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ANDREAS LuETHI
Una visione richiede meditazione: nessuna più raffinata di quella sui numeri, pitagorica e neo-platonica chiave di accesso a verità misteriose, dottrine antiche che non suggeriscono facili risposte, ma, come i miti, pongono domande, interrogano i problemi ogni volta moderni, suggerendo sempre la via più complicata e salda. Una mistica dei numeri capace di svelare il senso del mondo, di risvegliare il desiderio della verità tracciata dal lento ma sicuro disporsi delle cifre nello spazio seguendo un ordine dettato dalle qualità metafisiche inscritte nel mistero dei numeri. Rispecchiarsi, incontrarsi a distanza col grande maestro Opalka, è - per Andreas Luethi - una sfida che rispetta e omaggia il modello e si protende oltre il recinto concettuale, mantenendo il rigore del grande artista - per riuscire nell’impresa ambiziosa di attualizzarlo in un omaggio che non è solo citazione, prestito o pastiche, ma autentica osmosi dello stile per restituirne la forza, la potenza concettuale della poetica di Opalka, riscaldata dalla temperatura psicologica della vibrazione cromatica di Luethi: una cosmogonia di colori che si irradiano da una fitta distesa di numeri in un enigmatico intreccio di cifre significanti. Opalka si offriva in una dilatata agonia dell’infinito siderale dell’Io a confronto col grigio dell’essere e il tempo: nel bianco senza sbiadire, nel bianco senza sbagliare. In Luethi la visione an-iconica del maestro franco polacco si dischiude sul ritorno a una possibile raffigurazione del mondo mediata da una post-pittura di campi armonici che risuonano su superfici vibranti di velature trafitte da linee affilate attraversate da uno sciame di segni liberi e mobiliti che scalfiscono la superficie incidendo e mappando una cartografia ipersensibile del foglio mondo. Specchiarsi nel volto del maestro rivela i lati eccentrici di una singolarità ottica, un salto logico dell’immagine attraverso un passaggio segreto, una porta della percezione dove l’immagine si mostra ribaltata non in un mondo alla rovescia, ma nel rovescio di un mondo: un salto dimensionale in un multi-verso che tiene insieme due artisti diversi nella sensibilità e nelle biografie ma uniti nel corrispondersi, nel rinviarsi, nel consegnarsi il testimone di una sfida impossibile e parossistica. Opalka e Luethi sono come due atleti di uno sport estremo, entrambi percorrono in solitaria un cammino a piccoli passi sul filo del paradosso, rischiando i nervi in una sfida col fraintendimento e la perdita di concentrazione. Aria di famiglia, ma anche poetiche analoghe nell’origine e differenti nei corollari, Opalka e Luethi condividono quella hegeliana “fatica del concetto” rimodulata in “fatica del numero”, immersi nell’estrema concentrazione del controllo della progressione numerica che caratterizza in senso performativo entrambe queste ambiziose e preziose opere-mondo. “Nullum die sine linea”, ogni giorno un nuovo tratto simile, ma differente e ulteriore, ogni giorno un nuovo tratto che è il sismografo di una tensione, il cardiogramma della passione vitale dell’arte che non si arresta, che procede inesorabile nel conto alla rovescia fino alla fine. Il numero simbolico la cifra perfetta che rappresenta il compiersi della profezia del settanta volte sette. Anche la poetica di On Kawara con i suoi dipinti esistenziali che registrano fedelmente il tempo, la data, rappresenta un punto di riferimento per esplorare il tema metafisico dell’opera dalla sua unicità temporale e della sua iterativa modalità come strumento per esplorare idee con l’arte. Insieme globali, estenuanti e claustrali, opere meditative che distillano un senso di attesa, una apnea della mente sospesa nell’assenza, un esercizio di etica zen minimalista di tao dell’autocontrollo. Artisti come miniaturisti, come amanuensi che riscrivono libri sapienziali dettati da una saggezza superiore, una intelligenza aliena e divina. Tempi oscuri chiedono la luce della auto-evidenza cristallina del numero come guida alla verità. La lenta estenuante pratica del gesto di numerazione è una ripetizione differente di addizione di senso a una serie di numeri che indicano con la loro pura presenza posizionale un luogo del tempo, uno spazio di purezza deittica in grado di indicare una irriducibile identità dell’evento dell’inscrivere la cifra dell’essere sulla tavola della vita. Impietosamente attraversato da una corrente di ripetizione, il diventa un arabesco in movimento, innominabile, indicibile, tessuto afono, eccentrico, estatico dell’Io. Reiterato, differito e ferito in una progressione che non lascia scampo. Vacillanti vettori calligrafici scagliati oltre la coabitazione con la propria cifra auto-referenziale, alfabeti