iMAG#1 (Giugno 2009)

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iMAG #1 fotografia, grafica, immagine, arte.


iMAG

magazine di fotografia, grafica, immagine, arte. scaricabile gratuitamente su http://imag.altervista.org ideato e realizzato da andrea palla

in copertina “Virgin pain” di Francesco Catalano. Trovate le foto e l’intervista a Francesco a pagina 64.

impaginato con adobe InDesign CS3

#1 - giugno 2009 hanno collaborato a questo numero dan beleiu francesco catalano richelle forsey jonathan gobbi tommaso guermandi david severn

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editoriale di Andrea Palla

Quando ero più piccolo, faticavo a comprendere quale fosse il ruolo reale da attribuire all’arte. Come la maggior parte dei bambini, quando mi confrontavo con un’opera, tendevo a concentrarmi più sul mezzo e sull’espressione, piuttosto che sul significato intrinseco che essa poteva esprimere. In altri termini, subordinavo l’arte alla capacità di saper rappresentare qualcosa, e tralasciavo ogni aspetto astratto in essa contenuto. Così, per me un pittore era tanto più bravo quanto più sapeva disegnare in maniera realistica forme e soggetti. Non amavo dipinti astratti, o marcati con tratti troppo poco realistici, stilizzati. Anche con la fotografia, compivo spesso un errore grossolano: la consideravo come esercizio di attenta riproduzione del mondo, riducendo così lo scatto fotografico alla mera registrazione di ricordi. Le mie prime macchine fotografiche, per quanto mi affascinassero e fossero un dono tanto sognato, servirono solo per comporre album di viaggi e vacanze, senza mai una reale parvenza di sperimentazione. Lo scopo non era quello di tentare strade personali e fantasiose, quanto quello di cercare di comporre nella maniera più asciutta possibile i paesaggi che si presentavano di fronte ai miei occhi. Suppongo che questa sia la più grande limitazione che l’uomo possiede: quella di non saper cogliere in maniera prematura i segreti ed il fascino nascosti dietro all’Arte. Soltanto pochi sanno apprezzare da subito le cose che agli occhi della maggior parte delle persone si rivelano soltanto più tardi, dopo l’acquisizione di una consapevolezza formale che nasce e sviluppa con la passione e l’esperienza. Quei pochi fortunati di cui parliamo, dunque, sono coloro i quali possiedono in maniera innata un gusto estetico raffinato, e che con grande probabilità saranno a loro volta in grado di tradurre questo senso estetico in un lavoro artistico personale ed affascinante. Suppongo che non sia necessario nascere Artisti, nè tantomeno che occorra essere Artisti per apprezzare l’altrui Arte; ma è indubbio che esistano, come in tutte le cose, alcuni soggetti che presentano fin da tenera età capacità e desideri che altri dovranno invece maturare con fatica e sudore. Il nostro iMAG vuole essere, con orgoglio e presunzione, una rivista dedicata a tutti: Artisti e semplici amanti dell’Arte, fotografi e fotoamatori, creatori d’immagine e fruitori della stessa. La meraviglia di questa passione che ci unisce è infatti la capacità di porre tutti sul medesimo piano: ognuno di noi possiede occhi che riescono a vedere aldilà delle apparenze, delle strutture, delle rigide convenzioni; ognuno di noi ha un dono, che è quello del piacere estetico, e lo traduce in realizzazione o in osservazione. Tutti noi abbiamo dunque un compito: quello di contagiare con questo piacere ogni persona che ci circonda, per infondere quel gusto che abbiamo faticosamente conquistato e con fierezza esponiamo su queste pagine o altrove. Mi piace pensare che la giovinezza sia solo una piccola porzione della mia esistenza: ciò di cui non ho potuto godere un tempo, può entrare con forza nella mia vita attuale, sconvolgendo il mio mondo. Lasciatevi sconvolgere anche voi. 3


sommario Tommaso Guermandi Nature’s revenge

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Dan Beleiu Misticismo e purezza

24 David Severn Luce, tempo, attese

46 Francesco Catalano La riscoperta del proprio io

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sommario Richelle Forsey Un giorno nella vita di un orso grizzly di Toronto

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Focus on: La mostra dei Becher di Jonathan Gobbi

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Altrestorie di Andrea Palla

call for submission Sei un fotografo, un disegnatore, un grafico, un artista visuale? Vuoi vedere i tuoi lavori pubblicati sul prossimo numero di iMAG? Allora che aspetti? Ăˆ semplicissimo: tutti possono provare ad entrare a far parte della nostra rivista! Visita la pagina http://imag.altervista.org/submissions per scoprire come fare. Se i tuoi lavori saranno di nostro interesse, ti contatteremo per la pubblicazione, eventualmente ponendoti qualche domanda per saperne di piĂš su di te! P.S. Essendo iMAG un magazine free, in nessun caso è prevista una retribuzione per i vostri lavori. 5



photography


Tommaso Guermandi Nature’s revenge “Mi chiamo Tommaso, ho 24 anni e sono di Forlì. Sono appassionato di fotografia sin da piccolo... dai primi viaggi - con i genitori - agli ultimi - con gli amici, non ho mai smesso di fotografare. Sarà perchè la fotografia mi rende libero? Forse. Non ho una chiara e semplice spiegazione del perchè io non possa fare a meno di fotografare... è innato... è qualcosa dentro di me da sempre, grazie al quale riesco ad esprimermi al meglio. Apprezzo ogni tipo di fotografia, ma in particolare amo la fotografia macro, sopratutto naturalistica, per quella capacità di riuscire a cogliere e rappresentare quei piccoli dettagli che un occhio qualunque non riesce ad individuare. Quello che tento di rappresentare con le mie fotografie è una realtà di confine, ma non marginale; In sostanza immagino oggetti animati e non in uno speciale zoo fatto di pensieri e parole. Le mie fotografie sono intese come piccole, brevi, esistenziali storie di sogni, ma piene di significato: le foglie, il vento, i colori delle stagioni, dell’amore e della sofferenza.” (Tommaso Guermandi)

http://www.tommasoguermandi.com/ http://www.flickr.com/photos/tgphotographer/

Tommaso Guermandi, “Disarmante”

