IMQ Notizie n. 92

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Anno XXVIV Numero 92 Settembre 2010 IMQ, via Quintiliano 43 - MI Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. - 70% DCB_Milano

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È ORA DI CAMBIARE ROTTA Perché lasciare il vecchio modello economico e crescere nell’era della green economy. Pag. 2

L’IMPORTANZA DI STARE SCOMODI L’economia del futuro sarà blue. Parola di Gunter Pauli. Pag. 26

LET MY PEOPLE GO SURFING Storia di Patagonia, l’azienda più verde che c’è. Pag. 44

QUELLI CHE STAMPANO SU CARTA AMICA La graduatoria degli editori eco-sostenibili, secondo Greenpeace. Pag. 58

GREEN NOW! PERCHÉ IL VERDE È ANZITUTTO UN BUSINESS PRIMO PIANO: RED, GREEN E BLUE ECONOMY • Davide contro Golia: racconti di business sostenibili • Si dipingeva la faccia di verde: attenti al green washing I L

• Anche il dentifricio impatta: l’importanza del life cycle thinking • Come consumare meglio e meno • Viaggio nel mondo dei V.E.R.: come neutralizzare le emissioni di CO2

M A G A Z I N E

P E R

U N A

STORIE DI QUALITÀ

• Voglia di lavorare verde: le nuove professioni della green economy • Anche le P.A. pensano verde

V I T A

D I

QUALITÀ DELLA VITA • Consumo consapevole: i consigli di Legambiente • Viaggiare: Libia per viaggiatori esperti • Sport: a scuola di Orienteering • Leggere verde: le Edizioni Ambiente

Q U A L I T À

E

S I C U R E Z Z A


IMQ NOTIZIE

Di Giancarlo Zappa

Questo di IMQ Notizie è un numero verde. E non semplicemente perché i suoi contenuti

Numero 92 Direttore Responsabile Giancarlo Zappa

sono incentrati su tematiche di grande attualità quali la “green economy”, gli impatti ambientali, la biodiversità, il green washing, le energie alternative, il consumo responsabile, la carbon footprint, l’ecologia e la neutralizzazione di CO2. E neppure perché è stato

Capo redattore Roberta Gramatica Art direction Antonio Fortarezza Coordinamento grafico Fortarezza & Harvey posta@fortarezza.it Hanno collaborato Gian Luca Baldo Federico Cerrato Alessandra Cicalini Maurizio Fauri Cristina Ferrari Fabrice Leclerc Walter Molino Bernard Ollié Piercarlo Pirovano Giacomo Selmi Antonio Visentin Direzione, Redazione, Amministrazione IMQ, Istituto Italiano del Marchio di Qualità Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 - fax 0250991500 mkt@imq.it - www.imq.it

stampato su carta certificata FSC. E’ un numero verde perché vuole offrire un punto di vista olistico sull’economia verde. Ovvero orizzontale, trasversale, multitasking. Esattamente com’è richiesto dal nuovo modello di economia, la “green economy”, che si basa, appunto, su un approccio olistico e, dunque, per definizione vincente. Almeno stando alla spiegazione che, di questa parola, ha dato il suo stesso inventore, Jan Christiaan Smuts, che così la definiva: «L’olismo è la tendenza, in natura, a formare interi che sono più grandi della somma delle parti attraverso l'evoluzione creativa».

Nelle pagine che seguono troverete la testimonianza di esperti internazionali di “green economy”, che di questi argomenti hanno avuto modo di parlare durante “Green Now”, un evento organizzato da IMQ. Leggerete come la “green economy” sia anzitutto business. Come la “red economy” sia ormai un modello sorpassato e probabilmente non più praticabile. E come dietro l’angolo ci aspetti già la “blue economy”, con la sua sollecitazione a cambiare il proprio punto di vista, se si vuole innovare. Troverete le interviste a Greenpeace, WWF e Legambiente, che di verde, si sa, sono grandi esperti. Potrete saperne di più su Patagonia, l’azienda più verde del mondo, e scoprire

STAMPATO SU CARTA CERTIFICATA

come è possibile un utilizzo sostenibile delle foreste. E ancora leggere l’intervista fatta a una casa editrice verde - Edizioni Ambiente - che di ecologia ed eco-sostenibilità parlava - anzi scriveva - già nel 1993.

Infine, potrete anche scoprire come si sta muovendo IMQ all’insegna del motto “Green Tutte le informazioni qui pubblicate possono essere liberamente riprese citando la fonte IMQ Notizie, trimestrale d'informazione sui problemi della sicurezza e della certificazione. Via Quintiliano 43 20138 Milano tel. 0250731 Direttore responsabile: Giancarlo Zappa Autor. Tribunale Milano n. 17 del 17/1/1981

Now”, con il suo progetto di creare un polo di professionisti del settore green, che pos-

Stampa: Mediaprint - Milano

Buona lettura

In conformità a quanto previsto dal D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), e fatti salvi i diritti dell'interessato ex ate. 7 del suddetto decreto, l'invio di IMQ Notizie autorizza I'Istituto Italiano del Marchio di Qualità stesso al trattamento dei dati personali ai fini della spedizione di questo notiziario.

sano aiutare produttori, aziende, società, a produrre meglio, con un minore impatto e valorizzando al massimo il proprio operato.


SOMMARIO

IMQ NOTIZIE n.92_ settembre 2010

PRIMO PIANO 2 RED, GREEN O BLUE ECONOMY? I maggiori esperti di green business ne parlano. Con un occhio al passato e uno al futuro 3 PRONTI A CAMBIARE ROTTA ? Perché abbandonare il vecchio modello economico e crescere nell’era della green economy? Quali gli ingredienti per un approccio ecosostenibile? Di Fabrice Leclerc

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6 DAVIDE CONTRO GOLIA Racconti di business sostenibile. Laddove il green business è anzitutto business e il piccolo batte il grande. Di Bernard Ollié 10 CONSUMATORI NEL MERCATO VERDE I risultati della ricerca Clownfish - Aegis Media Expert 12 SI DIPINGEVA LA FACCIA DI VERDE Tra green communication e green washing. Cosa fare e cosa non fare. Di Piercarlo Pirovano

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20 ATTENTI ALLA COMUNICAZIONE: GREENPEACE VI OSSERVA Intervista ad Andrea Lepore, responsabile della campagna Clima di Greenpeace Italia 22 E DOPO LA GREEN? ECCO LA BLUE ECONOMY Anteprima del nuovo libro di Gunter Pauli. 26 L’IMPORTANZA DI STARE SCOMODI La necessità di cambiare e la volontà di esplorare, alla base delle economie del futuro. Intervista a Gunter Pauli 28 ECCO CHE CON LA CRISI L’INVENZIONE DIVENTA UN GIOCO Storie di ordinario successo laddove un nuovo punto di vista ha fatto da apripista

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30 ANCHE IL DENTIFRICIO IMPATTA L’importanza del life cycle thinking. Di Gian Luca Baldo 32 I NOSTRI NONNI IMPATTAVANO MENO? Quando era meglio ieri. O forse no. Il prima e il dopo dei consumi 34 NON POSSIAMO RISOLVERE IL PROBLEMA CON LA STESSA MENTALITÀ CHE L’HA GENERATO Tra efficienza energetica ed energie alternative. Di Maurizio Fauri 36 TIPPING POINT Quanto costa la perdita della biodiversità secondo lo studio WWF-Allianz 38 SCUSI LEI, MI NEUTRALIZZA O NO? Viaggio nel mondo dei V.E.R. e sulle modalità di neutralizzazione della CO2. Di Antonio Visentin 42 ALZI LA MANO IL PRIMO ECOLOGISTA Ambiente ed ecologia: concetti che arrivano da molto lontano

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STORIE DI QUALITÀ 44 LET MY PEOPLE GO SURFING Storia di Patagonia, l’azienda più verde che c’è 48 VOGLIA DI LAVORARE VERDE Le nuove professioni della green economy 50 ANCHE LE P.A. PENSANO VERDE Il Green Public Procurament e altri casi di sensibilizzazione agli acquisti sostenibili

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PRODOTTI DI QUALITÀ 54 MA PERCHÉ DISTRUGGIAMO LE FORESTE? A favore di un utilizzo sostenibile di foreste e legnami, ecco le certificazioni FSC e PEFC 58 QUELLI CHE STAMPANO SU CARTA AMICA DELLE FORESTE “Salvaleforeste”: la graduatoria degli editori eco-sostenibili fatta da Greenpeace

QUALITÀ DELLA VITA 60 CONSUMO CONSAPEVOLE: INTERVISTA A LEGAMBIENTE 62 SALUTE: ALIMENTAZIONE VERDE

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64 VIAGGI: LIBIA 66 SPORT: ORIENTEERING 68 LIBRI, FILM, VIDEO, MUSICA

COMUNICAZIONE DI QUALITÀ 70 PUBBLICARE VERDE: “EDIZIONI AMBIENTE”

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RUBRICHE 72 Panorama News 76 Brevi IMQ

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PRIMO PIANO:

RED, GREEN O BLUE ECONOMY? Anche se la “green economy” ha appena conquistato le luci della ribalta, dopo una lunga egemonia della “red economy”, già si sente parlare di “blue economy”. Ma cosa c’è dietro tutti questi colori? La “red economy” è quella in auge da tanti anni, basata sul concetto delle economie di scala, sulla centralità del profitto e della crescita a tutti costi. La “green economy” è quella con la quale ci stiamo attualmente confrontando, per capire meglio la quale, abbiamo invitato alcuni tra i maggiori esperti internazionali, che ne hanno dibattuto in IMQ all’insegna del motto “Green Now”. Di “blue economy” abbiamo invece chiesto di parlarne a Gunter Pauli, guru della sostenibilità, che di questo argomento tratta in un libro, in uscita in autunno, del quale è data un’anteprima nelle pagine che seguono.

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PRONTI A CAMBIARE ROTTA? FABRICE LECLERC*

PERCHÉ ABBANDONARE IL VECCHIO MODELLO ECONOMICO E CRESCERE NELL’ERA DELLA GREEN ECONOMY? QUALI GLI INGREDIENTI PER UN APPROCCIO ECOSOSTENIBILE?

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È Affiliate professor alla SDA Bocconi Professional School di Milano, membro della commissione French Foreign Trade Advisors e consulente di sviluppo imprenditoriale, sociale, economico, ambientale e meta designer. Specializzatosi con due MBA, presso l’Essec Business School di Parigi e presso la Cornell University negli USA, è docente di Corporate Responsibility e Green Business presso la stessa Essec, oltre che visiting professor all’Università Stern di New York, alla Fudan di Shanghai e all’Esade in Spagna. È stato Managing Director di Diageo, General Mills, Haagen Dazs Europe e creatore del Business Innovation Lab di l’Oreal Luxury International.

Ve lo ricordate il Titanic? Meraviglioso, alla partenza. Una nave che sulla carta doveva essere indistruttibile. E aveva tutti i requisiti per esserlo. Perché era sicura, elegante, moderna. Eppure sappiamo tutti quello che è successo. E a salvarsi da quel terribile incidente non furono coloro che decisero di rimanere su quella nave, perché fino a quel momento del viaggio aveva dimostrato di essere grande, bella, sicura. A so-

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PRIMO PIANO:

pravvivere furono quelli che alle prime avvisaglie di pericolo ebbero subito il coraggio di cambiare rotta, di salire sulle barche di salvataggio e andare via, lontano da quello che in poche ore sarebbe diventato un vero e proprio inferno. Un esempio noto a tutti che ben serve per illustrare come il cambiamento a volte sia non solo necessario, ma ancora prima una questione di sopravvivenza. Esattamente quello che sta succedendo al modello economico attuale. Basato su una società incentrata sulla produzione, sulla vendita e, quindi, sulla centralità del profitto. Uno schema che

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però è risultato fallimentare. Perché è vero che ha portato ai profitti, ai guadagni, alla crescita continua, ma ci ha anche condotti a vivere in un contesto lontano da quelle che sono le vere esigenze di ciascun uomo, ovvero la possibilità di vivere in un ambiente sano, sereno, con tanti amici e tempo a disposizione anche per la crescita personale - non solo economica - nel quale è possibile lavorare per uno scopo e un progetto ad ampio respiro, non semplicemente per il guadagno. Un modello economico che per alcuni anni ha ingannato anche noi stessi. Quando ci accontentavamo di

essere considerati indistintamente come dei consumatori e non individualità singole, dalle esigenze precise. Quando ci interessavamo solo del profitto e non importava se l’ambiente nel quale vivevamo era sempre più inquinato. Quando seguivamo le aziende con il marchio di moda e non quelle che mostrassero valori etici e sociali. Quando ci fidavamo solo dei messaggi pubblicitari e non di quello che le persone dicevano. Poi, a un tratto, è come se avessimo aperto gli occhi e avessimo deciso finalmente di ritornare ad essere noi i conduttori della nostra vita, deci-


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dendo quali prodotti e quali aziende scegliere senza farci condizionare dalla loro offerta. Un trend, questo, confermato anche dalla diffusione di strumenti come youtube o dei blog, dove a prevalere è la voce dell’individuo in quanto esponente della collettività, non quella dei più potenti o dei ricchi. I modelli economici sono da sempre soggetti a cambiamento continuo. Ma oggi, si può dire di essere di fronte a una vera e propria rivoluzione epocale. L’azienda “etica”, che pone in primo piano i bisogni e il benessere delle persone e del pianeta, riesce a catturare l’attenzione su di sé perché arriva dritto al cuore della gente e di conseguenza attira dalla propria parte chi ha idee innovative e vuole fare qualcosa di concreto per salvaguardare il mondo. La generazione “green”, vuole dimostrare che si crea profitto anche agendo nel rispetto dell’ambiente. E il fatto che sia possibile, ben lo dimostrano i dati economici dal momento che, nel mondo,

tra il 2009 e il 2010, le aziende verdi hanno avuto incrementi nelle vendite sorprendenti: food + 153% – architettura + 181% – beauty + 240% – medicina + 230% – energie verdi + 302% – investimenti verdi + 431%.

IL MODELLO VINCENTE: VERDE NON VUOL DIRE ECOLOGICO Oggi il modello vincente sembra dunque essere quello delle aziende verdi, che non vuol dire ecologiche, ma eticamente corrette, che offrono prodotti a ridotto impatto ambientale, che consentono ambienti di lavoro sicuri e piacevoli - anche nella ricerca di lavoro non si punta più all’azienda famosa, ma al best place to work -, che hanno capito come l’unico modello che nella storia non abbia mai tradito è quello che ha rispettato la natura, aziende corrette, semplici e trasparenti, che si sono spogliate di tutto il superfluo per concentrarsi su

ciò che è veramente utile. Aziende che la generazione verde sa riconoscere, perché è ben informata e dunque non a rischio di farsi sviare da comunicazioni non autentiche. Per essere vincenti le aziende devono dunque essere pronte al cambiamento, a riconsiderare il proprio modello economico. A non essere più gerarchiche, ma orizzontali; non strutturate, ma flessibili; non opache, ma trasparenti; non indirizzate alla crescita, ma creative; non razionali ma emozionali; non competitive ma collaborative; non dominanti ma condividenti; non materiali, ma spirituali. Senza limitarsi a diventare verdi, ma a pensare verde, proponendo nuove strade, come hanno fatto i grandi pioneri della green economy, quali Barack Obama con la spiritualità del suo “yes we can”, Steve Jobs, Richard Branson, Yvon Chouinard fondatore e unico proprietario di Patagonia, l’azienda più verde del mondo. Come hanno fatto, insomma, i veri leader di successo.

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PRIMO PIANO:

DAVIDE CON RACCONTI DI SVILUPPO SOSTENIBILE. LADDOVE IL GREEN BUSINESS È ANZITUTTO BUSINESS E IL PICCOLO BATTE IL GRANDE BERNARD OLLIÉ*

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NTRO GOLIA * Presidente e fondatore di AGoodforGood, società di consulenza francese specializzata in ecosostenibilità aziendale (tra le aziende clienti: Casino Group, Carrefour, Materis Paints (Wendel) e, in Italia, Guala Closures). Dopo la specializzazione all’Essec Business School di Parigi e all’Università Bocconi di Milano, è stato Marketing Manager in Kraft Foods e Colgate Palmolive, Vice Presidente Marketing e Business Development in LVMH e Sara Lee.

Il green business non è una religione. E tanto meno una filosofia. È “semplicemente” business. E come ogni modello economico vincente deve essere strutturato su uno schema manageriale efficiente, orientato alla ricerca della massima qualità. Qualora tale requisito, la qualità, non dovesse esserci, anche il green business è destinato a fallire. Il che è un fatto decisamente positivo, perché ci tutela dal pericolo di incappare in modelli economici a bolla di sapone, gonfiati da una moda passeggera, ma destinati a scoppiare da un momento all’altro. Per dimostrare come il green business, insieme con le sue strategie sostenibili, sia ad ogni modo orientato al mercato, prendiamo ad esempio un’esperienza che parla di caffé o, meglio, di capsule di caffè. Un esempio che, da una parte ha la tradizione, quella della Nespresso,

con le sue capsule diventate anche oggetto di design oltre che di costume, visto il noto testimonial. Con una distribuzione che ha puntato su una vendita personalizzata (le capsule prodotte dalla Nestlé non si trovano nei supermercati, si possono acquistare solo su Internet oppure nelle boutique delle grandi città), su scelte individuali (le macchine Nespresso possono utilizzare solo le relative capsule) e di élite (le capsule Nespresso costano in Francia 0,35 euro ciascuna). Dall’altra ha la ECC, Ethical Coffee Corporation, con il suo fondatore Jean-Luc-Gaillard (la stessa persona che anni fa lanciò il nuovo sistema Nestlé) che, oggi, in collaborazione con diversi esperti è riuscito a creare della capsule compatibili con le macchine Nespresso, ma con numerosi vantaggi rispetto a queste ultime, sia in termini ambientali sia economici. I primi rappresentati

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PRIMO PIANO:

anzitutto dalla dimensione ridotta dell’involucro delle capsule e soprattutto dal materiale di composizione, un amido di mais biodegradabile in sei mesi, usato al posto dell’alluminio. I secondi dalla facile reperibilità del prodotto (le capsule ECC sono vendute nei supermercati, Casino, Monoprix, LeaderPrice) e da una significativa convenienza (le capsule ECC costano quasi il 25% in meno rispetto alle Nespresso). A questo punto, però, a fronte di plus derivanti sia dalla green sia dalla red economy, la domanda è: se le capsule ECC non avessero avuto anche un vantaggio in termini economici, il successo sul mercato ci sarebbe stato lo stesso? Probabilmente no. Perché come dicevamo all’inizio di questo articolo, il green business è anzitutto business. Quello che però l’esempio della Nespresso ci dimostra è che la green economy ci offre nuove strade da praticare e l’acquisizione di nuovi possibili mercati, riuscendo addirittura a strappare quote a quelli che potrebbero essere considerati colossi inattaccabili. Nuove strade che, come le case history ci dimostrano, il più delle volte sono state inaugurate ed esplorate da piccole aziende, prima ancora che dalle grandi imprese. Proprio come è capitato con la Cosmetique Bio, un gruppo di piccole aziende del settore beauty, con un fatturato medio di 1/2 milione di euro (quello di Oreal è di 16 miliardi), partito nel 2002 con la produzione di cosmetici biologici. Piccole realtà che, unite in associazione, hanno impostato un capito-

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lato con i requisiti necessari per la produzione di prodotti cosmetici biologici e in pochi anni sono diventate una potenza, vantando oggi 270 aziende associate e una quota di mercato del tutto invidiabile, consentita dal fatto di avere dato il via a un’opportunità di business fino a poco prima inesplorata. Un altro esempio è quello di un’azienda alimentare francese che ha proposto sul mercato prodotti a pesticidi sotto controllo. Un’offerta alla quale i consumatori si sono dimostrati particolarmente sensibili grazie anche al fatto che i prezzi sono i medesimi dei prodotti trattati senza sorveglianza sui pesticidi (di nuovo plus ambientale della nuova economia + plus economico della vecchia ). E, ancora, l’esempio di Carrefour e di altri supermercati che hanno puntato sui detersivi alla spina, offrendo minor impatto ambientale, grazie alla riduzione degli imballaggi e anche minor prezzo dei detersivi stessi. Alla fine di questa rapida panoramica su alcuni nuovi modelli di sviluppo sostenibile, appare evidente che il green business comporta profitto, che spesso i precursori dei nuovi modelli di business sono le piccole aziende le quali, in una sorta di sfida tra Davide contro Golia, riescono a influenzare anche le scelte dei colossi, e che l’autorevolezza di organismi come Greenpeace e una diffusa sensibilità ambientale riescono a combattere i comportamenti scorretti o invasivi per l’ambiente delle multinazionali, costringendole a correggere i loro orientamenti.


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PERCHÉ SCEGLIERE UN MODELLO DI BUSINESS VERDE - Per guadagnare nuove quote di mercato - Per migliorare i profitti riducendo i costi e monitorando i rischi (es. BP) - Per impostare progetti per il futuro dell’azienda (aspetto molto coinvolgente e motivante a livello di human resources) - Per monitorare la reputazione dell’azienda - Per predisporre una autorevole e motivata base di comunicazione

DA NON FARE -

Green Washing “Accontentarsi” delle prestazioni dei prodotti Agire solo per ideologia Agire in maniera veloce e ambigua Dimenticare le esigenze del consumatori: prezzo, valore aggiunto, impegno

DA FARE -

Essere aperti a stimoli esterni Fare attenzione a norme e regolamenti Essere trasparenti Essere market oriented

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PRIMO PIANO: I CONSUMATORI VERDI

PIONIERI,OBBLIGATI E NON INTERESSATI: E DEL CONSUMATORE N LA RICERCA CLOWNFISH - AEGIS MEDIA EXPERT

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ECCO IL PROFILO NEL MERCATO VERDE I consumatori italiani chiedono sempre più sostenibilità alle imprese, mentre i prodotti offerti non sono ancora all’altezza delle aspettative dei consumatori più sensibili alle tematiche ambientali. A sostenerlo è Clownfish, società internazionale specializzata nella comunicazione eco-sostenibile, sulla base di una ricerca realizzata in collaborazione con Aegis Media Expert. Strutturata su un panel di 5 mila intervistati, rappresentativi della popolazione italiana tra i 14 e i 64 anni, la ricerca ha ridisegnato il profilo dei consumatori del nostro paese individuando le tematiche che ci stanno più a cuore: inquinamento dell’aria e riscaldamento globale su tutto. Non solo. Dalla ricerca è infatti emerso come più di un italiano su tre ritenga di dover fare personalmente qualcosa, a cominciare dall'acquisto di prodotti ecocompatibili, offrendo così alle imprese un chiaro invito a impegnarsi in tal senso. Lo studio ha poi delineato cinque tipologie di “consumatori verdi” in relazione a comportamenti quotidiani - l’abitudine al riciclo, l’utilizzo dei mezzi pubblici, l’abitudine a non lasciare in stand-by i dispositivi elettronici di casa - e i comportamenti d’acquisto - la frequenza di acquisto di prodotti equo-solidali, la tendenza a informarsi sulle politiche di CSR - Corporate Social Responsabilty - dei brand.

I PROFILI I pionieri, Molto informati e attenti ai temi della sostenibilità, sono circa il 12%, ovvero 4 milioni e mezzo di individui. Sono soprattutto donne (59%), con età compresa tra i 25 e i 45 anni. Gli attenti (21% della popolazione, quasi 8 milioni di persone, bilanciatamente uomini e donne, di età 25-45 anni) hanno una mentalità aperta e amano viaggiare. Molto organizzati, capaci di risparmiare per concedersi quello che vogliono, conoscono le problematiche legate alla sostenibilità, e sulla loro base stanno ripensando i comportamenti quotidiani, così come gli acquisti. Gli occasionali (29% della popolazione, oltre 11 milioni di persone, 35-55 anni) apprezzano la sostenibilità ma soltanto se è comoda e non incide sulle loro abitudini quotidiane. Non dedicano molto tempo all'informazione, e non amano dover scegliere tra molte opzioni, preferendo fare tesoro di consigli e opinioni altrui. Gli obbligati (23% della popolazione, più di 8 milioni e mezzo, soprattutto uomini, 58%, di qualsiasi età) scelgono in maniera sostenibile solo quando e perché devono: caso tipico è la raccolta differenziata condominiale. I non interessati (15% della popolazione, oltre 5 milioni e mezzo di persone) sono in gran parte uomini, soprattutto giovani e non sono assolutamente sensibili ai temi ecologici.

