IL GRAND TOUR FOTOGRAFICO IN ITALIA

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Daniela Bonanome

Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori. Introduzione alla mostra

IL GRAND TOUR FOTOGRAFICO IN ITALIA di Alberto Manodori Introduzione alla mostra Di Daniela Bonanome Ottimizzazione fotografie di Alfredo Corrao

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Pubblicato il 28 ottobre 2010

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Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori. Introduzione alla mostra

Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori. Introduzione alla mostra*.

La selezione delle preziose immagini fotografiche provenienti dalla collezione avviata da Alberto Manodori[1] sul finire dell’Ottocento, e proseguita dai discendenti tra i quali il nipote, prof. Alberto Manodori Sagredo, che ringrazio per avermi invitato a commentare questa lodevole iniziativa, mi permette di suggerire qualche osservazione con l’ausilio del prezioso catalogo da lui curato - Luoghi, volti, gesti e costumi. Collezione fotografica di Alberto Manodori (1866-1935) – editato nel 2008 (fig. 1). Innanzi tutto va precisato che ci troviamo nella seconda metà dell’Ottocento, ed è importante sottolineare questa fase temporale in quanto i grandi cambiamenti che verranno prodotti nel corso di questo secolo andranno ad influenzare profondamente quei fenomeni culturali legati al Grand Tour, rinnovandone in buona parte modi, tempi e gusto[2]. Il Grand Tour di quel periodo è stato infatti segnato dalla rivoluzione industriale che ha comportato una progressiva trasformazione dei mezzi di trasporto. L’utilizzo del battello a vapore ha favorito la navigazione nel bacino del Mediterraneo, consentendo la “riscoperta” di Egitto[3], Palestina, Asia Minore, ed estendendo di fatto il Grand Tour classico, via terra, verso le aree del Vicino Oriente[4], cioè verso paesi considerati lontani e poco conosciuti[5]. www.imagoromae.com

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Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori. Introduzione alla mostra La rivoluzione industriale ha comportato l’invenzione della fotografia e – nell’arco di poco più di un decennio – ha innescato un susseguirsi di innovazioni tecnico-scientifiche tali da condizionare e modificare la scelta del mezzo tecnico/artistico con il quale veder rappresentato e rappresentare l’ambiente circostante. Alla rappresentazione grafica e pittorica di vedute, monumenti e antiche rovine, i viaggiatori, turisti dell’epoca, finirono per prediligere la nuova tecnica fotografica, perché la rapidità di produzione iconografica e la possibilità di scegliere il proprio soggetto, si accompagnavano ad indiscutibili vantaggi in termini economici e in tempi di attesa[6]. Per la visualizzazione della galleria fotografica completa di TUTTE le immagini, CLICCA QUI

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La fotografia del Grand Tour che andremo ad ammirare ci appare in una fase già evoluta, ovvero nella transizione dalla tecnica all’albumina alla gelatina bromuro d’argento, importanti conquiste dell’ingegno umano, votato a migliorare la rapidità di esecuzione della ripresa e la nitidezza dei dettagli[7]. In queste splendide immagini che ci guideranno nel nostro comodo Grand Tour visivo, attraversando idealmente la penisola da Nord a Sud, vediamo rappresentati i luoghi principali dell’itinerario classico del viaggio in Italia che prevedeva come prima tappa Venezia, poi Roma e le città più importanti della Campania, come Napoli e Pompei.

