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MATAFISICA DEI NUMERI DA ROMAN OPALKA A ANFREAS LUETHI

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ANTONIO MARRA

ANTONIO MARRA

Una visione richiede meditazione: nessuna più raffinata di quella sui numeri, pitagorica e neo-platonica chiave di accesso a verità misteriose, dottrine antiche che non suggeriscono facili risposte, ma, come i miti, pongono domande, interrogano i problemi ogni volta moderni, suggerendo sempre la via più complicata e salda. Una mistica dei numeri capace di svelare il senso del mondo, di risvegliare il desiderio della verità tracciata dal lento ma sicuro disporsi delle cifre nello spazio seguendo un ordine dettato dalle qualità metafisiche inscritte nel mistero dei numeri. Rispecchiarsi, incontrarsi a distanza col grande maestro Opalka, è - per Andreas Luethi - una sfida che rispetta e omaggia il modello e si protende oltre il recinto concettuale, mantenendo il rigore del grande artista - per riuscire nell’impresa ambiziosa di attualizzarlo in un omaggio che non è solo citazione, prestito o pastiche, ma autentica osmosi dello stile per restituirne la forza, la potenza concettuale della poetica di Opalka, riscaldata dalla temperatura psicologica della vibrazione cromatica di Luethi: una cosmogonia di colori che si irradiano da una fitta distesa di numeri in un enigmatico intreccio di cifre significanti. Opalka si offriva in una dilatata agonia dell’infinito siderale dell’Io a confronto col grigio dell’essere e il tempo: nel bianco senza sbiadire, nel bianco senza sbagliare. In Luethi la visione an-iconica del maestro franco polacco si dischiude sul ritorno a una possibile raffigurazione del mondo mediata da una post-pittura di campi armonici che risuonano su superfici vibranti di velature trafitte da linee affilate attraversate da uno sciame di segni liberi e mobiliti che scalfiscono la superficie incidendo e mappando una cartografia ipersensibile del foglio mondo. Specchiarsi nel volto del maestro rivela i lati eccentrici di una singolarità ottica, un salto logico dell’immagine attraverso un passaggio segreto, una porta della percezione dove l’immagine si mostra ribaltata non in un mondo alla rovescia, ma nel rovescio di un mondo: un salto dimensionale in un multi-verso che tiene insieme due artisti diversi nella sensibilità e nelle biografie ma uniti nel corrispondersi, nel rinviarsi, nel consegnarsi il testimone di una sfida impossibile e parossistica. Opalka e Luethi sono come due atleti di uno sport estremo, entrambi percorrono in solitaria un cammino a piccoli passi sul filo del paradosso, rischiando i nervi in una sfida col fraintendimento e la perdita di concentrazione. Aria di famiglia, ma anche poetiche analoghe nell’origine e differenti nei corollari, Opalka e Luethi condividono quella hegeliana “fatica del concetto” rimodulata in “fatica del numero”, immersi nell’estrema

