Il Periodico News - MAGGIO 2020 N°154

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Oltrepò del vino: aggrapparsi tra applausi registrati e il consueto leccaculismo alla finta soluzione della “vendemmia verde”

Anno 14 - N° 154 MAGGIO 2020

20.000 copie in Oltrepò Pavese

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

Agriturismi

VOGHERA - i commercianti

«perdite dal 70 al 100%»

«Troppi in giro senza mascherina, non possiamo permetterci un altro lockdown»

TORRAZZA COSTE Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese Cambiamenti in vista? Il presidente Luigi Gatti, in carica dal giugno 2018 sotto l’egida di Regione ed Ersaf, sfiduciato senza giri di parole dal socio di maggioranza del Consorzio...

varzi GODIASCO SALICE TERME «Non credo che trasformerò una fantastica discoteca in un lounge-bar raffazzonato per l’ansia di far qualcosa» Leo Santinoli: «La chiusura è avvenuta Sabato 22 febbraio scorso: si tennero le ultime due serate al Club House ed allo Sporting...

Biogas a Campoferro «Questi impianti dopo due anni possono trattare rifiuti e fanghi»

L’associazione Terranostra Pavia riunisce gli agriturismi di Coldiretti, dalle piccole attività ad indirizzo “familiare”, alle strutture che forniscono anche il pernottamento e la prima colazione. 125 le strutture attive in Oltrepò Pavese. Analizziamo insieme a Davide Stocco, presidente di Terranostra Pavia, come la quarantena abbia danneggiato gli agriturismi e le possibilità a disposizione per sfruttare il periodo estivo.

santa margherita staffora «Ho cucito mascherine a non finire, per tutto il paese... Un lavoro immane» Grazie alla sua manualità e alla sua dedizione per i “meno fortunati”, Donatella Muffato ha cucito centinaia di mascherine per i suoi compaesani...

casteggio Cambio gomme entro il 15 giugno, le ditte si attrezzano Abbiamo affrontato il tema con una ditta specializzata di Casteggio, la Contardi Pneus. «Si è ripresa l’attività a tempo pieno e su appuntamento, con un lavoro...

casei gerola Il sindaco Tartara: «Solidarietà dai privati, gesti che danno forza» Uno di quei paesi (ma sono tanti) che durante l’emergenza ha saputo lavorare nell’unione. Fare comunità. Fin dai primi giorni dell’emergenza...

Turismo in Valle Staffora, i sindaci si preparano

il Periodico

Se da un lato la riapertura di quasi tutte le attività non può che far sorridere i commercianti, dall’altro c’è chi all’interno della categoria esprime preoccupazione...

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ANTONIO LA TRIPPA

il Periodico News

MAGGIO 2020

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I sindaci dell’Oltrepò e La Regina Elisabetta di Inghilterra La Regina Elisabetta di Inghilterra in 68 anni di regno, ha parlato alla Nazione per 4 volte, anche se due di queste in questi ultimi tre mesi. In questi circa tre mesi di Coronavirus, molti, non tutti…, sindaci dell’Oltrepò hanno fatto più discorsi, con dirette più o meno riuscite sui vari social, della Regina Elisabetta in 68 anni. Al di là di questo aspetto, che sotto determinati punti di vista oltre che essere “ironico” dovrebbe far riflettere, mi sembra di poter affermare che la stragrande maggioranza dei sindaci dell’Oltrepò difronte a questa emergenza, si è comportata in modo fattivamente dignitoso. Al contrario una minoranza, ma non così sparuta, di cittadini dell’Oltrepò, non si è comportata con la stessa dignità dimostrata dalla stragrande maggioranza dei sindaci oltrepadani. Quel buon senso contadino “scarpe grosse e cervello fino” che ha quasi sempre contraddistinto in modo decisivo gli oltrepadani, sta venendo a mancare. I social che in questa crisi erano uno dei pochi elementi di connessione e condivisione sociale, hanno evidenziato che una parte degli oltrepadani ha reagito con una curiosità, a volte eccessiva, ai numeri tragici che hanno colpito tanti comuni del nostro territorio, quella voglia di sapere, quanti, chi, dove e perché erano gli infettati e quanti erano i morti, come se questo dato incidesse sull’andamento delle cose…, quella voglia al limite dell’isterismo di postare molto spesso, secondo il proprio credo politico, le varie terapie più o meno miracolose che di volta in volta venivano appoggiate e condivise da una fazione politica piuttosto che un’altra. Anche in Oltrepò la pandemia è stata trasformata da molti, ma non da tutti e soprattutto non dalla maggioranza, in una sottointesa battaglia pseudo-politica. L’Oltrepò è stato colpito duramente anche se meno rispetto ad altre zone della Lombardia, ed è stato colpito non solo dal punto di vista sanitario, ma anche da quello economico, ma proprio l’aspetto economico devo dire che ha dato le risposte più positive: la stragrande maggioranza se non la quasi totalità di imprenditori, commercianti, partite iva e di tutti quelli che non avevano e non hanno uno stipendio fisso sicuro e che rischiano di più e che sono stati l’anello debole di questa crisi, non hanno mai mollato. Nelle settimane scorse tutti si sono preparati a ripartire, innovandosi, differenziandosi e proponendo soluzioni “nuove” ed alternative, qualunque fosse la loro attività prima del Covid-19. Gli esercizi pubblici hanno fatto la loro parte: moltissimi non “hanno voluto chiudere” ed hanno proposto i loro servizi con consegne a domicilio e take-

way; gli artigiani (quelle categorie a cui era permesso di lavorare) hanno cercato di seguire in modo diligente le misure sanitarie previste dal Governo durante lo svolgimento del proprio lavoro. Inutile rimarcare lo stoico lavoro fatto dagli operatori sanitari, tutti, è lì da vedere, è sotto la luce del sole, innegabile e lodevole. Ciò che più mi ha colpito sui social è che gli operatori sanitari, medici, infermieri e personale ausiliario che partecipavano alle varie discussioni o faide sui social erano pochissimi, anzi praticamente nessuno…. Anche questo dovrebbe far riflettere. Chi era in prima linea e cercava di risolvere con il proprio sapere e con le proprie braccia situazioni tragiche legate al coronavirus, non commentava, non ne aveva voglia, e direi giustamente. I sindaci dell’Oltrepò come dicevo, hanno dimostrato in questo caso buon senso, pressochè tutti! Alcuni di loro nella prima fase possono aver commesso errori e sono stati criticati (dopo, però…) perché a fine febbraio, inizio marzo, pochi se non nessuno, anche se qualche politico locale aveva previsto, sapeva ciò che sarebbe successo, ma in poco tempo, in pochi giorni, tutti i sindaci e assessori, hanno recepito e si sono immediatamente attivati per cercare di fare qualcosa nell’immediato. Non era facile in quei giorni capire cosa era giusto o sbagliato fare, poi guardando anche come si comportavano altri sindaci in altre zone d’Italia, hanno replicano in Oltrepò le stesse misure che sembravano funzionare altrove. Anche in questo caso, una parte piccola per fortuna di oltrepadani, principalmente “tifosi” della loro bandiera politica, se un sindaco di un paese faceva un’ordinanza 24h dopo rispetto al sindaco di un altro paese, immediatamente scattava “l’allarme” e veniva massacrato, accusato di incapacità ed immobilismo. Io non me la sento di accusare un sindaco di incapacità perché è stato più lento, magari solo di poche ore, rispetto ad un altro nell’emettere un ordinanza, ogni Comune ha le sue dinamiche ed ogni sindaco ha i suoi tempi ed osservando la stragrande maggioranza delle ordinanze fatte, sono state emesse tutte in un tempo ragionevole. Forse i sindaci potevano solo evitare di proclamare “ai 4 venti”, perché la cosa assume un carattere patetico, alcuni dati per certi versi irrilevanti, ad esempio quante mascherine sono state distribuite ad ogni famiglia… ma bisogna anche capire che al di là di ogni aspetto sanitario e di crisi economica, la politica, tutta ed in tutto il mondo, purtroppo deve far conoscere le cose che fa, pensando che la gente non le veda e che non sappia giudicare. Ecco, se proprio si vuole fare una critica al lavoro

positivo dei sindaci è questa, l’ aver voluto amplificare il numero delle mascherine distribuite, per citare un esempio, anche se questo poteva essere un segnale incoraggiante che ci riportava alla normalità di questo nostro Oltrepò dove ogni sindaco, in questi anni, ha cercato di vendere il fatto che ha sostituito 3 lampadine di un parcheggio di un cimitero con un’opera di colossale importanza che neppure il ponte sullo stretto di Messina poteva eguagliare… ecco su questo aspetto forse i sindaci hanno mancato di sobrietà. Mentre per l’emergenza Covid, i sindaci ed i politici oltrepadani hanno potuto fare ben poco dovendosi attenere alle direttive dello Stato e della Regione, ora hanno difronte una sfida ben più dura e complessa:

con i pochi soldi che hanno e con quelli che si spera possano arrivare ai vari Comuni ed enti, dovranno cercare di aiutare tutti gli operatori economici dell’Oltrepò e se la storia di questi anni, decenni, insegna, non si può essere ottimisti, se invece questa pandemia ha fatto capire anche ai politici nostrani che non è più il momento di spendere soldi e fare roboanti proclami per delle sciocchezze che non portano a nulla, risultati alla mano, basta vedere com’è ridotto l’Oltrepò... allora si può sperare di uscire da questo coronavirus, certamente con un’economia diversa che dovrà affrontare tempi difficili ma non necessariamente peggiori. di Antonio La Trippa


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LETTERE AL DIRETTORE

MAGGIO 2020

«Un clima da “polizia segreta” «Un cittadino deve essere tutelato e non insultato per aver “rovinato” non ci aiuta di sicuro» Egregio direttore, le autorità competenti invitano a segnalare gli assembramenti. Chiedere ai cittadini dell’Oltrepò di essere controllori di altri cittadini, invitandoli ad indicare potenziali “untori”, è in questo momento un grande rischio. Trasformare la Società Civile in una sorta di “Grande Fratello” in cui tutti controllano tutti, e chiunque può puntare il dito contro chiunque, a torto o a ragione, mi fa paura. Una società di delatori, non è una società libera. Le forze dell’ordine hanno il dovere di far rispettare i decreti, e tutti noi cittadini il dovere di fare la nostra parte al

meglio possibile. Non possiamo sopperire all’eventuale incapacità dello Stato di far funzionare il sistema o all’incapacità dei singoli di autodeterminarsi. Un clima da ”polizia segreta” non ci aiuta di sicuro e alimenterà odio e conflitto. Allora proviamo tutti a dimenticare la dimensione della paura e dell’odio, facendoci riabbracciare quella del rispetto e della solidarietà. Attiviamo sistemi di segnalamento, ma solo per aiutare i più deboli e soli. Claudio Castagnola - Voghera

«Grata a chi nella Casa di Riposo si sta prendendo cura di mia madre» Gentile Direttrice, in Oltrepò ci sono anche le notizie «quelle belle», e fortunatamente sono tante. Basta avere occhi e cuore per vederle. Anche in tempi duri e bui come quelli del Covid. Anzi, in tempi bui e duri come questi si apprezzano ancora di più. Sono una figlia di una madre positiva, ospite in casa di riposo. Sono una figlia preoccupata e in sofferenza per non abbracciarla da tantissimo tempo. Sono una figlia che si affida completamente alle cure dei medici ed al personale interno. Grazie per questo spazio direttrice, questo è un momento importante per me, in questi giorni c’è stato il compleanno di mia madre. Come altri in precedenza, desidero esprimere la mia completa ammirazione ai Responsabili Direzionali della Casa di Riposo dove si trova mia mamma, avrei voluto anche fare il nome della casa di riposo, ma i responsabili con umiltà e pudore mi hanno

chiesto di non farlo. Allora il mio ringraziamento va a tutti i responsabili ed a tutti gli addetti delle case di riposo dell’Oltrepò, per aver gestito situazioni complesse e difficoltose, sebbene abbandonati e dimenticati da chi di competenza, e applicando norme di sicurezza e prevenzione per preservare la salute e la vita dei propri pazienti. I medici, gli infermieri e tutto il personale, con grande professionalità e grande cuore, con le loro forze, con il loro lavoro incessante, sono riusciti a contenere i contagi e i decessi. Soltanto di recente hanno ricevuto gli aiuti e il necessario per avere una maggiore tutela e un quadro clinico più stabile, inoltre noi parenti veniamo costantemente informati e rassicurati sulle procedure messe in atto, sulla salute dei nostri cari non sentendoci così esclusi. Lettera firmata Lungavilla

LETTERE AL DIRETTORE

Questa pagina è a disposizione dei lettori per lettere, suggerimenti o per fornire il proprio contributo su argomenti riguardanti l’Oltrepò Scrivete una email a: direttore@ilperiodiconews.it Le lettere non devono superare le 3000 battute. Devono contenere nome, cognome, indirizzo e numero di telefono che ci permetteranno di riconoscere la veridicità del mittente Le lettere con oltre 3000 battute non verranno pubblicate

la festa ai trasgressori di turno»

Gentile Direttore, vivo in un piccolo paese dell’Oltrepò, Pinarolo Po. Da noi la quarantena è esistita per molti in modo rigoroso per altri in modo blando. In particolare, in questi ultimi giorni assistiamo a ritrovi di vicinato, persone anche non residenti nel comune che vanno e vengono, per giunta senza alcuna protezione come mascherine e guanti, che si intrattengono nei cortili e purtroppo anche in qualche locale pubblico a fare aperitivi e merende e a chiacchierare del più e del meno. Essendo un piccolo centro abitato, è comprensibile il fatto che non ci siano posti di blocco e controlli assidui da parte delle forze dell’ordine, ma sono certa che sia apprezzata, e in un certo senso anche scontata, la collaborazione da parte dei cittadini che possono essere i loro occhi e orecchie a distanza. Ci si sente anche presi in giro dopo aver osservato per tutto questo tempo le norme per il rispetto dei nostri compaesani e per chi sta combattendo negli ospedali, mentre altre persone se ne infischiano dei decreti (non vecchi e quasi dimenticati, ma emanati di settimana in settimana). Diversi

privati, in più di un’occasione, hanno avvertito le forze dell’ordine che hanno svolto il loro dovere sanzionando chi stava contribuendo a creare assembramenti e che non stava osservando le norme, continuamente ripetute quasi allo sfinimento. Non è possibile, però, che quei cittadini che hanno ritenuto di avvertire le Forze dell’Ordine per far rispettare le regole e che hanno dato e continuano a dare il loro contributo per evitare di tornare alla situazione dell’8 marzo, vengano disprezzati come sta succedendo ora. La situazione è chiara a tutti meno a quelli che pensano di essere al di sopra di tutto, immuni da virus e norme e che pretendono di avere ragione. La legge è chiara. Niente assembramenti. Se un cittadino ritiene di poter dare il proprio contributo avvertendo le forze dell’ordine dell’esistenza di assembramenti, deve essere tutelato e non insultato per aver rovinato la festa ai trasgressori di turno. Ora, mi chiedo se le leggi esistano per essere rispettate da tutti o per essere violate senza alcuna conseguenza. Lettera Firma Pinarolo Po

Poca sicurezza antiCovid sul treno dei pendolari Egregio Direttore, le scrivo per condividere la mia esperienza da pendolare sulla tratta Voghera-Milano all’epoca del Covid19. L’altra mattina, come milioni di persone da lunedì tornate al lavoro, mi sono recata alla stazione ferroviaria di Voghera con largo anticipo vista l’incognita dovuta alla ridotta capienza dei treni. Giungo in una stazione pressoché. Anche la biglietteria è chiusa. Salgo al binario e attendo, con pochi irriducibili del treno, l’arrivo del regionale delle 6:56, destinazione Milano. Il treno arriva con qualche minuto di ritardo, ma come tutti i pendolari sanno, sono fisiologici e visto il momento c’è solo da rallegrarsi che il treno arrivi e si possa salire. Salgo sul treno senza difficoltà il vagone è di fatto vuoto, tuttavia dei posti contrassegnati da lasciare liberi nemmeno l’ombra, a questo si ovvia tranquillamente con una buona dose di buon senso, quello che davvero amareggia è constatare in che condi-

zioni di pulizia è arrivato il treno in questione, altro che guanti e mascherina per salire, consiglio di viaggiare con una tuta ermetica. Non ci si può nemmeno aggrappare alla giustificazione che è colpa degli incivili e maleducati che usano il treno, visto il drastico calo degli utenti. Che fine ha fatto la sanificazione dei treni? Se già erano insopportabili i disservizi e le condizioni in cui si viaggiava in pre-emergenza, oggi è inaccettabile e deplorevole viaggiare su treni luridi. Peraltro la maggior parte delle persone che utilizza il trasporto pubblico, non lo fa per sfizio, molti ne farebbero volentieri a meno, ma è una necessità perché non hanno alternative per raggiungere il luogo di lavoro. Indiscutibile che la consapevolezza e la responsabilità individuale sono imprescindibili per l’esistenza di tutti ma ancor più l’attuazione degli strumenti e delle azioni a garanzia dei pendolari. Carlo Gazzaniga Voghera

DIRETTORE RESPONSABILE: Silvia Colombini - direttore@ilperiodiconews.it - Tel. 0383-944916 Responsabile Commerciale: Mauro Colombini - vendite@ilperiodiconews.it - Tel. 338-6751406 Direzione, redazione, amministrazione, grafica, marketing, pubblicità: Via Marconi, 21 - Godiasco Salice Terme (PV) Tel. 0383/944916 - www.ilperiodiconews.it Stampato da: Servizi Stampa 2.0. S.r.l. - Via Brescia 22 20063-Cernusco sul Naviglio (MI) Registrazione presso il Tribunale di Pavia - N. 1 del 27/02/2015 Tutti i diritti sono riservati. è vietata la riproduzione, di testi e foto


CYRANO DE BERGERAC

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Oltrepò del vino: aggrapparsi tra applausi registrati e il consueto leccaculismo alla finta soluzione della “vendemmia verde” Il mese scorso dicevo che il Coronavirus non è il male peggiore che soffoca l’Oltrepò del vino. E avevo ragione. In piena emergenza abbiamo assistito nell’ordine: alla sfuriata in Consorzio del subcomandante Renato, re degli imbottigliatori e vero dominus del territorio; alla clonazione in ordine sparso del bel lavoro di Tommaso Chiesa con le dirette di Team Oltrepò per azzerare le distanze e parlare di futuro; all’annuncio già annunciato (macchina del fumo?) di Terre d’Oltrepò e La Versa secondo cui la cura al coma di bilancio c’è e si chiama Riccardo Cotarella. Riuscirà l’enologo superstar nazionale a medicare vendite crollate, utili mai così bassi e magari una maxi causa di lavoro? Ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo la soluzione territoriale alla crisi derivata dalla pandemia e dal lockdown, con bar e ristoranti chiusi per due mesi, sembrerebbe quella di aggrapparsi tra applausi registrati e il consueto leccaculismo alla finta soluzione della “vendemmia verde”. Di cosa si tratta? La vendemmia verde è la distruzione totale o l’eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione, riducendo la resa della relativa superficie viticola. Tutto questo per avere qualche incentivo europeo, una miseria però. Mentre le quotazioni di uve e vini a un passo dalla prossima vendemmia si preannunciano comunque disastrose, da -30% a -40%, i soliti noti stanno a guardare. è una costante: in Oltrepò Pavese dei vitivinicoltori e produttori d’uva non si cura nessuno. Un mercato al ribasso potrebbe anzi favorire i signori di sempre, i feudatari, gli imbottigliatori che reggono le sorti di alcune cantine cooperative e che alla bisogna tolgono le castagne dal fuoco ai nobili. A sfoderare i soliti canini ci sono anche i mediatori, segugi dell’affare, in odore di amnistia. Al momento le uniche voci contrarie alla vendemmia verde sono quelle del presidente di Torrevilla, Massimo Barbieri, del professor Teresio Nardi, fiduciario della condotta Slow Food Oltrepò Pavese, che ha parlato di «spreco inutile in assenza di altre misure di sostegno al mondo contadino», e di Pierangelo Boatti, titolare di Monsupello, che ha spiegato: «Lo stato di crisi causato dal Covid-19 e dalla pessima gestione statale dell’emergenza, con provvedimenti tardivi e spesso poco coerenti, ha messo in un angolo gli straordinari talenti contadini e operai dell’Italia del vino e dell’agroalimentare». L’unico altro passo ufficiale l’ha fatto la FIVI, Federazione italiana viticoltori indipendenti, che tramite Andrea Picchioni ha scritto anche al Consorzio per esprimere il proprio punto di vista e chiedere interventi concreti. Nel testo, che ha fatto il giro dell’Oltrepò

per la grande condivisione delle istanze da parte dei piccoli produttori, si legge: «Per garantire un valore al nostro lavoro, sono state proposte soluzioni come la vendemmia verde, che presenta però un costo importante, difficilmente sostenibile e con difficoltà di controllo, o la distillazione, dove la remunerazione è estremamente bassa». Fatta questa premessa, la lettera prosegue: «Non è nostra intenzione distruggere il lavoro dell’anno passato anche perché la nostra attività è dipendente dalle condizioni climatiche e la natura a volte rende difficile portare a casa un raccolto soddisfacente. Pertanto, procedere ora con la distruzione del vino dello scorso anno, come avviene con la distillazione, oppure individuare delle parcelle la cui uva verrà distrutta, come avviene con la vendemmia verde, espone comunque al rischio di non avere nel 2020 una vendemmia soddisfacente per qualità e quantità, sempre sussistendo il rischio legato alle condizioni atmosferiche». FIVI incalza: «In quanto agricoltori sappiamo che con la natura e le sue avversità occorre sempre fare i conti e ci siamo sempre assunti il rischio connesso a questi fattori strutturali, come continueremo a fare».

Poi le proposte al Consorzio: «Chiediamo che per la vendemmia 2020 le rese per ettaro di tutti i disciplinari dei vini Doc in Oltrepò Pavese superiori a 10 t/ettaro vengano ridotte del 20%. Questo potrà limitare l’eccesso di prodotto e mantenere un valore corretto per l’uva e il vino. Chiediamo che per la vendemmia 2020 non venga autorizzato in Oltrepò Pavese l’arricchimento dei mosti: produrre uve che non raggiungono gli standard saccarometrici in un anno come questo significa non avere compreso il tempo che ci troviamo a vivere e non avere adottato le misure agronomiche più razionali». Infine un auspicio: «Confidiamo nella considerazione per le proposte qui elencate e auspichiamo una piena presa di coscienza della situazione e dei rischi che l’intero comparto vino corre in conseguenza di questo tragico periodo storico». Il Consorzio si metterà la mano sul cuore? Calpesteranno qualche callo e ricacceranno il socio di maggioranza e i suoi grandi clienti nella loro metà campo senza tentare cure annacquate? L’anno scorso Fabiano Giorgi ha debuttato con la geniale trovata della vendemmia a ritmo di musica per cacciar via la tensione, come aveva spiegato ai giornalisti che amano lui, il

suo vino e i suoi incarichi. Con quello che è successo alla Cantina di Canneto pochi mesi fa e con queste prospettive di mercato, forse quest’anno la colonna sonora sarà una bella messa da Requiem. Singolare infine la scelta della società di certificazione della DOC, Valoritalia, che ha affrontato l’emergenza Covid-19 autorizzando per un periodo all’autocertificazione dei vini. Ottima mossa: in Oltrepò la storia recente di scandali e sofisticazioni dimostra proprio che c’è da fidarsi a far avvenire l’iter di certificazione dei vini a denominazione senza inviare i prelevatori ufficiali abilitati nelle cantine. Con guanti, mascherina e dispositivi di prevenzione individuale c’era il rischio di trovare una folla di contagiosi moribondi davanti alle vasche? Sussisteva la difficoltà di riunire commissari degustatori esaminatori che compilassero singolarmente le loro schede d’analisi per ammettere alla DOC oppure bocciare un vino difettoso? Pensate davvero che la Repressione Frodi abbia uomini e mezzi per andare a verificare ora, a ritroso, tutte le autocertificazioni? Ma per favore… L’Oltrepò vi applaude o tace. Bene, bravi, bis! di Cyrano De Bergerac


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La politica

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«Sul ritardo per la cassa integrazione in Lombardia la Lega se la prenda con se stessa» Ha vissuto la crisi dall’interno, affrontando dubbi e difficoltà con metodo scientifico, combattendo laddove possibile una battaglia personale contro fake news e utilizzo propagandistico delle informazioni. Il deputato vogherese del Movimento 5 Stelle Cristian Romaniello ci racconta lockdown e ripartenza viste da dentro le istituzioni. Romaniello, iniziamo subito “puntando al centro del bersaglio”: era lei al corrente del Consiglio dei Ministri che ha portato il 31 Gennaio 2020 alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato d’Emergenza per Pandemia sino al 30 Giugno prossimo? Cosa si è fatto nei Palazzi della Politica dal 31 Gennaio al 9 Marzo, giorno d’inizio del Lockdown nazionale? «La domanda mi sorprenderebbe, non fosse che mi è già noto il tema: qualcuno ha messo in giro la voce secondo la quale lo Stato di Emergenza sarebbe stato dichiarato nottetempo, all’insaputa di tutti. In realtà, è sufficiente rivedere un telegiornale (io seguo Mentana) del 31 gennaio 2020 per rendersi conto che l’informazione è stata pubblicata, diffusa e resa disponibile a tutti. Anche i giornali ne hanno dato notizia da subito. I Palazzi hanno lavorato senza sosta, i Ministeri hanno gestito tutta l’emergenza, coordinati dalla Presidenza del Consiglio, retta con capacità da Conte. Le assemblee hanno risentito dell’emergenza, nel rispetto delle disposizioni di sicurezza, ma molti parlamentari hanno lavorato senza tregua. Io, per esempio, mi sono ritrovato nella curiosa condizione di vedere i miei figli, a casa mia, solo per metterli a letto o per cena. I ritmi sono stati altissimi, ma era doveroso visto ciò che stavano facendo i nostri operatori sanitari». Come può essere che all’interno del territorio dell’Unione Europea ove, come la sigla annuncia, tutti gli Stati facenti parte dovrebbero avere se non l’uniformità precisa almeno una somiglianza, mi passi l’ironia, la Germania è andata ad affrontare questa crisi con 28mila posti-letto di terapia intensiva e l’Italia 5mila? «L’Unione Europea è un’organizzazione internazionale sui generis, non uno Stato federale, questo è uno dei motivi che produce le differenze e la distonia che ci sono note da sempre. In Italia si è scelto, negli ultimi 30anni, di privatizzare larga parte della sanità, scelta discutibile che ha condotto ad un taglio di posti letto insostenibile (dal 1997 al 2015 i posti letto per acuti in Italia hanno subito un taglio del 51%, più della metà). Chi oggi ci critica è responsabile di questi tagli, penso alla Lega, a Fratelli d’Italia (gli esponenti attuali

facevano parte dei partiti che tagliavano i diritti fondamentali dei cittadini), Forza Italia. Questo trend va ampiamente rivisto, se mai ci sarà una giunta lombarda di orientamento diverso. Non mi aspetto che chi ha demolito la sanità la rimetta a posto. Per fortuna, lo stesso sistema sanitario nazionale pubblico è riuscito a sopperire alla carenza creando da un giorno all’altro strutture adatte a ricevere pazienti Covid. L’aiuto che abbiamo ricevuto da molti Paesi del Mondo è stato determinante nella fase più critica dell’emergenza, al pari delle donazioni dei cittadini, delle grandi aziende e dei nostri parlamentari. Queste donazioni hanno consentito la creazione di nuovi posti letto». Nei primi giorni di diffusione in Cina, alla fine dello scorso anno, sono immediatamente iniziate illazioni sull’origine del virus: dapprima una fuga da laboratorio, per settimane poi una mutazione tra topi e pipistrelli, ultimamente di nuovo si fa breccia la prima versione. Qual è la sua idea, o la risposta ricevuta da esperti da lei consultati? Quale linea, tra le varie udite da scienziati, immunologi e virologi in programmi televisivi e su carta stampata, lei ritiene veritiera e da perseguire? «Arrivo dalla scienza e sono formato alla verifica delle affermazioni. Non si può dire che un virus è stato creato in laboratorio senza portare prove. Attendo, quindi, che chi lo afferma corrobori la propria tesi con dati alla mano. Ho trovato singolari le affermazioni di Mike Pompeo, Segretario di Stato USA che ha dichiarato sulla televisione americana, prima che il Covid è un prodotto di laboratorio, poi che non è possibile che sia prodotto in laboratorio. Alle richieste di chiarimento della giornalista ha confermato che il Covid non è stato creato in laboratorio, ma trasmesso da animale a uomo. Penso sia bene avere le idee chiare su argomenti tanto delicati. Gli esperti dicono che si tratta di un virus trasmesso da animale a uomo. La conferma che mi ha dato ulteriore fiducia arriva da genetisti e biologi molecolari indipendenti che hanno analizzato il genoma del virus. Questi ricercatori non hanno conflitti di interessi, quindi ritengo le loro conferme affidabili. Resta il fatto che, non essendo competente in materia, sospendere il mio giudizio per ascoltare chi competenza possiede è l’unica strada possibile». A suo parere strettamente personale, tentando di separare “le carriere” di uomo, compagno e papà da Onorevole Deputato, sono state messe in campo, e ben eseguite, tutte le possibili soluzioni... almeno, al momento? «Nessuno poteva immaginare che ci saremmo imbattuti in un’epidemia di queste

Cristian Romaniello

«Anche i Comuni dovranno contribuire nel sostegno alle attività commerciali, intervenendo sulle imposte e sui tributi locali» proporzioni, nessuno aveva mai vissuto ciò che stava per accadere. L’Italia si è trovata ad affrontare il contagio più consistente ed è stata in grado di affrontare l’emergenza più aggressiva, da subito. Ciò nonostante, non si è mai verificata una trial-and-error strategy, ma una vera preparazione strategica basata anche sullo scenario peggiore. Per questo, nonostante l’imprevedibilità dell’emergenza non consenta di anticipare tuti gli ostacoli e qualche volta si possa inciampare, devo concludere che, si, a livello nazionale le soluzioni trovate sono state adeguate. Sono rimasto deluso e arrabbiato per gli atteggiamenti di alcuni Presidenti di Regione. Cercare di fare opposizione al Governo che combatte un’epidemia è meschino e non potrà passare in cavalleria. I dati della nostra Regione, i comportamenti e le delibere della coppia FontanaGallera rendono evidente che cercare di fare sgambetti è irresponsabile e causa danni. Ovviamente, non nascondo le criticità sulla quale siamo incorsi. Ci sono stati alcuni ritardi sull’erogazione di misure di sostegno al reddito, ma nessun escluso tra gli aventi diritto. Questo porta all’intenzione di migliorare al massimo le infrastrutture digitali degli enti preposti e snellire le impalcature burocratiche del Paese. Molto importanti sono le misure di sostegno alle imprese. Oltre alla mole di garanzie e liquidità liberate dai decreti e agli incentivi alle imprese, stiamo varando misure espansive senza precedenti, molte delle quali a fondo perduto».

Grande bufera sul blocco del sito Inps per le richieste del contributo di 600 euro, a parecchi non ancora accreditato, e Cassa-Integrazione che non arriva se non anticipata dal datore di lavoro: cos’è successo e/o continua a succedere? «Non sono un codardo e non scappo da una critica posta correttamente. Come dicevo, alcuni ritardi si sono verificati. È giusto evidenziare che il sito dell’INPS si è trovato a rispondere in un mese alla mole di richieste che solitamente arriva in diversi anni. Coloro che ancora non hanno ricevuto il contributo di 600 euro lo stanno ricevendo e potranno richiedere il successivo (che potrà arrivare a 800) con un click. Sulla cassa integrazione in deroga però occorre fare chiarezza: le domande all’INPS sono emesse dalle Regioni. La Lombardia, al 30 aprile, a fronte di circa 40mila domande presentate dalle aziende, ne ha inviate all’INPS poco più di 8mila, delle quali oltre la metà già autorizzate dall’INPS. Ora, è chiaro che l’INPS non può sapere a chi erogare i soldi, se le Regioni non fanno le richieste. E, anche se superfluo da dire, lo Stato non c’entra, alcune Regioni devono svegliarsi. In generale, è una preoccupazione che deve tenere alta l’attenzione perché lo Stato deve sempre esserci per tutti, in particolare per chi ha davvero bisogno; in America hanno rifiutato il ricovero a pazienti senza assicurazione sanitaria, cosa che ha portato a pagare 35mila dollari per le cure o, nel caso peggiore, al decesso di un diciassettenne.


