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Il Rinascimento nell’Italia settentrionale
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La conquista della realtà
Luce e colore a Venezia
L’Italia settentrionale e i suoi fiorenti centri urbani durante il Quattrocento sono il palcoscenico di una splendida stagione artistica, che vede il lungo tramonto del gusto tardogotico intrecciarsi con la progressiva affermazione del Rinascimento. Figura emblematica di questo momento di passaggio è Pisanello, che coniuga eleganze e ideali cavallereschi tipici del mondo delle corti medievali con i primi fermenti dell’Umanesimo.
Cuore pulsante del rinnovamento in senso rinascimentale è Padova. La presenza in città dello scultore fiorentino Donatello (1443 - 1453) spinge gli artisti a un più diretto confronto con le novità toscane: la costruzione prospettica dello spazio, lo studio dei modelli classici e la possibilità di rappresentare fedelmente la vita e le emozioni dell’uomo.
A Padova cresce e si afferma Andrea Mantegna, protagonista del Rinascimento nell’Italia settentrionale. Il suo stile severo e solenne, fortemente improntato all’arte antica, costituisce un termine di paragone quasi inarrivabile per gli artisti della sua generazione, spesso impegnati a far convivere aspetti della narrazione fiabesca del mondo cortese con una più salda resa spaziale dei personaggi e delle architetture.
A Venezia invece, durante la seconda metà del Quattrocento, emerge la personalità di Giovanni Bellini. La sua pittura si fonda sull’uso sapiente della luce e del colore, che donano alle sue composizioni una dolcezza e un palpito di vita mai raggiunti prima. L’artista è anche il primo grande interprete della figura umana immersa nel paesaggio naturale.
In città, accanto a Bellini, operano maestri di diverso orientamento, molti segnati dall’esperienza di Antonello da Messina, l’artista siciliano che soggiorna a Venezia intorno al 1475. Spicca tra gli altri Vittore Carpaccio, che si specializza nell’esecuzione di grandi tele narrative destinate a quelle confraternite laiche che in laguna prendono il nome di “scuole”.
1441-1444 (?) tempera, oro e argento su tavola cm 29 × 19,5 collezione Giovanni Morelli, 1891
Pisa, Verona o San Vito (?) 1395 circa - Napoli 1455 circa
Pisanello (Antonio Pisano) Ritratto di Leonello d’Este
Pisanello è l’ultimo esponente di quella elegantissima cultura delle corti conosciuta con il nome di gotico internazionale o tardogotico. Artista itinerante tra Verona e Venezia, Mantova e Milano, Roma e Napoli, egli fu a lungo al servizio di Leonello d’Este, il colto marchese di Ferrara. Il ritratto della Carrara fu eseguito forse in occasione di una celebre gara pittorica che vide contrapposti, nel 1441, Jacopo Bellini e Pisanello. L’impostazione di profilo riprende il modello delle medaglie antiche, ma i tratti caratteristici del volto sono indagati con precisione. La folta chioma di Leonello, il broccato dell’abito e i fiori da erbario del roseto sono descritti minuziosamente, attraverso una pennellata morbida e fusa, tipica del gusto raffinato e profano dell’artista.
1440 - 1445 circa tempera e oro su tavola cm 58,4 × 32,7 cm 58,1 × 34 dono Antonietta Noli Marenzi, 1901
documentato dal 1441 - Padova ante 1450
Giovanni d’Alemagna Sant’Apollonia privata dei denti Sant’Apollonia accecata
Giovanni d’Alemagna è un artista di origine tedesca che lavora tra Venezia e Padova negli anni Quaranta del Quattrocento. Insieme al cognato Antonio Vivarini, con il quale spesso collabora, è tra i più vivaci interpreti della stagione di passaggio tra Medioevo e Rinascimento in Veneto. I pannelli dell’Accademia Carrara appartengono a un complesso di cui ignoriamo l’aspetto originario, ma che comprendeva altre due tavolette con storie di sant’Apollonia conservate al Museo Civico di Bassano del Grappa e alla National Gallery di Washington. Il tono fiabesco della narrazione, il gusto profano per vesti e copricapi, le architetture che reinventano con libera fantasia il repertorio classico fanno delle storie di sant’Apollonia uno degli episodi più affascinanti dell’intreccio tra tradizione gotica e nuove istanze rinascimentali in pittura.
6 aprile 1450 o aprile 1456 tempera e oro su tavola cm 69 × 39 collezione Giacomo Carrara, 1796
Bagnolo Mella, Brescia, 1427 circa - Brescia 1515/1516
Vincenzo Foppa Tre Crocifissi
Il dipinto è tra le prime opere di Foppa, quando il giovane pittore è impegnato a far dialogare il mondo incantato di Gentile da Fabriano e l’antichità rievocata da Jacopo Bellini con l’intensa espressività della scultura di Donatello, conosciuta a Padova. Siamo di fronte a una immagine devozionale di straordinaria potenza, che pone davanti agli occhi del fedele la solitaria agonia di Cristo, accompagnato dai due ladroni, ma privo del conforto offerto dalle consuete figure di Maria, della Maddalena e di san Giovanni. Sui corpi e sullo scabro paesaggio con foreste e città turrite si allunga la luce del tramonto. L’arco trionfale all’antica introduce lo sguardo dell’osservatore all’interno della scena e allo stesso tempo attenua il coinvolgimento emotivo, favorendo un approccio anche intellettuale al significato della Passione.
