, in una corsa incentrata sull’autoritarismo e non sull’autorevolezza. In Oltrepò contano di più i “vuota cantine” degli alfieri della qualità, spesso addirittura derisi. Maga alla vitienologia al servizio dei commercianti senza un ettaro di vigna preferisce la vitivinicoltura, l’amore per la sua terra, per la sua storia, per la sua anima e la sua identità. In un territorio che si vanta con i numeri, 13.500 ettari e il 65% del vino lombardo, il contadino-produttore di filiera di Broni ha costruito la sua nomea internazionale con 8 ettari di vigna, condotti nel rispetto della natura senza l’utilizzo di concimi chimici o diserbanti. A lui più che stare con i potentati della politica piace passeggiare tra i suoi filari di Croatina, Uva Rara e Vespolina che danno vita al Barbacarlo e al Montebuono. Lui è grande, solo con due vini.
di Cyrano de Bergerac
6
VOGHERA
NOVEMBRE 2020
«Siamo davvero sicuri che dovranno passare 5 anni prima di riprovarci? Abbiamo incontrato Antonio Califano, 38 Anni, Funzionario Associazione di Categoria, già consigliere di amministrazione dell’ASP Pezzani di Voghera e di altre società a partecipazione pubblica, dirigente cittadino dell’UDC. Califano, dopo essersi candidato per la prima volta al Consiglio Comunale della città di Voghera, è risultato recordman della lista UDC con 195 preferenze: un ottimo risultato, considerando anche che è stato conseguito all’interno di una coalizione che è risultata essere minoritaria, e che è giunto dopo una campagna elettorale che lo ha visto protagonista, anche e soprattutto nella gestione della “macchina organizzativa” che sta dietro ad ogni campagna elettorale. Lei è tra i volti “nuovi” della politica locale. Quando ha iniziato ad interessarsi di politica? «Volto nuovo tra i Consiglieri Comunali sì, ma a dispetto delle cariche elettorali qualche anno di esperienza nell’ambito non mi manca. Sono rimasto spesso in retrovia, quello sì, ma talvolta chi si impegna dietro le quinte riesce comunque a maturare una consapevolezza ed una conoscenza della “macchina” politica altrettanto valida rispetto a chi è costantemente impegnato alla ricerca del consenso in prima linea. La politica, ma più in generale l’interesse per il governo e l’amministrazione della “cosa pubblica”, sia essa di carattere locale, nazionale o sovranazionale, è una mia passione praticamente da sempre, percorso accademico compreso». Lei si è candidato tra le file dell’UDC, a sostegno di Nicola Affronti. Quali sono le motivazioni politiche? «Pur con uno sguardo sempre attento rivolto all’area progressista, negli anni ho maturato la consapevolezza che la nostra società, e con essa la nostra città, abbia un marcato bisogno di un’area di centro forte, di popolarismo - non confondiamolo con il populismo, per carità - e soprattutto di moderazione, cardini della tradizione democratico cristiana. A Voghera l’Unione di Centro reputo sia non da oggi il partito che meglio rappresenta questa visione. Nicola Affronti il candidato giusto per provare a concretizzare, in questa fase, un progetto politico che tendesse proprio verso tale direzione». Lei è passato da, mi conceda i il termine, “sconosciuto” all’elettorato al più votato della sua lista con 195 preferenze. Una soddisfazione politica ma anche personale. Qual è stata la sua carta vincente? «Ammetto un bel numero di preferenze, ne sono molto soddisfatto e di questo devo ringraziare in primis il partito nella sua interezza, senza distinzioni, dal Segretario Affronti (Paolo), ai veterani, agli amici e candidati più recenti, soprattutto se par-
«L’operato della nuova Giunta? In gergo sportivo si definirebbe una falsa partenza»
Antonio Califano, capogruppo di minoranza eletto tra le fila dell’UDC con 195 preferenze tiamo dal presupposto che la nostra forza mediatica nazionale non è paragonabile a quella di altri partiti che in questo momento, spero ancora per poco, godono di un effetto trascinamento molto più grande. Parlo di effetto mediatico non a caso, non certo di proposta politica, che reputo in qualche caso poco credibile, in altri casi totalmente fuori luogo. Devo poi ringraziare le persone a me più care che mi hanno sostenuto costantemente, sia moralmente che elettoralmente, dandomi fiducia aldilà di ogni appartenenza politica. Nessuna carta particolare quindi, ma tanto tanto impegno». Lei ora è consigliere di minoranza. La nuova Giunta si è appena insediata: come giudica da queste poche settimane l’operato della squadra guidata da Paola Garlaschelli? «In gergo sportivo si definirebbe una falsa partenza. Comprendo la fase di luna di miele con alcuni settori dell’elettorato e della politica cittadina, non solo afferenti al centro destra, è nell’ordine delle cose, ma ho idea che non durerà ancora per molto. Noto interventi spot, più per generare effetti visibilità che non realmente efficaci alla risoluzione di problemi. Penso alle recenti presunte azioni sulla sicurezza, alle prese di posizione molto politiche e poco aziendalistiche su ASM, alla nomina di una Giunta che nel suo complesso presenta anomalie, ritorni al passato e contraddizioni proprio rispetto a quanto questa maggioranza diceva di voler fare nel proprio programma elettorale, aspetto che non ho mancato di evidenziare nella prima seduta del Consiglio Comunale. Vedremo, la certezza è che la nostra opposizione non mancherà di attenzionare
minuziosamente l’operato dell’attuale Amministrazione». Secondo la sua analisi politica – che certamente avrà fatto – perché Nicola Affronti ha perso? «Non penso abbia perso Nicola Affronti, ma abbia perso la coalizione tutta, i dati delle liste lo dimostrano benché l’UDC sia andato bene sfiorando l’8%, eleggendo tre consiglieri tra cui il candidato sindaco. Credo che il progetto politico fosse valido, serio ed innovativo, nato con un obiettivo ben preciso, non essere supini all’egemonia della Lega e delle forze sovraniste. Oltre ad essere bersaglio da più parti, forse proprio per la propria validità, questo progetto ha probabilmente scontato il poco tempo con cui si è giunti alla realizzazione ed alla presentazione dello stesso, questo ha inciso sulla possibilità di essere spiegato e compreso nel dovuto modo. Naturalmente avremmo poi auspicato una convergenza, almeno in corsa, da parte di chi in teoria sarebbe dovuto essere più affine alla natura politica di questa coalizione, ma che invece ha preferito rifugiarsi in più comodi posizionamenti per trarne vantaggio. Politicamente lecito? Certamente sì. Politicamente condivisibile? Decisamente no, perché credo che a perderci sia stata la città. Credo di fatto che l’area che si è riconosciuta nel candidato sindaco Ghezzi abbia consentito di fatto la vittoria della destra populista ed anche nel primo Consiglio Comunale mi pare che tale area abbia confermato un atteggiamento davvero molto accomodante verso questa Amministrazione». In caso di vittoria in quale ruolo si sarebbe visto e perché? «Confesso di non averci mai pensato, non all’ipotesi che la nostra squadra potesse vincere, quanto al mio ruolo». Da cittadino vogherese ancor prima che da politico, quali sono le criticità che riguardano Voghera e che più la preoccupano?
«Voghera è la città in cui sono nato, sono cresciuto, dove vivo. è un luogo geograficamente baciato dalla fortuna, ma che non ha mai saputo fare squadra per poter massimizzare questo vantaggio. Voghera merita un rilancio vero, fondato su insediamenti produttivi non inquinanti e nuove opportunità di lavoro, su valorizzazione reale dei propri prodotti (non solo nelle fiere o nei mercati locali, seppur importanti, ma su scala nazionale ed internazionale, oggi l’e-commerce e le piattaforme digitali possono fare cose prima impensabili) e costruzione di network con il mondo agricolo, dell’impresa sociale e del Terzo Settore. E mai dimenticare il ruolo forte della cultura e del turismo, due facce della stessa medaglia, una vera e propria miniera d’oro che se utilizzata a dovere potrebbe generare ricchezza e valore sociale notevoli. Purtroppo, spesso manca questa voglia di volare alto e si preferisce trincerarsi in più accomodanti orticelli. è un peccato, ma ho tanta fiducia nella generazione millenials». Lei è consigliere di recente nomina in Asm Vendita e Servizi. Che idea si è fatto di questa bagarre? «Di recente nomina e di recentissime dimissioni, essendo stato eletto consigliere comunale e non volendo incorrere in potenziali incompatibilità. Preferisco non entrare eccessivamente nel merito in quanto i vogheresi hanno dovuto assistere a già sin troppe polemiche, aspre e violente. Mi limito a dire che è necessario che gli accertamenti in atto facciano il loro corso. Qualora emergessero dei provati errori di gestione oltre che di valutazione, è giusto se ne traggano i debiti riflessi». ASM: smantellare per vendere o reinvestire per rilanciare? «ASM è un patrimonio centrale per la città, anche grazie a chi con il proprio impegno e con il proprio lavoro prova a fare grande questa azienda, patrimonio della città e del territorio, non dimentichiamolo, soprattutto quando si fanno certe dichiarazioni che rischiano di essere lesive al valore di mercato di ASM e di mettere a rischio i posti di lavoro dei suoi dipendenti. Ci sono le basi per non vendere, auspico vi siano le basi per rilanciare con nuovi investimenti, come fatto sino ad ora». Ci riproverà tra 5 anni? «Siamo davvero sicuri che dovranno passare 5 anni prima di riprovarci? Detto ciò, in realtà ora ciò che conta è svolgere al meglio il mandato che gli elettori mi e ci hanno affidato oggi. Non sarà facile, ma ci proveremo in tutto e per tutto. Il futuro è da scrivere, con dialogo, impegno e passione, proprio come abbiamo ripetuto nella nostra campagna elettorale». di Silvia Colombini
VOGHERA
NOVEMBRE 2020
7
«Penso di aver saputo cogliere le esigenze della gente» È indubbio che il voto delle comunali di Voghera, se pensiamo anche al clima che lo ha preceduto e accompagnato, presenta una Lega più forte. E questo è un primo dato importante. Il record annunciato delle preferenze nel partito di Salvini è andato all’Onorevole Elena Lucchini con 755 voti. Molti - anche all’interno del partito leghista vogherese - si domandavano chi avrebbe ottenuto la “piazza d’onore”. Le previsioni pre-elettorali indicavano due o tre nomi, tra questi vi era quello di Francesca Miracca e chi pensava fosse lei ad aggiudicarsi la corona di più votata dopo la “corrazzata Lucchini” la accreditava di 300, al massimo 350 preferenze. Non è andata così, è andata meglio. Francesca Miracca ha ottenuto ben 573 preferenze. Un successo che molti hanno accolto con gaudio e che molti altri faticano ancora oggi a digerire. Alla luce del successo ottenuto la Miracca è stata nominata Assessore al Commercio, Turismo, Suap, Promozione territorio prodotti tipici, Eventi enogastronomici, Fiere, con esclusione della Fiera dell’Ascensione e Mercati. Assessore, 573 preferenze, un successo, non c’è che dire. Se l’aspettava? «Mi aspettavo un buon risultato nonostante non avessi un’esperienza amministrativa alle spalle; fondamentalmente le preferenze sono l’espressione del voto popolare». Qual è stato l’elemento principale, secondo una sua analisi, che l’ ha portata ad avere questo ampio consenso popolare? «Rispondo a questa domanda con una frase che mi diceva spesso un mio ex datore di lavoro: “Tu fai sentire le persone a proprio agio”. Battute a parte, penso di aver saputo cogliere le esigenze della gente». Quale “fetta” del popolo Vogherese l’ha scelta? «Diciamo ampia, a 360°; ormai, dopo tutti questi anni di lavoro in Lega, ho consolidato un gruppo di lavoro con cui abbiamo parlato molto della nostra Voghera e di come la vorremmo. Alla fine, discutendo con la gente, ho ricevuto consensi da tutti». Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha parlato ai vogheresi durante la campagna elettorale per ben due volte e il giorno della vittoria era presente per complimentarsi con la neo sindaca. Ritiene che la presenza di Salvini – politico amato ma anche odiato – a Voghera, abbia aiutato la Lega locale ad ottenere consensi? «Amo Salvini. Salvini è un leader indiscusso per me e per molti italiani. La sua presenza è stata fondamentale per moti-
varci e per sostenerci durante questa particolare campagna elettorale, svoltasi in soli due mesi». Lei ha svolto una campagna elettorale di costante presenza sul territorio vogherese, organizzando incontri e incontrando la gente. Lei sa che la critica che viene rivolta più spesso ai politici è: “una volta eletti non si fanno più vedere”. Lei ritiene che il confronto costante con le persone sia importante? E soprattutto oggi che è un assessore di primaria importanza continuerà e incentiverà incontri e colloqui con la popolazione di Voghera? «Chi fa politica è sempre in campagna elettorale, non finisce mai. Io amo stare in mezzo alla gente, confrontarmi con loro, ascoltarla e, nel limite del possibile, aiutarla a risolvere i problemi». Il Covid ha certamente dato una “mazzata” a tutti i commercianti, ma il commercio vogherese si può dire che non godesse di ottima salute anche prima del la pandemia. A suo giudizio quali sono stati gli errori più grossolani fatti? «Non possiamo nascondere che le vendite online ormai incidano molto sulla tipologia di acquisti fatti dai cittadini vogheresi, oltre a quelle del vicinissimo outlet di Serravalle, ma un danno significativo per il commercio locale è stato causato dai Centri Commerciali aperti a Voghera Est e al Parco Baratta. In città, negli ultimi anni, non è mai stata fatta una politica di programmazione per il commercio cittadino, ed ora correre ai ripari diventa particolarmente complesso». Sua la delega al turismo. Il turismo per l’Oltrepò pavese è sempre stato un punto critico. A Voghera era stato anche aperto – ora chiuso definitivamente - un info point, con critiche sulla sua ubicazione e funzionalità. Quali sono le azioni che intende mettere in campo per portare più turisti a Voghera e soprattutto quale ruolo dovrebbe avere Voghera nei confronti dell’Oltrepò per incrementare il turismo? «Abbiamo parecchi progetti nel cassetto; per adesso lavoriamo per creare rete tra tutti i Comuni del territorio dell’Oltrepò e Voghera. Proprio in questi giorni abbiamo aderito all’Associazione “La strada del vino e dei sapori dell’Oltrepò Pavese”, la cui finalità sarà quella di promuovere il territorio, il turismo e i prodotti enogastronomici». Avendo lei anche la delega ai mercati, al di là del momento difficile per gli ambulanti, in questi anni a suo giudizio cosa non ha funzionato oppure ha funzionato poco e cosa è migliorabile
Francesca Miracca neo Assessore al Commercio
«Un mio ex datore di lavoro mi diceva spesso: “Tu fai sentire le persone a proprio agio”» per incrementare e valorizzare uno dei mercati principali dell’Oltrepò? «Sicuramente, in sintonia con gli ambulanti, sarebbe opportuno selezionare e migliorare la qualità dei prodotti venduti e, contemporaneamente, come amministrazione vigilare sull’ottemperanza delle regole vigenti. Una proposta da prendere in considerazione potrebbe essere quella di non assegnare più gli stalli vuoti ai venditori spuntisti che, normalmente, non si distinguono per la qualità della merce». Dopo la sua nomina, pur essendo in tempo di Covid, ha già avuto modo di confrontarsi con le varie associazioni di categoria del commercio. Quali sono state le richieste principali che le sono state rivolte e che lei intende portare avanti? «Ho iniziato da poco un giro di incontri con le Associazioni di categoria e con i commercianti ma, purtroppo, in pieno periodo di lockdown i tempi di lavoro si sono allungati; aspettiamo fiduciosi che si normalizzi la situazione per poi programmare insieme la ripartenza».
Parlare di Eventi – una delle sue deleghe – di questi tempi è veramente fuori luogo. Tutti gli eventi sono stati cancellati con il nuovo DPCM. Tutto fermo e accantonato. A tal proposito lei ha dichiarato che “ereditiamo dalla Giunta Barbieri una precisa richiesta della Corte dei Conti di un maggiore accantonamento dei fondi per crediti inesigibili causato anche dai troppi soldi spesi solo per eventi, a cui dobbiamo sottostare”. La domanda secca è: soldi per eventi al di là del Covid, non ce ne sono? «Purtroppo mi devo ripetere: prima di parlare di eventi e programmi aspettiamo che si normalizzi l’emergenza Covid-19, non solo a Voghera o in Italia ma in tutto il mondo; dopo l’emergenza avremo più chiara la situazione e potremo definire più accuratamente le tipologie di azioni da attuare. Per adesso diamo la precedenza all’emergenza Sanitaria ed alla salute dei cittadini». di Silvia Colombini
8
VOGHERA
NOVEMBRE 2020
Fare spesa consapevolmente e in modo dignitoso: «Possibile anche per le famiglie in difficoltà» Caritas Italiana, come ogni associazione di volontariato o ente caritatevole, non si è fermata durante l’emergenza Covid. Per quel periodo, precisamente nel mese di marzo scorso, era prevista l’attivazione, nel Comune di Voghera, di uno dei tanti progetti dell’organismo pastorale per combattere la povertà alimentare. Tuttavia, l’emergenza sanitaria ha costretto la posticipazione dell’apertura, avvenuta finalmente a metà dello scorso settembre. Il progetto in questione è “l’Emporio della Solidarietà”. Un nome autoesplicativo: si tratta di un supermercato solidale destinato alle famiglie indigenti, che però hanno il potenziale per rimediare in un arco di tempo relativamente breve alla loro precaria situazione economica. Elemento chiave di questa iniziativa, oltre al fondamentale aiuto fornito dall’ente caritatevole, è la responsabilizzazione. Approfondisce per noi la questione Alessia Cacocciola, operatrice di Caritas Italiana per la sede di Voghera. Che differenza c’è tra il banco alimentare e l’emporio della solidarietà? In che modo avviene il processo di responsabilizzazione? «La differenza più ovvia sta nel metodo di distribuzione dei beni: tramite il pacco alimentare gli indigenti ricevono regolarmente una borsa di cibo e altre risorse in qualità e quantità stabiliti dai volontari a seconda delle esigenze, sulla base di un colloquio che si svolge annualmente; l’emporio della solidarietà invece richiede una partecipazione attiva, ed è proprio per questo che il soggetto deve responsabilizzarsi: il singolo o il membro della famiglia incaricato del compito della spesa riceve una tessera che
Alessia Cacocciola, responsabile del Centro d’ascolto Caritas di Voghera mensilmente viene ricaricata di un determinato ammontare di punti non cumulabili, che sono la valuta del nostro supermercato solidale. La persona ha massima libertà decisionale in termini di quantità e qualità dei prodotti da “acquistare”; l’unico vincolo è il budget, poiché a punti esauriti bisogna necessariamente aspettare la data della prossima ricarica. Ovviamente, soprattutto all’inizio, nessuno è lasciato a sè stesso, ma viene assistito - senza alcuna imposizione, questo è chiaro - per fare scelte più consapevoli, se ci accorgiamo che la spesa sta venendo gestita male. I punti dei nostri prodotti corrispondono all’incirca alla cifra
in euro, ma arrotondata il più possibile per difetto, in modo tale da essere verosimile ma altresì vantaggiosa». Qual è il criterio per il quale ad alcuni spetta il pacco alimentare, ad altri invece spetta l’emporio della solidarietà? «La prima macroscopica scrematura viene effettuata secondo il calcolo del reddito ISEE. A chi ha un ISEE estremamente basso non viene proposto l’emporio, perché questa opzione ha una durata limitata nel tempo di 6-12 mesi, a seconda delle circostanze. In questo lasso di tempo noi operatori ci poniamo l’obiettivo di portare all’autonomia economica il soggetto o nucleo familiare in questione, in modo tale che non abbia più bisogno dell’emporio e nè debba “retrocedere” al banco alimentare. Il problema del banco alimentare è che viene a crearsi una cronicità difficilmente estirpabile. Siccome questo servizio non ha una durata definita ma prosegue fino al raggiungimento della stabilità economica, molte famiglie si adagiano; i volontari delle parrocchie non hanno il tempo nè talvolta le competenze per fornire un accompagnamento costante. L’emporio della solidarietà è una rete di sicurezza per quei nuclei familiari che si trovano in circostanze precarie, instabili, ma che hanno il potenziale per raggiungere l’autonomia in breve tempo. In più va ad alleggerire la pressione sui pacchi alimentari, di cui non possono usufruire le famiglie che accettano il metodo dell’emporio». In che modo avviene il processo di inclusione e selezione del servizio più adatto? «Quando viene contattata una famiglia noi effettuiamo un colloquio molto approfondito.
Il primo indicatore, come dicevamo prima, è l’ISEE: generalmente proponiamo l’emporio ai nuclei familiari con reddito compreso tra i 6mila ed i 7mila euro. Tuttavia valutiamo anche altri aspetti durante il colloquio, per trarre un quadro più completo. Per esempio ci sono famiglie ferme a 6mila euro per le quali la situazione difficilmente potrà cambiare nell’arco di sei mesi o un anno. Perciò, in caso di dubbi, spieghiamo esattamente i pro e i contro di entrambi i servizi e permettiamo agli indigenti di scegliere quello che preferiscono. L’emporio è decisamente più impegnativo perché oltre alla questione del rispetto del budget, è necessario rimboccarsi le maniche per migliorare la propria qualità di vita entro lo scadere del servizio, dato che una volta accettata questa opzione non è più possibile usufruire del pacco alimentare. Ogni mese viene svolto un nuovo colloquio per tirare le somme e ricalibrare i punti sulla tessera oppure indirizzare gli indigenti verso mansioni adatte a loro. Ovviamente in ogni fase di questo processo vengono assistiti e supportati dai nostri operatori. Facciamo un percorso di accompagnamento su tutti i fronti: lavorativo, di formazione professionale, familiare, sanitario talvolta, consapevolizzazione in merito alle spese domestiche, burocratico per quanto riguarda le domande di reddito di cittadinanza, reddito d’emergenza, consulenze al CAF… Per svolgere tutte queste mansioni nel modo più efficace possibile ci siamo posti un tetto massimo di 30 famiglie entro Natale, che vengono incluse a piccoli gruppi». Attualmente chi fa parte dello staff dell’emporio?
VOGHERA «Il servizio ha vita autonoma e una sede propria, presso la quale si svolgono i colloqui - con un’operatrice dotata di formazione apposita - e le spese. Abbiamo assunto due persone: un magazziniere per lo scarico e carico merci e la sistemazione degli scaffali e un’addetta alla cassa che registri tutte le merci in entrata. Abbiamo bisogno di molti più collaboratori, ma con l’emergenza sanitaria in corso cerchiamo di avere meno meno personale possibile per tutelare noi stessi e gli altri». Quali merci mettete a disposizione per l’acquisto? «Sui nostri scaffali è possibile trovare i principali generi alimentari per diverse fasce di “prezzo”. Talvolta è possibile acquistare beni anche non strettamente necessari: ad esempio, durante la pandemia - nonostante il progetto non sia potuto partire in quel momento, purtroppo - abbiamo ricevuto anche uova di Pasqua, oppure ci sono state regalate delle bibite. Abbiamo messo questi prodotti a disposizione (con prezzi inevitabilmente più alti), cosicché ognuno potesse scegliere se togliersi uno sfizio e comprarli oppure no, preferendo risparmiare punti per un’altra occasione o perché destinati a cose strettamente fondamentali. Cerchiamo di avere più diversità per indurre le persone a ragionare e fare scelte consapevoli in totale autonomia. Non mancano ovviamente i prodotti per la cura della persona e la pulizia come dentifrici, spazzolini, lavapiatti, detersivi, assorbenti, pannolini, carta igienica, shampoo, balsamo, bagnoschiuma». Quali sono le vostre fonti di approvvigionamento? «Nel limite del possibile, cerchiamo di non acquistare. Tramite banco alimentare abbiamo una convenzione con LIDL, che fornisce frutta e verdura che conserviamo, insieme al formaggio sottovuoto, in un frigorifero. Erano disposti ad offrire anche pane, ma avremmo dovuto esporlo sfuso, cosa per noi improponibile in epoca Covid, dato che non disponiamo di guanti e sacchetti. Dove possibile cerchiamo di tenere merce confezionata.
NOVEMBRE 2020
Una volta al mese il banco alimentare ci rifornisce di pasta, farina, legumi - prodotti base, insomma. Esselunga ha promosso una convenzione con Caritas italiana per cui ogni due mesi ci eroga una donazione di 1.500 euro, che utilizziamo per acquistare prodotti per l’igiene. Da anni poi abbiamo una convenzione con Iper, che ci ha sempre fornito grandi quantitativi di alimenti pane, frutta e verdura in particolare, che al momento però non possiamo accettare per mancanza di spazio e perché velocemente deperibili». Com’è stato questo primo periodo di attività del progetto? Faccia un resoconto. «Nel complesso sta andando bene. L’allestimento è un po’ spartano, ma il servizio procede e c’è sempre gente che viene a fare la spesa. Sono stati tutti molto felici dell’arrivo dei prodotti freschi, grazie al frigorifero. Il problema maggiore è che tanti fanno fatica ad entrare nel meccanismo dei punti, nonostante sia stato ribadito parecchie volte da me e dai colleghi. Procede molto bene anche l’orientamento lavorativo, grazie anche ai rapporti molto stretti che abbiamo con il Centro Per L’Impiego e il Santa Chiara. Proseguono in modo ottimale anche gli aiuti nelle ricerche di una nuova casa per coloro che faticano a sostenere le spese dell’affitto. Quindi il bilancio è complessivamente positivo; qualcuno è ancora titubante sul fatto di doversi aiutare reciprocamente per raggiungere l’autonomia». è stato difficile gestire la situazione nel periodo più intenso dell’emergenza sanitaria? Come vi siete mossi? «Le 25 famiglie che ora usufruiscono dell’emporio erano già in carico alla Caritas come pacco alimentare. A Voghera l’emergenza alimentare è sempre stata gestita dai gruppi caritativi. Le famiglie in carico, in media, si sono sempre assestate sulle 300, con ISEE non superiore ai 6/7mila euro, e ad esse spettava il pacco alimentare regolarmente due volte al mese. Con la pandemia, e quindi a emporio non ancora avviato, siamo stati travolti da un bisogno alimentare ulteriore rispetto al quantitativo
9
Caritas in tempi Covid, «Con i buoni spesa abbiamo raggiunto 650 famiglie, di queste almeno un centinaio non avevano mai fatto ricorso alla Caritas»
di famiglie che ricevevano il pacco. Questa emergenza è stata gestita su tre fronti: i contributi dal Comune, i buoni spesa erogati da Caritas (con fondi del Comune) e il pacco alimentare che ha proseguito più o meno normalmente. Con i buoni spesa abbiamo raggiunto 355 famiglie con la prima tranche e 285 con la seconda. Facciamo una media di 650 famiglie, incluse quelle 300 che hanno sempre preso il pacco alimentare. Di queste 650 almeno un centinaio non avevano mai fatto ricorso alla Caritas e quindi non avevano il tesserino per il pacco alimentare. Noi durante la pandemia abbiamo sospeso i filtri burocratici, anche perché non potevamo fare attività di sportello; ma, una volta tornata la possibilità di effettuare incontri e colloqui, abbiamo comunque invitato le famiglie a ricorrere al nostro aiuto qualora il bisogno fosse persistito. è in questo frangente che è nata la necessità di aprire l’Emporio della solidarietà, per quelle famiglie con delle situazioni inadatte al pacco alimentare ma pur sempre di bisogno, soprattutto dopo i danni causati dalle restrizioni per il Covid. In quel periodo abbiamo trasferito tutto in uno spazio più ampio (perché ovviamente meno pericoloso per le circostanze contingenti), diviso attualmente in due ale: quella destinata alla distribuzione del pacco alimentare e quella in cui è stato allestito l’Emporio (servizi che chiaramente avvengono, nel limite del possibile, in giornate diverse).