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la politica Noi siamo meno criticabili sotto diversi punti di vista, non crede? Onestamente, nel nostro Paese mi hanno preoccupato le amministrazione di destra estrema che hanno discriminato alcuni, italiani e stranieri, sui buoni spesa pagati col Bilancio dello Stato. Ho condotto una battaglia contro il sindaco leghista di Ferrara, Alan Fabbri. I tribunali hanno dato ragione alla mia posizione e ne sono lieto. Chi discrimina, discrimina sempre. Ieri toccava al meridionale, oggi allo straniero, domani al dissenziente e a chi diverge dagli orientamenti dominanti, dopodomani chissà. Il nostro turno, prima o poi, arriva». Come giudica la stabilità lavorativa delle aziende e dell’imprenditoria oltrepadane? resisteranno all’urto di questi mesi, anche di quelli a venire? Dovranno adattarsi a qualcosa di innovativo? «Le aziende oltrepadane, come tutte le aziende italiane hanno subito un crollo dei fatturati inimmaginabile, soprattutto quelle che fanno export. Lo Stato però non è rimasto a guardare, ha subito concesso la cassa integrazione e ha strutturato interventi consistenti per tutelare il nostro tessuto industriale e si sta lavorando anche per incentivi a fondo perduto per sostenere il fabbisogno di liquidità delle imprese. Le crisi stimolano intenzioni di grande miglioramento e questo è il momento di investire in sicurezza, innovazione tecnologica, riqualificazioni energetiche e smart working, per affrontare la crisi attuale e riproporsi ad un mercato che potrebbe essere diverso una volta che riprenderanno a salire i consumi delle famiglie. Il nostro Oltrepò ha criticità che vanno affrontate, ma è in grado di rialzarsi. Le misure che mettiamo in campo per il rilancio della domanda interna e per consentire la ripartenza a molti settori di mercato sono fondamentali per la ripresa, ma insieme al Ministro Di Maio stiamo finanziando misure per il sostegno all’internazionalizzazione delle imprese che sosterranno l’export, e il nostro territorio ha un potenziale rilevante. È difficile, ma si può!». Cosa ne sarà del “nostro” oltrepadano comparto agricolo e vitivinicolo? E quale il destino dell’artigianato e del commercio? «In questo periodo di emergenza tutti i comparti hanno avuto grosse difficoltà e il mondo agricolo e vitivinicolo non sono esclusi. La mancanza di manodopera nel mondo agricolo a causa del blocco delle frontiere avrà una ricaduta sul settore, ma potrebbe aprire spazi occupazionali per i cittadini italiani che sono in cerca di lavoro. Una soluzione per il settore vitivinicolo potrebbe essere la vendemmia verde. La speranza è che con le riaperture dei ristoranti e dei bar, ed il giusto sostegno dello Stato, si possa far reggere l’urto di questa crisi. Ho comunque notizie di un aumento degli ordini alle cantine dei vini in questi due mesi di quarantena, grazie anche al servizio di consegna a domicilio effettuato dalle aziende vitivinicole, un modo per affrontare la crisi e adattarsi alle richieste del mercato. Per i settori dell’artigianato e del commercio bisognerà attendere le riaperture e vedere come ripartiranno i consumi.

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«Scegliere prodotti locali e acquistare nei negozi di vicinato è un modo per sostenere l’economia locale» Alcuni settori subiscono di più la crisi, come quelli legati alla cura della persona e la ristorazione. Per questi settori, abbiamo attuato misure straordinarie di sostegno al reddito, avviato la cassa integrazione (anche per attività per cui non era prevista), stabilito un credito di imposta del 60% dell’ammontare del canone di locazione e sono pronti antri provvedimenti, per affrontare l’emergenza attuale e sostenere la ripartenza. Con la ripartenza dobbiamo continuare, e aumentare, l’impegno per sostenere anche nelle azioni quotidiane il mondo del commercio. Scegliere prodotti locali e acquistare nei negozi di vicinato è un modo per sostenere l’economia locale. Anche i Comuni dovranno contribuire nel sostegno alle attività commerciali, intervenendo sulle imposte e sui tributi locali. Bisognerà riprogettare le città, per concedere a tutte le categorie commerciali spazi commerciali su suolo pubblico». Poco meno di 40 miliardi di euro arriveranno all’Italia dal recovery Fund a fine Giugno, si vocifera, suddivisi tra MES, Sure e BEI. Enrico Letta da Parigi ha già annunciato che i fondi MES andranno a ricapitalizzare la Sanità, i fondi Sure la Cassa-Integrazione ed i fondi BEI il mondo lavorativo in generale: come verranno “consegnati” questi soldi alla popolazione? Chi gestirà il transito e la consegna? «In realtà, è ancora tutto da determinare. Com’è noto, la mia posizione, in linea con quella del mio movimento e del Presidente del Consiglio, è favorevole ad un fondo europeo, come il recovery fund, che finanzi l’ulteriore debito degli Stati colpiti dall’emergenza Covid a fondo perduto, almeno in larga misura. L’entità di un finanziamento con un fondo di questo tipo (la cui potenza di fuoco potrebbe sfiorare i 2 trilioni di euro) sarebbe molto maggiore rispetto ai 40 miliardi di cui si è parlato nelle scorse settimane. Il Mes è un fondo difficilmente conciliabile con il nostro sistema paese e, più in generale, in un contesto di crisi simmetrica. Non è stato pensato per questo tipo di interventi. Pertanto, perché possa essere utilizzato nel nostro paese, il MES dovrebbe avviare una linea di credito senza condizioni (ma per davvero), vincolata alle spese sanitarie e ad un tasso di interessi estremamente favorevole. Occorre cambiare un trattato e un regolamento per fare questo. Seguo con interesse il prosieguo del dibattito, senza lasciar sfuggire i dettagli. Gli slogan non mi appartengono. I fondi SURE e gli investimenti della BEI non mi soddisfano, ma possono avviarsi verso una direzione

auspicabile. Occorre uno sforzo maggiore. Certamente, quando la BCE si comporta da Banca Centrale riesce a risolvere molti più problemi di quanti non ne risolva qualsiasi altro strumento. Riguardo la gestione dei fondi, prima occorre capire quali fondi saranno realmente utilizzati. Come sempre, alcune risorse saranno gestite direttamente dallo Stato, altre erogate dagli enti locali. Ricordo, vista la domanda, che la cassa integrazione in deroga è gestita dalla regione. Se i soldi non arrivano, in questo caso, la Lega deve prendersela con se stessa, ma dovrebbero studiare un po’ di più per saperlo. Per concludere, sottolineo che esistono misure all’esame dei nostri organismi istituzionali che prevedono una intelligente gestione del cassetto fiscale per provvedere a cessioni di credito e altri metodi di pagamento che potrebbero rilanciare la nostra economia attraverso un aumento della domanda interna, piuttosto che prestiti condivisi con scadenze anche trentennali, che consentirebbero un’immissione di liquidità per famiglie e imprese senza precedenti. Queste sono proposte del movimento cinque stelle, a cui ho lavorato. Dovessimo riuscire a realizzarle senza trovarci ostacolati da un’opposizione invidiosa e incapace o da pletore di burocrati, avremo la possibilità di venir fuori dalla crisi puntando prevalentemente sulla grandezza del nostro paese».

«Una soluzione per il settore vitivinicolo potrebbe essere la vendemmia verde» Vaccino, studio sull’anticorpo ad opera di team svizzero-scozzese, studio sull’anticorpo ad opera di team italobritannico, plasma sintetico e non, premi Nobel vittoriosi e mancati che annunciano che la carica virale si esaurirà da sola, nel tempo... quale formula è in vantaggio nelle scelte parlamentari e governative e quale la spunterà alla fine, secondo lei? «Ci sono tanti scenari possibili, dobbiamo lasciarci aperte tutte le possibilità terapeutiche. Riguardo alla terapia più popolare al momento, i ricercatori dell’ASST di Mantova e del Policlinico San Matteo di Pavia

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hanno affermato in un recente comunicato stampa “La terapia con il plasma non è una cura miracolosa, ma uno strumento che insieme ad altri potrà consentirci di affrontare nel modo migliore questa epidemia. Mettere in contrapposizione vaccino, test sierologici o virologici, plasma, terapie farmacologiche o terapie di supporto è insensato, poiché dobbiamo disporre di tutte le armi possibili per fare fronte alla minaccia devastante rappresentata dal coronavirus”. Adesso è davvero presto per sapere quale sarà la strada da intraprendere. Per questo, credo sia intelligente ragionare su tutti gli scenari tenendo in considerazione anche quello peggiore. Io mi auguro che, come ipotizzato da numerosi scienziati, la pandemia possa rallentare nettamente la sua diffusione con la stagione calda se non sparire del tutto, e che, al contempo, la scienza sia in grado di produrre una cura mirata e un vaccino da raccomandare alle categorie a rischio se e quando si dovesse riproporre. Consentimi un sentito ringraziamento al Policlinico San Matteo, dal Presidente Venturi a tutti gli operatori sanitari, per lo straordinario lavoro svolto e per il grande contributo portato al mondo clinico e della ricerca». La politica uscirà indenne da questa pandemia-pandemonio o dovrà rivedersi e riattarsi a sua volta per aver ancora credibilità sociale? «“Politica”mi pare un termine un po’ generico. La credibilità è delle persone. C’è chi la credibilità la perde progressivamente perché corre dietro agli argomenti più polemici della giornata, quindi puntando solo sulla comunicazione e non sul lavoro che è chiamato a svolgere, questo non è politica, nemmeno lontanamente. Io sono uno psicologo cognitivo, rischierei di occupare troppo spazio di questa intervista parlandoti delle tecniche di comunicazione usate da alcuni propagandisti ai fini di inganno e di acquisizione di consenso facile, o di come possiamo difenderci da queste tecniche di marketing subdolo che arrivano ad un livello pre riflessivo della nostra consapevolezza per condurci a conclusioni spesso improbabili, ma non è ciò che hai messo a tema. Ho fatto un piccolo evento social insieme a Massimo Polidoro, segretario nazionale del Cicap, per affrontare il tema delle fake news, con particolare riferimento al metodo scientifico e agli strumenti che tutti noi abbiamo in dotazione per fronteggiare gli inganni. Per concludere la risposta alla sua domanda, credo che alcuni segmenti della politica abbiano ottenuto un aumento della propria credibilità, penso al Presidente Conte e a molti esponenti del mio movimento. Altri stanno pagando le conseguenze di non aver costruito una solida credibilità, altri stanno vivendo di una credibilità non solida e conquistata solo attraverso metodi di propaganda ingannatrice e che sono, quindi, destinati a perderla, anche se adesso stanno crescendo. Churchill diceva che “Una bugia fa in tempo a compiere mezzo giro del mondo prima che la verità riesca a mettersi i pantaloni”. Aveva ragione ma, presto o tardi li mette». di Lele Baiardi



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COVID-19: L’ANALISI

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«Credere ai complotti dà sicurezza, mentre la scienza non regala certezze» Simone Marini è un ricercatore vogherese attualmente in forze all’Università della Florida. Crea intelligenze artificiali in campo biomedico, in sostanza dei programmi per computer che analizzano dati di biologia e medicina e, per prove ed errori, imparano a interpretarli e ad elaborare delle previsioni. L’applicazione pratica di questo lavoro è arrivare, ad esempio, a comprendere se un paziente affetto da una certa malattia possa sviluppare o meno certe complicazioni. Dall’inizio della pandemia il suo lavoro di ricerca è incentrato, come quello di una grande parte della comunità scientifica, sullo studio del SARSCov-2, che tutti abbiamo imparato ormai a riconoscere come “il coronavirus”. Simone è uno di quegli scienziati che passano giorni e notti ad analizzare i dati molecolari di questo patogeno, scomponendoli, ordinandoli, confrontandoli nel tentativo di conoscerli al meglio per arrivare, il più in fretta possibile, a capire come impedire che ci faccia del male o, per lo meno, a complicargli la vita. Nel dettaglio, il compito specifico della ricerca del suo team è mappare l’evoluzione del virus, per caprie quali mutazioni vengono trasmesse e in quale parte del mondo si trovano. Ad esempio, per determinare che tipo di mutazione contenga il virus più diffuso a Milano. Marini, come si effettua dal punto di vista tecnico questa ricerca? «In tutto il mondo gli scienziati isolano il virus da campioni biologici e ricavano il suo Rna, cioè il suo genoma, che è una sequenza di lettere. In soldoni, una specie di lunga parolona». Che cosa emerge da questo tipo di studi? «Se confrontiamo le varie “parolone” notiamo che ci sono alcune lettere diverse: queste lettere diverse sono mutazioni. La maggior parte delle mutazioni non ha alcun effetto sul comportamento del virus, però ci permettono di identificarlo e capire, grazie alle differenze, chi è “figlio” di chi. In altre parole, possiamo costruire una sorta di albero genealogico di questi virus collezionati da tutto il mondo che ci permetta di capire come si stanno evolvendo. Se poi associato al genoma si ha anche un’informazione sul comportamento del virus in relazione a chi lo contrae e al suo percorso clinico, si può capire quali mutazioni ne stanno modificando l’azione». Ce lo spiega come fossimo bambini… «Più semplicemente: se analizzo mille genomi e li paragono al decorso della malattia delle persone che ne erano infette posso stimare ad esempio che una determinata mutazione rende il virus più pericoloso di un’altra. Se ad esempio diverse persone che hanno avuto il virus con una stessa determinata mutazione sono decedute, potrò desumere che quel tipo di mutazione sia più pericolosa e studiando l’interazione tra

le molecole, si può capire dove e come colpirla per renderla inoffensiva». A che punto sono arrivate le vostre ricerche? «Abbiamo già pubblicato risultati preliminari, altri articoli usciranno nei prossimi mesi. Tra l’altro, una nostra lettera è stata pubblicata sui Proceedings of the Academy of Sciences (rivista di altissimo livello, ndr) in risposta ad un altro articolo dove dei colleghi sostenevano di aver trovato tre ceppi di coronavirus con diverso grado di pericolosità. Noi dimostriamo però che, facendo controlli statistici sui dati usati dai colleghi, risulta che sono troppo poco affidabili per poter trarre qualunque conclusione. Ovvio che c’è un gran bisogno di scoprire queste mutazioni per poter trovare nuove cure, isolare ceppi diversi del virus con caratteristiche peculiari, e così via. Il problema è che c’è da andarci con i piedi di piombo, e quando si fa un’affermazione, aver fatto tutto il possibile con i mezzi a disposizione per assicurarsi che sia vera. Il che purtroppo richiede tempo e risorse. Uno dei rischi che si corrono per la fretta è di “scoprire” cose sbagliate, che ovviamente è deleterio». Non è però confortante… «Certo, ma contrariamente a quanto tanti possono credere, non è compito della scienza quello di confortare. La scienza procede lentamente analizzando e confrontando dati, per arrivare attraverso un processo di deduzione a delle teorie che vengono pubblicate in studi che sono poi sottoposti al vaglio e alla critica di altri studiosi che dovranno confermarne o meno la validità. Non si possono regalare certezze». Esiste però almeno una “certezza” maturata su questo virus? «Direi che la quasi totalità degli studiosi concorda sulla sua naturalità, cioè che non sia stato creato in laboratorio». Orde di complottisti staranno sussultando. Può spiegare in modo semplice da dove deriva questa sicurezza? «Partiamo specificando che, per rimanere fedele all’approccio scientifico, preferisco non parlare di “sicurezza”, ma dire piuttosto che è assai improbabile che questo virus sia stato manipolato. Detto ciò posso dire che analizzando il genoma, ovvero il famoso “parolone”, possiamo vedere se ci sono state delle inserzioni di pezzi di altri virus, oppure se il genoma stesso ha delle caratteristiche tipiche di altri virus cresciuti in laboratorio, e queste non ci sono. C’è poi un altro aspetto importante: il modo in cui questo virus interagisce con l’organismo umano ricorda sì quello di altri suoi “parenti”, ma ha delle caratteristiche che lo rendono unico. Ora, se fosse stato creato in laboratorio, avrebbe avuto davvero poco senso creare qualcosa di nuovo dal nulla anziché affidarsi a qualcosa di già esistente

e funzionante. Se voglio uccidere qualcuno, creo un’arma totalmente nuova di cui non posso determinare l’efficacia o ne riutilizzo una delle migliaia che già ho e so che funzionano?». C’è però anche chi, con i galloni sul petto, ha sostenuto che si tratti sicuramente di un virus manipolato… «Se si riferisce a Luc Montagnier (Nobel per la medicina nel 2008 ndr), posso dire che non mi risulta abbia pubblicato studi in proposito. Quella che gira è una sua intervista in cui sostiene, a riprova della presunta manipolazione, la presenza di segmenti di Hiv e cita uno studio indiano al proposito. Uno studio che è stato ritirato e ampiamente bocciato dalla comunità scientifica perché si basa su elementi che in scienza definiamo “non significativi”: quelle che venivano indicate come sovrapposizioni fra il genoma del SarsCov2 e l’HIV sono cioè di una proporzione irrilevante. è come se dicessero che io e lei siamo collegati perché abbiamo le sopracciglia dello stesso colore. Chiaramente se lo dice un Nobel è comprensibile che qualcuno gli dia credito, ma la comunità scientifica è formata da milioni di persone e si basa sul consenso. Per assurdo, qualcuno potrebbe anche negare l’esistenza della gravità, ma fino a che non pubblica uno studio che, al vaglio della comunità, sia ritenuto valido, la sua resta un’opinione». E le affermazioni di Trump e il suo staff sulle responsabilità della Cina? «Sono parole che al momento non hanno alcuna evidenza a loro supporto. Poi, se domani qualcuno trova e mostra davvero prove inconfutabili e si guadagna la ragione bene, è così che funziona la scienza. Mi lasci però dire una cosa». Cioè? «Chi vuole credere ai complotti difficilmente può essere convinto del contrario. Alla fine troverà sempre una motivazione per sostenere la sua convinzione ed è tra l’altro un meccanismo psicologico comprensibile». In che senso? «è un ricerca di sicurezza. Dà più forza e rende tutto più facile credere nell’esistenza di un “grande cattivo” che muove i fili piuttosto che vivere con il dubbio come regola e accettare l’indifferenza di madre natura che può di punto in bianco buttare fuori un virus in grado di ucciderci». Lasciamo quindi perdere i complotti, ma parliamo di vaccino. C’è chi sostiene che, trattandosi di un coronavirus e cioè di un virus mutante, possa risultare inutile… «Specifico che sono bioinformatico e non virologo, ma chi lavora in quel campo dice che ci sono probabilità molto buone di poter arrivare a un vaccino e decenti probabilità che questo virus non muti così in fretta al punto che possa renderlo vano».

Simone Marini

«Emergenza gestita male da noi. Si è chiuso tardi e testato poco» Tempistiche? «Quelle di cui si sente parlare le reputo credibili, un anno-un anno e mezzo». Che idea si è fatto della situazione della Lombardia? Il disastro da noi è attribuibile a una mutazione del virus che lo ha reso più “cattivo” o sono da ricercare altrove? «Sul virus ancora non posso esprimermi perché gli studi non sono ancora arrivati a un punto che consenta una visuale abbastanza ampia. è probabile che ci siano delle concause, una delle quali è che l’emergenza sia stata gestita male da noi. Questo lo dicono esperti su riviste importanti (la Harvard Business Review, per esempio), paragonando i casi di Lombardia e Veneto». Quali sono stati gli errori principali fatti qui? «Non sono sicuro, non ho sotto mano dei dati statistici riguardo alle politiche intraprese a ogni livello. Per quello che ho visto, direi che la Lombardia ha chiuso dopo e testato meno». In America com’è la situazione? «Peggiore che in Italia, il problema è stato ignorato anche quando era chiaro che sarebbe arrivato. Ci sono anche state una serie di scelte infelici, come quella di voler produrre i propri test, che poi sono rivelati difettosi nella prima fase». Avete trovato un farmaco davvero efficace? «Uno sicuro non ancora, ma ripeto: si procede per test e ci vuole molto tempo per determinare se un tipo di cura funziona o no». Della cura al plasma iperimmune che dice? «Che sta dimostrandosi valida, ma la difficoltà è applicarla su larga scala». Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi? «Questa è una domanda più che altro filosofica. Dobbiamo adottare le misure protettive di cui si parla e sostanzialmente pesare mano a mano i rischi che andiamo a prendere».

di Christian Draghi


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covid-19: La prevenzione

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Sanificazione, tutto quello che c’è da sapere

L’Agenzia delle Entrate ha realizzato un vademecum per cittadini e imprese per gli aiuti previsti dallo Stato per la sanificazione dei luoghi di lavoro. Il vademecum illustra come imprese e lavoratori autonomi che esercitano la loro attività in luoghi aperti al pubblico possano usufruire del credito d’imposta pari al 60% delle spese sostenute per l’adeguamento alle prescrizioni sanitarie e alle misure di contenimento contro la diffusione da Codiv-19. Obbligatoria la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati e l’utilizzo di dispositivi di protezione individuale atti a garantire la salute di lavori ed utenti. Volenti o nolenti, per le imprese, gli esercizi pubblici, le case di riposo, gli ospedali, ma anche per i condomini, la sanificazione per la diffusione del Covid-19, sarà un “problema”, economico e logistico. Per questo motivo abbiamo voluto intervistare, per capire metodologie ed anche costi, un esperto, Paolo Buscone della B.M. Ambiente che ha sede operativa in Oltrepò, più precisamente a Voghera e che in questi tre mesi ha svolto l’attività di sanificazione in case di riposo, esercizi commerciali e condomini. Buscone tra le misure per contenere e contrastare la diffusione del Coronavirus è d’obbligo in determinati ambienti la sanificazione. Che cosa s’intende esattamente per sanificare un locale? «Genericamente “sanificazione” è sinonimo di pulizia più disinfezione. Consiste in tutte quelle operazioni che permettono di eliminare ogni germe patogeno presente, con vari prodotti e tecniche, ma soprattutto con disinfettanti a base di sostanze chimiche che attaccano gli agenti patogeni e riescono a distruggerli». Quali sono gli ambienti in cui oggi è obbligatoria la sanificazione? «Tutti gli ambienti, sia pubblici che privati, frequentati da persone». Quali sono i requisiti necessari affinchè si possa essere autorizzati ad effettuare la sanificazione? «Bisogna avere un codice ATECO specifico e di conseguenza avere determinati requisiti». è una pratica “figlia” del Coronavirus o anche prima eseguivate trattamenti di sanificazione? «In verità ci occupavamo già di disinfestazioni da un paio d’anni, poi vista la situazione abbiamo pensato di ampliare il servizio». Esistono diverse tipologie di sanificazione. Voi quale utilizzate e perché? «Noi abbiamo diverse tipologie di attrezzatura, si parla di atomizzatori, sia a scoppio che elettrici, pompe elettriche, ozonizzatore, vaporizzatore e nebulizzatore. Dunque possiamo scegliere il tipo ed

Sanificazione, «Non esiste un vero e proprio listino, si va dai 200/300 euro per un ufficio di modeste dimensioni a qualche migliaia di euro per le grandi strutture sanitarie».

Paolo Buscone

il modo di intervento a seconda del tipo di locale o secondo le esigenze del cliente. Il nostro punto di forza è la macchina a vapore. Riteniamo sia il sistema più efficace, in grado di unire il vapore a 170° con i biocidi. Inoltre è molto veloce e si riesce ad arrivare in posti molto difficili da raggiungere». Perché ad esempio non utilizzate l’ozono, di cui si parla tanto, per la sanificazione? «Abbiamo anche la macchina ad ozono, ma riteniamo sia solo “moda” e non crediamo sia la miglior soluzione per diversi motivi. In primis perché la macchina e il sistema non sono autorizzati dall’ISS (Istituto Superiore della Sanità) ed è in oltre vietato il suo utilizzo nelle auto. Un altro problema è che tende ad ossidare i contatti elettrici ed elettronici, pensiamo a quanti di questi sono presenti al giorno d’oggi in uffici, strutture sanitarie e luoghi privati. Ed ultimi ma non meno importanti sono i possibili effetti collaterali che un‘esposizione prolungata ad ozono può provocare sull’uomo (rischiamo di difenderci dal virus per ammalarci in futuro a causa dell’ozono), non essendoci ancora ad oggi sufficienti evidenze scientifiche a riguardo. Ad ogni modo se dovesse esserci una richiesta specifica da parte del cliente per l’utilizzo dell’ozono noi siamo pronti a soddisfarla. Per questo ho fornito i miei operai di maschere protettive con respiratore incorporato e ogni specifico dispositivo di protezione individuale senza badare a spese, poiché non ritengo che la loro salute sia meno importante di quella dei nostri clienti». La sanificazione è prevista in determinati ambienti di lavoro, in aree comuni, mezzi di trasporto… Voi al momento in Oltrepò dove state effettuando il maggior numero di sanificazioni?

La ditta vogherese B.M. Ambiente durante una procedura di sanificazione

«In Oltrepò siamo intervenuti per lo più in condomini, case di riposo e luoghi privati. Abbiamo sanificato anche altre grosse strutture in giro per l’Italia, principalmente RSA. Siamo disponibili ad intervenire in qualsiasi tipo di struttura ci venga richiesto». La procedura di sanificazione è la medesima o si diversifica in base agli ambienti da sanificare? «Dipende dalla tipologia di struttura e dall’utilizzo che ne viene fatto. Non ci si comporta allo stesso modo per un’abitazione privata e per un capannone». Ogni quanto tempi è necessario ripetere l’operazione e quali variabili ci sono? «Ad oggi si stanno aspettando i disciplinari ministeriali. Una cosa è certa, l’utilizzo di prodotti certificati dall’ISS. L’obbligo è quello di sanificare, sta al buonsenso del cliente in funzione di diversi fattori come l’afflusso di persone, la grandezza della struttura e l’utilizzo che ne viene fatto della stessa». Qual è il costo che bisogna sostenere per una sanificazione? «Non esiste un vero e proprio listino, si va dai 200/300 euro per un ufficio di modeste

dimensioni a qualche migliaia di euro per le grandi strutture sanitarie». Come si capisce a scanso di ogni ragionevole dubbio che quel locale è stato sanificato nel pieno rispetto delle leggi vigenti, viene rilasciato una sorta di attestato? «Sì, viene rilasciato un attestato di avvenuta sanificazione recante la data e la tipologia d’intervento». Esistono dei controlli da parte di determinati organi competenti circa la regolarità della sanificazione? «Certamente. Proprio la settimana scorsa eravamo in una RSA a Firenze ed è arrivato un controllo da parte dell’ATS, e devo dire con molta soddisfazione che abbiamo ricevuto i complimenti da parte loro per la nostra tipologia di intervento. Mi permetta di dire mio malgrado che, in questo periodo, ci sono molti improvvisati che tentano di cimentarsi in questo mestiere senza mai aver fatto nemmeno una disinfestazione prima, quindi senza una minima metodologia di lavoro in questo senso, mettendo a rischio la loro salute e quella dei propri clienti». di Silvia Colombini


covid-19: Turismo e ripresa

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Agriturismi, «Si parla di perdite dal 70 al 100%» L’associazione Terranostra Pavia riunisce gli agriturismi di Coldiretti, dalle piccole attività ad indirizzo “famigliare”, alle strutture che forniscono anche il pernottamento e la prima colazione. L’agriturismo è una risorsa indispensabile per il nostro territorio ma, come la maggior parte dei settori lavorativi, è stato pesantemente colpito dal lockdown in termini economici. Ora che il Decreto del 18 maggio ha dato il via libera alle riaperture (a discrezione dei proprietari), analizziamo insieme a Davide Stocco, presidente di Terranostra Pavia, come la quarantena abbia danneggiato gli agriturismi e vediamo le possibilità a disposizione per sfruttare il periodo estivo. Prima di tutto qualche dato: quanti sono, ad oggi, gli agriturismi attivi in Oltrepò? «In percentuale si parla di oltre il 50% di tutti gli agriturismi della provincia di Pavia; per la precisione sono 125 su i 224 totali; quindi la presenza sul territorio è capillare». Gli agriturismi hanno riaperto il 18 maggio e possono fornire i loro servizi nel rigoroso rispetto delle misure sanitarie anti Covid. Esistono regole chiare per lavorare in sicurezza sia per voi operatori che per i clienti o esistono lacune preoccupanti? «Per adesso, al fine di svolgere il nostro lavoro e garantire un servizio ai nostri clienti in tutta sicurezza, sappiamo di dover seguire tutte le disposizioni date dallo stato e dalla regione sulle norme igieniche:quindi il mantenimento della distanza di sicurezza, l’uso della mascherina, la disponibilità di presidi di disinfezione, l’igienizzazione degli oggetti dati in uso agli ospiti, la ventilazione degli ambienti chiusi…». Certamente una buona fetta dei vostri introiti è andata persa. Il periodo primaverile è sempre stato un “buon momento” per gli agriturismi: compleanni, cresime, comunioni, scampagnate e gite fuori porta. Tutto fermo. Per la vostra attività quanto è valso in termini economici il lockdown? «Tutte le cerimonie, comunioni, cresime, matrimoni, tutto il periodo pasquale e del 25 aprile è andato perso. Si parla di perdite dal 70 al 100%. Qualche agriturismo è riuscito a fare la consegna a domicilio dei pasti con l’aiuto di regione Lombardia, ma ben poche attività sono riuscite ad adottare questa soluzione – soprattutto per problemi organizzativi e di gestione. Inoltre, c’è da dire che la natura non si è fermata, per cui chi ha un’attività ed è un imprenditore agricolo non ha aperto il servizio di ristorazione ma ovviamente ha continuato a lavorare per stare dietro alle coltivazioni, senza però guadagnare alcunché».

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125 le strutture attive in Oltrepò, richiesto lo stato di calamità Un dato positivo però potrebbe riguardare proprio gli agriturismi in Oltrepò ed il turismo in campagna. Potrebbe essere l’alternativa per evitare l’affollamento nelle città e nelle località balneari: aria aperta, grandi spazi... Queste sensazioni hanno avuto un riscontro nelle prenotazioni? Le condivide? «Certamente; sfruttando gli spazi aperti di cui disponiamo possiamo ovviare al problema del distanziamento sociale e recuperare un po’ durante l’estate, ma una grande fetta degli introiti proveniva anche dalle cerimonie, che per tradizione e comodità di solito si tengono in primavera. Battesimi, cresime, comunioni, matrimoni… sono stati tutti rimandati a data da destinarsi. Poi, con l’annullamento delle funzioni religiose, che sono state riprese, come tutto, soltanto lunedì, il ritardo sarà ancora più ampio. La primavera è anche la stagione ideale per le gite scolastiche, e durante il lockdown ovviamente sono state annullate anche quelle. L’agriturismo – come tutto il turismo rurale – è stato uno dei settori più colpiti». A proposito di gite scolastiche: un altro aspetto riguarda i bambini e i ragazzi. Centri estivi e trasferte importanti per studio o per diletto sembrano un miraggio. Gli agriturismi e nello specifico le fattorie didattiche potrebbero“salvare” molti genitori che lavorano. C’è da parte vostra una risposta a quella che potrebbe divenire un’esigenza? «Ci sono agriturismi che facendo attività didattica tramite soprattutto le fattorie e gli animali possono accogliere i bambini. Di conseguenza sarà utile per il settore dell’agriturismo anche il suo ruolo di supporto alle famiglie. Inoltre offrirà ai bambini e ai ragazzi la possibilità di non dover stare più chiusi in casa, talvolta anche per più giorni, dato che alcune strutture offrono servizi di pernottamento». L’agriturismo però potrebbe svolgere un ruolo centrale in una prospettiva di vacanze Made in Italy in questa Fase 2. Sono già in atto delle strategie mirate per cercare di trarre beneficio da quello che potrebbe rivelarsi un “buon” momento?

