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Casamonicary o t s Gli eredi della Magliana
Chi sono i Casamonica? Come hanno conquistato la Capitale? Quando iniziarono la loro scalata all’egemonia criminale della regione? Il clan, che oggi conta oltre 600 adepti, sembra ormai avere ramificazioni che ricordano quelle della famosa Banda della Magliana, di cui sono gli unici e veri eredi. In IV e V pagina
In VI pagina
Nasce la Rete per la legalità contro l’usura e il racket
Roma e Lazio “riciclone” di... denaro sporco delle mafie
Carceri che News da Organizzare scoppiano Mafiopoli il coraggio
In VII pagina
Grottaferrata L’ex ristorante diventa un bene comune
In VI pagina
Il libro del mese
Quella di Pino Masciari e della sua famiglia è una storia che non può essere dimenticata. Pino è un imprenditore calabrese che non cede al ricatto e ai soprusi della ‘Ndrangheta ma con tenacia e coraggio riesce a scardinare un sistema criminoso ritenuto prima di lui invincibile.
il Segno
il Segno
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supplemento al n. 12 - Dicembre 2010 de “il Segno”
In III pagina
In ultima pagina
In VII pagina
Ritratti d’autore
Falcone, l’uomo che volava molto in alto
In II e III pagina
Un uomo che volava più in alto degli altri
Ritratti d’autore, GIOVANNI FALCONE
di Ettore Zanca In questa terra che confonde la notte e il giorno, la partenza con il ritorno, l’innocente col criminale, il diritto col carnevale (da Francesco De Gregori – “adelante adelante”).
Non si pensi mai che questo mondo è grato ai geni in vita. I geni sono spesso apprezzati, spessissimo invidiati, ma più di tutto, odiati. Per rimarcare una spiccata intelligenza, si accomuna una persona a un’aquila, che si distingue per intuito, sveltezza e colpo d’occhio. Forse già il nome è profetico per il genio di cui parliamo. Falcone. Un animale più addomesticabile dell’aquila, ma dotato di una sua autonomia e di una dignità.
I FALCONI SONO ANIMALI SOLITARI MA EFFICACI
I Falconi, come le aquile, sono animali solitari, ma se usati per la caccia dall’uomo sono tremendamente efficaci. Volano troppo alto. Facendo rodere d’invidia i vermi. Giovanni Falcone era un genio. Non solo nel senso più ossequioso, meriterebbe di stare alla stregua di Galileo e forse più di lui e di altri geni, passare alla storia. Prima che in Italia lo hanno capito in America, dove è talmente stimato che a Quantico, all’accademia dell’FBI, hanno costruito una statua con le sue sembianze, posta in modo che gli allievi la vedano almeno due volte al giorno. IL MARADONA DEL DIRITTO Come definire se non genio, un uomo capace di elaborare un teorema a prova di confutazione? Solo così si può definire la rivoluzione copernicana del maxiprocesso, culminata con la convalidazione del suo as-
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sioma, il 30 gennaio 1992. Un giorno ai più ignoto, quello in cui la Cassazione decise in via definitiva che la mafia era una organizzazione criminale capillare e che i reati andavano intesi come una lunga scia continua e cumulata. Non come singoli frammenti che si perdevano nei rivoli delle corti e dei tribunali.
LA CONVALIDA DEL COSIDDETTO TEOREMA FALCONE
Un giorno in cui il “teorema Falcone” fu convalidato dalla prontezza di Claudio Martelli, che sancì con perentorietà che “quel processo” non doveva finire con un Carnevale. Inteso come festa per i mafiosi e come giudice ammazzasentenze. In mezzo, per arrivare alla perfezione di quella sentenza ci sono anni di intuizioni geniali, fu il primo a intuire l’importanza di scardinare la mafia tramite i pentiti, il primo a indirizzare le indagini al cuore dell’interesse mafioso,
“Se si vuole vivere nella mediocrità non bisogna essere Falcone, genio, intuitivo e capace di volare in alto. I vermi strisciano, trascinati dalla bava dell’odio e dell’invidia. Sento uno strappo di tuono, in questo sabato sera, sassi ed asfalto nel cielo, di fuoco rosso e lamiera, non sento male è un istante, ma ora il futuro è chimera” ovvero i movimenti internazionali finanziari, il primo a capire che se non si fermava la piovra, si sarebbe accaparrata l’alta finanza, si sarebbe ripulita e nessuno l’avrebbe più riconosciuta. Il primo a scardinare il legame politica-criminalità, il primo a indagare prima che sugli omicidi di mafia in sé, sugli assegni, le banche e le ragioni che avevano portato a premere il grilletto. Michele Greco, boss di Ciaculli, lo definì “il Maradona del diritto”. Forse ignorando che Maradona regalò trionfi al Napoli, avendo al suo fianco paladini che menavano fendenti e non reggevano solo il suo strascico. Colpivano duro
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Cassarà e Montana, come puntava correttamente il dito sui colpevoli Giuseppe Ayala. Per tacere degli altri.
ANCHE PER FALCONE ERA PRONTO IL ROGO
Prima di quel giorno, come a tutti i geni che in qualunque epoca si trovino hanno a che fare con il medioevo delle idee e con i Torquemada di turno, anche Falcone fu sul punto di bruciare sul rogo molte volte per le sue idee rivoluzionarie. Per mano dei suoi nemici, ma anche dei suoi “amici”. Vittima di lettere ano-
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Giovanni Falcone
Ritratti d’autore, GIOVANNI FALCONE nime di “corvi”, bombe inesplose, servizi segreti deviati, mafia non più artigianale. Vittima di giudici del Consiglio Superiore della Magistratura, che impedirono la sua nomina a Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, privilegiando per la prima volta non il merito ma l’anzianità, nominando un ignoto Antonino Meli. Lo giudicavano arrivista, e se anche fosse? Sarebbe preferibile avere uomini con il delirio di onnipotenza di sconfiggere la criminalità che sorci impegnati a farsi scudo con carteggi inutili e paura della propria ombra. Fu l’allora Ministro della Giustizia, Claudio Martelli, a salvarlo dalle secche del rancore dei cretini. Portandolo a Roma come Direttore agli Affari Penali.
A ROMA APPRESE DELLA SENTENZA DEL MAXI-PROCESSO
A Roma apprese della sentenza definitiva del maxiprocesso. A Roma fu fortemente osteggiato anche da una corrente fintamente progressista di sinistra, all’elezione a Super Procuratore Antimafia. UN VIAGGIO CHE CONTINUA Uomo più di azione che di scena, abituato a lavorare con discrezione e continuità, per nulla divo davanti alle telecamere, ebbe anche il dolore di essere attaccato dal Sindaco che lo aveva sposato, Leoluca Orlando, che lo accusava di tenere alcune carte nei cassetti e di favorire alcuni pentiti; subì anche un attacco da un certo Totò Cuffaro, giovane di belle speranze, non ancora Presidente della Regione Sicilia, levatosi rancoroso da una poltrona del Costanzo Show, vaneggiando di inesistenza della mafia. Sul 23 maggio 1992 non occorre tingere queste pagine di un sangue prezioso, sangue in estinzione, come la razza dei Falconi. Preferiamo pensare che sia andato lì dove voleva recarsi quel giorno alle 17.58, a vedere la mattanza dei tonni a Favignana. Per molti onesti che ancora lo piangono, il viaggio del genio non è finito sulla Palermo–Capaci. Se si vuole vivere nella mediocrità non bisogna essere Falcone, genio, intuitivo e capace di volare in alto. I vermi strisciano, trascinati dalla bava dell’odio e dell’invidia. Sento uno strappo di tuono, in questo sabato sera, sassi ed asfalto nel cielo, di fuoco rosso e lamiera, non sento male è un istante, ma ora il futuro è chimera. E tutto questo per niente, solo per una bandiera… (Stadio – “per la bandiera”).
