GEROLAMO GIOVENONE UN CAPOLAVORO RITROVATO
GEROLAMO GIOVENONE UN CAPOLAVORO RITROVATO
GEROLAMO GIOVENONE UN CAPOLAVORO RITROVATO
Presidente Maurizio Sella
Presidente Fiorenzo Alfieri
Presidente Francesco Ferraris
Vicepresidente Massimo Coppa Mario Renzo Deaglio
Direttore Salvo Bitonti
Vicepresidente Gianni Mentigazzi
Consiglio di Amministrazione Fiorenzo Alfieri, presidente Salvo Bitonti, direttore Ilaria Tiezzi, rappresentante MIUR Roberto Villa, rappresentante docenti Alessandra Villani, rappresentante studenti
Consiglio di Amministrazione Marco Borgogna di Capriasco, consigliere Luigi Tarricone, consigliere Pier Paolo Forte, consigliere Ludovico Szego, consigliere Roberto Maria Rosso, consigliere Mario Nullo, segretario
Amministratore Delegato e Direttore Generale Federico Sella Direttore Affari societari e Risorse umane Giorgio Manca
Responsabile Marketing Ilaria Miorin
Consiglio Accademico Salvo Bitonti, presidente Fabio Amerio Edoardo Di Mauro Giuseppe Leonardi Monica Saccomandi Paolo Serrau Laura Valle Greta Massa, rappresentante studenti Sara Mercadante, rappresentante studenti
Responsabile Relazioni con i media Marco Palmieri
Direttore Amministrativo Alessandro Moreschini
Direttore Commerciale Alessandro Marchesin Direttore Artistico Daniela Magnetti
Direttore di Ragioneria Gennaro Criscuoli Pinacoteca Albertina CoopCulture Relazioni Esterne Enrico Zanellati Servizi al pubblico Sara Vigliocco AttivitĂ didattiche Stefania Davico
Personale scientiďŹ co Cinzia Lacchia, conservatore Sezione Catalogo e Archivio Roberta Pozzato Alessia Meglio Sezione Educativa e Didattica Roberta Musso Giulia Enrico Responsabile sicurezza Moreno Greco Assistenti di sala Stefania Greco Valeria Gobbi Sara Agnelli (volontaria Servizio Civile Vercelli) Giovani in Alternanza Scuola Lavoro dell’Istituto Lanino
GEROLAMO GIOVENONE UN CAPOLAVORO RITROVATO Torino, Pinacoteca Albertina 7 febbraio - 25 febbraio 2018 Vercelli, Museo Borgogna 10 marzo - 1 luglio 2018
In collaborazione con
Guido Curto, direttore Simone Baiocco, conservatore
Luisa Papotti, soprintendente Paola Nicita, Sofia Villano, storici dell’arte
Progetto ideato e promosso da Banca Patrimoni Sella & C. Curatela Daniela Magnetti Comitato scientifico Simone Baiocco Massimiliano Caldera Cinzia Lacchia Daniela Magnetti Sofia Villano Enrico Zanellati Coordinamento catalogo Filippo Timo
Manuela Salvitti, soprintendente Massimiliano Caldera, storico dell’arte
Ufficio Mostre Mario Epifani, direttore Mario Lamparelli
Campagna fotografica a cura della Accademia Albertina, Corso di Fotografia di Fabio Amerio Allestimento Chiara Poggio Progetto grafico Gwladys Martini
Fondazione Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” Stefano Trucco, presidente Elisa Rosso, segretario generale Paola Manchinu, storica dell'arte
Ufficio Tecnico Paolo Benedetti
Ringraziamenti Luca Brusotto e Riccardo Rossi dell’Istituto di Belle Arti-Museo Leone di Vercelli Carlo Capponi e l’Ufficio Beni Culturali, Arte Sacra e Edilizia di Culto Diocesi di Milano Daniele De Luca dell’Ufficio Beni Culturali Curia Arcivescovile di Vercelli Archivio di Stato di Vercelli Biblioteca e Archivio Storico del Comune di Vercelli Doriana Guglielmetto Alessia Meglio Diego Giachello Nicoletta Leonardi
Un ringraziamento particolare a Mons. Sergio Salvini Alessandra Aimar, Domenica D’Ambrosio, Daniele De Luca, Serena D’Italia, Marianna Ferrero, Giuseppina Romagnoli, Tiziana Rosso, Rita Surgo
Con la collaborazione di
Ufficio stampa Loris Gherra Servizi didattici Scuola di Pittura della Pinacoteca Albertina CoopCulture Stefania Davico Sara Vigliocco Giulia Gallo Enrico Partengo Felipe Aguila
Laboratorio di Restauro e Analisi Thierry Radelet - Torino
La copertura assicurativa è gentilmente concessa da
Nell’ottobre 2017 Banca Patrimoni Sella & C. ha inaugurato una nuova stagione di impegno e partecipazione nel mondo dell’arte e della cultura collaborando alle manifestazioni che la città di Torino ha dedicato all’artista Christo: dal conferimento della laurea honoris causa con l’Università degli Studi all’organizzazione della retrospettiva fotografica Wrapped floors and stairway and covered windows, presentata en plein air nell’area pedonale antistante Palazzo Bricherasio, in omaggio all’installazione che l’artista realizzò nelle sale auliche del palazzo nel 1998. La scelta di collocare in questo prestigioso edificio la nostra sede, compiuta nel 2010 e realizzata nel 2013, ha implicato sin da principio una particolare attenzione e sensibilità all’identità storica e artistica del luogo, che da sempre è stato protagonista nello sviluppo culturale del territorio. Palazzo Bricherasio, cenacolo artistico sin dal XIX secolo con la contessa Sofia e in tempi recenti sede dell’omonima e prestigiosa Fondazione, ha insito nel proprio DNA una vocazione all’arte e al mecenatismo che il nostro Istituto condivide profondamente e intende far suo. Se è vero che Torino e questo palazzo sono e devono continuare a essere il nostro punto di riferimento fondamentale, è altrettanto vero che Banca Patrimoni Sella & C. trova la propria forza in una capillare presenza sul territorio nazionale. Per questo è nostra volontà istituire un programma di impegno culturale che non resti entro i confini metropolitani, ma che raggiunga tutte le città e i territori che hanno permesso lo sviluppo di Banca Patrimoni Sella & C. Il primo passo di questo impegno, che collega idealmente Torino al resto d’Italia, si compie oggi con la mostra dedicata al capolavoro ritrovato di Gerolamo Giovenone e con la successiva collocazione del dipinto presso il Museo Borgogna di Vercelli, sede di importanti opere dell’artista vercellese. Banca Patrimoni Sella & C. è fiera e onorata di aver dato avvio a un’iniziativa che vede la partecipazione di prestigiose istituzioni: la Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Palazzo Madama, le Soprintendenze di Torino e di Novara, il Museo Borgogna di Vercelli, il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale”. L’attenzione, la disponibilità e la collaborazione che la nostra iniziativa ha riscosso sono il segno tangibile di un sistema istituzionale che funziona, per la tutela e la valorizzazione del nostro ineguagliabile patrimonio artistico. Un riscontro positivo e un ampio consenso da parte degli storici dell’arte e del pubblico che ci incoraggiano a proseguire nei nostri prossimi impegni culturali.
MAURIZIO SELLA
Presidente di Banca Patrimoni Sella & C. FEDERICO SELLA
Amministratore Delegato di Banca Patrimoni Sella & C.
È con grande piacere che l’Accademia Albertina di Belle Arti ha accolto la proposta di presentare, nella sala dei cartoni cinquecenteschi della sua Pinacoteca, l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, dipinta da Gerolamo Giovenone e recentemente acquistata da Banca Patrimoni Sella & C. Con la sapiente e attenta curatela di Daniela Magnetti e la professionalità dei suoi collaboratori, ha preso forma un sorprendente gioco di confronti tra le collezioni dell’Albertina e l’inedita tavola rinascimentale. Altrettanto interessante è il catalogo che pubblica nuove riproduzioni fotografiche dei cartoni preparatori attribuiti ai Giovenone. Da anni auspicavamo una nuova campagna fotografica dello straordinario patrimonio dei cartoni cinquecenteschi, donati all’Accademia da Carlo Alberto di Savoia nel 1832. Finalmente, nelle prime settimane del 2018, l’auspicio è diventato realtà. Grazie al fondamentale sostegno di Banca Patrimoni Sella & C., Fabio Amerio, nostro docente di Fotografia, ha avuto la possibilità di mettersi al lavoro nella sala con alcuni allievi, usando nuove strumentazioni donate alla sua Scuola. Particolarmente significativo è anche il calendario di attività didattiche che è stato concepito in parallelo al progetto espositivo e per il quale siamo molto lieti che si crei, anche in questa occasione, un ponte con Palazzo Madama, grazie al prestito di un suo prezioso dipinto di Gerolamo Giovenone, e con il Museo Borgogna di Vercelli, l’istituzione alla quale la tavola di Banca Patrimoni Sella & C. verrà affidata dopo l’esposizione torinese. Un caloroso ringraziamento va poi soprattutto alle Soprintendenze di Torino e Novara, che hanno guidato la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico che questo progetto mette in luce. È una sorprendente alchimia quella che si è generata da questo incontro. Da un primo scambio di idee tra la Direzione dell’Accademia e la Direzione Artistica di Banca Patrimoni Sella & C. è nata, in pochi mesi, una sintonia che ci auguriamo possa portare frutto anche in futuro.
FIORENZO ALFIERI
Presidente dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino S A LV O B I T O N T I
Direttore dell’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino
Un nuovo ospite al Museo Borgogna di Vercelli, la pala d’altare di Gerolamo Giovenone Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova. Banca Patrimoni Sella & C. l’aveva acquistata e ha provveduto al restauro; ha poi ritenuto di depositarla, in comodato, al Museo Borgogna. È stato un acquisto prestigioso che onora la Banca Patrimoni Sella & C.; è un arricchimento prezioso della collezione di pittura rinascimentale piemontese di cui il museo va fiero. Il mecenatismo culturale della Banca Patrimoni Sella & C. valorizza la funzione pubblica del patrimonio artistico territoriale; stimola nuovi studi e nuovi percorsi; porta alla collaborazione di tutti coloro che hanno a cuore la valorizzazione del nostro grande patrimonio artistico. A Banca Patrimoni Sella & C., illuminato mecenate, grazie.
FRANCESCO FERRARIS
Presidente del Museo Borgogna di Vercelli
L’esposizione che si apre nella sala dei cartoni dell’Accademia Albertina, è un felice esempio di come, intorno ai temi nodali del Rinascimento in Piemonte e intorno al problema di Gaudenzio e dei Gaudenziani, si sia compiuta una convergenza di forze e di enti nel solco di una tradizione aperta negli anni trenta del secolo scorso dai primi cataloghi sulla raccolta, redatti da Noemi Gabrielli, allora ispettore ministeriale e poi soprintendente, e continuata nel 1982 con la mostra dedicata a Gaudenzio Ferrari e alla sua scuola. Oggi come allora si è saputo lavorare insieme, allargando il tavolo ad altri soggetti: la Soprintendenza di Novara, il Museo Civico d’Arte Antica di Torino, il Museo Borgogna di Vercelli e soprattutto la Banca Patrimoni Sella & C. Proprio in questa prospettiva di collaborazione sempre più stretta tra pubblico e privato, la Banca ha acquisito un’opera inedita e importante di Gerolamo Giovenone, l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, che, quando era in una collezione privata torinese, era stata riconosciuta e notificata. Il generoso gesto di mecenatismo di Banca Patrimoni Sella & C. ha consentito così non solo di sostenere un impegnativo restauro, ma anche di assicurare la pubblica fruizione dell’opera attraverso questa mostra-dossier a Torino e attraverso il futuro deposito al Museo Borgogna di Vercelli. Al riconoscimento storico-artistico dell’opera, particolarmente importante perché con ogni probabilità documenta un perduto prototipo di Gaudenzio, è così seguito l’atto amministrativo del vincolo, l’impegno tecnico dell’alta sorveglianza sul restauro e, infine, l’iniziativa di valorizzazione coralmente seguita da tutti gli enti coinvolti. Non possiamo dunque che essere grati a Banca Patrimoni Sella & C. e a tutti i partner per aver voluto e sostenuto un’operazione così bella. Speriamo possa essere un’altra tappa di un cammino iniziato e da portare avanti con determinazione ed entusiasmo.
L U I S A PA P O T T I
Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino
L’appuntamento espositivo e il volume che lo accompagna, voluto da Banca Patrimoni Sella & C. e organizzato in collaborazione con la Soprintendenza di Torino, la Soprintendenza di Novara, il Museo Civico di Arte Antica, l’Accademia Albertina di Torino e il Museo Borgogna di Vercelli, nel rappresentare e presentare il ragguardevole interesse storico artistico dell’opera, che verrà esposta per la prima volta al pubblico, testimonia anche una meritoria convergenza di intenti tra diversi enti, venutasi a creare grazie al lungimirante mecenatismo del promotore dell’iniziativa e affiancata da un nuovo modo di guardare il rapporto tra pubblico e privato. Il dipinto raffigurante l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, riconosciuto come opera significativa della maturità di Gerolamo Giovenone, in collaborazione con il più giovane allievo Bernardino Lanino, è stato notificato dalla Soprintendenza di Torino, permettendo così la sua acquisizione da parte della banca che, con grande liberalità, ha sostenuto un’attenta campagna diagnostica, i necessari restauri e lo ha concesso in deposito al più ricco e vitale museo vercellese, il Borgogna. I visitatori e gli studiosi potranno così ammirare questa inedita testimonianza della pittura del Rinascimento a Torino, nelle sale dell’Albertina, accanto al nucleo di cartoni cinquecenteschi che testimoniano il significato storico e la forza creativa della scuola pittorica di Gaudenzio Ferrari. Non è la prima volta che accade: già nel 2014 l’Accademia aveva ospitato una mostra-dossier sul tema della Deposizione nella bottega gaudenziana, mettendo a confronto opere provenienti da Vercelli con altre delle raccolte torinesi. L’occasione dell’arrivo del dipinto al Museo Borgogna, aprirà un nuovo capitolo espositivo e di ricerca, che permetterà il confronto e il dialogo con le altre opere non solo di Giovenone, ma anche di Lanino, dello stesso Gaudenzio e delle principali botteghe presenti nella collezione del museo vercellese e nei monumenti del territorio circostante. Piace sottolineare, a questo proposito, in virtù della specificità tutta italiana che non vede mai un museo avulso dal proprio contesto, il ruolo di centralità dei musei territoriali come punto di riferimento per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e come prezioso sostegno per l’attività di tutela. Si conferma così quella dinamica positiva di collaborazione tra gli enti e le istituzioni volta alla trasmissione del sapere e della conoscenza dei segni distintivi che la storia ha sedimentato in un territorio, in un rapporto di reciprocità capace di mettere in dialogo i saperi, le prospettive e le esperienze e che auspico possa trovare ulteriori occasioni per consolidarsi nel futuro.
M A N U E L A S A LV I T T I
Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli
Come direttore di Palazzo Madama sono felice che il Museo Civico di Arte Antica di Torino possa svolgere una funzione di supporto alla bellissima iniziativa della Banca Patrimoni Sella & C., promossa dalla direttrice artistica Daniela Magnetti, con la collaborazione della Pinacoteca Albertina e del Museo Borgogna di Vercelli. Felice non solo perché questo evento suggella istituzionalmente un esemplare partenariato culturale tra enti pubblici e privati del Piemonte, ma anche perché, a titolo personale, mi consente di rinnovare un rapporto di collaborazione con quel Palazzo Bricherasio per il quale in gioventù avevo curato mostre quando la famiglia Alessio ne aveva fatto un polo esposito cittadino di livello nazionale e internazionale, grazie già allora alla direzione artistica della bravissima Daniela Magnetti. Senza dimenticare il legame professionale strettissimo che mi lega all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino e soprattutto all’annessa Pinacoteca, della quale sono stato direttore per due mandati. Proprio occupando questo ruolo avevo avviato scambi proficui e amichevoli con il Museo Borgogna di Vercelli e con la sua valente direttrice Cinzia Lacchia. Ma torniamo alla mostra che presenta una nuova pala, del tutto inedita, di Gerolamo Giovenone, pittore su cui si sono soffermati gli studi del conservatore per il Rinascimento di Palazzo Madama, Simone Baiocco. L’opera offre un significativo accrescimento alla ricerca sui temi del Rinascimento piemontese, rispetto ai quali le raccolte di Palazzo Madama sono un centro di eccellenza soprattutto grazie alla Collezione Fontana. Questo nucleo di dipinti, donato al Museo Civico nel 1909, ha aperto una nuova stagione per gli indirizzi dell’istituzione che, fino a quel momento, non si era occupata quasi per nulla di pittura, tanto meno della pittura del territorio. Da quel momento in poi, in dialogo con le raccolte della Regia Pinacoteca, iniziò l’approfondimento della ricerca sui maggiori interpreti del Rinascimento in Piemonte, primo su tutti Defendente Ferrari. Tanti motivi ci legano anche al Borgogna di Vercelli, museo nato dal medesimo intendimento collezionistico, così come la Pinacoteca dell’Accademia Albertina col suo inestimabile ‘tesoro’ costituito dai cartoni gaudenziani cinquecenteschi, che anche in quest’occasione trovano un momento di importante valorizzazione.
GUIDO CURTO
Direttore di Palazzo Madama, Museo Civico d’Arte Antica di Torino
Sommario
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Cenni storico-artistici e suggestioni iconografiche. Ingredienti per la lettura di un inedito
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Note sulla tecnica di esecuzione e sul restauro del trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina
DANIELA MAGNETTI 27
Un'Adorazione del Bambino di Gerolamo Giovenone (e Bernardino Lanino)
T I Z I A N A C AVA L E R I PA O L A M A N C H I N U BERNADETTE VENTURA
MASSIMILIANO CALDERA 35
Gerolamo Giovenone, la sua famiglia e il suo contesto
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Ritorno in famiglia: la collezione dei “Giovenone� al Museo Borgogna
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I cartoni dei Giovenone nella collezione della Pinacoteca Albertina di Torino
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Nella sala dei cartoni cinquecenteschi
CINZIA LACCHIA 55
Un percorso di tutela per la tavola inedita di Gerolamo Giovenone: dalla dichiarazione di interesse culturale al restauro SOFIA VILLANO
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Studio dell'Adorazione del Bambino mediante analisi scientifiche non invasive THIERRY RADELET
Biografia di Gerolamo Giovenone FILIPPO TIMO
SIMONE BAIOCCO 45
Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone collaboratori ad Avigliana.
E N R I C O Z A N E L L AT I
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Gerolamo Giovenone (e Bernardino Lanino) Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova particolare e intero tempera su tavola, 227,5 × 156 cm (con cornice) Collezione Banca Patrimoni Sella & C.
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Cenni storico-artistici e suggestioni iconografiche. Ingredienti per la lettura di un inedito
certo, gliene sarà grato. A me, poi, è sembrato di fare opera non inutile, mandando innanzi ai Documenti, a modo d’Introduzione, un compendio della Storia dell’Arte Vercellese, dai secoli più remoti fino a quello, in cui sorse Gaudenzio Ferrari2.
Contestualizzare un artista, in uno spazio e in un tempo che gli sono propri, consente di comprendere il suo operare quotidiano, i suoi rapporti con la società, le committenze possibili e quelle impossibili. Non è dato sapere l’anno di nascita di Gerolamo Giovenone, ma la critica concorda nel collocarlo intorno al 1490 in quel di Vercelli. Figli di Amedeo, carpentiere, fratello di Giovan Pietro, primogenito, e di Giuseppe detto ‘il Vecchio’, per distinguerlo dall’omonimo figlio di Gerolamo, i fratelli Giovenone svolgono l’attività di pittore, come attesta un documento datato 23 maggio 1519:
DANIELA MAGNETTI
Questo testo vuole essere di accompagnamento a un viaggio che, attraverso le sale della Pinacoteca Albertina di Torino, giunge sino al Museo Borgogna di Vercelli, per ‘trovare casa’ a un’opera inedita di Gerolamo Giovenone, l’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, oggi nella collezione di Banca Patrimoni Sella & C. È il racconto di un dipinto, attribuito a Gerolamo da Massimiliano Caldera1, che dopo più di 450 anni, tra molteplici vicissitudini legate al mondo delle committenze e del collezionismo privato, ritrova, grazie a un mecenatismo virtuoso, una sua destinazione pubblica. Molto c’è ancora da scoprire sulla pala, sul suo autore e sul contesto, ma un buon inizio dà sempre spazio a speranze, come scrisse nel 1883 Giuseppe Colombo in uno dei primi libri sulla scuola pittorica vercellese:
Gerolamo, Giovan Pietro e Giuseppe fratres… pinctores promettono a Giov. Battista Avogadro di Valdengo di dipingere due ancone, rispettivamente per S. Marco e S. Eusebio e di affrescare una cappella in S. Eusebio. I tre fratelli lasciano quietanza per il pagamento dell’anticipo3.
