CHRISTO AND JEANNE-CLAUDE - Palazzo Bricherasio 1998

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CHRISTO and JEANNE-CLAUDE Palazzo Bricherasio 1998



CHRISTO and JEANNE-CLAUDE Palazzo Bricherasio 1998 Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows


In copertina Christo Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows progetto per Palazzo Bricherasio, Torino collage, 28 x 35,5 cm © Christo 1998 foto di Andre Grossmann

Silvana Editoriale Direzione editoriale Dario Cimorelli Art Director Giacomo Merli Coordinamento editoriale Sergio Di Stefano Redazione Lara Mikula Impaginazione Annamaria Ardizzi Coordinamento di produzione Antonio Micelli Segreteria di redazione Ondina Granato Ufficio iconografico Alessandra Olivari, Silvia Sala Ufficio stampa Lidia Masolini, press@silvanaeditoriale.it Diritti di riproduzione e traduzione riservati per tutti i paesi © 2017 Silvana Editoriale S.p.A., Cinisello Balsamo, Milano © 2017 Gli autori per i testi A norma della legge sul diritto d’autore e del codice civile, è vietata la riproduzione, totale o parziale, di questo volume in qualsiasi forma, originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa, elettronico, digitale, meccanico per mezzo di fotocopie, microfilm, film o altro, senza il permesso scritto dell’editore.


CHRISTO and JEANNE-CLAUDE Palazzo Bricherasio 1998 Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows

Torino, Palazzo Bricherasio 17 ottobre 2017

Presidente Maurizio Sella Vicepresidente Massimo Coppa Mario Renzo Deaglio Amministratore delegato e Direttore generale Federico Sella Direttore affari societari e risorse umane Giorgio Manca Direttore artistico Daniela Magnetti Responsabile marketing Ilaria Miorin Responsabile relazioni con i media Marco Palmieri

In collaborazione con

Progetto ideato e promosso da Banca Patrimoni Sella & C. A cura di Daniela Magnetti Testi Federica Maria Rovati Daniela Magnetti Fotografie a colori © 1998 Wolfang Volz Coordinamento catalogo Filippo Timo Allestimento Chiara Poggio Ufficio tecnico Paolo Benedetti Marketing Ilaria Miorin Paola Iannotti

Ringraziamenti Alberto Alessio Stefano Benedetto Susanna Bison Ettore Camuffo Vittoria Cibrario Alberto Ramella Vladimir Yavachev Wolfang Volz Zornitza Kratchmarova Con la collaborazione di RAI Teche-Mediateca Rai Torino


All Art has been contemporary. Tutta l’arte è stata contemporanea L’opera, una scritta al neon di Maurizio Nannucci, appare sia all’ingresso della GAM di Torino, sede di un’importante collezione di arte moderna, sia nell’atrio del Museo di Antichità di Berlino, così ricordandoci la fragilità delle categorie temporali che abitualmente adoperiamo per classificare artisti, stili, generi. La scelta dell’Università di Torino di riconoscere a Christo il titolo di dottore honoris causa in storia dell’arte afferma la nostra convinzione che tutta l’arte sia contemporanea e che la sua storicizzazione si fondi sulla capacità dell’artista di superare categorie, di astrarsi dalle mode e dalle tendenze del mercato, di superare gli schemi generati dalla critica. Christo – e con lui, nel percorso di una vita, sua moglie Jeanne-Claude – ha svelato nascondendo, ha catturato il nostro sguardo, cimentandosi con una mutevole tavolozza di colori, oro e arancio, rosa o blu, sia su opere di architettura o monumenti consumati da uso e passaggio, sia su paesaggi e territori consolidati nel panorama pubblico. Al suo lavoro non si applicano le categorie tradizionali che distinguono la pittura dalla scultura, mal si adattano le convenzioni sulla necessaria permanenza dell’azione artistica nel tempo. Le sue opere nascondono e si mostrano per un breve periodo, chiamando il pubblico all’urgenza della visione. Una chiamata che è offerta di piacere estetico, di esperienza dell’impensabile, una chiamata che nega di volere essere messaggio e che si affida alla “tenerezza” – questo il sentimento che con insistenza Christo richiama rispondendo alle ricorrenti domande sul significato delle sue opere –, sentimento che ci avvolge di fronte a un incanto destinato a scomparire. Ogni prodotto artistico, sia esso effimero o destinato a durare, è esito di un processo. Ciò vale per tutta l’arte, che è stata, nel corso del tempo, contemporanea. Un processo che, nel caso di Christo e di Jeanne-Claude, unisce allo studio dei luoghi sui quali è destinato l’intervento, alla produzione di disegni e progetti, alla valutazione delle tecniche di installazione, un confronto il più delle volte lungo, complesso, faticoso, con apparati burocratici, con poteri amministrativi, con comunità coinvolte nell’installazione e attente all’impatto ambientale. Anche questo lavoro corale, che si fonda sulle più diverse competenze e sulla capacità di rinunciare a qualsiasi forma di finanziamento “esterno” dell’opera, è parte di un procedimento artistico che si dichiara tale in quanto libero da qualsiasi meccanismo legato alla committenza, attraverso un percorso di gestazione che in non pochi casi ha consumato anni, richiesto la preparazione di complesse argomentazioni giuridiche e la partecipazione a numerose udienze pubbliche. Nulla in tutto ciò è improvvisato, tutto è diretto al fine, l’installazione, a quei pochi giorni di permanenza, poi raccolti in una completa documentazione, nei quali la partecipazione del pubblico scioglie una tensione durata anni fra i custodi dell’immutabilità dei luoghi e la visione dell’artista. È comprendendo la sapienza e la poesia di questa azione che l’Università di Torino ha voluto deliberare la laurea honoris causa in storia dell’arte a un artista che ci consegna con nuovo sguardo luoghi della nostra storia, così come accadde nel 1998 in occasione dell’intervento in palazzo Bricherasio, che la riedizione di questo catalogo intende ricordare.

GIANMARIA AJANI

Rettore dell’Università di Torino


È innanzitutto un sentimento di soddisfazione e di viva ammirazione ad animare tutti noi di fronte a quello che, oltre a essere un doveroso riconoscimento per un artista, è un importante momento per il mondo dell’arte e della cultura. Soddisfazione, poiché il conferimento della laurea honoris causa a Christo dell’Università di Torino nasce da una proposta del Consolato della Bulgaria e dell’Accademia della Voce del Piemonte. Ammirazione, poiché questa è la parola che meglio di ogni altra esprime, anche nel suo senso propriamente etimologico, il nostro legame con l’arte dello straordinario sodalizio artistico di Christo e Jeanne-Claude. Un’arte, la loro, che per noi rappresenta un’eccezionale alchimia di passione, ironia, amore e fede nell’universo. Se ci fosse chiesto di definire Christo, ci piacerebbe chiamarlo un “illuminista del nostro tempo”, ponte ideale tra passato, presente e futuro, in una continua evoluzione che ha visto l’avvio sin dagli anni cinquanta nel Nouveau Réalisme francese di Klein e Arman, per giungere a sempre nuove rivoluzioni artistiche. Le sue opere, pervase da un forte senso simbolico, esprimono il legame e l’amore di un uomo per il pianeta terra. È come se Christo volesse accarezzare e preservare il mondo che fascia, per poi restituirlo infine alla sua natura originale. Pensando alla nostra terra, il Piemonte, molti sono i luoghi simbolici e i monumenti che vorremmo far conoscere a Christo nella speranza che possano diventare un giorno protagonisti della sua arte: dalla Sacra di San Michele ai Sacri Monti, al santuario di Oropa, al Forte di Bard e molti altri. In ultimo ci è grato ricordare che, accanto al conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università, l’Accademia della Voce del Piemonte ha deciso di conferire a Christo il premio internazionale “Arca d’Oro Italia 2017”, che si attribuisce ogni anno dal 1991 alle più importanti personalità della cultura internazionale. Una festa che è anche un incontro tra gli artisti più affermati nel mondo e i giovani talenti, cui auguriamo gli stessi lusinghieri successi dei loro modelli. Rivolgiamo dunque un grande ringraziamento a Christo e, con lui, un riverente e affettuoso pensiero alla sua amata Jeanne-Claude.

GIANNI MARIA STORNELLO

Console onorario della Repubblica di Bulgaria per il Piemonte ARMANDO CARUSO

Presidente dell’Accademia della Voce del Piemonte


Torino da molti decenni svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella promozione delle arti contemporanee. Nella nostra città proprio cinquant’anni fa è nato il movimento dell’arte povera, con artisti importanti tra i quali Pistoletto, Gilardi, Zorio, Anselmo, Merz e molti altri. Iniziative di livello nazionale e internazionale, come Artissima - fiera d’arte contemporanea, Luci d’artista, la kermesse ContemporaryArt Torino Piemonte e le mostre ospitate all’interno delle OGR (Officine della Cultura contemporanea, dell’Innovazione e dell’Accelerazione d’impresa), costituiscono, insieme ai musei di arte contemporanea (GAM, Rivoli, Sandretto, Merz, Fico e tanti altri), un articolato tessuto di produzione, sperimentazione e innovazione diffuso sul territorio. Christo ha profondamente modificato la concezione dell’opera d’arte e dell’artista uscendo dai tradizionali canoni e creando “opere/eventi” che prendono forma attraverso la partecipazione dei cittadini. La laurea honoris causa conferita dall’Università all’artista viene accolta con molta soddisfazione dalla Città di Torino, che fa dell’arte contemporanea uno degli assi strategici del proprio sviluppo. Torino ha costruito un rapporto profondo con l’opera di Christo vent’anni fa, quando, reduce da uno dei suoi celebri “impacchettamenti” operato per il Reichstag di Berlino, l’artista venne nel capoluogo piemontese per vestire un piano di Palazzo Bricherasio – che ospitava una retrospettiva dedicata al suo lavoro realizzata insieme alla moglie Jeanne – con un candido tessuto fluttuante. Un intervento di grande impatto emotivo, che oggi viene rievocato attraverso una serie di iniziative tra cui la pubblicazione di questo catalogo che raccoglie una sintesi dell’universo artistico di Christo.