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Osservando le immagini di Venezia, non si può non rimanere colpiti da vedute che rimandano ad un immaginario già conosciuto e già visto da ciascuno di noi. Siamo abituati a vedere e a rivedere immagini che da decenni sono passate sotto i nostri occhi attraverso la tradizione vulgata delle cartoline postali. Eppure queste inquadrature qui esposte, anche se molto familiari, non corrispondono ad un tema già visto in fotografia, ma rappresentano esse stesse la vera invenzione della veduta fotografica di Venezia. Esisteva certamente una ben salda tradizione di immagini simbolo di questa città che era veicolata attraverso altre tecniche di rappresentazione iconografica –stampe, acquerelli, disegni – come le vedute panoramiche dipinte, realizzate con precisione scientifica dal Canaletto il quale, sappiamo per certo, utilizzava una camera ottica per rispettare la corretta visuale prospettica[8]. Tuttavia le inquadrature della città qui esposte, sia nelle panoramiche, sia nella selezione del singolo soggetto, vale a dire una piazza, un singolo edificio, un monumento come la gigantesca albumina della Chiesa della Salute, rappresentano il nuovo canone fotografico di Venezia, e questo canone viene ad essere creato e interpretato ai massimi livelli da Carlo Naya. Di origini piemontesi, questo valido fotografo che si era cimentato nella fotografia amatoriale durante la permanenza a Costantinopoli negli anni ‘50, una volta stabilitosi a Venezia decise di avviare un laboratorio ed un negozio a Piazza San Marco intorno al 1860 per dedicarsi alle vedute architettoniche e paesaggistico-ambientali della città[9]. In particolare si è distinto per aver sottoposto la propria sensibilità, la propria inventiva e la profonda cultura che lo contraddistingueva, alla definizione di una serie di immagini-simbolo, che sono diventate ormai le icone di Venezia. La città viene ripresa dall’isola di S. Giorgio in modo da porre una gondola con il gondoliere e il turista in primo piano e sullo sfondo il campanile di S. Marco con Palazzo Ducale[10] (fig. 2); eppure basta una semplice gondola per concretizzare il legame di questa città con il mare. In un’immagine, colta fra le molteplici albumine prodotte da Naya su questo soggetto, vediamo un gondoliere di spalle sulla sua gondola in tranquilla attesa[11] (fig. 3). L’imbarcazione è ferma sull’acqua del canale che viene individuata solo dal riflesso tremolante della sagoma scura, mentre la città si intravede lungo una sottile linea sull’orizzonte che il tempo tende ad annullare e che torna a ricordare con i suoi moli e con il suo campanile che siamo a Venezia: il contrasto delle tonalità chiare quasi evanescenti con le parti scure del soggetto in primo piano e la romantica solitudine di questo simbolo della città lagunare lascia pensare al fascino e alla bellezza di una veduta realizzata ad acquarello. Sono numerose le angolature da cui viene osservata la piazza S. Marco, dove ogni volta si cerca di esaltare la caratteristica architettonica dei singoli edifici, che si estrinseca nella successione illimitata di arcate a più ordini nel palazzo delle Procuratie Vecchie[12] (fig. 4).

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Altre vedute riguardano la Riva degli Schiavoni[13], con il suo molo affollato di barche e una figura senza tempo di marinaio intento ad osservare lo spettacolo del Canal Grande (fig. 5); in un’altra sua immagine[14], colta dal versante opposto, verso i Giardini Pubblici (fig. 6), viene inquadrato dall’alto anche il Canal Grande dove sta transitando un battello a vapore, simbolo dei tempi moderni. Quando Naya dirige l’attenzione verso un particolare edificio storico trasforma l’inquadratura ravvicinata in una veduta classica. Ecco, dunque, il Ponte di Rialto ripreso verso il Fondaco dei Tedeschi (fig. 7), dove le arcate si presentano chiuse dalle attività commerciali lì presenti fin dalla sua costruzione nel 1600[15]. La rara immagine della Basilica di S. Maria della Salute[16] (fig. 8), realizzata con un’attrezzatura di dimensioni ragguardevoli, misurando 88 centimetri di altezza, dimostra che simili formati risultavano impegnativi anche per i turisti maggiormente interessati alle immagini veneziane, in quanto paragonabili a quadri dipinti. Si potrà comunque osservare sull’angolo in basso a destra dell’albumina la firma autografa a penna di Carlo Naya. Per apprezzare appieno queste immagini bisogna disporci con una assoluta capacità di immedesimazione, sgombrare il campo dai propri ricordi visivi e la mente dall’esperienza di saturazione visiva cui ci ha abituati l’industria fotografica moderna. Nel nostro immaginario non dobbiamo porre altro che queste prime immagini fotografiche. Solo così potremo arrivare a comprendere lo stupore di coloro che per la prima volta osservavano quelle piccole porzioni di realtà che sono state scelte e circoscritte da vari punti di vista e che nella loro particolare riduzione ad oggetto bidimensionale – simili cioè ad un quadro – consentivano di essere trasferite senza difficoltà nella collezione di cimeli da riportare in patria, al momento del rientro definitivo dal Grand Tour.