Nelle schede Vesme si specifica: “Renuntiando magister Joseph beneficio minoris aetatis”4: dunque, Giuseppe è il solo minorenne, che per l’epoca significava avere meno di 25 anni. Ciò consente di collocare la sua data di nascita dopo il 1494. Un punto di partenza tra i tanti per raccontare la vicenda di una famiglia che per almeno tre generazioni è stata al centro della storia delle arti figurative vercellesi. Doveva essere un adolescente Gerolamo quando, ai primi del Cinquecento, “un viaggiatore lombardo, che tornava in patria attraversando il Piemonte, giudicò Vercelli ‘città... maggior’ di Torino e ‘assay grande’”5. Opinione già espressa nel 1428, quando Vercelli era appena diventata possedimento del duca di Savoia:
Intanto, io nutro speranza che qualcuno dei dotti Piemontesi, al quale non solamente l’ingegno e la perizia di materie artistiche, ma ancora abbondino le commodità della vita senza di cui è vano pretendere che altri possa metter mano a tali imprese, che richiedono viaggi e dispendi non pochi, si risolva egli stesso, coli’ aiuto dei materiali, che qui gli presento, e mediante le sue proprie ricerche, ad apprestarci una narrazione piena ed esatta, con quella ricchezza di particolari e con tutte quelle illustrazioni, che la moderna critica domanda, della vita e delle Opere dei Lanino, dei Giovenone e di qualunque più emi-
il segretario ducale Guillaume Bolomier, che vi
nente artefice della Scuola Vercellese. Il paese, al
giungeva per la prima volta, la scoprì con sor-
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complice, come si è detto, della presenza della corte ducale dei Savoia.
presa città “grande e notevole e molto migliore” di quel che aveva creduto, una città capace da sola di contribuire per quasi un decimo alle entrate complessive del ducato sabaudo, che pure si
Piuttosto, giova osservare quanto abbia ben merita-
estendeva dalla Sesia fin quasi a Lione6.
to dell’Arte la nobile e magnanima città di Vercelli, la quale, per sì lungo spazio di tempo, accolse dentro
È il 1427 quando Filippo Maria Visconti, duca di Milano e signore di Vercelli, si trova in guerra, a levante e a mezzogiorno dei suoi confini, con gli svizzeri, i veneti e i fiorentini: se a costoro si fosse aggiunto, da ponente, anche il duca di Savoia Amedeo VIII, la potenza dei Visconti non avrebbe potuto tenere fronte a tanti nemici contemporaneamente.
le sue mura, concedendo loro generosa ospitalità, una folla d’artisti d’ogni paese, e che per tal modo mantenne costantemente accesa la sacra fiamma del Bello, intanto che le altre città del Piemonte preferivano le aspre tenzoni della guerra o le lucrose cure dell’industria e del commercio8.
Il rapporto con Casa Savoia dei maestri e delle botteghe artistiche vercellesi, di cui in seguito si farà menzione, è ampiamente documentato. Sappiamo, ad esempio, che il primo ottobre del 1544 il duca Carlo II deputa Eusebio Oldoni a dipingere sulle porte delle città e dei castelli del Piemonte le sue armi, che erano state cancellate durante la guerra9. Al 10 dello stesso mese, Emanuele Filiberto, figlio di Carlo, affida lo stesso incarico per Asti e Ceva a Bernardino Lanino e a Gerolamo Giovenone10. Molti dei committenti del tempo sono uomini legati alla corte sabauda. Lo ricorda Giuseppe, fratello di Gerolamo, che realizza una predella per la chiesa di Villar Bagnolo (paesino non lontano da Pinerolo) dove sono raffigurati episodi di storia sacra, ma anche gentiluomini e gentildonne nei loro costumi e nelle loro fattezze, nell’atto di adorazione della Madonna.
Filippo Maria decise di farsi alleato del savoiardo e perché l’alleanza fosse resa più stretta dai vincoli di parentela, chiese e ottenne in moglie la figliuola di lui Maria di Borgogna, cedendogli in perpetua donazione la città di Vercelli, unico suo dominio di qua dalla Sesia, con tutto il suo territorio7.
Amedeo VIII conferma gli statuti con cui la città si reggeva sotto i Visconti, felice di averla acquistata con un contratto che è unico nella storia, perché il duca di Savoia invece di dotare sua figlia ricevette dal futuro genero, come premio per le consentite nozze, una bella provincia in dono. Inizia così una nuova epoca della storia vercellese che vede la città legata alle sorti altalenanti del casato. Durante le guerre che imperversano nell’alta Italia nella prima metà del secolo XVI, Vercelli è sovente rifugio e difesa dei suoi sovrani che molto confidano nella solidità delle sue mura e nella fedeltà dei cittadini. È una delle poche città del dominio sabaudo a non essere occupata dai francesi. Per questa ragione nel 1536 la corte ducale di Carlo II, figlio del duca Filippo II, si trasferisce in città, seguita dal senato, dalla corte dei conti e dei maestri della zecca. Il duca Carlo II, dopo un lungo e costante soggiorno nella città insieme alla moglie Beatrice di Portogallo, vi termina la sua vita il 16 agosto 1553. La centralità culturale della città dagli inizi del XVI secolo resta ben evidente fino agli anni cinquanta,
Si tratta con molta probabilità di una pala votiva della famiglia Malingri, Feudatario del luogo di Bagnolo, che ebbe incarichi importanti alla corte del Duca Carlo III di Savoia, nelle persone di Cristoforo e Lodovico (scudieri, gentiluomini di camera; Lodovico anche governatore di Vercelli)11.
La situazione inizia a cambiare drasticamente dal 1559, quando la pace di Cateau-Cambrésis sancisce la restituzione dei territori finiti in mano francese a Emanuele Filiberto. Questi, che come i predecessori aveva inizialmente scelto Vercelli come sede di corte, era però convinto della centralità e del peso politico di Torino e dunque nel
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1563, ottenuta finalmente la piena restituzione della città dai francesi, vi entra solennemente per farne la propria capitale. Inizia qui, concretamente, il percorso politico che porterà Torino a quel ruolo di preminenza conservato sino al XIX secolo. Quella che era stata forse la più sonnolenta delle città piemontesi, Torino, si trasformò in un’aggressiva capitale, e tutte le città che nel Medioevo erano state così dinamiche appassirono riducendosi a borghi di provincia12.
Il tempo dei Giovenone coincide con un periodo storico, tra Quattro e Cinquecento che, malgrado guerre, pestilenze e carestie, fu capace di generare una scuola pittorica riconosciuta come punta di eccellenza nel panorama artistico di quel territorio, il Piemonte, che era appena stato definito. Usualmente il primo impiego del nome “Piemonte” per designare un’entità politica dai contorni relativamente definiti viene fatto risalire al 1424, quando Amedeo VIII di Savoia conferì al figlio primogenito il titolo di “principe di Piemonte”, che da allora in poi
Bonforte Oldoni, giunto a Vercelli dalla Lombardia nella seconda metà del XV secolo.
sarebbe stato destinato all’erede della corona ducale. Con “Piemonte” (Pedemontium) si intendeva l’insieme dei domini sabaudi situati al di qua delle Alpi, quelli che nei secoli dell’età moderna le fonti ufficiali
La scuola vercellese fu fondata da Boniforte Oldo-
avrebbero comunemente chiamato “Stati di qua dai
ni, nato a Milano nel 1412 e morto a Vercelli nel
monti”, in contrapposizione coi domini transalpini di
1477. Il merito maggiore di tale artista fu di aver
lingua francese13.
dato all’arte pittorica un regolare indirizzo e di aver avviate delle tradizioni in un paese ove i saggi di tale
Assorbita dal ducato, prima luogo di rifugio e poi abbandonata per la nuova capitale, “solo nella pittura del Gaudenzio, degli Oldoni, dei Giovenone e dei Lanino pare trovare ultimo rifugio la spiritualità e la cultura vercellese”14. A Vercelli, infatti, si forma una scuola che, pur essendo di derivazione lombarda, sa esprimersi con modi autonomi attraverso la mano di numerosi maestri. I primi artisti che determinano la nascita della pittura rinascimentale vercellese si confondono nelle ombre incerte dovute alla mancanza di documenti e di opere autografe, mentre gli storici dell’arte concordano nel prendere come punto di riferimento l’opera di
arte erano rari e individuali. Oldoni ebbe cinque figli, tutti pittori e nella sua famiglia l’arte ebbe così larga cultura da contare ben diciassette artisti in quattro generazioni15.
Pietro Masoero, uno dei primi cultori del patrimonio artistico di quel territorio, sottolinea la necessità di riconoscere un preciso momento di svolta nel panorama artistico del tempo. La prima sala della collezione permanente della Pinacoteca Albertina, ci introduce tra alcuni dei più importanti protagonisti attivi a Vercelli all’epoca dei Giovenone. Un ruolo chiave occupa
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Giovanni Martino Spanzotti, Madonna con Gesù bambino e due angeli, tempera e olio su tavola, 131,5 × 59 cm. Torino, Pinacoteca Albertina 2
Giovanni Martino Spanzotti, San Francesco,sant’Agata e un donatore, tempera e olio su tavola, 133 × 60 cm. Torino, Pinacoteca Albertina
della quale parleremo in seguito. Nel 1513 Martino chiede e ottiene la cittadinanza a Torino e lo sappiamo in vita fino al 1526. La sua opera costituisce un importante punto di riferimento per tutta l’arte piemontese dell’epoca. Oltre all’alunnato e alla collaborazione con Defendente Ferrari, ha un’influenza diretta sulla formazione di Gerolamo Giovenone, che sarà fedele al suo linguaggio almeno fino a quando non avrà la possibilità di confrontarsi con Gaudenzio. Alla prima fioritura della Scuola vercellese si forma anche Defendente Ferrari da Chivasso (14701535), che diventerà il grande protagonista delle committenze per le chiese del Piemonte (area Torinese e Cuneese). La vicinanza del suo stile a quello di Giovenone, soprattutto nel periodo giovanile, ha generato in passato incertezze nell’attribuzione di opere all’uno o all’altro. Proprio per questa ragione, seppur di epoche diverse, di grande interesse è il raffronto dell’inedito della collezione Sella con la suggestiva pala realizzata da Defendente per l’altare maggiore di San Domenico a Biella, l’Adorazione del Bambino (fig. 3) presente nella collezione della Pinacoteca Albertina di Torino. Datata tra il 1496 e il 1500, l’opera raffigura l’atto dell’Adorazione: in primo piano, attorno al Bambino che giace a terra, sono raccolti Maria e Giuseppe in preghiera e un gruppo di santi tra i quali, da sinistra, san Giovanni Battista, san Domenico, san Francesco e sant’Agostino. La Vercelli dei primi decenni del Cinquecento è una città viva e aperta nei confronti dei movimenti artistici. Gerolamo, dopo la collaborazione con lo Spanzotti, mette bottega in proprio; il padre Amedeo e il fratello Giovanni Pietro sono dei “lignamari”, costruttori di cornici per i polittici allora di moda, il fratello minore Giuseppe nel 1521 inizia, per volontà del padre, il praticantato nella bottega di Gaudenzio. In famiglia, dunque, si respirano i gusti e le mode che si diffondono tra i committenti e ci si confronta con le altre botteghe. Non entro nel merito dell’attività artistica di Giovenone, esaustivamente raccontata nel saggio in catalogo di Simone Baiocco (pp. 35-43). Mi limito a guardare intorno.
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Defendente Ferrari Adorazione del Bambino, olio su tavola, 249 × 170 cm. Torino, Pinacoteca Albertina
l’opera di Giovanni Martino Spanzotti, qui rappresentato con le tavole Madonna con Gesù Bambino e due angeli (fig.1) e San Francesco, sant’Agata e un donatore (fig. 2). Appartenente a una famiglia di pittori provenienti da Varese, suo padre già nel 1470 viene documentato a Casale Monferrato, così come il fratello di Martino, Francesco, a lungo attivo nella stessa città. Martino Spanzotti è citato in documenti che lo vogliono pittore in area ferrarese e bolognese negli anni settanta e nel decennio dal 1488 al 1498 a Vercelli, dove numerosa è la committenza in ambito di corte. I suoi rapporti con la Casa Savoia sono già consolidati nel 1507, stante la lettera dello Spanzotti alla corte torinese in cui informa di avere eseguito una tavoletta “con la ymagine de la Madona supra picto ala similitudine di quella fiorentina che V. S.ria me remise in le mane, la quale sta apreso di me iusta il mandato di Vostra Signoria” (lettera di Spanzotti a Carlo II di Savoia, 25 ottobre 1507): la tavoletta si riferisce alla piccola Madonna col Bambino, detta Madonna di Orléans dipinta da Raffaello nel 1506 circa e
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4
Bernardino Lanino San Francesco, olio su tavola, 73 × 38 cm. Torino, Pinacoteca Albertina 5
Pier Francesco e Gerolamo Lanino Gesù con gli apostoli Giacomo e Filippo, olio su tavola, 200 × 137,5 cm. Torino, Pinacoteca Albertina
Contemporaneo di Gerolamo è Gaudenzio Ferrari di Valduggia (1471-1546), il maggior pittore del Cinquecento piemontese. Lavora in Valsesia, nel Vercellese, nel Novarese e in Lombardia lasciando opere di rara bellezza tra cui ricordiamo le pitture e le sculture del Sacro Monte di Varallo, i polittici di Sant’Anna e gli affreschi di San Cristoforo a Vercelli, il grande affresco della cupola di Saronno. Vasta fu localmente l’influenza della pittura gaudenziana, nella cui scia si posero vari pittori, tra cui, non fra i minori, Eusebio Ferrari da Pezzana. Pur non possedendo opere pittoriche, né di Gerolamo né di Gaudenzio, la Pinacoteca Albertina di Torino vanta, di questi artisti e delle loro botteghe, un numero straordinario di cartoni preparatori. Documenti unici e preziosi per comprendere il linguaggio stilistico e l’evoluzione artistica dei pittori vercellesi; è proprio l’uso degli stessi cartoni da parte di mani diverse che rafforza il concetto di scuola. Nel saggio di Enrico Zanellati (pp. 83-95) il racconto di questa straordinaria collezione di ‘strumenti di lavoro’ cinquecenteschi, giunta in Accademia Albertina nel 1832 grazie alla donazione di re Carlo Alberto. Seppur solo cronologicamente, ultimo importante maestro della pittura vercellese presente nella prima sala espositiva con quattro tavole è Bernardino Lanino (circa 1512 - 1546), pittore fecondissimo, anch’egli seguace di Gaudenzio Ferrari, di cui elaborò forme, colori e ritmi in una propria originalità (fig. 4). Dipinse a Varallo, Novara e Milano, ma la sua maggior residenza fu Vercelli, da dove mandava tavole in tutta la provincia. Numerosissime sono le chiese di paesi e di confraternite rurali che possiedono tavole di questo maestro, nella diocesi vercellese, e molte altre, sia per il prezzo pattuito, sia per le troppe ordinazioni, sono ripetute o inferiori alla fama e alla valentia del loro autore. Condusse in sposa Dorotea figlia di Gerolamo Giovenone. Ebbe tre figli pittori Cesare, Pietro Francesco Gerolamo16.
Di questi la grande tavola Gesù con gli apostoli Giacomo e Filippo, 1586, nella collezione della Pinacoteca Albertina di Torino (fig.5).
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Non essendo competenza di questo saggio addentrarsi nelle specifiche analisi stilistiche dei singoli pittori, quanto scritto sia utile a sottolineare quella familiarità generazionale all’arte della pittura: i figli, i generi e i nipoti di questi artisti continuarono l’arte dei padri anche dopo la loro scomparsa, ma la produzione, sebbene vastissima, è accomunata da una piatta uniformità tecnica e artistica, con qualche modesta eccezione. E così, nei primi decenni della seconda metà del XVI secolo la scuola di Vercelli inizia a sfiorire. “Con la scomparsa di Bernardino Lanino la scuola volse rapidamente al tramonto. I figli e i nipoti di Giovenone, Lanino e Oldoni non furono che degli imitatori e ben presto l’arte loro degenerò in produzione commerciale”17. Penso alle infinite ragnatele di storie di tutte le numerose famiglie citate in questo racconto: al percorso di formazione degli artisti, all’attività produttiva delle botteghe, ma anche all’amore, forse, ai matrimoni, in ogni caso, che ne hanno tessuto indiscutibilmente le trame. Non mi è giunta voce di donne nel panorama artistico vercellese coevo ai Giovenone: solo figlie, prima, e spose, dopo. Uno tra gli ultimi pittori che lasciò opere discrete fu Giorgio Alberini di Alessandria. Condusse in moglie la figlia di Amedeo Giovenone, figlio di Gerolamo. Compì gli studi e si domiciliò a Casale Monferrato lavorando sovente con Guglielmo Caccia detto il Moncalvo al quale era legato da amicizia. Anche Moncalvo “fu pure un prodotto della Scuola Vercellese” e non è un caso che l’ultima opera del percorso espositivo della Pinacoteca Albertina, prima di accedere alla meravigliosa sala dei cartoni dove trova momentanea collocazione l’opera inedita di Giovenone, sia una sua raffigurazione dell’Arcangelo Michele (fig. 6). Ultima no, penultima. A fianco una Madonna col Bambino della figlia Orsola Maddalena (fig. 7). Ripenso a lei, Orsola, figlia pittrice18, raro segno femminile di quel modus operandi, capace di coltivare e tramandare il mestiere del pittore per generazioni, che ha caratterizzato, tra le tante, anche la scuola vercellese del XVI secolo.
Guglielmo Caccia detto il Moncalvo San Michele Arcangelo scaccia i demoni, olio su tela, 247 x 171 cm. Torino, Pinacoteca Albertina
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Orsola Maddalena Caccia, Madonna col Bambino, olio su tela, 117 x 77 cm. Torino, Pinacoteca Albertina
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mento e tradizione pittorica dell’Ottocento e del Novecento italiano. Per raccontare di Gerolamo e della sua straordinaria produzione artistica, un’altra occasione ci viene dalla sala delle copie, dove fanno bella mostra di sé una Sacra famiglia con san Giovannino, copia da Andrea del Sarto, una Vocazione di san Matteo, copia da Caravaggio, e una Educazione di Bacco, copia di Pieter Paul Rubens. È un’epoca in cui si copia volentieri ciò che “è bello” e di cui si dispone, senza pregiudizio alcuno. Copia non è sinonimo di falso! Un esempio, tra i tanti, la vicenda della fortuna piemontese della Madonna di Orléans di Raffello (Chantilly, Musée Condé) si ricollega alla bottega di Martino Spanzotti nella quale, come abbiamo detto, si formano sia Giovenone che Defendente. La vicenda fa riferimento a una lettera del 25 ottobre 1507 nella quale lo stesso Spanzotti scrive al duca Carlo II di Savoia che la Madonna fiorentiva veniva restituita al duca insieme a una copia realizzata dal pittore piemontese, aggiungendo: “Credo che vostra signoria troverà questa meglio dell’altra”. Dal 1507 per quasi quarant’anni il modello di Raffello ha avuto larga fortuna tra i pittori piemontesi. In particolare, la critica ha potuto riconoscere almeno quattro versioni della Madonna di Orléans realizzate da Gerolamo Giovenone, tra cui quella esposta in mostra proveniente dalla collezione di Palazzo Madama (fig. 7 a p. 41), e una datata 1526 attribuita a Defendente Ferrari, oggi al Rijksmuseum di Amsterdam. Dunque nessuna riconducibile alla mano dello Spanzotti ma soltanto a quelle di due suoi allievi in quel momento presenti nella sua bottega. Le repliche, più scorrono gli anni, più si allontanano dalle dimensioni dell’originale. Di Gerolamo, oltre a quella indicata, datata circa 1540, se ne conoscono altre tre versioni: una tavola (32 × 23 cm) collezione privata; una seconda tavola (30 × 22 cm) conservata al Walters Art Museum di Baltimora (fig. 9 a p. 42); una terza (56 × 38 cm) passata all’asta da Sotheby’s a Londra il 9 luglio 1998 (lotto 168). Non è stato possibile rintracciare una ulteriore versione, un tempo nella collezione Cook a Richmond (Surrey)
Non necessariamente una mostra deve seguire un criterio cronologico, stilistico o scientifico. In questo caso sono le suggestioni iconografiche suggerite dalle opere esposte nelle tante sale della collezione permanente della Pinacoteca Albertina che mi hanno indotta ad approfondire la lettura del particolare prima che dell’insieme. Seppur lontani cronologicamente e stilisticamente, i dipinti presenti evocano tematiche utili per focalizzare l’attenzione su un dettaglio della pala di Giovenone della collezione Sella e per approfondirlo. Temi come la Natività e l’Adorazione, i tanti angeli dai capelli dorati, le iconografie dei santi che si susseguono senza sosta nel tempo dell’arte, lo sviluppo delle architetture e dei paesaggi di fondo, benché di epoche molte diverse, sono tutte tematiche ben presenti nel nostro inedito che, grazie a queste suggestioni di sala, possono essere sviluppate singolarmente attraverso una attenta lettura stilistica e diagnostica19. Osservando un dipinto antico, magari rapiti dall’equilibrio delle forme e dall’eleganza dei colori, raramente ci soffermiamo a riflettere su quanto quel risultato straordinario sia l’esito di un lavoro lento ed estremamente complesso che richiede tempi, competenze e abilità eccezionali. Un esempio, tra le tante opere scelte, è lo spunto offerto dalla bellissima tela San Luca pittore, opera dell’artista piemontese Vittorio Amedeo Rapous. Lo scopo è proprio quello di riflettere sul processo creativo dell’opera d’arte, quel lento cammino che parte dai colori preparati sulla tavolozza per giungere sino al dipinto finito. Nella tela è ritratto san Luca, ritenuto della tradizione cristiana autore del primo ritratto alla Vergine e quindi eletto patrono di tutti i pittori. Il santo regge un’ampia tavolozza sulla quale sono ordinatamente disposti i colori miscelati e pronti a finire sulla tela. L’inizio, insomma, della fase più importante del processo creativo. Per altro nessun luogo potrebbe essere più adeguato a suggerire una riflessione sul processo tecnico che sta alla base della creazione artistica della sede che ci ospita, l’Accademia Albertina di Torino, fra i più importanti centri di insegna-
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di questo catalogo, sono modelli ricorrenti nella produzione dell’artista e della sua famiglia, riproposti quasi identici o con poche varianti iconografiche nel corso di molti decenni. Questi modelli rappresentano la cifra stilistica e iconografica fondamentale dei Giovenone, il loro tramandarsi attraverso gli anni è affidato proprio ai cartoni. Non semplici materiali ancillari destinati all’abbandono e alla distruzione una volta che l’opera maggiore prende corpo e colore, ma studi preparatori considerati di altissimo valore, conservati con cura all’interno della bottega. Matrici, potremmo dire – benché non vengano mai utilizzati come spolveri – dalle quali hanno origine tutte le opere uscite dalla prolifica bottega del Cinquecento piemontese. Nelle grandi carte paglierino vergate a matita e quasi celate dalla luce tenue della sala che le ospita, troviamo la prima idea, o talvolta la rielaborazione e l’evoluzione, delle scene, delle pose e dei personaggi che compongono la pala Sella. I cartoni della scuola di Giovenone, Lanino e Gaudenzio Ferrari ci presentano, scomposti o ricombinati, tutti gli elementi che compongono la nostra Adorazione, che troverà prossima destinazione tra le opere pittoriche dei tanti artisti citati, presenti con le loro opere nella ricca collezione del Museo Borgogna di Vercelli21.