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PRIMO PIANO:

SI DIPINGEVA LA FACCIA D TRA GREEN COMMUNICATION E GREEN WASHING. GLI ERRORI DA EVITARE E COSA FARE PER VALORIZZARE CORRETTAMENTE LE SCELTE ECO PIERCARLO PIROVANO*

* È responsabile marketing dell’Istituto Italiano del Marchio di Qualità. Dopo la laurea ha partecipato a un progetto di ricerca sul management ambientale presso EPA (Environment Protection Agency).

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VA DI VERDE

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Si chiama green washing ma non ha nulla a che vedere con una nuova catena di tintorie o un innovativo metodo per tingere i capi in casa. Perché ciò che si racchiude in questo termine - all’apparenza positivo perché ci mette in primo piano un colore, il verde, che è rilassante e fresco - è in realtà un rischio assai insidioso: la pubblicità ingannevole riguardo a condotte o benefici ambientali. Una comunicazione aziendale fatta ai consumatori, ai clienti e a tutti gli stakeholders in generale che, per essere al pari con la sensibilità ecologica sempre più emergente nel mercato, decide di tingere di verde anche le proprie parole. L’abito non fa il monaco, dice un antico detto. E neppure il verde fa la sensibilità ambientale. Soprattutto perché, sul verde, spesso si rischia di scivolare e di cadere. Una comunicazione distorta, imprecisa, non comprovata, in poche parole sbagliata, non solo rischia di comunicare il falso, ma anche di vanificare tutto ciò che di eventualmente sostenibile è invece stato fatto dall’azienda. L’urgenza di dimostrarsi verdi fa compiere errori imperdonabili. Questo accade, ad esempio, quando un’azienda decide di stupire i suoi consumatori improvvisandosi “green” senza però possedere una base solida di conoscenze e competenze valide per poterlo affermare. O, ancora, quando utilizza termini tecnici in maniera impropria o dichiara di aver assunto dei particolari atteggiamenti green, senza riuscire però a dimostrarlo, senza fornire prove certe al riguardo o addirittura, senza che ciò sia vero. Non è detto che la “bugia verde” venga detta volontariamente: alla base può infatti esserci semplicemente una conoscenza troppo superficiale, da parte dell’azienda, del cosa voglia dire essere green. Oppure mancanza di esperienza e di competenza tecnica tra i responsabili della comunicazione. Non per niente un valido sostegno a un’azione corretta può provenire anche dalla collaborazione con un

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PRIMO PIANO:

ente terzo competente in materia (ad esempio il WWF o Greenpeace o Legambiente) che contribuisca ad accrescere la credibilità dell’azienda e permetta a quest’ultima di costruirsi non soltanto un’immagine, bensì una reputazione green. Ma anche in questo caso non si deve trattare di un impegno temporaneo e occasionale, ma deve essere parte di una strategia di lungo termine. In generale, se un’azienda si dichiara green, è assolutamente necessario che siano green anche i suoi prodotti, i suoi principi etici e le sue strategie; è necessario che l’azienda intraprenda un percorso sostenibile in toto, che non tralasci nessun aspetto dell’organizzazione e della produzione. Negli ultimi anni sono stati commessi errori di green washing spesso anche da parte di nomi internazionali importanti. A monte, tra le varie cause, vi è la mancanza di esperienza e competenze verdi e di una legislazione cogente in merito. A livello internazionale vi sono alcune linee guida. Già nel 1992 negli USA la Environmental Protection Agency (EPA) e la Federal Trade Commission hanno pubblicato delle linee guida ‘Guidelines for Environmental Marketing Claims’, attualmente in corso di revisione. Il Governo UK ha aggiornato il ‘Green Claims Code’ con il patrocinio del Committee of Advertising Practice. L’Autorità può agire di propria iniziativa o su richiesta ed investigare dichiarazioni e messaggi potenzialmente ingannevoli. In Australia esiste il ‘Green Marketing and Trade Practices Act’. Questo documento è collegato alla legislazione vigente in materia di concorrenza e commercio. In Francia è stata definita una ‘Charte d’engagement et d’objectifs pour une publicité eco-responsable’ basandosi sul lavoro del ‘Bureau de Verification de la Publicité’, un’autorità morale (ma non legale) che controlla i messaggi pubblicitari. Esiste inoltre l’OIP

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(Observatoire Indépendant de la Publicité) su Internet, uno spazio interattivo per coinvolgere i diversi stakeholder. In Italia disponiamo sia dell’Antitrust sia del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, promosso dall’Istituto di Autodisciplina, il quale vieta sia la comunicazione commerciale ingannevole sia l’attività di comparazione quando questa è ingannevole. Non esistono linee guida o codici specifici, ma sono già numerosi i casi di intervento e di sanzioni per problematiche di green washing. Ma andiamo ora a vedere alcuni casi pratici.

I “VERDI BUONI” E I “VERDI CATTIVI” Chi ha davvero un’anima verde e ha saputo comunicarlo con precisione, coerenza, trasparenza è Patagonia, leader nel settore tessile, il cui sito web ricorda molto più quello di un grande O.N.G. come Legambiente che non quello di un’azienda. Infatti, oltre ad aver fornito per ogni prodotto l’elenco degli aspetti positivi e di quelli negativi in materia di impatto ambientale, Patagonia ha anche documentato ogni fase della lavorazione con filmati e interviste e, soprattutto, ha individuato diversi indici per la valutazione dell’impatto ambientale di ogni prodotto, indicando persino la metodologia di calcolo usate. Un leader a tutto tondo. Un altro esempio interessante? Paper Mate! Quest’azienda, dopo aver lanciato sul mercato un tipo di penna biodegradabile, si è valsa della collaborazione di Terracycle, per dare vita a un nobilissimo progetto che si pone l’obiettivo di educare il consumatore al riciclo: la raccolta delle penne Paper Mate non biodegradabili. A scuola, in ufficio, a casa, ovunque, è possibile

raccogliere le penne non biodegradabili, inviarle a Terracycle e ottenere un ricavato da devolvere a qualche O.N.G.; un approccio di “edutainment” (education + entertainment) che di sicuro ha fatto breccia nei cuori dei consumatori. Simile anche l’iniziativa di Tetrapak: il suo sito Internet, oltre a educare il consumatore mediante nozioni e informazioni sul riciclo, fornisce la possibilità di verificare se nel proprio comune di residenza vengono effettuati la raccolta e il riciclo dei materiali in tetrapak. Ancora, l’esempio di Lipton che, come Paper Mate, si è affidato a una terza parte autorevole, Rainforest Alliance, ponendosi l’obiettivo di certificare, sia in termini d’impatto ambientale sia per quanto riguarda gli aspetti di so-


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COSA EVITARE PER NON SCIVOLARE • L’IRRILEVANZA, ossia il pubblicizzare un prodotto come verde quando in realtà solo alcuni dei suoi aspetti marginali lo sono. Si tratta di un errore che si può facilmente evitare sottoponendo il prodotto, ad esempio, all’analisi LCA. • L’ASSENZA

DI PROVE,

alla quale si può rimediare fornendo uno spazio

(ad esempio sul proprio sito Web) che possa assicurare il consumatore che l’essere verde dell’azienda è stato provato e comprovato anche da una terza parte. • LA

VAGHEZZA O L’INDETERMINATEZZA DEI TERMINI

e delle immagini usate

per la propria comunicazione: è assolutamente inutile, oltre che controproducente, definirsi “ecofriendly” (termine che ultimamente va molto di moda) se poi non è chiaro il significato oppure il modo in cui si è ecofriendly. Bisogna utilizzare un linguaggio chiaro, preciso che possa educare il consumatore. • LA

NON PERTINENZA

delle dichiarazioni riguardanti il prodotto: è inu-

tile spacciare il proprio prodotto per green se quelle particolari caratteristiche le possedeva già prima che l’azienda decidesse di diventare amica dell’ambiente, così come è inutile dichiararsi green per aver assunto atteggiamenti o preso provvedimenti banali che anche i competitors hanno adottato. • LA

DEFOCALIZZAZIONE,

ossia concentrare l’attenzione del consumatore

su alcuni piccoli aspetti verdi, magari inventandosi anche dei falsi marchi ecologici, per distrarlo da altre problematiche piuttosto gravi che investono l’azienda. • L’INCOERENZA

STRATEGICA,

ossia presentare un prodotto come verde

senza però crederci sul serio, cioè senza possedere una base strategica solida che sappia sostenere e comunicare al meglio gli aspetti green del prodotto.

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PRIMO PIANO:

stenibilità sociale, tutte le sue coltivazioni entro il 2015. Passando invece ai peccatori, tra le aziende cadute nel green washing, vi sono quelle produttrici di acqua minerale. Ad esempio quella dell’acqua Fiji, consumata in America, che si vanta di aver messo in atto una strategia intelligente per la riduzione delle emissioni di CO2, di incentivare il riciclo e di attuare una forte compensazione. Tutto bellissimo, finché poi non ci chiediamo che impatto abbia il trasporto dalle isole Fiji fino in America. O, ancora, il caso di una nota acqua italiana, i cui produttori hanno detto di aver ridotto del 30%, rispetto al 1983, l’utilizzo della plastica. Ma poi non sono stati in grado di fornire prove adeguate al riguardo, incorrendo così in sanzioni e condanne. Ancora, l’esempio dell’azienda che ha dichiarato di aver inventato bottigliette biodegrabili in 80 giorni, realizzate in Pla, un polimero dal mais, che per essere biodegrabile deve però essere messo

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in appositi siti di compostaggio industriale con rialzo termico di oltre 50°C. Siti che in Italia non esistono. Cadere in un errore di green washing può essere molto controproducente per l’azienda: oltre a rischiare multe e condanne si corre il pericolo di perdere la fiducia del consumatore deludendo le sue aspettative. A questo proposito, due clamorosi esempi sono rappresentati da Audi e Dove. Audi, che oltre ad aver affermato l’essere green del diesel, ha utilizzato nei suoi spot un approccio comunicativo piuttosto superato, indicando il green come uno status, una moda, un aspetto che contribuisce a rafforzare solo l’immagine dell’azienda. Dove che ha realizzato uno spot televisivo piuttosto forte, trattando temi che toccano in profondo la sensibilità del pubblico, come l’anoressia o il binomio essere / apparire. Uno spot al quale Greenpeace ha voluto rispondere con un video altrettanto, se non più, toccante (o in questo caso sarebbe meglio dire scioccante), nel

quale si susseguono rapidamente immagini di foreste che scompaiono, alberi che cadono, oranghi impauriti e destabilizzati. Perché? Perché in Indonesia, nel giro di pochi anni, scomparirà il 98% delle foreste necessarie a fornire l’olio di palma, componente essenziale dei deodoranti e delle creme corpo Dove. Infine, sempre della serie anche i grandi scivolano sul verde, ecco il caso di Microsoft e la sua ultima creatura


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Windows 7. Un prodotto lanciato come green, così come suggerito inequivocabilmente dal colore della comunicazione pubblicitaria. Ma se è vero che per funzionare richiede meno energia di Vista, è altrettanto vero che per usarlo bisogna essere dotati di un PC di ultima generazione. E se lo scotto da pagare è cambiare computer, beh, anche i vantaggi in termini di impatto ambientale vanno proprio a farsi benedire.

QUELLE INCREDIBILI VOCAZIONI VERDI Per dirla con Marco Turcatti, animatore del blog Ariadicrisi.it “Se la vostra azienda produce più emissioni di CO2 di uno stato africano, ma il vostro spot è tutto fatto di ruscelli e prati fioriti, il sospetto che ci stiate prendendo per i fondelli è più che legittimo”. E di ciminiere, prati fioriti e monti incontaminati, nelle pubblicità ne abbiamo viste davvero molti. A partire da quelle delle grosse compagnie petrolifere. Citiamo i casi di Chevron-Texaco, Exxon e di Total che diffuse slogan pubblicitari contro il riscaldamento climatico senza neppure preoccuparsi di collegarli a una qualche iniziativa concreta. Successivamente, chi non ricorda i fiori che uscivano dalle ciminiere della Shell quando la società iniziò a diffondere notizie sulla riduzione delle emissioni e a promuovere progetti come “Shell Eco-Marathon”, una gara il cui lo scopo era coprire la maggiore distanza con un mezzo a motore con il minor consumo di carburante? Un'operazione che, secondo un’inchiesta di Infobrand, avrebbe aumentato di 4,6 miliardi di dollari il valore del marchio. Anche se, subito dopo, ci volle molto poco perché le dichiarazioni di sostenibilità della Shell cozzassero con il processo a cui la multinazionale venne sottoposta negli Usa per violazione dei diritti umani in Nigeria. Arrivando poi ai giorni nostri e alla triste attualità del disastro ecologico nel Golfo del Messico, come non ricordare BP quando, tempo fa, cambiò il suo nome da British Petroleum a Beyond Petroleum. Un progetto di sostenibilità più che lodevole, se non si fosse commesso l’errore di trasformarlo, ancora prima di attuarlo, in un messaggio brand che venne comunicato con una campagna pubblicitaria di massa. Per poi, invece, dover fare marcia indietro e rimangiarsi le proprie promesse. Anche perché i programmi di investimento nelle energie rinnovabili, anticipati da BP durante la campagna del re-naming, dopo il primo anno non solo non vennero rispettati, ma anzi continuarono a diminuire. Che esperti di green washing!

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PRIMO PIANO: GLOSSARIO VERDE

UN PO’ DI GLOSSARIO! AMBIENTALISMO

CERTIFICAZIONE

Il termine include sia il concetto filosofico sia i movimenti so-

La certificazione è una procedura volontaria che attesta la

ciali che sostengono lo sviluppo sostenibile, la difesa e il miglioramento dell'ambiente. I temi principali toccati dagli

conformità di caratteristiche specifiche definite da un capitolato. Gli organismi che garantiscono la conformità a un ca-

ambientalisti sono: l’inquinamento, la pace, la protezione delle specie animali e vegetali, la gestione dei rifiuti e delle

pitolato sono gli organismi di certificazione.

risorse energetiche, i mutamenti climatici. Il primo movimento ambientalista europeo fu fondato in Gran Bretagna nel 1973, con la pubblicazione di un manifesto per una società sostenibile, nominandosi dapprima People, poi Ecology Party per poi diventare infine l’attuale Green Party.

COP

Oggi, l’ambientalismo si identifica soprattutto con una corrente moderata che riunisce al suo interno tutti quei gruppi (tra i quali Greenpeace, Legambiente, WWF) che mirano al raggiungimento graduale di un modello ecocompatibile di società.

Sigla che indica la Conferenza delle Parti (COP) tra i Paesi dell’ONU che hanno sottoscritto la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC, United Nations Framework Convention on Climate Change). Questi incontri si pongono l’obiettivo di trovare un accordo globale per la riduzione dei gas a effetto serra, considerati la principale causa del riscaldamento della terra, tramite la promozione di ricerca, innovazione ed investimenti. Nel 2009 il summit si è svolto a Copenaghen (COP15). Nel 2010 si svolgerà in Messico.

ANALISI DEL CICLO DI VITA La LCA (Life Cycle Assessment) calcola l’impatto ambientale di un prodotto, un’attività o un servizio durante tutto il suo ciclo di vita a partire, ad esempio, delle materie prime ne-

ECO CONCEZIONE / ECO INNOVAZIONE Termini che indicano la ricerca o l’ideazione di prodotti o di servizi prendendo in considerazione l’impatto ambientale del loro intero ciclo di vita. I software utilizzati nell’analisi del

cessarie alla sua produzione, della realizzazione dei componenti intermedi, del trasporto, dell’imballaggio, dell’utilizzo e della eliminazione finale del prodotto. L’obiettivo dell’analisi è valutare l’impatto ambientale associato alle varie fasi del ciclo di vita di un prodotto per poter migliorare l’effi-

ciclo di vita permettono anche di pilotare l’eco-concezione misurando e controllando progressivamente l’impatto ambientale di tutti i componenti e di tutte le fasi necessarie alla realizzazione del prodotto o del servizio.

cienza sia del prodotto stesso sia dei singoli processi necessari alla sua produzione.

ECOLOGIA

BIODIVERSITÀ

È la scienza che studia la biosfera, ossia la porzione della Terra in cui è presente la vita e le cui caratteristiche dipen-

Indica l’insieme delle specie viventi e degli ecosistemi nei quali sono inseriti. Possiamo individuare tre livelli di biodiversità: la diversità degli ecosistemi dei diversi ambienti naturali (l’acqua, il bosco, ecc), la diversità delle specie (vegetali, animali, microrganismi, ecc), la diversità genetica (ad esempio, le razze).

dono dalle relazioni tra gli organismi e tra gli organismi e l’ambiente circostante. L’Ecologia considera l’ambiente sia come il contesto delle componenti viventi, sia come l’insieme delle condizioni fisiche che circondano un organismo.

EFFETTO SERRA CAPITOLATO È un documento tecnico metodico e rigoroso che definisce quali caratteristiche deve possedere un prodotto o servizio e che è necessario per la messa a punto di un’etichetta. I referenziali possono essere pubblici (eco label europee per esempio), o privati (come Cosmebio), depositati o meno presso Enti Pubblici.

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È il meccanismo per mezzo del quale l’energia solare è trattenuta nell’atmosfera. Il fenomeno dell’effetto serra è sempre esistito ma oggi sta assumendo dimensioni preoccupanti a causa dell’aumento nell’atmosfera di alcuni gas come l’anidride carbonica, il vapore acqueo e il metano (definiti “gas a effetto serra”), che favoriscono il progressivo riscaldamento climatico sul nostro pianeta. Nel corso del ‘900 il riscalda-


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mento terrestre è aumentato di circa 0,74°C: la responsabilità principale risiede nell’aumento delle emissioni di CO2, legate ai processi d’industrializzazione e alla combustione di petrolio e carbone.

ETICHETTA ENERGETICA Etichetta posta sulla confezione degli elettrodomestici che ha il compito di informare i consumatori circa il consumo di energia degli apparecchi, allo scopo di orientarne le scelte e di favorire il risparmio energetico. L’etichetta deve segnalare la classe energetica nella quale rientra l’elettrodomestico in base ai suoi consumi: attualmente le classi vanno in ordine decrescente di efficienza, dalla classe A alla G. Dal giugno 2011 le classi energetiche andranno invece dalla A+++ alla D. In Italia, l’etichetta energetica è obbligatoria dal 1998 quando è stata introdotta inizialmente per frigoriferi e i congelatori e poi è stata estesa progressivamente a tutti gli altri principali elettrodomestici.

tico viene modificato. Ciò avviene, ad esempio, tramite il processo di transgenesi, cioè l’inserimento in un genoma di uno o più geni di specie distinte e con un’evoluzione molto diversa. Oggi sono presenti sul mercato unicamente OGM che presentano modifiche circoscritte create tramite l'inserimento di uno o pochi geni mirate all’ottenimento di una data caratteristica (ad esempio la resistenza a una malattia). I numerosi passi avanti compiuti negli ultimi anni dalla genomica consentono però di creare organismi che presentano modifiche genetiche molto complesse su caratteri quantitativi.

POLITICA ENERGETICA UE - 20-20-20 Con tale formula si intendono gli obiettivi di riduzione del 20% dei consumi energetici previsti; di riduzione del 20% delle emissioni di gas a effetto serra; di incremento al 20% della quota delle rinnovabili nel consumo energetico totale. Il tutto entro il 2020.

PROTOCOLLO DI KYOTO GREEN WASHING Indica l’ingiustificata appropriazione di virtù ambientaliste da parte di società ed enti, con lo scopo di valorizzare la propria immagine o di nascondere illeciti e reati nei confronti dell’ambiente. L’Italia ancora non prevede una normativa che regoli il fenomeno.

IMPRONTA ECOLOGICA Indica il nostro "peso" sulla terra. L'impronta ecologica è un metodo di misurazione statistica che indica la porzione di territorio utilizzata da un individuo, una famiglia, una città, ecc., per produrre le risorse che consuma e per assorbire i rifiuti che genera. L’impronta ecologica dell’Italia, calcolata nel 2005, è di 4,2 ettari per persona (un ettaro=10.000 metri quadrati). Se dividiamo il numero della popolazione per la superficie di territorio disponibile si ottiene una capacità biologica di 1,3 ettari a persona. Si ha così un deficit ecologico di: -2,9 ettari per persona. Cioè ci servirebbero altre due Italie per soddisfare i nostri livelli di consumo e di produzione di scarti.

È un accordo internazionale - sottoscritto nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005 - sulle misure e le procedure da adottare per fermare il riscaldamento del pianeta. Con il Protocollo di Kyoto i paesi industrializzati si sono impegnati, nel periodo 2008-2012, a ridurre complessivamente del 5,2% le emissioni di gas serra, rispetto al 1990. Nell’ottobre 2009 i paesi che avevano aderito e ratificato il protocollo erano 184.

SVILUPPO SOSTENIBILE Secondo il Rapporto Bruntland (1987) “Lo sviluppo è sostenibile se soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”.

OGM Utilizzati soprattutto nei settori alimentare, industriale, agricolo e medico, gli OGM sono organismi il cui codice gene-

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PRIMO PIANO: GREENPEACE VI OSSERVA

ATTENTI ALLA COMUNICAZIONE, GREENPEACE VI OSSERVA! SAPERE COMUNICARE. MA ANCHE SAPER LEGGERE LE COMUNICAZIONI. PERCHÉ NON SEMPRE È ORO TUTTO QUELLO CHE LUCCICA

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Cosa c'è di meglio di un'auto elettrica per continuare a viaggiare su quattro ruote con la coscienza ambientale pulita? Più che di green washing autoindotto qui si potrebbe parlare di superficialità di noi tutti, sulla quale le grandi compagnie automobilistiche hanno buon gioco a presentarsi sempre più ecologiche che mai. Un rapporto indipendente presentato nel febbraio scorso da Greenpeace, Friends of the Earth Europe e Transport & Environment, dimostra che mettere sulla strada le automobili elettriche potrebbe addirittura aumentare le emissioni di CO2, a meno che le nuove vetture non siano alimentate a

energia verde. Il rapporto “Energia verde per le auto elettriche” spiega che la normativa europea in materia di emissioni dalle automobili è inadatta perché il meccanismo dei “super crediti” consente ai produttori di usare la vendita di veicoli elettrici per compensare la continua produzione di automobili a elevate emissioni: per ogni auto elettrica venduta, i costruttori possono vendere oltre tre veicoli ad alta emissione senza conteggiarli ai fini del calcolo delle emissioni di CO2. Un aumento del 10% nelle vendite di auto elettriche potrebbe portare in Europa a un aumento del 20% delle emissioni di CO2 nel settore automobilistico. Secondo Andrea Lepore, responsabile della campagna clima di Greenpeace Italia: “Le automobili elettriche sono un importante strumento per la transazione verso un modello di trasporto sostenibile, ma il loro sviluppo deve essere accompagnato da un adeguato impegno per garantire la loro alimentazione con energie rinnovabili. Purtroppo il rivestimento verde è molto abusato. Ormai sembra che tutte le auto, anche quelle a benzina, siano ecologiche. In tutti gli spot, che ci sia la Panda o la Mercedes, scorrono sullo schermo auto silenziose e poco inquinanti. Peccato che i modelli con emissioni ridotte siano ancora una piccola minoranza”. Greenpeace in Italia è un'associazione molto attenta alla comunicazione delle imprese. Più un prodotto è inquinante o dannoso per l'ambiente, più la pubblicità insiste sull'aspetto ecologico. La comunicazione entra nella testa del consumatore, che quando compra un

detersivo o usa la macchina sa perfettamente quali sono le conseguenze per l'ambiente. La pubblicità serve a placare il senso di colpa di chi deve continuare ad acquistare prodotti. Come reagiscono le imprese italiane quando vengono accusate di darsi una pitturata di verde? Difficile che rispondano direttamente e nel merito. In genere diffondono dei dati standard che non affrontano né risolvono i dubbi e le problematiche sollevate. Naturalmente più grande è l'impresa e meno ha bisogno di replicare. Il martellamento pubblicitario diffonde tra i consumatori il messaggio che vuole. E poi c'è il problema della reale mancanza di concorrenza. Sempre restando sul settore dell'energia, anche se il consumatore assume consapevolezza non è che abbia tutte queste alternative. Quindi non sempre una cattiva reputazione influisce direttamente sui profitti. Se il mercato è chiuso, riservato a pochi soggetti, è difficile misurare gli effetti negativi di una comunicazione incoerente con le scelte di fondo dell'azienda. E poi forse non siamo ancora un Paese maturo sul fronte del consumo consapevole. No, non lo siamo. Manca ancora la piena coscienza che le nostre scelte di cittadini e di consumatori possono contribuire a cambiare le cose. Però stiamo crescendo, e Internet in questo senso è uno strumento potentissimo.