Una breve biografia “culturale”
L’albero Falcone continua a crescere in tutt’Italia Per una figura storica del genere non c’è biografia che non possa essere ulteriormente arricchita da ricordi personali o da emozioni particolari di chi legge, per il cursus della sua vita e dei veleni ingiusti che la attraversarono, rimando a wikipedia. A Giovanni Falcone è dedicato un albero piantato dove abitava, in Via Notarbartolo a Palermo, pieno di bigliettini e dediche sempre nuove come i fiori freschi sulla tomba di Federico II alla Cattedrale di Palermo, vari libri tra cui uno per bambini, scritto da Luigi Garlando, intitolato “Per questo mi chiamo Giovanni”, una storia commovente e bella scritta da uno scrittore che è penetrato nel cuore e nella mentalità palermitana, pur non essendo siciliano; bellissime canzoni tra cui “Cuore” di Jovanotti, “Pensa” di Fabrizio Moro e “Per la
Si parla sempre più spesso delle carceri sovraffollate e delle condizioni dei detenuti. Anche a Velletri la situazione non è delle migliori. Rispetto a una capienza di 208 posti attualmente ne risultano ben 370. A lanciare l’allarme è stato il Garante dei detenuti del lazio, Angiolo Marroni, A livello regionale, infatti, si segnala un nuovo record in negativo: lo scorso 24 novembre è stata superata anche quota 6.400 per quanto riguarda le presenze nelle 14 strutture di reclusione, arrivando alla cifra record di 6.434. I reclusi in più rispetto alla capienza regolamentare sono 1.760. “La situazione è drammatica - ha affermato Angiolo Marroni- e, con l’inverno e le precarie condizioni igieniche, potrebbe aggravarsi ulteriormente già nelle prossime
settimane”. L’altro dato che fa riflettere è che su 6.434 reclusi, ben 3.081 sono in attesa di giudizio definitivo. I condannati in via definitiva sono invece 3.336. “Il dato peculiare -ha poi spiegato il Garante- che rende la situazione del Laio particolarmente grave è un altro: secondo i calcoli nella regione la popolazione detenuta cresce su base annua a un ritmo quasi doppio rispetto alla media nazionale: 12% nel Lazio contro il 7% del resto d’Italia. Una situazione potrebeb aggravarsi ancora di più”. Lo scandalo di Velletri, infine, riguarda anche il nuovo padiglione da 200 posti che, malgrado i lavori siano finiti da un pezzo ancora non apre i battenti mentre i detenuti scoppiano. Andrea Rasetti
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mandanti ed esecutori, primo perché abbiamo i nomi che ci fornisce una storia raccontata volutamente incompleta, secondo perché preferiamo ricordare la figura senza intossicazioni. Recitando un lenzuolo ormai datato 1992 “non li avete uccisi, le loro idee camminano sulle nostre gambe”.
SOS CARCERI, NEL LAZIO +12% E A VELLETRI SI SCOPPIA
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bandiera” degli Stadio, ma anche “Signor tenente” di Faletti, dedicata agli uomini in divisa che perdono la vita accanto a chi proteggono. In comune con un altro rivoluzionario del pensiero come Galileo, a Giovanni Falcone è dedicato un aeroporto insieme al suo amico e compagno di martirio, Paolo Borsellino. Un pensiero particolare per chi, insieme a Giovanni, divideva paure, sorrisi, trionfi e amarezze e che metaforicamente erano pronti a morire per lui, ma quando è successo, sono morti per davvero, ci piace pensare, senza un minimo di dubbio. Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo. In questa sede per una volta non parliamo di
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di Andrea Sebastianelli Nella seduta del 13 maggio 2003 della Commissione Parlamentare Antimafia, per la prima volta, la famiglia nomade dei Casamonica (“un insediamento tradizionalmente romano” dice Italo Ormanni, Procuratore aggiunto responsabile del coordinamento della DDA) viene accostata alla criminalità organizzata già presente a Roma e in diverse zone della provincia. La Commissione si sofferma poi sui ritardi della magistratura circa il sequestro di conti correnti, citando il “caso di una segnalazione sospetta che ha riguardato una vicenda dei Casamonica in cui è stato segnalato quando il conto è stato chiuso con 4 miliardi di lire e non quando sono stati fatti i versamenti per arrivare a quella cifra”. Così continua l’On. Giannicola Sinisi: “Mi chiedo, con riferimento ad una affermazione che è stata fatta, in che cosa consiste, in che misura è stata descritta la situazione della cosiddetta «zona Morena», perchè credo che non sia accettabile, se effettivamente esiste un controllo del territorio ferreo, che quelle siano le condizioni di regime di un territorio che in questa città non può essere franco, non solo per la decenza della città, ma perchè non corrisponde agli standard di Roma. Vorrei sapere, quindi, cosa si sta facendo per rimuovere tale condizione”. Un mese dopo, un’operazione del Centro Operativo della DIA di Roma (denominata “Gipsy) comincia a far emergere l’exploit dei Casamonica, che dalla zona di Morena (contigua a Ciampino) pian piano esporteranno il loro
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Casamonica story Ecco il clan che tiene in pugno la Capitale d’Italia
“modello” criminale diventando perno centrale anche delle organizzazioni criminali più note. Per la prima volta viene redatta una vera e propria mappatura del clan nomade con l’individuazione “di 324 soggetti legati tra loro da vincoli di parentela di diverso grado” e “tra questi è stato isolato un nucleo di 48 soggetti, stabilmente collegati tra loro e gravati da numerosi precedenti penali”. I beni sequestrati ammontano a più di 85 milioni di euro. Un’ulteriore conferma arriva l’anno successivo, il 2004, con l’operazione “Esmeralda (scattata il 30 giugno), anch’essa condotta dalla DIA capitolina, che porta all’arresto “di 35 indagati ed al sequestro dell’ingente patrimonio del “clan Casamonica–Di Silvio”, per un
valore complessivo di altri 70 milioni di Euro”. Di questa storia, nel dettaglio, parleremo più avanti. Nel 2006 i Casamonica, anche per la politica, non sono più una novità e nella “Relazione finale di minoranza” della stessa Commissione Antimafia, si prende coscienza che a Roma “non c’è solo il peso crescente della criminalità straniera (Russa, albanese, ucraina, romena e cinese)” ma anche “formazioni criminali costituite intorno a gruppi come Nicoletti, Fasciani, Terribile e Casamonica rafforzati anche da esponenti di organizzazioni criminali delle regioni meridionali: le loro attività di base, usura ed estorsioni, non solo garantiscono cospicui guadagni, ma consentono il controllo di attività com-
