8 minute read
Il Rinascimento nell’Italia centrale e nelle Fiandre
Sale
Advertisement
4
5
Il Rinascimento nell’Italia centrale
Tra la Toscana e le Fiandre I Tarocchi
Durante il Quattrocento le città dell’Italia centrale si distinguono per la vivace produzione artistica. Firenze vanta una gloriosa tradizione figurativa e ha accolto con cautela il linguaggio ricercato e aristocratico dell’ultima splendida fiammata gotica. All’inizio del Quattrocento, con l’ascesa della famiglia Medici, si apre una straordinaria stagione di rinnovamento e la città diventa il centro propulsore delle novità del Rinascimento. Si afferma una pittura d’intensa luminosità, in cui lo spazio è costruito geometricamente attraverso le regole della prospettiva e i colori diventano tersi e squillanti. Nuovi soggetti e iconografie tratte dalla mitologia o dalla storia antica arricchiscono il repertorio degli artisti. Questa stagione esaltante ha il suo apice negli anni di Lorenzo il Magnifico, con Sandro Botticelli.
Le forme e i temi rinascimentali irrompono anche a Siena, ma nell’orgogliosa città toscana resiste il legame con la tradizione gotica e il gusto per una materia preziosa e per sofisticate cadenze lineari. Nelle Marche l’avamposto delle ricerche figurative più aggiornate è la corte dei Montefeltro di Urbino, la quale vede il passaggio di Piero della Francesca ed è luogo privilegiato di confronto tra pittura italiana e pittura d’oltralpe. In Umbria, regione di scambio culturale tra le diverse località dell’Italia centrale, emerge nella bottega di Perugino la personalità di Raffaello Sanzio.
Anche nelle Fiandre e nei Paesi Bassi si sviluppa durante il Quattrocento una grande scuola pittorica, che ha nelle fiorenti città mercantili di Bruges e Gand, di Anversa e Bruxelles i suoi centri principali. Estranei a quel fascino per l’antichità classica che seduceva molti artisti italiani, i pittori fiamminghi s’indirizzano verso una rappresentazione fedele della realtà. Grazie all’utilizzo della nuova tecnica della pittura a olio, essi si mostrano capaci di inedite sottigliezze ottiche e di un realismo minuzioso, ma elaborano anche una moderna iconografia sacra, che risponde alle esigenze di una nuova e articolata società borghese.
1440-1445 circa tempera e oro su tavola cm 34,7 × 29,5 collezione Guglielmo Lochis, 1866
Firenze 1420/1421 - Pistoia 1497
Benozzo Gozzoli (Benozzo di Lese) Madonna col Bambino e angeli (Madonna dell’Umiltà)
Benozzo Gozzoli lavora a Firenze e in diverse località dell’Italia centrale, segnalandosi soprattutto come pittore di affreschi. Il dipinto appartiene alla fase giovanile e risente ancora dei modi preziosi di Beato Angelico, suo maestro. L’iconografia adottata è quella della Madonna dell’Umiltà, piuttosto diffusa nella pittura del Tre e del Quattrocento. Maria, seduta su un cuscino, stringe a sé il Bambino, che risponde con una carezza allo sguardo affettuoso della madre. Ai piedi della Vergine siedono su un pavimento di marmo due angioletti musicanti, mentre alle sue spalle due angeli reggono un panno in broccato lavorato a fili d’oro. Sullo sfondo un giardino di gigli e rose allude al motivo dell’hortus conclusus, il giardino recintato medievale simbolo della verginità di Maria.