CHIARA APPENDINO

Sindaca di Torino F R A N C E S C A PA O L A L E O N

Assessora alla Cultura di Torino


Era il 10 ottobre 1998 quando Christo e Jeanne-Claude inaugurarono il progetto Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows a Palazzo Bricherasio. Milleduecento metri quadrati di tessuto in cotone color avorio furono adagiati sui gradini e sulle balaustre dello scalone d’onore, sui pavimenti e sui camini delle cinque sale del piano nobile dell’edificio seicentesco, oggi sede di Banca Patrimoni Sella & C., la società del Gruppo Sella specializzata nella gestione e amministrazione dei patrimoni della clientela privata e istituzionale. In occasione del conferimento a Christo della laurea honoris causa in storia dell’arte da parte dell’Università degli Studi di Torino, Banca Patrimoni Sella & C. partecipa all’importante evento culturale con una pubblicazione che intende ricordare l’intervento che l’artista e la moglie Jeanne-Claude realizzarono non solo per la città di Torino, ma anche per l’intero mondo dell’arte contemporanea. Dal 2010 la Banca è divenuta proprietaria di Palazzo Bricherasio e, dopo un’attenta opera di ristrutturazione affidata al prestigioso Studio De Lucchi, nel 2013 vi ha trasferito la propria sede legale e direzione generale. Nel rispetto del ruolo di istituto bancario, diverse sono le iniziative a carattere culturale e informativo che vengono organizzate nelle sale auliche del palazzo, volte a mantenere il legame con il territorio. Banca Patrimoni Sella & C. crede nella valorizzazione del patrimonio culturale e si impegna da sempre per salvaguardarlo e promuoverlo. Un patrimonio, non solo dal punto di vista finanziario, è prima di tutto un impegno verso coloro i quali lo hanno costruito e verso chi ne raccoglierà il testimone. Banca Patrimoni Sella & C. è consapevole di tale impegno e se ne prende cura fedelmente nel tempo. È con questo spirito che siamo onorati di poter riaprire le porte di Palazzo Bricherasio per rendere omaggio a uno degli artisti contemporanei più influenti sul panorama internazionale.

MAURIZIO SELLA

Presidente di Banca Patrimoni Sella & C. FEDERICO SELLA

Amministratore delegato di Banca Patrimoni Sella & C.



Sommario

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Sulla fortuna italiana di Christo negli anni sessanta e settanta F E D E R I C A R O VAT I

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Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows, Palazzo Bricherasio 1998. Cronologia di un evento DANIELA MAGNETTI

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Sezione fotografica

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Biografia di Christo e Jeanne-Claude



Sulla fortuna italiana di Christo negli anni sessanta e settanta

Pierre Restany2, il quale aveva cooptato l’artista nel movimento del Nouveau Réalisme cui giovavano i meccanismi definitori di ogni avanguardia artistica: suscitare prima sorpresa, poi entusiasmo o rifiuto. Fu la reazione alla personale milanese: i “pacchi” di Christo erano opere d’arte, provocazioni o prese in giro? Era un vizio abusato, quello di “esporre le cose più strane, i capricci più gratuiti appunto per indignare la gente e risponderle che è ignorante e borghese”, tuonò Marco Valsecchi3. Eppure. Eppure qualcosa sfuggiva alla presa: si sottraeva agli abituali schemi di giudizio; eludeva un vocabolario critico che si era faticosamente rodato sugli spessori materici e gestuali dell’informale; pungeva le aspettative di un pubblico che si stava abituando a godere gli effetti della crescita economica, le forme esatte dell’industrial design, le facili seduzioni del linguaggio pubblicitario: quegli involti informi nascondevano cose assurde, desuete o inutilizzabili. “L’effetto arriva a sfiorare il brivido quando la forma del pacco, le sue protuberanze e irregolari rotondità suggeriscono che ci sia nascosto un corpo umano fatto a pezzi o un coacervo di membra”, osservò Dino Buzzati. “Nello stesso tempo, la tensione degli spaghi, cordicelle o corde che stringono l’oggetto, affondando come nella carne, ha qualcosa di crudele, se non addirittura sadico. Una vaga aria di delitto, di morgue, di reperto giudiziario, di macabro enigma aleggia nella Galleria Apollinaire”4. Alcuni lavori cominciarono a figurare nelle rassegne dirette a esplorare le alternative al linguaggio informale, la cui esperienza appariva ormai esaurita: alla biennale di San Marino, dove fu riconosciuta “la provvisorietà e la patetica desolazione dei ‘pacchi’ di Christo”, fra i quali “una motoretta avvolta in un vecchio involucro di plastica e legata da grosse corde”5; nelle collettive che testimoniavano la “frantumazione dei linguaggi”, la coesistenza “dei molti fatti” per un’arte finalmente sfrondata da condizionamenti ideologici, simbolismi, contenuti politici6; poi in quelle che saggiarono una prospettiva unitaria a livello internazionale, “per una più alta partecipazione ai destini dell’uomo”7: salvo verificare la scarsa disponibilità delle cose “ripescate dalla spazzatura o dai cimiteri del-

F E D E R I C A R O VAT I

La pelle delle cose Fra diffidenze e stupori, la vicenda italiana di Christo inizia alla Galleria Apollinaire di Milano nel giugno 1963: lì, a ingombrare la sala che aveva ospitato i monocromi di Yves Klein, c’erano un manichino, due carrozzine, pile di giornali, un trespolo, più altri oggetti inconoscibili avvolti in teli di plastica semitrasparente o stoffa. L’artista non era ignoto al pubblico italiano. Ettore Sottsass jr aveva da poco consegnato alla pagine di “Domus” la fotografia de “l’empaquelage, 1961” (così virgolettava la didascalia) visto in una collettiva a New York: davanti a quel grumo di chiaroscuri, di sporgenze e di tensioni, come ai lavori di altri artisti, non si poteva evocare una dimensione ludica o banalmente irriverente; anzi, ragionando sull’eredità dadaista e sulla sconfitta delle velleità eversive delle avanguardie storiche ratificata dalle nuove generazioni, si comprendeva come il senso di certe operazioni di marca oggettuale andasse verificato a un livello più profondo: “Non è più il caso di esser rivoluzionari, non c’è da shockare nessuno, non c’è da aggredire nessuno, non c’è niente da rompere e da distruggere, c’è solo da accelerare la vibrazione di alcune situazioni e la nausea e l’orrore o la noia cominceranno da sé”; persino la retorica del “nuovo” andava svalutata quale stigma dell’arte contemporanea1. Sulla qualità innovativa dei lavori di Christo, “fra le punte più avanzate dell’arte di comportamento (ossia di quella grande corrente attuale in cui l’agire è più importante del fare)”, insisteva invece

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Christo; lo intuì Luciano Fabro: c’era più tenerezza che dissacrazione nel suo Pupo, un elettrodomestico fasciato come un neonato (1968). Ciò che seduceva gli osservatori più attenti era la capacità di sottrarsi alle solite incasellature, mantenendosi sul bilico fra tautologia duchampiana e allusività surrealista, fra verità oggettuale e metamorfosi. Nella monografia edita dalla Galleria Apollinaire nel 1965, i fotogrammi in cui Christo chiude una modella nella plastica, riducendola a cosa priva di vita sul pavimento, producono un malessere psicologico, come se si assistesse a un delitto, perpetrato però con infinito amore: le braccia circondano la donna, mentre le negano il respiro; nell’involucro la vita resta infine latente come in una crisalide. Kounellis avvolse se stesso in tela di sacco, per poi adagiarsi su un letto-basamento (1970): “Scorgiamo di lui solo il biancore di un piede, cui è legato un tubo di gas. L’accensione sprigiona una fiamma che invade lo spazio e apre la serie delle significazioni analogiche, ancora una volta intorno al tema della crudeltà e della morte” riferì Filiberto Menna13. Crisalide era un’azione di Claudio Cintoli (1972): da un sacco appeso usciva il corpo dell’artista. La dimensione effimera non esprimeva un’intenzione giocosa, testimoniava piuttosto una condizione di tragica fragilità. La società italiana si era rapidamente trasformata, passando dall’ottimismo dei primi sessanta alla contestazione sessantottina, fino alla crisi del nuovo decennio. Resistendo al naturale processo di assuefazione, la contraddizione posta da Christo negli anni del miracolo economico funzionava ora a riscontro dell’identità slabbrata e spersa delle nuove ricerche. “L’universo colorato e gremito dell’arte di ricognizione, così ricco di stimolazioni sensoriali e psicologiche, si capovolge nel suo contrario, acquista il senso di un universo in disarmo”14. Finite utopie e illusioni collettive, smontato ogni progetto di rigenerazione politica, era maturata negli artisti un’attitudine introspettiva, propria di una condizione esistenziale di marginalità e desolazione; anche l’eredità surrealista assunse nel nuovo contesto una tonalità più cupa: una storia di ossessioni dolorose, non di fantasie felici15.

la civiltà” presentate da Christo ad assecondare facili ottimismi8; e nelle giovani gallerie che definivano la propria identità puntando sulle tendenze recenti: La Salita a Roma (una lunga fedeltà), Sperone a Torino, la Galleria del Leone a Venezia, De Nieubourg a Milano. Confrontarsi con le cose: questo al momento importava; anche le proprietà fisiche dei teli e delle corde dimostravano questa attenzione, che si rivelava più sensibile quando i materiali invecchiavano, come la plastica, presto ridotta a una guaina opaca. Per uscire dal soggettivismo informale si poteva al limite affievolire la specificità artistica del proprio lavoro. L’intervento praticato dall’artista su una statua nel giardino di Villa Borghese a Roma restò inavvertito per mesi, il rivestimento scambiato per un intervento conservativo9. Mentre fiorivano i primi aneddoti (opere aperte per errore al momento della ricezione)10 e si producevano diversioni lessicali (pacchi, empaquetages, impaccaggi, impacchettamenti), si cercarono nella tradizione del moderno le ragioni di quelle strane cose che difendevano “il loro mistero con un’energia sorprendente”, come notò Tommaso Trini11. Il surrealismo offrì i confronti più persuasivi (“benché Christo dica di no”, secondo Buzzati); soprattutto L’énigme d’Isadore Ducasse di Man Ray fu citato a confronto, con opposte intenzioni: svalutare l’originalità delle opere di Christo, quasi fossero plagi della vera avanguardia, oppure difenderne la singolarità, o scalzare infine l’intera questione: “Ciò che conta non è l’originalità assoluta (mito avanguardistico il più superficiale), quanto l’autenticità e l’assolutezza alla quale è riportato il gesto stesso”12. Se le neoavanguardie concordavano su un punto, questo riguardava il paradossale senso di necessità che induceva a ripercorrere le esperienze altrui. Michelangelo Pistoletto ne offrì una verifica in Pietra miliare (1967), occultando con straccio e corda l’oggetto designato di cui asseriva l’identità concreta, quasi una negazione dell’“enigma” di Man Ray e un’interpretazione in chiave letterale delle opere di Christo (le più recenti, nelle quali appariva allentata la stretta dei lacci sull’oggetto coperto). Ma qualcosa premeva sotto la pelle dei lavori di

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fresco”, la rivista di Sottsass e Fernanda Pivano che accoglieva i contributi della beat generation, erano una cornice appropriata alle sue parole, per quanto di spericolato e insieme ragionato esse contenevano. “L’importante è avere i mezzi, la possibilità di fare quel che si vuole”, egli spiegò. “E si possono fare cose incredibili. Forse senza senso. D’altronde, è questa l’arte, non ci vedo alcun senso, assolutamente: può essere un’azione senza ragione, assolutamente stupida e idiota”.