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In questa carrellata veneziana vi invito ad apprezzare i numerosi contributi di fotografi rimasti anonimi, nell’inaspettata veduta del Ponte dei Sospiri[17], un’albumina che riesce a rendere una delicata impressione di realismo con il ritocco colorato (fig. 9); oppure nello straordinario notturno di Riva degli Schiavoni (fig. 10), del 1880, un’albumina derivata dall’interpolazione di due lastre su carta che poi subiva un ritocco colorato di azzurro al fine di ricreare un inedito effetto notte[18]. Allo stesso tempo vi sollecito a valutare altre produzioni meglio note di Salviati[19] (fig. 11), con un raro documento fotografico dell’acqua alta, oltre a Fantuzzi e Alinari, presenti in mostra. Ciò che ci incuriosisce è soprattutto la capacità della fotografia di restituirci la rappresentazione verisimile delle attività e dei mestieri che una volta erano praticati da singole persone o da famiglie, o da piccoli gruppi che, direttamente dalla soglia della loro abitazione, tutti sulla stessa via, esercitavano semplici arti manuali che permettevano loro di vivere. Apprezziamo sotto questo aspetto la figura del fabbro intento al suo lavoro[20] (fig. 12), gli www.imagoromae.com

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ambulanti che vendevano pesce[21] (figg. 13-14), formaggio e rape[22] (figg. 15-16), in quanto costituiscono aspetti delle attività e della vendita delle merci alimentari che si sono andate trasformando e che ancora oggi ritroviamo nei moderni mercati rionali. Esemplare la spavalderia esibita dal “benestante” proprietario della ricca e fastosa rivendita di ostriche[23] (fig. 17), a dimostrazione di una rilevante diversificazione economica tra i vari mestieri legati all’alimentazione. Invece ci stupisce il venditore d’inchiostro (fig. 18) fiero delle sue boccette[24], un mestiere oramai scomparso, così come sono scomparse le attività delle lavoratrici di perle di vetro[25] (figg. 19-22) e certe usanze quotidiane che portavano le persone in Campo San Zanipolo per attingere l’acqua dal pozzo[26] (fig. 23). Le pregevoli fotografie di Roma ci mostrano i luoghi privilegiati prescelti dai fotografi che hanno realizzato le vedute, consentendoci di percorrere in modo ideale la visita esemplare della città papalina[27]. Si comincia con una veduta della piazza antistante San Pietro, affollata da carrozzelle e una folla in attesa della benedizione[28] (fig. 24). L’evento è stato ricordato come benedizione del giorno di Pasqua del 1863, una data preziosa per lo studio di questa albumina. Ritroviamo nella carrellata di immagini in successione una sintesi dei mirabilia di Roma che venivano consigliati al visitatore in transito, specie dalle guide del tempo. La particolarità di queste fotografie è quella di suggerire osservazioni che permettono di cogliere aspetti dei cambiamenti rapidi subiti dalla Città Eterna: in una delle vedute del Foro Romano scorgiamo il viale alberato di olmi[29] (fig. 25), voluti da Papa Pio IX nel 1855, per ricordare l’olmata seicentesca di Alessandro VII, la cui ombreggiatura doveva rendere gradevole la passeggiata tra le rovine del Foro, soprattutto d’estate. Invece, in un’altra fotografia notiamo la sua assenza (fig. 26): ciò vuol dire che l’albumina ci restituisce una visione del Foro, ancora nella sua fase di Campo Vaccino[30], antecedente l’impianto del viale alberato. Un’altra immagine sempre del Foro è sicuramente di epoca posteriore, come dimostrano gli scavi con cui sono state riportate alla luce le strutture della Basilica Giulia, la Casa delle Vestali, il tempio dei Castori[31] (fig. 27).