Dovendo fare di necessità virtù, ci stiamo concentrando parecchio sul fronte dello smart working, che è un grande aiuto soprattutto per le mamme in difficoltà, alle quali consigliamo questa modalità di lavoro da casa per poter conciliare i figli e l’occupazione». Aspettative per il futuro? «Ahimè, io non sono molto ottimista. Siamo stati travolti dalle richieste. Noi operatori abbiamo trascorso tre mesi con il telefono che squillava ininterrottamente. In un minuto ricevevo in media 3 tentativi di chiamata da numeri diversi. Questo anche perché l’ansia del bisogno di mangiare, la paura di rimanere senza cibo, hanno fatto scatenare il panico. Ora c’è di buono che siamo sicuramente molto più attrezzati e quindi, qualora dovessimo ricevere ancora un numero così elevato di richieste, dovremmo riuscire a portare avanti entrambi servizi. Tuttavia la situazione è allarmante, tante persone non si sono ancora risollevate oggi dalla batosta primaverile e tante realtà lavorative sono ripartite ma non a pieno a regime, zoppicando. Non sono in grado di fare previsioni. Stiamo cercando, preventivamente, di coinvolgere di più i giovani per non ritrovarci con i servizi vuoti: i volontari anziani sono i più vulnerabili e in circostanze come quelle di alcuni mesi fa giustamente vogliono tutelarsi». di Cecilia Bardoni
VOGHERA
NOVEMBRE 2020
11
Inter Club Voghera, «Dopo la pandemia ci sarà ancora più “fame” di andare a vedere le partite» Inter Club Voghera: la serietà continua. Con queste parole potremmo presentare la realtà più importante del tifo organizzato dell’Oltrepò Pavese, che quest’anno compie 40 anni. Un traguardo importante che purtroppo è coinciso con la pandemia globale, e con un periodo quindi difficile, anche per le associazioni sportive, come per tutti. Abbiamo incontrato, come portavoce del Club, il segretario Giampaolo Zanini. Uno dei punti di riferimento dell’associazione, insieme al presidente Carlo Gardella. Nei giorni scorsi, in un’intervista che ha fatto il giro del mondo, il noto manager del Wolverhampton, Nuno Espiritu Santo, ha lanciato l’allarme sul fatto che, con i lockdown che si susseguono, il calcio rischia di perdere una generazione di tifosi. Pur tenendo presente la gravità di questa pandemia, ma anche il fatto che prima o poi ne usciremo: qual è il polso della situazione? «In questo momento viene tutto dopo: prima bisogna affrontare questa drammatica situazione, accettarla e basta. Sono situazioni veramente critiche; ci siamo dentro e bisogna farsene una ragione. Detto questo, i tifosi penso abbiano preso bene tutte le limitazioni. Per quanto riguarda la nostra realtà: l’Inter Club, prima, aveva 240 abbonati allo stadio; da Voghera partivano come minimo 100 persone tutte le domeniche. Anche per andare a vedere la partita meno importante. Per dare un’idea: di solito partivamo con un pullman a due piani, spesso anche con due pullman. E tanti venivano anche con mezzi propri. Quindi siamo una realtà numerosa. Fatta questa premessa, vedo che un po’ tutti, in generale, se ne sono fatta una ragione; non c’è un particolare malcontento. Anzi, le dirò: penso che alla riapertura dello stadio non ci sarà nemmeno questo danno che lei mi paventa; ci sarà ancora più fame di andare a vedere le partite. Forse sì, andrà persa una generazione di tifosi; ma la ragione va ricercata in un aspetto diverso, che non riguarda solo la pandemia.» E in che cosa, allora? «Secondo la mia esperienza c’è sempre stato e ci sarà sempre qualcuno che si perde un po’ per strada. Anche fra quelli che negli anni passati erano frequentatori assidui, c’è sempre stato qualcuno che non ha potuto rinnovare l’abbonamento perché magari ha perso il lavoro, o per motivi di salute, di famiglia… per tante ragioni. Poi quelle ragioni, con il tempo, sono venute magari meno; ma quel tifoso può essersi abituato a vedere le partite sulla poltrona, a vivere il tifo in un altro modo. Insomma, le abitudini si sono sempre cambiate e si cambieranno sempre. Questo va messo in conto quando si ragiona di commercio, e
il calcio è anche un commercio. Del resto, se dopo la pandemia qualcuno smetterà di venire allo stadio, altri invece inizieranno a farlo. Personalmente non penso troppo a cosa sarà dopo: io ci tornerò allo stadio, come tutti, se la salute me lo consentirà. La fame di farlo c’è. Comunque è troppo prematuro pensarci adesso.» Meglio fare i conti con quello che si può fare o non fare oggi. «Oggi come oggi sappiamo che non si può andare allo stadio. E questo è grave per i bilanci delle società, perché rappresenta un ammanco. Del resto però, nel bilancio di una società, gli ingressi che derivano dallo stadio sono pari a circa il 10-15% degli ingressi. Il 60% giunge dai diritti televisivi. E questi aumenteranno, perché se la gente non può andare allo stadio probabilmente si abbonerà di più alle offerte televisive. Certo è che con gli stadi chiusi al pubblico (o con un pubblico di mille persone, come nelle prime partite del campionato) le partite sono surreali. Come surreali sono i risultati. Bastino guardare le statistiche dei goal realizzati nelle ultime partite a porte chiuse del campionato: sono il triplo rispetto a prima. È un altro calcio, ci piaccia o no. Noi tifosi aspettiamo, perché secondo noi il vero calcio è diverso. Ed è un calcio dove ci sono anche i tifosi.» Non resta altro da fare che aspettare. «Ce la dobbiamo far piacere. Come dobbiamo farcela piacere soprattutto nella vita di tutti i giorni, nel lavoro. Il calcio viene dopo, ma comunque tutto passerà. I tifosi accettano tutto, e sono sempre pronti a ripartire. I tifosi accettano di non vincere per dieci, quindici anni di fila, di perdere sistematicamente, ma dalla delusione ripartono sempre. E saranno pronti a ritornare allo stadio quando si potrà farlo.» Mi diceva prima che questa sensazione ce l’ha in particolare a riguardo dei tifosi interisti di Voghera… «I tifosi interisti di Voghera hanno sicuramente voglia di tornare allo stadio e se si potesse tornarci in sicurezza a marzo, ad aprile o in qualunque momento, secondo me ci ritorneranno senza dubbi. E parlo di noi interisti, che da dieci anni non vinciamo niente...» E poi mi diceva anche che il rischio di disaffezionarsi un po’, se vogliamo anche per un cambio di abitudini, è sempre esistito. Però se è esistito, all’Inter Club di Voghera non ha mai preso grande piede, data la storicità del vostro sodalizio e i numeri degli associati. Possiamo dire senza timore di smentita che in città, ma in tutto l’Oltrepò, non esistono realtà analoghe alla vostra. Qual è il vostro segreto? «Noi siamo una realtà forte a Voghera, è vero.
Gianpaolo Zanini, segretario Inter Club Voghera Una realtà fatta di 600 soci. La fortuna è che ci siano persone che in questa realtà dedicano tanto tempo e tanto amore. Ma non solo per la causa Inter, anche per cause di beneficenza e aggregazione umana.» Ricordiamo allora anche le attività benefiche… «Cerchiamo tutti gli anni di fare attività di beneficenza. Il che significa magari chiudere un’annata e devolvere 3mila euro a una realtà che può essere la Chiesa dei Frati, oppure a favore di ragazzi in situazione di handicap, oppure per l’acquisto di defibrillatori da regalare a una scuola. L’abbiamo sempre fatto e sicuramente continueremo. Anche perché siamo un gruppo molto affiatato, ben fiorente. E ci siamo dal 1980.» Questo sarebbe stato l’anno per un bel festeggiamento: il quarantennale dell’associazione. «Non è stato possibile a causa della situazione. Del resto il lockdown è cominciato presto per noi, perché l’Inter è stata la prima società a chiudere tutte le attività. Il nostro centro-coordinamento a Milano non ha mai ripreso a funzionare. Per noi anzi questo è un anno difficilissimo, perché non potendo ritrovarsi come prima e andare allo stadio manca un po’ il cuore delle nostre attività.» Da dove provengono i vostri soci? Immagino principalmente da Voghera, ma non soltanto… «Abbiamo soci fino a Varzi, molti nel Tortonese, e poi nei paesi vicini a Voghera, come Casei, Corana, Cornale, Rivanazzano, Retorbido. Ci spingiamo anche nell’Oltrepò orientale.» Qual è stato il record di partecipanti a un singolo match dell’Inter Club Voghera? «Siamo partiti anche con 3 pullman. Poi c’è il discorso dei biglietti, che procuriamo
anche per tifosi che raggiungono lo stadio con mezzi propri. Per un Inter-Manchester ricordo di aver comperato non meno di 450 biglietti. Finì 0-0, ma ci presero a pallonate! Hodgson era l’allenatore. Comunque abbiamo fatto anche trasferte con centinaia di persone.» Siete riusciti in qualche modo a mantenere i contatti fra gli associati in questo ultimo periodo di chiusura delle attività? «Sì, il 50% si è già reiscritto anche se il campionato è fermo. Circa 300 persone. Purtroppo non riusciamo a raggiungerli tutti: se qualcuno, leggendo il giornale, vuole iscriversi, quindi, ben venga!» Come ci si iscrive? «Io sono il referente, come segretario del club. Prima si poteva partecipare alle riunioni il venerdì sera, alle quali si arrivava magari dopo un passaparola. Comunque c’è una mail - interclubvoghera1980@ gmail.com - dove tutti ci possono contattare. Con l’iscrizione si ottengono una serie di gadget e di servizi.» E naturalmente la possibilità di partecipare – quando si potrà – alle gare interne della squadra nerazzurra. «Non solo. Noi abbiamo partecipato a tutte le trasferte dell’Inter. Anche quando l’Inter ha giocato a Mosca o a Pechino, qualcuno di Voghera c’era. L’anno scorso abbiamo anche acquistato un pullmino, intestato all’Inter Club, proprio per partecipare alle trasferte. Purtroppo, fino a questo momento lo abbiamo sfruttato poco». Secondo la sua impressione, i protocolli che fino a prima del lockdown regolavano gli accessi agli stadi in tempi di pandemia sono adeguati e potrebbero essere ripresi, quando si giungerà a una nuova fase che consentirà il rientro anche agli stadi? «A San Siro in mille persone probabilmente si poteva andare anche oggi. Lo stadio dispone di 15 cancelli, quindi rende possibile contingentare gli ingressi. Nell’ultima fase, a tutti quelli che entravano venivano effettuati dei rilievi con il termoscanner e con il saturimetro, inoltre venivano fornite mascherine chirurgiche a chi ne aveva una semplicemente in tessuto. Durante tutte le fasi dell’incontro veniva mantenuta fra gli spettatori la distanza dovuta, in modo che non ci fosse alcun tipo di contatto. Anche il momento dell’uscita era tranquillo, dato che si facevano uscire le persone a gruppi, incolonnate a due metri una dall’altro. Insomma, con un protocollo del genere mi pare che il pericolo sia molto basso. Il discorso è un altro: secondo me non ha senso tenere aperto per un pubblico di mille persone.» di Pier Luigi Feltri
12
voghera
NOVEMBRE 2020
Professione sarta da uomo, «Ho fatto un salto nel buio, ma per fortuna il lavoro artigianale viene ancora apprezzato» La tradizione legata agli abiti da sartoria, soprattutto per uomo, è purtroppo un’arte che si sta estinguendo. A meno che non si parli di ambiti legati all’alta moda, difficilmente si riesce a trovare un comune artigiano che realizza abiti su misura per uomo di una certa qualità. Ci sono sempre realtà appartenenti alla tradizione, ma non è di certo facile trovare contesti adatti per farsi fare un vestito ad hoc. Difficile è anche trovare spazio per un giovane per apprendere un mestiere del genere, considerando anche la poca disponibilità e rintracciabilità di artigiani disposti a tramandare il mestiere. Tuttavia, l’abito per uomo da sartoria è un prodotto pregiato e d’alta qualità e, soprattutto per quanto riguarda il Made in Italy, la qualità è invidiabile in tutto il mondo. Dopo un’apparente fase in cui sembrava che quest’arte fosse destinata a rimanere confinata nelle menti di una vecchia generazione, si sta assistendo a una progressiva riscoperta delle maestrie sartoriali. Giovani sarti che si avvicinano ed esplorano il mondo del “su misura”, all’insegna dell’innovazione e affermazione di questi antichi segreti artigianali. A Voghera Silvia Sartorello ha aperto da quattro anni “Sartorello Bespoke”, atelier di sartoria da uomo in via XX Settembre. Una sarta da uomo. La cosa ci ha incuriosito perché è abbastanza strano trovare una donna che opera in un settore da sempre per tradizione riservato ai maschi. In una città di provincia come Voghera, in Oltrepò , dove tutto sembra così difficile da far decollare, come riesce ad affermarsi Sartorello Bespoke? «Ho, come dico sempre, fatto un salto nel buio aprendo questa sartoria nel 2016, nel periodo natalizio sperando che la creazione di un capo da uomo realizzato completamente a mano fosse compresa dai potenziali clienti e devo dire che ho avuto subito un riscontro molto positivo, il lavoro artigianale viene ancora recepito e apprezzato». Quando si pensa alla sartoria da uomo per tradizione si pensa ad un sarto che entra in sintonia e riesce meglio a capire le esigenze dei suoi clienti. Una professione tramandata da padre in figlio per generazioni come ad esempio succede nella tradizione sartoriale napoletana famosa in tutto il mondo. Come mai lei, Silvia, ha deciso di dedicarsi a questo lavoro oserei dire prettamente maschile? «La mia non è una tradizione di famiglia, si può dire oltretutto che, con l’avvento del capo confezionato, si è saltata una generazione nel campo della sartoria da uomo. Sono nata a Voghera, ho fatto una scuola specialistica di tecniche sartoriali e ho per lungo tempo lavorato nell’ambito della moda a Roma.
Silvia Sartorello, da 4 anni ha aperto un atelier di sartoria da uomo La scuola mi ha dato molte competenze nell’ambito della modellistica che mi sono poi tornate molto utili nel tempo. Ho intrapreso il percorso della sartoria maschile per caso quando conobbi l’amministratore delegato di MSC Crociere, Francesco Parmigiani, una persona che ammiravo tantissimo per la sua eleganza, con un gusto per l’abbigliamento non comune. Spesso e volentieri mi complimentavo con lui per i suoi completi e lui mi confidò di avere un sarto molto bravo a Genova che confezionava tutti i suoi abiti. A Roma collaboravo con Stone Island e C.P.Company, due marchi di abbigliamento maschile e quindi ero già, diciamo, nel settore moda uomo. Quando persi il lavoro perché l’azienda lasciò a casa diversi addetti, questo mio amico mi propose di parlare con il suo sarto che ormai era in pensione ma che lavorava ancora per alcuni suoi clienti. Sono tornata a Voghera e, in attesa di trovare lavoro, pensavo a Milano, ho iniziato ad “andare a bottega” dall’illustre sarto Antonio Carrozzo, presidente dell’”Accademia dei sartori” e vincitore, nella sua carriera, di diversi premi “Forbici d’oro”». è stato impegnativo, immagino, l’apprendimento della professione dal sarto Carrozzo, quali difficoltà ha incontrato e come è stata accolta in sartoria? «Antonio era un sarto vecchio stampo, molto esigente che lavorava con la moglie Carmen e quando sono arrivata io, avevano appena chiuso l’atelier, tenendosi i clienti più affezionati a cui non potevano dire di no, tra cui il mio amico Francesco.
Inizialmente Antonio non voleva che una ragazza facesse il suo lavoro, perché in sartoria c’erano le donne ma facevano lavori differenti, come le occhiellature, le rifiniture a mano e poi diceva che un cliente, avendo a che fare con una donna, avrebbe avuto difficoltà ad accordarle fiducia. Dopo aver cercato di dissuadermi dall’idea di intraprendere questa professione, vista la mia tenacia nel voler andare avanti e la mia passione nell’apprendere, ha accettato l’idea e lì ho cominciato ad imparare tutti i segreti di questo mondo affascinante. Sono stata “a bottega” circa tre anni, viaggiando da Voghera a Genova tutti i giorni, non è stato facile ma molto appassionante e devo dire che Antonio, dopo poco, ha capito che volevo farcela a tutti i costi ed ha iniziato ad apprezzare il mio lavoro. Mi diceva sempre: “tu devi rubare con gli occhi, questo è un mestiere che si impara guardando molto attentamente tutti i passaggi, devi imparare ed immagazzinare tutti i passaggi e le procedure e farle tue”. A fine giornata, portavo a casa “il compito” da realizzare per il giorno dopo, occhielli piuttosto che altri lavori per acquisire sempre più manualità». Insomma una vera e propria scuola di sartoria di alto livello frequentata quando ormai non era più una ragazzina che l’ha portata ad aprire il suo Atelier che gestisce completamente da sola «Sì, ho iniziato nel 2016 realizzando camicie da uomo su misura e sono arrivati i primi clienti. Devo dire che, di solito, si pensa che le prime richieste vengano dai conoscenti e invece sono arrivate tutte da persone sconosciute. Poi poco alla volta sono passata alla sartoria da uomo. La miglior pubblicità per l’Atelier sono i capi che realizzo e i clienti sono arrivati con il passa parola». Qual è l’età media della sua clientela? «Il cliente più giovane ha 19 anni e il cliente più anziano ne ha più di 90. Ultimamente c’è un ritorno al capo su misura da uomo. Intanto si cerca il capo non omologato, che segue perfettamente la figura senza costringerla. Diciamo che, di solito, quando un cliente inizia a vestire su misura non riesce più a ritrovarsi nel confezionato. Ogni abito realizzato completamente a mano, conferisce morbidezza e vestibilità, ottenute da un taglio perfetto e dai materiali pregiati che vengono utilizzati quali lane, lini e cotoni delle migliori manifatture italiane. L’anatomia e la postura della persona per il sarto sono molto importanti e di conseguenza si va a sagomare l’abito sul corpo per un completo comfort». Sono passati quattro anni, la sartoria è decollata. Pensa di continuare a operare qui in provincia o sogna di trasferirsi in una città più grande per ottenere maggiore visibilità? «Diciamo che ho un rapporto strano con
«Ho iniziato ad “andare a bottega” dall’illustre sarto Antonio Carrozzo, presidente dell’Accademia dei Sartori” Voghera: non l’ho mai sentita mia più di tanto, ho sempre cercato di scappare e di lavorare lontano. Quando ho aperto inizialmente non pensavo all’Atelier ma a un laboratorio con visita su appuntamento, mi sono buttata in questa avventura e sono pienamente soddisfatta. I miei clienti vengono anche da fuori, ho molto lavoro e sono felice di rimanere qui». L’abito su misura è alla portata di tutte le tasche? «Secondo me sì, ad esempio per una cerimonia o un evento speciale in quanto più o meno con la stessa cifra che si spende in un negozio specializzato si ha a disposizione un capo esclusivo di grande vestibilità e qualità che può essere riutilizzato nel tempo». Ha recentemente partecipato al “Trofeo Arbiter” riservato ai sarti di eccellenza, che esperienza è stata? «Sono venuta a conoscenza di questo concorso grazie ad un mio cliente direttore di “Quattroruote” e mi sono iscritta. Il concorso era aperto a tutti gli artigiani professionisti del mestiere che hanno un laboratorio sul suolo italiano che operano secondo i canoni dell’artigianalità sartoriale. Gli organizzatori hanno visitato il mio Atelier per vedere se avevo tutte le competenze e i requisiti per la partecipazione, mi hanno fatto scegliere un tessuto per realizzare un abito da sottoporre ad una commissione di esperti. Il testimonial per i tessuti era la ditta Loro Piana e dovevo portare in sfilata un modello che indossasse la mia creazione. E così ho realizzato l’abito per il mio cliente direttore di “Quattroruote”, sono arrivata in finale tra le 36 eccellenze della sartoria per uomo. Una grande soddisfazione!» Consiglierebbe ai giovani di scegliere il percorso della sartoria artigianale? «Assolutamente sì, iscrivendosi all’accademia di sartoria e poi facendo apprendistato presso un atelier di livello che è fondamentale per apprendere tutti i metodi ed i segreti di questa professione di tradizione che penso sarà sempre più apprezzata nei prossimi anni». di Gabriella Draghi
voghera: c’era una volta...
NOVEMBRE 2020
13
Radio Voghera: «La prima voce uscita quel fine pomeriggio di dicembre del 1975 è stata la mia» A metà degli anni ‘70, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, vengono liberalizzate le frequenze radiofoniche. Per i giovani dell’epoca fu come trovarsi improvvisamente di fronte ad un terreno ampio e fertile, uno spazio aperto all’iniziativa e alla creatività dei più audaci. Fu così che in quegli anni, in Italia, sorsero migliaia di emittenti radiofoniche locali, tutte molto limitate territorialmente. I costi per metter su una radio non erano impossibili. Bastava comprare un ripetitore e un po’ di attrezzatura. I dischi? Beh, a quelli ci pensavano gli amici. Il fenomeno delle radio locali italiane ha avuto effetti incredibilmente positivi. In primo luogo ha dato voce all’estro e all’intraprendenza dei giovani anche nelle province più remote. Da qui sono nati artisti che poi avrebbero fatto la storia della musica. Si pensi a Vasco Rossi, che frequentava gli studi di Punto Radio nel modenese. L’altro aspetto da non sottovalutare è che, a cavallo degli anni ’70 e ’80, le radio locali costituirono una voce alternativa ad una programmazione “ingessata” come doveva essere quella della Rai in quegli anni. Da qui il nome di “radio libere”, radio in cui non esisteva un palinsesto né una censura, in cui chiunque avesse qualche competenza o qualche interesse e un po’ di tempo da dedicarvi, poteva approfittare per mettere il tutto in condivisione con i radioascoltatori. Una radio in cui si poteva finalmente dire qualcosa che non fosse “standardizzato”, né nella forma1 né nel contenuto. Alcune radio storiche italiane sono nate così, RadioTeleVoghera è nata così, la prima voce “andata in onda” di RadioTeleVoghera è stata quella di Giorgio Grandi, figlio di uno dei fondatori dell’emittente radiofonica vogherese. Giorgio Grandi è un “ragazzo” che se da qualche mese è in pensione, dopo una carriera di funzionario bancario, non è per niente in pensione quando si parla di musica ed ancor di meno quando si parla di Radio Voghera, così era conosciuta da tutti togliendo semplicemente “Tele”. Ecco in quel momento emerge quel simpatico ragazzo che fa parte del suo DNA Partiamo dagli inizi: Chi ha avuto e come è nata l’idea di creare un’emittente radiofonica a Voghera? «Allora cominciamo... siamo nel dicembre 1975, l’idea è del mio papà Eugenio insieme alla famiglia Orsi e a Luigino “Stereodisco” Alpago. C’era stato in precedenza un tentativo di far partire una televisione via cavo, sulle orme di Tele Biella e difatti la società nasce come RADIOTELEVOGHERA. Solo Radio Milano International era già attiva e quindi Radio Voghera è stata fra le primissime
radio libere italiane. La frequenza di partenza era la famosa 105 MHz e le prime trasmissioni sono partite da una soffitta mansardata nel centro della città giusto a qualche metro da casa mia in via Lantini angolo via Scarabelli. Il segnale all’inizio copriva solo la città, i vicini paesi è una parte di valle Staffora. Naturalmente non c’erano altre radio in zona e appena le trasmissioni hanno cominciato ad avere una programmazione regolare, l’ascolto è cominciato a lievitare. Tutti hanno cominciato a cercare di sintonizzarsi sulla nostra frequenza che era praticamente a fine scala delle radio FM dell’epoca. Sia i giovani e giovanissimi che in quei meravigliosi anni riempivano tutti i pomeriggi fino a sera la vasca in via Emilia, sia le persone che lavoravano nei bar, nei negozi e chi poteva negli uffici, e naturalmente nelle case, anche solo per curiosità hanno cominciato a sentire le nostre trasmissioni». Si narra che è stato lei a trasmettere il primo brano della neonata emittente privata, ci racconti… «Effettivamente la prima voce uscita quel fine pomeriggio di dicembre del 1975 è stata la mia. Emozione di un sedicenne amante della musica e in particolare del Rock; e infatti il primo 45 giri che è salito nell’etere è stato un classico dei DOOBIE BROTHERS, LONG TRAIN RUNNIN. Fin dall’inizio abbiamo naturalmente cercato di dare spazio a tutti gli stili musicali. Al mattino programmi che si rivolgevano alle casalinghe con musiche che potevano fare da sottofondo e essere di compagnia. Il pomeriggio era riservato ai giovani con gli ultimi successi e le richieste con dediche. La sera nel dopo cena spazio alle rubriche e alla programmazione un po’ più specifica. Molto seguiti i radiogiornali con le notizie locali e non dimentichiamo lo spazio al liscio che ha sempre avuto un spazio importante e molto seguito». Che tipo di musica veniva trasmessa in quegli anni? «Agli inizi c’era un po’ di anarchia, chiamiamola così, ma quasi subito si è cercato di diversificare quello che veniva trasmesso e di rendere l’ascolto piacevole a tutti. Nel limite del possibile, non dimentichiamoci che eravamo tutte persone alla prima esperienza e che stiamo parlando della seconda metà degli anni settanta!!! C’era qualcuno che aveva fatto il disc jockey in discoteca, nelle balere o al mitico Ariston nei the danzanti dei vari istituti scolastici, ma eravamo tutti dei principianti...!!! Il pubblico dei giovani seguiva naturalmente la Disco Music, la musica Rock che proprio in quel periodo ha avuto il momento migliore e i cantautori italiani. I genitori e la fascia di età più matura se-
Giorgio Grandi, in una foto dell’epoca
guiva la musica italiana, le notizie locali di cronaca, politica, sportive (erano anche gli anni della grande Voghe) si divertivano con la seguitissima ora del liscio della domenica a mezzogiorno quando ancora era una sana abitudine riunirsi tutti insieme per il pranzo domenicale». Non solo musica ma anche rubriche. Quali erano le più gettonate? Satira? «Sull’onda di programmi come ALTO GRADIMENTO, col tempo anche nella nostra piccola realtà erano stati proposti anche programmi di satira e di divertimento ma in quei anni era la musica a far da padrone. Anche dal punto di vista commerciale, visto la assoluta novità della proposta, Radio Voghera ebbe un’ottima risposta sul territorio per quanto concerne la pubblicità che crebbe parecchio negli anni assicurando il sostentamento e il giusto guadagno per una iniziativa all’epoca quasi rivoluzionaria». Riscontro in termini di raccolta pubblicitaria solo in Oltrepò o sconfinava anche in altre zone? «All’inizio la pubblicità era naturalmente locale, ma poi man mano che il segnale diventava sempre più potente e l’ascolto sempre più capillare anche la pubblicità si allargò alle zone vicine fini ad arrivare anche a carattere nazionale con le prime joint tra emittenti che includevano anche radiogiornali con notizie dall’Italia e dall’estero». Quanto è durata l’avventura radiofonica? «La mia avventura radiofonica, purtroppo... o per fortuna, si concluse nel 1982 per, chiamiamoli, sopraggiunti impegni di lavoro. Furono 6 anni meravigliosi, visto
Da un’ idea di Eugenio Grandi, insieme alla famiglia Orsi e a Luigino “Stereodisco” Alpago, nasce Radio TeleVoghera che dovetti saltare per intero il 1979 per il servizio militare, che ricordo con immenso piacere anche perché coincidono con il periodo migliore della mia giovinezza e pure, a mio parere, con gli anni qualitativamente e quantitativamente migliori dal punto di vista musicale. Nel nostro piccolo, abbiamo avuto la fortuna di far ascoltare, conoscere e apprezzare la stagione più bella e forse irreperibile della musica moderna». Quando è iniziata la perdita di appeal sul pubblico? «Quegli anni rimangono unici. La radio ha proseguito il suo cammino fino a poco tempo fa incontrando sempre un ottimo successo anche se i gusti degli ascoltatori sono cambiati e hanno premiato i network super professionali. Il pionierismo degli inizi rimarrà una pagina romantica e oramai anacronistica ma che ha riservato a chi l’ha vissuta momenti indimenticabili...». Un’avventura del genere potrebbe essere replicabile oggi? «Negli anni scorsi sono stato contattato a più riprese per provare ad imbastire un discorso per ricreare, per esempio con i moderni mezzi dello streaming, una nuova Radio Voghera. Proprio alcuni giorni fa, insieme ad un vecchio amico con cui ho diviso mille momenti dietro la console, e una giovane amica entusiasta e piena di spirito di iniziativa, abbiamo provato a pensare un progetto di questo tipo. Onestamente non so se potrebbe funzionare, sono cambiate troppe cose». di Silvia Colombini
GODIASCO SALICE TERME
NOVEMBRE 2020
15
Auser: «è importante per chi lo desidera farsi avanti in questa nuova e gratificante esperienza» I volontari sono uomini e donne che si impegnano nell’aiutare il prossimo, disposti a collaborare insieme per dare un contributo alla società: una rete di aiuto quella del volontariato che mette le capacità dei singoli, anche le più semplici, a disposizione di chi ne ha bisogno. Per fare volontariato bisogna crederci, perché dare il proprio contributo umano, professionale, economico e sociale richiede tempo, sacrificio e tanta volontà. Sono diversi gli ambiti in cui un volontario può operare, uno di questi è l’ Auser, Associazione di Volontariato e di Promozione Sociale, impegnata nel favorire l’invecchiamento attivo degli anziani e valorizzare il loro ruolo nella società. Sono 28 le Associazioni Locali Affiliate Auser, in Oltrepò, una di queste è quella di Godiasco Salice Terme. Con il Presidente Francesco Bonventre tracciamo un bilancio di questi 3 anni di mandato con un appello finale rivolto a tutti i cittadini “di farsi avanti” . Presidente quando si è costituita l’associazione? «L’associazione di Godiasco Salice Terme si è costituita nel novembre 2017 su iniziativa condivisa con l’amministrazione Comunale di Godiasco Salice Terme». Lei è il presidente dal 2017. Da dove nasce questa sua volontà di mettersi al servizio della comunità? «Sono in pensione e ho subito pensato che avrei voluto dare una mano, rendermi ancora utile nel settore del volontariato, ho scelto l’Auser perché si occupa di attività di sostegno a favore degli anziani». Quanti sono ad oggi i componenti del vostro organico? «Contiamo 104 soci tesserati e 15 volontari, impegnati quotidianamente a garantire il servizio di trasporto persone e a svolgere compiti di segreteria». I volontari sono una grande risorsa. I vostri volontari sono tutti di Godiasco o arrivano da altri Comuni? «La maggior parte sono residenti, altri vengono dai paesi limitrofi». In questi anni del suo mandato ha visto un incremento di volontari, o rimane sempre “una nota dolente”? «Sotto questo punto di vista, pur essendo un’associazione “giovane”, siamo sempre andati bene con un numero di volontari adeguato alle necessità di servizio. Purtroppo con l’avvento della pandemia la situazione è leggermente peggiorata, abbiamo perso la Vice Presidente, mentre altri frequentano poco la sede sociale,
Francesco Bonventre, presidente Auser di Godiasco Salice Terme
«Al momento non abbiamo ritenuto di interrompere il servizio di accompagnamento protetto» comunque, fino a oggi, siamo riusciti ad accontentare tutti quelli che richiedono i servizi di accompagnamento protetto e disbrigo pratiche presso le strutture ospedaliere». Dove si trova attualmente la vostra sede? «Presso la Biblioteca dell’Auditorium Diviani - In via Damiano Chiesa a Salice Terme». Da chi vi è stata concessa? «Dall’amministrazione Comunale di Godiasco Salice Terme, ad uso gratuito». Operate solamente nel Comune di Godiasco Salice Terme o apportate il vostro aiuto anche nei Comuni limitrofi? «Prioritariamente nel Comune di Godiasco, ma anche nel territorio limitrofo sprovvisto di servizio Auser». Quali sono le vostre attività principali? «L’attività dell’associazione è indirizzata alle persone fragili e bisognose, anziani soli, che non possono autonomamente o con il sostegno della rete parentale o amicale recarsi presso: ospedali, centri ambulatoriali per prevenzione, cura e ri-
abilitazione, residenze sanitarie assistenziali (case di riposo), centri diurni etc, uffici pubblici e privati». Quanti sono stati “gli interventi” effettuati nel 2019? «Gli utenti assistiti sono stati 128, (di cui 91 donne e 37 uomini). Per un totale di 723 servizi erogati. Ore impiegate 1.513. Km percorsi dalle autovetture 23.919». A proposito di autovetture, anche attraverso la vostra pagina facebook, avete fatto un appello di richiesta autovetture per i vostri servizi. Siete riusciti nell’intento? Ad oggi quante macchine avete a disposizione? «L’appello su facebook era giustificato dal fatto che di due macchine, una non era più in condizione di viaggiare ed è stata avviata alla demolizione. Ad oggi, disponiamo ancora di due veicoli grazie alla lungimiranza di Auser Cassolnovo che ci ha prestato una macchina fino alla fine di gennaio 2021». Il 2020 è stato e purtroppo è un anno particolare, con un’emergenza sanitaria in corso. Com’è cambiata la vostra attività in tempi di Covid?