Riservate ormai a una valutazione retrospettiva, le opere di Christo presenziarono nelle rassegne sull’arte novecentesca condotte sotto il segno dell’evidenza oggettuale, e in alcune personali: da Marconi a Milano nel 1973, a fianco dei lavori di Joseph Beuys, e alla Salita l’anno successivo, con i pezzi esposti undici anni prima. Se resistevano al tempo era perché l’insistenza dell’artista su uno stesso processo di appropriazione della realtà ne rinnovava il significato in contesti mutati16. Si giunse così a percepire nell’evidenza bruta dei pacchi una sostanza narrativa, l’insinuarsi di una valenza biografica nella mera tautologia, se non la testimonianza di un processo storico: “Forse una memoria di profugo (non forzosamente personale), con quel senso di fagotto che racchiude ogni avere, ogni possesso, ogni sogno […]: ma forse anche una memoria borghese di spazi vuoti e desueti, quel senso di disuso cautelato dalle fodere polverose”17.

Veramente, guarda il lavoro che esporrò a Kassel: è un’opera talmente invisibile, talmente […] non si può pensare altro che è un corridoio con una porta, d’altronde è solo questo, un corridoio con una porta, un corridoio di nove metri molto stretto in rapporto allo spazio chiuso, condannato, e che si vede attraverso i vetri. È un lavoro che dà l’idea dell’impossibilità di averlo, ma pure mette nella possibilità di avere 3000 mq. Da bloccare, da rendere inutili, veramente. Permette un lusso fisico, di possedere uno spazio non abitabile […]

La pressione del vuoto A riscontro delle parole dei critici c’erano le dichiarazioni di Christo: non meno sorprendenti delle opere. Per esempio egli ridimensionò subito, anziché difendere, la novità dei propri lavori: “Se si va in giro per il mondo, ci si accorge di essere circondati, specialmente nelle città industriali, da uno sterminio di pacchi, involti, balle d’ogni genere. Ma non ci si bada, la loro bellezza va perduta”, raccontò a Buzzati nel 1963. La forza immaginativa si sfrenava fino a concepire operazioni colossali, come il progetto di rivestire un intero edificio che fu pubblicato ad apertura dell’articolo di Restany in “Domus” e quindi mostrato allo scrittore: “Lei sapesse, in questo campo, che cose meravigliose ho visto girando il mondo. In Inghilterra, per esempio, sarà anche per il clima piovoso, tutto è impacchettato, che grande Paese. Ho visto dei grandi radar avvolti da plastica, intere navi da guerra in disarmo coperte da un involucro protettivo, ho visto le fotografie dei missili russi che partivano da Cuba in giganteschi involti, dei veri capolavori!”. Quando fu intervistato da Trini nel 1967, Christo rilanciò quelle ambizioni. Le pagine di “Pianeta

così quando dico di rendere l’arte incredibile non intendo rendere le cose difficili come si fa di solito per cose che poi si capiscono subito, ma difficili sul serio. E la vera difficoltà oggi risiede nell’ordine fisico, non in quello intellettuale: la cosa più intellettuale oggi è lo spazio, poter possedere lo spazio è la cosa più cara che si possa immaginare18.

Le vetrine cieche di Christo erano state presentate da Restany ai lettori di “Domus” nel febbraio 1966; se ne parlava già nel volume delle edizioni Apollinaire per tutto “l’insolito e il tragico della vita contemporanea” che c’era dentro. Nonostante la radicale difformità visiva, esse confermavano la compresenza di contraddizioni esplorata nelle opere precedenti con mezzi di locomozione bloccati, segnali stradali coperti, sedie e tavoli resi inutilizzabili dai teli in cui erano avvolti: le vetrine non esponevano nulla, i vetri erano chiusi da tende, l’opacità dei teli negava la trasparenza del vetro. Per quanto Restany parlasse di un “feticismo del vuoto” che evocava operazioni di marca dadaista, la verità letterale delle vetrine chiamava in causa il rapporto fra arte e realtà, fra la pelle delle cose

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discussione la tradizionale dipendenza dal circuito delle gallerie, ma opponeva un’alternativa fattiva alle semplici intenzioni, facendo perno sull’iniziativa individuale. “Christo ha sostenuto il costo dell’impresa, superato il problema della committenza, dimostrando, egli dice, ‘che un artista può autofinanziarsi e lavorare anche senza galleria’”, annotò Trini21. Ne derivava una lezione di tenacia e di intelligenza: “Christo vi ha fatto fronte con tutti i mezzi a sua disposizione, vendendo tutto ciò che aveva da vendere. Nel giro di un anno ha triplicato i prezzi delle sue opere, ha galvanizzato il collezionismo con l’audacia dell’impresa di Kassel”22. C’era una congiuntura favorevole all’arte contemporanea, ma era lo stesso artista a impugnare il destino economico del proprio lavoro, con una risolutezza che spostava i termini abituali della polemica con il mercato e associava senza complessi di colpa arte e denaro. Egli continuava a prendere in contropiede abitudini di pensiero e mode culturali: l’inquietudine dei pacchi negli anni del boom economico; un’aristocratica ritrosia nella stagione dell’impegno politico e sociale (“Non credo che si possa parlare di una forma di comunicazione, l’arte è troppo privata per essere una forma di comunicazione […]”, nel colloquio con Trini); una sicura capacità manageriale durante la contestazione sessantottesca; infine la dilatazione degli interventi allo spazio pubblico, nelle città italiane, negli anni del terrorismo.

e la loro sostanza, producendo ancora una volta perplessità, disagio, disinganno: “Sulla porta a vetri in fondo, munita di chiusura pneumatica, c’è perfino la scritta push”, spiegò Buzzati in visita a Kassel nel 1968. “Rispetto a un autentico ingresso di un’autentica bottega, non c’è assolutamente alcuna differenza. La gente non capisce, crede che di là si passi in un’altra sala, si infila nel corridoio, tenta ostinatamente di aprire la porta”19. Anche il pubblico italiano avrebbe potuto farne esperienza, se si fosse realizzata la retrospettiva sull’artista annunciata per la primavera di quell’anno a Roma. Ma degli “store fronts” visti all’estero o in riproduzione qualcosa restò negli occhi, così da ritrovarne traccia nelle occasioni più impensate: alla Biennale di Venezia, chiusa per la contestazione studentesca, nelle fotografie delle vetrine oscurate dalla carta alle quali si affacciano inutilmente dei bambini e in quelle delle tele di Rodolfo Aricò imballate con carta e spago che furono pubblicate da Ugo Mulas su “Bit” nel giugno 1968. Nella tela grezza messa da Kounellis al muro (1968). E ancora nelle “lenzuola” di Fabro (1968), appese per gli angoli, flesse al centro e sciupate; nient’altro che lenzuola, ma anch’esse capaci di evocare solitudini personali, consuetudini familiari, insieme a un discorso più ampio sull’arte attraverso gli strumenti del mestiere pittorico (la tela da dipingere ridiventa una cosa qualunque): così le vetrine di Christo esibivano i termini dell’antica struttura retorica dell’arte (la superficie del quadro come piano trasparente, lo sguardo affacciato sul mondo). Di fronte all’enorme gonfiabile eretto quell’anno a Kassel si imposero altre considerazioni. L’artista aveva già sperimentato involucri in pvc gonfi d’aria e pure il panorama italiano offriva qualche prova analoga, fra cui “dei gonfiabili in plastica trasparente di Sarenco dagli ovvi riferimenti a Christo” (1969)20. Ma in quel caso, ancora più sorprendente delle dimensioni dell’opera, dei calcoli ingegnereschi necessari alla realizzazione, c’era la capacità di raccogliere i finanziamenti indispensabili a un’impresa onerosa e per giunta effimera. Per gli artisti che avevano condiviso la recente critica agli assetti istituzionali, quell’esempio non si limitava a mettere in

Il senso della storia Quando lavorò a Milano nel novembre 1970, Christo aveva già progettato alcuni interventi in città italiane. Se non si concretizzò quello per la GNAM a Roma23, nel giugno 1968 a Spoleto una torre medievale e una fontana seicentesca furono impacchettati sotto la direzione della moglie Jeanne-Claude; non mancarono polemiche, compresa una protesta di artisti romani, ma una prima ripresa si vide ad Amalfi, quando Pistoletto avvolse con stracci colorati i ruderi dell’Arsenale (1968). Del resto Trini insisteva a spiegare: “Lo stile, l’idea la novità, sono questioni caprine;