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Ci hai inviato fotografie macro. E’ questo il tipo di comunicare qualcosa... di fotografia che preferisci? In queste fotografie di fiori si avverte un profonSì. Diciamo che il mio modo di fotografare vuole do sentimento, una passione che direi poetica. rappresentare i piccoli particolari, quei dettagli Esiste davvero questo legame? In altre paroche non tutti riescono a cogliere, una realtà mar- le, cosa ti spinge a fotografare una particolare ginale ma non di confine. Molto spesso capita in- immagine: il senso, la mente, il cuore? O è una fatti che i vari particolari vengano “abbandonati” semplice ricerca “formale”, compositiva? per soggetti più “facili”...e non è giusto... perchè secondo me sono quei dettagli che costruiscono Sono profondamente legato alla natura e a tutpoi la realtà effettiva. to ciò che ci circonda.. sarà anche per gli studi che ho fatto (sono laureato in Conservazione e Che tipo di attrezzatura utilizzi? gestione del patrimonio naturale)... non so... ma mi sento completamente in connessione con la Ho una Nikon D80 con obiettivo base 18-55mm terra e le sue bellezze... e quindi per me diventa ed uno 80-210mm. Per le fotografie macro, inve- quasi un obbligo mostrare la sua perfezione alle ce, utilizzo un obiettivo macro 105mm. La mag- altre persone, che magari sono troppo distratte giorparte delle foto subisce anche un lavoro di per notare i soliti dettagli. Quindi diciamo che postproduzione con Photoshop. il momento dello scatto è dato sicuramente dal cuore e dall’intuito... e poi in post produzione Come scegli i soggetti da fotografare? Ti lanci in entra in gioco la mente, per cercare di dare un lunghe ricerche fotografiche o lasci che siano il significato più profondo all’immagine catturata. caso e l’intuizione a guidarti? Le tue fotografie appaiono intime e silenziose, A dire la verità ho sempre la macchina fotografi- ma non desolate. Ti rispecchi in questa idea che ca a portata di mano... la porto sempre con me, sembra scaturire dai tuoi lavori? perchè non si sa mai... A volte sono in giro e mi capita che qualcosa attiri la mia attenzione e lo Intime e silenziose... sì, mi piace. Più che altro fotografo... Quando poi, però, devo fotografare però quello che voglio far capire è che non mi fiori e natura diciamo che vado alla ricerca dei piace attribuire ad ogni costo un significato alla luoghi più adatti... vivendo in città ovviamente mia foto. Voglio lasciare la piena libertà allo è difficile avere tutto a portata di mano... le gite “spettatore” di poterla interpretare e dare un sifuori porta con questi obiettivi sono davvero di- gnificato proprio. Il mio significato, comunque, vertenti.. :) viene dato soprattutto dal titolo, che percepisco sempre più importante quando voglio trasmetNelle tue immagini il colore ha un ruolo predo- tere un messaggio specifico. Forse attraverso le minante. Sembri affezionato alla gamma croma- mie immagini, e ai titoli attribuiti, si riescono a tica che la natura sa offrire, giusto? cogliere pezzetti del mio mondo... della mia visione della vita... Questo me lo auguro, perchè Verissimo. La natura riesce ad offrire colori e sfu- fotografare è comunicazione. Fotografare è libermature incredibili. Spesso comunque mi diverto tà. E la mia libertà è raccontare piccole storie di a modificare i toni delle mie foto... non mi pia- sogni ed emozioni. n ce la banalità e penso che anche attraverso i vari programmi di ritocco si possa esprimere la propria creatività, senza sentirsi in un colpa per aver realizzato una foto non troppo “naturale”. Poi la questione “colore” è particolare in me... sono un amante delle foto in bianco e nero, ma ovviamente quelle hanno tutt’altro significato e modo

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Tommaso Guermandi, “Can’t leave you alone”

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Tommaso Guermandi, “Guardian’s Fate”

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Tommaso Guermandi, “Dancer in rose”

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Tommaso Guermandi, “Ray of light”

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Tommaso Guermandi, “Street’s victim”

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Tommaso Guermandi, “Love’s like a chemical”

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Tommaso Guermandi, “Oh baby it’s a wild world”

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Tommaso Guermandi, “Perdere la testa per il vento�

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Tommaso Guermandi, “Solitario”

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Dan Beleiu Misticismo e purezza