«Con la prima ondata, in piena emergenza sanitaria, abbiamo ridotto il servizio alla sola attività di sostegno telefonico, al momento, con la recrudescenza del virus, non abbiamo ritenuto di interrompere il servizio di accompagnamento protetto. Questa decisione è motivata dalla volontà di dare il nostro contributo alla risoluzione dell’emergenza in atto». La vostra attività è finanziata dal solo costo del tesseramento? «Dal tesseramento e dalle offerte degli utenti a cui è rivolto il servizio». Nessun aiuto oltre agli associati? «Salvo il Comune, nessun aiuto». L’amministrazione comunale in che modo vi sostiene? «Fin dalla prima ora l’amministrazione del Comune di Godiasco si è attivata concretamente mettendo a disposizione la sede sociale, completamente attrezzata ad uso ufficio e accollandosi le utenze in uso. Nel medesimo locale è presente la biblioteca Comunale per cui, contestualmente, provvediamo al servizio di consultazione e prestito librario». Qual è ad oggi la mancanza più evidente di cui “soffrite” per svolgere al meglio la vostra attività? «Al momento il nostro progetto è di riuscire a mantenere un buon livello operativo, cosa che fino a oggi è pienamente riuscita, ma per il futuro servirebbe qualche volontario in più». Il 14 settembre si è tenuta l’annuale assemblea dei soci, presente la Presidente di Auser Comprensoriale di Pavia, Annamaria Colombo. Oltre ad una breve relazione sulle attività svolte nell’anno 2019 è stata un’occasione per ricordare la vostra vice presidente prematuramente scomparsa ad aprile. «Irmgard a’Tellinghusen (detta Irmi) non era solo una collega ma anche e soprattutto un’amica. Persona meravigliosa, entusiasta, generosa, sempre disponibile per le necessità dell’associazione e dei suoi beneficiari, una grande perdita». Vuole lanciare un appello o un messaggio ai cittadini godiaschesi? «Stiamo attraversando un brutto momento, occorre essere uniti per raggiungere più facilmente lo scopo di riprendere una vita normale. L’Auser di Godiasco nel limite delle sue possibilità vuole contribuire per raggiungere questo risultato, ma vorrei ancora ricordare l’utilità sociale del volontariato per cui è importante per chi lo desidera farsi avanti in questa nuova e gratificante esperienza». di Silvia Colombini
16
varzi
NOVEMBRE 2020
Elezioni di Voghera, «Vittoria che completa un percorso di rinnovamento dell’Oltrepò» Era il Marzo 2018, quando sulle pagine di questo giornale scrivevamo, intervistando Giovanni Palli: “Mancano ancora dodici mesi al rinnovo del consiglio comunale di Varzi, ma quello di Giovanni Palli è uno dei nomi che girano per la successione a Gianfranco Alberti. Lui nicchia, anche se ammette che il ruolo di sindaco lo renderebbe “orgoglioso”, ma il consigliere di maggioranza in quota alla Lega Nord, classe 1981 e membro del C.d.A della Fondazione San Germano sta perlomeno già “studiando” da primo cittadino”. A poco più di due anni di distanza Palli di strada ne ha fatta, sindaco di Varzi, Presidente della Comunità Montana, ma sopratutto, insieme alla sua compagna, l’onorevole Elena Lucchini, “regista”, in un crescendo continuo, di molte azioni e decisioni politiche dell’Oltrepò, ultima ma non ultima la vittoria della Lega e della coalizione che ha portato Paola Garlaschelli ad essere sindaco di Voghera. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’ingresso di Giovanni Palli sulla scena politica oltrepadana abbia rappresentato una cesura importante, e non soltanto perché ad essere punto di riferimento in Oltrepò è arrivato il giovane Palli, ma perchè viene accreditato di possedere le capacità di raccogliere il testimone di quei politici oltrepadani che hanno segnato l’esperienza ventennale della “Seconda Repubblica dell’Oltrepò” e dei quali piaccia o non piacci l’Oltrepò ne è “orfano”. Palli come responsabile della Lega degli enti locali della provincia di Pavia è logica la grande soddisfazione per la vittoria alle elezioni comunali di Voghera. Qual è stato l’elemento che più ha contribuito ad una vittoria di queste proporzioni? «È stata una grande vittoria che completa un percorso di rinnovamento dell’Oltrepò e collega territori che storicamente non si sono mai parlati. I cittadini hanno premiato la coalizione di centrodestra in appoggio a Paola Garlaschelli perché nella composizione delle alleanze e delle liste si sono fatte scelte nette in discontinuità con il passato e senza alcun compromesso con la vecchia politica». Quando si vince i meriti sono di tutti, quando si perde si cercano i colpevoli. Nel caso delle elezioni comunali di Voghera i meriti sono di tutti. Partendo da questa premessa, qual è stato il suo apporto personale ai fini della vittoria? «I meriti sono di tutti, della Lega che è stato il primo partito della città con un risultato straordinario, di Forza Italia che ha avuto la forza e l’intelligenza politica di rinnovarsi affidando la segreteria ad un uomo retto ed intelligente come Carbone, di Fratelli d’Italia che è stata compatta e ha tenuto la barra dritta, delle 2 liste civiche che insieme hanno raggiunto oltre l’8%. Io ho fortemente appoggiato questo nuovo
Giovanni Palli
progetto insieme ai numerosi sindaci che si sono spesi attivamente sul territorio. Fondamentale è stata la scelta di candidarsi di Elena Lucchini che da parlamentare si è messa in gioco in prima persona e si è contata alla grande dimostrando di avere molto consenso in città, una scelta che per molti addetti ai lavori era rischiosa e assolutamente non scontata». Le elezioni sono passate, ora la squadra vincente è al lavoro. Cosa ne pensa delle prime iniziative – Daspo, panchine piazza San Bovo, maggiori controlli nei punti critici – intraprese dall’assessore alla Sicurezza e soprattutto le ritiene sufficienti? «Le prime iniziative intraprese confermano la concretezza e le capacità che sta subito dimostrando la nuova amministrazione. Il nuovo assessore alla sicurezza, l’avvocato Adriatici, è l’uomo giusto al posto giusto, la sua esperienza sul campo nel corpo della Polizia di Stato sarà un valore aggiunto per la città di Voghera. Voglio sottolineare anche l’intelligenza politica del segretario cittadino Elena Lucchini che ha scelto le persone da proporre negli assessorati toccati alla Lega per le loro professionalità e capacità». è inutile girarci attorno: la più grande azienda pubblica vogherese – ASM – è stato uno dei temi della campagna elettorale leghista e le prime decisioni prese dal neosindaco vanno nella direzione annunciata in campagna elettorale. Secondo lei, come responsabile degli enti locali, ma anche come uomo politico e da cittadino, quali sono le manchevolezze fatte dall’attuale management di ASM? «Il sindaco Paola Garlaschelli ha subito messo in pratica il programma elettorale presentato ai cittadini in campagna elettorale dimostrando serietà e rispetto per i numerosissimi vogheresi che l’hanno votata. Quello che posso dire del Management di ASM è che mi sarei aspettato, come da dichiarazioni dell’amministratore delegato, che una volta insediatosi il nuovo sindaco
avrebbero rimesso nelle sue mani il loro mandato, una questione di correttezza e di stile». A tal proposito è vero che – nell’ambito della Comunità Montana – ci sono le intenzioni di creare una sorta di “Asm dell’alto Oltrepò” che comprenda appunto i Comuni della Comunità Montana? «Quasi tutti i comuni della comunità montana sono soci di ASM, non abbiamo mai parlato di un progetto simile». Cosa risponde all’ex candidato sindaco Nicola Affronto che “la tira in ballo”, appena prima del ballottaggio, dichiarando: «C’è il rischio colonizzazione per Voghera. Varzi e la Valle Staffora mettono l’ipoteca sulla nostra Città con il sindaco Palli, uno dei protagonisti di questa campagna elettorale per il Comune di Voghera… Voghera capitale dell’Oltrepò rischia di essere trasformata in una succursale della Valle Staffora». Che, piaccia o no, è un’idea che trasversalmente è circolata a Voghera e non solo nelle fila dell’opposizione? «Mi ha sorpreso la sua scelta di dar vita ad una coalizione innaturale e molto difficile da comprendere visto che era composta da Udc, ex forzisti vicini al sindaco uscente e dal Pd che per anni ha fatto opposizione dura rispetto all’operato dell’amministrazione Barbieri. Una proposta politica che i vogheresi hanno sonoramente bocciato al primo turno ritenendola innaturale e poco credibile per poter guidare la città. Credo che la mancanza di contenuti che potessero ribaltare i 30 punti di distacco del primo turno abbiano portato il candidato sindaco Affronti a tentare di toccare l’orgoglio dell’elettorato facendo leva sullo slogan dei “Varzesi che vengono a comandare a Voghera”. Un tentativo goffo e poco credibile che non ha sortito gli effetti sperati». Le prossime elezioni provinciali, che si terranno in primavera vedono rumors che indicano lei come in corsa per la
posizione di presidente della Provincia. L’ex sindaco di Stradella Maggi ha auspicato una lista unica trasversale indicando come candidato un sindaco leghista. Qual è la sua idea in proposito? Lei è interessato? Condivide l’idea di Maggi di una lista unica? «L’elezione provinciali si terranno nella primavera del 2021, i partiti avranno tutto il tempo di discutere al proprio interno dei candidati ritenuti più idonei ed a condividere con gli alleati le proprie scelte». Alla luce del risultato palesemente positivo che ha portato l’alleanza Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega a vincere a Voghera, ritiene che questa alleanza – ad esempio a Casteggio non è andata così – possa essere estesa ad altri Comuni dell’Oltrepò alle prossime elezioni comunali? «L’alleanza di centrodestra è rodata ed è sinonimo di buona amministrazione nella stragrande maggioranza dei comuni della Regione Lombardia. Bisogna però sempre distinguere tra le grandi città dove vengono utilizzati i simboli ed il voto è molto “politico” ed i piccoli comuni dove le liste sono quasi sempre civiche senza simboli di partito e dove molto spesso viene votata la persona ed il progetto. In provincia di Pavia abbiamo ottimi amministratori di centrodestra e le segreterie provinciali di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono molto compatte e allineate». Ancor più di Voghera la Lega e quindi lei, a Varzi un anno e mezzo fa ha vinto e lei è diventato sindaco, con una maggioranza bulgara, oltre il 76%. Dopo un anno e mezzo, ritiene – relativamente al tempo trascorso – di aver mantenuto quanto enunciato nel suo programma elettorale? Se dovesse indicare l’azione intrapresa a Varzi più positiva quale indicherebbe? C’è qualcosa che avrebbe voluto fare ma che non è stato possibile? «Abbiamo già realizzato molti punti del programma in poco tempo pur essendo stati frenati dalla pandemia del COVID-19. Molti interventi quali il nuovo campo da basket, l’impianto di illuminazione dei campi da tennis, il rifacimento del campo di calcetto, la nuova area cani, la nuova area calistenichs e la nuova viabilità in piazza della fiera sono stati molto apprezzati dalla popolazione. Sono partiti da alcuni giorni i lavori per il rifacimento della piscina di Varzi e abbiamo completato l’impianto di riscaldamento della parte sportiva della casa dei servizi “G. Azzaretti” che permetterà finalmente di utilizzare la struttura nel periodo invernale. Su tutti credo però che il successo più importante sia stato quello di riuscire a far finanziare da regione Lombardia l’intero intervento di salvaguardia della frazio-
VARZI ne Sagliano per una cifra complessiva di 1.450.000 euro» Ospedale: tema caro ai varzesi ma a tutti gli abitanti dell’alto Oltrepò. Ci sono progetti in vista? «Il futuro della sanità dell’Oltrepò Montano, e quindi anche dell’ospedale di Varzi, è un ambito di lavoro prioritario per me e per tutta la Comunità Montana. Proprio per questa direzione stiamo lavorando in stretta sinergia con ASST Pavia nell’ottica della valorizzazione dell’Ospedale di Varzi grazie a professionisti operosi e di qualità, che desidero ringraziare per la dedizione quotidiana e l’elevata professionalità, ed un crescente ventaglio di progetti innovativi e/o sperimentali che vedono la luce e muovono i primi passi proprio sul nostro territorio come il nuovo ambulatorio pediatrico che permette di seguire in remoto i pazienti pediatrici di età 0-14 anni, riducendo così gli accessi presso le strutture ospedaliere. Un primo tassello per la Telemedicina che, grazie ad un importante progetto previsto dalla Strategia d’area interna “Appennino Lombardo – Alto Oltrepò Pavese”, sarà sempre più protagonista in virtù di un accordo tra Comunità Montana, Ospedale di Varzi ed i centri specialistici dell’ASST Pavia, Irccs San Matteo e Fondazione Mondino che permetterà di attivare le attività di telemonitoraggio, televisita e teleconsulto con misurazione dei parametri a domicilio a partire dal 2021. Lavorare sulla Sanità di montagna vuol dire anche occuparsi del fragilità dei nostri cittadini ed in quest’ottica stiamo lavorando da tempo grazie ad una proficua collaborazione con ATS Pavia sia in prospettiva sociosanitaria, in chiave integrata con la Telemedicina, grazie all’attivazione di una rete di Infermieri di Comunità che interagiranno direttamente con il sistema di medicina territoriale e con i cittadini più esposti sia in una prospettiva più di natura sociale per giovani e famiglie e l’ampliamento dei servizi di welfare di comunità». La frana di Nivione che troncato un’arteria di collegamento importante con la Val Curone è stata parzialmente risolta e nell’ambito dei tempi italiani, in tempi ragionevolmente brevi. Il presidente Poma anche per voce sua ha avuto meriti, lei altrettanto. Cos’ha funzionato in questo caso? Cosa invece non funziona in altri casi simili o analoghi dove invece le frane sembrano irrisolvibili? «La gestione della frana di Nivione è stata un esempio virtuoso di sinergia tra Comune, Provincia e Regione grazie alla sensibilità ed ai buoni rapporti tra gli attori. Un risultato straordinario che ha cambiato radicalmente i connotati del costone e che ci ha permesso di diminuire al massimo i tempi tecnici visto che siamo riusciti a presentarci alla popolazione dopo 2 mesi con il progetto definitivo - esecutivo e le coperture finanziarie grazie all’assessore regionale Pietro Foroni che con un decreto ha messo immediatamente a disposizione 300.000 euro recuperati dal fondo per le urgenze di Regione Lombardia ed al Presidente della Provincia Vittorio Poma che ha stanziato 356.000 euro necessari a coprire un progetto che ha permesso di intervenire in modo completo e definitivo su una frana che da anni minaccia la sicurezza dei citta-
NOVEMBRE 2020
dini. Un segnale di grandissima attenzione dimostrato ancora una volta da Regione Lombardia nei confronti delle nostre montagne. La riapertura della strada è importantissima anche per l’indotto delle nostre attività commerciali che lavorano moltissimo con la Val Curone». Dopo il lockdown primaverile tutti gli indicatori hanno dimostrato che il Covid ha “aiutato” il turismo in Oltrepò Pavese, essendo “il fuori porta” di grandi centri metropolitani. In vista della prossima primavera estate – che speriamo senza lockdown ma altrettanto “buona” per il turismo – concretamente come presidente della Comunità Montana come pensa che possa essere capitalizzata l’onda lunga del turismo di questa estate? Cosa ritiene concretamente si debba fare per la prossima primavera estate per aumentare l’affluenza turistica e quale può essere stata la manchevolezza, da non ripetere, che non ha sfruttato al massimo questa possibilità per molti utenti unica? «L’emergenza epidemiologica da Covid19 ha mutato, in modo repentino sebbene necessario, l’interlocuzione tra borghi e centri urbani. Sulla base di questo cambiamento è esplosa la voglia di riscoprire luoghi, storie, tradizioni e paesaggi che, da qualche anno, stava crescendo ed è definitivamente esplosa quest’anno. In Alto Oltrepò Pavese, grazie al percorso sviluppato nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree interne, abbiamo una strategia turistica che punta in modo deciso sulla riscoperta del territorio e delle comunità con il bagaglio e di conoscenze tradizionali (dal Salame di Varzi DOP all’artigianato locale alle tradizioni musicali dell’area montana). Stiamo ridando luce ai tesori medievali presenti sul nostro territorio per riscoprire li, grazie ad un museo esperienziale che permetterà di muoverci lungo una linea del tempo, la storia dell’Appennino Lombardo tra celti e liguri passando per la ricca storia medievale arrivando ai giorni nostri. Riscoprire il territorio vuol dire mettersi in cammino e quest’anno, grazie all’app “I Sentieri dell’Oltrepò” e la programmazione di interventi sulla rete escursionistica, sono stati più di 5.000 le persone che hanno “scoperto” il nostro territorio e si sono messi in cammino. In questo senso vogliamo continuare a lavorare per far sì che, davvero, da Milano si possa raggiungere il mare passando da Greenway e Via del Sale grazie ad una rete di servizi ed offerte dedicate. Fare turismo, almeno sul nostro territorio, vuol dire anche essere comunità ospitale ed accompagnare il turista a 360 gradi che a sua volta entrerà nella comunità diventandone ambasciatore o, in taluni casi, abitante dell’Oltrepò Pavese». Leggendo le varie enunciazioni, comunicati stampa, etc.etc.etc… stanno arrivando in Oltrepò finanziamenti per i paesi della Comunità Montana. Di molti di questi finanziamenti lei è il fautore, altri sono il risultato del lavoro delle precedenti gestioni. Tra tutti questi soldi qual è a suo giudizio il progetto più interessante e determinante e perché? «Difesa del suolo, Dissesto Idrogeologico, Sviluppo turistico, Welfare e Sanità di montagna, Efficientamento energetico sono
17
«Difesa del suolo, Dissesto Idrogeologico, Sviluppo turistico, Welfare e Sanità di montagna, Efficientamento energetico sono solo alcuni degli ambiti in cui, anche grazie ad una grande sinergia e collaborazione con Regione Lombardia, stiamo lavorando con progetti ambiziosi» solo alcuni degli ambiti in cui, anche grazie ad una grande sinergia e collaborazione con Regione Lombardia, stiamo lavorando con progetti ambiziosi nelle idee e sostanziosi nelle risorse. Il lavoro che stiamo portando avanti è incardinato in una visione strategica di sviluppo del territorio nella quale ogni intervento è legato a doppio filo agli altri. Aver realizzato SmartOltrepò, il primo spazio di co-working dell’Oltrepò Pavese, ed aver registrato il successo di tale iniziativa sperimentale con manager e professionisti di alto livello che si sono presentati per passare una o più settimane di lavoro agile in Alto Oltrepò è stato sicuramente un bel risultato ed il segno che la direzione è quella giusta. Aver permesso a 250 famiglie di avere attività sportive e di aggregazione per i propri figli con continuità è il segnale che vivere in Oltrepò è possibile offrendo dei servizi di qualità per famiglie e ragazzi senza dover essere obbligati a vivere in centri urbani. Poter sviluppare circa 10 Milioni di Euro solo per combattere il dissesto idrogeologico e risolvere alcune criticità storiche del nostro territorio, sempre più fragile, è un tassello importante per preservare il territorio e rafforzare le nostre infrastrutture. Tutto ciò però non sarebbe possibile senza una programmazione strategica di lungo periodo, in costante aggiornamento in previsione delle opportunità della nuova programmazione, ed una regia coordinata con Sindaci, stakeholders, centri di competenza ed una azione costante di ascolto dei cittadini». Una sua iniziativa che sembra essere passata sotto tono, è il rapporto tra Comunità Montana e l’AIPO (Agenzia Interregionale per il fiume Po), l’ex magistrato del Po, tanto per intenderci. Qual è oggi la situazione? Cosa ha ottenuto la Comunità Montana dall’Aipo? Quante risorse potrebbero arrivare? A chi e per cosa sarebbero destinate? «Ad inizio anno abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con AIPO che permetta di sviluppare e realizzare progetti di prevenzione, manutenzione e valorizzazione della risorsa idrica nell’Alto Oltrepò nei prossimi 5 anni. Una collaborazione che, grazie all’attivazione di una apposita task force con la Direzione generale Territorio e Protezione civile di Regione Lombardia ed AIPO, permetterà di programmare ed attivare, in maniera puntuale e dopo attenta analisi, gli interventi necessari sui corsi d’acqua minori (cd. Reticoli idrici minori) nonché ripensare alla valorizzazione dei
corsi d’acqua in Alto Oltrepò Pavese, spesso lasciati all’incuria e all’abbandono. Abbiamo da poco concluso la prima fase che ci ha visto mappare, per la prima volta in modo unitario e coordinato, tutti i corsi d’acqua dell’Oltrepò Montano aggiornando così situazioni datate ed ormai superate. Un’unica banca della conoscenza dei reticoli idrici minori dell’Alto Oltrepò pavese che, grazie ad un’unica mappatura e l’individuazione di criteri di classificazione, ci permette di individuare un piano di intervento puntuale e ulteriori prospettive di lavoro per valorizzare maggiormente tale risorsa». Il salame insieme al vino è per l’Oltrepò uno dei punti forti. La Comunità Montana ha fatto e sta facendo bandi per incentivare il Salame di Varzi. Da varzese, da sindaco e da presidente della Comunità Montana a suo giudizio dove e come il salame di Varzi può migliorare? È pensabile in tempi ragionevoli aumentare la filiera di produzione che coinvolga non solo i produttori ma anche gli allevatori di suini in Oltrepò? «Sua Maestà il Salame di Varzi D.O.P. è un prodotto unico nel suo genere e dà lustro, a livello internazionale, al nostro territorio. Un prodotto storico che si nutre, a sua volta, della storia della Valle Staffora e, come un buon invecchiamento di un Salame di Varzi Cucito D.O.P., può solo crescere e rafforzare il suo valore anche grazie ad un impegno concreto delle istituzioni del territorio. Noi, insieme a Fondazione Cariplo, abbiamo deciso di sostenere direttamente la ricostruzione di una filiera a Km0 “dall’allevatore al consumatore” con un progetto che miri esattamente ad aumentare produttori ed allevatori in Oltrepò Pavese e la realizzazione di un accordo di filiera che impegni tutte le parti in un progetto per la costruzione di un prodotto TOP a Km0 con un proprio spazio in termini di promozione e di mercato. I primi risultati di questa sperimentazione, in sinergia con stakeholders e Consorzio di tutela del Salame di Varzi D.O.P., sono incoraggianti sia numericamente in termini assoluti di soggetti coinvolti sia in termini relativi con la presenza anche di 4 aspiranti allevatori. Numeri importanti che, in tempi di emergenza sociale ed economica, rappresentano un forte segnale di futuro ed offrono al Salame di Varzi D.O.P. una grande possibilità di crescita». di Silvia Colombini
Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO
NOVEMBRE 2020
19
La “Büsèca”con le fagiolane della Valle Staffora di Gabriella Draghi
“Büsèca”, in italiano “trippa”, ricetta contadina tipicamente invernale della cucina lombarda, è un piatto realizzato con le frattaglie o interiora di bovino da provare almeno una volta nella vita perché o lo si odia o lo si ama. Da un punto di vista nutrizionale, la trippa è un alimento magro con una discreta quantità di proteine, sali minerali, in particolare ferro, sodio, fosforo e potassio e vitamine del gruppo B. Il nome “büsèca” deriva dal tedesco “butze”, che significa proprio viscere; da qui, si è italianizzato in “buzzo” e poi in dialetto milanese “busa”, ovvero pancia, da cui deriva “busecch”. Il piatto tipico è legato alla vita dei contadini e dei mercanti, che, in giro per fiere nel freddo gelido dell’inverno, per riscaldarsi si fermavano nelle locande milanesi, le quali servivano questa ricetta a base di striscioline di trippa, in un brodo di lardo, pomodoro e fagioli. Un piatto che costava pochissimo, ma che scaldava e ridava energie. Si narra che venisse servita anche nella notte di Natale, dopo la messa di mezzanotte quando i contadini si riunivano nelle stalle. Insomma, un piatto non solo buono, ma anche ricco di storia. In Oltrepò Pavese, per preparare la büsèca, si usano le fagiolane, una varietà di fagiolo rampicante importata dalla Spagna in Val Borbera dalla famiglia Spinola che viene coltivato in Valle Staffora, un territorio confinante con la provincia di Alessandria e quindi avvezzo a contaminazioni non solo culinarie. Questi fagioli hanno colore bianco avorio più o meno lucente o opaco. Nella maggior parte dei casi, la superficie del seme è liscia. Alcuni sono allungati, reniformi e piatti; altri tondeggianti ed appiattiti ed altri ancora tondeggianti e pieni. Le fagiolane si possono distinguere in due tipologie: quelle Quarantine caratterizzate da una maggiore precocità e una minore dimensione dei semi e quelle Tardive che hanno un prodotto qualitativamente superiore e di maggiore dimensione. Un tempo ci volevano molte ore per preparare la ricetta tradizionale della trippa perché la si trovava cruda dal macellaio. Oggi i tempi di cottura sono
ridotti perché la si trova in commercio già cotta e sbianchita. Le parti più tenere sono denominate foiolo e cuffia. Come si prepara: Mettiamo a bagno le fagiolane secche in acqua fredda per una notte. Se non le troviamo, possiamo usare anche la varietà “bianchi di Spagna”. Scolare i fagioli e lessarli in acqua leggermente salata. Laviamo la trippa con acqua tiepida e la tagliamo a striscioline. In un tegame con i bordi alti, scaldiamo ora 4 cucchiai d’olio e rosoliamo carota, cipolla e sedano tagliati a piccoli pezzi per circa 10 minuti. Aggiungiamo la trippa e le foglie d’alloro, mescoliamo, uniamo la conserva di pomodoro, saliamo e copriamo con un coperchio. Aggiungiamo il brodo di volta in volta durante la cottura, cuocendo a fuco lento per circa 1 ora e mezza. Tagliamo a fettine sottili le patate e le uniamo con i fagioli lessati e scolati.