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PRIMO PIANO: LA BLUE ECONOMY

E DOPO LA GREEN? ECCO LA BLUE ECONOMY IN ANTEPRIMA LA PREFAZIONE DEL NUOVO LIBRO DI GUNTER PAULI*, IN USCITA IN AUTUNNO PER EDIZIONI AMBIENTE

* È un economista belga fondatore e direttore di ZERI, Zero Emission Research Institute, un network internazionale di più di 3.000 scienziati impegnati nella riduzione dell’impatto ambientale attraverso lo sviluppo di modelli economici competitivi. ZERI ha dato a vita a più di 2.200 progetti ispirati a un sistema di sviluppo naturale. In Giappone, dove il network ha sede, più di 2.800 aziende perseguono questo obiettivo. Imprenditore dell’innovazione, della scienza, della cultura e dell’educazione, è stato il fondatore della prima fabbrica ecologica nel mondo. La sua visione imprenditoriale punta a ottimizzare l’utilizzo delle materie prime in un’ottica ecosostenibile e si fonda sulla trasformazione dei processi produttivi e dei modelli di business in nuclei di industrie non inquinanti. Nel 1994 è stato eletto dal World Economic Forum “Global Leader of Tomorrow”.

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Se insegniamo ai nostri figli solo ciò che conosciamo, non potranno mai diventare migliori di noi. Negli anni ‘80 quando lessi i libri di Lester Brown e colleghi del Worldwatch Institute, sentii il forte bisogno di diffondere a tutti tale ricchezza di dati sulle problematiche ambientali del pianeta. Il furibondo attacco di statistiche negative e analisi dei trend, sulla base di dati raccolti a Washington DC, offriva solo un barlume di speranza all’orizzonte. Di conseguenza, creai una casa editrice specializzata per raggiungere gli ascoltatori recalcitranti - il mondo degli affari in Europa - attraverso State of the World e Vital Signs. Come imprenditore che in quel periodo aveva avviato circa sei imprese, anch’io ero direttamente coinvolto come cittadino […] Tuttavia, col passare del tempo e con la comparsa di nuove rughe che tradiscono profonde preoccupazioni, non si può rimanere semplici cittadini preoccupati per il futuro, rimpiangendo ogni singolo errore. Dovremmo invece unirci trovando modi per gettare le basi sulle quali la prossima generazione possa ottenere risultati migliori dei nostri. Forse, il dono più prezioso che possiamo fare ai nostri figli è di offrir loro la libertà di pensare e, ancor più, di agire fuori dal coro. Pertanto, è utile riflettere su ciò che possiamo lasciare in eredità alle generazioni future come struttura per il pensiero positivo e piattaforma per azioni concrete. Questo rappresenta forse la sfida più ardua. Le cattive notizie non riguardano solo lo stato di salute del nostro pianeta. Per la prima volta dopo decenni di torpore ci stiamo rendendo conto che anche il sistema economico sta vacillando […] Cominciai a lavorare con Ecover, industria produttrice di detergenti biodegradabili con sede in Europa. Quando persino i maggiori produttori adottarono i nostri ingredienti biodegradabili – gli acidi grassi dell’olio di palma – come principale sostituto industriale a tensioattivi petrolchimici, ci fu un’impennata della domanda. Ciò spinse molti coltivatori, specialmente in Indonesia, a sostituire vaste distese di foresta pluviale con colture di palma. Distruggendo la foresta pluviale, si è perso anche gran parte dell’habitat dell’orangutango, pertanto ho imparato, con mio grande disappunto, che la biodegradabilità e la rinnovabilità non equivalgono a sostenibilità. Nel mio primo articolo in materia, pubblicato a Seoul, Korea, nel 1991, ho esortato le industrie a emulare l’efficienza degli ecosistemi. La saggezza di un ecosistema non si esprime solo nella resa di servizi come acqua dolce e aria pulita, la reintegrazione dello strato superficiale del terreno, il controllo bilanciato dei batteri e un percorso evolutivo infinito, sempre alla ricerca di soluzioni migliori e di livelli di efficienza più elevati. Gli ecosistemi sono anche una fonte d’ispirazione per mutare i nostri prodighi modelli di consumo e produzione. Nell’articolo, sostengo che si potrà prevedere sostenibilità solo quando il nostro sistema eliminerà il concetto di rifiuti, cominciando ad attivare il ciclo a cascata dei nutrienti e dell’energia come avviene in natura. Dopo l’esperienza deludente con Ecover, il Dottor Heitor Gurgulino de Souza, Professore e Rettore dell’Università dell’Onu, ospitata dal governo nipponico, mi sfidò a creare un modello per un sistema economico a rifiuti ed emissioni zero, che creasse però posti di lavoro, contribuisse al capitale sociale e non comportasse costi più elevati […] Dopo tre anni di ricerca e di cooperazione con il Programma di sviluppo dell’Onu, nacque in Svizzera la Fondazione Zeri, finalizzata esclusivamente all’adozione dei casi pionieristici che dimostrassero un modello di produzione e consumo economicamente attuabile e scientificamente fattibile. In occasione della celebrazione del primo decennio di attività pionieristica in tutto il

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PRIMO PIANO: LA BLUE ECONOMY

globo, il Consiglio direttivo della Zeri commissionò un inventario sulle innovazioni ispirate ai sistemi naturali. Sebbene inizialmente si trattasse di una semplice raccolta di letteratura scientifica accessibile pubblicamente e curata da colleghi, si è rapidamente evoluto, passando da un’affascinante e romantica ricerca di genialità in ogni specie, che arricchisce enormemente la biodiversità, a un’indagine per elaborare un modello economico che potesse spingere gli imprenditori a indirizzare l’umanità in generale, la loro produzione e i loro consumi in particolare verso un percorso sostenibile e fattibile. […] Riflettei su quali innovazioni avrebbero potuto integrarsi in un sistema che potesse funzionare in maniera analoga agli ecosistemi, raggruppando le innovazioni elaborate da vari attori, avvalendomi in maniera più efficiente di tutte le forze infallibili esistenti descritte dalle leggi della fisica, prive di eccezioni. Come imprenditore che abbraccia l’innovazione, ho sottoposto una rosa di 340 tecnologie a un gruppo di strateghi aziendali, esperti finanzieri, giornalisti investigativi e politici […] Ciò ha contribuito ad affinare la logica che soggiace alla selezione finale delle 100 innovazioni più interessanti catalogate nell’Appendice uno. Poi è arrivata la recessione. Alla fine del 2008 quando l’Onu annunciò che i tracolli dei mercati finanziari

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avevano causato ai paesi in via di sviluppo la perdita di oltre 50 milioni di posti di lavoro, emerse un senso di realismo. Non riuscivo a trovare alcuna soddisfazione nel coniugare una fotografia accattivante con una spiegazione scientifica. Dovevo comunicare qualcosa di più rispetto all’ingegnosità ispirata di ogni specie esaminata. Un nuovo gruppo eseguì una rivalutazione completa di tutte le informazioni a nostra disposizione esaminando le dinamiche del crollo dell’attuale modello economico alla luce delle innovazioni che avevamo catalogato […] Vidi emergere un chiaro modello che poteva spalancare agli imprenditori di tutto il mondo, una finestra ricca di opportunità di cambiamento del paradigma economico dominante. Non si trattava di clonazione o manipolazione genetica, protette da brevetti che assomigliano più a bio-pirateria che a reali innovazioni. Si trattava di una logica dilagante e della sensibilità degli ecosistemi. La rosa delle 100 migliori innovazioni si era ispirata all’abilità degli ecosistemi di evolversi a livelli di efficienza sempre più elevati, a generare un ciclo di energia e nutrienti a cascata, a non sprecare alcuna cosa, a utilizzare le abilità di tutti i collaboratori e di soddisfare i bisogni primari di tutti. Le intuizioni logiche ricavate dallo studio di interi sistemi sono diventate

la struttura portante di questo libro, permettendomi di creare l’ossatura di The Blue Economy e di rendermi conto che l’attuale dissesto economico è solo apparentemente un male. Può darsi che finalmente si porrà termine al consumismo irrealistico che ha indebitato l’economia a livelli insormontabili. Esortare i consumatori a spendere di più è uno stereotipo della cieca logica che blandisce i cittadini a “comprarsi” una via d’uscita dalla crisi indebitando così e per sempre anche tutti noi, come pure le generazioni future, oltre la nostra capacità di ripagare il debito. A livello globale, questo approccio incosciente prosciuga l’intera liquidità immettendola in una “banconomia” di elite, negando crediti a chiunque altro. Tali azioni stanno alla base di un modello economico fallimentare, un modello di Red Economy che prende a prestito – da natura, umanità, e dai beni comuni di tutti – senza preoccuparsi di come ripagare il debito se non consegnandolo al futuro […] Per contro, un modello di Green Economy ha richiesto alle imprese di investire di più e ai consumatori di spendere di più, per ottenere la stessa cosa o anche meno preservando, nel frattempo, l’ambiente. Sebbene ciò fosse già arduo durante il periodo d’oro della crescita economica, si tratta di una soluzione con ben poche speranze in un periodo di


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congiuntura economica. La Green Economy, nonostante l’impegno e le buone intenzioni, non ha ottenuto il successo che tanto ardentemente desiderava. Muovendoci lungo lo spettro, vediamo che una Blue Economy affronta le problematiche della sostenibilità che vanno al di là della semplice conservazione, spingendosi verso la rigenerazione. Si potrebbe sostenere che la Blue Economy si occupi di come gli ecosistemi possano mantenere la loro traiettoria evolutiva affinché tutti possano trarre benefici dall’eterno flusso di creatività, adattamento e abbondanza della natura. Sono i giovani di spirito che coglieranno le opportunità imprenditoriali che emulano gli ecosistemi, attingendo a energia e risorse a cascata per aggiungere valore generando molteplici vantaggi dallo scambio e traducendoli in reddito e occupazione. Quando si applicano i concetti dell’Economia Blu, laddove le decisioni di milioni di attori si preferiscono al dirigismo di pochi operatori di mercato, imprese monopolistiche o controlli statali, allora si manifesta una nuova e potente struttura eco-

nomica e sociale. L’impegno e la partecipazione dei cittadini è ciò che cambierà le regole del gioco e che influenzerà un vero mutamento. In un periodo storico in cui i prezzi del petrolio e degli alimenti raggiungeranno sicuramente il loro picco massimo, ci si può rivolgere agli ecosistemi per attingere idee pratiche e ispirazione, via via che assistiamo alla loro abilità di applicare creatività ed evoluzione per far fronte alle sfide della sopravvivenza. L’obiettivo del presente volume è di contribuire all’elaborazione di un nuovo modello economico che non sia solo in grado di far fronte ai bisogni di tutti, ma anche di trasformare il costrutto artificiale denominato “scarsità” in un senso di sufficienza e addirittura di abbondanza […] Abdul Samer Majali, ex Presidente della Jordan University, nonché Primo Ministro ha affermato: “Esporre – non imporre”. Se l’obiettivo è di creare un mondo migliore per tutti, e non di rimpinguare i conti correnti di pochi, se si è pronti a contrastare il rischio col guadagno, allora considerazioni meditate, basate su casi illustrativi ben documentati e sulla scienza concreta, possono aiutarci a focalizzare le idee e a raggiun-

gere l’obiettivo. Una solida piattaforma per l’imprenditoria potrebbe emulare il successo degli ecosistemi, eliminando i rifiuti e ottenendo piena occupazione e capacità produttiva. A livello globale, svariate piccole iniziative offrirebbero il punto di partenza per nuove opportunità imprenditoriali che favorirebbero il passaggio a un sistema macroeconomico. Invece di rimandare a quando i politici raggiungeranno un accordo, la direzione che si deve prendere è di esporre tutti gli individui alle opportunità delle risorse aperte offerte dalla natura. […]L’umanità è “energivora”, emette gas serra al di là di ogni comprensione, causando il caos nell’ambiente. Non ci si dovrebbe sorprendere di fronte al cambiamento climatico. Di fatto, l’unica scusa per ciò che facciamo e come lo facciamo è che ignoriamo le conseguenze non volute. Una volta che ne siamo a conoscenza, non solo abbiamo la chiarezza necessaria per il cambiamento, ma abbiamo anche il potere consapevole di realizzarlo. 10 gennaio 2010, La Miñoca, Colombia

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PRIMO PIANO:

L’IMPORTANZA DI STARE SCOMODI SECONDO GUNTER PAULI LA NECESSITÀ DI CAMBIARE, DI ESPLORARE OGNI POSSIBILE CHANCE CHE SI HA A DISPOSIZIONE. SOLO SE SI VEDONO LE OPPORTUNITÀ, SI PUÒ APPLICARE LA FILOSOFIA DI SAINT-EXUPÉRY, SECONDO IL QUALE, SE SI VUOLE COSTRUIRE LA MIGLIORE BARCA DI SEMPRE, NON SI DEVE INSEGNARE COME COSTRUIRLA, MA SI DEVE RACCONTARE AI GIOVANI DEI BELLISSIMI VIAGGI CHE FARANNO IN GIRO PER IL MONDO

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Gunter Pauli, sale sul palco e chiede a tutti di alzarsi e incrociare le braccia: “Guardate bene quale braccio è sopra, se il destro o il sinistro; e adesso invertite le braccia! Come vi sentire, scomodi, no? Se tra 10 minuti vi chiedessi di farlo ancora, tutti torneremmo alla vecchia abitudine!”. La chiave della filosofia di Pauli è tutta qui: nella necessità di cambiare, di “stare scomodi” - e lo dice citando il Dalai Lama - per evitare di addormentarsi e agire solo sulla base di abitudini. Questa è la blue economy. Pauli, perchè è così necessario il passaggio dalla green economy alla blue economy? La green economy oggi vuol dire agire secondo i parametri dell’economia standard, e quindi incentivi, tasse, maggiori costi sui consumatori; ma allora la green economy sarà sempre e solo una economia marginale. La blue economy invece è basata sull’innovazione e sul cambiamento, che vuol dire anche e soprattutto cam-

biare il business model utilizzato per costruire i progetti. È basata sulla capacità di cogliere le opportunità che vengono create dall’innovazione, garantendo degli output maggiori e dei costi inferiori al ciclo produttivo, con la contemporanea creazione di un capitale sociale, cioè di benefici per tutti. Soprattutto - e insisto molto su questo punto - permette di generare posti di lavoro, mentre solitamente quando si parla di aumentare gli output e ridurre i costi, si implica anche la riduzione di posti di lavoro. Com’è possibile ottenere tutto questo? Per poterci arrivare, l’unica strada possibile è quella di esplorare ogni opportunità che si ha a disposizione. Solo se si vedono le opportunità, si può applicare la filosofia di Saint-Exupéry, che ha scritto che se si vuole costruire la migliore barca di sempre, non si deve insegnare come costruire la barca, ma si deve raccontare ai giovani dei bellissimi viaggi che faranno in giro per il mondo: e allora la migliore delle barche verrà costruita. La cosa da fare, quindi, è esporre le idee in modo che le persone ne siano ispirate. Esporre e non imporre. Non si tratta solo di dire se una cosa è male o è bene, ma dire che possiamo fare meglio: se un ladro viene arrestato e dichiara che ruberà di meno, non otterrà certo un’assoluzione. Lei in passato ha sostenuto la green economy; cosa non ha funzionato? Ho fatto parte della green economy quando ho creato Ecover, una società che produceva un detersivo 3.000 volte più biodegradabile dello standard di Propter&Gamble, con una fabbrica interamente fatta di legno e incentivi per i dipendenti per utilizzare la bicicletta. Ma non aveva nulla a che vedere con la sostenibilità: per pulire i panni in Europa, si stava distruggendo l’habitat degli orangutan,

a causa dell’uso estensivo di olio di palma, la cui coltivazione ha preso rapidamente il posto della foresta pluviale. Sostenibile è invece la produzione di energia sfruttando le lamine vibranti, o il pace-maker che riesce a eliminare l’uso della batteria, o l’uso del vortice per filtrare l’acqua estraendone l’aria per eliminare i batteri aerobici, o ancora la trasformazione della seta cristallina (quella del baco) in seta amorfa (quella del ragno), resistente e forte come il titanio. Questi sono alcuni dei progetti che io e la mia Fondazione abbiamo studiato, lavorando per oltre 10 anni: centinaia di tecnologie, e innovazioni concrete che possono cambiare le regole del gioco. Però, ci tengo a differenziarmi sia da chi propone una “visione”, come Jeremy Rifkin, che disegna un quadro di ampio respiro, mostrando i trend emergenti e dando suggerimenti su quello che succede in USA o in Europa, sia dai businessman standard, gente con una visione ristretta, la cui unica alternativa è quella di adattarsi o diventare dei fossili. I miei progetti sono sempre competitivi sia sul cashflow che su profitti e prezzi. Dunque di quale svolta abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno di realizzare che quello che stiamo facendo ed il modo in cui stiamo agendo non ha senso. E non perché è sbagliato, ma perché c’è qualcosa di meglio. È necessario un vero cambio di marcia nel modo di pensare: non più irrazionalità e abitudini, ma un approccio lungimirante basato su evidenze scientifiche. Con una visione molto semplice: vivere in un mondo sostenibile. E il punto di svolta è nella capacità di avere un system thinking, un pensiero sistemico. In fin dei conti la blue economy è proprio questo: system thinking.

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PRIMO PIANO: CAMBIARE IL PUNTO DI VISTA

CAMBIARE IL PUNTO DI VISTA.

ECCO CHE, CON LA CRISI, L’INVENZIONE DIVENTA UN GIOCO

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La minuziosa osservazione della natura portò Leonardo da Vinci alla conclusione che la linea perfetta non esiste. E applicando lo sfumato, accostando colori anziché demarcando con tratti netti e rigidi i contorni, il genio arrivò là dove nessuno fino ad allora era giunto, ovvero a una rappresentazione del reale straordinariamente viva. Così nacquero la Gioconda o l'Annunciazione, capolavori frutto di una mente brillante e intuitiva, ma che si è sempre accompagnata a un’applicazione costante e minuziosa allo studio del vero, mutuata direttamente dalla sperimentazione. C’è però da chiedersi cosa c'azzecchi Leonardo con le riflessioni sull'innovazione a basso impatto ecologico nell'era della crisi globalizzata. Una risposta ce l'ha data proprio Gunter Pauli, con l'invito a liberarsi delle incrostazioni abitudinarie e a ribaltare il punto di vista delle nostre scelte, personali o imprenditoriali che siano. È vero, forse stiamo volando troppo in alto, tra un genio dell'arte di tutti i tempi e un economista-imprenditore di grande visione, e allora ci viene in soccorso il profeta Quelo, esilarante personaggio del comico Corrado Guzzanti che di fronte ai più profondi interrogativi dell'esistenza ci ricorda provvidamente che “la risposta è dentro di noi”. Eccolo, allora, il punto cruciale: mentre il mondo è scosso dalla più devastante crisi finanziaria dell'era moderna, il modello capitalistico della produzione di nuovi bisogni per alimentare i consumi e dare fiato all'economia sembra non reggere più. Certo, studiosi e analisti interpretano i flussi e azzardano previsioni sulla prossima ripresa, e intanto una consistente minoranza di consumatori può ancora mettersi in fila per procacciarsi l'iPad o magari anche solo per l'ultimo romanzo della saga di Harry Potter, però in larga parte del pianeta si comincia a tirar la cinghia e a fare di necessità virtù. Anche se è proprio in queste fasi di crisi che la civiltà occidentale ha vissuto i suoi momenti di creatività più brillanti e destinati a durare nel tempo, l'attuale congiuntura è diversa da tutte le altre per effetto della globalizzazione. Proviamo al-

lora a mettere in pratica gli insegnamenti di Pauli e ribaltare il punto di vista: e se con una netta inversione ad “U” arrivasse proprio dal circuito impazzito della globalizzazione una nuova linfa per la rinascita? Se l'Occidente, tanto per dirne una, che da anni scarica sui paesi poveri del mondo il costo della corsa forsennata alla produzione (vedi alla voce dei traffici di rifiuti tecnologici), provasse a guardare alle economie di sussistenza del Nord Africa come un laboratorio di innovazione? Sono, quelli, luoghi del mondo che hanno finora subito la fascinazione e il peso dell'innovazione occidentale senza ottenerne significativi giovamenti, alterando piuttosto la loro organizzazione sociale e i consolidati stili di vita. Le economie di sussistenza possono suonare sinistre, ma nel loro significato tecnico si riferiscono a quelle organizzazioni sociali che si limitano a produrre il necessario, dove l'innovazione non è necessità, ma frutto di osservazione, ingegno e fantasia. Cyril Stanley Smith, professore del Massachussets Institute of Technology, nei suoi studi ricorda come storicamente non sia stata la necessità a partorire nuove invenzioni: semmai la necessità ha utilizzato invenzioni già esistenti apportandovi miglioramenti e creando nuove funzioni d'uso. Le radici delle invenzioni, quindi, devono essere trovate in quella che Smith definisce ”curiosità estetica”. La metallurgia, per esempio, iniziò con la lavorazione del rame per farne collane ed ornamenti, molto prima della creazione di coltelli ed armi. E lo stesso vale per il bronzo, i pigmenti, la porcellana, il vetro, che furono utilizzati per produrre beni di lusso e decorativi. L'ispirazione ludica delle invenzioni non riguarda solo l'era preistorica: anche l’idraulica e la meccanica furono sviluppate

inizialmente per la costruzione di giocattoli, mentre l'industria chimica si sviluppò per soddisfare la richiesta del mercato di colorare i tessuti ed il vetro. E la regina della modernità, la plastica? La sua adozione di massa nasce per i giocattoli e per gli articoli da cucina, oltre che per i tasti del pianoforte al posto dell’avorio. Le racchette da tennis e le mazze da golf sono stati invece tra i primi articoli a sperimentare usi innovativi della plastica rinforzati con fibre di vetro e di carbonio. E se anche volessimo fare un tuffo nell'era tecnologica, ci basterebbe ricordare alla generazione dei quarantenni quale sia stato il loro primo computer: molto probabilmente il Commodore 64 (o il Vic 20) usato rigorosamente per i videogame. “Tutte le cose grandi nascono da cose piccole” diceva Smith. Aggiungendo anche che le nuove piccole cose sono distrutte dai loro ambienti a meno che non siano tenute da conto per ragioni più di apprezzamento estetico che di utilità pratica. Valorizzare il bello, frutto della natura e dell'ingegno umano, senza dimenticare il nostro spirito giocosa: non sarà che gli occhiali della modernità ci impediscono di vedere e godere appieno delle cose troppo semplici?