Dan Beleiu, “Rain and horror movies�


La tua fotografia sembra essere molto introspet- a volte utilizzando colori complementari, a voltiva, psicologica e mistica: sono questi i tuoi sco- te usando altri artefatti come sfocatura o qualpi, quando scatti una foto? cos’altro. Sembra che tu voglia esprimere una sorta di collegamento con il mondo intorno a te. Sogno di un mondo mistico rovesciato, dove la Pensi che questa sia una buona analisi? Lo fai purezza venga espressa tramite gesti e colori. At- appositamente o è solo un’impressione? traverso le mie foto riesco a vedere altri aspetti di me stesso, cose che non sapevo su di me... Esse- Mi piace creare immagini che diano un po’ l’imre in grado di esprimere il misticismo in una foto pressione di essere artefatte, quelle immagini che mi permette di raggiungere nuove frontiere nella credo nonna avrebbe appeso alla parete, ma con costruzione di un mondo diverso con dettagli e un lieve tocco moderno. Mi piace stabilire una coincidenze che non trovo in quello reale. Le sto- connessione con il passato nel mio lavoro. Questa rie antiche e le leggende mi forniscono quell’au- fusione non è esattamente il modo in cui mi sento ra. ora, ma è il processo per mostrare parti del mio La mia fotografia non è un’immagine del mondo, pensiero... ciascuna di queste parti è strappata a non è il mondo visto attraverso i miei occhi, ma al forza dalla mia mente, ma è “sempre stata lì”, e contrario è il mondo che esiste nella mia mente, è anche se sembra istantanea in realtà è ancestrale il prodotto della mia immaginazione, e c’è anche e raccolta, come in un vecchio libro da colorare. una certa quantità di surrealismo di mezzo. Riguardo l’instrospezione: sto scavando dentro di La tua fotografia è fatta di corpo, volto e anima. me per ritrovare le immagini dimenticate, la ma- Quali sono i ruoli di queste componenti, e in che lattia mai conosciuta, le anime degli animali che modo pensi possano esprimere qualcosa? vivono in me - non c’è da stupirsi che essi non siano in grado di apparire nel mondo reale, vivono Uno dei film che ho più amato è stato “Il giardino solo nei miei sogni di velluto, sono io, non sono delle vergini suicide”. Mi ha dato una grande ispiprodotti ma sfaccettature della mia personalità. razione per mio lavoro e mi ha fornito il concetto di purezza sia del corpo che dell’anima. La pelle Sei solito fare un importante lavoro di postpro- nuda è pura per me. Anche i volti delle mie foto duzione sulle tue immagini. Quanto nella tua hanno lo stesso tocco, sono puri, potresti dire infotografia è precalcolato, magari prima ancora nocenti; lentiggini e occhi grandi sono lo sguardo di scattare, e quanto viene fuori naturalmente meravigliato di fronte allo spettacolo del mondo, durante la post-produzione? sono io dentro di me. Puoi notare nelle mie foto che il viso, anche se non “privo di espressione”, Comincio con una scena in cui penso a come le continua a rimanere in sottile rapporto con i nuocose possano apparire dietro la lente. Cerco di vi ambienti: questo non dovrebbe essere sorprenusare le ombre e la luce naturale durante la com- dente, io non faccio l’attore in queste immagini, posizione della scena futura. Dopo che la scena è sono piuttosto come un album che le tiene al postata composta e la foto scattata, cerco di vederla sto giusto. Sono parte di ogni immagine, ma solo diversamente. Provo a farla entrare nel mio mon- come testimone silenzioso. do e a darle un tocco più personale. E’ meglio blu e fredda? E’ meglio marrone e vintage? Alla fine E in futuro? Hai qualche progetto in mente? la mia “impronta digitale”, la mia reazione, la sensazione, il mio modo di riferirsi a ciò che ho ap- Mi piacerebbe entrare nel settore della moda, e pena trovato, vengono impresse sulla mia bozza cercare di sviluppare scene ispirate a libri e film, attraverso i graffi che disegno in certe punti dei oppure scene mie provando ad utilizzare un po’ miei lavori. di decadenza che si scontri con espressioni pure e gestualità. Spero di riuscire a realizzare tutto queIl tuo viso ed il tuo corpo sembrano “fonder- sto, un giorno... n si” con lo sfondo in un sacco di tue fotografie,

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Dan Beleiu, “Garden state of mind”



Dan Beleiu, “Shadows of my mind”


Dan Beleiu, “Ruins are forever”



Dan Beleiu, “Staircase to Heaven”


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Dan Beleiu, “Conseguenze dell’amore”

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Dan Beleiu, “Vulture”

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Dan Beleiu, “Bugs in the attic”

Dan Beleiu, “Revolutionary dreams”

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Dan Beleiu, “Sebastian, the pink rabbit”

Dan Beleiu, “Blame”

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Dan Beleiu, “Smokers die younger”

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Dan Beleiu, “Midnightoholic�

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“I like retro, places, genders and metastases. I like pain, gods, heavens, hells, spirits and minds. I like futuristic machines. I like decadence and wine... Red wine. Simple things turn me on. I like black coffee. I am sophisticated, complicated and dark. I like music. I like air. My dreams are in polaroid. 22 winters have passed since I first felt the cold wind when breathing. Imperfection is my favourite color. ‘Even if I’m born right out of my time I don’t regret anything...innocence remains in my heart lighting the darkness of my soul’ (David Bowie, Thursdays Child adapted).” (Dan Beleiu) http://www.flickr.com/photos/genergrohl

Dan Beleiu, “Mr. Mumbles”

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David Severn Luce,tempo, attese David Severn è un giovanissimo fotografo Inglese nato nel 1991. La sua fotografia delicata mira soprattutto a ritrarre paesaggi e campagne dell’Inghilterra, utilizzando spesso la tecnica della “lunga esposizione” per ricreare un effetto di semplicità e purezza, quasi di impalpabile misticismo. David utilizza con grande padronanza la tecnica analogica ed il bianco e nero, realizzando lavori sospesi e fuori dal tempo. Si occupa con altrettanta bravura di fotografia di strada, grazie alla quale ha realizzato alcuni interessanti progetti dedicati alle storie di gente comune e lavoratori. Ha esposto i propri lavori in alcune collettive e personali a Nottingham, sua città natale, ed ha pubblicato alcune fotografie su magazine fotografici. http://www.davidsevern.com/