Mescoliamo e proseguiamo la cottura per altri 15 minuti. Serviamo la nostra trippa calda. You Tube Channel & Facebook page “Cheap but chic”.
TRIPPA IN UMIDO CON FAGIOLANE Ingredienti per 6 persone: 2 kg di trippa ( foiolo e cuffia) già cotta 200 g di fagiolane secche 3 foglie d’alloro 1 carota 1 cipolla 1 costa di sedano 2 patate 2 cucchiai di conserva di pomodoro brodo olio extravergine d’oliva sale
20
CASTEGGIO
NOVEMBRE 2020
«Per assurdo, in un momento di blocco dell’attività abbiamo avuto un’impennata degli investimenti: in campo 1 milione e 300mila euro» In questo periodo di pandemia, il Comune di Casteggio è guidato da un sindaco che, al contempo, è anche uno stimato medico: il dottor Lorenzo Vigo. Che dopo aver passato i primi mesi di mandato a dover fare i conti con i danni dell’alluvione, ora si trova, come tutti i suoi colleghi, a gestire una situazione non certo facile, sia sotto il profilo strettamente amministrativo, sia sotto quello sanitario. Siamo tornati a trovarlo dopo qualche mese dal nostro ultimo incontro per farci raccontare come sta cambiando il paese in questi mesi, nonostante le molte difficoltà. Come state gestendo la seconda ondata? «Da un certo punto di vista possiamo possiamo dirci fortunati, perché avevamo messo in piedi una macchina organizzativa molto import nei mesi primaverili, quindi non abbiamo dovuto far altro che riattivare la macchina. In realtà il COC non è mai stato chiuso, in estate chiaramente non si facevano riunioni di stato emergenziale come in primavera, ma avevo comunque un contatto costante con Protezione Civile, Croce Rossa e i vari soggetti coinvolti. Quindi c’è sempre stato un controllo.» Però le cose si sono aggravate di parecchi, e in un periodo piuttosto ristretto... «Chiaro che, visto l’andamento della situazione, nelle scorse settimane ci siamo ritrovati per farci trovare pronti a riattivare tutte le misure del caso. Quindi da questa settimana tutte gli interventi utili sono in fase di riattivazione. I numeri per le emergenze, la consegna a domicilio di farmaci, di viveri, eccetera. In questi giorni stiamo anche inviando una mail a tutti i comuni che facevano parte della COM, la centrale sovracomunale di cui Casteggio era coordinatore, per far presente che anche in questo caso la struttura non è mai stata chiusa e continua a essere attiva. Andiamo quindi anche verso un aiuto anche nei confronto degli altri comuni che ne avranno necessità.» Le difficoltà? «I problemi ci sono. Prima di tutto perché i DPCM non sono chiari: vengono date indicazioni estremamente complicate che richiedono un’interpretazione. Lo stesso Governo ha dovuto far uscire delle FAQ pochi giorni dopo l’emanazione. Anche le Prefetture hanno dovuto fornire delle interpretazioni. Questo non rende per niente agile il compito delle amministrazioni locali, che su devono prendere decisioni basandosi su di essi. Questo è un problema, anche se personalmente ho sempre interpretato i DPCM nella maniera più restrittiva possibile, perché ritengo sia il modo migliore di procedere. Poi c’è sempre un confronto costante con i sindaci di Broni e Stradella, con cui abbiamo sempre tenuto la stessa linea e andiamo avanti a farlo. Anche perché abbiamo realtà simili, per
Lorenzo Vigo
numero di persone e problemi da gestire.» Come sta reagendo la cittadinanza? «C’è tanta esasperazione. Sia da parte dei cittadini che dei commercianti. È molto più difficile oggi ottenere risultati dalla restrizioni. Ci sono risultati, perché comunque le persone in giro sono meno, però ci sono tante piccole situazioni che possono sembrare una nonnullità ma sono quelle che determinano le problematiche. Chi consuma il caffé fuori dal bar in compagnia anche se il bar è chiuso, quindi si toglie la mascherina, magari mentre si trova insieme ad altre persone... sappiamo perfettamente che questi sono i momenti nei quali si rischia di più il contagio. Altre persone escono anche per spese non essenziali. Insomma: c’è meno attenzione, decisamente, rispetto alla primavera scorsa.» La vita amministrativa però continua. Ha avuto un certo risalto la vostra decisione di occuparvi direttamente delle luminarie natalizie. Perché questa scelta? «Una scelta dettata dal buonsenso: era improbabile richiedere ai commercianti di contribuire alle luminarie. Il Comune normalmente interviene sul 50% del costo, il resto viene raccolto dalla Pro Loco attraverso i commercianti. Ma non aveva senso quest’anno andare a chiedere loro un contributo. È una sorta di segno di riconoscenza nei confronti di questa categoria, che sta tirando veramente la cinghia, sta stringendo i denti. Penso che tutti gli sforzi che si stanno cercando di fare in questo momento a livello governativo siano anche per cercare di salvare loro la stagione economica del Natale. Era fondamentale presentarsi comunque a questa scadenza con una città accogliente, e soprattutto dare un segnale di speranza per tutti. Di fatto abbiamo investito soldi che avremmo comunque dedicato al commercio, perché
si era creato un avanzo nei capitolo del bilancio che utilizziamo per gli eventi. I venerdì sera, la Notte bianca, la Fiera del tartufo, che sono saltati. Si tratta di investimenti che, di fatto, aiutavano anche il commercio, richiamando persone a Casteggio. Quindi abbiamo deciso di utilizzare queste disponibilità per le luminarie, anche perché altri eventi, da qui alla fine dell’anno, molto probabilmente non si faranno. E comunque, anche se si dovessero allentare le maglie dei regolamenti, non mi prenderei mai la responsabilità di creare il rischio di assembramenti, rischiando quindi nuovi focolai.» Lei si trova a fare il sindaco in questo momento molto particolare; d’altra parte, però, lei è anche un medico. Come vive questo doppio ruolo? «È diverso gestire questa situazione come medico e come sindaco insieme, perché si vedono con un occhio diverso entrambi gli aspetti: sia quello sanitario, sia quello amministrativo. Che molto spesso vengono mischiati in maniera molto confusa; e invece sono due aspetti molto ben distinti. Ritengo che la chiusura, il lockdown, sia inevitabilmente l’unico metodo sanitario che abbiamo per bloccare la diffusione del virus. Fare la vita normale semplicemente indossando le mascherine non è stato sufficiente; certo aiuta, riduce i contagi, ma vediamo che questa misura, insieme alle altre che erano state prese, non hanno sortito un effetto tale da liberare il sistema sanitario.» Dall’altra parte c’è la questione amministrativa, l’enorme difficoltà economica... «Queste scelte inevitabilmente rischiano di portare a un’ecatombe economica. Però, a un certo punto, bisogna prendere il toro per le corna e fare delle scelte. Sicuramente si tratta di scelte molto complicate. Non mi sento di dire: qui c’è la ricetta per risolvere tutto. Ieri sera sentivo alcuni virologi che dicevano la stessa cosa: che non c’è il manuale perfetto della gestione perfetta dell’epidemia. Si va un po’ anche per tentativi, guardando i numeri, gli studi, i dati che si cercano di raccogliere giorno per giorno. È inevitabile che errori, col senno di poi, se ne facciano. Bisogna cercare di imparare da questi e fare le scelte migliori per il futuro di tutti.» Anche perché la situazione che stiamo vivendo negli ultimi mesi è inedita, e davanti a situazioni inedite bisogna approntare soluzioni inedite. L’attività amministrativa nel frattempo va avanti, pur con tutte le difficoltà del caso. E a Casteggio, di difficoltà, ce ne sono state anche sotto questo profilo. Poco più di un anno il suo Comune ha vissuto l’incubo dell’alluvione; da allora, nonostante la pandemia, qualcosa si è fatto
per provare a prevenire nuovi disagi alla popolazione. L’ultimo in ordine di tempo: il ripristino delle sponde del Riazzolo. Prima c’era stato il Coppa, e a breve sono previsti i lavori anche sul Rile... «Diciamo che è stata un’annata un po’ particolare. Di fatto abbiamo perso tutto il primo anno amministrativo (dopo le elezioni del 2019, ndr), perché abbiamo dovuto fare i conti con l’alluvione. E poi è arrivato il Coronavirus. Sicuramente quello dello scorso anno è stato un intervento molto tempestivo. Sia nella prima emergenza, dove abbiamo speso quasi 200mila euro in 5 giorni (e dopo 48 ore dall’alluvione, con tronchi portati dall’acqua fino in piazza Cavour, abbiamo regolarmente consentito lo svolgimento del mercato). In quell’occasione abbiamo fatto un intervento straordinario per cercare di mettere in sicurezza il paese e soprattutto per aiutare le persone che erano state colpite dall’alluvione. Questa è stata la prima fase. Da lì ci siamo mossi per effettuare degli investimenti che Casteggio aspettava da tempo, cioè degli interventi sui corsi d’acqua.» Vediamo nel dettaglio questi interventi sui corsi d’acqua. «Il Coppa è stato il primo; anche se parliamo di Reticolo Idrico Maggiore, quindi di un intervento in capo alla regione. Tuttavia, possiamo dire che le nostre sollecitazioni siano arrivate a destinazione. Poi, il Riazzolo e il Rile. Anche questi sonno stati effettuati sia con fondi regionali, sia con fondi comunali. I lavori sul Riazzolo sono in fase di conclusione: c’è stata tutta una pulizia, un ripristino delle sponde, un bel lavoro di messa in sicurezza del torrente.» Il Rile, invece? «Sul Rile il discorso è più ampio: un intervento che è già stato progettato ed è in appalto in queste settimane. Si prevede di lavorare durante l’inverno, che è il periodo in cui c’è meno acqua all’interno dei corsi, per arrivare poi a primavera con tutti i lavori eseguiti. Purtroppo questa situazione di fatto ha rallentato anche questi interventi. Noi avevamo trovato i soldi per intervenire già a fine 2019, e a inizio 2020 avevamo già i progetti in fase di realizzazione. Poi, però, tutto quello che è successo ha bloccato ogni intervento. Lavori di questo tipo già di loro prevedono un iter burocratico molto lungo. Per riuscire a completare tutto nel tempo rimasto a disposizione abbiamo dovuto affrontare una corsa pazzesca, per cui ci tengo a ringraziare l’Ufficio Tecnico per la disponibilità da questo punto di vista, per l’impegno profuso per arrivare in tempo a mettere sul piatto tutti i progetti e tutte le possibilità di intervento. I lavori del Rile sono in partenza quindi; c’è da dire che oltre ai fondi comunali ab-
CASTEGGIO biamo fatto anche una convenzione con la Provincia, che aveva destinato una cifra di 80mila euro per interventi sul ripristino spondale del Rile. Il tutto si era un po’ fermato per ragioni burocratiche; ma abbiamo trovato un accordo: la Provincia ha trasferito a noi la disponibilità finanziaria, in modo che si metta quest’intervento in coda agli altri, e quindi anche quegli interventi possano essere realizzati.» Non dimentichiamo che i lavori pubblici non si fermano qui. In particolare, sono state eseguite – o verranno eseguite nei prossimi mesi – diverse asfaltature, che riqualificheranno un po’ tutto il centro abitato.. «Per assurdo, in un momento di blocco dell’attività abbiamo avuto un’impennata degli investimenti. Soprattutto perché siamo andati a cercarci dei fondi e abbiamo progettato, quindi non è stato semplice, come ho già dichiarato. Più o meno abbiamo messo in campo dall’inizio dell’anno, con interventi che andranno avanti fino alla primavera dell’anno prossimo, 1 milione 300mila euro di investimenti, considerando solo le opere oltre i 10mila euro. Molte asfaltature sono già state realizzate, penso al ripristino di zone ammalorate come via Bernini, via Mombrione, che erano bloccate sempre dalla questione Coronavirus. Siamo arrivati ad un punto, quando le aziende di asfaltatura hanno riaperto, ed erano pronte a lavorare, in cui non c’era l’asfalto, perché non era stato più prodotto.» Una situazione paradossale. «Abbiamo dovuto aspettare ancora un mese o due prima di avere i materiali a disposizione e vedere i primi lavori. Alcuni comunque, come ho detto, sono stati già realizzati, mentre altri sono comunque in previsione. In particolare c’è un accordo che riguarda i lavori che Pavia Acque sta effettuando con l’acquedotto, ossia il rifacimento di tutta la rete di base che sta passando per la via Emilia. Con il “taglio” che è stato effettuato nella sede stradale ci sono sicuramente stati un po’ di disagi in
NOVEMBRE 2020
questo mese, ma di fatto si tratta di un intervento importante. Questo comporterà il rifacimento di tutta l’asfaltatura della via Emilia dove è stato tagliato l’asfalto, noi come comune ci occuperemo dell’altra carreggiata in modo che poi quel tratto di strada sia completamente rinnovato.» Non poteva mancare anche un intervento tecnologico: l’implementazione di punti wi-fi di libero accesso. «Avevamo già fatto un primo intervento qualche anno fa, con il posizionamento di punti di wi-fi pubblico. Poi c’è stata l’occasione di partecipare al bando europeo Wifi4eu, ed ottenere anche questo finanziamento. Il tema degli investimenti tecnologici però va affrontato in una prospettiva più ampia, che va oltre le capacità del comune. Penso alla disponibilità di banda: un investimento di cui si parla molto in questi mesi, e che deve arrivare dal governo centrale. Ci sono punti a Casteggio dove non prende ancora il cellulare, non possiamo pensare che la settima potenza mondiale sia ridotta dal punto di vista tecnologico nel 2020 in queste condizioni. Abbiamo visto nei giorni scorsi cosa è successo con il bonus biciclette e monopattini: si spendono 250 milioni per questo finanziamento, pensando di erogarlo con un click day su dei server inadeguati, che infatti non hanno tenuto e sono collassati. Non ce lo possiamo permettere come nazione: un investimento tecnologico va fatto. Dopo tutto quello che è successo, poi, anche il discorso del lavorare in rete assumerà un’importanza decisamente più elevata.» Fra le attività fermate dalla pandemia ci sono anche quelle culturali: il museo attualmente è chiuso. Ciò nonostante, si sta preparando a riaprire, quando si potrà, più bello e fruibile che mai. «Il mondo della cultura è uno di quelli che è andato più in sofferenza. Un mondo che in Italia, ahinoi, non gode sotto il profilo economico di un grande sostegno, nonostante dovrebbe essere il nostro core business. Questa difficoltà è ancora più evidente nei piccoli musei di paese. Noi però
abbiamo sempre sempre investito nella cultura e quindi nel museo, negli eventi, nelle attività. Il nostro è un museo molto attivo, e ha continuato a esserlo anche in questi mesi.» Come? «Nel momento in cui ci siamo trovati in difficoltà ed è arrivata la chiusura, abbiamo trovato altre strade. Sono state create le pagine Instagram e Facebook del museo, cosa che avevamo già in programma di fare ma abbiamo anticipato vista la situazione di emergenza. Questi canali sono diventati una porta per raccontare la cultura. Abbiamo invitato una serie di ospiti, con i quali abbiamo realizzato alcuni video-interventi: professori universitari, archeologi, direttori di altri musei. Stiamo cercando di continuare in questa direzione. Ci sono tante cose che anche da casa si possono vedere e scoprire. Le pagine social, in attesa della riapertura di quello vero, diventano una sorta di museo virtuale. Queste attività, poi, vengono ad essere collegate alla la cultura del territorio in generale. Stiamo facendo alcuni focus su tanti argomenti, dagli edifici storici di Casteggio, ai personaggi storici. È chiaro che questa situazione si è venuta a creare in relazione alla pandemia, ma non possiamo immaginare il futuro dei musei o comunque delle attività culturali di un comune si fermino a questo. Anche se d’altra parte sono convinto che un percorso parallelo come questo i musei lo debbano continuare a tenere attivo, perché oggi rimanere connessi alla cultura è fondamentale. Sicuramente quindi continueremo su questa strada, ma la speranza è quella di poter riaccogliere i visitatori in carne ed ossa il prima possibile. Proprio in quest’ottica stiamo lavorando: abbiamo già messo in conto che anche il 2021 sarà un anno di transizione, con forti limitazioni, quindi in questo momento conviene puntare su investimento strutturale: rendiamo più bello il museo.» In particolare, poche settimane fa, è giunta una donazione importante: i cimeli dell’illustre concittadino esplora-
21
tore, Giuseppe Maria Giulietti. «Neanche a farlo apposta abbiamo ricevuto proprio in questo periodo l’importante donazione dei cimeli di Giuseppe Maria Giulietti da parte del dottor Giuliano Giulietti, che è un casteggiano, innamorato di Casteggio. Con questa acquisizione di fatto si rende immortale il nome di Giuseppe Maria Giulietti, perché una volta che i cimeli vengono musealizzati diventano eterne. Stiamo lavorando per creare una sezione dedicata a Giulietti: abbiamo delle idee, stiamo già lavorando su diversi bandi per raccogliere finanziamenti e sicuramente punteremo a dargli la visibilità che merita. Tra l’altro, abbiamo anche in programma il rifacimento di viale Giulietti. Il prossimo sarà sicuramente un anno in cui potremo festeggiare al meglio la figura dell’esploratore.» In che cosa consiste l’intervento programmato su viale Giulietti? «Il viale della stazione passerà dall’avere un “controviale” (che oggi è un parcheggio), ad avere un’ara pedonale su entrambi i lati della strada dove poter passeggiare, incontrarsi. Sicuramente la zona è già un po’ rovinata, per cui sarebbe comunque stato necessario investire in un intervento di manutenzione. Il nostro ragionamento è stato più ampio: abbiamo la piazza Cavour che comunque resta adibita a parcheggio, abbiamo realizzato un intervento in piazza Guarnaschelli dove oggi c’è un parcheggio gigantesco con posti sia a pagamento che liberi, e di fatto è a duecento metri dal viale. In virtù di tutto questo, abbiamo ritenuto che i posti auto in viale Giulietti potessero essere sacrificati per aprire una nuova possibilità. C’è la necessità di riappropriarsi un po’ degli spazi urbani, e quindi abbiamo pensato di dare nuova vita a questo viale - che è uno dei viali più belli dell’Oltrepò, secondo me. In modo tale che diventi un posto dove incontrarsi, e non più soltanto un posto dove parcheggiare le macchine.» di Pier Luigi Feltri
22
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò
NOVEMBRE 2020
L’èra (cortile) dei miracoli: storie di vita grama e in bulëta (senza soldi) Di Giuliano Cereghini Felice Musazzi, uno dei più grandi comici dialettali italiani misconosciuto per colpa di una lingua lombarda poco usata dai media nazionali, esordì in teatro con la compagnia dei Legnanesi nel 1979 con la commedia ‘Il cortile dei miracoli’, storie di vita grama in una casa di ringhiera di Legnano e dell’annesso cortile dove le varie umanità operaie degli anni cinquanta si incontravano e si scontravano. Al grido di - Giuàn pìza al ciàr - la mitica Teresa invocava o meglio, ordinava al marito, l’accensione della lampada di casa, mentre Mabilia dormiva sfinita dalle fatiche serali. Ho ripreso lo stesso titolo anche se, il cortile in oggetto, è molto diverso, è il cortile di ogni cascina lombarda ed oltrepadana dove si affacciano casa d’abitazione, stalla, magazzino e pertinenze varie; li accomuna il periodo storico e la vita grama descritta ed eguale, in quegli anni, in città o in campagna; era il tempo dei cappotti rivoltati ed era una fortuna averlo un cappotto da rivoltare, il cortile, “la cùrt, l’èra” era il centro motore della fattoria d’Oltrepo: su di esso dominava la casa padronale e, per le aziende più grandi, le casette dei salariati, la stalla, il portico, il pollaio e lo stazzo del maiale. Tra le due guerre oltre a questi locali, spesso era presente il forno e il gabinetto all’aperto a volte in muratura, più spesso di legno o addirittura realizzato con le canne esauste del granoturco. La casa patronale, un grosso rettangolo con due stanze al pianterreno e due al piano superiore divise dalla scala che univa i due piani, prive di servizi e, sino agli anni cinquanta, prive di acqua potabile: il pozzo era esterno, come esterna era l’eventuale pompa per l’acqua. Grandi cantine custodivano gelosamente il frutto del sacrificio del maiale: salami, coppe, pancette, salamini e cacciatorini pendevano da un palo orizzontale “la përtia” , la pertica difesa agli estremi da cocci di bottiglia di vetro per impedire ai topi di aggredire i preziosi salumi; oltre a questi la cantina vigilava su formaggi, frutta e verdura non disponendo altrimenti le popolazioni allora vedove di frigoriferi, freezer ed abbattitori. In un angolo troneggiava il grande tino verticale usato esclusivamente per la vendemmia o, per meglio dire, per contenere, sino al termine della fermentazione, il mosto frutto della pigiatura che avveniva nel cortile con convogliamento dei liquidi nel grande tino, tramite una canalina adibita esclusivamente a quel dolce nettare. Il contadino più esperto, spesso “l’arsadù”, nelle ore successive alla pigiatura, si recava in cantina per verificare il bollore del mosto con la candela accesa per scoprire ed evitare il ristagno di eventuali micidiali gas, sprigionati dalla fermentazione e per miscelare le bucce
Uno dei rituali delle cascine oltrepadane: l’uccisione del maiale e il graspo che tendevano a stratificarsi in superficie “rònt al capê”. Successivamente il mosto fermentato, veniva tolto dalle citati residui oltre che dalla feccia depositata sul fondo, mediante il travaso in recipienti di legno “cavà e travasà in ti vasê ad lägn”. Durante tutto l’inverno si ripeteva l’operazione di travaso per pulire e chiarificare il vino tenendo in buon conto le varie fasi lunari e le condizioni climatiche esterne. Dopo la prima spillatura, il residuo veniva torchiato e da questa operazione si otteneva un vinello aspro e di bassa gradazione “al turcià”. Altri prima di torchiare, gettavano molta acqua su graspo, facevano riprendere la fermentazione ottenendo un insignificante vinello “granà o ciciùrla” da bere subito perché non avrebbe sicuramente retto alle calde temperature dell’estate. In primavera, il vino veniva inserito nelle botti per l’affinamento o nelle damigiane per il successivo imbottigliamento in capaci bottiglioni da due litri. Con la luna favorevole, cioè debole, si provvedeva a riempire e tappare le bottiglie, duecento al massimo, per le grandi occasioni. Le due o tre damigiane contenevano il miglior vino della casa frutto di una sapiente selezione delle migliori uve effettuata dalla padrona di casa “l’arsadùra”, puntando soprattutto alle vigne più vecchie, ai grappolini dei rinnovi della potatura “i stombär” e a quelli con il raspo colorato indice di maturazione “sgràsla rûsa”. Con le prime nebbioline di Novembre si cominciava ad assaggiare di cantina in cantina, per verificare il livello del prodotto ed anche per stare in compagnia dei vicini e degli amici. L’ultimo locale della casa padronale era il solaio, detto vivo o morto “sulè viv o sulè mort” a secondo che fosse raggiungibile da una scala fissa in muratura o in legno oppure solo da una scala asportabile, spesso quella usata per la cascina. Il solaio aveva due funzioni importanti oltre a quella primaria di deposito del-
le cose usate: la conservazione dei salami in prima stagionatura da Dicembre a Marzo e il temporaneo deposito del frumento dopo la trebbiatura. Di fronte alla casa padronale, raramente di lato, si ergeva la stalla, cuore pulsante di un’economia basata sul lavoro manuale del terreno con l’uso determinante della forza animale, dei cavalli o dei buoi senza escludere le mucche in montagna, per lavori particolari in ripidi campicelli strappati ai sassi e ai rovi o tra stretti filari che permettevano il passaggio alla sola minuta vacchetta varzese. E non solo la forza lavoro era presente in stalla: mucche e vitelli garantivano latte, formaggio, burro e carne o qualche biglietto da mille così raro e indispensabile per un’esistenza dignitosa. Se un familiare non stava bene prima di richiedere il costoso intervento di un medico si provava di tutto, dalle preghiere alle esperienze degli anziani, dai rimedi naturali ai “segni” di personaggi in possesso di virtù particolari “i madgön” ; per contro se stava male un animale della stalla, veniva immediatamente chiamato il veterinario “siùr veterinàri”, per evitare qualsiasi rischio irrimediabile per gente che non aveva disponibilità ne poteva disporre di credito che, notoriamente, le banche concedono più volentieri ai ricchi che ai poveri: e la maggior parte di loro poveri erano davvero!. “Siùr dutùr” arrivava su un landò a due ruote ed un sedile molleggiatissimo, trainato da uno splendido sauro con la criniera scura e una corta copertina da poggiare sulle reni sudate, appena si fermava dopo una sgroppata. Scendeva e salutava cordialmente quei poveri cristi, combattuti tra la gioia di vederlo e la preoccupazione sia per la malattia dell’animale che per il futuro pagamento della prestazione del veterinario. Si avviava alla stalla mentre il contadino segnalava i sintomi dei disturbi accusati dall’animale e le donne avvicinavano all’entrata della stessa un piccolo lavabo mobile fornito di