concentrazione del controllo della progressione numerica che caratterizza in senso performativo entrambe queste ambiziose e preziose opere-mondo. “Nullum die sine linea”, ogni giorno un nuovo tratto simile, ma differente e ulteriore, ogni giorno un nuovo tratto che è il sismografo di una tensione, il cardiogramma della passione vitale dell’arte che non si arresta, che procede inesorabile nel conto alla rovescia fino alla fine. Il numero simbolico la cifra perfetta che rappresenta il compiersi della profezia del settanta volte sette. Anche la poetica di On Kawara con i suoi dipinti esistenziali che registrano fedelmente il tempo, la data, rappresenta un punto di riferimento per esplorare il tema metafisico dell’opera dalla sua unicità temporale e della sua iterativa modalità come strumento per esplorare idee con l’arte. Insieme globali, estenuanti e claustrali, opere meditative che distillano un senso di attesa, una apnea della mente sospesa nell’assenza, un esercizio di etica zen minimalista di tao dell’autocontrollo. Artisti come miniaturisti, come amanuensi che riscrivono libri sapienziali dettati da una saggezza superiore, una intelligenza aliena e divina. Tempi oscuri chiedono la luce della auto-evidenza cristallina del numero come guida alla verità. La lenta estenuante pratica del gesto di numerazione è una ripetizione differente di addizione di senso a una serie di numeri che indicano con la loro pura presenza posizionale un luogo del tempo, uno spazio di purezza deittica in grado di indicare una irriducibile identità dell’evento dell’inscrivere la cifra dell’essere sulla tavola della vita. Impietosamente attraversato da una corrente di ripetizione, il diventa un arabesco in movimento, innominabile, indicibile, tessuto afono, eccentrico, estatico dell’Io. Reiterato, differito e ferito in una progressione che non lascia scampo. Vacillanti vettori calligrafici scagliati oltre la coabitazione con la propria cifra auto-referenziale, alfabeti atavici, disseminazioni di sequenze inarrestabili di cifre che slittano su dune di mari di sabbia. Senza dire, senza tacere. Vegliati da nebulose di condensate in tracce rapprese, tra alfabeti disseminati con nervosa, insperata, pazienza. Tracciare è un gesto virale, un esercizio vitale di resistenza, una prova ontologica di esistenza. Il segno del numero costituisce, attraversa, eccede, sfidando qualsiasi appropriazione definitiva. Oltre l’assioma dell’identità autoreferenziale, occorre sporgersi nella distanza, sostando ai bordi del proprio sapere, oscillando sulla soglia che separa l’essere dal nulla, lasciando trascorrere tutto. Già differenti, dissimili, distanti avvolti da invasioni di velature di colore. Sotterranei, sottocutanei: reversibili anti-mondi numerici possibili gettati oltre il baricentro di una progressione infinita. Strati impazienti tra dissolvenze e sovra-impressioni. Sotto-testi e trasparenze di sottili filigrane. Vibrazioni ed effrazioni di numeri custoditi in profondità silenziose ed indicibili rinchiusi. Una corrente di colore che si nutre dei fantasmi dell’immaginazione per tempestare di cifre-segno lo strato epiteliale della superficie sensibile delle tele creando una texture di numeri che agiscono come vettori di senso. La tela è uno spazio potenziale, un centro di attenzione, un campo di ricezione dove incubare tutta la tensione della nostalgia della totalità profonda. Se il mondo è aperto, un corpo di connessioni infinite, l’opera è una macchina interiore introflessa dentro i propri misteri inenarrabili di implicazioni e risonanze implicite nel concatenamento di cifre ed immagini. La visione è innocenza e purezza di rapporti formali tra immagini allo stato nascente che si offrono in un gioco di composizioni sempre varianti. Composizioni secondo un ritmo di piani, di alternanze di grafie superficiali, di texture, di vibrazioni di linee a intensità differenti, di risonanza con campi cromatici isolati ed intensi che esalano emozioni. Reperti di ricordi, geometrie ritrovate nei vissuti interiori. Simmetrie nascoste e combinazioni di impulsi costruttivi non transitori. Spazi di prossimità. Incontri non casuali di linee protese oltre i vuoti e le forme latenti. Strategie di frammentazione e ricomposizione su campi di intensità differente. ria, asimmetria, ordine, disordine, equilibrio e squilibrio. Tratti ortogonali, incroci obliqui, vicini e stratificati, non un gruppo di parti isolate, ma una serie di rapporti, dove ogni trama è in relazione con un’altra adiacente dove le forme astratte si espandono e interagiscono tra loro Onde di numeri che sono architetture della mente, icone polivalenti adatte per tutti i culti, prive di dogmi, ma ispirate dal culto della pura bellezza di idee platoniche. Una lentezza immersa nella precisione, pura felicità dell’astrazione di essenze incastonate nell’auto-evidenza tautologica ed identitaria di numeri uguale solo a se stesso. Riverberi di immagini e colori, apparizioni in sospensione, liberi dal dovere di convincere sulla propria realtà e di contaminarsi con l’apparenza del mondo. Non per inesattezze e illusioni, ma attraverso lucidi calcoli mentali si raggiunge la bellezza della precisione oltre l’impressione vacua della realtà. Uno spazio intensivo più che estensivo determinato da una tensione significate che mostra un modo di essere dello spazio fondato su stringhe di numeri concatenati in una giustapposizione per accumulazione e vicinanze, peer orientamento e raccordo. Una spazialità solo apparentemente immobile. Esigente, ma che sottintende una linee di fuga compresa tra spazi intermedi che si sottraggono alla configurazione di forze visive sigillate dentro l’ordine di generazione di serie secondo regole inflessibili. L’essenza insieme spaziale e temporale nella fenomenologia del numero rappresenta una chiave gnostica per avvicinarsi asintoticamente, per incamminarsi sul sentiero della verità. Andreas Luethi, con le sue opere, riesce a ricomporre la dicotomia “esprit de geometrie – esprit de finesse”, in una sintesi geometrica della sensibilità, dove la geometria ritorna ad appartenere al mondo della vita e delle sue pulsazioni vitali. Nell’interno più potente, fatto di forme simboliche perfette, ordinate e cristallizzate nella precisione congelata, sembra quasi sfuggire la vita, ma è solo una effimera impressione, perché proseguendo nell’attenzione veniamo raggiunti da richiami e sottintesi e anche da finestre sigillate può esalare la vita. Una vena di lucida follia che nella sua ossessiva ansia di perfezione, di offre perfettamente composta in una sintesi estetica proiettata nel tempo. Inscritto nella magia combinatoria dei numeri, l’infinito si può solo intuire nei misteri allusivi di linguaggio cifrato.

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