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Come scegli i tuoi soggetti? Li ricerchi o al con- tà. Esse rendono affascinante e speciale ciò che trario si potrebbe dire che “loro trovano te”? altrimenti sarebbe qualcosa di semplice ed insignificante. Per esempio, guardando con l’occhio Come diceva Henri Cartier Bresson, “ti basta es- dell’ignoranza, un senzatetto può essere solo sere ricettivo”. Io vivo la mia vita seguendo que- quello che è in superficie: un emarginato secondo sta citazione. Penso che ci sia molto da impara- l’ideologia dominante della nostra civiltà, e dunre dal tuo ambiente, più assimili ed abbracci ciò que una persona indegna. Tuttavia, guardando che ti circonda, tanto più è probabile che tu stia con l’occhio dei “percettivi”, le storie che ha da provando le meravigliose esperienze della vita. A raccontare riguardo alle sue esperienze e al suo volte può essere il più piccolo dei momenti a for- passato fanno di lui qualcosa di eccezionale e conire loro una certa qualità epica. Come fotografo, raggioso. Lo stesso si applica a qualsiasi oggetto, credo che sia della massima importanza essere paesaggio o costruzione: la storia e/o le attività consapevole, mirato e soprattutto presente. presenti lo rendono caratteristico, e in qualche modo bello. Tenendo in mente tutto ciò mi eserciChe fotocamere usi? Sei solito post-produrre i to nella fotografia documentaria e cerco sempre tuoi scatti? di catturare la fisicità del soggetto, nonché il bagaglio di esperienze passate che si porta appresso. Mi piace mescolare pellicola e digitale, direi al Per questo motivo la fotografia di strada è molto 50%. A volte è il soggetto che sto fotografando importante per me, mi piace camminare per le che mi costringe a prendere la decisione tra pelli- strade con la mia macchina fotografica e scattare cola e digitale, altre volte dipende dal mio umore. al momento giusto. Non credo che documentaDevo dire che preferisco la pellicola per le riprese re debba semplicemente essere il ruolo primario in strada, per riuscire ad ottenere quella specie della fotografia, perché può essere molto di più. È di sensazione di crudezza che non potrei mai rag- un mezzo creativo, dovrebbe incoraggiarti ad avegiungere col digitale. Quando si tratta di quest’ul- re inventiva, a provare nuove cose e ad usarle nel timo utilizzo una fotocamera entry-level come la modo che più ti si addice. Canon EOS 350D; non è il top, ma mi soddisfa. Quando fotografo su pellicola, uso una Mamiya La natura è un altro dei magnifici soggetti delC220 6x6, che mi piace veramente moltissimo e le tue foto... quale pensi sia il tuo legame con mi diverte. È totalmente manuale e ogni volta che la natura? Desideri rappresentarla esattamente la uso, ho davvero voglia di tornare alle radici, dà com’è, oppure preferisci creare una sorta di vipiù l’idea di essere la vera fotografia. Non lavo- sione particolare e soggettiva di essa? ro molto in postproduzione, per la maggior parte solo aggiustamenti di contrasto e, occasional- Attraverso il mio lavoro sul paesaggio/natura cermente, delle tonalità. Solitamente ritaglio anche co di trasmettere un senso di delicata tranquillile immagini digitali nel formato quadrato, perché tà, fotografando in un modo che rivela la bellezza preferisco la geometria che le foto quadrate san- tranquilla e serena della natura, che spesso viene no offrire. Naturalmente, non c’è bisogno di farlo trascurata nella frenetica società attuale. Fotoquando fotografo su pellicola con la mia macchi- grafare per me è un modo di purificare la mente, na in formato 6x6. rallentando i ritmi e divenendo più sensibile a ciò che mi circonda; e le mie immagini riflettono queNel tuo sito web, ci sono un sacco di progetti in- sto mio stato d’animo. teressanti in cui utilizzi le foto per documentare In fotografia vi è un legame tra luce e tempo, e la vita quotidiana della gente. Pensi che questo mi ha sempre affascinato quanto il concetto di debba essere il ruolo primario della fotografia? “etereo” possa essere inserito in una fotografia attraverso l’utilizzo del tempo di esposizione. Le storie hanno una grande importanza per me, Dalla prima volta che ho posato i miei occhi su rendono il mondo un luogo fecondo, creando in- un’immagine realizzata con una lunga esposizioteresse, emozione, mistero e soprattutto diversi- ne ed ho visto l’acqua materializzarsi come una

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nebbia fumosa, o le nuvole attraversare il bordo, o i rami degli alberi dissolversi nel vento, o le figure divenire quasi fantasmi, mi sono innamorato di questa tecnica e ho cominciato ad esercitarmi. Quando scrutiamo il movimento grazie ai nostri occhi, possiamo vederlo come una continuità fluida, ma con la fotografia la possibilità di catturare questo movimento e comprimerlo in una sola immagine è qualcosa di sfrenato, ed io provo molta passione nello sperimentare con questa possibilità. Quanto tempo impieghi prima di realizzare una foto? In altre parole, sei un perfezionista della pre-produzione o preferisci fare molte fotografie e poi selezionare la migliore? Dipende tutto da ciò che sto fotografando, perciò penso di prendermi tutto il tempo necessario. Quando fotografo paesaggi impiego molto tempo per sistemare il tutto, magari aspetto affinché cambi la luce. La maggior parte delle volte la fotografia di paesaggi è un gioco d’attesa, specialmente se usi lunghe esposizioni. Quando faccio fotografie in strada, spesso un momento improvviso e fugace si presenta davanti ai miei occhi ed io cerco di sistemare velocemente i parametri della mia macchina, per poi comporre e scattare subito. Hai già qualche progetto in mente per il futuro? Ultimamente sono stato nel centro/nord dell’Inghilterra a fotografare alcuni Working Men’s Club [organizzazioni sociali private inglesi, fondate nel diciannovesimo secolo, che si occupano di garantire attività ricreative ed educative per uomini della classe operaia e per le loro famiglie, NdR]. Non ci ho ancora lavorato su per bene, giusto un paio di servizi, quindi mi piacerebbe continuare per produrre un insieme corposo di lavori. Riguardo alle mie foto di paesaggi, vorrei scattare una lunga serie di immagini nel distretto dei laghi, dove spero di andare durante l’Estate. n

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Francesco Catalano La riscoperta del proprio io