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Per il caso milanese non mancarono polemiche né ironie da parte di cittadini, artisti e autorità. Si era dapprima ventilato un intervento sul duomo, fu poi considerato e scartato l’Arco della Pace, si costrinse infine l’artista a disfare il lavoro già compiuto sul monumento a Vittorio Emanuele II per intervenire su quello a Leonardo davanti alla Scala. Così Buzzati:

l’urgenza di inventare non nella cultura, ma fuori della cultura, le ha sospese”24. Era così attraente quel modo di lavorare su una scala dilatata: i progetti e le fotografie di Little Bay in Australia si diffusero sulla stampa italiana come non era accaduto a nessun’altra opera dell’artista. “No, non è stato ancora trovato lo stile adeguato per raccontare le imprese di Christo”, commentò Trini. “Qui, mi pare, non è neppure più il caso di fare meraviglie: Christo ci riesce, ci sta abituando al fatto che lui ci riesce, e la sua idea dell’impossibile, che è l’idea semplice di quell’ignoto che ci fa dire ‘oh, ma è impossibile’, questa sua stessa forza che fa da spina dorsale della sua arte, è un’idea che ci trova ormai preparati. L’impossibile – impacchettare un miglio di costa – per Christo è possibile”25. L’artista fu quindi incluso nella mostra torinese Conceptual art arte povera land art curata da Germano Celant, ma i confini definitori erano labili poiché quelle esperienze avevano tutte superato la concezione duchampiana, legata a una dimensione oggettuale e quindi peritura: “Oggi si lavora nell’effimero permanente”26. Contava soprattutto “l’energia del cervello”27: verificabile, per Christo, nella dissociazione dell’esecuzione dalla responsabilità autoriale (come a Spoleto) e nell’esistenza immateriale delle opere (i progetti irrealizzati). Si riscontrarono altre conseguenze nell’arte italiana. Ad esempio nelle Transluminazioni di Bruno Contenotte (1970), anche lui “specialista in strane tecniche di appropriazione visiva” secondo Vittorio Rubiu: “Solo che Contenotte, invece di impacchettare un’intera porzione di ambiente urbano, s’è servito di una sequenza di diapositive appositamente trattate per avvolgere la facciata dell’edificio dove ha luogo la mostra in una fitta trama di immagini metamorfiche”28. E nell’intervento di Pier Paolo Calzolari alla mostra Processi di pensiero visualizzati, con i gradini d’ingresso al Kunstmuseum di Lucerna rivestiti in stagno (1970): eseguito in parallelo al lavoro di Christo sulla scalinata del museo di Filadelfia, era anch’esso conseguente a quello praticato nel museo di Chicago, dove la percezione fisica dello spazio era stata modificata dal tessuto grinzoso sul pavimento.

La gente si chiedeva: che significa tutto questo? È una presa in giro? È una “balossada” antimonarchica o addirittura antirisorgimentale? Qualcuno ha pensato a restauri. Altri a una lezione contro l’inquinamento atmosferico. Altri addirittura a un imballo per spedire il monumento a Torino (“L’è la Fiat che l’ha compràa!”). […] “L’è on giapones che l’ha fàa Gesù” (confondendo col nome Christo). Personalmente, il monumento così camuffato mi è sembrato molto notevole; certo meglio dell’originale che stava dentro e che, secondo molti, anziché onorare la memoria di Vittorio Emanuele, lo ridicolizza. […] Ma questi pacchi di Christo a prima vista balordi, non sono poi tanto stupidi. Prima di tutto creano una sorta di enigma su ciò che viene nascosto sotto. In secondo luogo, quegli immensi sudari, aderendo parzialmente all’oggetto, ne esprimono straordinariamente il dinamismo plastico o architettonico. Pensate, si parva licet componere magnus, alle tre Moire (decapitate) del frontone orientale del Partenone. La loro espressione non avrebbe tanta potenza tragica se Fidia, o Polignoto, le avessero fatte nude. È l’involucro, cioè i manti ricadenti in mille pieghe sulle membra, a farne un capolavoro. […] Personalmente, mi permetto di avanzare una timida proposta. Perché non rifare in marmo il monumento di Vittorio Emanuele II, esattamente come l’aveva modellato il signor Christo? Era solenne e fortissimo29.

Il lavoro di Christo aprì i festeggiamenti per il decennale del Nouveau Réalisme, a un anno dall’attentato in piazza Fontana; nessuno evidenziò la sfasatura fra le spregiudicate azioni condotte in città dagli artisti di Restany e la tragica realtà sociale che si stava profilando: l’incendio appiccato

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Nel clima di generale ripiegamento pessimistico, accentuato dalla crisi energetica, si verificarono inaspettate divergenze nella fortuna critica dell’artista. Restany cominciò a storcere il naso davanti alle imprese di Christo: “Cosa rappresentano in effetti queste vertiginose prodezze in rapporto alla terribile posta del ritorno all’essenza del pianeta terra? Esse resteranno le testimonianze enfatiche del mondo ricco e da ciò saranno sacrificare alle scoperte del mondo povero”36. Trini ne rilanciò invece il significato:

da una ventina di sospetti neofascisti al telone che copriva il Leonardo sembrò replicare l’autocombustione di una propria scultura programmata poche ore prima da Jean Tinguely in piazza Duomo30. Alla fine ci si limitò a deprecare tanto rumore “a proposito di un movimento tutto sommato abbastanza provinciale e un po’ periferico”31. Agire nello spazio pubblico implicava una responsabilità di carattere politico che non poteva esaurirsi nell’accezione ludica dei novorealisti. Per questo Christo appariva estraneo al gruppo. Non a caso, nella presentazione dei suoi lavori si continuò a insistere nell’enumerazione dei dati quantitativi in termini dimensionali, finanziari e sociali, che per Celant superavano l’evidenza dei risultati estetici32 e per Trini ne costituivano la condizione necessaria33. Per le modalità operative con cui scavalcava ogni mediazione, interpellando direttamente cittadini e istituzioni al fine di realizzare anche i progetti più impegnativi, Christo finì per alimentare con il suo esempio una certa retorica anticapitalistica, ostile al sistema dell’arte. L’evento milanese determinò di fatto un infittirsi della sua presenza nelle gallerie italiane, in mostre collettive e personali, e fra gli artisti vantati nel deposito permanente delle singole sedi, con l’offerta di progetti e fotografie degli interventi ambientali, tirature in serie e iniziative editoriali, mentre il suo nome veniva ormai pronunciato in sede giornalistica come termine di confronto nelle occasioni più disparate. Fu un gioco capovolgere i vecchi equivoci: erano ormai le statue nel giardino di Boboli a Firenze, protette con teli verdi dai rigori invernali, a sembrare lavori di Christo34. Davanti alle immagini di Valley Curtain, l’immensa tenda arancio appesa alle sponde di una valle in Colorado, si ripeté l’incanto: “Trasparenze, luci, folate, attraverso e sotto la tenda. Centinaia a guardare. Poi un vento eccezionale (oltre 60 miglia all’ora) induce ad iniziare lo smontaggio. Ma il fatto è avvenuto (ogni allunaggio è breve)”35. Non mancarono tuttavia polemiche quando i relativi documenti furono esposti nel 1973 a Milano, dove rimase irrealizzata la retrospettiva prevista per l’anno seguente: nel febbraio 1974 l’impacchettamento di Porta Pinciana a Roma suscitò contestazioni e un atto incendiario.

“Running Fence” mi dice Christo […] è il lavoro più grande che un artista abbia mai fatto […] non solo sotto l’aspetto dell’estensione e della dimensione propria, ma per tutte le implicazioni sociali, economiche, urbanistiche, ecologiche, culturali che scatena, per tutti i problemi che non sembrano avere nulla a che fare con il lavoro di un artista ed invece ci si accorge che sono i nodi, le contraddizioni, le riserve e le incognite che più lo riguardano e che inoltre riguardano le strutture sociali e culturali su cui va ad agire […]37.

A riscontro, la rivista “Data” ospitò un istruttivo dibattito sulla difficile ricezione dell’artista nell’ambito statunitense che si era orientato sull’arte concettuale: per Trini, che dirigeva la testata, non funzionava l’accorpamento sostenuto da Celant. “La mia difesa di Christo va di pari passo con il mio attacco a tutto lo snobismo e l’arroganza che vuole che le sole cose interessanti debbano essere quelle fredde, intelligenti, lucide, tirate, che si vedono in giro”, denunciò allora lo scultore Richard Nonas. “Io dico che Christo è un uomo e un artista molto serio che lavora duramente. A parte tutte le questioni di denaro, di tempo ecc., la sua è un’arte molto seria e questo i critici non sono disposti ad ammetterlo. Perché la loro definizione di arte seria è estremamente limitata”38. Nella realtà italiana urgevano tuttavia altre questioni, di fronte ai limiti ormai evidenti dello sviluppo industriale, alla violenza terroristica, alla crisi delle rappresentanze politiche, al degrado urbanistico. Achille Bonito Oliva volle rimarcare la scala necessariamente gigantesca dei lavori di Christo, “in quanto tutti i problemi dell’organizza-

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zione dell’arte subiscono un’amplificazione che meglio evidenzia il rapporto fra l’artista e il suo contesto”39, una valutazione che nei casi italiani implicava anche il problema dell’incidenza dell’arte contemporanea nelle città storiche. Nel 1978, in occasione della mostra Perimetri che disseminò opere processuali, concettuali e azioni fra strade e piazze romane, aggiungendo in catalogo le fotografie di

Porta Pinciana, lo stesso critico evidenziò come gli artisti convocati scardinassero con le loro iniziative effimere “l’idea statica della monumentalità”40. Ma sulla conseguente accezione di avanguardia quale operazione “di legamento e di continuità con alcuni modelli linguistici, morali e politici della storia dell’arte”, anziché di contraddizione e frattura, era difficile tenere ancorato il lavoro di Christo.

Un ringraziamento particolare a Fabio Belloni, per aver portato la mia attenzione sulle opere di Luciano Fabro e Jannis Kounellis.

18 Impacchettando Christo, in “Pianeta fresco”, dicembre 1967, pp. nn. 19 D. Buzzati, Documenta, in “Il Corriere della Sera”, 17 agosto 1968, p. 3. 20 A.C. Quintavalle, Reggio Emilia. Sala Comunale. Amodulo Art, in “NAC”, 15 dicembre 1969, p. 17. 21 T.T., Pneu-realtà, in “Domus”, ottobre 1968, p. 50. 22 Né boss né mecenati, ibidem. 23 Sulla vicenda si veda Marson, Wrapped Museum. Un progetto di Christo cit., pp. 297-302. 24 T.T., Rapporto da Amalfi, in “Domus”, novembre 1968, p. 61. 25 Id., Le bianche scogliere e l’immaginazione luminosa, in “Domus”, febbraio 1970, p. 55. 26 G. Celant, Archivio. Denis Oppenheim, in “Casabella”, marzo 1970, p. 42. 27 Id., Conceptual art, in “Casabella”, aprile 1970, pp. 4250. 28 V. Rubiu, A San Benedetto del Tronto. Di là della pittura, in “Il Corriere della Sera”, 10 agosto 1970; sulla mostra cfr. A. Acocella, Avanguardia diffusa. Luoghi di sperimentazione artistica in Italia 1967-1970, Milano-Macerata 2016, pp. 123-145. 29 D. Buzzati, Polemiche per il re “impacchettato”, in “Il Corriere della Sera”, 26 novembre 1970, p. 8. 30 Contestato col fuoco l’“imballaggio” di Leonardo, in “Il Corriere della Sera”, 29 novembre 1970, p. 9. 31 A. Arbasino, Le fanfare della metafora, in “Vogue”, gennaio 1971, p. 73. 32 G. Celant, Arte come forza-lavoro, in “Casabella”, giugno 1970, p. 35. 33 Trini, Le bianche scogliere cit. 34 F. Brunetti, Christo si è fermato a Boboli, in “Casabella”, maggio 1971, pp. 53-54. 35 Christo completes Valley Curtain, in “Domus”, ottobre 1972, pp. 45-46. 36 P. Restany, L’arte contemporanea alla scoperta del mondo povero, in “Qui Arte Contemporanea”, settembre 1975, p. 7. 37 Christo: Running Fence, in “Data”, giugno-agosto 1975, p. 45. 38 La discussione che corre, in “Data”, dicembre 1976, p. 57. 39 A. Bonito Oliva, Come costruire un muro da due milioni di dollari, in “Il Corriere della Sera”, 10 gennaio 1977, p. 7. 40 Id., Artisti e centro storico, in “Il Corriere della Sera”, 18 maggio 1978, p. 13.