Davide Stocco, presidente di Terranostra Pavia

«La natura non si è fermata: imprenditori agricoli hanno continuato a lavorare senza introito» «Anzitutto, per riparare alle perdite subite, Coldiretti ha chiesto lo stato di calamità per gli agriturismi. L’obiettivo della riapertura estiva è di riportare il turismo in Oltrepò; turismo, perché no, anche gastronomico, data la possibilità offerta dagli agriturismi di utilizzare spazi aperti anche molto ampi non soltanto in occasioni cerimoniali, ma anche per la normale ristorazione. Non appena si arriverà alla possibilità di riapertura dei confini regionali, inoltre, potrebbe essere recuperata anche la

migrazione nelle seconde case estive in campagna, fenomeno che si era un po’ perso negli ultimi anni a favore delle località balneari. Magari qualche agriturismo dotato di piscina potrebbe essere un buon sostituto e un aiuto nel decongestionare quelle pubbliche, soprattutto se finalizzate allo svago e al relax. Data la situazione, il modo migliore per incentivare il ritorno in campagna, è l’utilizzo dei media e social media». di Cecilia Bardoni


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covid-19: Turismo e ripresa

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Valle Staffora, grandi speranze per l’estate E i sindaci si preparano Un po’ tutta la Valle Staffora è interessata a quella che si suppone essere la tendenza della prossima estate, in quanto a vacanze: la ricerca di spazi di tranquillità e bel vivere, dove sia più semplice mantenere il distanziamento sociale rispetto alla città, e sia ridotto il rischio di trovarsi costretti in assembramenti, o semplicemente in luoghi troppo affollati. Questo potrebbe finire per tradursi in un doppio fenomeno. Da una parte, il ritorno alle seconde case; anche da parte di chi da tempo non le utilizzava più con regolarità. O delle nuove generazioni, che hanno ereditato alcuni di questi immobili, senza mai interessarsene; o addirittura considerandoli, fino a ieri, un peso da sostenere, anche economicamente. Costoro andrebbero ad aggiungersi a quanti, invece, non hanno mai smesso di amare e di visitare, anno dopo anno, le tante piccole, meravigliose località di cui è ricco questo lembo di territorio. Dall’altra parte, chi una seconda casa non ce l’ha potrebbe ricercarne una in affitto, se intende passare fuori dalla propria città un periodo prolungato; oppure potrebbe rivolgersi ad alberghi, bed and breakfast, agriturismi. Non dobbiamo aspettarci flussi di persone incredibili, anche perché la capacità disponibile in termini di posti letto non è certo esagerata. Tuttavia, se è realistico pensare a un maggiore afflusso di persone nell’Oltrepò collinare e montano, occorrerà anche prevedere le esigenze tanto delle comunità nei loro confronti, quanto quelle che questi manifesteranno nei confronti delle comunità. Qualche esempio: se ci saranno più persone, ci saranno forse più file nelle ore di punta per gli accessi ai negozi. File che in qualche modo andranno gestite. In certe piccole località, una coda di 10/12 persone davanti a quello che magari è l’unico negozio del paese possono già rappresentare un problema per la viabilità, considerando anche la distanza alla quale le persone in fila devono mantenersi. Oppure pensiamo alle comunicazioni digitali. Chi arriva dalla città è abituato a disporre di servizi internet efficienti, che quasi mai nei piccoli paesi dell’Oltrepò sono disponibili. Lanciamo un appello ai nostri politici: fate fronte comune, tenetevi aggiornati sul tema, punzecchiate chi può avere un po’ di voce in capitolo. È il rilancio del territorio ad averne bisogno. Ma non divaghiamo oltre: concentriamoci, questa volta ancora, sul benedetto turismo. Ricerchiamo un po’ di speranza, nelle parole dei sindaci della valle. Che su questo punto hanno le idee chiare. Giovanni Palli, sindaco di Varzi «L’emergenza epidemiologica ci ha imposto, in questi mesi, di ripensare stili di vita

Giovanni Palli, sindaco di Varzi

Carlo Ferrari, sindaco di Montesegale

e di riannodare i fili delle nostre comunità locali pensando, ed ancor di più in questa nuova fase, ai più deboli ed alle nostre realtà commerciali e ricettive che stanno soffrendo una importante crisi economica e sociale alla quale come comune di Varzi e Comunità Montana stiamo rispondendo con misure concrete ed un dialogo costante con gli operatori del comparto commerciale e turistico ricettivo oltre ad un concreto sostegno alle famiglie più in difficoltà. In questa cornice, ed in attesa che il governo chiarisca e semplifichi le misure a sostegno di cittadini ed imprese, ci muoviamo e proiettiamo il nostro sguardo, con ottimismo, all’imminente stagione estiva». Opportunità da sfruttare per l’Oltrepò? «Le grandi emergenze, almeno da un punto di vista strettamente turistico, rappresentano un’opportunità per rafforzare l’idea di territorio e turismo che abbiamo in mente ovvero un territorio ed un turismo slow che valorizzi la propria biodiversità e le comunità locali con le proprie peculiarità ed autenticità. Immaginiamo, ed in questo il nuovo scenario post Covid-19 rappresenta un’opportunità, un territorio in grado di ospitare per periodi più lunghi le persone garantendo una completa integrazione nelle nostre comunità e fornendo loro la possibilità di far scoprire il bello e buono dell’Appennino Lombardo. In questo senso, puntando su tesori medievali, biodiversità, vie storiche e sport all’aria aperta, come Comunità Montana e Comune di Varzi abbiamo messo in campo diverse iniziative che saranno fruibili già da questa estate a partire dalla riqualificazione in Varzi delle strutture dedicate al fitness ed al campo di basket, passando per l’aggiornamento dell’App “I sentieri dell’Oltrepò Pavese” che ci permetterà di costruire una community degli escursionisti del nostro territorio e condividere i migliori percorsi ed immagini, fino ad interventi puntuali di pulizia ed accessibilità delle reti escursionistiche dell’area montana del nostro territorio.

Andrea Milanesi, sindaco di Cecima

Inoltre, proprio per far fronte alle necessità che il distanziamento sociale ha imposto, abbiamo in corso da mesi un efficace confronto con tutte le parti del comparto turistico-ricettivo del nostro territorio e, insieme a loro, abbiamo deciso di agevolare quanto più possibile questa ripresa mettendo a disposizione gratuitamente tutti gli spazi esterni che saranno necessari per permettere loro di mantenere i coperti che, giocoforza, sarebbero diminuiti dalle limitazioni per la sicurezza previsti dal Governo. Sempre in merito al comparto turistico - ricettivo, ci tengo a ricordarlo, questo e il prossimo anno vedranno l’avvio di nuove start up ed il rinnovamento di molte realtà turistico ricettive del territorio, alcune di queste finanziati grazie alle misure previste da Regione Lombardia a sostegno dell’imprenditorialità della nostra area, che ci permetteranno di offrire al turista un volto nuovo anche della nostra offerta sempre più in linea con le vocazioni del territorio e sempre più vicine alla domanda di un turismo esperienziale rivolto ai luoghi ed agli elementi distintivi del nostro Oltrepò. Noi siamo consapevoli delle complesse ricadute che l’emergenza epidemiologica sta causando anche sul nostro territorio, ma siamo altrettanto pronti ed operativi a cogliere le opportunità di uno scenario di sviluppo territoriale e turistica che rafforza il nostro percorso verso un turismo lento, consapevole ed integrato con le comunità locali. Le prime sollecitazioni ci fanno ben sperare e, come anticipato, siamo pronti non solo ad accogliere turisti, ma a costruire con loro un patto di comunità che li faccia ritornare e, perchè no, vivere dei periodi prolungati durante l’anno grazie alle sempre più diffuse politiche di smartworking». Seconde case. Potrebbe esserci un ritorno al loro utilizzo anche da parte delle seconde generazione dei proprietari? «Le seconde case rappresentano una consistente realtà del nostro territorio e rappresentano un tangibile legame affettivo con il nostro appennino da parte di chi,

Paolo Culacciati, vicesindaco di Val di Nizza

per vari motivi, abita e vive fuori. Voglio, prima di tutto, ringraziare tutti gli amici dell’Oltrepò Montano per aver rispettato diligentemente le disposizioni di Regione Lombardia e Governo anche quando il lockdown cittadino era più opprimente. In seconda battuta però, proprio con loro e con chi avrà interesse a vivere per il periodo estivo insieme a noi, vogliamo fare un patto più solido e di lungo periodo che resista anche oltre l’emergenza e che ci permetta di disegnare tutti insieme un futuro diverso per il nostro territorio attivando una fidelizzazione maggiore e più costante nel tempo sia nella vita quotidiana di comunità sia nella valorizzazione dei prodotti e delle proprie realtà nei luoghi dove, nel resto dell’anno, si vive e lavora abitualmente. Più che di incentivi, vogliamo garantire servizi a tutti quelli che vogliono ritornare a vivere l’Oltrepò Montano sia garantendo più opportunità di svago sostenibile sia mantenendo servizi per giovani famiglie e lavoratori durante tutto l’anno al fine di convertire le seconde case in case sempre più vive e frequentante durante tutto l’anno. L’evoluzione dei tempi e le modalità di vita e di lavoro, che questa emergenza ha accelerato, ci fa guardare con forza in questa direzione e noi, certamente, faremo la nostra parte!». Carlo Ferrari, sindaco di Montesegale: «La crisi ha messo a nudo le fragilità del mondo globalizzato, che, proprio perché troppo interconnesso, ha favorito la diffusione del virus. Potrebbe iniziare un’era di de-globalizzazione turistica, in cui si privilegerà la riscoperta dei piccoli borghi e delle identità locali, si prenderanno in considerazione località che prima non erano in voga, zone tranquille e immerse nella natura, luoghi poco affollati, spazi aperti, anche se con minore offerta di servizi. La ricerca di “spazio” potrebbe essere un nuovo trend, e le aree che prima erano a bassa densità turistica come le nostre potrebbero avere nuovo vigore nei prossimi anni.


covid-19: Turismo e ripresa Tutto questo dipenderà da noi, dalle nostre comunità. Il turismo del futuro? Come dice Carlo Petrini (Slow Food) da parecchi anni “Parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano. I turisti arriveranno di conseguenza”. Un investimento ancor più necessario dopo l’emergenza coronavirus: la banda larga!». Paolo Culacciati, vicesindaco di Val Di Nizza: «In questi giorni ho avuto modo di parlare con diversi abitanti che hanno le seconde case nel mio Comune, ciò che mi ha colpito maggiormente è la ricorrente frase “Ci vedremo presto, quest’anno non mancheremo...”. Inoltre mai come in questo periodo ho avuto la richiesta di informazioni su chi, privato o agenzie immobiliare, avesse a disposizione una casa da affittare per il periodo estivo. Ho percepito una gran voglia di “evadere” da una parte da questi due mesi di lockdown, dall’altra la consapevolezza che la normalità è ancora di difficile attuazione, le persone si stanno attrezzando scegliendo la miglior soluzione possibile, vale a dire spazi aperti, natura e poco affollamento, ed il nostro Comune che conta 16 km di boschi deduco che per la prossima estate sarà da “tutto esaurito”». Andrea Milanesi, sindaco di Cecima: «Ci sono richieste particolari in effetti. Tante persone stanno cercando un rifugio dall’appartamento, magari non troppo lontano da casa, quindi in Oltrepò, con tutta la tranquillità. Stanno cercando di recuperare in questo modo dal momento di crisi che è stato molto duro. Lavorando nel settore ho ricevuto diverse telefonate che richiedevano la disponibilità di immobili in affitto per il periodo estivo». Secondo lei il territorio è in grado di rispondere a queste richieste? «Per il momento sì, ma è solo l’inizio. Bisogna vedere come si evolverà il fenomeno. Chiaramente, se è partito già adesso, quando comunque le persone sono ancora in casa, immagino che più avanti, quando ci sarà un po’ più di apertura, aumenterà». Il suo comune ha a disposizione diverse attività ricettive che potrebbero trarre vantaggio da questa tendenza. «Agriturismi, B&B, e non ultime quelle nuove strutture che sono le “Foresterie lombarde”, che stanno prendendo piede. Si tratta di un B&B semplificato, ancora più a gestione familiare». Christos Chlapanidas, sindaco di Brallo di Pregola: «Da noi molte non sono effettivamente seconde case: molta gente del Brallo d’inverno va in città a svernare; da Pasqua in poi inizia a tornare e a preparare la casa, e più della metà dei mesi dell’anno li passano qui. Per quanto riguarda le seconde case vere e proprie, è vero che ci sono delle richieste per gli affitti. Speriamo che la cosa prenda piede, così che un posto come Brallo continui a vivere. I problemi ci saranno per i ristoranti e i bar, perché effettivamente non sono molto spaziosi e chi poteva ospitare 100 persone forse po-

trà tenerne 30. La riduzione del 70% dei posti diventa un problema. Da parte mia, come Amministrazione, dico che se vogliono utilizzare il plateatico per me lo possono fare gratis - per dare loro una mano. Per quanto riguarda la TARI, cercherò di andare incontro alle esigenze. Prima di tutto, capendo con ASM cosa abbiamo risparmiato. Su questo stiamo lavorando, anche per rivedere il piano finanziario 2020; qualcosa avremo risparmiato. Tutto quello che si risparmia si cerca di darlo alla gente. Ora la mia iniziativa sarà quella di promuovere le seconde case e portare un po’ di gente, che saranno controllate secondo le disposizioni, come l’uso della mascherina e il mantenimento delle distanze. Sono super favorevole al rilancio del turismo». Andrea Gandolfi, sindaco di Santa Margherita Staffora: «Al momento la gente non si è ancora mossa, ha ancora timore. Bisogna vedere come andrà l’aspetto epidemiologico. Mi pare di capire sia tutto un po’ fermo. Nonostante il nostro comune abbia moltissime potenzialità, le case disponibili sono comunque poche, perché occupate da persone che vengono già di solito tutti gli anni. Poi dipende anche da paese a paese e da frazione a frazione. Pian del Poggio è formata soprattutto da seconde case; tante possono essere sfitte, quindi ci può essere una maggiore potenzialità. Negli altri paesi le seconde case, per la maggior parte, sono abitate più o meno tutto l’anno. Quello sicuramente che le dico è che se la tendenza sarà quella che sembra, penso che anche le poche case sfitte che abbiamo verranno riempite. E penso quindi soprattutto a Pian del Poggio; anche se negli ultimi tempi ho visto già un buon ritorno, rispetto per esempio a 7/8 anni fa». Paolo Donato Bertorelli, sindaco di Menconico: «Ho già avuto dei contatti. Per esempio dei signori che avevano la casa qui, ma erano anni che non la utilizzavano, mi hanno detto che sono interessati a venire su quest’estate e mi hanno telefonato per sapere se funziona internet. Io ho loro detto che internet funziona: non è molto veloce però funziona, per cui verranno. Un altro mi ha telefonato chiedendo come funzionano i servizi per rifiuti, gli ho spiegato che assolutamente non ci sono problemi di nessun tipo. Per cui un interesse c’è. Proprio due o tre giorni fa un signore di Milano mi ha telefonato e mi ha chiesto se ci son case in affitto. Ce n’è finché si vuole!». Simone Tiglio, sindaco di Zavattarello «Noi abbiamo tanti possessori di seconde case in questo comune e vedo che ci sono già, da alcuni weekend, arrivi superiori rispetto al periodo nero dell’emergenza, ma forse anche rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Qualche segnale, qualche richiesta di seconde case è arrivato. Ma siamo, secondo me, ancora un pochino vittime del lockdown; quindi non c’è, per il momento, un grandissimo afflusso di richieste. Anche perché noi abbiamo un’offerta a Zavattarello che è abbastanza ampia, ed esiste anche un sito (caseper-

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Christos Chlapanidas, sindaco di Brallo di Pregola

Andrea Gandolfi, sindaco di Santa Margherita Staffora

Paolo Donato Bertorelli, sindaco di Menconico

Simone Tiglio, sindaco di Zavattarello

Manuel Achille, sindaco di Romagnese

Sergio Lodigiani, sindaco di Colli Verdi

letuevacanze.blogspot.com) dove ci sono diverse soluzioni abitative, sia in centro che nelle frazioni. Poi abbiamo agriturismi e alberghi. Ma su quest’ultimo versante, finché non riapriranno non si potrà sapere se ci sarà o meno riscontro». Manuel Achille, sindaco di Romagnese: «Sono dell’idea che il nostro sarà uno dei comuni, insieme chiaramente agli altri dell’Appennino Pavese, in cui durante il periodo estivo le seconde case verranno popolate in maniera considerevole, in base anche agli allentamenti che farà il Governo. Stiamo cercando di prevedere un po’ il flusso di persone che verrà e allo stesso tempo di prevedere modifiche; per esempio sulla piazza del comune, per permettere alle persone che magari vanno a fare spesa di non ammassarsi. Prevediamo vi sarà un afflusso considerevole a maggior ragione per il fatto che le persone difficilmente quest’anno andranno a fare le vacanze al mare o in montagna. Tra l’altro, a parte le seconde case che di solito vengono frequentate dai proprietari, stiamo mettendo a punto, con Comune e Pro Loco, una sorta di “portale degli affitti” in cui le persone che possiedano un immobile non abitato, e da noi ci sono, possano agevolmente offrirlo chi lo dovesse richiedere. Il problema è sempre stato che quelli che offrivano casa non trovavano l’acquirente, e a loro volta quelli che cercavano casa non trovavano chi gliela offriva. Mancava il punto d’incontro. Per contrastare questa asimmetria informativa stiamo studiando questo portale. Confidiamo di portarlo a termine a breve». Quali sono le modifiche cui accennava relativamente alla piazza? «Abbiamo messo delle delimitazioni alla sosta. Siccome la piazza di Romagnese è molto concentrata di attività, e la piazza è piccola, abbiamo pensato di aumentare

l’area pedonale togliendo per il periodo estivo 4/5 parcheggi, cosicché gli esercenti siano più comodi nell’organizzare le loro file per entrare nei locali, al fine di evitare assembramenti di persone o, ancora peggio, persone che aspettano il loro turno in mezzo alla strada. Finora il problema non si è posto, ma ci sarà quando magari a giugno non ci saranno 10/15 persone in piazza ma 30». Sergio Lodigiani, sindaco di Colli Verdi «Io sono convinto che quest’estate le apriamo tutte, le seconde case. Ho sentito un po’ di persone che avevano figli o nipoti che non venivano mai e ora invece ci stanno pensando. Noi abbiamo delle belle strutture, abbiamo anche una pista di ballo all’aperto che, se il tempo ci aiuta (e epidemia permettendo) sicuramente utilizzeremo, faremo tante manifestazioni. Poi abbiamo sistemato diversi sentieri, per esempio da Pometo arriviamo a Carmine e a Valverde. Agriturismi e ristoranti ne abbiamo di buoni, poi c’è qualcuno che ha dei cavalli e ha deciso di insegnare equitazione. Ci sono tante cose, qui, che si possono fare. Andare molto in giro la prossima estate non sarà possibile, penso anche alle spiagge: tenere tre o quattro metri di distanza è improponibile. Per cui la percezione è che tante persone verranno da noi. Ci sono diverse persone che mi chiamano. Per esempio, sto cercando un immobile in affitto per una persona che vorrebbe venire a passare qui il mese di luglio e ho difficoltà a trovarla. Anche un’altra famiglia mi ha chiamato da Milano. C’è da dire una cosa: la maggior parte delle persone cerca una casa con uno spazio esterno, almeno per mettere fuori uno sdraio. Per cui le case vicine alle altre magari non gli vanno bene». di Pier Luigi Feltri



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L’emergenza rilancia anche la Valle Versa Arrivano le prime richieste Durante la prossima estate, secondo gli esperti, molti italiani rinunceranno a trascorrere le vacanze nei consueti luoghi di villeggiatura tipici della cultura di massa. La tendenza ad un turismo più “sostenibile” era già in atto da qualche anno; le conseguenze dell’epidemia Covid-19 potrebbero aver accelerato la transizione a soluzioni più “slow”. Ma non solo: la prossima sarà un’estate “italiana” per il popolo delle vacanze che, anche se dovesse mutare il quadro normativo, sembra essere poco propenso a spostarsi all’estero. E poi c’è il “bonus vacanze” recentemente stanziato dal Governo: potrebbe rappresentare un ulteriore incentivo in questo senso. O almeno spingere i più a considerare le mete di casa nostra. Anche se permangono forti perplessità in merito: come fa notare l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti, l’80% di questo sconto dovrebbe essere effettuato dall’albergatore, il quale si vedrebbe restituito l’importo dallo Stato solo nel 2021. Ma quell’albergatore i suoi fornitori, i dipendenti e tutto il resto, dovrà pagarli subito. Non l’anno prossimo. Staremo a vedere: questa e altre misure, avendo il carattere dell’innovazione, vanno verificate sul campo. E ci sarà tempo per farlo. L’orizzonte della partita, del resto, non è breve: il Covid-19 non è affatto sconfitto, stiamo solo imparando a conviverci. E c’è da scommettere che una certa disposizione a mantenersi prudenti (e quindi, fra l’altro, ad evitare i luoghi molto affollati) rimarrà nella coscienza collettiva anche ben oltre i limiti temporali dell’attuale pandemia. Cosa c’entra tutto questo con l’Oltrepò? C’entra tantissimo. Perché se le previsioni verranno confermate, i comuni collinari avranno, più di altre zone, la possibilità di essere protagonisti. Nel segno del turismo sostenibile, appunto. Dalla loro, in primo luogo, c’è la disponibilità di spazi ampi: mantenere le distanze interpersonali è tutto sommato semplice, imparagonabile alla condivisione degli spazi tipica della città ma anche dei luoghi di villeggiatura più blasonati. Poi, la vicinanza con le grandi aree urbane: su base regionale pensiamo naturalmente a Milano, ma anche a Pavia. I sondaggi dicono che le persone tenderanno a muoversi poco lontano e per brevi periodi. A fare la parte del leone potrebbero essere le seconde case. Molte vengono vissute dai loro proprietari tutti gli anni, se non addirittura tutto l’anno. Altre, invece, giacciono abbandonate a loro stesse da tempo; sostituite, nelle gerarchie vacanziere, da altre soluzioni più esotiche. Eppure c’è chi parla di “effetto cocooning” per la prossima estate: abituati alla reclu-

Stefano Riccardi, sindaco di Santa Maria della Versa

Claudio Scabini, sindaco di Golferenzo

sione domestica, e spaventati dalle incognite della pandemia, in molti sarebbero orientati a ricercare la sicurezza di un proprio “bozzolo”, di un nido conosciuto e rassicurante: la seconda casa, appunto. Certo, le incognite sono tante: l’Oltrepò sarebbe pronto a ricevere flussi turistici che non vede da decenni? A scanso di equivoci: non dobbiamo pensare nemmeno lontanamente a un’invasione di milanesi a luglio e agosto, anche se qualcuno ci spera. Però un maggiore afflusso di persone, rispetto agli ultimi anni, è già più di un’ipotesi: e ce lo confermano un po’ tutti i sindaci che abbiamo contattato per un parere sul tema. Quello che bisogna organizzare, e alla svelta, sono i servizi e le infrastrutture. Senza questi, si rischia il fuoco di paglia. Delle strade, parliamo già fin troppo e da troppo. Della rete internet, invece, non ne parliamo affatto (a proposito: i lavori per portare la banda ultra-larga nei piccoli comuni è stata rimandata, per l’ennesima volta - molto male!). E poi, la possibilità di svolgere attività ludico-ricreative. Sentieri meravigliosi ce ne sono, per chi ama le passeggiate; ma andranno tirati a lucido e poi mantenuti nel pieno della loro fruibilità. Il che significa avere a disposizione addetti, anche stagionali, in grado di farlo. Anche le Pro Loco dovranno reinventarsi: sembra improbabile che possano organiz-

Claudio Mangiarotti, sindaco di Volpara

zare le tradizionali fiere e sagre, almeno con le modalità note fino a ieri. Ma le tipicità gastronomiche e dell’artigianato locale non vanno in vacanza: occorrerà trovare il modo di valorizzarle; essendo anche in questo caso attenti a come la situazione si evolverà giorno per giorno. Ecco allora che vi proponiamo la fotografia dello stato attuale, attraverso le parole di alcuni sindaci della fascia collinare. Sono ottimisti, i sindaci, circa la prossima stagione turistica. Lo sono perché, come tutti i sindaci dei piccoli centri, tengono il polso della situazione. E ci portano notizie interessanti. Le domande che abbiamo posto a tutti sono le stesse. Qual è la vostra percezione? Ci sarà un ritorno alle seconde case? È lecito aspettarsi un ritorno del turismo sulle nostre colline? Cominciamo con tre sindaci della Valle Versa, fra i più interessati da queste ipotesi. Stefano Riccardi, sindaco di Santa Maria della Versa: «Avremo davanti a noi un’occasione da sfruttare. Già in questi primi giorni di riapertura ho constatato la presenza di molti milanesi che sono venuti a passare alcuni giorni nelle loro seconde case. Si nota che la gente è attratta dalla collina e si sta interessando parecchio, forse anche incentivata dai pochissimi casi avuti nella nostra vallata. Dato il numero ancora elevato di contagi regionali penso che con molta probabilità difficilmente la Lombardia verrà totalmente aperta dopo il 3 giugno: in questo caso per il milanese l’Oltrepò potrebbe rivelarsi una concreta alternativa per le vacanze in regione. Purtroppo la stagione estiva ne risentirà della mancanza degli eventi che ormai erano un appuntamento fisso per il nostro territorio, anche se bar, ristoranti ed agriturismi saranno aperti. Speriamo che questa spiacevole situazione da cui stiamo uscendo possa almeno generare un certo interesse per il nostro mercato immobiliare, che a sua volta aiuterebbe a migliorare il decoro dei nostri paesi».

Claudio Mangiarotti, sindaco di Volpara: «Alcune persone che avevano la seconda casa a Volpara sono già qui: essendo riuscite a “fuggire” per tempo, prima del blocco, hanno potuto passare il loro tempo in collina. Gli altri proprietari che non sono già qui fanno un “pressing” continuo per poter venire, ma ancora non possono farlo. Comunque ho ricevuto chiamate anche da tanti che hanno una seconda casa e da tempo non ci venivano più. Direi che è ritornato un interesse verso la collina dell’Oltrepò. Altre persone, che possiedono una seconda casa con il giardino, mi hanno chiamato per chiedere informazioni perché vorrebbero costruirsi la piscina - almeno in tre. Sono tutte situazioni che fanno pensare a un ritorno del turismo. Se vogliono investire ancora nella seconda casa, significa che hanno intenzione di tornarci. Per quanto riguarda nuovi arrivi, c’è chi ritorna nella seconda casa che ha già, magari quella che era dei propri genitori; poi c’è chi cerca invece qualcosa da zero, e uno dei requisiti fondamentali è la presenza di uno spazio verde, di un’area di sfogo». Claudio Scabini, sindaco di Golferenzo: «Non nego di aver già avuto oltre 10 chiamate di persone proprietarie di seconde case che chiedono, per amici, se c’è qualche abitazione da affittare, o anche qualche struttura ricettiva. Infatti mi sono attivato per sentire le strutture della zona, come i B&B, per capire se affittano anche per periodi più lunghi di pochi giorni. Si sono messi a disposizione. Inoltre ho sentito gente che in questi anni non veniva più spesso nella propria seconda casa, e con questa situazione torneranno a farsi vedere. Il problema principale, secondo me, sarà quello di offrire anche un qualcosa a queste persone: dei servizi, prima di tutto. Bisogna pensare a quali attività proporre, una volta recepite le disposizioni del nuovo decreto. Per esempio: noi abbiamo un “barettino” situato presso il centro sportivo, all’aperto: dobbiamo capire come poterlo aprire in sicurezza. Speriamo di trovarci preparati. E speriamo anche che ritorni un valore per le stesse abitazioni: se ci sarà ricerca di seconde case, ne aumenteranno anche i prezzi. Insomma: come comune ci diamo da fare per cercare di offrire servizi. Ben vengano anche i bandi che ci possono aiutare, come quello del GAL Srl. Ci stiamo lavorando e porteremo a termine alcuni progetti di sentieristica e aree verdi». di Pier Luigi Feltri


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COVID-19: I COMMERCIANTI

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I Bar al palo, «Serve più tempo per ripartire in sicurezza» Il fatto che dal 18 maggio si potessero tirare su le saracinesche non significa che tutti lo abbiano fatto. Soprattutto tra baristi e ristoratori è prevalsa la prudenza e diversi hanno preferito restare un attimo in più alla finestra per attendere i primi risultati di una ripartenza che, senza la propensione di tutti ad adeguarsi alle nuove regole per la convivenza sociale, potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang fino a rispedire tutti, come nel gioco dell’oca, alla casella di partenza. Chi ha deciso di non riaprire subito lo ha fatto principalmente per mancanza di tempo per adeguarsi a norme uscite all’ultimo minuto, per poter valutare l’evolversi della situazione dei contagi su un tempo più lungo oppure per via delle spese ingenti che si sarebbero dovute sostenere con le indicazioni “della prima ora”. «Abbiamo deciso di prenderci più tempo per attendere che le norme espresse dal decreto legge venissero collaudate e soprattutto per poter garantire la sicurezza alle persone» spiega Andrea Marsiglia del Pub Soqquadro di viale Diviani A Salice Terme, che ha preferito prendersi un po’ di tempo in più per poter in qualche modo “prendere la rincorsa”. «Ci siamo dati da fare per ripensare la nostra attività, i suoi spazi, l’offerta al cliente. Il nostro desiderio è dare la possibilità alle persone di ritornare a godere di questa ritrovata libertà senza il timore di qualcosa che è ripartito senza le giuste attenzioni e riflessioni. Questa fase andrà bene se ognuno farà diligentemente la sua parte e noi ci stiamo assolutamente dando da fare per fare la nostra al meglio e siamo certi che i nostri clienti sono sulla nostra stessa lunghezza d’onda». Se il decreto approvato fosse stato quello pensato inizialmente, con la distanza di quattro metri tra i tavoli o, in alternativa, il plexiglass, probabilmente Soqquadro come molti altri piccoli locali non avrebbe più aperto. «Si è aspettato fino all’ultimo e come categoria siamo stati “graziati” rispetto alle regole previste dai primi rumors. Rispetto a quello che poteva essere l’acquisto di plexiglas o ai 4 metri di distanza diciamo che le nuove direttive dovrebbe incentivare un po’ di più la gente ad andare in giro». Riguardo ai costi della ripartenza, Marsiglia pone l’attenzione sugli investimenti fatti prima del Covid e che non potranno essere ammortizzati. Lui, come altri, aveva da poco deciso di puntare sulla musica dal vivo e la programmazione di alta qualità che stava proponendo stava iniziando a dare risultati importanti. «Abbiamo dovuto buttare della merce, ma la preoccupazione maggiore è per chi aveva puntato sulla musica dal vivo spendendo

«Questa fase andrà bene se tutti faremo diligentemente la nostra parte»

Mauro Calvi e Alessandra Groppo de La Locanda delle Fate a Voghera

Diversi baristi e ristoratori non hanno ancora aperto: «Siamo gli ultimi della catena, non ci hanno tutelati» parecchio in attrezzatura e adesso non può lavorare». Su quali siano in generale i problemi principali cui la sua categoria deve far fronte ha le idee piuttosto chiare. «Mancanza di aiuto reale dallo Stato. Personalmente non conosco nessuno che abbia ricevuto neppure i famosi 600 euro. Mancano le casse integrazioni, che potrebbero permetterci di sostenere alcune situazioni con i dipendenti. Poi ci sono tasse, mutui, affitti: spese solo posticipate ma che restano». Dello stesso avviso Mauro Calvi e Alessandra Groppo de La Locanda delle Fate a Voghera, che tireranno su la saracinesca a giugno. «Non abbiamo riaperto subito per il fatto che le normative che ci avrebbero consentito di riaprire in sicurezza, per noi e per i clienti, sono arrivate all’ultimo momento e in maniera confusa e nebulosa» spiegano. «Il Governo dava una linea, la Regione un’altra e per questo, senza chiarezza sulle normative da sviluppare sarebbe stata una follia: non possiamo prenderci il rischio di non rispettare in maniera rigorosa regole e, ol-

tre a mettere a repentaglio la sicurezza di tutti, incappare in qualche sanzione che in questo momento ci taglierebbe definitivamente le gambe». Anche i due esercenti di via Balladore lamentano il mancato supporto dello Stato: «A Roma non hanno capito che siamo l’ultimo anello della catena del commercio: rappresentiamo il settore del tempo libero e del divertimento e siamo i primi che vengono “sacrificati” quando ci sono queste grandi crisi, dato che logicamente le persone pensano in primis ai bisogni primari. Proprio perché ultimi in questa catena avremmo dovuto essere i primi ad essere tutelati. Anziché dare 600 euro a categorie professionali sicuramente meno esposte come ad esempio notai e commercialisti, si poteva dare un fondo più cospicuo a chi lavora nei settori che per forza di cose non hanno potuto in alcun modo lavorare. Invece restiamo i più tartassati: subiamo da sempre i controlli incrociati da parte di ogni tipo di ente, ogni capello fuori posto può diventare scusa per una multa. Ora che siamo in ginocchio, la mia paura è che

Andrea Marsiglia del Pub Soqquadro di Salice Terme

anziché darci una mano a rialzarci aspettino di darci il colpo di grazia». Calvi e Groppo spiegano poi come questa ripartenza comporti costi di diverso tipo: «Ci sono quelli nascosti e quelli espliciti. Gli ultimi sono l’acquisto dei dispositivi di protezione per titolari, dipendenti e clienti per lavorare in sicurezza. Esistono tante possibilità per dedurre queste spese, ma ad oggi ancora non esiste chiarezza su come e quando. Quindi per chi deve riaprire oggi questo rappresenta semplicemente un costo come un altro. Il costo “nascosto” invece è quello non evidente, ovvero non legato a delle uscite quanto a delle mancate entrate. Oggi ci troviamo a dover far funzionare un’attività con almeno il 50% dei ricavi rispetto all’epoca pre-Covid con gli stessi costi fissi di prima. Ci sono poi le forniture acquistate in epoca pre-crisi che vanno saldate, e i dipendenti che dovranno tornare a essere pagati da noi». In sostanza, per questa categoria ancor più che per altre, la “fase2” non sarà una festa. di Christian Draghi


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«Troppi in giro senza mascherina: non possiamo permetterci un altro lockdown» La fase 2 è entrata nel pieno anche a Voghera. Se da un lato la riapertura di quasi tutte le attività non può che far sorridere i commercianti, dall’altro c’è chi all’interno della categoria esprime preoccupazione per l’eccessivo ripopolarsi di strade e marciapiedi. «Troppa gente è in giro senza rispettare le regole» tuona il presidente degli Artigiani Mario Campeggi. «Su quindici persone che incontro per strada, dieci o non hanno la mascherina oppure la portano sotto il mento come fosse un foulard. Non ci si rende conto che il pericolo è tutt’altro che passato e ho seriamente paura che un ritorno dei contagi possa mettere a repentaglio gli sforzi fatti dai commercianti per ripartire». A finire nel mirino della critica sono sia i giovani che i più anziani. Paradossale, considerando che si tratta della categoria più a rischio. «Vedo davvero troppa superficialità: i miei associati sono stati super rigorosi nell’adeguarsi alle normative di sicurezza che fanno rispettare, all’interno dei loro negozi, pedissequamente. Il problema nasce fuori, per strada, dove la mancanza di prudenza e senso civico rischia di vanificare gli sforzi. Un ritorno al lockdown sarebbe la fine per la categoria e il numero ancora elevato di contagi nella nostra provincia fa paura». L’appello di Campeggi non è solo al buonsenso delle persone ma anche alle istituzioni affinché rafforzino i controlli. «Piuttosto che fermare un’auto per verificare dove sta andando sarebbe molto più utile se oggi le forze dell’ordine facessero dei giri in centro. Mi spiace dirlo, ma troppi non capiscono come comportarsi se non vengono toccati nel portafoglio. Ci fossero controlli a tappeto per le vie del centro, in questi giorni si esaurirebbero i blocchetti per le multe». Il timore di Campeggi per un ritorno dei contagi fa da contraltare alla soddisfazione nel vedere i negozi tornare a lavorare a pieno regime. «Soprattutto parrucchieri ed estetiste sono ripartiti alla grande, hanno l’agenda piena per settimane data la mole di lavoro da smaltire. Anche bar e pizzerie stanno ricominciando a lavorare e a riprendere fiducia. Logicamente si va avanti a piccoli passi, non basteranno poche settimane o mesi per recuperare le ingenti perdite. Ma quello che stiamo vedendo dal 18 maggio è una piccola e incoraggiante ripresa. Ripeto, spero che questi sforzi non vadano all’aria per colpa di atteggiamenti sconsiderati». Anche l’associazione Artigiani, insieme ad Ascom, sta lavorando a un documento congiunto da presentare all’amministrazione comunale contenente una serie di proposte e richieste per supportare la ripresa ad ogni livello, da quello economico a quello amministrativo.