e restituita a Giovenone da Berenson, che risulta essere su rame, di 31 × 22 cm20. Il complesso fenomeno della copia, legato alla fortuna di un artista o di un’opera, rientra nella storia del gusto e del collezionismo. Da sottolineare la differenza tra copia e replica, ripetizione, da parte dello stesso autore di una propria opera, anche apportandovi varianti. Ciò che rende interessante un’analisi comparata dei dipinti degli artisti della scuola vercellese è la certezza, grazie alle numerose copie e repliche dello stesso soggetto, che spesso prendessero spunto dagli stessi disegni preparatori. Molti disegni dei cartoni cinquecenteschi conservati alla Pinacoteca Albertina ne sono prova. Questa è la ragione per la quale si è pensato di esporre la pala nella sala dei Cartoni della Pinacoteca Albertina. La pala Sella, infatti, si colloca all’interno della produzione di Gerolamo Giovenone e della sua bottega non come un esito isolato e autonomo, ma come il frutto particolarmente felice di una ricerca artistica estremamente coerente: una produzione che, fra arte e artigianalità, ripropone e rielabora con sapiente costanza gli stessi elementi. La figura della Vergine e del san Giuseppe, il bambino adagiato sulla paglia e sorretto da un angelo genuflesso, le figure di santi alle spalle, come chiaramente messo in luce dagli altri contributi
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Si veda il testo in catalogo di Massimiliano Caldera (pp. 27-33). 2 G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883, p. 4. 3 O. Santanera, Il pittore Giuseppe Giovenone il Vecchio, in “Bollettino Storico Vercellese”, XI, 18, 1982, p.135. 4 Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi cit.; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, vol. IV, Torino 1982, pp. 1333-1364; S. Baiocco, voci in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LVI, Roma 2001: Giovenone, famiglia (pp. 410-412); Giovenone, Gerolamo (pp. 412-415); Giovenone, Giuseppe (pp. 415-417). 5 A. Barbero, Quando Vercelli era più grande di Torino, in “La Stampa”, Torino, 26 gennaio 2017. 6 Ibidem. 7 A. Treves, Cenni storici, in Vercelli nella storia dell’arte, Vercelli 1910, p. 20. 8 Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi cit., p. 6. 9 Archivio di Stato di Torino, Prot. Ducali, vol. 219. 10 Ibidem. 11 Santanera, Il pittore Giuseppe Giovenone il Vecchio cit., p. 166. 12 Cfr. G. Levi, Come Torino soffocò il Piemonte, in Centro e periferia di uno Stato assoluto. Tre saggi su Piemonte e Liguria in età moderna, Torino 1985. 1
C. Rosso, Gli incerti confini del Piemonte orientale, in Letteratura di frontiera: il Piemonte Orientale, a cura di R. Carnero, atti del convegno (Vercelli, 2001), Collana di Studi Umanistici 16, Vercelli 2003, pp. 383-400. 14 R. Ordano, Le tipografie di Vercelli, Vercelli 1983, pp. 29-30 15 P. Masoero, La scuola Vercellese, in Vercelli nella storia dell’arte cit., p. 40. 16 Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, p. 47. 17 Masoero, La scuola Vercellese cit., p. 49. 18 Cfr. Orsola Maddalena Caccia, a cura di P. Caretta, D. Magnetti, catalogo della mostra (Castello di Miradolo, 3 marzo - 29 luglio 2012), Savigliano 2012. 19 Un contributo, quello dato dall’analisi dignostica, a cui è stato sottoposto il dipinto durante le diverse fasi del restauro, che ci consente di conoscere un microcosmo capace di fare chiarezza sui tanti misteri della storia dell’opera. Si veda, in proposito, il saggio in catalogo di Thierry Radelet (pp. 61-65). 20 Per il riepilogo della questione delle varie repliche piemontesi dal prototipo raffaellesco, con la bibliografia relativa, rinvio a S. Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone, in “Palazzo Madama. Studi e notizie”, I, 0, 2010, pp. 143-149. 21 Si veda il testo in catalogo di Cinzia Lacchia (pp. 45-53). 13
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Un’Adorazione del Bambino di Gerolamo Giovenone (e Bernardino Lanino)
grotta o l’angelo dell’Annuncio, che risultano in qualche misura esasperati dalle vicissitudini conservative. È immediato il rapporto che lega questo dipinto ad altri due di Gerolamo Giovenone con lo stesso soggetto, conservati rispettivamente nella sacrestia della chiesa di San Cristoforo (fig.1) e nel Museo Leone2 (fig. 2): come ha dimostrato Thierry Radelet in queste stesse pagine, le tre composizioni sono state ricavate da un unico cartone, in tempi probabilmente molto ravvicinati. Nel primo caso, il gruppo della Natività con sant’Antonio è pressocché identico; il san Francesco, modificando il colore dell’abito e aggiungendo la palma del martirio, è diventato il domenicano san Pietro Martire e, al centro, è inserita l’immagine di sant’Antonio Abate; le modifiche più profonde riguardano lo sfondo dove non troviamo più la roccia centrale ma una capanna vista in scorcio prospettico. Queste stesse considerazioni possono essere estese anche alla tavola del Museo Leone che, anche in questo caso, presenta un più ampio rimaneggiamento compostivo sullo sfondo, lasciando quasi inalterato il gruppo dei protagonisti principali. La versione più simile alla tavola qui presentata va riconosciuta in un disegno delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, anch’esso dubitativamente riferito a Giovenone e probabile preparatorio per l’opera: oltre alla perfetta corrispondenza dei personaggi principali – inclusi i santi Francesco e Antonio – troviamo qui la quinta rocciosa dalla quale si affacciano i pastori; un altro pastore è seduto nella finestra naturale sulla destra, mentre l’episodio dell’Annuncio sullo sfondo è più simile, nella distrubuzione delle figure nello spazio, al dipinto oggi in San Cristoforo. La tavola del Museo Leone, già nella confraternita di San Giuseppe, ripropone il gruppo della Sacra famiglia con l’angelo aggiungendo un san Francesco, raffigurato qui secondo un modello differente rispetto a quello dello stesso santo (e di san Pietro Martire) nelle altre due redazioni, una santa Apollonia, ispirata a una delle figure del polittico di Santhià, insieme con un pastore.
MASSIMILIANO CALDERA
L’inedita Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova presentata in quest’appuntamento espositivo è una grande pala centinata, a spazio unificato, oggi racchiusa in una cornice ottocentesca di collezione che ha sostituito, in un momento non precisabile, quella originale1: le tracce della battuta si leggono comunque sulle zone lasciate a risparmio ai lati della centina. Introduce il fedele alla scena un arco dorato, ornato di lacunari; in primo piano un angelo dai capelli fulvi e dalle ali iridescenti presenta il Bambino Gesù alla Vergine, inginocchiata in preghiera sulla destra; al centro, san Giuseppe, in atteggiamento devoto con le mani incrociate sul petto, contempla il Figlio; alle sue spalle, in piedi, san Francesco osserva la scena: il personaggio è identificabile, oltreché per la tonaca grigia dell’ordine, per la piccola croce di legno che impugna nella mano destra, per il libro e per le stimmate; all’altro lato sant’Antonio da Padova – il giglio fiorito spunta dalle braccia – chiude la composizione; in secondo piano, un pilastro roccioso suggerisce l’idea di una grotta ombrosa e ricca di vegetazione: da dietro la rupe si sporgono incurositi due pastori, mentre sulla destra, in un prato circondato da dirupi boscosi altri pastori ricevono da un angelo l’annuncio della Natività. L’opera presenta alcune disuguaglianze qualitative: accanto a brani d’intensa nobiltà formale – l’angelo in primo piano, il volto commosso di san Francesco, le misteriose penombre che avvolgono le rocce – si riconoscono invece momenti più deboli e corsivi, come il bue e l’asinello nella
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Gerolamo Giovenone Adorazione del Bambino. Vercelli, chiesa di San Cristoforo, sacrestia
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Incontriamo, ancora una volta, questa stessa composizione in un’ancona della chiesa di Santa Maria della Consolazione a Milano (fig. 3), riferita al fratello minore di Gerolamo, Giuseppe Giovenone il Vecchio, databile intorno alla metà del secolo: si tratta, in questo caso, di una ripresa abbastanza fedele dell’Adorazione di San Cristoforo3. Il nucleo di dipinti fin qui esaminato sembra avere come referente stilistico l’Adorazione del Bambino eseguita da Gaudenzio Ferrari intorno al 1526-1528 in due versioni per il vescovo di Novara, Giovanni Angelo Arcimboldi (l’unica rintracciata è a Sarasota, John and Mable Ringling Museum of Art) dove ritroviamo la quinta rocciosa e l’invenzione dell’angelo che porge il Bambino a Maria: differenti però risultano sia la postura di Maria, sia quella di san Giuseppe, inginocchiato sulla destra. È possibile, in realtà, che dietro questo nucleo di dipinti ci fosse un altro pensiero gaudenziano sul tema dell’Adorazione: oggi non lo conosciamo più direttamente ma solo attraverso una serie di rielaborazioni che si scalano a partire dagli anni trenta e coinvolgono anche il principale allievo (e futuro genero) di Giovenone, Bernardino Lanino4: l’immagine di Maria in preghiera a mani giunte davanti al Figlio è così riutilizzata in una serie di dipinti e di disegni laniniani che, partendo dal cartone n. 330 dell’Accademia Albertina di Torino (generalmente riferito alla bottega giovenoniana ma riferibile, per la bella tensione qualitativa oggi appannata da ripassature e danni, a Gerolamo e a Lanino, fig. 1 a p. 85), includono l’affresco della confraternita di Santa Caterina a Vercelli (ripreso in controparte), la piccola tavola della Galleria Sabauda (cat. n. 45), e, ormai nella fase tarda della sua carriera, la pala Olgiati per la chiesa di San Paolo a Vercelli (e il relativo cartone preparatorio oggi a Milano, Pinacoteca di Brera, n. 267), il dipinto già nella raccolta Fontana a Torino e l’affresco della parrocchiale di San Giorgio a Valduggia5. L’attribuzione a Giovenone dell’ancona ora in proprietà di Banca Patrimoni Sella & C. trova conforto non solo nella fitta rete di riscontri for-
Gerolamo Giovenone, Adorazione del Bambino. Vercelli, Museo Leone
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Giuseppe Giovenone il Vecchio, Natività. Milano, chiesa di Santa Maria della Consolazione
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mali che la saldano alle due redazioni vercellesi dello stesso soggetto ma anche alle altre opere dell’artista che si scalano lungo il quarto decennio del Cinquecento: andrà osservata, per esempio, la puntuale corrispondenza fra il volto della Vergine e quello della santa Caterina nel polittico santhiatese o con quello di Maria nella pala con la Madonna col Bambino in trono e i santi Giulio d’Orta e Giuseppe passata dalla chiesa parrocchiale di San Germano Vercellese alle raccolte ducali torinesi (oggi alla Galleria Sabauda, fig. 4). In quest’ultimo dipinto, importante anche per la presenza della data – 1533 – che mette un punto fermo in una stagione ricca di notizie biografiche ma povera di sicuri agganci cronologici per la produzione pittorica dell’artista, si deve notare anche la coincidenza della gamma cromatica nei rossi accesi, nei verdi densi e illuminati di serici riflessi gialli6. In taluni punti – nel manto di san Giuseppe o nel paesaggio sullo sfondo – riconosciamo anche la stesura pittorica compendiaria e un po’ routinière della maturità giovenoniana. Importa, giunti a questo punto, affrontare il problema della seriazione cronologica delle tre Adorazioni: la più antica sembra essere quella della sacrestia di San Cristoforo dove il sant’Antonio Abate è gemello del san Giulio nella pala della Sabauda; i volti di Maria e di sant’Antonio da Padova, poi, presentano ancora quell’aspetto porcellanato, quella gamma cromatica nitida e primaverile, quella cesellatura di dettagli che indicano come il pittore non abbia ancora definitivamente accantonato i preziosismi defendenteschi per aderire alla nuova ondata gaudenziana non solo nei modelli tipologici ma anche nel dettato pittorico. Una scrittura più unita e pastosa connota invece l’Adorazione oggi al Museo Leone dove andrà registrato un addensarsi e un ingrigirsi delle ombre, soprattutto per quanto riguarda il san Giuseppe e il pastore in secondo piano, che indica un fare più sciolto e, nello stesso momento, più fuso. La vicinanza con la pala Frichignono, oggi nel duomo di Biella, opera databile al 1538, oltre a orientare la data di quest’ultima Adorazione
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Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino in trono e i santi Giulio d’Orta e Giuseppe. Torino, Galleria Sabauda
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(e, va da sé, anche della versione che stiamo esaminando), pone il problema dei rapporti con Lanino: è un dato acquisito, infatti, che Gerolamo Giovenone, nel suo dipinto biellese, riveli l’attrazione nei confronti della pala di Ternengo, licenziata dal più giovane collaboratore nel 1534 (oggi a Torino, Galleria Sabauda), all’indomani del suo ingresso nell’entourage gaudenziano7. Lo snodo di una diretta collaborazione tra i due artisti si avvista anche nella bellissima ancona con il Matrimonio mistico di santa Caterina e i santi Giuseppe, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi, Eusebio e Giovannino (fig. 8), un dipinto anch’esso destinato alla confraternita vercellese dedicata alla santa e appartenente a questo stesso giro di anni. Nell’opera si è voluto di recente riconoscere il frutto dell’intervento dei due Giovenone insieme con Lanino8: l’incantevole dolcezza delle espressioni e dei gesti si veste di una gamma cromatica vellutata e di un chiaroscuro avvolgente e calibratissimo che trovano riscontro anche nella laninana paletta Dal Pozzo (Vercelli, Museo Borgogna, fig. 5), databile alla seconda metà degli anni trenta. Proprio nell’Adorazione qui presentata, tanto la figura dell’angelo (fig. 7) – una bellissima rielaborazione degli Angeli adoranti di Gaudenzio già ai Musei Civici di Novara – quanto il volto di San Francesco (fig. 6) sembrano meglio convenire a Lanino piuttosto che al pittore più anziano, come suggeriscono i confronti con uno degli apostoli dell’affresco con l’Ultima cena già nel convento degli Umiliati di Vercelli (oggi al Museo Borgogna) e, per quanto riguarda l’Assisiate, con il San Rocco della pala di Ternengo, dove ritroviamo la stessa morbida conduzione pittorica, le stesse ombre rossastre e gli stessi riflessi setosi osservati poc’anzi nell’ancona in esame. Resta infine da chiarire la provenienza dell’opera dal momento che le informazioni finora note non vanno oltre l’inizio del secolo scorso9: la presenza dei due santi francescani accanto alla Sacra famiglia comporterebbe dunque un’origine da una chiesa dell’ordine ma è difficile preci-
Bernardino Lanino Sacra conversazione, detta ‘pala Dal Pozzo’. Vercelli, Museo Borgogna
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Gerolamo Giovenone Adorazione del Bambino, particolare con San Francesco. Collezione Banca Patrimoni Sella & C.
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Gerolamo Giovenone e Bernardino Lanino Adorazione del Bambino, particolare dell’Angelo. Collezione Banca Patrimoni Sella & C.
sare quale e, a oggi, è una ricerca ancora tutta da costruire10. Il riutilizzo dello stesso modello compositivo in altre due pale eseguite sempre per Vercelli, a tutta prima, porterebbe a escludere le due principali sedi cittadine – San Francesco e Santa Maria di Biliemme – dal novero delle candidature possibili ma, in realtà, come abbiamo visto, erano sovente gli stessi committenti a imporre come modello una soluzione iconografica già nota e affermata, a maggior ragione quando come in questo caso essa proviene da quella prestigiosa fucina d’immagini rappresentata da Gaudenzio und seine Schule.
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Gerolamo Giovenone (con Giuseppe Giovenone il Vecchio e Bernardino Lanino?) Matrimonio mistico di santa Caterina e i santi Giuseppe, Antonio da Padova, Francesco d’Assisi, Eusebio e Giovannino. Vercelli, confraternita di Santa Caterina
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fine del secolo ma sembra poi interrompersi e sopravvivere nel Piemonte occidentale: ciò indurrebbe a sospettare che il perduto prototipo possa essersi spostato, all’inizio del Seicento, verso Torino, seguendo così l’onda del collezionismo ducale, particolarmente interessato, in questi anni, a procurarsi originali di scuola gaudenziana. 6 Per la ricostruzione di questo momento dell’attività giovenoniana si rimanda, anche per la bibliografia precedente, a Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., pp. 31-41; S. Baiocco, Girolamo Giovenone, in Gaudenzio Ferrari e Girolamo Giovenone: un avvio e un percorso, Torino 2004, passim; cfr. anche V. Inselvini, Gerolamo Giovenone accanto a Gaudenzio Ferrari, in P. Zambrano, Arte e storia a Vercelli nel Cinquecento, in E. Tortarolo (a cura di), Storia di Vercelli in età moderna e contemporanea, Torino 2011, pp. 449-450. 7 Sul problema degli scambi fra Giovenone e Lanino all’ombra di Gaudenzio cfr. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., pp. 43-61; S. Baiocco, Il Cinquecento, in V. Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli, Biella 2003. pp. 97-104; Baiocco, Girolamo Giovenone cit. 8 Il riferimento a Giovenone si deve a A.M. Brizio, Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia. Vercelli, Roma 1935; la proposta di riconoscere nell’opera la mano di Gerolamo e Giuseppe Giovenone con Bernardino Lanino è stata formulata da S. Riccardi (Per la storia della pittura a Vercelli: dalla partenza di Gaudenzio alla metà del Cinquecento, in VII Congresso Storico Vercellese. Vercelli fra Quattro e Cinquecento, Vercelli, 30 novembre - 1-2 dicembre 2017, in c.d.s.). 9 Le informazioni date dagli ultimi proprietari riferiscono che l’Adorazione proverrebbe dalla vendita, effettuata a Milano dalla casa d’aste Genolini nell’aprile 1902, della collezione Mastai Ferretti di Senigallia: il controllo sul catalogo effettuato da Filippo Timo che ringrazio, non ha però confermato la notizia; è forse utile ricordare che nella vendita Mastai si trova un’altra pala di Lanino – la Resurrezione di Cristo del 1564, oggi di proprietà Unicredit – identificabile in quella vista, insieme con una Trasfigurazione finora irreperita, nella raccolta del conte Luigi Montagnini, consigliere di cassazione a Vercelli intorno alla metà dell’Ottocento (C. Mossetti, Regesto, in Bernardino Lanino, a cura di P. Astrua, G. Romano, catalogo della mostra [Vercelli, Museo Borgogna, aprile-luglio 1985], Milano 1985, p. 32; A. Quazza, Repertorio delle opere di Bernardino Lanino, in Romano (a cura di), Bernardino Lanino cit., p. 264). 10 Gli elenchi delle soppressioni napoleoniche per Vercelli non sono così dettagliati da permettere un sicuro riconoscimento delle opere: va comunque osservato che un dipinto raffigurante la Natività risulta compreso tra quelli requisiti in Santa Maria di Biliemme ma è oggi identificato nell’Adorazione mistica del Bambino, opera giovanile di Gaudenzio (Francoforte, Staedel Museum e Torino, Museo Civico d’Arte Antica: V. Natale, E. Villata, Vercelli e Biella, in Napoleone e il Piemonte. Capolavori ritrovati, a cura di B. Ciliento con M. Caldera, catalogo della mostra [Alba, Fondazione Ferrero, 29 ottobre 2005 - 27 febbraio 2007], Savigliano 2005, pp. 83-84).