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merciali e imprenditoriali”. Una presa di coscienza arrivata quando il clan dei Casamonica ha ormai raccolto l’eredità della dissolta Banda della Magliana. Roma, litorale laziale, Castelli Romani e viterbese sono le zone in cui i Casamonica ormai spadroneggiano, contrastati dalle forze dell’ordine e da una magistratura coraggiose che negli ultimi anni hanno ostacolato le attività dell’organizzazione nomade criminale che ormai sottoscrive accordi con i Casalesi-Schiavone e con le ‘ndrine presenti da tempo a Roma e nella regione. Accordi per spartirsi le attività illecite che fruttano decine di milioni di euro, ma una cosa deve essere chiara: per fare affari a Roma e dintorni bisogna chiedere al
Ecco il clan che tiene in pugno la Capitale d’Italia
Usura, racket, droga, auto di lusso... ma anche alta finanza
Clan dei Casamonica. Ma la loro storia inizia molto prima. Nel 1997 era chiaro che cosa stesse avvenendo nella Roma criminale, quando l’eredità della Banda della Magliana stava per essere raccolta quasi integralmente da questa famiglia nomade famosa fino a quel momento per i suoi apprezzati pugili, Romolo e Sandro Casamonica in testa, che rendevano onore all’Italia sui ring di mezza Europa. Proprio Romolo venne arrestato il 17 novembre per usura ed estorsione, pretendeva 40 milioni di lire da un garagista romano. Già qualche anno prima un altro nomade, di nome Guerino (nome di uno storico capofamiglia che viene usato frequentemente nel clan), finì in manette per aver organizzato un vasto traffico di cocaina finalizzato al riciclo dei proventi dalle attività di strozzinaggio. Pochi mesi dopo in un blitz al tuscolano i Carabinieri arrestarono Vittorio Casamonica, sequestrando nel suo garage una Ferrari Testarossa, altre cinque Ferrari del valore dai 300 ai 500 milioni di lire ciascuna, una Rolls Roice cabriolet e una Jaguar. Sì perché una delle grandi passioni dei Casamonica sono proprio le auto di lusso. Dal 1997 ad oggi sono state centinaia le automobili sequestrate al clan per un valore che arriva intorno ad alcune decine di milioni di euro. Ma torniamo al 2004, quando si comprende che i Casamonica non sono, come i più pensavano, dei criminali alla vecchia maniera, brutti, sporchi oltrechè ovviamente cattivi. Amano il lusso e conoscono bene le strade per riciclare il denaro attraverso operazioni finanziarie, tra cui il primo scudo fiscale ideato dall’attuale Ministro Tremonti. Era il 30 giugno del 2004 quando la DIA di Roma intercetta tre milioni di euro fatti rientrare in Italia dal Principato di Monaco sotto forma di fondi comuni d’investi-
mento. Risultarono essere parte di un capitale accumulato illecitamente nel corso di alcuni anni. Il resto dei soldi, accertarono le indagini della DIA (coordinate dall’allora Colonnello Vittorio Tomasone), vennero investiti in società della Capitale, soprattutto concessionari di auto di lusso. Nel blitz (a cui presero parte 400 uomini dell’Arma) i Carabinieri arrestano 11 persone di cui con sicurezza ben sette appartenenti al clan (Giuseppe Casamonica, sua moglie Anna Di Silvio, le figlie Dora, Concetta e Mirella, Anacleto Di Silvio, fratello di Anna, e suo figlio Pasquale). Le altre quattro persone risultano essere dei prestanome, intestatari di società create ad arte per riciclare denaro sporco. Si tratta di Francesco Spada, Giuseppe Leggieri, Giuseppe e Massimiliano Nunzi. I Procuratori Italo Ormanni e Lucia Lotti dispongono il sequestro di numerosi beni, immobili e non (tra cui 200 auto di lusso pronte per essere vendute dopo una reimmatricolazione illegale), per un valore di circa 70 milioni di euro. Un’altra cosa che sorprenderà gli inquirenti sarà la scoperta, tra le società poste sotto sequestro, di un’azienda che realizzava guadagni attraverso un sito internet che pubblicizzava il finanziamento della propria squadra di calcio del cuore. Il clan, attraverso un provider toscano, Giuseppe Leggieri, aveva stipulato contratti con quasi tutte le società di calcio dei campionati di serie A, B e C con un meccanismo molto semplice e fruttuoso: i tifosi, cliccando su un link, autorizzavano l'invio da parte delle società di calcio di messaggi sms informativi sulla propria squadra, al costo di un euro, finanziando così anche le attività illecite del gruppo criminale. Della serie: per i Casamonica le strade per far soldi sono infinite. L’anno seguente, nel marzo del 2005, i beni sequestrati al clan vengono definitiva-
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Casamonica story/1 mente confiscati, a riprova che le indagini condotte dalla DIA di Roma riuscirono a ricostruire perfettamente i movimenti economici e finanziari illeciti del gruppo criminale. Quasi tutti i beni sequestrati erano posti nell’area a Sud della Capitale, sul litorale e nella zona dei Castelli Romani, dove la famiglia andò a stabilirsi cinquant’anni prima. Tra le proprietà sequestrate anche ville faraoniche immerse in parchi con annesse piscine, auto di lusso, gioielli e preziosi. In particolare i beni confiscati e restituiti alla collettività hanno riguardato 22 auto per un valore di 300 mila euro; 23 rapporti bancari anche in Stati esteri con
una consistenza di un milione e mezzo di euro e 23 beni immobili per un valore di 60 milioni di euro. L’altro aspetto che emerge dall’inchiesta è che il clan dei Casamonica si componeva di circa 600 affiliati residenti tra i quartieri romani de la Romanina, il Quadraro e Porta Furba, e nei Comuni di Ciampino e Frascati. Solo due anni prima l’operazione Gipsy aveva individuato 324 membri. In poco tempo la ragnatela criminale dei Casamonica si stava allargando a dismisura creando un vero e proprio clan mafioso, degno di Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta. Andrea Sebastianelli 1/continua
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L’ex ristorante di Grottaferrata torna ad essere bene pubblico
di Ilaria Signoriello Era il 1982 quando Totò Riina, capo dei Corleonesi, ordinò l’uccisione di Pio La Torre, preoccupato per il suo attivismo ed in particolare per la sua proposta di legge riguardante i patrimoni dei mafiosi. Nonostante l’eliminazione fisica di Pio la Torre la sua eredità era ormai patrimonio condiviso, che avrebbe segnato la storia delle lotte contro le mafie, attraverso l’aggressione del patrimonio e delle ricchezze mafiose e, successivamente, con la loro restituzione ai cittadini, grazie alla legge 109/96. La legge 109, fortemente voluta da Libera, l’associazione di Don Luigi Ciotti, e per la quale vennero raccolte più di un milione di firme, prevede l’utilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie e corona il sogno di chi, come Pio La Torre, aveva pagato con la propria vita l’impegno per sottrarre ai clan le ricchezze accumulate illegalmente.