Maria Teresa Figini presidente “Voghera da Scoprire”

Cristina Palonta presidente Ascom

Mario Campeggi, presidente Artigiani

Ambulanti in crisi: «Regole incoerenti e poca gente al mercato. A fine anno alcuni chiuderanno» La riapertura del 18 maggio sta procedendo un po’ più a rilento nei settori dell’abbigliamento. «Diciamo che si lavoricchia, la tendenza è che si migliora anche se lentamente» spiega il presidente Ascom vogherese Cristina Palonta. «C’è stato un discreto “boom” il primo giorno, dato che molte persone avevano voglia di un po’ di normalità. Poi nei giorni successivi un po’ meno, fino almeno a venerdì, dove di gente in giro anche grazie all’effetto trainante del mercato, se ne è vista». Anche il numero uno di Ascom conferma i timori del collega Campeggi per l’eccessiva leggerezza con cui alcuni starebbero affrontando la nuova fase. «C’è molta gente in giro e spesso un po’ troppa si affolla soprattutto intorno ai bar. Occorre maggiore attenzione». Il pericolo non sta nei negozi, quanto all’esterno. «Noi commercianti ci siamo attrezzati per garantire la massima sicurezza. Forniamo guanti, gel disinfettante, nel caso delle calzature abbiamo calzini usa e getta e sanifichiamo le scarpe ogni volta che vengono provate da un cliente. Si entra uno o due alla volta e tutte le norme vengono prese estremamente sul serio da parte di tutti». Sul trend delle vendite è ancora troppo presto per esprimersi, servirà molto tempo perché ci si abitui a fare acquisti in un contesto di “normalità diversa”. A Pavia i commercianti hanno lanciato una sorta di saldi anticipati per invogliare la clientela a visitare i negozi. A Voghera non si è optato per questa linea. «Non possiamo fare i saldi, ma abbiamo lasciato ai nostri associati la libertà di decidere ciascuno individualmente le proprie misure per ripartire.

C’è chi aveva della merce in magazzino da smaltire e ha giustamente proposto sconti importanti, personalmente io ho puntato sulle forniture per l’estate. Abbiamo appena riaperto, mi sembra ancora presto per parlare di saldi». Ottimismo anche da parte degli associati a Voghera da Scoprire, associazione nata lo scorso novembre e presieduta da Maria Teresa Figini: «C’è stata parecchia gente in giro soprattutto il primo giorno di riapertura, il lunedì. Poi un po’ meno, anche se in generale siamo soddisfatti tenendo conto della situazione». Il rispetto delle regole per lei non è un problema reale: «Mi sembra che la gente stia prendendo la situazione sul serio, per lo meno quelli che vengono nei nostri negozi. La mia impressione è che le norme di sicurezza siano state assimilate bene e vedo senso civico in giro. Il problema degli assembramenti può magari riguardare qualche bar, ma è comprensibile: sono luoghi di socializzazione e la gente dopotutto va lì proprio per quello». Chi non se la passa bene sono gli ambulanti. Il mercato di Voghera ha riaperto i battenti martedì 19 maggio, ma lo ha fatto tra mille difficoltà e con numeri in contrazione. Dei 123 banchi che solitamente lavorano in piazza Duomo martedì ce n’erano solo 75. Un po’ meglio l’afflusso di gente il venerdì, ma il volume degli affari è decisamente troppo basso. Alcuni operatori lamentano anche il 70% degli incassi in meno. Il presidente dell’associazione di categoria Acol Marco Pagani denuncia una situazione di forte difficoltà: «Siamo all’aperto ma dobbiamo sottostare a regole che spesso non valgono neppure

Marco Pagani presidente Acol

per chi opera in ambienti chiusi. Entrata e uscita separate, ingressi contingentati con un massimo di 200 persone per turno, controlli di vigili e protezione civile. Inoltre al mercato non si può vendere merce usata, neppure i libri, che però si possono reperire online, su Amazon o ebay. C’è molta confusione e poca coerenza nelle regole. La situazione crea difficoltà soprattutto perché serve molto personale per mettere in pratica e far rispettare le disposizioni. Personale che oltretutto deve anche essere formato. Allestire un mercato con queste regole è un’operazione complessa ed è per questo che ad esempio a Casteggio non si è ancora potuti ripartire». Quello del commercio ambulante è il comparto in maggiore sofferenza e chiede aiuto al Comune: «C’è chi aveva già pagato la Tosap (tassa per occupazione del suolo pubblico) per tutto l’anno, chiederemo di venirci incontro. Un’altra proposta per incentivare la gente a venire al mercato potrebbe anche essere l’istituzione dei parcheggi liberi in centro il martedi e venerdì mattina». A testimonianza della pesantezza della crisi il fatto che alcuni ambulanti hanno già deciso di gettare la spugna: «Quattro o cinque associati mi hanno già manifestato l’intenzione di chiudere a fine anno. La situazione – chiosa Pagani - non è per niente bella». di Christian Draghi

«Parrucchieri ed estetiste con l’agenda piena. Ripartono bene anche bar e pizzerie


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«Un impianto senza legami col territorio, risponde solo a logiche speculative»

Il progetto del nuovo impianto di biometano

La notizia del possibile arrivo di uno o forse due impianti per la produzione di biogas in Oltrepò ha suscitato immediatamente dibattito. Le strutture, che dovrebbero sorgere nella zona industriale di Campoferro e a Casei Gerola, sarebbero adibite alla produzione di biometano da fonti rinnovabili. Le aziende proponenti hanno denominazioni diverse ma fanno capo alla stessa proprietà: Voghera Green Energy Società Agricola e Casei Gerola Green Energy Società Agricola srl sono ramificazioni della Green Energy Power 1 con sede a Bovolone, provincia di Verona. Per quanto almeno in apparenza “green”, il progetto fa storcere il naso anche a Legambiente, che dopo averlo analizzato lo boccia in maniera netta. Le motivazioni del “no” a questi impianti in Oltrepò le spiega il membro del direttivo Patrizio Dolcini, consulente che si occupa di economia circolare ed energie rinnovabili. La sua formazione universitaria è di stampo chimico ed ha maturato esperienza pluriennale in campo impiantistico in diversi settori e in varie società. Dolcini, la nascita di impianti a biometano è stata incentivata dal Governo con un apposito decreto del marzo 2018.

Si tratta di una iniziativa mirata a sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili. Come mai Legambiente si schiera contro i progetti presentati in terra d’Oltrepò? «Perché la logica che vorremmo far passare è che si devono fare quegli impianti che rispondono ai bisogni e alle richieste del territorio, evitando speculazioni e deregolazioni. Proprio per questo in Oltrepò ribadiamo l’importanza di fare ad esempio un impianto efficiente di biometano che chiuda il ciclo della raccolta differenziata della frazione umida di ASM, mentre riteniamo che impianti come quelli proposti siano avulsi dal territorio, calati dall’alto senza un rapporto coi nostri reali bisogni». Qualcuno ha detto che inizialmente, a livello provinciale, avreste dato parere favorevole… «Assolutamente no. Chi lo dice vuole spargere veleno nell’aria. A nessun livello abbiamo appoggiato questo progetto. Non abbiamo nulla contro gli impianti che producono biometano in generale, ma questo nello specifico non lo appoggiamo». Avete analizzato la relazione tecnica presentata dalla ditta. Cosa non vi convince?

«Essenzialmente due aspetti. Il primo aspetto è il fatto che si basi “a titolo esplicativo” su una dieta, cioè le biomasse di alimentazione, che sono molto diverse dalle biomasse che si chiede di autorizzare. Un poco come se mi presentassi in una concessionaria per avere informazioni su un modello specifico di auto e mi dessero un estratto di wikipedia che descrive com’è fatta un’auto a livello generale. Il secondo aspetto è che gli allegati relativi agli impatti ambientali ed al traffico appaiono ricchi di affermazioni e molto meno di dati specifici relativi alla situazione specifica del territorio e della viabilità. In partica non ci sembrano per nulla aderenti a quanto richiesto normalmente in fase di autorizzazione». La ditta specifica da dove arriverà la fornitura di materia prima necessaria a produrre biometano? «L’elenco delle materie richieste in autorizzazione fanno ritenere che arriveranno in buona parte da società specializzate nel commercio di biomasse , con provenienza da varie regioni, forse anche dall’estero. Sicuramente non vi è un rapporto con il territorio, con quelle che sono le materie qui disponibili. Insomma un impianto di

questo tipo per quanto riguarda l’alimentazione poteva essere proposto indifferentemente al Sud , al Nord o alle Isole Tonga».

«Questo impianto è un corpo estraneo. Impatterà negativamente sul traffico e probabilmente sugli odori»


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Patrizio Dolcini, membro del direttivo di Legambiente

Non solo Campoferro, ma anche Casei Gerola. Come mai addirittura due impianti in pochi chilometri? «Risponde a logiche speculative. Val la pena far notare che se la potenzialità di lavorazione giornaliera del materiale è inferiore alle 150 tonnellate non è necessario presentare una Valutazione di impatto ambientale (VIA). Guarda caso, entrambi gli impianti avrebbero una produzione appena inferiore a quella soglia. Poi manca una pianificazione territoriale, e chi propone impianti non deve nemmeno dimostrare le capacità tecniche e finanziarie per realizzarli». Mettiamo però che venga approvato. Il progetto, a livello puramente tecnico, le sembra almeno ecologicamente sostenibile per il territorio d’Oltrepò? Che tipo di impatto ci si può aspettare? «L’impianto non si inserisce nel quadro produttivo e di valorizzazione del territorio. è un corpo estraneo, con impatti negativi soprattutto a livello del traffico indotto e potenzialmente rispetto alle molestie olfattive. Soprattutto non risponde ai nostri bisogni, alla valorizzazione di filiere locali». Riguardo agli odori, la proprietà assicura che non ce ne saranno, se non “di terra fresca”. è verosimile? «Con le misure di abbattimento delle molestie olfattive previste in progetto abbiamo forti dubbi. Critiche sono soprattutto le fasi di ricezione, stoccaggio ed alimentazione delle biomasse. Inoltre essendo previsto il compostaggio, sarebbe utile capire con esattezza che quantità di compost prodotto potrà esser stoccata in attesa dello smaltimento verso la destinazione commerciale. Certo un compost di qualità non puzza, ma stoccato per medio o lungo termine non profuma». Che tipo di prodotto sarà lavorato in questo impianto? Il progetto mette qualcosa nero su bianco? «Come già evidenziato in relazione tecnica, “a titolo esplicativo” si parla di una dieta composta prevalentemente di insilati.

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Questa è una dieta peraltro che probabilmente se portata a realizzazione escluderebbe l’impianto dagli incentivi GSE, in quanto l’uso prevalente di insilati non è ammesso dal Decreto Biometano del 2018. Abbiamo però ragione di ritenere che visto il lungo elenco di biomasse richieste in autorizzazione, si useranno altre biomasse , probabilmente in funzione dell’offerta momentanea del mercato». Gli scettici sollevano dubbi riguardo al fatto che questo tipo di impianti, nati ufficialmente per lavorare qualcosa, possano finire per smaltire altro. è secondo lei un dubbio legittimo in questo caso? «Il termine corretto per definire l’azione di questi impianti sarebbe “digerire”. Il principio è la digestione anaerobica in un reattore con flora batterica dedicata. Comunque l’eventuale uso per una dieta “totale” a base di frazione umida della raccolta differenziata, cioè di un rifiuto, con una autorizzazione di stampo “agricolo” non è possibile. Per quanto richiesta in autorizzazione, la frazione umida non può superare una percentuale fissata normalmente attorno al 20%, sia per motivi autorizzativi che per limiti tecnologici».

A livello di traffico, considerando anche la non efficientissima rete di infrastrutture del territorio, c’è motivo di temere ripercussioni importanti oppure le stime riportate dei volumi riportate nel progetto sono sostenibili? «Il dato del traffico preoccupa. La via d’accesso è già normalmente un parcheggio per i mezzi pesanti in attesa per lo scarico-carico delle aziende vicine, tanto da rendere a senso unico la circolazione per forza maggiore. Il traffico poi indotto proprio già ora in zona dalle attività presenti è molto impattante. La scelta della localizzazione dell’impianto in un’area già critica in tal senso è fortemente errata». La conferenza dei servizi per l’approvazione definitiva è in agenda per il 16 giugno. Che margini di manovra ci sono ancora per discutere ed eventualmente bloccare il progetto? «Chiederemo con le nostre osservazioni uno stop all’iter. Siamo confidenti che l’azione concertata fra associazioni e cittadini possa bloccare un impianto come questo destinato solo o quasi a creare problemi. I margini ci sono, occorre però chiarezza a livello amministrativo ed istituzionale nell’opporsi all’impianto». di Christian Draghi

L’affondo di Legambiente sul progetto per gli impianti di Biogas a Campoferro e Casei Gerola: «Non è al servizio di alcuna filiera»

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La ditta proponente «Un gioco di scatole cinesi»

Chi sono la ”Voghera Green Energy Società Agricola” e la “Casei Gerola Green Energy Società Agricola”? A visura camerale risultano due Srl riconducibili alla medesima proprietà, Marco Beltrami domiciliato a Bovolone (Verona), che è titolare con almeno una carica di trenta imprese diverse, la maggior parte delle quali hanno in comune la denominazione “Green Energy Società Agricola” mentre varia la denominazione a seconda della località in cui viene presentato il progetto. Oltre a Casei Gerola e Voghera, nel pavese progetti analoghi sono stati presentati anche a Landriano e Zinasco. Secondo il consigliere comunale vogherese Caterina Grimaldi si tratterebbe di un «gioco di scatole cinesi con aziende create ad hoc per presentare progetti “fotocopia” in giro per il territorio. Dalle visure camerali di tutte le società che fanno capo al proponente – spiega Grimaldi - risulta evidente un grosso intreccio che fa purtroppo prefigurare, in senso negativo, i possibili futuri sviluppi di questa operazione su Voghera, che potrebbe vedere ampliato non solo la dimensione dell’impianto, successivamente alla prima autorizzazione, ma anche il tipo di matrici in ingresso e non meno importante anche le caratteristiche imprenditoriali del gestore». Beltrami risulta anche amministratore unico di Green Energy Power 1 srl, società che si occupa di produzione di energia elettrica, dell’Immobiliare San Marco srl, e della Geo Studio Engineering srl, uno studio professionale con una decina di dipendenti che, da anni, si occupa dei principali progetti di biodigestori in tutta Italia. Tutte con sede a Bovolone. Il compromesso per l’acquisto del terreno su cui dovrebbe sorgere il nuovo impianto vogherese è stato stipulato con la Matti Immobiliare che ne è proprietaria nel gennaio 2019.

L’area sulla quale sorgerà l’impianto vista da via Italo Betto



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«Questi impianti dopo due anni possono trattare rifiuti e fanghi» Dopo il polverone sollevato dalla notizia, resa pubblica dalla stampa, dell’esistenza di un progetto per la realizzazione di un impianto a biogas nel territorio di Campoferro, a Palazzo Gounela pressoché tutte le forze politiche, di maggioranza e opposizione, si sono compattate intorno alle ragioni del “no”. In molti però si interrogano sul ruolo del Comune di Voghera nella vicenda. Il sindaco Carlo Barbieri, chiamato in causa dalla ditta proponente che afferma di aver ricevuto nove mesi fa un suo parere positivo, nega di averlo concesso. In molti, dato che l’iter autorizzativo sembrerebbe già a un passo dall’approvazione (possibile data il 16 giugno, giorno della conferenza dei servizi decisiva), ci si chiede come sia possibile che l’Amministrazione possa essere stata bypassata. A spiegarci quanto accaduto è il presidente del consiglio comunale Nicola Affronti, UDC. Affronti, come poteva il Comune di Voghera non sapere che sul proprio territorio sarebbe potuto sorgere un impianto di quel tipo? «Facciamo chiarezza su questo punto: l’iter burocratico prevede che sia la Provincia l’ente a cui fare richiesta, che successivamente in qualità di ente autorizzatore è obbligata a coinvolgere gli attori del territorio, come Comune, ATS, Vigili del fuoco, ARPA affinché tutti all’interno della Conferenza dei Servizi possano esprimere il proprio parere. è assolutamente “normale” quindi che il Comune di Voghera non ne fosse a conoscenza prima che la Provincia accogliesse e protocollasse la richiesta del progetto. Peraltro il Comune sul cui territorio verrebbe realizzato tale impianto, deve solamente esprimere un parere non vincolante per l’ente autorizzante in sede di conferenza dei servizi. Il Comune di Voghera, pertanto, non ha potere decisionale in merito al rilascio dell’autorizzazione, ma può solo esprimere le valutazioni tecniche richieste dalla Provincia». Quando avete saputo di questo progetto? «Era il 6 marzo quando la Provincia ha scritto al Comune informandolo, annunciando contestualmente una Conferenza dei Servizi per il 28 aprile successivo». E in quella sede che parere avete espresso? «Contrario, per voce dell’assessore all’ambiente Simona Panigazzi (UDC) che aveva ricevuto la delega dal Sindaco a rappresentare il Comune e che, da subito, aveva sposato il parere negativo dei suoi uffici». Eppure dal settore urbanistica sarebbe arrivato un parere favorevole. è vero? «Il settore urbanistica ha espresso un parere puramente tecnico, come hanno fatto gli altri uffici: ha cioè evidenziato che, in linea teorica, vista la presenza di un’area industriale e di un Pgt che lo consentono,

Nicola Affronti Presidente consiglio comunale

l’impianto avrebbe diritto di insediarsi in quell’area. Questo però non ha niente a che vedere con il parere del Comune sull’impianto che è, lo ribadisco, negativo, ed è basato sul parere dell’ufficio Ambiente del Comune che ha espresso forti riserve per le criticità che un impianto di quel genere potrebbe far sorgere. Il Parere negativo di tutto il Comune sarà ribadito e presentato in conferenza dei servizi il 16 giugno». A chi accusa il Comune di poca trasparenza cosa risponde? «La considero pura diffamazione. Noi gruppo UDC, da subito abbiamo espresso con le nostre dichiarazioni parere contrario al progetto, respingiamo al mittente anche le affermazioni infondate e nelle quali si dice che abbiamo “sfruttato” questo periodo di emergenza sanitaria per ritardare ogni decisione in merito. Mi permetta di aggiungere con un certo orgoglio che noi gruppo UDC abbiamo fatto da apripista e siamo felici che gli “altri” ci abbiano seguiti, anche chi ha deciso di cavalcare l’onda… questo a riprova di quanto l’ambiente e la salute dei cittadini ci stia a cuore, non a caso proprio 4 anni fa, con tutte le diversità del caso, eravamo a protestare in prima fila contro l’inceneritore di Retorbido». Entriamo nel merito del progetto. Siete contrari perché? «Molte ragioni. Innanzitutto la localizzazione infelice, nei pressi di un quartiere residenziale dove risiedono anche molti bambini, oltre ad un importante centro per “diversamente abili” denominato “Don Guanella” e ad una clinica veterinaria molto frequentata. C’è poi la vicinanza con la Cameron Grove, principale azienda cittadina che occupa oltre 400 dipendenti. Cameron che ha inviato una pec al Comune dove esprimeva le sue forti perplessità sul fatto che un impianto di quel tipo dovesse sorgere proprio di fianco a loro con le problematiche che potrebbe portare.Vorremmo poi evitare che, scaricando le acque dall’impianto, si rischi di danneggiare

Le ragioni del No: vicinanza con le case, “Opera Don Guananella”, traffico pesante, mancanza di fognatura e miasmi le falde acquifere, in considerazione che quell’area non esiste neppure la rete fognaria. L’area dell’impianto poi non presenta un parcheggio per autotreni sufficiente a gestire il volume degli automezzi che si accumuleranno in quella zona. C’è poi il capitolo odori: non è detto che, per quanto i valori di dispersione indicati rispettino i limiti di legge, il problema non si ponga. In generale poi, Voghera è già sottoposta a stress ambientale a causa di odori molesti di altre ditte, anche derivanti dallo spandimento dei fanghi, o da insediamenti quali Recology (che stiamo risolvendo in questi mesi con lo smaltimento). In sostanza, si va incontro a tutta una serie di disagi a fronte di meno di dieci posti di lavoro». Il vostro timore più grande oltre alle motivazioni espresse? «Il nostro timore è che, come è già successo in altre realtà di questo tipo, ad esempio in Lomellina, si vada ad implementare l’impianto per trattare rifiuti umidi o fanghi agricoli. è noto che questi impianti, dopo due anni di operatività possono, previo consenso provinciale, essere ampliati e cambiare “alimentazione”». ASM Voghera però sembrava inizialmente aver espresso un parere positivo, è così? «Assolutamente no, la vicenda è stata strumentalizzata ad hoc. ASM Voghera SpA era stata informata dal Vice Presidente Paolo Affronti (UDC) che il giorno dopo si sarebbe tenuta la conferenza dei servizi e, da subito, si è espressa in senso contrario comunicandolo anche alla sua controllata “Reti di Voghera” che ha dato parere positivo alla semplice richiesta della ditta proponente di allacciamento alla rete, dichiarando però di non pronunciarsi su altre valutazioni. Il tutto è stato inteso come parere favorevole sull’impianto. Non sono bastate smentite a profusione del presidente, del vicepresidente e dell’amministratore delegato».

Prossimo step conferenza dei servizi del 16 Giugno. Possibili scenari? «La Provincia ha ritenuto da subito di fare approfondimenti e senza il nostro parere negativo, avrebbe potuto approvare da subito il progetto. Ora sarà nostro impegno dare un “mandato forte” all’assessore Panigazzi che in quella sede rappresenterà non solo il parere tecnico negativo al progetto, ma anche tutta la parte politica che coesa dice no. Il timore potrebbe essere quello che la Provincia possa dare l’autorizzazione all’impianto magari per evitare possibili ricorsi da parte della proponente». In quel caso? «In quel caso credo che i vari rappresentanti delle forze politiche locali che hanno rappresentanti in provincia, credo che dovranno rendere conto ai cittadini, se non faranno sentire la propria voce contraria anche in quella sede» Tutti compatti intorno al No senza distinguo, quindi? «Direi proprio di sì, anche se c’è chi, come ad esempio il PD, per cercare visibilità elettorale, cerca capri espiatori come se non avesse rappresentanti in Provincia, oppure chi esprime posizioni ambigue, come Legambiente, che inizialmente a livello provinciale aveva espresso parere favorevole salvo poi aggiustare il tiro a livello locale. Mercoledì 27 Maggio in consiglio comunale verrà discusso l’ordine del giorno di cui sono primo firmatario, sottoscritto da 6 consiglieri di maggioranza tra cui i consiglieri UDC (Nicola Affronti, Elisa Piombini e Daniela Galloni) e di altri gruppi (Sandra Tassisto, Simone Algeri e Laura Ferri), con il quale il Consiglio comunale della Città esprimerà il proprio dissenso all’impianto ed impegnerà il Sindaco e l’Assessore all’Ambiente Simona Panigazzi a confermare il parere negativo già espresso. Gli enti pubblici parlano per atti, questi sono i nostri atti concreti per evitare che sorga questo impianto». di Silvia Colombini

Il Comune poteva “non sapere”?: «è la Provincia che autorizza e avvisa le parti. Il nostro parere non è vincolante»


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«Abitudine al sacrificio e cultura del lavoro favoriranno la nostra ripresa» Vogherese, Classe 1964, Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Pavia, cresce professionalmente alla scuola dell’Avvocato Pietro Folchi Pistolesi. A seguito dell’Esame di Stato sostenuto a Milano, è stato, per sei anni di Magistratura Onoraria, Vice-procuratore della Repubblica. Cassazionista e Titolare del proprio Studio d’Avvocatura a Voghera dal 1992. Conosciutissimo in Città e ben oltre i confini della stessa, abbiamo incontrato l’Avvocato Marcello Lugano. Come ha trascorso, umanamente e professionalmente, queste passate settimane di Lockdown, e come sta vivendo questa lenta ripresa della cosiddetta “fase 2”? «Non ho mai smesso di lavorare e fare ricerca, attento alle esigenze dei clienti: alcuni erano spaventati per i controlli, i papà separati avevano paura di non poter vedere i figli, le mamme paura di non ricevere la contribuzione per la crisi economica... Umanamente, in modo molto sereno: aiutato da un vero amore per la lettura, ho potuto dedicare tempo ai troppi libri che erano in attesa nella mia libreria. Ho passato bei week-end in compagnia di mia figlia, che ormai è una ventenne responsabile ed una vera amica, e con la preoccupazione e la costante mancanza di mio figlio, che vive a Londra. La fase 2 è un primo ritorno alla vita, e spero si traduca in una fase 3 molto presto. Ad onta dei tanti censori da tastiera, ho visto nella mia città persone educate, responsabili, rispettose delle regole anche quando i limiti di resistenza sono stati palesemente superati. L’Italia deve riprendere. Le attività economiche devono tutte ripartire, nel rispetto delle regole ma in fretta. Non c’è più tempo da perdere». Cosa ritiene sia stato giustamente realizzato e cosa erroneamente, in generale, nella gestione di questo periodo? «è innegabile che chi ci governa si sia trovato in una situazione di oggettiva difficoltà emergenziale. L’onda d’urto della pandemia è stata altissima ed è arrivata in tempi rapidissimi. è facile giudicare da casa, ma penso che sia stato molto difficile contemperare le esigenze sanitarie con quelle economiche. Più facile evidenziare l’inadeguatezza del piano di sostegno economico: in questo caso occorre verificare fino a che punto vi sia stata una carenza politica e fino a che punto i mezzi economici del nostro Paese non siano sufficienti ad un sostegno effettivo». Lei è estremamente attivo, in queste settimane, sui Social Networks in difesa di un concetto di “libertà negata” ed anticostituzionalità di alcuni passaggi di Decreti Consiliari: ci vuole spiegare il suo disappunto? «è il disappunto di molti giuristi. I diritti dei cittadini, soprattutto quelli intangibili di rango costituzionale, sono comprimibili

L’Avvocato Marcello Lugano

nel nostro Paese solo con una legge dello Stato, che passi al vaglio dei rappresentanti eletti dal popolo (Parlamento), o al più, per necessità di urgenza, con decreti legge, ovvero provvedimenti che hanno efficacia immediata ma debbono sottostare al vaglio parlamentare a pena di decadenza. è il concetto stesso di democrazia in gioco. I DPCM sono strumenti amministrativi, sottratti al controllo parlamentare: non certo io, ma eminenti costituzionalisti hanno espresso pareri tranchant ed a tratti molto duri sulla illegittimità costituzionale dei suddetti decreti. La libertà è un bene supremo, per cui si è combattuto e che non è rinunciabile né comprimibile senza che vi sia una decisione dei rappresentanti del popolo. Norme e leggi vanno rispettate sempre, ma questo non implica la rinuncia a uno spirito critico, né a metterle in discussione nella sede competente, anche con richieste di vaglio della Corte Costituzionale, ove il giudice ritenga la relativa eccezione meritevole». Grande bufera sul blocco del sito Inps per le richieste del contributo di 600 euro a parecchi non ancora accreditato, e Cassa-Integrazione che non arriva se non anticipata dal datore di lavoro: cos’è successo e/o continua a succedere, a suo parere? All’interno di questa empasse intravede magari possibili appigli per una “Class Action” popolare? «Il sistema italiano è gravato e frenato, se non addirittura paralizzato da una burocratizzazione bizantina e a tratti completamente illogica. I ritardi nel pagamento degli indennizzi e della CIG sono inaccettabili. Le imprese sono in asfissia, e so di molti datori di lavoro che hanno comunque anticipato gli stipendi ai dipendenti a fronte di una cassa di integrazione ad oggi non erogata. Sulle Class Actions sospendo il giudizio. Occorrerà tirare le somme alla fine».

Come giudica la stabilità lavorativa delle Aziende e dell’imprenditoria oltrepadane? Resisteranno all’urto di questi mesi, anche di quelli a venire? Dovranno adattarsi a qualcosa di innovativo? «Secondo tutti gli osservatori più accreditati, la crisi economica in arrivo sarà travolgente ed epocale. I posti di lavoro perduti saranno milioni e la crisi delle imprese si tradurrà in una perdita di introiti fiscali da record storico. I cosiddetti “profeti del lockdown”, quelli che vorrebbero chiudersi in cantina fino all’anno nuovo, non hanno nemmeno idea delle conseguenze economiche che solo due/tre mesi di inattività pressoché totale porteranno alle aziende italiane. Non arriviamo da anni propizi, ma da una crisi endemica già conclamata da più di un decennio. L’economia italiana, già in una penombra preoccupante, conosce oggi il momento del buio. Penso con partecipazione al settore alberghiero e turistico: la stagione è perduta. Il danno è epocale, anche considerato il numero di posti di lavoro che verranno meno, e l’indotto di settore che è enorme. L’Oltrepò è storicamente forte: la nostra imprenditoria è qualificata e competente. Sarà una sfida dura, ma la nostra gente nasce dai sacrifici post bellici ed ha una forte cultura del lavoro, per cui la speranza è che dopo la flessione, pur drammatica, arrivi una nuova alba. Spero che i nuovi scenari imposti dalla crisi e dagli strascichi portino molti di noi a riconsiderare la bellezza di un turismo oltrepadano. Penso a week-end immersi nella natura e nei vigneti, in agriturismi accoglienti. Penso al “mio” circolo (Salice Terme Golf & Country), che è di una bellezza assoluta, ed alla “mia” Salice, che è una località in cui trascorrere una vacanza può tornare ad essere una scelta di qualità per sport, gastronomia di eccellenza, bellezza paesaggistica». Cosa ne sarà del “nostro” oltrepadano comparto agricolo e vitivinicolo? E quale il destino dell’artigianato e del commercio, a suo parere di cittadino e di professionista dell’avvocatura? «Il comparto agricolo va sostenuto. Va liberato da tanti lacci e lacciuoli che una normativa transnazionale non condivisibile ha frenato e penalizzato. Artigianato e commercio vanno incentivati pubblicamente anche attraverso iniziative su base locale. Ad oggi il settore giustizia è in stand-by. Occorre spiegare un concetto base: se si ferma la giustizia non è solo il settore penale a soffrirne (i processi non si celebrano, i cittadini dovranno aspettare mesi e mesi per avere una sentenza), ma lo stesso settore civile di impulso all’impresa e all’economia: pensate ai crediti da recuperare, ai decreti ingiuntivi alle controversie contrattuali. Se non si recuperano crediti, manca ossigeno alle aziende che vanno in asfissia».