1 E. Sottsass jr, Dada, New dada, New Realists, in “Domus”, febbraio 1963, pp. 27-32, ill. p. 32. 2 P. Restany, Un giovane “neo realista” a Parigi, in “Domus”, maggio 1963, pp. 52-56 (trad. dell’autrice). 3 M. Valsecchi, Cristho fra i pacchi. Stranezze per intellettuali annoiati, in “Il giorno”, 14 luglio 1963, p. 12. 4 D. Buzzati, I pacchi di Christo, in “Corriere d’informazione”, 26-27 giugno 1963, p. 3. 5 A. Dragone, Si vaga per la Mostra con l’angoscia negli occhi, in “La stampa”, 8 luglio 1963, p. 5. 6 P. Fossati, XV mostra d’arte contemporanea, in 15a mostra d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Torre Pellice 1964, pp. nn. 7 P. Marinotti, Trasformazioni, in Campo vitale. Mostra internazionale d’arte contemporanea, catalogo della mostra, Venezia 1967, pp. nn. 8 Campo Vitale a Palazzo Grassi, in “Flash”, ottobre 1967. 9 S. Marson, Wrapped Museum. Un progetto di Christo per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in L’officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Roma 2014, p. 299. 10 L. Locatelli, Un bel pacco con dentro un’indossatrice, in “Il giorno”, 7 novembre 1963, p. 5; P. Restany, Al “Salon de mai”, il “nuovo naturalismo”, in “Domus”, luglio 1964, p. 34; O. Hahn, in Christo, Milano [1965], pp. nn.; D. Buzzati, Per un milione un prosciutto o un sasso, in “Corriere d’informazione”, 29-30 luglio 1967, p. 3. 11 T. Trini, Visivi, vitali, visionari, in “Domus”, ottobre 1967, p. 44. 12 E. Crispolti, Appunti su Christo, in “Qui Arte Contemporanea”, maggio 1974, p. 42. 13 F. Menna, Una originale mostra d’arte a Montepulciano, in “Il mattino”, 6 agosto 1970; sulla mostra cfr. F. Belloni, Approdi e vedette. Amore mio a Montepulciano, in “Studi di Memofonte”, inverno 2012, pp. 121-165. 14 F. Menna, Christo al “Centro” e alla “Modern Art Agency”, in “Il mattino”, 1 giugno 1973. 15 F. Belloni, 1970-1974: temi, passaggi, contropartite, in Gli anni Settanta. Roma in mostra, a cura di D. Lancioni, catalogo della mostra, Roma 2013, pp. 32-41. 16 A. Altamira, Accademismo e nuove alternative, in “NAC”, maggio 1973, p. 10. 17 Crispolti, Appunti su Christo cit., p. 42.

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Wrapped Floors and Stairway, and Covered Windows, Palazzo Bricherasio 1998. Cronologia di un evento

La scelta del capoluogo piemontese per inaugurare il ritorno artistico in Italia dei due coniugi risale a due anni prima. Era infatti il 1996 quando, durante un loro soggiorno torinese, i due artisti trovarono nelle istituzioni provinciali e nella Fondazione Palazzo Bricherasio i partner ideali per il grande rientro italiano, dopo molti anni di assenza. Agosto 1998. Eccomi in veste di neodirettrice della Fondazione Palazzo Bricherasio: perdonerà il lettore l’uso del tempo presente che utilizzerò nel ricordare questo evento. È dettato dal forte coinvolgimento personale che mi spinge a descrivere quanto accaduto da ‘dentro la storia’. Una sorta di crioterapia del racconto.

DANIELA MAGNETTI

Ogni progetto nasce dalla testa e dal cuore. I nostri lavori sono, in primo luogo, un grido di libertà. Christo e Jeanne-Claude1

A metà agosto i due artisti sono a Torino per un sopralluogo e vengono intervistati da Osvaldo Guerrieri per “La Stampa”, che così racconta l’incontro:

È il primo luglio del 1998, quando un trafiletto sul quotidiano torinese “La Repubblica” segnala:

Fa un certo effetto stringere la mano a Christo. In autunno andrà finalmente in porto la collabo-

L’uomo che ha impacchettato il Reichstag di

razione con il fantasioso Christo, artista di origine

Berlino, le mura Aureliane di Roma, ha un’aria

bulgara, noto per la sua passione all’impacchet-

mite, quasi ascetica. L’immagine del titano non

tamento di palazzi e monumenti naturali. Non

appartiene alla sua natura. Ma c’è sua moglie

dovrebbe “confezionare” Palazzo Bricherasio,

Jeanne-Claude che pareggia i conti. Vulcanica,

in questo caso, ma intervenire sull’ala storica e

irrefrenabile, sanguigna d’animo come di capelli,

forse in qualche altro angolo torinese2.

la signora Jeanne-Claude è del tutto complementare al marito: pensa con lui, agisce con lui,

Un soffio che preannuncia quanto battuto dall’Ansa il 24 luglio: Stamane alle 11 nella Sala Marmi a palazzo Cisterna, in via Maria Vittoria 12, la Provincia di Torino e la Fondazione Palazzo Bricherasio presentano la mostra Christo e Jeanne Claude, che verrà inaugurata il 9 ottobre a Palazzo Bricherasio. L’opera che Christo realizzerà è ancora in parte avvolta dal mistero, dopo oltre due anni di gestazione. Di certo, si sa che sarà una copertura, di grandi dimensioni, di alcune strutture interne del Palazzo, e che rimarrà installata fino alla fine della mostra, prevista per il 17 gennaio 1999 (fig. 1).

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1

Il manifesto dell’evento torinese del 1998 sulla facciata di Palazzo Bricherasio


capacità di coinvolgimento del pubblico attraverso la tecnica del wrapped, inusuale e spiazzante e, inoltre, caso rarissimo per un artista, caratterizzata dalla scelta dell’autofinanziamento progettuale. Christo e Jeanne-Claude, insieme al loro staff, iniziano a lavorare al Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows a metà settembre. Li osservo per giorni, vedo l’opera nascere e svilupparsi, sin dalla prima increspatura della stoffa.

e con lui va all’attacco di prudenze politiche da 3

sgretolare, di paure governative da sciogliere .

Una coppia artistica e una coppia nella vita: Sono soltanto tre le cose che non facciamo insieme. Uno, non voliamo insieme. Due, io non disegno: Christo mette su carta le nostre idee e le realizza nel suo studio; lui è bravo nella manualità, costruisce da solo anche le cornici. Tre, Christo non ha mai incontrato il nostro commercialista4.

Lui, creduto a lungo un puro folle; lei, considerata un’amministratrice o un’agente, quando in realtà era costola delle costole. Spiega Jeanne-Claude:

Siamo venuti qui due anni fa – confermano in un’intervista Christo e Jeanne-Claude – e abbiamo scoperto Palazzo Bricherasio e pensato per esso a una ‘installazione intima’. Non è la

All’inizio era giusto far credere che fosse così. Gli

prima volta che operiamo all’interno; abbiamo

esordi sono difficili per uno solo, figuriamoci per

visitato le sue sale storiche, ci sono piaciute e

due. Ma cinque anni fa ci siamo guardati, ab-

così ci siamo proposti di creare qualcosa. Ab-

biamo detto: siamo vecchi, possiamo benissimo

biamo comprato un mucchio di metri di stoffa

figurare insieme. Così, da cinque anni, esiste la

in America (quella che serve per coprire i mobili,

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per non rovinarli) e ci siamo comportati come

ditta Christo and Jeanne-Claude .

l’imbianchino che si appresta ad avviare i lavo-

È autunno quando tornano a Palazzo Bricherasio per un inedito incontro tra architettura barocca e arte contemporanea.

ri nel Palazzo. Abbiamo coperto il pavimento e coperto tutte le parti che avrebbero potuto sporcarsi. Questa tela è formata da un tessuto molto solido, che permette di rendere l’ambiente mol-

La mostra a Torino è un appuntamento impor-

to silenzioso. Il visitatore dovrà fare attenzione

tante: è il nostro ritorno in Italia. O meglio il no-

a dove metterà i piedi, perché diventerà molto

stro ritorno artistico. Perché in Italia, in realtà,

importante l’azione del camminare, diventerà

ci veniamo ogni anno per incontrare a Padova

sensuale, per questo vi consiglio di togliere le

un amico speciale: il Giotto della cappella degli

scarpe per meglio rendervene conto. Se vole-

Scrovegni. A 24 anni dall’ultimo happening di

te potete anche sdraiarvi per terra. Abbiamo

Milano, siamo finalmente pronti allo sbarco. Pre-

coperto i vetri delle finestre con della carta che

senteremo collage, disegni, fotografie e modelli

ha diffuso nelle sale un’ atmosfera ovattata per

in scala. Poi, come sempre, interverremo sulla

mezzo dei riflessi color miele creati dalla luce del

sede coprendo le finestre con carta da pacco e

sole. Abbiamo voluto creare quest’istallazione

vestendo i pavimenti con del tessuto, quello che

per dare un senso di tranquillità all’ambiente e

negli Stati Uniti viene utilizzato dagli imbianchini.

alla superficie che si calpesta7 (fig. 4).