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Soprattutto è assente quell’aggere di terra che, dopo gli scavi del De Rosa degli anni 1870-1873[32], caratterizzò il complesso intervento archeologico condotto dal Lanciani tra il 1878 ed il 1885, durante il quale, proprio nel 1883, vennero eliminate le tre strade che ancora attraversavano il Foro.

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In una splendida inquadratura del Colosseo eseguita da Sommer[33] noteremo l’ampio bacino e la struttura conica della Meta Sudans (fig. 28), la fontana imperiale distrutta negli anni trenta del secolo seguente, e in primo piano i resti della chiesa medievale di San Cesareo in Palatio. Si distinguono tra le strutture riportate alla luce le diverse celle dei monaci, il cui scavo archeologico del 1872 permette di posticipare l’esecuzione della fotografia almeno ad un momento immediatamente successivo ai lavori di quell’anno, se non proprio al 1873. La veduta del barcaiolo sul Tevere, sarà un punto di vista frequentatissimo dai fotografi di allora. Tanto che è facile individuare nelle serie che verranno eseguite da diversi autori personaggi vestiti sempre allo stesso modo, con cappelli caratteristici, che fungevano da modelli e vivevano del loro mettersi in posa. Particolare risulta la veduta eseguita dallo Chauffourier del Tevere all’altezza di Testaccio[34] (fig. 29), dove notiamo il complesso del San Michele con il faro del porto fluviale di Ripa Grande, quando ancora la città viveva la sua economia di scambi grazie alla navigazione di imbarcazioni sul Tevere. Vanno altresì colte altre trasformazioni che hanno cambiato il volto della città: la facciata del Pantheon ancora dotata nel 1870 dei campanili berniniani[35] (fig. 30), una panoramica spettacolare dalla lanterna della cupola di San Pietro da cui si domina l’intera città e la spina di Borgo[36] (fig. 31), cioè il quartiere che venne distrutto per lasciare spazio a via della Conciliazione; una Stazione Termini realizzata nel 1875 (fig. 32), fotografata prima del completo rifacimento moderno[37]; Piazza Navona dove la Fontana del Moro in primo piano (fig. 33) è preservata da una cancellata in ferrobattuto[38]; la fontana dell’Acqua Marcia in Piazza di Termini del 1880[39] (fig. 34) prima dell’esecuzione delle Naiadi bronzee (1901), opera singolare e sconvolgente per quei tempi dello scultore Mario Rutelli; infine la splendida fontana del Tritone in una piazza Barberini (fig. 35) che non è stata ancora stravolta dalle ristrutturazioni dell’avancorpo della facciata del palazzo nobiliare e dall’apertura di via Barberini durante gli anni 1926-1932[40], ma che ha già perduto il magnifico portale d’ingresso alla Villa, demolito nel 1875[41]. La città ottocentesca rivive nelle fotografie stereoscopiche della ditta americana Underwood & Underwood che opera intorno al 1900 creando un repertorio di vedute animate con modelle e modelli in costume tradizionale della Ciociaria che conferiscono tipicità e folclore alla veduta classica delle antichità romane[42] (figg. 36-37). D’altronde le numerose immagini di vita quotidiana, registrate da diversi atelier attivi anche a Roma, gli Alinari, Brogi e Vasari e da fotografi non identificati, rendono giustizia ad una presenza popolaresca e affaccendata troppo spesso assente nei clichè da ricordo di viaggio. Motivo per cui occupano a mio avviso un posto rilevante le immagini relative alle attività artigianali collocate tra le colonne del Foro di Nerva[43] (fig. 38), tra le arcate del Teatro di Marcello[44] (fig. 39); nelle piazzette tra i vicoli dove si animano con discreta vivacità i mercatini del pesce[45] (fig. 40) e della frutta nella perenne Campo de’ fiori[46] (fig. 41), o si moltiplicano le mescite di vino presso cui si è installato anche un banchetto per la rivendita delle fotografie[47] (fig. 42); cui vanno associate le vedute delle strade più importanti con i negozi riparati da tendaggi, dove si scorgono, carrozzelle, omnibus e calessini trainati da cavalli[48] (figg. 43-48).

