Anno 14 - N° 156
Quest’anno il rischio è di sprofondare nel baratro
AGOSTO 2020
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cervesina 16 dicembre 1977: il castello medievale diventa un raffinato ristorante Continua il nostro viaggio attraverso i castelli dell’Oltrepò Pavese. Quella di cui vi parleremo è una delle principali dimore storiche della pianura...
varzi varzi
Pagine 12 e 13
«Durante il lockdown noi fioristi penalizzati dalla grossa distribuzione» Proseguiamo il nostro viaggio attraverso le attività storiche riconosciute da Regione Lombardia. Restiamo a Varzi, da dove avevamo... pagina 19
oltrepò montano Croce Azzurra, «Per ritornare operativi necessitiamo di aiuti» La Croce Azzurra di Romagnese nasce nel 1980 quando, dopo la morte in un incidente stradale di un ragazzo di Romagnese, i genitori... pagina 25
broni «Sono anni che il territorio vive una situazione complicata» In questo momento storico i comuni dell’Oltrepò orientale, molto più rispetto al passato, sembrano aver trovato una certa intesa... pagina 33
canneto pavese «Le amministrazioni dovrebbero curare di più la tutela del territorio» Abbiamo chiesto il parere ad un giovane architetto milanese, Silvana Citterio, da poco diventata oltrepadana a tutti gli effetti. Esperta nella progettazione... pagina 39
COLLI VERDI «Da un deficit di bilancio rilevante ora abbiamo 314.000 euro di utile»
Era il 2013 quando a San Damiano al Colle Cesarino Vercesi iniziava il suo primo mandato come sindaco, trovandosi di fronte ad una... pagine 42 e 43
Elezione del sindaco Nulla di nuovo sul fronte occidentale
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Cari Lettori, per tutti gli organi di stampa, questi 3 mesi sono stati un duro momento da superare dal punto di vista economico. Per un organo di stampa come Il Periodico, che vive esclusivamente di raccolta pubblicitaria, risulta facile da capire a chiunque come Marzo, Aprile, Maggio e Giugno siano stati mesi di “sofferenza” paragonabili all’esperienza di attraversare un deserto. In questi 14 anni di vita, Il Periodico, numero dopo numero, ha sempre aumentato la sua diffusione con un trend in crescita costante, così come ha visto incrementare il numero dei propri inserzionisti. A giugno era necessario decidere: andare avanti, ridimensionarsi o fermarsi. La proprietà, la redazione e lo staff commerciale de Il Periodico hanno deciso, non solo di andare avanti ma di accettare la sfida e di potenziare le proprie strutture con nuovi uffici, con nuove tecnologie e con un rinnovato e, speriamo, più gradevole sito internet. Siamo consapevoli che i prossimi non saranno mesi facili, ma gli attestati di stima, concreta, di molti inserzionisti pubblicitari e le dimostrazioni di gradimento da parte di moltissimi lettori ci confermano che andare avanti è la scelta giusta. Il Direttore Silvia Colombini
Ospedale, «In un anno “spariti” 10-12 5G a Bressana: «Il Governo ha anestesisti, la vicenda andrebbe indagata» tolto ogni La questione ospedale a Stradella continua a tenere banco e a preoccupare. In particolare l’ex sindaco e attuale consigliere di minoranza del potere gruppo “Alleanza Civica La Torre”, Piergiorgio Maggi, da settimane decisionale ai pone l’attenzione attraverso la pagina social del gruppo proprio sul presidio ospedaliero della città. Comuni» pagina 37
Poco più di un anno fa la lista “Ascoltare Bressana” sbaragliava la concorrenza e vinceva le elezioni, riportando nel ruolo di primo cittadino Giorgio Fasani. Uno dei grandi artefici di quella vittoria è stato Valentino Milanesi, poi nominato vicesindaco. Classe 1957; una carriera nel ramo creditizio e poi l’impegno di lungo corso nel volontariato lo hanno portato ad entrare in giunta con le deleghe a Bilancio, Finanze e Programmazione economica.
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«Molti non hanno l’umiltà di guardare cosa fanno gli altri, cercando di capire la strada giusta»
Un uomo, un vulcano: Carlo Casavecchia. Un vulcano attivo, proprio come quell’Etna dove si reca frequentemente per seguire un progetto al quale tiene parecchio. In una terra, la Sicilia, che a lui ha dato tanto in termini sia professionali, sia umani. Quando lo abbiamo intercettato al telefono, però, si stava spostando da Casteggio a Trento. Strano percorso per chiunque, non per uno dei più bravi spumantisti italiani... Pagine 28 e 29
Editore
ANTONIO LA TRIPPA
AGOSTO 2020
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Che fine ha fatto quel buon senso contadino che ha sempre avuto l’Oltrepò?
Ho sempre sperato che in Oltrepò, terra abitata nella stragrande maggioranza dei casi, da persone di buon senso, non si arrivasse per ogni cosa “al muro contro muro”, auspicando che le posizioni dei vari soggetti – seppur in diversi ambiti e senza condivisione di intenti – potessero dialogare e convivere civilmente. Questo non avviene. Pensiamo ad esempio ad una delle principali risorse dell’Oltrepò: il vino, dove “il muro contro muro” è alla sua massima espressione. C’è chi vuol fare solo vino di qualità e venderlo solo in bottiglia e c’è chi di contro dice che il vino deve essere venduto anche in cisterna. La diatriba sta assumendo toni sempre più accesi che non porteranno, a mio giudizio, a niente, semplicemente perché la ragione sta da entrambe le parti. In Oltrepò si produce tantissimo vino e anche riducendo le rese – cosa non facile da far accettare e da realizzare - si produrrebbe più vino di quanto è possibile commercializzare in bottiglia, pertanto vino sfuso e in cisterna andranno pur venduti. E così, invece di trovare una soluzione su
come vendere il vino in cisterna senza che questo deprezzi quello venduto in bottiglia, ci si scanna. E ci si scanna sui giornali e ci si scanna sui social ci si scanna in ogni dove… e il vino è solo un esempio. Cambiamo settore e vediamo se va meglio: lo sport in Oltrepò. Da quando è uscita la buona notizia, (buona è una mia opinione) che La Sei Giorni di Enduro si sarebbe svolta in Oltrepò e successivamente da quando è stato deciso che purtroppo (purtroppo è una mia opinione) la stessa sarebbe stata rinviata causa Covid nel 2021, immediatamente c’è stata una levata di scudi prima contro la manifestazione, poi contro gli enduristi, che per carità non saranno tutti Santi ma neppure tutti diavoli e poi ancora cambio di passo, questa volta alcuni amanti dell’enduro hanno inveito contro i paladini del trekking e delle camminate nella natura incontaminata e silenziosa. Anche in questo caso ho letto dichiarazioni oltranziste di persone che conoscono in entrambe le due “fazioni” contrapposte, il “partito del no moto” (perché gli enduristi sono
dei barbari) contro “il partito del no ai naturalisti”(perché gli amanti della natura sono degli invasati). Il “muro contro muro” molto spesso porta al no deciso o al sì deciso che sono affermazioni universalmente riconosciute su temi universalmente chiari, ma che non hanno alcun senso su temi opinabili. Il “muro contro muro” porta solo ad ingigantire i problemi delle opposte fazioni. E nel turismo come funziona? In Oltrepò c’è un gran fiorire in questo momento soprattutto, di associazioni e società che vorrebbero o che già si occupano di turismo e anche lì insulti. “Io sono più bravo, tu non sei nessuno, io faccio turismo e tu no. Non si può fare turismo così, bisogna farlo cosà…”. Ci sono i fans della teoria “non si può promuovere il territorio facendo per proprio conto ma bisogna far riferimento ad un unico ente preposto” e poi ci sono gli ultras del “Faccio da me” e molto spesso la politica per non sbagliare dà 7 pani ad uno e 7 pesci ad un altro, ma anche qui c’è il partito del “io Sì” e “tu No”.
Partito che dice la sua anche nell’emergenza sanitaria trasformandosi nel “partito della mascherina sì”, contro quello della “mascherina no”. Che fine ha fatto quel buon senso contadino che ha sempre avuto l’Oltrepò? Devo dire che leggendo i vari organi di informazioni ed i vari social, molto spesso i più equilibrati sia nel modo di esprimersi sia come apertura mentale sono i giovani. Sempre più spesso molti giovani sono disposti a dialogare con chi ha idee diverse dalle proprie che sia sul vino, sul turismo, sullo sport e sui vari problemi oltrepadani. Si dice spesso che il futuro è nelle mani dei giovani e devo dire che a parte qualche rara eccezione, mi sento di confermare che in Oltrepò almeno nella metodologia dell’affrontare i problemi, i giovani stanno dando una lezione ai più vecchi e questo è un segnale di speranza per il futuro dell’Oltrepò.
di Antonio La Trippa
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LETTERE AL DIRETTORE
AGOSTO 2020
«Troppa violenza nelle notti salicesi, le istituzioni devono fare di più» Egregio Direttore, dopo aver visto con i miei occhi, nel silenzio assoluto di tutti i giornali locali, all’ennesima rissa verificatesi a fine luglio all’esterno di un locale notturno di Salice Terme, non posso più trattenermi dallo scriverle. Io mi sto chiedendo cosa stiano facendo le istituzioni per contenere e arginare questo problema. Mi chiedo cosa si stia aspettando, il solito morto!?! Credo che le forze dell’ordine stiano facendo il massimo di quanto gli sia consentito fare e quanto sia nelle loro forze e risorse, ma non basta. Ci vuole una volontà politica di sostenere lo sforzo delle forze dell’ordine dando a loro il massimo dell’aiuto che le istituzioni preposte possano dare. E quindi? È stato fatto questo?
Io ho la percezione negativa e cioè che ci sia un immobilismo delle istituzioni. Scrivo a Lei Direttore con l’intento di rendere pubblico il mio pensiero. Mi aspetto anche una risposta dai vari giornali dell’Oltrepò che nulla hanno scritto di questa rissa, e penso a questo punto di tanti altri episodi simili se tanto mi da tanto,che ha coinvolto oltre 100 ragazzini. Le istituzioni sono al servizio del cittadino e devono rendere conto ai cittadini del loro operato. Mi aspetto una risposta che spieghi cosa si stia facendo per garantire sicurezza durante i week-end serali e notturni a Salice Terme. Se non arriverà risposta prenderemo atto del fatto che non si sta facendo nulla. Marco Dabusti - Casteggio
Degrado a Voghera: «Nessuno ha la ricetta giusta» Signor Direttore, adesso, in periodo elettorale, tutti i candidati sindaci, corrono a spararle grosse. Ovvero, solo slogan e fumo elettorale. La sinistra è a pezzi e il centrodestra non sta tanto meglio, ma chi sta certamente peggio è Voghera, con le sue zone “critiche”, Piazza San Bovo, i giardini della Stazione, i giardini dell’Es-
selunga ed alcune vie della città. Problemi che esistono da anni e che mese dopo mese peggiorano. Però, al di la dellle “belle paroli pre-elettorali” nessuno dei vari candidati ha il libretto giusto delle istruzioni per affrontare questo annoso problema. Gianni Moglia - Voghera
Rotatorie senza manutenzione, un vero pericolo Gentile Direttore, intervengo su di una questione che, a mio avviso, richiede un immediato intervento da parte dei responsabili della circolazione stradale in Oltrepò Pavese, in quanto assolutamente necessario e non rinviabile per assicurare l’incolumità pubblica e, soprattutto, degli utenti della strada. Mi riferisco, in particolare, alla presenza nelle rotatorie - che, sempre con maggiore frequenza, anche da noi sono state costruite per regolamentare la circolazione dei veicoli e che, personalmente, ritengo ottimali per lo snellimento del traffico - di veri e propri ostacoli, come piante , sterpaglie, montagnole etc etc etc, quasi fossero stati appositamente studiati per penalizzare chi avesse la malaugurata sorte di perdere il controllo del proprio mezzo e di finire la propria corsa in centro alla rotatoria stessa. Inutile dire che una siffatta sistemazione delle isole centrali delle rotatorie risulta non solo pericolosa
per quanto detto, ma anche contrastante con le norme in materia (DM. 19 aprile 2006, pubblicato sulla GU. N. 170 del 24 luglio 2006; DM. 2367 del 21.6.2004; DGR Regione Lombardia n. 7/20829; Codice della Strada), per le quali, da un lato, deve essere sempre garantita la piena visibilità (anche con idonea illuminazione) a chi impegna un incrocio dei veicoli contrastanti e di quelli cui debba dare la precedenza, dall’altro lato, non devono essere presenti barriere od ostacoli fissi, specie se caratterizzati da inflessibilità agli urti, dovendosi, per contro, assicurare ai veicoli ed ai pedoni la possibilità di impegnare la rotatoria in massima sicurezza; e ciò, anche negli orari notturni. Quanto descritto non trovando alcuna giustificazione, confido che questo intervento possa contribuire a che venga a breve posto rimedio alla situazione lamentata. Marco Percivalle - Voghera
«Siamo odiati in moto per il rumore e tollerati in bici» Gentile Direttore, sono di Lodi, ho 60 anni e frequento l’Oltrepo da una vita, come ciclista, sia su strada, che MTB e dedico dalle 35 alle 45 ore settimanali del mio tempo ad allenare ragazzi di una società ciclistica lodigiana, ma sono anche un appassionato e praticante motociclista, con due figli che hanno corso come me in moto oltre che in bici. Ho sempre insegnato, e lo faccio tutt’ora, a rispettare tutti e ad essere educati, lo insegno ai mie figli e ai ragazzi che alleno, basta poco... Rispetto ed educazione per convivere tutti, e poter godere dei piaceri dei sentieri con serenità, sia in moto che in bici. Purtroppo i maledu-
cati sono sia in moto che in bici e anche a piedi, noi endurusti, siamo quelli che spesso puliamo e teniamo i sentieri in ordine, lo stesso fanno i cacciatori, così come i biker, ma purtroppo siamo odiati in moto per il rumore e tollerati in bici, però ho visto spesso pedoni gettare carte sui sentieri e sacchetti lasciati sul posto dopo una camminata, ma loro non alzano polvere, non fanno rumore, sporcano in silenzio.... Quindi alla fine è e sarà sempre questione di EDUCAZIONE, sia per enduristi, biker, che per escursionisti a piedi. Roberto Ferrari - Lodi
Cegni - Pian Dell’Arma: «Dei 14 Km solamente poco più di 1, è stato asfaltato» Gentile Direttore, avendo letto nei giorni scorsi che un lungo tratto della Sp 90 che sale al Pian dell’Armà era stato asfaltato, ho deciso di fare una gita nella ridente località del nostro Oltrepò pavese per godere del magnifico panorama , della natura incontaminata e del clima fresco. Purtroppo devo segnalare che soltanto poco più di un chilometro di strada dei 14 che collegano il bivio per Cegni alla località Pian dell’Armà è stato sistemato ed asfaltato. Per quanto riguarda gli altri 13, sono rimasti nel degrado più totale, con buche, avvallamenti, parti non asfaltate, un disastro… Ora io dico: la comunità Montana ha previsto progetti per il rilancio del turismo nel nostro territorio con l’investimento di tanto denaro ma è possibile che nessuno si ponga il problema della percorribilità delle strade per permettere ai turisti di raggiungere le meravigliose località del nostro appennino? Abbiamo montagne bellissime con una flora dai colori splendidi a un tiro di schioppo dalla città e dobbiamo impreca-
re tutte le volte che percorriamo le strade a causa delle condizioni di totale abbandono in cui sono lasciate. Il problema poi, guarda caso, sembra proprio essere solo della provincia di Pavia perché non appena si varca il confine e si arriva in provincia di Piacenza a Capanne di Cosola, si trovano strade ben tenute e fossi rasati. Mi vien da sottolineare anche che i pochissimi imprenditori che resistono ancora a far ristorazione in queste località di montagna sono degli eroi, viste le difficoltà che devono affrontare quotidianamente. Quest’anno ,a causa della pandemia, i borghi dell’Oltrepò si sono riempiti di turisti che hanno affittato case e percorreranno sentieri che si troveranno a disagio tutte le volte che affronteranno un percorso di montagna . Chi di dovere dovrebbe provvedere a mettere in sicurezza le strade e renderle percorribili. è una questione anche di rispetto nei confronti dei turisti oltre che dei residenti. di Anna Alberti - Broni
LETTERE AL DIRETTORE
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CYRANO DE BERGERAC
Quest’anno il rischio è di sprofondare nel baratro La cura del “nuovo corso”, iniziato ormai quasi 3 anni fa nelle dichiarazioni e nei proclami, non dà risultati ai vitivinicoltori dell’Oltrepò Pavese, se non al ribasso. Quest’anno il rischio è di sprofondare nel baratro. Dopo attendismo e tatticismo si svegliano anche le associazioni di categoria, perlomeno una, la Cia, mentre le altre tacciono per non scontentare la politica regionale che è entrata mani e piedi nelle problematiche del mondo del vino oltrepadano con risultati che definire scarsi è usare un eufemismo. Dopo tavoli di denominazione inconcludenti o di facciata, lo stop a nuovi disciplinari di produzione praticamente pronti ed approvati nel 2018 accampando la scusa ufficiale del doverci ripensare, si continua a vendemmiare con le maxi rese che hanno di fatto favorito due diversi scandali, con strascichi giudiziari non ancora finiti. Nel frattempo la montagna, il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, ha partorito un topolino: il nuovo statuto con il voto ponderale diminuito per la maxi cooperativa territoriale, come se il combinato disposto dei voti di Terre d’Oltrepò, dei suoi grandi conferitori e più importanti clienti non consentisse di aggirare agilmente l’ostacolo in cinque minuti e con quattro telefonate. Se c’è chi punta il dito contro i mediatori, in particolare uno, la sensazione è che il problema sia ormai divenuto anche più vasto e articolato. Nelle scorse settimane in un ristorante stradellino ho “involontariamente” ascoltato il dialogo fra due big del settore, uno dei quali molto abbronzato. Secondo quanto ho capito, perché non parlavano sottovoce, senza un patto tra il mondo cooperativo territoriale e una programmazione a medio e lungo termine sulla vitivinicoltura locale, l’Oltrepò non sarà mai più in sicurezza. Il rischio, secondo i due interlocutori che si confrontavano è che scoppino nuovi scandali perché “la moltiplicazione dei pani e dei pesci” rischia di migrare di cantina in cantina, senza soluzione di continuità, per disperazione e assenza di prospettive reali. Nel frattempo a livello ufficiale l’allarme è stato lanciato da Davide Calvi, Presidente di Cia-Agricoltori Italiani Pavia nel corso della riunione del Gie (Gruppo di interesse economico) del vino, nella sede di Stradella. Partendo dal presupposto di un’annata generosa sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, Calvi nella sua analisi ha evidenziato la drammatica previsione dei prezzi previsti per le uve sul mercato, con quotazioni che secondo gli addetti ai lavori arrivano a toccare la soglia minima mai registrata: da 35 a 45 euro al quintale. «Con un costo di produzione stimato dai consulenti di regione Lombardia a 60 euro al quintale, i viticoltori rischiano di lavorare in perdita, il covid ha solo accelerato
una dinamica territoriale non virtuosa». A farsi sentire ancora, anche attraverso una video intervista al Periodico (disponibile sulla pagina Facebook della testata) è stato anche Pierangelo Boatti, patron di Monsupello, che già a inizio luglio aveva rilasciato un’intervista sul tema ad una testata locale. Boatti aveva spiegato: «In questo Oltrepò, purtroppo, le denominazioni sono diventate soprammobili degli imbottigliatori e scendiletto dei grandi imprenditori del vino italiano a caccia di “low cost” per vendere a valore con i loro marchi in Italia e nel mondo. Una terra abbandonata, ecco cos’è l’Oltrepò in cui spuntano mediatori compiacenti e dei professionisti dell’intruglio. Per i vitivinicoltori non c’è niente da mordere: sono stati usati in passato e continuano ad essere usati adesso. Senza i viticoltori veri e i produttori appassionati e orgogliosi non si costruisce niente, si scivola solo più giù lungo il burrone». Ma Boatti aveva anche lanciato delle proposte, ad oggi totalmente inascoltate: «Sono convinto che all’Oltrepò serva una nuova governance consortile, cooperativa e imprenditoriale: un ente non può nulla senza precise scelte d’impresa. Bisogna produrre meno e immettere sul mercato, contingentandolo, solo il vino a denominazione che il mer-
cato è in grado di assorbire a prezzi decenti. È finito il tempo del produciamo tanto, vendiamo tanto. Con l’aiuto di Camera di Commercio e altri enti occorre creare una borsa del vino, che spetta alle cooperative normare per non scendere sotto la linea rossa di prezzi che rendono insostenibile fare vitivinicoltura». Per il momento nessuna risposta. La politica regionale continua a venire in Oltrepò per fare brindisi e dichiarazioni stampa, mentre affrontare davvero i problemi e individuare soluzioni, anche scomode ma vere, non sembra più interessare a nessuno da tempo. Poco importa se la vitivinicoltura oltrepadana è di fatto stata commissariata da grandi clienti e grandi poli nazionali di altre territorialità che fanno i prezzi e dettano le regole per interposta persona. Si vuol vendere l’idea che partecipare a tante fiere, fare interviste, comprare qualche pubblicità o qualche progetto qualità dall’incidenza “zero virgola” sul valore dell’intera produzione territoriale siano la panacea di tutti i mali. Che ingenui i vitivinicoltori indipendenti della Fivi che con un documento avevano chiesto misure straordinarie a tutela delle produzioni e dei prezzi di mercato al Consorzio, in occasione dell’anno orribile del Covid-19 e del lockdown. In Oltrepò le
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decisioni importanti si rinviano sempre a tempi migliori (o peggiori), perché l’essenziale è avere le mani libere e le masse ammaestrate, che mandano giù la cicuta e non dicono niente: una mano lava l’altra e non bisogna disturbare il manovratore, che ha un pessimo carattere e la cui deriva autoritaria non è arginata da nessuno benché non stia dando alcun risultato se non in termini di accesso al credito (che poi bisogna restituire). Terra strana l’Oltrepò in cui la guida del Consorzio è affidata a una commercialista-produttrice, quella della primo polo cooperativo a un commercialista-vignaiolo e quella dell’associazione per la promozione del vino dei sapori a un avvocato. Senza parlare del Centro Riccagioia, sempre al centro di qualche progetto lussureggiante che non si concretizza mai, dell’Enoteca Regionale in cui la Regione non mette piede da anni o dell’annessa scuola di cucina nazionale che non è mai partita con il piano didattico perché nello stabile non funzionano riscaldamento e raffrescamento. Ma dove lo trovate in Italia o nel mondo un territorio così? di Cyrano De Bergerac
POLITICA A VOGHERA
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Elezione del sindaco - Nulla di nuovo sul fronte occidentale Nulla di nuovo sul fronte occidentale. Dopo l’ultima tornata elettorale che ha visto l’elezione come sindaco di Voghera, Carlo Barbieri, proprio dalle pagine de Il Periodico News, il giornalista Nilo Combi scriveva: «Mi sbaglierò ma uno dei prossimi candidati sindaci del Comune di Voghera sarà Nicola Affronti». Proseguendo nel pezzo si dava per scontata anche la ricandidatura di Pier Ezio Ghezzi e quella di un esponente del M5S con queste parole: «La Grimaldi alla prossima tornata elettorale potrebbe lasciare il posto a Marfi». Era il dicembre 2018, due anni orsono quando nell’articolo a firma di Lele Baiardi, dal titolo “La Mairie en rose” si scriveva: …“Ah si, in effetti... un’altra Personalità “en rose” ci sarebbe, ma si sa... Fine anno è tempo di Bilanci: la lascerei tranquilla tra soldi, numeri e clienti, rimandando più in là magari un brindisi, a calici... traboccanti!”. Più che esplicito e voluto il riferimento alla candidatura di Paola Garlaschelli. Tant’è che il compianto, per alcuni, Giovanni Alpeggiani, chiamò Baiardi… e gli chiese….“Come fai a saperlo?”. Il Periodico News non vuole passare certamente per oracolo, ma che i 4 candidati
(forse 5?) fossero più o meno questi, al di là dei depistaggi, dei dico e non dico e dei dinieghi, era piuttosto chiaro. Ora bisognerà attendere la formazione definitiva delle liste ed i nomi che le comporranno, bisognerà attendere le varie ed eventuali liste di appoggio e poi finalmente si andrà al voto. L’unica cosa che ci auguriamo è che questa campagna elettorale, rispetto alla precedente sia meno “farcita” di insulti reciproci. Insulti che molto spesso, sui vari social e qualche volta sulla carta stampata, non sono proferiti dai candidati sindaci o candidati consiglieri – anche se qualche eccezione negativa c’è – ma da quella pletora di fans, più o meno istruiti o imbeccati che, grazie alla volgare democratizzazione del linguaggio politico, si insultano reciprocamente. Sarebbe auspicabile che questa volta l’andazzo della campagna elettorale – da un punto di vista dialettico fosse diverso, meno slogan e più programmi. I 4 candidati sindaci hanno certamente la capacità e le competenze affinché la campagna elettorale si possa svolgere in un clima di normale civiltà dialettica ed hanno anche la posizione per intervenire,
nella stragrande maggioranza dei casi, quando i loro fans, che molto spesso sono collaboratori più o meno stretti, esagerano con parolacce o volgarità. I vogheresi, al di là di un linguaggio più consono , si aspettano anche che i programmi dei candidati sindaci siano concreti e tangibili. Tutti i vogheresi e non solo conoscono i problemi e le criticità della città; a titolo esemplificativo ma non esaustivo, uno dei problemi più sentiti dalla popolazione è il degrado di alcune zone della città: Piazza San Bovo, i giardini della Stazione…. Ecco sarebbe bello che i vari candidati sindaci non si limitassero a dire: “Daremo maggiore attenzione in modo costante per risolvere queste criticità”, ( frase che vuol dire tutto e non vuol dire niente, soprattutto non vuol dire niente) ma sarebbe alquanto più opportuno che ogni candidato dicesse chiaramente con quali mezzi e in che modi, spiegandoli dettagliatamente, intende risolvere quel problema. Lo stesso vale per tutte le altre problematiche della città: il centro storico con le sue attività in affanno, la “vita” sociale di Voghera che è ai minimi storici, lo stato di incuria di molte strade urbane che sono “sgarruppate” come del resto tantissime altre in
Oltrepò… Insomma sarebbe bello leggere programmi concreti con metodologie e modalità concrete e con tempi certi di compimento, perché fondamentalmente alla stragrande maggioranza dei vogheresi ,della gente che si insulta, che continua in modo sistematico a fare selfie e a postarli, che va avanti a suon di slogan, non frega niente, basta guardare i social, sono i soliti 10 o 12 che se la cantano e se la suonano. I 4 candidati, al di là del colore e dell’appartenenza politica, sono persone dotate di buon senso e di competenza, la miglior cosa che possono fare è esprimere in modo chiaro e concreto il loro programma. I vogheresi ,che trogloditi non sono, anche se spesso molti politici li hanno trattati come tali, sapranno giudicare così come sapranno giudicare anche chi eccede in una dialettica volgare per esprimere le proprie idee politiche. Auguriamo ad ognuno dei 4 candidati (5?) la miglior campagna elettorale possibile e che vinca il migliore che in democrazia è colui che ha più consenso, e siamo certi che non sarà un becero consenso. di Silvia Colombini
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VOGHERA
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«L’emergenza Covid, sta lasciando nella mente degli italiani una lunga serie di conseguenze psicologiche» Classe 1961, nel 1985 ottiene la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Pavia, e nel 1989 la Specializzazione in Neuropsichiatria Infantile presso la Scuola di Specializzazione dell’Università degli Studi di Pavia. Dopo aver lavorato presso la USSL di Romano di Lombardia (BG), nel 1991 lavora presso l’Ospedale Psichiatrico di Voghera fino al dicembre 1998. Successivamente svolge attività ambulatoriale presso il CPS di Voghera, attività di consulenza in Neuropsichiatria Infantile per la segnalazione e l’inserimento scolastico dei minori portatori di handicap, attività presso la Comunità Protetta di Mornico Losana. Dal gennaio 2006 lavora presso SPDC di Voghera (reparto per acuti). Per meglio comprendere le varianti psicologiche del tanto recentemente discusso, e vissuto, “Lockdown”, abbiamo incontrato la Dott. ssa Laura Piaggi. Dottoressa Piaggi, all’improvviso, praticamente, dalla fine di Febbraio scorso, il mondo si è ritrovato “chiuso in casa”, con le mille difficoltà e desuetudini che ciò ha comportato. Volevo con Lei analizzare, in forma generale ed estesa, le possibili problematiche, le difficoltà della natura umana, in tal senso. Iniziamo con un quadro generale? Cosa ha “visto”/avvertito succedere, nella popolazione? «Il distanziamento sociale, l’isolamento in casa, la paura del contagio, la perdita del lavoro, i numeri dei morti che continuano a crescere: l’emergenza COVID in generale, sta lasciando nella mente degli italiani una lunga serie di conseguenze psicologiche con impatto sulla sintomatologia depressiva, ansiosa, ossessivo-compulsiva e post-traumatica. Non va inoltre sottovalutato il rischio di problemi legati ai disturbi alimentari: il rischio in questo periodo è quello di badare più alla quantità del cibo, che alla qualità. Si è assistito ad un cambio di stile di vita nel quotidiano che ci costringe a resettare i nostri comportamenti: per anni la società moderna ci ha chiesto di fare sempre più cose, generando uno stress da prestazione; ora ci è stato chiesto di “fermarci”, di stare a casa, di NON fare cose... e questo ci ha costretto a rivedere il nostro rapporto con la paura e con il concetto di noia. Una quota di paura è anche in parte “funzionale” ed ha permesso di creare attivazione e maggiore attenzione, per esempio, al rispetto dei protocolli di igiene, come lavarsi le mani ed indossare i dispositivi di protezione individuale. D’altro lato, però, ha acuito i problemi per le persone con maggiori difficoltà a gestire l’ansia. Sono poi stati “sospesi” tutti i gesti che
Laura Piaggi, neuropsichiatra infantile
per cultura compiamo nella socializzazione: darsi la mano, abbracciarsi, toccarsi. E molti dei canali di comunicazione che utilizziamo da sempre devono essere modificati. Nei giorni successivi alla fine dell’isolamento, c’è stata una recrudescenza di disturbi acuti da stress, maggiore propensione a vivere stati d’ansia, disturbi del sonno, disturbi dell’umore, depressione, irritabilità con un vissuto di forte esposizione a quei fattori esterni che sono fonte di stress: la paura di essersi contagiati (e anche quella di poter contagiare gli altri, in particolare i famigliari), la noia, la frustrazione, il timore di essere privi di beni necessari, il timore di mostrare difficoltà psicologiche una volta finita la quarantena, il timore delle perdite economiche». Diamo un tratto generale a come 3 categorie hanno vissuto questo Grande Blocco della vita: i genitori, i figli ed i nonni… «Le fasce di popolazione più a rischio sono considerate gli anziani, i cittadini con malattie croniche e le persone che già soffrono di disturbi mentali anche lievi, persone con disabilità e bambini e ragazzi con patologie neuromotorie. è ancora presto per valutare l’impatto psicologici (e fisico) che il periodo di quarantena ha potuto avere sui bambini costretti a restare in casa, lontani dalla scuola, dalle attività sportive e dalle relazioni con i coetanei. In generale, i genitori hanno riportato aumento dell’irritabilità e problematiche comportamentali, con il ri-
torno a comportamenti che con la crescita avevano superato: richiesta di attenzioni e coccole, rinnovato attaccamento alla madre (con ansia da separazione), rifiuto di mangiare alcuni alimenti. I preadolescenti e gli adolescenti, nonostante l’isolamento e l’impossibilità ad incontrare gli amici, hanno potuto mantenere contatti con l’esterno attraverso la connessione al web. Inoltre hanno, in media, una capacità di guardare oltre le difficoltà maggiore di quella degli adulti ed una capacità di riprendersi dalle situazioni difficili più in fretta, per cui si può ragionevolmente pensare che con un ritorno alle attività ed alla vita di relazione dovrebbero avere le risorse per superare i disagi. I ragazzi che hanno sofferto di più per l’isolamento sono quelli nelle cui famiglie, per motivi correlati o meno all’epidemia, c’erano situazioni problematiche (ma anche disagio economico causato da licenziamenti o dalla cassa integrazione, lutti legati al COVID-19, conflittualità o violenze domestiche). Le persone maggiormente vulnerabili sotto il profilo psicologico sono invece quelle in età avanzata, sia perchè l’essere anziano è un fattore di maggiore esposizione in sé, sia per la presenza frequente di patologie concomitanti, sia per lo stato di fragilità psicofisica in cui realmente ci si sente in età avanzata; l’acceso limitato ad internet o agli smartphone, il confinamento a domicilio, la restrizione all’uso di mezzi, lo sconvolgimento delle abitudini che normalmente scandiscono la loro giornata,
le difficoltà ad incontrare figli e nipoti, la perdita di coetanei per l’alto tasso di mortalità da COVID ha causato sintomatologia ansiosa e/o depressiva o ha peggiorato problemi già in atto. Può esserci inoltre un peggioramento dei disturbi cognitivi. Per quanto riguarda I genitori, le reazioni sono molto variabili a seconda delle condizioni socio-economiche, il livello di istruzione, la presenza o meno di difficoltà in famiglia relative alla gestione di figli o anziani». Con quanta facilità e/o difficoltà gli adulti si sono adeguati a ciò che è stato a mo’ di slogan definito “Smart Working”, che tanto Smart a mio parere non è stato... piuttosto, “Isolated Working”? «Gli svantaggi dello Smart Working sono relativi al rischio di sovralavorare e di lavorare più a lungo dell’orario previsto: in assenza di impegni improrogabili e definiti nel tempo, in assenza di un confine netto tra lavoro e casa, il lavoro assorbe molto tempo sottraendolo alla quota di tempo libero. In sostanza, si rischia di passare al lavoro molto più tempo delle 8 ore prevista per la maggio parte dei contratti lavorativi e di impegnare anche le sere e il weekend. La tecnologia irrompe ormai a qualsiasi ora nella vita degli individui, impedendo di vivere gli spazi affettivi, sociali e di riposo che sono invece fondamentali. In alcuni ambiti lavorativi poi si risente dell’assenza del contatto fisico tra colleghi e la mancanza del rapporto con chi sta
VOGHERA alla scrivania accanto, cui si chiede un’informazione al volo o con cui si condividono sentimenti e confidenze. Manca la possibilità di condivisione di una criticità, mancano i discorsi formali ed informali tra colleghi compreso il ritrovo alla macchinetta del caffè ed altri momenti di confronto (in certi casi anche l’affrontare un aspetto conflittuale), il mancato accesso a rapporti che rafforzano anche lo spirito di appartenenza ad un’azienda e concorrono ad aumentare la produttività. L’essere umano è un animale sociale ed a fare le spese dell’isolamento potrebbero essere le fasce più deboli della popolazione, da sempre a maggior rischio di isolamento e segregazione. Le donne sono inoltre maggiormente esposte al rischio di un sovraccarico di stress (stando a casa si sentono in dovere di occuparsi dei figli e delle faccende domestiche ad esempio tra una mail e l’altra). Il rischio della solitudine sociale e professionale, nel caso di vissuti negativi, può sfociare in “burnout“, cioè una serie di sintomi di stress cronico per cui la situazione lavorativa è ritenuta logorante e stressante. Un altro problema nella nostra cultura è la attuale bassa concezione sociale dello Smart Working, sia in famiglia sia nell’azienda: il lavoro a distanza viene talvolta visto come “di serie B” con la conseguenza che le richieste familiari aumentano (la tentazione soprattutto per le donne di sbrigare faccende tra una mail e l’altra con il rischio di una mancata concentrazione e aumento dello stress), con la fatica derivante dall’accudimento dei figli durante l’orario di lavoro. Tale concezione può essere presente anche nell’azienda dove colleghi e superiori vedano il lavoro da casa come una “vacanza”, con conseguenti sentimenti di invidia ed iniquità. Tra gli effetti positivi dello s.w. organizzato bene c’è la possibilità di trascorrere più tempo coi propri cari, di dedicarsi ad una preparazione di cibo più sano, di ricavare tempo per l’esercizio fisico.