atavici, disseminazioni di sequenze inarrestabili di cifre che slittano su dune di mari di sabbia. Senza dire, senza tacere. Vegliati da nebulose di condensate in tracce rapprese, tra alfabeti disseminati con nervosa, insperata, pazienza. Tracciare è un gesto virale, un esercizio vitale di resistenza, una prova ontologica di esistenza. Il segno del numero costituisce, attraversa, eccede, sfidando qualsiasi appropriazione definitiva. Oltre l’assioma dell’identità autoreferenziale, occorre sporgersi nella distanza, sostando ai bordi del proprio sapere, oscillando sulla soglia che separa l’essere dal nulla, lasciando trascorrere tutto. Già differenti, dissimili, distanti avvolti da invasioni di velature di colore. Sotterranei, sottocutanei: reversibili antimondi numerici possibili gettati oltre il baricentro di una progressione infinita. Strati impazienti tra dissolvenze e sovra-impressioni. Sotto-testi e trasparenze di sottili filigrane. Vibrazioni ed effrazioni di numeri custoditi in profondità silenziose ed indicibili rinchiusi. Una corrente di colore che si nutre dei fantasmi dell’immaginazione per tempestare di cifre-segno lo strato epiteliale della superficie sensibile delle tele creando una texture di numeri che agiscono come vettori di senso. La tela è uno spazio potenziale, un centro di attenzione, un campo di ricezione dove incubare tutta la tensione della nostalgia della totalità profonda. Se il mondo è aperto, un corpo di connessioni infinite, l’opera è una macchina interiore introflessa dentro i propri misteri inenarrabili di implicazioni e risonanze implicite nel concatenamento di cifre ed immagini. La visione è innocenza e purezza di rapporti formali tra immagini allo stato nascente che si offrono in un gioco di composizioni sempre varianti. Composizioni secondo un ritmo di piani, di alternanze di grafie superficiali, di texture, di vibrazioni di linee a intensità differenti, di risonanza con campi cromatici isolati ed intensi che esalano emozioni. Reperti di ricordi, geometrie ritrovate nei vissuti interiori. Simmetrie nascoste e combinazioni di impulsi costruttivi non transitori. Spazi di prossimità. Incontri non casuali di linee protese oltre i vuoti e le forme latenti. Strategie di frammentazione e ricomposizione su campi di intensità differente. ria, asimmetria, ordine, disordine, equilibrio e squilibrio. Tratti ortogonali, incroci obliqui, vicini e stratificati, non un gruppo di parti isolate, ma una serie di rapporti, dove ogni trama è in relazione con un’altra adiacente dove le forme astratte si espandono e interagiscono tra loro. Onde di numeri che sono architetture della mente, icone polivalenti adatte per tutti i culti, prive di dogmi, ma ispirate dal culto della pura bellezza di idee platoniche. Una lentezza immersa nella precisione, pura felicità dell’astrazione di essenze incastonate nell’auto-evidenza tautologica ed identitaria di numeri uguale solo a se stesso. Riverberi di immagini e colori, apparizioni in sospensione, liberi dal dovere di convincere sulla propria realtà e di contaminarsi con l’apparenza del mondo. Non per inesattezze e illusioni, ma attraverso lucidi calcoli mentali si raggiunge la bellezza della precisione oltre l’impressione vacua della realtà. Uno spazio intensivo più che estensivo determinato da una tensione significate che mostra un modo di essere dello spazio fondato su stringhe di numeri concatenati in una giustapposizione per accumulazione e vicinanze, peer orientamento e raccordo. Una spazialità solo apparentemente immobile. Esigente, ma che sottintende una linee di fuga compresa tra spazi intermedi che si sottraggono alla configurazione di forze visive sigillate dentro l’ordine di generazione di serie secondo regole inflessibili. L’essenza insieme spaziale e temporale nella fenomenologia del numero rappresenta una chiave gnostica per avvicinarsi asintoticamente, per incamminarsi sul sentiero della verità. Andreas Luethi, con le sue opere, riesce a ricomporre la dicotomia “esprit de geometrie – esprit de finesse”, in una sintesi geometrica della sensibilità, dove la geometria ritorna ad appartenere al mondo della vita e delle sue pulsazioni vitali. Nell’interno più potente, fatto di forme simboliche perfette, ordinate e cristallizzate nella precisione congelata, sembra quasi sfuggire la vita, ma è solo una effimera impressione, perché proseguendo nell’attenzione veniamo raggiunti da richiami e sottintesi e anche da finestre sigillate può esalare la vita. Una vena di lucida follia che nella sua ossessiva ansia di perfezione, di offre perfettamente composta in una sintesi estetica proiettata nel tempo. Inscritto nella magia combinatoria dei numeri, l’infinito si può solo intuire nei misteri allusivi di linguaggio cifrato.