Lavori molto sugli autoritratti. Credi che la foto- dinata dalla sessualità. Chi fotografa proietta e grafia sia un modo per conoscore o comprende- si proietta; si estende e finisce per narrare di sè. re meglio se stessi? Una narrazione che parla molto di corpi, di attrazioni sessuali, di desideri e della desiderabilità di La fotografia può anche allontanarti da te stesso. piacersi e piacere, di sedurre. E’ la seduzione a E’ sospensione e dolore. E’ un altrove simbolico. muovere la fotografia. “Seduco perchè riesco a Può essere uno strumento per dar vita a un’im- creare una realtà, ad imporla ai miei spettatori”. magine ideale del tutto differente da ciò che lo Ecco cosa comunica la fotografia: comunica il bispecchio e gli altri rimandano. sogno umano di lasciare una traccia di sè. L’autoritrattistica fotografica è similare alla scoperta del proprio corpo da parte di un bambino. Nelle tue immagini utilizzi moltissimo il trucco, Ti mette a nudo, ti accompagna, ti lega, ti rende più in preproduzione che in post. Si potrebbe dipendente e fiducioso. Ti espone a te stesso; dire che sei un artista “analogico”, nel senso che permette di osservarti dall’esterno, specie nei sembra ti piaccia comporre a priori un’immagine momenti di profonda solitudine e sofferenza. La ed un soggetto piuttosto che lavorarci su dopo, fotografia, seguendo i codici del dolore e dell’in- usando Photoshop o altri software... trospezione, infonde autostima e coraggio. E’ empatica più di uno specchio. Ti asseconda, ti scruta, La mia passione per le immagini nasce dal ritocsecondo prospettive e tagli da te stabiliti. L’autori- care con colori i trucchi presenti nelle immagini trattistica è un’operazione psicologica di re-inven- patinate delle riviste e dall’attenzione posta alla zione e ri-lettura di se stessi. E’ come la scrittura: costruzione estetica di personaggi nel mondo delha bisogno di tempo per maturare, per definire lo “star system”. uno stile, un volto, un linguaggio. Il mio utilizzo di Photoshop è limitato ad un inciPuò essere pericoloso affidarsi alla fotografia per priare e ritoccare un trucco già preparato in pretentar la conoscenza di se stessi, se già in pre- cedenza. cedenza non ci sia stato un altro tipo di percor- Il mio divertimento vive di dietro le quinte: la so conoscitivo di sè. L’autoritratto è un truccare scelta di costumi, del trucco, delle parrucche, dela propria immagine allo specchio, sapendo che gli oggetti, delle luci. E’ l’aspetto teatrale fotogral’esito finale non sarà riflesso solamente nei pro- fico che mi ipnotizza, più che una ricerca grafica pri occhima anche in altri. a posteriori. Mi impossesso di un altro me nel momento in cui mi vesto di mie rappresentazioni Parlando di psicologia, hai creato tempo fa un e recito, in solitudine, di fronte la mia macchina gruppo su Flickr (Psychoflickr) che è dedicato fotografica. proprio al rapporto tra essa ed il mezzo espres- E’ la trasformazione culturale e il disconfermare sivo fotografico. Ritieni che sia questo ciò che la il binomio sesso-genere che ricerco. Il mio vero fotografia deve innanzitutto offrire e trattare? lavoro è più nell’atto recitativo che non nel riportare la fotografia in una scatola virtuale. Le mie La fotografia è cugina della psicologia. Prospetti- immagini potrebbero star bene anche all’interno ve, illusioni ottiche, giochi tra il raggiungimento della memoria della mia macchina fotografica. dell’oggettività e l’ideale spinta alla soggettivi- L’emozione è già stata. tà son comuni al fare psicologico e fotografico. La fotografia nasce come lente, come specchio, Nelle immagini che ci hai inviato, ci sono alcuni quindi, se abbinata ad un percorso di ritrattistica rimandi - espliciti e non - ad Artisti famosi. Chi non può che assumere un linguaggio mentale e sono i modelli che più hanno influenzato il tuo psicologico. La fotografia permette una narrazio- lavoro? ne potente, in quanto visiva. Riesce a dar voce al silenzio e alla comunicazione non verbale. Rimango turbato da chi scompone la propria idenLa fotografia, più che offrire e/o trattare di psi- tità fotografica per inseguire il sogno dell’essere cologia, non può essere non pensata come scar- tanti e nessuno contemporaneamente. La finzio-

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Pagine precedenti: Francesco Catalano, “MaleSoul”.

ne, l’essere volutamente fake e il giocare con delle maschere sono per me calamiti viventi. Gli altered portrait di Andy Warhol; i travestiti ed i mascherati di Diane Arbus; i transgender del neorealismo di Lisetta Carmi; il trasformismo di Cindy Sherman, Yasumasa Morimura, Jürgen Klauke, la plastificazione identitaria di Amanda Lepore; l’androginia cinematografica di Tilda Swinton in “Orlando”, sono dei riferimenti assoluti. Chi gioca con le identità di genere è un modello nel mio percorso psicologico-fotografico.

Sopra: Francesco Catalano, “Clown of misery”

Come pensi si stia evolvendo la fotografia moderna? Da quello che ti capita di vedere (anche in Flickr), quali pensi siano i soggetti ed i materiali dei fotografi del 2000? La fotografia sta tramutandosi in grafica, sia negli interventi di post-produzione sia nei concept pregressi. Noto una rincorsa alla categorizzazionee e all’emulazione. Si ricercano modelli che possano ricordare qualcosa di già visto, come se l’essere dentro a un riferimento noto possa offrire quella sicurezza di far parlare di sè e del proprio imma-

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ginario. Le immagini fotografiche trasudano di globalizzazione e di divismo auto-celebrato. L’utilizzo di strumenti digitali e di gallerie virtuali, di immediato accesso, rendono la fotografia un denominatore comune ad una visione da blogger. La fotografia contemporanea assume i caratteri di un reality-show: parla degli attori e non dei personaggi rappresentati. Il clamore attraversa le emozioni, spesso dolorose. L’introspezione e la spettacolarizzazione son tra gli elementi più ricorrenti della fotografia di molti emergenti e aspiranti “immortalatori” della realtà. Una realtà osservata e spogliata di colori vivi, per parlare, indirettamente, di un mondo tendente alla privazione di fisicità. Una fotografia che volge, nostalgicamente, l’attenzione su una realtà resa simulacro. Il vintage, sia negli accorgimenti scenici (pre e post-produttivi) sia nella scelta dei volti da ritrarre, comunica la reiterazione dello stato dell’arte; una ripetizione spesso veicolata da una tendenza, quasi psicanalitica, di narrare fotografando. Hai iniziato a portare avanti un progetto relativo a “Bettina”, una specie di alter-ego virtuale che ha le fattezze di un pupazzetto femminile. Vuoi parlarcene? “Sono alta 5 cm. Chiudo di rado gli occhi, specie se so di essere osservata. Vivo di malinconia, di realistico sarcasmo e di ironico romanticismo.

Vado in giro scalza. Porto vestitini rossi. Osservo e mi Osservo. Sorrido. Amo camminare tra gli alberi, ascoltare il suono del vento e della pioggia. I miei eroi sono tutti i bambini del mondo”. E’ così che si è presentata Bettina al mio cospetto: ironica, triste, silenziosa e apparentemente insignificante. Per anni è rimasta un qualsiasi pupazzetto in plastica sopra la mia scrivania. In una sorta di provino cinematografico, Bettina superava ogni selezione. D’un tratto mi sono avvicinato al suo viso e ho scorto uno sguardo simile al mio. Da quel giorno son nate piccole storie e ritratti fotografici che raccontano del mondo visto con gli occhi di una giovane adolescente. Nata artisticamente per simulare un mio alterego femminile, ben presto ha trovato riduttivo questo ruolo imposto, preferendo per sè un ruolo da protagonista. Bettina è una fotomodella con contratto in esclusiva e un’osservatrice sociale. Vive di comunicazione fotografica, di psicologia, di antropologia culturale. E’ probabile che sia io l’alter-ego di Bettina e non viceversa. Il progetto Bettina nasce da uno studio sulla comunicazione virtuale e sul fenomeno del “fakeismo”. Nel palcoscenico internet le rappresentazioni identitarie son costruite, idealizzate e rese opere d’arte. Anche un piccolo oggetto può umanizzarsi e cucirsi addosso un’identità sociale. Bettina è un’interesse per la Doll Therapy; è la razionalizzazione del divertimento di un bambino per giocattoli culturalmente destinati e indirizzati a delle bambine. n

http://www.flickr.com/photos/malesoul http://www.flickr.com/photos/bettinasorride http://www.myspace.com/malesoul

Francesco Catalano, “Lascia ch’io pianga”

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Francesco Catalano, “Pearls”



Francesco Catalano, “Relax! Don’t do it!”