La legge 109 è oggi uno degli strumenti principali per combattere e sconfiggere le mafie, colpendole nel cuore economico del loro impero criminale. Sulla base dei dati forniti dall’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alle mafie, la situazione nel Lazio è allarmante. Sono 383 i beni confiscati nella sola Provincia di Roma per un totale, a livello regionale, di 482. Si tratta di cifre impressionanti che testimoniano la profonda penetrazione criminale nella nostra Regione e nella Provincia di Roma in particolare. Dei 383 beni confiscati nella provincia di Roma, 287 sono immobili e 96 aziende utilizzate per il riciclaggio di denaro sporco. Ma come testimonia l’acquisizione dell’ex ristorante La Bazzica da parte del Comune di Grottaferrata, le mafie non sono invincibili. Temono il risveglio delle coscienze, temono gli animi forti di chi non si piega alla violenza o al ricatto e temono noi cittadini, quando non ci abbassiamo al facile guadagno e crediamo nel valore sociale della
La “Bazzica”, il ristorante sequestrato alle mafie diventerà ora un centro dedicato alla disabilità
legalità La restituzione della Bazzica ai cittadini di Grottaferrata, futura casa della solidarietà e polo per la disabilità, come tutti i beni confiscati ai mafiosi, ha un elevato valore simbolico che trascende i confini della cittadina castellana, divenendo il simbolo della vittoria dello Stato sull’illegalità, degli onesti contro i corrotti, della nostra Costituzione contro chi afferma il potere della violenza e del terrore. Come ci ha ricordato il fondatore di Libera, Don Ciotti, ospite della trasmissione di Saviano e
Fazio, “Legalità è speranza. E la speranza si chiama “noi”. La speranza è avere più coraggio. Il coraggio ordinario a cui siamo tutti chiamati: quello di rispondere alla propria coscienza”. Aggiungendo, inoltre, come “Legalità non sono, quindi, solo i magistrati e le forze di polizia, a cui dobbiamo riconoscenza e rispetto. Legalità dobbiamo essere tutti noi. Legalità è responsabilità, anzi corresponsabilità”. La “Bazzica” è solo la punta di un iceberg, ma la sua restituzione ai cittadini è la prova che possiamo farcela.
Nasce la “Rete per la legalità” di Sos Impresa La nuova associazione è stata presentata a Roma il 6 dicembre E' stata presentata lo scorso 6 dicembre a Roma, nella prestigiosa sala Martiri di Nassirya di Palazzo Madama, la Rete per la Legalità. Associazioni e Fondazioni contro il racket e l'usura. La nuova organizzazione, che si presenta la più grande per il numero e la qualità delle adesioni, si propone di offrire, a tutte quelle associazioni, fondazioni, confidi e comitati antiracket e antiusura, un luogo aperto al confronto e alla reciprocità. A presentare pubblicamente la Rete Lino Busà, Presidente di Sos Impresa, una delle associazioni promotrici che ha parlato di giornata storica per tutto il movimento. Numerosi gli interventi che si sono succeduti nella mattinata, da Roberto Battaglia, imprenditore casertano che ha denunciato alcuni esponenti del clan dei casalesi, ad Antonio Anile e Franca Di Candia, imprenditori vittime di usura. Significative anche le testimonianze dei rappresentanti della
associazioni aderenti alla Rete e i legali che da tempo seguono le vittime di usura ed estorsione in tutte le fasi della denuncia e del processo. Tra gli intervenuti anche il Sen Costantino Caraffa, che si è detto orgoglioso di poter ospiatre tale iniziativa in una così alta sede istituzionale. Al termine della giornata, l’Assemblea ha eletto all’unanimità e per acclamazione Lorenzo Diana nel ruolo di Coordinatore Nazionale della Rete per la Legalità. Personalità di grande prestigio e nome noto dell’antimafia civile e sociale, Diana rappresenterà per tutti quel valore aggiunto dell’impegno disinteressato, solidale, ma non per questo non organizzato, che la Rete vuole interpretare. Incarico che è stato accolto con piacere, e anche una certa commozione, dal neo-coordinatore che ha dichiarato: “Sono felice di rappresentare questa nuova voce della lotta alle mafie e alle illegalità. La Rete
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nasce già matura e consapevole del compito che l’aspetta. Per quello che mi riguarda da subito starò a disposizione di tutti e aggiungerò il mio contributo insieme a quello di tutti voi. Solo l’ascolto reciproco farà crescere un muro sempre più resistente contro la criminalità”.
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Il coraggio di lottare, l’onestà di non cedere
Ribellarsi alla ‘Ndrangheta con ostinazione e coraggio, guidati soltanto dai valori della legalità e del senso di giustizia. Questo è riuscito a fare Pino Masciari, un imprenditore giovane calabrese che pian piano vedeva le catene arrotolarsi intorno alle sue aziende e alle sue libertà personali. Oltrechè alla sua dignità e a quella della sua famiglia. La sua storia è anche un’odissea, costretto a fuggire insieme alla moglie Marisa e ai due figli poco più che neonati in un girovagare alla ricerca di quella sicurezza che solo lo Stato poteva riuscire a garantirgli. Pino Masciari racconta ora la sua odissea in un libro, “Organizzare il coraggio” (ed. add, pag. 271, ottobre 2010, € 15,00), perchè la sua esperienza deve essere da esempio per chi invece troppo spesso ha preferito voltare la testa di fronte alle ingiustizie e alle prepotenze, oppure abbassare gli occhi di fronte ai ricatti e alle minacce, oppure stringere la mano di chi impugnava la pistola in un sodalizio eterno e indivisibile. Per Pino e la sua famiglia co-
Pino Masciari mincia un vero e proprio viaggio nel silenzio, abbandonando la sua terra, i suoi ricordi di bambino calabrese, poi di studente innamorato del lavoro del padre, e poi di giovane imprenditore tenace e appassionato come lo è chi fa ciò che sceglie perchè quella è la strada che il destino ha segnato. Tutto questo a un certo punto finisce. La ‘Ndrangheta vuole la sua collaborazione, la politica corrotta vuole i suoi soldi... ma lui vuole soltanto lavorare con onestà. Ed è quest’onestà profonda ad “armare” di coraggio il suo carattere che,
Così le organizzazioni riciclano il denaro in varie parti d’Italia
Il Lazio si conferma un territorio privilegiato dalle mafie per il riciclaggio del denaro sporco. A confermare questo quadro preoccupante è stato il Sole 24 Ore che ha pubblicato a fine novembre i risultati di una ricerca presentata in occasione del Congresso dell’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia. Lo studio ha riguardato l’intero territorio nazionale scoperchiando le strade dei traffici criminali e soprattutto mettendo in evidenza una vera e propria pianificazione di questi traffici. Sembra quasi che i criminali abbiano seguito la teoria di Polany sui diversi ruoli svolti dal Centro e dalla Periferia. Ogni area deve assolvere a una funzione speci-
di DANIELA DI ROSA
fica, in collegamento con tutte le altre. La teoria di Polany permise agli archeologi di ricostruire gli aspetti economici delle società antiche, mentre oggi sono le mafie a utilizzare tale approccio. Così esistono
zone in cui si estorce denaro attraverso l’usura e il racket, in cui si rapina e si delinque in maniera “pratica”, altre in cui quei soldi vengono lavati per essere reintrodotti nel circuito finanziario nazionale. E non è necessario che queste due differenti aree si trovino vicine. Anzi, lo studio rivela proprio che più sono distanti minore è il rischio che questi traffici vengano scoperti. A fare la parte del leone in questa seconda attività criminale sono le grandi metropoli come Roma, Milano, Torino e Genova in cui si spara poco per strada e quindi resta nei cittadini la sensazione di essere fuori dai territori delle mafie tradizionali. E invece è proprio lì che avviene l’operazione più delicata e importante per le organizzazioni mafiose. E lì che i loro soldi vengono investiti producendo altri soldi. Ma veniamo alla nostra regione.