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Infine, per quanto riguarda le due città in rappresentanza della Campania, Napoli e Pompei, possiamo sottolineare il ruolo imprescindibile di entrambe nel percorso colto dei viaggiatori del Grand Tour[49]. Una nutrita selezione di fotografie realizzate da Sommer, e non solo da Sommer[50], a Pompei (figg. 49-62) testimonia la straordinaria importanza che l’antica città vesuviana ricopre nell’itinerario classico e dunque la crescente domanda di immagini rispecchia i settori scenografici ed importanti della visita archeologica compiuta dai visitatori di Pompei[51]. Bisogna infatti ricordare che, una volta riprese dal Fiorelli in modo sistematico le attività archeologiche all’inizio degli anni ’60[52], la riorganizzazione dell’intera area prevedeva per i visitatori il pagamento del biglietto d’ingresso, cosa questa inaudita, che suscitò scandalo e proteste anche all’estero. Era semplicemente un modo per rivendicare la proprietà dell’antico sito allo Stato. Le immagini di Sommer, sempre professionalmente ineccepibili dal punto di vista dell’inquadratura, ci documentano la dimensione quasi intatta di una Pompei riportata alla luce con grande meticolosità, ma lasciano una inquietante impressione di vuoto, se pensiamo alle masse turistiche dei tempi moderni.

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Forse è per questo che le fotografie che riusciamo ad apprezzare di più di questo fotografo di origine germanica, sono le vedute animate da personaggi in abiti borghesi[53] (fig. 63), messe in posa con capacità artistica compositiva per abbinare una garbata presenza umana ad un corretto bilanciamento di proporzioni tra architettura e figure. Pompei era diventata già allora meta obbligata di fotografi specializzati nella documentazione dei luoghi del Grand Tour, come dimostrano alcune vedute eseguite dai Brogi[54] (figg. 49; 54; 59). Curiose e affascinanti alcune albumine di Napoli. Accanto alle vedute più importanti della città con le panoramiche sul golfo in una albumina del 1870[55] (fig. 64), con i suoi pini svettanti, chiuse sullo sfondo dalla mole del Vesuvio dove il fotografo non identificato ha aggiunto il pennacchio a mano, oppure ripresa dal punto di vista di San Martino (fig. 65), quest’ultima ad opera di Sommer[56], scopriamo una Napoli indagata in alcune inquadrature non così note. Si veda ad esempio la scenografica veduta del golfo presso la Fontana di S. Lucia (fig. 66) dove il fotografo Amodio ha intenzionalmente posto in primo piano i banchi chiusi della rivendita dei mitili[57], un’attività fondamentale nell’economia marinara della città sottolineata anche dalla presenza di due velieri. La stessa tematica dell’attività con il pescato viene proposta da Sommer nell’albumina della Strada del Molo (fig. 67) dove le botteghe della rivendita del pesce sono in una veduta fortemente scorciata che si chiude su fondali rappresentati dalle architetture collocate in prospettiva sfalsata[58].