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PRIMO PIANO:

ANCHE IL DENTIFRICIO IMPATTA L’IMPORTANZA DEL LIFE CYCLE THINKING GIAN LUCA BALDO*

COME PUÒ UN’AZIENDA ESSERE DAVVERO SICURA DI CONOSCERE, E DUNQUE ANCHE DI POTERSI IMPEGNARE A MIGLIORARE L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE SINGOLE FASI DELLA SUA FILIERA PRODUTTIVA? ESEMPI DI SUCCESSO

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docente di Analisi del Ciclo di Vita presso alcuni master della Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino e dell’Università del Piemonte Orientale. Sin dai primi anni Novanta si è occupato di Life Cycle Assessment e di strumenti per la valutazione della sostenibilità ambientale dei processi produttivi. È membro dell’Editorial Board dell’International Journal of Life Cycle Assessment, ed è responsabile dello Studio Associato Life Cycle Engineering (LCE) di Torino.

L’unica risposta possibile sono i numeri, l’analisi di precisione. In tre parole, la Life Cycle Assessment (LCA). La procedura LCA è l’unico metodo che permette di scoprire se un’azienda è davvero green, se una delle fasi della sua filiera produttiva ha un impatto ambientale maggiore di un’altra, se è possibile mettere in pratica le iniziative e le scelte decise in fase di progettazione del prodotto. È importante considerare la fase di design, ossia di progettazione: si calcola, infatti, che l’80% dell’intero impatto ambientale di un prodotto si accumuli proprio nel momento in cui viene progettato. Un eco design di successo permette di accostarsi alla soluzione più efficiente sul mercato ottimizzando la propria soluzione oppure individuandone una nuova. Un esempio? Il dentifricio! Se pensassimo di voler ridurre l’impatto ambientale della filiera produttiva di un tubetto di dentifricio sostituendo la confezione in cartone con una basetta, l’analisi LCA ci farebbe capire, invece, che questa sostituzione non comporterebbe alcun miglioramento, ma anzi un aumento dei consumi, e ci suggerirebbe piuttosto di ricercare delle soluzioni alternative proprio al tubetto. Il metodo LCA è ormai assodato, maturo, standardizzato ed è appunto l’unico che permette di ottenere la quantificazione degli impatti ambientali di ciclo-vita che consente di misurare l’efficienza energetica e ambientale e la sostenibilità di un prodotto e del processo che lo genera. È anche l’unico metodo che è stato in grado di andare oltre le credenze comuni e le azioni di impulso imponendosi appunto perché fondato sulla rigorosità dell’analisi quantitativa input/output del sistema produttivo. Di sicuro, la LCA presuppone una base solida di conoscenze scientifiche e di competenze dettagliate, sia perché si ha a che fare con la misurazione di diversi indici e grandezze, sia perché il pericolo green washing è sempre in agguato; è necessario inoltre riuscire a gestire un’infinita quantità di dati, ma per questo abbiamo a disposizione le innovazioni tecnologiche nel settore informatico. Non abbiamo più scuse: anche se l’approccio LCA necessita di forti conoscenze nell’ambito della fisica, della matematica, della scienza dei materiali o

dei sistemi energetici e impone la gestione di grandi quantità di dati, oggi abbiamo a disposizione tutti gli strumenti per farlo, ci occorre solo la volontà. Vediamo concretamente come se l’è cavata chi ha adottato un modo di pensare life-cycle (il life-cycle-thinking appunto). Granarolo e Barilla, dopo aver studiato e approfondito il metodo di analisi LCA per molti anni, hanno pubblicato la dichiarazione ambientale di alcuni tra i propri prodotti agendo così nel massimo della trasparenza. La dichiarazione ambientale di prodotto, infatti, è uno strumento riconosciuto a livello internazionale che permette di poter comunicare dati e risultati veritieri perché ottenuti tramite LCA e certificati da un ente terzo. Tutto questo ha permesso alle due aziende di individuare le fasi delle loro filiere produttive a maggiore impatto ambientale e di rivolgere le risorse aziendali verso miglioramenti concreti ed efficaci (ad esempio, Barilla ha capito che è marginale intervenire sul packaging della pasta quando altre fasi a monte, come ad esempio quella agricola, potevano offrire margini di miglioramento più significativi). Cambiamo settore e passiamo alla caldaia Baxi. Baxi è la prima azienda ad aver pubblicato una dichiarazione ambientale di prodotto su una nuova generazione di caldaie e su questa scelta ha avuto un forte peso la direttiva Ecodesign che incoraggia le aziende a progettare in modo sempre più ambientalmente sostenibile. Anche nel caso della filiera produttiva della caldaia è possibile individuare le fasi di maggiore impatto ambientale e dunque capire dove ha più senso intervenire per progettare i miglioramenti. Dunque, il senso dell’approccio LCA è proprio questo: quantificare numericamente l’impatto ambientale, riuscendo a coinvolgere in questa volontà di trasparenza anche i fornitori (è il caso, ad esempio, del progetto di eco design Life+ Corine coordinato dalla francese Eurocopter) e informandone gli utilizzatori finali. Per questo motivo diventa indispensabile l’utilizzo di un linguaggio scientifico che sia chiaro e preciso. Dalla GDO al food, dall’elettrico ai mezzi di trasporto: la procedura LCA si adatta a tutto, l’importante è abbandonare le vecchie credenze e intraprendere la strada della conoscenza scientifica.

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PRIMO PIANO: AMBIENTE E AMARCORD

“I NOSTRI NONNI IMPATTAVANO MENO?”

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Probabilmente è vero: basta tornare indietro di qualche decennio per visualizzare uno scenario piuttosto diverso da quello dei giorni nostri: aria più respirabile, acque più limpide e pulite, frutti e ortaggi molto più saporiti e meno contaminati da fertilizzanti, conservanti e pesticidi. Oggi non passa giorno senza sentire in tv o leggere su un giornale espressioni come “emissioni di CO2”, “effetto serra”, “inquinamento” e “riscaldamento climatico”: un’emergenza “pianeta” che tocca tutti noi e che ci obbliga ad un maggior rispetto per l’ambiente, per non lasciare in eredità alle future generazioni un pianeta totalmente disfatto. Un punto a favore dei nostri tempi: la capacità di trovare soluzioni. Oggi abbiamo diverse possibilità di proteggere e salvare l’ambiente: si pensi all’uso crescente delle fonti di energia alternative, alle politiche economiche “green” e “blue”, pensate proprio per rispondere all’esigenza di uno sviluppo sostenibile, o anche solo alla possibilità di scegliere un elettrodomestico che consumi poco consultandone l’etichetta energetica. Dunque, se per tanti motivi siamo più inquinanti ed energivori rispetto ai nostri nonni, abbiamo però anche tanti assi nella manica, e la tecnologia ci aiuta in questo. Bisogna solo imparare a usarla bene. Ad esempio: oggi abbiamo la possibilità di classificare gli edifici secondo otto classi di efficienza energetica e una legge che dal 2007 ha introdotto gli incentivi statali per chi volesse eseguire gli interventi di miglioramento energetico

degli edifici. Tutto questo stimola la ricerca e la produzione di materiali edilizi che riducano le emissioni di CO2 e che siano dunque poco inquinanti, come lo erano i vecchi mattoni impastati e lasciati essiccare al sole delle case dei nostri bisnonni. I nostri nonni, poi, non avevano certo il problema dell’inquinamento urbano, legato alla presenza, solo nelle strade del nostro Paese, di ben 36 milioni di autoveicoli. Anche in questo caso, oltre ad appellarsi al senso civico e alla responsabilità di ogni singolo cittadino consigliando, almeno per i tragitti brevi, di utilizzare i mezzi pubblici o la bicicletta, le nuove tecnologie ci mettono a disposizione auto a basso impatto ambientale, ibride o addirittura elettriche. Pensiamo ora al bucato: quando non esisteva la lavatrice (che si è diffusa a partire dagli anni ’70) questa operazione era sicuramente più “green” (nonostante occorressero litri e litri di acqua per lavare tutti i panni che si accumulavano nel tempo), ma richiedeva un grosso sforzo alle massaie. Le nostre lavatrici comportano di sicuro un dispendio di acqua e di energia e i detersivi sono molto più inquinanti della cenere o della saponetta di Marsiglia di allora, ma almeno, consultando l’etichetta energetica, obbligatoria per legge, abbiamo la possibilità di scegliere un elettrodomestico dai consumi limitati. Senza contare che anche sul fronte detersivi c’è sempre maggiore attenzione alla biodegradabilità. Per non parlare dei rifiuti. Un tempo se ne producevano di

certo quantità inferiori, ma oggi noi conosciamo il riciclo e la raccolta differenziata. Per quanto riguarda l’immondizia che non si può differenziare, la cosiddetta “organica”, che finisce nelle discariche contribuendo all’aumento dell’effetto serra, sembra che possieda un importante potenziale: Legambiente ha, infatti, presentato di recente un dossier in cui si spiega che dai rifiuti e dalle biomasse di origine agroindustriale si potrebbero ottenere 8 miliardi di metri cubi di metano all'anno, pari a circa il 10% del fabbisogno di gas naturale del nostro Paese, riducendo notevolmente anche le emissioni di CO2. E non è poco. Esiste però un settore dove un ritorno al passato è l’unica soluzione per un comportamento eco-sostenibile, e riguarda le neo-mamme: quella di acquistare solo pannolini lavabili. Questo contribuirebbe fortemente a ridurre l’inquinamento ambientale. Infatti, i classici pannolini usa e getta di oggi rappresentano il 15% dei rifiuti non riciclabili; dato che ogni bambino utilizza più di 6.500 pannolini solo per i primi tre anni di vita, possiamo immaginare quale gran mole di rifiuti produca. Dunque, a quanto pare, oggi abbiamo a nostra disposizione sia gli insegnamenti del passato, sia i nuovi mezzi forniti dal presente, con una maggiore consapevolezza e una tendenza globale verso un maggior rispetto del nostro mondo. In poche parole non abbiamo più scuse per non provare a ridurre il nostro impatto sull’ambiente!

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PRIMO PIANO

NON POSSIAMO RISOLVERE IL PROBLEMA CON LA STESSA MENTALITÀ CHE L’HA GENERATO TRA EFFICIENZA ENERGETICA ED ENERGIE ALTERNATIVE: COME CONSUMARE MEGLIO E MENO MAURIZIO FAURI* 34


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* Professore associato di Sistemi Elettrici per l’Energia presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trento e Presidente della società Polo Tecnologico per l’Energia di Trento.

Nel momento in cui, a un esame di laurea, uno studente, parlando di efficienza energetica, ha esemplificato il concetto citando delle installazioni di pannelli solari in un edificio, è apparso evidente che forse non è ancora possibile dare per scontata la differenza tra efficienza energetica e fonte rinnovabile. La prima ha infatti a che fare con la modalità del consumo. La seconda con quella della produzione. E per raggiungere buoni risultati in ambito energetico e ambientale, quello che andrebbe fatto dovrebbe essere di migliorare l’utilizzo delle energie per poi concentrarsi sulla produzione. Il miglioramento dell’efficienza energetica si ottiene esattamente come si farebbe con un’automobile. Ci si può rivolgere al benzinaio più economico, ma non sarebbe questo a fare la differenza. Il salto si avrebbe cambiando auto, acquistandone una che consenta minori sprechi. E poi razionalizzandone l’utilizzo. Lo stesso vale per l’efficienza energetica che si può ottenere con un impianto energetico differente e soprattutto intervenendo sui nostri comportamenti, laddove esistono degli sprechi. Per avere una testimonianza di quanto una semplice modifica nei nostri atteggiamenti, possa influire sui consumi energetici, esiste un sito “www.energytrophy.org” nel quale ven-

gono segnalate le aziende in grado di risparmiare maggiormente, semplicemente cambiando e migliorando le abitudini del personale. Parlando invece di produzione di energie alternative, queste riguardano la produzione di fotovoltaico, eolico, idroelettrico, solare termico, eolico da polimero vibrante, biomassa. Ma qualunque fonte alternativa si scelga, lo scopo è sempre quello: consumare meno e meglio, riducendo l’utilizzo di fonti energetiche fossili. Come? Anche attraverso una valutazione di quello che si è consumato e quello che si può evitare di consumare. Anche se in questo caso occorre fare attenzione ai termini visto che, quando si misura il risparmio, in realtà si misura quello che non c’è. Ho risparmiato rispetto a cosa? Impossibile rispondere se non esistono dei parametri di riferimento, così come accade nel mondo energetico, nel quale, forse, il principale limite è dato dalla mancanza di elementi di confronto che delimitino sia le emissioni di CO2 sia i termini di efficienza energetica. In tale contesto di energia, emissioni, produzione di energie alternative, le aziende che ruolo hanno? Possono essere attive o passive. Passive sono ad esempio le realtà che si attengono ai limiti cogenti di emissioni, quali ad esempio le grandi aziende disciplinate dalla Direttiva ETS (Emission Trading System). Quelle attive sono invece

le realtà che cercano di diventare più green migliorando la propria efficienza energetica oppure sfruttando per le loro attività le fonti rinnovabili. Inoltre, le aziende che si preoccupano di ridurre le loro emissioni, anche se non sono obbligate, possono certificare ciò che hanno risparmiato attraverso i V.E.R. (Verified Emission Reduction, titoli che certificano l’emissione evitata di 1.000 kg di CO2, mediante interventi diretti di efficienza energetica, o per utilizzo di fonte rinnovabile o grazie ad attività di riforestazione, ecc.) ed utilizzarli per neutralizzare proprie attività future o venderli ad altre aziende/realtà che vogliono neutralizzare le emissioni ma non hanno la possibilità di farlo. Al termine di questa breve panoramica tra efficienza energetica ed energie alternative, credo che il punto di forza per qualunque azienda che aspiri a definirsi green, stia proprio nel saper cambiare radicalmente mentalità prima ancora di intraprendere un percorso sostenibile. Non per niente, credo che tutto ciò che sta a monte di qualsiasi atteggiamento sostenibile, suscettibile di essere adottato da un’azienda, possa e debba essere riassunto con un celebre citazione di Albert Einstein: “Non possiamo risolvere il problema con la stessa mentalità che l’ha generato”. Non siete d’accordo?

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PRIMO PIANO: BIODIVERSITÀ

QUANTO COSTA LA PERDITA DELLA BIODIVERS CE LO DICE UNO STUDIO WWF-ALLIANZ

TIPPING PO

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SITÀ?

OINT TIPPING POINT, OVVERO PUNTI CRITICI. SONO LE SOGLIE CLIMATICHE LIMITE A CUI DIVERSE REGIONI DEL MONDO E GLI ECOSISTEMI SI STANNO

L'allarme è della fine del 2009, e viene da uno studio di WWF e Allianz che spiega come i mutamenti dovuti al riscaldamento globale siano propensi ad essere improvvisi e imprevedibili, destinati a creare enormi problemi e danni per centinaia di miliardi di dollari. Il connubio tra la più nota associazione mondiale per la protezione dell'ambiente e un colosso del settore assicurativo spiega quanto la salvaguardia dell'ambiente non sia più (e non lo è mai stata) una questione marginale da delegare a scienziati e volenterosi, ma una vera minaccia che ci riguarda tutti, dai semplici cittadini alle grandi multinazionali. Come dire che perfino tecnocrati e squali della finanza farebbero bene a riflettere sulle impronte ecologiche dei loro business, giusto per non farsi trovare impreparati quando il vento (e non è solo un eufemismo) dovesse iniziare a soffiare in senso opposto. Lo scenario apparirà catastrofista solo a chi preferisce continuare a voltarsi dall'altra parte. Non è invenzione né paura indotta che le temperature globali siano in costante crescita e che entro la metà del secolo è prevedibile un riscaldamento ulteriore del pianeta di due o tre gradi. Fenomeni come l’innalzamento del livello del mare sulla costa est degli Stati Uniti, la siccità in California, il blocco del monsone estivo in India e in Nepal o la scomparsa della foresta amazzonica non sono imprevedibili cataclismi, ma conseguenze di scelte precise che influiranno sulle vite di centinaia di milioni di persone e destinate ad avere un impatto economico-finanziario di eccezionale rilievo.

I PUNTI CRITICI

PERICOLOSAMENTE AVVICINANDO E CHE POTREBBERO PROVOCARE CAMBIAMENTI AMBIENTALI, SOCIALI ED ECONOMICI DEVASTANTI

Il ghiaccio della Groenlandia e dell’Antartico occidentale si sta sciogliendo e potrebbe provocare l’innalzamento del mare fino a mezzo metro entro il 2050, comportando danni nelle 136 città portuali principali al mondo di circa 25.000 miliardi di dollari. Sulla costa nord-est degli Stati Uniti l’innalzamento del livello del mare potrebbe essere ancora superiore, mentre a sud-ovest la California sarà probabilmente colpita da periodi di siccità ed aridità mai più verificatisi dal 1930. I danni annuali causati dagli incendi potrebbero decuplicarsi rispetto ai costi di oggi raggiungendo 2,5 miliardi di dollari all’anno entro il 2050 e aumentando fino a 14 miliardi di dollari entro il 2085. Il 70% della popolazione attiva potrebbe essere a rischio di siccità in India. Il rapporto stima che il futuro costo dei periodi di siccità crescerà fino a raggiungere 40 miliardi di dollari ogni decina d’anni fino

alla metà del secolo. Raggiunti questi punti critici, la scomparsa della foresta amazzonica potrebbe raggiungere il 70% entro la fine del secolo come conseguenza dell’aumento nella frequenza dei periodi di siccità nel bacino Amazzonico. Gli effetti includerebbero una perdita della biodiversità e massicci rilasci di carbonio. I costi potrebbero raggiungere i 9.000 miliardi di dollari per una superficie di circa 4 milioni di chilometri quadrati. Raggiungere un punto critico vuol dire perdere qualcosa per sempre, ma lo studio evidenzia come l'impatto sulla sussistenza e sui beni siano stati finora sottovalutati, anche perché la velocità di avvicinamento ai fenomeni descritti è in costante aumento.

2010 L'ANNO DELLA BIODIVERSITÀ Gli allarmi sul riscaldamento climatico crescono d'intensità in concomitanza dell'anno della biodiversità proclamato dall'assemblea generale dell'Onu, che ha voluto porre all’attenzione del mondo la questione dell’impoverimento ambientale del pianeta a seguito della distruzione degli ecosistemi. Le cause principali, oltre alle mutazioni climatiche descritte nella ricerca di WWF e Allianz, sono da ricercare nei cambiamenti degli habitat naturali causati da attività antropiche come la produzione agricola intensiva, le attività edilizie ed estrattive, uno sfruttamento eccessivo delle foreste, degli oceani, dei fiumi, dei laghi e del suolo. L'uomo esercita oggi una pressione sui sistemi naturali con conseguenze paragonabili a quelle di eventi di natura geologica e climatica verificatisi nel corso di milioni di anni. La perdita di habitat e di specie continua ad avvenire in spazi e quantità sempre maggiori e sempre più rapidamente, al punto che alcuni esperti descrivono la nostra epoca come quella della sesta grande estinzione a livello globale.La biodiversità comprende la varietà di geni, specie, ecosistemi e processi ecologici che costituiscono ed assicurano la vita sulla Terra. Secondo il WWF stiamo assistendo ad una crescente perdita di biodiversità, con conseguenze profonde per il mondo naturale e per il benessere umano e invertire questa tendenza è una delle grandi sfide ambientali del XXI secolo. Come dimostra lo studio però, tutelare la biodiversità significa preservare gli ecosistemi, non solo per il loro valore intrinseco ma anche per i beni che possono fornire in maniera naturale all’uomo.

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PRIMO PIANO: NEUTRALIZZIAMO LA CO2

SCUSI LEI, MI NEUTR O NO?”

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* Antonio Visentin è ingegnere presso il Polo Tecnologico per l'Energia di Trento

ZZA VIAGGIO NEL MONDO DEI V.E.R. UN QUADRO CHIARIFICATORE DELLO STATO DELL’ARTE FOCALIZZATO SUGLI INTERVENTI DI NEUTRALIZZAZIONE DELLE EMISSIONI DI CO2 ANTONIO VISENTIN*

Ok, a questo punto il messaggio alle aziende, ma anche ai singoli cittadini, dovrebbe essere arrivato: il pianeta si sta surriscaldando e la riduzione delle emissioni di gas serra in atmosfera diventa indispensabile, per non rischiare di compromettere definitivamente l’ecosistema mondiale. Il Protocollo di Kyoto, attraverso i governi nazionali dei Paesi industrializzati, ha obbligato i “grandi emettitori” a ridurre le proprie emissioni entro limiti prestabiliti nel Piano Nazionale delle Allocazioni (PNA), pena sanzioni salatissime. Ma finora gli effetti di tali azioni “obbligate” si sono rivelate insufficienti per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato di riduzione dei gas serra. Ciò ha portato, vuoi per sensibilità ambientale, vuoi per intuito, buona fede o calcolo utilitaristico, alla cosiddetta green economy, un modello aziendale che, seguendo il principio della sostenibilità, si basa su iniziative imprenditoriali volontarie atte a ridurre le emissioni, pur garantendo logiche di business, visto che nessuno ancora ha deciso di lavorare in cambio di niente. Un modello che ha portato anche alla nascita di una sorta di moneta di scambio, i V.E.R. (Verified Emission Reduction), titoli che certificano l’emissione evitata di 1.000 kg di CO2, mediante interventi diretti (per esempio di efficienza energetica, uso fonti rinnovabili, riforestazione, ecc.). Una moneta non ancora regolamentata, almeno in Italia, dal punto di vista legislativo e che non ha ancora una borsa di scambio ufficiale. Il che comporta il rischio, per chi volesse neutralizzare le proprie emissioni, magari facendo shopping di V.E.R., di imbattersi in società poco competenti che, per cosi dire, “vendono fumo”, ad esempio promuovendo progetti fantasma di riforestazione di zone sperdute in chissà quale parte del mondo, difficilmente verificabili. Inoltre il vuoto normativo ha permesso a diverse aziende di sfruttare il green washing, appropriandosi ingiustamente di virtù ambientaliste per crearsi un'immagine positiva delle proprie attività o prodotti ed allonta-

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PRIMO PIANO: NEUTRALIZZIAMO LA CO2

nare l'attenzione da specifiche responsabilità nei confronti di impatti ambientali negativi. In effetti i meccanismi che stanno dietro a questa tipologia di progetti generano non poche perplessità soprattutto per la difficoltà nel comprenderne il funzionamento. Vuoi per la relativa complessità tecnica, vuoi per l’innovativa tipologia di interventi, risulta indispensabile affidarsi al supporto di professionisti esperti in tematiche riguardanti l’energia, l’ambiente e i cambiamenti climatici, che guidino l’imprenditore in tutte le fasi del percorso di compensazione e/o riduzione delle emissioni, ma che soprattutto garantiscano certezza e correttezza delle azioni implementate. La conferma di tale criticità fondamentale si ritrova anche nell’articolo “Per un pugno di crediti” a firma “Mr Black” uscito il 16 aprile 2010 sul magazine del Sole24Ore in cui si descrivono le difficoltà e le incertezze che un imprenditore incontra quando decide di voler neutralizzare volontariamente le emissioni della propria azienda. In effetti non si tratta semplicemente di sancire le proprie intenzioni ambientaliste comprando un certificato, bensì di intraprendere un percorso rigoroso di riduzione delle emissioni di gas serra. Nel contesto nazionale, esistono ben poche società di consulenza in grado di fornire un servizio completo, efficace e trasparente. e la ricerca delle stesse avviene solitamente con il tradizionale passa-parola o attraverso ricerche sul Web. L’iter seguito da Mr Black è tipico di un non addetto ai lavori che cerca di realizzare una iniziativa imprenditoriale senza cognizione di causa. Purtroppo non ha avuto la fortuna di trovare, nel suo vagare tra enti pubblici e privati, le informazioni adeguate alle sue esigenze. Si è reso però consapevole della necessità di ricercare un servizio “chiavi in mano” fornito da un’unica società di consulenza, al fine di risparmiare tempo prezioso e numerosi grattacapi con risultati concreti ed immediati. Ma quali sono le tappe fondamentali