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Al primo posto c’è ovviamente Roma (17ma in Italia con una media di 13,6 denunce ogni 100 mila abitanti); poi c’è Latina (22ma a livello nazionale con 12,9 denunce); segue Frosinone (25ma in Italia con 12,5 denunce); subito dopo Rieti (28ma in Italia con 11,9 denunce ogni 100 mila abitanti); infine c’è Viterbo (56ma a livello nazionale con 6,9 denunce registrate). Dati che non permettono di dormire sonni tranquilli.
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grazie anche al sostegno di alcuni Uomini di Stato con la “U” maiuscola, i Pm Giancarlo Bianchi e Salvatore Curcio, ma soprattutto il Comandante dei Carabinieri di Serra San Bruno, Nazzareno Lopreiato, alla fine decide di condurre la sua battaglia personale fino alla fine accettando l’esito finale. O si vince o si perde. Una via di mezzo con le cosche calabresi non è pensabile. Per fare questo ci vuole coraggio e affinchè questo coraggio diventi roccia è necessario, come rivela il titolo del libro, organizzarlo. Il segreto di Pino Masciari è stato proprio quello di aver saputo “organizzare” il suo coraggio. (A.S.)
NEWS da
MAFIOPOLI
Il Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Frascati, ha arrestato un giovane di 36 anni dopo una serie di appostamenti tesi a individuare un vero e proprio mercato
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SEQUESTRATO IL TEATRO GHIONE DI ROMA
La Guardia di Finanza di Catanzaro, supportata dai Carabinieri, ha portato alla luce un vasto traffico di droga gestito dalla ‘Ndrangheta. La cocaina, proveniente dal Brasile e dal Venezuela, riusciva a superare i controlli all’aeroporto
Andrea Rasetti all’interno
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L’omicidio del Boss Rocco Molè
IL LIBRO DI JOHN DICKIE, “COSA NOSTRA”, SARA’ MOTIVO DI APPROFONDIMENTO PER CONOSCERE GLI AVVENIMENTI E GLI UOMINI CHE SI SONO AVVICINATI ALLE VERITA’ PIU’ SCOTTANTI. A PRESENTARE QUESTO LIBRO PUBBLICATO NEL 2006 SARA’ ETTORE ZANCA, COLLABORATORE DEL MENSILE “IL SEGNO”. UN APPUNTAMENTO LETTERARIO DA NON PERDERE.
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supplemento al n. 5 - Maggio 2010 de “il Segno”
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Minori a rischio nel Lazio, dalla pedofilia alla prostiuzione
Sos Impresa Alessandro Lettera ai e l’usura Mancuso Castelli Il Presidente di “Sos Impresa”, Lino Busà, ascoltato dalla Commissione Parlamentare Antimafia, ha chiesto una maggiore efficacia della legge contro l’usura, proponendo la costituzione di un Consorzio Nazionale a sostegno delle imprese italiane sequestrate alle mafie.
Abbiamo incontrato il cantautore palermitano Alessandro Mancuso, impegnato con i suoi testi a diffondere il senso della legalità a cominciare dalle giovani generazioni. Ne esce un ritratto incoraggiante del mondo artistico italiano rispetto ai fenommeni illegali diventati tanto diffusi.
L’Associazione “Antonino Caponnetto” della Regione Lazio ha scritto una lettera aperta ai cittadini dei Castelli Romani, chiedendo un impegno concreto di tutti contro le infiltrazioni criminali che stanno diventando una piaga sempre più diffusa in tutta la provincia di Roma.
di Andrea Sebastianelli Pedofilia e sfruttamento dei minori sono due temi scottanti… anche nella nostra regione. Temi importanti che però rimangono troppo spesso ai margini delle discussioni. Ad aprire la riflessione su questi aspetti sono due recenti ricerche dal titolo “Il fenomeno dello sfruttamento dei minori nell’accattonaggio nel Lazio” e “Il minore come vittima del reato: un’indagine sociale nelle realtà del Lazio”, promossi dall’Anci (Ass.ne Nazionale Comuni Italiani) e dall’Osservatorio Tecnico Scientifico per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio presieduto dal prof. Enzo Ciconte. I dati emersi dalle ricerche mettono a nudo una realtà dai tratti sconcertanti. Nel Lazio la forma di vittimizzazione minorile più evidente è il maltrattamento che quasi sempre avviene in ambito familiare. Sono quasi 500, ogni anno, i minori laziali che subiscono violenze accertate e denunciate da parte di adulti, a cominciare dall’abuso fisico. Il maggior numero di casi si riscontra proprio nella provincia di Roma (soprattutto per la maggiore popolazione residente), mentre l’intensità del fenomeno è maggiore nel sud della nostra regione, in particolare nella provincia di Latina. Ciò che differenzia il Lazio dalle altre regioni italiane, anche qui a dirlo sono i dati emersi, è una maggiore propensione verso gli abusi di tipo sessuale, l’accattonaggio e la delinquenza minorile.
Continua in IV
NINNI CASSARA’
Ettore Zanca presenta un altro dei suoi “Ritratti d’autore”. Questa volta dedica il suo articolo alla figura di Ninni Cassarà, che con le sue indagini sulla Mafia cominciò a scoperchiare gli intrecci con alcuni apparati della politica e delle istituzioni. ETTORE ZANCA in II e III pagina
Continua in VII pagina
il Segno
I furbetti della
‘Maglianella’,
il ritorno?
Le dichiarazioni di “Nino l’accattone” riaccendono i riflettori sulla Banda della Magliana. Ma oggi la Banda esiste ancora o si tratta di altro?
135 MILIARDI DI EURO PER LA MAFIA SPA
IL XII RAPPORTO DI “SOS IMPRESA” HA SCOPERCHIATO GLI INTERESSI DIFFUSI DELLE MAFIE IN ITALIA, CHE REALIZZANO OGNI ANNO AFFARI PER 135 MILIARDI DI EURO, LA PIU’ GRANDE AZIENDA DEL PAESE. DROGA, RACKET, ESTORSIONI, INVESTIMENTI FINANZIARI E CONTROLLO DEGLI APPALTI PUBBLICI. ECCO I SETTORI IN CUI LE MAFIE SONO PADRONE. E NEL LAZIO NON C’E’ DA STARE ALLEGRI.
PARTE DA VILLAROSA IL NOSTRO TRENO SEGUENDO LA SCIA DELLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA CHE PERCORRE IN LUNGO E IN LARGO L’INTERA PENISOLA ITALIANA, DANDOCI L’IDEA CHE “L’ITALIA E’ UNA REPUBBLICA DEMOCRATICA FONDATA SULLE ILLEGALITA’ DIFFUSE”. UN VIAGGIO INASPETTATO CHE COINVOLGE TUTTI. NESSUNO PUO’ RITENERSI ESCLUSO.
Andrea Rasetti in IV e V pagina
6
Il Treno del Risveglio, un viaggio criminale
supplemento al n. 6 - Giugno 2010 de “il Segno”
n.