C’è qualcosa che vorrebbe chiedere alla Magistratura ed alla Presidenza della Repubblica? «Ho grande stima della magistratura. Ho, fortunatamente, quotidianamente a che fare con giudici preparati e attenti ai diritti dei cittadini e so che soffrono per primi per lo stallo del settore giustizia. Vorrei spendere una parola per il personale del settore giustizia, cancellieri, collaboratori: sono il vero motore del sistema e non hanno mai smesso di lavorare, nemmeno nei giorni più spaventosi, non hanno mai smesso di essere a disposizione di noi operatori del diritto». Anche il suo settore professionale potrebbe risentire della necessità, in un vicino futuro, di adattarsi e/o reinventarsi? «L’adattamento è già iniziato, ed è di caratura telematica. Il cittadino pensa ancora al processo civile italiano come un meccanismo lento ed antiquato. Au contraire: l’Italia ha adottato ormai da diversi anni un processo civile telematico assolutamente all’avanguardia mondiale. Iniziamo una causa con un’iscrizione a ruolo su una consolle telematica, depositiamo tutti gli atti successivi con un semplice invio dal nostro studio. Sentenze ed ordinanze ci vengono notificate via PEC dal giudice. Semmai, nel caso delle questioni più delicate ed in particolar modo del processo penale, è importante non adattarsi, non perdere la linea, non sacrificare la vera difesa, che è in aula, al fianco dell’assistito, di fronte a chi ti giudica e in tempo reale». La politica uscirà indenne da questa pandemia-pandemonio o dovrà rivedersi e riattarsi a sua volta per aver ancora credibilità sociale? «Il problema è di percezione, di come oggi il cittadino percepisce una politica distante, poco sensibile, matrigna. La mancata risposta alle esigenze quotidiane è stata dolorosa. I ritardi nel dare aiuti concreti sono innegabili. Personalmente penso che alla fine del periodo emergenziale si aprirà una crisi di governo, che porterà prima ad un governo tecnico su base più ampiamente condivisa, per traghettare, poi, il Paese alle elezioni. Discorso diverso per quanto attiene all’Europa. Il sentimento di generale europeismo che aveva pervaso gli italiani è decisamente provato; la fiducia in una Comunità che la gente ha sentito lontana, se non ostile, è forse perduta per sempre. Starà alle istituzioni europee la scelta tra un rinnovamento concettuale e normativo che imprima una svolta effettiva, o un rapido declino che potrebbe portare a uno sfaldamento dell’unione anche in tempi rapidi». di Lele Baiardi


Consorzio tutela vini Oltrepò Pavese

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Cambiamenti in vista? Secondo molti cambierà poco in merito all’egemonia di Terre d’Oltrepò

Da sinistra Luigi Gatti, presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese ed Andrea Giorgi, presidente di Terre d’Oltrepò - La Versa Il presidente Luigi Gatti, in carica dal giugno 2018 sotto l’egida di Regione ed Ersaf, sfiduciato senza giri di parole dal socio di maggioranza del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese: Terre d’Oltrepò - La Versa, attraverso la voce del nuovo big del vino oltrepadano, Andrea Giorgi. Gli stracci erano volati già nel dicembre 2019, quando lo stesso Giorgi aveva bocciato senza giri di parole la gestione dell’ultimo anno del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Una presa di posizione che si basava su alcune situazioni che si erano venute a creare con la presidenza di Luigi Gatti che avevano portato Giorgi, per divergenze sull’operato, ad abbandonare un consiglio di amministrazione. Successivamente aveva spiegato: «Ci sono aspetti estremamente positivi come l’assunzione del direttore Veronese - spiega il numero uno del colosso vitivinicolo oltrepadano - altri invece non sono concepibili. Ad esempio l’immobilismo presidenziale nell’affrontare questioni organizzative: non è tollerabile, come non è comprensibile, la chiusura rispetto all’aiuto che possono dare gli altri consiglieri e soprattutto i vicepresidenti. Per non parlare delle mancate risposte ai consiglieri o i silenzi su questioni che sono state sollevate. In questo contesto non è possibile lavorare e per questo motivo, mio malgrado, sono stato costretto a lasciare anzitempo l’ultimo consiglio. Proprio per questo spero che la consapevolezza e la responsabilità di tutti i consiglieri e dei produttori associati ponga fine ad una situazione surreale che da troppi anni si protrae.

Dico tutto questo per il bene del nostro territorio. Per troppo tempo Terre d’Oltrepò è stato il facile capro espiatorio, ora gli altri dimostrino di assumersi le proprie responsabilità». Il presidente di Terre d’Oltrepò era entrato ancor più nel dettaglio delle situazioni contestate al presidente Gatti. «In questo anno la nostra cantina cooperativistica all’interno del consiglio - spiega - ha dato il proprio apporto in merito a decisioni importanti quali l’allargamento del numero dei consiglieri, le azioni per ripulire la gestione da precedenti ed incomprensibili decisioni che hanno minato credibilità e funzionamento del consorzio stesso». Andrea Giorgi, con un comunicato datato 20 maggio, il giorno prima del consiglio d’amministrazione decisivo sulla revisione di voto e statuto, rincara la dose: «Mi rammarica il fatto che, nell’ultimo anno, abbiamo invano cercato di portare avanti gli interessi del territorio, ostacolati però da persone che sul territorio predicano bene ma razzolano male. Oggi questi comportamenti non sono più ammissibili. E la nostra Cantina non è più disposta a questi doppi giochi che fanno male all’Oltrepò». Giorgi si rammarica del fatto che a suo dire qualcuno è rimasto completamente sordo a quanto proposto dalla cantina: «Nei mesi scorsi – spiega - abbiamo cercato di intervenire più volte con proposte costruttive sulla gestione ma non siamo stati ascoltati. Ci hanno accusati di avere l’egemonia decisionale nel consorzio. A questo punto abbiamo fatto un passo indietro, abbiamo assecondato le richieste, ma anche questo non è stato apprezzato. è giunto il momento di cambiare profondamente l’en-

te a favore dei viticoltori. Lo ribadisco, ora più che mai, in questo delicato momento storico per il mondo della viticoltura, che non possiamo più ammettere l’immobilismo che ha caratterizzato questa gestione. Mi spiace ma è tempo di una riforma radicale anche in seno al consiglio di amministrazione. Proprio per questo, come ho già detto in passato, Terre d’Oltrepò non si vede più rappresentata dall’attuale presidente Luigi Gatti». La parola è quindi passata giovedì 21 maggio alle ore 16 al consiglio di amministrazione e ai consiglieri in carica sotto la presidenza Gatti ovvero ai vice presidenti Luca Bellani, Andrea Barbieri e Pier Paolo Vanzini, insieme al resto del consiglio: Claudio Battaini, Simone Bevilacqua, Francesco Cervetti, Cirillo Contardi, Camillo Dal Verme, Quirico Decordi, Gilda Fugazza, Andrea Giorgi, Renato Guarini, Marco Maggi, Davide Musselli e Valeria Vercesi. L’epilogo è stato l’approvazione dopo una melina protrattasi per quasi due anni del nuovo statuto, sulla falsariga di quanto già individuato come necessario dall’ex Cda a guida Michele Rossetti, messo all’angolo a fine mandato insieme a gran parte della precedente gestione, l’ala indipendente da Terre d’Oltrepò. In pratica si prevede l’allargamento del consiglio, che passerà da 15 a 21 membri, e una limatura del peso ponderale dei voti di ogni singolo socio in assemblea. Oltre a questo s’imporrà una maggioranza qualificata per assumere alcune decisioni: succederà un po’ come accade nelle assemblee condominiali rispetto alle scelte che per essere assunte richiedono il verificarsi di più con-

dizioni insieme (la presenza di tot inquilini e dei titolari di tot millesimi). Secondo molti, comunque, cambierà poco in merito all’egemonia di Terre d’Oltrepò - La Versa in assemblea del Consorzio, per via del combinato disposto del peso del maxi polo cooperativo che oltre che sui suoi voti ha sempre potuto contare su quelli dei suoi grandi clienti che da essa dipendono (imbottigliatori) e di molti viticoltori privati, associati singolarmente al Consorzio e magari altresì soci del cantinone che comunque hanno, costantemente o saltuariamente, rapporti d’affari con il colosso da non scontentare. La paura è che l’allargamento del Cda sia solo di facciata, per poi decidere alla vecchia maniera in sede assembleare: l’ultimo passaggio realmente fondamentale per l’assunzione di ogni scelta cruciale relativa a disciplinari e strategie. Sul destino di Gatti e del consiglio uscente sarà decisiva la seduta di consiglio del Consorzio del 28 maggio. La politica è già in movimento. Rinviata sempre alla stessa seduta, a quanto trapela, anche la discussione sulle scelte in vista dell’imminente campagna vendemmiale 2020 all’epoca del Covid-19. La sezione locale della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti per far fronte alla situazione d’emergenza vuole più di ogni altra cosa l’abbassamento delle rese e lo stop alla possibilità dell’arricchimento dei vini con mosto concentrato rettificato. Si dovrà aspettare per capire quali siano gli orientamenti nel rispetto dei produttori di qualità che chiedono scelte e garanzie. di Giuseppe De Bellis



gODIASCO SALICE TERME

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«Non credo che trasformerò una fantastica discoteca in un lounge-bar raffazzonato per l’ansia di far qualcosa» Classe 1984, consegue la Maturità Classica a Voghera. Durante gli ultimi due anni delle scuole superiori si diverte ad aiutare gli organizzatori delle feste studentesche e, parallelamente, gioca a tennis con buoni risultati agonistici... senza immaginare che da lì a poco entrambe le passioni diventeranno due professioni. Allora ventenne, grazie ad un rocambolesca concatenazione di eventi inizia a formarsi nell’ambito dell’insegnamento sportivo: prima al Tennis Club di Bressana Bottarone, ove aiuta il Maestro del Circolo, poi approfondendo la materia tra Verona e Milano, frequentando lezioni ed ottenendo la Qualifica Federale. Questo “mestiere” lo impegnerà per undici anni tra i Club di Tortona e, sopratutto, Sale. Parallelamente, in quegli stessi anni, si cimenta, nei locali di famiglia, come cameriere, barista e/o dj, per poi affacciarsi all’organizzazione dell’intrattenimento serale: dapprima sotto forma di eventi occasionali, che via-via si sono trasformati in routine o in vere e proprie attività stagionali. Spazia tra diversi locali, quali LeoBardo, Foresta, Club House, Golf, Buca, Sporting... provando collaborazioni con gestioni diverse e variando molto sia il team di lavoro che il comparto soci. Con tempo ed esperienza, abbandona l’insegnamento del tennis per concentrarsi, senza attenuanti, al lavoro di famiglia. Abbiamo incontrato Leo Santinoli. Da che data i suoi locali sono chiusi? Ha già dovuto sostenere spese di ordinaria amministrazione, strutturali, gestionali e fiscali in questo lasso di tempo? «La chiusura è avvenuta Sabato 22 febbraio scorso: si tennero le ultime due serate al Club House ed allo Sporting. Furono due feste eloquenti: nel giro di 24 ore, dopo un ottimo venerdì, si erano completamente persi i presupposti necessari all’intrattenimento. L’angoscia aleggiava, e questo mi fece propendere il giorno successivo per la chiusura immediata. Qualche giorno dopo il Presidente del Consiglio, con il suo D.p.c.m., rese obbligatorio ciò che era presso le mie strutture era già in essere. I costi, ad eccezione di alcune forniture che sono state stornate per il reso merce e di quelli inerenti al personale in cassa integrazione, non ancora accredita, sono rimasti preoccupantemente invariati. La speranza è avere quanto prima lumi dall’alto su come procedere, perché in questa fase, oltre alla preoccupazione per la crisi sanitaria che ovviamente ha precedenza su tutto, inizia ad aleggiare il timore di non riuscire a garantire nel medio termine la sopravvivenza delle aziende». La vostra Associazione come si sta muovendo all’interno dell’emergenza? «Nella prima fase la situazione sanitaria era talmente grave che l’ambito lavorativo è passato in secondo piano.

Leo Santinoli “Asso Intrattenimento”, la nostra associazione, dapprima ha annoverato le criticità dei gestori sparsi sul territorio Nazionale filtrando le informazioni tramite noi delegati di zona, ed in seconda battuta, dopo lunghe riunioni in webcam tra gli associati e gli studi professionali che con noi collaborano, abbiamo riassunto in un protocollo le informazioni che sarebbero dovute servire alla “Task Force” Colao per comprendere le particolarità del nostro settore. La fase attuale è quella di attesa: attesa di un interlocuzione con chi dovrebbe dall’alto indicarci la via da seguire. Potremo riaprire? Se sì, lo potremo fare a condizioni sostenibili? E se ci verrà proibito di aprire, come verranno tutelati in nostri lavoratori e le nostre aziende? Avremo sostegni per resistere a questi lunghi mesi di “fatturato zero” oppure saremo costretti a cambiare lavoro? Queste sono le domande per le quali attendiamo risposta». Al momento della chiusura forzata, quanti dipendenti erano in carico presso le sue strutture? «78 persone, tra collaboratori e dipendenti...». Ha ricevuto e/o attivato contribuzioni statali a tutela della sua Impresa? «Per ora nulla. Anche se sono state inoltrate già delle prime date utili le richieste della cassa integrazione e dei finanziamenti per le imprese». Lei è molto attivo, giustamente, anche sul fronte promozionale legato ai Social Networks, sui quali da settimane ormai divampano polemiche, discussioni, reportage e molto altro ancora: ci da un suo feedback a riguardo? «Ho completamento rinunciato, in questi mesi, a mantenere attivi i Social Networks dei locali che gestisco: non avevo l’entusiasmo giusto, ed ogni messaggio che avrei veicolato mi sarebbe sembrato triste, stucchevole e fuori luogo. Dal mio “Social” personale, invece, mi sono lasciato incuriosire dal trend dilagante “l’opinionismo

sempre e comunque” che mi pare chiaramente motivato da un bisogno dilagante di conforto... Probabilmente in questa fase di forte stress c’era la necessità per molti di dare spazio al cogito di pancia, una sorta di sfiato di sopravvivenza. Alcuni spunti li ho trovati interessanti, altri meno, ma, al di là dei contenuti espressi, mi sono reso conto ancor di più di quanto il ruolo del Social sia diventato dominante in moltissime vite. Ed a questo ho dedicato più di una riflessione». Nella sua idea personale, quali meriti riconosce alla gestione dell’emergenza e quali demeriti, se ve ne fossero, o comunque, cosa ritiene si possa fare e non si è ancora fatto? «Farmi recensore di un piano emergenziale che ha affrontato un fenomeno inedito e di portata mondiale non mi va. Certo questa situazione ha messo ancor più a nudo quelle deficienze nazionali note a tutti, ma che per una ragione o per l’altra, per lo meno da quando sono al mondo, non hanno mai vista un’inversione di tendenza, anzi, semmai il contrario. Non mi piace criticare senza addurre possibili soluzioni, quindi soprassiedo perché purtroppo questo argomento mi vedrebbe solo dispensare soluzioni che, alla luce dei fatti, sarebbero solo utopia. Forse ci vuole più visione di quanto io oggi ne disponga, più fiducia nella collettività e nel senso di responsabilità, non so». Cosa prevedere per questa “fase 2” e la successiva “fase 3” per quanto concerne il suo settore e l’Oltrepo in generale? «Se la maestra delle elementari mi desse come compito di scrivere un tema sul mio lavoro inizierei così: “mi piace ridurre le distanze tra le persone e con l’aiuto della musica cerco di farle ritrovare tutte nelle stesso posto”. Chiaro è che in un mondo in “fase Covid”, in cui l’assembramento è qualcosa da evitare, non vedo chance per chi ha le mie skills. Ovviamente, fino a che non arriveranno lumi dalla comunità scientifica. La discoteca non la si frequenta perché si ha sete: quella è una conseguenza; per bersi un drink ci sono mille alternative molto più valide, come bar, pub, le taverne di casa, le hall degli hotel... La discoteca è un luogo in cui ci si reca solo se in possesso di una predisposizioni al divertimento ed alla socializzazione. Un posto in cui va garantita la massima sicurezza del cliente facendo attenzione a non minare quella suddetta predisposizione, perché il divertimento non lo crea il locale:

semmai lo amplifica, lo potenzia, lo estrae da un animo già predisposto. Se questa predisposizione è minata dall’angoscia, non esiste festa e non esiste futuro per chi fa quel mestiere. Un mestiere bellissimo, che mi manca molto. Per gli altri settori, la situazione, seppur nella criticità, è diversa: chi offre un servizio effettivo e non emotivo può avere qualche chance in più. L’asporto, il delivery e la qualità del prodotto nell’ambito della ristorazione e del beverage credo possano avere qualche chance in più in una finestra temporale più ravvicinata». Pensa di convertire gli spazi, i locali estivi da lei gestiti in formule adeguate al distanziamento sociale, magari modificandone i servizi? «Snaturare è un verbo che odio. L’identità di un posto non va cambiata se non a fronte di investimenti e progetti che non vedo realizzabili ora nell’uno-due. Quindi non credo che trasformerò una fantastica discoteca in un lounge-bar raffazzonato per l’ansia di far qualcosa. L’entusiasmo è tanto, la voglia di fare non manca, ma sopratutto, in questa fase, è molto importante ponderare i rischi. Fortunatamente, nelle ultime due settimane, mi è venuta un’idea innovativa ma coerente con le mie skills che forse potrebbe meritare un esperimento estivo. Vedremo...». Ritiene che la discoteca puramente intesa avrà l’annunciato decorso di praticamente 12 mesi o più ancora di stop? «Potrebbe darsi che nel giro di due settimane tutto cambi, e quando leggerò questo articolo pubblicato il Naki sarà aperto. Oppure che a Dicembre, per accendere il camino, mi ritroverò questa pagina de Il Periodico tra le mani e, amaramente, sorriderò pensando al Club House ancora chiuso. Ed io, reinventato in qualche altra attività. Chissà... Chi fa l’imprenditore in Italia è abbastanza allenato ad aspettarsi sviluppi improvvisi; la reattività oggi è la qualità che, insieme al buonsenso, fa la differenza. Quindi non mi sento di fare previsione... ma una cosa voglia dirla: che sia tra 20 giorni o fra un anno o fra dieci credo che le persone desidereranno sempre ritrovarsi in uno stesso luogo per divertirsi insieme. Non temo che si possano disabituare? Non temo che possano essere timorose? Non temo che la crisi economica impedirà a molti di uscire con la stessa frequenza di prima? Certo! Ma sono anche sicuro che quella sorta di bisogno primordiale di convivialità nell’uomo permetterà sempre al mio settore di avere ruolo ed un futuro, e quando arriverà il fatidico giorno in cui verrà liberalizzato l’abbraccio, fare festa sarà bellissimo! Anche molto più bello di prima!». di Lele Baiardi


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VARZI

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Clima e diritti umani: da Nivione la miglior tesi in giurisprudenza Arriva da Nivione, piccola frazione di Varzi, la tesi in giurisprudenza vincitrice dell’edizione 2019 del Premio Vittorio Grevi, conferito annualmente dall’Università di Pavia. Intitolato all’illustre docente di procedura penale scomparso nel 2010, il prestigioso riconoscimento è destinato a laureati del corso magistrale in Giurisprudenza che abbiano discusso una tesi in procedura penale, diritto penale, giustizia internazionale e diritti dell’uomo. Ad accaparrarselo è stato Carlo Emanuele Dirotti, 27enne neolaureato che ha discusso una tesi, realizzata in lingua inglese, su cambiamenti climatici e i diritti umani, indagando i vari aspetti che consentono alla giurisprudenza di intervenire sulle politiche dei vari governi per tutelare quello che è, a tutti gli effetti, il diritto alla salute. Per uno che è cresciuto in mezzo alla natura, non sembra una scelta casuale. Dirotti, come mai ha scelto questo argomento per la sua tesi? «L’idea è nata dopo aver partecipato ad una competizione internazionale di quattro giorni a Ljubljana. Si trattava di un MUN (Model United Nations), ovvero una simulazione del funzionamento di vari organi delle Nazioni Unite. Partecipai come delegato del Consiglio ONU per i diritti umani e vinsi il titolo di miglior delegato. Fu un’esperienza utilissima per comprendere il funzionamento e le procedure di decision-making degli organi ONU, oltre che un modo per approfondire la tematica dei diritti umani e gli strumenti di protezione previsti dal diritto internazionale.

«A noi giovani la responsabilità di mantenere viva la frazione»

Carlo Emanuele Dirotti

Successivamente ho svolto dei corsi di diritto internazionale e di diritti umani tenuti dalla piattaforma online dell’Università Cattolica di Lovanio. Avendo sviluppato una buon conoscenza della terminologia legale inglese e dello human rights law, pensai di sfruttare

l’occasione e redigere una tesi in lingua inglese sul tema, di grande attualità, del cambiamento climatico e dell’impatto di tale fenomeno sui diritti umani». Lei viene dall’Alto Oltrepo. La realtà in cui vive ha avuto un ruolo nella scelta dell’argomento?

«Qui si vive sempre a contatto con la natura, si impara a rispettarla e osservarne i cambiamenti, che negli ultimi anni sono stati notevoli». Ha notato effetti del “climate change” anche in Oltrepò? «Direi che dagli animali selvatici che si sono recentemente insediati, all’arrivo di nuovi parassiti, alle inedite difficoltà che affronta chi coltiva, ci sono spunti di riflessione. Il tutto accompagnato da un costante aumento delle temperature medie. Ciò che però ho voluto sottolineare nella mia tesi è che il cambiamento climatico non è più solamente un fenomeno che minaccia l’ambiente, come a lungo si è ritenuto. Si tratta invece di una seria minaccia per l’uomo e per una vasta gamma di diritti fondamentali. Pensiamo al diritto alla vita, alla salute, al cibo, all’acqua, all’abitazione». Che strumenti hanno gli enti istituzionali per intervenire in questo ambito?


VARZI «Le istituzioni dovrebbero innanzitutto mappare la situazione attuale restando a stretto contatto con gli enti, quali le università, in grado di fornire dati sul fenomeno dal punto di vista scientifico. In tal modo sarà possibile comprendere le condizioni locali e individuare i settori che subiranno un impatto maggiore. A quel punto sarà necessario adottare una strategia di adattamento agli inevitabili effetti del cambiameto climatico. Dico inevitabili perchè siamo giunti al punto in cui, oltre alla mitigazione (intesa come riduzione delle emissioni di CO2), una cruciale importanza assumeranno le misure di adattamento, volte ad aumentare la resilienza degli ecosistemi e a garantire uno sviluppo sostenibile al territorio. Servirà lungimiranza. La mancanza di una visione a lungo termine potrebbe avere conseguenze gravi». Quali misure sarebbe necessario prendere secondo lei? «Nella mia tesi ho sostenuto che la necessità di ridurre le emissioni di CO2 e di predisporre adeguati piani di adattamento derivi direttamente da strumenti internazionali quali la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Tale impostazione ha avuto una recente conferma nella storica sentenza Urgenda, con la quale la Corte Suprema Olandese ha condannato l’Olanda a ridurre le proprie emissioni di gas serra, ritenendo lo Stato obbligato in tal senso in virtù degli artt. 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e famigliare) della CEDU. Analoghe iniziative sono state promosse e pendono innanzi i tribunali di altri paesi del Consiglio d’Europa». Che lavoro svolge attualmente? «Attualmente la pratica forense. Non appena si uscirà dall’emergenza inizierò

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«Qui si vive sempre a contatto con la natura, si impara a rispettarla e osservarne i cambiamenti, che negli ultimi anni sono stati notevoli» un’esperienza presso la Banca d’Italia a Milano». Non è il solo giovane che ha scelto di restare a vivere in Oltrepò pur lavorando altrove. Come mai questa scelta? «Mi ritengo molto fortunato a poter portare avanti i miei impegni senza allontanarmi troppo dal territorio che amo. Qui ho la possibilità di coltivare le mie passioni e, in primis, la musica. Con il mio gruppo (i Palinurus Elephas) stiamo componendo le canzoni del nostro secondo disco. Poi ci sono l’orto, la vigna. Le cose da fare non mancano. In futuro probabilmente dovrò trasferirmi, ma mi accontenterei della possibilità di tornare ogni tanto nel mio paese per godermi la natura e tutto ciò che questo bellissimo territorio ha da offrire. Non mi posso proprio lamentare, a Varzi si sta bene». è anche impegnato in un’associazione, Nuvun, che si occupa di promozione sociale sul territorio... «Sì. La sede è a Nivione, la frazione dove vivo. L’esperienza degli ultimi mesi ha dimostrato quanto sia importante la cooperazione tra tutti gli attori del territorio.

Penso che sia importante investire nellla nostra zona, sia in termini strettamente economici che di capitale umano. Lo scopo di Nuvun è proprio quello di far ripartire il territorio, di riportare in vita un piccola frazione con attività sociali e iniziative green. Non c’è niente di più soddisfacente di vedere l’entusiasmo e il coinvolgimento delle persone in questi progetti. Il nostro territorio è prezioso e va preservato, credo che molti lo stiano capendo. Lo avevano capito i nostri genitori, e tutti gli abitanti della piccola frazione che hanno fatto tanti sacrifici per il paese e che ringrazio di cuore. Ora la responsabilità di mantenere in vita la frazione grava anche su noi giovani. L’anno scorso abbiamo riproposto la sagra del pane casereccio, che da qualche anno non si svolgeva più». Concludendo torniamo all’oggetto dei suoi studi. A livello generale crede che questa pandemia avrà un impatto sul cambiamento climatico e sulle attitudini delle persone e dei Governi? «A quanto risulta dagli ultimi dati scientifici, pare che il lockdown non abbia

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avuto un impatto significativo sulle concentrazioni di CO2 (pur essendo invece diminuite le emissioni di alcune sostanze inquinanti). Certamente l’esperienza della pandemia andrà a incidere sul turismo e sul movimento delle persone. Non si può escludere, ad esempio, che molti preferiranno viaggiare con la propria auto per la paura dei mezzi pubblici. Le modalità di telelavoro andranno ulteriormente rifinite e messe a punto. Quanto tali aspetti andranno a incidere sul cambiamento climatico è difficile da prevedere, personalmente credo che le cose non cambieranno radicalmente rispetto a prima. L’aspetto positivo è che sul tema del surriscaldamento globale c’è una sensibilità sempre più diffusa e supportata dalle numerose proteste e iniziative nel mondo (ad esempio il Fridays For Future)». di Christian Draghi

«Climate change in Oltrepò? Le istituzioni dovrebbero monitorarlo con dati scientifici»



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Santa margherita staffora

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«Ho cucito mascherine per tutto il paese» Donatella Muffato originaria di Varese da poco tempo pensionata, vive attualmente a Casanova di Sinistra nella Valle Staffora. Dopo aver conseguito il diploma al liceo artistico nel 1977 e aver vinto il premio istituito per il migliore artista dell’anno dall’accademia di Brera nel 1982 si dedica ad un lungo lavoro di insegnamento. Grazie alla sua manualità e alla sua dedizione per i “meno fortunati” che ha incontrato nel suo lungo percorso da insegnante, Donatella ha cucito centinaia di mascherine per i suoi compaesani: «Ho cucito mascherine a non finire - dichiara e quando credevo di non avere più tessuti ne trovavo altri... Un lavoro immane». “Impara l’arte e mettila da parte”.. mai proverbio fu più azzeccato per raccontare questa storia. Donatella, lei ha cucito un enorme quantità di mascherine salvavita per i suoi compaesani. Quando ha capito che “doveva dare una mano”? «Mia madre mi aveva insegnato qualcosa da piccola in quanto era una magliaia e poi sarta quindi è successo che una mia cara amica mi ha chiesto di fare per lei una mascherina vista la gravità della situazione ne aveva bisogno, dopo di lei è arrivato anche il parroco che doveva celebrare una funzione e gli serviva una mascherina, infine andando al panificio qui in paese, ho visto che la proprietaria si stava arrangiando con una mascherina di carta. Ho capito che era il caso di mettermi subito all’opera per aiutare il mio paese e ho iniziato a cucire mascherine». Una curiosità ma dove ha trovato la stoffa in quantità dato che i negozi sono chiusi? «Ho guardato per tutta la casa e tutto il materiale che potevo utilizzare comprese le fodere dei cuscini tutto quello che si adattava bene allo scopo è stato impiegato Ho cucito mascherine a non finire e quando credevo di non avere più tessuti ne trovavo altri. C’è stata un’azienda che mi ha mandato gratis della stoffa venendo a conoscenza di quello che stavo facendo in paese... Insomma un lavoro immane». In che modo le ha distribuite? «Attraverso il panificio e la salumeria gli unici negozi aperti in paese». Il sindaco del paese come ha reagito? «Venuto a saperlo mi ha contattata e mi ha ringraziata perché in un momento così grave, con l’impossibilità di reperire mascherine il mio lavoro è stato per certi versi provvidenziale, ma ho deciso nel mio cuore di fare un dono, tempo e stoffa, per salvare in qualche modo il mio prossimo sono soddisfatta di aver compiuto un lavoro finalizzato al bene comune e non voglio riconoscimento per questo».

Donatella Muffato

Da quanto tempo vive a Casanova e perché ha deciso di stabilirsi proprio qui? «Mi sono trasferita qui stabilmente da otto anni perché ritengo che questa sia la mia vera casa nel senso che mi sento parte di questo ambiente come se fossi nata qui, in realtà la prima volta che ho visitato questi luoghi, risale alla mia infanzia avevo nove anni e logicamente ero con i miei genitori e ciò che mi colpì di questo luogo fu la natura e le persone eccezionali, rimasi affascinata e osservavo tutto con un occhio scientifico che andava oltre lo stupore e preso un taccuino scrivevo tutto quello che osservavo: quanti petali in un fiore, quanti rami su un albero, le foglie, e così dicendo... Cominciai così a disegnare stimolata da una grande curiosità per il mondo esterno e con il bisogno di scoprire la bellezza in tutto ciò che mi circondava e non solo, ma di ripercorrere la storia di ogni oggetto che attirava la mia attenzione Qual è stata la sua occupazione principale? «Ho fatto sempre l’insegnante. Terminato il liceo artistico mi fu offerto subito un lavoro e la persona che me lo stava proponendo era dell’idea che quel tipo di lavoro si addicesse perfettamente al mio carattere. Naturalmente chiesi che tipo di lavoro avrei dovuto svolgere e la risposta fu che avrei insegnato ai disabili e che avrei pertanto dovuto trasferirmi a Milano». Un lavoro particolare. Come è stato il primo impatto? «Non avevo mai lavorato, ero alla mia prima esperienza e non sapevo cosa significasse il termine “disabile” o meglio non sapevo a quale specifica disabilità fosse da supporto. Un po’ perplessa chiesi quanto tempo avrei dovuto svolgere quel lavoro e mi fu detto per quindici giorni». E poi? «Ricordo che i primi cinque giorni furono molto duri ma poi cominciai a guardare

con occhi diversi quella realtà e a vedere i disabili come persone con delle capacità straordinarie. Li guardavo con un amore del tutto naturale, spontaneo e con il desiderio sempre più crescente di aiutare tutti e non mi importava se erano costretti su una carrozzina... E così i quindici giorni divennero undici anni». Aveva trovato qualcosa di bello e aveva dato un senso a tutto ciò che faceva giusto? «Sì e sono felice di aver vissuto grandi esperienze di empatia e tutte creative e questo perché ho sempre messo il desiderio di comunicare ed aiutare gli altri al primo posto nei miei valori». Lei ha avuto modo di lavorare anche nelle carceri, che tipo di esperienza è stata? «Ho avuto la possibilità di lavorare sempre come insegnante di arte nel carcere di San Vittore a Voghera e sinceramente in un primo momento ho avuto delle perplessità, comprensibili, ma considerandomi una persona senza pregiudizi vedevo i carcerati innanzitutto come esseri umani e come tali con errori commessi alle spalle o con percorsi di vita estremamente complicati e difficili che li aveva portati a scelte sbagliate, ma sicuramente si prospettava loro una seconda chance e la possibilità di fare altro e di migliore nella vita.