Francesco Catalano “Cocoon”


Pagg. 70-71: Francesco Catalano, “Pearls” Pagg. 72-23: Francesco Catalano, “Relax! Don’t do it” Pagg. 74-75: Francesco Catalano, “Cocoon”

A destra: Francesco Catalano, “David LaChapelle hates Amanda Lepore”

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“Mi chiamo Francesco Paolo Catalano, ho 31 anni e sono di Palermo. Sento molto la condizione del tempo passato remoto siciliano nella mia vita. La nostalgia e malinconia del passato e del futuro attraversano il mio presente fatto di leggerezza e curiosità. Ho una formazione psicologica. Sono un laureando in Psicologia Clinica dello Sviluppo. Ho iniziato ad avvicinarmi alla fotografia per un interesse verso il trucco correttivo e fotografico. Ho realizzato dei video in stile autoritratto, notando come inseguissi più delle sequenze fisse da fotografia. Così ho tentato di perfezionare la mia lingua visiva cambiando il linguaggio. Il mio persorso "pubblico" artistico nasce tramite Flickr. Da lì ho inizato a esporre virtualmente alcuni dei miei lavori. Ho partecipato a 3 mostre collettive, tra cui "Incontro di sensi", di cui ho curato anche la parte della recensione critica. Il mio interesse è legato al connubio tra psicologia-fiabazione e fotografia. Lavorare fotograficamente su me stesso per tentar di imparare a ritrarre altri soggetti, in un percorso parallelo ad una formazione psicologica.” (Francesco Paolo Catalano)

Pag. 78: Francesco Catalano, “Limen” Pag. 79: Francesco Catalano, “A dream a day”

A sinistra: Francesco Catalano, “I was candy”

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Richelle Forsey Un giorno nella vita di un orso grizzly di Toronto “Dopo sei anni nel nuovo secolo è diventato sempre più chiaro come l’antropomorfismo semplicemente non sia più ciò che era un tempo. Le immagini di amabili perdenti, di teledipendenti [in inglese è stata usata la forma intraducibile “couch potatoes”, che indica una persona che spende la maggior parte del proprio tempo davanti alla tv, ndr] ed adorabili scimmiette che vendono cellulari, sminuiscono la lunga ed autorevole storia dei nostri amati Aminali [non è un errore di battitura, ma la traduzione dell’inglese “Aminals”, ndr]. Non solo le compagnie telefoniche e quelle collegate si prendono tutto il divertimento, esse stanno anche distruggendo le profonde qualità del vero regno Aminale. Gli Artisti possono fare un lavoro decisamente migliore articolando il complesso spirito dell’antropomorfismo, com’è evidente in questa mostra.”

“A Day in the Life of a Toronto Grizzly Bear” è stata creata specificatamente per la mostra “Aminals” (2007). Giocando con l’abilità innata nelle persone di proiettare caratteristiche umane sugli animali, ho obbligato il mio amico più alto ad entrare in un costume da orso grizzly ed insieme abbiamo percorso le strade della città per dare vita all’antropomorfismo. Ho fotografato l’Orso mentre imita le attività giornaliere delle persone, prende i trasporti pubblici, fa shopping nei negozi, va al salone di bellezza, mangia, si rilassa in un parco visitando costruzioni d’arte pubblica ed infine si addormenta sotto un albero di Natale. È stato chiesto all’Or-

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so di posare insieme ad altri oggetti cittadini, gli è stato dato da mangiare a China Town, si è mosso nel traffico, gli è stato rifiutato un servizio ad una finestra del McDonald’s ed è anche stato espulso attraverso gli scalini di un ufficio posto su una torre. L’unica cosa che l’Orso non ha fatto, è stata lavorare! Nelle fotografie l’Orso è sorprendentemente antropomorfo. Esistendo nel mondo reale è stato visto come se mi appartenesse o forse hanno pensato che fosse incapace di comprendere; e le richieste per le foto, le direttive o i permessi per rivolgersi all’Orso sono state indirizzate a me. n (Richelle Forsey)




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“National Geographic è stata la mia ispirazione nel diventare una fotografa. Mio padre ha dato il via alla mia passione quando mi ha regalato la mia prima macchina a 13 anni. Ho studiato arte e fotografia a Etobicoke School of the Arts, BEALart e Ontario College of Art. Nel 1997 ho lasciato il college per documentare le vite dei membri del All Burma's Students Democratic Front (ABSDF) [una organizzazione studentesca che si batte per i diritti umani a Burma, una vasta regione nel sud dell’Asia, ndr] e dei rifugiati che vivevano nella zona di confine tra Tailandia e Burma. Quell’esperienza ha avuto un grande impatto sul mio lavoro e mi ha lasciato il desiderio di raccontare storie attraverso le mie immagini.” (Richelle Forsey)

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focus on di Jonathan Gobbi

Una visita alla mostra bolognese di Bernd e Hilla Becher, due artisti tedeschi passati alla storia per la loro magistrale capacità di catturare attraverso il bianco e nero l’imponenza e la rigidità di numerose strutture di architettura industriale. In queste pagine trovate un attento ed appassionato racconto critico, che si snoda tra altiforni, ingranaggi e miniere, a formare un insieme compositivo strutturato e moderno. “Non ci interessano le opinioni, ma solo i sistemi” (Guy Debord) “Il libro non è un ente chiuso alla comunicazione: è una relazione, è un asse di innumerevoli relazioni.” (J.L. Borges; “Altre Inquisizioni”) Una parete con all’interno un grande rettangolo, formato da tanti rettangoli minori, posti tutti vicini tra di loro. Ogni rettangolo minore è una cornice bianca contenente una fotografia in bianco e nero. Così si presentano le pareti delle due stanze della mostra dedicata a Bernd e Hilla Becher. Le strutture industriali sono poste al centro della composizione, frontalmente e a un piano leggermente rialzato per correggere eventuali distorsioni prospettiche, su un cielo neutro, sempre in bianco e nero. Mai in maniera espressionista , con luci naturali, senza un eccessivo contrasto; nessuna sfocatura creata ad arte, tuttavia senza la presunzione di una messa a fuoco assoluta. Sono foto medie, facendo bene attenzione a non confondere il termine medio con mediocre. Dicendo medie, intendo il senso quasi matematico, la media proporzionale tra due estremi. Insomma, niente è sopra le righe, tanto meno l’autorialità di queste immagini. Al Museo Morandi di Bologna è allestita una mostra di archeologia industriale (la paternità della definizione è degli autori), un lungo studio fotografico iniziato nel ’59 sull’era industriale che volgeva al termine e che lasciava tracce in strutture decadenti riprese sistematicamente nel corso degli anni e degli spostamenti