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«Il lavoro a distanza viene talvolta visto come “di serie B” con la conseguenza che le richieste familiari aumentano»
Quando si lavora a casa da soli, per evitare il rischio di lasciarsi un po’ andare e prendere brutte abitudini, come ad esempio alzarsi tardi o lavorare in pigiama, bisognerebbe quanto meno darsi delle regole fisse». Quanto ha riavvicinato, o “allontanato”, i figli ai genitori, la “vita in famiglia”, questa lunga pausa? «Molti genitori non erano abituati ad avere ore ed ore di convivenza coi pargoli... questo dipende da molti fattori: le condizioni socio-economiche, il grado di istruzione, la presenza o meno di problematiche psichiche o fisiche nell’ambito familiare ed anche dagli spazi di condivisione della vita durante il lockdown. In condizioni di bassa criticità, le restrizioni legate alla pandemia hanno rafforzato e migliorato, nella stragrande maggioranza dei casi, le relazioni di coppia e il rapporto tra genitori e figli anche per il sentimento comune di dover farsi forza insieme per “combattere il nemico”. Sono migliorate la comunicazione ed il dialogo, la collaborazione domestica, e le famiglie sono uscite rafforzate nei propri legami con la prole pur avendo vissuto momenti di alto stress. Quando invece si parla di famiglie problematiche e conflittuali, il quadro cambia drasticamente». Qualcuno scrisse sui social networks “quando tutto sarà passato, ci ritrove-
remo migliori di prima”: è avvenuto ciò, a suo parere? «Questo periodo di radicale cambiamento dello stile di vita quotidiano ha dato l’opportunità di ripensare ai valori “che contano”, ai rapporti con le persone care, alle nostre passioni, alla cura del cibo, allo sforzo per creare condizioni per una migliore qualità della vita. Di fatto il cambiamento, quello vero, è un percorso e non una condizione in cui magicamente ci si ritrova dopo una situazione di alto stress... chi non ha strumenti o non è interessato difficilmente avrà accesso ad un miglioramento vero». Quali potrebbero essere ulteriori problematiche subentranti, in caso di un nuovo Lockdown? «I periodi di quarantena possono avere effetti psicologici profondi e duraturi, soprattutto sulle fasce della popolazione più deboli. Secondo i ricercatori, è possibile rendere i periodi di isolamento “più tollerabili per il maggior numero di persone possibile” seguendo una serie di accorgimenti: in ambito domestico, strutturare la giornata, dividere i tempi e gli spazi in base a schemi e ritmi, rassicurando in particolare i bambini e sostenendo i membri deboli. Per chi lavora a casa, definire spazi e tempi. Dovremmo aspettarci, se dovesse avvenire una seconda emergenza, una
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gestione istituzionale rafforzata: un governo in grado di spiegare con chiarezza che cosa sta succedendo, garantendo una comunicazione istituzionale trasparente e rinforzando il senso di altruismo nella cittadinanza anche attraverso il potenziamento di attività di supporto istituzionali affiancate magari al volontariato. Sarebbe inoltre auspicabile che a livello mediatico i cittadini non vengano travolti solo con le notizie angoscianti, dando anche enfasi alle buone notizie: per esempio, i casi di persone guarite dopo aver contratto il nuovo coronavirus o la comunicazione di terapie che contrastano l’aggravarsi dei quadri di contagio; una buona comunicazione deve essere in grado di trasmettere l’effettiva realtà del problema in corso senza allarmare, ma senza sottovalutare. Inoltre, un altro elemento molto importante, che ha un impatto significativo sulla dimensione psicologica dei cittadini, è quello di garantire con facilità l’accesso a beni primari, come quelli alimentari, al servizio sanitario e alle consulenze di supporto psicologico. E’ una carta che un governo lungimirante deve giocare. Studi condotti su precedenti condizioni traumatiche che abbiano implicato periodi di isolamento hanno osservato come il confinamento sia un fattore predittivo di mortalità alla pari di fumo, obesità, pressione arteriosa elevata e colesterolo alto. Un rischio invece da non sottovalutare nel futuro prossimo è che passata questa crisi potremmo trovarci molti casi di burnout tra il personale sanitario che era in prima linea nel contrastare l’emergenza coronavirus con grosse difficoltà a gestire gli aspetti sanitari. Un approccio multidisciplinare che possa prevedere il coinvolgimento di più figure, quale medico di famiglia, medico del lavoro, psicologo e, nei casi più gravi, dello psichiatra potrebbe rappresentare un buon approccio». di Lele Baiardi
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Animali abbandonati, causa Covid e vacanze “Le gattare miao e bau” in soccorso Sono un’associazione no profit attiva da circa 10 anni, con lo scopo di custodire, salvaguardare e nutrire gli animali domestici in difficoltà, e quasi tutta al femminile: si chiamano “Le gattare miao e bau”. Il loro nome rivela che si occupano soprattutto di gatti, in quanto il randagismo felino è ancora un problema non indifferente, soprattutto nei piccoli paesi di campagna tipici dell’Oltrepò; tuttavia accudiscono anche cani, animali da cortile, capre, pecore, asini, cavalli, alcuni salvati dal macello, altri dalle feste di paese e situazioni simili. Luisa Scotti, presidentessa dell’associazione, ci parla di come anche gli animali abbiano indirettamente subito le conseguenze dell’epidemia di Covid-19, periodo in cui le volontarie si sono date da fare più che mai nonostante le difficoltà. La situazione sembra tendere ad un miglioramento, ma nemmeno quest’anno, in cui le vacanze non sono date come per scontate, il periodo estivo risparmia i nostri amici a quattro zampe dall’abbandono. Avete una struttura dove ospitare gli animali? In che modo vi sostenete? «No, la nostra sede principale è a Voghera, ma non abbiamo una struttura vera e propria: li ospitiamo in diverse cascine, ciascuna gestita da una volontaria. In più abbiamo una rete di distribuzione in tutto l’Oltrepò, cioè le nostre volontarie si recano, quando necessario, nei luoghi in cui vengono ospitati animali bisognosi. In totale, ne accudiamo circa 300, ma a seguito del lockdown e dell’epidemia sono aumentati a circa 340. Non avendo sovvenzioni di alcun tipo, ci sosteniamo con l’autofinanziamento e con il contributo della gente. Allestiamo, nei weekend, dei banchetti all’interno o all’esterno dei supermercati, in cui è possibile lasciare donazioni a piacere in denaro o cibo». A cosa è dovuto questo aumento? Come vi siete organizzate in quel periodo? «A causa dei ricoveri o delle morti, o degli abbandoni volontari da parte parenti dei contagiati, che non potevano occuparsi degli animali. Siamo state chiamate tantissime volte dai carabinieri o dalla protezione civile. Le nostre volontarie potevano muoversi per legge, però sempre con la paura di esporsi al contagio: per questo motivo tante di loro hanno smesso di aiutarci, e siamo così rimaste una decina. Inoltre, era sempre presente il timore del posto di blocco e della multa. In ogni caso non ci siamo mai fermate e siamo riuscite a sfamare tutte le bocche che ne avevano bisogno, con molto impegno e fatica». Che problemi ha causato un aumento così consistente e immediato di anima-
Alcune volontarie dell’associazione “Le gattare miao e bau”
li? «Il problema di introdurre un nuovo membro nelle colonie preesistenti è il fatto che raramente viene accettato. Soprattutto tra gatti, un nuovo arrivato non è mai ben accolto; ci si ritrova ad avere quindi animali feriti che possono anche sviluppare infezioni, oppure malati, perché non sappiamo esattamente da che contesto provengano, a differenza dei nostri che sono sempre sotto controllo. Abbiamo perciò dovuto sostenere delle spese veterinarie ingenti. Anche il cibo è stato un problema: con un po’ di scorte, un po’ di aiuto da parte di alcune persone e forse anche un po’ di provvidenza divina, ce l’abbiamo fatta; ma è stata davvero dura. Ci ha amareggiate il fatto di non ricevere alcun aiuto dai supermercati, ai quali abbiamo chiesto disperatamente aiuto, ma senza successo. Ringraziamo invece di cuore per il supporto che ci è stato dato dai punti vendita “L’isola dei tesori” di Voghera e San Martino Siccomario, e il centro commerciale Iper Montebello. In condizioni normali siamo un’associazione che raccoglie mol-
to, per fortuna, ma nell’ultimo periodo la gente ha avuto altre priorità. Recentemente devo dire che la situazione, pian piano, sta cambiando in positivo». Il lockdown ha costretto molti di noi a passare un lungo periodo di solitudine, non potendo vedere amici e parenti. Queste circostanze hanno favorito le adozioni, in qualche modo? «No, in quel periodo adottare era impossibile, sia da noi, che nei canili, che nelle altre strutture. Tuttavia, nemmeno ora che si può - vediamo crescere il numero di adozioni. Speriamo in un miglioramento con la fine dell’estate». A proposito: le vacanze estive sono la causa principale di abbandono; quest’anno, però, a causa del Covid, molti non possono partire, oppure hanno deciso di non farlo. Ciò potrebbe corrispondere a una diminuzione dei casi di abbandono. è così? «Anche in questo caso, purtroppo no. L’apice di animali lasciati a sé stessi viene solitamente raggiunto verso la metà di agosto, quindi aspettiamo ancora un po’ a
dirlo… ma per il momento la situazione non è differente dagli altri anni». In quali modi è possibile contribuire al vostro operato? «Soprattutto nel periodo attuale in cui, come dicevo prima, molte persone hanno altre priorità, anche il più piccolo supporto è ben accetto. Abbiamo ricominciato ad allestire i banchetti presso il centro commerciale Iper Montebello, dove è possibile, come dicevo prima, dare una mano economicamente con offerte a piacere, oppure donando confezioni di cibo, che non basta mai. In alcune occasioni abbiamo bisogno di risorse differenti, come ad esempio cucce. In ogni caso, siamo reperibili per qualsiasi informazione aggiuntiva sulla nostra pagina Facebook “Le gattare miao e bau”, oppure è possibile contattarmi telefonicamente. Sarò più che felice di rispondere, e ringrazio in anticipo tutti coloro che avranno piacere a supportarci».
di Cecilia Bardoni
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«Ero certo che l’affluenza sarebbe tornata come prima della chiusura e così è stato» Adriano Semprini, nato a Rimini, oltrepadano d’adozione, è un personaggio difficile da catalogare. Artista, creativo, attualmente mago della piadina vogherese, è titolare dal 2016 del locale “A m’arcord, piade e cascioni”. Sagittario, a mio avviso rispecchia pienamente le caratteristiche del suo segno zodiacale che recitano: “il Sagittario è un avventuriero per eccellenza, affronta tutti i suoi progetti e le sfide della vita con entusiasmo, ha sempre bisogno di qualcosa di nuovo da fare, da iniziare….”. L’abbiamo incontrato per farci raccontare qualcosa di più delle sue innumerevoli passioni. Semprini, lei è nato a Rimini, città molto vivace della riviera romagnola, fulcro della vitta notturna estiva, come mai è approdato in Oltrepò, in questo territorio tranquillo, forse troppo tranquillo dove sembra non succedere mai nulla di nuovo? (Ride di gusto) «Dopo aver frequentato la scuola, sono andato in Germania a lavorare nel campo della ristorazione per alcuni anni e poi sono rientrato alla base, ho conosciuto una persona e sono approdato in Oltrepò, diciamo che sono arrivato qui per seguire l’amore. Ho iniziato a lavorare ancora nel campo della ristorazione ma dopo breve tempo mi sono stancato e ho deciso di cambiare completamente ambito. Ho aperto a Casteggio uno showroom di arredamento, complementi d’arredo e tendaggi seguendo un po’ la mia creatività. Sono un po’ originale, seguo il mio istinto ed ho portato idee di stile e di design innovative che mi hanno dato degli ottimi risultati. Sono rimasto nel settore per 20 anni ed ho lavorato molto bene». Poi cos’è successo? Come mai ha deciso di tornare alla ristorazione? Si è stancato dell’arredamento? «Non sono io che mi stufo, sono le situazioni che si vengono a creare che mi stancano fino a farmi disinnamorare. Così nel 2016 ho chiuso il negozio a Casteggio ed ho deciso di aprire una piadineria». Ma come mai una piadineria e perché a Voghera e non per esempio a Casteggio o Stradella? «Si può dire che io sia nato con la piadina. A casa mia, a Rimini, è sempre stata una tradizione, ogni famiglia la faceva sempre in casa, non poteva mai mancare a quei tempi. L’ho chiamata proprio “A m’arcord” per ricordare i vecchi tempi. Ho deciso di aprire qui a Voghera per caso, perché ho visto questo posto dove prima c’era l’antico mercato coperto, era libero, la struttura mi ha subito affascinato, ho chiesto informazioni e son partito». Come usa la sua creatività in questo campo? «Uso la mia innata creatività anche nell’elaborazione degli impasti utilizzan-
Adriano Semprini, chef della piadina romagnola
«Voghera? La vedo strana ma non mi sono mai fermato all’apparenza. Quando ho aperto la piadineria non mi sono minimamente preoccupato di dove fossi»
do farine di grani e cereali particolari e poi utilizzo per la farcitura prodotti di primissima qualità e a volte azzardo anche accostamenti che stupiscono piacevolmente la mia clientela. Devo sottolineare che per me fare la piadina è prima di tutto un divertimento, non una fatica e questo mi stimola alla ricerca del gusto e dell’abbinamento degli ingredienti». Questa primavera c’è stato un lungo periodo di lockdown a causa della pandemia di Covid-19, che situazione ha trovato alla riapertura? «Ho trovato una situazione più che altro di paura, non di abbandono, nel senso che i miei clienti, quando abbiamo riaperto, son subito passati a trovarmi. Chiaramente ancora si sente nell’aria quell’atmosfera strana. Ero certo che l’affluenza sarebbe tornata come prima della chiusura e così è stato. Piano piano son tornati tutti. Anzi, dirò di più. Il 20 di agosto è il quarto compleanno di questo locale e posso dire con orgoglio che mi ingrandirò e inaugurerò proprio qui a fianco una “gintoneria “ che è nata in un angolo di “A m’arcord” chiamato “l’angolo della scimmia” e diventerà così un “all monkey” completo, dove il cliente potrà provare una serie di cocktails a base di ben più di 100 tipologie di gin che si abbineranno molto bene alle piadine. è anche qui una ricerca nel campo del gin a cui sono
approdato per caso e che mi ha appassionato molto. Parte un’altra sfida, amo questo tipo di situazione». Grandi passioni quindi caratterizzano la sua vita fra le quali anche quella per la scultura che l’ha portata a creare nel suo locale una sorta di mostra delle sue opere. è sempre stato appassionato di questa tipologia d’arte? «Assolutamente no. Anche qui tutto è nato per caso.(ride) Ho alcuni amici a Brescia, uno dei quali è scultore e devo dire che, quando andavo a trovarlo, rimanevo incantato nel guardarlo lavorare. La cosa mi affascinava e questo lui l’ha capito e mi ha proposto di provare, seguendomi con qualche consiglio. Ero abbastanza scettico però l’interesse cresceva. Dopo circa 4 anni i miei amici mi hanno regalato tre panetti da un chilo di creta che sono poi rimasti fermi lì ancora per circa 3 anni. Finché un Natale, ero a casa da solo e ho cominciato a “giocare “ con questo panetto di creta. Ho realizzato la figura del “pensatore”, trovata su di un giornale e l’ho portata al mio amico scultore per avere un suo giudizio. A quel punto lui mi ha detto che valeva la pena iniziare. è venuto da me e mi ha fatto una scultura di una testa, facendomi seguire con attenzione i vari passaggi. Questa è stata la mia scuola. Dopo qualche giorno, ho messo in posa un ragazzo e ho realizza-
to la prima mia vera scultura e la cosa mi ha affascinato. Le mie sculture sono realizzate in creta che poi viene cotta e spesso dipinta». In quali momenti liberi si dedica alla scultura e cosa prova mentre plasma la creta? «Inizialmente mi dedicavo alla scultura non appena avevo un momento libero, anche di notte, mi aveva proprio affascinato e non poteva andare avanti così, mi assorbiva quasi totalmente. Poi ho cominciato ad utilizzare i ritagli di tempo che avevo libero dagli impegni del negozio. Stiamo parlando di circa 15 anni fa. è molto difficile spiegare cosa provo quando creo con la creta. Posso dirle che devo essere tranquillo dal punto di vista psicologico, non ho l’ispirazione quando sono preoccupato per qualcosa. Ad esempio nel periodo di lockdown quando non mi mancava il tempo, non ho creato nulla perché non ero tranquillo. La testa deve essere libera e serena e solo così creando mi rilasso e mi sento completamente appagato. Avevo l’obiettivo di creare una figura intera a grandezza naturale e ci sono riuscito con la creazione di “Stefano” il nudo che ho esposto nel mio locale». Ha fatto mostre e ritiene che le sue opere abbiano un mercato? «Ho fatto diverse mostre a San Sebastiano Curone, Rivanazzano Terme, Bressana Bottarone e altre località della zona e ho anche venduto dei pezzi. A Voghera non ho mai esposto ma devo dire che con la storia del distanziamento dei tavoli nel mio locale, ho potuto riempire degli spazi con le mie opere e quindi è diventato una sorta di locale atelier. In questo modo anche i miei clienti hanno la possibilità di ammirare le mie sculture e magari di chiedermi anche delucidazioni in merito». Un’altra sua grande passione sono le moto di grossa cilindrata e i viaggi... «Ho sempre avuto una grande passione per le Harley Davidson ma adesso sono molto orgoglioso del mio ultimo acquisto: una Indian gialla con la quale viaggio non appena ho un po’ di tempo e devo dire che il viaggiare mi ricarica e mi dà gli stimoli per scoprire sempre cose nuove». Un’ultima domanda. Da riminese come la vede lei Voghera? «La vedo strana ma non mi sono mai fermato all’apparenza. Quando ho aperto la piadineria non mi sono minimamente preoccupato di dove fossi. Avevo bisogno di produrre e dare qualcosa di nuovo. Io penso che se una persona sente che può dare qualcosa di qualitativamente diverso deve provarci indipendentemente dalle caratteristiche del luogo dove si trova». di Gabriella Draghi
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CERVESINA - Itinerari tra i castelli
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16 dicembre 1977: il castello medievale diventa un raffinato ristorante, la prima volta in Oltrepò
Continua il nostro viaggio attraverso i castelli dell’Oltrepò Pavese. Quella di cui vi parleremo è una delle principali dimore storiche della pianura oltrepadana. Situato in una posizione turisticamente strategica, in posizione equidistante tra Pavia e le prime colline del nostro territorio, il Castello di San Gaudenzio è uno dei meglio conservati e restaurati della provincia di Pavia. L’originario castello venne probabilmente eretto nel XIV secolo dai Visconti e successivamente venne infeudato ai Beccaria, signori di Cervesina. Successivamente passò ai Taverna, i quali nel 1536 ottennero anche l’investitura di Cervesina e Rampina. L’attuale castello giunto ai giorni nostri è frutto di un quasi totale rifacimento del XVII: dell’antico maniero conserva solo la corrispondenza stilistica generale. Situato al centro di un parco lussuoso ben tenuto, ha una struttura a pianta quadrangolare, composto da cinque torri mozzate all’altezza del tetto. Tra i principali personaggi che nacquero tra le mura del maniero ricordiamo l’ingegnere Severino Grattoni, nato il 9 dicembre 1815, coprogettista e direttore dei lavori del traforo del Frejus. Abbiamo intervistato Maurizio Marcone, direttore della struttura, il quale ci ha raccontato come è rinato San Gaudenzio, tra eventi e promozione del territorio. Quando è iniziata l’avventura del vostro resort? Come è nata l’idea di svolgere un’attività in questo settore?
«Il 16 dicembre 1977 un’antica dimora storica diventava un luogo aperto al pubblico, con una inedita destinazione d’uso, crediamo per la prima volta in Oltrepò. Si trattava di un’idea che anticipava i tempi: un castello medievale avrebbe ospitato un raffinato ristorante, proponendo nel territorio una cucina moderna, ricercata, innovativa. Innanzi tutto il castello di San Gaudenzio diventava così un edificio storico sottratto all’oblio a cui sembrava destinato. Su molti edifici d’epoca, negli anni Sessanta non vi erano ancora i riflettori puntati; la percezione sul ricco patrimonio italiano da recuperare e conservare quale fortuna del nostro Paese era totalmente diversa, soltanto qualche anno più tardi sarebbe maturata una diversa sensibilità nei confronti dei beni storico artistici». In che situazione si trovava l’immobile? Ci sono state impegnative opere di ristrutturazione? «Il gruppo industriale Piber, della famiglia Bergaglio, ha sempre dimostrato una particolare attenzione per questo territorio, nel 1971 ha acquisito il Castello, per il quale è stato subito approntato un progetto di restauro. Fino agli anni ‘50 è stato un edificio residenziale, benché non sempre abitato in maniera permanente dalle famiglie che si sono succedute nella proprietà. Probabilmente questa sorta di “solitudine” vissuta dall’edificio, è stata la causa nel corso del
tempo di una sorta di depauperamento. Si imponeva quindi la necessità di riportarlo ai fasti di un tempo, oltreché strutturalmente anche nei dettagli; recuperare le finiture disperse. La famiglia Bergaglio lo ha fatto. Pensando a questo edificio storico non più come residenza privata, ma per trasformarlo in un monumento fruibile, riportandolo ad una nuova vita pubblica». Quanto tempo avete impiegato per la ristrutturazione? «Come si diceva, il castello è stato acquistato nel 1971 e aperto al pubblico nel 1977.
Sei anni circa di lavori di recupero. Un’opera di restauro per le parti più antiche, e di ristrutturazione per quelle più recenti, quali i rustici. Questi ultimi, un tempo destinati al ricovero per le carrozze, ospitano l’ampia cucina e le sale del ristorante: sono l’attuale Sala delle Colonne e la sala Ducale, che si trova al primo piano, dove un tempo c’era il vecchio granaio. L’obiettivo è stato quello di non snaturare assolutamente l’edificio, anzi di preservarne il più possibile le sue peculiarità poiché sono ciò che lo rende un luogo estremamente affascinante».
CERVESINA - itinerari tra i castelli Quali tipi di attività svolgete? «Il Castello di San Gaudenzio è una realtà consolidata nel settore della ristorazione e in quello turistico-alberghiero. In oltre quarant’anni di attività qui si è maturata un’esperienza su molteplici fronti, tutti con il comune denominatore della qualità, ovviamente. La ristorazione è stato il primo punto cardine, e pensiamo che lo sia tutt’ora, attorno al quale hanno iniziato a ruotare tutte le altre offerte che si sono sviluppate: banchetti per cerimonie private, che si avvantaggiano della presenza dell’annessa chiesa, incontri di lavoro, corsi, eventi e manifestazioni di vario genere ospitati negli ampi saloni». Quali sono stati gli eventi più caratteristici che avete ospitato? «Negli anni più recenti il Castello è stato palcoscenico di eventi di promozione di vini di qualità (“Bollicine in Castello”; “Vini di Vigna al Castello”) e di prodotti dell’enogastronomia italiana (“Happening Gourmet”), a testimoniare l’attenzione alla migliore tradizione dei sapori locali, ma anche il “Concorso di Bellezza dell’Automobile”, l’“Italia’s Historic Marathon”, l’“Italia’s Green Marathon” e molte altre occasioni dedicate al buono, al bello e alla storia. In particolare quest’anno, considerata la difficoltà di spostamenti per i ragazzi desiderosi di avere un’esperienza di vacanza studio, sta ospitando corsi di lingua inglese promossi da “I viaggi di Tels”, una full immersion che ripercorre le modalità di un soggiorno nel Regno Unito». Per chi soggiorna presso la vostra struttura organizzate anche tour con vostri partner convenzionati? «Consapevoli di trovarci alle porte di un grande territorio ricco di emergenze naturali e storico-culturali sentiamo il dovere di farcene promotori consigliando ai nostri ospiti esperienze che, secondo le loro inclinazioni, possono tradursi in visite a cantine o ai luoghi artisticamente più interessanti. Al proposito gli avventori trovano copie del bimestrale Oltre che del territorio è testimone appassionato da più di trent’anni: nelle sue pagine vi si trova-
no spunti e curiosità per approfondire la conoscenza del luogo». Come avete e state affrontando le varie fasi dell’emergenza Coronavirus? «Dopo l’inevitabile chiusura durante il periodo di “lockdown”, la ripresa è stata lenta e attentissima a tutte le regole di comportamento necessarie in ambito di distanziamento, utilizzo di tutti i presidi di sicurezza. Per fortuna il Castello di San Guadenzio dispone di ampi spazi, interni ed esterni, che consentono una tranquilla convivenza tra gli ospiti». San Gaudenzio è situato nelle vicinanze di due circuiti importanti: il 7 Laghi International Circuit, inserito nei calendari dei più prestigiosi campionati nazionali e internazionali di Kart, e il nuovo Circuito Tazio Nuvolari, in continuo ampliamento, che ospitano diversi eventi seguiti da parecchi appassionati. Avete avuto riscontri positivi da questa vicinanza? «Come già detto, la posizione strategica, a pochi chilometri dalle uscite autostradali, rappresenta per la nostra realtà una delle caratteristiche di grande appeal. Ci poniamo come punto di accoglienza per questi eventi sportivi come per tutti gli altri di tipologie diverse che richiamano turisti e
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Maurizio Marcone, direttore della struttura
visitatori in Oltrepò». Cosa c’è nel futuro del Castello di San Gaudenzio? «Il futuro di una realtà come la nostra è imprescindibile da quello di tutta la provincia di Pavia, la sinergia tra gli attori dell’accoglienza sotto tutti i punti di vista deve essere un obiettivo sempre presente». Concludendo, come vedrebbe l’istituzione di un’associazione o un circuito che colleghi tutti i castelli dell’Oltrepò
Pavese, sulla falsa riga di progetti già avviati in altre zone, come ad esempio il piacentino? «Abbiamo guardato con attenzione le esperienze di “Castelli aperti” in Piemonte e di “Castelli del Ducato” in Emilia, ovviamente la prospettiva di una simile iniziativa anche fra le tante realtà dell’Oltrepò e della Lomellina non può che trovarci favorevoli». di Manuele Riccardi
«Il gruppo industriale Piber, della famiglia Bergaglio, ha sempre dimostrato una particolare attenzione per questo territorio, nel 1971 ha acquisito il Castello, per il quale è stato subito approntato un progetto di restauro»
Godiasco salice terme
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«Un posto “speciale” dedicato alla coltivazione di ortaggi», diventa fattoria didattica “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior” così recitava una famosa canzone. Citazione calzante, all’epoca del Covid - 19. Vogliamo parlarvi di un sogno, un’idea di Maria Pia Vicentini e Maurizio Muttini: “Il Boschetto dei Profumi”. Progetto improntato alla riscoperta dei prodotti della natura, alla portata di tutti e un escamotage per evadere dallo stress della quotidianità. Abbiamo intervistato i proprietari dell’Ortofrutta Vicentini, da anni attivi in Oltrepo pavese, a proposito della loro fattoria didattica! Maria Pia che cosa è “Il boschetto dei Profumi” e dove si trova? «Un posto “speciale” dedicato alla coltivazione di ortaggi e si trova a Cerreto Inferiore, collina nel Comune di Godiasco». Perché avete scelto questo posto? «Qui siamo cresciuti e abbiamo un forte attaccamento a questo territorio. Le colline di Godiasco rappresentano i primi contrafforti dell’Appennino, un posto immerso nella natura incontaminata e rigogliosa ricco di sentieri, prati, boschi, ruscelli e non solo… ricco di storia difatti sono presenti castelli, borghi, palazzi e tanto altro da esplorare». Qual è stata la vostra principale attività? «Da oltre trent’anni produciamo e vendiamo le ortive tipiche dell’Oltrepò Pavese nei vari mercati nella zona». Cosa vi ha dato la imput per la realizzazione di una fattoria didattica? «È sempre stato il nostro sogno nel cassetto, fare in modo che il “Boschetto dei Profumi” potesse essere a disposizione di tutti, bambini, scuole, famiglie... L’imput decisivo è arrivato con l’emergenza Covid-19». In che senso? Ci spieghi «Il Covid ha cambiato profondamente la vita di tutti noi, ci ha fatto riscoprire il valore della natura e quanto sia importante
averla a disposizione; dopo il lockdown si cerca ora e sempre più di riconnettersi con gli spazi all’aperto. Oggi più che mai, primi fra tutti i bambini, abbiamo questo impellente bisogno di apprendere, giocare, evadere dallo stress quotidiano attraverso la natura che ci circonda, senza costrizioni. Per cui una fattoria didattica si presta molto bene a tale scopo». Come e da chi sarà gestita? «Saremo noi, io e mio marito a gestirla seguendo le norme vigenti, affiancati da personale qualificato, un educatore e un’ortoterapista». Che tipo di attività verranno proposte? «Saranno attivati progetti di educazione ambientale e alimentare finalizzati alla tutela della biodiversità e alla conoscenza del territorio. Avremo la collaborazione della dottoressa Margherita Volpini ortoterapista e di un’educatrice, Alessia Carmazza, perito agrario, inoltre collaboreremo con l’associazione culturale “Volo di Rondine” che si occupa di ricerca nell’ambito della fauna e flora e della geologia dell’Oltrepò Pavese nonchè degli aspetti culturali dell’Appennino ancora poco conosciuti Citando Maria Montessori: “il bambino ché è il grande osservatore spontaneo della natura, ha indubbiamente bisogno di avere a sua disposizione, materiale su cui agire”. La finalità del progetto è dare l’opportunità di crescere a livello psicomotorio, emotivo, evolutivo e spirituale con uno strumento didattico che supporta anche le varie discipline scolastiche per i bambini. Per gli adulti oltre a stare e a fare insieme ai bimbi, si presenta l’ occasione di rimettersi in gioco». Con quali modalità? «Seminare, coltivare, prendersi cura, raccogliere e perché no poter fare anche delle
Maria Pia Vicentini
feste... naturalmente previo accordo telefonico in anticipo». Logisticamente come vi siete organizzati? «Sarà sviluppata un’area di attività per tutte le categorie di persone e di bisogni, per l’equilibrio e il benessere. Abbiamo la nostra pagina Facebook che bene illustra ogni nostro lavoro». di Stefania Marchetti
“Il Boschetto dei Profumi” da settembre sarà a disposizione di tutti: bambini, scuole e famiglie
“Oltrepò drink twist”
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IL GIN TONIC PERFETTO... OVVIAMENTE IN OLTREPò! ENLIGHTING GIN, un Italian Dry Gin nato nel Nostro Territorio
Di Emanuele Firpo
Nono appuntamento legato al magico mondo della miscelazione, al quale abbiniamo la naturalezza e l’esclusività dei prodotti tipici firmati Oltrepò Pavese. A inizio stagione, nel mio bar a Salice Terme, ho appeso con prepotenza un cartello con scritto, naturalmente a mano, “PRESTO SERVIREMO IL GIN TONIC PERFETTO”… era maggio e posso dire che durante i 2 mesi scorsi mi sono sentito chiedere più volte al giorno: “Manu quando prepari il gin tonic perfetto?”. Sapevo già come prepararlo ma mi mancava l’input giusto, un qualcosa che accompagnasse la tecnica che ho studiato per ottenere il drink tanto atteso. Si sa, siamo in provincia e ci conosciamo più o meno tutti, non ci è voluto molto perché mi arrivasse l’opportunità di acquistare un gin nato proprio nel nostro territorio, inventato da una persona dell’Oltrepò. Il gin si chiama ENLIGHTING ed il suo creatore è il buon Fabrizio Bicio Zonca. Premetto che per la riuscita del GIN TONIC PERFETTO non è vincolante il tipo di gin, però se è un ottimo distillato tanto meglio e soprattutto ancora meglio se è MADE IN OLTREPò! Due parole sull’ambito drink e poi scaldiamo il freezer e iniziamo a creare! Il Gin Tonic, che comunemente viene chiamato G&T, è il cocktail simbolo dell’Inghilterra, ottenuto con l’unione dei due suoi prodotti beverage più rappresentativi. La sua nascita è antica e risale all’epoca coloniale, quando i soldati inglesi consumavano l’Indian Tonic Water per difendersi dall’arsura e dalle malattie tropicali come la malaria. è risaputo che il chinino è un principio attivo contro questa malattia, essendo un potente febbrifugo e per lungo tempo fu l’unico rimedio conosciuto contro di essa. Per rendere il suo consumo più piacevole, visto la tendenza amara piuttosto pronunciata, i soldati la unirono al loro distillato principe, il gin, trasportato via nave in tutte le colonie. Il Gin Tonic oltre ad assolvere alle suddette funzioni curative, divenne, nel proseguo della sua storia, un cocktail ambivalente: l’aperitivo per eccellenza nel mondo anglosassone e il dopo cena che tutti conosciamo nel resto del mondo. Una citazione simpatica del Gin & Tonic, la fa il gruppo degli Oasis, quando canta: “I fell supersonics, gimme a gin and tonic”… Tutto il resto è noia. Torniamo in Oltrepò Pavese e più precisamente a Salice Terme, nel mio bar sulle terrazze di Io&Vale.