1470-1475 circa tempera e oro su tavola cm 58,2 × 43,5 collezione Giovanni Morelli, 1891
Siena 1447 - ante 1500
Neroccio di Bartolomeo de’ Landi Madonna col Bambino
Allievo a Siena del Vecchietta e operoso per diversi anni accanto a Francesco di Giorgio Martini, Neroccio de’ Landi fu abile scultore in legno e raffinato pittore. La Madonna col Bambino è una testimonianza esemplare della produzione di questo artista e un’immagine di rarefatta bellezza. La mano di Maria sfiora delicatamente quella di Gesù, che cerca con lo sguardo la madre, mentre le gote arrossate indicano l’emozione dell’abbraccio. Nell’opera convivono la fedeltà alla tradizione gotica senese, con la sua predilezione per gli ori, per un disegno sinuoso e per sottili stesure di colore, accanto alla rielaborazione di alcune novità del Rinascimento fiorentino. La posa atletica e l’anatomia classicheggiante del Bambino derivano da Donatello, così come il gusto per i dettagli realistici: l’ombra proiettata dal bimbo e le staffe che fissano le lastre di pietra del parapetto.
1475-1480 circa tempera e oro su tavola cm 52 × 39 collezione Giovanni Morelli, 1891
Firenze 1446 - 1498
Francesco Botticini Tobiolo e l’arcangelo Raffaele
L’episodio raffigurato è tratto dal Libro di Tobia, nell’Antico Testamento, dove si narrano le vicende dell’ebreo Tobia e del figlio Tobiolo, in esilio a Ninive. Nel dipinto si vede Tobiolo, accompagnato dall’arcangelo Raffaele, in viaggio versa Ecbatana, antica capitale della Media. Il giovane tiene in mano il pesce miracoloso catturato nel fiume Tigri che gli permetterà di sconfiggere il demonio Asmodeo e di sposare l’amata Sara, nonché di guarire dalla cecità il padre Tobia. A Firenze la storia di Tobiolo era particolarmente popolare tra mercanti e viaggiatori e Botticini, che era iscritto alla Compagnia dell’Arcangelo Raffaelle con sede in Santo Spirito, ne realizzò diverse versioni, tra cui questa destinata alla devozione domestica. Per la fluidità del disegno e l’espressione sognante dei volti, il dipinto si colloca negli anni in cui l’artista risente maggiormente della pittura di Sandro Botticelli, suo compagno di studi nella bottega del Verrocchio.
1499-1500 circa tempera, olio e oro su tavola cm 83,5 × 162 collezione Giovanni Morelli, 1891
Firenze 1445-1510
Sandro Botticelli (Alessandro di Mariano Filipepi) Storia di Virginia romana
Nella Firenze della seconda metà del Quattrocento Botticelli incarna il clima coltissimo e antichizzante che si respira nella cerchia dei Medici intorno a Lorenzo il Magnifico. Il dipinto della Carrara si colloca nell’ultima fase del suo percorso. Esso fungeva in origine da spalliera e si inseriva in un rivestimento in legno o cuoio che ricopriva le pareti di un ambiente privato. Vi è raffigurato un episodio della storia romana narrato da Tito Livio. Botticelli sceglie di giustapporre i diversi momenti della vicenda, che celebra le virtù femminili dell’onore e della castità difese a prezzo della vita. Il decemviro Appio Claudio, invaghito della giovane Virginia, già promessa al tribuno Lucio Icilio, incarica Marco Claudio di rapirla, fingendo che sia una sua schiava fuggita. Difesa dagli astanti, Virginia viene condotta davanti al tribunale, presieduto dallo stesso Appio, che la dichiara schiava di Marco. Il padre, Lucio Virginio, la colpisce a morte per evitare che il suo onore sia macchiato. La narrazione si conclude con il dolore dei parenti e con la cacciata dei decemviri da Roma.
1502-1503 circa tempera e olio su tavola cm 45,5 × 36 collezione Guglielmo Lochis, 1866
Urbino 1483 - Roma 1520
Raffaello Sanzio San Sebastiano
Originario di Urbino e attivo inizialmente nella bottega del Perugino, Raffaello lavora a Siena, forse come collaboratore di Pintoricchio, e vede poi la sua definitiva affermazione a Firenze nei primi anni del Cinquecento. Il San Sebastiano fu dipinto quando Raffaello non aveva nemmeno vent’anni, ma si impone per una straordinaria finezza esecutiva e per la capacità quasi miracolosa di gradazione della luce, che avvolge la figura in un’atmosfera dolce e sognante. L’opera fu realizzata per la devozione personale di un raffinato committente e questo spiega perché un santo come Sebastiano, solitamente associato alla pietà popolare, venga raffigurato dal pittore in vesti aristocratiche, mentre tiene nella mano la freccia simbolo del martirio, invece che nudo e trafitto dai dardi, come prevedeva l’iconografia tradizionale.