Con la prima operazione si creerà una luce mor-

A terra, i due artisti, posano milleduecento metri quadrati di tessuto di cotone, per ricoprire lo scalone d’onore, avvolgere la balaustra e le antiche fioriere in pietra, camuffare gli arredi, le panche e i camini, e trasformare i parquet dei cinque saloni seicenteschi. Da sempre Christo

bida, quasi mielata. Con la seconda obblighe6

remo il pubblico a pensare dove mette i piedi .

Le parole di Jeanne-Claude destano stupore e sorpresa. Anche in questa occasione si tratta di una ricerca artistica fortemente innovativa per la

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e Jeanne-Claude scelgono materiali capaci di sopportare tensioni spaventose, come quelle generate dal vento e dalle funi che trattengono le coperture in esterno: pezzi di costa, miglia e miglia di campi coltivati, l’intero Reichstag di Berlino (fig. 2). “Qui, in un interno nobiliare piemontese, il tessuto perde la forza eroica delle vele e piuttosto rievoca le lenzuola: quelle con cui un tempo si ricopriva il mobilio delle sale di rappresentanza per non sciuparlo tra un ricevimento e l’altro”, scrive Angela Vattese8. Impacchettamento?

Christo and Jeanne-Claude, Wrapped Reichstag, Berlino, 1995

È una cosa perfettamente normale. Quando dipingiamo i muri di casa, copriamo i mobili, i divani […] Si tratta di proteggere e, proteggendo, si rivela. Cos’era il Reichstag prima che lo impacchettassimo? Un’immensa costruzione vittoriana, piena zeppa di particolari architettonici. Impacchettandolo, lo abbiamo ricondotto al cuore della sua forma. Così coperto, non era più statico, ma viveva nella fluttuazione della stoffa e nel soffio del vento.

Quando Christo rilascia l’intervista si infervora, muove le mani e fa scintillare gli occhi dietro le lenti dalla montatura nera. Dice:

All’inizio, quando proponevano queste cose, quando giravano il mondo per impacchettare e legare, i Christo erano considerati pazzi. Che cosa provavano?

Il pacco non è l’elemento costante del nostro lavoro. È più importante il rivestimento, l’uso della terra: preoccupazione ricorrente nel lavoro degli artisti da cinquemila anni.

Niente. Era la stessa reazione che suscitavano Cézanne e Picasso. Ma oggi le cose non sono

Christo racconta di Rodin. Scolpì una statua di Balzac. Lo fece nudo, con il busto enorme, il ventre dilatato, le gambe secche e gracili: una creatura ridicola.

cambiate. Abbiamo difficoltà a far accettare i nostri progetti, dobbiamo spiegarci, spiegare. La gente ha sempre paura del nuovo.

Quando ci riescono mettono in attività un cantiere, con decine di operai, di tecnici, di specialisti.

Poi prese un mantello, lo drappeggiò intorno alla statua e ridiede a Balzac dignità. Questa storia del tessuto è per noi fondamentale, è la materia più importante per tradurre le caratteristiche tem-

Noi facciamo arte, non lavoriamo. Creiamo gio-

porali del nostro lavoro. Il tessuto è fragile, mobile

ia e bellezza senza utilità pratica, senza simboli,

e prezioso. […] È anche sensuale – aggiunge Je-

senza messaggi. Dopo la realizzazione i ma-

anne-Claude – per questo vorremmo che a Tori-

teriali vengono riciclati, i luoghi che abbiamo

no la gente si sedesse a terra, toccasse.

trasformato vengono restituiti al loro aspetto

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3

modificare drasticamente l’aspetto e la sensazione dello spazio, generando un’atmosfera di silenzio e tranquillità, resa magica da un tessuto che assorbe il rumore dei passi ed è capace di mutare continuamente, per effetto di increspature, pieghe ritmiche e sfumature d’una sensualità lieve: la veduta d’insieme appare densa come una superficie scritta e ricorda i vorticosi disegni di vivaci correnti d’acqua: “Una marea di tessuto increspato e fluttuante si addentra negli anfratti, esce dalle porte, ricopre le specchiere” scriverà, qualche giorno dopo l’inaugurazione, Gillo Dorfles11. Ci sono artisti contemporanei che risultano facilmente identificabili, nello stile come nell’ideologia estetica, per opere particolarmente caratteristiche e originali. Lucio Fontana è stato l’artista di “tagli e buchi”, Alberto Burri di “sacchi e cretti”, anche se per entrambi non si può considerare esaurita la loro produzione nei tagli e nei cretti. Impacchettare, stendere, coprire, bendare, imbavagliare, foderare... sono i verbi ricorrenti nella rassegna stampa per definire l’intervento di Christo e Jeanne-Claude. Scrive Vittorio Sgarbi:

Surrounded Islands, Biscayne Bay, Greater Miami, Florida, 1983

originale. Salvo una volta quando eliminammo quaranta tonnellate di immondizie dalle isole vicino a Miami9.

Dalle pareti, tra specchi e arazzi, i vetri delle finestre di Palazzo Bricherasio, coperti con 65 metri quadrati di carta da imballaggio marrone chiaro, lasciano filtrare nelle stanze una luce color miele che sfiora soffusamente i panneggi, mutando l’esperienza del visitatore a seconda del momento del giorno o della notte. Descrive Marco Vallora:

Quando definiamo Christo come l’artista dei

Questo tappeto infinito di panna non avvolge l’e-

Nelle diverse interviste rilasciate in occasione degli eventi di Palazzo Bricherasio, i due artisti sottolineano di non gradire la dicitura di impacchettatori, rifiutano Christo e Jeanne-Claude di incasellare le loro “avventure artistiche”.

wrapped non si commettono invece arbitri valutativi o schematismi riduttivi. Infatti per tutta la sua lunga carriera, l’autore di origine bulgara ha concepito in un solo modo l’oggetto artistico: il suo impacchettamento, il suo bandage (legamento), in fondo la sua negazione12.

dificio, si limita a invadere l’interno del piano nobile, quasi un serpente liquido ed increspato, che fuoriesce da porte, specchi, camini. Un’alluvione solida di schiuma di tessuti brizzolati e riccioli. Una colata di bave solide, come se un’enorme lumaca intraprendente avesse lappato via da

Sono lavori che hanno aspetti diversi. Così come

quelle stanze ogni memoria di una vita preesi-

lo abbiamo rivestito il Pont Neuf poteva essere una

stente. E l’effetto è dirompente: come una casa

grande scultura di marmo giallo, ma è anche archi-

di spiriti partiti per la villeggiatura10.

tettura proprio perché è un ponte. Gli oltre tremila ombrelloni blu che abbiamo collocato in Giappone,

La trasformazione delle sale auliche di Palazzo Bricherasio è minima, ma più che sufficiente a

alti come case di due piani, come tetti senza muri, sono un intervento di pianificazione del territorio13.

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conoscere... “È la nostra scelta. Nei nostri lavori è presente una qualità estetica supplementare, la tenerezza per le cose che durano, come l’infanzia, come la vita. Del resto, quando fermiamo gli occhi sull’opera d’arte, la creatività è già finita”15. Per loro, l’arte non è immortale, ogni installazione è un atto unico, un’epopea a termine: “Il suo compito è regalare un momento di gioia e bellezza. Siamo bombardati dalla trivialità del ripetibile, quello che ci manca è proprio l’unicità”16. Jeanne-Claude rilascia interviste, spiega, parla a nome di entrambi. Il loro lavoro è una continua ricerca estetica del rivelare nascondendo, capace di evidenziare quella bellezza intrinseca propria di spazi e luoghi, che spesso, per l’abitudine del pigro vedere quotidiano, viene sottratta allo sguardo. La sottrazione come forma di ricatto. Nascondere

Jeanne-Claude rimarca con decisione: La cosa che ci fa arrabbiare è che la gente pensa che noi siamo quelli che impacchettano tutto. È falso. Abbiamo innalzato una vela che si inoltrava per chilometri nell’entroterra californiana e hanno detto che avevamo impacchettato il deserto; abbiamo piantato migliaia di ombrelli in Giappone e non ci sembra che i pacchi c’entrino; infine abbiamo circondato le isole della Florida con chilometri di tela rosa e anche lì hanno parlato di impacchettamento. Forse che l’Inghilterra è impacchettata dal mare? (fig. 3). Quanto ai monumenti coperti di tela non si può dire che siano dei pacchi. Il Pont Neuf, oppure il Reichstag hanno moltissimi dettagli, finestre, statue: noi rendiamo visibile soltanto l’essenza, il volume, la struttura dei dettagli stessi. Ecco, con questa mostra torinese, vorremmo proprio che gli italiani capissero come evolve un nostro progetto. Ci sono disegni, collage, tutto quello che porta alla realizzazione del progetto vero proprio, che potrà vedere la luce o non vederla. In mostra, per esempio, potrete vedere due progetti pronti per partire. Il primo che avrà il nullaosta partirà, l’altro resterà un bel progetto14.

Dei due, che prevedevano come scenario il Central Park di New York e il fiume Arkansas in Colorado, è The Gates a diventare realtà. Ma in quel giorno di ottobre del 1998, Christo e Jeanne-Claude non potevano ancora saperlo. Sarebbero dovuti passare altri sette anni prima che a New York, il primo febbraio del 2005, i due artisti concretizzarono la loro monumentale installazione temporanea in Central Park. Come The Gates e tutte le altre installazioni di Christo e Jeanne-Claude, anche Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows è destinata a scomparire. Viene il momento in cui la trasformazione si arrende al passato e il monumento o l’edificio o il sito naturale ricompaiono, si rivedono dopo un periodo in cui l’impatto percettivo, che avevano esercitato celato dai panneggi della copertura, cessa e ritorna a essere quello abituale. Vedere, intuire ciò che viene celato, rivedere, ri-

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Christo e Jeanne-Claude durante l’allestimento di Palazzo Bricherasio nel 1998


in una dimora dove fervono lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, una sorta di rinvestimento precauzionale che occulta le parti più esposte e rischio. L’operazione estetica è proprio questa: rendere l’estremità di una simile incursione compatibile col clima formale che si impone il visitatore quando entra nelle sale del Palazzo. Commentare, insomma, lo pseudo barocchetto con il contrappunto “povero” del tendaggio da lavoro, che diventa decorativo, a sua volta retorico e barocco. Ma ciò che viene occultato e davvero emblematico al punto che riusciamo a vederne meglio lo spessore estetico? Palazzo Bricherasio è una sede adeguata al teorema di Christo? In realtà, questo semi-impachettamento sembra determinato dalla scelta della sede: facendo una 5