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di un progetto di riduzione? È necessario dapprima sviluppare un inventario (baseline) delle emissioni per conoscere quanto si sta emettendo in termini di CO2 equivalente. Il consulente propone quindi le azioni più efficaci di riduzione delle emissioni al minor costo per l’azienda. La compensazione delle emissioni invece avviene o utilizzando i propri crediti V.E.R. oppure acquistando gli stessi da altri soggetti virtuosi. La quotazione dei V.E.R. è legata principalmente alla logica di mercato della domanda e dell’offerta. Mediamente un credito V.E.R. viene negoziato a prezzi intorno agli 8÷10 euro con punte anche oltre i 30 euro. La forte variabilità del prezzo dipende dalla tipologia, dalla localizzazione geografica e dal livello di garanzia e di affidabilità del progetto. Ad oggi in Italia non esiste una piattaforma per la compravendita dei V.E.R. i quali possono essere negoziati tramite contratti bilaterali tra venditore ed acquirente oppure acquistati su borse estere (per esempio la Borsa Climex di Amsterdam). Si riconferma la necessità di affidarsi ad un unico soggetto che gestisca, oltre alla contabilizzazione delle emissioni, anche l’aspetto negoziale dei crediti V.E.R. È importante sottolineare che tali iniziative volontarie devono essere corredate dalle attività di verifica e certificazione da parte di un Ente terzo indipendente di certificazione abilitato ad operare nel settore delle emissioni di gas serra. Standard rigorosi, le norme tecniche ISO e le linee guida del Protocollo di Kyoto, danno al progetto un riconoscimento di livello internazionale. Solo previa certificazione dei risultati ottenuti da interventi diretti, si potranno acquisire i crediti V.E.R. emessi dall’Ente certificatore. I costi di consulenza e certificazione possono venire abbondantemente compensati dai benefici derivanti da tali iniziative. In effetti oltre al contributo reale di contrasto ai cambiamenti climatici, si ha un ritorno d’immagine green e un ritorno economico dall’eventuale negoziazione dei crediti V.E.R. In questo contesto merita particolare menzione il Festival dell’Economia

2010 di Trento, evento di rilievo internazionale, che quest’anno si è svolto ad emissioni zero grazie all’azione di compensazione intrapresa dalla Provincia Autonoma di Trento. I crediti V.E.R. utilizzati sono stati generati dalla centrale di teleriscaldamento a biomassa legnosa del Comune di Coredo (TN). Tutto l’iter progettuale di contabilizzazione, certificazione, negoziazione e compensazione delle emissioni del Festival dell’Economia è stato diretto dalla società Polo Tecnologico per l’Energia di Trento che da diversi anni opera nei settori dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e dei cambiamenti climatici. Completiamo il quadro delle iniziative di riduzione delle emissioni citando i vantaggi derivanti dalla product carbon footprint (PCF) ossia l’impronta di carbonio dei prodotti. La possibilità offerta alle aziende consiste nel calcolare quanta CO2 viene emessa durante l’intero ciclo di vita di un prodotto ossia “dalla culla alla tomba” o meglio ancora dall’estrazione delle materie prime fino allo smaltimento in discarica di ciò che rimane del prodotto esausto. Apporre sulla confezione un marchio che quantifichi la CO2 emessa può fare la differenza nel momento in cui il consumatore finale si trovi a scegliere tra prodotti simili. L’azienda virtuosa che migliora il proprio ciclo produttivo e riduce le emissioni si vedrà preferita dal consumatore che diviene via via sempre più sensibile ai temi ambientali ed al problema dei cambiamenti climatici. Per l’imprenditore o l’Ente pubblico che vuole intraprendere un percorso volontario di riduzione delle emissioni è di fondamentale importanza la scelta della consulenza più adeguata alle proprie necessità. Le tipologie di interventi implementabili sono molteplici e tutte le scelte vanno ponderate secondo le esigenze di carattere ambientale, economico e d’immagine che si vuole soddisfare acquisendo, per cosi dire, il green factor che completa il proprio brand con un carattere “verde” per essere più competitivi nella nuova ed emergente green economy.

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PRIMO PIANO: IL VERDE NELLA STORIA

ALZI LA MANO IL PRIMO ECO-LOGISTA POVERI PIVELLI SE PENSASSIMO DI ESSERE NOI GLI INVENTORI DI UNA SENSIBILITÀ ECOLOGICA. E POVERE VITTIME SE CREDESSIMO ANCHE DI ESSERE, NOI E SOLO NOI, I RESPONSABILI DELL’ATTUALE CATTIVA SALUTE DEL NOSTRO PIANETA. PERCHÉ A PRECEDERCI NON SONO STATI NÉ I NOSTRI NONNI E NEPPURE I NOSTRI BISNONNI. BISOGNA INFATTI RISALIRE MOLTO INDIETRO NEGLI ANNI PER RISCONTRARE LE PRIME TESTIMONIANZE, ALMENO DI QUELLE PERVENUTECI, DI ATTENZIONE ALL’AMBIENTE

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Nel V secolo a.C., in Grecia, era già sufficientemente chiaro a Ippocrate, con il suo determinismo ambientale, di come ambiente naturale, risorse e clima determinassero le caratteristiche fisiche e culturali delle popolazioni: “L’aspetto, i costumi degli uomini sono conformi alla natura del territorio”. E possiamo già immaginare che anche allora ci potessero essere delle diatribe tra chi vedeva la natura finalizzata all’uomo e chi ne lamentava lo sfruttamento. “Le piante esistono in vista degli animali e gli altri animali in vista dell’uomo” diceva Aristotele. “Le messi e i frutti che la terra produce furono creati per gli animali, gli animali per gli uomini” gli faceva eco qualche tempo dopo e dai lidi romani Cicerone che alla natura aveva dedicato un bel malloppo di libri. Senza contare che, molti anni prima, già Sofocle si era trovato indeciso se esaltare la capacità da parte dell’uomo di sottomettere e trasformare l’ambiente o ponderare il rischio di come un eccessivo sfruttamento agricolo potesse impoverire le risorse naturali. Seguito qualche anno dopo dal filosofo greco Teofrasto - ambientalista convinto, come diremmo oggi - che non accettava l’idea che la natura esistesse in funzione dell’uomo e che già studiava le piante in relazione all’ambiente in cui vivevano e il deperimento del suolo causato dalla deforestazione. Gli fece seguito, molti anni dopo, e in ambiente romano, Lucrezio, che descriveva una natura ormai stanca, incapace di fornire le risorse necessarie per la sopravvivenza: “Tutto a poco a poco si logora, e se ne va, consumato dalla vecchiaia, in rovina”. Scambio di opinioni tra ambientalisti e non, si ebbero anche nei secoli successivi. Arrivando ai tempi più recenti, siamo nel Settecento, potremmo citare Carl Linneo, il teorizzatore della sistematica moderna, con il suo affidarsi alla provvidenza divina: quante specie Dio ha creato, tante sono e rimarranno. Per niente d’accordo i suoi contemporanei, Lazzaro Spallanzani

e Buffon, che invece introdussero l’idea del cambiamento delle specie viventi nel tempo e nello spazio e dell’antichità del nostro pianeta. Per arrivare poi, alla fine del secolo, a Malthus che per primo evidenziò il rapporto tra l’incremento di individui in una specie e le risorse del luogo. Quindi, e siamo nell’800, Darwin, con la sua teoria dell’evoluzione delle specie animali e vegetali per selezione naturale, ed Ernst Heinrich Haeckel che, nel 1866, introdusse la prima definizione moderna di ecologia come la scienza che studia i rapporti degli organismi tra di loro ed in relazione all'ambiente in cui vivono. E poi ancora Möbius e Forbes, che definirono per la prima volta i concetti di biocenosi e microcosmo. Arthur Tansley, che nel 1935 introdusse il concetto di ecosistema. Eugene e Howard Odum, che negli anni Sessanta contribuirono alla strutturazione del Programma Biologico Internazionale e furono i fondatori della nuova ecologia basata sulle reciproche relazioni e integrazioni con l’ambiente. Lovelock che alla fine degli anni Settanta ipotizzò la Teoria di Gaia, che concepiva il nostro pianeta, appunto Gaia, come un enorme superorganismo che si autoregola, affermando che il surriscaldamento globale, provocato dall’inquinamento, avrebbe portato a una nuova era glaciale. E ancora, arrivando quasi ai giorni nostri, il fisico austriaco Fritjof Capra per il quale c’è un fortissimo legame tra la gravissima crisi ambientale del tempo e il tipo di cultura anti-ecologica affermatasi in Occidente negli ultimi secoli. Nella sua concezione, che privilegia la “rete della vita”, l’uomo è visto come parte dell’ambiente naturale e la natura non più oggetto di sfruttamento, laddove, anzi, è necessario ridurre l’impatto ambientale e vivere in modo ecosostenibile: “L’ecologia profonda vede gli esseri umani come parte integrante della natura, come nient’altro che un filo speciale nel tessuto della vita”.

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STORIE DI QUALITÀ:

“LET MY PEOPLE GO SURFING” UN LUOGO DI LAVORO CON UN ORARIO TALMENTE FLESSIBILE DA CONSENTIRE AI DIPENDENTI DI FARE SPORT “QUANDO C’È ONDA” E QUINDI, PER DEFINIZIONE, IN ORARIASSOLUTAMENTE IMPREVEDIBILI. SEVENGONO RISPETTATI GLI OBIETTIVI INDIVIDUALI,TUTTO QUESTO È POSSIBILE.ALMENO SE SIETE IN CALIFORNIA E LAVORATE PER PATAGONIA, L’AZIENDA FONDATA DA YVON CHOUINARD, DA ANNI TRA LE SOCIETÀ AL TOP NELLE CLASSIFICHE SULLA QUALITÀ DEL LAVORO, L’ETICA PROFESSIONALE E IL RISPETTO PER L’AMBIENTE, MA SOPRATTUTTO DIMOSTRAZIONE VIVENTE DI COME IL GREEN SIA ANZITUTTO BUSINESS

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Quando nel gennaio di quest'anno ha presentato in Italia la sua autobiografia “Let my people go surfing”, mister Patagonia, al secolo Yvon Chouinard, ha raccontato che ammettere con se stesso di essere un uomo d'affari non è stato facile, e farlo in maniera pulita, con una particolare attenzione all'ambiente, è stato l'unico modo per dare un senso alla sua scelta di vita. È nata da questa filosofia la nuova vita di Patagonia, azienda californiana proprietaria di uno dei marchi più prestigiosi di abbigliamento ed equipaggiamento per la montagna, che ha intrapreso un percorso straordinariamente innovativo puntando sulla trasparenza delle proprie catene del valore. Tutto è cominciato quando Chouinard si è reso conto di non sapere nulla dei suoi stessi prodotti: da dove venissero le materie prime, come fossero realizzate, chi le lavorasse e a quali condizioni, e soprattutto quanto fosse altro il costo ambientale. La chiave di volta è stata la scoperta dei processi di coltivazione del cotone con cui confezionava i suoi capi d'abbigliamento: pesticidi, disboscamento, impoverimento della popolazione faunistica. Poteva l'arricchimento giustificare tutto questo? È così che, a prezzo di grossi sacrifici iniziali (maggiori investimenti e minori

profitti), Patagonia ha deciso di votarsi alla coltivazione biologica del cotone e di rivedere tutti i processi lavorativi, coinvolgendo anche i fornitori a fare lo stesso. Il percorso non è stato semplice. Quando Patagonia si rese conto che nella produzione di resina di poliestere veniva utilizzato antimonio, un metallo pesante considerato dannoso, aveva ben presente che eliminarlo dal ciclo produttivo avrebbe significato sfidare le maggiori aziende chimiche. La rivoluzione verde: 1.200 dipendenti in tutto il mondo e un giro d'affari di 315 milioni di dollari. I capi Patagonia sono tra i più ricercati dagli amanti della natura, anche se costano un po' di più. Ma evidentemente chi ha a cuore la salute del pianeta, e ama attraversarlo a contatto con la natura, è disposto a pagare qualcosa per la sua salvaguardia. Sul sito Web dell'azienda (www.patagonia.com), è possibile adesso verificare il ciclo di vita di ogni singolo prodotto Patagonia, dalla progettazione alla distribuzione. Un viaggio per il pianeta che mostra all'utente come, per esempio, un giubbino impermeabile disegnato in California inizi a prendere vita in Giappone - a Kyoto per il rivestimento e a Nagoya per il tessuto, rigorosamente biologico -, sia poi confezionato ad Hanoi, in Viet-

nam, e approdi infine nel centro di distribuzione di Reno, in Nevada. Per ogni capo d'abbigliamento, inoltre, l'azienda dà conto del consumo di acque e di energia elettrica, delle distanze percorse, delle emissioni di biossido di carbonio e dei rifiuti prodotti. Chouinard sostiene di “essere in affari per salvare la terra”, e spiega in giro per il mondo che tutte le aziende hanno qualcosa da farsi perdonare dall'ambiente e tutte dovrebbero perciò trovare il modo di migliorare i propri processi produttivi per diminuire l'impatto sull'ecosistema. Nella sua rivoluzione verde, Patagonia ha deciso anche di autoimporsi una volontaria “tassa sulla terra” e a partire dal 1996 ha iniziato a donare l’uno per cento delle vendite a varie organizzazioni ambientaliste, indipendentemente dal livello dei profitti.Quando la responsabilità sociale diviene addirittura il marchio d'impresa, la pubblicità più che un investimento è uno spreco. E così l'azienda più verde del mondo può perfino permettersi di consigliare ai propri clienti di non comprare troppi prodotti, tanto da farcire i cataloghi con slogan del tipo: “Più sai, meno attrezzatura ti serve”. Il prossimo passo sarà quello che chiuderà il cerchio: Patagonia riprenderà indietro i capi d'abbigliamento usati per riciclarli e farne di nuovi. Come ama ricordare Chouinard: “Ci assumeremo la responsabilità totale dei nostri prodotti, da culla a culla”.

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STORIE DI QUALITÀ:

“LET MY PEOPLE GO SURFING”

“BEN VENGA IL GREEN WA

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ASHING” Di rispetto dell'ambiente si parla molto, ma in concreto è difficile verificare i comportamenti ecologici delle imprese. C'è molto green washing nell'aria. E chi l'ha detto che sia un male? Se anche un'azienda fa il dieci per cento di quello che promette sul rispetto dell'ambiente è già qualcosa di positivo. E soprattutto, a furia di pubblicizzare prodotti verdi, si sta contribuendo a creare una domanda. E quello che oggi chiedono solo i consumatori più consapevoli, domani sarà dato per scontato dai nostri figli.

Quindi poco importa se voi mantenete le promesse e qualche concorrente no? Noi spingiamo perché anche i nostri concorrenti facciano come noi. Per esempio, non chiediamo diritti di esclusiva sui tessuti ecosostenibili che utilizziamo. Chouinard dice sempre che non ci può essere business in un pianeta morto. Più sono le aziende che provano a copiarci, meglio è: per presentarsi migliori di quanto sono dovranno comunque fare qualcosa, ed è un bene per tutti. I consumatori italiani sono in grado secondo lei di cogliere le differenze? Non troppo. C'è poca consapevolezza su chi siano i pionieri di questa filosofia e chi, invece, insegue. Qualcuno ogni tanto ci accusa di copiare Timberland che sta iniziando a fare i prodotti in cotone organico, mentre noi abbiamo iniziato negli anni Settanta. Del resto non facciamo molta pubblicità, forse pecchiamo un po' anche noi, per esempio abbiamo un sito Web molto ricco ma purtroppo non è ancora in italiano.

Lei è il responsabile dei punti vendita europei di Patagonia. Come giudica la sensibilità ambientale dei consumatori italiani rispetto a quelli degli altri paesi? Siamo indietro. In generale sono Usa, Svezia e Gran Bretagna i paesi con le fasce di consumatori più avvertiti. Tra i punti vendita che rientrano nella mia area di competenza, potrei citare la Germania come il mercato più attento alle tematiche ambientali.

CONTRALTARE: SECONDO MARIO CAMPORI, RETAIL MANAGER DI PATAGONIA EUROPA, ANCHE SE LE AZIENDE SI LIMITANO A DARSI SOLO UNA MANO DIVERDE,IN OGNI CASO ALIMENTANO LA DOMANDA DI PRODOTTI ECOSOSTENIBILI. UNA PROVOCAZIONE? Yvon Chouinard ritiene che la crisi sia un'opportunità in più per un'azienda come la vostra. Noi la crisi non l'abbiamo proprio sentita e continuiamo a crescere. È vero, i clienti ci pensano un po' di più prima di fare un acquisto, ma scelgono prodotti di qualità e destinati a durare nel tempo. Noi stessi li invitiamo a comprare solo quando hanno veramente bisogno di un prodotto e a riportarcelo indietro alla fine del ciclo di vita, per riciclarlo.

QUANTO COSTA AL PIANETA UNA RAIN SHADOW JACKET Consumo energetico 43 kWh dalla raccolta del tessuto allo stoccaggio, equivalente al consumo di una lampadina accesa 24 ore al giorno per 99 giorni.

Distanza percorsa 16.351 km, come andare da Helsinki (Finlandia) a Salt Lake city (Usa).

Emissioni CO2

16 kg, pari a 43 volte il peso del giubbino.

Rifiuti prodotti 142 grammi, poco meno della metà del peso del giubbino.

Consumo di acqua 223 litri, circa tre volte il consumo quotidiano medio per 74 adulti. Fonte: www.patagonia.com

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STORIE DI QUALITÀ: LE PROFESSIONI VERDI

VOGLIA DI LAVORARE VERDE! NON È DETTO CHE TUTTI CE LA FACCIANO, MA TRENTASETTE GIOVANI ITALIANI SU CENTO, POTENDO SCEGLIERE, VORREBBERO LAVORARE NEL SETTORE DELLA TUTELA AMBIENTALE E DELLE ENERGIE RINNOVABILI

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E che non siano (solo) aspirazioni generazionali, lo provano i tanti lavoratori maturi che, potendo cambiare settore o aprire nuovi filoni di business, sceglierebbero di reinventarsi “lavoratori verdi”. I risultati di un recente sondaggio dell'agenzia di lavoro Umana (www.umana.it) non fanno che confermare e numerose altre ricerche prevedono un vero e proprio boom dei “green jobs” entro i prossimi dieci anni. Uno studio Ires-Cgil e Filctem-Cgil, per esempio, stima che nel 2020 ci saranno in Italia 60.500 posti di lavoro in più nel settore delle energie rinnovabili, che già oggi impiega in totale circa 100 mila persone. Un trend coerente con quello delineato dall'Università di Padova che ha individuato nel fotovoltaico una straordinaria opportunità per la crescita dell'occupazione nel Sud. In totale, ampliando l'universo di ricerca a tutti i lavori in ambito ecologico, l'istituto Nomisma ha contato in Italia oltre 850 mila lavoratori attivi. Ma chi sono i green worker? L'analisi della Cgil ha individuato almeno 54 figure professionali, alcune delle quali molto specifiche: designer di parchi eolici o fotovoltaici, tecnici dei sistemi di accumulo del gas del biometanolo per gli impianti di biomasse e una serie di categorie più orientate al settore com-

merciale come gli intermediari e i venditori di pannelli fotovoltaici e di pale eoliche, gli installatori e i tecnici specializzati. Accanto a questi professionisti c'è spazio però anche per lavori tradizionali come i contabili o i trasportatori e per specializzazioni trasversali a qualsiasi settore produttivo: manager, avvocati, geometri. Per tenersi aggiornati, il sito infojobs.it ha reso disponibile un canale tematico che monitora le cinque professioni più ricercate del momento: responsabile di impianti per la selezione dei rifiuti, ingegnere ambientale, ingegnere per il settore energetico-fotovoltaico, progettista di impianti fotovoltaici, perito elettrico del settore fotovoltaico. Sogni e buoni propositi a parte, quel che conta per l'occupazione è il ritmo di crescita del mercato. I ricercatori dell'Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) (www.isfol.it) hanno registrato un'impennata del settore verde negli ultimi quindici anni superiore al 40%: dalle energie rinnovabili all'agricoltura biologica, dalla gestione dei rifiuti alla tutela del suolo e dell’acqua, fino al turismo ambientale e alla bio-architettura, per i prossimi anni, superata la crisi, i numeri potrebbero lievitare di un ulteriore 50%. Come prepararsi allora all'esplosione dell'economia verde? La ricerca dell'Isfol ha contato nel nostro paese circa 150 master e oltre 2.000 mila corsi all'anno, anche se il livello qualitativo non è uniforme, mancando in molti casi una vera integrazione con le imprese del settore. Crisi permettendo, nei prossimi anni a trainare la locomotiva verde saranno l'eolico e il solare, ma già adesso sono moltissime le aziende che hanno deciso di puntare sulle energie rinnovabili, affrontando il problema della carenza di figure professionali già formate. Tra i requisiti più richiesti ai futuri project manager e system integrator ci sono la disponibilità a vivere modelli di azienda partecipativa, grande visione del futuro e preparazione interdisciplinare. E molta pazienza: mentre le energie rinnovabili si sviluppano e il mercato inizia a produrre posti di lavoro, le normative in materia rimangono ancora incerte e spesso contraddittorie. Qualche esperto di diritto amministrativo potrebbe sempre tornare utile.

NUOVI LAVORI VERDI (fonte: Guida ai green jobs - Tessa Gelisio e Marco Gisotti - Edizioni Ambiente, 2009)

Energy manager Laureato in scienze ambientali o in ingegneria, è il responsabile del consumo energetico di un'azienda o un ente. Si stima che nei prossimi cinque anni il mercato richiederà oltre 25 mila di questi specialisti. Stipendio fino a 30 mila euro lordi all'anno.

Mobility manager Formazione specialistica post-laurea in sociologia, ingegneria o economia aziendale, si occupa di migliorare la mobilità dei cittadini (traffico, piste ciclabili, mezzi pubblici). Lavora prevalentemente per enti pubblici ma può offrire consulenze anche ad aziende di grandi dimensioni. Cinquemila posti di lavoro stimati nei prossimi cinque anni, stipendio fino a 40 mila euro.

Manager del ciclo dei rifiuti urbani È un chimico, biologo, ingegnere o laureato in scienze agrarie. Le stime più ottimistiche prevedono oltre 20 mila posti di lavoro nei prossimi cinque anni e stipendi più elevati della media, commisurati anche alla delicatezza del settore. Il ruolo è quello di pianificare la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti per comuni ed enti pubblici.

Certificatore energetico Laureato in in ingegneria, architettura, scienze ambientali o chimica, si occupa di valutare l'efficienza energetica degli edifici. Si prevedono 40 mila posti di lavoro nei prossimi cinque anni, stipendi fino a 40 mila euro.

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STORIE DI QUALITÀ: VERDI P.A.