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Si conclude la visione fotografica del percorso culturale in Campania con una serie di fotografie relative ai dintorni di Napoli, con scorci di Amalfi, Capri e Sorrento. Sommer firma per Amalfi un quadro fotografico che indulge al romanticismo. Non compare la Cattedrale, ma una veduta sulla vallata (fig. 68) disegnata dalle acque del canale scavalcato da un piccolo ponte che ricongiunge due ali di semplici case in armoniosa dislocazione prospettica lungo il letto del torrentello in secca[59]. Sono due personaggi in abiti borghesi a rendere animata come un quadro d’autore questa immagine inconsueta di una cittadina che, sappiamo essere Amalfi, ma che potrebbe essere un ameno angolo di una qualsiasi cittadina assolata e tranquilla della costa campana. Splendide le immagini riprese da Robert Rive, le cui origini prussiane sono ora accertate da incartamenti rinvenuti a Napoli da poco pubblicati, dove risulta conosciuto anche con il nome Giulio. Anch’egli come molti fotografi itineranti fin dagli anni 50 dell’Ottocento aveva trovato un punto di riferimento nella Napoli dei Borboni, insediandosi e cambiando spesso ubicazione ai suoi studi[60]. Le sue spiccate doti di vedutista lo portarono ad eseguire campagne di documentazione paesaggistico-ambientali e archeologiche in vari luoghi della penisola, dedicandosi soprattutto alla città di Napoli e ai suoi dintorni. Ricordiamo le immagini dell’area degli scavi di Pompei[61], e poi le vedute di Amalfi. Ma vorrei soffermarmi sulla veduta di Capri[62] (fig. 69), qui esposta, dove la scelta della composizione di questa opera fotografica è stata ricercata attraverso l’attenta osservazione della conformazione orografica, le cui linee e profili principali suggeriscono una spazialità prospettica che merita di essere apprezzata. La veduta della marina di Sorrento[63] è un’altra magistrale composizione di linee che guidano lo sguardo dell’osservatore (fig. 70), invitandolo a seguire il profilo semicircolare della falesia rocciosa a picco sul mare, in uno scenario maestoso e autentico che, nella sua naturale perfezione ambientale non può non indurci a riflettere. Infatti, osservando immagini di un tempo non lontanissimo da noi, possiamo cogliere e valutare quanto è andato perduto e quanto è stato trasformato dall’intervento spesso distruttivo dell’uomo. Ma l’esistenza di luoghi, paesaggi, architetture ed opere d’arte possono ancora trovare salva la loro memoria attraverso il ruolo privilegiato di documento storico che viene a svolgere la fotografia quando, in occasione di mostre come questa, torna ad essere esposta, ammirata, quindi riconsegnata alla pubblica condivisione. Daniela Bonanome

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NOTE: * Testo della relazione introduttiva alla mostra Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori Sagredo, tratta dall'archivio fotografico di Alberto Manodori, svoltasi a Roma dal 22 giugno al 2 luglio 2010. All'evento partecipano Alberto Manodori Sagredo, docente di Storia della Fotografia presso la Facoltà di Lettere dell'Universita degli Studi di Roma Tor Vergata, Fabio Pierangeli, docente di Italianistica presso la stessa Facoltà, Anna Pasqualini, docente di Antichità romane e la dr.ssa Daniela Bonanome, responsabile dell’Archivio Fotografico di Facoltà.