Un’altra premessa… non ho inventato nulla, ho solo studiato tanto. Intorno al 1900 un libro del settore, sì, ho scritto 1900… inizia indicando che il ghiaccio è quasi sempre l’ingrediente principale di un cocktail, e serve a raffreddare i drink non a diluirli. Già da questo si può ora capire come mai utilizzando la stessa qualità di distillati, toniche etc. etc. etc. il risultato finale cambia da bar a bar anzi, da barman a barman. Dopo un secolo e un po’, in un altro volume un certo D.A., un tipo molto americano, molto curioso, molto chimico, molto innovatore si è preso la briga di studiare la perfezione dei cocktail lavorando, appunto, sulla chimica, sulla scienza. è stato definito un rivoluzionario che ha modificato il modo di intendere i cocktail. D.A. è un bartender che opera da scienziato, mente geniale del panorama contemporaneo, passa al microscopio il mondo della miscelazione attraverso un approccio assolutamente scientifico. Il Gin Tonic in apparenza è semplicissimo: gin, acqua tonica e uno spruzzo di lime ma quasi sempre i gin tonic lasciano delusi, a volte il gin è troppo e quindi la gassatura è scarsa, altre volte il gin è troppo poco e quindi la bevanda è poco aromatica e troppo dolce. Fin troppo spesso capita di vedere del gin caldo e dell’acqua tonica tiepida versati sopra a un ghiaccio acquoso, dando come risultato un drink che sa principalmente di acqua. Chiarite queste regole elementari (non per tutti a quando pare) cimentiamoci nella preparazione del Gin Tonic Perfetto.
Il miglior gin tonic che potete preparare prevede del gin conservato nel freezer e dell’acqua tonica proveniente da una bottiglia nuova che avrete tenuto in acqua ghiacciata, come si servono le bottiglie di vino bianco per capirci. Con “bottiglia nuova” non voglio dire soltanto non aperta, ma anche comprata da poco e possibilmente in vetro o lattina. Dopo un mese a temperatura ambiente una bibita gassata perde la carbonatazione a velocità allarmante. Prima di preparare il drink decidete in quale bicchiere servirlo e lasciatelo in freezer insieme al gin. Ed il ghiaccio? Utilizzate del ghiaccio prodotto da un fabbricatore purché venga prima messo in freezer per almeno una notte. Ok, abbiamo tutto l’occorrente e possiamo iniziare. Tirate fuori dal freezer il bicchiere ed il gin, versate circa 5 cl di distillato, dopodiché inclinate il bicchiere a un angolo di 45° e versateci dentro lentamente la tonica ghiacciata. è importante l’ordine in cui queste operazioni vanno eseguite. è nel vostro interesse che i due ingredienti si miscelino completamente senza ricorrere ad attività come la mescolatura, che libererebbe le bolle di gas. Dopodiché prendete un quarto di lime e spremetene il succo nel drink. Aggiungere il lime prima della tonica aiuterebbe a mescolare meglio la bevanda, ma il succo di lime contiene centri di nucleazione e tensioattivi che stabilizzano le bolle e che scombussolerebbero tutta la carbonatazione. Poi aggiungete il ghiaccio appena tolto dal freezer; non lasciate cadere il ghiaccio nel drink come cavernicoli, fatelo scivolare dentro delicatamente usando un bar spoon. è importante che aggiungiate il ghiaccio per ultimo, se viene messo nel bicchiere prima dei liquidi, favorirà la creazione di spuma quando si versa la tonica e farà resistenza alla miscelazione. Ora il nostro Gin & Tonic è pronto, con tutte le bolle della tonica che merita ed a una temperatura ottimale. D.A. ammette che ha impiegato quasi 5 anni per questo studio e, sul G&T ha scritto molte più “cose” di quelle che ho riportato qui ma, un po’ per non stufarvi ed un po’ perché non siamo chimici mi sono fermato a queste poche ma determinanti regole per preparare un cocktail PERFETTO! Che poi la perfezione non esiste ma sono sicuro che preparando un drink spiegando cosa si fa e giocando sulle temperature rende il risultato OTTIMO! Utilizzate il gin di Bicio, un gin speziato e soprattutto MADE IN ITALY e MADE IN OLTREPò!
Rivisitiamo
i COCKTAIL
d’autore con i prodotti del nostro TERRITORIO
Fans del Gin Tonic Perfetto
P.S. se qualcuno pensava che per il GIN TONIC PERFETTO avrei consigliato solo la marca di gin e la marca di tonica… quel qualcuno può continuare a bere gin tonic con il Mare perché va di moda anche se il ghiaccio è vecchio, la tonica è tiepida ed il barman ha imparato da suo cuggino. Smack ma soprattutto Cheers! Consuma sempre i drink a stomaco pieno e non far mancare, di tanto in tanto, un sorso di acqua fresca. DEGUSTARE UN COCKTAIL È UN PIACERE… SE TI PERDI CHE PIACERE È?! DRINK RESPONSIBLY
Emanuele Firpo Barman e collaboratore presso Io&Vale, consulente per aziende del settore turismo, appassionato di merceologia e fondatore della Scuola per Barman “Upper School” di Salice Terme, falegname per passione
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Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO
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More, pesche e prugne Le confetture dell’Oltrepò Di Gabriella Draghi
Siamo nel periodo in cui tutta la deliziosa frutta estiva dà il proprio meglio e chi vuole portare con sè un pezzetto di estate prepara confetture come se non ci fosse un domani. Preparare le conserve è un rito che mi è piaciuto sempre moltissimo: si racchiudono in un barattolo tutti i ricordi di una stagione, i profumi e i colori. Si mettono da parte sensazioni che si riscopriranno mesi dopo, all’apertura del barattolo, quando la confettura sprigionerà tutto il profumo della frutta d’estate. Fare in casa la confettura è semplice, bastano pochi accorgimenti da seguire alla lettera, per riuscire ad ottenere degli ottimi risultati. E se vi state chiedendo perché parliamo di confettura e non di marmellata, questo è dovuto solo al fatto che confettura è il suo nome ufficiale. Di fragole, more, lamponi o pesca che sia, l’Unione Europea ha stabilito che quella che solitamente chiamiamo marmellata in realtà debba essere definita confettura, mentre la marmellata ufficialmente è solo quella di agrumi, ad esempio di arance o limoni. Ho scelto tre ricette, due delle quali diventano molto chic aggiungendo alla frutta ingredienti insoliti. Inizierò però con la ricetta della confettura di more che mia mamma preparava sempre esclusivamente per mio figlio. Solo per lui perché le more le andavano a raccogliere insieme, sulle colline dell’Oltrepò e chiaramente non si potevano ottenere grandi quantitativi di prodotto finito.
Confettura di more
Ingredienti: 500g di more mature 200 g di zucchero il succo di un limone
Come si prepara: pulire le more cercando di togliere eventuali rametti, poi lasciarle a mollo per una decina di minuti per eliminare ogni residuo di polvere o sporco. Scolarle delicatamente dall’acqua in eccesso e trasferirle in una pentola dai bordi alti, unendo anche lo zucchero ed il succo di un limone. Coprirle con un coperchio e lasciarle a macerare per circa 2-3 ore. Trascorso il tempo di macerazione, portarle ad ebollizione a fuoco medio mescolando con un cucchiaio di legno. Abbassare la fiamma al minimo e lasciare cuocere per un’ora circa, controllando di tanto in tanto la consistenza della marmellata facendo la prova piattino: versare un cucchiaino di marmellata su di un piattino, inclinarlo e se scivola
lentamente e poi si ferma , la marmellata è pronta. A questo punto, passare la marmellata al setaccio o con un colino a maglie larghe per eliminare i semini. Quando è ancora calda, versare subito la marmellata in vasetti di vetro sterilizzati e con i coperchi nuovi. Rabboccare i barattoli lasciando appena due dita dal bordo, poi chiuderli con il loro coperchio e capovolgerli a testa in giù per 20 minuti e poi rigirarli. In questo modo l’aria uscirà completamente e si raggiungerà il sottovuoto.
Confettura di pesche cacao e amaretti
Ingredienti: 1 kg di pesche sbucciate e private del nocciolo 700 g di zucchero 200 g di amaretti sbriciolati 40 g di cacao amaro 10 g di succo di limone Come si prepara: mettere le pesche tagliate a fettine in una casseruola con lo zucchero, portare a bollore e lasciare sul fuoco per 2 minuti. Togliere dal fuoco e far riposare il composto per circa 3 ore, coperto. Rimettere la casseruola sul fuoco, unire
il succo di limone e portare a cottura per circa mezz’ora. Aggiungere gli amaretti sbriciolati ed il cacao e cuocere ancora 2 minuti. Con il frullatore ad immersione, frullare il composto direttamente in pentola. Invasare la confettura bollente nei barattoli sterilizzati, chiudere il tappo e mettere i vasetti a testa in giù per circa 20 minuti e poi rigirarli.
Confettura di prugne con cannella e rum
Ingredienti: 1 kg di prugne mature 300 g di zucchero il succo di un limone 1 cucchiaio di cannella in polvere mezzo bicchiere di rum bianco
Come si prepara: in una pentola mettere le prugne lavate, denocciolate e tagliate a pezzetti con lo zucchero, il succo di limone e la cannella. Portare ad ebollizione e lasciare cuocere a fuoco medio per circa 30 minuti, mescolando di tanto in tanto. Frullare in pentola con il frullatore ad immersione. Continuare la cottura a fuoco basso fino a che non si sarà addensata, sempre mescolando di tanto in tanto. A questo punto aggiungere il rum e fare evaporare
l’alcool cuocendo ancora 2 minuti. Versare la confettura bollente nei vasi sterilizzati, chiudere con il coperchio e mettere i vasetti a testa in giù per circa 20 minuti e poi rigirarli. Applicate le etichette sul coperchio con il nome della confettura. Potete conservare le vostre preparazioni per l’inverno tenendo i vasetti nella dispensa al buio. Potete anche usarle come regalo natalizio. Basterà ritagliare come ho fatto io dei cerchi di stoffa colorata per ricoprire i tappi e legarli con un fiocchetto. You Tube Channel & Facebook page “Cheap but chic”.
VARZI
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«Durante il lockdown noi fioristi penalizzati dalla concorrenza della grossa distribuzione» Proseguiamo il nostro viaggio attraverso le attività storiche riconosciute da Regione Lombardia. Restiamo a Varzi, da dove avevamo cominciato con la Crosina Impianti, ma ci rivolgiamo ad un settore completamente diverso: quello del floral design. In particolare ripercorriamo la storia dell’attività Fiori Obertelli - oggi in mano a Lorenzo e Piero Tornari, figlio e padre - iniziata più di sessant’anni fa grazie alla nonna. Lorenzo, da chi è stata fondata Fiori Obertelli e quando? «La storia della nostra attività è un po’ particolare; infatti tutto ebbe inizio per mano di mia nonna, che vendeva fiori da ambulante sul trenino che ai tempi collegava Varzi e Voghera. Man mano aumentò la varietà di fiori disponibili e con essa anche la richiesta. Ciò permise a mia nonna di guadagnare abbastanza da aprire qui a Varzi, nel centro storico, il primo negozio; correva l’anno 1957. Dopo esserci spostati due volte sempre nel centro storico, intorno alla metà degli anni ’70 ci siamo trasferiti in Via Fortunato Repetti, dove potete trovarci ancora oggi». Attualmente, chi lavora nella vostra attività? «In totale, siamo in quattro: io, mio papà, una nostra dipendente e mia nonna, che, nonostante alcune difficoltà fisiche, si rende operativa con molto piacere». Qual è il vostro punto di forza, quella caratteristica che vi ha consentito di far sopravvivere così a lungo un’attività artigianale? «Il fatto che ci impegniamo ad esaudire
le richieste del cliente a qualsiasi costo. Siccome abbiamo diversi fornitori sia dall’Olanda che dall’Italia, che mi permettono di velocizzare i tempi, facciamo di tutto per andare incontro al cliente: non c’è festività o weekend che tenga. Se qualcuno mi chiedesse, il giorno della Vigilia di Natale “Per domani mi servono assolutamente delle ortensie rosa”, per esempio, io, in 24 ore, gliele faccio arrivare». Come è cambiato il lavoro oggi, rispetto agli anni che hanno visto l’attività nascere e svilupparsi? «Sicuramente, rispetto a quaranta, cinquant’anni fa, oggi il cliente presta più attenzione alla qualità, anziché alla quantità. Questo cambiamento è ovviamente legato alla maggiore reperibilità di diverse specie di fiori e alla differenza di disponibilità economica. Negli anni ’80, ad esempio, ad ogni funerale c’erano sempre quattro o cinque corone di fiori; al contrario, adesso si va a ricercare soprattutto quella sottigliezza estetica che prima non era così tanto importante». La vostra clientela si estende anche al di fuori dell’Oltrepò? «Sì, lavoriamo tanto anche per Val Tidone e Val Curone, Tortona, Alessandria e zone limitrofe». Qual è la caratteristica fondamentale, secondo lei, che contraddistingue un fiorista di successo da uno mediocre? «Trovo che sia importantissima la formazione. Anche l’esperienza e la pratica non sono da meno: una volta conseguito il diploma in Floral Design, prima di fermarmi nell’attività di famiglia, ho lavora-
«Tutto ebbe inizio per mano di mia nonna, che vendeva fiori da ambulante sul trenino che ai tempi collegava Varzi e Voghera»
Lorenzo Tornari, della “Fiori Obertelli”
to presso altri fioristi a Voghera, a Santa Margherita Ligure, ho fatto un tirocinio e ho cercato di individuare quali fossero le nuove tendenze. Specialmente negli ultimi anni, mi accorgo che anche i clienti, a colpo d’occhio, riescono a distinguere un mio lavoro da quello di un mio concorrente che non ha alle spalle un percorso adeguato». La vostra attività come ha vissuto il periodo di chiusura causata dall’emergenza Covid?
«Certamente il fatto di non poter lavorare ha danneggiato noi come gli altri settori, tuttavia il fiore è un bene non necessario, su questo non ci piove; perciò non ho nulla in contrario alla scelta di chiudere, tra le altre attività, i negozi di fioristi. Quello che non è andato giù a me e ad altri colleghi è stato che la grande distribuzione, invece, poteva vendere fiori e piante aggregandoli alle categorie come mangimi per gli animali. Inoltre, i funerali sono stati bloccati dopo circa un mese di Covid, e noi siamo stati completamente fermi per due. Non abbiamo potuto fare altro che aspettare la ripartenza, ma il nostro settore ne è uscito estremamente penalizzato proprio per la concorrenza subita durante la chiusura. Per questo, a parer mio, è necessario l’intervento delle istituzioni – nel nostro caso il Comune di Varzi, oppure Confcommercio». di Cecilia Bardoni
PICCOLI COMUNI E CAMMINI D’oLTREPò
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DA FEGO A BRALELLO LUNGO IL SENTIERO DEI BRIGANTI segreto di gruppi di briganti Sono 215 i sentieri dell’Oltrepò Paveche assalivano la carovana o il se che il sito della Comunità Montana viandante di passaggio. La grotdell’Alto Oltrepò descrive, e se da un lato ta forma un camino naturale, è la Via del Sale, la Via degli Abati e il Camcomoda, asciutta, con l’entrata mino di San Colombano sono tra gli itinenascosta dai cespugli di magrari più conosciuti, accanto si sviluppano giociondolo. Probabilmente in decine di percorsi meno noti con svariate tempi remoti questa radura con centinaia di Km di sentieri percorribili a i due grandi massi era un luogo piedi, in bici o a cavallo. Con l’introdudi culto, visto che ancora oggi il zione dell’App “I Sentieri dell’Oltrepò fascino delle grandi pietre che Pavese”, inoltre è possibile orientarsi con si levano contro il sole colpisce facilità anche lungo quei percorsi sprovchiunque si trovi a passare da visti di segnaletica. La mappa interattiva queste parti. Durante il percorso consente, infatti, di visualizzare la propria si guada più volte il Montagnola posizione sul percorso tramite il GPS del e si arriva dopo circa mezz’ora dispositivo e la App funziona anche senza al Molino dei Cognassi. connessione internet Il molino era un luogo di inconQuesto mese il nostro consiglio è IL tri, dove persone di diversi paesi SENTIERO DEI BRIGANTI, in alta portavano a macinare i prodotti Valle Staffora, che parte dal piccolo padel raccolto nei campi e si ritroese di Fego, frazione di Santa Margherita vavano a concludere vendite di Staffora, e arriva in località Bralello, fraattrezzi e pezzi di terra. Questo zione di Brallo di Pregola. è un percorso Cartina realizzata da A.N.C La Pietra Verde e l’istiututo Comprensivo P. Ferrari di Varzi molino dei Cognassi che si troaffascinante di circa 4,5 km con un disliuna cascina e una stalla, con davanti un di castagni secolari che precede l’arrivo va fra le frazioni di Valformosa e Bralelvello di circa 450 m che costeggia il rio grande prato. La caratteristica ruota molto alla frazione di Bralello. Si percorre infilo era una struttura in pietra a vista con Montagnola, affluente di destra del Torstretta e alta quasi dieci metri è ancora ne un tratto asfaltato fino al cartello che rente Staffora. oggi ben visibile e girava grazie alla spin- segnala l’arrivo al Passo del Brallo, poco Si parte dal centro ta dell’acqua del Fosso del Freddo che na- distante dal sentiero numero 101 che conabitato di Fego e in sce a Cima Colletta, per poi confluire nel duce verso il Monte Lesima. pochi minuti, attraFosso Montagnola e quindi sfociare, nel Il sentiero dei Briganti è indicato al bivio verso un sentiero Torrente Staffora vicino a Fego. In que- con la frazione Fego da un cartello e protra boschi di faggi sto molino si macinavano grano, mais e seguendo nel percorso bisogna seguire i e carpini, si arriva castagne provenienti delle frazioni vicine segni bianco e rosso. in una radura alla come Valformosa, Barostro, Bocco, Cen- Si può ritornare percorrendo a ritroso lo “Grotta dei brigancerate, Casale Staffora, Feligara, Casone, stesso sentiero e , arrivati nell’abitato di ti” dove si trovano Somegli, Corbesassi, Brallo e anche Dez- Fego, si può visitare la caratteristica chiedue enormi massi setta e il “fontanone”, una volta utilizzato za, in provincia di Piacenza. di granito appogIl molino è rimasto in funzione fino al come lavatoio dalle donne del paese, dove giati tra di loro a 1960 quando il primo molino a cilindri è ci si può dissetare con la freschissima acformare una piccola stato costruito a Brallo di Pregola. Da qui qua. grotta che, si narra, il sentiero prosegue in salita nel bosco di nei tempi passati di Gabriella Draghi faggi fino al “bosco dei giganti”, un bosco Il molino dei Cognassi sia stata il rifugio
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MENCONICO
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«Tante seconde case, da parecchi anni non più utilizzate, quest’anno invece sono state quasi tutte aperte» Se ne è parlato anche in alcuni Tg nazionali: la Residenza Socio Sanitaria “I Germogli” di Menconico ha superato bene il periodo della pandemia. Una notizia più unica che rara, tra il gran numero di decessi, inchieste della magistratura e chiusure forzate di numerosissime strutture per anziani della Lombardia. Motivo di orgoglio per il sindaco Donato Bertorelli che nonostante l’amarezza per aver visto chiudere nel suo paese ogni attività commerciale, anche quelle di prima necessità, non si perde d’animo e di fronte a quelli che sono gli aspetti negativi del “suo” paese non si nasconde dietro un dito, li conosce e li vuole affrontare. Una chiacchierata nella quale scopriamo che a Menconico un “via vai del genere” di gente e di seconde case aperte erano anni che non si vedeva. Sindaco partiamo da una “buona notizia”. Nella Rsa sita nel vostro Comune neppure un caso di contagio da Covid – 19. Mi conferma questo dato? «Purtroppo la pandemia ha colpito molto pesantemente tutte le strutture socio sanitarie per anziani: ci sono stati molteplici contagi e tanti decessi. Nella nostra RSA “I Germogli” la situazione è stata tenuta sotto controllo ed i risultati sono stati molto molto buoni. Basta pensare che se prendiamo come riferimento il quadrimestre gennaio-aprile, cioè il periodo più critico, nella nostra RSA quest’anno abbiamo avuto meno della metà dei decessi avuti nello stesso periodo del 2019 o 2018». A chi sente di dare “il merito” di questo risultato? «Certamente grazie all’ordinanza che il Comune ha emanato ad inizio gennaio con la quale vietava l’ingresso in struttura dei parenti degli ospiti. è stata un’ordinanza forse unica ma sicuramente molto contestata e criticata ma che, a risultato raggiunto, ha postato le congratulazioni anche di coloro che in struttura volevano entrare. Il merito principale del buon risultato ottenuto va però a tutto il personale della RSA, dal direttore della struttura, al direttore sanitario, dal medico, agli infermieri e a tutto il personale ausiliario. Solo grazie al loro operato ed alla loro costanza si sono raggiunti buoni risultati. Basta pensare che anche nel periodo di massima criticità in struttura c’era più personale operativo rispetto alla normalità e tutti quanti hanno rispettato con scrupolosità le procedure anti covid. Ho avuto anche una intervista al TG3 in quanto la nostra struttura è una delle poche che a livello Regionale ha superato bene il periodo della pandemia». Il fatto che la struttura sia gestita da una grande società leader in tutta Europa nel settore, a suo giudizio ha fatto la differenza?
«Nella nostra RSA “I Germogli” la situazione è stata tenuta sotto controllo ed i risultati sono stati molto molto buoni»
Donato Bertorelli
«Certamente sì. La nostra struttura è gestita da Sereni Orizzonti società leader a livello Europeo, con dirigenti e personale molto preparato che conoscono perfettamente e sanno prevenire tutte le criticità relative alla gestione di queste strutture. Anche nell’occasione della pandemia hanno saputo come affrontarla ed i risultai si sono visti». Spesso e volentieri la minoranza vi ha “attaccato” a proposito della Rsa accusandola di essere poco appetibile, posti letto vuoti, tariffe alte rispetto ad altre strutture similari. Cosa risponde? «è vero, a Menconico c’è un consigliere comunale di minoranza che non perde occasione per screditare quello che di buono abbiamo. Oramai siamo abituati alle sue “picconate”e non ci fa più caso nessuno. Costui ha rilasciato diverse interviste criticando la gestione della Rsa . Qualche mese fa, dopo la sua ultima “picconata “ relativa alla casa di riposo, il personale operante in struttura ha scritto una lettera ai consiglieri comunali a cui però non è seguita nessuna sua risposta. Va precisato inoltre che questo nostro consigliere durante le sue “picconate “ paragona la nostra Rsa con le Fondazioni esistenti in Valle Staffora, come più volte gli abbiamo evidenziato, sono realtà diverse con statuti e regolamenti diversi e non sono paragonabili, anche se entrambe danno assistenza e curano gli anziani». Facciamo i conti della serva: la struttura è comunale e data in gestione. Cosa ci “guadagna” il Comune da questa “operazione”? «Per un comune piccolo come Menconico certamente è tanto. Il Comune incassa circa 96mila euro e le spese relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria sono a carico del gestore. Inoltre nel contratto abbiamo previsto che le rette degli anziani residenti nei comuni di Menconico, Brallo di Pregola e Santa Margherita Staffora debbano essere, e lo sono, molto agevolate».
Per quanto riguarda invece la situazione sanitaria del vostro Comune, avete dovuto affrontare emergenze? Se sì in che modo? «Il Covid per fortuna ci ha colpito in modo molto marginale, abbiamo avuto solo un paio di casi per fortuna non gravi e la situazione è rientrata. Abbiamo in ogni caso provveduto alla consegna dei generi alimentari a domicilio, alla distribuzione delle mascherine e del disinfettante per le mani, etc. etc. etc. Sono state azioni fatte non tanto per affrontare le emergenze ma al fine di prevenirle» . Nel periodo estivo a Menconico partiva il grest presso la struttura La Pernice Rossa. Quest’anno com’è la situazione? «Quest’anno purtroppo il Covid ha impedito lo svolgimento del grest. Lo dico con grande dispiacere: da anni il Comune organizza il grest presso il centro turistico “La Pernice Rossa”. è stato uno dei primi grest estivi della Valle. La storia della nascita del grest è molto particolare: a Menconico c’erano diverse seconde case occupate d’estate dai nonni con i nipoti; questi ultimi però a Menconico non volevano più venire perchè abitando in frazioni molto periferiche non avevano amici con cui giocare e socializzare e pertanto le case rimanevano chiuse. Abbiamo allora pensato di raccogliere i ragazzi con lo scuolabus e portarli al centro estivo; il risultato è stato straordinario: i ragazzi volevano stare e rimanere solo qui ed i genitori invece del mare dovevano passare a Menconico, nelle loro seconde case, le loro vacanze per accontentare i figli. Inoltre il grest è sempre stato organizzato molto bene, basta pensare che qualche anno fa i ragazzi hanno inventato delle fiabe che il Comune ha raccolto in un libro e poi fatto stampare. I ragazzi lo hanno consegnato direttamente nelle mani di Papa Francesco a Roma. Inoltre durante la trasferta a Roma il Comune ha organizzato la visita in Senato dove i ragazzi hanno provato l’emozione di sedersi sui banchi dei senatori. Ricordi indelebili». Il trend turistico post Covid parrebbe privilegiare l’alto Oltrepò per la sua tranquillità.