Per i dati tecnici sull’opera si rimanda al contributo di Thierry Radelet in questo stesso volume. 2 La ricostruzione dei modelli e delle derivazioni su questo soggetto è affrontata da S. Ghisotti (in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, a cura di G. Romano, catalogo della mostra [Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 22 marzo - 30 maggio 1982], Torino 1982, pp. 116-120) e da G. Romano (Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti figurativi, in G. Romano [a cura di], Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 56-59). L’attribuzione a Lanino dell’Adorazione, già nella chiesa di San Giuseppe, è superata da S. Ghisotti (in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit. pp. 117-118) che la riferisce alla fase matura di Giovenone, ormai influenzato dal più giovane pittore. Per un aggiornato consuntivo bibliografico sull’Adorazione di San Cristoforo si rimanda alla scheda di S. Riccardi, in V. Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli: San Sebastiano, San Cristoforo, Candelo 2009, p. 39 (IIa sezione del volume). 3 R. Sacchi, Bernardino Lanino in Lombardia, in Romano (a cura di), Bernardino Lanino cit., p. 156. 4 La felice identificazione dell’Adorazione di Sarasota con quella commissionata dal vescovo Arcimboldi (S. D’Italia, Appunti sulla fortuna di Gaudenzio: due Natività gemelle tra Italia e Francia, in “Arte Lombarda”, n.s., 178, 3, 2016, pp. 73-76) ha fatto definitivamente cadere l’ipotesi di riconoscere l’opera in quella commissionata nel 1528 a Gaudenzio da Dorotea Avogadro di Valdengo per il proprio altare nella chiesa della Trinità a Vercelli (E. Villata, Gaudenzio ed Eusebio Ferrari: ingresso e trionfo della Maniera Moderna a Vercelli, in V. Natale [a cura di], Arti figurative a Biella e a Vercelli. Il Cinquecento, Candelo 2003, pp. 81-83): secondo i termini contrattuali, il dipinto, perduto, doveva raffigurare la Natività con i santi Giuseppe, Rocco, Sebastiano, Antonio e Cristoforo (G. Colombo, Vita ed opere di Gaudenzio Ferrari pittore con documenti inediti, Roma-Torino-Firenze 1881, pp. 135, 306). Tenuto conto dei rapporti cronologici e della grande fortuna cittadina di questo modello compositivo per un’Adorazione con santi, tutto lascia pensare che possa essere stato questo il prototipo gaudenziano cui si rifanno Giovenone e Lanino. 5 Il successo di questa declinazione compositiva travalica, anche dal punto di vista cronologico, i confini della stretta cerchia gaudenziana, come dimostra la serie di fotografie del Fondo Rovere dei Musei Civici di Torino (scatola 21: sono stato indirizzato in questa ricerca da Serena D’Italia che ringrazio di cuore): accanto alle due Adorazioni di Vercelli, troviamo infatti una pala di area lombarda della Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia (circa 1530-1540; il modello, ripreso in controparte e arricchito da altri angeli musicanti, è in relazione con altri due disegni di bottega giovenoniana: S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 118-119), l’affresco di Pier Francesco Lanino nella chiesa di San Michele a Candia Lomellina (1589) e, infine, due tele secentesche di area sabauda (una nella sacrestia del santuario di Vicoforte e l’altra nella parrocchiale di Vische Canavese). La fortuna di questo modello resta dunque molto alta e costante in ambito vercellese fino alla 1
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Gerolamo Giovenone, la sua famiglia e il suo contesto
queste, però, fu data a Gerolamo, il figlio che già da anni aveva una bottega sua3. Un importante documento del 23 maggio 1519 chiama in causa insieme i tre figli di Amedeo, definendoli genericamente “pinctores”. In esso, il vicario generale della curia vercellese Giovanni Battista Avogadro di Valdengo commissionava alla bottega dei Giovenone due pale: una per San Marco e una per la cattedrale di Sant’Eusebio. Tali opere non sono state identificate, ma l’importanza dell’incarico risulta sancire il ruolo preminente che la bottega dei Giovenone poteva vantare già a quelle date4. Mentre Gerolamo è un protagonista della pittura rinascimentale vercellese, con un’attività abbastanza ben documentata, minori notizie abbiamo intorno a Giuseppe, che non era ancora maggiorenne nel 1519, e su Giovanni Pietro. Questi è sempre citato nei documenti come “carpentarius” o “lignamarius”, in quanto segue la specializzazione professionale del padre. Molto più tardi, altri documenti ricordano la commissione a lui affidata per la costruzione di una ancona destinata alla chiesa vercellese di San Francesco (con lo Sposalizio mistico di santa Caterina, ora al Museo Borgogna di Vercelli). Il documento fa riferimento, come modello, alla pala con il medesimo soggetto di Gaudenzio Ferrari (Novara, cattedrale), ripreso fedelmente dal figlio di Giovanni Pietro, Giovanni Battista, cui si affidò la parte pittorica e che firma il dipinto. Della sua carriera (morì nel 1573) si conosce qualche altro esempio, come il Martirio di sant’Agata della parrocchiale di Trivero (BI), firmato insieme a Francesco da Gattinara5. Il minore dei tre figli di Amedeo, Giuseppe Giovenone, fu invece indirizzato a completare la propria preparazione artistica al di fuori della bottega familiare e, quasi naturalmente, la scelta del maestro cui affidarsi puntò verso Gaudenzio Ferrari, l’artista ‘forestiero’, proveniente dalla Valsesia, e dunque dal ducato di Milano, che lo accolse come collaboratore con un contratto del 9 gennaio 1521; sappiamo che il rapporto di discepolato si trasformò in seguito in lunga collaborazione, soprattutto quando Gaudenzio si trasferì a Milano6. Ad esempio, in occasione dei lavori nel duomo di Vigevano (1534-1537) ripetuti pa-
SIMONE BAIOCCO
Nel prendere in esame la famiglia di Gerolamo Giovenone, ci troviamo di fronte a diverse generazioni di artisti che hanno avuto un ruolo importante, per oltre un secolo, nelle vicende figurative vercellesi; la lunga tradizione di studi che li riguarda ha potuto basarsi su una ricca messe di dati documentari1 e al contempo un buon numero di opere, tra le quale va citata come una straordinaria particolarità la serie dei cartoni custodita presso la Accademia Albertina, di cui tratta l’intervento in questo volume di Enrico Zanellati. La documentazione notarile evidenzia i loro legami con Gaudenzio Ferrari, con Eusebio Ferrari e con le altre principali famiglie di artisti vercellesi del Cinquecento, i Lanino e gli Oldoni. I primi componenti noti della famiglia Giovenone risultano stabilmente insediati a Vercelli, nonostante siano spesso indicati nei documenti con un riferimento alla loro provenienza da Barengo o, più genericamente, da Novara (dunque dal ducato milanese). In occasione delle trattative intercorse nel 1508 tra la locale confraternita di Sant’Anna e il pittore valsesiano Gaudenzio Ferrari per la realizzazione di un polittico, vi è notizia di un pagamento destinato al maestro di legname Amedeo e al figlio Giovanni Pietro per la realizzazione della carpenteria dell’opera; nel documento entrambi sono detti abitanti a Vercelli e si fa cenno all’esistenza, in città, di una loro bottega2. Non è finora stato possibile ricostruire la carriera di Amedeo Giovenone attraverso opere da lui con certezza realizzate; sappiamo però che il suo testamento (30 luglio 1524) dà il segno della continuità della bottega familiare in quanto egli disponeva di lasciare i suoi attrezzi da carpentiere ai figli Giovanni Pietro e a Giuseppe, insieme a quattro ancone da lui costruite; una di
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borazione tra i due maestri più giovani sono state individuate in alcune opere dei primi anni del Cinquecento, tra le quali il trittico francescano proveniente da Santa Maria degli Angeli a Cuneo e ora al Museo Borgogna di Vercelli, nel quale è agevole riconoscere la mano di Gerolamo soprattutto nella tavola centrale e nel laterale destro, mentre il sinistro ha una conduzione tecnica e stilistica più tipicamente defendentesca9 (fig. 2 a p. 47). Rimane comunque incerta la possibilità che Giovenone si potesse essere spostato da Vercelli al seguito del maestro casalese; una ipotesi di ricostruzione cronologica di questi eventi può forse appoggiarsi alla data del 1507 e in particolare alla lettera scritta da Spanzotti al duca di Savoia a proposito della replica della Madonna d’Orléans di Raffaello: la lettera è datata da Chivasso il 25 ottobre di quell’anno, ed è ormai abbastanza chiaro che anche Giovenone fu coinvolto nella vicenda, accanto al maestro. Si tratta dell’episodio, che tanti anni dopo, riguarda anche l’opera Madonna col Bambino (fig. 7) esposta in mostra10. Un secondo episodio permette poi di verificare la conoscenza diretta che Giovenone aveva dei materiali intorno ai quali si discuteva nella bottega di Spanzotti e di Defendente. In questo caso bisogna porre a confronto la Disputa al tempio del Museo Civico di Torino — di Defendente, ma ancora molto vicina al caposcuola — e la copia che ne viene tratta da Giovenone nel 1513, nella tavola firmata e datata che si trova ora al Cummer Museum of Art di Jacksonville (Florida)11 (figg. 1-2). Al di là di tali prove, che spingono a rilevare soprattutto la dipendenza dal contesto spanzottiano-defendentesco nelle fasi iniziali della carriera di Giovenone, almeno un’opera sicuramente datata e ormai stabilmente a lui attribuita indica la maturazione del suo stile in termini autonomi. Mi riferisco alle due tavole laterali del polittico Meschiati per la chiesa di San Domenico a Biella (ora al Castello Sforzesco di Milano), che insieme ai ritratti dei donatori raffigurano l’una San Defendente e santa Apollonia, l’altra le Sante Dorotea e Lucia; al centro del polittico, che il recupero di una fonte seicentesca ha permesso di datare al 1508, si trovava una Assunta, che non è stata identificata12.
gamenti toccarono a “Giuseppe da Vercelli”, addetto a interventi di finitura e di doratura; ancora dopo la morte del maestro, Giuseppe Giovenone, insieme a un altro collaboratore di Gaudenzio, Giovanni Battista Della Cerva, affittò alcuni immobili adiacenti alla chiesa di Santa Caterina presso San Nazario7. Tre dei figli di Gerolamo Giovenone hanno avuto a loro volta una attività artistica, ma tra loro solo Giuseppe (detto ‘il Giovane’, per non confonderlo con lo zio) ha un percorso autonomo e riconosciuto dalla critica. Egli fu anche attento a rivendicare e a custodire i disegni che costituivano l’irrinunciabile patrimonio grafico tramandato dalla famiglia, come si legge in un documento del 27 gennaio 1583 con cui, davanti al notaio, si giungeva alla divisione dei beni lasciati dal padre Gerolamo tra Giuseppe, Amedeo e Paolo Giovenone. Giuseppe si riservò la parte più cospicua in quanto “fratello magiore et più esperto nel arte et col industria sua ha guadagnato la magior parte delle facoltà delle quali esso messer Paolo chiede la divisione […]”. Egli volle anche “i dissegni di loro arte”, “facendosi però la dovuta descritione di quelli et inventaro et di quali nondimeno ciascun d’essi fratelli etiamdio durante la vitta d’esso messer Giuseppe se ne possi ad ogni richiesta prevalere ed aggiutarsi … et finita la morte d’esso messer Giuseppe […] s’abbiano detti dissegni a partire fra detti messer Amadeo e messer Paulo se saranno tra vivi, altramente tra luoro heredi per metà ciascuno et per stirpe”8. All’interno di questo gruppo familiare, un ruolo speciale lo ha, come si è detto, Gerolamo Giovenone, nato probabilmente intorno al 1485-1490, che inizia la sua carriera, secondo quanto è stato possibile ricostruire, nell’orbita del maestro casalese Giovanni Martino Spanzotti, che i documenti notarili ci dicono soggiornare a più riprese, tra il 1481 e il 1494, proprio a Vercelli. Quello del rapporto con Spanzotti, e poi con Defendente Ferrari, è uno snodo tuttora piuttosto problematico, entro il quale si collocano opere in cui si sospetta una collaborazione, nello stesso modo in cui il maestro casalese e Defendente collaborano per la pala dei Calzolai del duomo di Torino. Tracce della colla-
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Defendente Ferrari Disputa al tempio. Torino, Museo Civico 2
Gerolamo Giovenone Disputa al tempio (Cristo fra i dottori). Jacksonville (Florida), Cummer Museum of Art
confraternita dedicata a san Nicola da Tolentino; un’opera attribuita a Gerolamo già da Berenson e riferita da Viale, che ancora non conosceva il riferimento documentario, proprio a questa fase del pittore14. Poco dopo il 1514 si deve collocare anche il trittico con la Adorazione del Bambino tra i santi Michele arcangelo e Gerolamo (fig. 5 a p. 50), sempre al Borgogna, ancora molto vicino alla pala conservata nello stesso museo. Di fronte a quest’opera, risulta chiaro che Gerolamo sembra volersi aggiornare su quanto andava facendo Gaudenzio Ferrari: come ha fatto notare Romano, l’atteggiamento della Vergine adorante nel trittico richiama direttamente il modello gaudenziano del registro superiore del polittico di San Gaudenzio a Novara, con le mani aperte incrociate sul petto15. Le suggestioni stilistiche e le derivazioni tipologiche da opere di Gaudenzio si moltiplicano dunque a partire da questo momento, ed è un periodo nel quale diversi riferimenti documentari ci permettono di vedere Gaudenzio a stretto contatto
A distanza di qualche anno dalle tavole milanesi, la pala a spazio unitario della collezione Johnson di Filadelfia mostra ancora un carattere freddo e angoloso di ispirazione defendentesca13, e costituisce un buon termine di paragone per valutare tutta la crescita che porta il maestro vercellese a firmare nel 1514 la pala ora nella Galleria Sabauda a Torino, ma in origine destinata alla cappella di Sant’Abbondio in San Paolo a Vercelli, di patronato della famiglia del referendario ducale Domenico Buronzo (fig. 3). Pur con un impianto architettonico costruito secondo un modello aulico (caro anche a Defendente), la pala Buronzo mostra segni di un più cordiale naturalismo, che pare corrispondere a una reazione alla comparsa sul panorama vercellese di Gaudenzio Ferrari. Dello stesso anno della pala Buronzo, secondo un’iscrizione letta nel Settecento, è l’Adorazione del Bambino in una stalla con i santi Nicola da Tolentino ed Eusebio (fig. 1 a p. 46), giunta in deposito al Museo Borgogna dalla chiesa di San Bernardino ma in origine pertinente alla
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Gerolamo Giovenone Madonna in trono col Bambino fra i santi Abbondio e Domenico, la committente Ludovica Buronzo e i suoi figli. Torino, Galleria Sabauda 4
Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino e due sante. Nashville, Vanderbilt University, Fine Arts Gallery
Vanderbilt Univeristy di Nashville, da porre in stretta contiguità con l’opera precedente16 (fig. 4). Il disegno riutilizzato da Gerolamo, che mette in moto un rapporto spigliato e affettuoso tra la Vergine e il Figlio, si deve far risalire a Gaudenzio (anche se non lo riconosciamo tra le opere conservate), in quanto lo stesso pittore valsesiano lo reinterpretò più tardi, nella pala per Santa Maria di Piazza a Casale, ora alla Galleria Sabauda di Torino17. Un’opera come il polittico di San Silano a Romagnano Sesia di Gaudenzio, concluso entro il 152518, costituisce una premessa alla nuova sensibilità dimostrata da Giovenone nella pala di Mortara, ma ancor più chiare nel riproporre la relazio-
con la famiglia Giovenone. Assistiamo a una vera e propria svolta stilistica compiuta su sollecitazione dei capolavori del maestro, e riconosciamo la persistenza di alcune tipologie, che evidentemente circolavano a Vercelli anche grazie alla pratica disegnativa. Uno degli schemi compositivi e iconografici replicati in più occasioni da Giovenone è quello della Madonna col Bambino che compare sia nella pala di San Lorenzo a Mortara (cui conviene la datazione tradizionale intorno al 1524, legata alla presenza dei santi tipicamente invocati in periodi di pestilenza), sia nel trittico della Accademia Carrara di Bergamo firmato e datato 1527, sia nella Madonna col Bambino e due sante presso la
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tone va senz’altro datato ad anni più avanzati22 (fig. 6 a p. 87). A rafforzare le ipotesi di datazione del gruppo di opere ora discusse viene la vicinanza con una pala raffigurante la Madonna col Bambino e i santi Giulio d’Orta e Giuseppe, datata 1533. Il dipinto, ora in Galleria Sabauda, (fig. 4 a p. 30) proviene in origine dalla parrocchiale di San Germano Vercellese, dove era stato commissionato dalla “societas muratorum” che volle anche l’iscrizione alla base del trono. Anche in questo caso, la stretta relazione con Gaudenzio è denunciata dalla fisionomia della Vergine perfettamente coincidente con quelle di Santhià e Gattinara23. A partire dai primi anni trenta, la realtà pittorica vercellese dominata dai Giovenone deve fare i conti con l’esordio di Bernardino Lanino, il giovane che diventerà ben presto consapevole e prolifico divulgatore della poetica gaudenziana stimolando a un confronto, come vedremo, lo stesso Gerolamo24. La cronologia dettata dai documenti che lo riguardano, a partire dal contratto di apprendistato con il poco noto Baldassarre de Cadighis di Abbiategrasso (1528), chiarisce che il suo affacciarsi alla scena artistica cittadina coincide con gli anni in cui Gaudenzio realizza la pala degli Aranci e gli affreschi di San Cristoforo, determinando naturalmente una svolta e la conseguente decisione
ne sono alcune derivazioni tipologiche che compaiono, molto chiaramente, ad esempio nel polittico della parrocchiale di Sant’Agata a Santhià. Questo impegnativo polittico costituisce un punto di riferimento cronologico importante nel catalogo del pittore, in quanto conserva traccia di una datazione al 1531 che, seppure non documentabile con assoluta certezza, conferma quanto rivelato dall’analisi dello stile19. La Madonna col Bambino al centro del registro inferiore ricalca infatti direttamente, senza imbarazzi, la tavola che costituiva l’elemento centrale del polittico di Romagnano (Isola Bella, collezione Borromeo). Rimanda a un pensiero del maestro valsesiano anche la Sant’Agata del registro superiore che appare strettamente derivata, soprattutto per quanto riguarda il gioco del panneggio che avvolge le gambe, da un disegno di Gaudenzio custodito alla National Gallery of Ireland di Dublino20. Accanto al polittico di Santhià, con lo stesso tipo di derivazioni gaudenziane, si colloca il trittico della Madonna del Rosario di Gattinara, un’opera attualmente collocata entro la complessa e più tarda struttura dell’altare, e che fin dall’origine spettava all’altare maggiore della confraternita che tuttora la ospita21 (fig. 5). Il gruppo centrale del trittico, con la Madonna col Bambino, si collega al citato disegno di Gaudenzio e, nel comune riferimento a esso, il movimento del panneggio ci appare coincidente con quello visto nella Sant’Agata di Santhià. Nel caso della tavola centrale, è possibile riconoscere le scelte del pittore già tutte compiute nel cartone preparatorio, come si è detto vincolato al modello gaudenziano, che fortunatamente si è conservato nella preziosa raccolta della Accademia Albertina (n. 336). Ma anche un altro disegno mostra un collegamento con il trittico. Si tratta del n. 349 della stessa raccolta, raffigurante un San Giovanni evangelista che, come ha puntualmente evidenziato Silvia Ghisotti, non è da considerare preparatorio ma derivato dal santo del pannello laterale sinistro, in quanto ne rielabora l’impostazione: nell’ambito del persistente apprezzamento di un repertorio gaudenziano condiviso ormai tra la bottega di Giovenone e Lanino, questo car-
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Gerolamo Giovenone Trittico della Madonna del Rosario. Gattinara, chiesa di Santa Maria del Rosario
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Gerolamo Giovenone e bottega, Madonna col Bambino e santi. Milano, Pinacoteca di Brera
nel consolidato rapporto tra la bottega vercellese di Gerolamo Giovenone e Gaudenzio Ferrari: ne sono prova i tipi facciali delle figure di anziani barbuti, già divulgati a più riprese da Giovenone, ma anche precise desunzioni che coinvolgono i due santi che affiancano l’Eterno nella volta del catino absidale: il San Giovanni Battista recupera una tipologia iconografica che si ritrova in due importanti commissioni espletate pochi anni prima da Gaudenzio per Romagnano Sesia e per Gattinara; il San Protasio, invece, ricalca un cartone realizzato da Giovenone per dipingere lo stesso soggetto su una delle tavole laterali del trittico dei confratelli di Sant’Ambrogio25. D’altro canto, che il giovane Lanino si fosse inserito nel contesto dei rapporti personali tra Gaudenzio e famiglia Giovenone emerge per via documentaria fin dal 1530, anno in cui è teste in un documento di affari che coinvolge Gaudenzio e suo figlio Gerolamo, mentre successivamente vi sono varie attestazioni della sua presenza in casa Giovenone, anche prima del matrimonio con Dorotea, che sancisce nel 1540 il suo ingresso nella famiglia26. Il maestro più giovane raggiunge molto presto riconoscimenti importanti, ottenendo commissioni per affreschi a Vercelli e un tempestivo coinvolgimento nel cantiere varallese del Sacro Monte, oltre che un apprezzamento presso famiglie eminenti tra vercellese e biellese, come i Gromo e i Ferrero27. Si collocano in questo primo periodo della sua autonoma attività la pala commissionata nel 1534 dalla comunità di Ternengo per la locale chiesa di Sant’Eusebio (ora alla Galleria Sabauda) e il vertice straordinario della pala firmata e datata 1539 per la parrocchiale di Borgosesia. Due spunti per comprendere la fase tarda di Gerolamo Giovenone sono suggeriti da altrettante opere di cui conosciamo la provenienza originaria. La prima – la Madonna col Bambino, santi e un committente nel duomo di Biella, che era firmata e datata 1538 – era destinata all’altare della famiglia Frichignono nella chiesa di San Domenico di quella città; si tratta di un’opera molto importante per chiarire il rapporto tra Gerolamo Giovenone e il giovane Bernardino Lanino, e che sembra già indicare quella linea di placida compunzione devota
di abbracciare la causa gaudenziana. Il rapporto di discepolato con de Cadighis doveva dunque essere durato molto poco: l’unica opera cui si può fare riferimento per verificare i primissimi anni di attività di Lanino, gli affreschi in Santa Caterina a Lavino di Cossato, mostrano infatti un puntuale aggiornamento su quanto stava avvenendo
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Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino (copia da Raffaello) circa 1535-1540 tempera grassa su tavola 50,5 × 37,5 cm. Torino, Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica, inv. 627
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Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino. Torino, collezione privata 9
Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino. Baltimora, The Walters Art Museum 10
Defendente Ferrari, Madonna col Bambino. Amsterdam, Rijksmuseum
raffaellesco: “Credo che V. S.ria trovera questa ve mando equale et in qualche parte di meglo de laltra”31. Sono note diverse repliche del dipinto, eseguite all’interno della bottega di Spanzotti entro la quale collaboravano, come si è visto, anche Defendente e Giovenone, ma nessuna di queste è riconducibile alla mano del maestro casalese32. Tra queste, forse la più antica si trova in una collezione privata torinese ed è dipinta da Giovenone in una fase di esordio della sua carriera, tanto che si è ipotizzato potesse corrispondere alla copia eseguita nella bottega di Spanzotti, di cui parla la lettera33 (fig. 8); di poco successiva si può considerare la versione oggi custodita al Walters Art Museum di Baltimora, resa nota da Federico Zeri34 (fig. 9). Il fatto interessante è però che il fascino del modello raffaellesco è stato presente a lungo presso gli artisti piemontesi: uno degli esemplari, quello di Defendente oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, è datato 152635 (fig. 10). L’opera in esame, senza dubbio da attribuire a Giovenone, va collocata alla fine degli anni trenta anche per il modo in cui si allontana ormai da opere sicuramente datate come le già citate pale per San Germano Vercellese (1535) e per la famiglia Frichignono nel duomo di Biella (1538). Rispetto a questi esempi, sempre con la attenzione a tentare di emulare la stesura vibrante e filiforme di Gaudenzio, Giovenone mostra nella nostra tavola soluzioni luministiche di particolare modernità.