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nelle diverse regioni. Anonyme Skulpturen, s’intitolava la loro prima pubblicazione. Quindi se il soggetto è anonimo e la tecnica è piegata, annullata nella sua semplicità e ripetizione sempre identica, qual’ è la qualità di queste fotografie? L’allestimento di questa mostra fa emergere, circondando lo spettatore tra forme basi rettangolari racchiudenti all’interno immagini autonome, la qualità concettuale, l’assiduità, la perseveranza di una vita spesa a dare luce a un progetto di catalogazione decennale. La forma non è quindi solo la parte dominante delle singole fotografie (nel senso in cui le foto mettono in luce la forma delle strutture industriali), ma diventa la struttura al cui interno viene sviluppato, e seconde le stesse regole viene all’esterno presentato, il progetto artistico dei Becher. Le foto degli “Altiforni” sono unità che instaurano un dialogo sia con l’immagine successiva, sia con l’insieme costituito da tutte le immagini che formano il rettangolo espositivo chiamato “Altiforni”. Lo sguardo, seguendo codici di lettura occidentali, parte dalla prima foto in alto a sinistra e scorre su strutture quasi uguali in cui la diversa disposizione dei tubi diventa quasi movimento, una specie di scattosa animazione.


focus on Questa sorta d’animazione dovuta allo scorrimento dell’occhio sulle griglie formate dalle fotografie viene meno nella visione degli insiemi successivi come i “Silos”, le “Cisterne” o le “Torri d’estrazione”, tuttavia è utile come esempio per capire cosa s’intende per presentazione esterna.

Anche il libro, come le strutture minerarie fotografate, è nello stesso tempo oggetto e soggetto. Oggetto in quanto considerato da un punto di vista analitico, assecondato nella sua autonomia; soggetto perché chiaramente strutturato secondo precisi dettami estetici che ne fanno il centro (nel caso delle strutture fotografate) e il termine (nel caso del libro) di un procedimento di ricerca artistica. L’oggetto-libro è chiaro, formato da copertina rigida bianca recante in alto i nomi degli autori, al centro una foto di una minehead e sotto il titolo dell’opera. Nel risvolto di copertina una breve descrizione/introduzione al lavoro degli autori, poi i crediti e i ringraziamenti nelle prime pagine. Prima delle foto vere e proprie ancora una descrizione accurata di cosa sono, come funzionano e dei diversi tipi di mineheads. E finalmente, precedute dalla scritta Plates, le immagini. Il soggetto-libro è meno immediato, ma non meno chiaro. Tralasciamo la copertina e il suo risvolto, in quanto facenti parte di una dimensione esterna e più legata a dettami di presentazione “commerciale”, passiamo direttamente alla struttura interna, di cui due sono le peculiarità di maggiore interesse nel nostro discorso: la descrizione tecnica di ciò che verrà raffigurato nelle pagine successive, e le immagini stesse, in particolare nella loro disposizione sulle pagine.

Rinunciare ad ogni autorialità nelle immagini non vuole dire fotografare indistintamente strutture industriali, ma anzi significa rinunciare ad ogni distrazione in favore di una coerenza e una lucidità assoluta nello sviluppo di un progetto (ovvero una sovrastruttura alle singole foto). Ma un progetto deve essere presentato, rispecchiando possibilmente anche una coerenza con le singole immagini che si è deciso di ritrarre. Ancora una volta c’è una relazione biunivoca tra interno ed esterno. L’interno è l’immagine singola, la natura propria del soggetto rappresentato, ma anche le motivazioni che spingono a iniziare una determinata ricerca. L’esterno è il modo in cui il soggetto è rappresentato, e il modo in cui, appunto il progetto è presentato allo spettatore. Quest’ultima parte, la presentazione intesa come momento ultimo di uno sviluppo concettuale, m’interessa particolarmente. Ovviamente ci sarebbe da scrivere altrettanto sui soggetti, sul modo di ripresa scelto, sulla storia di queste fotografie, ma questo punto lo vorrei approfondire perché va a toccare un tema a mio parere sottovalutato nella pratica fotografica sia dai semiprofessionisti che dai pro- I Becher inseriscono come premessa alle immafessionisti ( e a volte dagli autori/artisti stessi). gini non una dichiarazione d’intenti, non una spiegazione della loro poetica, ma un breve tratDopo aver elogiato l’allestimento della mostra, tato tecnico/anatomico delle strutture che handevo però precisare che esisteva un precedente no fotografato. Non una storia di sé stessi, degli importante da cui si poteva capire quanto fosse autori, ma la semplice spiegazione tassidermica importante puntare sulla relazione insiemistica delle mineheads. delle fotografie: i libri realizzati dagli stessi Be- Si diceva non spiegazione della loro poetica, bencher nella loro vita. Libri che erano non solo il cul- sì la loro poetica. Questa introduzione analitica è mine del loro progetto in quanto presentazione esattamente sullo stesso piano delle fotografie, è allo spettatore; ma anche parte integrante della il loro percorso, che esce dalla singola immagine, loro ricerca artistica. Sfogliando uno dei libri rac- diventa seriale, contempla al suo interno l’oggetchiudenti una serie di queste sculture anonime si to libro per farlo diventare soggetto anch’esso capisce subito come le stesse inquadrature siano della loro ricerca. state studiate per, o comunque abbiano fortemente influenzato, l’esito finale di stampa. Si è già fatta una parziale analisi delle fotograNe ho un esempio con me: Bernd & Hilla Becher fie, della loro composizione e se ne è rilevato il “MINEHEADS”. Edizione The MIT Press, 1997. carattere fortemente analitico. Ma all’interno