Lei ha sentore di questo ritorno al turismo in collina? «Certamente sì. Nel nostro Comune ci sono tante seconde case, un tempo usate per le vacanze estive, ma che da parecchi anni non erano più utilizzate. Quest’anno invece sono state quasi tutte aperte. Tanta gente a camminare per i boschi o in bicicletta o in moto... erano anni che non si vedeva un via vai così. A Menconico abbiamo poi la riserva naturale Monte Alpe che è da grande richiamo e di forte interesse». Tra le tante seconde case ripopolate c’è anche chi, neofita, ha deciso di acquistare una seconda casa a Menconico? «Assolutamente sì, c’è un forte fenomeno di acquisto di immobili da adibire a case per vacanze. Fenomeno che fino a pochi mesi fa era inimmaginabile. Trend molto positivo che il Comune farà in modo di favorire ed incentivare». Criticità? «Ce ne sono diverse di criticità a cui il Comune sta cercando di trovare soluzione. Prima di tutto il dissesto idrogeologico: dopo aver sistemato la frana della frazione Bosco con 3 interventi per un importo di 1.600.000 euro, abbiamo sistemato la frana in frazione Giarola per un importo di 160.000 euro, ma dobbiamo ancora intervenire per la frana che interessa il cimitero di San Pietro Casasco. Inoltre stiamo pensando ad interventi mirati per rianimare il capoluogo: Menconico infatti non ha più un negozio di generi alimentari, non ha più un locale di ritrovo e di ristoro - avevamo la storica trattoria “La Frasca” - che oramai è chiusa da anni... Non è possible avere il nostro capoluogo conciato cosi! Tra le tante cose da fare, valorizzare le nostre produzioni di qualità, tipo il tartufo nero, le patate e il miele, Incentivare la nostra agricoltura e i nostri allevamenti bovini e ovini, combattere il degrado ambientale e il fenomeno dell’abbandono dei terreni coltivati, senza dimenticare le criticità di carattere ordinario quali la pulizia dei torrenti e dei boschi... Isomma le cose da fare sono davvero tante, ci proveremo». di Silvia Colombini
SANTA MARGHERITA STAFFORA
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«Finchè saremo noi a gestire il nostro acquedotto le cose andranno sicuramente meglio perchè siamo sul territorio» Casanova Sinistra situata nel Comune di Santa Margherita di Staffora da oltre cinquanta anni si serve di un acquedotto creatosi spontaneamente da una fonte sorgiva. Il consorzio, costituito dagli abitanti stessi, si è sempre prodigato affinché la gestione non venisse mai affidata ad un ente esterno e due giorni fa è stato eletto un nuovo presidente: Filippo Celasco. Perché è stato scelto per questo ruolo? «È stato necessario il cambio della guardia vista l’età anagrafica del precedente presidente. Mi è stato offerto questo incarico perchè sono nativo del luogo. Il vecchio direttivo poi è stato rinnovato inserendo anche alcuni giovani». Quale sarebbe stata l’alternativa? «L’alternativa sarebbe stata la decisione drastica di lasciare il nostro acquedotto storico ad una azienda municipalizzata, con una gestione esterna effettuata tramite l’utilizzo di contatori dal punto di vista fiscale e un’incognita dal punto di vista assistenza guasti». Quindi gli abitanti vedrebbero solo svantaggi in quella direzione, giusto? «Sì. Finchè saremo noi a gestire il nostro acquedotto le cose andranno sicuramente meglio perchè siamo sul territorio. Quando si diventa un numero in mezzo a tanti, non è detto che in caso di necessità si possa ricevere immediatamente assistenza. I vantaggi nel mantenere il nostro acquedotto sono molteplici anche se ritengo ci debbano essere anche dei doveri». Per esempio? «Prima di tutto la manutenzione ad esem-
«Una manutenzione regolare garantisce un servizio più che sicuro e un notevole risparmio a livello economico»
Filippo Celasco, neo eletto presidente del Consorzio
pio in caso ci dovessero essere dei tubi da cambiare. Gli stessi soci consorzisti si prendono in carico la manodopera e già questo è un notevole risparmio. Purtroppo negli ultimi due anni, il vecchio direttivo ha avuto qualche comprensibile difficoltà ma, con il programma appena iniziato stiamo già effettuando tutti i controlli necessari. Una manutenzione regolare garantisce un servizio più che sicuro e un notevole risparmio a livello economico». Come è l’acqua di Casanova Sinistra? «Buonissima e viene regolarmente analizzata dai laboratori competenti. Al di là del fatto che io sia il presidente, la nostra acqua è un vero tesoro ed un vanto per noi. L’ intera comunità ha sempre
collaborato alla gestione dell’acquedotto sia a livello pratico, con la manodopera, che economico, pagando ognuno la propria quota. Faremo tutto il possibile per mantenere attivo il consorzio non senza qualche preoccupazione». Vi sentite come una “Spada di Damocle” sulla testa? «L’idea che ci siamo fatti è che nei prossimi anni dovremo risparmiare il più possibile con il nostro lavoro e magari fare qualche assicurazione e preventivi di lavori dato che è un acquedotto storico e vorremmo garantirne la continuità. A Casanova possediamo due cose: aria buona e acqua e desideriamo utilizzarla al meglio». Come pensate di riuscirci?
«Intanto dobbiamo capire bene come ci sono riusciti prima di noi. Dobbiamo imparare dai nostri predecessori per far funzionare il sistema così da trovare la giusta via. Il nostro impegno finale è quello mantenere al meglio con un lavoro di squadra il nostro acquedotto». Anche Casanova Destra ha un proprio consorzio, avete mai pensato di unificarli? «In questo Comune ne sono rimasti alcuni oltre ai due di Casanova. Infatti anche Cignolo e Fego hanno il proprio consorzio per l’acquedotto. Tutti gli altri paesi del Comune sono finiti con gli enti esterni. L’ acqua è il bene più prezioso e durante il lokdown è l’unica cosa che non abbiamo comprato al supermercato. Certo è stata valutata la possibilità di unificare gli acquedotti ma è stata scartata l’idea perché alla fine è molto più semplice mantenerci così, ognuno con il proprio consorzio». di Stefania Marchetti
ROMAGNESE
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Croce Azzurra, «Per ritornare operativi necessitano aiuti che speriamo di reperire» La Croce Azzurra di Romagnese nasce nel 1980 quando, dopo la morte in un incidente stradale di un ragazzo di Romagnese, i genitori ed un gruppo di volontari del paese decidono di fondare questa associazione in memoria. Da quarant’anni sul territorio, la Croce Azzurra si è sempre autofinanziata con le donazioni da parte della popolazione. è attiva una convenzione a “gettone” con Areu - l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza - «Che ammortizza a mala pena la missione in emergenza 118» - come conferma il Presidente Pier Giovanni Matti. Inoltre causa Covid 19, è sempre più difficile se non impossibile reperire fondi effettuando manifestazioni e quei pochi rimasti sono serviti per le spese della dipendente e la manutenzione dei mezzi. Altro problema è legato alla difficoltà nell’arruolare volontari, si auspica un maggiore interesse per questo lodevole percorso di volontariato. Ne parliamo con Pier Giorgio Matti, presidente Croce Azzurra da 12 anni. Presidente, questo è stato un momento delicato per la Croce Azzurra che si è ritrovata senza i propri dipendenti ed i volontari. Ci spiega cosa è successo? «A metà aprile 2020, causa Covid 19, abbiamo dovuto, non per nostra volontà, sospendere i servizi 118 e ad oggi non abbiamo più dipendenti che, per motivi personali, non sono più a disposizione della Croce Azzurra». Concretamente la Croce Azzurra è dal periodo del pre Covid che ha cessato di fornire i propri servizi alla comunità.
C’è stata un’evoluzione o la situazione è rimasta pressoché identica? «Nel mese di marzo fino a metà aprile abbiamo lavorato incessantemente con i servizi 118 e la maggior parte dei pazienti erano affetti da Covid 19. Da allora effettuiamo solamente servizi sanitari semplici! Ad oggi la situazione è identica». La Croce Azzurra è sempre stata un punto di riferimento per la Val Tidone: Colli Verdi, Romagnese e Zavattarello, i tre Comuni che usufruivano dei servizi dell’associazione. Le tre amministrazioni hanno fatto pressione presso l’Areu - affinchè venisse potenziato il servizio? Dalla Croce D’Oro di San Nazzaro è arrivato un mezzo che però dal primo agosto ha cessato la sua attività. I tre sindaci secondo lei hanno fatto tutto quanto in loro potere? «I sindaci stanno aspettando risposte da Areu che ad oggi non sono ancora arrivate. Per quanto riguarda la Croce D’oro, con tutto il rispetto per il lavoro svolto, ritengo che si è preferito pagare un’ambulanza che giornalmente saliva da Sannazzaro piuttosto che trovare una soluzione alla Croce Azzurra Romagnese che ha una sede, 2 ambulanze 4x4 e due mezzi per i servizi ausiliari direttamente sul posto». Cosa vuol dire per un territorio così vasto rimanere senza un servizio come il vostro? «Significa aspettare dei soccorsi dalle postazioni più vicine come Varzi, Voghera o Stradella che, considerate le strade dissestate e i lunghi chilometri di percorrenza, non oso immaginare i tempi di attesa con
le relative conseguenza su casi gravi e urgenti». Siamo in un periodo in cui la vallata è certamente più popolata rispetto al resto dell’anno. Aumenta la popolazione, aumentano i turisti ed i viaggiatori di conseguenza aumentano ahimè incidenti o casi in cui è richiesto un intervento di primo soccorso. Ad oggi se ciò accade chi si deve chiamare? «In tutti i casi di emergenza-urgenza si fa riferimento al numero 118 oppure 112». Oltre al primo soccorso quali erano gli altri servizi che mettevate a disposizione della Comunità? «Servizi ausiliari per esami, visite mediche e dimissioni ospedaliere». Per poter vedere uno spiraglio e poter mettere in piedi una nuova convenzione con Areu è necessario rinnovare il di-
rettivo e depositare il bilancio. Quando sono previste queste due operazioni? «Entro la metà di Agosto queste due operazioni verranno espletate». A metà agosto verrà rinnovato il direttivo. Lei si ricandiderà? «Ormai sono più di dodici anni che sono Presidente della Croce Azzurra Romagnese e penso che mi candiderò anche nel prossimo direttivo». Tornerete ad essere operativi? «Per ritornare operativi necessitano aiuti che speriamo di reperire per pagare il personale dipendente che serve a garantire il servizio 118 . è un sogno che spero diventi prestissimo una realtà per il bene di tutta la nostra popolazione». di Silvia Colombini
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MONTALTO PAVESE
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Sacchi: «Non ci vedo i motociclisti a produrre tutti questi atti vandalici» Ci hanno insegnato che l’impegno e la buona volontà vincono sempre sull’inciviltà. Qualche volta, però, la buona battaglia è più difficile. E, episodio dopo episodio, anche ai più volenterosi può venire voglia di mandare tutto e tutti a ramengo e di abbandonare i propri propositi. Quelli di Montalto Pavese invece meriterebbero una medaglia al valor civile. Proprio perché non si arrendono mai. Giusto giusto un anno fa hanno inaugurato uno splendido percorso naturalistico: “Il sentiero delle farfalle”. Un’operazione ben fatta e interessante ben oltre il livello comunale. Eppure, a qualcuno non deve essere andata a genio. Già, perché per ben tre volte il sentiero è stato divelto dal passaggio di moto e fuoristrada; la cartellonistica è stata rovinata. Da chi? Da qualche abietto, meschino e perfino pusillanime, dato che si è ben guardato dal rivendicare i suoi reati. Il movente? Non è chiaro nemmeno quello. Qualcuno ha pensato all’inettitudine di quei motociclisti della domenica e da strapazzo (che non rappresentano tutta la categoria ma soltanto loro fessi), quelli che - bontà loro - non si accorgono nemmeno di creare un danno. Ma c’è di più. Qui c’è proprio il desiderio di nuocere, di dare fastidio, di mancare di rispetto. E dinanzi a questo non esiste giustificazione. Comunque, quelli di Montalto non sono rimasti mani con le mani in mano: quante volte il sentiero è stato vandalizzato, tante sono intervenuti per ripristinarlo (e renderlo ancora più bello di prima). In tempi brevi. Significa una cosa soltanto: credono in quello che hanno realizzato. Che cosa è successo esattamente a Montalto, da un anno a questa parte, ce lo siamo fatti spiegare da Andrea Sacchi, Assessore all’Ecologia, all’Ambiente e al Territorio del comune guidato dal sindaco Angelo Villani. Torniamo indietro di un anno esatto: che cos’è il sentiero delle Farfalle? Come ha preso vita? «L’idea nasce proprio dalla bellezza che è propria di quella parte di territorio: il Belvedere e la Costa del Vento. E dall’incontro con un’associazione, che si chiama “IOLAS”, che si occupa proprio di farfalle. Loro avevano il progetto di realizzare questi sentieri per l’osservazione delle farfalle. In quel periodo è capitata l’occasione con il progetto Attivaree – Oltrepò Biodiverso di avere gli stanziamenti necessari...» È stata presa la proverbiale palla al balzo. «Nel nostro caso è stato semplice selezionare il percorso e la zona dove realizzarlo, perché si trattava di un luogo già storicamente dedicato alle osservazioni, sia
Vandalizzato il Sentiero delle Farfalle L’amministrazione interviene
Volontari sistemano “Il sentiero delle Farfalle” recentemente vandalizzato
dei rapaci, sia delle farfalle. Questa area ricade nel corridoio verde che va dal Po fino al Penice e agli altri monti dell’Oltrepò; un continuum verde dove le farfalle si possono riprodurre. Insomma: era il posto ideale per realizzare questo sentiero, ed è arrivata anche l’occasione ideale...» Una serie di coincidenze. Con il finanziamento cosa si è realizzato, in concreto? «Il finanziamento è servito alla realizzazione del sentiero: nel nostro caso era praticamente tutto già tracciato, perché si trova sulla vecchia strada comunale per Valorsa e in parte su una strada vicinale. È il più lungo fra tutti i sentieri delle farfalle, dato che è lungo quasi tre chilometri.» Un’autostrada praticamente. Un’autostrada delle farfalle. Qualcuno purtroppo è uscito dalla metafora e l’ha scambiato per un’autostrada vera... «Fra l’altro si tratta dell’unico sito italiano scelto dalla Comunità Europea per un progetto di monitoraggio delle farfalle. Un progetto complicatissimo, che nel resto del mondo è partito vent’anni fa, mentre in Italia si sta facendo strada soltanto adesso. Montalto è il posto numero uno in Italia quindi, da questo punto di vista. Anche perché qui si osservano oltre 155 tipi di farfalle diverse. Basti pensare che nell’intero Regno Unito se ne contano una trentina.»
Una delle bellezze della nostra Italia è proprio quel patrimonio di biodiversità che non si ritrova da nessuna altra parte nel mondo. «Secondo me l’Oltrepò, in particolare, è un concentrato di tutto questo. Con il discorso di questo corridoio verde che va dalla pianura all’alta montagna, abbiamo in 70 km una biodiversità che gli altri si sognano.» C’è un’altra realtà in Oltrepò che valorizza la bellezza dei lepidotteri: il parco di Valverde. «Proprio tramite Iolas, con Francesco Gatti, siamo tutti in contatto in modo che si possa collaborare, che ci si possa scambiare anche delle possibilità. Anche se il nostro caso è molto diverso da quello di Valverde, perché il loro è un sentiero urbano mentre il nostro si snoda in alta collina». Però si tratta di proposte complementari, e non alternative, e non soltanto per gli appassionati. Chi viene a scoprire Valverde può gettare un occhio anche su Montalto, e viceversa. «Senza dubbio, infatti sia il sito web di Iolas, sia quello di Attivaree, ci sono sezioni per per far conoscere entrambi i luoghi.» Il sentiero è stato inaugurato proprio un anno fa. «L’ultima settimana di luglio abbiamo messo giù le bacheche, i pali; inoltre i vo-
lontari avevano realizzato delle farfalle di legno per abbellire ancora più i cartelli.» Quest’anno è stato strano per i noti motivi epidemiologici, quindi non può essere preso a riferimento per le statistiche. Quello passato, l’anno “zero”, come era partito per questa novità del panorama turistico oltrepadano? «L’anno scorso dopo l’inaugurazione, alla quale eravamo in cinquanta, non c’era stato poi grandissimo interesse. Quest’anno, finito il lockdown, c’è stata un’invasione di persone. Nel primo mese in particolare dovevamo andare su e chiedere alle persone di non fare assembramenti.» Vuol dire che l’idea ha colto nel segno. «L’idea ha centrato in pieno i nostri obiettivi. Questi posti erano già conosciuti; ora sono stati valorizzati ancora più. E li saranno ancora. Infatti stiamo studiando alcuni strumenti amministrativi per tutelarli, per evitare per esempio che moto da cross o fuoristrada scavino solchi nei sentieri e li rendano inagibili». A fronte di questo successo anche di pubblico ci sono stati purtroppo episodi di danneggiamenti. Cattiverie gratuite, li definirei... «Noi li abbiamo definiti come sabotaggi. Probabilmente da parte di qualcuno che nella propria vita non ha avuto successo, e quindi deve dare la colpa agli altri del proprio insuccesso, e danneggia quello che gli altri fanno. Io non ci vedo i motociclisti a produrre tutti questi atti vandalici.» Insomma: qualche frustrato. «Questo è un danneggiamento che viene fatto al paese, al turismo; ma non perché diano fastidio ai motocrossisti. Non è quel genere di gente che ci ha fatto il danno.» Si sono viste però strisciate di gomme ben nitide, sul sentiero... «Si tratta sicuramente di persone che salgono in auto - non in moto - ma non per questo sono appassionati di fuoristrada.» Quindi ci sarebbe una precisa volontà di danneggiare l’Amministrazione... «Magari non la nostra Amministrazione, perché penso non esista nessuno che ne abbia motivo. Però la volontà di danneggiare le iniziative che vengono prese per creare una maggiore attrattività Oltrepò, questo sì.»
MONTALTO PAVESE Mi resta un po’ difficile immaginare che ci sia qualcuno che abbia nella vita un obiettivo del genere. Ma non saranno nemmeno i fantasmi a spaccare tutto. Quindi forse ha ragione lei. «C’è un sacco di gente che non desidera che cambi l’orientamento dell’Oltrepò, non vogliono diventi una zona turistica. Io capisco che possa essere noioso avere le macchine in coda al Belvedere il sabato o la domenica d’estate, magari per chi deve lavorare la terra. Ma questo è il futuro dell’Oltrepò Pavese dopo il Covid, poi, ce ne rendiamo ancora più conto. Bisognerebbe capire che c’è solo da guadagnare - per tutti - se l’Oltrepò si rilancia.» Quali programmi avete per il sentiero, da questo momento in poi? Come rispondere a questi attacchi ripetuti? «Lo abbelliremo ancora di più. Sono stati allestiti sgabelli e banche, costruiti dai nostri volontari con il legname proveniente dai nostri boschi. La nostra risposta è sempre a stessa: ripariamo i danni fatti e miglioriamo la situazione. Secondo me si stancheranno prima loro. C’è poco da fare: noi, questo sentiero, lo vogliamo tenere. E vogliamo tenerlo bello.» Quella di Montalto è una comunità che si dà molto da fare. Quando c’è da rimboccarsi maniche sono in tanti a farsi avanti, ricchezza da non dare per scontata. «C’è sempre stato questo spirito. Nel periodo del Covid, poi, in modo particolare. Ci siamo impegnati tutti per distribuire quello che serviva, facendo in modo che
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la popolazione anziana, in particolare, non dovesse uscire di casa. E a Montalto abbiamo molti anziani. Un po’ tutti si sono organizzati per proporre servizi a domicilio: il negozio, la farmacia... poi abbiamo un’Auser che si fa sempre in quattro per risolvere qualsiasi esigenza. Inoltre è stata portata avanti un’attività di sorveglianza con l’aiuto di alcuni volontari per evitare che venissero in paese persone dall’esterno durante il lockdown. Di solito, negli anni normali, organizziamo un sacco di belle feste. Quest’anno ci siamo concentrati di più sulla solidarietà, che comunque è sempre stata nelle nostre corde.» Un impegno forse diverso da quello consueto, ma pur sempre un impegno per il paese. Ancora meglio se più funzionale a ritrovarsi tutti con lo stesso spirito. «Sono vent’anni che abito qua e sono vent’anni che mi stupisco ogni volta di come magari al bar si facciano tante critiche, di come non sempre si sia tutti d’accordo; ma poi, nel momento in cui ci sia da fare qualcosa di importante, tutti insieme ci si rimbocchi le maniche. Abbiamo sistemato il campo sportivo allo stesso modo, lavorando tutti insieme: membri dell’amministrazione e non.» Anche il parco giochi, di recente. Sì, grazie a due donazioni è stato rifatto il pavimento in gomma e ed è stata piantumata tutta l’erba nuova.» di Pier Luigi Feltri
Andrea Sacchi, assessore all’Ecologia, all’Ambiente e al Territorio
I volontari subito al lavoro. «Sono vent’anni che abito qua e sono vent’anni che mi stupisco ogni volta»
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l’oltrepò del vino
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«Molti non hanno l’umiltà di guardare cosa fanno gli altri, cercando di capire la strada giusta» Un uomo, un vulcano: ecco a voi Carlo Casavecchia. Un vulcano attivo, proprio come quell’Etna dove si reca frequentemente per seguire un progetto al quale tiene parecchio. In una terra, la Sicilia, che a lui ha dato tanto in termini sia professionali, sia umani. Quando lo abbiamo intercettato al telefono, però, si stava spostando da Casteggio a Trento. Strano percorso per chiunque, non per uno dei più bravi spumantisti italiani. Volevamo parlare di vino e di territorio con quello che a tutti gli effetti ha le carte in regola per interpretare il ruolo dell’opinion-maker sopraffino. Altro che influencer. Anche se con ogni probabilità non ci pensa neanche lontanamente. Perché, intanto, a queste latitudini nessuno glielo chiede (a parte noi). E poi perché non avrebbe nemmeno il tempo, preso com’è nella sua missione di trasformare vini potenzialmente buoni in vini eccellenti. In giro per tutto lo stivale. Passando per Ballabio, cantina di Casteggio che si fregia di averlo come consulente. Azienda storica, passata poi a rifornire le basi di Berlucchi, e infine riconvertita a produzioni spumantistiche di notevole qualità: l’ormai celebre “Farfalle”. Prima di affrontare con Casavecchia i temi che ci stanno a cuore, e che vi raccontiamo ogni mese, vogliamo presentarvi il personaggio, che in Oltrepò è noto agli addetti ai lavori, forse meno al pubblico dei consumatori. Se non per una fugace, ma rumorosa, esperienza in quella che è la più grande cooperativa vinicola del territorio: Terre d’Oltrepò. Nulla può parlare di lui meglio della sua storia – e infatti ce la siamo fatta raccontare. Lui all’inizio obietta: “Ma la mia storia è parecchio lunga: non sono più un giovincello”. Perché, quanti anni ha? «Sono del ‘62, ho 58 anni.» Ma lei è un ragazzino. Poi chi fa il suo mestiere, quello del consulente, praticamente non va mai in pensione. Sono ancora tante le pagine da scrivere! Ma iniziamo a leggere quelle già scritte. «D’accordo. Cominciamo col dire che sono nato in una cantina; nel senso che la mia famiglia possiede una tenuta nel Barolo, a Diano d’Alba. 10 ettari dai quali ricaviamo circa 50mila bottiglie. Sono il primo di tre fratelli maschi. Da giovane ho iniziato a fare alcune esperienze fuori dall’azienda e quindi sono stato fagocitato dal mondo esterno. All’azienda di famiglia penso un po’ nel fine settimana. Se ne occupano direttamente i miei fratelli, anche se siamo tutti soci. Dalle mie parti ci sono aziende molto piccole, a carattere famigliare; però forniscono un buon fatturato.
Carlo Casavecchia, consulente, tra le altre, della Cantina Ballabio di Casteggio
Le bottiglie si vendono a prezzi molto migliori rispetto all’Oltrepò.» Un territorio che ha saputo “fare territorio” in tempi non sospetti. «Il Piemonte ha sempre avuto la fortuna di avere alcuni caratteri passatigli da Oltralpe. Non sono un nostalgico... ma al tempo dei Savoia, quando il Piemonte era molto vicino alla Francia e in special modo alla Borgogna, una certa mentalità ha fatto sì che il territorio galoppasse dal punto di vista anche enologico.» Quale mentalità? «La coltivazione di vigne uniche, cioè monovitigno; il cercare di portare il prodotto al consumatore finale (quindi alla bottiglia). Il Piemonte è una regione dove ci sono migliaia di piccole realtà; ci sono anche realtà grandi, ma l’economia e l’immagine viticola sono portate avanti da moltissimi piccoli produttori.» Senza andare alla preistoria: l’Oltrepò fino a qualche decennio fa non era molto diverso dal Piemonte della stessa epoca. Che però si è evoluto diversamente. Ah, che miracoli fa la mentalità. Ma dicevamo di lei. «Nella mia carriera avrei continuato a lavorare in piccole aziende, dopo le prime esperienze dopo gli studi e dopo aver fatto – come tutti – il militare. Ma due personaggi importanti della mia vita – uno è Giacomo Tachis, e l’altro era mio suocero, uno dei più grandi enologi piemontesi produttori di vini rossi – mi hanno detto: “Tu hai delle potenzialità, è un peccato che ti metta a lavorare qui in una piccola realtà. Fatti un’esperienza in una grande azienda”. A quel tempo Cinzano, a Santa Vittoria d’Alba, stava cercando un tecnico disponibile a viaggiare. Così sono entrato a 22 anni in Cinzano, e dopo pochi mesi mi hanno destinato alla Florio, in Sicilia, a Marsala.» Dove è rimasto parecchi anni.
«Venticinque anni. Alla Florio sono rimasto sei anni fisso come direttore di stabilimento. Poi andò in pensione in Cinzano il direttore tecnico, e in azienda ritennero di nominarmi, nonostante fossimo una ventina di enologi e nonostante avessi soli 28 anni, direttore tecnico del Gruppo Cinzano. Da lì ho iniziato a viaggiare. Parecchio. Cinzano è una realtà impressionante. Un gruppo da 500 milioni di bottiglie, con stabilimenti in Argentina, Cile, Sudafrica, Ungheria, India... oltre allo stabilimento di Santa Vittoria. Avevo la responsabilità di tutto questo. In quel contesto ho fatto studi di erboristeria, dato che le produzioni erano diverse. Una delle parti fondamentali consisteva nel vermouth, ma c’erano anche liquori, distillati... concetti di produzione molto diversi da quelli che conoscevo già. Ho dovuto vedermi un po’ tutto il mondo annesso al vino.» E il suo rapporto con Tachis? «La mia amicizia con Tachis è sempre stata molto alta. Ci vedevamo spesso, e ho seguito con lui tutti i suoi grandi progetti. Lui è stato fisso in Toscana fino al 1991/92; è sempre stato molto corretto con gli Antinori, se faceva qualche consulenza avveniva solo con il loro consenso. Dopo la pensione è stato più libero. Difatti è diventato consulente della Regione Sardegna, con la cantina di Santadi che seguo tuttora io; con la Sicilia – Diego Planeta e l’Istituto Vite e Vino...» Senza dimenticare i grandi vini piemontesi. Tachis ha fatto la storia in molte realtà. «Ha messo le mani dappertutto, e molte cose le conosco bene proprio perché ci abbiamo lavorato insieme.» Proseguiamo con l’amarcord. «Sono stato in Cinzano (e quindi in Florio, sotto Cinzano) fino al 2000. Allora la Diageo, che deteneva il controllo della società, ha deciso di cedere sia il marchio
Cinzano, sia la Florio. Si fece avanti la ILLVA Disaronno, che mi chiese di rimanere in Florio e di aiutarli ad acquistare il Duca di Salaparuta – azienda storica siciliana, che era in mano alla Regione Sicilia. Così nel 2000 ho lasciato Santa Vittoria e sono ridisceso in Sicilia; abbiamo partecipato al bando e abbiamo acquistato Duca di Salaparuta. Un gruppo da oltre 7 milioni di bottiglie, allora. Sono stato lì fino al 2010 come direttore generale.» Nel frattempo Duca di Salaparuta era diventato una cantina ancor più nota, presentissima nel canale horeca. La è tuttora. Praticamente in tutti i ristoranti. «Avevamo avuto dei successi notevoli.» Nel 2010 arriva in Oltrepò. Era la prima collaborazione qui? «Collaborazione vera e propria sì, ma avevo avuto diversi rapporti. Con Cinzano noi compravamo un sacco di uva. Negli anni 1985/’86 (quando io facevo il Pas Dosé Marone Cinzano, uno dei primi metodo classico Pas Dosé italiano, quasi 500 mila bottiglie) ritiravamo 10mila quintali di uve Pinot Nero in cassette. E come noi anche Riccadonna, Gancia, Martini. L’Oltrepò era il bacino naturale delle basi spumanti dei grandi spumantisti dell’epoca. Oggi noi parliamo di Franciacorta, di Trento... ma la spumantistica italiana è nata in Piemonte, nelle mani di aziende che oggi quasi non sono più sul mercato.» A Casteggio alcuni dicono che il metodo classico italiano sia nato lì. Come la mettiamo? «Purtroppo non è così. La prima spumantizzazione italiana ufficiale è stata fatta in Piemonte, da Gancia, nel 1860. La seconda da Cinzano, nel 1865. La terza, se le dico dove, si mette a ridere...» Me lo dica, ho voglia di ridere... «Sull’Etna! Uno di questi grandi baroni aveva un enologo francese, proveniente dallo Champagne... era il 1868: prima spumantizzazione sull’Etna. Poi sicuramente Angelo Ballabio, senza dubbio fra i primi (siamo, credo, a fine Ottocento) aveva iniziato una collaborazione con Riccadonna. Diciamo che il Metodo Classico è stato rubato ai francesi dai piemontesi, che hanno mandato dei cantinieri in Champagne e tramite chi lavorava in cantina hanno appreso i loro metodi.» Torniamo all’Oltrepò, che a parlare di Champagne ci si illuminano troppo gli occhi. «In Oltrepò ci lavoravo, quindi; finché sono stato in Cinzano. Facevamo fare anche alcuni vini, sia alla cantina di Casteggio, sia a quella di Broni. Ed è stata proprio questa, con il presidente Mangiarotti, che mi aveva contattato durante un Vinitaly, proponendomi la direzione generale.
l’oltrepò del vino Subito avevo detto no; poi c’era stato qualche problema, nella mia azienda. Come ha detto lei, i nostri vini erano presenti in tutti i ristoranti e ben quotati. Ma la proprietà non era soddisfatta dei volumi. Allora producevamo 13 milioni bottiglie, ma si voleva fissare l’obiettivo a 30 milioni. Per me non è il numero a contare, ma come si vende il prodotto. Basti pensare a Gaja, che fa 300mila bottiglie ma le vende molto bene... Così ci fu una discussione e diedi le dimissioni. Mi trovai a valutare diverse proposte.» Anche la cantina di Broni, però, aveva propensione a una produzione orientata alla quantità. Seppure con volumi diversi da quelli che le chiedevano in Sicilia. «Sono stato un po’... fregato. Ma è stata colpa mia. In quel momento Cagnoni doveva andare in pensione, e io avrei preso la direzione generale. Il mio progetto era quello di trasformare Casteggio in un’azienda di imbottigliamento di livello; e Broni, logicamente, avrebbe conservato la sua connotazione orientata allo sfuso di qualità. Purtroppo non conoscevo alcuni retroscena. Per cui mi sono fermato poco: un anno e tre mesi. A quel punto Tachis mi ha consigliato di iniziare a fare il consulente, avendo ormai maturato esperienze e competenze. Purtroppo, anche se è brutto dirlo, ho fatto anche un infarto piuttosto forte, grazie alle “soddisfazioni” di quel periodo. Io ho sempre lavorato vini di qualità; avevo tentato di cambiare in questa direzione ma era impossibile.» Passiamo a un periodo decisamente migliore... iniziato nel 2012. «Attualmente seguo Terre del Barolo, la più grossa cooperativa di Langa, che pigia il 20% di tutto il Barolo. In Oltrepò ho tenuto solo Ballabio, che è l’unico che ha sposato le mie teorie. Anche loro avevano delle problematiche un po’ simili a quelle di Terre d’Oltrepò; ma Filippo Nevelli, che è una persona molto intelligente, ha capito che doveva cambiare. Quel modo di lavorare è finito. Per me una delle bandiere del territorio è il Metodo Classico; e se lo si fa, va fatto seriamente. Devo dire che sono molto contento, perché anche il mercato sta riconoscendo la qualità di questo Pinot Nero dell’Oltrepò.» Il famoso “Farfalla”. La mano si sente. «La ringrazio della sua fiducia, ma in tutte le cose basta metterci la buona volontà e la passione.»