ANCHE LE P.A. PENSANO VERDE DALL'UNIONE EUROPEA UN MANUALE PER GLI ACQUISTI VERDI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI SEMPRE PRONTI A DARE ADDOSSO ALLE IMPRESE ECO-MENEFREGHISTE, POCHI FORSE SANNO CHE ANCHE LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI SONO INVITATE AL RISPETTO DELLE NORME AMBIENTALI

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Al di là dei (spesso maltrattati, se non anche ignorati) vincoli e delle tutele paesaggistiche, gli amministratori locali avrebbero il dovere di “pensare verde” anche nell'acquisto di beni e servizi. Non è facile, bisogna ammetterlo. Innanzi tutto perchè a occuparsi di queste cose sono spesso dirigenti e funzionari, non tecnici, ma soprattutto perché bisogna riconoscere le oggettive difficoltà a districarsi tra le procedure spesso bizantine. In soccorso delle amministrazioni locali è arrivato, nel marzo scorso, direttamente dalla Commissione europea, un Manuale per gli acquisti verdi delle pubbliche amministrazioni. L'obiettivo, spiegato dal Commissario


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per l’Ambiente Janez Potočnik, è quello di “fornire un riferimento necessario a sostenere il processo decisionale ed a garantire una migliore scelta ambientale nella progettazione di beni e servizi”. Il manuale, sviluppato dall’Istituto per l’ambiente e la sostenibilità (JRC - IES) di Ispra, in collaborazione con la Direzione della Commissione generale per l’ambiente, fa riferimento al quadro internazionale dettato dal Life Cycle Data System (ILCD) e intende offrire ai governi una base di conoscenza dellle modalità di valutazione dell'impatto ambientale dei prodotti. In particolare

offre informazioni su come condurre un Life Cycle Assessment efficace e corretto per quantificare le emissioni, le risorse consumate e le pressioni sull’ambiente e sulla salute umana, che possono essere attribuite ad un prodotto. Un'iniziativa lodevole, in ambito di sensibilità ambientale, che si viene ad aggiungere alle numerosi azioni già avviate in Europa all’interno della GPP (Green Public Procurement) in ottica di sensibilizzazione e riduzione dell’impronta ecologica, anche delle istituzioni. Uno strumento simile al Manuale per gli acquisti verdi, era in realtà già stato reso

disponibile nel 2004 grazie al progetto “GPPnet La rete degli acquisti pubblici verdi”, finanziato dal programma Life Ambiente dell’Unione Europea. Un progetto voluto per offrire agli enti locali una guida su come introdurre dei requisiti ecologici nelle forniture dei beni e dei servizi al momento dell’acquisto, che riportava i criteri per 189 tipologie di beni e servizi e chiariva come fosse possibile, attraverso questi, acquistare mobili per arredi, lampade, computer, fotocopiatrici, tessuti per divise, mezzi di trasporto, materiali da costruzione, vernici ed altro a basso impatto ambientale.

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STORIE DI QUALITÀ: VERDI P.A.

ACQUISTI VERDI: IN EUROPA FUNZIONANO Il Green Public Procurement (GPP) è una strategia che la Commissione Europea ha iniziato a promuovere fin dalla metà degli anni Novanta e che nei paesi membri più sensibili sta cominciando a produrre qualche risultato. Tra i primi casi virtuosi in Italia ci sono il Comune di Ferrara, che nel 1996 inaugurò le mense biologiche, e la Provincia di Cremona, capofila per le amministrazioni italiane impegnate in percorsi di riconversione ambientale degli acquisti e dei consumi. La normativa comunitaria sugli appalti pubblici in Italia è stata recepita nel 2006, e riconosce il principio che, negli appalti pubblici, la tutela dell’ambiente e della salute è prioritaria rispetto a qualsiasi criterio di economicità. L'Unione Europea ha iniziato anche un monitoraggio sulle pratiche di acquisto degli enti pubblici in sette paesi, i cosiddetti Green-7, tra cui non è compresa l'Italia. Lo studio ha verificato che in Austria, Danimarca, Finlandia, Germania, Olanda, Svezia e Gran Bretagna, la metà dei prodotti più acquistati dagli enti pubblici (tra cui servizi di trasporto e di pulizie, l’elettricità, la carta, le forniture per ufficio) tiene conto di criteri ambientali, con una riduzione delle emissioni di CO2 del 25% per le dieci categorie principali. Ma il risultato più interessante è che “acquistare verde” non significa spendere di più: prendendo in considerazione il ciclo di vita completo dei prodotti, il GPP comporta un risparmio per gli enti pubblici. La spesa iniziale è più alta, ma i costi di gestione e di manutenzione sono decisamente più contenuti.

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ANCHE IL FESTIVAL DIVENTA A BASSO IMPATTO AMBIENTALE IMQ CERTIFICA LA COMPENSAZIONE DELLE EMISSIONI DI CO2 DEL FESTIVAL DELL’ECONOMIA DI TRENTO Storie di Qualità anche per il Festival dell’Economia di Trento, svoltosi dal 3 al 6 giugno scorso, che ha deciso di neutralizzare le emissioni di CO2 prodotte per la realizzazione e l’organizzazione del Festival, utilizzando crediti V.E.R. (Verified Emission Reduction - crediti volontari

di

riduzione

delle

emissioni),

derivanti

dall’abbassamento delle emissioni di CO2 dovute all’apertura della centrale di teleriscaldamento di Coredo (TN). Ogni credito V.E.R., lo ricordiamo, comprova la mancata emissione di 1 tonnellata di CO2. L'iter del progetto di compensazione delle emissioni del Festival ha richiesto una valutazione rigorosa della contabilizzazione della CO2, con certificazione finale dei risultati da parte di IMQ, prova del fatto che l’organizzazione e lo svolgimento della manifestazione trentina si sono distinte per il basso impatto sull’ambiente. Già da un paio d’anni il Festival dell’Economia di Trento si sta impegnando a ridurre le proprie emissioni: durante l’edizione del 2009, ad esempio, si è cercato di contenere l’impatto della manifestazione sull’ambiente ricorrendo a fonti di energia rinnovabili per le piazze, distribuendo gadget sostenibili, stampando su carta certificata FSC (Forest Stewardship Council). Grazie a questi accorgimenti e alla conseguente riduzione delle emissioni, il Festival ha ottenuto il riconoscimento di “Festival Amico dell’Ambiente”.

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PRODOTTI DI QUALITÀ: LEGNO E FORESTE DOC

MA PERCHÉ DISTRUGGIAM LE FORESTE?

SPESSO PER CREARE PASCOLI, PER OTTENERE TERRA DA COLTIVARE, PER ALIMENTARE LE INFINITE GUERRE IN CORSO, MA ANCHE PER OTTENERE LEGNAME DA VENDERE,A VOLTE ILLEGALMENTE, PER PRODURRE CARTA O ALTRI PRODOTTI COME L’OLIO DI PALMA. MA A SALVAGUARDARLE E GARANTIRNE UN UTILIZZO SOSTENIBILE ESISTONO DUE MARCHI, L’FSC E IL PEFC

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MO

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Le conseguenze di un disboscamento selvaggio, appaiono ovvie a tutti, in termini di depauperamento delle risorse naturali e di peggioramento dello stato del pianeta. Ma non sempre ci rendiamo conto però dei fattori economici che accompagnano la distruzione della foresta, cui fa seguito un circolo vizioso di peggioramento delle economie locali. La scomparsa della foresta determina nell'immediato una fonte di lavoro mal retribuito e con elevati rischi professionali per il personale impiegato; in seguito, nel medio periodo, si ha l'annullamento del reddito di coloro che la possedevano o vi lavoravano, e di conseguenza l'impoverimento delle comunità e delle autorità locali. Le foreste si possono salvare con una gestione che ne regoli lo sfruttamento, che permetta da un lato il prelievo non più indiscriminato degli alberi e dall'altro la continuità della foresta come fonte di reddito per coloro che la possiedono e ne traggono sostentamento. Una gestione di questo tipo deve essere controllata e certificata da enti terzi; essa porta vantaggi all'ambiente e insieme benefici alle comunità ed alle economie locali. Per salvaguardare le foreste mondiali e conseguire i benefìci connessi alla loro certificazione nel 1983 si è costituito l'FSC - Forest Stewardship Council - che si propone di fornire un marchio di riconoscimento al legname proveniente da foreste gestite in maniera eco- e socio-sostenibile. Esso ha sviluppato due schemi di certificazione destinati rispettivamente a: - gestione della foresta: attestazione che la sua gestione avviene secondo metodi corretti dal punto di vista ambientale, ma anche sociale ed economico; - catena di custodia: per le aziende che trasformano o commercializzano il materiale legnoso proveniente da foreste certificate.

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PRODOTTI DI QUALITÀ: LEGNO E FORESTE DOC

Il risultato di tutto questo è la marcatura dei prodotti finiti, che il consumatore sensibilizzato all'argomento può scegliere in alternativa a quelli non marcati. Il mercato sta dimostrando che la dilagante maturazione ecologica, sta progressivamente conquistando una fetta di mercato non trascurabile ai prodotti con marchio, tanto che a livello mondiale numerose aziende della grande distribuzione lo stanno pretendendo dai loro fornitori. Dopo FSC sono nati altri sistemi di certificazione delle gestioni forestali sostenibili: tra questi il più rilevante è il PEFC - Program for Endorsement of Forest Certification schemes. PEFC accetta le regole redatte in diversi Paesi europei dai proprietari di foreste, purché congruenti ad una serie di criteri generali. A differenza di FSC, nato principalmente da motivazioni di natura ambientale e sociale, PEFC si è costituito per tutelare fondamentalmente gli interessi dei proprietari privati di foreste; va detto però che in linea generale i due sistemi tendono allo stesso obiettivo, la buona gestione forestale, pur con metodologie che di volta in volta attribuiscono maggior peso ad alcuni parametri piuttosto che ad altri. Per la diffusione dei propri princìpi FSC preme soprattutto a valle della filiera foresta-prodotto, stimolando l'interesse dei consumatori verso l'aspetto sociale ed ambientale del processo; PEFC privilegia piuttosto le strutture a monte della filiera, quindi le organizzazioni private e pubbliche dei proprietari, coinvolgendo intere Regioni e Stati. Grazie a questo approccio PEFC in breve tempo ha potuto concedere la certificazione ad un rilevante numero di aree boschive, in particolare a tutte quelle che già erano certificate da schemi nazionali.

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Il processo di certificazione verifica la conformità dei sistemi di gestione ai princìpi e criteri stabiliti dai due schemi. La certificazione di aree forestali secondo FSC comprende: - l'esame della descrizione dettagliata del sito; - la consultazione delle parti interessate (stakeholders) tra cui le amministrazioni pubbliche, le parti sociali, gli enti comunque interessati - associazioni ambientaliste, cacciatori, raccoglitori di funghi, organizzazioni sindacali, esperti locali, ecc.; - la verifica della conformità della gestione ai dieci principi FSC: rispetto di leggi e norme locali, pagamento delle imposte, rispetto delle convenzioni CITES, proprietà e diritti d'uso, rispetto dei diritti dei lavoratori e salvaguardia delle loro condizioni, tutela delle risorse idriche e degli ecosistemi, accorgimenti per l'impiego di prodotti chimici, esistenza di un piano di lungo periodo e dei relativi obiettivi quantificati, monitoraggio dei risultati, ecc. La certificazione della Chain of Custody di aziende trasformatrici o commercianti di legno comprende: - la verifica della separazione e/o identificazione dei materiali certificati e non; - l’esame del sistema di controllo e registrazione, in particolare degli ingressi di materia prima, della vendita di prodotti certificati e della loro corrispondenza. La sensibilità ambientale dei consumatori è in continuo aumento, e così la loro domanda di prodotti certificati: è augurabile che il nostro Paese, principale esportatore mondiale di mobili, non si faccia trovare impreparato di fronte a questa opportunità.


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BENEFICI DALLA CERTIFICAZIONE FORESTALE SOCIALI • Conoscenza e partecipazione agli indirizzi gestionali da parte di tutti gli interessati (stakeholders) • Salvaguardia dei diritti delle popolazioni indigene • Salvaguardia della salute, della sicurezza e dei diritti dei lavoratori • Attivazione delle comunità locali • Riduzione della povertà e della corruzione AMBIENTALI • Salvaguardia della biodiversità • Protezione delle specie e degli habitat in pericolo • Mantenimento della integrità ecologica e della funzionalità forestale • Protezione delle "foreste primarie" • Regolamentazione dell'uso di pesticidi e degli OGM • Monitoraggio ambientale ECONOMICI • Qualificazione del prodotto attraverso la marcatura di ecosostenibilità • Accesso al mercato dei consumatori sensibili alla difesa ambientale • Aumento delle quote di mercato • Miglior efficienza della gestione • Accesso a nuove risorse economiche costituite da finanziamenti e investimenti connessi alla salvaguardia ambientale

FISIONOMIA DEI DUE SISTEMI

• Organizzazione non governativa internazionale, fondata nel 1983. Sede attuale a Bonn (Germania) • 23 organismi di certificazione accreditati (tra i quali ICILA) • 135 milioni di ettari di foreste certificate (7/2010) • 18.000 certificati di Chain of Custody (7/2010)

• Iniziativa volontaria nata nel 1998 da rappresentanti di proprietari forestali privati di alcuni Paesi europei. • Membri ordinari sono i rappresentanti di organizzazioni di 34 Paesi; membri straordinari federazioni dei proprietari forestali e organizzazioni industriali di commercio e lavorazione del legno • 225 milioni di ettari di foreste certificate (7/2010) • 6.796 certificati di Chain of Custody (7/2010)

CRITERI BASE I criteri base cui i due sistemi si ispirano sono tutto sommato simili: I dieci princìpi FSC 1. Rispetto delle Leggi nazionali e dei Principi FSC. 2. Rispetto dei diritti di possesso e di uso della foresta, individuazione delle responsabilità. 3. Rispetto dei diritti delle popolazioni indigene. 4. Rispetto dei diritti delle comunità e dei lavoratori. 5. Equa attribuzione dei benefici dalla foresta. 6. Garanzia dell'impatto e della tutela dell'ambiente. 7. Esistenza di un Piano di Gestione. 8. Effettuazione di esami e controlli dei risultati della gestione. 9. Mantenimento delle foreste ad alto valore di conservazione. 10. Esistenza di regole adeguate per le piantagioni. I sei criteri PEFC 1. Mantenimento e sviluppo delle risorse forestali e loro contributo al ciclo del carbonio. 2. Mantenimento della salute e vitalità dell'ecosistema forestale. 3. Mantenimento e promozione delle funzioni produttive delle foreste (prodotti legnosi e non). 4. Mantenimento e adeguato sviluppo della diversità biologica degli ecosistemi. 5. Mantenimento e adeguato sviluppo delle funzioni protettive della foresta (in particolare suolo e acqua). 6. Mantenimento di altre funzioni e condizioni socio-economiche

GLI SCHEMI CERTIFICATIVI FSC • Rappresenta e interpella tutte le parti interessate: proprietari di foreste, trasformatori e rilavoratori del legno, consumatori, associazioni ambientaliste, enti pubblici. • Ha standard nazionali, adattati alle realtà locali, che devono essere omogenei ai dieci principi fondamentali: vi è quindi corrispondenza tra le certificazioni concesse in Paesi diversi. • Prevede verifiche sul campo e controlli lungo la filiera forestaprodotto finito da parte di organismi di certificazione accreditati da FSC. • La certificazione è basata sul principio della condivisione dell'idea della buona gestione da parte di tutti i soggetti interessati. PEFC • Accetta gli standard nazionali dei Paesi che aderiscono, purchè congruenti ai criteri generali; possono esistere sensibili differenze tra standard di nazioni diverse. • Nei Paesi aderenti i proprietari certificati secondo gli schemi nazionali sono automaticamente certificati anche PEFC. • Contempla la possibilità che un Ente Regionale acquisisca la certificazione quando una porzione del suo territorio risulti certificata. • Prevede verifiche sul campo e lungo la filiera foresta-prodotto finito da parte di organismi di certificazione accreditati dagli organismi nazionali (in Italia Accredia)

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PRODOTTI DI QUALITÀ: EDITORIA SOSTENIBILE

QUELLI CHE STAMPANO SU CARTA AMICA DELLE FORESTE

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Un gruppo di oranghi assale lo stand Feltrinelli durante l’ultimo Salone del Libro di Torino. Un sogno o l’incipit di un film? Niente di tutto ciò. Semplicemente la nuova provocazione (vincente) di Greenpeace che così ha voluto dare visibilità a Salvaleforeste (http://www.greenpeace.it/deforestazionezero/), la graduatoria sull'editoria italiana, che rivela come la maggior parte dei libri venduti nel nostro Paese sia una minaccia per le foreste di Sumatra e per gli ultimi oranghi indonesiani (L'Italia è il più importante acquirente europeo di carta indonesiana e il maggior cliente APP, il più grande produttore di carta Indonesiano e il secondo a livello mondiale). La distruzione di queste foreste - l'Indo-

nesia è il terzo emettitore mondiale di CO2 - avrebbe un effetto drammatico anche sul clima. Studi di Greenpeace dimostrano che per ogni tonnellata di cellulosa prodotta da APP in Indonesia, nel 2007, sono state emesse circa trentaquattro tonnellate di CO2. L’azione di Greenpeace sembra avere avuto efficacia immediata visto che solo dopo 48 ore la Feltrinelli ha deciso di utilizzare per i propri libri solo ed esclusivamente carta certificata FSC (Forest Stewardship Council) proveniente da foreste gestite in maniera sostenibile e responsabile. Una decisione che dimostra che stare dalla parte delle foreste e della biodiversità non solo è necessario ma anche possibile.

PAGHERESTI DI PIÙ PER… Un recente sondaggio realizzato da Greenpeace rivela che quasi il 90% dei lettori sarebbe disposto a pagare il proprio libro preferito almeno il 5% in più se solo fosse disponibile in carta amica delle foreste. La percentuale cresce ulteriormente tra i lettori più fedeli (più di 20 libri in un anno).

RICICLATO? Non esiste una definizione univoca per la carta riciclata. Alcune carte contengono fibre riciclate preconsumo, ossia fabbricate con i tagli tipografici, mentre altre contengono rifiuti post-consumo, ossia materiale già entrato nel mercato, e quindi riciclato come rifiuto. Il tipo di acquisto più utile alla protezione delle foreste è quello post-consumo, ed è quello a cui dovrebbe tendere una seria politica di acquisti.

A CARTE SICURE L'unico modo per garantire che la carta che utilizzate provenga da fonti pienamente responsabili dal punto di vista ambientale e sociale, è impiegare carta riciclata fabbricata da rifiuti post-consumo e, dove sono necessarie fibre vergini, impiegare solo quelle dotate della certificazione Forest Stewardship Council - FSC, o una combinazione delle due.

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QUALITÀ DELLA VITA: CONSUMO CONSAPEVOLE

CONSUMO CONSAPEVOLE DALLA PARTE DELL’ESPERTO INTERVISTA A ANDREA POGGIO VICE DIRETTORE NAZIONALE LEGAMBIENTE In tempi di crisi globale entrano nel lessico comune e nella nostra vita quotidiana concetti come il consumo consapevole. Il punto di partenza è sapere davvero cosa si vuole. Può apparire banale, ma il consumo consapevole nasce prima del momento di ogni acquisto, dall'analisi preventiva dei bisogni e dei desideri. Più facile a dirsi che a farsi. Perché siamo abituati a pensare a queste cose in termini punitivi o repressivi, e spesso quando è troppo tardi: non devo comprare. E invece basterebbe fermarsi un attimo e provare anche solo a contare tutti gli oggetti che abbiamo comprato che affollano più o meno inutilmente le nostre case. Quanto tempo, quante energie, quanta attenzione abbiamo dedicato

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a ciascuno di questi? Sono numeri enormi. La crisi è globale, ma la distribuzione delle risorse nel mondo continua ad essere drammaticamente sbilanciata: come riuscire a invertire la tendenza a partire dai piccoli comportamenti quotidiani? Più che indicare modelli, dovremmo fare attenzione ai messaggi che lanciamo e che riceviamo. Davvero qualcuno può aver voglia di entrare in un negozio in cui il proprietario tiene accesa l'aria condizionata al massimo e le porte aperte? A me no. Anche perché penso che nei beni che mi venderà c'è dentro un costo spropositato di energia elettrica che potrebbe benissimo essere risparmiato e che invece, in qualche modo, finirà per essere

scaricato sul cliente. L'economia occidentale ha globalizzato il pianeta, compresi i paesi del terzo mondo, caratterizzati da un'economia di sussistenza: al di là dei buoni sentimenti, cosa possono insegnarci oggi quei modelli di consumo? Molto, credo, ma non c'è da copiare. Come non possiamo pretendere di imporre il modello di consumo occidentale, è inutile illudersi di poter imitare un altro mondo. Osservare e studiare invece sì. Vedere come vivono altri popoli, comprendere i diversi giudizi di valore che vengono attribuiti a oggetti, esperienze, servizi da un altro modello di civiltà è sempre interessante, e può aiutarci a riflettere anche sulle nostre scelte.


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“PULIAMO IL MONDO INSIEME”

I sacchetti di plastica che vengono utilizzati nei negozi e nei supermercati costituiscono un grave problema di inquinamento ambientale diffuso in tutto il mondo. Ogni anno, a causa dei sacchetti dispersi nell’ambiente muoiono migliaia di pesci, balene, delfini e altri animali. Legambiente lancia una petizione per dire “Stop ai sacchetti di plastica”, in nome del rispetto per le specie viventi, per il paesaggio e per la bellezza, per l'ambiente dell'Italia e del Pianeta. La petizione si rivolge, inoltre, agli esercizi commerciali perché trovino nuove soluzioni e chiede al Ministro dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di impegnarsi a non prorogare ulteriormente il divieto di commercializzazione di sacchi non biodegradabili, non rispondenti ai criteri fissati dalla norma comunitaria EN 13432, oltre il 31 dicembre 2010. Per mettere la firma: www.puliamoilmondo.it

Consumiamo le risorse a un ritmo sempre più intenso: stiamo facendo abbastanza sul fronte dell'efficienza energetica? Diciamo intanto che stiamo registrando un contrazione dei consumi. Anche grazie alla crisi ci si è accorti che è possibile ridurre i consumi inutili. L'unico investimento garantito oggi è proprio sull'efficienza energetica, e questo è il passaggio più interessante di quanto sta accadendo. Efficienza energetica significa anche investimenti nelle fonti rinnovabili. Le rinnovabili sono una delle opzioni, non la soluzione. L'acquisizione di una coscienza energetica ci induce a fare scelte più appropriate e orientate al risparmio. Non basta mettere dei panneli solari sul tetto: se una casa consuma il doppio di

quanto dovrebbe, ci vorranno anche il doppio dei pannelli solari. A che punto è lo stato di maturazione della coscienza energetica delle imprese italiane? Appena all'inizio, però questa attenzione ai consumi e all'efficienza è iniziato fin dal 2005, prima della grande crisi economica e in seguito alle prime impennate del prezzo del petrolio. La consapevolezza del costo dell'energia e delle conseguenze sull'inquinamento ambientale sono i punti di partenza per arrivare a scelte diverse da quelle tradizionali. La crisi ha accelerato una tendenza che comunque, in Europa, ha preso il via fin dagli anni Settanta. In questi mesi, tra inchieste giudizia-

rie e mobilitazioni del territorio, è finito nel ciclone l'eolico. Dal punto di vista ambientale, a vostro avviso, pesano più i vantaggi di una fonte di energia pulita o i potenziali effetti negativi sull'ecosistema? Premesso che sull'eolico, come su qualsiasi altra opera, l'auspicio è che tutto avvenga sempre nel solco della legalità e con il consenso del territorio, se dovessi scegliere tra vivere vicino a una centrale elettrica o a un campo eolico, non avrei dubbi: molto meglio il fruscio delle pale. È chiaro che i parchi eolici devono essere costruiti dove è possibile, senza alterare gli equilibri dell'ecosistema. Quando non è stato così ci siamo battuti contro. Ma non c'è proporzione tra i potenziali danni di un campo eolico o solare e quelli derivanti da una centrale fossile o nucleare.