su cui si orienterà Giuseppe il Giovane28. La seconda opera è la pala proveniente da Santa Maria delle Grazie di Novara, e oggi alla Pinacoteca di Brera a Milano29 (fig. 6). Questa mostra un rapporto che è ormai di concreta dipendenza da una pala di Lanino, quella datata 1543 per la cappella di patronato Strata in San Paolo a Vercelli (ora alla National Gallery di Londra30); la pala novarese è ben difficilmente riconducibile alla diretta autografia di Gerolamo ma mostra quanto la bottega (con ogni probabilità vi sono già attivi i suoi figli) fosse in grado di mantenere un elevato livello qualitativo. Alla fase tarda della produzione di Gerolamo Giovenone appartiene anche la Madonna col Bambino esposta in mostra (fig. 7), che il Museo Civico d’Arte Antica di Torino ha avuto l’opportunità di acquisire nel 2006, e che è dunque una, forse la più tarda, tra le varie repliche piemontesi della Madonna d’Orléans di Raffaello (opera custodita al Musée Condé di Chantilly). Come già ricostruito, a partire dalle importanti acquisizioni documentarie di Alessandro Baudi di Vesme, il riferimento è a una lettera scritta da Spanzotti al duca di Savoia Carlo II, da Chivasso, il 25 ottobre 1507, con la quale inviava “[…] il tabuleto con la ymagine de la Madona supra picto ala similitudine di quella fiorentina che V. S.ria. me remise in le mane, la quale sta apreso di me iusta il mandato di Vostra Signoria”. L’artista, orgogliosamente, esaltava la qualità della copia al punto di porsi al di là dell’originale
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G. Colombo, Documenti e notizie intorno agli artisti vercellesi, Vercelli 1883; A. Baudi di Vesme, Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, vol. IV, Torino 1982, pp. 1333-1364; S. Baiocco, voci in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LVI, Roma 2001: Giovenone, famiglia (pp. 410-412); Giovenone, Gerolamo (pp. 412-415); Giovenone, Giuseppe (pp. 415-417). 2 Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1293-1294; G. Romano, Pittori in bottega: Gaudenzio Ferrari tra avanguardia e tradizione, in Fermo Stella e Sperindio Cagnoli seguaci di Gaudenzio Ferrari. Una bottega d’arte nel Cinquecento padano, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Bergamo, Museo Bernareggi, 29 settembre - 17 dicembre 2006), Cinisello Balsamo 2006, pp. 11-21 (il medesimo testo, con aggiornamenti e note, è poi comparso in Pratiche del disegno in Piemonte Liguria e Provenza [secoli XV e XVI], Torino 2008, pp. 79-108). 3 G.B. Morandi, I Giovenone (Notizie e documenti), in “Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte”, II, 4, 1910, pp. 278-291 (in particolare pp. 283-288). 4 G. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti figurativi, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 14-62: p. 31. 5 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 22 marzo - 30 maggio 1982), Torino 1982, scheda a p. 123. 6 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 38; R. Sacchi, Gaudenzio a Milano, Milano 2015. 7 Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1343-1344. 8 Ivi, pp. 1350-1351. 9 P. Manchinu, in Napoleone e il Piemonte. Capolavori ritrovati, a cura di B. Ciliento con M. Caldera, catalogo della mostra (Alba, Fondazione Ferrero, 29 ottobre 2005 - 27 febbraio 2007), Savigliano 2005, pp. 210-211, n. 32. Di quest’opera parla anche l’intervento di Paola Manchinu in questo volume. 10 Per il riepilogo della questione delle varie repliche piemontesi dal prototipo raffaellesco, con la bibliografia relativa, rinvio a S. Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone, in “Palazzo Madama. Studi e notizie”, I, 0, 2010, pp. 143-149. 11 S. Baiocco, Girolamo Giovenone, in Gaudenzio Ferrari e Girolamo Giovenone: un avvio e un percorso, Torino 2004, p. 174 (con la bibliografia precedente). 12 Si veda M.T. Fiorio, in Museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco. Pinacoteca, t. I, Milano 1997, p. 315, nn. 215-216. 13 B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932, p. 188 (dove l’opera è ancora attribuita a Defendente); G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L'avvento del Manierismo in una città padana, Torino 1970, p. 20 in nota. 14 Berenson, Italian Pictures of the Renaissance cit., p. 252; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catalogo della mostra (Torino, Museo Nazionale del Risorgimento), Torino 1939, pp. 114-115; Anna Maria Brizio aveva invece mantenuto la pala nell’elenco delle opere di Defendente (A.M. Brizio, La pittura in Piemonte dall’età romanica al Cinquecento, Torino 1942, p. 220). 15 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 29.
16 Per i riferimenti alle singole opere, rinvio a Baiocco, Girolamo Giovenone cit. 17 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 34. 18 F.M. Ferro, in Napoleone e il Piemonte cit., pp. 224-227, n. 38; M. Caldera, Gaudenzio Ferrari fino al 1528, in Fermo Stella e Sperindio Cagnoli cit., pp. 23-37. 19 Per il problema della datazione: S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il trittico di Gattinara, in D. Sanguineti (a cura di), Gerolamo Giovenone in Santa Maria del Rosario a Gattinara. Il restauro del trittico e del suo contesto, Genova 2003, pp. 11-21 (in particolare la nota 17 a p. 20). 20 Casalesi del Cinquecento cit., p. 19; M. di Macco, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 101-103. 21 Sanguineti (a cura di), Gerolamo Giovenone cit. 22 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 111-113. 23 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 40, nota 32. 24 Cfr. ivi, pp. 43-62; P. Astrua e L. D’Agostino, Bernardino Lanino maestro a Vercelli: opere e committenti, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino cit., pp. 61-120. 25 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 104-107, nn. 10-11. 26 Per il documento del 12 luglio 1530: Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., p. 1390; per i rapporti con Giovenone entro il 1540, faccio riferimento a documenti del 9 giugno 1534 e del 23 novembre 1535 (Baudi di Vesme, Schede Vesme cit., pp. 1240 e 1341), commentati anche da Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari cit., p. 59. 27 Astrua, D’Agostino Bernardino Lanino maestro a Vercelli cit.; V. Natale, Committenze e artisti a Biella nella prima metà del secolo, in Arti figurative a Biella e a Vercelli. Il Cinquecento, a cura di V. Natale, Biella 2003, pp. 21-54 (in particolare pp. 47-48). 28 Astrua, D’Agostino Bernardino Lanino maestro a Vercelli cit., p. 80 29 S. Baiocco, Botteghe vercellesi del rinascimento, in Brera mai vista. Due momenti di Gerolamo Giovenone, a cura di C. Quattrini, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, sala XXXI, 15 dicembre 2011 - 18 marzo 2012), Milano 2011, pp. 11-33. 30 Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino cit., p. 61. 31 A. Baudi di Vesme, Nuove informazioni intorno al pittore Martino Spanzotti, in “Atti della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, IX, 1920, pp. 1-25 (in particolare pp. 12-15). 32 G. Romano (a cura di), Spanzotti, Macrino e una Madonna fortunata, catalogo della mostra (Torino, Galleria Antichi Maestri Pittori, 15 marzo - 6 maggio 2002), Torino 2002, pp. 8-9. 33 S. Baiocco, in Corti e Città. Arte del Quattrocento nelle Alpi occidentali, a cura di E. Pagella, E. Rossetti Brezzi, E. Castelnuovo, catalogo della mostra (Torino, 7 febbraio - 14 maggio 2006), p. 454, n. 236; Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone cit., pp. 143-144. 34 F. Zeri, Italian Paintings in the Walters Art Gallery, Baltimora 1976, vol. II, p. 418, n. 290 35 Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone cit., p. 146.
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Ritorno in famiglia: la collezione dei “Giovenone” al Museo Borgogna
Nazaro Maggiore a Milano2. Alla successiva asta Bevilacqua La Masa, nel 1900, l’interesse cadde nuovamente su un’opera data a Gaudenzio Ferrari, ma oggi ormai assestata sull’attribuzione all’allievo vercellese Bernardino Lanino: si tratta della preziosa tavoletta “Dal Pozzo” con la Sacra conversazione3 (fig. 5 a p. 31). Nel 1902, all’asta della vedova Arrigoni di Milano, comprò una Sacra famiglia data a Gaudenzio e ancora all’ultima asta Genolini del 1905, alla quale partecipò poco prima della morte, acquisì il piccolo Presepe con il monogramma di Cristo di Defendente Ferrari. Completava la serie di opere di Lanino anche l’acquisto presso la marchesa Mensi di Milano della tavola raffigurante una Sacra conversazione, firmata e datata al 1563, detta “Madonna del cane” per la presenza del cucciolo di volpino con un vezzoso collare a campanellini, acciambellato sullo sperone di roccia ai piedi della Vergine4. Come notiamo, non suscitava grande interesse per il collezionista la produzione di Giovenone, le cui opere erano piuttosto rare alle aste alle quali partecipò e qualora fossero presenti risultava più vantaggioso restituirle al più quotato e noto artista valsesiano. Sappiamo comunque che nell’Ottocento iniziavano a circolare opere con firme e date falsificate anche di Giovenone per alimentare le richieste del mercato antiquariale. Ne abbiamo un esempio proprio nella grande pala, trasportata su tela ed esposta nel salone, raffigurante la Madonna col Bambino in trono incoronata dagli angeli tra i santi Giovanni Battista e Bovo, che riporta un piccolo cartiglio, con firma e data apocrife, da avvicinarsi alla produzione dell’astigiano Gandolfino da Roreto o, come suggerito da Caldera, a Pascale Oddone, pittore piemontese del primo Cinquecento, di cui è documentata l’attività tra il 1523 e il 15465. Nel contempo le opere dei Giovenone erano comunque ben rappresentate sugli altari delle chiese cittadine, dove lo stesso Gustavo Frizzoni, nel suo percorso vercellese, le aveva puntualmente identificate ed elencate, mentre il locale Istituto di Belle Arti, di cui Borgogna era socio, provvedeva ad acquisirle e a ricoverarle nella propria Pinacoteca6. Un episodio che può avallare il disinteresse
CINZIA LACCHIA
Il prestigioso acquisto di Banca Patrimoni Sella della inedita pala d’altare di Gerolamo Giovenone, con il suo generoso deposito a Vercelli, offre un’opportunità significativa per il Museo Borgogna. Il suo arrivo permette finalmente di arricchire il corpus del pittore all’interno di un nucleo museale già rilevante ma dove mancava una testimonianza della sua produzione matura. La collezione di pittura antica, raccolta alle aste antiquarie dal fondatore Antonio Borgogna (18221906), vantava già a fine Ottocento alcune opere di primitivi piemontesi, anche se solo tardivamente il collezionista dedicò attenzione alla scuola vercellese. Alla vendita della prestigiosa collezione del marchese Mercurino Arborio di Gattinara del 1899, Borgogna si aggiudicò due grandi tavole firmate e datate: una di Boniforte Oldoni con Sacra famiglia e santi del 1548; l’altra di Giovanni Battista Giovenone, nipote di Gerolamo, del 1547, raffigurante il Matrimonio mistico di santa Caterina, la cui composizione riprende l’analogo dipinto di Gaudenzio Ferrari del 1530-1535 collocato nel duomo di Novara1. Alla stessa asta acquistò anche alcune piccole tavole a monocromo che erano attribuite a Gaudenzio Ferrari (Angelo che suona l’arpa e Angelo che suona la viola ora dati a Lanino e Salita al calvario) oltre a una copia tarda dello stralcio con l’Adorazione dei magi tratta dal ciclo ad affresco di San Cristoforo. Il collezionista dedicò attenzione anche ad alcuni disegni, copie ottocentesche di riproduzione, di particolari degli affreschi di Gaudenzio Ferrari in San Cristoforo e uno di Lanino nella chiesa di San
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del nostro collezionista per la produzione di Gerolamo Giovenone è documentato nella corrispondenza rintracciata da Doriana Guglielmetto in relazione alla collezione dell’avvocato Leone Fontana. Nella lettera del 17 luglio 1899 Gustavo Frizzoni, rispondendo a quella del collezionista torinese del 15 luglio, scrive di trattenere pure le fotografie della sua “madonnina” di Giovenone – si tratta della Madonna col Bambino copia della Madonna d’Orléans di Raffaello (fig. 8, p. 42) – e di presentarle a qualche amatore per poterla vendere a non meno di duemila lire. Al nome di Borgogna (ma lo chiama Francesco, forse riferendosi al nipote anch’egli collezionista e poi primo presidente del Museo), suggerito da Fontana nella precedente missiva come possibile acquirente per la tavola, Frizzoni prende le distanze dicendo di conoscerlo bene e che si guarderà dal rivolgersi direttamente a lui, perché sa “che non ama le offerte in genere, ma si compiace essenzialmente di fare da sé le sue scoperte e conquiste”7. Sarà solo nel 1915, a sette anni dall’apertura al pubblico della casa-museo di Antonio Borgogna, che una tavola di Gerolamo Giovenone entrerà in collezione come deposito. L’Adorazione del Bambino in una stalla con i santi Nicola da Tolentino ed Eusebio rappresenta infatti la prima opera antica a essere musealizzata. Essa proveniva dalla confraternita di San Bernardino di Vercelli, anche se in origine si trovava nella vicina chiesa-confraternita soppressa di San Nicola da Tolentino, come dichiara la presenza del santo tra i protagonisti della scena, in posizione centrale con il libro aperto sul passo di sant’Agostino che recita “Precepta patris mei servavi fideliter” (fig. 1)8. Quel deposito, richiesto dai confratelli e che divenne perpetuo, diede avvio alla nuova funzione del Museo Borgogna: da casa-museo di un collezionista acquisì anche il ruolo di museo del territorio, garantendo negli anni successivi ‘una nuova casa’ a molte opere dalle provenienze diversificate. Si deve proprio a Pietro Masoero (Alessandria, 1863-1934), fotografo e professionista affermato, appassionato e competente promotore del patrimonio artistico territoriale anche attraverso la sua attività di divulgatore, spesso richiesto da cri-
Gerolamo Giovenone Presepio o Adorazione del Bambino in una stalla con i santi Nicola da Tolentino ed Eusebio. Vercelli, Museo Borgogna, in deposito dal 1915 dalla confraternita di San Bernardino di Vercelli già in San Nicola da Tolentino
tici e studiosi per ottenere le riproduzioni di opere d’arte, l’intenzione di favorire questa opportunità di incremento del patrimonio museale quando divenne uno dei consiglieri del museo e successivamente presidente nel 19249. Per questa ragione e nell’occasione di questa mostra, il Museo Borgogna ha promosso e sostenuto il recupero conservativo di una parte dell’importante fondo di lastre storiche lasciate da Masoero che documentano, attraverso le autocromie, la preziosa campagna fotografica attuata in funzione dello studio e della conoscenza delle opere d’arte del territorio10. Ancora nel 1921 la direzione del museo, di cui Masoero era vicepresidente, cercò di recuperare le cinque tavole attribuite a Gaudenzio Ferrari appartenenti alla chiesa di San Pietro di Gattinara11. Attualmente sono esposte con parte della originaria predella, quest’ultima smembrata tra la Pinacoteca di Varallo e una collezione privata. Le funzioni di tutela e di valorizzazione propri di un grande museo pubblico furono man mano accresciute dopo i vari depositi che, a partire dal 1934 con l’arrivo del cospicuo nucleo di dipinti dell’Istituto di Belle Arti-Museo Leone, si susseguirono per volontà della Soprintendenza e per sopperire alle necessità di provvedere alla conservazione e
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Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino in trono e angeli musicanti, san Francesco e il beato Angelo Carletti, san Sebastiano e santa Marta. Vercelli, Museo Borgogna, in deposito dall’Istituto di Belle Arti di Vercelli (inv. 56)
almeno tre decenni di studi e di confronti scaturiti grazie alle mostre territoriali, da Gotico e Rinascimento in Piemonte a Torino del 1938-1939, a quelle vercellesi su Sodoma del 1950 e su Gaudenzio Ferrari sempre al Museo Borgogna nel 1956. Da allora, e in seguito alle nuove campagne di restauro e di ricerca archivistica in occasione delle mostre sui cartoni dell’Accademia Albertina del 1982, della mostra e dei cataloghi su Bernardino Lanino del 1985-1986 curate da Giovanni Romano (fig. 7), delle ricognizioni territoriali con i relativi volumi della collana Arti figurative a Biella
conoscenza del patrimonio da parte di diversi enti territoriali. La costruzione dell’identità della collezione ha subito non solo incrementi quantitativi di opere ma ha visto anche l’opportunità di diventare un luogo attivo per lo studio, finalizzato alla schedatura del patrimonio, favorendo nuove piste di ricerca, grazie anche ad approfondimenti diagnostici in occasione di restauri, mostre e confronti tra esperti. Il catalogo sui dipinti redatto nel 1969 da Vittorio Viale, il terzo direttore del Museo Borgogna, depositava e in qualche modo fissava gli esiti di
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scorcio e di profilo nella fascia orizzontale. Oltre alla visione scorciata del gradino su cui siedono i due angioletti suonatori e il disegno geometrico dell’intero trono, arricchito da una tessitura di filamenti dorati che evidenziano le luci, il soffitto a botte entro cui si aprono i lacunari riprende uno schema compositivo scorciato simile alla fascia centinata a finti cassettoni lignei che incornicia lo spazio della scena sacra della nuova tavola Banca Patrimoni Sella. Qui però la composizione si apre sul paesaggio naturale, secondo un impianto che Giovenone aveva già sperimentato in modo esemplare con la soluzione proposta nella firmata e datata “pala Buronzo” del 1514 per la chiesa domenicana vercellese di San Paolo e ora alla Galleria Sabauda (fig. 3 a p. 38). A questo momento stilistico è ricondotta anche l’altra grande pala, dal formato quasi quadrato e unitario, purtroppo senza la sua cornice originaria, raffigurante l’Adorazione del Bambino in una
e a Vercelli nel 2005 e nel 2003, dei contributi di Simone Baiocco12, del restauro e della mostra sul polittico di Bianzè del 201513, si sono precisate attribuzioni e si sono aperti nuovi e ancora fruttuosi campi di ricerca rispetto al riconoscimento delle plurime mani operanti nelle botteghe vercellesi per tutto il Cinquecento. I pannelli illustrativi sulla diagnostica non invasiva realizzata con Thierry Radelet, all’interno del progetto Esponente del 2013, affiancano nell’attuale allestimento alcune delle opere piemontesi indagate e restituiscono i dati emersi sulle tecniche pittoriche, sulle caratteristiche strutturali e sul loro stato di salute. Nel percorso espositivo del museo a oggi si possono elencare, per attribuzione ormai consolidata, le seguenti opere che coprono buona parte della produzione cronologica del maestro Gerolamo Giovenone (Barengo, Novara, circa 1490 - Vercelli, 1555), capo bottega di una florida équipe di artisti. Il trittico, esposto nel salone, con la Madonna in trono col Bambino e due angeli musicanti, san Francesco e il beato Angelo Carletti, san Sebastiano e santa Marta (fig. 2), è un’opera che appartiene alla sua produzione giovanile ed è stata realizzata in collaborazione con il collega chivassese Defendente Ferrari (attivo in Piemonte occidentale dal 1509 al 1535 circa) con il quale si era formato nella bottega del casalese Giovanni Martino Spanzotti. Le tre tavole, assemblate ancora nella loro cornice originale a eccezione della base, provengono dalla chiesa cuneese di Sant’Antonio fuori le mura dove rimasero fino al 1537 quando l’opera fu trasferita nella chiesa di Santa Maria degli Angeli sempre a Cuneo e successivamente passò all’Istituto di Belle Arti di Vercelli come dono da parte del direttore Edoardo Arborio Mella che l’aveva acquistata dall’antiquario Baslini nel 186514. È interessante notare nel pannello centrale la tessitura pittorica dei volti attribuiti, come per il pannello destro, a Giovenone e osservare l’attenta costruzione e la raffinata capacità prospettica del disegno architettonico che si fonde ed entra in continuità con gli elementi della cornice, creando una studiata illusione spaziale, con effetto quasi tridimensionale delle paraste a grottesche e dei paffuti visi degli angioletti ripresi in
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Autocromia di Pietro Masoero: particolare della tavola di Gerolamo Giovenone, Adorazione del Bambino con i santi Nicola da Tolentino e Eusebio. Vercelli, Museo Borgogna, Archivio fotografico storico
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ne scriveva che il Presepe rappresenta un “saggio tra i più elevati e sensibili dell’attività giovanile di Giovenone” che “mostra un’impronta spanzottiano-defendentesca nel corteggio degli angeli e nell’impianto compositivo che consente la ‘prova prospettica’ del fondo e i nordicismi cari a Defendente, anche se una nuova morbidezza tradisce l’interesse per le novità gaudenziane”15. Prima di arrivare in deposito al Borgogna nel 1934, è appartenuto alla collezione Fortina e, fino al 1865, si trovava presso il Ricovero di Mendicità di Vercelli, dove lo acquistò l’Istituto di Belle Arti per 500 lire insieme con altre quattro piccole tavole dello stesso artista. Queste ultime sono esposte sul setto di fronte e raffigurano i Santi Cristoforo, Giovanni Battista con un monaco eremitano, Caterina e santa martire (Dorotea?). Michela di Macco le restituiva a un polittico smembrato non ancora rintracciato e indicava nella significativa presenza del monaco inginocchiato la possibile committenza degli Eremitani, presenti a Vercelli nella chiesa agostiniana di San Marco e in San Bernardo16. I documenti riferiscono infatti della commissione e dei pagamenti a Gerolamo Giovenone nel 1519 e nel 1521 per due ancone “belle e lodevoli” da porre nella cappella di Santa Dorotea in San Marco, a cui potrebbero riferirsi le nostre tavole compatibili anche per cronologia stilistica, e l’altra nella cappella del protettorato di Giovanni Battista Avogadro di Valdengo nella chiesa di Sant’Eusebio17. Possiamo cogliere con evidenza la permeabilità allo stile di Defendente grazie al raffronto immediato che il visitatore è invitato a fare sulla stessa parete dove sono affiancate, una accanto all’altra, la paletta di Gerolamo Giovenone e la tavoletta devozionale di Defendente Ferrari con lo stesso soggetto. Il confronto del piccolo Presepe con un altro trittico, databile al 1518-1520 e inserito in una cornice in stile ma novecentesca che raffigura l’Adorazione del Bambino tra i santi Michele arcangelo e Gerolamo (fig. 5), apre il dibattito sui prestiti disinvolti di motivi compositivi che connotano la permeabilità stilistica di Gerolamo Giovenone. Esso proviene già smembrato e senza la cornice originaria dalla confraternita di Sant’Antonio