un largo catino, di una brocca d’acqua oltre che di una candida salviettina prelevata per l’occasione dalla dote della signora. Se il veterinario si soffermava per breve tempo in stalla, questo era considerato un buon segnale, se poi concludeva la visita con un - per stavolta non mi devi niente - l’euforia cresceva e poteva concludersi con il regalo di un salame che il professionista accennava minimamente a rifiutare per poi accoglierlo come graditissimo dono. Quando invece la permanenza si protraeva oltre un certo tempo, pur non avendo ancora la diagnosi, la cura, ne tantomeno la fattura della prestazione, il vecchio contadino iniziava ad agitarsi, a preoccuparsi senza ben capire la portata degli accadimenti ma sapendo perfettamente che qualsiasi guaio sarebbe comunque stato drammatico per lui e per la sua famiglia, date la precaria situazione economica che normalmente li perseguitava. I buoi venivano acquistati in primavera, giovani manzi vogliosi e scapestrati, lavoravano duramente tutto l’anno, si calmavano e divenivano sempre più affidabili e tranquilli. Per almeno altri due anni non venivano sostituiti quindi, ultimata la semina in Ottobre, venivano messi all’ingresso per essere venduti ad un macellaio per le feste di Natale. La primavera successiva sarebbe ricominciato il ciclo che, i più previdenti o per meglio dire, i più benestanti, iniziavano affiancando per qualche mese, due giovani manzi ai buoi per averli pronti per l’inizio dei lavori, senza affrontare spese eccessive, l’anno seguente. La mucca era una scarna varzese, di poco latte ma mansueta, rustica e forte: qualcuno la aggiogava con un apposito piccolo basto e la sottoponeva a duri lavori di campagna. In ogni caso, oltre all’alimentazione del vitello, con il suo latte si confezionavano in quantità burro e formaggi. Il vitello a circa tre mesi veniva svezzato, castrato ed avviato al fieno per essere ceduto o “ cubià “, associato ad un altro della medesima età e razza, per ricavarne manzi da domare e quindi validi buoi. Nell’operazione sopra richiamata, oltre alle caratteristiche ricordate, si teneva conto del tipo di corna dei due vitelloni. Se le corna erano rivolte in avanti “bë bartôn” il manzo non poteva mai essere abbinato “cubià” ad un altro con le stesse caratteristiche perché entrambi sinistri sotto il giogo. A un bë bartôn bisognava abbinare sulla sua destra, un manzo con le corna rivolte regolarmente verso l’alto e non in avanti, solo in questo caso si sarebbe formato una copia che avrebbe reso nel modo ottimale; questa era la credenza a cui tutti si affidavano. In collina era molto rara la presenza nella stalla di cavalli, asini o muli; a volte c’era qualche pecora per la lana e qualche capra se bimbi piccoli avevano bisogno del latte che la loro mamma non aveva: il latte di ca-
C’ERA UNA VOLTA L’OLTREPò pra per caratteristiche principali, è il più simile a quello umano; giova ricordare che a quel tempo non esisteva il latte in polvere o i preparati farmaceutici succedanei del latte materno dei tempi moderni. Molto spesso la stalla si congiungeva alla casa padronale tramite un alto portico con soletta provvisoria realizzata con robuste travi, assi e balle di paglia. Soletta mobile perché nel periodo tra la mietitura e la trebbiatura, il portico serviva nella sua intierezza, senza impedimenti di sorta, per permettere l’ottimizzazione degli spazzi disponibili: riempito interamente di covoni a depositare per quaranta giorni in attesa della trebbiatura. A lato della stalla o sul retro della stessa, c’era la letamaia – la rudëra o ligamëra ad rùg – nei casi migliori realizzata in muratura oppure semplicemente in terra battuta con un leggero incavo per contenere la parte liquida del letame. Sempre del cortile stiamo parlando, il grande cortile della cascina che ancora non finisce di stupire. Ancora sono da ricordare ai margini estremi dello stesso, il pollaio con galline, un gallo, oche e anatre divise le una dalle altre ma nel medesimo complesso, una capace porcilaia o stazzo, stazione di sosta del fratello grasso che tanto avrebbe dato alla famiglia contadina con il suo sacrificio a Dicembre. Il gallo, vero padrone del cortile, percorreva a passi lenti i suoi territori, chiamava con un tipico chioccìo le sue galline quando trovava qualcosa di commestibile, difendeva le stesse da gatti, oche o tacchini molto più grandi di loro e ottenuta la quiete, si aggirava tronfio ed impettito percorrendo l’arem con passi lenti e cadenzati rotti dal leggero dondolio del crestato e bargigliato capo. Separato dal resto delle costruzioni, un capace forno per il pane e rari dolci, vanto ed immane fatica delle donne di casa. Almeno una volta la settimana “l’arsadùra” – la reggitrice le sorti della famiglia – , approntava la sera prima le fascine per accendere e scaldare il forno, spesso ginepri secchi e arbusti spinosi, e preparava la biga per il mattino dopo aggiungendo un po’ di farina al lievito madre conservato
NOVEMBRE 2020
dalla precedente panificazione in un piccolo contenitore di legno. Prima dell’alba le donne di casa dividendosi i compiti per accelerare le operazioni, iniziavano ognuna a realizzare in modo ottimale le attività che ripetute, diventavano abitudine anche se faticose: l’una accendeva il fuoco, l’altra iniziava l’impasto e l’ultima preparava l’asse e le tele per la copertura, la lievitazione e l’inforno definitivo. L’arsadùra controllava tutto, si occupava dei piccoli lavori d’esperienza che erano patrimonio dei suoi tanti anni, quali incidere la parte superiore dei miccòni con una lamettina e verificare la pulizia e la temperatura del forno: su un lungo palo venivano fissate le cime della pianta del granoturco “pnàs”, l’arsadùra intingeva l’utensile così ottenuto in un secchio d’acqua e puliva il pianale refrattario sporco di cenere. Il colore dei mattoni della volta del forno e lo sfregolio dell’acqua sulle pietre arroventate del piano d’appoggio, segnalava all’anziana donna la temperatura ottimale; in caso di temperatura non ottimale, occorreva altra legna. Riscaldato e pulito il forno, una robusta donna o un uomo, introducevano nella bocca dello stesso un’asse lunga e carica di micconi “i mìcc” e con un rapido gesto a ritrarre, depositava le micche sul refrattario arroventato; ripeteva due o tre volte l’operazione sino a che il forno fosse pieno di pane e speranze. Si chiudeva la bocca con l’apposito coperchio a lamierina e non si doveva aprire sino all’ordine della vecchia contadina. Solo chi ha assistito a queste operazioni, ricorda il profumo che usciva dal forno durante e a cottura ultimata, la fragranza del pane e il sordo rumore che si udiva nel trasferirlo bollente dalla pala alla cesta e infine il persistente profumo che veleggiava morbido nella stanza dove la grande cesta del pane veniva appesa. Anche dopo lustri entrando nella vecchia casa nella stanza del pane, risento quel profumino intrigante anche se ormai è solo parte dei miei ricordi e dell’incanto della giovinezza. Nel periodo della frutta, dopo aver sfornato il pane, si introducevano nel forno mele e pere per toglierle cotte e fragranti
dopo un’oretta “i ptôn”. Sotto il forno c’era un piccolo stazzo “stabië” usato per il primo soggiorno del maiale e, successivamente, per i polli o i tacchini nati in primavera. Per ultimo, leggermente distaccato e spesso all’ombra di una grande pianta, c’era il cessetto di casa – är cêso – , spesso l’unico, in qualche raro caso ne esisteva un altro a ridosso della letamaia. Era una semplicissima latrina, non collegata a nessuno scarico fisso, che veniva periodicamente pulita e sversata nella letamaia. Solo i benestanti disponevano di un cesso in muratura, la maggioranza usava un luogo appartato con una semplice intelaiatura rivestita di tela juta o dalle canne esauste del granoturco. Chi nulla aveva, e qualcuno c’era, si affidava a discreti cespugli di arbusti, vasti campi di granoturco o a boschetti provvidenziali e ben celati. Il cortile, il cortile dei miracoli non aveva ancora esaurito i suoi più disparati usi: ve n’era ancora uno lontano nel tempo e nei ricordi dei vecchi. Quando la trebbiatura o non esisteva o era limitata al frumento, si provvedeva a battere con le verghe fave, ceci, piselli, fagioli ed erba medica o a sgranare a mano o con semplici macchine a manovella il granoturco e quindi a far essiccare tutti questi prodotti prima di immagazzinarli ad evitare che l’umidità li deteriorasse. Si usava una parte del cortile opportunamente trattato “l’èra”. Il trattamento era una soletta alta sei o sette centimetri di sterco di bovino steso, livellato ed essiccato. Sino alla prime piogge, diveniva un morbidissimo ed elastico pianale che permetteva prima la battitura con le verghe, due paletti di misura leggermente diversa uniti da una listella di cuoio e roteati sopra la testa prima di abbattere il più lungo sui baccelli e, successivamente, la stesa dei vari prodotti per l’essicatura. Era una superficie, pulitissima ed ecologicamente sana perché biodegradabile. La battitura con le verghe non era il solo modo per estrarre dalle cariossidi o dai baccelli i pregiati semi di segale, ceci, fave e piselli; venivano usati anche gli animali che, camminando in cerchio “in sl’èra”,
23
“Arsadùra” e il pollaio spezzavano i contenitori facendo emergere i preziosi semi. Per piccole quantità non venivano disturbati gli animali e si ripiegava su donne e bambini. Questi ultimi si divertivano come matti a correre, cadere e rialzarsi sulle messi sottoposte alla tortura delle loro esibizioni autorizzate. Lateralmente “l’èra”, in autunno si ammucchiavano le pannocchie di granoturco ancora nel loro involucro protettivo esterno, trasportandole dai campi su grandi carri trainati da buoi, scaricandole alla rinfusa ed accatastandole in grandi cumuli piramidali; la sera stessa senza particolari formalità o inviti, i vicini si recavano nei pressi della grande catasta a scartocciare cioè a privare dell’involucro esterno le pannocchie “a däscärtusà”. Il grande numero dei partecipanti permetteva di ultimare tale operazione in poche ore e di provvedere poi a stendere prima le nude pannocchie e poi il seme sgranato, sulla grande era per l’essicatura. In tempi successivi il cortile fu spettatore delle varie fasi di lavorazione effettuata da macchine sempre più moderne e perfezionate abbandonando riti ed attrezzature, adottando sistemi di lavorazione diversi e molto più rapidi. Il cortile dei miracoli, per la Teresa dei Legnanesi, miracoli di sopravvivenza, di tribolazioni e “bulëta” – l’essere senza soldi - della classe operaia; bulëta per l’Oltrepò dei miei ricordi, miracoli di durissimo lavoro, povertà ma anche di buon armonia e di serenità.
BRONI
NOVEMBRE 2020
25
«Se questo impianto verrà approvato, e sicuramente sarà così, non ci resterà la speranza che la realizzazione avvenga a regola d’arte» Tiene banco a Broni il tema del nuovo biodigestore che dovrebbe sorgere ai confini con i Comuni di Stradella e di San Cipriano, in località Campo Viola. L’iter è in corso da diversi mesi e sembrava concluso, ma l’ultima Conferenza dei Servizi ha visto l’Arpa (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale) effettuare ulteriori richieste di chiarimento alla società proponente, “Ambiente e risorse SRL”. Un soggetto che è presente sul territorio dal 1999 e che fino a questo momento aveva concentrato il suo business sul trattamento di terreni di risulta da bonifiche ambientali. L’autorizzazione di questo biodigestore in ipotesi spetta alla Provincia di Pavia, che quindi sarà chiamata a pronunciarsi definitivamente in un futuro ormai prossimo. Ma c’è chi non si arrende alla realizzazione, ed in particolare a portare avanti una battaglia contro l’impianto è il gruppo consiliare “Broni in testa”, con la consigliera Giusy Vinzoni che ci ha rilasciato alcune dichiarazioni. Oltre 400 firme in pochi giorni. Come commenta questo dato? «Tenga presente che questa raccolta firme è stata organizzata in un momento nel quale bisogna fare i conti anche con il Covid. Un momento nel quale quindi non è stato possibile organizzare dei gazebo, perché si sarebbero potuti creare assembramenti. Di conseguenza, le cose sono state fatte in una maniera molto semplice: chiedendo la semplice firma, anche in assenza dei dati del documento d’identità. A livello legale forse non è una petizione realizzata nei modi dovuti, ne sono consapevole; del resto non potevo nemmeno pretendere che i negozianti, che mi hanno dato una mano a raccogliere le adesioni, tenessero lì le persone per la raccolta di tutti i dati. Non mi sembrava corretto. Ma con questa petizione vogliamo più che altro lanciare un segnale, e in questo direi che abbiamo raggiunto l’obiettivo: più di 400 adesioni in 20 giorni.» Si aspettava un tale coinvolgimento? «Assolutamente no. Anche perché, ed è il dato più grave che è emerso, nessuno era a conoscenza di questo progetto. Alcune persone hanno lasciato anche un messaggio sotto la firma. Chiedono: “Di che cosa si tratta? Non ne sappiamo niente”. Del resto noi consiglieri comunali siamo venuti a conoscenza della cosa guardando l’Albo Pretorio e trovando una Delibera di Giunta nella quale si accettava una compensazione (la manutenzione di piste ciclabili che a Broni nemmeno abbiamo!) in cambio della realizzazione di questo impianto. Tenga presente che noi a Broni abbiamo una Commissione Ambiente, della quale io faccio parte, che non è mai stata convocata su questo tema. Di biometano non se ne parla, zero. Nemmeno sui social del sindaco e del Comune.»
Giusy Vinzoni e Marco Paravella
Però da qualche settimana si è iniziato a parlarne, eccome. E avete lanciato una petizione. Qual è la vostra richiesta? «La richiesta che lanciamo con questa petizione è molto semplice: “No biometano a Broni”.» Fra gli aspetti controversi c’è la qualifica dell’intervento come “nuovo impianto” o come “ampliamento” di quello esistente dal 1999. Chi ha ragione? «È un nuovo impianto, lo ha confermato anche Walter Gaullio, che presiedeva l’ultima Conferenza dei Servizi; questo perché si tratta di produrre cose che adesso non venivano prodotte. Di conseguenza non si può definire “ampliamento” questa operazione. Detto banalmente: chi produce ciambelle non deve necessariamente produrre torte. In questo caso sta succedendo questo: l’azienda proponente, oltre ad avere negli anni chiesto una serie di modifiche (poi mai realizzate), adesso si lancia sul biometano; ma è totalmente un nuovo impianto. Per noi questo è sempre stato chiaro.» Lei ha partecipato alle ultime tre Conferenze dei Servizi… con quale spirito? «Come consiglieri comunali abbiamo partecipato come uditori; per avvalerci di questa possibilità è stato fondamentale il supporto di un’associazione (l’associazione “Iolanda Nanni”) che ci ha supportati in questo percorso. Peraltro, io faccio parte di una lista civica; ma deve essere chiaro che questa lotta non ha nessun tipo di connotazione politica. Non è fatta da destra contro sinistra, a favore di qualcuno o contro qualcun altro: è una lotta per l’ambiente, visto anche il passato che ha Broni in tema di amianto.» Lei tocca un argomento molto sentito nel Bronese. «È stata tentata anche la mossa, secondo me scorretta, di dire che noi confondiamo l’amianto con il biometano. Assolutamente no, sappiamo benissimo che amianto e biometano sono cose diversissime. Ma proprio perché abbiamo già dato, con l’amianto, ogni tema che riguarda l’ambiente diventa una questione di sicurezza e di rispetto per tutti noi che qui ci viviamo, ci lavoriamo.»
Durante l’ultima Conferenza dei Servizi il clima non è stato dei migliori… «Nell’ultima Conferenza dei Servizi c’è stato un clima abbastanza teso, forse perché sono emerse da parte di Arpa delle richieste che, secondo me, hanno preso spunto anche dalla nostra relazione, che avevamo consegnato. Perché sono emerse alcune problematiche che noi in effetti avevamo messo in evidenza. Dall’emissione in atmosfera della CO2, all’accumulo di rifiuti in alcune aree che si rinviene sulle planimetrie. La sensazione che ho avuto è che Arpa questa relazione l’abbia letta e capita. Poi secondo me la Provincia probabilmente darà la sua approvazione, anche perché qui non c’è stato un sindaco che si sia opposto fermamente. Il terreno per un impianto come questo è molto più fertile qui che in altri posti. Motivi per attaccarsi ce ne sarebbero stati. Oltre tutto, la ditta che propone l’impianto è inadempiente nei confronti del Comune: quando era stato approvato l’impianto originale nel 1999, si era impegnata a realizzare e cedere al Comune una strada, e non è mai stato fatto. Mi sarei aspettata da parte del Comune almeno un temporeggiamento. Un dire: iniziate a sistemare le cose che avete in sospeso, poi vedremo.» In questo ultimo periodo ha trovato qualche sponda da parte delle logistiche presenti in zona o da parte dei residenti? «Sono stata contattata da quasi tutti gli abitanti della zona, che già lamentavano problemi con l’attuale impianto. Dei quali onestamente non ero a conoscenza e ne ho preso atto. Odori, per esempio. Poi anche alcuni lavoratori delle logistiche ci hanno manifestato preoccupazione. Anche perché questi impianti hanno un alto rischio di esplosione, oltre alla probabile emissione di odori nell’aria. Ora: è evidente che se questo impianto verrà approvato – e sicuramente sarà così, dato che c’è l’ok anche dei vigili del fuoco in relazione ai rischi di cui sopra – non ci resterà la speranza che la realizzazione avvenga a regola d’arte. Se l’impianto è realizzato bene, non esplode. Se l’impianto è realizzato bene, non ci sono emissioni di odori. Purtroppo, però, la storia ci insegna che non sempre succede così.» Nei giorni scorsi il sindaco Riviezzi ha ricevuto una lettera di critiche ritenute offensive. Lei ne ha preso le distanze e anzi, il sindaco ha scritto su FB che lei si è premurata di avvisarlo che questa missiva era in circolazione. Nonostante politicamente vi divida tutto o quasi, pensa che in questo momento sia necessario abbassare i toni da parte di tutti? «Prima di tutto, c’è da uscire da questa situazione del Covid, rimboccandosi le maniche. Poi, per quanto riguarda queste questioni, bisogna anche essere onesti, non cavalcarle troppo.
«C’era già stata negli anni ‘90 una ditta addetta al biogas, poi chiusa anche perché gli odori, purtroppo, erano insopportabili» Se si mette un post su Facebook per commentare questa lettera, perché non pubblicarne anche il testo? Anche io ho ricevuto una copia di questa lettera. Posso dire che ci sono scritte delle cose che si possono condividere, altre che non si possono condividere. E ci sono delle proposte che magari sono anche irrealizzabili, se questo è già un programma elettorale. Il dato di fatto è che questa lettera è stata scritta da una persona che si è firmata, e quindi si è assunta la responsabilità delle cose che ha scritto. Bisogna essere chiari e onesti: se si ritiene di aver ricevuto delle offese, la cosa da fare è denunciare. Altrimenti si crea della confusione.» Interviene sul tema anche il sindaco di San Cipriano Po, Marco Paravella. Il sito del biodigestore si trova nei pressi del confine comunale e diversi residenti del paese sono preoccupati dalla situazione. Qual è la posizione della sua Amministrazione? «Noi non siamo convinti da questo intervento, anche perché ci sono una sessantina di persone che vivono intorno all’area. Restano diversi dubbi, relativamente a quelli che saranno gli scarti di lavorazione, e a dove verranno scaricate le acque reflue. Dubbi sui quali enti come Arpa dovranno dare delle risposte.» Lei è sindaco da anni; ha notizie del fatto che i residenti già con l’impianto attuale avessero problemi? «Sì. E fra le altre cose, c’era già stata negli anni ‘90 una ditta addetta al biogas, che era stata chiusa anche perché gli odori, purtroppo, erano insopportabili.» Avete partecipato ai vari ultimi passaggi dell’iter procedurale? «Abbiamo partecipato alle Conferenze dei Servizi, rappresentati dal dipendente comunale competente in materia, il nostro responsabile dell’Ufficio Tecnico. Al momento la pratica è stata rimandata e aspettiamo di vedere quali saranno le risposte ai rilievi sollevati dall’Arpa. Seguiremo attentamente tutti i prossimi passaggi.» di Pier Luigi Feltri
26
STRADELLA
NOVEMBRE 2020
«Numericamente non siamo ai livelli di marzo»
Fabio Bianco, presidente Croce Rossa - Comitato di Stradella
La Croce Rossa stradellina è da sempre un fiore all’occhiello della cittadina oltrepadana, con un bacino d’utenza che si aggira intorno ai 42.000 abitanti, distribuiti in 29 comuni collocati in un territorio diversificato, che va dalla pianura all’alta collina, oggi rappresenta la maggiore associazione di Volontariato operante sul territorio. Nata nel 1984 con 35 volontari, oggi, ne conta più di 220. Un altro dato estremamente positivo caratterizza il comitato di Stradella, la presenza di volontari giovani, come si legge sul sito “al fine 2017 il Comitato di Stradella dispone di n. 226 volontari attivi di cui n. 101 under 32 (Giovani)”: Dal febbraio scorso è stato eletto nuovo Presidente Fabio Bianco, che ha sostituito l’uscente Morini. La sua elezione è arrivata in un momento di particolare “sofferenza” del territorio a causa dell’emergenza sanitaria, «Sono stato eletto il 20 febbraio e subito dopo è cominciato il periodo covid. Posso dire che ho cominciato in salita…». Dichiara il presidente. Lei è nel mondo della Croce Rossa da tantissimi anni. Come ha vissuto questo periodo e come lo avete affrontato tutti insieme come Comitato? «Se parliamo del primo periodo del Covid, da fine febbraio a fine aprile, dico che è stato particolarmente difficile, una cosa nuova per tutti. Personalmente sono in CRI da 37 anni e non avevo mai visto niente di simile. Abbiamo dovuto affrontare una nuova tipologia di intervento e ci siamo dovuti confrontare con metodologie diverse, con dispositivi di protezione individuale nuovi. Noi siamo già abituati ad utilizzare i guanti sempre e, in passato, ci è capitato di dover usare la mascherina, ma questa è stata una situazione diversa. Tutte le chiamate che ci arrivavano che erano Covid conclamate o comunque legate a patologie che riconducevano a
questo virus ci hanno obbligato a mettere dispositivi come tute particolari, con determinate caratteristiche, calzari, mascherine, guanti doppi, occhiali, visiere. Tutto materiale monouso che va cambiato ogni qual volta si fa un intervento diverso: c’è anche un protocollo per la vestizione che va rispettato e il materiale una volta tolto va messo in sacchi, che poi vanno smaltiti da società che si occupano di rifiuti particolari. E non dimentichiamo la sanificazione dei mezzi: anche per questo c’è un protocollo sia di sanificazione manuale, utilizzando prodotti che vengono indicati da precise circolari di Asst e Areu, sia attraverso apparecchiature dedicate, come gli ionizzatori, cioè sostanze che sterilizzano mediante la produzione di ozono». La prima difficoltà dunque è stata quella di abituarsi al nuovo approccio negli interventi. Quale altra difficoltà ha caratterizzato il primo periodo dell’emergenza sanitaria, quando si sapeva ancora poco o nulla? «Tolta la prima grossa difficoltà riscontrata di doversi approcciare a una metodica e a materiali particolari che nella quotidianità di prima non si utilizzavano, il periodo di marzo e aprile soprattutto ha visto un numero di interventi mediamente elevato. Noi in provincia di Pavia non abbiamo avuto i “numeri” di Bergamo o di Cremona, ma abbiamo avuto comunque un gran da fare… era anche laborioso trovare gli ospedali dove scaricare i pazienti, quindi non era detto che potevamo utilizzare gli ospedali della nostra zona, ma si andava spesso fuori provincia, con, a volte, tempi di attesa notevoli fuori dai pronto soccorso». Dal punto di vista di approvvigionamento del materiale avete avuto difficoltà? «Sì. Ci siamo ritrovati tutti a fare riferimento ai canali istituzionali, ovvero alla nostra centrale operativa regionale di Croce Rossa, alla centrale del 118 e altro, ma anche loro nella prima parte dell’emergenza ne erano sprovvisti. Ogni presidente, nell’ambito del suo territorio, si è dovuto dare da fare per contattare direttamente le ditte e cercarne di nuove: dopo un primo periodo non facile, però, ci è stata data una grande mano anche dai privati e da associazioni che acquistavano, attraverso i loro canali, i dispositivi di protezione che noi indicavamo essere quelli necessari in un determinato periodo, come guanti, mascherine, tute. La tranquillità abbiamo iniziato a vederla intorno a metà/fine aprile. Poi abbiamo riposto un po’ di materiale perché i casi Covid sono diminuiti nei mesi successivi, da maggio ad agosto.