«Il Consorzio? Veronese mi ha fatto una buona impressione»
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Bastassero quelle avremmo migliaia di vini eccellenti. Invece abbiamo tanti piccoli chimici. «Una cosa brutta che c’è in Oltrepò è che molti non assaggiano bene e non hanno l’umiltà di guardare anche cosa fanno gli altri, cercando di capire la strada giusta. Piuttosto, cercano la scorciatoia: quello che costa meno, che dà meno problemi. Altra cosa: a fianco di vini buoni ci vuole anche l’aspetto estetico della cantina. Là dove il vino ha fatto più strada, è anche dove l’aspetto paesaggistico ed estetico delle cantine ha avuto la sua importanza. Se lei viene in Piemonte, ma anche se va in Veneto o nella stessa Sicilia, nota che si bada moltissimo a come vengono presentate le cantine. In Oltrepò invece ci sono troppi capannoni, con aspetti osceni.» Siamo sempre allo scontro fra le realtà che vogliono cambiare il territorio e quelle che vogliono mantenere lo status quo. Tanto per citarne due: se pensiamo a Vistarino ma anche a Torrevilla, che è una cooperativa, non possiamo ignorare gli investimenti effettuati di recente nell’ammodernamento delle cantine e degli spazi dedicati ad accogliere i clienti. «Ma lo status quo sta portando l’Oltrepò a una situazione che non è né carne né pesce. L’orientamento sul Pinot Grigio, sulle grandi produzioni, ha voluto emulare una situazione del basso Veneto, che però rispetto all’Oltrepò ha dalla sua un grosso vantaggio: la produzione in quintali. Normalmente i vigneti del basso Veneto producono 200 quintali di uva a ettaro. In Oltrepò se va bene se ne fanno 120, e per arrivare ai 200 dei disciplinari bisogna... “inventarsi” le cose. Come si fa a perseguire una volontà di grandi volumi quando non c’è la vocazionalità territoriale? Non si può fare irrigazione, non si possono fare impianti con espansione del vigneto tale da arrivare ai 200 quintali a ettaro. I disciplinari fanno ridere, perché riportano quantità che non possono essere prodotte in alcun modo.» Potremmo stare qui a parlare per un po’ di revisioni dei disciplinari, di tavole rotonde e di tavoli tecnici... «Mi permetta: a un certo punto bisognerà trovare le 3/4 bandiere che dovrebbero dare un’identità al territorio. A parte il Metodo Classico, magari il Riesling, il Bonarda… ci può essere un Pinot Nero in rosso. Non devo dire io quali debbano essere individuati come vino-bandiera; ma non si possono avere tutti questi vini che ci sono attualmente. Si crea una confusione sul mercato che non ti porta da nessuna parte. Il Brunello non ha la versione frizzante, giovane o invecchiato. L’Amarone lo stesso, anche il Barolo. Mentre il Buttafuoco ha diverse varianti. E confonde. I vini che danno un’identità territoriale devono essere riconoscibili. Magari scegliamone 4 o 5, i più rappresentativi. Non 27 o 28. Poi se uno vuole fare il Merlot o il Sauvignon, che lo faccia. Ma che non sia però nella denominazione centrale della Dop.» Mi parli della sua esperienza in Ballabio.
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«Il mio progetto era quello di trasformare Casteggio in un’azienda di imbottigliamento di livello; e Broni, logicamente, avrebbe conservato la sua connotazione orientata allo sfuso di qualità» «A Ballabio facciamo tre vini. La scelta è caduta sul Metodo Classico, la bottiglia che riusciva a riportare in azienda i costi sostenuti. Nonostante si faccia selezione, si faccia invecchiamento in bottiglia, alla fine i costi pagano. Meglio fare così che avere decine di cisterne che in mano non ti lasciano assolutamente nulla. Noi siamo dovuti uscire con il metodo classico all’inizio non riportando la denominazione, perché ci avrebbe portati verso il basso. Quando tutti gli altri Oltrepò vengono venduti a 7/8 euro, tu non ti puoi piazzare a 15: ti dicono che sei un pazzo. Non chiamandolo Oltrepò, ci siamo confusi con gli altri, mimetizzati. Lo dicevo al direttore del Consorzio: adesso che il nostro vino è conosciuto e si comincia a parlare di Farfalla, forse potremo presto iniziare a chiamarlo Oltrepò.» A proposito di Consorzio: lei ha seguito le vicende degli ultimi anni? «Non molto. A parte la mancanza di tempo, nel corso degli anni ho visto troppa aria fritta. Ho conosciuto il nuovo direttore qualche settimana fa, prima non lo conoscevo e ci siamo scambiati quattro parole. Tenga presente che io passo un giorno ogni quindici in Oltrepò, perché sia la Sicilia, sia la Sardegna – senza contare il gruppo Cavit – mi assorbono molto tempo. Comunque Veronese mi ha fatto una buona impressione. Intanto è un conoscitore delle dinamiche consortili, che non sono semplici: bisogna essere esperti e navigati, e capaci di confrontarsi con vari punti di vista senza urtarsi. Sicuramente il suo lavoro non sarà facile.» Siccome lei si muove molto su questa direttrice, saprà bene che diversi barolisti da qualche tempo hanno preso ad acquistare terreni in una zona semisconosciuta fino a poco più di dieci anni fa: il Derthona. Un territorio che ha visto un’ascesa davvero incredibile nel giro di pochissimi anni. Proviamo a legare questo discorso al futuro dell’Oltrepò. Quanti secoli ci vorrebbero per rivedere qui un percorso simile? «I barolisti si stanno buttando sul Timorasso perché trovano una strada fatta, segnata a livelli alti. Si trovano in mano un bianco già instradato. E non è un vino di primo prezzo. Il problema dell’Oltrepò è che il territorio è molto grande, lì invece parliamo di pochi ettari. In più le dico, e questa non è una bestemmia, che è più facile valorizzare una zona sconosciuta che rivalutare una zona nota per aver ricevuto parecchie batoste. Bisognerebbe pregare
che per almeno una decina di anni non scoppino più scandali, fenomeni quali quelli che sono successi e che hanno dato una pubblicità negativa rilevante. Inoltre la zona è grande e produce grande quantità di vino. Che poi va smerciato, causando una diminuzione dei prezzi.» Il territorio è troppo grande? Dividiamolo in zone più piccole, omogenee. «Lei sfonda una porta aperta. Anche nell’ottica di scegliere quei 5/6 vini bandiera che dicevamo prima... Facciamo un gioco. Pensiamo di piazzare il Riesling a Montalto, il Pinot Nero in alta Valle Versa e la Bonarda nel Bronese e nelle zone basse. Si risolverebbero già molte problematiche. Qua invece si vuole fare tutto, dal bianco al rosso invecchiato, da Stradella fino a Ruino: le cose non funzionano così.» Come sarà la vendemmia ormai alle porte? «È un po’ difficile stabilire quando partire. La produzione è buona, c’è un buon carico di uva su pianta, qualche difformità – come sempre – nel cambio colore. Un pochettino di ritardo rispetto a quello che si pensa, secondo me, ci potrà essere. Da lunedì iniziamo le campionature.» Casavecchia dove si vede fra 10 anni? Continua a girare come un matto: prima o poi si fermerà da qualche parte? «È una bella domanda. Fino al 2012 non valutavo la possibilità di fare il consulente. Ho sempre amato la gestione di un’azienda, dove mi vedevo coinvolto in tutte le parti, non solo di vigna e di cantina, ma anche commerciale, di marketing. Mi piace molto anche la contabilità industriale, gestire i costi…. Ciò che mi ha fatto scegliere la strada della consulenza è stata la brutta avventura dell’infarto, che mi ha limitato molto nei successivi 6 mesi di lavoro. Ho reiniziato da qualche piccola collaborazione vicino a casa, in Piemonte; poi, saputo che ero disponibile, altri mi hanno coinvolto. Ora tornare indietro non è così semplice. Ho avuto anche alcune proposte interessanti in alcune aziende. Ma dovrei abbandonare progetti avviati, e mi dispiacerebbe. Sull’Etna ad esempio ho iniziato un progetto con Firriato. Mi sta dando soddisfazioni. Così come mi dispiacerebbe abbandonare Ballabio. E come sono innamorato della Sardegna di Santadi, del Carignano, del Vermentino. Finché posso, a me piace troppo viaggiare, vedere diverse realtà.» Di Pier Luigi Feltri
BRESSANA BOTTARONE
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5G a Bressana: «Il Governo ha tolto ogni potere decisionale ai Comuni in materia» Poco più di un anno fa la lista “Ascoltare Bressana” sbaragliava la concorrenza e vinceva le elezioni, riportando nel ruolo di primo cittadino Giorgio Fasani. Uno dei grandi artefici di quella vittoria è stato Valentino Milanesi, poi nominato vicesindaco. Classe 1957; una carriera nel ramo creditizio e poi l’impegno di lungo corso nel volontariato lo hanno portato ad entrare in giunta con le deleghe a Bilancio, Finanze e Programmazione economica. Nell’ultimo consiglio comunale del 10 luglio, diversi i temi che sono stati trattati e discussi. Partiamo dal bilancio di previsione. Incertezze ed incognite sia sul piano delle entrate che dei relativi e conseguenti investimenti, ma andiamo con ordine: tasse comunali. Cosa è stato deciso in merito? «Ferma restando la sua premessa, tutte le aliquote non sono state modificate tranne l’addizionale IRPEF che non aveva nessuna soglia di esenzione. Ritenendo che per l’anno in corso le famiglie che faticheranno a raggiungere i 7.500 di reddito saranno in aumento, abbiamo deciso di applicare fino a 7500 un’aliquota pari a zero, compensando con un piccolo aumento di 0,05 per le fasce di reddito dai 55mila a oltre i 75 mila euro. Ci tengo a precisare che Bressana non ha alzato le aliquote ed applica ancora quelle degli anni scorsi, mentre tutti i paesi limitrofi le hanno già da qualche anno portate al massimo consentito.» Nel bilancio di previsione “mancano”, mi passi il termine, 300 mila euro di incassi derivanti dalle multe. È corretto? «Corretto. Ma questo discorso è legato a doppio filo con l’analisi dettagliata dei residui attivi che abbiamo fatto e che rappresentano la vera criticità dei bilanci del nostro comune e che negli anni è continuamente aumentata.» È notizia fresca l’istallazione da parte del Comune di due stazioni “velobox”. Un modo, mi scusi la franchezza, per far cassa? «Franchezza per franchezza, la risposta scontata è no. Altrimenti come avrebbe potuto riscontrare in bilancio una previsione di incassi in diminuzione per 300.000 euro? Le nuove velobox sono state installate in quel tratto in quanto abbiamo avuto richieste specifiche da parte dei cittadini che hanno segnalato la velocità elevata dei veicoli transitanti in quel tratto di provinciale e, a conferma, una dettagliata relazione da parte del Comandante della Polizia Locale.» Dal piano triennale “esce” il progetto cavallo di battaglia dell’amministrazione Torretta – della nuova scuola.
Ci spiega le ragioni? «Quello che lei definisce cavallo di battaglia, secondo noi, sarebbe stato una sorta di “cavallo di Troia” per molti bilanci dei prossimi anni del nostro Comune. Sinteticamente: circa due anni fa è stato inviato in Regione un progetto di massima del costo di quasi cinque milioni di euro per costruire un edificio scolastico (senza palestra e con lo stesso numero di aule di quello attuale) che, pur essendo ammesso in graduatoria, non ha mai ottenuto alcun finanziamento. In ogni caso la Regione avrebbe finanziato al massimo l’80%, il rimanente 20% era previsto fosse a carico del nostro Comune. La situazione di bilancio che abbiamo ereditato non ci permette di poter permutare nostri immobili ed impegnare le casse comunali per circa un milione di euro.» Il Comune di Bressana ha ricevuto 6mila euro di contributo per l’adeguamento delle scuole in contrasto al Covid–19. Basteranno? Che tipo di interventi saranno necessari per essere a norma? «Stiamo doverosamente condividendo e cercando di risolvere con la Direzione Didattica tutte le notevoli problematiche che il Covid-19 ha creato e sta creando. Indipendentemente dall’ammontare del contributo assegnatoci, che speriamo essere solo un anticipo, è nostro impegno mettere in atto tutto quanto sarà necessario affinché i nostri ragazzi possano riprendere la scuola in sicurezza.» Trasporto alunni e mensa. Quanti sono gli alunni che usufruiscono di questi servizi? Quali sono le direttive in merito? «A Bressana c’è, oltre alla scuola primaria e secondaria, una scuola paritaria che gestisce l’infanzia e il nido. Il numero dei fruitori dei servizi scolastici è considerevole e purtroppo le direttive non sono ancora definite pienamente. In particolare per il trasporto è, per noi, indispensabile sapere se la Regione Lombardia (dove si prevede il 100% della capienza dei mezzi) si allinea o meno alle direttive nazionali (60% della capienza). Per la mensa, di concerto con la Direzione Didattica, sarà distribuito il pasto monodose e sarà consumato in aula.» Il Comune darà incentivi a chi recupererà edifici dismessi siti nel territorio. Sono molte le strutture che necessiterebbero di una riqualificazione? I contributi di che tipo sono? «Il Comune ritiene di attivare a brevissimo un ampio e costruttivo confronto con gli interessati e, in applicazione alla normativa regionale per uno sviluppo sostenibile e resiliente del territorio, riconosce
«L’Ex Mulino? La società deve ancora provvedere a mettere in sicurezza l’area» Valentino Milanesi, vicesindaco
gli interventi finalizzati alla rigenerazione urbana e territoriale, riguardanti ambiti, edifici o aree, quali azioni prioritarie per ridurre il consumo di suolo, migliorare la qualità funzionale, ambientale e paesaggistica dei territori e degli insediamenti. La legge regionale “Assestamento al Bilancio 2020-2022 con modifiche di leggi regionali”, in considerazione dell’emergenza Covid ancora in essere, stabilisce al 31 dicembre 2020 alcuni adempimenti previsti dalla Legge Regionale n. 18 del 2019. Tale proroga ha lo scopo di mettere a disposizione degli operatori del settore delle costruzioni e dei Comuni un più lungo periodo di tempo per avviare le attività, in considerazione dalle gravi difficoltà in cui versa l’edilizia a seguito dell’emergenza Covid. I contributi possono essere di vario tipo, ad esempio: riduzione dei contributi concessori; scomputo costi di progettazione e compensazione di opere con oneri e costo di costruzione.» L’ex Mulino: si parlava a suo tempo di un imponente recupero. Che ne è stato del progetto? «Le posso dire ufficialmente che la società che aveva presentato il progetto di un centro diurno per anziani autosufficienti nel periodo elettorale del 2019 ha presentato una modifica sostanziale al progetto originario in base alla quale dovrebbe solo svolgere alcune manutenzioni interne al vecchio fabbricato. La stessa società, ad oggi, deve ancora provvedere a mettere in sicurezza la vasta area che ha acquistato.» Salute pubblica: due situazioni preoccupano sia l’amministrazione che i cittadini. La prima riguarda l’odore nauseabondo che nelle ultime settimane ha invaso alcune zone del Comune. Si è arrivati ad una soluzione? «Dalle verifiche che sono state fatte l’odore nauseabondo sarebbe causato dai liquami sparsi nei campi per concimare i terreni, pratica lecita e regolamentata. A Bressana non è pervenuta nessuna richie-
sta per lo spargimento di liquami ma, per fare chiarezza, sono state interessate tutte le autorità preposte. All’Arpa in particolare è stata sollecitata l’esigenza di un sopralluogo. Penso che tutte le segnalazioni di disagio siano legittime; penso inoltre che nessuno, per partito preso, voglia limitare il lavoro degli agricoltori. Sarebbe opportuno, invece a livello provinciale/regionale, comprendere, attraverso incontri con le loro associazioni di categoria, come gestire al meglio alcune attività che possono produrre degli impatti così negativi e favorire tecniche di concimazione che non arrechino problemi alle persone che vivono nelle zone limitrofe alle coltivazioni. L’obiettivo comune deve essere quello del miglioramento della qualità della vita di tutti nel rispetto dell’ambiente e della salute.» La seconda è l’installazione di un’antenna 5G. Ci spiega la posizione dell’Amministrazione Comunale? «Come abbiamo annunciato nelle scorse settimane alla cittadinanza, c’è una richiesta di ILIAD per installare un’antenna 5G sull’impianto esistente di Wind in via Rossina. Abbiamo subito interrotto i termini di riscontro con una richiesta di integrazione documentale della pratica presentata, ne abbiamo discusso in assemblea pubblica in streaming il 12 luglio e stiamo lavorando con gli enti preposti e con studi legali per cercare di salvaguardare la salute dei cittadini. Sappiamo di avere di fronte a noi una montagna piena di difficoltà, ma cercheremo di fare tutto il possibile. Purtroppo è notizia di questi giorni che il Governo ha tolto, con il Decreto Semplificazioni, ogni potere decisionale ai Comuni in materia. Questo non ci impedirà di promuovere le azioni condivise con i cittadini finché rimane qualche speranza.» di Silvia Colombini
BRONI
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Trasporto pubblico locale: «Sono anni che il territorio vive una situazione complicata» In questo momento storico i comuni dell’Oltrepò orientale, molto più rispetto al passato, sembrano aver trovato una certa intesa. A renderlo evidente sono taluni obiettivi condivisi dalle varie amministrazioni, e le strategie utilizzate per portarli a termine. Caratterizzate da un respiro ampio, e trasversale alle varie bandiere politiche che sventolano sugli uffici dei sindaci coinvolti. I quali sono magari anche molto distanti sul piano della politica nazionale, eppure accomunati dal desiderio di considerarsi parte integrante e attiva di un territorio ben più ampio degli stretti confini comunali. Speriamo che questa “luna di miele” duri per parecchio tempo. Il Comune di Broni non si tira indietro quando c’è da fare da capofila per queste istanze di interesse collettivo, e il sindaco Antonio Riviezzi è in prima linea, con i suoi colleghi, per realizzare vari fini di interesse generale. Uno dei temi “caldi” di queste settimane è quello relativo ai trasporti pubblici. Un sistema malato da diverso tempo, aggravatosi con la pandemia e ormai prossimo al disastro. Un collasso “con” il Covid o “per” il Covid? Sarebbe bello andare a ritroso nel tempo fino a trovare il momento in cui si è rotto il primo ingranaggio. Ma non c’è tempo, perché settembre si avvicina e con esso il bisogno di un sistema di trasporti capace di funzionare a pieno regime. Almeno sulla carta. Sindaco Riviezzi, non manca molto alla ripresa delle scuole e, con puntualità svizzera, potrebbero ripresentarsi i consueti disagi che studenti e lavoratori affrontano a causa dei problemi del trasporto pubblico. Come giudica la situazione in vista di settembre? «Con tanta preoccupazione. Se le cose dovessero restare come si presentano in questo momento, una vasta porzione di territorio sarebbe in seria difficoltà. Per questo ho di recente affrontato la questione con il gruppo di amministratori dell’Oltrepò orientale che, da ormai due anni a questa parte, si occupa di monitorare i disservizi del trasporto pubblico locale. I motivi di apprensione sono tanti e non riguardano solo il traffico su rotaia. Da ultimo, infatti, anche le linee di autobus presentano numerose criticità, dovute alla scelta del gestore di tagliare alcune tratte per sostituirle con il “servizio a chiamata”. Una modalità che ha i suoi limiti, anche dovuti alle caratteristiche demografiche di diversi centri della nostra zona: si pensi, ad esempio, a una persona anziana da sempre abituata a prendere l’autobus senza dover prenotare in anticipo la corsa. Sono ormai anni che il territorio vive una situazione complicata dal punto di vista del trasporto pubblico locale. Esistono poche aree con una domanda
sufficiente a coprire i costi del trasporto, per la maggior parte si tratta di domanda debole e non sistematica. L’organizzazione del servizio di trasporto necessita di essere integrata dal punto di vista degli orari, delle corse, delle vetture e del personale. Anche piccole modifiche in realtà richiedono una revisione completa di tutto il sistema. Una delle difficoltà maggiori per chi utilizza il trasporto pubblico consiste spesso nel doversi misurare con un sistema complicato e non sempre adeguatamente integrato. L’introduzione di un maggior livello di coordinamento e la semplificazione del sistema di trasporto rappresentano uno dei modi più efficaci per rispondere alle esigenze del cittadino viaggiatore. I servizi di trasporto pubblico vengono utilizzati soprattutto nell’ambito del trasporto studentesco e lavorativo, dove viene percepita una problematica relativa alla carenza di collegamenti dal punto di vista di passaggi orari. Il trasporto è un settore problematico anche per gli anziani, in quanto non hanno la possibilità di usufruire dei centri diurni in mancanza di servizi in grado di portarli a destinazione. Lo stesso dicasi per i dayhospital o i viaggi verso le Aziende sanitarie e i servizi sociali in generale. Molto spesso questa problematica viene risolta con l’utilizzo dei mezzi privati di volontari, purtroppo non sempre sufficienti. Stesse problematiche per quanto riguarda il trasporto delle persone con disabilità fisiche, che richiedono servizi specifici non sempre soddisfatti dall’offerta territoriale presente». Quali soluzioni propone? Farete “massa critica” per convincere chi di dovere ad andare incontro alle esigenze del territorio? «Lo scopo delle riunioni che convochiamo periodicamente qui a Broni è proprio questo: unire le voci per dare più forza alle nostre istanze. In passato ci siamo mossi per instaurare un dialogo con la Regione Lombardia e tenere la Prefettura al corrente dei problemi affrontati dai pendolari. Ora, dopo la pausa dettata dall’emergenza sanitaria, siamo intenzionati a riprendere il percorso comune a difesa della qualità di vita sul territorio. La tematica del trasporto su gomma rientra a pieno titolo in questo discorso: come Comune di Broni stiamo coordinando la raccolta delle segnalazioni di disservizio da parte degli altri centri della zona, insieme alle amministrazioni di Stradella, Bressana Bottarone, Canneto Pavese e Santa Maria della Versa. Ci siamo dati l’obiettivo di compilare un report da consegnare, come da specifica richiesta, all’Agenzia del trasporto pubblico locale».
«Credo molto nell’unità di intenti tra pubbliche amministrazioni, i punti critici in questione non riguardano questo o quell’altro Comune, ma il bacino geografico nel suo complesso» Antonio Riviezzi
E poi c’è il tema delle linee ferroviarie… «Certamente, all’uscita dal lockdown lo scenario non è migliorato. Anzi, i lavori sulla linea ferroviaria Stradella-Pavia, che fino alla fine dell’estate interesseranno il tratto compreso tra Stradella e Bressana Bottarone, sono un ulteriore motivo di preoccupazione. Se a questo uniamo le giuste misure di distanziamento sociale oggi in vigore e i problemi che, da anni, interessano le nostre linee, l’orizzonte si fa tutt’altro che sereno. Durante l’ultima riunione degli amministratori dell’Oltrepò orientale, che si è tenuta alcune settimane fa – e alla quale hanno partecipato i Comini Bressana Bottarone, Stradella, Portalbera, Campospinoso, Santa Maria della Versa, Mezzanino, Cigognola, Redavalle, Volpara, Albaredo Arnaboldi, Arena Po, Mornico Losana, Santa Giuletta, Cava Manara, Barbianello, Montù Beccaria, Pietra de Giorgi, Canneto Pavese, Castana, Montescano, Casanova Lonati,San Martino Siccomario, Golferenzo, Cervesina, Pancarana, Robecco Pavese, Verretto, Pinarolo Po e Castelletto di Branduzzo - abbiamo concordato il proposito di chiedere al nuovo Prefetto di Pavia, la dottoressa Rosalba Scialla, la convocazione di un tavolo tecnico con tutte le parti in causa: Rfi, Trenord, Autoguidovie, Agenzia del trasporto pubblico locale e amministrazioni comunali. Richiesta che abbiamo inoltrato allegando la relazione sui disservizi già sottoposta, durante l’incontro del novembre 2019, all’attenzione del precedente Prefetto». Sindaco, prima parlava di qualità della vita. La battaglia che sta conducendo insieme agli altri amministratori quali obiettivi si pone? Guarda a un panorama più ampio di quello del trasporto pubblico? «Come abbiamo indicato nella relazione sui disservizi, La Provincia di Pavia è
situata appunto in una situazione di snodo tra quattro grandi Regioni, ed è attraversata importanti corridoi nazionali ed internazionali di trasporto ferroviario e stradale. Una posizione invidiabile accompagnata da una qualità ambientale, paesistica e culturale che si è sostanzialmente mantenuta nel tempo, nonostante l’elevato impegno di suolo che negli ultimi tre decenni ha interessato anche questi territori, come quelli del resto della Lombardia. La provincia di Pavia può essere quindi considerata come nodo strategico e incontro di diversi i paesaggi geografici: area metropolitana, pianura irrigua, grandi fiumi, zone collinari e vallive, montagne degli Appennini. Nelle varie riunione è emerso che siamo tutti allineati sulla stessa lunghezza d’onda, vale a dire: scongiurare l’impoverimento demografico della zona, un fenomeno che purtroppo assume connotati sempre più allarmanti. E su tutto puntiamo a trattenere i giovani, favorendo la creazione di quelle opportunità con cui davvero, non solo per esercizio di retorica, le nuove leve possono garantire un futuro a questo territorio. È chiaro che in contesto così sensibile i collegamenti con le città svolgono un ruolo cruciale. Strade e mezzi pubblici adeguati alle necessità della popolazione sono ovviamente fondamentali per assicurare ai cittadini residenti una buon livello di servizi, e quindi un buon tenore di vita. Personalmente, poi, credo molto nell’unità di intenti tra pubbliche amministrazioni, anche perché i punti critici in questione non riguardano questo o quell’altro Comune, ma il bacino geografico nel suo complesso. Ecco perché, due anni fa, mi sono fatto promotore delle riunioni fra gli amministratori locali». di Silvia Colombini
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STRADELLA
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Medici di Stradella: «Grandi, grandi, grandi!!!» di Giuliano Cereghini C’era una volta... iniziavano così le favole dei nostri nonni. Questi amabili vecchini inventavano inverosimili storielle pur di distrarre nipotine e nipotini, accompagnarli all’abbraccio di Morfeo o allo sfinimento vigile ma ormai incapace di reagire. Quelle rare volte che ne ascoltavamo il finale, eravamo felici di costatare che il bene vinceva sempre sul male, che la felicità era connaturata all’uomo e che l’orco cattivo, il perfido drago finivano sempre male, vinti dalla bontà di cavalieri erranti senza macchie o senza paure. Agli inizi del malefico anno 2020 (anno bisesto, anno funesto, ricordavano i saggi) eravamo immersi, grandi e piccini, in una favola di baci, abbracci, volti abbronzati e privi di mascherine, pantagruelici pranzi e cene scevre da distanze preordinate e sguardi malevoli ai trasgressori. Eravamo felici, sereni per meglio dire, e non lo sapevamo. E vennero i primi giorni di marzo: notizie sempre più preoccupanti, i primi contagi, i primi ricoveri di amici o conoscenti, le prime drammatiche previsioni i primi consigli che a poco a poco, divennero ordini: mascherine, divieto di baci ed abbracci, distanze da tutti e da tutto ed in fine lockdown, altezzosa parola inglese che semplicemente significa confinamento ma, vuoi raffrontare l’imperiosità dell’inglese con l’Italiano! Gli italiani sono fenomeni malati di esterofilia persino in momenti tragici. Tremendamente seria la vicenda che improvvisamente travolge il mondo partendo dalla Cina, raggiungendo l’Europa prima e le Americhe poi. I primi morti, i primi conoscenti morti, le file interminabili di camion militari da Bergamo, una segregazione senza contatti umani relegati all’esterno della propria prigione dorata. I giorni che passano interminabili, eguali. Si legge, si scrive, si passano ore ed ore davanti a televisori che ripetono monotoni le solite drammatiche immagini, qualche raro intervento di scienziati preparati e una pletora di personaggi in cerca di facile notorietà e di plausi immeritati. Il 19 marzo inviai una mail all’amico Prof. Ferrari Giovanni, Primario all’Ospedale di Stradella: «Caro amico, non ti chiamo per non rubare neppure un attimo da accadimenti che da lavoro si sono trasformati in una missione, una guerra. A te, ai tuoi colleghi ed a tutti i sanitari un grande sentito abbraccio. Auguri vivissimi a tutti i papà». Mi giunse la sua risposta: «Caro Giuliano, siamo in trincea, esausti e fra poco, depressi. Resistiamo, non so ancora per quanto. Grazie, anche a nome dei miei colleghi». Mi colpì molto il tono scarno, asciutto, quasi disperato delle tue parole. Uscendo per un attimo in giardino, mi abbagliò la splendida giornata di sole.