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Gerolamo Giovenone Presepe con angeli adoranti; Annunciazione; Gesù di Pietà tra san Rocco e san Sebastiano. Vercelli, Museo Borgogna, in deposito dall’Istituto di Belle Arti di Vercelli (inv. 109)
stalla con i santi Nicola da Tolentino ed Eusebio, già citata in precedenza (figg. 1-3). Lo spazio architettonico diventa un elemento compositivo sul quale si incentra l’intera scena: la struttura lignea della capanna con, in primo piano, il palo che la sorregge con l’inserimento realistico di un cuneo ligneo; la paglia di copertura sul reticolato del tetto e lo scorcio prospettico con la fuga degli edifici e del simbolico arco spezzato sul fondo. Un piccolo Presepe con angeli adoranti o Natività, databile al 1510-1513, riporta la firma dell’artista (“HIERONIMI / IUVENONIS / OPIFICIS”, fig. 4) entro un cartiglio che compare in primo piano su un piccolo leggio sistemato in scorcio. È ancora nella sua cornice originaria, ornata di grottesche a chiaroscuro e di tondi con mezze figure che narrano in miniatura la scena dell’Annunciazione con l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata e, al centro in basso, il Cristo di Pietà tra San Rocco e san Sebastiano. La studiosa Giovanna Galante Garro-
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a Vercelli, che era intitolata ai due arcangeli Gabriele e Michele, dalla quale lo acquistò, nel 1873, l’Istituto di Belle Arti18. Le influenze delle novità gaudenziane ancora convivono con le rassicuranti tradizioni defendentesche, di cui però abbandona i grafismi nordicizzanti pur mantenendo lo schema del Bambino a terra. La tavola centrale con l’Adorazione del Bambino richiama nella costruzione prospettica un tema già presente nella produzione precedente dell’artista, ma si colora di una maggiore dolcezza nelle figure e nel sentimentalismo della Vergine. Quest’ultima riprende nell’impostazione, con le mani aperte e incrociate al petto, un preciso modello di Gaudenzio Ferrari e, in particolare, quello del registro superiore del polittico di San Gaudenzio a Novara. Insieme con il precoce aggiornamento gaudenziano, che segnerà anche una collaborazione più stretta dei Giovenone nella bottega del maestro valsesiano e un progressivo allontanamento dal collega Defendente, nel pannello laterale raffigurante San Michele arcangelo si coglie un altro prestigioso debito figurativo di Giovenone nei confronti di Perugino: la figura del santo sembra una citazione esplicita da quello della pala del maestro marchigiano realizzata per la certosa di Pavia, ora alla National Gallery di Londra. Sono elementi indiziari per cogliere l’inizio della trasformazione di Giovenone verso una maggiore morbidezza e un disegno più amplificato, sotto la regia compositiva e l’influenza di un nuovo collega, Gaudenzio Ferrari. Un atteggiamento “in accordo con quella linea di conciliazione tra due tradizioni figurative”19 attuata dal caposcuola dei Giovenone per gran parte della sua produzione figurativa e su cui si innesterà anche la nuova e giovane figura del promettente Bernardino Lanino, imparentatosi con la famiglia dei Giovenone dopo aver sposato Dorotea, la figlia di Gerolamo. La grande pala, di 2,40 metri in altezza, con la scena della Crocifissione, esposta nel salone, proviene dall’orfanotrofio delle Maddalene di Vercelli che, nel 1865, la depositò all’Istituto di Belle Arti (fig. 6)20. La scena è dominata dalla verticalità della croce, intorno alla quale si ammassa il gruppo degli astanti. Si riconosce, in primo pia-
Gerolamo Giovenone Adorazione del Bambino tra i santi Michele arcangelo e Gerolamo. Vercelli, Museo Borgogna, in deposito dall’Istituto di Belle Arti di Vercelli (inv. 62)
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Gerolamo Giovenone Crocifissione. Vercelli, Museo Borgogna, in deposito dall’Istituto di Belle Arti di Vercelli, proveniente dall’orfanotrofio delle Maddalene di Vercelli
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no, la Maddalena che abbraccia la croce, mentre le pie donne sorreggono il corpo svenuto della Vergine e una di loro fissa intensamente il riguardante. In secondo piano si collocano Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Lo sfondo di paesaggio si apre su una veduta straordinaria della Gerusalemme terrena, un “paesaggio cristallino di mura di città e montagne azzurre”21, evocando gli edifici che al Sacro Monte di Varallo erano da qualche anno cantiere vitale della memoria visiva e del percorso devozionale sulla Passione di Cristo affrescata e plasmata da Gaudenzio Ferrari. Lo stesso paesaggio si trova nella pala di Gerolamo raffigurante il Compianto del Museo del Territorio biellese mentre l’eleganza e la preziosità dei panneggi si ripetono simili e meglio conservati nella tavola con l’Adorazione dei magi esposta nella Pinacoteca dell’Arcivescovado a Vercelli. Questa tavola rientra nella produzione tarda di Giovenone, nella seconda metà degli anni trenta del Cinquecento, dove si collocherebbe anche la nuova opera di Banca Patrimoni Sella. Sono anni in cui è ben assestata la collaborazione nella bottega di Giovenone di altre mani, che si esprime in una qualità esecutiva a volte dissonante e spesso con riferimenti a modelli e repertori ormai consolidati e di successo entro i quali, usando le parole di Baiocco, “pesca ormai più di una persona, con una certa libertà”. In questa serie di opere si collocherebbe la nostra Crocifissione nella quale è stata notata “la compresenza di elementi ancora defendenteschi, di spunti gaudenziani e di materiali di provenienza milanese, in particolare bramantiniani per il san Giovanni sulla destra”22. Il confronto ravvicinato tra opere non solo di Gerolamo Giovenone, ma anche di Bernardino Lanino e delle rispettive botteghe famigliari, offre la possibilità di chiarire i meccanismi di lavoro della bottega, i debiti e i crediti rispetto a invenzioni compositive e riusi di modelli come bene documenta il prezioso nucleo di cartoni dell’Accademia Albertina, generosamente e utilmente messi a disposizione anche per questa occasione di studio. Questi materiali figurativi suggeriscono ulteriori contributi di ricerca, anche in direzione del territorio, grazie alla importante e nuova cam-
pagna fotografica che questo catalogo illustra. Confidiamo che l’occasione di questo deposito al Borgogna stimoli i visitatori e gli studiosi al fondamentale confronto dal vivo con le altre due tavole con lo stesso soggetto, una conservata nella sacrestia della chiesa di San Cristoforo (fig. 1 a p. 28) e l’altra esposta, ma bisognosa di un intervento conservativo, al Museo Leone a Vercelli, proveniente dalla confraternita di San Giuseppe (fig. 2 a p. 29). Il percorso potrà quindi arricchirsi e completare la lettura del nostro inedito con un interessante itinerario presso le altre sedi che ospitano significative presenze in città di Gerolamo Giovenone, osservandole nel loro contesto. Nella vicina chiesa di Sant’Agnese già San Francesco, la tavola raffigurante Sant’Ambrogio, parte di un trittico smembrato, rappresenta il vertice supremo tra le opere di alta qualità dei primi anni trenta del Cinquecento23. Altre opere sono gli affreschi, anche se molto sofferti, di San Giuliano; la preziosa tavola con il Matrimonio mistico nel coro di Santa Caterina (fig. 8 a p. 32), che apre ulteriori spunti di collaborazione tra gli artisti della bottega giovenoniana e Lanino; la raffinata tavola con l’Adorazione dei magi presso la Pinacoteca Arcivescovile. Un invito rivolto a percorrere le presenze del pittore sul territorio dove si possono ancora ammirare il trittico “Raspa” nella chiesa di San Bartolomeo a Trino (ma dipinto per la chiesa di San Paolo a
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Inaugurazione della mostra su Bernardino Lanino al Museo Borgogna (20 aprile - 7 luglio 1985); accanto alle opere di Lanino era esposta una selezione dei cartoni dell’Accademia Albertina. Archivio “La Stampa” di Vercelli
Vercelli), il polittico firmato e datato al 1531 della parrocchiale di Sant’Agata di Santhià e il trittico in Santa Maria del Rosario di Gattinara, ancora nella loro collocazione originale e dotati della originaria carpenteria, o la tavola con la Vergine col Bambino tra i santi Rocco e Sebastiano della basilica collegiata di San Lorenzo a Mortara.
L’occasione dell’arrivo in museo di una nuova opera non diventa così solo “un evento espositivo” fine a se stesso. Intende costruire un’esperienza di conoscenza di un artista e del suo contesto e favorire uno sguardo nuovo e accessibile per il pubblico e per gli studiosi, come è nella missione dei musei.
1 S.
della Confraternita di San Bernardino in data 18/7/1915 con la quale si annuncia che con autorizzazione prefettizia n° 19649 si intende depositare nel Museo Borgogna la tavola di Gerolamo Giovenone posseduta dalla confraternita stessa. Il cav. Masoero si allieta di questo deposito che spera sarà seguito da altri togliendo così da immancabili deperimenti opere preziose per esporle all’ammirazione ed allo studio del pubblico. La tavola in questione è magnifica e più che al Giovenone egli ritiene sia da attribuirsi a Defendente DeFerrari [sic]. Il consiglio delibera di accettare il deposito ed autorizzare il presidente a firmare il necessario verbale di consegna”. Il dipinto “in adatta cornice” risulta già esposto nelle sale del Museo come dichiara il verbale di Consiglio del 12 giugno 1916. Viale, Civico Museo Borgogna cit., p. 36, n. 34, tav. 40; E. Serrani, Storia e arte nella chiesa di San Bernardino in Vercelli, Vigliano Biellese 2006, pp. 9596, 285, fig. 53 e scheda conservativa del Museo Borgogna compilata da A. Meglio (R0156042). 9 AMB, Verbale consiglio di amministrazione, seduta del 12 novembre 1924. 10 P. Cavanna, Pietro Masoero: la documentazione della scuola pittorica vercellese, in Bernardino Lanino cit., pp. 150-154 e “Sebbene rari e qua e là sparsi”. Fotografia e immagine del territorio tra Biella e Vercelli, in V. Natale (a cura di), Arti figurative a Biella e a Vercelli. L’Ottocento, Candelo 2006, pp. 149-154: p. 153. Durante la sua conferenza La scuola pittorica vercellese, tenuta al Politeama Facchinetti a Vercelli il 4 aprile 1900, Masoero illustrò, attraverso le sue diapositive, le seguenti opere: “Parte prima-La pittura nel Vercellese 1400-1480: 1 affresco (Oratorio di S. Giovanni a Borgovercelli), 3 affreschi (chiesa parrocchiale di Casalvolone), 6 affreschi (chiesa di S. Marco e Carmine di Vercelli), 2 affreschi (chiesa di S. Anna di Vercelli), 1 affresco (Tomba di Tomaso Gallo in S. Andrea di Vercelli). Fondazione della scuola-1460-1500: 1 tavola di Boniforte Oldoni – 14121477, 1 tavola di Eusebio Ferrari da Pezzana – 1470-1533, 2 Tavole di Martino Spanzotti da Casale – 1456-1530, 4 tavole di Defendente Deferrari da Chivasso – 1470-1533, 1 Gruppo di Gaudenzio Ferrari con ritratto dello Scotto. Fioritura della Scuola 1500-1565. Gaudenzio Ferrari 14741546: 1 affresco: Cenacolo (Asilo di S. Cristoforo in Vercelli), 2 particolari dell’affresco nella chiesa della Madonna delle Grazie in Varallo, 1 tavola: polittico (chiesa di S. Gaudenzio in Novara), 1 tavola: polittico (chiesa di S. Caterina in Varallo), 1 tavola: Icona (Duomo di Novara), 1 tavola: Icona (Chiesa di Canobbio), 1 tavola: particolare (Museo Civico di Novara), 2 tavola e particolare (Chiesa parrocchiale di Arona), 1 tempera (Duomo di Como), 1 gruppo colossale (Cappella della Crocifissione in Varallo), 4 particolari dello
Ghisotti, Giovanni Battista Giovenone (Vercelli 1525 c. Vercelli 1573), in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, 22 marzo - 30 maggio 1982), Torino 1982, pp. 123-128: pp. 123-124. 2 A. Schiavi, in Museo Borgogna. I disegni, a cura di G. Bora, Cologno Monzese 2003, pp. 134-139, nn. 81, 82, 83. 3 V. Viale, Civico Museo Borgogna. I dipinti. Catalogo, Vercelli 1969, p. 45, n. 52, tav. 57 (data a Gaudenzio Ferrari); S. Ghisotti, in Bernardino Lanino, a cura di P. Astrua e G. Romano, catalogo della mostra (Vercelli, Museo Borgogna, aprile-luglio 1985), Milano 1985, pp. 38-39, n. 2; A. Quazza, Repertorio delle opere di Bernardino Lanino, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, p. 277. 4 Viale, Civico Museo Borgogna cit., p. 53, n. 67, tav. 67; P. Astrua, in Bernardino Lanino cit., pp. 100-102, n. 24. 5 Viale, Civico Museo Borgogna cit., pp. 36-37, n. 35, tav. 41, inv. 57, ancora riferita a Gerolamo Giovenone; M. di Macco, Gerolamo Giovenone, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 91-94: p. 94. 6 C. Lacchia, Gustavo Frizzoni (1840-1919) e la ricognizione del patrimonio artistico vercellese nel secondo Ottocento, in “Bollettino Storico Vercellese”, XXXII, 60, 2003, pp. 29-98; A. Rosso, Storia di una collezione. Il museo Camillo Leone dal 1907 alla direzione di Vittorio Viale, in “Bollettino Storico Vercellese”, XLVI, 88, 2017, pp. 181-244; A.M. Rosso, Scuola di formazione professionale e Accademia: il doppio ruolo dell’Istituto di Belle Arti dal 1861 ad oggi, in A. Ruffino (a cura di), Vercellesi illustri. Educatori e Istituzioni formative, Vercelli 2017, pp. 115-151. 7 D. Guglielmetto Mugion, La collezione Fontana: genesi e sviluppo di una raccolta piemontese, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere, relatore professoressa Maria Beatrice Failla, a.a. 2007-2008, appendice documentaria n. 56, trascritta alle pp. 299-300; D. Guglielmetto Mugion, Leone Fontana, collezionista d’arte antica, in S. Baiocco (a cura di), Defendente Ferrari a Palazzo Madama. Studi e restauri per il centenario della donazione Fontana, Savigliano 2009, pp. 49-67; S. Baiocco, Una Madonna di Gerolamo Giovenone, in “Palazzo Madama. Studi e notizie”, I, 0, 2010, pp. 143-149. 8 Archivio Storico Museo Borgogna (AMB), “Museo Borgogna Verbali, n. 1”, Seduta del 9 dicembre 1915. Presenti: Francesco Borgogna, presidente, e i consiglieri Ferdinando Rossaro, Pietro Masoero, Teodoro Mella. Assente giustificato Achille Giovanni Cagna. “Deposito quadro della Confraternita di San Bernardino: il presidente comunica una lettera
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stesso, 1 tavola: Icona (Chiesa di S. Cristoforo in Vercelli), 1 affresco: Crocifissione (id.), 1 affresco: Assunta (id.), 4 Particolari: Via di M.V. (id.), 3 Particolari: Vita di S. Maddalena (id.), 3 affresco e particolari: Cupola santuario di Saronno, 1 tavola: Deposizione (R. Pinacoteca di Torino), 1 Cena (Chiesa della Passione in Milano), 1 tavola: S. Caterina (R. Pinacoteca di Milano), 1 tempera (id.), 1 tavola (Chiesa di S. Caterina in Vercelli), 1 tavola (Chiesa di S. Francesco in Vercelli), 1 affresco (Chiesa di S. Andrea in Vercelli). Parte seconda. Fioritura della Scuola 1500-1565. Giovanni Antonio Bazzi detto il “Sodoma” 1477-1549. 1 tavola: Il presepio (Accademia di Belle Arti di Siena), 1 tavola: Deposizione (id.), 1 tavola: Tre Magi (chiesa di S. Agostino in Siena), 1 Madonna (Palazzo comunale di Siena), 1 tavola: Deposizione (Cattedrale di Pisa), 1 tavola (R. Pinacoteca di Torino), 1 tavola (id.). Gerolamo Giovenone 1491-1555: 1 tavola: Natività (Pinacoteca Istituto di Belle Arti in Vercelli), 1 affresco (Battistero di Varese), 1 affresco: Natività (Confraternita di S. Bernardino in Vercelli), 1 tavola (Pinacoteca Istituto Belle Arti in Vercelli), 1 tavola (R. Pinacoteca di Torino), 2 affreschi (Chiesa di S. Giuliano in Vercelli), 1 tavola (Palazzo arcivescovile in Vercelli), 1 tavola (Galleria Leone in Vercelli), 1 trittico (Chiesa di S. Anna in Vercelli). Bernardino Lanino 1510-1586: 1 affresco (Sacristia del Duomo di Novara), 5 affreschi (Pinacoteca Istituto di Belle Arti in Vercelli), 2 affreschi (Chiesa di S. Caterina in Vercelli), 1 Stendardo (Pinacoteca Istituto di Belle Arti in Vercelli), 1 affresco (Confraternita di S. Bernardino in Vercelli), 1 tavola: Deposizione (Chiesa di S. Giuliano in Vercelli), 1 tavola: Deposizione (R. Pinacoteca di Torino), 1 tavola (Chiesa di S. Sebastiano in Biella), 1 Madonna (Galleria Casa Arborio di Gattinara in Albano), 1 tavola (Galleria Borgogna in Vercelli), 1 tavola (R. Pinacoteca di Torino), 1 tavola: Icona (Chiesa di S. Paolo in Vercelli), 1 tavola (id.). La decadenza 1565-1600: 1 tavola (Sala d’Amministrazione dell’Ospedale di Vercelli), 1 tavola di Battista Giovenone (Galleria Borgogna in Vercelli), 1 tavola di O. Boniforti (id.), 1 tavola di Gerolamo Lanino (Chiesa si S. Giuliano in Vercelli), 2 affreschi di Gerolamo Lanino (Candia Lomellina), 1 tavola di Gerolamo Lanino (Chiesa di S. Cristoforo in Vercelli), 1 tavola (Chiesa di S. Francesco in Vercelli), 1 tavola (Brefotrofio di Vercelli), 1 tavola di Gerolamo Lanino (S. Spirito in Casale), 1 tavola di Gerolamo Lanino (id.), 1 tavola di Pietro Francesco Lanino (Candia), 2 tavole (Palazzo arcivescovile in Vercelli), 2 tavole (Palazzo arcivescovile in Vercelli), 1 tavola (Proprietà Canetti), 1 tavola (Chiesa di Palazzolo Vercellese). Il documento a stampa è in Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Arborio Mella, mazzo 105, carte a classare, n. 521. 11 AMB, Verbale consiglio di amministrazione, seduta del 9 marzo 1921 convocazione d’urgenza. Alla presenza di Masoero (vicepresidente), Ferdinando Rossaro e Paolo Germano Stroppa, segretario il direttore Vittorio Petterino appena insediato: “Comunicazione circa pratiche per deposito tavole attribuite a Gaudenzio Ferrari: il direttore ha iniziato le pratiche presso il parroco di Gattinara per avere il deposito di cinque tavole dipinte attribuite a Gaudenzio Ferrari. Ha fiducia che queste potranno essere condotte secondo i desideri di modo che le sale del Museo potranno essere arricchite di opere di un discreto valore artistico-storico-regionale. Chiede l’autorizzazione a proseguire le pratiche, ciò
che l’amministrazione concede all’unanimità”. Le tavole, ormai smembrate dalla loro cornice originaria, arriveranno in museo solo dopo la mostra su Gaudenzio Ferrari del 1956. Si veda: P. Astrua, Fortuna e tutela, in Il polittico di San Pietro a Gattinara, quaderno per la presentazione del restauro, Vercelli 1989. 12 S. Baiocco, ad vocem Giovenone Gerolamo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LVI, Roma 2001, pp. 412-415; S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il trittico di Gattinara, in D. Sanguineti (a cura di), Gerolamo Giovenone in Santa Maria del Rosario a Gattinara. Il restauro del trittico e del suo contesto, Genova 2003, pp. 11-21; S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il contesto della pittura rinascimentale a Vercelli, in E. Villata, S. Baiocco, Gaudenzio Ferrari. Gerolamo Giovenone. Un avvio e un percorso, Torino 2004, pp. 145-226. 13 Il Polittico di Bianzè al Museo Borgogna. L’autunno di Defendente Ferrari, a cura di C. Lacchia, M. Caldera, catalogo della mostra (Vercelli, Museo Borgogna, 27 febbraio - 17 maggio 2015), Milano 2015. 14 Viale, Civico Museo Borgogna cit., pp. 32-33, n. 29, tavv. 30-33, inv. 56; P. Manchinu, in Napoleone e il Piemonte. Capolavori ritrovati, a cura di B. Ciliento con M. Caldera, catalogo della mostra (Alba, Fondazione Ferrero, 29 ottobre 2005 - 27 febbraio 2006), Savigliano 2005, pp. 210-211, n. 32. 15 Viale, Civico Museo Borgogna cit., p. 35, n. 33, tav. 39; G. Galante Garrone, in Opere d’arte a Vercelli e nella sua provincia. Recuperi e restauri 1968-1976, catalogo della mostra (Vercelli, Museo Borgogna, Varallo, Pinacoteca, San Marco, Santa Maria delle Grazie, Sacro Monte, Biella, Museo civico, San Sebastiano, giugno-settembre 1976), Torino 1976, pp. 136-137, scheda Natività, tav. p. 153. 16 Istituto di Belle Arti di Vercelli (IBAVC), Verbali di Adunanze del Consiglio di Direzione, 1861-1868, n. 172, verbale del 23 febbraio 1865, “Acquisto 5 tavole Ricovero di Mendicità”; Mandato di pagamento dell’Istituto di Belle Arti, n. 33 del 9 marzo 1865 su delibera del 23 febbraio 1865 e quietanza del Ricovero del 11 marzo per lire 500; Viale, Civico Museo Borgogna cit., p. 37, n. 36, tavv. 42-43, inv. 41, 128, 43, 124); M. di Macco, Gerolamo Giovenone, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., pp. 91-94: p. 93; Galante Garrone, in Opere d’arte a Vercelli cit., p. 137. 17 S. Ghisotti, in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola cit., p. 95; su San Marco si veda: M.C. Perazzo (a cura di), La chiesa di San Marco in Vercelli, Vercelli 2010, in part. p. 48. 18 Viale, Civico Museo Borgogna cit., pp. 37-38, nn. 37, 38, 39, tavv. 44-45, inv. 62. 19 G. Romano, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti figurativi, in Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli cit., pp. 24 e 29. 20 Viale, Civico Museo Borgogna cit., p. 39, n. 40, tavv. 4647. 21 Galante Garrone, in Opere d’arte a Vercelli cit., p. 138. 22 S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il contesto della pittura rinascimentale a Vercelli, in Villata Baiocco, Gaudenzio Ferrari Gerolamo Giovenone cit., p. 180, fig. 59. 23 S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il contesto della pittura rinascimentale a Vercelli, in Villata, Baiocco, Gaudenzio Ferrari Gerolamo Giovenone cit., p. 180.