Alcuni volontari della CRI stradellina
«Sono in CRI da 37 anni e non avevo mai visto niente di simile» Adesso però ci ritroviamo ad affrontare la seconda ondata, purtroppo…». Siete tornati operativi come nella prima ondata? «Numericamente devo dire non siamo ai livelli di marzo. Siamo ancora lontani dal numero di interventi che facevamo nei mesi scorsi. Ne stiamo facendo diversi, ma non come prima. Anche perché questa seconda ondata si sta manifestando con caratteristiche diverse». Cioè? «Adesso si fanno più tamponi e si vanno ad identificare i portatori sani, ossia gli asintomatici, che noi non vediamo perché non siamo noi a trasportarli nelle strutture, e magari restano nelle proprie abitazioni a fare la quarantena». Oltre al dover affrontare l’emergenza vi occupate anche del “dopo”. In che modo? «è un aspetto che non sempre viene pre-
so in considerazione, ma la parte socioassistenziale è molto importante. Noi abbiamo dato continuità, anche nei mesi estivi, al fatto di portare pacchi con generi alimentari alle persone in difficoltà e abbiamo sempre dato un aiuto concreto ai bisognosi. Abbiamo dato spesso anche un soccorso di tipo psicologico, soprattutto per le persone anziane. è un lato del nostro lavoro che forse rimane più sommerso e non viene considerato, ma è molto importante. A volte ci piacerebbe che quello che facciamo venisse riconosciuto un pochino di più: chi ha scelto, come me, di occuparsi di questa associazione da così tanti anni, lo fa senza cercare secondi fini o ringraziamenti da qualcuno. Di solito le soddisfazioni ce le portiamo a casa direttamente dagli utenti». di Elisa Ajelli
STRADELLA
NOVEMBRE 2020
27
Contributi a fondo perduto, «Per l’Amministrazione, non aiuterebbero a dare respiro ai commercianti nel lungo periodo» I commercianti di Stradella e l’amministrazione comunale sembrano proprio non trovare un punto d’intesa, c’è chi lo grida a gran voce mettendoci la faccia e c’è chi più timidamente storce il naso, ma sta di fatto che il malcontento c’è. Periodo duro per i commercianti stradellini e non: il lockdown di primavera, nuove regole e spese per riaprire in sicurezza, i controlli che in alcuni casi li hanno visti da commercianti a dover essere loro malgrado sceriffi, le multe, e infine l’ultimo lockdown. Un continuo reinventarsi per non chiudere. Nascono così con spirito collaborativo e di squadra diverse proposte che, i commercianti di Stradella hanno messo in campo per incentivare il commercio in città, dall’iniziativa nata con lo slogan “Shopping in centro” a “Spendiamo a Stradella”, ma non basta, l’aiuto i commercianti lo chiedono anche alle istituzioni. Al centro delle loro richieste rivolte all’amministrazione comunale la sospensione o la riduzione della Tari, la tariffa per lo smaltimento rifiuti, che per alcune attività incide parecchio, soprattutto se l’attività è chiusa. Parliamo di questo e non solo, con Mattia Grossi consigliere di minoranza del gruppo La Strada Nuova, che dalla sua ha il fatto di essere un commerciante e che insieme all’ex sindaco Maggi ha chiesto la convocazione della Commissione Consigliare Commercio presentando proposte condivise, tra cui appunto la sospensione della Tari e contributi a fondo perduto - una tantum - per i commercianti. L’esito della Commissione però non ha dato i risultati sperati e i punti all’ordine del giorno sono stati accolti solo in minimo numero, suscitando le perplessità dei commercianti. Commercianti stradellini sul piede di guerra. Cosa sta succedendo? «Il DPCM del 3 novembre ha imposto restrizioni a molte attività che non si sono ancora totalmente riprese dal lockdown primaverile. I commercianti hanno iniziato a chiedere sin da subito al Comune di mettere in atto misure volte a sostenerli ma ad oggi non è ancora pervenuta alcuna risposta; da qui il diffuso malcontento. Io ritengo che oggi come non mai sia fondamentale che il Comune metta in campo celermente risorse e proponga iniziative per contrastare le gravi conseguenze economiche dovute all’emergenza Covid-19». Questo all’indomani della riunione della Commissione Consigliare Commercio del Comune. Cosa si è deciso in concreto per i commercianti? «La Commissione Comunale Commercio è stata convocata su richiesta del mio gruppo “La Strada Nuova” unitamente a
«La mia idea è quella di fare un cortometraggio con tutti i commercianti che promuovono la loro attività e che dovrà essere sponsorizzato su tutti i canali social del Comune e di Stradella»
Mattia Grossi, consigliere di minoranza
“Unione civica la Torre” per dare risposte immediate ai commercianti. Infatti il mio gruppo ha elaborato delle proposte per sostenere il commercio che sono state presentate insieme a quelle di “Unione civica la Torre” e dell’Ascom. Di tutte le iniziative proposte le uniche che sono state approvate sono: il pagamento delle luminarie da parte del Comune e la promozione di un portale internet, in collaborazione con Ascom, che fungerà da vetrina virtuale per le attività commerciali. Ma è necessario fare di più, vedremo se nei prossimi giorni l’amministrazione concretizzerà qualche altra nostra proposta». Chi fa parte della Commissione? «Fanno parte della Commissione Commercio: il sindaco, l’assessore al Commercio, il presidente di Commissione e tre rappresentati del consiglio, uno per ogni gruppo consiliare. L’ultima Commissione è stata aperta su nostra richiesta anche al presidente Ascom e ai rappresentanti delle varie attività commerciali in modo tale da avere un riscontro immediato sulle nostre proposte». Le proposte che avete fatto voi come minoranza sono state accolte o tutte respinte e nello specifico quali? «Le nostre proposte sono state: contributi a fondo perduto per le attività maggiormente colpite dall’ultimo DPCM, diminuzione della Tari almeno per il periodo relativo all’ultimo trimestre, parcheggi gratuiti, campagna di sensibilizzazione a sostegno del commercio, un portale online che funga da vetrina per i commercianti, il pagamento delle luminarie natalizie da parte del Comune. Di queste sei richieste solamente due sono state accolte, le luminarie e il portale online di Ascom. È necessario però che venga accolta almeno anche la proposta sulla diminuzio-
ne della Tari, cosi come chiesto anche da tutti i commercianti. Sarebbe un grandissimo aiuto per le attività». Ha suscitato indignazione da parte di alcuni commercianti la decisione di non creare un fondo piuttosto che concedere contributi a fondo perduto alle attività chiuse totalmente o parzialmente, soprattutto perché nella vicina Broni l’amministrazione comunale sta proseguendo proprio la strada opposta. Come è stata motivata dalla Commissione questa scelta? «La scelta è stata motivata dal fatto che Broni ha una realtà commerciale diversa da Stradella costituita da un numero inferiore di attività e da ciò consegue che la Città di Broni può stanziare fondi più cospicui per singolo commerciante mentre Stradella, se dovesse dare aiuti economici a fondo perduto, potrebbe destinare solo cifre irrisorie. Un’altra motivazione è stata quella che, secondo l’Amministrazione, dare una tantum di misera entità non aiuterebbe a dare respiro ai commercianti nel lungo periodo. Contrariamente a loro, io reputo che in questo periodo anche un piccolo aiuto possa fare molto. In condizioni normali anche io, come proposto da loro, investirei su progetti che vadano ad incidere sullo sviluppo del commercio nel mediolungo periodo e non su contributi a fondo perduto, ma ora ci troviamo in una situazione che è tutt’altro che normale perciò servono investimenti che vadano ad incidere sul brevissimo periodo, come i contributi a fondo perduto che potrebbero, ad esempio, essere utili ai negozianti per pagare gli affitti che in questa situazione di emergenza possono rappresentare un costo insostenibile e potrebbero essere causa di chiusura definitiva». Tutte le iniziative prese dall’amministrazione in favore del commercio, sono state per la maggior parte criticate e anche con un pizzico di ironia ad esempio dehors gratuiti sino al 31 dicembre. Lei che idea si è fatto? «Probabilmente è stata fatta dell’ironia perchè la gratuità della Tosap, tassa occu-
pazione suolo pubblico, non è un’iniziativa comunale ma del Governo, che tramite il decreto rilancio ne ha previsto la gratuità fino al 31 dicembre». Diversi commercianti non hanno preso bene neppure l’iniziativa da parte del Comune di provvedere alle luminarie natalizie e alla filodiffusione, iniziativa tra l’altro che diverse amministrazioni oltrepadane hanno preso. Secondo lei i commercianti stradellini si sentono abbandonati? «Ben vengano le luminarie natalizie, ma allo stesso tempo devono essere intraprese altre iniziative molto più incisive a sostegno del Commercio. Le luminarie assolutamente non bastano». Ma i commercianti stradellini sono “tosti” e si sono mossi da soli per fare rete. Diverse iniziative hanno preso forma per incentivare il commercio in città. In che modo lei intende sostenere i commercianti in questa loro voglia di fare? «è vero che i commercianti Stradellini hanno saputo fare rete e durante quest’anno non solo non si sono lasciati scoraggiare ma hanno saputo reinventarsi. Sono molto più attivi sui social sia sulle loro pagine sia in gruppi che hanno creato insieme ad hoc proprio come “spendiamo a Stradella”. Hanno inoltre aumentato i servizi offerti come, ad esempio, la spesa a domicilio. Per sostenere la loro proattività ho portato in commissione la proposta di una campagna di sensibilizzazione al commercio della nostra Città. La mia idea è quella di fare un cortometraggio con tutti i commercianti di Stradella che promuovono la loro attività e che dovrà essere sponsorizzato su tutti i canali social del Comune e di Stradella in modo da raggiungere il maggior numero di persone possibile. Un’idea semplice, veloce e poco dispendiosa ma che a mio parere può far ottenere molti risultati. Oltre a questo ovviamente mi rendo sempre disponibile per ascoltare tutte le loro esigenze e portarle nelle opportune sedi comunali». di Silvia Colombini
STRADELLA
NOVEMBRE 2020
29
Progetto “Ipazia”: storie di donne che fanno impresa, la sua ideatrice è la stradellina Michela Lodigiani Grinta, determinazione, voglia di fare, grande ambizione. Tutto questo è Michela Lodigiani, stradellina di origine ma residente a Montù Beccaria, consulente finanziario e ideatrice di un importante progetto dedicato alle donne. La carriera lavorativa di Michela inizia nel 2000, nel mezzo della bolla tecnologica, quando comincia a lavorare come dipendente in una prestigiosa banca di Milano. Dopo qualche anno ha avuto la possibilità di fare un salto di qualità passando al private banking, come gestore privato. Michela, ci racconta cosa è successo dopo? «Nel 2015 sono stata contattata da una primaria banca di consulenza finanziaria e, nonostante avessi una bambina di soli due anni, ho preso il coraggio a due mani e mi sono rimessa in discussione. Ho studiato tanto per poi dare l’esame di stato e potermi iscrivere all’albo dei consulenti finanziari. Mi sono poi ritrovata a dire “l’avessi fatto prima!”». Come mai? «Ho trovato un mondo nuovo, più adatto a me e al mio spirito imprenditoriale. Anche nel campo della consulenza, mi sono resa conto di non essere una versione tradizionale del consulente: da subito ho avuto la voglia di emergere e di farmi notare, di differenziarmi dagli altri. Così mi sono iscritta ad una Accademy, un corso privato per consulenti finanziari, che mi ha dato un sacco di spunti. Ho appreso nozioni di marketing, di personal branding, di come costruirsi un sito, di comunicazione…». Le si è aperto, quindi, un altro mondo… «Esattamente. Lì, poi, ho conosciuto il Ceo dell’Accademy, Enrico, che è stato il mio mentore. Grazie al corso e al mio insegnante ho veramente capito dove volevo arrivare. Da lì ho deciso di occuparmi di una nicchia, ovvero le donne imprenditrici e manager, e quindi come strutturare il mio personal branding sviluppato su questo progetto. Da lì è nato un ulteriore progetto, Ipazia, un podcast dedicato alle donne che fanno impresa». Ha iniziato questo progetto da sola o con l’aiuto di qualcuno? «Ho avuto sempre a fianco il mio mentore Enrico, che mi ha aiutato con il podcast e tutta la parte tecnica della creazione. Ho capito in quel momento che ormai non si può parlare indistintamente a chiunque, ma bisogna specializzarsi. Proprio per capire meglio i problemi che una persona può avere e trovare una soluzione». Podcast. Ci spiega esattamente cosa si intende con questo termine? «Il podcast è praticamente una chiacchierata con un’imprenditrice ogni volta diversa, della durata di mezz’ora, nella quale si parla di come ha raggiunto una certa posizione, delle proprie caratteristiche e valori.
Michela Lodigiani In queste donne sono fortissime la resilienza, il coraggio, la determinazione: le persone che intervisto hanno queste doti, ce l’hanno fatta ad emergere e vogliono essere un modello per le nuove generazioni. Mi diverto sempre a dire che queste donne imprenditrici sono donne normali che hanno raggiunto il proprio obbiettivo. Se ci sono riuscite, vuol dire che si può fare impresa al femminile! Nelle varie interviste, poi, si trattano anche altri argomenti a me molto cari, come l’indipendenza economica, soprattutto per una donna: mi rendo sempre più conto che, anche se sono arrivate a certe posizioni, non sempre le donne hanno in mano la piena gestione del loro denaro. Sicuramente hanno ottimi redditi, ma spesso delegano ad altri. Probabilmente ci si fa spaventare dai paroloni a cui la finanza ci ha abituati, ma banalmente non ci si accorge di quanto proprio la finanza sia già in casa nostra. Quando si parla in famiglia, per esempio, degli studi universitari dei figli o dell’acquisto di una casa al mare o di un progetto pensionistico si sta già parlando di finanza, perché si sta pianificando un obbiettivo nel tempo. Purtroppo, ribadisco, si è spaventati dalla non conoscenza, da troppe parole e da brutte vicende successe in passato: ci sono risparmiatori che hanno perso tanti soldi e proprio per questo io mi batto per far sì che i miei clienti siano consapevoli delle proprie scelte, per evitare errori del passato. Io sono alla ricerca della fiducia del mio cliente, ma non nel senso di ‘fai quello che vuoi’, bensì nel capire insieme cosa fare e procedere nel percorso insieme, consapevolmente». Torniamo al progetto per le donne im-
prenditrici. Perché ha scelto il nome Ipazia? «Perché è stata una grande donna della storia greca, una filosofa, matematica e astronoma e ancora oggi è un grande simbolo di perseveranza e determinazione. Mi sembrava calzante con il mio progetto». Come si è sviluppato il progetto, dopo che ne ha parlato con il suo mentore? «Ho cercato di capire come andare ad individuare le persone da intervistare e ho trovato in Linkedin una piattaforma eccezionale, che dà un sacco di opportunità. Lì ho trovato tutti i profili: non conoscevo nessuna delle persone… ho individuato i profili che più mi sembravano giusti per il progetto e ho cercato di studiarli. Può sembrare strano, ma già da lì è scattata una sorta di empatia, pur non conoscendoci… o meglio, magari capisci i loro valori e ti rivedi in quelli e allora li contatti». Come è stata l’adesione? «Ottima! Mi ricordo ancora che avevo inviato, la prima volta, una trentina di messaggi e avevo avuto un feedback decisamente positivo. Ora mi capita di essere a mia volta contattata da imprenditrici che mi chiedono di essere intervistate». A distanza di un anno dalla partenza di Ipazia, che bilancio può tracciare? «Posso dire che c’è una grandissima soddisfazione. Ipazia, oggi, è sì un racconto di grandi storie, di imprenditoria di grande valore, ma anche un network bellissimo di donne con competenze molto diverse tra loro e background differenti, che però hanno voglia di fare rete e di confrontarsi con le altre alla pari. Sta diventando, inoltre, un modo per scambiarsi belle energie: i relati-
Chi è Michela Lodigiani? «Sono la persona che si prenderà cura di te» vi business, conoscendosi, possono infatti trovare sinergie e creare nuove interazioni tra di loro. In questo momento ancora di più, poter sviluppare business tra donne di questo genere è per me una soddisfazione impagabile. A settembre siamo riuscite a incontrarci, poi, in presenza». Dove vi siete trovate? «In un ristorante immerso nelle colline dell’Oltrepò. Eravamo una decina ed è stato bellissimo. Finalmente siamo riuscite a conoscerci dal vivo, compatibilmente con le misure anticovid… prima ci eravamo “conosciute” solo attraverso uno schermo! Ho avuto così l’occasione anche di far conoscere il mio territorio a queste donne che arrivano da zone diverse. Hanno tutte apprezzato l’Oltrepò, il buon cibo e l’ottimo vino. Si è anche parlato di come questo territorio sia meno conosciuto rispetto ad altre zone e che si debba sviluppare». di Elisa Ajelli
30
SANTA MARIA DELLA VERSA
NOVEMBRE 2020
«L’Oltrepò Pavese è un territorio favorevole per sviluppare un programma di lezioni all’aperto» è salita alla ribalta la notizia relativa all’innovativo progetto avviato dall’Istituto Comprensivo di Santa Maria della Versa, denominato “Scuola senza muri”. Un progetto che vede coinvolti ben 18 plessi scolastici distribuiti sui Comuni di Santa Maria della Versa, Canneto Pavese, Montù Beccaria, Colli Verdi, San Damiano al Colle, Castana, Pietra de Giorgi, Rovescala e Cigognola. Per quanto concerne gli istituti di Santa Maria della Versa, l’iniziativa è stata supportata dagli autieri della Sezione ANAI Oltrepò Pavese “Serg. Magg. Tiziano Pinardi”, i quali hanno collaborato mettendo a disposizione le loro strutture. Per avere maggiori dettagli riguardanti il progetto abbiamo intervistato la dirigente dell’Istituto Comprensivo di Santa Maria della Versa, Patrizia Smacchia, e Dante Crosignani, che ricopre la carica di vicepresidente della sezione ANAI Oltrepò Pavese e referente con le istituzioni. Preside, come è nato questo progetto “Scuola senza muri”? «L’idea è partita dall’urgenza della situazione che stiamo vivendo anche se già dall’anno scorso, appena arrivata in questo istituto ho incalzato sulla necessità di continuare ad innovare la metodologia e la didattica: una priorità che vede coinvolta tutta la scuola italiana, indipendentemente dall’epidemia. Il Covid-19 è stato un ”enzima catalizzatore”, che ha velocizzato un processo di ricerca di soluzioni innovative e metodologie didattiche moderne. La volontà di istituire lezioni all’aperto è emersa da una docente della scuola primaria che ha sollevato giustamente la problematica di come accogliere gli studenti a scuola dopo mesi di lockdown. Bisognava coniugare il rientro in sicurezza con la tutela del loro benessere psicologico e per questo motivo abbiamo iniziato a pensare a varie soluzioni possibili. Non è stato difficile intuire che l’Oltrepò Pavese è un territorio assolutamente favorevole per sviluppare un programma di lezioni all’aperto. Il progetto si chiama “Scuola senza muri” invece che “scuola all’aperto” per sottolineare l’importanza di considerare ogni spazio come luogo di apprendimento, non esiste un unico luogo privilegiato. Sentendo inoltre gli esperti che ci spiegano che la carica virologica del Covid-19 è chiaramente superiore negli spazi chiusi, è ovvio che è diventato di primaria importanza utilizzare gli spazi aperti, nei limiti delle possibilità climatiche, senza demonizzare ciò che è sempre stato fatto: l’aula tradizionale resta indispensabile per tanti momenti dell’apprendere, dalla rielaborazione delle esperienze alla realizzazione di prodotti».
“A scuola senza muri”, il progetto dell’Istituto Comprensivo di Santa Maria delle Versa
Scuola e Autieri «Abbiamo immediatamente visto nelle loro strutture un “naturale prolungamento” delle nostre aule» Quindi possiamo dire che il Covid-19 ha solamente anticipato una rivoluzione che aveva già in programma… «Una nostra insegnate aveva già provato a introdurre il discorso di “scuola diffusa sul territorio”, un concetto molto bello in cui si valorizza tutto il territorio come luogo di apprendimento per tutti i bambini: la comunità che torna ad essere educante. Questo è il contesto da cui è maturato tutto il progetto, il Covid-19 è stato solo il fattore che ne ha velocizzato l’applicazione». I bambini come hanno appreso questa emergenza sanitaria? Sono stati collaborativi da subito? «Sono stati bravissimi e molto collaborativi, capendo da subito la gravità del problema. L’imperativo categorico che ci siamo dati è stato quello di dare ai bambini e ragazzi un ambiente sereno in cui affrontare con razionalità un problema: per questo posso affermare che nelle aule si respira una certa serenità, non c’è mai stato panico. Questo anche grazie alle fa-
miglie, che hanno dato il giusto messaggio ai loro figli». Come mai avete deciso di proporre questa collaborazione con la sezione ANAI Oltrepò Pavese? «Da subito abbiamo avuto una grande disponibilità e collaborazione da parte delle amministrazioni e associazioni locali e, in particolar modo a Santa Maria della Versa dalla Sezione ANAI Oltrepò Pavese. Favorevole la vicinanza logistica, abbiamo immediatamente visto nelle loro strutture un “naturale prolungamento” delle nostre aule». Come si svolgono le lezioni all’aperto? Vengono coinvolte contemporaneamente tutte le classi oppure vi è una calendarizzazione? «L’Istituto Comprensivo di Santa Maria della Versa comprende 18 plessi dei tre ordini di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, distribuiti su 9 Comuni, per una popolazione scolastica di quasi mille alunni. Su alcuni giornali è passato un messaggio
che poteva essere frainteso: “Mille studenti, tutti all’aperto…”. È ovvio che con un programma strutturato e con la giusta calendarizzazione, tutti hanno la possibilità di integrare la didattica tradizionale con quella all’aperto, ma non significa che tutte le classi stanno fuori contemporaneamente per tutto l’arco delle lezioni. Ad oggi non sarebbe assolutamente possibile. C’è un calendario dell’utilizzo dello spazio esterno individuato per la didattica all’aperto. Per esempio, a Canneto, gli alunni utilizzano un bellissimo parco ma non vi è come a Santa Maria della Versa una tensostruttura che permette di uscire dall’aula anche in caso di pioggia». Le amministrazioni comunali come hanno appreso questa nuova metodologia? «Tutte le amministrazioni hanno collaborato attivamente per rendere il ritorno alle lezioni nel modo più sicuro possibile: tutte le famiglie possono stare tranquille perché hanno degli amministratori che amano la scuola e la sostengono con tutte le risorse a loro disposizione». Finita l’emergenza, come pensa che si svilupperà ulteriormente questo progetto? «Abbiamo aderito alla “Scuole all’aperto”, una rete nazionale che consta di circa quaranta istituti comprensivi, nella quale avremo un sostegno per i docenti che vorranno specializzarsi in questo tipo di esperienza di insegnamento. Fare rete è indispensabile per condividere esperienze e buone prassi». Parliamo di regole: quali sono quelle che gli alunni devono rispettare all’aperto? E in classe?
SANTA MARIA DELLA VERSA
NOVEMBRE 2020
«Copertura della rete internet insufficiente, alcuni ragazzi devono farsi spostare in macchina dai genitori per trovare un punto favorevole dove potersi collegare alle lezioni online» «All’aperto, nel momento in cui si riesce a garantire un distanziamento idoneo, la mascherina può essere abbassata, ma nel momento in cui bisogna fare attività in cui non è possibile il rispetto del distanziamento e si parla o discute è necessario indossarla. In classe devono sempre indossare la mascherina, se non quando sono seduti e non parlano, perché diventerebbe per loro troppo pesante». Anche la mensa ha subito dei cambiamenti? «La mensa viene fatta nelle aule, perché in sala mensa non ci sarebbero stati tutti gli studenti. Ad ognuno viene servito un “lunch box”, ovvero cibo in monoporzioni». Questo ritorno all’apice della curva dei contagi ha rallentato o ha creato difficoltà al vostro progetto? «Il ritorno del contagio ci ha di nuovo catapultati nella preoccupazione ma dal punto di vista delle attività didattiche abbiamo dei protocolli che già prevedevano un eventuale ritorno in didattica a distanza. Dal primo di settembre avevamo già approvato un piano di didattica digitale integrata, in modo da trovarci pronti ad una seconda chiusura e garantire la continuità educativa». Tra l’anno scolastico scorso, chiuso nel totale caos e con parecchi interrogativi, e quello appena iniziato molti problemi sono quindi stati risolti? «Lo scorso anno scolastico la scuola italiana è stata presa totalmente impreparata, nessuno poteva immaginarsi un’emergenza tale e non si era pronti ad impiantare immediatamente un tipo di scuola a distanza. Abbiamo avuto a disposizione mesi di cui abbiamo fatto tesoro, in cui docenti e famiglie hanno avuto il tempo e la possibilità di formarsi per l’utilizzo
degli strumenti utili per questa “nuova” didattica. È stato l’anno zero della scuola, non si tornerà più indietro. Riuscire ad aprire in sicurezza è stata una bella sfida che siamo riusciti a vincere: ora la nuova sfida è quella di non chiudere. Un problema collaterale resta quello dei trasporti, ma andava affrontato molto prima e non dipende direttamente dalle scuole». La didattica a distanza, invece, può avere un futuro? «Sicuramente è una risorsa utile in particolari condizioni come questa che stiamo vivendo. Tuttavia, ritengo che per i ragazzi la didattica a distanza sia deleteria. Soprattutto nella nostra zona, dove la copertura della rete internet è insufficiente. Lo scorso anno scolastico mi sono mossa da subito per avere la possibilità di incrementare i dispositivi a nostra disposizione, purtroppo però alcuni ragazzi dovevano farsi spostare in macchina dai genitori per trovare un punto favorevole dove potersi collegare alle lezioni online». Gli alunni hanno saputo adattarsi velocemente a questa nuova scuola? «Loro si trovano un po’ nelle condizioni in cui si sono sempre trovati. La scuola purtroppo rappresenta lo specchio della società: chi ha una famiglia strutturata e collaborativa, che riesce a garantire un certo supporto, riesce a mantenere un legame educativo con la scuola e con compagni; invece quelli che avevano difficoltà già in precedenza subiscono ancora di più questo allontanamento. La didattica a distanza è molto discriminatoria e mette ancora più in risalto i divari sociali e culturali». Nei mesi invernali come si svolgeranno le lezioni? «Se il clima sarà altamente impattante ovviamente si rimarrà in aula, ma se ci
saranno giornate miti sarà possibile proseguire con le lezioni all’aperto». Invece per quanto riguarda i banchi con le ruote, cosa ne pensa? «Diciamo che non ho avuto tempo per pensarci e non è stata la priorità. Già da prima dell’emergenza sanitaria avevo ordinato dei banchi con le rotelle modulabili in isole. Io penso che il discorso dei banchi sia stato strumentalizzato in maniera impropria, perché in classi colpite da problemi di sovraffollamento questi banchi permettono di recuperare un po’ di spazio». Vi impegnate molto, con idee innovative, per garantire la distanza e per tutelare la salute degli alunni e del personale docente (e non), ma nel ritorno a casa, attraverso il pulmino o altri mezzi, gli spazi si riducono… «La capienza dei pulmini è stata ridotta, e indossando la mascherina si cerca comunque di evitare il contagio. Il problema più grande è nella scuola dell’infanzia, dove si fatica a mantenere il distanziamento e la mascherina non è prevista. Nella scuola primaria e secondaria di primo grado, con i dispositivi di protezione e il rispetto delle regole base, si riesce ad evitare il contagio». Concludendo, come preside c’è qualcosa che vorrebbe dire al Ministro Azzolina? «Da dirigente ho apprezzato lo sforzo del Ministro, che si è trovata ad affrontare una situazione che come tutti noi, mai avrebbe immaginato. Ho apprezzato la sua volontà ferrea di riaprire: senza una scuola ne risente tutta la comunità, in primis i nostri ragazzi e poi le famiglie che si ritrovano in enorme difficoltà. Il Ministro ha sottolineato l’importanza della scuola per i ragazzi e per questo la ringrazio. Cosa potrei chiederle di più? Sicuramente di continuare a ribadire in tutti i luoghi che bisogna trovare soluzioni per consentire alla scuola di restare aperta». Anche il vicepresidente della sezione ANAI Oltrepò Pavese, Dante Crosignani, ha manifestato la sua soddisfazione per la buona riuscita del progetto “Scuole senza muri”. Crosignani, questa non è la prima volta che la vostra sezione si occupa di attivi-
31
tà ludiche e di insegnamento… «In agosto siamo stati contattati dalla vicepreside Elena Lanati, che ci ha illustrato il progetto che la scuola era intenzionata a portare avanti a partire dal mese di settembre, chiedendo di poter utilizzare il “Parco Autieri” e tensostruttura adiacente alla nostra sede. Stare vicino ai bambini è sempre stata una delle nostre priorità, cercando di farli divertire e coinvolgerli in iniziative educative. Tale struttura era già funzionante, in quanto lo sorso maggio avevamo in programma di ospitare la nuova edizione dell’ “Autieri Camp”, un evento di due giorni istituito per avvicinare i ragazzi al mondo della protezione civile e del volontariato civico, e di responsabilizzarli verso l’ambiente circostante. Purtroppo, a causa degli eventi ben noti, l’edizione 2020 non si è tenuta e per questo la struttura è rimasta inutilizzata». Qual è il vostro impegno in questo progetto? «Oltre ad aver dato la disponibilità delle nostre strutture, ci occupiamo della manutenzione del parco, come già facevamo, facendo inoltre la pulizia della tenda, della sede e dei tavoli utilizzati dagli alunni». Finita questa emergenza, la vostra sezione verrà coinvolta in altre attività didattiche? «La nostra volontà è quella di portare avanti un progetto in aula svolgendo attività di educazione civica e spiegando ai giovani chi sono gli autieri e quale ruolo hanno in campo militare e civile, sia in tempo di guerre che in tempo di pace. Gli autieri in questo periodo sono stati parecchio coinvolti nella gestione dell’emergenza sanitaria. Purtroppo, come Servizio Automobilistico dell’Esercito, li abbiamo visti impegnati nel trasporto delle salme dei deceduti per Covid-19: rimarranno per sempre impresse nella mente le immagini della colonna di mezzi militari partita da Bergamo per trasportare le bare nei paesi vicini. L’Associazione Nazionale Autieri d’Italia, invece, ha contribuito con tutte le protezioni civili a fronteggiare l’emergenza, dando la disponibilità dei volontari sia negli ospedali da campo militari, sia nei presidi medici costituiti davanti agli ospedali». di Manuele Riccardi
CANNETO PAVESE
NOVEMBRE 2020
33
«Se lasciamo perdere i piccoli attriti, riusciremo, tutti uniti, a venire fuori da una situazione difficile per il nostro territorio» Fabiano Giorgi, titolare dell’azienda omonima e presidente del Distretto del vino di qualità dell’Oltrepò Pavese, è stato investito di un importante ruolo all’interno di Assolombarda, l’associazione delle imprese che operano nelle province di Milano, Lodi, Monza e Brianza, Pavia. Giorgi svolgerà i compiti del Coordinatore della Filiera Agroalimentare, trovandosi in questo modo a rappresentare dei veri e propri colossi dell’economia nazionale. Per dimensioni e rappresentatività, Assolombarda è l’associazione più importante di tutto il sistema Confindustria. Al suo interno era confluita, solo pochi mesi fa, la Confindustria pavese: la nomina di Giorgi, dunque, rientra in un disegno di ampio respiro che mira a dare più rappresentatività al territorio pavese nell’ambito del sodalizio. Inutile dire che la presenza di uomini del territorio in ruoli chiave di una così importante organizzazione sono utili a creare canali di comunicazione con gli altri player del panorama nazionale e a far sì che le istanze territoriali possano, in qualche modo, essere rappresentate da un portatore di interessi privilegiato. A Giorgi vanno dunque le congratulazioni e l’augurio di un buon lavoro. Quali saranno concretamente i suoi compiti? «La prima cosa che voglio dire è che mi fanno molto piacere i complimenti e mi fa piacere sapere che questa cosa ha anche reso orgogliosi tanti pavesi. Devo ringraziare assolutamente, però, Assolombarda Pavia: grazie al lavoro fatto dal presidente Nicola De Cardenas e dal direttore Francesco Caracciolo. Questo impegno ha fatto sì che un pavese potesse ricoprire un ruolo così importante. Sicuramente, nel momento della scelta di unirsi ad Assolombarda da parte di Confindustria Pavia, sono state fatte delle valutazioni molto ponderate. Direi che per come sta andando – al di là del ruolo che mi è stato dato, e in questo momento ci sono anche altri pavesi in ruoli molto importanti all’interno di Assolombarda – l’associazione sta mantenendo tutte le promesse fatte. Parlo dell’integrazione della realtà pavese nella maniera migliore possibile, della volontà di dare grande peso ad Assolombarda Pavia in Assolombarda generale. Del resto penso che Pavia stia facendo un’ottima figura, perché sta lavorando bene e sta dando un forte supporto ad Assolombarda. Un dare per avere.» È evidente che Assolombarda pavese ha conquistato un posto di rilievo, in un settore che rappresenta uno dei principali interessi del territorio pavese: la filiera agroalimentare. Quali saranno concretamente i suoi compiti? «Sono compiti importanti: si tratta di coordinare un pool di aziende di grande rilievo.