ll “cuoco” Giuliano Cereghini tra due medici e il Primario, il professor Giovanni Ferrari Vi sono momenti dove la felicità, il sole, l’esplosione contenuta dell’incipiente primavera, sembrano assurdità. La sera prima rischiarata da una splendida luna piena, pareva riconciliare uomini e cose, vita e morte, paure e depressioni. Peschi, mandorli, albicocchi fioriti offrivano colori e profumi ad una natura violentata che, pian piano, stava riconquistando spazi che uomini ottusi le avevano sottratto. Una lucertola incerta ai primi caldi per lei vitali, un cane che ti guarda pigro. Scodinzola felice incurante del virus, della vicinanza ad un padrone mascherato ed incerto. La natura, quella vera, quella che spesso gli uomini dimenticano, che ancora più spesso violentano vergognosamente. Per soldi, per potere, per stupidità propria di esseri umani superbi e vanagloriosi. Di tanto in tanto si vendica, colpisce gli uomini che spesso sono la sua parte peggiore. Quella egoista, quella che brancola nel buio, che corre, corre senza conoscere la meta ed i danni che provoca. Quella che è disposta ad uccidere per soldi, per vendetta o per falsi sensi dell’onore. Gli altri animali uccidono per alimentarsi, per difendere i propri geni o la propria vita. Noi no, noi siamo superiori. Noi perseveriamo in scelte sbagliate, magari adducendo false motivazioni per poi ritrovarci soli, impauriti e tremebondi alla prima difficoltà seria alla spasmodica ricerca di colpevoli, di vie d’uscita vicine o lontane. Per chi sognava auto sportive rombanti, velieri chilometrici e soldi a palate, resta la tremenda paura di perdere la propria o la vita dei propri cari. Come dicevano i saggi marinai: quando il vento scuote le chiome degli alberi, se sei in alto mare, la piccola terra lontana sembra una gigantesca ancora di salvezza. Sul finire di marzo mi giunse un video splendido sulla vita dell’Ospedale di Stradella e sui suoi protagonisti. Questo video meraviglioso ha fatto il giro d’Europa. Le immagini, crude e drammatiche della lotta
che tutti voi medici affrontavate con impegno, di grande forza e di impatto sul nostro io segregato, mi suggerirono di scriverti poche sentite righe: «Grandi, grandi, grandi!!!! Grazie di tutto l’impegno, del vostro amore per la professione, del credere nella vita che insegna a noi tutti, a credere nella nostra e in un domani che sembra incerto e lontano. Auguri di Buona Pasqua a te, alla tua famiglia biologica ed a quella del tuo Ospedale. Un augurio sincero e il grazie sincero da tutti noi». Le giornate drammatiche si susseguirono l’une alle altre, le notizie pessimistiche si mischiavano a contenute speranze, la vita comunque continuava. La vita non fa mai passi indietro. Questa biblica tragedia era dominata dal silenzio: dopo tante ciacole, tanti dotti discorsi, tanto vociare, silenzio. Il silenzio avvolgeva le città, le strade, le case; uomini e cose parevano riflettere in silenzio, finalmente! La speranza è che il fragore del silenzio che ci avvolse, possa insegnare agli uomini a capirsi meglio, guardandosi negli occhi, senza falsi abbracci ma con silenziosa determinazione. Restava la clausura che ci pesava e ci torturava. A volte non riflettiamo a sufficienza. Molti in prima linea sarebbero felici di restarsene a casa, in clausura come noi. Medici, infermieri, carabinieri, poliziotti, uomini della protezione civile e della Croce Rossa, farmacisti, autisti e commercianti rischiavano la propria vita per alleviare le sofferenze degli altri e tentare di salvare vite che non appartenevano alla loro quotidianità, ai loro affetti, appartenevano solo al loro dovere di medici e di uomini responsabili. I primi giorni di aprile portarono qualche speranza, qualche attesa positiva. Restava la fila di camion carichi di bare da Bergamo, la fine drammatica di una generazione di settanta-ottantenni. I figli dell’ultima guerra e dell’immediato dopoguerra se ne andavano vinti da una nuova guerra. Il timore vero è che si tratti solo di una prima
battaglia di una lunga e drammatica guerra. Gli anziani ci raccontavano che dalle macerie e dalla miseria del dopo guerra, ne erano usciti più forti, migliori. I reduci avevano imparato a rispettarsi, ad aiutarsi, a volersi bene, a vivere i valori di una nuova avventura con l’entusiasmo di chi crede nella vita. Voglio sperarlo ma temo che questa generazione non sia forte come quella che ci sta lasciando. Ne usciremo. Temo impauriti e diffidenti, egoisti e tremebondi. O forse no, forse dimenticheremo tutto in fretta, purtroppo anche le cose buone di questa tragedia. Passeranno lunghi tempi prima di abbracciare il prossimo o stringere la mano di un amico senza diffidenze e sospetti. Un po’ di questa barbarie o della sua memoria, un po’ di coronavirus temo resterà dentro di noi: magari relegato in un angolino del nostro cuore ma lì ancorato, fermo e indistruttibile. Resteranno sicuramente alcuni esempi di dedizione, di lavoro, di esaltazione di valori umani semplici e nobili nel medesimo tempo. Nei momenti drammatici gli italiani esprimono gesti e comportamenti audaci e generosi. Voglio sperare che queste tragiche vicende insegnino a tutti a mettersi in discussione, a volte vincere, a volte no ma provarci sempre tutti insieme, guardandoci negli occhi rispettando i diversi da noi e rispettando la natura che soffre i nostri continui oltraggi. Il tempo passava, il dramma si stemperava in giusta preoccupazione, la vita pian piano, riprendeva ritmi normali. Il primo luglio leggo sui giornali fenomeni di denunce nei confronti di chi sino a pochi giorni prima, veniva definito eroe o santo. Non denunce individuali, comprensibili in alcuni casi di comportamenti anomali, ma comitati, comitati nati per difendere non è chiaro chi o che cosa. Ho imparato dalla vita, che sotto l’egida di “comitato” si nascondono spesso interessi politici, economici o di vendetta. Tutta la mia comprensione ai drammi umani di chi ha perduto persone care, magari più d’una ma trasfor-
STRADELLA mare un’intera categoria in fannulloni scansafatiche, insensibili e menefreghisti, da colpire denigrare e chiamare a ristorni economici e non, mi sembra davvero troppo. Dove sono finiti i santi, gli eroi che combattevano senza mezzi, con attrezzature inadeguate un nemico sconosciuto e subdolo? Mistero. Oggi ripeto, massimo rispetto per morti, giusta possibilità di fare emergere singoli sparuti comportamenti anomali, ma generalizzare no! Questo non è da persone civili. I comitati riserviamoli per le operazioni elettorali o per la promozione di prodotti tipici, non per colpire chi ha combattuto una guerra nobile e pericolosa per sè e per i propri figli. (Una dottoressa dell’Ospedale di Stradella non ha abbracciato per 40 giorni, marito e figliola di tre anni per paura di contagio: dormiva le poche ore di sonno che il lavoro massacrante le lasciava, in un albergo di Stradella). Per mia sfortuna non dimentico. Armato dell’inseparabile per tutti, cellulare, ho riscritto al mio amico Prof, Ferrari: «In un triste momento in cui il popolino dimentica i suoi eroi e li denuncia, abbraccio te e tutti i tuoi colleghi e collaboratori che, a rischio della vostra stessa vita, avete offerto il meglio della vostra professionalità e della vostra passione. Mi rendo disponibile per un pranzo con salami e coppe da commozione, risotto al limone e cinghialino con le olive a quanti tu vorrai invitare. Ci terrei molto e sarà il mio modo per dirvi grazie». Detto, fatto: mercoledì 15 luglio alle 20,30, presso la splendida sede degli alpini di Stradella, coadiuvato dagli Alpini Roberto, capo gruppo e Ginetto suo aitante, dal mio magico ed inseparabile Domenico, ho cuci-
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nato per una ventina di sanitari guidati dal loro Primario Prof Ferrari Giovanni, Giugi per me e tutti gli amici della valle Ardivestra. Ho cucinato per medici e infermieri amici che hanno persino ritenuto omaggiarmi una splendida cravatta che conserverò come il cimelio più prezioso della mia arte culinaria. Pensavano di sorprendermi, sono riusciti nel loro intento, ma a mia volta ho sorpreso loro e l’amico Ferrari, con una pergamena di cui riporto il testo: «All’ Ecc. mo Prof. Giovanni Ferrari Profitto dell’ospitalità degli Alpini, per dire grazie a te e a tutto il personale sanitario dell’Ospedale di Stradella, dai Primari al personale di servizio, unendovi in un grande abbraccio purtroppo oggi impedito dalla mala bestia che ancora ci perseguita. Grazie a tutti voi, uomini e donne speciali, che avete combattuto una guerra non dichiarata, non voluta ma tremendamente pericolosa e subdola. Grazie a tutti voi, grandi interpreti della responsabilità che nei peggiori accadimenti di questa travagliata vita, contraddistingue i veri professionisti, operatori preparati e votati a sacrifici ritenuti impossibili. Magari non santi o eroi, sicuramente grandi lavoratori. Grazie per quello che avete fatto e per come l’avete fato: per l’impegno, la dedizione totale ad un lavoro spesso misconosciuto, a volte ingrato. Per verità la maggior parte dei “coniglietti spauriti” che si affidavano alle vostre cure sapienti, oggi vi sono riconoscenti e vi ammirano. Alcuni, pochi in verità, reagiscono in modo sconsiderato dimenticando la drammaticità di eventi improvvisi e sconosciuti. Voglio umanamente sperare che sia il grande dolore per alcune
perdite a muovere le loro azioni e non altri scopi decisamente meno nobili. Forse non ricordano quei momenti o peggio, dimenticano o vogliono dimenticare, reagendo in modo sconsiderato. Non bisogna dimenticare, tutto ciò che dimentichiamo è stato vissuto male. Il ricordo, nel bene e nel male, è elegia di vita, è una carezza leggera al nostro sentire, a tutto ciò che ha sfiorato la nostra vita segnandola nel bene o nel male. Anche a nome di chi dimentica facilmente, grazie a tutti voi, grazie di esistere, di esserci, di esserci stati, tosti e generosi come sanno essere i seguaci veri di Ippocrate. Ma il mio grazie più grande, quello che arriva dal profondo del cuore, va a chi in quel periodo tragico ha rinunciato all’abbraccio di un bimbo di pochi anni, alla carezza di un marito o di un genitore. Va a chi ha stretto la mano di una vecchina sola, accompagnandola al suo tragico destino, a chi con uno sguardo a risposto sorridendo al muto sguardo disperato di chi abbandonava la vita in solitudine. Ecco, in quei momenti, con quei gesti semplici spesso rubati al vostro giusto riposo, un po’ eroi lo eravate, un po’ santi, buoni samaritani ed eroi lo eravate veramente! Racconteremo ai nipotini: c’era una volta un drago cattivo, rotondo e con gli occhietti maliziosi. Mieteva vittime innocenti senza pietà e senza tregua. Giunsero infine tanti cavalieri vestiti di bianco, combatterono e vinsero la cattiveria della fiera. Vincerete, vinceremo noi con voi e racconteremmo questa favola a lieto fine. Che il buon Dio vi conservi in buona salute, pronti in trincea per combattere e vincere una guerra che non abbiamo cercato, non abbiamo voluto.
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«Grazie di cuore Professore, grazie ai tuoi medici e a tutti i sanitari, un grande abbraccio ante-Covid e una stretta di mano a uomini veri» Grazie di cuore Professore, grazie ai tuoi medici a tutti i sanitari, un grande abbraccio ante-Covid e una stretta di mano a uomini veri». Con la loro cravatta, conserverò il ricordo di una splendida serata, di un gruppo di amici affiatati ed allegri che per tutta la serata non hanno mai accennato a quel tempo tragico, a quella tragedia vissuta, quasi a rimuoverla, dimenticare fatiche, paure e ricordi di un passato che ancora opprime le loro notti. Temo, tornando all’allegria della serata, di dovermi ripetere prima dell’inverno, come da bonaria minaccia del Primario. Spero per festeggiare la definitiva sconfitta della mala bestia, in caso contrario con tutte le precauzioni del caso ma con tanto piacere. Sul finire di Luglio il sindaco di Stradella, Alessandro Cantù, ha deciso di conferire il 5 settembre prossimo, la benemerenza civica “Santi Nabore e Felice”, al personale medico dell’Ospedale oltre che ad altri sanitari che sono stati in prima linea nella battaglia contro il Covid. Una buona notizia anche dalla politica!
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«Un progetto per aiutare il commercio è in fase di valutazione» Un 2020 che si preannunciava spumeggiante e ricco di eventi che andavano dalla tradizione all’originalità, ma che a causa della pandemia si è per forza di cose trasformato e ridotto. Ne abbiamo parlato con Andrea Frustagli, stradellino doc e assessore al commercio e alla promozione del territorio della Giunta Cantù. Assessore, eventi e manifestazioni annullate o andate in scena in forma ridotta. Ci sono aggiornamenti in tal senso? «Abbiamo dovuto annullare tante manifestazioni e siamo in stand-by con altre che come da calendario devono ancora svolgersi, un esempio su tutte il Vinuva... Se riusciremo “mettere in piedi” questo evento, andrà in scena ovviamente in forma ridotta». Quando si deciderà sul Vinuva? «Nelle prossime settimane prenderemo una decisione. Molto dipenderà anche dalle linee guida che ci verranno fornite: ad oggi non è consentito fare le tradizionali sagre... e anche se questa non è una vera e propria sagra, rientra in questo settore, perché ha a che fare con il campo della ristorazione. Aspetteremo i passi del Governo e della Regione e se ci saranno i presupposti Vinuva si farà. In questo contesto, sarebbe bello poter inserire degli eventi come la premiazione di “Sportiva” che dovevamo fare mesi fa o altro... Se invece non si potrà fare niente a breve, saremo pronti a organizzare qualcosa nei mesi successivi, tipo a novembre o dicembre».
Andrea Frustagli Oltre a Vinuva quali sono gli altri eventi che, se possibile, intende realizzare? «La mia intenzione è di dedicare il mese di settembre agli eventi sportivi: ogni associazione crea il suo evento, come per esempio il torneo di tennis o la gara di danza, che rientra nella grande manifestazione “Sportiva”. Però è ancora tutto in dubbio... bisognerà vedere se sarà possibile realizzarlo». Avere “le mani legate” a causa di questa emergenza sanitaria non deve essere stato facile... «Sì, davvero un peccato! Avevamo tanta carne al fuoco ma purtroppo è andata così. Anche gli eventi che comunque siamo riousciti ad organizzare, ad esempio il “Festibar” che sta andando in scena in queste settimane, al sabato, non sono come li avevamo progettati e definiti prima che scoppiasse la pandemia. Ma non mi arrendo, sto continuando a lavorare
per il mio territorio con tutte le limitazioni del caso, concentrandomi su quello che è fattibile realizzare». Un progetto che le sta a cuore riguarda il mercato cittadino. Ha novità in merito? «Ci sto lavorando. Voglio portare gente a Stradella, con un mercato di qualità e merce anche un po’ diversa, che non è presente su quello attuale». Quindi non toglie, ma aggiunge. Giusto? «Esattamente. Quando dico che voglio fare il mercato anche nella zona della piazza Vittorio Veneto, quella della Torre, la gente pensa che io voglia spostare una parte del mercato attuale, ma non è così! Quello nella piazza in alto sarebbe un pezzo di mercato in più. Vorrei banchi diversi rispetto a quelli già presenti e sto pensando a cosa fare» E poi ancora? Cosa bolle in pentola? «Vorrei fare presentazioni di libri, mostre di quadri di artisti... il tutto abbinato al vino e al territorio. Un binomia ‘arte e vino’ che secondo me può funzionare molto bene». Arriviamo invece ad un argomento un po’ scomodo. Nelle scorse settimane sono apparse sui social delle dichiarazioni di malcontento da parte di alcuni commercianti della zona. Cosa si sente di dire? «Dicevano che potevamo fare di più? è difficile poter fare di più in un anno come questo, così particolare e difficile. Il nostro calendario eventi era veramente ricco, ma non abbiamo potuto fare molto e
non per colpa nostra. Bisogna ricordare che nella vita la teoria del “si può fare di meglio” è sempre valida. L’importante è che arrivino sempre critiche costruttive, perchè dire solo che potevamo fare di più è troppo facile. Se invece si danno soluzioni, allora il discorso è diverso. Posso dire una cosa però... stiamo studiando una formula per incentivare il commercio: è un progetto in fase di valutazione e tra qualche settimana potrò essere più preciso e dare maggiori informazioni». Da assessore, come reputa la ripresa del commercio stradellino? «Diciamo che rispecchia l’andamento nazionale. C’è una buona ripresa per i ristoranti, questo sicuramente. I bar sono quasi a regime... mentre il resto fatica un po’. è per questo che ho in mente questo nuovo progetto per aiutare il commercio al dettaglio: e intendo dall’abbigliamento al ciabattino, al salumiere Tutti i settori saranno davvero coinvolti». Come vede i prossimi mesi? «Se non succede più nulla di catastrofico, posso dire che avremo mesi intensi e pieni di iniziative. Vorrei recuperare tutto quello che non si è potuto fare, valorizzando sempre di più il nostro territorio. Sto anche facendo incontri con persone del campo politico, come l’assessore regionale Fabio Rolfi e l’ex ministro Gianmarco Centinaio, che vengono spesso a visitare le nostre zone e le nostre realtà produttive. Può sembrare poco, ma è comunque una grande promozione del territorio che viene fatta». di Elisa Ajelli
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Ospedale, «In un anno “spariti” 10-12 anestesisti, la vicenda andrebbe indagata» La questione ospedale a Stradella continua a tenere banco e a preoccupare. In particolare l’ex sindaco e attuale consigliere di minoranza del gruppo “Alleanza Civica La Torre”, Piergiorgio Maggi, da settimane pone l’attenzione attraverso la pagina social del gruppo proprio sul presidio ospedaliero della città. Maggi, lei si sta battendo da tempo per la riapertura di alcuni reparti dell’ospedale stradellino. Dopo le recenti dichiarazioni del sindaco Cantù (che auspica una ripresa a breve termine), qual è la sua percezione? «La situazione, dopo purtroppo la pandemia che c’è stata e il lavoro di riconversione che è stato fatto per fare spazio ai malati di Covid, è che almeno tre o quattro reparti non sono ripartiti, e parlo di reparti e sale operatorie. Il pronto soccorso funziona ma con criticità, perchè bisogna separare ovviamente accessi covid e accessi no-covid, in previsione di un’eventuale futura pandemia. Medicina e riabilitazione funzionano, ma altri reparti no, come ostretricia e ginecologia, chirurgia e traumatologia, né come reparti né come sale operatorie. E poi c’è un altro fatto grave...». Quale? «In un anno sono “spariti” 10-12 anestesisti. Andrebbe indagata come vicenda... Sembra che tutti sappiano il perchè ma non lo vogliono dire! Di certo io come amministrazione, anche se di minoranza, devo occuparmi di fare in modo che il nostro ospedale non soffra per questa situazione.
Piergiorgio Maggi
Sono stati fatti dei bandi in questo periodo per un tempo determinato di otto mesi per trovare anestesisti, però con contratti non rinnovabili... e infatti non ha risposto nessuno. Senza di loro non si possono riaprire le sale e neanche i reparti, è chiaro. Il Direttore Brait è venuto un paio di volte a Stradella e al presidio di Broni facendo promesse, promesse, promesse... dicendo che il tutto si farà se sussistono le condizioni tecniche, e dicendo poi che comunque niente sarà più come prima se rimarranno le norme di distanziamento. Quindi, si può ben capire con che tranquillità il cittadino o l’addetto ai lavori possano andare avanti... prima si parlava di riapertura a settembre, adesso ad ottobre. Finirà che a dicembre non sapremo ancora nulla?
Pensiamo comunque che queste figure prima del covid c’erano... adesso che succede? Nonostante le continue rassicurazioni del sindaco, la situazione non è per nulla tranquilla... C’è bisogno di fatti. Non si possono continuare a prendere in giro i cittadini: non si tratta di una banca o di un supermercato, è un ospedale e bisogna dare questo servizio di tutela della salute. Se non si riesce bisogna spiegare esattamente il perchè». Voi avevate richiesto l’assegnazione della Benemerenza Civica proprio al personale sanitario... «Sì, l’avevamo proposto ad aprile... poi l’assegnazione è stata rimandata a settembre... sembra un po’ una presa in giro darla adesso che l’ospedale è in questa situazione...». Lei ha sempre avuto a cuore le sorti dell’ospedale fin da quando aveva la carica di Sindaco... «è normale. Se si vuole fare il sindaco, l’amministratore... se si vuole il bene della città queste cose vanno conosciute a memoria. Se no cosa si amministra a fare? Il Comune deve vigilare. Ci sono in atto due raccolte firme dei cittadini, per quello che possono servire... una che parte da Stradella e una dai comuni limitrofi: questo dimostra che sicuramente i cittadini sono preoccupati. Purtroppo con queste raccolte non si risolvono i problemi, ma almeno si tiene acceso il faro sulla questione». Qual è la sua sensazione? «Io non sono per nulla ottimista e mi spiace: il “nostro” ospedale ha un bacino d’utenza di 50 mila persone e se le atten-
«Il Direttore Brait è venuto un paio di volte a Stradella e al presidio di Broni facendo promesse, promesse, promesse... » zioni che hanno altri Hub, come Vigevano o Voghera, sono alte, pretendo analoga attenzione per il presidio ospedaliero di Stradella, soprattutto ora, in un momento storico in cui si è dimostrata l’importanza che hanno le piccole e medie strutture. Poi, visto che ho sempre lavorato in ambito sanitario anche se nel settore amministrativo, mi posso permettere di dire una cosa: la sanità è troppo importante per essere lasciata nelle mani delle Regioni. Deve gestirla lo Stato, che deve garantire dei livelli di assistenza uguale a tutti i cittadini e che deve poter fare una politica di intervento sicura e rapida senza pressioni da parte dei governatori regionali. Detto questo, io come sempre ribadisco che vorrei essere sempre smentito, però non ho nessun elemento che mi faccia stare così sereno e ottimista. Se poi mi smentiranno, sarò l’uomo più contento del mondo. Ma non succederà e se succederà sarà con delle tempistiche tali da pregiudicare la struttura stessa...». di Elisa Ajelli
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«Le amministrazioni dovrebbero curare di più la tutela del territorio» Il nostro è un territorio ricco di paesaggi differenti: pianure, colline e montagne contornate da casali, rustici, dimore storiche e castelli: però tutto questo patrimonio storico e immobiliare non è mai stato sfruttato al meglio, in tutte le sue potenzialità, il tutto aggravato dal fatto che si sono spesso susseguite edificazioni di strutture non consone al paesaggio circostante, che non hanno fatto nient’altro che peggiorarne l’immagine ed il valore. Abbiamo chiesto il parere ad un giovane architetto milanese, Silvana Citterio, da poco diventata oltrepadana a tutti gli effetti. Esperta nella progettazione di interni, con la passione per i piccoli spazi, Silvana ha ricevuto diversi riconoscimenti sia nazionali che internazionali, ottenendo inoltre la pubblicazione di suoi progetti su diverse riviste e libri del settore. Nel 2012 un suo progetto riguardante un miniappartamento è stato pubblicato sulla rivista Casaviva e successivamente, soprattutto sui canali del web, le pubblicazioni si sono moltiplicate in modo capillare in ogni parte del mondo. Nel 2013 è arrivata seconda nella categoria progetti internazionali in un concorso indetto da Apartment Therapy a tema “mini appartamenti”. Nel 2016 un suo lavoro è stato inserito nel libro “Small and Smart Iteriors” di Booq Publishing e, l’anno successivo, nel libro “Modular loft” di Monsa pubblicazioni. Nel 2017 è stata scelta dal Gruppo Mondadori per entrare a far parte di un nuovo progetto editoriale “Facciamo Casa”. Sempre nello stesso anno e nel 2018 ha ricevuto il riconoscimento “Best of Houzz” Silvana, quale è stato il suo percorso? «Fare l’architetto è sempre stato il mio sogno, fin da piccola. Per questo ho fatto da subito un percorso di studi idoneo per raggiungere la laurea in architettura. Svolgo la mia professione da circa vent’anni, prima presso studi e, dal 2018, mi sono messa definitivamente in proprio». Fare l’architetto oggi è come se lo immaginava quando ha intrapreso gli studi? «Essendo il lavoro che ho sognato di fare fin da bambina, amo la mia professione in qualsiasi occasione, anche quando si verificano problemi perché fanno parte del lavoro stesso. Io mi rifaccio alla famosa teoria di Confucio: “Scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita”». Ha avuto anche esperienze all’estero? «La settimana prossima sarò a Bruxelles per chiudere un cantiere di una maison particulier, una di quelle case tipiche del nord Europa: mi sono occupata di tutta la progettazione e degli arredi ed è stata una bella esperienza». C’è un approccio diverso all’estero rispetto all’Italia?
«L’architetto italiano all’estero ha una bellissima reputazione: c’è molta stima verso il gusto italiano. Per la casa di cui mi sono sto occupando a Bruxelles ho utilizzato solo prodotti di artigiani italiani, su richiesta dei committenti». Lei preferisce lavorare con il pubblico o con il privato? «Per come sono fatta io, per la visione che ho del mio lavoro, ma soprattutto per il rapporto umano che si viene a creare con il cliente, preferisco nettamente lavorare con il privato. Il mio è un lavoro sartoriale: mi piace creare qualcosa cucito apposta per un utente finale». Quale è stata la richiesta più strana che le è stata fatta da un commettente privato? «Uno dei miei lavori più caratteristici è stata l’ideazione, nel 2012, di un mini-loft di 13 metri quadri, nel quale non mancava niente ed era completo di ogni comfort. Questo lavoro è stato pubblicato in internet per diverso tempo e a distanza di otto anni, mi chiamano ancora oggi perché esperta nell’organizzazione dei piccoli spazi. Quando e perché ha deciso di trasferirsi qui in Oltrepò pavese? «Ho conosciuto l’Oltrepò Pavese diversi anni fa, durante una gita nel periodo universitario, e da subito me ne sono innamorata. Dapprima non ne sapevo nemmeno dell’esistenza, come oggi avviene da parte di molti milanesi. Nei primi momenti ci venivo durante il fine settimana, per brevi gite con tappa presso diversi agriturismi. Nel 2006 ho deciso di acquistare una seconda casa per il finesettimana e per le vacanze, scegliendo Canneto Pavese. È stato amore a prima vista. Inizialmente era solo una casa per la villeggiatura e trascorrevo più tempo in città ma, con il lockdown, ho deciso di trasferirmi definitivamente qui in Oltrepò tornando a Milano solo per lavoro». Cosa pensa delle cantine oltrepadane, intese come struttura e accoglienza? «Sono appena tornata dalla Toscana, dove ho visitato delle cantine che sono dei veri e propri gioielli architettonici e dove c’è un grande senso di ospitalità. Qui in Oltrepò ci sono solo capannoni, tralasciando il fatto che, se si cerca di prenotare una degustazione, spesso alcune cantine nemmeno rispondono». La sua decisione di trasferirsi definitivamente sulle nostre colline è avvenuta durante il lockdown: lavorativamente parlando, come ha vissuto questo periodo? «Stiamo ripartendo, ma con complicazioni burocratiche ulteriori. I tempi si sono dilazionati troppo, in quanto si inviano le domande e le documentazioni online, non sapendo quando arriverà una risposta. In smartworking un architetto non può fare molto: una volta che ha prodotto due capi-
Silvana Citterio, architetto esperta nella progettazione di interni tolati e tre disegni ha la necessità di andare in cantiere...». Sembra che in Oltrepò si preferisca costruire da zero piuttosto che dedicarsi alla riqualificazione dei ruderi o delle abitazioni già esistenti, cosa ne pensa? «È assolutamente vero. Qui in Oltrepò si cerca di costruire ex novo, edificando strutture inguardabili o fuori contesto, lasciando crollare dei veri e propri gioielli. Purtroppo, la tendenza è questa e non riesco a spiegarmela… Mi piange il cuore, vedere tutti questi edifici abbandonati, non è possibile che nessuno si accorga di questi errori. Io penso che ci sia un rimedio a tutto: se sono riusciti a ricostruire Assisi dopo il terremoto, vogliamo non essere in grado di ristrutturare in modo corretto le case dell’Oltrepò?». Pensa che negli ultimi anni in Oltrepò ci sia stato un miglioramento o un peggioramento a livello architettonico? «Nel bene o nel male ogni Comune ha un ecomostro e, nella maggior parte dei casi si tratta proprio di un edificio pubblico. Le amministrazioni sembrano non avere amore per il proprio territorio: hanno un diamante in mano e lo considerano banalissimo carbone». Secondo lei, di chi è la colpa principale della costruzione di un “ecomostro”? «Il problema della “brutta costruzione” è, in primo luogo, che viene autorizzata. Purtroppo, questi ecomostri non sono abusivi, perché se fossero tali le amministrazioni potrebbero intervenire e demolirle. Invece sono proprio le amministrazioni, attraverso gli uffici di competenza, che approvano la costruzione di questi scempi». A proposito di pubblico: in Oltrepò ci sono stati diversi progetti portati a termine o in fase conclusiva che hanno sollevato grande perplessità, sia da tecnici che dalla popolazione stessa. Un esempio su tutti è l’auditorium di Fortunago. Da esperta, qual è la sua opinione a riguardo? «Sebbene sia un po’ carente di attività di ricezione, Fortunago è un borgo eccellen-
te, ben conservato e ristrutturato. Certo che arrivare in uno dei “Borghi più belli d’Italia” e trovarsi di fronte questo immobile moderno di queste dimensioni è veramente un peccato. Sicuramente si poteva agire differentemente…». Dove sbagliano le amministrazioni pubbliche? Si affidano a esperti o tecnici sbagliati? Non fanno studi approfonditi sull’impatto ambientale? «Secondo me l’errore è proprio a livello paesaggistico: le amministrazioni dovrebbero mettere dei vincoli ed essere loro in primis ad attuarli e successivamente indicare al privato lo stile e le caratteristiche da tenere per le ristrutturazioni o le nuove costruzioni. Dovrebbero curare di più la tutela del territorio anche a livello architettonico, autorizzando solo ciò che rispetta i parametri stilistici indicati. Non si integrano con il territorio, violentandolo con delle costruzioni che lo sminuiscono invece che valorizzarlo. Fosse una zona senza paesaggi, senza borghi e senza storia, sarebbe anche comprensibile uno scarso interesse, ma qui la situazione è completamente l’opposto». Tornando al lockdown, secondo lei può aver influito positivamente sul mercato immobiliare oltrepadano? «Certamente si è risvegliato un certo interesse sull’Oltrepò, soprattutto dal milanese. Ho notato che alcune abitazioni chiuse da anni sono state riaperte e riscoperte dai proprietari. Molti mi hanno chiesto se conoscessi persone che affittavano case in Oltrepò per lunghi periodi. Però si tratta maggiormente di affitti, non di acquisti, perché chi non conosce il territorio vuole prima provarlo. Però l’Oltrepò non si è trovato pronto per questa ondata di richieste, dato che la maggior parte delle case destinate per l’affitto sono malmesse o chiuse da tempo, necessitando di manutenzione immediata». Quali sono le iniziative che per lei hanno dato maggior risalto al territorio? «Mi piace molto Golferenzo dove ogni anno organizzano degli eventi enogastronomici che riescono a dare valore al borgo. Le amministrazioni dovrebbero seguire la via da loro tracciata». Pensa che ci possa essere una cura per la salute architettonica del nostro Oltrepò? «Basta poco per fare bene, ma ci vuole la volontà sia da parte dei privati che dalle amministrazioni, vigilando in modo più architettonico sulle nuove opere e dettando le linee guida. Non bisogna inventarsi nulla di particolare, bisogna fare le cose con senso. Certo, i servizi, le esigenze e le normative cambiano e bisogna adeguarsi alla modernità, ma bisogna rispettare la storia per non snaturare o sconvolgere il nostro territorio». di Manuele Riccardi
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MONTù BECCARIA
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«Lo scrivere a mano ci consente di fissare meglio i pensieri» La riscoperta della calligrafia, una materia da decenni dimenticata. Un’arte che sta suscitando diverso interesse, soprattutto da parte di quei giovani che non hanno conosciuto questa materia ai tempi delle scuole elementari. Melania Fulceri, toscana di origine e lombarda d’adozione, da anni ha deciso di abbandonare la professione di avvocato per dedicarsi a tempo pieno alla sua passione, la calligrafia. Ideatrice del brand “Tratti lenti”, sta ottenendo diversi consensi dai giovani, soprattutto attraverso i canali Instagram e Facebook. Melania, quando ha iniziato questa sua attività… «Sono un avvocato e per anni mi sono dedicata alla professione, fino a quando sono nati Nilde e Dante, i miei gemelli di quattro anni. Da quel momento ho scelto di dedicare a loro il mio tempo e, nell’intento di crescerli in mezzo alla natura, ho abbandonato le scartoffie di un ufficio legale milanese e mi sono trasferita con la mia famiglia in una frazione di Montù Beccaria. La spinta propulsiva a questo importante cambiamento è stato il desiderio di vivere a contatto con la natura, con tempi e ritmi più lenti, con meno cose e più esperienze. Il fatto, poi, di prendermi una lunga pausa dalla tanto sudata professione di avvocato mi ha permesso di far emergere il mio lato creativo, di potermi dedicare alla calligrafia e a tutto ciò che ruota intorno allo scrivere a mano». Dove ha imparato questa splendida arte e quando ha pensato di poterne fare un lavoro? «È una passione che ho sempre avuto, ma da quanto ho lasciato la mia professione di avvocato ho trovato maggiore tempo per dedicarmi a corsi per approfondire le conoscenze e migliorare le mie capacità. È nata come un’esperienza personale, perché mi dava la possibilità di rilassarmi, la calligrafia è una sorta di arte meditativa: infatti nelle culture orientali è considerata come tale e permette la concentrazione e il rilassamento mentale. Lo studio della forma delle lettere e dei tratti che le compongono, in armonia, seguono delle regole e dei canoni di estetici. Negli ultimi anni ho pensato di confrontarmi con il mondo esterno e ho riscontrato parecchio successo. Questo è dato anche dall’interesse manifestato dalle persone nei confronti non solo delle mie creazioni, ma anche della curiosità di conoscere quest’arte e di voler imparare a scrivere come me». Come si diventa calligrafi? «La calligrafia impone la conoscenza di regole, quindi un corso può dare un fondamento di base ma non è sufficiente. È tutta questione di pratica ed esercizio, un’abilità in continua evoluzione che necessita tanto tempo. Magari nei primi momenti si prova
una frustrazione iniziale perché non si riesce ad ottenere i risultati immaginati, ma con tanta pratica si riuscirà ad ottenerli». Siete in tanti a praticare questa arte in Italia? «Sinceramente in termini di numeri non saprei quantificare. Posso dire che ci sono tantissimi giovani che iniziano dal digitale, come graphic designer, e si stanno interessando alla calligrafica. Dal digitale al manuale, praticamente il percorso inverso che si è fatto in questi trent’anni. Questo perché preferiscono creare dei loghi o dei caratteri partendo da una bozza a mano per poi digitalizzarla successivamente». Quali sono i suoi attrezzi del mestiere? «Ci sono diversi tipi di pennini: io preferisco utilizzare quelli di vecchia produzione, composti da cannuccia in legno e punta tronca, anche se oggi ci sono tipologie che riproducono il loro effetto. Poi esistono anche strumenti creati a mano da me, come il “cola pen”, uno strumento che viene realizzato recuperando le lattine delle bevande e serve per ottenere una calligrafia più gestuale, più espressiva e più moderna». L’inchiostro medievale (prodotto con una parte di vino bianco e gomma arabica) e il ferro gallico (più fluido e con acqua distillata) sono molto impegnati nel suo campo. Anche lei li utilizza? «Certo, anche se esistono tantissimi inchiostri differenti che utilizzo. Ci sono inchiostri naturali, oppure con diverse caratteristiche: quelli che non sbavano con l’umidità o che non scoloriscono al sole, dipende tutto dal lavoro che si intende fare. Alcuni inchiostri li compro già fatti, altri preferisco crearli personalmente». Il galateo prevede che la scrittura degli indirizzi sulle buste deve essere eseguita a mano. Le vengono commissionati lavori di questo tipo? «Spesso quando si sente parlare di calligrafia si pensa subito alle partecipazioni di matrimonio. Ma quest’arte viene utilizzata in tantissimi modi. Io, per esempio, ho iniziato creando card e biglietti con busta per ogni occasione, utilizzando frasi celebri di personaggi famosi o autori, abbinandole a timbri tagliati a mano. La cosa che piace di più è la personalizzazione, perché solitamente il committente parte da un’idea iniziale che poi si evolve in base alle sue richieste e ai suoi gusti». Quanto tempo impiega per la stesura di un biglietto? «Ci vuole tanto tempo e pazienza per ottenere un buon risultato. Io la chiamo anche “Slow Writing”, scrittura lenta, perché è una questione di gestualità e lentezza. C’è da considerare che prima di scrivere nel vero senso della parola, bisogna tracciare una rigatura per avere i punti di riferimento per riuscire a mantenere le dimensioni e rispettare i canoni estetici».