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Un percorso di tutela per la tavola inedita di Gerolamo Giovenone: dalla dichiarazione di interesse culturale al restauro
istituzioni museali coinvolte e i privati che hanno unito le forze al fine di recuperare un’opera finora ignota e apparsa subito come un documento significativo della pittura rinascimentale piemontese, nuovo tassello per la comprensione del percorso artistico e biografico di Giovenone e per gli inizi di Bernardino Lanino, restituirla al nostro comune patrimonio di cittadini, renderla fruibile e valorizzarla. Si tratta, dunque, di una vicenda esemplare che riporta la tavola nel territorio da cui proviene e ne permette la fruizione all’interno di una collezione che ospita un nucleo importante di opere di Giovenone e della bottega, consentendo confronti diretti e ricostruendone il contesto di riferimento. L’attività di tutela si esplica anche attraverso le valutazioni tecnico-scientifiche effettuate dal personale specializzato in servizio presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che possono concludersi con il riconoscimento
SOFIA VILLANO
La felice scoperta della tavola inedita di Gerolamo Giovenone e l’iter che ha portato al provvedimento di dichiarazione di interesse artistico e storico particolarmente importante dell’opera sono esempi concreti di quanto l’attività di tutela sul territorio da parte delle Soprintendenze continui a essere viva e presente nonostante le difficoltà oggettive dovute a una cronica carenza di personale e risorse. Le Soprintendenze, pur mutando assetto a seguito delle recenti riforme ministeriali, hanno continuato a esercitare le funzioni previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 e s.m.i.) e a lavorare con abnegazione alla catalogazione, allo studio e alla salvaguardia del patrimonio culturale italiano anche in questi anni di profonda crisi economica, segnati da progressivi tagli al settore e da una sempre minore consapevolezza dell’importanza che rivestono per la nostra storia, nel contesto della più ampia civiltà europea, quelle testimonianze materiali e immateriali diffuse sul territorio, considerate marginali, ma che spesso rappresentano l’identità di una comunità o sono l’espressione di linguaggi figurativi alternativi rispetto alla più nota e celebrata produzione artistica centro-italiana e veneta. Il restauro del dipinto e la sua prossima collocazione permanente presso il Museo Borgogna di Vercelli sono stati possibili grazie al dialogo costruttivo instauratosi tra gli organi di tutela, le
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Lo stato dell’opera prima del restauro
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delle intrinseche qualità formali e del valore storico, artistico, archeologico, etnoantropologico o bibliografico di un bene. Nel caso specifico la Soprintendenza, considerato l’alto interesse che l’opera rivestiva nell’ambito della pittura piemontese della prima metà del Cinquecento, ha proceduto nel pieno esercizio delle funzioni a essa assegnate dalla legge e in virtù di un alto concetto del bene pubblico, espletando l’istruttoria e proponendo alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale (presieduta dal segretario regionale e composta dai soprintendenti di settore e dal direttore del polo museale regionale operanti nel territorio della regione) il provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale della tavola ai sensi dell’art. 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, secondo quanto stabilito dai più recenti decreti di riorganizzazione del Ministero (DPCM 29 agosto 2014 n. 171, art. 33 e DM 23 gennaio 2016, n. 44, art. 4). A seguito di tale dichiarazione, avvenuta con decreto della Commissione n. 21 dell’8 febbraio 2017, il dipinto, che continua a mantenere il suo status giuridico di proprietà privata, risulta assimilato ai beni di natura pubblica e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel Codice, essendo divenuto ufficialmente parte del patrimonio culturale nazionale e non potendo più uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica italiana. L’intervento conservativo è stato eseguito nel corso del 2017 dal Laboratorio di restauro e analisi Thierry Radelet sotto la direzione di chi scrive (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino) e grazie al generoso sostegno finanziario di Banca Patrimoni Sella & C. La pala si presentava in discrete condizioni conservative fatta eccezione per una considerevole alterazione e ossidazione della vernice protettiva a base di resina naturale che nel corso del tempo aveva assunto un tono bruno scuro e che, unita alla presenza di uno spesso deposito superficiale di particolato atmosferico, aveva determinato un offuscamento generale della pellicola pittorica, nascondendo la tonalità delle cromie originali
(fig. 1). Gli strati superficiali mostravano, inoltre, problemi di adesione e coesione con piccoli e diffusi sollevamenti di colore ad andamento verticale, in particolare lungo le commettiture delle tre assi da cui il dipinto è composto, causati verosimilmente dall’esposizione a condizioni ambientali non favorevoli e da probabili sbalzi di temperatura e umidità relativa. Questa situazione microclimatica aveva provocato movimenti del supporto con fenomeni di restringimento e dilatazione del legno trasmessisi anche alla superficie dipinta. Inoltre in un intervento precedente, forse risalente agli anni settanta del Novecento, il supporto era stato fortemente assottigliato fino
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Tasselli di pulitura
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Particolare dopo la completa pulitura 5
Generale dopo l’esecuzione delle stuccature
menti e dello strato filmogeno. Le analisi si sono, inoltre, rivelate utili per confrontare la tavola in questione con le pale di analogo soggetto conservate presso il Museo Leone e la chiesa di San Cristoforo a Vercelli e con il cartone preparatorio raffigurante l’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Albertina di Torino, permettendo di fare nuove ipotesi sulla genesi della composizione (si veda il testo di Thierry Radelet in questo stesso volume). Le scelte di intervento hanno favorito soluzioni che avessero il minor impatto possibile e garantissero il rispetto dei materiali costituivi dell’opera e della sua storia conservativa, secondo le più moderne metodologie e le più recenti riflessioni sul restauro. L’intervento ha comportato, innanzitutto, la velinatura per la messa in sicurezza della pellicola pittorica durante il trasporto presso il laboratorio. A questa operazione è seguito lo smontaggio della
a una misura di soli 8 mm e sul retro era stata applicata una fitta parchettatura formata da 18 listelli orizzontali e 12 verticali con conseguente interruzione delle fibre lignee, irrigidimento e creazione di tensioni contrastanti. Dalle verifiche e dalle osservazioni condotte si può, comunque, ipotizzare che oltre al menzionato intervento novecentesco il dipinto abbia subito, prima del restauro attuale, semplicemente qualche operazione di manutenzione più antica meno invasiva, conservando nel complesso tutti i livelli pittorici e giungendo a noi sostanzialmente integro. La pala è composta, come si è detto, da tre assi che misurano rispettivamente 53 cm (asse centrale) e 35 cm (assi destra e sinistra). Il restauro, che è anche e sempre un momento privilegiato di studio e conoscenza di un manufatto, è stato supportato da indagini diagnostiche che hanno consentito la comprensione della tecnica esecutiva e il riconoscimento dei pig-
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Particolare con base dei reintegri a tempera, inizio ritocco 7
Fase avanzata di ritocco
tavola dalla cornice in legno dorato, non originale, databile al XIX secolo e probabilmente realizzata dopo la rimozione dell’opera dal suo altare e la sua comparsa sul mercato antiquario: le porzioni di supporto ai lati della centina, infatti, sono state dorate per adattare l’opera alla nuova cornice, come dimostra l’assenza di precedenti strati pittorici al di sotto della doratura superficiale. Una volta tolta la velinatura si è, poi, proceduto al consolidamento della pellicola per fissare e appianare nuovamente le scaglie e i sollevamenti attraverso l’applicazione di colla di storione seguita da leggera stiratura con termocauterio con interposizione di carta giapponese. La fase di pulitura è stata preceduta dall’apertura di alcuni tasselli sul manto e sulla veste della Madonna (fig. 2), sul panneggio di san Giuseppe, su una zona marginale del saio di sant’Antonio da Padova, sul pilastro roccioso da cui si affacciano i pastori e sul paesaggio dello sfondo (fig. 3). In seguito all’esecuzione del test di Wolbers, utilizzato per la valutazione preliminare del livello di solubilità e polarità crescente della vernice da rimuovere, si è proceduto in modo graduale con la pulitura mediante l’uso di una miscela di acetone al 70% e ligroina al 30% con fd 68 addensata in Solvent-Surfactant gel al fine di mantenere i solventi in sospensione, inibirne la penetrazione negli strati più interni e limitarne l’evaporazione. Con l’ausilio delle indagini multispettrali è stato possibile individuare l’estensione delle ridipinture non particolarmente numerose ed effettuare una pulitura selettiva che consentisse di rimuovere totalmente la vernice alterata e ossidata senza intaccare le velature originali in resinato di rame ancora esistenti (fig. 4). Le lacune, emerse dopo la pulitura e localizzate soprattutto lungo le giunzioni delle assi e nella parte inferiore della tavola, sono state colmate con gesso di Bologna e colla animale stesi a caldo e livellate (fig. 5). Successivamente alla revisione delle vecchie stuccature sono state eseguite le basi a tempera per preparare la superficie a ricevere la reintegrazione pittorica (fig. 6). Dopo una prima verniciatura è stato eseguito il ritocco con colori a vernice e con tecnica
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na al solo scopo preventivo dal momento che non si registravano segni di un attacco in corso di insetti xilofagi. La parchettatura retrostante è stata mantenuta per evitare ulteriori traumi all’opera, ma si è deciso di ridurre la larghezza delle traverse per renderle scorrevoli e assecondare i movimenti naturali del legno (fig. 8). Sul verso, infine, è stato applicato a pennello uno strato di cera microcristallina per facilitare lo scorrimento dei listelli e proteggere il supporto da eventuali sbalzi termo-igrometrici. La cornice con battuta ornata da un motivo a foglie chiuse ricorrenti che si ripete anche lungo il bordo perimetrale e controbattuta abbellita da decori centrali a fiori stilizzati e cherubini ai quattro angoli appariva in buono stato di conservazione con lievissime abrasioni e piccole cadute puntuali della doratura ed è stata pulita per eliminare lo spesso strato di sporco che ne offuscava la brillantezza. Le mancanze sono state stuccate e risarcite con oro in polvere (fig. 9). Il risultato del restauro appare particolarmente soddisfacente perché ha restituito con il giusto equilibrio una corretta lettura dei rapporti cromatici e ha messo maggiormente in luce l’alta qualità stilistica del dipinto, evidente nella perizia tecnica di esecuzione del disegno e di stesura della materia pittorica, nel tono sentimentale dell’intera composizione, nell’impaginazione della scena e nella cura con cui sono realizzati i particolari delle figure e dello sfondo paesaggistico.
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Retro della tavola
riconoscibile a puntinato al fine di consentire attraverso un’osservazione diretta e ravvicinata l’immediata distinzione tra l’originale e l’intervento del restauratore (fig. 7). La verniciatura finale è stata condotta a nebulizzazione allo scopo di restituire omogeneità e vividezza cromatica alla superficie pittorica. Il supporto ligneo è stato trattato con permetri-
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Dettaglio della cornice durante la pulitura, stato pre e post
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Studio dell’Adorazione del Bambino mediante analisi scientifiche non invasive
1 a p. 28). Le immagini in alta risoluzione delle tre opere sono state portate in dimensione reale rispetto alle misure delle tavole e successivamente sovrapposte per mezzo di software di elaborazione delle immagini. Il confronto ha permesso di confermare l’uso dello stesso cartone preparatorio per le tre tavole in quanto i personaggi principali sono risultati essere della stessa dimensione sulle tre opere. Ciò ha permesso inoltre di verificare la mancanza di circa diciassette centimetri sul bordo inferiore della tavola in analisi rispetto alla pala della chiesa di San Cristoforo (fig. 2). La tavola doveva quindi probabilmente essere originariamente più lunga e successivamente tagliata forse per adattarla alla cornice attuale non originale. Anche il confronto in figura 1 con la tavola del Museo Leone ha evidenziato una maggiore lunghezza di quest’ultima. Il confronto invece tra le tre Adorazioni e il cartone preparatorio conservato all’Accademia Albertina raffigurante l’Adorazione del Bambino (fig. 1 a p. 85)3, ha permesso di riscontrare una perfetta sovrapposizione solamente con i lineamenti del personaggio sulla destra della tavola conservata al Museo Leone di Vercelli (fig. 3). Per quanto riguarda lo stato di conservazione, la luce radente ha permesso inoltre di identificare i
THIERRY RADELET
L’utilizzo di queste tecniche è stato fondamentale per progettare ed eseguire un intervento di restauro il più adeguato possibile, tenendo in considerazione e documentando le diverse vicissitudini e restauri subiti. Con questo obiettivo, le indagini diagnostiche sono state condotte durante le diverse fasi di restauro al fine di identificare le caratteristiche esecutive e lo stato di conservazione del dipinto, senza comportare alcun campionamento o alterazione dell’opera stessa. La prima analisi non invasiva eseguita è stata la luce diffusa1, fondamentale per documentare le diverse fasi dell’intervento e per verificare lo stato di conservazione del dipinto. Le immagini in luce diffusa sono state messe a confronto con le altre indagini diagnostiche non invasive per ottenere la maggior parte dei dati possibili. Le analisi in luce radente2, che sfruttano anche esse lo spettro della luce visibile e come le precedenti permettono di ottenere informazioni sia sulla tecnica esecutiva che sullo stato di conservazione dell’opera, hanno in questo caso permesso di riconoscere alcune leggere incisioni visibili soprattutto in corrispondenza del manto della Madonna e dell’architettura sullo sfondo. Tali segni sono riconducibili al trasferimento di un cartone preparatorio al supporto del dipinto. A proposito di quest’ipotesi, sono state fotografate altre due opere con lo stesso soggetto: l’Adorazione del Bambino del Museo Leone di Vercelli (fig. 2 a p. 29) e una pala nella sacrestia della chiesa di San Cristoforo di Vercelli (fig.
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1
Sovrapposizione della tavola in analisi con l’Adorazione del Bambino del Museo Leone in luce diffusa 2
Sovrapposizione della tavola in analisi con la pala d’altare della chiesa di San Cristoforo in luce diffusa
3
in fluorescenza ultravioletta4. La tecnica permette di dare informazioni sulle stesure più superficiali della tavola come la vernice, se presente, o il film pittorico. In questo caso le analisi, eseguite prima di fare i test di pulitura, hanno evidenziato la presenza di uno strato filmogeno molto ossidato e quindi con una marcata fluorescenza di tonalità verdastra che è indicativa della presenza di resine naturali quali dammar o mastice. La fluorescenza, essendo direttamente collegata all’invecchiamento della vernice, conferma la forte alterazione cromatica dello strato filmogeno visibile in luce diffusa. È stato possibile inoltre evidenziare l’ultimo intervento di restauro estetico identificabile grazie alla sua minore fluorescenza, mentre quelli più antichi erano poco visibili a causa del forte invecchiamento dello strato filmogeno. L’ultravioletto effettuato durante e dopo la pulitura ha permesso invece di riconoscere la fluorescenza caratteristica di alcuni pigmenti che l’ossidazione della vernice non avrebbe permesso di identificare. In particolare è stato possibile confermare l’uso di una stesura di lacca rossa in corrispondenza della veste della Madonna (fig. 5) e del manto di San Giuseppe. La mancanza di fluorescenza in relazione alle campiture verdi, ad esempio per il panneggio di san Giuseppe, ha permesso invece di ipotizzare l’uso di un pigmento a base di rame come confermato dalle successive analisi in fluorescenza a raggi X. Lo studio dell’opera in infrarosso falso-colore 500-950 nm5 ha permesso anch’esso di dare indicazioni sulla natura chimica di alcuni pigmenti (fig. 6). L’indagine è stata eseguita anche in questo caso in seguito alla pulitura, in modo da non avere percezioni sfalsate del colore dovute all’alterazione cromatica della vernice. Dalle analisi delle campiture blu ad esempio, risultando blu in infrarosso falso-colore, è stato possibile ipotizzare l’impiego di azzurrite. In corrispondenza del manto della Madonna, entrambe le stesure blu risultano essere composte da azzurrite. Il pigmento rosso, diventando invece arancione in infrarosso falso-colore, permette di riconoscere l’uso di cinabro e di una lacca rossa. La tecnica ha permesso inoltre di ricono-
Particolare della sovrapposizione tra il cartone preparatorio e l’Adorazione del Bambino del Museo Leone in luce diffusa
4
Particolare del cretto e dei sollevamenti della pellicola pittorica in luce radente
sollevamenti della pellicola pittorica e il cretto di invecchiamento, osservabile con maggiore facilità in corrispondenza delle campiture più chiare come gli incarnati (fig. 4). Infine, l’analisi ha permesso di individuare alcune lacune nelle stesure pittoriche superficiali. Nel caso del manto della Vergine le lacune hanno messo in luce una stratificazione pittorica: una base azzurra composta da azzurrite e bianco di piombo successivamente ricoperta dall’artista da un blu scuro composto da azzurrite pura. Questa tecnica pittorica risulta particolare perché fa capire che l’artista dipingeva anche mediante stratificazione delle campiture. Successivamente sono state realizzate le analisi
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scere un verde a base di rame in quanto risulta essere blu in infrarosso falso-colore. È stato possibile infine ipotizzare l’uso di un resinato di rame per alcune campiture che sono oggi di tonalità brune in luce visibile ma rosse in infrarosso falso-colore, come per alcuni particolari dell’angelo e dell’asino. La natura chimica del pigmenti è stata confermata nelle successive analisi in fluorescenza a raggi X. La riflettografia infrarossa a 1100 nm6, eseguita in circa 300 scatti successivamente uniti in post-produzione per ottenere un’immagine finale ad alta risoluzione, aveva in questo caso lo scopo di identificare l’eventuale presenza di un disegno preparatorio, riconoscere eventuali pentimenti pittorici o di disegno oltre a evidenziare dettagli non più riconoscibili in luce visibile. In particolare, la tecnica ha permesso in questo caso di mettere maggiormente in luce alcune pennellate su sfondo scuro difficilmente distinguibili in luce diffusa e di identificare delle incisioni, riconoscibili in quanto opache agli infrarossi come in corrispondenza dell’architettura (fig. 7). È stato inoltre possibile individuare la presenza di alcuni tratti, come sulla manica dell’angelo, non identificabili in luce diffusa in quanto sottostanti alle stesure pittoriche e poco distinguibili in infrarosso perciò associabili a un disegno preparatorio molto acquarellato, forse perché l’artista non voleva farlo trasparire attraverso gli strati pittorici sovrapposti successivamente. È stato infine possibile evidenziare dei segni neri di contorno alle figure; questi ultimi risultano osservabili anche in luce diffusa e quindi utilizzati dall’artista volutamente come contorno finale e non come disegno preparatorio. Il generale radiografico7 è stato invece ottenuto dall’unione in post-produzione delle immagini risultanti da 20 lastre digitali. Per limitare le informazioni della parchettatura presente sul retro sono state rimosse di volta in volta alcune traverse orizzontali mentre quelle verticali sono state contrastate in fase di post-produzione. Per quanto riguarda il supporto, le analisi hanno permesso di evidenziare lo spazio lasciato dai cavicchi usati per unire le tavole tra di
loro, maggiormente radiopachi perché colmati con dello stucco dopo l’assottigliamento della tavole in un successivo drastico intervento di restauro. Relativamente alla superficie pittorica è stato invece possibile mettere in evidenza le incisioni, in parte individuate già in luce radente, in quanto maggiormente radiopache per la quantità di materiale pittorico accumulato negli incavi. È stato inoltre possibile identificare le stesure pittoriche maggiormente radiopache quali quelle a bianco di piombo, impiegato puro o in mescolanza per lumeggiare le campiture. Le analisi radiografiche hanno permesso infine di riconoscere, sulle tavole di supporto, fori
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5 Particolare della Madonna in fluorescenza ultravioletta 6 Generale in infrarosso falso-colore 500-950 nm 7 Particolare dello sfondo in riflettografia infrarossa a 1100 nm
8
di eventuali mescolanze. La tecnica ha permesso ad esempio di riconoscere tracce di oro a missione impiegato per dare brillantezza ad alcuni dettagli quali le aureole, i capelli e le stigmate del francescano a sinistra (fig. 9). Osservando microscopicamente il manto della Madonna, è stato invece possibile confermare l’uso di due pigmenti sovrapposti, di cui quello sottostante risultava essere più chiaro. Entrambi i pigmenti sono originali in quanto il cretto di invecchiamento continua tra le due stesure (fig. 10). Il confronto con le indagini in fluorescenza a raggi X (XRF), presentate in seguito nella tabella, ha permesso inoltre di capire se gli elementi inorganici identificati fossero dovuti a pigmenti impiegati in mescolanza o in sovrapposizione. Per esempio il rame riscontrato nel saio del francescano a destra è risultato essere, dalle analisi microscopiche, dovuto all’azzurrite usato in mescolanza al nero e al bianco per dare una tonalità più fredda alla campitura. Con le analisi in fluorescenza a raggi X9 è stato infine possibile il riconoscimento degli elementi con numero atomico superiore al Silicio, e quindi dei pigmenti inorganici impiegati, in modo qualitativo. L’indagine è stata effettuata in questo caso a seguito della pulitura del dipinto e prima della fase di ritocco al fine di rilevare solamente elementi conformi con i pigmenti originali e non relativi ai successivi interventi. Questa tecnica, andando maggiormente in profondità rispetto ad altre indagini, identifica elementi provenienti dalla stratificazione pittorica e non solo dalle stesure superficiali. Il confronto con le altre indagini precedentemente presentate ha permesso quindi di identificare i pigmenti inorganici impiegati dall’artista. In totale sono stati eseguiti 15 punti di analisi, in tutti è stato possibile identificare tracce di calcio, stronzio e in parte ferro, rame e piombo attribuibili agli strati preparatori della tavola (gessature e imprimitura). Nella tabella 1 sono stati infine riportati i pigmenti impiegati dall’artista per le stesure pittoriche, riconosciuti dal confronto tra le analisi in fluorescenza a raggi X e le altre tecniche di diagnostica non invasiva.