Fabiano Giorgi, neo eletto Coordinatore della Filiera Agroalimentare, in Assolombardia
Praticamente porterò avanti le istanze di tutto il gruppo di filiera agroalimentare, che comprende aziende di caratura nazionale, come Coca Cola, Heineken, Campari. Ma anche tutto il comparto metallurgico e della plastica. Dovrò portare le istanze di tutta la filiera all’interno del Consiglio Generale, nel quale anche sono stato nominato come consigliere, in qualità portavoce di questa filiera. Che è fondamentale, in tutto il territorio pavese.» 411 imprese, oltre 4000 addetti e quasi 350 milioni di esportazioni all’anno. Numeri di primo piano, quelli della nostra provincia. Peraltro lei non è nuovo a questi ambienti, dato che aveva già un ruolo in Assolombarda, nel settore alimentare. «Ero già stato eletto come consigliere del gruppo alimentare; il gruppo alimentare mi ha proposto nel consiglio della filiera, e la filiera agroalimentare mi ha eletto come coordinatore.» Cosa mi dice del gruppo di lavoro con il quale dovrà collaborare? «Sono stato eletto da pochissimo e in questo periodo è difficilissimo trovarsi: non siamo ancora totalmente operativi. Ma in questi giorni stileremo un piano d’azione importante. Io sono molto volenteroso, e quando assumo un ruolo cerco sempre di dare il massimo, come ho fatto anche negli otto anni di vita del Distretto.» Il polso della situazione attuale ce l’ha anche e soprattutto come imprenditore. Chi sta soffrendo di più in questo momento di chiusure generalizzate? Su chi bisogna concentrarsi? «Parlando della filiera agroalimentare, le difficoltà riguardano un po’ tutti. Continuo a ritenere che i più penalizzati siano quelli che si occupano anche della distribuzione: quindi i produttori di vino, di prodotti enogastronomici per la ristorazione e per i bar.
Per chi vende ai supermercati, logicamente, la situazione è diversa: alcuni possono anche migliorare le vendite.» Qualche giorno fa è stato pubblicato in Gazzetta il decreto sul “Fondo ristorazione”, 600 milioni a fondo perduto per i locali che comprano prodotti di filiera italiana. Pensa possa essere un aiuto utile o solo una panacea? «Tutto in questo momento può aiutare. Il mio pensiero personale, però, è che questi investimenti siano molto labili rispetto ai reali bisogni. Non metto in discussione gli sforzi operati dal Governo, ma a livello pratico i soldi che poi arrivano sul territorio non possono assolutamente supplire la mancanza di lavoro e tutte le problematiche che i locali chiusi manifestano. Anche se lo sforzo va considerato in maniera positiva, quindi, non possiamo dire che risolva il problema. Avrei preferito se alcune risorse fossero state rese disponibili in una fase precedente.» Con quali modalità? «Intanto, con un aiuto per i lavori che tutti i locali (ristoranti, bar) hanno dovuto realizzare per adeguarsi alle regole – giustissime – che erano state poste con i vari protocolli. Lavori che sono stati pagati preventivamente dagli imprenditori, che quindi hanno investito e adesso si ritrovano di nuovo chiusi. Un’altra parte di risorse le avrei investite alla prevenzione e al controllo. Per colpa di pochi che non si sono adeguati e non hanno rispettato le regole ci sono andati di mezzo in tanti.» Lei rappresenterà l’interesse di colossi veri e propri che siamo abituati a vedere da protagonisti sugli scaffali supermercati (alcuni li ha accennati proprio poco fa). E proviene da un comparto, quello vitivinicolo, che purtroppo ha un rapporto piuttosto conflittuale con la grande distribuzione.
Pensa sia possibile conciliare le tante esigenze in campo? «Se la grande distribuzione viene effettuata in maniera oculata e con i prezzi corretti, perché no. Oggi le aziende sono obbligate a diversificare la propria vendita, e non esistono più barriere insormontabili. La cosa fondamentale è tenere i prodotti al giusto prezzo. Data questa premessa, ben venga la grande distribuzione. L’importante è che le operazioni commerciali venga fatte nella maniera corretta.» Perché pensa sia importante valorizzare il concetto di filiera, anche in questo ambito? «La filiera per me è importantissima, soprattutto in momenti come questo. Per questo sono onorato e molto contento di essere stato eletto come Coordinatore della Filiera Agroalimentare di Assolombarda. Dimostrazione della mia sensibilità a questo tema è il fatto che da otto anni presiedo il Distretto del vino di qualità dell’Oltrepò Pavese, che fra le sue fondamenta ha proprio il concetto della filiera produttiva. Non mi voglio considerare un “paladino della filiera”, ma sicuramente sono una persona che ci crede fortemente. Il mercato, oltre alla qualità e all’immagine, richiede anche serietà; da questo punto di vista la filiera può dare un qualcosa in più per far crescere non solo le singole aziende, ma tutto il territorio.» Bisogna darle atto che lei insiste parecchio su questo tema. «Otto anni fa siamo usciti dal Consorzio per fondare un’associazione che comprendesse solo produttori di filiera. Perché ci sentivamo poco rappresentati. Adesso, grazie ad un nuovo spirito di unione, c’è stato un riavvicinamento… rispetto al quale io sono molto favorevole; perché – non dimentichiamocelo – dobbiamo guardare non solo a questo momento particolare, ma al futuro. Il comparto vitivinicolo, soprattutto quello oltrepadano, manifesta una crisi evidente da anni. In questo momento le cose vengono solamente ad essere amplificate. Il territorio ha bisogno di avere fondamenti importanti e solo i produttori di filiera possono dare quel valore aggiunto necessario. Tutti devono poter convivere, ma sono i produttori di filiera e le cantine d’immagine, di qualità, a dover determinare le strategie del nostro territorio. Essere uniti, in questo periodo, diventa ancora più importante. Se lasciamo perdere i piccoli attriti, le naturali divergenze di opinioni che possono esserci state fra categorie diverse di produttori, fra persone diverse magari anche come mentalità, allora riusciremo, tutti uniti, a venire fuori da una situazione oramai divenuta troppo difficile per il nostro territorio.» di Pier Luigi Feltri
34
LO SAPEVATE CHE...
NOVEMBRE 2020
La storia di L.W.Neal, il milite (non più) “ignoto” di Stradella di Manuele Riccardi
Una domenica di febbraio 2020, mentre mi recavo in macchina ad una cerimonia a Tortona, parlavo con Carlo Brandolini, il presidente della sezione UNIRR Stradella Oltrepò, in merito ad alcune ricerche relative ad alcuni soldati oltrepadani. Ad un certo punto Brandolini mi disse: «Sai Manuele, io da diversi anni mi prendo cura della tomba di un soldato inglese della Prima guerra mondiale, trovato morto sui binari della stazione di Stradella dopo essere caduto dal treno. A casa ho qualche fotocopia, sarebbe bello se si riuscisse a sapere qualcosa di più e a ricostruire la sua storia…». Rimasi subito colpito da questa particolare vicenda che non conoscevo e decisi così di accettare questa proposta. Di lui non si sapeva quasi nulla, era di fatto un milite “ignoto”. Dopo aver ricevuto alcune lettere da Brandolini iniziai la mia ricerca dall’unico documento ufficiale presente a Stradella: l’atto di morte n.55 del 1917 (cito testualmente): “L’anno Millenovecentoventisette addì 31 dicembre a ore undici e minuti trenta nella Casa Comunale, io sottoscritto Addamonte Francesco Sindaco Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Stradella, avendo ricevuto dal Pretore di Stradella un avviso in data d’oggi relativo la morte di cui mi appresso e che munito del mio visto inserisco nel volume degli allegati a questo registro, do atto che la mattina del 23 novembre ultimo scorso nella stazione ferroviaria di Stradella, fra i binari di corsa è morto Willehm Neal, soldato inglese della Novantunesima compagnia Machine Gun (mitragliatrici) di anni diciannove, nato a Edmonton (London Essex) qui di passaggio sopra un treno militare di inglesi. Do atto pure che la morte ritiensi avvenuta alle ore cinque del ventitré Novembre scorso, in seguito ad una caduta accidentale dal treno ed a stritolamento degli arti del torace e dell’addome» Da questi pochi dati è iniziata una lunga ricerca che mi ha portato a scartabellare “digitalmente” archivi militari inglesi della Prima guerra mondiale. Un’impresa intricata, aggravata dal lockout “globale” e dalla scarsa presenza di informazioni, molte delle quali erano errate o imparziali, a partire dal nome: Willehm. Negli archivi militari e anagrafici inglesi non esisteva alcun Willehm, per questo ho pensato che si trattasse di un palese errore di trascrizione del più comune William. Contrariamente, di William Neal nati in Inghilterra tra il 1895-99 e morti nel 1917
La casa della famiglia Neal nel 1917 - 16 Huxley Road Silver Street, Upper Edmonton, England
Ma cosa ci faceva un soldato inglese su un treno in transito da Stradella nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1917? ne risultavano… 4893! Era necessario prendere una nuova strada per proseguire le indagini, ma da dove ripartire? Nell’unica lettera inviata dalla madre al sindaco di Stradella ho potuto risalire alla residenza della famiglia al momento della morte del povero William: Mrs. C Neal, 16 Huxley Road, Silver Street, Upper Edmonton, England. Da questo indirizzo e dal nome della madre è stato possibile incrociare diversi dati (tra cui i due numeri di matricola) nei database anagrafici inglesi, facendo emergere molte più informazioni di quello che mi potessi aspettare… Il suo vero nome era Leonard William Neal e nacque nel 1896 a Clapton, un quartiere dell’est londinese. Il padre, anch’esso di nome William, la-
vorava come burocrate presso la dogana, mentre la madre Clara Louisa si occupava della casa. I Neal negli anni hanno subito diversi traslochi nei quartieri limitrofi ma nel 1911 risiedevano a Edmonton (ora inglobato in Enfield), nel nord di Londra, con un nucleo famigliare composto da sette persone: con i coniugi Neal, oltre a Leonard, vivevano la figlia maggiore Ethel Luisa, diciannovenne occupata come cameriera personale; Stanley Victor, ragazzino undicenne che frequentava ancora la scuola; Leslie Ernest, neonato ed infine la nonna Caroline di settantaquattro anni. Il giovane Leonard, a soli quindici anni lavorava come corriere per una ditta della zona. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale Leonard (William) si arruolò nel
Queen’s Own Royal West Kent Regiment nella British Army, probabilmente come volontario, nei primi giorni di settembre del 1914. Gli venne assegnato il numero matricola (private number) 10488. Venne trasferito in Francia, dove con molta probabilità combatté in tale reggimento nelle battaglie dell’Aisne, di La Bassee e Messines, e nella prima battaglia di Ypres. Nell’ottobre del 1915, per far fronte alla necessità di utilizzare sempre più mitragliatrici sul fronte occidentale, l’esercito britannico allestì da zero una nuova unità militare, il “Machine Gun Corps”, prelevando dai vari reggimenti le migliori unità di fanteria e cavalleria motorizzata, a cui si aggiunsero in seguito unità motorizzate e carriste. In soli due anni divenne un modello di spietata efficienza e supremazia operativa. Leonard, venne arruolato nel nuovo corpo militare con numero di matricola 7423, ed assegnato alla 91^ compagnia (91st coy). Costituita 14 marzo 1916 e inquadrata nella 91^ brigata della 7^ divisione, la 91^ compagnia venne schierata per la prima volta durante la Battaglia di Somme, e in seguito partecipò alla cattura di Mametz (1-13 luglio), agli attacchi di Bazentin (14 luglio) e Bosco Alto (20–25 luglio), alle battaglie del Bosco di Delville (15 luglio - 3 settembre), di Guillemont (3–6 settembre) e sul fiume Ancre (13-18 Novembre).
LO SAPEVATE CHE... Nel corso del 1917 la “novantunesima” venne spostata lungo la linea Hindenburg, nelle operazioni di affiancamento intorno a Bullecourt (seconda battaglia, 3-17 maggio), per poi essere trasferita nelle Fiandre per la terza battaglia di Ypres (31 luglio – 10 novembre), combattendo nelle battaglie di Polygon Wood (26 settembre – 3 ottobre), Broodseinde (4 ottobre), Poelkapelle (9 ottobre) e nella seconda battaglia di Passchendaele (26 ottobre – 10 novembre). Non conoscendo però i suoi giorni di licenza, non possiamo sapere con certezza se il soldato Neal partecipò a tutte queste battaglie o solo ad alcune di esse. Ma cosa ci faceva un soldato inglese su un treno in transito da Stradella nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1917? La risposta non è semplice da trovare, data la scarsità di informazioni dirette, ma la si può dedurre analizzando il contesto storico e geografico in cui è avvenuto l’incidente. Tra il 1917 e il 1919 l’esercito britannico stabilì ad Arquata Scrivia una base operativa delle truppe schierate al fronte in aiuto del Regio Esercito che, dopo la disfatta di Caporetto, si stava velocemente riorganizzando per respingere l’avanzata austro-ungarica. Il quartier generale inglese venne progettato per ospitare un totale di 60.000 uomini, ma arrivò a contenerne solo 36.000, quasi la metà. Questo numero inferiore di uomini presenti fu merito della clamorosa tenuta del Regio Esercito sul fronte orientale italiano, grazie all’immediata sostituzione del generale Cadorna con Diaz, dopo la nota disfatta. Per questo l’esercito inglese schierò solo tre (delle cinque unità inizialmente previste) a Montello (da Nervesa a CianoRivasecca Crocetta, con sede del comando a Fanzolo), mentre le altre due vennero dirottate in Francia. Il 10 novembre venne presa la decisione di spostare la 91^ brigata in Italia e la mobilitazione si svolse tra il 17 e il 28 dello stesso mese. In base a questi spostamenti possiamo dedurre che Leonard William Neal, dopo aver trascorso alcuni giorni di licenza ad Edmonton nell’agosto del 1917, raggiunse il quartier generale inglese di Arquata Scrivia, dove si stavano organizzando le unità in partenza per il Piave. Da qui salì sul treno diretto verso il fronte orientale italiano, per supportare il Regio Esercito in quello che sarà l’ultimo anno di guerra. Una guerra che il soldato non vedrà mai terminare, cadendo accidentalmente da quel vagone, terminando così il suo viaggio a Stradella. Il corpo del povero inglese venne rinvenuto senza vita la mattina seguente da uno degli operai della stazione ferroviaria e portato presso l’ospedale militare di riserva di Stradella, dove il Dott. Masnata refertò che la morte fu dovuta dalle numerose ferite riportate, da caduta accidentale. L’unica fonte documentale relativa alla famiglia Neal presente nell’archivio comunale di Stradella è una lettera della madre, inviata al Sindaco di Stradella in data 13 febbraio 1918, pochi mesi dopo la morte del figlio:
NOVEMBRE 2020
«Caro Signore, Vi scrivo per chiedervi se tra i feriti nell’incidente ferroviario del 23 novembre scorso vi fosse un soldato che non conoscete. Quando ricevetti la notizia della morte del mio caro figlio, dal dolore caddi gravemente ammalata, ma il 27 gennaio, mentre pregavo Dio di confortarmi, mi parve di ricevere un messaggio da Dio dicendomi che il mio caro figlio vive ancora. Ebbi la visione di vederlo in un letto con un’infermiera curva sopra di lui; ed ogni volta che io prego in cerca di conforto, mi sembra sempre di ricevere lo stesso messaggio. I nostri giornali diedero la notizia che vi furono ventidue feriti e morti. O fu solo il mio a morire? Perché nei giornali arrivati dall’Italia si parla solo di lui. I giornali che ho ricevuto dicono che il mio caro figlio aveva 19 anni con capelli chiari e occhi blu, ma lui aveva 22 anni, con capelli castani scuri e occhi grigi. Sono così speranzosa che ci possa essere stato un errore e che ciò sia chiarito: è il desiderio di una madre che ha il cuore spezzato. Ho inviato una fotografia per vedere se può essere riconosciuto nell’ospedale municipale: fu scattata ad agosto, quando il mio caro ragazzo era a casa in licenza dopo aver trascorso circa due anni di servizio in Francia. Se è vero che il mio caro figlio è morto, vogliate accettare la gratitudine di una madre inglese per il rispetto mostrato verso il suo ragazzo ed io pregherò Dio voglia presto liberare il vostro bel Paese dal crudele nemico e che porti la pace a tutti noi». Mrs. C Neal, 16 Huxley Road, Silver Street Upper Edmonton England Da quello che possiamo capire, alla famiglia Neal arrivò la notizia, a mezzo stampa, di un “incidente ferroviario” in cui vi furono feriti (ventidue) e morti, non ad una fatalità che coinvolgeva unicamente il figlio. Può essere che la madre si riferisca all’incidente ferroviario avvenuto nell’agosto 1917 alla stazione di Arquata Scrivia, dove ci furono quaranta morti e sessanta feriti. Ad inizio ‘900 le notizie non arrivavano con la stessa celerità d’oggi, soprattutto dall’estero: per questo motivo potrebbe esserci stato un fraintendimento. A seguito la risposta del Sindaco di Stradella: Stradella, 4 maggio 1918 Carissima Signora Neal, «La di Lei pregiata lettera del 13 Febbraio scorso mi ha molto commosso, come ha commosso tutti e particolarmente l’Ill. mo Sig. Professor Giovanni Masnata, maggiore medico e Direttore di questi Ospedali Militari, il quale ha curato in modo ammirevole e lodevolissimo che allo sventurato di Lei figlio fossero resi solenni funerali. Questi infatti riuscirono veramente imponentissimi, avendovi partecipato, oltre a molte rappresentanze di Autorità diverse, pressoché tutta la cittadinanza di Stradella.
35
La tomba di W. L. Neal nel cimitero di Stradella
La salma è stata inumata in questo cimitero pubblico e la Tomba che racchiude le spoglie del povero defunto sarà ognora oggetto di speciale attenzione da parte di questo Comune. Il di Lei figlio non è morto a causa di un incidente ferroviario, ma per una caduta involontaria fra i vagoni di un treno in corsa. Unisco alla presente la fotografia del di Lei figlio a me inviata per comunicazione, come pure altre fotografie e discorsi che il detto Prof. Masnata ebbe cura di raccogliere: non dubito che il tutto Le sarà gradito. Sempre ai Suoi ordini in che Le posso essere utile. Le esprimo i miei commossi sentimenti per la sventura toccataLe». IL SINDACO La cerimonia e l’organizzazione del funerale vennero curate dal Prof. Masnata, Tenente colonnello medico e Direttore sia dell’Ospedale Civile che Militare di Stradella, il quale lesse un lungo discorso in cui si auspicava la fine del conflitto mondiale. Le poche spese per le esequie furono sostenute dalla popolazione mediante pubblica sottoscrizione, mentre le spese della lapide furono pagate dal Comando Militare Inglese di Arquata Scrivia. Ma cosa ne fu del “Machine Gun Corps” e della 91^ compagnia? Inizialmente la 7^ divisione, in cui era inquadrata la 91^ compagnia, venne preparata per essere inviata nell’area montuosa del Brenta, ma poi decisero di schierarla lungo la linea di difesa del Piave, dove vi
rimase fino al 23 febbraio 1918, quando ricevette l’ordine di rientrare in Francia. Ma tale ordine venne successivamente annullato e il 14 aprile 1918 la 91^compagnia venne riassegnata nel 7° battaglione Machine Gun Corps in difesa dell’altopiano di Asiago. Dal 24 ottobre al 4 novembre, la compagnia ebbe un ruolo rilevante nell’attraversamento del Piave e durante battaglia di Vittoria Veneto, aiutando l’esercito italiano a sconfiggere l’armata austro-ungarica. Il “Machine Gun Corps” venne smobilitato poco dopo la fine della guerra e rimane tuttora una delle unità militari più difficili da ricercare nei registri storici: tutta la documentazione, i fogli matricolari e gli ordini di reggimento vennero completamente distrutti in un misterioso incendio nell’ultimo quartier generale del corpo, a Shortcliffe nel 1920. Gli storici faticano a capire perché una così vasta organizzazione militare, composta da più di 100.000 soldati e parecchi ufficiali) abbia lasciato così poche tracce tangibili tra gli archivi militari inglesi. Va ricordato che il “Machine Gun Corps” fu il primo corpo militare ad utilizzare i carri armati in combattimento. Secondo alcune stime, dall’ottobre 1915 al momento del suo scioglimento, questo corpo militare subì perdite per circa 420.000 unità. Questa è la storia di Leonard William Neal, il milite (non più ignoto) di Stradella.
SPORT
NOVEMBRE 2020
37
A Cigognola è arrivato il paintball Il paintball è un gioco nato negli USA intorno agli anni ‘80 che ha lo scopo di conquistare la base avversaria oppure di eliminare l’avversario colpendolo con delle palline di gelatina (animale o vegetale), riempite di vernice e sparate mediante apposite attrezzature ad aria compressa. Contrassegnato una volta da una “paintball”, un giocatore è eliminato. Questo sport viene regolarmente praticato anche a livello agonistico in competizioni, tornei e campionati in tutto il mondo. Le paintball per legge devono essere totalmente biodegradabili, atossiche ed ecocompatibili. A Cigognola la società “Il Boscaccio” grazie ad una convenzione con il Comune, ha messo le radici in un campo nella zona di Vallescuropasso. Abbiamo scambiato qualche chiacchiera con il presidente della società, Simone Turrin. Come è nata l’idea di portare qui il paintball? «Prima di tutto, per riuscire ad “aprire” un campo ci vuole qualcuno che creda veramente nel progetto e l’amministrazione di Cigognola ha fatto così con noi. In Italia se non fai calcio è difficile che qualcuno ti consideri. Siamo stati fortunati”. Quando siete partiti con l’attività? «Dovevamo partire a marzo, ma con il covid è stato bloccato tutto: abbiamo iniziato, quindi, a luglio e devo ammettere che in questi mesi è stato un successo. Siamo aperti durante il weekend e abbiamo sempre avuto tantissime prenotazioni, sia dal territorio, che dalla provincia di Pavia, che da fuori». Com’è nata la vostra società? «Abbiamo iniziato a Milano, nel parco di un ristorante. Lì però era naturalmente un locale privato e dovevamo stare ai loro orari e ai loro ordini. Per noi questo è un problema perché è uno sport che porta giovani e bambini, feste di compleanno, addii al celibato... e avere vincoli è spiacevole. Poi mi hanno contattato qui e ho accettato. Sono milanese di nascita ma ho la nonna di Castana e da qualche tempo mi sono trasferito qui in Oltrepó.
«In Italia se non fai calcio è difficile che qualcuno ti consideri. Noi, qui a Cigognola, siamo stati fortunati» Quindi per me questo campo di Cigognola è anche comodissimo! Oltre a questo c’è il fatto che il Comune è disponibilissimo e insieme risolviamo tutte le criticità che si presentano». In questi mesi di apertura il bilancio è stato positivo? «Abbiamo aperto ufficialmente a luglio e posso dire che finora è andata benissimo. Abbiamo tenuto aperto nei weekend e abbiamo sempre avuto pieno. Tutto questo nonostante ci dicano in tanti che non siamo conosciuti. Nella provincia di Pavia siamo gli unici a fare questo sport. Gli altri più vicini sono alla diga del Molato ma è già Emilia Romagna. Da noi è arrivata gente anche da Ivrea, che ci ha detto che siamo in un punto strategico e molto comodo con l’uscita dell’autostrada a pochi chilometri. Per il momento non stiamo facendo pubblicità e non stiamo neanche andando nelle scuole per farci conoscere... cosa che gli altri anni facevamo. Quest’anno però dato il periodo è impossibile farlo». A proposito di periodo difficile, è arrivato il nuovo DPCM che essendo la Lombardia “zona rossa” vi ha imposto di chiudere. Ve lo aspettavate? «Speravamo che non accadesse, ma era nell’aria. Quindi essendo un Campo Sportivo della Lombardia, ed essendo sempre stati ligi e attenti a tutte le disposizioni che ci vengono fornite dall’alto, il Campo Paintball Boscaccio ha chiuso e va in Lockdown finchè la situazione non migliorerà.