ABOLIRE le intercettazioni per SALVARE la criminalità organizzata NO ALLA LEGGE CHE VORREBBE IMBAVAGLIARE I GIORNALISTI
di Andrea Sebastianelli Quello che si sta per approvare è un decreto legge a tutto vantaggio della criminalità organizzata. Le recenti parole di Alberto Cisterna, Sostituto Procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia di Reggio Calabria (cioè in una delle zone più difficili e pericolose d’Italia), sono pesanti come un macigno: “Il testo sulle intercettazioni approvato al Senato intacca l’efficienza delle indagini” poiché non si può “ignorare che la nozione di criminalità organizzata il disegno di legge l’ha semplicemente cancellata”. Risultato: diventeremo un Paese a basso tasso di criminalità poiché la criminalità organizzata verrà semplicemente abolita... per legge. I criminali diventeranno di colpo trasparenti pur continuando a delinquere. Quello che troverete al centro di questo periodico è il disegno di legge così come è stato approvato dal Senato della Repubblica. Leggendolo vi renderete conto che l’intento palese non è quello di regolamentare le intercettazioni telefoniche e ambientali ma semplicemente quello di vietare. La parola “vietato” campeggia su molti articoli. Vietare, vietare, semplicemente e solo vietare così da rendere praticamente impossibile garantire il diritto dei cittadini ad essere informati e il do-
vere di noi giornalisti ad informare. Alla base di questo disegno vi è un’incredibile falsità, secondo cui in Italia sarebbero milioni (addirittura 7) i cittadini messi sotto controllo telefonico e informatico. Una falsità che, ripetuta mille volte, ha finito per diventare verità agli occhi di molti. Ecco che cosa ha scritto un altro magistrato antimafia, Nicola Gratteri, Procuratore Aggiunto di Reggio Calabria, a proposito del tentativo di abolire le intercettazioni: “Si sta eliminando uno dei sistemi più garantisti e meno costosi per l’acquisizione della prova. E lo si sta facendo in modo strumentale, citando statistiche che non stanno nè in cielo nè in terra. Ho appena finito di indagare 50 persone coinvolte in un traffico di droga. Per seguirle -scrive ancora Gratteri- ho dovuto mettere sotto controllo 10 mila schede telefoniche. Se chi analizza i risultati dell’indagine è onesto, dirà che sono state intercettate 50 persone, se è disonesto dirà che Gratteri ha intercettato 10 mila persone. La realtà è che i trafficanti di droga cambiano una scheda ogni 48 ore, ma gli indagati, nonostante il numero esorbitante, restano sempre 50”. Più chiaro di così! Il testo approvato al Senato stabilisce che per intercettare un indagato sono necessari “gravi indizi di colpevolezza”. Un paradosso senza precedenti, poichè se sussistono gravi indizi di colpevolezza l’indagato può subito essere arrestato senza
bisogno di intercettarlo. Infatti sono proprio i “gravi indizi di colpevolezza” che danno al pubblico ministero la possibilità di chiederne l’arresto. Il Ddl vorrebbe indicare anche i luoghi dove è possibile intercettare, cioè soltanto dove sta avvenendo l’attività criminosa. Infatti ai magistrati sarà fornita una palla di vetro in cui vedere in anticipo dove verrà perpetrata l’azione delinquenziale. Ci sarebbe da ridere se non fosse per l’argomento che stiamo affrontando. Altro aspetto: quello del “budget prefissato”. Le Procure dovranno stabilire preventivamente i fondi da destinare alle intercettazioni telefoniche e ambientali. Finiti i soldi, finite le intercettazioni. Infine c’è un altro articolo che merita un’attenta riflessione, quello secondo cui il Presidente del Consiglio deve essere informato (entro 5 giorni) dell’avvio delle operazioni di intercettazione se queste riguardano membri dei servizi segreti. E se un Presidente del Consiglio entrasse in combutta con i servizi per sovvertire lo Stato? Chi scoperchierebbe il piano criminale? “Contro i clandestini vengono impiegati esercito, flotta e ronde -ha scritto ancora Gratteri-, contro i mafiosi viene smantellato uno dei pochi strumenti investigativi ancora in mano ai magistrati”. Uno strumento che costa anche poco: per intercettare una persona 24 ore al giorno si spendono 11 euro più Iva.
supplemento al n. 3, Marzo 2010 de “il Segno”
n.
di ANDREA SEBASTIANELLI Nelle prime ore dell’alba del 18 febbraio scorso è scattata a Roma e in alcuni centri dei Castelli Romani, tra cui Rocca di Papa, un’operazione anticrimine tesa a smantellare una fitta rete di racket, usura e riciclaggio di denaro sporco. A coordinare l’operazione “Franky”, che ha visto il coinvolgimento della Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Roma, dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Viterbo e della Polizia Municipale VIII Gruppo di Roma, è stato il Procuratore Aggiunto Leonardo Frisani della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Roma. Alla fine dell’operazione sono state denunciate 11 persone (di cui due donne) e sequestrati beni per circa 5 milioni di euro, tra cui conti correnti, automobili di lusso e quattro società operanti nel settore dell’edilizia e della ristorazione (una di queste gestiva fino ad alcuni mesi fa il complesso alberghiero di via Frascati a Rocca di Papa, “La Regina del Bosco”, prima che la struttura venisse ceduta agli attuali gestori che da questa vicenda hanno avuto soltanto danni d’immagine).
Un territorio preda degli strozzini
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Lo scorso 18 febbraio l’operazione “Franky” ha smascherato un vasto giro di usura e riciclaggio, mettendo in luce il ruolo del clan dei Casamonica, che conta oltre 400 affiliati tra Roma e Provincia, e che ora ha esteso il suo controllo sull’intera regione. Sullo sfondo un “accordo inedito” stipulato con la ‘ndrangheta.
212 omicidi in due anni nella Palermo dimenticata
Le attività illecite nei nostri Comuni
ETTORE ZANCA RIPERCORRE PER NOI LE TAPPE PIU’ SIGNIFICATIVE DEI DELITTI DI MAFIA CHE IMPERVERSARONO A PALERMO TRA GLI ANNI SETTANTA E OTTANTA. MEMORIE RIAFFIORATE CHE RAPPRESENTANO UN MONITO PER CIO’ CHE E’ ACCADUTO E PER CIO’ CHE ANCORA POTREBBE ACCADERE. PERCHE’ PERDERE LA MEMORIA EQUIVALE A PERDERE UN PO’ DI NOI STESSI E DELLA NOSTRA STORIA.
RIEPILOGO DEI DATI DEL 2007 E DEL 2008 SUI REATI COMMESSI NEI COMUNI DELLA PROVINCIA DI ROMA. ROCCA DI PAPA E SEGNI LE PIU’ VIRTUOSE MENTRE IN ALTRI CENTRI, COME ARTENA, CIAMPINO, COLLEFERRO, VALMONTONE E VELLETRI, I REATI IN UN SOLO ANNO SONO AUMENTATI DI MOLTO.
Ettore Zanca in II e III pagina
Ettore Zanca in II e III pagina
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
3
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
7-8
Tabella riepilogativa in VI pagina
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
suppl.to al n. 7-8 - Luglio-Agosto 2010 de “il Segno”
n.
ECOMAFIE 2010 Nel Lazio cresce l’allarme per i reati ambientali
Legambiente ha presentato il “Rapporto 2010 (riferito al 2009)” in cui il dato più eclatante riguarda la Regione Lazio che ha conquistato il secondo posto nella classifica dei reati contro l’ambiente (nel 2008 era in quinta posizione). Quasi 3.500 le infrazioni accertate. In VII pagina
Il libro del mese
Cuore di Cactus
La nostra recensione è dedicata al libro di Antonio Calabrò, “Cuore di cactus”, un vero e proprio viaggio nelle vicende che tra Palermo e Milano hanno caratterizzato la sua vita di giornalista, scrittore e manager. Un libro che ci fa guardare alcune vicende italiane sotto una luce nuova.