1405 circa tempera e oro su tavola cm 33 × 23 collezione Giovanni Morelli, 1891
Firenze, documentato dal 1391 al 1422
Lorenzo Monaco (Piero di Giovanni) Vir Dolorum (Cristo in Pietà)
Lorenzo Monaco, frate nel convento di Santa Maria degli Angeli, è tra i principali interpreti dello stile tardogotico nella Firenze dei primi anni del Quattrocento. Il raffinato linguaggio fiorito nelle corti di mezza Europa è sviluppato dall’artista in senso devozionale, in formule di astratta eleganza. La tavola della Carrara raffigura il tema popolare di Gesù Cristo in Pietà. Il Cristo morto fuoriesce dal sepolcro, col capo reclinato e le mani incrociate sul busto, mentre nel fondo si innalza la Croce. L’immagine presenta una radicale semplicità di impostazione e si ispira ancora a modelli iconografici della fine del Duecento. Questo ricercato arcaismo si nota soprattutto nel disegno semplificato delle anatomie e del volto, nella calligrafica esecuzione dei capelli, e sottolinea l’aspetto spiccatamente devoto del dipinto.
1480 - 1485 olio su tavola cm 40,2 × 33 collezione Giacomo Carrara, 1796
Bruges, seconda metà del 1400
Maestro della Leggenda di sant’Orsola Ritratto di giovane
Il ritratto è attribuito a un pittore anonimo, attivo a Bruges nei decenni finali del Quattrocento, al quale è stato assegnato il nome convenzionale di Maestro della Leggenda di sant’Orsola. L’opera più importante di questo artista è infatti un grande polittico con storie della santa conservato presso il Groeningemuseum di Bruges. Il giovane è rappresentato a mezzo busto, con la testa posta di tre quarti, davanti a un paramento di velluto scuro. Alle sue spalle si apre un paesaggio con una città affacciata su uno specchio d’acqua e animata da esili figure di cavalieri. L’impostazione generale del dipinto e il realismo analitico con cui sono delineati i particolari del volto e del paesaggio si ispirano alle opere di Hans Memling, un grande artista di origine tedesca che a Bruges tenne una fiorente bottega.
1455-1460 circa; 1485-1490 circa tempera su carta con argento e oro cm 17,6 × 8,7 (ciascuna carta) dono Francesco Baglioni, 1900
Cremona, documentato dal 1444 al 1477
Cremona, documentato dal 1450 al 1482
Cremona, documentato dal 1480 al 1516
Bonifacio Bembo e Ambrogio Bembo; Antonio Cicognara Ventisei carte da gioco e tarocchi
I tarocchi sono carte da gioco di origine incerta, ma diffusi nelle corti dell’Italia settentrionale durante il Quattrocento. Un mazzo è costituito da cinquantasei carte ripartite in quattro serie di semi (denari, coppe, spade e bastoni) e da ventidue carte illustrate con figure umane e animali dal significato simbolico, anticamente dette “Trionfi”. Il mazzo Colleoni-Baglioni, oggi diviso fra l’Accademia Carrara, che custodisce 26 carte, la Pierpont Morgan Library di New York e una raccolta privata, è tra i più completi giunti sino a noi. Il committente fu probabilmente Francesco Sforza, duca di Milano dal 1450 al 1466. L’esecuzione spetta principalmente a Bonifacio Bembo, uno dei principali esponenti del tardogotico lombardo, forse con la collaborazione del fratello Ambrogio, mentre Antonio Cicognara intervenne in un secondo tempo per integrare l’insieme con tre carte mancanti, perché perdute o rovinate.