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[1] Alberto Manodori (1866-1953), avviò una collezione fotografica, comprendente anche diverse apparecchiature fotografiche, che venne in seguito incrementata dal figlio Marco Gerardo Manodori, e dal nipote prof. Alberto Manodori Sagredo, attuale curatore della Mostra in esame. Il catalogo dell’esposizione cui ci si riferisce per tutte le immagini commentate è il seguente: A. Manodori Sagredo, Luoghi, volti, gesti e costumi. Collezione fotografica di Alberto Manodori (1866-1935), Reggio Emilia 2008, d’ora in poi citato come Luoghi, volti, gesti e costumi. [2] Sul fenomeno del Grand Tour agli albori della fotografia si veda D. Bonanome, Antichità e arte in fotografia. Dal principio della camera oscura alle tecniche e ai modi della produzione fotografica di documentazione attraverso i grandi maestri dell’Ottocento, Roma 2010, in part. cap. 3, Dagherrotipisti e fotografi in Italia, pp. 57-74; C. Dall’Olio (a cura di), Souvenir del Grand Tour. Immagini dell’Italia di Metà Ottocento, Modena 2005. [3] D. Bonanome, Fotografia e appunti di viaggio: l’Egitto di Maxime Du Camp e Gustave Flaubert, Roma 2007. [4] C.-H. Favrod, M. Maffioli (a cura di), Il Mediterraneo dei fotografi. Passato Presente, Firenze 2004. [5] Si veda Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 5, L’Egitto, il Vicino Oriente e la Grecia nella fotografia del Grand Tour: pittori, dagherrotipisti e fotografi itineranti, pp. 97-113. [6] Si veda Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 9, La fotografia in Italia nella seconda metà dell’Ottocento, tra tradizione e archeologia, pp. 175-194. [7] Sulle principali tecniche di quel periodo e sulla loro applicazione nelle diverse attività fotografiche di quel particolare periodo storico, si consigliano H. Gernsheim, Storia della fotografia 1850-1880: l’età del collodio, Milano 1987; L. Scaramella, Fotografia. Storia e riconoscimento dei procedimenti fotografici, Roma 2003. [8] Si veda Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 1, Et Nos Non Inventimus Ita…Introduzione storica al procedimento naturale della vista e alla sua applicazione nella Camera oscura, pp. 9-36, in part. p. 31. [9] Sulla biografia di Carlo Naya si consiglia T. Devito, in Venezia nelle fotografie di Carlo Naya della Biblioteca Vallicelliana, a cura di A. Manodori Sagredo, Roma 2008, ivi bibl. prec. [10] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 13, in alto a sinistra. [11] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 18, in basso. [12] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 13, in basso a destra. [13] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 14, in basso. [14] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 15, in alto a sinistra. [15] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 15, in basso a destra. [16] La straordinaria albumina, pubblicata a p. 17 in Luoghi, volti, gesti e costumi, è stata esposta dopo un accurato restauro eseguito da Donatella Cecchin. [17] Si veda l’albumina colorata pubblicata in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 16. [18] Si veda la foto pubblicata in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 14, in alto a destra. Per la tecnica di realizzazione di queste vedute notturne ora V. Palombini, “Chiari di luna” a Venezia e Carlo Naya, in Acta Photographica 1 (2005), pp. 17-22, ivi bibl. prec. www.imagoromae.com

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[19] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 14, in alto a sinistra. [20] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 23, a sinistra. [21] In Luoghi, volti, gesti e costumi, pp. 22, in alto e 23, in basso a destra. [22] In Luoghi, volti, gesti e costumi, cartes de visite a p. 19, in alto a sinistra e in basso al centro. [23] Gelatina al bromuro d’argento del 1900, Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 23, in alto a destra. [24] Si veda la carte de visite pubblicata in Luoghi, volti, gesti e costumi a p. 19, in basso a sinistra. [25] Si vedano le foto pubblicate in Luoghi, volti, gesti e costumi alle pp. 21 e 22, in basso. [26] Si veda l’albumina stereoscopica in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 20, in alto. [27] Per il momento d’oro della fotografia a Roma si veda Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 10 Il circolo dei pittori fotografi del Caffè Greco e altri professionisti in Italia, pp. 195-216, con bibliografia. [28] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 27, in alto a sinistra. [29] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 27, in basso a destra. [30] In Luoghi, volti, gesti e costumi si veda l’albumina a p. 27, in alto a destra. [31] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 31, in basso a destra. [32] A questo proposito si veda Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 12, La fotografia nelle esplorazioni archeologiche prima e dopo il 1870, pp. 235-250, part. p. 243. [33] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 28, in alto a sinistra. [34] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 28, in basso a destra. [35] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 30, in alto a sinistra. [36] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 31, in alto a destra. [37] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 31, in basso a sinistra. [38] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 30, in alto a destra. [39] Si veda l’albumina degli Alinari in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 32, in alto a sinistra. [40] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 37, in alto a sinistra. [41] A. Negro, Rione II-Trevi, I, Roma 1980, pp. 76-81. [42] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 34. [43] Si veda a tal proposito l’antico Forno in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 33, in alto a sinistra. [44] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 33, in alto a destra. [45] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 35, in alto a destra. [46] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 35, in alto a sinistra. www.imagoromae.com