L’Italia e la News da mafiosità Mafiopoli
Contro il clan Casamonica la Provincia è parte civile
In V pagina
Zoomafie, smascherati i reati contro gli animali
In VI pagina
Chiude lo sportello antiusura dei Castelli?
In VI pagina
Ritratti d’autore
CARLO ALBERTO DALLA CHIESA
4
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
supplemento al n. 4 - Aprile 2010 de “il Segno”
n.
‘Ndrangheta ai Castelli, il pentito che fa paura anche alla politica L’hotel Villa Vecchia a Monte Porzio
Rocco Molè
Elemosine Aziende e minori criminali Nel Lazio il fenomeno dell’accattonaggio passa attraverso lo sfruttamento di centinaia di minori. A rivelarlo è il rapporto presendall’Osservatorio tato Regionale sulla Legalità e la Sicurezza. Un quadro che fa luce su molti aspetti inquietanti, a cominciare dall’acquisto dei bambini.
In VII pagina
9
Sequestrate 15 aziende e quote riferite a ben 21 società, 170 conti correnti, automobili di lusso, oltre a ville ed appartamenti. Questi sono i numeri di una vasta operazione che ha scoperchiato il filo di collegamento fra la ‘ndrangheta e il clan dei Casamonica a Roma e nella provincia.
In VI pagina
di ANDREA SEBASTIANELLI Il 22 dicembre scorso l’«Operazione Maestro», avviata dalla Dda (Direzione Distrettuale Antimafia) di Reggio Calabria, irrompe nei Castelli Romani e precisamente a Monte Porzio Catone dove viene posto sotto sequestro l’hotel di lusso “Villa Vecchia” (che ora ha ripreso le sue attività sotto la guida di un Commissario), ritenuto base della ‘ndrina dei temutissimi Molè. La mega struttura alberghiera alle porte di Roma, secondo gli inquirenti, serviva a riciclare il denaro derivato dalle attività illecite condotte nel porto di Gioia Tauro. Nell’operazione sono state arrestate 26 persone, tra cui Cosimo Virgiglio, considerato il principale referente amministrativo della cosca Molè, nonché amministratore di una società di import-export con la Cina operante proprio nel porto di Gioia Tauro. Lo stesso Virgiglio che, per conto della cosca, seguì le trattative per acquisire “Villa Vecchia”. Infatti, l’acquisizione del complesso alberghiero, da parte della ‘ndrangheta, avvenne nel 2007 attraverso intimidazioni e minacce nei confronti di un’imprenditrice di Sabaudia che, pur avendo un contratto di gestione della durata di dieci anni, fu costretta a lasciare la struttura.
Continua in IV
ROCCO CHINNICI Allarme Expo 2015 In un libro due giornalisti svelano il “mistero” delle infiltrazioni criminali nella capitale morale d’Italia, Milano. Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra sono già pronte ad entrare nel gioco degli appalti per spartirsi i 20 miliardi di euro stanziati per l’Expo del 2015.
In VII pagina
Chi era Rocco Chinnici, il giudice assassinato a Palermo il 29 luglio 1983? Scopritelo in questo “ritratto d’autore”.
ETTORE ZANCA in II e III pagina
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
supplemento al n. 9 - Settembre 2010 de “il Segno”
n.
Sugli affari della ‘ndrangheta le rivelazioni del super-pentito
Inizierà il prossimo 30 settembre il processo contro i 16 esponenti della ‘ndrangheta finiti nell’inchiesta “Maestro” che il 22 dicembre del 2009 scoperchiò i vasti interessi della criminalità organizzata nelle attività di importexport nel porto di Gioia Tauro. Grande attesa per ciò che dirà Cosimo Virgiglio, l’imprenditore che ai Castelli Romani gestiva l’hotel di lusso “Villa Vecchia” a Monte Porzio Catone. Oltre a lui sul banco degli imputati ci sarà anche Angelo Boccardelli, ritenuto uomo di collegamento con le cosche calabresi
Il Clan dei La sfida Casamonica di Ardea Roma e provincia sono ormai il territorio del clan dei Casamonica che conta oltre 500 affiliati specializzati nel racket e nell’usura. Contro di loro le forse dell’ordine stanno vincendo molte battaglie ma come finirà questa guerra non è ancora chiaro.
Il Consiglio Comunale della cittadina laziale ha approvato una mozione che per la prima volta stabilisce regole chiare da parte delle istituzioni circa la costituzione di parte civile e la confisca dei beni alla criminalità organizzata. Un esempio che molte città dovrebbero seguire.
Cosimo Virgiglio
Articolo in IV pagina
il Segno
SOTTOSCRIVI PER IL SEGNO Banca Credito Cooperativo Castelli Romani IBAN:IT11B0709239230000000103028
L’INCHIESTA DI ANDREA RASETTI HA PRESO AVVIO DAL SEQUESTRO DEL LUSSUOSO ALBERGO DI MONTE PORZIO, “HOTEL VILLA VECCHIA”, SOTTOPOSTO A SEQUESTRO DAI CARABINIERI DEL ROS PERCHE’ APPARTENENTE A UN POTENTE CLAN DELLA ‘NDRANGHETA, QUELLO FACENTE CAPO AL BOSS ROCCO MOLE’. UN’INCHIESTA CHE FA EMERGERE I DIFFUSI INTRECCI ESISTENTI TRA LA CRIMINALITA’ E I CASTELLI ROMANI.
Falcone e Borsellino
Il 18/02 a Colleferro si parla di Cosa Nostra
di ANDREA SEBASTIANELLI «Io non sono uno che farfuglia. Non do opinioni. Dico che quella storia non è finita perché lo so. Basta andare a cercare chi ne è uscito alla grande quindici anni fa». Con queste parole l’ex componente della Banda della Magliana, Antonio Mancini (chiamato negli ambienti criminali romani “Nino l’accattone”), ha lasciato intendere che quella banda non ha mai smesso di operare ma è tutt’ora attiva. «La Banda della Magliana ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto e di chi è finito in galera. E non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare troppo spesso». Queste dichiarazioni Antonio Mancini le ha rilasciate al giornalista di Repubblica Carlo Bonini che lo scorso 4 febbraio ha presentato un’inchiesta esclusiva basata, oltre che sulle dichiarazioni di “Nino l’accattone”, sui convincimenti di Lucia Lotti, il magistrato che per 15 anni si è occupato delle vicende della Banda della Magliana arrestando il presunto boss Nicoletti, e sulle indagini del Comandante del Nucleo Provinciale dei Carabinieri di Roma, Vittorio Tomasone. In realtà dichiarazioni di questo tipo Antonio Mancini le rilasciò anche nel 2008.
supplemento al n. 2 - Febbraio 2010 de “il Segno”
il Segno
Il Segno non usufruisce di alcun finanziamento pubblico, nè comunale, nè provinciale, nè regionale, nè statale, nè europeo.