Contrassegnato una volta da una “paintball”, un giocatore è eliminato
Giocatori nel campo di paintball “Il Boscaccio”
Quello che posso dire è che aspetteremo tutti a braccia aperte appena ce ne sarà occasione. Vi aspetteremo con l’attrezzatura rimessa a nuovo, a divertirvi con noi come abbiamo fatto fino ad ora!». Nel frattempo approfitterete di questa chiusura forzate per apportare migliorie al campo? «Fino a marzo del prossimo anno l’idea sarebbe quella di sistemare il nostro progetto. Il campo è appena nato, abbiamo appena sistemato anche “l’area accoglienza” e messo le protezioni più alte. Vogliamo sistemare ancora un po’ di cose e poi iniziare ad andare nelle scuole, se si potrà. Io l’avevo fatto con i licei di Settimo Milanese e ha funzionato: facevo conoscere ai ragazzi il nostro sport, li invitavo a provare. Vorrei iniziare una sorta di collaborazione con gli istituti e vorrei che i ragazzi si appassionassero a questo mondo. Io ho iniziato così, giocando e dando una mano in un campo di Milano». Veniamo al gioco: quali sono le regole fondamentali? «Il gioco in sè è molto facile. Abbiamo l’attrezzatura che consiste nei marcatori e nelle palline da sparare, che sono fatte di gelatina alimentare, quindi tutto materiale biodegradabile. Semplicemente si caricano i marcatori con le palline e ce le si spara addosso. Si può giocare in tutta l’area prestabilita, che prevede vari ‘percorsi’, che io spesso cambio, per dare la possibilità a chi torna di trovare qualcosa di nuovo. Il numero perfetto di giocatori sarebbe 10 in modo da giocare 5 contro 5. Noi riusciamo a fare spesso 3 contro 3 che non è comunque male... E in giornate piene riusciamo a far stare dentro 20 giocatori complessivamente. Possiamo dare il campo alle squadre per un massimo di due ore. Io e il mio socio siamo comunque sempre presenti sul campo per qualsiasi necessità, siamo gli arbitri e li aiutiamo. Spieghiamo anche i trucchetti per sparare meglio o posizionarsi in modo più corretto». Quanto durano in genere le partite?
«Bisogna colpire e quando la pallina esplode è finita la partita. Le partite solitamente durano due minuti e mezzo o tre... e se ne continuano a fare per due ore! I giocatori escono sempre molto soddisfatti. C’è la goduria nello sparare e si esce rilassati perché si scarica tutta l’adrenalina. E il bello è che non si litiga, a differenza di altri sport. Chiaramente durante la partita può capitare di discutere ma alla fine è tutto tranquillo. Ho fatto molti sport nella mia vita e posso assicurare che questo è l’unico in cui non si esce arrabbiati». Quali sono le attrezzature da usare? «Forniamo tutto noi. I marcatori, le palline, le maschere protettive per la faccia, le pettorine e il paracollo. Poi i giocatori si possono vestire come vogliono. C’è chi viene a petto nudo e chi tutto bardato. L’unico rischio è che se qualcuno si toglie la maschera, naturalmente. E questo è assolutamente vietato, almeno sino a quando sarà obbligatoria». È uno sport per tutti? «è uno sport che possono imparare tutti, dai 90enni ai bambini di 10 anni. Il limite sarebbe 14 anni, ma ci sono anche attrezzature per i più piccoli, dai 6 anni in su». Le attrezzature sono particolarmente costose? «Abbastanza, il marcatore costa circa 250 euro e bisogna acquistarne almeno una trentina, per poter permettere a tutti di giocare. Quindi sicuramente è un investimento iniziale importante, poi piano piano negli anni accantonando qualche risparmio si potranno acquistare sempre più attrezzi». Progetti per l’anno prossimo? «Vogliamo creare una squadra. È logico che qui siamo nuovi e quindi è tutto in divenire. Ma siamo stati accolti molto bene e non mi posso lamentare. È stato bello vedere la risposta delle persone. Al momento causa Covid è tutto fermo, ma torneremo presto con tante novità e tanta voglia di fare e di farci conoscere». di Elisa Ajelli
38
MOTORI - CAMPIONATO ITALIANO RALLY
NOVEMBRE 2020
Rally Due Valli: brilla l’Equipaggio Mazzocchi - Gallotti Una gara tanti risultati, tante storie diverse tutte a comporre una fotografia esatta di un rally duro, quasi da altri tempi. La pioggia, il fango, la nebbia, spesso fittissima, hanno disegnato tante classifiche finali. In un simile scenario ci piace sottolineare la vittoria, meritatissima, del finlandese Jari Huttunen, in coppia con Micco Lukka sulla Hyundai i20, giunta al termine di una vera e propria battaglia, che ha anche riguardato le altre classifiche di gruppo, di classe, e che alla fine ha comunque premiato la bravura del finlandese sui fondi viscidi, ma anche le grandi qualità di Umberto Scandola, con Guido D’Amore su Hyundai i20 R5, secondo nell’assoluta e primo tra i partecipanti al CIR, e quella di Stefano Albertini con Danilo Fappani su Skoda Fabia R5, terzo, primo del CIR Asfalto e grazie a questo piazzamento, vincitore anche del campionato italiano tutto asfalto riservato ai piloti privati. Ma quello del bresciano non è stato l’unico titolo tricolore assegnato. Corrado Fontana e Nicola Arena, Hyundai i20 WRC, a coronamento di un fine di stagione di assoluto rilievo, si sono infatti aggiudicati il CIWRC la serie riservata alle regine dei rally. Al quarto posto nell’assoluta ha chiuso Marco Signor e Francesco Pezzoli, VW Polo R5, che hanno preceduto Luca Bottarelli e Walter Pasini, Skoda Fabia EVO R5. Nel Campionato Italiano Rally Junior lotta serrata tra Mattia Vita e Andrea Mazzocchi. I due si sono superati più volte con la vittoria che alla fine è andata al secondo navigato dalla rivanazzanese Silvia Gallotti. Terzo Emanuele Rosso con la classifica che vede Mazzocchi superare Giorgio Cogni qui sfortunatissimo e fuori già nella prima prova speciale. Ottimo comunque il comportamento delle Fiesta R2B e dei piloti dell’ACI Team Italia. Il piacentino Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti si riprendono dunque la leadership del CIR Junior grazie alla terza vittoria ottenuta in questa stagione. Quest’ultimo round su asfalto per il tricolore rally e per i protagonisti del CIR Junior, é andato in scena sabato 24 ottobre con una gara difficile per tutti. è stata una lotta che si è concentrata principalmente sul duello tra Mattia Vita e Andrea Mazzocchi. I due si sono alternati più volte al comando. Il primo insieme a Max Bosi, si è aggiudicato quattro prove speciali, il secondo affiancato dalla rivanazzanese Silvia Gallotti, le restanti cinque. Alla fine la vittoria è andata all’accoppiata Mazzocchi-Gallotti con ben 38”5 di vantaggio su Vita-Bosi. Dalla sua il lucchese si è preso il secondo gradino del podio in una prestazione di assoluto rilievo e, i punti che lo portano
CLASSIFICA FINALE 38‘ RALLY DUE VALLI
La Ford Fiesta di Mazzocchi - Gallotti (Foto di Gabriele Lavagnini)
La Peugeot di Nicelli-Mattioda (di Gabriele Lavagnini)
secondo in Campionato. Ma sugli asfalti veronesi si sono comportati tutti bene i ragazzi dello Junior, eccezione fatta per Giorgio Cogni sfortunato a Verona che insieme a Gabriele Zanni non ha potuto proseguire la gara a causa di un’uscita di strada proprio sulla prima prova. Al termine di un rally dal sapore antico, Mazzocchi intasca quindi il suo terzo successo dopo Gara 1 a Roma, San Marino e Due Valli e supera Cogni (vincitore al Targa) nella classifica del tricolore Junior. Riportiamo le dichiarazioni di Mazzocchi: «Che dire... gara molto difficile, sotto tutti i punti di vista. Ci siamo impegnati al massimo e siamo molto contenti del risultato ottenuto!». Bella prova anche quella dell’astigiano Emanuele Rosso, navigato da Andrea Ferrari che ha concluso la gara terzo assoluto e si conferma terzo nella classifica di Campionato. Un quarto posto nel 2 Ruote Motrici ed il secondo nel monomarca Peugeot hanno invece siglato la prova dello stradellino Davide Nicelli, navigato da Alessandro Mattioda sulla Peugeot 208. «È stato un rally molto difficile complicato dalle intemperie - ha detto Nicelli - siamo comunque riusciti a mantenere un
buon passo, ma non siamo stati costanti, abbiamo fatto alcune prove bene, altre meno. Questo non ci ha permesso di giocarci fino alla fine il 2 Ruote Motrici e il trofeo Peugeot, anche se siamo rimasti sempre nelle posizioni di vertice. Nell’ultimo giro di prove abbiamo provato ad attaccare, ma in una delle tre prove mi sono girato, ho dovuto fare manovra,
1. Huttunen-Lukka (Hyundai I20 R5) in 1:06’35.0; 2. Scandola-D’Amore (Hyundai I20 R5) a 52.7; 3. Albertini-Fappani (Skoda Fabia R5 Evo) a 1’07.6; 4. Signor-Pezzoli (VW Polo R5) a 1’40.9; 5. Bottarelli-Pasini (Skoda Fabia R5 Evo) a 1’50.2; 6. Rusce-Farnocchia (Skoda Fabia R5 Evo) a 2’35.1; 7. Re-Menchini (Skoda Fabia R5) a 2’48.0; 8. Carella-Bracchi (Skoda Fabia R5 Evo) a 2’51.8; 9. Fontana-Arena (Hyundai I20 WRC) a 3’05.5; 10. Ferrarotti-Grimaldi (Skoda Fabia R5) a 4’24.6 perdendo tempo prezioso, quindi è andata male. Era d’obbligo provarci, abbiamo spinto fino alla fine, considerando che le pessime condizioni del fondo più acqua e nebbia, avrebbero potuto portare in errore anche gli altri, ma così non è stato. Pertanto dalla mia trasferta tricolore porto quindi a casa un quarto posto nel 2 Ruote Motrici e un buon secondo posto nel trofeo Peugeot. Per il 2 Ruote Motrici non c’è più nulla da fare perché manca solo il Tuscan Rewind, mentre ci giocheremo le nostre carte nel trofeo della Casa del Leone. Sarà difficile ma dobbiamo provarci fino alla fine. Cerchiamo ora di lavorare duro con tanto impegno per l’ultima gara in programma di questo Campionato Italiano Rally 2020, il Tuscan Rewind, gara sterrata che per noi sarà decisiva dove saremo obbligati a vincere se vogliamo provare a fare nostro il trofeo Peugeot Competion Top 2020 in programma a fine novembre a Montalcino». di Piero Ventura
CLASSIFICA ASSOLUTA CIR 2020: Basso Giandomenico (VW GTI R5) 49pt; Crugnola Andrea (Citroen C3 R5) 45pt; Albertini Stefano (Skoda Fabia R5) 34pt; Signor Marco (VW GTI R5) - Re Alessandro (VW Polo GTI R5) 31pt; Scandola (Hyundai i20 R5) 25 pt; Michelini Rudy (VW Polo GTI R5) 24 pt CLASSIFICA CIR ASFALTO: Albertini 52,5pt; Signor 48pt; Re A. 43pt; Michelini - Rusce 36pt CLASSIFICA CIR JUNIOR 2020: Mazzocchi 63pt; Vita 52pt; Rosso 51pt; Bormolini 29pt; Pederzani 26pt CLASSIFICA CIR DUE RUOTE MOTRICI: Casella - Campanaro 48pt; Mazzocchi 45; Casella 44pt; Nicelli 39pt CLASSIFICA CIR DUE RUOTE MOTRICI ASFALTO: 1. Campanaro 57,5pt; Mazzocchi 45pt; Casella 44pt; CLASSIFICA CIR COSTRUTTORI: 1. Volkswagen 87pt; 2. Citroen 76pt; 3. Skoda 61pt; 4. Hyundai 31pt CLASSIFICA CAMPIONATO ITALIANO WRC: Fontana 38pt; Carella 36,5; Miele 28pt; Rossetti 24pt; Pedersoli 23pt-
MOTORI - CAMPIONATO ITALIANO RALLY AUTO STORICHE
NOVEMBRE 2020
39
Matteo Nobili, navigatore di Casatisma sul secondo gradino del podio Il 3° Rally Internazionale Storico Costa Smeralda, ultima atto del Campionato Italiano Rally Auto Storiche, corso sulle strade della Gallura, è stato bello e nel contempo selettivo, grazie ad una seconda tappa in cui pioggia e sole si sono alternati facendo da cornice al bellissimo duello al vertice tra la Lancia Delta Integrale Hf 16V di “Lucky” e la Ford Sierra Cosworth di Pierangioli. Una grande gara quella del pilota di Montalcino navigato da Celli che purtroppo proprio sull’ultima prova, si è visto costretto a fermarsi per una rottura meccanica quando era secondo a 4’’2 da Lucky. I vincitori assoluti dunque sono “Lucky” e Fabrizia Pons che si aggiudicano il “Costa Smeralda” dopo 41 anni da quella partecipazione insieme nel ’79, dove arrivarono secondi assoluti ed oggi centrano il successo nel Campionato per il 4°Raggruppamento. A salire sul secondo gradino del podio assoluto è il giovane lecchese Enrico Melli navigato dal pavese di Casatisma Matteo Nobili a bordo della Porsche 911 SC. Prestazione di spessore per il giovane lombardo, autore di ottimi tempi in prova in entrambe le tappe del Costa Smeralda. Terzo posto per il pilota di Marostica Dino Tolfo e Giulia Paganoni su Lancia Stratos, primi nel 2°Raggruppamento. Con un ottimo ottavo posto assoluto, Beniamino Lo Presti, navigato per la prima volta dalla brava ed espertissima Lucia Zambiasi sulla Porsche 911 della vogherese Ova Corse chiude al comando in terzo raggruppamento davanti ad un ottimo Nicola Tricomi sull’Opel Kadett GT/e. Terzi a Porto Cervo, e in vetta al titolo di Campione Italiano nel 3°Raggruppamento è l’elbano Massimo Giudicelli con Paola Ferrari sulla Volkswagen Golf GTi. Bravi anche Maurizio Pagella ed il vogherese Ermanno Sordi, entrambi su Porsche il primo nel modello Rs il secondo Sc/rs. Quest’ultimo, navigato da Claudio Biglieri, dopo un ottimo avvio, si è reso protagonista di una “toccata” sulla PS2 che ha richiesto un intervento per rimettere in sicurezza la vettura, costringendo l’equipaggio a rientrare in gara il secondo giorno con la formula del super rally. I vogheresi hanno mostrato un ottimo passo che li collocava attorno all’ottava posizione assoluta. In gara davanti alla Porsche 911 RS di Alberto Salvini. Una gara tutta difficile per il senese insieme a Patrizio Maria Salerno a bordo della Porsche 911 RS che ha saputo amministrare sulle battute finali chiudendo il quarto posto in gara che lo incorona campione italiano nel 2°Raggruppamento. Un Day 2 dove non sono mancati altri colpi di scena tra questi il ritiro in trasferimento a metà
Roberto Mura e Gigi Bossi
Beniamino Lo Presti e Lucia Zambiasi festeggiati dal team Ova Corse
giornata di Lucio Da Zanche e Daniel De Luise su Porsche 911 SCRS, costretto a fermarsi per la rottura del cambio e quello del piemontese Dino Vicario con la Ford Escort RS nella sesta prova della giornata per lo stesso motivo.
La gara sarda assegna vittoria e titolo tricolore a Lucky e Fabrizia Pons su Lancia Delta Integrale. Seconda piazza assoluta per il driver di Colico Enrico Melli navigato dal l’oltrepadano Matteo Nobili su Porsche 911 Sc/rs. Vittoria in gara nel 3°Raggruppamento per Lo Presti - Zambiasi (Porsche 911 Sc della vogherese Ova Corse).
Quinto assoluto termina il pilota veneto Agostino Iccolti con Flavio Zanella su Porsche 911 Sc. La classifica finale prosegue con il vincitore dell’anno scorso Matteo Luise con Melissa Ferro sulla Fiat Ritmo Abarth 130 Tc, sesto assoluto.
TOP TEN ASSOLUTA 3°RALLY STORICO COSTA SMERALDA 1. ‘Lucky’’- Pons (Lancia Delta Integrale Hf) in 1:01’35.6; 2. Melli - Nobili (Porsche911 Sc/rs) a 2’33.0; 3. Tolfo - Paganoni (Lancia Stratos) a 2’49.0; 4. Salvini - Salerno (Porsche 911 Rs) a 3’34.3; 5. Iccolti - Zanella (Porsche 911 Rs) a 4’45.1; 6. Luise - Ferro (Fiat Ritmo Abarth 130 Tc) a 4’46.2; 7. Bentivogli - Musselli (Ford Sierra Cosworth) a 6’40.0; 8. Lo Presti - Zambiasi (Porsche 911 Sc) a 7’06.5; 9. Pagella - Zumelli (Porsche 911 Rs) a 7’17.3; 10. Bardini - Bogoni (Peugeot 205 Rallye) a 9’37.9. CLASSIFICHE FINALI 3°RALLY STORICO COSTA SMERALDA - TOP 3 DI RAGGRUPPAMENTO 4°Raggruppamento: 1. ‘Lucky’’- Pons (Lancia Delta Integrale Hf) in 1:01’35.6; 2. Melli - Nobili (Porsche911 Sc/rs) a 2’33.0; 3. Luise - Ferro (Fiat Ritmo Abarth 130 Tc) a 4’46.2; 3°Raggruppamento: 1. Lo Presti - Zambiasi (Porsche 911 Sc) in 1:08’42.1; 2. Tricomi - Consiglio (Opel Kadett Gte) a 3’45.8; 3.Giudicelli - Ferrari (Volkswagen Golf Gti) a 5’53.0; 2°Raggruppamento: 1. Tolfo - Paganoni (Lancia Stratos) in 1:04’24.6; 2. Salvini - Salerno (Porsche 911 Rs) a 45.3; 3. Iccolti - Zanella (Porsche 911 Rs) a 1’56.1; 1°Raggruppamento: 1. Parisi - Moncada (Porsche 911 S) in 1:18’16.6; 2. Bianco - Casazza (Lotus Elan) a 1’43.6; 3.Turchi - Donati (Fiat 125 Special)a 12’56.4;
In coda al Rally storico, c’è stata la Regolarità sport e la Regolarità a media. In quest’ultima specialità i pavesi Luigi Bossi e Roberto Mura hanno ottenuto un ottimo terzo posto di classe a bordo della piccola A 112 Abarth. di Piero Ventura
Sordi - Biglieri con la Porsche
MOTORI
NOVEMBRE 2020
41
Al Trofeo delle Merende, 5° posto per Brega e vittoria per Claudia Musti nella R2 Con un finale di gara a sorpresa, Alessandro Gino con alle note Daniele Michi su una Skoda Fabia della Tam Auto si aggiudica la seconda edizione del Rally delle Merende e il Trofeo intitolato a Roberto Botta, beffando i transalpini FranceschiBaud. L’evento a scopo benefico, disputato il 18 ottobre, ha festeggiato la sua decima edizione e dopo nove anni a carattere itinerante assume ufficialmente il nome di una competizione. Al via 133 concorrenti fra i quali ben ventitré vetture della classe R5. La competizione con partenza e arrivo da Santo Stefano Belbo si è snodata lungo i suggestivi saliscendi a ridosso della cittadina cuneese. Due le prove speciali da percorrere tre volte per un percorso che misurava complessivamente 177 chilometri di cui oltre 53 cronometrati. La cronaca registrava la partenza molto decisa del francese Mathieu Franceschi in gara su una Skoda Fabia del team Sportec insieme a Lucie Baud i quali vincevano le prime due prove speciali lasciando alla Skoda dei novaresi Mattia Pizio e Davide Cechetto la miglior prestazione sul secondo passaggio a San Grato. Franceschi era il più veloce sul quarto parziale che gli permetteva di mantenere il comando della gara ma nel corso della penultima prova incappava in un errore che faceva perdere oltre quattordici secondi permettendo ad Alessandro Gino di assumere il comando della classifica assoluta davanti ai francesi. In terza posizione si stabilizzavano Mattia Pizio e Daniele Michi protagonisti di una gara molto veloce e precisa. Sfortuna invece per il cuneese Jacopo Araldo con Lorena Boero sulla Skoda di Balbosca uscito di strada sull’ultima prova mentre era quarto assoluto. L’inconveniente di Araldo ha permesso a Patrick Gagliasso e Dario Beltramo di concludere a ridosso del podio nonostante un testa-coda sulla quarta prova e agli oltrepadani Massimo Brega e Paolo Zanini di portare la Hyundai I20 al quinto posto assoluto seguiti da Massimo Marasso e Luca Pieri. Ottimo il settimo posto assoluto della ligure Patrizia Sciascia ritornata alle competizioni dopo un periodo di stop insieme a Cristiana Biondi a bordo di una Wolkswagen Polo con la quale si aggiudicano il Trofeo “Memorial Silvia Sommavilla” riservato agli equipaggi femminili. Il genovese Marco Strata conquista il successo in classe N4 e l’ottavo posto assoluto a bordo della Mitsubishi Lancer che ha diviso con Isabella Gualtieri. Maiuscola la prestazione del piemontese Andrea Gonella navigato dalla vogherese Claudua Musti i quali portano la Peugeot 208 R2C al 17° posto assoluto ed al primo tra le vetture di R2. di Piero Ventura
La Hyundai di Brega - Zanini (Foto di Gabriele Lavagnini)
La Peugeot 208 di Gonella - Musti (Foto di Gabriele Lavagnini)
Sanremo annullato, doppia delusione per “Tigo” Salviotti L’attesissimo Rally di Sanremo è stato annullato. In conseguenza della fortissima perturbazione abbattuta sul Ponente Ligure e sulla Costa Azzurra che ha messo a dura prova la popolazione e le infrastrutture, compreso lo stato delle strade che i rallysti avrebbero dovuto percorrere, le autorità hanno revocato dell’autorizzazione allo svolgimento della gara, il che ha portato alla cancellazione del 67° Rally di Sanremo, valido per la quinta prova del Campionato Italiano Rally e anche per le serie tricolore Asfalto, Due Ruote Motrici, Junior; per la Coppa Rally di Zona (Seconda Zona) e per la Suzuki Rally Cup. L’ufficialità è arrivata sabato mattina 3 ottobre intorno alle 11.20. Venerdì era saltato lo shakedown per l’allerta meteo, ma nella notte i temporali che si sono abbattuti soprattutto nella provincia di Imperia - con centinaia di alberi caduti, strade interrotte e carreggiate franate - hanno portato gli organizzatori ad annullare l’evento. Oltre al dispiacere per la grave situazione venutasi a creare nel Ponente Ligure, c’è anche tanta amarezza nei piloti che già avevano effettuato la trasferta con i costi che ne conseguono e che già si trovavano in loco al momento dell’annullamento della gara. Un annullamento che ha ovviamente creato una comprensibile malumore nei con-
Andrea Salviotti e Susy Ghisoni
correnti i quali, però, subito si sono resi conto della gravità del momento, condividendo appieno il provvedimento e rendendosi solidali con la popolazione. Parecchi i pavesi che sarebbero scesi in lizza tra cui Matteo e Claudia Musti, Giacomo Scattolon, Silvia Gallotti, Giambattista Tambussi ed Emilio Partelli, Davide Nicelli e Andrea “Tigo” Salviotti affiancato da Susy Ghisoni. Per questi ultimi la delusione è stata doppia, perché il Rally di Sanremo, era per loro il debutto in una gara dal grande blasone e valida per il
Campionato Italiano Rally. «Mi dispiace tanto, erano anni che volevo partecipare a questa gara – ha detto Salviotti - ma purtroppo sappiamo tutti cosa è successo e in quelle circostanze non si poteva correre.. Probabilmente ci presenteremo al rally di Como con la finale Coppa Italia a bordo di Suzuky Swith 1600 RS Plus, sempre affiancato dalla brava Susy Ghisoni e supportato dalla scuderia Efferre di Romagnese». di Piero Ventura
42
MOTORI
NOVEMBRE 2020
Countdown per gli oltrepadani Domenico Mombelli e Marco Leoncini è iniziato il conto alla rovescia verso il Rally Tuscan Rewind 2020, undicesima edizione di una delle gare italiane di rally più amate, anche quest’anno atto finale del Campionato Italiano Rally (CIR), in programma da 20 al 22 novembre, da corrersi sugli sterrati “mondiali” del senese. Nella gara sugli sterrati da sogno, strade bianche che trasudano di storia sportiva, saranno di scena anche gli oltrepadani Domenico Mombelli e Marco Leoncini a bordo della Ford Escort MK1 RS impegnati nel Campionato Italiano Rally Terra Storico (CIRTS). Oltre a questo gran finale tricolore vivrà anche gli atti finali del Campionato Italiano Rally Terra (CIRT) e del Campionato Italiano Cross Country (CICC) e all’irrinunciabile appuntamento con la “regolarità sport”. L’organizzazione ha predisposto tutto quanto al meglio, strutturando l’evento in due giorni, pensandolo soprattutto per chi corre, per evitare problematiche alle singole validità di Campionato e dare la giusta misura per i titoli di coda dei vari campionati. Ed ecco che le quattro validità, più la gara di regolarità sport, si svolgeranno in due giornate, sulle stesse prove speciali, al fine di creare meno disagi possibili ai concorrenti. L’edizione 2020 del Tuscan Rewind avrà modificati alcuni suoi caratteri, primo fra tutti sarà cambiata la sede del quartier generale spostata da Montalcino a San Giovanni d’Asso, in accordo con l’Amministrazione Comunale, mentre è confermata la logistica del parco assistenza a Buonconvento con due riordini nel prestigioso scenario della Tenuta Caparzo.
Domenico Mombelli e Marco Leoncini a bordo della Ford Escort MK1
Motori accesi e via alle sfide dunque, con le competizioni del CIR e CIRT che si svolgeranno in tappa unica sabato 21 novembre, con partenza ore 7,01 ed arrivo alle ore 16,01, mentre la domenica 22 novembre sarà riservata esclusivamente al Campionato Italiano Rally Storici su terra ed al Cross Country, con partenza alle ore 08,00 ed arrivo dalle ore 16,00. Sempre
domenica si svolgerà la gara riservata alle vetture della Regolarità Sport. Percorso identico nelle due giornate ma con chilometraggi diversi. Saranno tre, le prove diverse da affrontare per tre volte per il Campionato Italiano Rally (CIR) e per il Campionato Terra (CIRT), per un chilometraggio complessivo di 92,280 km. su un percorso totale di 248,150,
mentre per la parte “Historic” e “fuoristrada” avrà un percorso complessivo ed anche di distanza competitiva ridotto, quindi con 64,710 chilometri di “piesse” (tre diverse per due volte) sui 217,580 totali. di Piero Ventura