«Quando credevo di non avere più tessuto ne trovavo altro...» «Un giorno fui mandata ad insegnare nel sesto raggio, il settore più difficile della struttura carceraria, arrivata lì mi vengono incontro alcuni ragazzi e poco distante da loro un giovane titubante, vedendolo capisco che ha un aria familiare ma non riuscivo a ricordare dove avessi visto quel viso. Alla fine lo riconosco nell’attimo in cui mi chiama “prof”. Mi si è gelato il sangue: era un mio ex alunno. Da quel dì seguì il mio corso con grande soddisfazione, la mia in primis». Lei ha disegnato, restaurato, dipinto, cucito vestiti, organizzato sfilate... Si può definire la stilista locale? «In effetti ora che ho più tempo faccio un po’ di tutto e voglio scoprire cosa piace di più alla gente quali sono i loro bisogni».

Donatella Muffato, mentre cuce le mascherine distribuite a Casanova Staffora

È stato molto bello per me vedere i detenuti che non vedevano l’ora che io arrivassi... Sono una persona gioiosa e la gioia è contagiosa e produce speranza con loro potevo ridere e scherzare e mandare a quel paese, se necessario, senza remore» Un episodio che le è rimasto impresso di quel periodo?

A conclusione cosa le ha insegnato questa esperienza? «A dare il giusto valore ad ogni cosa e capire che ciò che poteva essere artistico può essere ora oggetto di uso primario per sopperire l’emergenza, si può creare riciclando tantissime cose non solo bellem ma soprattutto utili». di Stefania Marchetti


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Cheap but chic: PIATTI GOLOSI E D’IMMAGINE AL COSTO MASSINO DI 3 EURO

I MALFATTI, IN VALLE STAFFORA SI CONDISCONO CON SUGO DI FUNGHI PORCINI

di Gabriella Draghi Nelle nostre campagne le erbe di campo raccolte in primavera sono sempre state cucinate e trasformate in deliziosi piatti, con l’aggiunta di ingredienti poveri a disposizione di tutti, come pane raffermo, uova e formaggio. Come nel caso dei MALFATTI, la cui composizione poteva quindi variare a seconda del periodo e contenere cicoria selvatica, spinaci, bietole, tarassaco o dente di leone. Ma perché venivano chiamati MALFATTI? Malfatti perché la loro caratteristica era ed è rimasta quella di essere irregolari, un po’ uno diverso dall’altro, proprio perché formati a mano e per questo un po’ bitorzoluti. Si possono preparare affusolati o leggermente tondeggianti, ognuno ha la propria mano, l’importante è che siano nostrani, fatti in casa. Ad oggi non è facile trovare una ricetta ufficiale, è un piatto della cucina di casa tramandato di generazione in generazione, un piatto povero ma ricco di sapore che è presente da sempre sulle tavole di tante famiglie. Ogni famiglia ha la proprio ricetta, con ingredienti che variano anche per quanto riguarda il condimento. Sono diventati nel tempo un piatto gourmet nei ristoranti del territorio e spesso li troviamo conditi con burro, salvia e parmigiano per esaltare il sapore delle erbe con cui sono realizzati. Ma nelle famiglie di campagna venivano conditi anche con sugo di carne, di pomodoro e, soprattutto in Valle Staffora, con sugo di funghi porcini di cui sono ricchi i boschi. Io condivido con voi la ricetta di mia mamma che li realizzava utilizzando bietole e spinaci e li serviva conditi con un bel sugo di funghi porcini. Gli spinaci hanno poche calorie e sono ricchi di sali minerali come ferro, potassio e magnesio e fibre, utili per l’intestino. Inoltre aiutano a rinforzare il sistema immunitario e proteggono la vista. Le bietole, preferibilmente quelle giovani e tenere,

sono anche loro poco caloriche ma ricche di vitamina C e sali minerali come potassio, ferro, calcio e magnesio. Veniamo ora alla ricetta, molto economica, gustosa e di sicuro effetto! COME SI PREPARANO Laviamo accuratamente le bietoline gli spinaci e lessiamo il tutto in poca acqua salata. Scoliamo, strizziamo molto bene per far uscire l’acqua in eccesso e tritiamo il composto finemente utilizzando la mezzaluna. Ci vorrà un po’ più di tempo ma vi consiglio di non utilizzare il frullatore. In una padella antiaderente, scaldiamo a fuoco dolce 30 g di burro, aggiungiamo le erbette e gli spinaci e lasciamo insaporire per alcuni minuti, mescolando di tanto in tanto. Lasciamo raffreddare. Mettiamo il composto in una ciotola ,uniamo la ricotta, metà del parmigiano, 2 uova intere, il pane grattugiato, poco alla volta e un pizzico di noce moscata. Ho scritto “pane raffermo grattugiato” perché per una buona riuscita del piatto, vi sconsiglio l’utilizzo del pane grattugiato che si trova in commercio.

Lavoriamo bene gli ingredienti e aggiustiamo di sale. Dobbiamo ottenere un composto che si possa modellare con facilità, se è troppo molle, aggiungiamo ancora un po’ di pane grattugiato. A questo punto sulla spianatoria e,con l’aiuto della farina, formiamo dei rotoli che taglieremo a tocchetti. Prendiamo tra le mani infarinate ogni pezzetto e formiamo tanti gnocchetti allungati disponendoli su di un vassoio infarinato . Per il sugo, mettiamo in ammollo i funghi in acqua tiepida. In un tegame facciamo dorare l’aglio e lo scalogno tritato con l’olio, uniamo i funghi scolati e tritati e saliamo. Bagnamo con un po’ di brodo, aggiungiamo la passata di pomodoro e le erbe aromatiche, un pizzico di pepe e cuociamo per 20 minuti. Lessiamo ora i malfatti per pochi minuti in acqua bollente salata. Sono cotti quando vengono a galla. Li scoliamo delicatamente poco alla volta con la schiumarola e li condiamo con il sugo di funghi e abbondante grana grattugiato. Buon appetito! You Tube Channel “Cheap but chic”. Facebook page “Tutte le tentazioni”

Ingredienti per 6 persone:

300 g di bietoline 300 g di spinaci 250 g di ricotta 200 g circa di pane raffermo grattugiato 2 uova 150 g di formaggio grana grattugiato noce moscata farina quanto basta 30 g di burro sale

Per il sugo:

uno scalogno 40 g di funghi porcini secchi 1 spicchio d’aglio qualche cucchiaio di passata di pomodoro brodo vegetale un cucchiaio di timo e maggiorana tritati olio extravergine d’oliva sale e pepe


PRO LOCO E ASSOCIAZIONI: LA SFIDA

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Parola d’ordine: reinventarsi Pro Loco e associazioni non mollano Con l’arrivo della bella stagione le Pro Loco e le associazioni dell’Oltrepò Pavese si sarebbero messe in moto per offrire momenti di aggregazione e di festa, ma in questa emergenza sanitaria, nessun evento è stato annunciato. Tutto cancellato a data da destinarsi ed in attesa di nuove direttive. Che ne sarà di questi volontari che, con entusiasmo si sono ingegnati negli anni a creare giorni di festa, ad “inventare” sagre e manifestazioni per attirare visitatori nei loro paesi? Sondiamo il terreno e gli umori di alcune Pro Loco dell’alta Valle. Fabio Bergamini, Presidente di “A tutta Varzi” «Quest’emergenza ci ha colpito in particolar modo nel bel mezzo dell’organizzazione della “Festa Medievale” evento cardine della nostra associazione e di tutto il paese. Questo è senza dubbio il nostro più grande rammarico per l’annata 2020. Al di là di questo, questa pandemia porterà delle conseguenze negative su tutta l’attività della nostra associazione e purtroppo colpirà in generale tutte le realtà del nostro territorio. Come ben sapete la nostra è un’associazione che organizza eventi di aggregazione per tutta la comunità e quest’anno con tutta probabilità ci troveremo costretti ad annullare due dei nostri appuntamenti più consolidati». Che fare? «Come prima cosa ci atterremo alle disposizioni dell’Amministrazione Comunale e di Regione Lombardia in merito all’ evolversi della situazione. Per la stagione a venire, sempre se possibile, cercheremo di rispettare gli eventi programmati a inizio anno. Per il futuro come sempre ci impegneremo per il bene del nostro paese. Sinceramente ad oggi fare promesse su nuove iniziative ci risulta difficile, sicuramente cercheremo di migliorare e consolidare ancora di più i tradizionali eventi sui quali lavoriamo ormai da molto tempo. Siamo in costante collaborazione con l’amministrazione e le altre associazione con l’obbiettivo comune di rilanciare e salvaguardare il nostro territorio nel migliore dei modi» Sabrina Valdi, Presidente Pro Loco Zavattarello «La nostra Pro Loco si è costituita a gennaio siamo nati agli inizi di questa pandemia, il Covid-19 ci ha bloccati sul nascere e ci ha creato tanti problemi perché il nostro obbiettivo, come quello di tutte le altre Pro Loco, è di aggregare e creare iniziative per rinnovare e promuovere il territorio il territorio. Stiamo attendendo che la situazione attuale si calmi e in riunioni in videochiamata stiamo cercando idee che possano convogliare le esigenze di questo momento, ad esempio un cinema sotto le stelle.

Fabio Bergamini Presidente di “A tutta Varzi”

Manuel Micunco Presidente Pro Loco Romagnese

Sabrina Valdi Presidente Pro Loco Zavattarello

Stefano Gramegna Presidente Pro Loco Calvignano

«Richiesta elevata di case da affittare, abbiamo deciso di porci come touchpoint tra locatore e locatario, cercando di far incontrare domanda e offerta» È solo un’idea ancora da valutare in tutto per tutto. Non è, e non sarà facile ma non abbiamo perso la voglia di dare valore al nostro grande paese, nonostante il brutto periodo passato. Se non è per quest’anno sarà per il prossimo. La cosa certa è che ogni iniziativa sarà nel rispetto delle regole, la sicurezza e la salute dei compaesani e dei turisti è la cosa più importante. La strada è appena iniziata abbiamo tanto tempo per star insieme!» Manuel Micunco, Presidente Pro Loco Romagnese «Il lockdown per la nostra associazione ha avuto un impatto a 360°. Nel mese di marzo, infatti, vista l’esigenza di rinnovare il mandato, siamo riusciti a coinvolgere da remoto i tesserati, riuscendo a convocare un’assemblea che definirei 2.0. Annullate sagre ed eventi, la vostra Pro Loco si è attivata per “fare del bene”.

«Una prerogativa che ci siamo sempre posti è quella di non fermarci mai e capire dove poter offrire il nostro contributo. Ci tengo a ringraziare i nostri volontari, che, visto il periodo difficile che abbiamo attraversato e che stiamo tutt’ora attraversando, a fianco dei nostri commercianti, hanno consegnato beni di prima necessità a coloro che lo richiedevano». Idee per per la stagione estiva oramai alle porte? «Per i motivi che tutti noi conosciamo non abbiamo potuto incontrarci fisicamente per programmare il futuro, ma siamo riusciti a sopperire alla lontananza, grazie all’ausilio della tecnologia. Tante videochiamate tra amici sono diventate veri e propri spunti di riflessione e momenti per programmare le prossime tappe. Una cosa è certa, la nostra associazione non si è mai fermata e non si fermerà, consapevole che

«Stiamo cercando idee che possano convogliare le esigenze di questo momento, ad esempio un cinema sotto le stelle» sarà un’estate anomala. Nei mesi passati stavamo pianificando la stagione estiva, con l’obiettivo di introdurre interessanti novità al già ricco calendario. Una volta compreso che non avremmo potuto offrire i soliti servizi, insieme all’amministrazione comunale abbiamo provato a comprendere quali fossero le migliori scelte da prendere per il nostro territorio. Ciò che ci è apparso fin da subito chiaro è che il turismo estivo a romagnese non si fermerà: la richiesta di persone che vorrebbero trascorrere un periodo nel nostro paese è elevata e stiamo quindi impiegando le nostre forze per far si che i turisti riescano, senza problemi, a godersi il nostro splendido territorio. Per supportare tutto ciò, abbiamo deciso di porci come touchpoint tra locatore e locatario, cercando di far incontrare domanda e offerta. Possiamo dire che, ci stiamo in un certo senso reinventando come associazione, e non escludiamo di proporre iniziative differenti dal solito, sempre e solo nel pieno rispetto delle regole e la garanzia della sicurezza per residenti e turisti». Stefano Gramegna, Presidente Pro Loco Calvignano «La nostra associazione non ha grandi pretese, è la Pro Loco di un piccolo paese e in quanto tale si fonda sul principio dell’aggregazione sociale, per cui non avendo più organizzato e non potendo più organizzare feste e gite in libertà fino a data da destinarsi, viene a mancare il principio stesso Siamo in attesa delle indicazioni dal Ministero per lo svolgimento di eventi e gite e ci muoveremo di conseguenza. Ad oggi non c’è possibilità di programmare nulla di concreto». di Silvia Colombini


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casei gerola

Maggio 2020

Solidarietà dai privati «Gesti che danno forza» Leonardo Tartara

Nello scorso numero de “Il Periodico” abbiamo chiesto un contributo a quei sindaci che, nel tentativo (riuscito) di creare nuove esperienze di comunità in questi tempi di scarsa socializzazione, hanno pensato di distribuire gratuitamente a tutti i cittadini il pane. La scelta operata dal Governo è stata chiara: affidare ai sindaci, ossia ai rappresentanti istituzionali più vicini al territorio, il compito di affrontare le situazioni di disagio attraverso le articolazioni della macchina comunale. Ma i sindaci dei piccoli paesi conoscono bene la loro gente: in molti casi, con il massimo del tatto possibile, hanno affrontato le situazioni più delicate ricorrendo ad aiuti che andrebbero anche oltre le loro competenze. Nel rispetto delle persone, prima di tutto. Della loro riservatezza e della loro umanità. Ed è questa l’Italia che funziona: quella della solidarietà che non strilla. E che finisce dove c’è davvero bisogno.

Un’Italia che, questa volta, siamo andati a cercare a Casei Gerola. Uno di quei paesi (ma sono tanti) che durante l’emergenza ha saputo lavorare nell’unione. Fare comunità. Fin dai primi giorni dell’emergenza, come ci ha raccontato il sindaco Leonardo Tartara. «Avevamo avuto alcune avvisaglie del possibile problema alimentare legato all’emergenza Covid-19 prima della decisione del Governo di aiutare i comuni. Grazie ad alcune persone ed alla Parrocchia avevamo dato una mano in modo informale, decidendo poi di stanziare una piccola somma dal bilancio comunale. Dopo l’annuncio del Governo abbiamo confermato anche il nostro piccolo stanziamento e aperto una sottoscrizione che ha già raccolto una discreta somma composta da alcuni grandi contributi e dalle donazioni di tante famiglie». Gli aiuti alimentari si sono concentrati in particolare sulle famiglie in difficoltà: «Abbiamo dato in una prima fase pacchi di generi di prima necessità coinvolgendo i negozi di vicinato». E a dare una mano al Comune sono arrivati anche componenti della società ci-

vile: qualche sera fa, dice il sindaco, «mi ha chiamato il presidente di una squadra di calcio locale informandomi della loro raccolta fondi a supporto delle iniziative sociali Covid del comune. Sono tutti gesti che danno forza». Il coinvolgimento dei privati ha dato frutti anche in relazione alla fornitura di dispositivi di protezione individuale alla popolazione. «Anche per le mascherine, che abbiamo deciso di fornire lavabili e fatte da una manifattura in paese, abbiamo avuto il supporto di uno sponsor, un imprenditore». Anche Casei è stato interessato dalla distribuzione del pane alla cittadinanza. Come spiega ancora Tartara, «due concittadini, Katia Mussinelli e Giuseppe Cutrano, che gestiscono il Forno Barbieri a Voghera, hanno proposto di donare una fornitura settimanale di pane per le persone in difficoltà; lo distribuiamo a quelle che hanno chiesto aiuto, più di 50 sacchetti a settimana. La Protezione Civile, che tanto ci aiuta anche in questo periodo, lo va a ritirare al forno ogni venerdì e i ragazzi della Consulta Giovanile lo consegnano a casa».

«Il panificio di via Roma», aggiunge il sindaco, «ogni giorno dalle 12 regala il pane invenduto a chi lo chiede». Le consegne domiciliari non riguardano soltanto il pane: «Inoltre Federico e Valentina, con Desy e Andrea insieme alla Consulta Giovanile, consegnano la spesa e i farmaci a casa delle persone anziane senza aiuto». Il sostegno reciproco della popolazione non si limita all’emergenza alimentare. C’è chi si rimbocca le maniche anche per mantenere il paese in condizioni di decoro, in vista del ritorno alla normalità. «I lavori di manutenzione del verde sono rimasti un po’ indietro: più di una persona, appena sarà possibile, si è proposta di dare una mano anche in aggiunta ai nostri volontari civici guidati da Massimo Orfano, sempre presente con Giovanni Ferrari». «Insomma», conclude Leonardo Tartara, «questo duro e triste momento ha dato modo alla solidarietà e alla buona volontà di manifestarsi». E se l’emergenza ha insegnato qualcosa, la speranza è che continuino a farlo. di Pier Luigi Feltri


CASTEGGIO

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Cambio gomme entro il 15 giugno, le ditte si attrezzano Secondo la legge il 15 aprile è il termine entro il quale bisogna provvedere a sostituire i pneumatici invernali rimontando gli estivi. L’emergenza sanitaria ed il divieto di spostamento se non per casi eccezionali ha “costretto” la maggior parte degli italiani a lasciare la macchina in garage ed il Ministero dei Trasporti a posticipare la data di sostituzione dei pneumatici, confermata nel 15 Giugno. Abbiamo affrontato il tema con una ditta specializzata di Casteggio, la Contardi Pneus, centro assistenza pneumatici nata nel 2013 dalla trasformazione di una ditta precedente, fondata nel 1972. Uno dei soci fondatori, Contardi Guerrino è rimasto in società e sono subentrate come socie le due figlie Elisa e Stefania. In azienda Stefania è rappresentante legale, responsabile qualità, marketing e bilancio, Elisa, è responsabile amministrativa e della sicurezza. Elisa, la vostra officina è sempre stata operativa in quanto rientra tra quelle attività ritenute essenziali e come tale può essere esercitata, oppure avete optato per la chiusura? «A metà marzo abbiamo preso la decisione di chiudere temporaneamente l’azienda per salvaguardare il personale dai rischi connessi alla gravità della pandemia in corso. In quelli che poi sono diventati due mesi di chiusura, abbiamo fatto un’attenta analisi studiando tutte le misure necessarie per poter ripartire in sicurezza, aderendo al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid 19 negli ambienti di lavoro e mettendo in pratica tutte le misure necessarie». Linee guida per poter aprire in sicurezza: partiamo da quelle necessarie per “abilitare” l’officina. Che interventi avete dovuto eseguire e con quali costi? «Una ditta specializzata ha provveduto alla sanificazione di tutti gli ambienti, creato un’area coperta esterna all’officina e adibita a sala d’attesa, ci siamo muniti di tutti i dispositivi necessari per la tutela del nostro personale e della nostra clientela, facendo un investimento di una certa consistenza, finalizzato a garantire una maggior protezione per contrastare il virus. Anche per l’ingresso di clienti e fornitori esistono delle indicazioni, previste sempre per la sicurezza, che regolano gli accessi nei locali». Oltre ai tre soci il team è composto da cinque dipendenti. In che modo vengono tutelati? «Ai nostri dipendenti ogni giorno viene consegnata una busta contenente tutti i Dpi da utilizzare». Il cambio gomme è previsto per legge, pertanto non se ne può fare a meno.

«Per far fronte alla crisi abbiamo iniziato anche a fare sanificazione dei veicoli» Si presume quindi che per voi il lavoro sia rimasto pressochè identico e con un andamento costante. Conferma questa logica oppure avete riscontrato un atteggiamento diverso da parte della clientela? «Il ministero dei trasporti ha posticipato al 15 giugno la data entro la quale si richiede il passaggio dalle gomme termiche a quelle estive. Considerando che nella Fase 1 il cambio gomme non rientrava tra i motivi per i quali era autorizzata l’uscita, con la riapertura dell’azienda, seppur con ritmi conformi al rispetto delle regole, al fine di evitare assembramenti, si è ripresa l’attività a tempo pieno e su appuntamento, con un lavoro pressochè costante». L’emergenza sanitaria ha “portato” diversificazione nella tipologia del vostro lavoro? «Eseguiamo servizio di sanificazione automezzi, con ozono, operazione molto richiesta in questo periodo, per sanificare l’impianto di areazione interna dei veicoli».

Elisa Contardi Nel 2013 avete deciso di diversificare la oggi aggiornata all’ultima versione. Aver vostra attività, perché questa esigenza? adottato le politiche di diversificazione in «Il 2013, l’anno che ha caratterizzato il anni come questi, è stata la strategia che passaggio, ha visto diverse imprese ita- ha permesso di mantenere e di allargare la liane chiudere i battenti, in quanto si era quota di mercato, potendo poi operare in entrati in una fase di crisi economica. Le una struttura di circa mille metri quadrastrategie adottate dalla Contardi Pneus per ti, compresi i locali adibiti a magazzino. potere rimanere sul mercato nonostante L’azienda ha inoltre un’ampia area esterla crisi, erano e sono legate alla politica na adibita alle manovre di tutte le tipolodella qualità dei servizi offerti. La ditta ha gie di mezzi». ottenuto e mantenuto negli anni la certificazione di qualità UNI EN ISO 9001, di Silvia Colombini

La Contardi Pneus di Casteggio


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REDAVALLE

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“La schita” protagonista di un gruppo facebook, 900 gli iscritti In questo periodo di quarantena, molte persone si sono dilettate in cucina, a volte riscoprendo anche con piacere alcune ricette del passato o comunque della tradizione del proprio territorio. E così, in Oltrepò Pavese è successo che un’affermata giornalista e scrittrice, Cinzia Montagna, abbia deciso di fondare addirittura un gruppo su Facebook dal nome “La Schita dell’Oltrepò Pavese”, per riportare in auge la famosissima “schita”. Come è nata l’idea di fare questo gruppo? «è proprio nato per caso, dopo che un mese fa avevo inserito sul mio profilo Facebook la foto di una schita che avevo preparato. Subito sono intervenute varie persone sul tema della schita, allora ho pensato di aprire un gruppo, che è uno spazio più libero e duttile di un profilo personale». Qual è l’obiettivo? «è quello di condividere la ricetta cucinata, ma anche gli abbinamenti gastronomici e di vini adatti alla schita dell’Oltrepò Pavese. Sono già emersi tanti aspetti interessanti relativamente al nome e al modo di prepararla, tutti spunti su cui le persone si confrontano e ciascuno porta la propria esperienza. è interessante notare come esistano sinonimi di “schita” in luoghi distanti pochi chilometri e come qualcuno la frigga in olio più abbondante e pertanto risulti una frittella più croccante e chi invece la faccia cuocere in poco olio, con un risultato più simile a una focaccetta sottile e morbida. Gli ingredienti di base sono gli stessi: farina, acqua e un pizzico di sale. Tutti sono concordi sul fatto che originariamente si usava come condimento lo strutto, che qualcuno indica come “vont” e qualcuno come “vonc”. Tutte queste declinazioni mi sembrano molto stimolanti per definire, insieme, e in base a ricerche documentarie, quando sarà possibile svolgerle, una sorta di disciplinare della schita dell’Oltrepò Pavese, con le sue varianti e la sua identità». Perché proprio la schita e non un altro prodotto tipico dell’Oltrepò? «La schita è un prodotto molto semplice da realizzare, espressione della cultura rurale e popolare. I suoi ingredienti si trovavano facilmente, come si trovano ancora oggi, in tutte le cucine. A differenza dal pane, che richiede il lievito e modalità di cotture più complesse, è veloce e anche appetitosa, sia nel sua versione naturale sia nella sua versione dolce, cosparsa di zucchero dopo la cottura. La schita accompagnava il contadino in campagna, spesso per la merenda di metà mattina. Ricordo che il lavoro nei campi e nelle vigne iniziava all’alba, per cui la

«Molte persone che si trovano all’estero sono originarie dell’Oltrepò: il gruppo le ha riportate idealmente a casa» Cinzia Montagna

«Definire insieme una sorta di disciplinare della schita dell’Oltrepò Pavese, con le sue varianti e la sua identità» merenda di metà mattina era utile per una breve pausa di ristoro. Spesso era accompagnata da ciò che si coltivava e cresceva nel vigneto, magari l’aglio. L’abbinamento con salumi è più recente. La schita con lo zucchero è stata la merenda pomeridiana di noi tutti da bambini, una vera leccornia». è passato un mese dalla nascita del gruppo social: quali sono i primi riscontri? «Attualmente gli iscritti sono circa 900, i post con foto di schite sono tantissimi e devo dire che tutti i componenti del gruppo hanno dimostrato di saperla preparare bene, anche chi ha dichiarato di essere alla prima ‘prova – schita’. Sono molto interessanti i confronti che nascono sulle diverse modalità di preparazione, così come gli abbinamenti proposti. In pratica, tutto un mondo insospettato ruota intorno alla schita!». è sicuramente un gruppo che ha tenuto compagnia durante la permanenza forzata in casa...

«Questo è stato forse l’aspetto più importante. Mi verrebbe da dire che la schita è stata un po’ una bacchetta magica e una macchina del tempo. Ha aperto una finestra su un panorama diverso dall’emergenza e dalla costrizione in casa, ha evocato momenti passati in cui avevamo certezze, così distanti dall’incertezza che stavamo vivendo. Ognuno di noi ha il ricordo di una schita buonissima, la situazione in cui l’abbiamo conosciuta era buona: gli affetti, la famiglia, la serenità. Il gruppo ci ha fatto e ci fa sentire comunità, anche se non ci conosciamo di persona. Mi auguro che questo senso di comunità, così spontaneo, resti, perché si è creato nel suo modo più naturale, tramite la condivisione di un sentire diffuso». Quale post tra quelli di questo primo mese ricorda in modo particolare? «Ce ne sarebbero tantissimi, dalle videoricette di Loretta Ravazzoli e di Gloria Gariboldi alle magnifiche schite di Franco Bacci e Amedeo Quaroni, al supporto nella diffusione del gruppo che hanno fornito

Carlo Serra, Mariagrazia Liberali, autrice fra l’altro della foto di copertina, Stefano Denicolai e Alice Gorini e ancora gli interventi di un bravissimo giornalista che è Attilio Barbieri, ma soprattutto mi hanno colpito alcuni post dove si percepisce l’affetto verso i genitori e i nonni che preparavano la schita e questi sono stati veramente tanti, alcuni davvero commoventi nella loro sincera dimensione umana». Gli iscritti sono solo dell’Oltrepò o anche di altri luoghi? «Abbiamo iscritti dal Piemonte, dalla Toscana, dal Lazio, dall’Emilia, dalle Marche, ma anche dalla Svizzera, dalla Germania e dall’Inghilterra, tutti a fare schite da un mese a questa parte e a raccontare le loro tradizioni, poiché l’uso di farina e acqua per ottenere focaccette o frittelle dolci o salate è diffuso in tutta Italia. Molte persone che si trovano all’estero sono originarie dell’Oltrepò: il gruppo le ha riportate idealmente a casa e non soltanto in teoria perché, non dimentichiamolo, la schita si mangia e cucinarla significa percorrere un cammino nella memoria, verso casa». Progetti per il futuro? «Mi auguro che fra non molto tempo sia possibile organizzare iniziative dedicate alla schita e sono certa che le idee nel gruppo non mancheranno per deciderle insieme e finalmente trovarci di persona. Gustando la schita dell’Oltrepò Pavese, ovviamente». di Elisa Ajelli


broni

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«Da due settimane nessuna chiamata per sintomi da Covid» Se a Voghera nei mesi caldi della crisi la mortalità è salita di quasi il 150%, a Broni e Stradella l’effetto-Covid è stato decisamente meno devastante. Al punto che, tabelle Istat alla mano, il tasso di mortalità non ha praticamente subito oscillazioni rispetto ai 5 anni precedenti. Maurizio Campagnoli è medico di famiglia nel distretto di Broni-Redavalle, con circa 1200 assistiti. Esercita la professione da circa 37 anni ed è specialista in chirurgia vascolare e chirurgia generale. è uno dei collaboratori del sindaco di Broni nella gestione delle problematiche sanitarie del territorio. La Fase2 è ormai nel pieno dello svolgimento. Si parla delle famose “3T” (testare, tracciare, trattare) necessarie per una sua buona riuscita. Com’è la situazione in Oltrepò? «Siamo in una fase in cui è necessaria la massima attenzione da parte di tutti, onde evitare, specie nella nostra Regione, un pericoloso rebound. Al momento la situazione in Oltrepo pare sotto controllo, anche se i medici di famiglia rischiano pure in questa fase di svolgere mansioni prettamente burocratiche. A mio avviso si dovrebbe demandare al territorio non solo il controllo, ma anche la possibilità di testare, tracciare e trattare. Per quanto possibile ho sempre cercato di attuare questa strategia». Dei numeri reali di questa crisi si dibatte da tempo e pare che determinare le vere dimensioni di questa crisi non sia facile. Lei opera sul territorio e assiste 1200 persone. Come stanno le cose secondo lei? «I numeri, a mio avviso, sono sottostimati. In questi due mesi abbiamo avuto modo di associare i sintomi più disparati al coronavirus. Probabilmente molti asintomatici si sono positivizzati. Ovviamente oggi tutti ci auguriamo che si sia raggiunto un alto tasso di immunità». Riceve sempre molte chiamate da persone con sintomi riconducibili al Covid? «Nel corso delle ultime due settimane nes-

suna». Dall’inizio della crisi quanti sui pazienti hanno avuto il virus? «Circa trenta. Attualmente ne restano due o tre». Qualche decesso? «Ho avuto purtroppo quattro decessi per polmonite da coronavirus. Bisogna tener conto che l’età media dei nostri pazienti è molto avanzata, con alta percentuale di pazienti con pluripatologie croniche: per questi motivi la mortalità è stata senz’altro più elevata». Quanti sono rimasti casi “sospetti” perché mai testati? «Non so dire con precisione, la sierologia ci potrà fornire risultati più attendibili. Potrei azzardare un numero tra i venti e i trenta. A questi dovremmo poi aggiungere gli asintomatici positivizzati». Lei come sta? Si è ammalato o è stato testato? «Non sono stato testato con tampone. Eseguirò l’esame sierologico quando non sarò costretto a recarmi a Pavia. Durante questi mesi comunque non ho avuto sintomi riconducibili al coronavirus. In questi giorni accuso i classici disturbi allergici stagionali». Si è parlato dell’introduzione di un protocollo preciso per chi ha più di 37,5 di febbre, con tampone immediato. Un servizio gestito dalle Usca (Unità Speciali Continuità Assistenziale) sul territorio. Ha avuto modo di verificarne il funzionamento? «Ho avuto modo di constatare professionalità e grande disponibilità da parte dei colleghi delle USCA anche se, soprattutto all’inizio, vi erano forti limitazioni alle visite domiciliari per scarsità di dispositivi di protezione (dpi). Al momento non ho potuto verificare questo nuovo protocollo, perché non ho casi clinici recenti». Avrà comunque il polso della situazione anche grazie a contatti con i colleghi. Rispetto alle scorse settimane, oggi si rie-

scono ad ottenere tamponi e ad assistere i malati in maniera decorosa? «Ora sì; all’inizio abbiamo avuto molta difficoltà a far eseguire i tamponi ai pazienti paucisintomatici, o agli asintomatici esposti». La mortalità nel periodo tra il 1 marzo e il 15 aprile 2020 è aumentata a Voghera del 150%. A Broni e Stradella l’impatto in termini numerici è stato minore, anche in rapporto alla popolazione. Come bisogna leggere questi numeri? «Non conosco a fondo la realtà di Voghera e dell’Oltrepo Occidentale. Posso senz’altro affermare che nel nostro territorio si è instaurata una forte coesione tra i medici di famiglia e anche con i colleghi dell’ospedale di Broni Stradella, in particolare con l’equipe dell’amico Giovanni Ferrari. Nella mia città si è attivata una stretta col-

Maurizio Campagnoli, medico di famiglia nel distretto di Broni-Redavalle

A Broni e Stradella crisi più contenuta: «Filiera interna tra istituzioni e organi sanitari ha dato buoni risultati» laborazione con il sindaco e l’amministrazione comunale, la Protezione Civile e i gruppi di volontariato a loro legati, la Polizia Locale e i Carabinieri. Questa filiera ha probabilmente prodotto risultati positivi». Chiudiamo facendo un passo indietro. Diversi suoi colleghi si sono lamentati di essere stati abbandonati a se stessi durante le fase più calde dell’emergenza. Lei concorda? «Purtroppo sì. I primi dpi sono arrivati in forte ritardo e comunque inadeguati a visitare un potenziale infetto da coronavirus,

senza rischiare di contaminarci e/o diventare noi stessi portatori della patologia ai nostri familiari e pazienti. Per questi motivi gran parte dei medici di famiglia di Broni, Stradella e Oltrepo Orientale si sono confrontati per stabilire delle linee guida comuni: chiusura degli ambulatori; triage telefonico; accesso solo su appuntamento per pazienti senza sintomi correlabili al coronavirus; visite domiciliari per i nostri pazienti affetti da patologie croniche». di Christian Draghi


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«Stradella è pronta per la Fase 2 e per la ripartenza» L’Italia si appresta a ripartire. La curva dei contagi sta lentamente calando ed anche il numero dei decessi giornalieri si sta costantemente abbassando. Il Governo ha così deciso di entrare in questa Fase 2, permettendo ai cittadini di poter uscire dalle proprie abitazioni e di poter riaprire le attività ormai chiuse da quel tristemente famoso 8 marzo. Naturalmente non si tratta di un “liberi tutti”: gli enti e le istituzioni invitano a rispettare rigidamente le norme di distanziamento sociale, onde evitare di dover far un passo indietro e riiniziare tutto da capo. Finché non si troverà un vaccino, il rispetto di queste indicazioni è l’unica via per poter tornare ad una vita abbastanza normale. Forti perplessità arrivano dai commercianti e dalle attività produttive che si trovano a dover riaprire dopo mesi di stop senza aver norme certe e indicazioni precise. In coro, da ogni parte d’Italia, chiedono un aiuto economico e fiscale da parte del Governo e delle amministrazioni locali, le quali si dovranno far carico di decisioni che saranno fondamentali per la ripresa economica e della sopravvivenza delle attività commerciali. A questo proposito abbiamo chiesto al sindaco di Stradella Alessandro Cantù quali sono stati i principali problemi che ha dovuto affrontare durante l’inizio dell’epidemia e quali soluzioni sta vagliando l’amministrazione comunale per preparare la città e il territorio a questa Fase 2. Sindaco, Stradella come si è comportata durante la Fase 1? Quali sono stati i problemi più importanti che ha dovuto affrontare? «I cittadini di Stradella durante la Fase 1 hanno avuto un comportamento che è diventato esemplare: certo, all’inizio abbiamo realizzato un lavoro importante per trasmettere a tutti la gravità dell’emergenza e la necessità di seguire alla lettera le regole. Dalla domenica in cui è iniziato il lockdown totale, anche grazie al grande dispiegamento di forze dell’ordine, siamo riusciti a indirizzare al massimo il comportamento di chi non aveva compreso o non si atteneva alle regole: questo è stato fondamentale per ridurre l’evolversi della curva dei contagi. Sempre in questa fase iniziale abbiamo dovuto affrontare il problema di dover informare in modo diretto l’intera popolazione: abbiamo messo in piedi un sistema informativo attraverso i canali web e le pagine social del comune con i quali siamo riusciti a comunicare in modo capillare e costante sul continuo evolversi della situazione e sulle ultime direttive che ci venivano inviate dalla Regione e dal Governo. In questa fase parecchi erano i fattori che cambiavano da un giorno

Alessandro Cantù

con l’altro, come per esempio le autocertificazioni e i vari decreti che venivano varati anche in tarda serata, e quindi è stato molto impegnativo tenersi costantemente aggiornati in modo da poter dare una corretta informazione al cittadino». Oltre alla grande paura presente in ogni singolo cittadino, quali altre preoccupazioni ha riscontrato? «Sotto l’aspetto della sicurezza, una mano ce l’ha data anche la paura, che come sempre gioca un ruolo importante nella vita di noi tutti: quando i cittadini hanno capito che non si trattava di una semplice influenza ma che si poteva morire a causa di questo virus, è subentrata la paura e quindi anche una coscienza di controllo dei propri comportamenti che ha aiutato molto nell’autoregolamentare la singola persona. Un grande impegno è stato profuso da tutta l’amministrazione, in collaborazione con le forze dell’ordine, la protezione civile e i volontari, per far percepire un’elevata soglia di attenzione per garantire la salute pubblica. Un’altra preoccupazione che ho riscontrato nella popolazione è stato il senso di incertezza. Come si vede per esempio nei mercati finanziari e in altri settori, quando c’è l’incertezza è sempre più difficile capire come comportarsi. Quando subentrano le certezze, in questo caso le regole e la corretta informazione, ci si riesce ad organizzarsi e a reagire. Ho constatato insicurezza per quanto riguarda la riapertura delle attività, oppure su come poter andare a trovare i familiari o le persone più in difficoltà.