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aNDREas luEThI
Avision requires meditation: none more refined than that on numbers, Pythagorean and neo-Platonic key to access mysterious truths, ancient doctrines that do not suggest easy answers, but, like myths, ask questions, interrogate problems that are modern every time, always recommending the most complicated and solid way. A mysticism of numbers capable of revealing the meaning of the world, of awakening the desire for truth traced by the slow but sure arrangement of numbers in space following an order dictated by the metaphysical qualities inscribed in the mystery of numbers. To mirror oneself, to meet at a distance with the great master Opalka, is, for Andreas Luethi, a challenge that respects and pays homage to the model. And it extends beyond the conceptual fence, maintaining the rigour of the great artist - to succeed in the ambitious undertaking of updating it in a homage which is not just quotation, loan or pastiche. Still, the authentic osmosis of style to restore its strength, the conceptual power of Opalka’s poetics, heated by the psychological temperature of Luethi’s chromatic vibration: a cosmogony of colours that radiate from a dense expanse of numbers in an enigmatic intertwining of significant figures. Opalka offered itself in a dilated agony of the sidereal infinity of the ego in comparison with the grey of being and time: in white without fading, in white without making mistakes. In Luethi, the iconic vision of the Franco-Polish master opens up on the return to a possible representation of the world mediated by a postpainting of harmonic fields. Fields that resonate on vibrant surfaces of veils, pierced by sharp lines and crossed by a swarm of free and mobilized signs. Which scratch the surface by engraving and mapping the hypersensitive cartography of the world sheet. Looking at the master’s face reveals the eccentric sides of an optical singularity. It is a logical leap of the image through a secret passage, a door of perception where the image is shown overturned not in an upside-down world but in the reverse of a world. A dimensional leap in a multi-verse holds together two artists who are different in sensitivity and biographies but united in correspondence. They postpone each other and give themselves the witness of an impossible and paroxysmal challenge. Opalka and Luethi are like two athletes of an extreme sport, walking alone along a path with small steps on the edge of paradox, risking their nerves in a challenge through misunderstanding and loss of concentration. A familiar air, but also poetics similar in origin and different in corollaries, Opalka and Luethi share that Hegelian “fatigue of the concept”. It is remodelled into “fatigue of number”, immersed in the extreme concentration of the control of numerical progression that characterizes both of these ambitious and precious world-works in a performative sense. “Nullum die sine linea”, a new similar trait every day, but different and further. Every day a new trait that is the seismograph of tension, the cardiogram of the vital passion of art that does not stop, that proceeds inexorably in the count backwards to the end. The symbolic number is the perfect figure representing the fulfilment of the prophecy of seventy times seven. Also, the poetics of “On Kawara” with his existential paintings, faithfully recording the time and date, represents a point of reference for exploring the metaphysical theme of the work - from its temporal uniqueness and its iterative modality as a tool to explore ideas with the art. At the same time, global, exhausting and cloistered, meditative works that distil a sense of expectation, an apnea of the mind suspended in absence, an exercise in the minimalist Zen ethic of self-control. Artists as miniaturists, scribes who rewrite wisdom books dictated by superior wisdom, an alien and divine intelligence. Dark times ask for the light of the crystalline selfevidence of number as a guide to truth. The slow, gruelling practice of the act of numbering is a different repetition of the addition of meaning to a series of numbers. Numbers that indicate with their pure positional presence a place of time, a space of deictic purity capable of revealing an irreducible identity of the event of the ‘to inscribe the figure of being on the table of life. Mercilessly crossed by a current of repetition, it becomes an arabesque in movement. It is unmentionable, unspeakable, aphonous, eccentric, the ecstatic fabric of the ego. Reiterated, postponed and wounded in a progression that