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Daniela Bonanome

Il Grand Tour fotografico in Italia di Alberto Manodori. Introduzione alla mostra

[47] In Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 35, in basso. [48] In Luoghi, volti, gesti e costumi si vedano le foto alle pp. 36, in basso a destra; 37, in alto a destra e in basso; 39, in alto. [49] Colgo l’occasione per segnalare il volume in corso di stampa di M. Apicella, che riguarderà espressamente la produzione fotografica dell’Ottocento con riferimento agli scenari paesaggistico-ambientali della Costiera Amalfitana e della costa campana in genere. [50] Su Giorgio Sommer ora G. Fanelli, L’Italia virata all’oro. Attraverso le fotografie di Giorgio Sommer, Firenze 2007. [51] Per un approfondimento AA. VV., Fotografi a Pompei nell’800, dalle collezioni del Museo Alinari, Firenze 1990. [52] Bonanome, Antichità e arte in fotografia, cit. in nota 2,cap. 12, La fotografia nelle esplorazioni archeologiche prima e dopo il 1870, p. 235 ss. [53] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 47, in basso a sinistra. [54] Per le fotografie realizzate a Pompei dalle ditte Sommer e Brogi: Luoghi, volti, gesti e costumi, pp. 45-49. [55] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 41, in alto a sinistra. [56] Sommer sembra prediligere le ampie panoramiche, si veda l’albumina in Luoghi, volti, gesti e costumi a p. 41, in alto a destra. [57] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 41, in basso a sinistra. Su Michele Amodio e il suo atelier cfr. G. Galasso, M. Picone Petrusa, D. del Pesco, Napoli nelle collezioni Alinari e nei fotografi Napoletani tra ottocento e novecento, Napoli 1981, pp. 47, 62 nota 200, 75, 96 nota 39, 100 nota 63, e 101 nota 73; AA., VV., Napoli in posa:1850-1910 crepuscolo di una capitale, a cura di G. Fiorentino e G. Matacena, Napoli, 1989, p. 255. [58] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 41, in basso a destra. [59] L’albumina di Sommer, è pubblicata in Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 42, in basso. [60] Il suo primo atelier era in Vico Carminiello a Chiaja dove rimase fino al 1865. Si trasferì poi in via Toledo 17 dove lavorò a lungo fino almeno al 1886: Si trasferì infine in un atelier sulla salita di San Filippo a Chiaja 15 dove lavorò fino al 1889. Come professionista praticò la fotografia di ritratto ma soprattutto si qualificò come vedutista, utilizzando tutti i formati conosciuti, dalle cartes de visite al formato album, e poi i grandi e medi formati, soprattutto le fotografie stereoscopiche, molto apprezzate dai turisti. Seppe documentare con maestria la Sicilia e altre località della penisola, con fotografie di panorami e monumenti di Firenze e Roma particolarmente richieste da quel turismo colto che andava incrementandosi sul finire del secolo. Per Rive riferimenti in M. Miraglia, Note per una storia della fotografia italiana (1839-1911), in AA., VV., Storia dell’Arte italiana 9, III, Torino 1981, pp. 421-544, in part. p. 482; Napoli in posa: 1850-1910, cit. in nota 56, p. 259. [61] Per l’album di Pompei si veda il link:http://www.annona.de/alben/Rive%20Roberto%20Album%20Pompei/. [62] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 43, in alto a sinistra. [63] Luoghi, volti, gesti e costumi, p. 43, in alto a destra.

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