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FESTIVAL DI NERVI
NON SOLO BALLETTO
Da qualche anno il Festival di Nervi ha rinunciato ad offrire il programma “tuttoballetto” che fu del grande Mario Porcile. Grazie a lui, figure immense avevano calcato la scena del teatro all’aperto situato al termine del viale delle Palme, dopo le grandi ville – alcune perfettamente restaurate o ricostruite, ed altre purtroppo in stato di abbandono – che testimoniano le glorie balneari nerviesi. Oggi ai Parchi, dove negli anni si sono succeduti, solo per fare qualche nome, Nureev, Fracci, il gruppo di Alwin Nikolais e Martha Graham e Polunin, la danza è ancora ben rappresentata dalla scuola di Moysseiev, e da giovani stelle nordamericane. Ma il clou del programma, trascorsa la lunga chiusura del lockdown, strizza l’occhio ad un pubblico meno specializzato, spaziando dalla musica leggera (il revival di Venditti, Levante e soprattutto Alice nell’anno della dipartita di Battiato) alle gags comiche di Maurizio Lastrico fino al repertorio classico sinfonico.
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Nell’ambito della ricca offerta, questo articolo è dedicato al fuori programma del Coro del Carlo Felice,che ha eseguito il Requiem in re minore K626 di Mozart sotto la direzione di Francesco Aliberti. Nella cornice della splendida vegetazione, l’insieme delle voci è riuscito a sovrastare aerei e treni poco sensibili a questo tipo di celebrazioni, confermando una volta di più l’ ottima preparazione e la grande coesione del Coro; pur se la mancanza dell’orchestra (il solo accompagnamento era per pianoforte, su trascrizione di Carl Czerny per quattro mani, quelle di Patrizia Priarone e Sirio Restani ) a tratti ha fatto rimpiangere il dispiegamento degli archi che caratterizza la composizione originale. Sostenevano tuttavia le quattro belle voci soliste di Barbara Bargnesi, soprano, Carlotta Vichi, mezzosoprano, Manuel Pierattelli, tenore, e Davide Giangregorio, basso.
Ancora una volta il pubblico, che ha chiesto a gran voce il doveroso bis, si è lasciato sedurre dal mistero che circonda il lavoro mozartiano, incompiuto alla morte del compositore, il 5 dicembre 1791, e completato in prima battuta dall’allievo di Mozart Franz Xaver Süssmayr, che ne scrisse diversi movimenti, considerato che il Kyrie, la Sequenza e l’Offertorium erano solo abbozzati, mentre mancava l’ intera orchestrazione. Intatto permane il fascino dell’opera, che tanto ha fatto lavorare la fantasia di artisti,scrittori, musicisti e registi, generando leggende di un Mozart ricattato e morituro, definitivamente schiavo degli incubi del passato.
FESTIVAL DI NERVI 2021 LA MUSICA JAZZ SI INNAMORA DEL CLASSICO
Una serata dedicata alla grande musica senza distinzioni di genere: il Dado Moroni Trio (Dado Moroni al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Enzo Zirrilli alla batteria) ha duettato con ll’Orchestra del Teatro Carlo Felice diretta da Marco Guidarini e da Paolo Silvestri, in una produzione musicale in prima assoluta realizzata dalla Fondazione Teatro Carlo Felice per il Nervi Music Ballet Festival 2021. Il programma ha reso omaggio al grande talento jazzistico di Duke Ellington e al genio immortale di Pëter Ilic TČajkovskij, in un unicum coerente e inedito dove il pubblico è stato condotto per mano e trascinato dalle melodie in un’alternanza fra classico e contemporaneo. Ma cosa hanno in comune Duke Ellington a TČajkovskij? In primo luogo, il fatto che entrambi hanno avuto il balletto come obiettivo della propria opera. L’interpretazione,particolarmente quella jazzistica, è stata senza pecche.Il jazz, regno dell’improvvisazione sorto dalle umili radici degli schiavi afroamericani ed indonesiani, che si consacra ufficialmente solo nel XXesimo secolo a New Orleans come genere d‘arte foriero di nuove libertà, si scontra in apparenza con la storia millenaria della tradizione classica,con la sua disciplina fatta di memorie strumentali antichissime e di origini polifoniche che si perdono nell’XIesimo secolo dell’Occidente europeo.Ma si sa che gli opposti si attraggono: proprio da questo fortunato incontro di generi così differenti nasce la partitura di Ellington della suite sinfonica dal balletto The River su coreografia di Alvin Ailey del 1970. Sette movimenti (Spring, Meander, Gigglingrapids, Lake, Vortex, Riba, Village Virgins)che il maestro del jazz scrisse, con descrizioni dettagliate degli eventi e delle scene rappresete, il fiume, nel suo corso dalla sorgente gorgogliante fino al mare e all‘eterno ritorno sotto forma di pioggia e neve. Preso dall’immaginario dell’acqua in tutte le sue forme (e dopo essersi immerso nell’abbondante repertorio di “water music” nei secoli, da Haendel a Debussy), Ellington ci ridà una metafora spirituale di evoluzione interiore. Quando raggiunge il mare, scrive, “il fiume non è più”. Più diretta ed esplicita la relazione fra la Suite di Ellington Nutcracker del 1960 ,in cui il musicista recupera l’atmosfera e fiabesca di spirrito natalizio del capolavoro del genio russo Lo Schiaccianoci coreagrafato dal grande Marius Petipa riportando all’allegra improvvisazione del jazz. Il brano ha concluso il programma musicale di una serata che, partendo dalla Suite dal balletto tchaikovskiano ha suscitato l’entusiasmo del pubblico, che più volte ha chiesto il “bis”, protraendo la magia del fortunato incontro di generi musicali ben oltre l’orario fissato per il termine dello spettacolo.