Come comune abbiamo sempre cercato di dare una soluzione e di aiutare i cittadini in quelle situazioni in cui l’incertezza era data dalla carenza di regole». Come reputa sia stata gestita l’emergenza sul nostro territorio? Secondo il suo parere quali sono state le eventuali lacune? «Come sempre gestire un’emergenza non è una cosa semplice, altrimenti non sarebbe tale: c’è sempre una prima fase in cui è possibile prendere delle decisioni che possono rivelarsi sbagliate, ma bisogna essere in grado di poter corregger velocemente la situazione. Sul nostro territorio posso dire che nel complesso c’è stata una buona gestione dell’emergenza, anche se certamente nei primi giorni tanti erano i problemi e tanti erano anche i dubbi, soprattutto dovuti a ritardi nella comunicazione da parte di alcuni organi che potevano informare in modo più veloce e preciso noi sindaci. Inizialmente avevamo informazioni che non ci permettevano di essere totalmente sicuri delle decisioni che andavano prese, quindi la qualità e la velocità della comunicazione nelle fasi iniziali poteva essere certamente migliore. Però successivamente si è riusciti a gestire l’emergenza con buoni risultati. Una cosa molto positiva che ho riscontrato è il continuo interagire tra i sindaci del territorio, che si sono costantemente confrontati per capire insieme come poter intrepretare al meglio quelle numerose norme, non troppo chiare, e riuscire a garantire la migliore protezione per i nostri cittadini».

Ora siamo alla Fase 2, definita dagli esperti la più importante e pericolosa: se in questo periodo verranno commessi passi falsi o gravi errori saranno i cittadini a subire forti conseguenze. Stradella è pronta? «Ora entriamo nella Fase 2, quella che permetterà ai cittadini, in questo caso i miei concittadini, di dimostrare di essere responsabili e rispettosi del prossimo: adesso le regole sono abbastanza chiare, e non molto difficili da rispettare, e quindi se tutti faranno quello che ci è stato suggerito abbiamo la possibilità di tornare ad una vita sicura, anche se non da subito a quella a cui eravamo abituati a prima dell’epidemia. È chiaro che purtroppo c’è il rischio che qualcuno non rispetti queste regole e che questo possa causare un nuovo aumento nella curva dei contagi, costringendoci a prendere decisioni negative in futuro. Stradella è comunque pronta per la Fase 2 e per la ripartenza, con controlli fatti non tanto per reprimere ma per spiegare le regole che dovranno essere rispettate per poter affrontare questa nuova fase». I negozi e la maggior parte degli esercizi commerciali si stanno preparando alla riapertura, con grandi difficoltà si burocratiche che economiche. Devono sostenere importanti spese per riadattare i loro locali alle normative da poco emesse: per alcuni, dopo una chiusura di alcuni mesi, questo può essere motivo di non riapertura. Il comune come pensa di affrontare questa problematica? Quali aiuti è disposto a dare? «Certamente chi avrà più difficoltà saranno quelle attività che solitamente prevedono contemporaneamente la presenza di più persone all’interno dei loro locali, come per esempio bar, ristoranti, negozi di abbigliamento o parrucchieri. Io penso che nel momento in cui ci saranno norme certe queste attività sapranno reagire alla grande, perché anche in questo caso ciò che fa paura agli esercenti è il non sapere cosa e come fare. Con regole certe tutti sapremo trovare una soluzione e anche noi, come Comune, cercheremo di dare una mano a tutti, perché anche chi ha locali di piccole dimensioni deve essere tutelato e aiutato a ripartire. Con l’aiuto dei commercianti stiamo valutando diverse ipotesi per facilitare la riapertura, magari aumentando gli spazi a disposizione delle attività, ricordando chiaramente che l’obiettivo resta quello di garantire la salute pubblica evitando assembramenti». In alcune città le amministrazioni hanno deciso di sospendere la tassa per l’occupazione del suolo pubblico, per incentivare bar e ristoranti.


stradella Il Comune di Stradella che decisione ha preso in merito? «Tra le ipotesi valutate ci sono anche misure di aiuto per i commercianti come la riduzione o la cancellazione della tassa d’occupazione del suolo pubblico, oppure misure per incentivare il commercio. Queste decisioni non sono ancora state prese ma siamo nella fase finale perché adesso è arrivato il momento della riapertura. Certamente qualche misura importante verrà attuata. Veicoleremo anche le opportunità di bandi di Regione Lombardia che possono essere una mano tesa in questo momento». Stradella è nota anche per le sue belle boutique: sono in grado di affrontare questa delicata fase, soprattutto in materia di distanziamento? «Il distanziamento è alla base di questa Fase 2. Io sono sicuro che tutti i commercianti e gli esercenti sapranno far fronte a questo problema e saranno in grado di tornare a vendere, a sorridere e a far girare nuovamente l’economia di Stradella. Li vedo molto determinati e preparati; si stanno riorganizzando e vogliono solo sapere con certezza le norme da applicare». Parliamo di famiglie: Stradella come sta intervenendo in aiuto dei nuclei familiari bisognosi? «Giustamente non bisogna parlare solo di commercio: l’amministrazione è molto vicina ai suoi cittadini e in questo periodo di estrema difficoltà per una grande parte della popolazione, ha messo in campo delle misure straordinarie.

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«I nostri commercianti? Li vedo molto determinati e preparati; si stanno riorganizzando» Siamo riusciti a gestire velocemente i fondi che ci sono stati inviati. Già prima di Pasqua avevamo distribuito i buoni spesa in modo tale da non lasciare indietro nessuno, vagliando tutte le richieste e distribuendo contributi per nucleo familiare e pacchi alimentari, cercando di soddisfare tutte le richieste dei cittadini. Chiaramente non sono stati distribuiti soldi “a pioggia”, ma ogni richiesta è stata esaminata ed è stata soddisfatta nel modo più opportuno, con misure mirate al vero sostegno dei cittadini. A livello sociale abbiamo attuato anche aiuti per le donne in difficoltà, con centri d’ascolto; abbiamo ricevuto un grandissimo sostegno da parte di protezione civile e Croce Rossa Italiana per la consegna di spesa e farmaci a domicilio che venivano regolarmente a casa delle persone indisposte. Grazie ai volontari abbiamo avviato un meccanismo di consegna nominativa delle mascherine, permettendo di consegnarne undicimila personali». Per quanto riguarda gli asili, la chiusura crea numerosi problemi alle mamme lavoratrici.

Avete pensato a qualche soluzione per quanto riguarda gli asili nido e le ludoteche? «Chiaramente in questa Fase 2 ci saranno chiaramente delle difficoltà per i lavoratori che hanno figli a casa. Come sappiamo il Governo dà la possibilità di richiedere, dove possibile, lo smart working alle persone che hanno figli minori di 14 anni. Ad oggi stiamo ancora attendendo le indicazioni per quanto riguarda la regolamentazione degli asili o dei centri estivi, per cui non sappiamo ancora quali siano le situazioni attuabili». Com’è cambiata la “macchina” burocratica del Comune in questo periodo? «Prima si era abituati ad interfacciarsi di persona e quindi abbiamo dovuto rimodulare il sistema nel modo più funzionale possibile. Siamo riusciti a ricevere su appuntamento, nonostante la chiusura al pubblico degli uffici, e a garantire la corretta gestione delle attività comunali, come da regolamenti ministeriali. Ringrazio i dipendenti comunali per l’attività realizzata».

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L’Ospedale di Stradella ha avuto un ruolo importante in questa emergenza…. «È stato fondamentale il supporto dell’Ospedale di Stradella che in questa fase ha ospitato diversi pazienti positivi. Vorrei fare un ringraziamento a tutti i medici, al personale sanitario (e non) che grazie alla loro preparazione e al loro sacrificio hanno permesso di uscire, per il momento, da questa fase inziale dell’emergenza ottenendo un risultato eccezionale in questo periodo. Ora l’ospedale sta tornando gradualmente alla normalità, riorganizzando i propri reparti e ripristinando le sue funzioni. Il presidio ospedaliero sul territorio è davvero importante a livello locale e provinciale». Un messaggio ai suoi concittadini... «Io abito vicino all’ospedale e, in questo periodo molto difficile, sentire arrivare un’ambulanza era come ricevere una pugnalata: ci sono stati giorni in cui ne passavano un numero esagerato. Ho sofferto veramente tanto e ho sentito, insieme alla mia giunta, il peso di tutte le mie responsabilità e di ogni mia decisione. Questo però ha rafforzato in me la volontà di essere sempre presente ed aver come obbiettivo principale la salvaguardia della salute dei cittadini: da lì bisogna partire per rialzarsi e riuscire a tornare una Città vicina ai cittadini, che saprà essere da traino per l’Oltrepò Pavese». di Manuele Riccardi



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«Il nostro futuro? Tirare a campare senza un guadagno effettivo» Il coronavirus ha colpito pesantemente i paesi italiani e non solo dal punto di vista sanitario. Anche gli imprenditori in vari settori hanno purtroppo attraversato e stanno passando momenti molto delicati dovuti alla pandemia che li ha costretti a chiudere o a ridefinire le proprie attività. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Filippo Savini, imprenditore stradellino proprietario di tre locali in città. Filippo, il lockdown ha colpito pesantemente il mondo del food e beverage. Ad oggi lei è in grado di quantificare il danno economico che ha subito? «Il mancato incasso di tutti questi weekend e di tutte le ricorrenze, a partire dalla festa della donna, può essere intorno ai venti mila euro… forse certi locali hanno perso un po’ di più, altri meno». Sono stati decisi modi e tempi di riapertura, la parola d’ordine è “restrizioni”. Quali sono concretamente queste restrizioni e si è già attivato per adeguare il suo locale alle nuove linee guida? «Sì, ci stiamo attivando, certo, ma ci si attiva ad una cosa che va contro natura…». In che senso? «Il bar, il ristorante e simili sono attività per cui alla base c’è una ricerca del sociale, quindi c’è bisogno di socializzazione, delle persone che si riuniscono in un posto, di assembramenti vari ed è quindi contro quello che sono le nuove leggi, quindi noi dobbiamo per forza aprire mantenendo degli standard che vanno contro la natura della nostra impresa e questo è molto complicato aldilà di distanziamenti, di tavoli, plexiglass e quant’altro... Una persona non va al bar per bere il caffè perché ha sete, va al bar per bere il caffè perché la “pausa caffè” è socializzazione, si stacca la testa, si pensa ad altro, si parla con gli altri. Per attrezzare il locale mi sono già organizzato con la sanificazione, che stiamo facendo, anche se comunque i nostri locali sono puliti sempre». Per i distanziamenti che sono previsti cosa ne pensa? «Sicuramente la storia dei distanziamenti è per noi un problema, anche perché chi ha un attività così ha dei dipendenti e si sa che nel momento in cui si apre si hanno delle spese fisse che sono enormi, anche per le tasse e così via… con una capacità ridotta al cinquanta per cento ovviamente non si riescono in pratica a coprire neanche le spese e quindi probabilmente molti locali non apriranno nemmeno, perché conviene tenere chiuso». Quali costi ha dovuto sostenere per adeguare il locale? «Abbiamo speso 200 euro per sanificarlo periodicamente, poi abbiamo acquistato mascherine, gel, prodotti e guanti per tutti... per ora più o meno abbiamo speso 600

euro, ma per ora. Stiamo ancora aspettando le linee guida definitive». A suo giudizio un ristorante può lavorare (non in perdita) con le restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria? Pensiamo ad esempio alle distanze di sicurezza tra le persone che comporteranno una drastica riduzione dei posti... «Purtroppo in Italia c’è una concezione un po’ sbagliata, si pensa che viviamo nell’oro. In realtà il ristorante ha dei margini molto piccoli. Alla fine dell’anno il margine sul totale incassato si aggira intorno al 5%, 8% se si è lavorato molto bene. Sarà un tirare a campare, senza la possibilità di avere un guadagno effettivo e con tanto sacrificio per riuscire a pagare le tasse. Il nostro “roseo” futuro è questo…». Dopo un primo tempo di chiusura totale i ristoranti e anche i bar hanno intrapreso la “strada” del takeaway. Come sta andando? «Il take-away diciamo che è sempre un tirare a campare anche quello. Io mi sono inventato qualcosa di particolare con la secret box che sta funzionando bene. Certo è che bisogna avere un sacco di immaginazione e fantasia e bisogna sempre reinventarsi. Diciamo che per il White Rabbit è più una sorta di delivery, mentre per l’altro mio locale, il bar ‘Vintage’, il take-away funziona molto bene per l’aperitivo, grazie anche alla posizione centrale della città in cui si trova. Mentre il mio terzo locale, il pub Neverland è chiuso perché ha dei costi fissi molto elevati e conviene quindi non aprire al momento». La risposta da parte della clientela è positiva. Non crede che sia solo un momento dovuto alla voglia di un minimo di normalità ma che sarà un entusiasmo che andrà a scemare con il tempo? «La gente adesso non ha molta scelta quindi accetta il take-away. Penso però che possa funzionare molto bene in città, ma in un posto come Stradella lascia il tempo che trova. Adesso va bene, ma non penso che possa aprire un locale solo takeaway in questa zona. Certo è che noi una sorta di take-away la facevamo già, sia al White Rabbit che al Neverland, quindi ci sarà magari un incremento in questo senso, ma diciamo che non è su questo che un locale deve e può basarsi...». Prima parlava della sua secret box... ce la racconta? «In pratica è una scatola che ti arriva a casa e non sai quello che mangi! Il concetto è come la scatola del Lego, perché all’interno tutti gli ingredienti sono stati porzionati, messi in buste numerate, con dei messaggi e dei video su whatsapp con i nostri cuochi che cucinano, passo dopo

Filippo Savini, imprenditore stradellino proprietario di tre locali in città

«Se c’è assembramento davanti ad un supermercato la gente è cretina, se c’è assembramento davanti ad un bar, il barista è cretino… Una cosa che proprio non capisco». passo, tutti gli ingredienti all’interno della scatola e le persone possono così preparare i loro piatti. è molto divertente perché poi c’è la condivisione sui social. Ho cercato di studiare un intrattenimento culinario: mangiare non è solo mangiare, ma deve essere anche soddisfare un bisogno di intrattenimento, soprattutto in un periodo in cui si doveva stare chiusi in casa, senza molto da fare». Nel suo ristorante quante persone lavoravano prima del Covid? E nell’immediato futuro come sarà? «Nel mio ristorante ci lavorano circa dieci persone, ma con queste nuove regole le persone che avevo “a chiamata” dovranno stare a casa, c’è poco da fare… è tutto in proporzione ovviamente». A livello locale avete ricevuto o riceverete aiuti? «Il comune di Stradella si è attivato subito e abbiamo fatto una bella riunione, dove hanno ascoltato noi ristoratori e baristi e dove ci hanno chiesto cosa potevano fare per noi.

Noi naturalmente abbiamo detto le nostre esigenze. Al momento siamo ancora vincolati dalle linee guida che ci arrivano “dall’alto”, però sono sicuro che il nostro Comune ci aiuterà, perché l’amministrazione sa che bar e ristoranti sono il traino del commercio della città». Lei fa parte di coloro che nonostante le restrizioni riaprirà i suoi locali. A Stradella com’è la situazione, apriranno tutti? «Dovrebbero aprire quasi tutti, direi l’80%: a Stradella la gente ha voglia di uscire, quindi ci saranno di sicuro molti controlli e forse qualche problema di ordine pubblico. Questo è quello che penso e l’ho scritto anche sui social: “se c’è assembramento davanti ad un supermercato la gente è cretina, se c’è assembramento davanti ad un bar, il barista è cretino”… Una cosa che proprio non capisco». di Elisa Ajelli


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«Guerra e pandemia hanno una sola cosa in comune: la paura» In questi lunghi giorni di “coprifuoco” abbiamo sentito dire da amici e conoscenti, ma anche da giornalisti ed esperti, frasi come “sembra di essere in guerra” oppure “questa è una guerra contro un nemico invisibile”. Mettere sullo stesso piano un coprifuoco da guerra con questa quarantena da epidemia è forse un paragone un po’ troppo azzardato. Durante la guerra ai giovani veniva richiesto di lottare per difendere la loro patria dal nemico e dell’invasore, mettendo a repentaglio la loro stessa vita: in questa pandemia invece a loro viene richiesto di rimanere a casa, nella più totale sicurezza, per salvaguardare la loro salute e la vita dei loro cari. Forse l’unica analogia che accomuna queste due situazioni è il forte senso della paura. Abbiamo voluto intervistare “un giovane” stradellino che il prossimo 21 giugno si appresta a compiere un secolo di vita, Luigi Parisi, uno degli ultimi oltrepadani reduci del fronte russo iscritti alla Sezione UNIRR di Stradella-Oltrepò. Classe 1920, nel luglio 1942, a soli 22 anni appena compiuti, partì con il 3° Gruppo del 2° Reggimento Artiglieria di Corpo d’Armata verso il fronte orientale, per quella che sarà la “Campagna di Russia” (svoltasi tra il luglio 1941 e la primavera del 1943, quando iniziarono i primi rimpatri dei pochi superstiti). Rientrato in Italia ha vissuto le ultime fasi della guerra, l’8 settembre, la resistenza, la liberazione dal nazifascismo e la ricostruzione. Negli anni successivi ha partecipato come imprenditore al rilancio dell’economia locale in quello che sarà conosciuto come il “boom economico degli

Luigi Parisi anni ’60”: una fase di rilancio che similmente oggi molti si aspettano terminato questo periodo di emergenza sanitaria. Luigi, com’era la sua vita e com’era vivere sotto il fascismo, prima dello scoppio della guerra? «Quando ero piccolo durante la scuola elementare come tutti i ragazzini della mia età ero un giovane “balilla”. Ogni tanto ci facevano marciare tutti insieme ed io segnavo il passo con un tamburino: qualche volta svolgevamo questa operazione in un campo all’aperto che io conoscevo come “campo degli anziani”. Si trovava appena fuori dal centro abitato di Stradella verso le colline.

Bisognava iniziare a marciare con il piede destro ma non tutti i bambini partivano con il piede giusto, per cui spesso e volentieri si creava confusione ed i nostri istruttori si arrabbiavano. Diverse volte da bambino andavo con mio nonno a casa dei Codazzi, nostri cugini alla lontana, a Pieve Porto Morone. Facevano il formaggio, avevano un macello e conducevano una bottega di salumeria: era un ambiente molto stimolante per cui alla fine delle scuole elementari mi sono trasferito da loro per imparare il mestiere. Rimasi fino ai 17 anni ma poi ritornai a casa dai miei alle Piane, perché due giorni alla settimana dovevo andare a Stradella a fare il premilitare. In questi incontri ci facevano marciare e ci istruivano sulla vita militare, ma senza utilizzare armi o simili. Durante questo periodo lavoravo presso una salumeria a Stradella, tutt’ora esistente». Penso che il sentimento che Lei ha provato durante la lettura della cartolina militare sia indimenticabile. Riesce a descrivercelo? «Di fatto ero preparato alla chiamata, avevo diversi amici di qualche anno più grandi di me che mi raccontavano e con cui si discutevamo sulla vita di leva. Girava voce che andare a militare con la patente sarebbe stato un vantaggio per cui io ed alcuni amici, Scarani, Marchesi e Fellegara, decidemmo di prenderla. A quei tempi però la scuola guida più vicina era a Pavia e non aveva posto per noi quattro, per cui ci siamo accordati con l’istruttore che sarebbe venuto a Stradella di notte per impartirci le lezioni di guida.

Abbiamo utilizzato una Balilla a tre marce. Quando è arrivata la cartolina quindi io avevo già la patente ed è per questo che mi hanno assegnato al Sergente Lori nel reparto dei trattoristi. Dopo opportuno addestramento la mia mansione era quella di “Trattorista del Pavesi P4” (trattore agricolo corrazzato ed utilizzato dal Regio Esercito come motrice d’artiglieria dal 1924 al 1945, n.d.r.). A militare non ho solo imparato a guidare questo mezzo, che non era cosa semplice, ma mi sono anche appassionato di meccanica: non eravamo dei semplici autisti, ma anche i meccanici del nostro mezzo». Parliamo della sua esperienza al fronte: mi descriva la sua partenza e il viaggio verso la Russa «Tutti ci aspettavamo prima o poi di partire per il fronte Russo, dato che già ad altri era capitato. Il tenente Maccaroni ci ha informato con largo anticipo che a luglio 1942 sarebbe partita la nostra tradotta per la Russia. Il sergente Lori, capo dei trattoristi, ha coordinato il caricamento degli autocarri e trattori sui vagoni. Il viaggio è durato 11 giorni ed io l’ho passato sul trattore così come i miei compagni Repetto e Crosetti. Ciascuno ha preparato delle coperte per dormire e scorte alimentari e, specialmente con Repetto, ci trovavamo per mangiare insieme e passare il tempo». Oltre a Lei c’era qualche altro parente o conoscente sul fronte russo? «Nessun parente e neanche conoscenti. Ricordo solo Orlandi Agostino, un soldato che ho conosciuto ad Acqui durante il


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Luigi Parisi, uno degli ultimi oltrepadani reduci del fronte russo, si racconta servizio militare: faceva il porta ordini in moto ed era residente a Roncole (Montù Beccaria) dove aveva un negozio di biciclette. Agostino però non partì per la Russia». Nella fase iniziale della spedizione, come si svolgeva la “giornata tipo”? «Arrivati sul Don ci siamo accampati, abbiamo piazzato i cannoni ed iniziato a costruire i dormitori in previsione dei mesi freddi: erano ricavati scavando delle specie di “trincee” che poi venivano coperte con tronchi di alberi, fogliame, etc., quindi il lavoro non mancava. All’inizio io dormivo sul trattore mentre i serventi al pezzo (coloro che in artiglieria hanno il compito di azionare il meccanismo di sparo, ndr) nelle tende ma poi, quando è arrivato il freddo, ci siamo trasferiti nei dormitori. Siamo rimasti in posizione sul Don fino a metà dicembre circa quando è iniziata la ritirata». Ha combattuto in prima linea? «No, il mio gruppo non era in prima linea sul fronte: di fatto tutto non abbiamo sparato che pochi colpi, perché abbiamo praticamente ripiegato quasi subito in ritirata». La ritirata dell’ARMIR scrive una delle pagine più sconvolgenti della storia dell’esercito italiano. Cosa ricorda di quei terribili giorni? «La prima parte della ritirata l’ho fatta sul trattore, almeno fino a Voroscilovgrad: poco dopo sono rimasto senza benzina, che era praticamente impossibile da trovare, per cui l’ho parcheggiato a lato della strada e l’ho abbandonato. Insieme ai serventi al pezzo ci siamo inseriti nella colonna appiedata, il famoso “serpentone”, con la

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quale siamo arrivati ad Arbusov: qui siamo stati fortunati perché il posto, che poi sarebbe stato bombardato dai Russi, era già pieno di soldati e per questo noi ci siamo accampati in periferia. Il mio gruppo è riuscito così a salvarsi, ma sorte differente è capitata a quei poveri soldati che si trovavano in quella sacca. Nel lasciare Arbusov siamo stati costretti a dovere camminare in mezzo ad un tappeto di uomini morti e agonizzanti, ma non c’era tempo per fermarsi: è stato terribile. Immagini che ho ancora davanti agli occhi. Da lì a piedi ho raggiunto Cerkovo, dove ho saputo che a Dnepropetrovsk potevo prendere il treno per tornare in Italia. Sono arrivato a Dnipropetrovsk con diversi mezzi di fortuna: a piedi, in sella ad un mulo e strappando un passaggio a dei civili. In tutti quei giorni i civili russi non mi hanno mai rifiutato un pasto caldo ed un posto per dormire. Arrivato in città sono stato ospite di una carissima famiglia fino alla partenza per l’Italia. Durante il viaggio di ritorno ci siamo fermati circa 8 giorni per effettuare la cosiddetta “contumacia”, un periodo di disinfezione prima di proseguire il viaggio per l’Italia. Purtroppo, appena arrivato in patria mio padre è mancato». Al momento dell’armistizio avrà provato sicuramente una forte emozione. Riesce a descrivercela? «Al tempo ero in caserma e qualche giorno prima ero riuscito con qualche sotterfugio a farmi ricoverare per una “sospetta appendicite” nell’ospedale italiano: qui sono riuscito a contattare degli amici di Rivalta Bormida e una mattina, con il loro aiuto, sono scappato. A Rivalta poi ho preso il treno per tornare a casa, ma non è stato facile: le stazioni erano presidiate e ad ogni fermata salivano i militari a controllare i passeggeri: io allora scendevo per non farmi vedere, e poi risalivo appena prima che il treno partisse. Il periodo successivo, con altri “renitenti”, andavo a lavorare alla TODT a Parpanese. In teoria avremmo dovuto lavorare presidiati dai tedeschi ma di fatto non facevamo granché: era solo un modo per tenerci sotto controllo. Quando il numero di tedeschi ha iniziato a crescere rispetto ai lavoranti io e il mio amico

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Parisi e alcuni commilitoni del II Reggimento Artiglieria Corpo d’Armata - III Gruppo

Renzo abbiamo deciso che alla TODT non ci saremmo più tornati e ci siamo uniti ai partigiani capitanati da Bassanini a Santa Maria della Versa». E nei giorni della liberazione? «Ai tempi mi trovavo insieme ai partigiani capitanati da Bassanini. Le giornate passavano tenendoci in allenamento con corse, salti, ginnastica, mentre la notte facevamo gli appostamenti. Dopo la liberazione c’era tanta confusione in giro per Stradella ma appena ho potuto sono tornato dalla mia famiglia alle Piane». Sicuramente Lei è ritornato diverso: è un’esperienza che l’ha segnata molto? «Rispetto a molti altri che hanno vissuto la guerra al fronte io sono stato nelle retrovie, non ho mai combattuto in prima persona, ma ho visto la morte di molti dei miei compagni, commilitoni, amici e sconosciuti, immagini che ho fissato nella memoria e che non dimenticherò mai. Tante sono le persone che mi hanno aiutato e che non ho potuto ringraziare come avrei voluto: sarebbe stato bello avere avuto l’occasione di poterle rincontrare e ringraziarle nuovamente». Il dopoguerra e il grande boom economico degli anni ’60: cosa ricorda di quegli anni? «Era un Italia distrutta ma avevamo tanta voglia di lavorare e di ricostruire il Paese. Un giorno, dopo la fine della guerra, sono capitato a Piacenza nei pressi del campo RAR (residuati di guerra, n.d.r.). Lo spazio

era pieno di mezzi dismessi della guerra appena finita. Guardando quell’immensi distesa di rottami mi è venuta voglia di prenderli per poterli fare rivivere. Così è nata l’idea di aprire una carrozzeria. Ho quindi reclutato alcuni amici che come me avevano la passione per la meccanica ed abbiamo fondato la “Carrozzauto”. Sono stati anni frenetici di duro lavoro, di debiti, ma anche di riscatto e grandi soddisfazioni». Veniamo ad oggi: spesso sentiamo dire che ci sia un’analogia tra la guerra da Lei pienamente vissuta e l’attuale emergenza sanitaria. È capitato di imbattersi in paragoni del tipo “Questa è una guerra contro un nemico sconosciuto” oppure “Con il coprifuoco sembra di essere tornati in guerra”. Lei cosa ne pensa? «La guerra che ho vissuto io è completamente diversa da quanto sta capitando in questi giorni. Dal mio punto di vista non si possono paragonare. Non ci sono analogie se non quella della grande paura». Quale consiglio si sente di dare ai giovani d’oggi, alcuni anche indisciplinati (per fortuna pochissimi), che si lamentano di queste restrizioni? «Si tratta di disposizioni temporanee a cui bisogna attenersi, da parte di tutti. Dovrebbero essere seguite sia da giovani che da anziani, per il bene dell’intera comunità e per il reciproco rispetto». di Manuele Riccardi



SANTA MARIA DELLA VERSA

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«A Dublino hanno accettato la situazione, nessuna protesta, perché sanno di essere tutelati economicamente dal governo» In questi giorni stiamo assistendo a numerose proteste di commercianti e lavoratori che non ritengono adeguate le misure economiche che il Governo Conte ha introdotto per far fronte alla crisi che stiamo vivendo. Ma come si stanno comportando i governi esteri? Isabella Testori, originaria di Santa Maria della Versa, da alcuni anni vive a Dublino ed è Customer Success Specialist per una società che gestisce una piattaforma di shopping online per veicoli usati. Sarà lei a raccontarci come sta affrontando la quarantena lontano dall’Italia e come il governo irlandese si sta muovendo per tutelare i cittadini e i lavoratori. Isabella, da quanto tempo vive e lavora in Irlanda? «Sono partita nel 2013, sono 7 anni che sono in Irlanda». Come mai questa scelta? «Dopo aver lavorato per un certo periodo a Milano, realizzai che non era quello che volevo e che avrei fatto fatica a raggiungere certi risultati che mi ero prefissata, in modo da poter avere una maggior indipendenza. Dopo essermi confrontata con diversi amici che si erano già avventurati a lavorare all’estero, decisi di informarmi per intraprendere un’esperienza fuori dall’Italia. Non ho iniziato questo percorso da sola ma tramite l’Università di Pavia, la quale aveva emesso un bando che permetteva di poter lavorare per tre mesi all’estero. Sempre l’Università mi organizzò alcuni colloqui con aziende di Dublino e mi aiutò a trovare un alloggio. Iniziai a lavorare per un’azienda che, scaduti i tre mesi, decise di tenermi. Per questo motivo non sono più tornata a lavorare in Italia». Quando è iniziata l’emergenza coronavirus in Irlanda? Ci sono stati molti decessi? «Qui da noi l’emergenza è iniziata il 17 marzo, con la chiusura dei Pub e l’inizio delle attività lavorative in smart working, che qui da noi si chiama “working from home”. Le aziende però hanno iniziato a tutelare i lavoratori molto prima dell’inizio ufficiale dell’emergenza: infatti, chi tornava dall’Italia, che era l’unico Stato contagiato, era costretto a stare in quarantena, come è accaduto ad alcuni miei colleghi. Adattarsi al lavoro da casa non è stato difficile perchè in molte aziende irlandesi, è un protocollo già collaudato. Il Governo, già due settimane prima dell’inizio dell’emergenza, aveva deciso di annullare la Parata di San Patrizio, prevista proprio per il 17 marzo. Ad oggi si contano circa 1500 decessi, su un totale di 5 milioni di abitanti: rispetto all’Italia il rapporto è nettamente inferiore». Quindi possiamo dire che il governo ha agito in modo tempestivo? «Sicuramente il governo, vedendo la situazione estera, ha avuto più tempo per prendere decisioni e ha agito chiudendo immediatamente i pub e i locali pubblici.