Melania Fulceri, calligrafa
Con l’avvento del digitale, è ancora importante avere una bella calligrafia? «Oggi la gente non scrive più, e questo è un problema causato dall’era digitale in cui viviamo. La scrittura dovrebbe essere la prima arte che impariamo, quella più banale e naturale. Le persone non sanno più scrivere perché non c’è più un vero insegnamento alla scrittura: si dà tutto per scontato, si insegnano subito i caratteri del corsivo e dello stampatello senza fare il giusto approfondimento sulle regole della scrittura. Le persone oggi sono incuriosite da questo perché in realtà vorrebbero tornare a scrivere bene. Oggi la regola è il digitale, la calligrafia è l’eccezione, e quindi sta tornando di moda per diversi fattori. Una persona che scrive bene è una persona che si pone in un certo modo nei confronti di un terzo, attirando maggiormente l’attenzione. Ma oltre al fatto estetico c’è il bisogno di scrivere a mano, perché questo ha risvolti importanti: ci consente di fissare meglio i pensieri e di focalizzare al meglio il percorso logico che ci porta ad una certa conclusione. Anche semplicemente prendere appunti a mano si ottengono risultati diversi che a macchina, permettendo di ricostruire il proprio pensiero. Quando una persona scrive a mano attiva maggior sensorialità: il pensiero che c’è nella nostra testa viene inviato alla mano, la quale lo visualizza sul foglio.
Cosa che non avviene con il computer. Indipendente dalla calligrafia, che è la scrittura più bella ed artistica basata su regole e canoni stilistici, la grafia ci rappresenta e ci permette di riconoscerci, perché trasmette la nostra personalità». è vero che dalla grafia di una persona si riesce a risalire alla sua personalità? «Certamente. Esiste infatti la grafologia, lo studio della scrittura come rilevatrice della personalità di una persona. Ma qui si entra in un altro campo…». Il suo trasferimento in Oltrepò come ha influenzato questa sua passione? «Il cambiamento di ritmo, causato dalla maternità, dall’abbandono della professione di avvocato, ma soprattutto dal cambio di territorio ha influito notevolmente. Uno dei requisiti essenziali della calligrafia è il silenzio e la tranquillità. è ovvio che in un luogo come Milano è molto più difficile concentrarsi e rilassarsi, la qualità del pensiero non è la stessa. Sono riuscita a adattare quest’arte anche in tematica oltrepadana: il mio primo lavoro l’ho fatto per i vini di Fausto Andi, che punta da sempre sull’artigianalità, ora collaboro con altre cantine per la realizzazione di etichette fatte a mano, per serie limitate o anche pezzi unici. Applicando la calligrafia al mondo del vino si possono ottenere bottiglie con la massima personalizzazione e una singola identità.
MONTù BECCARIA Ma non solo etichette… Per un’altra azienda ho curato la realizzazione delle lavagne che in cantina indicano la denominazione dei vini, simulando con una penna gessata l’effetto del gessetto e rendendolo più indelebile. Ma anche segna-vino da mettere al collo della bottiglia, segnaposti, bigliettini per eventi particolari…». Con questa passione si può “vivere” o conviene svolgere un’altra attività? «Secondo me non basta. Prima di tutto ci vuole tempo per farsi conoscere: i social certamente aiutano ma non riescono a trasmettere quel senso di artigianalità che si può apprendere vedendo dal vivo un calligrafo al lavoro. Solo in questo modo si riesce a far conoscere quest’arte in tutte le sue parti. Ormai non c’è più questa abitudine a scrivere bene, chi vede questi lavori non realizza che siano fatti a mano, come è capitato in alcuni eventi: per questo motivo quando faccio delle esposizioni, mi metto all’opera personalizzando biglietti con il nome della persona interessata, in modo che riesca ad apprendere al meglio cosa c’è dietro ad una scritta, dimostrando la percezione del fatto a mano». Oggi di quali progetti si sta occupando? «Percependo questa voglia nelle persone di voler tornare a scrivere bene, ho iniziato ad organizzare lezioni e workshop, sia per i privati che per le aziende. Proprio in questi mesi ho in programma due eventi a Bobbio, due giornate del medesimo laboratorio intitolato “Prime prove di calligrafia”, un’introduzione alla calligrafia con pennino. La sede a Bobbio non è casuale perché qui vi è un particolare legame con
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«Oggi la regola è il digitale, la calligrafia è l’eccezione, e quindi sta tornando di moda per diversi fattori» quest’arte, dato che vi è un’Abazia con una tradizione scrittoria importantissima con all’interno lo scriptorium dove gli amanuensi hanno riprodotto a mano tantissime opere. Per le aziende, invece, ho sviluppato un canale di corsi dedicato alla formazione dei dipendenti, che esula dalle competenze professionali, ma per offrirgli attività alternative di benefit». Lei, nella quotidianità, ha una scrittura curata o come tutti noi scrive velocemente e magari un po’ imprecisa? «Anch’io come tutti ho una mia scrittura quotidiana, più veloce e imprecisa. Mi sono creata un tipo di grafia particolare, una sorta di stampatello minuscolo. Il corsivo, per tutti i giorni, ormai è disueto. Tendiamo tutti a scrivere in stampatello e questo è un problema. Con il corsivo le lettere sono tutte attaccate una con l’altra e seguono un movimento particolare. Questo riproduce il flusso del pensiero lineare, mentre lo stampatello fraziona e spezza il pensiero. Come con il computer, dove premiamo tasti e speziamo questo flusso». In privato scrive a mano o usa più frequentemente il computer?
«Io devo partire da una stesura a mano, per lo meno da una bozza o da una prima stesura. Da li magari rielaboro al pc, ma per mettere insieme i pensieri ho bisogno di iniziare da carta e penna». Una volta, all’epoca delle nostre mamme, sulle pagelle veniva posto il voto anche per la calligrafia e usavano il così detto “quaderno della bella copia”. Ora nelle scuole la calligrafia è assente nei programmi. Cosa ne pensa? È ancora importante avere una bella calligrafia o può essere considerato solamente un vezzo? «Oggi nelle scuole insegnano la scrittura ma senza partire dai canoni essenziali, e quello è sbagliatissimo. È un peccato che questo insegnamento sia stato eliminato: oggi si vedono grafie assurde, ibride, metà corsivo e metà stampatello. Non c’è più un senso estetico, ma soprattutto non c’è più quel legame tra corsivo e pensiero. Anche l’impugnatura della penna nessuno considera più: invece nei vecchissimi manuali di calligrafia le prime pagine erano proprio dedicate all’impugnatura e all’utilizzo della penna. Avere una bella calligrafia non è
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un vezzo, ma è come aver un buon biglietto da visita». Conosce giovani curiosi e desiderosi di intraprendere questa sua stessa strada? «Diciamo che ci sono due tipologie di persone che si stanno avvicinando a quest’arte: quelli più maturi, che l’hanno conosciuta ai tempi della scuola e vogliono riscoprirla e i giovani, che non hanno mai vissuto questa esperienza per loro nuova. Uno quando sente la parola calligrafia pensa subito a quelle scritture impegnative, magari su stile inglese, o allo stile gotico dei monaci amanuensi: in realtà “calligrafia” vuol dire parecchie cose, c’è un mondo dietro questa parola». di Manuele Riccardi
Esempio di lavoro calligrafico eseguito da Melania
Codice di autoregolamentazione per la pubblicità elettorale per le Elezioni Comunali 2020 Ai sensi e per gli effetti della L. 22/2/2000 n. 28 così come modificata dalla L.6/11/2003 n. 313, del D.M. 8/4/04 e delle successive delibere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ( Delibera n. 1/18/CONS e Delibera Delibera n. 2/18/CONS) per il mensile IL PERIODICO NEWS, per il portale online www.ilperiodiconews.it ; e per la pagina Facebook https://www.facebook.com/ilperiodiconews/ Documento redatto ai sensi della legge 22 febbraio 2000 n. 28 e s.m.i. e dell’art. 20 della deliberazione n. 84/06/csp dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni, pubblicata sulla gazzetta ufficiale della repubblica italiana n. 87 del 13 aprile 2006. Thor Press S.r.l.s intende pubblicare sulla testata Il Periodico News e sul sito web www.ilperiodiconews. it messaggi elettorali a pagamento in occasione delle elezioni europee ed amministrative che si terranno il 26 maggio 2019. Tali messaggi riporteranno la dicitura “Pubblicità elettorale” e il nome del committente per il candidato. Tutto ciò nell’ambito della legge che regolamenta la vendita degli spazi pubblicitari per propaganda elettorale nel rispetto delle Delibere adottate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni della Repubblica Italiana. 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SAN DAMIANO AL COLLE
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«Siamo passati da un deficit di bilancio rilevante ad avere 314.000 euro di utile» Era il 2013 quando a San Damiano al Colle Cesarino Vercesi iniziava il suo primo mandato come sindaco, trovandosi di fronte ad una vera e propria sfida. Come il nome della sua lista civica “Futuro per San Damiano”, sembra proprio che Vercesi sia riuscito a garantire un futuro roseo per il suo paese. Appena insediato, le casse comunali erano pari a zero, con un deficit di bilancio non indifferente e molti servizi venivano garantiti con non poche difficoltà, sia economiche che di personale. Oggi, a distanza di sette anni la situazione è completamente cambiata, frutto di un grande impegno suo, dei suoi consiglieri comunali e di tutto il personale amministrativo. Lo abbiamo intervistato insieme al vicesindaco Paola Brandolini, suo vero e proprio braccio destro in questo secondo mandato da primo cittadino. Vercesi, ormai sono già sette anni da sindaco… «Ho iniziato la mia carriera da amministratore nel 2000, ma non avrei mai pensato in futuro di ricoprire la carica di sindaco. Tramite un mio grande amico, l’onorevole Francesco Adenti, mi sono avvicinato alla politica e mi sono candidato in provincia nel 2011 e due anni dopo ho rinunciato alla candidatura alla Camera dei deputati. Così nel 2013 ho accettato di mettermi in lista come sindaco nel mio pavese, ottenendo un grande riscontro dalla popolazione. E nel 2018, ho deciso di ricandidarmi per proseguire i progetti iniziati». Il suo primo consiglio comunale ha avuto una particolarità… «Sì, dal 2013 al 2018 ero l’unica presenza maschile in tutto il consiglio comunale. Addirittura, fino al 2015, oltre ai consiglieri di maggioranza e di minoranza, anche la segretaria e il tecnico comunale erano donne. Una vera e propria eccezione». Brandolini, invece per lei si tratta della sua prima esperienza amministrativa? «Sono stata consigliere comunale nel primo mandato di Vercesi, dopo vent’anni che non frequentavo più San Damiano, sebbene ci abitassi. Dopo questa prima esperienza, nel 2018 sono stata rieletta e nominata vicesindaco». Vercesi, come sono stati i primi cinque anni di mandato? «Appena ci siamo insediati ci siamo trovati davanti una situazione drammatica: c’era un deficit di bilancio rilevante, con fatture non pagate e debiti fuori bilancio consistenti. Il primo anno abbiamo dovuto intervenire drasticamente sulla riduzione dei costi, in primo luogo eliminando i nostri gettoni di presenza e lo stipendio
del sindaco. Inoltre, investivamo i nostri soldi per l’acquisto di materiale utilizzato per i lavori pubblici, come per esempio la vernice per la segnaletica stradale e le strisce pedonali. Ma c’erano situazioni pericolose da dover sistemare: da diversi anni la strada provinciale che dalla località Braccio porta alla frazione Casalunga era stata colpita da una frana, che non permetteva nemmeno il passaggio dei pullman. Una delle mie prime richieste come sindaco all’allora Assessore Beccalossi è stata quella di stanziare finanziamenti a fondo perduto per questi lavori e, in breve tempo, il problema è stato risolto. Durante il mio primo mandato, grazie all’ex vicesindaco, abbiamo ottenuto il bando “6000 campanili”, incassando 650.000 euro, utilizzati per il rifacimento del centro storico, per l’asfaltatura delle strade comunali e la costruzione del piazzale del cimitero. I lavori sono durati circa tre anni». Impegnati in prima linea, con i vostri soldi... Lodevole e ben oltre i vostri doveri… «Le dirò di più: lo stesso giorno in cui sono stato eletto sindaco, sono andato al cimitero a tagliare l’erba e a fare le pulizie, non c’erano abbastanza dipendenti comunali, c’era solo un cantoniere e il vigile, che si occupava degli uffici. Anche i consiglieri si sono subito impegnati, mettendo a disposizione il proprio tempo libero e le proprie capacità per garantire i servizi comunali: c’è chi si occupava della segreteria, chi dell’ufficio tecnico e chi dell’anagrafe. Questa situazione è andata avanti per due anni, fino al 2015». Poi dal 2015 cos’è cambiato? «In questi due anni siamo riusciti ad azzerare i debiti, coprendo il deficit di bilancio, ma facendo comunque opere grazie a tutti i bandi a cui abbiamo partecipato e ai finanziamenti a fondo perduto che abbiamo ottenuto. Dopo 7 anni, siamo passati da un deficit di bilancio rilevante ad avere 314mila euro di utile, di cui 298mila utilizzabili». Brandolini, un’altra situazione sanata è quella che riguarda l’asilo. «Sette anni fa siamo intervenuti nella gestione dell’asilo: il primo passo è stato quello di prendere in comodato d’uso gratuito l’immobile ed occuparci della gestione economica. Il personale è statale, la struttura è della Fondazione, ma la gestione del Comune, che ora paga le bollette e tutte le varie spese. Quest’ultime sono state quasi dimezzate: uno dei principali tagli ha riguardato il servizio mensa, ora affidato ad un’azienda convenzionata con buoni pasto.
Il sindaco Cesarino Vercesi ed il vice sindaco Paola Brandolini
«Finalmente a fine anno l’asilo diventerà di proprietà del Comune, andando ad incrementare il patrimonio immobiliare di San Damiano» Finalmente a fine anno l’asilo diventerà di proprietà del Comune». Quindi questo non comporterà ulteriori spese sulle casse del comune? «Assolutamente no, perché già da anni l’amministrazione sosteneva i costi di gestione. Contrariamente andiamo ad incrementare il patrimonio immobiliare del Comune e, grazie ai fondi statali, potremo anche intervenire nella ristrutturazione edilizia». Vercesi nel 2018 è stato rieletto per la seconda volta «Ho deciso di ricandidarmi insieme a due precedenti assessori, Paola Brandolini e Monica Dacrema, mantenendo il nome della lista: sebbene alcuni consiglieri siano cambiati, abbiamo garantito una certa continuità con i primi cinque anni». Quali sono stati i primi settori si cui avete concentrato il lavoro del nuovo mandato?
«Tra il 10 giugno e fine dicembre 2018 abbiamo definitivamente sistemato la questione personale, assumendo a tempo indeterminato un addetto all’anagrafe, uno alla ragioneria, uno all’ufficio tecnico, oltre al vigile e al cantoniere. Una situazione inimmaginabile cinque anni prima». Brandolini, a livello di strade, sicurezza e opere pubbliche cosa avete fatto in questi due anni? «Abbiamo installato quattordici nuove telecamere ad infrarossi sul territorio comunale, grazie ad un bando di 15mila euro incrementando quelle già installate grazie nella precedente amministrazione. Sempre nel 2018 abbiamo svolto numerosi interventi sulle strade interpoderali, dove non venivano fatti lavori da più di vent’anni, effettuando la pulizia dei fossi per circa 20mila euro: sebbene dovesse essere a carico dei fondisti, abbiamo deci-
SAN DAMIANO AL COLLE so di intervenire pubblicamente. Nel 2019 ci siamo dedicati alla ristrutturazione della casa comunale, rifacendo una parte del tetto, il cappotto, la tinteggiatura degli uffici e della facciata, l’installazione dei climatizzatori, della nuova caldaia e del nuovo impianto luci. Sono stati fatti diversi lavori anche al salone Sayonara, con l’installazione della pompa di calore e dei pannelli fotovoltaici. Anche nel centro storico, dove avevamo precedentemente svolto i lavori tramite il bando “6000 campanili”, abbiamo fatto ulteriori interventi, illuminando interamene la scalinata, Via Ridosso e Via Fugazza». I lavori effettuati sulle strade interpoderali sono stati un bel servizio offerto agli agricoltori «Certamente, e ne sono stati felici. Per ricambiare il nostro operato tutti i nostri ventisei produttori ci hanno invitato a partecipare a “Colle di Vino”, una manifestazione enogastronomica tra le vie del centro storico, da noi fortemente voluta. Anche questa “unione” per noi è stato un grande successo, che ha ripagato i nostri sforzi degli anni precedenti». Promozione del territorio: oltre a “Colle di Vino” avete in mente altre manifestazioni? «“Colle di Vino” per noi è stato un successo dato che abbiamo registrato un numero di ingressi superiori alle aspettative. Abbiamo inoltre partecipato due volte alla trasmissione “Itinerari” di Telepavia, per poter far conoscere maggiormente il nostro Comune». Tornando agli interventi sul territorio comunale, in questi anni avete potenziato alcuni servizi? «Abbiamo richiesto a Poste Italiane l’installazione di un Postemat, che verrà presto installato all’interno dell’ufficio postale. Inoltre, per facilitare il nostro personale è stato acquistato un nuovo pickup per il cantoniere e presto arriverà anche una nuova auto per la Polizia Municipale».
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Vercesi, invece per le frazioni? Quali sono stati gli interventi più significativi? «Innanzitutto abbiamo fatto interventi sui cimiteri: a Mondonico abbiamo ricostruito un pezzo del muro di cinta del cimitero, e presto rimuoveremo anche l’amianto dai tetti delle cappellette in quello del capoluogo e di Villa Marone, per un totale di 77mila euro di spese di smaltimento. Quest’ultimo cimitero, inoltre, è stato ristrutturato nelle parti più vecchie. Tra frazioni e capoluogo, sono state potate più di 170 piante, anche sulla strada provinciale». Quali sono i progetti che intendete svolgere entro fine mandato? «Il lockdown ha causato parecchi ritardi sui nostri progetti, come per tutti gli altri comuni. Abbiamo intenzione di installare il fotovoltaico anche sul tetto del cimitero del capoluogo, vicino al quale andremo a creare la nuova area ecologica e a costruire il nuovo ricovero per i mezzi comunali. C’è in progetto di potenziare ulteriormente l’impianto di videosorveglianza e di illuminazione, installando lampioni in stile antico e illuminando il campanile. In più c’è in progetto l’istituzione di una casa di accoglienza per anziani autosufficienti, con dodici posti letto, che su esplicita volontà dei venditori si chiamerà “Villa Teresa”». Brandolini, a proposito di lockdown, come avete vissuto quel periodo a San Damiano? Come si è comportata la popolazione? «Io ed il sindaco vogliamo ringraziare i nostri cittadini che, sebbene nelle difficoltà iniziali, hanno rispettato tutte le indicazioni comunali e ministeriali. Come Comune abbiamo effettuato la sanificazione delle strade e comprato mascherine monouso e lavabili da distribuire insieme ai buoni pasto. Anche i negozi di alimentari ci hanno aiutato, effettuando le consegne a domicilio. Nonostante siano state applicate e rispettate tutte le norme, abbiamo
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«C’è in progetto l’istituzione di una casa di accoglienza per anziani autosufficienti, con dodici posti letto: si chiamerà “Villa Teresa”»
La storica chiesetta di Mondonico, a breve inizieranno i lavori di ristrutturazione
registrato sei contagi, con due decessi: Giannino Zecchin e Pierantonio Brandolini, che noi tutti ricordiamo con affetto. Ringraziamo il nostro vigile, Massimo Sassoni, che durante la quarantena ha “rastrellato” insieme a me e al sindaco l’intero territorio comunale, e tutte le attività che hanno collaborato in questo difficile periodo». è notizia delle ultime settimane che presto inizieranno i lavori di ristrutturazione della storica chiesetta di Mondonico.
Sindaco, quale è il progetto? «Anni fa è stato istituito un comitato per il recupero di questo edificio di culto, uno dei più vecchi dell’Oltrepò Pavese in quanto edificato prima all’anno 1000. Il progetto ha subito diversi rallentamenti ma ora, grazie anche alla vendita della canonica ad un privato, c’è la liquidità necessaria per iniziare i lavori, che dovranno iniziare entro fine anno». di Manuele Riccardi
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MUSICA
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Madness Power: giovanissimi musicisti alla finale regionale del Sanremo Rock La passione per la musica e l’amicizia uniscono cinque ragazzi oltrepadani, giovanissimi – di età tra i 17 e i 18 anni, sotto il nome di Madness Power. La formazione storica della band è composta da Matteo Faravelli, tastierista; Davide Ranicelli, bassista; Roberto Cagnato, chitarrista; Edoardo Nicoloso, batterista. Sono loro a ripercorrere, in questa intervista, la propria attività sulla scena musicale in Oltrepò, in corso da tre anni. Arriviamo ad oggi, con l’ingresso recentissimo di Desiré Criscione, cantante e quinto membro del gruppo. I Madness Power sono candidati alla finale regionale del Sanremo Rock: se l’esibizione avrà il successo sperato, saliranno sul palco dell’Ariston. Edoardo come si è formato il gruppo? «Quando io e Roberto ci siamo conosciuti, in prima superiore, e siamo diventati amici, abbiamo deciso quasi immediatamente di formare una band, che all’inizio avrebbe dovuto essere improntata sul genere Punk. Poi, però, ci è sembrato bene di proporre a Matteo, che già conoscevamo, se volesse inserire le tastiere per arrivare ad esperimenti musicali più interessanti. Dopodiché, anche Davide ha fatto il suo ingresso. Il percorso dei Madness Power è iniziato in questo modo e, passando attraverso un’esperienza sax grazie a Simone, un nostro amico, e Giulia, la cantante che ci ha accompagnati per tre anni, siamo arrivati ad oggi, con Desiré, new entry da pochissimo, alla voce. Anche noi, come la maggior parte dei gruppi emergenti, abbiamo iniziato facendo cover (principalmente Rock), per poi evolverci ed arrivare alla composizione di nostri inediti, raccolti nell’ EP “Deep Water”, uscito nell’ottobre 2019». Roberto qual è il concept alla base di “Deep Water”? Quale genere musicale spicca maggiormente? «I temi trattati, così come i generi musicali, in realtà, sono diversi. Pur essendo tutto improntato sul Rock e sull’Alternative Rock, sono presenti diverse influenze Heavy Metal, Punk, Pop, ma non mancano sonorità melodiche e classiche ballate. Questa commistione di generi deriva dal contributo di ogni membro e dalle sue esperienze personali. Per quanto riguarda le tematiche, possiamo dire che l’argomento d’insieme è l’amore a 360 gradi: quindi non solo come amore tra due persone che vivono una relazione, indipendentemente dall’orientamento sessuale, ma anche come amore tra un genitore e un figlio, come amore quale sentimento d’amicizia – insomma, le emozioni che muovono le relazioni interpersonali». Matteo perché avete scelto queste tematiche? Vi toccano anche personalmente? «Sì, ho scritto io i testi e posso dire che in parte abbiamo scelto questi argomenti
Madness Power: Desiré Criscione, cantante; Davide Ranicelli, bassista; Roberto Cagnato, chitarrista; Edoardo Nicoloso, batterista
anche perché ci riguardano personalmente. L’altro 50% dei brani è nato sull’idea musicale e tematica delle canzoni precedenti, ma comunque non senza il contributo dell’esperienza di ognuno di noi». Davide avete mai ricevuto premi o riconoscimenti? «L’anno scorso abbiamo vinto l’Albarock ad Albaredo ; abbiamo vinto anche il Road to Summer Festival di due anni fa e dell’anno scorso; il primo ci ha permesso di suonare al Bubble Fest (sostituto del Molecole Festival) come headliners, il secondo invece ci ha portati al Festeenval, evento neonato nella provincia di Pavia, che consente a tutte le realtà musicali giovanili di esibirsi su palchi che danno una notevole visibilità. La novità più grande è di quest’anno: siamo finalisti regionali al Sanremo Rock e, se tutto va bene – ce lo auguriamo, raggiungeremo il palco dell’Ariston. Inoltre, abbiamo deciso di comune accordo di far esibire Desiré nella sua prima live proprio in occasione delle finale regionale. è una scelta molto azzardata ma o la va o la spacca». State già lavorando a qualcosa di nuovo? Avete progetti in cantiere? «Stiamo lavorando al nostro prossimo album, che prevediamo conterrà circa setteotto brani, tra inediti, cover e riarrangiamenti di alcuni nostri brani che vogliamo cambiare o svecchiare. La base di questo album è proprio la sperimentazione per
creare contenuti nuovi, unici, originali. Tra l’estate, la preparazione per il Sanremo Rock e la scuola, non sappiamo per certo quando uscirà, ma speriamo il prima possibile: infatti abbiamo recentemente terminato una sessione di homerecord di alcune demo». Edoardo siete riusciti a portare avanti i vostri progetti anche durante il periodo del lockdown? Come vi siete organizzati? «Certo, anche se non abbiamo potuto suonare insieme di persona, abbiamo lavorato alla progettazione dell’album e ci siamo impegnati a crescere dal punto di vista tecnico, visto che registreremo e mixeremo tutto da soli, insomma, autoprodurremo il disco. Un lato positivo della quarantena è stato la possibilità di “fermare il tempo” così da poter perfezionare individualmente tutte quelle piccole cose che, nel complesso, sono fondamentali nella costruzione di un prodotto che funziona. Ad esempio abbiamo seguito molte masterclass su come promuovere la propria idea musicale e farla arrivare più facilmente al pubblico, coinvolgendolo nel processo creativo – noi lo abbiamo documentato attraverso le stories e i post di Instagram». Roberto il nome del vostro gruppo è parecchio distintivo. Ha un’origine particolare? «Risale alla primissima formazione del gruppo. è stato proposto dal nostro sas-
sofonista, che l’ha proposto un po’ così, a gamba tesa; siccome noialtri non avevamo idee e ci è piaciuto, abbiamo tenuto quello (ride). C’è da dire che è un nome orecchiabile e d’impatto». In questi anni di attività come band, che opinione vi siete costruiti riguardo la scena musicale in Oltrepò? Edoardo: «A dir la verità, i gruppi sono interessanti, spesso sono nostri amici e fa sempre piacere assistere ad una performance. Tuttavia trovo che in Oltrepò e nel Pavese siamo rimasti ad un livello di sound e attitudine musicale standard e ripetitivi. Ultimamente nessuno sta proponendo novità. Gira sempre il solito Rock, Pop-Rock, Rock-Grunge… non intendo dire che non sia bello, ma proprio perché ci piace tutta la musica, è ora di portare sulla scena anche influenze Funky, Soul, Jazz, Blues, e via dicendo». Matteo: «Un’altra cosa che secondo me uccide in un certo senso la scena è la tendenza a relegarsi – come abbiamo fatto anche noi, ad essere sinceri, perché è il miglior modo per iniziare – al ruolo di cover band. Pochissimi, quasi nessuno inizia proponendo la propria idea musicale. Con il nuovo album vogliamo proprio portare nuove sonorità in un contesto vecchio e saturo di classico Rock trito e ritrito». Roberto: «Aggiungo un altro concetto: spesso anche gli show sono monotoni e ridondanti, non solo nel suono ma pure nell’aspetto. Vogliamo fare in modo che il pubblico si ricordi di noi anche per l’impatto scenico che abbiamo sul palco, magari adottando effetti speciali particolari o un abbigliamento adatto alla performance, che non sia la solita combinazione di pantaloncini corti e maglietta d’estate o jeans e felpa d’inverno. Sembrerà un discorso superficiale, ma se hai contenuti musicali validi, conta anche il modo in cui li proponi, soprattutto in un’esibizione live». Matteo qual è, secondo voi, uno dei vostri punti di forza? «Neanche tanto “secondo noi”, a dire il vero: un parere esterno che spesso ci viene dato è che tra di noi si percepisce una forte intesa, dovuta al fatto che tra prove, uscite insieme e scuola – facciamo tutti lo stesso liceo musicale - passiamo praticamente sette giorni su sette insieme. Possiamo definirci quasi una famiglia. Ed è un nostro punto di forza perché il confronto immediato e costante genera molte idee ma, soprattutto, durante i live basta un cenno, uno sguardo per far capire agli altri le proprie intenzioni e cosa sta succedendo. Questo per quanto riguarda noi quattro, ma siamo certi che anche a Desiré basteranno pochi mesi di live insieme, nella speranza che riprendano il prima possibile, per creare un’intesa efficace». di Cecilia Bardoni
LETTURA
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«Il mio libro è un tripudio ed una dedica ai prodotti della Valle Staffora» “L’ ortolano di casa. Storie e ricette della terra della Valle Staffora e dell’Oltrepò”. Questo il titolo del libro fresco di uscita di Gaetano La Cognata, 72 pagine in cui prodotti del territorio s’intrecciano con ricette del passato e storie di usi e costumi della Valle Staffora. La Cognata lei è siciliano di origine. Da quanto tempo è trapiantato in Oltrepò? «Sono nato in Sicilia nel 1959 e all’età di due anni i miei genitori si trasferirono a Casteggio per motivi di lavoro. Mio padre era ortolano così come mio nonno e ancora prima il mio bisnonno. Non potevo che ereditare quel mestiere, e così è stato, ho fatto l’ortolano tutta vita insieme alle mie sorelle». Oggi dove vive? Sempre a Casteggio? «No, oramai sono venti anni che vivo nell’alta Valle Staffora, a San Martino nel Comune di Menconico ed è qui che coltivo i miei prodotti che poi vendo al mercato». Conoscenza e passione un mix che l’ha condotta da produttore e venditori di prodotti agricoli a scrittore. Quando è avvenuto questo desiderio? «Ciò che mi ha dato l’imput è sapere dell’esistenza di magnifiche varietà autoctone di prodotti della Valle Staffora ma poco conosciuti ed utilizzati dalla gente, prodotti che difficilmente si vendono ai banchi del mercato, mi riferisco ad esempio alla Pomella Genovese, poi alcune varietà di zucca e di castagne che troviamo solo da noi. Diciamo che tutto il mio libro è un tripudio ed una dedica ai prodotti dell’autunno e dell’inverno della
Valle Staffora». Qual è il pregio di queste varietà autoctone di cui parla nel suo primo libro? «Non necessitano di particolari trattamenti per la loro conservazione e hanno un sapore unico. Le mele ad esempio che conosciamo maggiormente sono la Golden, la Delizia… cito queste che sono le più riconoscibili, ma se andiamo a verificare l’origine di queste varietà, scopriamo che non sono italiane. La mela Golden arrivò in Italia nel 1946 con gli americani, quando la nostra agricoltura era allo sfascio, appena finita la guerra. È importante capire la differenza tra il prodotto autoctono e quello importato, mentre il secondo necessita di trattamenti per la sua crescita e conservazione, il primo no, perché si difende da solo e resta genuino come nel caso della Pomella Genovese». Nel suo libro in che modo viene impegnata la Pomella Genovese in cucina? «La mela veniva largamente cucinata come la verdura per i contorni oltre a essere consumata come frutta. Nelle cantine i contadini oltre alle patate e alle zucche, tenevano le mele che si conservavano per mesi. Ho scoperto tantissimo di questo territorio grazie ai racconti delle persone anziane che sono i custodi preziosi degli usi e dei costumi di un tempo e con piacere e generosità li tramandano a chi sa ascoltare, ed io amo ascoltare i “nostri vecchi”. Probabilmente chi è nato e sempre vissuto qui, dà per scontato un po’ tutto, chi arriva da fuori invece, mostra maggiore interesse e apprezzamento
«Ho scoperto tantissimo di questo territorio grazie ai racconti delle persone anziane che sono i custodi preziosi degli usi e dei costumi»
Gaetano La Cognta
osservando da un altro punto di vista». Parlando di usi e costumi del territorio, un esempio su tutti che cita nel suo libro? «Racconto della “Cena delle Sette Cene”, che avviene il 23 dicembre, dove vengono servite sette pietanze e spiego la valenza religiosa del momento, racconto della torta di zucca che veniva servita in quanto rappresentava il sole e tante altre sfaccettature curiose del cibo legato alle tradizioni». A che tipo di pubblico è indirizzata il suo libro e con quale messaggio? «A tutti ma in particolare ai bambini, perché sono loro il nostro futuro e mi auguro che portino avanti i tesori di questa Valle meravigliosa! Sono 50 anni che faccio
l’ortolano e mi rendo conto della scarsa conoscenza che si ha di certi aspetti del nostro passato». Lei vende i prodotti che coltiva al mercato di Bagnaria. È un mercato attrattivo? «Questo è uno dei pochi mercati agricoli rimasti in provincia di Pavia. Siamo rimasti in quattro, ma nonostrante questo abbiamo tanti clienti affezionati». Il Covid-19 ha stravolto la vita di tutti, nel suo caso quanto ha inciso sul suo lavoro e sulla sua quotidianità? «Siamo rimasti fermi tre mesi a causa dell’emergenza sanitaria, la campagna si è fermata ed è stato un momento molto duro, anche perchè dove vivo io non ci sono negozi nemmeno per le cose essenziali come il pane, è stato un grosso problema, ma fortunatamente siamo ripartiti e preferisco ora non pensarci più». di Stefania Marchetti
SPORT
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«L’Oltrepò è una delle zone più disagiate perché non riusciamo mai a portare un ragazzo a livelli più alti» Fabio Tondo, 48 anni e una passione smisurata per il calcio. Prima calciatore e poi allenatore, da sette anni allena la Prima Squadra della Portalberese: in questa intervista, Mister Tondo ci racconta il suo punto di vista sul mondo del pallone. Lei allena da tantissimi anni…ci racconta il suo percorso? «Ho iniziato con i settori giovanili, prima con l’Apos, con cui mi sono trovato molto bene, perché è una società che lascia molta libertà di lavorare. E poi sono passato alle prime squadre: ho girovagato un po’, tra cui Zavattarello e Casteggio, poi mi sono fermato a Portalbera». Si trova bene? «Dopo 7 anni posso assolutamente dire che è casa mia! A dire la verità sono addirittura 8, perché avevo fatto il primo anno nel 2005, poi ero andato via e quando sono tornato non mi sono più mosso. Qui c’è comodità, la società ti fa lavorare bene, è una famiglia». I risultati come sono? «Ottimi direi. Due anni fa abbiamo fatto i playoff, arrivando quarti in classifica e abbiamo perso la semifinale con Rivanazzano. L’anno scorso, invece, abbiamo fatto la finale playoff e abbiamo perso con la Cavese. Quest’anno è andata come è andata. Ma abbiamo sempre avuto una squadra di alto livello: è sempre la stessa da sette anni, a parte qualche piccolo cambiamento ogni anno». Dopo il lockdown avete ricominciato con la preparazione? «No, ricominciamo il 31 agosto. Per il momento abbiamo fatto le iscrizioni e i tesseramenti e abbiamo fatto il mese di giugno ad allenarci. Con queste tipologie di comportamenti e protocolli che hanno messo, però, per il settore dilettanti è dura. A mio parere è dura per i professionisti, figuriamoci per noi. Allenamenti distanziati? Pensiamo solo al fatto che è consentito l’ingresso in discoteca, ma non si può giocare una partita di calcio all’aperto… non so con quale criterio sono state fatte queste regole. Comunque, tra poco si dovrebbe ripartire… il 27 settembre o 4 ottobre dovrebbe ricominciare il campionato. Non c’è ancora ufficialità, ma dovrebbe essere così». In qualità di Mister ha chiesto qualcosa in più per la prossima stagione? «No, la rosa è confermata. Abbiamo dato un giocatore in prestito, perché voleva giocare di più ed in effetti da noi aveva poco spazio…poi sono tornati due ragazzi che avevo anni fa e altri due giocatori che arrivano dall’Apos. Comunque del mercato me ne occupo io, sono sia allenatore che direttore sportivo». Un duplice ruolo importante… «Sì, anche perche sono io che capisco
La Portalberese di Mister Tondo
quello che realmente mi può servire… Comunque il nostro è veramente un bel gruppo… dopo l’allenamento ceniamo insieme, stiamo in compagnia. E poi questi ragazzi stanno da talmente tanti anni in gruppo che poi fanno insieme anche le serate, le ferie e così via. Anche le compagne e mogli dei giocatori sono molto coinvolte. Si è creato un ambiente molto bello e familiare e questo mi dà soddisfazione». Quindi adesso siete in attesa della ripresa… «Sì, serve assolutamente. Anche perché diventa rischioso per i ragazzi: fare una preparazione dopo tanti mesi che non giochi può portare criticità… questi ragazzi non sono professionisti… c’è chi fa l’idraulico, chi il muratore… e sotto il piano muscolare bisogna stare molto attenti». Lei allena la Prima Squadra. Cosa ne pensa invece del settore giovanile? «Bisognerebbe lavorare sui settori giovanili in maniera differente. Non bisognerebbe farlo solo per prendere i soldi dell’iscrizione, ma curare il settore, far crescere sul serio i giovani calciatori e avere degli allenatori con le competenze giuste. L’Oltrepò Pavese è una delle zone più disagiate perché non riusciamo mai a portare un ragazzo a livelli più alti.