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QUALITÀ DELLA VITA: SALUTE

DIETE “VERDI”, PER GENTE SENSIBILE CHE VUOLE RESTARE IN FORMA

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Patiscono di più per la sofferenza degli animali e sono stati i primi a capire che il consumo eccessivo di carne accelera la fine delle risorse mondiali. Al contempo, però, i vegani rischiano di mettere a repentaglio la loro salute se non adottano diete “verdi” veramente equilibrate.eLa prima considerazione è frutto di una ricerca dell'Istituto San Raffaele di Milano che ha dimostrato che i vegani, un sottogruppo di vegetariani che non mangia alcun cibo di origine animale, neanche i derivati come latte, latticini e uova, avrebbero un'attività cerebrale diversa dagli onnivori che li rende più empatici verso tutte le creature che manifestano la capacità di soffrire. La seconda è contenuta invece nel rapporto del Programma per l'ambiente delle Nazione Unite, diffuso a inizio giugno, che ha dimostrato la stretta correlazione tra consumo di carne e inquinamento, effetto serra e spreco delle risorse. Oltretutto, mangiare troppe bistecche e affini fa male alla salute, come conferma Angela Maria Messina, tecnologa alimentare e nutrizionista, nonché autrice del blogzine “Muoversi Insieme” (www.muoversinsieme.it), la quale dice: “La carne contiene per lo più grassi saturi che se assunti in grossa quantità possono contribuire ad aumentare il rischio di malattie cerebrovascolari. Con il pesce questo rischio non c'è, perché al contrario quest'ultimo contiene gli omega 3 protettivi per il cuore”. Di fatto, aggiunge la nutrizionista, i grassi fortemente insaturi, come quelli contenuti per l'appunto nel pesce e nella frutta secca, fanno bene all'organismo. Per questo è convinta dell'importanza per i vegetariani, soprattutto se vegani, di procurarsi in maniera adeguata tutte le vitamine, proteine e grassi di cui ha bisogno un individuo. “Per esempio, per riequilibrare la carenza di omega 3 - spiega - basterà consumare frutta secca e semi oleosi con regolarità”. Il discorso si fa più complesso nel caso del ferro, presente nelle carni in forma facilmente assimilabile dall’organismo. “Per cercare di procurarselo senza mangiare carne, bisognerà assumere più legumi che contengono ferro”, osserva ancora, “scegliendo quelli che ne hanno di più come i fagioli, seguiti dalle lenticchie e le fave, da ultimo i piselli. Anche alcune verdure come gli spinaci, il radicchio, i ravanelli ne contengono in buona quantità; per renderlo più assimilabile basta aggiungere un po’ di succo di limone”. E con le proteine come la mettiamo? “Chi non mangia neanche il rosso d'uovo, che ne possiede davvero molte e di elevata

qualità nutrizionale - sottolinea la tecnologa - potrebbe ricorrere alla nostra tradizione gastronomica che abbina in molti piatti tipici cereali e legumi. Tra i legumi, inoltre, la soia ne è particolarmente ricca e si presta anche a molte trasformazioni”. Su quest'ultima, però, si aprirebbe un ulteriore problema per chi è contrario agli Ogm, di frequente utilizzati per produrla. Un discorso analogo vale, d'altra parte, anche per la frutta e la verdura, troppo spesso contaminata da pesticidi: “Su questo argomento bisogna però tenere presente che se si rispettano le norme di utilizzo di queste sostanze e si è fatto tutto secondo la legge, si tratta di problemi secondari”. “Comunque - aggiunge - è preferibile scegliere alimenti di produzione biologica che non vengono trattati con sostanze chimiche oppure quelli a lotta integrata, sui quali, la sostanza chimica viene usata solo come ultima possibilità per garantire la sopravvivenza della pianta”. Trovare i biologici non è così difficile: “Hanno il marchio Ue, quello con le stellette”, precisa. In tutti i casi, conoscere quello che si sceglie, anche dal punto di vista nutritivo, è

fondamentale per avere un corretto equilibrio alimentare: per questo motivo per Angela Maria Messina sarebbe meglio se la scelta vegetariana venisse fatta in età già adulta o quasi. Il discorso cambia completamente se si sceglie il regime vegetariano per rimettersi in forma: “La dieta vegetariana segue in maniera più appropriata dell'onnivora la piramide alimentare che prevede alla base cereali, legumi, poi frutta e verdura e via via a salire pasta, carne e dolci”, sottolinea ancora, “per cui, con gli opportuni accorgimenti e aiutati anche dall'attività fisica, prescritta dalla stessa piramide, si potrebbe tranquillamente sostituirla all'onnivora per sempre”. E se invece si opta per la vegana, come la mettiamo con l'osteoporosi, soprattutto se si è una donna? “Il patrimonio osseo si forma entro i trent'anni, per cui, se la si sceglie in tarda età, non c'è nessun effetto rilevante. Prima, bisogna essere estremamente rigorosi”. Che dire, infine, delle verdure in scatola o surgelate? Nulla di male se non per la minore presenza di vitamine, con una leggera preferenza per le seconde, anche se, conclude la nutrizionista, “fresco è meglio”.

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QUALITÀ DELLA VITA: VIAGGI

LIBIA, PER VIAGG ALLA RICERCA DI PER PRIMA COSA, UNA PREMESSA: IL VIAGGIO IN LIBIA È SCONSIGLIATO A CHI AMA LE COMODITÀ. NON CHE NON CI SIANO HOTEL DI LUSSO O SPIAGGE ATTREZZATE COME IN TUTTO IL RESTO DEL NORDAFRICA, MA SONO GLI STESSI TOUR OPERATOR A SUGGERIRLO COME ITINERARIO PER GENTE DISPONIBILE AD ADATTARSI

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GIATORI ESPERTI I SE’ Per esempio, lo dice Albaydaa tour, agenzia libico-italiana (www.albaydaatour.com) che, tra le altre informazioni, spiega l'origine di Gadhames, la cosiddetta perla del deserto, patrimonio dell'Unesco dal 1987. Posta ai margini del Sahara, nel cuore del Paese, il suo nome in arabo vuol dire “Pane di ieri”, e si riferisce al cibo mangiato da una carovana yemenita da cui si staccò un cavaliere per recuperare il recipiente che lo conteneva, dimenticato sul posto il giorno prima. Gadhames è solo una delle molte testimonianze del passato ricco di storia di questo Paese, come dimostra Leptis Magna, a est della capitale libica Tripoli. Governata dai fenici, che ne fecero un importante porto, e poi dai Romani, che la trasformarono in un imponente centro di scambio delle merci africane, Leptis Magna è tappa obbligata dei viaggi in Libia, anche di quelli che hanno come meta principale il deserto. Quest'ultimo viene in genere raggiunto seguendo differenti direttrici. “La casa del viaggio” di Rovigo (www.lacasadelviaggio.it), propone per esempio, un tour che dopo Gadhames fa tappa a Sebha, nella Libia centro-meridionale, per raggiungere la regione desertica dell'Akakus, con pernottamento in tenda. C'è invece chi arriva tra le dune passando dall'Egitto, nella

zona condivisa dai due paesi nordafricani e dal Sudan, nota come deserto bianco o libico. Un descrizione dell'incredibile paesaggio di questa parte di Sahara grande quasi due volte l'Italia è fornita dal portale “Viaggia con noi” (www.cosasifa.it) che dice: “Qui la sabbia sembra neve e surreali, tenere rocce calcaree, di un bianco accecante e modellate dal vento in forme, quantomeno bizzarre, emergono improvvisamente dal suolo”. Nel deserto si arriva in genere solo in fuoristrada 4x4, a piccoli gruppi coordinati da una guida, ma la tenda bisogna montarsela da sé. Per questo motivo, anche i prezzi dei pacchetti sono abbastanza contenuti. Vediamone qualcuno. Albaydaa tour propone otto giorni con tappe a Tripoli, Ghadames, Sebrata e Leptis Magna, al costo di 1.600 euro circa per due persone, volo internazionale escluso. Si sale a oltre 2.500 euro a coppia (sempre volo escluso) se si sceglie il viaggio di quindici giorni e ci si spinge fino a Kufrah, altra suggestiva località desertica. “La casa del viaggio” chiede invece, per il viaggio di dieci giorni previsto dal 23 ottobre al 2 novembre prossimi, circa 2.080 euro a persona, comprensivi dei voli internazionali da Milano Malpensa, ma bisogna partire almeno in venti.

Raggiungere il deserto libico, infine, costa circa 2.500 euro a persona (tasse escluse) se lo si raggiunge partecipando al viaggio di 16 giorni lungo il venticinquesimo parallelo proposto da Acatama travel (http://www.atacama.it/libia_25_parallelo.htm), ma per partire bisogna essere almeno in quattro. Il costo è all'incirca lo stesso con “Avventure nel mondo” (www.viaggiavventurenelmondo.it), anche se, in questo caso, il viaggio si svolge tutto in Egitto con una tappa finale a Gilf Kebir, “un altopiano tra Egitto, Sudan e Libia – spiega il tour operator - che si eleva dalle sabbie del deserto con ripide pareti e raggiunge i 1.082 metri di altezza e circa 800 km2 di superficie”. Si tratta, spiegano sempre gli organizzatori di questa vacanza, di un luogo misterioso diventato meta turistica solo di recente: prima, vi si avventuravano soltanto archeologi e naturalisti “alla ricerca della mitica Zerzura, l'oasi perduta del Gran Mare di sabbia”. Anche se oggi si è smesso di cercarla, chi si spinge fin qua, forse cerca qualcosa di speciale, magari se stesso. L'importante, però, è venirci da ottobre a marzo, come consigliano tutti i tour operator: diversamente, visto il gran caldo, si finirebbe per smarrirsi del tutto.

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QUALITÀ DELLA VITA: SPORT

ORIENTEERING ALLA SCOPERTA DI BOSCHI E CITTÀ

UNA BUSSOLA, UN'OTTIMA RESISTENZA FISICA E UNA GRANDE CONCENTRAZIONE PER LEGGERE E MEMORIZZARE UNA MAPPA GEOGRAFICA: BASTANO QUESTI TRE REQUISITI PER COMINCIARE A PRATICARE L'ORIENTEERING (IN ITALIANO: SPORT DI ORIENTAMENTO)

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La sua versione più semplice è la corsa e il suo teatro di gara un ambiente naturale, un parco cittadino, un centro storico, da attraversare secondo un percorso riportato sulla mappa. L'origine più remota di questo sport è di natura militare, come racconta Sergio Grifoni, il Presidente nazionale della Federazione Italiana Sport Orientamento (FISO), il quale precisa: “Si è da poco festeggiato il centenario di quando è diventato uno sport nei paesi scandinavi. Da noi è arrivato nel 1967, ma ha ottenuto il riconoscimento del Coni nel 1974”. Della FISO fanno parte cinquemila tesserati, che in maggioranza praticano la Corsa Orientamento “CO”. Solo una minoranza ha scelto le altre due specialità, ossia la Mountain Bike Orientamento “MTBO”, che prevede l'uso di una bicicletta mountain bike, e lo Sci Orientamento “SCI-O”, sulla neve. Da qualche anno esiste anche una quarta specialità, detta “Orientamento di Precisione” o “TRAIL-O”, per chi vuole puntare sulle capacità di osservazione piuttosto che su quelle fisiche. Nelle prime tre specialità la vittoria spetta infatti ai più veloci, mentre nella nuova, basta (si fa per dire) saper riconoscere i segnali (tecnicamente “lanterne”) veri da quelli falsi e riportarli nel proprio taccuino di gara. Grifoni spiega le ragioni della nascita del TRAIL-O: “La FISO ha risposto a un'esigenza avvertita da diversi ex atleti che, ritrovatisi all'improvviso, per incidente o malattia, a non poter più correre, volevano comunque continuare a praticare l'orienteering: nel TRAIL-O il percorso è completamente accessibile ed è per questo che contiamo di introdurlo anche nelle 600 scuole che già praticano l’Orientamento come sport scolastico, a beneficio degli alunni portatori di handicap motori anche gravi”. La simbologia adottata dalle mappe è unica, secondo standard fissati dalla Federazione Internazionale

dell'Orienteering (IOF). Sulla mappa la partenza è indicata da un triangolo, i punti di passaggio da un cerchietto, l'arrivo da due cerchietti. Sul terreno il concorrente troverà le lanterne, gli appositi segnali. Tutto qui? Non tanto, visto che i segnali possono stare vicino a un albero, ma anche sull'ansa di un ruscello o su una collinetta, perciò, sottolinea Grifoni, “non si deve mai perdere il contatto tra la carta e il terreno: vale a dire bisogna sapere sempre in quale punto della mappa ci si trova e saperlo ricollegare a quello fisico davanti ai nostri occhi”. Curiosa è anche la marcatura del passaggio da ogni lanterna: prima si usava punzonare il cartellino di gara, ora nelle gare di una certa importanza si ricorre all’elettronica: ogni concorrente è dotato di un microchip in comunicazione con il dispositivo di lettura posizionato sulle lanterne; all'arrivo un computer ne ricaverà tempi realizzati e correttezza del percorso di gara. Non ci sono, potenzialmente, limiti d'età per darsi all'orienteering né è obbligatorio praticare l'agonismo: le categorie sono basate sull’età, da cui dipendono lunghezze e difficoltà dei percorsi, e annoverano bambini di meno di 12 anni fino agli anziani (in Scandinavia vi sono atleti che hanno 90 anni!). Vi sono poi quattro specialità, ossia la lunga, la media, la sprint e la staffetta. Si parte scaglionati, ma i minuti di differenza alla partenza vengono scontati all'arrivo. Perché scegliere lo Sport orientamento? Per molte ragioni, certo, ma innanzitutto per osservare meglio i luoghi, naturali e urbani, mantenendosi anche in allenamento. E c'è un ottimo ritorno d'immagine anche per chi ospita il teatro di gara, come intuì a inizio anni Settanta Guido Lorenzi, l'assessore allo Sport della Provincia autonoma di Trento che accolse la proposta di Vladimir Pacl, profugo politico cecoslovacco, di portare l'orienteering anche in Italia. Non è un caso, perciò, se l'ultima gara della stagione nazionale si tiene tutti gli anni a Venezia la seconda domenica di novembre: “La scorsa edizione - conclude infatti Grifoni - i partecipanti sono stati 4 mila, di cui 3 mila stranieri”. Per informazioni: FISO http://www.fiso.it/08_sport_per_tutti/ IOF http://www.orienteering.org/ 67


QUALITÀ DELLA VITA: LIBRI, FILM,VIDEO, MUSICA

LIBRI “STATE OF THE WORLD 2010” 2010 Edizioni Ambiente

“DALLA CAVERNA ALLA CASA ECOLOGICA” Federico Bufera 2007 Edizioni Ambiente

Da quando ha assunto una forma monografica il rapporto sullo stato del mondo elaborato dal Worldwatch Institute di Washington merita di essere collezionato, anno dopo anno. L’edizione 2010 è forse la più affascinante dell’ultimo quinquennio, dedicata interamente al tema della trasformazione culturale che ci sta portando dal consumismo alla sostenibilità. Una miniera di idee, informazioni, testimonianze, esperienze anche curiose e sorprendenti su temi che fanno parte della quotidianità di ognuno di noi.

Come raccontare in modo coinvolgente, e nello stesso tempo documentatissimo, le vicende che ci hanno portati a ciò che oggi viene prescritto dalle direttive europee, alla casa a “energia quasi zero”. Una storia del concetto di comfort che nessuno aveva mai raccontato, divertente, ironica e colta. Un long seller che è il punto di partenza per chiunque sia incuriosito da come abbiamo vissuto, come viviamo e come vivremo nelle nostre case.

“GUIDA AI GREEN JOBS”

“EMILIE, ECOLOGISTA IN CARRIERA”

Tessa Gelisio e Marco Gisotti 2007 Edizioni Ambiente

Alice Audouin 2010 Verde Nero

Il libro giusto al momento giusto. Si parla di green economy e quindi da qualche parte devono esistere dei green jobs, delle opportunità di occupazione nuove e durevoli. Due giornalisti competenti e brillanti offrono il primo quadro esaustivo di come si sta trasformando il mercato del lavoro in Italia. Una pubblicazione di grande successo destinata a diventare periodica. La “bibbia” delle nuove occupazioni verdi.

Ma quando parlano di ambiente le aziende ci sono o ci fanno? Quanto c’è di ingnoranza, quanto di malafede e quanto di vere buone intenzioni? E come raccontare tutti ciò senza essere noiosi? Trarre da vicende “verosimili” un romanzo tragicomico, la storia di una giovane consulente strategica a cui un giorno chiedono di occuparsi di qualcosa di nuovo… la sostenibilità. Un pamphlet scritto da chi il mestiere lo conosce “da dentro”.

“PROGETTARE LA SOSTENIBILITÀ” Marie-Hélene Contal e Jana Revedin 2007 Edizioni Ambiente Prima che un libro di progetti, un libro di idee, un libro sui percorsi di crescita personale e professionale con cui alcuni architetti sono diventati oggi una nuova generazione di “maestri”. I maestri di una nuova architettura, testimoni e interpreti di un processo di trasformazione della cultura progettuale che trova espressioni uniche in ogni parte del mondo.

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SPETTACOLI MUSICA

VIDEO HOME di Yann Arthus-Bertrand http://www.home2009.com/us/index.html

Un lungo e suggestivo documentario dedicato alla Terra, realizzato nel 2009 per la ricorrenza dell’Earth Day 2009. Il film è composto da immagini aeree filmate in più di cinquanta paesi del mondo. Una voce fuori campo commenta il filmato, mostrando i grandi cambiamenti ambientali e sociali che la Terra sta subendo.

ERIN BROCKOVICH FORTE COME LA VERITÀ

BOTHANICA Momix

http://www.edisonchangethemusic.it/

Regia di Steven Soderbergh Con Julia Roberts Usa, 2000

Eriin Brockovich, 3 figli, ancora giovane e appariscente, riesce a imporsi come aiutante in uno studio legale e, seguendo una pratica immobiliare, a scoprire che uno stabilimento del colosso industriale Pacific Gas & Electric ha immesso nelle acque di una cittadina cromo esavalente altamente cancerogeno. Procurandosi a poco a poco la stima del proprio datore di lavoro e la fiducia degli abitanti riesce a far loro ottenere un risarcimento che sembrava impossibile ma, soprattutto, rende loro giustizia.

Lo spettacolo nasce dalla passione per la natura di Pendleton, genio fondatore dei Momix. «Mi sono ispirato per prima cosa a Vivaldi e al suo ciclo delle Quattro Stagioni», dice infatti il coreografo. Lo spettacolo è diviso in due parti: Winter Spring e Summer Fall. Frutto di cinque anni di lavoro lo spettacolo ricrea le meraviglie della natura, del mondo vegetale. Un invito a proteggere il pianeta dalle costanti e irragionevoli incursioni disequilibratrici dell’uomo.

Suonare a impatto zero. È questo l’obiettivo del progetto lanciato nel 2008 da Edison che ha coinvolto, tutti gli ambiti di attività nel settore musicale dalla organizzazione e promozione degli eventi, agli studi di registrazione, alla logistica e mobilità nei luoghi di esibizione, alla gestione dei rifiuti. L’obiettivo del progetto è stato quello di ottenere risultati concreti e misurabili in termini di risparmio energetico e riduzione dell’impatto ambientale attraverso la musica e tutte le sue manifestazioni. Si tratta infatti del primo progetto italiano interamente dedicato alla sostenibilità ambientale nella musica.

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COMUNICAZIONE DI QUALITÀ

PUBBLICARE VERDE SCRIVONO E PUBBLICANO TEMATICHE VERDI DAL 1993, OVVERO DA QUANDO AMBIENTE E ECOLOGIA ERANO ANCORA ARGOMENTI PER POCHI “FISSATI”. ALLA SAGGISTICA HANNO POI AFFIANCATO ANCHE IL ROMANZO. PERCHÉ PURE QUELLO PUÒ ESSEREVERDE. PARLIAMO DI EDIZIONIAMBIENTE, EDITORE CHE ABBIAMO VOLUTO CONOSCERE MEGLIO INTERVISTANDO MARCO MORO, IL DIRETTORE EDITORIALE

*Marco Moro, a sinistra, con Diego Tavazzi (caporedattore Edizioni Ambiente) e, al centro, Lester Brown, in occasione della presentazione del Libro "Piano B 4.0”

Nell’edificio di fronte, una scuola di vecchia concezione, sono da pochi finiti i lavori per lo smaltimento dei tetti in amianto. Un particolare che per molti anni avrà fatto venire il volta stomaco agli abitanti del quartiere e soprattutto a quelli delle Edizioni Ambiente. Loro invece stanno in un cortile così ricco di piante che ti da quasi l’idea di entrare in una serra, con una sala riunioni soppalcata in legno che ti sembra di essere sull’arca di Noè. Marco, come nasce la Edizioni Ambiente? Nasce nel 1993, come evoluzione di una preesistente casa editrice che lavorava “anche” sulle tematiche ambientali, Arcadia Edizioni. Dopo il summit di Rio del 1992 i tempi ci sembrarono maturi per dedicarci esclusivamente ad un tema che allora sembrava aver già conquistato il primo posto nell’agenda dei governi e delle economie mondiali, oltre ad es70

sere profondamente radicato in molte componenti della società. L’idea era proprio quella di lavorare sulle diverse declinazioni che il tema assumeva a seconda del soggetto che ne veniva interessato. Parlare alle aziende come al mondo dell’ambientalismo, alla ricerca, alle amministrazioni locali, a professionisti e consulenti, fornendo una gamma di prodotti, non solo librari, ampia e calibrata sulle diverse esigenze.

dall’ambito delle politiche globali a quello delle scelte individuali. C’è quindi una richiesta di informazione sempre più diversificata. Questo si riflette con puntualità nella nostra produzione che via via si è articolata maggiormente, sperimentando temi e linguaggi inimmaginabili fino a qualche anno fa.

Parlare di ambiente nel 1993 non deve essere stato facile. Infatti. I tempi non erano poi maturi come sembravano, cosa che ci mise in condizione di dover letteralmente “costruire” un pubblico in grado di recepire i temi e le letture che ne proponevamo. Un lavoro paziente di tessitura di rapporti e di conquista graduale di credibilità e riconoscibilità. Ancora oggi siamo l’unica casa editrice specializzata ma allo stesso tempo in grado di offrire un approccio ampio e diversificato alle tematiche ambientali. E questa caratteristica si è accentuata nel tempo.

Scrivete e stampate di verde. Ma voi, quanto verdi siete? Rispondo partendo dal pratico: già prima di assumere l’identità di Edizioni Ambiente stampavamo esclusivamente su carta riciclata e quindi ci siamo preoccupati della compensazione delle emissioni legate al nostro ciclo di produzione. In occasione dell’ultima Fiera del Libro di Torino Greenpeace ha pubblicato una classifica degli editori italiani “amici delle foreste” che ha suscitato qualche scalpore per i grandi nomi finiti in fondo alla classifica. Edizioni Ambiente era tra i pochissimi “amici delle foreste”, ma se fosse stato inserito anche il criterio “da quanto tempo?”, probabilmente sarebbe stata la prima.