leaves no way out. Wavering calligraphic vectors, thrown beyond the cohabitation with their own self-referential cypher, atavistic alphabets, scattering of unstoppable sequences of digits that slide on seas of sand dunes. Without saying, without being silent. Watched over by nebulae of condensed in congealed traces, among alphabets scattered with nervous, unexpected, patience. Tracing is a viral gesture, a vital exercise in resistance, an ontological proof of existence. The sign of the number constitutes, crosses, exceeds, defying any definitive appropriation. Beyond the axiom of self-referential identity, one must lean into the distance, pausing at the edges of one’s knowledge, swinging on the threshold that separates being from nothing, letting everything pass. Already different, dissimilar, distant enveloped by invasions of coloured veils. Underground, subcutaneous: reversible numerical anti-worlds possible thrown beyond the centre of gravity of an infinite progression. Impatient layers between fades and overimpressions. Sub-texts and transparencies of thin watermarks. Vibrations and break-ins of numbers kept in silent and unspeakable depth locked away. A current of colour feeds on the ghosts of the imagination to fill the epithelial layer of the sensitive surface of the canvases with figures-signs, creating a texture of numbers that act as vectors of meaning. The canvas is a potential space, a centre of attention, a reception field to incubate all the tension of nostalgia for profound wholeness. Suppose the world is open, a body of infinite connections. In that case, the work is an interior machine turned inside out within its own unspeakable mysteries of implications and resonances implicit in the concatenation of figures and images. Vision is innocence and purity of formal relationships between images in the nascent state offered in a game of ever-varying compositions. Compositions according to a rhythm of planes, alternations of simple graphics, textures, vibrations of lines at different intensities, and resonance with isolated and intense chromatic fields that exhale emotions. Finds of memories, geometries found in inner experiences. Hidden symmetries and combinations of nontransient constructive impulses. Proximity spaces. Non-random encounters of lines reaching beyond voids and latent forms. Strategies of fragmentation and recomposition on fields of different intensity. Ria, asymmetry, order, disorder, balance and imbalance. Orthogonal sections, oblique, close and layered intersections are not a group of isolated parts but a series of relationships. Each plot is related to an adjacent one where abstract forms expand and interact with each other. Waves of numbers that are architectures of the mind, polyvalent icons suitable for all cults, devoid of dogma, but inspired by the cult of pure beauty of Platonic ideas. A slowness immersed in precision, pure happiness in the abstraction of essences set in tautological and self-evidence of the identity of numbers equal only to itself. Reverberations of images and colours and suspended apparitions free from the duty of convincing oneself about one’s own reality and contaminating oneself with the world’s appearance. Not for inaccuracies and illusions, but through rational mental calculations, the beauty of precision is achieved beyond the empty impression of reality. An intensive rather than extensive space determined by a tension mean shows a way of being of the space, based on strings of linked numbers juxtaposed by accumulation and proximity, peer orientation and connection. A spatiality that is only apparently immobile. Demanding implies lines of escape between intermediate spaces that escape the configuration of visual forces sealed within the order of generation of series according to inflexible rules. The spatial and temporal essence in the phenomenology of a number represents a gnostic key to approach asymptotically, to set out on the path of truth. Powerful, made of perfect symbolic forms, ordered and crystallized in frozen precision, it almost seems to escape life. Still, it is only an ephemeral impression because continuing in the attention we are reached by calls and implications and sealed windows can exhale life. Through a geometric synthesis of sensitivity, Andreas Luethi manages to recompose the dichotomy, “esprit de geometrie - esprit de finesse”. Where geometry returns to belonging to the world of life and its vital pulsations. In its obsessive desire for perfection, a vein of lucid madness offers itself perfectly composed in an aesthetic synthesis projected over time.