Da Gioia Tauro ai Castelli Romani passando per San Marino
n.
il Segno
Stampato in proprio
Non si può non sapere, non si può non dirlo
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RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
il Segno
RESPONSABILE Andrea Sebastianelli
supplemento al n. 1 - Gennaio 2010 de “il Segno”
di Andrea Sebastianelli Sul numero scorso del Segno ci siamo occupati delle infiltrazioni criminali a Roma e nella Provincia. Quanto emerso ci ha fatto comprendere come le mafie non siano qualcosa distante da noi, riguardante solo le regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania), ma come ormai siano una presenza consistente del nostro territorio. La vicenda di “Villa Vecchia”, l’hotel della ‘Ndrangheta sequestrato nella vicina Monte Porzio poche settimane fa, rappresenta non un allarme ma una certezza che deve far riflettere tutti, cittadini e politici, amministrazioni pubbliche e aziende private. Ma anche noi che scriviamo sui periodici a diffusione locale. Ogni lotta alle mafie ha sempre visto anche l’impegno, di pari passo con quello delle forze dell’ordine e della magistratura, di giornalisti e scrittori locali, che più da vicino riescono ad annusare dove c’è puzza di infiltrazione criminale. Contro queste infiltrazioni le amministrazioni comunali devono iniziare a contrapporre la politica della legalità, soprattutto nell’espletamento delle gare d’appalto delle grandi opere che, come ha dimostrato l’Osservatorio regionale sulla criminalità e la sicurezza, sono uno degli ingressi degli interessi mafiosi nei nostri Comuni. Continua in IV
il Segno
Manoscritti e foto anche se non pubbliil Segno cati non si restituiscono. Il contenuto organo dell’associazione culturale degli articoli, dei servizi, le foto ed i “Terre Sommerse Castelli” loghi, rispecchia esclusivamente il Registrazione Tribunale di pensiero degli artefici e non vincola Velletri n. 5/02 del 19/02/2002 mai in nessun modo il Segno, la direzione e la proprietà. Le inserzioni sono DIREZIONE riservate ai soli associati e simpatizVia dei Monti, 24 - Rocca di Papa zanti ed hanno carattere divulgativopromozionale nel loro stesso ambito. DIRETTORE
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il Segno
supplemento al n. 12 (dicembre 2010) del mensile indipendente
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RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
il Segno
RETE di GIORNALISTI e SCRITTORI ANTIMAFIE di ROMA e PROVINCIA
il Segno
ARRESTATO 36ENNE DI TOR BELLA MONACA
Quarantasei persone arrestate, di cui 32 in flagranza di reato principalmente per furti (in appartamento, in esercizi commerciali, di auto e moto) scippi, borseggi, rapine, ricettazione, truffa, spaccio di droga è il bilancio dell'attività di contrasto alla criminalità diffusa da parte dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma. Gli arresti sono stati eseguiti anche grazie all’intensificazione dei servizi preventivi messi in campo per garantire ai cittadini di Roma e Provincia un Natale sereno. Tutti i giorni decine di pattuglie monitorano gli obiettivi ritenuti, in questo periodo dell’anno più che in altri, maggiormente sensibili: esercizi commerciali, farmacie, le vie dello shopping, mercati e mezzi pubblici. (A cura di Andrea Rasetti)
il Segno
23 NOVEMBRE, Frascati
10 dicembre, Roma
46 ARRESTI PER SCIPPI, FURTI, TRUFFA E SPACCIO
il Segno
I Carabinieri del Gruppo di Ostia hanno sequestrato beni per un valore di 10 milioni di euro appartenenti a Walter Domizi, pregiudicato romano noto come boss della cocaina e conosciuto con il soprannome de “il gattino”. Domizi, detenuto dall’ottobre del 2008 per traffico internazionale di droga, era intestatario di società immobiliari, ville (a Terracina, Ladispoli e zona Boccea a Roma) e una lussuosa palazzina in località Selva Candida. Sequestrate anche auto e moto, tra cui una Ferrari F430 F1. Nell’operazione “Coca rent”, partita nel 2007, vennero arrestate 32 persone.
Sono scattate le manette per un usuraio di 43 anni, P.M., residente a Frascati, su cui da mesi indagavano i Carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati. L’arresto è arrivato dopo le denunce presentate da quattro commercianti taglieggiati dall’uomo accusato di usura e tentata estorsione. Secondo la ricostruzione, dopo un prestito le somme da restituire aumentavano a dismisura, fino ad arrivare a mille euro a settimana, come raccontato da un autotrasportatore di Roma. Ora le indagini proseguono per verificare se anche altri commercianti della zona siano finiti nella rete.
il Segno
10 MLN DI € SEQUESTRATI A “IL GATTINO” DI OSTIA
USURAIO IN MANETTE NEL COMUNE DI FRASCATI
il Segno
21 novembre, Roma
romano di Fiumicino grazie a un Colonnello dei Carabinieri colluso e arrestato insieme ad altre 76 persone, tra cui alcuni esponenti della ‘Ndrangheta di Cetraro (Cosenza) e San Luca (Reggio Calabria). L’operazione, denominata “Overloading”, che ha interessato diverse regioni italiane (Calabria, Lazio, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige), ha portato al sequestro di numerosi beni, tra cui 9 fabbricati, 16 terreni, 28 automezzi, polizze vita e rapporti bancari, trenta società di capitali e dieci ditte individuali, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. Tra i beni sequestrati anche lo stabile del Teatro Ghione di Roma. Le indagini erano iniziate nel 2008.
25 novembre, Roma
il Segno
Nove villini, comprensivi di box e cantine, sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza del Gico tra Roma Est e Lunghezza, risultati appartenenti a imprenditori dimostratisi dei prestanome del clan camorristico dei Bidognetti (affiliato ai Casalesi). Coinvolte sei aziende attive nei settori dell’allevamento bufalino, delle costruzioni edili e del commercio all’ingrosso di pelli e carburante.
della cocaina nel popolare quartiere di Tor Bella Monaca, a sud della capitale, al confine con la Borghesiana. I militari da giorni stavano cercando uno dei “centri” di spaccio della zona. L’operazione si è conclusa con l’irruzione all’interno dell’abitazione del 36enne, all’interno della quale, in una cassaforte, sono state rinvenute 350 dosi di cocaina già pronte per essere smerciate, confezionate in pacchetti di varie dimensioni.
il Segno
BENI SEQUESTRATI AI CASALESI
il Segno
11 NOVEMBRE, Roma
Sicurezza e legalità devono impegnare la Regione Lazio
di Luisa Laurelli* Tra le Commissioni consiliari istituite di recente dal Consiglio Regionale, manca la Commissione Speciale Sicurezza e Lotta alla Criminalità, da me presieduta fino a pochi mesi fa, che ha prodotto un lavoro quasi sempre unitario divenuto importante punto di riferimento per l’intera comunità del Lazio. La Presidente Polverini si è resa conto che in questo settore è stato cancellato tutto quanto è stato fatto di buono dalle precedenti amministrazioni di centrodestra e di centrosinistra? A parte le deleghe all’Assessore alla sicurezza a cui spero nella recente manovra di bilancio siano stati almeno confermati i fondi dello scorso anno, oltre alla mancata istituzione della Commissione Consiliare, mancano le nomine degli esperti dell’Osservatorio Regionale sulla Sicurezza, quelle relative alla Agenzia Regionale sui Beni Confiscati alle Mafie istituita con legge regionale approContinua in VI
IL TRENO Il partito del cemento DEL RISVEGLIO Ospitiamo l’intervento del Comitato Antimafia di Latina che lancia l’allarme sul ruolo giocano nella nostra regione da società edili legate alla criminalità organizzata capaci di infiltrarsi nella politica locale per aggiudicarsi appalti milionari.
Hai perso qualche numero del Segno? Vuoi ritrovare un articolo della Rete? Da oggi puoi consultare tutti i numeri dei nostri mensili collegandoti al sito internet: www.issuu.com/ilpiccolosegno. Buona lettura! In V pagina
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