Inoltre, gli irlandesi hanno da subito avuto paura di questo virus, in quanto erano consapevoli che i letti in terapia intensiva non sarebbero stati sufficienti nel caso in cui l’epidemia fosse dilagata. L’Irlanda è uno stato piccolo, con un sistema sanitario che non è paragonabile a quello italiano o lombardo, quindi i cittadini si sono autotutelati da subito senza particolari problematiche». La sua famiglia è in Italia. Le notizie che le arrivavano da qui le hanno permesso di tutelarsi in anticipo? «Essendo costantemente in contatto con la mia famiglia e i miei amici in Italia, mi sono immediatamente informata per poter lavorare in smart working e praticamente mi sono chiusa in casa, facendomi consegnare la spesa a domicilio e limitando al minimo le uscite non indispensabili. Avendo informazioni dirette dall’Italia, io e i miei amici italiani a Dublino abbiamo preso più precauzioni rispetto ai nostri colleghi irlandesi: ricordo che durante i primi giorni in cui io lavoravo da casa, loro uscivano normalmente e si vedevano con amici e parenti, perché poco informati sul contagio da asintomatici. Grazie a tutte le indicazioni giunte a noi anticipatamente dalle nostre famiglie siamo riusciti certamente a tutelarci nel modo più corretto». Qui in Italia ci sono state parecchie difficoltà a reperire mascherine e disinfettanti: ora abbiamo il problema dei guanti in lattice. Anche voi avete avuto queste mancanze? «Le mascherine, ma anche i guanti, qui in Irlanda non sono mai stati obbligatori, e non lo sono tutt’ora: molta gente le indossa per decisione personale. Però tutti i supermercati sin da subito si sono adattati facendo distanziare i clienti all’ingresso e fornendo guanti e gel disinfettante: non ho constatato casi di ressa o confusione. La disponibilità di dispositivi di sicurezza è ancora garantita proprio perché non c’è ancora stata una vera e propria campagna sull’utilizzo intensivo». Il popolo irlandese come si è comportato nella fase iniziale? E ora? «Gli irlandesi solitamente sono un popolo ligio al dovere, che rispetta sempre ciò che gli viene indicato: hanno un approccio completamente diverso da quello italiano». Come ne ha risentito il suo lavoro? «L’azienda per cui lavoro ha sede negli Stati Uniti, a Boston, ed è presente in diversi paesi. Ne ha risentito parecchio perché è stata costretta a chiudere tutti i mercati internazionali, eccetto quello inglese. Per colpa dell’emergenza Covid_19 da subito ha chiuso le vendite in Italia, Spagna, Francia e Germania perché erano mercati da poco iniziati e, dato che non vi erano buone previsioni, ha ritenuto di non concentrare altri sforzi in questa situazione critica. Per questo tutti i miei colleghi che si occupavano di questi mercati sono stati lasciati a casa in “redundancy”, cioè vengono ancora pagati per qualche mese, in base ai vari

contratti, e poi licenziati. Io mi sono salvata solo per il fatto che, sin da quando sono stata assunta, lavoro nel mercato inglese, altrimenti sarei stata licenziata anche io. In generale molte persone che lavorano a Dublino, tra cui molti miei amici italiani, sono state licenziate perché le loro aziende hanno previsto che il mercato italiano non si sarebbe sollevato velocemente e per loro sarebbe stata una perdita. Il commercio qui da noi Isabella Testori, italiana trapiantata a Dublino ha subito una forte scossa, sia iniziale che ora per l’adattamento questi fondi, ha comunque a disposizione alle normative sanitarie di distanziamento la disoccupazione che è una buona garanzia. Posso affermare che qui il governo sta e sanificazione». Quali regole ha dettato il governo irlan- supportando economicamente i cittadini nel migliore dei modi». dese? «Anche qui il commercio ne ha risentito. Lo “straniero” che tipo di tutela ha? Vorrei ricordare che molte aziende estere e «Di fatto a Dublino già se lavori per sei multinazionali stabiliscono qui la loro sede mesi non vieni più considerato come uno legale, in quanto siamo uno degli Stati eu- straniero e, se licenziato, hai già diritto alla ropei con le migliori agevolazioni fiscali. disoccupazione: se tu vieni a lavorare in Inoltre, l’Irlanda vive molto di turismo ed Irlanda sei da subito tutelato. Non c’è una eventi sportivi: essendo questi settori i più divisione tra straniero e non. Anche chi colpiti, gli irlandesi hanno il terrore del- stava facendo la stagione breve, magari lala recessione, perché si tratta di un Paese vorando nei ristoranti, sebbene non abbia piccolo, con pochi abitanti e poche altre diritto alla disoccupazione ha comunque la risorse. Per quanto riguarda le normative possibilità di accedere ai bonus di 350 euro sanitarie non ci sono state ancora partico- settimanali per l’emergenza Covid-19. Non lari indicazioni, si deciderà nelle prossime ci sono state ancora manifestazioni di prosettimane. Qui hanno previsto cinque fasi, testa di persone che non sono riuscite ad di cui la prima, diciamo di “no lock down”, accedere a questi fondi, quindi penso che appena iniziata. Le altre sono previste per non ci siano stati problemi. Se lavori o hai l’8 giugno, il 29 giugno, il 22 luglio e il 10 lavorato qui, anche per poco, sei tutelato». agosto: l’ultima fase è quella che prevederà Pensa che la situazione irlandese sia stala riapertura di pub, ristoranti ed estetiste. ta gestita in modo corretto? Qui si procederà molto più lentamente ri- «Sicuramente io sono stata molto tutelata, spetto all’Italia. I pub irlandesi non hanno in primis dalla mia azienda: già dopo i prinulla a che fare con i bar italiani: sono pic- mi casi ci ha consentito di lavorare in smart coli, stretti e pieni di clienti con tassi alco- working facendoci avere subito a casa tutto lici spesso elevati: mantenere il distanzia- quello che ci serviva. Non siamo più tornati in azienda e penso che non ci torneremo mento sarebbe praticamente impossibile». Quale supporto sta dando il governo ai fino al prossimo anno, perché non ne abbiamo motivo: possiamo chiamare i clienti da commercianti e ai cittadini? «Sicuramente il commercio subirà un duro casa e fare meeting con i colleghi tramite colpo e si dovrà far fronte a parecchi pro- Zoom. Le persone che conosco e che hanblemi, ma ritengo il governo irlandese im- no perso il lavoro sono già state tutelate. In battibile nel supporto ai cittadini e ai com- generale, tutti rispettano le norme e non ci mercianti. Per esempio, chi vive in affitto, sono state proteste, nemmeno da parte dei nel caso in cui non fosse in grado di pagare gestori di pub e di ristoranti: hanno accettala mensilità, ha la possibilità di aver abbo- to la situazione perché sanno di essere tutenata qualche rata in accordo col padrone di lati economicamente dal governo. Magari casa; anche molti ristoranti sono stati esen- ci saranno problematiche riguardo qualche tati dal pagamento delle mensilità, sempre persona o attività che non verrà aiutata, ma in accordo con il proprietario. Fortunata- di questo al momento non ne sono a conomente la maggior parte delle persone che scenza. Per ora mi sento tranquilla perché conosco hanno ancora un lavoro e hanno ritengo che la situazione sia gestita in modo deciso di non avvalersi di questa possibili- corretto, anche se non posso sapere fino a tà. Chi è stato licenziato ha a disposizione quando il governo potrà garantire questi circa 350 euro a settimana per l’emergenza supporti economici». di Manuele Riccardi Covid-19 e, se non riescono ad accedere a


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ARTE & CULTURA

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«A Mornico Losana, atmosfera perfetta per ogni artista» Miriam Di Fiore, nata a Buenos Aires da genitori italiani, coltiva la passione per l’arte dall’età di cinque anni, quando si trasferisce a Miramar, piccola città sull’Oceano Atlantico. Una volta conseguita la Laurea in Ceramica e Educazione Artistica, apre nel 1985, a Milano, il suo primo studio, dove inizia a sperimentare con il vetro. Grande manipolatrice di ogni tipo di lavoro possibile in fusione, all’inizio si concentra su piccoli oggetti, passando successivamente al design e all’architettura d’interni, producendo grandi pezzi per porte e finestre.Tra il 1997 e il 1999 migliora la tecnica aggiungendo un effetto ottico di grande profondità nella creazione delle sue opere e nel 1999 Miriam espone per la prima volta a Murano; dal 2000 al 2013 lavora con la Mostly Glass Gallery, galleria d’arte negli USA . L’attività artistica di Miriam, si lega a quella didattica per l’infanzia a livello internazionale, iniziata nel 1986, che l’ha condotta dall’America all’Asia, fino ad arrivare all’Europa e all’Australia. Nel 2006 si trasferisce con il marito a Mornico Losana, paesino dell’Oltrepò Pavese, dove apre il suo laboratorio, fulcro di tutte le creazioni, in cui riceve allievi da ogni parte del mondo. Miriam, da quanti anni ha intrapreso l’attività di “artista del vetro”? «Ho iniziato ufficialmente nel 1985, data di fondazione della mia ditta artigiana, ma le prime sperimentazioni risalgono al 1976, in Argentina». Che tipo di formazione ha seguito? «Giovanissima, ho completato gli studi universitari di Ceramica e Disegno alla Scuola Nazionale di Ceramica di Mar del Plata. Un giorno vidi casualmente un oggetto in vetro fuso, prodotto nel laboratorio di vetrate artistiche della scuola e la mia mente esplose letteralmente al pensiero di lavorare quella materia a quei tempi molto misteriosa, dato che si trattava di un’arte relegata alle fornaci. La fusione del vetro è un’arte antichissima, abbandonata nei secoli a favore della soffiatura. Scoprire di avere la possibilità di modellare e trasformare il vetro usando i forni per la ceramica, è stata una vera rivoluzione nel mondo dell’artigianato e risale agli anni ’70; i primi sperimenti furono realizzati negli USA, successivamente si diffusero in Europa e in Sud America. Nella mia formazione mia madre (Aurelia Cuschiè Di Fiore, illustratrice argentina, pittrice, scultrice e poetessa ) è stata fondamentale. Sono cresciuta pasticciando tele nel suo studio, ascoltando musica classica e leggendo libri di Storia dell’Arte e Archeologia, materie che mia madre

Miriam Di Fiore, artista del vetro e docente dell’arte vetraria

amava e condivideva con me, mia sorella e mio fratello, coltivando in noi il seme di una precoce cultura classica, la curiosità per la bellezza della natura e la meravigliosa creatività dell’animo umano». Esiste nelle sue opere un legame molto profondo con la natura, in modo particolare con il bosco. Perchè? «Sono nata a Buenos Aires ma, all’età di cinque anni, la mia famiglia si trasferì a Miramar, sulla costa atlantica, dove esiste un bosco enorme di pini marittimi, acacie e eucalipti, piantato all’inizio del ‘900 per fermare le dune e permettere la crescita della città. In questo bosco, che noi chiamavamo il Vivero, la mia infanzia è trascorsa gioiosa, a pieno contatto con la natura. Da allora, non esiste spazio, ambiente, territorio, che mi sia più congeniale del Bosco. Da sempre, già dalle mie prime opere in ceramica o pittura, il bosco è stato fonte di ispirazione e magico contenitore di

metafore, su qualsiasi tema della mia esistenza». Quali sono gli artisti dai quali prende ispirazione? «Difficile a dirsi, dato che la mia principale fonte è sempre la natura. Naturalmente amo tutti i pittori impressionisti e i grandi paesaggisti di ogni tempo (Turner, John Constable, George Innes)». Perchè ha deciso di aprire un laboratorio a Mornico Losana? «Nel 1994 ho lasciato Milano per trasferirmi nel parco del Ticino, quindi ero già abituata alla vita fuori città, ma cercavo un luogo adatto ad avere un laboratorio “in casa”. Non volevo una casa isolata poichè, trascorrendo intere giornate da sola, meditavo di inserirmi in una comunità. Mornico è diventato il luogo ideale». Un legame casuale quello con l’Oltrepò? «Il legame con l’Oltrepò non c’era ancora, se non nelle innumerevoli gite in moto

con mio marito. Solo ora, il legame è diventato indissolubile. Ci siamo trasferiti nel 2007, dopo una lunga ricerca del luogo “ideale”, non eccessivamente lontano dal suo lavoro, ma immerso in un paesaggio speciale. Mornico è un luogo bellissimo, le colline sono armoniche, i vigneti perfettamente inseriti nel paesaggio, le persone cordiali e l’atmosfera tranquilla, perfetta per ogni artista. Ogni giorno mi sembra di essere in vacanza; l’Oltrepò è un territorio unico e speciale». A che movimento appartengono le sue opere e quali le tematiche affrontate? «Nel mondo del vetro artistico, non ci sono veri e propri “movimenti”. Ci sono “tecniche”: la soffiatura, il casting, la Pate de Verre, la fusione, il vetro a lume… queste tecniche spesso s’intrecciano nelle creazioni, seguendo le necessità dell’opera. Ci sono artisti che sviluppano le opere con l’aiuto di altri artigiani, e quelli che amano creare in autonomia. A quest’ultima categoria appartengo io. Preferisco infatti essere considerata un’artefice, piuttosto che un’artista. Nel mio caso, il lavoro manuale si lega al fattore intellettuale. Il “piacere” non sta nell’immaginare l’opera, ma nel realizzarla. Le mie tematiche sono due: quella principale, il bosco, in tutte le sue forme (sono una persona che pensa che gli alberi siano esseri estremamente superiori ad ogni altro essere sulla nostra terra) e l’altra più intima, più privata, che si lega all’infanzia: la felicità e la difesa dei bambini, che dovrebbero essere il principale obiettivo di una società evoluta». Che tecniche di lavorazione utilizza? «Il vetro è un materiale molto difficile: ha delle regole fisse, inderogabili, che non puoi ignorare. La materia, con le sue leggi, è più importante dell’idea, cosi la mia vera Arte forse risiede nel fare in modo che al vetro “piaccia” lavorare con me e non si opponga mai alle mie richieste, ai miei desideri. Alla fine degli anni ’80, dopo aver lavorato con un grandissimo Maestro, Narciso Quagliata, creatore di una tecnica chiamata Light Painting Glass, ho sviluppato una tecnica molto particolare, la Di Fiore’s Technique, che permette di creare immagini con un’incredibile sensazione di profondità ottica. Si tratta di comporre l’immagine in livelli successivi, cominciando dall’orizzonte di fondo, fondendo il vetro e crescendo lentamente verso la superficie dell’immagine, aggiungendo materiale ad ogni infornata, fino ad ottenere l’immagine completa, sviluppata in una sequenza continua di materia e spazio.


ARTE & CULTURA Il colore è dato da granelli di vetro di nove misure diverse; le linee sono fili di vetro fusi e modellati alla fiamma. L’effetto finale è un luminoso dipinto tridimensionale fatto soltanto di vetro puro». Una tecnica che l’ha introdotta nel mondo dell’insegnamento... «Esatto, insegno questa tecnica dal 2001, sia nel mio studio che in moltissime altre scuole nel mondo. Ogni anno trascorro circa due mesi all’estero in qualità di docente; sono stata negli USA, in Sud America, Australia, Europa». In quanto tempo vengono realizzate le sculture? «Il mio lavoro è molto lungo. Un oggetto relativamente piccolo richiede almeno venticinque giorni di lavoro e sette infornate. Alcune opere hanno richiesto sei mesi, qualche volta ho impiegato quasi un anno. Il rischio è molto alto, perché pur utilizzando un vetro realizzato per fusione (il Bullseye Glass americano, con più di settanta colori compatibili, che si possono fondere insieme perché dotati dello stesso coefficiente di dilatazione e contrazione) la viscosità non è costante e alcuni colori sono molto sensibili a cambiamenti fisico chimici dovuti alla ripetuta esposizione alle alte temperature. Può accadere di perdere l’opera dopo moltissime ore di lavoro. Grazie al cielo, mi capita molto raramente…». Dove sono esposte? «Le mie opere si trovano in moltissime tra le migliori collezioni private di Vetro D’Arte, specialmente negli Stati Uniti ed in undici importanti musei: ricordiamo la Collezione Bellini-Pezzoli, i Musei del Castello Sforzesco di Milano, il Ringlin Museum di Satrasota, il Flint Museum del Flint Institut of Arts (Michigan), il Museo del Vidrio de Alcorcon (Madrid), il Museo dell’Arte Vetraia Altarese (Altare, Italia), diversi musei negli USA, il Museo Nacional del Vidrio, la collezione di Vetro Contemporanea (La Granja de San Ildefonso, Segovia)».

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Quali sono gli oggetti che si prestano all’operato? Esistono dei materiali che possono essere recuperati e riutilizzati per dar vita a una nuova opera? «Moltissime mie opere sono realizzate utilizzando oggetti in disuso, talvolta semidistrutti, che ho fatto dialogare con il vetro. Questi oggetti (preferibilmente in legno, materia prima molto importante nelle mie opere, di solito recuperati nella spazzatura) hanno ispirato la scelta dell’immagine. Tutti i miei boschi di vetro sono luoghi che conosco profondamente, che sono stati importanti nella mia vita. Non lavoro mai su un paesaggio che non mi appartiene e l’oggetto vecchio, abbandonato, rotto, rappresenta la fonte d’ispirazione principale per la metafora con cui voglio raccontare una storia. Antichi cassetti orfani dal mobile originario, pezzi di strumenti musicali, tavole da lavare, coltelli a mezza luna arrugginiti, mestoli di legno, giocattoli… Oggi vengono buttati via senza nemmeno la memoria del loro uso. Mi fanno pensare a contenitori di storia e di oblio. Molte volte ho provato orgoglio, quasi un senso di rivincita, quando un vecchio cassetto salvato dal fuoco o dalle muffe, ha rivelato un’indicibile bellezza ancora contenuta nel suo legno; ospitando il ricordo del bosco, diventando opera d’arte, è ora esposto, protetto per sempre, in un museo del fare umano. Recuperare vecchi oggetti, passati da molte mani, mi ha permesso di parlare di temi a me cari: il rispetto per la vita, umana in primo luogo, con il fine di combattere questa tendenza alla velocità estrema, del buttare tutto senza riparare niente, incluse le nostre relazioni». Ha mai collaborato con artisti importanti nel panorama internazionale? «Sì, ma solo qualche volta. Il mio lavoro è troppo lento e costoso, devo seguire troppe regole tecniche. Gli artisti contemporanei raramente amano i condizionamenti che impongono le tecniche della

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«L’arte è molto utile ed importante ma viene dopo altre necessità come cibo ed energia. Moltissimi artisti sono oggi senza alcun introito economico; ma un’artista non smette mai di esserlo...»

fusione del vetro, così come le intendo io. Ho collaborato con il grande Maestro soffiatore muranese Vittorio Ferro, con il mio Maestro Narciso Quagliata, con Keith Rowe, Maestro soffiatore australiano e con una bravissima artista guatemalteca: Elsie Wunderlich, che ha realizzato opere bellissime nel mio laboratorio, innamorandosi di Mornico e dell’Oltrepò Pavese». Sono previsti dei corsi di formazione per praticare questo mestiere? «Come ho detto prima, insegno da moltissimi anni, in Italia e all’estero. Ogni anno, nella bella stagione, organizzo corsi di alta formazione nel mio studio e sono moltissimi gli artisti e appassionati che sono venuti a Mornico negli ultimi undici anni. Nei miei corsi sono previste anche attività culturali per la promozione del nostro territorio, con gite per ammirare e conoscere i nostri paesaggi, i vigneti, i luoghi di cultura come i castelli e le ville d’epoca e anche assaggi dei nostri stupendi vini. Inoltre, con la fantastica collaborazione della Pro Loco di Mornico, abbiamo organizzato gioiose esperienze di cucina tradizionale dell’Oltrepò». A suo parere, come il Covid sta influenzando il settore culturale e artistico? «Questa emergenza ha totalmente ferma-

to qualsiasi attività, tranne quella online. Tutti i miei corsi sono logicamente sospesi, così come le mostre, il mercato è fermo. è mia opinione che passerà molto tempo, prima di tornare alla normalità. L’arte è molto utile ed importante ma viene dopo altre necessità, come cibo ed energia. Moltissimi artisti sono oggi senza alcun introito economico; ma un’artista non smette mai di esserlo anche se per un periodo deve assoggettarsi a un altro lavoro per pura necessità. Quando la tempesta passerà, spero che tutte le persone che dedicano la loro vita a qualsiasi forma d’arte riescano a tornare sulla loro strada maestra e a riprendere il loro cammino creativo. La creatività umana è la risorsa di specie più grande che possediamo, è quello che ci differenza dagli altri animali ed è una risorsa infinita. Confido nella natura, che mette tutto al posto giusto. La natura ama l’equilibrio, e in tutto ciò che fa contiene bellezza, anche quando noi non possiamo vederla. L’arte, in tutte le sue forme, fa parte del lato positivo del fare umano. Penso che, col tempo, tornerà naturalmente a occupare il suo posto nel mondo» di Federica Croce



MUSICA

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Concerti dal divano: «Sì allo streaming, ma senza svendersi» Uno degli effetti collaterali della pandemia è stato spostare la musica dal vivo dal suo habitat naturale fatto di palchi, bar e club al salotto di casa. Costretti a reinventarsi per non sparire, i musicisti – anche quelli oltrepadani - si sono lanciati nel mare del web grazie alle dirette streaming dai vari canali social. Lo hanno fatto però in ordine sparso e senza garanzie né tutele, in maniera “romantica”, per il solo piacere dell’arte. A provare a mettere ordine in quello che potrebbe diventare un nuovo mercato ci prova in Oltrepò la PA74 Music, etichetta ed edizione musicale vogherese nata nel 2005, che ha lanciato il progetto #concertidaldivano, un nuovo format di modello europeo che si propone di dare sostegno e visibilità agli artisti che si esibiscono online. Con la possibilità, per nulla scontata, di essere retribuiti. A raccontare il nuovo progetto e la sua genesi è Alessandro Porcella, discografico e musicista. Come le è venuta l’idea di #concertidaldivano? «L’idea è nata da un mio viaggio di lavoro in nord europa, in Norvegia precisamente. Là è pratica comune che gli artisti propongano dei live streaming online. Gli artisti più blasonati vendono i loro ticket mentre gli artisti emergenti vengono supportati dal pubblico con donazioni volontarie. è essenzialmente un fattore culturale. Per loro è normale pagare per assistere ad un concerto. Lo staff di PA74 Music prova a portare quel modello qui a seguito del periodo di emergenza sanitaria che viviamo ora, nel quale tantissimi artisti si trovano costretti a rinunciare ai concerti dal vivo e ai relativi guadagni. Il nostro intento in questo periodo di stop è anche quello di far capire al pubblico (ma anche agli artisti) che per continuare a creare cultura, gli artisti e tutta la filiera dell’entertainment deve essere remunerata». Come funziona il format? «Dopo diversi meeting con i nostri amici artisti e colleghi abbiamo sviluppato un’idea di entertainment alternativo che possa permettere a cantanti, musicisti, performer, di monetizzare tramite il supporto volontario dei propri fans. Per questo abbiamo creato il gruppo esclusivo su Facebook #concertidaldivano». Tanti musicisti e artisti in questi mesi di lockdown hanno già iniziato ad esprimersi autonomamente attraverso le dirette streaming. In che cosa il vostro progetto si differenzia? «In tantissimi in questo periodo stanno proponendo dirette gratuite sui social, una scelta che a mio modo di vedere è sbagliata, perché penalizza, toglie professionalità e mortifica ancora di più il lavoro di tanti artisti e operatori dello spettacolo. Se non si è disposti a spendere nemmeno 3 euro per assistere a un concerto c’è qualco-

Nasce la nuova piattaforma online per supportare i musicisti fermi ai box sa che non va, è un atteggiamento sbagliato che va modificato e, allo stesso modo, se un’artista non ha nessun fan disposto a supportare con una piccola cifra un suo concerto, forse dovrebbe farsi anche lui delle domande». Come si fa per iscriversi? «Basta collegarsi al sito https://www.concertidaldivano.com/ e seguire le semplici istruzioni». C’è una selezione degli artisti o il numero è “aperto”? «Si può proporre un proprio #concertodaldivano da qui: https://www.concertidaldivano.com/candidatura. Il team valuterà la proposta artistica e la fattibilità tecnica». Ci sono dei requisiti minimi da soddisfare per poter partecipare? «Sarebbe ideale avere una scheda audio e un computer, ma si può fare anche con l’impianto normalmente usato per le serate o direttamente dall’audio del telefonino, l’importante è la banda internet richiesta. Diciamo che da 10 in Download e 3 in Upload si può trasmettere anche se sarebbe preferibile avere più velocità anche per poter collegare altri device come telefonini o tablet con cui noi possiamo montare un vero e proprio show televisivo». Chi cura la regia? «Siamo tre persone in regia più una persona che modera i commenti». Quanti concerti vengono fatti al mese? «Abbiamo iniziato con due concerti alla settimana, ma da prossima settimana visto le richieste partiranno 4 concerti settimanali». Da chi è composto il pubblico che assiste alle esibizioni? «Il pubblico sono le persone iscritte e in target con l’argomento (la musica live e le performance artistiche) ed avendo speso una piccola cifra una tantum, psicologicamente sono comunque più propensi a partecipare, interagire alle dirette e fare piccole donazioni agli artisti». Gli artisti come possono ricevere denaro? «Direttamente sul loro account Paypal o conto corrente con le donazioni libere dei fans e del pubblico presente nel gruppo».

Alessandro Porcella, discografico e musicista vogherese

«Sbagliate le dirette gratuite sui social: si sminuisce e de-professionalizza il mestiere» Da discografico, alla luce della crisi Covid19, come vede il futuro della musica indipendente (a livello locale e non) nel breve-medio termine? «Il discorso è molto ampio, ci sono molte opportunità ancora nel music business, modi diversi di usare la musica, il problema è che il 90% degli artisti (e talvolta anche degli operatori) lo ignora totalmente. Il lavoro dell’artista e di chi produce è un lavoro vero e proprio e necessita tempo e costante dedizione per ottenere qualche risultato, puoi avere fortuna come in tutti i campi e vincere il tuo biglietto per la popolarità al primo colpo, ma normalmente bisogna farsi il mazzo per ottenere qualcosa nella vita». E da musicista? «Vale lo stesso discorso. La categoria dei musicisti italiani è pressapochista, lavoro con la musica, ma sempre meno mi sento uno di loro. A questo proposito voglio rivolgermi a tutti quelli che vogliono fregiarsi di questo titolo per dir loro di pretendere più rispetto per il loro lavoro e pertanto di non regalarlo. Non per mancanza di solidarietà, ma almeno per rispetto verso

chi più debole, nel settore, è già alla canna del gas». Quale crede che sarà la conseguenza più evidente che questa crisi lascerà nel suo settore? Lo streaming si consoliderà come mezzo espressivo o ci sarà un ritorno di fiamma per il live? «Non possiamo sostituire l’emozione di un concerto dal vivo, il poter condividere con le persone vicino a te la stessa emozione che nessuna esibizione online o registrata su supporto potrà mai dare. Ma bisogna essere realisti, la crisi era già iniziata e questa pandemia non farà altro che peggiorarla, a meno che le associazioni di settore e il governo impongano delle regole precise e una netta differenziazione tra hobbista e professionista. Spero vivamente possa esserci un ritorno di fiamma, ma in cuor mio so che l’importanza della musica per la società è differente rispetto a quando ho iniziato e in qualche modo per sopravvivere bisognerà adattarsi al mercato e ai nuovi canali di espressione». di Christian Draghi




Oltrepò del vino: aggrapparsi tra applausi registrati e il consueto leccaculismo alla finta soluzione della “vendemmia verde”

Anno 14 - N° 154 MAGGIO 2020

20.000 copie in Oltrepò Pavese

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% - LO/PV

STRADELLA «Il nostro futuro? Tirare a campare senza un guadagno effettivo» Momento delicato per il settore del food

BRONI «Da due settimane nessuna chiamata per sintomi da Covid»

news

Maurizio Campagnoli, medico di famiglia nel distretto di Broni-Redavalle, è uno dei collaboratori del sindaco Riviezzi nella gestione delle problematiche sanitarie...

varzi REDAVALLE “La schita” protagonista di un gruppo facebook, 900 gli iscritti In Oltrepò un’affermata giornalista e scrittrice, Cinzia Montagna, ha deciso di fondare un gruppo su Facebook dal nome “La Schita dell’Oltrepò Pavese...

SANTA MARIA DELLA VERSA

Cambiamenti in vista? Secondo molti cambierà poco in merito all’egemonia di Terre d’Oltrepò

Agriturismi

«La mia quarantena a Dublino. Se vieni a lavorare in Irlanda sei da subito tutelato»

«perdite dal 70 al 100%»

Isabella Testori, originaria di Santa Maria della Versa, da alcuni anni vive a Dublino ed è Customer Success. Sarà lei a raccontarci come sta affrontando la quarantena...

MORNICO LOSANA «Persone cordiali e atmosfera tranquilla, perfetta per ogni artista. » Miriam Di Fiore, artista del vetro e docente dell’arte vetraria si racconta. «Il legame con l’Oltrepò non c’era ancora, se non nelle innumerevoli gite in moto...

calvignano La Pro Loco: «Ad oggi non c’è possibilità di programmare nulla di concreto» Con l’arrivo della bella stagione le Pro Loco dell’Oltrepò Pavese si sarebbero messe in moto per offrire momenti di aggregazione e di festa...

il Periodico

& beverage, tra chiusure forzate e riaperture restrittive. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Filippo Savini...

L’emergenza rilancia la Valle Versa

Arrivano le prime richieste

L’associazione Terranostra Pavia riunisce gli agriturismi di Coldiretti, dalle piccole attività ad indirizzo “familiare”, alle strutture che forniscono anche il pernottamento e la prima colazione. 125 le strutture attive in Oltrepò Pavese. Analizziamo insieme a Davide Stocco, presidente di Terranostra Pavia, come la quarantena abbia danneggiato gli agriturismi e le possibilità a disposizione per sfruttare il periodo estivo.

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