1485-1490 circa tempera e oro su tela cm 45,5 × 33,5 dono Carlo Marenzi, 1851
Isola di Carturo, Padova, 1431 - Mantova 1506
Andrea Mantegna Madonna col Bambino
Giovane promettente nella Padova di Donatello e di Squarcione, Andrea Mantegna divenne ben presto uno dei più celebri artisti del suo tempo, predominio sancito dal suo definitivo trasferimento a Mantova alla corte dei Gonzaga. La Madonna col Bambino della Carrara è opera della maturità dell’artista, eseguita probabilmente negli anni in cui il pittore lavorava ai Trionfi di Cesare . Questa austera e al tempo stesso commovente immagine della maternità prefigura il futuro sacrificio di Cristo sulla croce: ad esso alludono il braccialetto di corallo rosso indossato dal Bambino e lo sguardo distante, velato di malinconia, della Vergine. I colori spenti dell’opera sono il risultato dell’adozione da parte di Mantegna della tecnica da lui prediletta della tempera, che utilizza stendendo sottili velature su una finissima tela di lino.
1472-1473 circa tempera e olio su tavola cm 34 × 27,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866
Venezia 1430 circa - 1516
Giovanni Bellini(?) Ritratto di giovane
Il ritratto è impostato come un busto classico e richiama immediatamente i severi modelli di Andrea Mantegna, che aveva sposato la sorella di Bellini, Nicolosia. Il solido impianto volumetrico e lo sguardo intenso che il giovane rivolge allo spettatore testimoniano un precoce interesse per i ritratti di Antonello da Messina, attivo a Venezia intorno al 1475. Una iscrizione frammentaria sul retro (“IACOBUS D”), che inizialmente era stata interpretata come un riferimento all’autore dell’opera, è invece l’unico labile indizio per risalire all’identità del misterioso personaggio raffigurato.
1480 olio su tavola cm 64,6 × 45 collezione Giacomo Carrara, 1796
Messina 1456 circa - Venezia (?) ante 1488
Jacopo di Antonello (Jacobello di Antonello) Madonna col Bambino
Il dipinto è l’unica opera firmata e datata del figlio di Antonello da Messina ed anche il solo lavoro che gli si possa assegnare con certezza. Alla morte del padre, nel febbraio del 1479, Jacobello ereditò la bottega impegnandosi a terminare le opere rimaste incompiute, tra cui probabilmente la Madonna col Bambino della Carrara. Nella costruzione potentemente tridimensionale dei volti, nello scorcio virtuosistico della mano che regge il bacile di vetro trasparente e nel paesaggio descritto con una minuzia che rammenta la pittura fiamminga, Jacobello riprende infatti alcune idee del padre, artista “non umano” ossia inimitabile, come si afferma nel cartiglio appoggiato sul parapetto.
1487 circa tempera e olio su tavola cm 84,6 × 65 collezione Giovanni Morelli, 1891
Venezia 1430 circa - 1516
Giovanni Bellini Madonna col Bambino (Madonna di Alzano)
Il dipinto è tra i capolavori della maturità di Giovanni Bellini, l’artista che ha segnato indelebilmente il corso della pittura veneziana nella seconda metà del Quattrocento. L’immagine è caratterizzata dal rapporto tra il gruppo monumentale della Madonna col Bambino, e il nitido paesaggio che si distende alle loro spalle, per il quale si è sospettato l’intervento di un altro pittore. Maria stringe affettuosamente il Bambino in un abbraccio che è una sorta di accorata preghiera e rivela nello sguardo assorto la consapevolezza del futuro sacrificio del figlio sulla croce. Sul parapetto marmoreo è collocata una pera, frutto che per la sua dolcezza nella simbologia cristiana viene spesso associato alle figure della Madonna e di Gesù quale simbolo dell’amore che li unisce.
1502 - 1504 circa olio su tela cm 128,5 × 127,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866
Venezia 1465 circa - 1525/1526
Vittore Carpaccio e bottega Nascita di Maria
Carpaccio è il primo grande interprete della veduta cittadina, ma è anche un incantevole pittore d’interni, come rivela questo dipinto, nel quale il tempo sembra sospeso. La tela appartiene a un ciclo con storie di Maria realizzato per la Scuola degli Albanesi a Venezia. La madre della Vergine, sant’Anna, si riposa dopo il parto, assistita dalle inservienti e dalla levatrice, che prepara il bagno per la neonata. L’anziano marito, Gioacchino, sorveglia la scena un poco discosto. Il racconto è arricchito da episodi apparentemente secondari, ma fortemente simbolici: i due coniglietti che rosicchiano una foglia di cavolo alludono alla verginità di Maria; la scritta in ebraico “Santo Santo Santo nel Cielo benedetto Colui che viene nel Nome del Signore”, si ricollega al nome di Cristo inciso sullo stipite della porta sempre in caratteri ebraici.
1505 - 1510 tempera e olio su tela cm 66 × 58,5 collezione Giovanni Morelli, 1891
Vicenza (?) 1449 circa - Vicenza 1523
Bartolomeo Montagna (Bartolomeo Cincani) San Girolamo a Betlemme
Formatosi tra Vicenza e Venezia, guardando alla pittura di Giovanni Bellini e di Antonello da Messina, Montagna fu attivo in prevalenza nell’entroterra veneto. Il San Girolamo è un dipinto della maturità ed è commovente lo sforzo dell’artista di tenere il passo delle novità del tempo senza rinunciare al piacere di una narrazione minuta. L’autore della versione latina della Bibbia non è raffigurato come un anacoreta o vestito del rosso abito cardinalizio, ma abbigliato da abate e accompagnato dall’immancabile leone. Alle sue spalle si vede il monastero di Betlemme nel quale l’anziano teologo si ritirò a vivere. Uomini e animali vi convivono serenamente, intenti alle loro occupazioni quotidiane, mentre lontano sul fondo le montagne e il cielo si tingono delle prime luci della sera. L’immagine celebra la vita del chiostro ed elegge Girolamo a suo emblema perfetto.