Christo, Package on Wheelbarrow, 1963

per stimolare il ricordo attraverso i sensi. La vista, ma anche il tatto e l’udito. Le ripercussioni di questi avvolgimenti, infatti, sono anche acustiche: una modificazione percettiva, una sospensione in un’atmosfera nota, ma inusuale. Come sottolinea Jeanne-Claude, “nascondere impacchettando è anche sottolineare, far vedere. La psicoanalisi ci ha insegnato quanto il piacere morboso, indicibile, nasca proprio dall’interdetto e dal proibito”17. Sospesi fra passato e presente, impacchettando oggi opere di ieri per imprimere sull’antico il marchio della modernità, Christo e Jeanne-Claude animano il gioco tra passato e futuro, fra le loro opere e gli spazi e i territori in cui questi si inseriscono, scorrendo sul filo teso del tempo. Rinasce il passato che, apparentemente nascosto, viene invece evidenziato. Mettere in rilievo le forme nascondendole, estraendo di volta in volta oggetti, edifici e parti della natura che assumono un’identità diversa, crea una percezione forte capace di stupire, di colpire la fantasia e, immancabilmente, di scatenare polemiche. Scrive, ad esempio, Maurizio Cecchetti:

mostra in quel luogo Christo ha cercato di imporgli un segno emblematico usando il suo vocabolario più collaudato. Ma l’effetto, dopo tutto, è artificioso, procurato più che effettivo, contingente più che essenziale: l’estetica del Palazzo assorbe, insomma, il contenuto etico sottinteso nell’intervento dell’artista e lo svuota fino a ridurlo a contenuto epidermico, cioè a non-contenuto: anche qui Christo è troppo barocco per risultare credibile18.

La magia dei lavori dei due artisti sta nell’impossibilità di farli propri in una temporalità che rappresenta la metafora dell’esistenza. Ad affiancare l’installazione di Palazzo Bricherasio, una mostra antologica capace di raccontare la vita artistica ‘visionaria’ di Christo e Jeanne Claude, dai primi oggetti inscatolati in casa (sedie, bottiglie, tavolini, scarpe) fino ai “progress”, un’esposizione che ha il merito di presentare il ‘dietro le quinte’, ovvero la grande attività di ricerca che sta alle spalle di ogni operazione. Pur essendo vicini ad alcune premesse del Nouveau Réalisme, Christo e Jeanne-Claude non sono inquadrabili nell’ambito ristretto di una corrente: nella loro Kulturalschauung si ritrovano infatti presupposti concettuali che pongono in primo piano interrogativi sulle relazioni funzionali, situazionali e percettive nell’arte. Di conseguenza, il loro lavoro abbraccia un vasto territorio e assume

Chi, salendo le scale di Palazzo Bricherasio [il conte Bricherasio è immortalato in un quadro di Delleani che lo mostra firmatario principale tra i fondatori della Fiat, nda] si trova a calpestare la tela giallino pallido che Christo e il suo staff hanno disteso, avrà l’impressione di essere entrato

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Christo, Package, 1958

cabilità dell’oggetto consente altresì di riportare in vita frammenti di storie con memorie di civiltà del passato. Tutti questi concetti sono ben visibili nei numerosi oggetti, collage, documenti, fotografie, modelli in scala presenti nella mostra antologica di Palazzo Bricherasio. La mostra, allestita da Josy Kraft e coordinata da Ettore Camuffo, suddivisa in cinque sezioni, apre con il decennio 1958-1969, periodo in cui l’artista bulgaro (nato come la moglie Jeanne-Claude il 13 gennaio 1935) ha messo a punto il suo linguaggio tra New York e Parigi. In Early Works compaiono i 204 barili che nel 1962 servirono alla realizzazione della barricata in rue Visconti a Parigi, dove la struttura architettonica del sito fu interamente modificata mediante elementi di scarto assunti dalla vita quotidiana. Presenti anche pacchi e oggetti impacchettati (fig. 5-7), vetrine, i primi interventi su grandi palazzi e ambienti naturali, per finire con strutture aeree, quali ad esempio la monumentale installazione realizzata a Kassel nel 1968, su invito di Documenta 4.

una notevole ricchezza semantica. Gli interventi progettuali mirati ora a edifici ora a oggetti ora a parti di paesaggio implicano sempre due operazioni complementari: l’isolamento di una porzione di realtà e la sua ricollocazione in un contesto diverso. La pars destruens dell’operazione consiste dunque nel “distaccare” un oggetto, un sito, un edificio dal suo ambiente naturale, così da renderlo autonomo; segue il suo momento ricostruttivo che si identifica con la ben nota operazione di empaquetage, un gesto che comunque va oltre la platealità immediata. Esso determina una vera e propria metamorfosi dell’atto di mostrare. In questo caso, infatti, il disvelamento è ottenuto attraverso un procedimento che nasconde, in un arco temporale ben definito. La spazialità e il tempo diventano funzioni di un’operazione complessa nella quale viene esaltata la facoltà pragmatica. L’oggetto decontestualizzato acquista un’autonomia traducibile in uno stimolo intenso comunicato direttamente all’osservatore, che interagisce con la situazione nuova venutasi a delineare. La progettualità dei due artisti amalgama arte e scienza, definendo e articolando la realizzazione dell’opera in genere, mantenendo viva la curiosità grazie al fatto che l’atto di impacchettamento lascia affiorare un importante sfondo enigmatico. La modifi-

Con l’imballaggio, fatto di materiali ‘poveri’ e ‘anti artistici’ come la carta, la fune, la tela, Christo ha creato una forma concettuale con cui demonizzare l’isteria mercificatrice dell’uomo moderno,

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la sua onnipotenza consumistica, il suo rapporto

Dopo il wrapped australiano, Christo diventa

sadomaso con l’oggetto. I primi appuntamenti

sempre più provocatorio nell’affrontare l’incom-

motivo di notevoli successi tra Parigi e New York

prensione dell’opinione pubblica, barocco nella

riguardano oggetti di piccole dimensioni come

grandiosità dei suoi happenings effimeri, indif-

bottiglie e calcolatrici da tavola. Poi, nel 1969, la

ferente a spese di allestimento, insolente nella

svolta “gigantista”: Christo imballa un lembo della

volontà demitizzatrice di iniziative che prendono

Little Bay, nei pressi di Sydney, ironizzando pole-

preferibilmente di mira monumenti o scorci pae-

micamente sulla mercificazione industriale ormai

saggistici di particolare celebrità.

senza limiti19.

La terza sezione Works in progress presenta opere in fieri, fra cui The Gates in Central Park e Over the River in Colorado. In questa sezione, come nella precedente, sono raccolti i documenti relativi alla fase di organizzazione e preparazione delle opere, frutto non di una semplice “idea”, ma di impegno tenace. Ampio spazio è dedicato al progetto ciclopico della piramide di bidoni intitolata Mastaba di Abu Dhabi, una gigantesca piramide da realizzare con migliaia di barili di petrolio colorati (390.500 per la precisione progettuale), monumento al XX secolo. La quarta sezione ospita testimonianze della presenza di Christo e Jeanne-Claude in Italia, rievocando soprattutto i lavori svolti a Spoleto nel 1968 e le successive, discusse presenze a Milano nel 1970, quando in piazza della Scala impacchettarono il monumento a Leonardo da Vinci, e a Roma, con l’intervento sulle Mure Aureliane. La quinta sezione è dedicata alla proiezione del materiale cinematografico girato nel corso dei maggiori lavori realizzati a partire dal 1969 fino all’illuminante documentario che illustra oltre vent’anni di sforzi per la copertura del Reichstag di Berlino del 1995 (fig. 2). Quando, a gennaio 1999, lasciarono Palazzo Brichersio, dopo che oltre ventimila visitatori avevano camminato sulla loro stoffa e dialogato con le loro opere20, i due artisti erano pronti per l’avventura successiva. Li attendevano gli alberi del parco della Fondazione Beyeler a Basilea: un progetto di quarantasettemila metri quadrati di tessuto traslucido per centosettanta alberi. “Sembrerà che le nuvole siano scese all’altezza degli alberi” anticipano i due artisti. “Per realizzare questo Wrapped trees hanno atteso niente meno che 30 anni”21. Dovremmo attenderne quasi altrettanti per vedere

Ed è proprio a Little Bay, con il progetto Wrapped Coast, che è dedicata la seconda sezione della mostra, ricca di modelli in scala, fotografie e documenti della loro prima grande opera, per la quale è occorso oltre un milione di metri quadrati di telone resistente all’erosione marina, trentasei miglia di corda, centinaia di scalatori specializzati per operare l’imballaggio di parecchi chilometri di scogliera (fig. 8). Scrive Vittorio Sgarbi: 7

Christo and Jeanne-Claude, Wrapped Night Table

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8

Christo and Jeanne-Claude, Wrapped Coast, One Million Square Feet, Little Bay, Sydney, Australia, 1968-1969

The Floating Piers: il pontile lungo oltre tre chilomentri, largo sedici metri e alto cinquanta centimetri, composto da duecentomila cubi di polietilene e ricoperto con settantamila metri quadrati di stoffa gialla dialogare con le acque del lago d’Iseo.

1

In “Milano Finanza”, 17 ottobre 1998.

2 E dopo la montagna è in arrivo Christo, in “La Repubblica”,

1 luglio 1998 3 O. Guerrieri, Christo e Jeanne-Claude arte da toccare e calpestare, in “La Stampa”, 15 agosto 1998. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 S. Legrenzi, Noi impacchettiamo il mondo, in “Io Donna”, supplemento a “Il Corriere della Sera”, 10 ottobre 1998. 7 C. Rej, Christo, in “News Italia Press”, 28 ottobre 1998. 8 A. Vattese, Bozzetti e progetti tra nostalgiche lenzuola, in “Il Sole 24 ore”, 25 ottobre 1998. 9 O. Guerrieri, Christo e Jeanne-Claude arte da toccare e calpestare, in “La Stampa”, 15 agosto 1998. 10 M. Vallora, Christo sul fiume di stoffa, in “La Stampa”, 10 ottobre 1998. 11 G. Dorfles, Christo: una corda per firmare, in “Il Corriere della Sera”, 12 ottobre 1998. 12 V. Sgarbi, Come ti impacchetto il mondo intero, in “Grazia”, 11 dicembre 1998. 13 P.G. Betti, Christo, l’arte di “impachettare il mondo”, in “L’Unità”, 25 ottobre 1998.