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focus on dell’oggetto/soggetto libro esse si sviluppano in tutte le loro potenzialità, o meglio si sviluppa il senso e la grandezza della ricerca dei Becher, il carattere artistico-concettuale che li farà diventare capiscuola di tutta una corrente artistica, in particolare tedesca, che comprende molti artisti contemporanei studenti della “Becher Schule”. Il carattere delle singole fotografie come ripresa analitica degli oggetti dell’era industriale è avvalorato nel libro anche dal contorno all’immagine, che in questo caso ( e in molti altri nella storia dell’arte, anche se forse sottovalutati) è in realtà legato fortemente all’immagine stessa: il titolo. Prendo come esempio la prima fotografia del libro: 1 Deep Duffryn Colliery, Mountainash, Southwales, GB 1966. Anche in questo caso tute le informazioni che il titolo ci da sono di natura geografica e temporale, a parte il numero iniziale che è la semplice numerazione delle tavole fotografiche. Dati tecnici riguardanti l’oggetto raffigurato, o meglio ancora l’oggetto fotografia: dove è stata scattata e quando. Ma se tutto nelle fotografie, dalle modalità di ripresa al titolo, contribuisce a fornirci dati sull’oggetto e non sul soggetto, cosa ci segnala la ricerca dei Becher come una ricerca di natura artistica, qual è quindi la sua valenza estetica (accettata o rifiutata che sia)? Ancora una volta dobbiamo ricorrere alla nozione di struttura, intesa come forma che viene data all’oggetto (attraverso l’inquadratura, la scelta delle luci e anche, nel nostro caso, dall’impaginazione). Le fotografie sono tutte impaginate a blocchi di due, sono 190 e la prima viene posta a sinistra, in modo che abbia il suo corrispettivo a destra, e così via di conseguenza per tutte. In questo modo la struttura delle singole foto dialoga con le altre, fino a creare una struttura esterna che diventa il nostro oggetto libro, che grazie a questo lavoro di nobilitazione diventa soggetto dell’operazione artistica. Pochi esempi, perché in generale le relazioni tra l’immagine di sinistra e quella di destra sono sempre diverse: Foto 1 e 2; ruota singola, entrambe spostate a destra, supportate da un traliccio dritto e da uno inclinato. Foto 3 e 4; ruota singola, struttura portante simi-

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le alle foto 1 e 2, ma con una sorta di copertura trapezoidale alla sommità, e un decentramento della ruota verso sinistra rispetto al traliccio diritto. Foto 5 e 6; ruota singola sormontata da una struttura a punta, le strutture portanti sono praticamente speculari ( a sinistra l’inclinazione è verso destra, a destra l’inclinazione è verso sinistra) Si può continuare a trovare dei corrispettivi anche in tutte le altre coppie di immagini, ma il lavoro sarebbe troppo lungo, e in buona parte inutile, in questa sede. Al di là di questo gioco delle corrispondenze, la capacità analitica e la costanza dei Becher contribuiscono a fornire nuovo materiale al fare fotografia e al fare artistico, in particolare nella loro apparente assenza di caratteri estetici, che invece sono presenti al momento di diventare supporto dello sviluppo di forme di natura industriale in forme artistiche; mantenendo però intatta la coerenza della natura del soggetto fotografico, che prima di essere soggetto era semplice oggetto d’uso obbediente alle sole regole della funzionalità. Estrema coerenza e incredibile costanza sono le caratteristiche del lavoro dei Becher, unite a una visione unitaria del lavoro che comprende ogni fase del processo artistico. n “Se l’arte non è un’ossessione è meglio lasciar perdere” (Bernd Becher)

P.S. La scelta della sede espositiva è stata dettata dalla corrispondenza tra le opere del pittore bolognese e i fotografi tedeschi. In questa sede mi premeva affrontare, brevemente, altre tematiche; si segnala comunque come la dicotomia oggetto/ soggetto sia presente anche in Morandi, come rilevato già nella presentazione alla mostra, a cui si rimanda per approfondimenti. Per ulteriori note sulla biografia dei Becher si rimanda alle numerose pubblicazioni.


Berndt e Hilla Becher, immagine tratta dal libro “Typologies of Industrial Buildings” © Berndt e Hilla Becher. Published under fair use principle.

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altrestorie di Andrea Palla

Dicevi che la colpa è delle stazioni, per via di tutte quelle loro vie di fuga. Per via delle troppe persone che ti facevano soffocare, ognuna col proprio rimpianto da cui allontanarsi. E ti meravigliavi che non crescessero cipressi ai lati dei binari morti, o che non piantassero croci ai piedi dei crocevia. Soltanto fiori, e non per ricordare. Avevi anche tu la tua corsa da progettare con cura, non fosse altro che ti teneva la mente lontana dalle rigide convinzioni che affollavano i passanti. Senza pensare che i progetti - per definizione - non sono mai solitari. Che in due si allevia anche il peso di una seconda classe polverosa. Mi racconterai anche di quello, della polvere e dei suoi centomila granelli. Così, tanto per dire qualcosa. Che non sempre serve avere un argomento altisonante per comporre le parole. Si può anche buttarle fuori, sputarle a terra, regalarle alla strada: ci sarà sempre qualcuno che le raccoglie, in un modo o nell'altro. Come le storie che di fatto si pescano nei giorni qualunque. Sul cemento, tra la gente, nei visi delle persone che affollano i marciapiedi del centro o le periferie silenziose dove riposa qualche nuvola fumosa. La racconteranno nei libri, questa storia di treni e scappatoie, la racconteranno per dovere di cronaca. Con tutti verbi al posto giusto, ma i soggetti scombinati. Senza le imperfezioni ortografiche di chi osserva di getto. Senza nemmeno l'intuizione di dover necessariamente mentire. Semplicemente, con l'impersonalità di chi sa che le occasioni appartengono sempre a qualcun altro, magari al vicino di casa, quello con l'erba sempre più verde. Un prato finto, per seppelirci il suo universo, e farci passare un'autostrada di niente. http://flickr.com/padda http://frammentisparsi.wordpress.com 100

Andrea Palla, “L’attesa”



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