Oggi finalmente la situazione è cambiata. Qual è attualmente la sensibilità del mercato nei confronti delle “pubblicazioni verdi”? Quello che una volta era pensato come un tema settoriale, l’ambiente, o meglio l’ecologia, è oggi un paradigma, un quadro generale di riferimento per azioni che vanno

Dunque, la differenza con una casa editrice tradizionale non sta “solo” nei titoli pubblicati? No, ovviamente. Un aspetto fondamentale è il possesso di precise competenze interne sui temi che vengono affrontati. E questo è il motivo di una delle più evidenti differenze tra Edizioni Ambiente e la maggioranza


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delle case editrici: il mantenimento di una forte redazione interna, qualificata e specializzata. Una scelta in controtendenza rispetto al processo di esternalizzazione di funzioni che ha investito il mondo dell’editoria. Una scelta, ripeto, necessaria e di cui andiamo fieri, che reputiamo socialmente e culturalmente “sostenibile”, un vero requisito verde. L’altro aspetto che riteniamo indispensabile è quello di essere, in qualche modo, parte dello stesso mondo a cui si parla e di cui si parla. Nel nostro caso si tratta poi di tanti mondi, ma questo non fa che rendere più interessante (e, naturalmente, difficile) la sfida. Tutto questo ci mette in condizione di essere interlocutori qualificati, non semplici fornitori di servizi. Come siete strutturati? Alla sede di Milano fanno riferimento quasi una trentina di persone, più qualche collaboratore “sparso” in giro per l’Italia. Le tre redazioni (quella libraria e le due redazioni Web, una che lavora sulla normativa ambientale l’altra dedicata a energie rinnovabili ed efficienza energetica) contano per quasi la metà del personale. Tendiamo a mantenere “interne” il maggior numero di funzioni, anche quelle che più di frequente vengono affidate a service o consulenti esterni, come l’impaginazione o l’ufficio stampa. Fino a qualche anno fa anche le traduzioni erano effettuate internamente. Abbiamo bisogno di “compattezza” e integrazione, di un flusso molto intenso di comunicazione tra i diversi settori della casa editrice, per mettere tutti in grado di svolgere al meglio i propri compiti. E anche di non perdere la possibilità di un confronto continuo, dello scambio di informazioni e idee, della creatività che si genera dalle relazioni interpersonali. Un patrimonio a cui teniamo molto. La strutturazione è quindi piuttosto “alla vecchia maniera”, ma i prodotti che ne escono sono innovativi e spesso anticipatori. Saggistica verde versus romanzi verdi. Cambia il target? In parte si sovrappone (i lettori dei nostri saggi o dei nostri volumi tecnici o normativi sono a volte anche appassionatissimi lettori di noir) e in parte si differenzia totalmente. Basti dire che le collane di fiction che vanno sotto il marchio di VerdeNero hanno inter-

cettato buona parte del pubblico dei lettori dei noir, fidelizzati al singolo autore tanto da seguirlo anche nell’avventura della “narrativa ambientale”. Un punto d’incontro tra i due target (professionisti, studenti, “addetti ai lavori” e i semplici “lettori di fiction”) è potenzialmente rappresentato dalla nuova collana dei tascabili, anch’essa pensata essenzialmente per la libreria, ossia per il “grande pubblico”. Il libro nel quale avete creduto maggiormente. Ogni settore ha il suo. Indubbiamente “Navi a perdere” di Carlo Lucarelli per i noir di Verdenero. Titoli della saggistica che sono stati fondamentali step di evoluzione della conoscenza e dell’interpretazione di grandi fenomeni di cambiamento in atto, come i libri Lester Brown (fino al recentissimo “Piano B 4.0”), testi come “Fattore 4” o “Capitalismo Naturale”. Un titolo recente in cui abbiamo creduto moltissimo è stato “Confessioni di un ecopeccatore” di Fred Pearce, un diario di viaggio che sul tema del rapporto tra abitudini individuali di consumo e situazione globale è più illuminante di molte ponderose ricerche. Tra i manuali, quelli che hanno “bruciato i tempi” arrivando per primi a formulare un tema che fino ad allora aspettava di trovare un volto chiaro. E’ il caso, ad esempio, di “Architettura sostenibile” di Dominique Gauzin Müller, uscito per la prima volta nel 2003 e che tuttora continua ad essere ristampato e venduto.

stimoniare la costante crescita e la solidità della nostra produzione libraria. Quali sono i vostri canali di vendita? Siamo distribuiti nelle librerie su tutto il territorio nazionale e siamo presenti anche in circuiti di distribuzione alternativa, specializzata per le biblioteche, o in corner tematici come quello allestito da Valcucine nello showroom di Corso Garibaldi a Milano. Curiamo molto la partecipazione a fiere e in generale i canali di vendita diretta, tanto che, sostanzialmente, l’apporto delle vendite dirette è pari a quello delle vendite in libreria. Chiudiamo con i progetti per il futuro. Tra fine 2009 e inizio 2010 abbiamo lanciato due nuove collane librarie (“Verdenero romanzi” e “Tascabili dell’ambiente), un programma di formazione specializzata sui temi dell’energia e dell’efficienza e nello stesso periodo abbiamo portato alla piena operatività un grande progetto di portale professionale su questi stessi temi, nextville.it. Contemporaneamente non abbiamo mai smesso di aggiornare e perfezionare le linee di prodotto già sul mercato. Con l’assetto attuale dobbiamo ora lavorare per portare a regime tutti i prodotti e i servizi che offriamo. Quindi, per un po’ non ci dovrebbero essere altre novità. In effetti, mi sembra che di carne (anche se non è argomento ecologico) al fuoco ce ne sia già abbastanza. Buon lavoro.

Qual è invece il libro che ha venduto maggiormente. In termini di copie o di fatturato? Considerata la diversità dei volumi di vendita tra narrativa, saggistica e pubblicazioni tecniche, in termini di copie vendute il capofila è proprio il noir “Navi a perdere” di Carlo Lucarelli. In termini di fatturato invece se la giocano altri due titoli: il già citato “Architettura Sostenibile” e il “Manuale della certificazione energetica degli edifici”, titoli tuttora in catalogo a te-

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PANORAMA NEWS

ANIE IL FOTOVOLTAICO E LA RETE ELETTRICA: AMMODERNARE LE INFRASTRUTTURE PER SODDISFARE GLI OBIETTIVI DEL 2020 Sondaggio GIFI/ISPO: i pannelli solari fotovoltaici piacciono al 72% degli italiani e più del 75% ritiene che gli incentivi costituiscano un segnale positivo del Governo. Per l’88% la facilità nell’espletare le pratiche burocratiche rappresenta un elemento cruciale per incoraggiarne l’installazione. Durante l’incontro “Il fotovoltaico e la rete elettrica: prospettive per l'industria e soluzioni per il mercato” organizzato dal GIFI (Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane) aderente a Confindustria ANIE, il Presidente dell’Associazione Energia di Confindustria ANIE Claudio Andrea Gemme ha ricordato il decisivo contributo che il fotovoltaico potrà fornire per perseguire l’obiettivo comunitario posto al 2020, ovvero il raggiungimento di una quota di produzione di energia da fonti rinnovabili nel Paese pari al 17%. Per Claudio Andrea Gemme, “il 2011 rappresenterà un anno molto importante per l'industria fotovoltaica italiana. Il nuovo sistema di incentivazione (in fase di approvazione) dovrà rispecchiare i reali andamenti dei prezzi dei componenti e dei sistemi. Allo stesso tempo le molte aziende italiane che si sono affacciate in questo settore dovranno iniziare ad adottare modelli di business flessibili in modo tale da poter far fronte al consolidamento del mercato ed essere nelle condizioni ottimali per guardare oltre i confini nazionali".

L’industria fotovoltaica è uno dei pochi comparti dell’industria italiana che ha mantenuto un tasso di crescita sostenuto anche durante la recente crisi economica. Se circa il 78% della quota di potenza fotovoltaica installata nel 2009 nel Mondo proviene dall’Unione Europea, in questo quadro globale l’Italia gioca un ruolo da protagonista e con 1.142 MWp di potenza installata cumulata a fine 2009 si colloca al 5° posto nella graduatoria mondiale. Guardando alla nuova potenza installata in corso d’anno l’Italia è salita dal 4° posto del 2008, con 338 MWp, al 2° posto a livello mondiale nel 2009, con 720 MWp. Il parco impianti è più che raddoppiato rispetto all’anno precedente e la loro produzione di energia elettrica addirittura triplicata. “Per quanto attiene il potenziale futuro sviluppo del mercato tutte le prospettive sono ovviamente subordinate all’attesa emanazione del Nuovo Conto Energia - ha spiegato Gert Gremes Presidente GIFI/ANIE - che dovrà definire le nuove regole per l’incentivazione dell’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici. Qualora esso soddisfi le attese degli operatori, introducendo tariffe adeguate all’evoluzione dei prezzi di mercato ed orizzonti temporali estesi, ma soprattutto nel caso venisse eliminato il limite alla potenza incentivabile, il mercato potrebbe aprirsi ad una crescita esponenziale: 15 GWp installati al 2020, ovvero oltre 12 volte la quota raggiunta oggi”. L’adozione di un corretto regime tariffario avrebbe poi importanti ricadute anche in altri campi; mantenendo un adeguato sostegno al fotovoltaico si garantirebbe la creazione, lungo tutta la filiera, di almeno 90.000 posti di lavoro da qui al 2020. L'incentivazione, inoltre, assicurerebbe entrate nelle casse dello Stato per 521 milioni di € come IVA sugli investimenti dell'industria, da sommare ai 156 milioni di € risparmiati per le emissioni nocive di CO2 evitate, e 1,28 miliardi di € di riduzione delle importazioni energetiche. Lo studio dimostra altresì come l’aumento della quota di elettricità fotovoltaica porterà forti benefici al Sistema Italia garantendo, sempre in prospettiva 2020, la copertura del 5% del fabbisogno elettrico nazionale.

IL FOTOVOLTAICO E LA SFIDA TECNOLOGICA DELLE RETI INTELLIGENTI: LE SMART GRID L’attenzione degli operatori e del Governo andrebbe foca-

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lizzata sul fatto che lo sviluppo della generazione elettrica da fonti rinnovabili, in particolare quella fotovoltaica, non potrà fornire il proprio contributo fintanto che non si attuerà una corretta integrazione di questi impianti nelle reti di trasmissione e distribuzione. Tale integrazione potrà avvenire con la trasformazione delle reti esistenti in apparati ‘intelligenti’, in grado di accogliere l’energia non programmabile e conciliare i sistemi tradizionali di generazione centralizzati con quelli distribuiti, tipici delle fonti rinnovabili. Importanti investimenti sulla rete sono stati effettati dal 2005 in particolare nel campo delle energie rinnovabili (collegando in rete una potenza pari a 4.601 MW). Una delle più grandi criticità resta il fatto che lo sviluppo di tali fonti, nel caso specifico del solare fotovoltaico, stia avvenendo in Italia prevalentemente in aree già congestionate e con rete di raccolta più debole: al 31 marzo 2010 infatti oltre la metà delle richieste di connessione alla rete valide per impianti di generazioni solari, sia come numero di richieste (55%) che come potenza totale (57%) è giunta dalla Puglia.

MA COME LA PENSANO GLI ITALIANI SULL’ENERGIA SOLARE? GIFI/ANIE ha commissionato un sondaggio d’opinione all’Istituto di Ricerca ISPO per conoscere il punto di vista degli italiani in merito all’energia solare. La ricerca, presentata dal Presidente ISPO Renato Mannheimer, era volta a verificare il livello di conoscenza e l’apprezzamento relativo all’utilizzo e alla diffusione dei pannelli solari e dell’energia solare presso la popolazione italiana. Dal sondaggio emerge che ben l’89% degli italiani è consapevole che l’energia solare rispetta l’ambiente e per l’86% il fotovoltaico è un sistema di produzione d’energia molto efficiente. Il 79% reputa i costi di installazione dei pannelli fotovoltaici ancora troppo gravosi per i singoli individui mentre l’85% ha paura di perdere eventuali incentivi qualora si verificassero delle modifiche normative. Più dei tre quarti del campione ritiene che gli incentivi costituiscano un segnale comunque positivo fornito dal Governo. Il 70% degli italiani è a conoscenza del piano di incentivi erogati dallo Stato per lo sviluppo di politiche am-

bientali sostenibili. Inoltre per il 78% degli intervistati gli incentivi per l’energia solare sono un’importante azione per lo sviluppo del Paese. La conoscenza di “Conto Energia” è più forte tra gli uomini, i 45-54enni, i laureati e i residenti nel centro e nel nord est. Per 4 italiani su 5 la presenza di incentivi è rilevante nella decisione di installare dei pannelli fotovoltaici; infatti l’80% ritiene che se sparissero gli incentivi sarebbero molto meno interessati a dotarsene. Agli italiani (72%) i pannelli fotovoltaici piacciono anche esteticamente e a loro avviso non deturpano il paesaggio. Per l’88% degli intervistati la facilità nell’espletare le pratiche burocratiche rappresenta un elemento cruciale per l’installazione di pannelli fotovoltaici perciò è indispensabile che le pratiche burocratiche per fruire degli incentivi siano molto semplici e snelle, pena la perdita di interesse da parte del consumatore. Per informazioni: Ufficio Stampa Confindustria ANIE Tel. 02 3264.310/211 comunicazione@anie.it

L’ERA DIGITALE: CONDIZIONE INDISPENSABILE PER LA CRESCITA EUROPEA Le raccomandazioni di DIGITALEUROPE per assicurare all’Europa competitività ed occupazione. ANIE/ANITEC: in Italia decisivi gli investimenti infrastrutturali sulle Reti Secondo il rapporto “Visione 2020: Un’agenda di trasformazione per l’era digitale”, lanciato da DIGITALEUROPE, le tecnologie digitali rappresentano un elemento chiave della crescita sostenibile, dell’innovazione e dell’occupazione nell’economia europea di oggi. “Il 40% della crescita della produttività in Europa è resa possibile dall’interazione tra tecnologia dell’informazione e capacità di comunicazione con le attività dell’industria, dei servizi e del settore pubblico; questo valore potrebbe crescere in modo esponenziale con la graduale fuoriuscita

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dalla crisi, qualora le tecnologie dell’informazione siano adottate più ampiamente” afferma Bridget Cosgrave, Direttore Generale di DIGITALEUROPE. Le tecnologie digitali giocano un ruolo strategico nella creazione di opportunità di crescita degli scambi intra ed extra comunitari per le industrie manifatturiere, dei servizi, ambientali e culturali. “L’industria digitale sta adottando un approccio proattivo per identificare quei fattori di successo immediato che possano mostrare la nostra capacità di attivare competitività e sostenibilità anche in altri settori in tutta Europa” ha aggiunto Bridget Cosgrave. La competitività e la prosperità dell’Europa nell’era della globalizzazione digitale sono indissolubilmente legate ad un settore ICT dinamico, si afferma nel nuovo rapporto di DIGITALEUROPE. E’ di fatto un chiaro messaggio dei leader del settore high-tech all’apparato decisionale dell’Unione europea sugli elementi essenziali da adottare per accrescere la futura competitività dell’Europa. Uno degli obiettivi deve essere quello di assicurare una copertura a banda larga su quasi il 100% del territorio UE entro il 2015, fornendo agli utenti una connessione almeno a 2 MB, assicurata per un buon 30% da un’infrastruttura a fibra. “Per prosperare, l’Europa deve investire nelle reti di nuova generazione e nei servizi: ‘Internet ovunque’ è essenziale” precisa la Cosgrave, che sottolinea anche la necessità per l’Europa di essere al contempo ospite e sede di una sana ricerca e sviluppo del settore ICT: “Per condurre realmente il gioco, dovremmo aumentare la spesa in ricerca e sviluppo almeno al 3% rispetto al PIL europeo entro il 2015”. Altro segmento dalle sicure potenzialità di crescita è quello della Sanità. Si stima che il valore di mercato del cosiddetto ‘eHealth’ valga circa 20 miliardi di Euro, pari al 2% dell’intera spesa sanitaria dell’UE. Non secondario poi l’impatto che l’effettivo uso dell’ICT può avere sui Trasporti e sulla Logistica, se è vero che l’adozione di una rete di trasporti tecnologicamente avanzata ed integrata può generare una riduzione di emissioni di CO2 del 10% entro il 2015. Quanto espresso a livello europeo vale ovviamente, e a maggior ragione, nel contesto italiano. Sebbene l’Industria italiana di apparati e sistemi per le telecomunicazioni detenga la quarta posizione all’interno dell’Unione europea a 27 Stati per dimensione di fatturato totale (8,5%), dopo Finlandia (36,4%), Germania (20,3%) e Francia (11,1%), in Italia il fatturato globale 2009 del comparto si è attestato sui 7,5 miliardi di euro con una flessione del 19% rispetto all’anno precedente. Le esportazioni (1,5 miliardi di euro) hanno registrato un calo del 33% rispetto al 2008. “40.000 addetti trovano oggi occupazione in Italia nel set-

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tore ICT – ha affermato Cristiano Radaelli, Vice Presidente ANITEC. “Un numero certamente significativo nonostante le perdite occupazionali, stimabili in circa 5.600 addetti, indotte dalle difficili condizioni di mercato dell’ultimo biennio”. “Questi valori potranno ampliarsi ulteriormente nei prossimi 5 anni, dal momento che il 90% dei posti di lavoro richiederà competenze ICT entro il 2015. A livello europeo si stima che nei cinque anni a venire la creazione di nuovi posti di lavoro possa essere superiore alle 300.000 unità. E ci auguriamo che tali incrementi possano interessare anche l’occupazione italiana nel settore”. “Anche per i produttori di apparati ICT – ha proseguito Radaelli – il 2010 si apre con un lieve risveglio dei livelli di attività industriale, che nel mese di marzo hanno registrato un recupero su base annua vicino al 10%. Un dato incoraggiante che conferma la capacità dell’industria nazionale di reagire alla crisi, ma a cui occorre guardare con prudenza perché il confronto avviene con il difficile 2009, un anno con livelli di produzione industriale ai minimi storici ”. “Le tecnologie ICT, per l’intrinseca capacità di procurare efficienza trasversalmente in tutti i business, sono straordinarie enabler dello sviluppo economico – ha concluso Radaelli. “Ad esse andrebbe riservato un ruolo di primo piano nell’agenda governativa sui futuri investimenti”.

ANITEC (Associazione Nazionale Industrie Informatica, Telecomunicazioni ed Elettronica di Consumo) aderente a Confindustria ANIE è l'organismo di categoria che riunisce le imprese operanti in Italia in attività industriali connesse alle tecnologie delle telecomunicazioni, dell'informatica, dell'elettronica di consumo, degli apparati per impianti d'antenna e degli apparecchi misuratori fiscali. DIGITALEUROPE rappresenta in Europa l’industria delle telecomunicazioni, dell’informatica e dell’elettronica di consumo. La membership di DIGITALEUROPE include 60 aziende leader dei settori rappresentati e 40 associazioni di categoria nazionali per un totale complessivo di 10.000 imprese, 2 milioni di lavoratori dipendenti e un miliardi di euro di fatturato aggregato.


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ANIE SERVIZI INTEGRATI BANDI DI GARA IN UN CLICK Continua la convenzione ANIE Servizi Integrati e IMQ per la promozione del servizio di segnalazione delle gare d’appalto. In un’unica e-mail la segnalazione di tutte le gare di appalto pubblicate sugli organi ufficiali nazionali, comunitari e internazionali, per lavori, forniture e servizi. E’ questo il “servizio di segnalazione gare” di Anie Servizi Integrati, che viene proposto ai clienti IMQ a condizioni agevolate.

Il servizio segnala quotidianamente le gare d’appalto a livello nazionale, comunitario e internazionale per lavori, forniture e servizi. Grazie ad un’approfondita conoscenza dei settori elettronico, high-tech e settori contigui, il servizio è in grado di fornire un’informazione specifica ma soprattutto mirata. Un sistema sofisticato di profilazione dell’utente consente di segnalare solo i bandi di interesse. L’abbonamento comprende, oltre all’invio quotidiano dei bandi, una serie di servizi gratuiti In particolare: - Sportello Appalti: risposta via e-mail a quesiti sulla partecipazione alla gara - Newsletter “Appalti Oggi”: bollettino mensile di informazione e aggiornamento - Segnalazione dei vincitori di gara Il Servizio offre, a chiunque sia interessato, un periodo di prova assolutamente gratuito della durata di un mese, al termine del quale può decidere o meno di sottoscrivere l’abbonamento.

Per informazioni: tel. 02.32.64.290 - gare.commerciale@anie.it

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BREVI IMQ

GREEN NOW!

IMQ PENSA A UN NETWORK IN VERDE

ANCHE LE CALDAIE PENSANO ALLA LCA

Si è svolto lo scorso maggio l’evento organizzato da IMQ e dedicato al verde come nuovo modello di business. Un incontro che ha visto riuniti alcuni tra i principali esperti del settore. A cominicare da Gunter Pauli, Direttore di Zeri Institute e fondatore di ZERI, un network di più di cinquemila scienziati e ricercatori impegnati in oltre 100 Paesi in numerosi progetti a favore di uno sviluppo e di un’economia sostenibile volti a trasformare i processi produttivi in raggruppamenti di industrie “green”. Il Prof. Fabrice Leclerc, docente di Strategic and Entrepreneurial Management, Bernard Ollié, Presidente della Società francese AGoodforGood, Piercarlo Pirovano responsabile Marketing IMQ, il Prof. Gianluca Baldo, docente di Valutazione di Impatto Ambientale, Analisi del Ciclo di Vita e di Economia delle Fonti di Energia presso la Facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino e il Prof. Maurizio Fauri, docente di Sistemi Elettrici per l’Energia presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trento. Moderatore Antonio Cianciullo, giornalista inviato di Repubblica, che da anni scrive del settore energia e ambiente e che con la sua esperienza ha contribuito a fare chiarezza su un tema già molto attuale, ma destinato a esplodere ulteriormente: il green business.

A fronte di uno scenario che vede in primo piano la necessità di un’economia verde, basata su fondamenta olistiche, IMQ si propone come ente promotore di un network di specialisti in grado di supportare le aziende nelle fasi di progettazione e realizzazione di prodotti, sistemi o servizi a ridotto impatto ambientale, e nella comunicazione tecnicamente corretta delle attività da loro intraprese. In particolare, i servizi offerti da IMQ riguardano, per quanto concerne l’ambiente: LCA Life Cycle Assessment - Audit ecologico ed energetico di prodotto - Direttiva Eco-Design - Carbon Footprint - Verifica emissioni (volontaria) e neutralizzazione - Verifica emissioni cogente (Direttiva ETS) - Certificazione ISO 14001 - Certificazione ambientale di foreste e legno (FSC e PEFC). Per quanto riguarda le energie: Certificazione e testing dei moduli fotovoltaici - Verifica delle installazioni fotovoltaiche - Qualificazione degli installatori di impianti fotovoltaici Testing dei prodotti a energie rinnovabili - Supporto per l'accesso alle tariffe incentivanti - Misure di efficienza energetica - Certificazione EN 16001. Infine, con l’obiettivo di una corretta divulgazione, istituzionale o promozionale, delle attività condotte in ottica di riduzione dell’impatto ambientale, di efficienza delle risorse, di green business in generale, IMQ, in collaborazione con professionisti del settore comunicazione, offre un servizio di supporto per la verifica e lo sviluppo di comunicazioni aziendali corrette.

Se ne parla da tanto, ma fino ad ora nessuno aveva mai applicato l’analisi LCA a una caldaia a gas. Poi ci ha pensato Baxi che, con il supporto di IMQ, ha voluto analizzare, prima in Europa, il ciclo di vita di uno dei suoi ultimi prodotti, la caldaia a condensazione murale Luna 4 che può così vantarsi di possedere una sorta di curriculum energetico o, se vogliamo, di una carta d’identità con albero genealogico, utile sia in termini di trasparenza delle informazioni date al mercato, sia di testimonianza degli interventi fattibili per il rispetto dell'ecosistema.

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QUELLI CHE RILASCIANO LE CERTIFICAZIONI FSC E PEFC ICILA, società del Gruppo IMQ è il primo ente di certificazione italiano ad aver conseguito l'accreditamento da parte di FSC - Forest Stewardship Council (che si propone di fornire un marchio di riconoscimento al legname proveniente da foreste gestite in maniera eco e socio sostenibile) ed il primo ad aver concesso certificazioni di Chain of Custody secondo il PEFC (Program for Endorsement of Forest Certification) scheme.


CURIOSITÀ

PUNTO DI VISTA «Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l'inquinamento dell'aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Robert Kennedy Dal discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University



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