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Io, nel 1998, non potevo neppure lontanamente immaginarlo, ma, come dissero profeticamente in un’intervista Christo e Jeanne-Claude, “le nostre opere d’arte sono molto più grandi di quanto non sia la nostra immaginazione”22.

14 S. Ricotta, Tempo libero di Christo e Jeanne-Claude, in “Specchio”, supplemento a “La Stampa”, 17 ottobre 1998. 15 Betti, Christo, l’arte di “impachettare il mondo” cit., 16 A. Di Genova, Un pacchetto fatto ad arte, 3 ottobre 1998. 17 M. Vallora, Christo sul fiume di stoffa, in “La Stampa”, 10 ottobre 1998. 18 M. Cecchetti, Christo, un “pacco” tragico, in “Avvenire”, 25 ottobre 1998. 19 Sgarbi, Come ti impacchetto il mondo intero cit. 20 Per la mostra di Christo e Jeanne-Claude furono messi a disposizione dalla Fondazione Palazzo Brichearsio e dalla Provincia di Torino settemila biglietti di ingresso gratuito per gli studenti: quattromila per le scuole dell’obbligo e tremila per le superiori. A partire dai quattro anni, settemila studenti, attraverso differenti percorsi di didattica museale progettati dalla sottoscritta e realizzati dalla Sezione Didattica di Palazzo Bricherasio, hanno camminano dentro un’opera d’arte e imparato a conoscere, attraverso i tanti oggetti esposti, la creatività dei due artisti internazionali. 21 R. Venturi, Che stoffa questa coppia!, in “Class”, novembre 1998. 22 C. Rej, Christo cit.


Il 10 ottobre 1998 Christo e Jeanne-Claude completavano Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows nelle sale storiche di Palazzo Bricherasio. Furono posati milleduecento metri quadrati di tessuto di cotone per ricoprire lo scalone d’onore, avvolgere la balaustra, camuffare gli arredi e trasformare i parquet dei cinque saloni seicenteschi. Mentre i visitatori camminavano, il tessuto mutava per effetto d’increspature, pieghe ritmiche e sfumature d’una sensualità lieve: appariva denso come una superficie scritta e ricordava i vorticosi disegni di vivaci correnti d’acqua. La trasformazione era minima, ma più che sufficiente a stravolgere l’aspetto e la sensazione dello spazio, generando un’atmosfera nuova, carica di silenzio e di tranquillità. I vetri delle finestre, coperti con sessantacinque metri quadrati di carta da imballaggio marrone chiaro, creavano nelle stanze una luce color miele, capace di mutare l’esperienza del visitatore a seconda dei diversi momenti della giornata. Dal 10 ottobre 1998 al 17 gennaio 1999, oltre ventimila persone posarono i piedi sull’installazione temporanea e visitarono l’importante mostra antologica, allestita nell’area espositiva al primo e al secondo piano del palazzo, allora sede della Fondazione omonima.



Christo Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows progetto per Palazzo Bricherasio, Torino collage, 28 x 35,5 cm Š Christo 1998 foto di Andre Grossmann



Christo Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows progetto per Palazzo Bricherasio, Torino collage, 55,9 x 35,5 cm Š Christo 1998 foto di Andre Grossmann




© Wolfang Volz 1998





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Biografia di Christo e Jeanne-Claude www.christojeanneclaude.net

1968 Wrapped Fountain e Wrapped Medieval Tower, Spoleto. Wrapped Kunsthalle Berne, 1967-68. 5,600 Cubicmeter Package, Documenta 4, Kassel (struttura gonfiabile alta 280 piedi, oltre 85 metri, ancorata a un anello del diametro di 900 piedi, oltre 274 metri). Corridor Store Front (area totale di 1500 piedi quadrati, circa 140 metri quadri). 1,240 Oil Barrels Mastaba e Two Tons of Stacked Hay, Institute of Contemporary Art, Philadelphia.

1935 13 giugno: nascono lo stesso giorno Christo e Jeanne-Claude. Christo Javacheff nasce a Gabrovo, Bulgaria, da una famiglia di imprenditori. Jeanne-Claude Denat de Guillebon nasce a Casablanca da una famiglia francese di tradizione militare. Educata in Francia e Svizzera, muore il 18 novembre 2009 a New York. 1952 Jeanne-Claude si laurea in Latino e Filosofia all’università di Tunisi. 1953-1956 Christo studia all’Accademia di Belle Arti di Sofia. Nel 1956 arriva a Praga.

1969 Wrapped Museum of Contemporary Art, Chicago (10.000 piedi quadrati di tessuto cerato, circa 930 metri quadri). Wrapped Floor and Stairway (2800 piedi quadrati di telo protettivo, circa 260 metri quadri), Museum of Contemporary Art, Chicago. Wrapped Coast, Little Bay, One Million Square Feet, Sydney, Australia (90.000 metri quadri, tessuto per il controllo dell’erosione e 36 miglia di corde). Houston Mastaba, Texas (progetto per 1.249.000 barili di petrolio impilati). Closed Highway, progetto.

1957 Christo studia un semestre all’Accademia di Belle Arti di Vienna. 1958 Christo giunge a Parigi dove incontra Jeanne-Claude. Inizia a realizzare Packages e Wrapped Objects. 1960 L’11 maggio nasce il figlio Cyril, che diverrà poeta e scrittore.

1970 Monumenti avvolti a Milano: Monument to Vittorio Emanuele, piazza del Duomo; Monument to Leonardo da Vinci, piazza della Scala.

1961 Project for the Wrapping of a Public Building. Stacked Oil Barrels e Dockside Packages al porto di Colonia, prima collaborazione di Christo e Jeanne-Claude.

1971 Wrapped Floors, Covered Windows and Wrapped Walk Ways, Haus Lange, Krefeld, Germania.

1962 Iron Curtain-Wall of Oil Barrels, Rue Visconti, Paris, 1961-62. Stacked Oil Barrels, Gentilly, nei pressi di Parigi. Wrapping a Woman, Londra.

1972 Valley Curtain, Grand Hogback, Rifle, Colorado, 1970-72 (larghezza da 1250 a 1368 piedi, altezza da 185 a 365 piedi, 142.000 piedi quadrati di nylon, 110.000 libbre di cavi in acciaio, 800 tonnellate di calcestruzzo).

1963 Showcases.

1974 The Wall, Wrapped Roman Wall, Via V. Veneto and Villa Borghese, Rome. Ocean Front, Newport, Rhode Island (150.000 piedi quadrati di tessuto in polipropilene galleggiante sulla superficie dell’oceano).

1964 I due artisti si stabiliscono a New York. Store Fronts e Show Windows. 1966 Air Package e Wrapped Tree, Stedelijk van Abbemuseum, Eindhoven, Olanda. 42,390 Cubicfeet Package, Walker Art Center e Minneapolis School of Art.

1976 Running Fence, Sonoma and Marin Counties, California, 1972-76 (18 di altezza, 24 miglia e mezza di lunghezza, 240.000 iarde qua-

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– 592.034 piedi quadrati – di tessuto in poliestere, 23 chilometri – 14,3 miglia – di corda). Wrapped Floors and Stairway and Covered Windows, Palazzo Bricherasio, Torino.

drate di tessuto di nylon, oltre 200.000 metri quadri, 90 miglia di cavi in acciaio, 2050 pali in acciaio, ciascuno di 3,5 pollici di diametro e 21 piedi di lunghezza). 1977 The Mastaba. Project for the United Arab Emirates (tuttora in fase di preparazione).

1999 The Wall, 13,000 Oil Barrels, Gasometer, Oberhausen, Germany, installazione interna.

1978 Wrapped Walk Ways, Loose Park, Kansas City, Missouri, 1977-78 (15.000 iarde quadrate di tessuto di nylon stese su 2,8 miglia di sentieri).

2005 The Gates, Central Park, New York City, 1979-2005 (7503 portali in vinile, alti 4,9 metri – 16 piedi – con teli in nylon ancorati a basi in metallo e liberi di sventolare, per un’estensione di 37 km – 23 miglia).

1983 Surrounded Islands, Biscayne Bay, Greater Miami, Florida, 198083 (6,5 millioni di piedi quadrati di tessuto in polipropilene galleggiante).

2013 Big Air Package, Gasometer, Oberhausen, Germany, 2010-2013 (20.350 metri quadri – 219.000 piedi quadrati – di tessuto in poliestere semitrasparente e 4500 metri – 14.800 piedi – di fune in polipropilene. Altezza 90 metri – 295 piedi –, diametro 50 metri – 164 piedi –, volume 177.000 metri cubi – 6.250.000 piedi cubici, peso totale 5300 kg – 11.700 pounds).

1984 Wrapped Floors and Stairways and Covered Windows, Architecture Museum, Basel, Svizzera. 1985 The Pont Neuf Wrapped, Paris, 1975-85 (454.178 piedi quadrti di tessuto sintetico intrecciato, 42.900 piedi di corda).

2016 The Floating Piers, Lake Iseo, Italy, 2014-16 (100.000 metri quadri di tessuto giallo posato su 220.000 cubi di polietilene ad alta densità, a creare una passerella galleggiante di tre chilometri, oltre a 2,5 chilometri di strada pedonale ricoperta).

1991 The Umbrellas, Japan-U.S.A., 1984-91 (1340 ombrelli blu a Ibaraki, Giappone; 1.760 ombrelli gialli in California, USA. Ciascuno alto 19 piedi e 8 pollici, diametro di 28 piedi e 6 pollici, circa 6 metri di altezza e 9 di diametro). 1992 Over The River, Project for The Arkansas River, Colorado (tuttora in fase di preparazione). 1995 Wrapped Floors and Stairways and Covered Windows, Museum Würth, Künzelsau, Germania. Wrapped Reichstag, Berlin, 1971-95 (100.000 metri quadri – 1.076.000 piedi quadrati – di tessuto in polipropilene, 15.600 metri – 51.181 piedi – di corda e 200 tonnellate di acciaio). 1998 Wrapped Trees, Fondation Beyeler and Berower Park, Riehen-Basel, Switzerland 1997-98 (178 alberi, 53.283 metri quadri

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Silvana Editoriale S.p.A. via dei Lavoratori, 78 20092 Cinisello Balsamo, Milano tel. 02 453 951 01 fax 02 453 951 51 www.silvanaeditoriale.it Le riproduzioni, la stampa e la rilegatura sono state eseguite in Italia Stampato da Grafiche Antiga S.p.A., Treviso Finito di stampare nel mese di ottobre 2017



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