Poi succede che dopo aver ‘preparato’ i ragazzi nel settore giovanile, quando arriva il momento di poterli passare in prima squadra, magari si prendono giocatori da altre realtà e non dal vivaio. E allora cosa lo si è preparato a fare? Non serve fare un settore giovanile in questo modo. Bisogna fare un settore competitivo, con gente preposta, non serve farlo solo per ‘mungere’ dei soldi… perché i soldi del settore giovanile devono restare nel settore giovanile, devono essere staccati dalla prima squadra». Ha visto cambiamenti negli anni, nel senso che prima c’era maggiore attenzione al settore giovanile e adesso no? «No, è una ‘cultura’ che ci si porta dietro da tanti anni. Per carità, poi ci sono società che lo fanno, che curano molto il settore giovanile e infatti hanno tanti ragazzi. Ma ce ne sono altre che lo fanno tanto per… e infatti mi chiedo spesso: chi negli ultimi anni è riuscito ad andare a giocare a livelli alti? Pochissimi davvero. E’ un peccato». Lei è partito proprio da lì… «Per allenare ci vuole gente preparata. Io per farlo ho dovuto fare un concorso all’epoca, dove prendevano 40 persone, e fare un mese e mezzo di corso tutti i giorni a Milano. Al giorno d’oggi lo fanno anche a Pavia, ma anni fa non era così. E
poi tutti gli anni ci sono gli aggiornamenti. Quindi non accetto che il ‘primo che passa’ alleni i bambini o ragazzini…posso capire se allena la prima squadra, dove ci sono giocatori già formati, ma con i più piccoli no. Loro hanno proprio bisogno di imparare e ci vuole gente esperta, mentre in prima squadra devi dare un’infarinatura al gruppo e fargli capire cosa vuoi tu da loro». Al momento alla Portalberese non è attivo il settore giovanile. Pensa che la realtà possa cambiare negli anni futuri? «A mio parere no. Poi naturalmente se la Società deciderà di farlo io non ostacolerò il progetto, ma il mio pensiero rimane quello che ho espresso prima. Il settore giovanile serve, ma solo se fatto in una determinata maniera». Secondo lei è dappertutto così, oppure è la nostra zona ad essere un po’ bistrattata? «Io conosco bene il pavese, le altre zone non le conosco alla perfezione…ma posso dire che quando abbiamo giocato partite in altre province la situazione è proprio diversa, anche a livello di strutture sportive. La provincia di Pavia è messa abbastanza male come strutture e impianti…è palese. Bisogna cambiare marcia». di Elisa Ajelli
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MOTORI
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Salsomaggiore Terme Tre rally in uno Tris di gare per i concorrenti del rally di “Salso”, a cominciare dai protagonisti del Rally Moderno coeff. 1,5, che hanno trovato un pieno di Trofei e Montepremi in palio. Dalla Coppa Rally di Zona Aci Sport, al Renault Corri con Clio N3 “Open” e Trofeo Twingo R1 “Open”, al Trofeo Peugeot Rally Regional Cup, al Michelin Zone Cup, al Pirelli Trofeo Accademia, al Trofeo BMW Rally Cup “Easy”. In cartello anche il 2° Rally Historic di Salsomaggiore Terme e il 2° Rally Classic di Salsomaggiore Terme Regolarità Sport valido per il Trofeo 3 Regioni. Numerosi i pavesi in gara. Iniziamo a raccontare il rally Termale dalle Autostoriche, l’unica del tris di gare in cui i colori pavesi hanno centrato la vittoria assoluta. Per il secondo anno consecutivo sono le Porsche by Ova Corse di Voghera ad aggiudicarsi la vittoria del Rally Historic di Salsomaggiore Terme disputato sabato 1 e domenica 2 agosto. Dopo il successo di Beniamino Lo presti e Claudio Biglieri nell’edizione 2019, in cui hanno portato sul gradino del podio la vettura preparata nella struttura oltrepadana a cui fa capo Filippo Musti, quest’anno, la vittoria è andata al figlio Matteo Musti navigato da Fabio Fraschetta sempre su Porsche 911. I portacolori della Scuderia Piloti Oltrepò, hanno patito problemi di pescaggio sulla 6 cilindri di Stoccarda nel corso della prova d’apertura di sabato, conclusa facendo comunque segnare il secondo tempo assoluto nella frazione che ha visto l’exploit di Bottazzi su Opel Corsa. Risolto in problema in assistenza, MustiFraschetta, hanno preso il comando delle operazioni dalla Ps2 (la prima della seconda giornata di gara), senza più lasciarle, infilando 6 successi sulle sei prove in programma. Alla fine, il loro tempo totale è stato di 34’52”9, un minuto meno di Delladio-Ometto secondi sempre con una Porsche 911, mentre al terzo posto ha chiuso la BMW di Guarducci-Bazzani staccati di 1’04”5. Quarto posto, primi di Raggruppamento 3 e primi di classe per i brillantissimi oltrepadani Matteo Cassinelli e Fabio Albertazzi con la Bmw 320i in gara con i colori della Scuderia Piloti Oltrepò, mai usciti dalla top five che poteva essere arricchita da un altro equipaggio pavese, infatti, doveva essere un quinto posto più che meritato quello che Andrea Botti con alle note Ruggero Tedeschi, stava ottenendo a Salsomaggiore, gara in cui il portacolori di Paviarally ha portato al debutto la Mitsubishi Galant VR4. Purtroppo, la corsa del driver di Zavattarello si è conclusa prematuramente per un problema
Rally Storico: dominio di Musti Fraschetta con la porche L’Equipaggio Botti -Tedeschi con il tifo degli appassionati pavesi
elettrico accusato sulla penultima prova in programma quando occupava la quinta posizione assoluta. Gli oltrepadani già si erano messi alle spalle, la Porsche 911 di Valle, La Toyota Celica ST165 di Bergo, la Bmw di Zandonà, la Ford Escort RS 2000 di Porta e altre vetture di prestigio. Oltre a Musti-Fraschetta, Cassinelli-Albertazzi e Botti-Tedeschi, in gara tra le storiche vi erano anche Giorgio e Marco Verri e Daniele Ruggeri con Martina Marzi. Questi ultimi hanno avuto problemi da subito sulla loro Fiat 127 Sport a cui hanno tentato di porre rimedio. All’inizio della seconda giornata di gara si è avuta l’impressione che l’equipaggio del Carmine potesse risalire la china, ma è stata un’impressione durata solamente 3 prove prima che i portacolori della Media Rally Promotion fossero costretti ad alzare bandiera bianca. Gara regolare per Giorgio e Marco Verri in gara con la Fiat Uno 70S con i colori della Scuderia Cremona Corse. Partiti con un buon 18° tempo assoluto, il duo di Pietra de’ Giorgi ha poi pagato un attimo di disattenzione sulla Prova Speciale 4, gli 8,5 Km della Tabiano da cui escono con il 25° tempo assoluto. Ma i Giorgi, padre e figlio, non demordono e di buon passo portano a termine la gara al 15° posto assoluto e primi di classe. La gara emiliana ha riservato anche alcuni premi speciali. Bottazzi-Ferrari, funambuli a bordo della Opel Corsa, vincendo la classifica assoluta della Ps1, si sono aggiudicati la Targa Terme Berzieri. Mentre, avendo vinto il 7° Raggruppamento nella classe fino a 1150cc. Nicola e Davide Benetton hanno alzato il 2° Trofeo Varano de’Melegari. In coda al rally storico si sono misurati i concorrenti protagonisti della Regolarità Sport in cui il successo è andato alla Toyota Celica di Falcone-Bulboni che si sono imposti con sole 27 penalità.
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L’Equipaggio Musti - Fraschetta
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L’Equipaggio Cassinelli - Albertazzi (Diessephoto)
L’Equipaggio Verri - Verri (Diessephoto)
Seconda posizione per Andrea GiacoppoNicola Randon su Lancia Fulvia (38 p) mentre il terzo gradino del podio finale è andato a Turri-Moscato su Fiat 128. Buona la gara dei pavesi Roberto Rossetta-Alberto Degliantoni i quali piazzano la loro Lancia Fulvia Coupè al 12° posto assoluto e terzo di Divisione quattro. I bresciani Seneci-Russo, sono risultati invece primi tra i partecipanti del Progetto Mite sulla prova speciale 7in Ps7, valida per l’assegnazione del 1° Trofeo Città di Bardi.
Antonio Rusce e Sauro Farnocchia sono i vincitori della 3° edizione del Rally di Salsomaggiore Terme per auto moderne. Rusce ha colto l’occasione propizia dopo aver accusato problemi di sottosterzo alla vettura, una Skoda Fabia della MS Munaretto. Nelle ultime due prove, sistemate le noie tecniche e chiamatosi fuori il leader della corsa Damiano De Tommaso (fermo in trasferimento per un problema meccanico), Rusce ha segnato lo scratch decisivo sull’ultima prova guadagnando decimi preziosi su Tosi e Medici, avversari diretti
MOTORI
Regolarità Sport: gara dignitosa per Rossetta - Degliantoni per aggiudicarsi la vittoria. Seconda piazza per Tosi e Del Barba. I due della Gima hanno prima preso le dovute misure e solo successivamente hanno iniziato a spingere fino a chiudere a 1”3 dalla vetta. Terzo posto per Davide Medici, talentuoso driver reggiano che ormai frequenta con poca assiduità il circus rallystico: con Nobili, sulla Skoda Evo del team Erreffe, ha lottato per un podio tutto sommato meritato finendo a soli 2”0, risultato assolutamente di prestigio per chi mancava da due anni dalle competizioni. Per i colori pavesi, il miglior risultato nella classifica assoluta è stato ottenuto dal vogherese Giuseppe Bevacqua con Berutti sulla Skoda Fabia R5 giunti al 16° posto nella generale. Al 67° posto assoluto hanno chiuso la gara emiliana Andrea “Tigo” Salviotti e Susy Ghisoni con la Suzuki Swift Sp, i quali si sono aggiudicati la vittoria di classe ed il quarto posto di gruppo. Nella stessa classe, seconda piazza per Claudia Spagnolo alle note di Ciotti sulla Peugeot 106 16S, 85esimi assoluti.
AGOSTO 2020
Quarto posto di classe in N3 perLuigi Bariani che ha letto le note a Sartori sulla Clio. Fuori dai giochi invece Martinotti-Passalacqua, Compagnoni-Maggi e Covini che ha letto le note a Musci. Nelle Due Ruote Motrici vittoria del bresciano Luca Veronesi: con una Renault Clio dell’Erreffe Rally Team, insieme ad Andrea Ferrari ha chiuso al 12° posto assoluto. I due, in quanto vincitori di classe S1600 della PS 1 si sono aggiudicati il Trofeo di Salsomaggiore Sempre “made in Brescia” un altro gruppo importante: l’N è stato ad appannaggio di Marco Superti e Battista Brunetti, su Mitsubishi Lancer Evo X della MFT Motors. MaraiTreccani, su Fiat Panda, vincendo la Ps6 tra le Racing Start vincono il Trofeo Tabiano Terme. Nel CFB2 Race Tech: Alfano-Barabaschi si impongono nel monomarca legato alle BMW Racing Start Plus 2.0; alle loro spalle Lamanna-Bruno Franco e ArdigòPreviato. Un’uscita di strada ha tolto dai giochi Toscani-Gallo. La gara era la prima del girone che comprenderà anche il Rally delle Merende e la Ronde Città dei Mille. di Piero Ventura
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Gli Equipaggi: Bevacqua - Berutti; Salviotti - Ghisoni e Ciotti - Spagnolo (Diessephoto)
Rally Moderno: Rusce e Farnocchia bissano il successo del 2019
La Lancia Fulvia Coupe di Rossetta - Degliantoni (Diessephoto)
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MOTORI
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Speciale Rally Roma Capitale: il vogherese Scattolon brilla ma si fema Gara a senso unico al Rally di Roma Capitale 2020, appuntamento del FIA European Rally Championship 2020 e del Campionato Italiano Rally 2020. L’evento che ha riaperto le competizioni internazionali FIA di rally dopo lo stop che perdurava dallo scorso Rally del Messico, ha offerto un grande spettacolo, ma la vittoria non è di fatto mai stata in discussione con i russi Alexey Lukyanuk e Dmitry Eremeev che hanno portato la loro Citroen C3 R5 del Sainteloc Junior Team sul gradino più alto del podio. Alle sue spalle grande prestazione di Giandomenico Basso, navigato da Lorenzo Granai, al debutto sulla Volkswagen Polo GTI R5 del Team Loran. Basso, campione italiano in carica, ha ottimamente difeso il tricolore, chiudendo a 16”.1 dai vincitori. Basso ha anche conquistato la prima gara del Campionato Italiano Rally, quella della prima tappa, e il secondo nella seconda. Terzo al traguardo il giovane svedese Oliver Solberg, navigato dall’irlandese Aaron Johnston su un’altra Volkswagen Polo GTI R5. Bella e spettacolare anche la doppia gara del Campionato Italiano Rally, una per tap-
Davide Nicelli jr parte col botto al Roma Capitale
L’Equipaggio Scattolon - Nobili
pa. Sabato Basso ha preceduto al termine della giornata Rudy Michelini e Michele Perna (Volkswagen Polo GTI R5) e Antonio Rusce con Sauro Farnocchia (Citroen C3 R5) giunti nell’ordine.Gara due, disputata sulle prove della domenica, è invece vissuta sulla performance di riscatto messa in piedi da Andrea Crugnola e Pietro Elia Ometto, sulla Citroen C3 R5 della
F.P.F. Sport. Il pilota varesino era partito lancia in resta per cercare di distinguersi nella lotta per la vittoria assoluta nell’europeo, ma un’uscita di strada sulla prima speciale del rally ha posto subito fine alla sua gara. Ripartito nella seconda tappa ha conquistato sei prove speciali e la vittoria nella seconda gara CIR. L’atto conclusivo di una due giorni altamente spettacolare
e piena di colpi di scena è stata la breve prova spettacolo allestita nel centro di Ostia - per onore di cronaca vinta da Simone Capedelli con il crono di 42”2. Un toboga-passerella che ha regalato tanto spettacolo al pubblico e scolpito nella pietra una classifica già definita con i risultati maturati sulle prove precedenti. Giandomenico Basso e Moira Lucca hanno concluso la chermesse capitolina al secondo posto assoluto, primi degli italiani e degli equipaggi in lotta per la classifica di gara legata alla serie tricolore. Alle spalle dell’ex campione italiano ed europeo, è successo di tutto: prima i problemi tecnici di Scandola, quindi lo sfortunato impatto con una grossa pietra in
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Il Campionato Italiano Rally Junior vede al comando Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti
L’Equipaggio Nicelli - Mattioda
piena traiettoria per Campedelli e quindi l’uscita di strada di Andreucci. I tre tenori del Campionato Italiano Rally non sono riusciti ad incidere come avrebbero voluto. Così le luci della ribalta sono finte su Giacomo Scattolon, risultato il migliore tra gli iscritti al CIR. Il giovane vogherese ha ribadito l’ottimo trand di crescita già visto all’Elba. Nelle 4 prove della prima giornata di gara, Scattolon navigato da Nobili, ha ottenuto 4 secondi posti alle spalle di Basso, poi, il volo del vogherese è stato bruscamente interrotto da un principio d’incendio sulla sua Skoda Fabia R5. Chi invece ha visto il traguardo dalle postazioni alte della classifica è stato il vogherese Paolo Zanini che ha letto le note ad Alessandro Re sulla Polo GTi R5, giunto Ottima prestazione al Roma Capitale per lo stradellino Davide Nicelli, in coppia con Alessandro Mattioda, a bordo della Peugeot 208 R2 del team MM Motorsport, appoggiato dalla scuderia Maranello Corse. Nicelli torna dalla trasferta romana in testa alla classifica del due ruote motrici. «è stato un weekend reso ancora più impegnativo dalle alte temperature. Non abbiamo avuto un buon avvio, una pietra mi ha forato uno pneumatico. Avrei potuto dire già addio alla gara, ma fortuna vuole che lo pneumatico non si è
sgonfiato del tutto e ho potuto portare a termine la prova, pur rimanendo attardato in classifica. L’inconveniente non mi ha certo demotivato, anzi, da quel momento ho iniziato a spingere e sono passato in testa nel due ruote motrici, superando il leader Pollara. In gara due la domenica mattina ho faticato all’inizio, poi, come già accaduto il giorno prima, col passare delle prove ho preso più confidenza e coraggio, ottenendo un ottimo risultato nella 12esima prova, quella sicuramente che più si addiceva alle mie caratteristiche. Me la sono giocata fino alla fine, chiudendo al secondo posto. Il doppio risultato (primo sabato e secondo domenica) mi ha permesso di balzare al comando della classifica parziale del campionato due ruote motrici. Il team ha fatto un grande lavoro, mettendomi a disposizione una vettura molto performante. Ne approfitto per ringraziare appunto il team, il mio navigatore, papà Guglielmo e i tifosi, che nel rispetto delle norme di sicurezza sanitaria, mi hanno supportato a bordo strada. Sono doppiamente soddisfatto perché ho anche ben figurato nei confronti delle R2 dei driver continentali. Adesso ci ritroveremo al Ciocco, secondo prova del CIR. Ma, per il momento, la mia attenzione è concentrata sulla prima prova stagione del trofeo terra, il Val Tiberina».
Quello che si è visto al Rally Roma Capitale fa intuire ce ciò che si preannuncia sarà un Campionato Italiano Rally Junior alquanto battagliato. Questa è l’impressione emersa al termine dell’appuntamento capitolino dove il piacentino Mazzocchi, navigato dalla rivazzanese Silvia Gallotti si è confermato pretendente al titolo. La corsa laziale si snodava in due giorni di gara e ciascuna delle due tappe assegnava un punteggio distinto per la classifica del tricolore. Al termine del doppio appuntamento, Andrea Mazzocchi e Silvia Gallotti, portacolori della Leonessa Corse, si trovano al comando (ex aequo con Rosso) con 23 punti frutto dei 15 conquistati in Gara1 e gli 8 della seguente. Mazzocchi-Gallotti sono partiti subito forte imponendo fin dal sabato i loro ritmi ben conosciuti: sulla Ford Fiesta R2 si sono imposti in quattro delle sei prove in
programma aggiudicandosi il primo bottino pieno di stagione. La seconda giornata di gara si è rivelata più difficile in quanto i due della Leonessa Corse hanno faticato più del previsto nel tenere un passo di rilievo chiudendo al quinto posto tra i giovani: «Siamo soddisfatti a metà- spiega Mazzocchi. Sabato siamo andati forte e tutto è filato liscio ma domenica abbiamo faticato molto; le prove non le conoscevo come quelle precedenti e abbiamo commesso qualche errore di concentrazione nella stesura note, probabile frutto questo, della lunga inattività. Onore agli avversari che si sono rivelati forti e che ci hanno dato del filo da torcere. Sarà una stagione molto combattuta. A San Marino si va sulla terra: vediamo di ripartire con un buon risultato!».
L’Equipaggio Mazzocchi - Gallotti
di Piero Ventura
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Al Rally della Lana bene i colori pavesi Come da pronostico, lo scorso 12 luglio, Andrea Crugnola e Pietro Ometto (Citroën C3) hanno firmato il 33º Rally della Lana. Crugnola, a Biella per testare la vettura con la quale correrà il Campionato Italiano, ha vinto sei delle sette prove speciali, dando l’impressione di controllare sempre gli avversari proseguendo negli esperimenti in vista del debutto tricolore con «Roma capitale». Alle sue spalle l’equipaggio di casa composto da Corrado Pinzano e Marco Zegna (Polo Volkswaghen). Al terzo posto, Elwis Chentre e Andrea Canepa (Skoda Fabia), già vincitore lo scorso anno al Lana. Chentre, dopo la nottata negativa, ha trovato il giusto equilibrio della vettura, risalendo fino al gradino più basso del podio. Veniamo ai colori pavesi di cui va sottolineato l’importante quinto posto assoluto di Giacomo Scattolon e Matteo Nobili con la Skoda Fabia R5 impegnati in una gara test in vista del Campionato Italiano Rally e dell’Europeo. Il vogherese ha sfiorato il podio. Scattolon, già Campione tricolore junior (2014), fino dai primi metri di gara si era insediato nei quartieri alti della classifica, riuscendo ad un certo punto a salire virtualmente sul podio. Poi, una scelta di gomme errata nella prima prova del secondo giorno di gara, lo ha estromesso dall’attico della classifica, pur comunque firmando ottimi riscontri parziali, a conferma del proprio valore. Per la prima volta a dividere lo stesso abitacolo, Andrea Castagna, ed il presidente della Erreffe Motorsport di Romagnese
Robone - Fugazza si ripetono ad Alba
L’Equipaggio Scattolon - Nobili
Riccardo Filippini, sono giunti al traguardo in 29° posizione assoluta sulla Peugeot 106. Per loro una gara di vertice in N2, dove hanno vinto una classe numerosa ed
agguerrita, per loro anche il terzo posto tra le vetture di gruppo N. Altro successo di classe A0 é giunto grazie ai giovani stradellini Robone-Fugazza in gara con la Fiat 600 Sporting curata dalla CVM di Marco Vecchi, i quali hanno preceduto Desimone-Gaione (Fiat Seicento) di 10”3, mentre a completare il podio staccati di 2’47”8 la Fiat Seicento Sporting di ZuninoCongera.
L’Equipaggio Filippini - Castagna
di Piero Ventura
Parla invece nuovamente straniero, il Rally di Alba. La 14ª edizione della gara disputata sabato 1 e domenica 2 agosto, prima prova del campionato Italiano Wrc 2020 è stata vinta dall’irlandese Craig Breen, in coppia con Paul Nagle, sulla Hyundai i20 R5 ufficiale. Al pari, anche la competizione riservata alle vetture World rally car protagoniste del mondiale, è stata appannaggio del belga Thierry Neuville, in coppia con Nicolas Gilsoul, sulla Hyundai i20 ufficiale anche in questo caso. Tra le piccoline, ad onorare i colori pavesi, troviamo nuovamente i giovani stradellini Robone-Fugazza sul gradino più alto del podio in classe A0. di Piero Ventura
La ripartenza al Rally Casentino Prova test per il Cir La Citroën C3 R5 della F.P.F. Sport e la coppia Andrea Crugnola - Pietro Ometto dominano il Rally del Casentino disputato a Bibbiena il 4 luglio, gara test dopo la lunga pausa dell’attività rallystica italiana. La partecipazione al Rally del Casentino, è stata per molti un buon allenamento in vista del Rally di Roma Capitale, prima tappa del Campionato italiano rally 2020. Andrea Crugnola e la sua Citroën C3 R5 hanno vinto sei delle sette speciali disputate, prendendo la testa della gara fino dalla prima prova cronometrata.
Top ten finale Rally Casentino 2020 1. Crugnola (Citroën C3); 2. De Tommaso (Skoda Fabia) +21.1; 3. Andolfi (Skoda Fabia) +40.4; 4. Avbelj (Skoda Fabia) +44.9; 5. Porro (Ford Fiesta WRC) +1:15.1; 6. Rovatti (Skoda Fabia) +1:16.8; 7. Razzini (VW Polo) +1:37.5; 8. Signor (VW Polo) +1:48.2; 9. Dal Ponte (Skoda Fabia) +1:49.4; 10. Cresci (VW Polo) +2:04.9; 11. In classe R2B con i colori di Maranello Corse, anch’esso impegnato in una gara test, lo stradellino Davide Nicelli coadiuvato dal piemontese Alessandro
Mattioda. Il 25enne di Stradella ha corso in preparazione dell’esordio nel C.I.R al Rally Roma Capitale. Un paio di testa-coda nelle fasi iniziali hanno fatto perdere all’equipaggio a bordo di una Peugeot 208 di MM Motorsport il treno dei migliori, ma Nicelli e Mattioda non si sono persi d’animo ed hanno proseguito concentrandosi sugli assetti della vettura e chiudendo in buon crescendo al dodicesimo posto di classe R2B. di Piero Ventura
L’Equipaggio Nicelli - Mattioda
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I vogheresi Sordi e Biglieri autori di una prova maiuscola Il Campionato Italiano Rally Auto Storiche 2020 è scattato dal 10° Historic Rally delle Vallate Aretine, con il successo di “Lucky” e Fabrizia Pons con la Lancia Delta HF Integrale Gruppo A. Alle spalle di Lucky ha chiuso Marco Bianchini insieme, per la prima volta, con Giulia Paganoni sulla Lancia 037 Gruppo B del 4°Raggruppamento. Una prestazione da sottolineare quella del sammarinese arricchita dallo scratch ottenuto sulla P.S.2., proprio davanti a Lucky e gli altri big del Campionato. Terzo gradino del podio assoluto per Alberto Salvini, affiancato dal suo primo navigatore Patrizio Maria Salerno, che conquista così la prima vetta del 2°Raggruppamento con la Porsche Carrera RS di Gruppo 4. A ridosso del podio, un meritato quarto posto assoluto per il driver franco-svizzero Mark Valliccioni insieme a Marie Josee Cardi a bordo della 911 SC. Debutto dolce amaro ad Arezzo per il valtellinese Lucio Da Zanche, insieme a Daniele De Luis, su Porsche 911 SCRS Gruppo B, ancora 4°Raggruppamento, Da Zanche ha terminato la competizione in quinta posi-
CLASSIFICA FINALE ASSOLUTA 10°HISTORIC DELLE VALLATE ARETINE 1. ‘’Lucky’’-Pons (Lancia Delta Hf Integrale) in 1:03’44.6; 2. BianchiniPaganoni (Lancia 037) a 10.3; 3. Salvini-Salerno (Porsche Carrera RS) a 16.3; 4. Valliccioni-Cardi (BMW M3) a 20.3; 5. Da Zanche-De Luis (Porsche 911 SCRS) a 33.6; 6. Lombardo-Ratnayake (Porsche 911 SC) a 43.7; 7. Ambrosoli-Corbellini (Porsche 911 SC) a 2’20.7; 8. Pierangioli-Celli (Ford Sierra Cosworth) a 2’39.3; 9. Sordi-Biglieri (Porsche 911 SCRS) a 3’46.5; 10. Rossi-Genovese (Porsche Carrera RS) a 4’44.6. zione assoluta rallentato da una toccata nella prima metà di gara. Obiettivo raggiunto per quanto riguarda Angelo Lombardo. Il driver cefaludese, insieme ad Hars Ratnayake con la 911 SC del team Guagliardo, con un sesto posto assoluto, comanda il 3°Raggruppamento.
L’Equipaggio vogherese Sordi - Biglieri
Ma questo rally, come di consueto, ha proposto molti altri protagonisti impegnati sulle storiche speciali aretine come Luca Ambrosoli su Porsche 911 SC secondo del 3° Raggruppamento che chiude al settimo assoluto; ottavo posto per il toscano Valter Pierangioli con la Ford Sierra Co-
sworth, seguito dalla Porsche 911 SCRS dei vogheresi Ermanno Sordi e Claudio Biglieri autori di una prova maiuscola, e la Carrera RS di Maurizio Rossi che completano la top ten di questo “Vallate”. di Piero Ventura