Particolare del manto della Madonna in radiografia digitale
9
Micro della stigmate del francescano di sinistra (120 X circa)
10
Micro del manto della Madonna (50 X circa)
di sfarfallamento degli insetti xilofagi alcuni dei quali stuccati sul retro in occasione dell’ultimo intervento di restauro (fig. 8). Le analisi microscopiche8 sono state in questo caso molto utili per fare emergere alcuni dettagli non identificabili con altre tecniche e come confronto con le altre indagini per il riconoscimento
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tabella 1
Tabella riassuntiva dei pigmenti impiegati dall’artista
Punto
Colore e zona
Elementi principali identificati con la Fluorescenza a raggi X
Identificazione dei pigmenti puri, in mescolanza o in sovrapposizione
1
Rosa, Incarnato Madonna
Piombo Mercurio
Bianco di piombo Cinabro
2
Rosso, Veste Madonna
Mercurio Piombo
Lacca (identificata in fluorescenza UV) Cinabro Bianco di piombo
3
Blu superficiale, Manto Madonna
Rame
Azzurrite
4
Blu sottostante, Manto Madonna
Rame Piombo (Pb)
Azzurrite Bianco di piombo
5
Giallo, manto Madonna
Arsenico Ferro
Orpimento Ossidi di ferro
6
Oro, sfondo
Oro Ferro Zinco
Oro Ossidi di ferro Interventi di restauro successivi
7
Verde scuro, veste san Giuseppe
Rame Arsenico in tracce
Pigmento verde a base di rame Orpimento
8
Rosso, manto san Giuseppe
Mercurio
Lacca (identificata in fluorescenza UV) Cinabro
9
Grigio, saio francescano a destra
-
Nero non identificabile con le tecniche impiegate Bianco di piombo Azzurrite
Piombo Rame 10
Bruno, cesta
Ferro Mercurio Arsenico in tracce
Ossidi di ferro Cinabro Orpimento
11
Nero, libro
-
Nero non identificabile con le tecniche impiegate
12
Giallo, libro
Ferro
Ossidi di ferro
13
Bruno, Angelo
Rame
Probabile resinato di rame alterato cromaticamente Bianco di piombo
14
Oro, stigmate
Oro Piombo
Oro Bianco di piombo
15
Bruno, Asino
Rame Piombo
Probabile resinato di rame alterato cromaticamente Bianco di piombo
Piombo
1 Luce diffusa ottenuta con due flash da 400 W e una fotocamera Canon 5D II Mark. 2 Luce radente realizzata con un flash da 400 W e una fotocamera Canon 5D II Mark. 3 S. Ghisotti, Giovanni Battista Giovenone (Vercelli 1525 c.-Vercelli 1573), in Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi dell’Accademia Albertina, a cura di G. Romano, catalogo della mostra (Torino, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, marzo-maggio 1982), Torino 1982, pp. 123-128: pp. 123-124. 4 Fluorescenza ultravioletta effettuata con lampade a vapore di mercurio con filtro di Wood e fotocamera Canon 5D II Mark.
5 Per l’infrarosso falso-colore 500-950 nm sono stati impiegati filtri passa banda nel visibile e in infrarosso posti su fotocamera FUJI S3PRO IRUV. 6 Riflettografia infrarossa a 1100 nm ottenuta con telecamera CCD MUSIS 2007. 7 Radiografia digitale realizzata con sorgente ICM CP120B, scanner DURR CR35 NDT, e lastre digitali al fosforo (100 micron). Parametri impiegati: Tensione 70 kV, Corrente 1,5 mA, Tempo di esposizione 30s. 8 Impiego di un microscopio digitale senza contatto Dino_ Lite con polarizzatore (da 10X a 150X). 9 Fluorescenza a raggi X (XRF) eseguita con l’analizzatore portatile Genius 5000XRF della SkyRay Instrument.
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Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone collaboratori ad Avigliana
di tre opere particolarmente compromesse: il trittico di San Gerolamo e una portella con le Tentazioni di sant’Antonio Abate di Defendente Ferrari e il trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina frutto della collaborazione tra i due artisti. I dipinti erano giunti nella parrocchiale di San Giovanni in seguito alla dispersione del patrimonio artistico delle chiese locali spettanti, in particolare, agli ordini religiosi soppressi dall’editto napoleonico del 1802, come le sedi degli agostiniani e dei francescani, o come la sede degli umiliati già abbandonata dopo il 1571. San Giovanni fu il luogo scelto per raccogliere questo ingente patrimonio artistico che, sebbene brutalmente manomesso, veniva così sottratto al pericolo della dispersione: alcuni dipinti furono “collocati fra informi cornici; altri a pezzi separati; altri tagliati a metà, mal custoditi, e gittati là a casaccio in una stanzaccia senza solaio sopra la sacrestia”1. Fu don Giovanni Maria Vignolo, prevosto della chiesa di San Giovanni dal 1848 al 1860, a promuovere il primo restauro documentato di queste opere, grazie anche alle sollecitazioni di Angelo Boucheron, regio disegnatore e consigliere dell’Accademia Albertina di Torino, che ne aveva saputo riconoscere il pregio in anni fondamentali per la definizione delle identità artistiche della scuola piemontese, con la riscoperta di alcuni dei suoi ‘primitivi’ come il vercellese Gerolamo Giovenone e il recupero, nel 1868, dell’identità stessa di Defendente Ferrari, pittore di Chivasso, grazie al ritrovamento di quello che ancora oggi costituisce l’unico documento noto riguardante la sua attività artistica: la commissione della grande ancona per l’altare maggiore della chiesa della precettoria di Sant’Antonio di Ranverso in Buttigliera Alta, non lontano da Avigliana, affidatagli il 21 aprile 1530 dalla comunità di Moncalieri e già in loco il 17 gennaio 15322. Le sue opere, ricercate nell’Ottocento da collezionisti e istituzioni museali, erano circolate fino ad allora sotto il nome altisonante di Dürer e del Perugino o con il riferimento allo stesso Giovenone.
Note sulla tecnica di esecuzione e sul restauro del trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina
T I Z I A N A C AVA L E R I PA O L A M A N C H I N U BERNADETTE VENTURA
Dal 2014 il Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” (CCR), grazie alla collaborazione con la Diocesi di Torino e al sostegno della Compagnia di San Paolo, si è fatto promotore di un progetto per l’analisi, il restauro e la conservazione dei dipinti su tavola (polittici, pale d’altare e portelle dipinte fronte e retro) che ornano gli altari e il presbiterio della chiesa parrocchiale dei Santi Giovanni Battista e Pietro ad Avigliana, uno dei più importanti nuclei di opere del Rinascimento piemontese conservati fuori da una sede museale. La possibilità di avviare lo studio scientifico comparato e il restauro di tali dipinti riferibili a due dei principali protagonisti della pittura del Cinquecento piemontese, Gerolamo Giovenone e Defendente Ferrari, in un momento iniziale e condiviso della loro carriera artistica, quando, dopo la comune formazione presso la bottega di Giovanni Martino Spanzotti, operano in modi straordinariamente simili, e poi in anni più inoltrati, quando Defendente, ormai autonomo, è a capo di una efficiente bottega pittorica, costituisce certo uno degli aspetti più rilevanti e, al tempo stesso, ambiziosi di questo progetto. Dopo l’avvio di un cantiere conoscitivo preliminare, è stato finora possibile completare il recupero
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1
Polittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina ricomposto dopo il restauro del CCR
2
Defendente Ferrari, Profeti Isaia e David, particolari dopo il restauro
portare con sé a Cavour per farne l’elemento principale di una nuova macchina d’altare completata da Buccinelli con copie tratte da altre opere aviglianesi di Defendente giunte in Galleria Sabauda nel 1863 e nel 1865 e cornice ispirata ai polittici della certosa di Pavia4. In San Giovanni la conformazione originaria del trittico era da tempo perduta “in pezzi qua e là dispersi” “tagliati e senza base” al punto che “nessuno sapeva farsene un’idea”, neppure lo stesso Vignolo che aveva però provveduto a restaurare e ricoverare nella propria casa “la base co’ suoi piccoli quadri” e la tavola con lo Sposalizio mistico di santa Caterina “di cui erasi fatto un quadrilatero, era già stata riparata col finimento in rotondo”5. Rimasti ad Avigliana, i due scomparti laterali erano stati reimpiegati in un trittico per la nuova cappella dedicata ai Santi Luigi Gonzaga e Francesco Saverio, le cui immagini, dipinte da Brusati, figuravano al centro della nuova ancona: “provo se la base, che avevo già fatto riparare dal Brusati, si addica alle lesene ed ornati, che erano qua e là dispersi; vi metto dentro il S. Lorenzo e il S. Giovanni Battista: compiono perfettamente il vuoto; tutto va assieme”6. A Giovanni Romano si deve l’intuizione che nel 1970 ha portato a riconoscere la mano di Gerolamo Giovenone in alcuni dei dipinti conservati ad Avigliana, in precedenza ritenuti esclusivamente di Defendente, da riferire al tempo in cui l’artista vercellese, all’aprirsi del Cinquecento, gravitava “in area spanzottiana”, fianco a fianco con il Ferrari con cui condivide l’esecuzione di almeno due opere aviglianesi, il trittico con lo Sposalizio mistico di santa Caterina in esame e la tavola di Sant’Orsola con le vergini compagne7. Nel trittico, riferibile agli anni intorno al 1508, Giovenone sembra giocare un ruolo prioritario con l’esecuzione della Madonna col Bambino nella tavola centrale e di San Lorenzo nello scomparto sinistro, mentre a Defendente potrebbero spettare almeno la figura del donatore inginocchiato, purtroppo alterata dal totale rifacimento del volto, e il San Giovanni Battista nello
È il pittore-restauratore Amabile Brusati di Parma, ad Avigliana dal 1848, a ottenere l’incarico di un’ampia campagna di restauri comprendente sessanta quadri tra piccoli e grandi. Sotto la regia del prevosto Vignolo, Brusati e il capomastro Giuseppe Allais nel 1855 avevano già provveduto alla ricomposizione, sia pure in modo più o meno arbitrario, delle grandi macchine che decorano ancora oggi gli altari della chiesa, all’interno di cornici che assemblavano parti cinquecentesche a parti realizzate in stile. Nel 1860, nonostante il trasferimento nella parrocchiale di San Lorenzo a Cavour, Vignolo mantiene vivo il suo interesse per Avigliana coinvolgendo il suo successore don Giovanni Lorenzo Oliva nel restauro delle tavole con San Lorenzo e San Giovanni Battista con donatore affidato questa volta a Eugenio Buccinelli, restauratore della Regia Pinacoteca di Torino. Sono i pannelli laterali che, restituiti a una corretta lettura dal recente restauro condotto dal CCR, sono stati ricongiunti per la prima volta dopo le vicissitudini ottocentesche, in occasione della mostra Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone ad Avigliana: dialogo tra capolavori restaurati recentemente allestita nel Museo Diocesano di Torino3, alla tavola con lo Sposalizio mistico di santa Caterina, scomparto centrale dell’antico trittico che Vignolo aveva scelto di
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L’identificazione del soggetto principale del polittico del 1511 con l’Immacolata Concezione di tipo francescano, piuttosto che come tradizionale Natività o Adorazione del Bambino, insieme alla corrispondenza delle dimensioni e alla coincidenza del punto di stile, suggeriscono la possibile appartenenza a quest’ancona della predella con storie della Vergine reimpiegata nel trittico in esame. Legate al tema della verginità immacolata di Maria sono anche le profezie di Isaia, Balaam, Davide e Geremia (fig. 2) adattati nella predella del trittico di San Gerolamo, anch’esso oggetto di restauro nell’ambito del nostro progetto, da ritenere quindi probabili elementi di giunzione tra una scena e l’altra, nel posto oggi occupato dalle grottesche ottocentesche. Il restauro è stato quindi un’occasione preziosa per approfondire lo studio comparato delle peculiarità tecniche e stilistiche dei due artisti, grazie al coinvolgimento di un gruppo di lavoro interdisciplinare (storici dell’arte, restauratori, diagnosti) e alla possibilità di condurre indagini scientifiche che hanno costantemente supportato il restauro e le ricerche tuttora in corso8. In particolare, la possibilità di affrontare per la prima volta lo studio complessivo del ricomposto trittico ha permesso di analizzare le tecniche esecutive e lo stato di conservazione delle opere con l’ausilio di una campagna mirata d’indagini per immagine multispettrali e di analisi puntuali. Tra le indagini multispettrali, i rilievi in fluorescenza ultravioletta e in riflettografia infrarossa9 hanno consentito di formulare ipotesi sulla condizione conservativa particolarmente compromessa delle opere, non solo nella tavola di Cavour ma anche negli scomparti laterali rima-
scomparto destro. I dipinti, infatti, presentavano nel complesso uno stato di conservazione fortemente compromesso. Alla particolare fragilità delle tavole, legata alle condizioni conservative ambientali non idonee, si erano aggiunte le pesanti ridipinture e manipolazioni ottocentesche, quest’ultime particolarmente rilevanti nella tavola centrale privata della centina e ridotta a forma quadrangolare prima del 1855 e quindi restituita al suo formato originale con l’inserimento della porzione mancante nella parte superiore con l’intervento di Brusati. Nella ricomposizione proposta (fig. 1) si è mantenuta la ‘base’ ricordata da Vignolo, cioè la predella dipinta da Defendente Ferrari con tre storie legate alla vita della Vergine (l’Annuncio a san Gioacchino e sant’Anna, l’Incontro alla Porta Aurea e la Nascita della Vergine), certamente non pertinenti al soggetto principale dell’ancona originaria dedicata a Santa Caterina, intercalati da motivi a grottesche di fattura ottocentesca ispirati a originali dello stesso pittore. È possibile che l’ancona a più scomparti così ricomposta prevedesse in origine anche un registro superiore in cui potevano trovare posto figure di santi a mezzo busto e, forse, un coronamento su modello di altri polittici realizzati dal Ferrari per Avigliana, sia in un momento non troppo distante come il polittico datato 1511 con al centro una raffigurazione riconosciuta come la variante francescana del tema dell’Immacolata Concezione, replicata in controparte nello stesso anno da Defendente per il duomo nuovo di Torino da poco ricostruito, sia a distanza di più di un decennio nella grande ancona dedicata ai Santi Barbara e Michele Arcangelo, ora alla Galleria Sabauda di Torino.
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3
Campione stratigrafico prelevato dalla tavola di Cavour in corrispondenza di un’area già compromessa della veste blu della Vergine: fotografia al microscopio ottico in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta. Al di sopra della preparazione bianca a base di gesso (strato 1), si trova lo strato nero e compatto di fondo a base di nero d’ossa (strato 2); su questo si osservano grani diradati di azzurrite (strato 3) e lo strato di vernice prima dell’intervento di restauro (strato 4) visibile in fluorescenza ultravioletta
4
Ricostruzione grafica delle incisioni utilizzate per la costruzione dell’architettura di fondo
porzioni delle figure occultate alla vista, come il trattamento pittorico delle vesti di san Lorenzo, la cromia del fondo con i relativi passaggi chiaroscurali su cui si stagliano entrambi i santi laterali o la parte inferiore del trono della Vergine nella tavola centrale. Purtroppo i profondi giochi di pieghe che, con eleganti sfumature chiaroscurali e lumeggiature d’oro, dovevano segnare i volumi delle vesti in particolare nei manti blu (azzurrite) della Vergine e di san Giovanni Battista, che risultano realizzati su fondo nero, sono in gran parte perduti o alterati (fig. 3). Sono state invece mantenute le ridipinture ottocentesche realizzate a risarcimento di parti figurate totalmente compromesse, come il volto del donatore inginocchiato accanto a san Giovanni Battista. La complessità della situazione ottenuta al termine delle operazioni di pulitura ha richiesto un intervento particolarmente accurato per riequilibrare la lettura dei dipinti, con la riproposizione coerente delle porzioni più lacunose, integrate con tecnica a tratteggio. L’accostamento delle tre tavole ha restituito unitarietà all’ambiziosa invenzione architettonica che si sviluppa alle spalle delle figure, uno spazio costituito da un portico a tre navate nel quale si collocano al centro la Vergine e ai lati i santi, realizzato nelle due tavole laterali con l’impiego dello stesso disegno ribaltato e inciso (fig. 4). È uno spazio architettonico dipinto ma da leggere in stretto rapporto con l’architettura reale rappresentata dalla cornice. L’uso di disegni o di cartoni è certamente alla base anche del gruppo centrale con la Madonna in trono con il Bambino, modello compositivo che riscuote un successo tale da farne una soluzione rapidamente consolidata, riproposta, con l’apporto di varianti, nell’ambito di una bottega in cui Defendente e Giovenone continuano a lavorare fianco a fianco. Lo confermano almeno due repliche entrambe legate a un contesto francescano: il trittico, ancora frutto della collaborazione tra i due artisti, per la chiesa di Sant’Antonio di Cuneo, oggi al Museo Borgogna di Vercelli, e quello con santi francescani conservato nella collezione Pallavicini-Rospi-
sti ad Avigliana, segnati dallo stato lacunoso di alcune parti e da ampie ridipinture localizzabili soprattutto nei fondi grigi, nella veste di san Lorenzo e in corrispondenza del capo del committente ecclesiastico genuflesso presentato da san Giovanni Battista. A queste prime analisi hanno fatto seguito fotografie di dettaglio al videomicroscopio10 e indagini non invasive di tipo chimico e spettroscopico (spettrometria di fluorescenza X e spettroscopia di riflettanza) tese ad analizzare la tecnica esecutiva, a riconoscere la tavolozza pittorica originale e a identificare i materiali sovrammessi approfonditi tramite prelievi stratigrafici11. Le ridipinture in corrispondenza di abrasioni e lacune diffuse, spesso debordanti sulla materia originale, hanno reso necessaria la rimozione delle sovrammissioni, riportando alla luce ampie
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5-6
A sinistra: Gerolamo Giovenone, Sposalizio mistico di santa Caterina, scomparto centrale del trittico di Avigliana; il modello è riproposto al centro del trittico di Sant’Antonio a Cuneo (ora Museo Borgogna di Vercelli)
alate, tanto da far supporre che le lesene impiegate da Vignolo nella ricomposizione fossero davvero pertinenti alla carpenteria intagliata e dorata su fondo di colore blu progettata in origine per l’opera in esame. Sebbene rimaneggiati da successivi strati di intervento volti al risarcimento di lacune e abrasioni, questi elementi si distinguono per il preziosismo nel trattamento differenziato delle dorature, risultato dell’utilizzo di differenti tecniche funzionali alla diversa resa della foglia dorata (applicata a guazzo e a missione). Oltre alla carpenteria i due trittici condividono altri particolari rilevanti: nel drappo rosso che copre la base del trono della Vergine nella tavola ora a Cavour Giovenone impiega lo stesso ornato dorato a missione, costituito da un intreccio di losanghe, viluppi, fiori e animali (in particolare si riconosce la forma di un coniglio) che decora il fondo contro cui si stagliano i santi laterali del trittico cuneese. L’elemento è rivelatore della facilità con cui Giovenone può attingere ai modelli impiegati dalla bottega artistica operante tra Chivasso e Torino sotto la guida di Spanzotti (pittore della corte sabauda nel 1507) con Defendente, cui va riferita non solo la paternità di questo dettaglio decorativo, ma dell’intero gruppo divino: se il motivo è lo stesso che decora il drappo rosso ai piedi della Vergine nella tavola proveniente dalla collegiata di Carmagnola e ora in deposito a Palazzo Madama, di cui è evidente la dipendenza diretta dal polittico realizzato con Spanzotti per l’altare dei Santi Crispino e Crispiniano nel duomo di Torino tra il 1498 e il 1504 circa, la Madonna e il Bambino sgambettante sono direttamente mutuati, sia pure in controparte, dalla Madonna del Popolo dipinta dal Ferrari per la chiesa dei Servi di Maria a Caselle Torinese, non troppo oltre il 1505 circa, il cui impianto moderno ‘a spazio unificato’ è certamente ben noto a Giovenone che vi s’ispira in un’altra opera giovanile ora nella Collezione J.C. Johnson di Filadelfia12. Nella tavola di Cavour il drappo del trono della Vergine, di un rosso intenso e brillante, è reso
gliosi di Roma da riferire al solo Giovenone, tanto da far pensare all’utilizzo dello stesso cartone in tutti e tre i casi (figg. 5-6). Il legame con il trittico cuneese è particolarmente rilevante: quanto riferito a proposito del rapporto tra architettura reale (quella della cornice) e architettura dipinta, è confermato dal confronto con questo trittico che conserva ancora, fatta eccezione per il basamento, la sua cornice originale, articolata in quattro lesene scolpite con candelabrine dorate su fondo blu con vaso alla base da cui si dipartono decori vegetali e coppie di uccelli a rilievo (fig. 2 a p. 47). Sorprende ritrovare nelle lesene cinquecentesche impiegate per ricomporre la carpenteria nella ricostruzione ottocentesca della cornice di Avigliana lo stesso motivo decorativo, così come identici sono i capitelli con testine
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inusuale, realizzata con colori nebulizzati che restituiscono un effetto puntinato, con una resa che appare estremamente raffinata e controllata e una modulazione del colore difficilmente raggiungibile con le tradizionali tecniche di stesura della tempera. Le campiture sono ottenute con successive sovrapposizioni di colore nebulizzato di differenti cromie (su alcuni incarnati si trovano, ad esempio, goccioline di colore rosa e bruno/nero che si accostano o si sovrappongono talvolta in maniera più fitta, talvolta lasciando emergere in maniera più ampia lo sfondo bianco). Un effetto così particolare implica non solo la manualità dell’artista e la consapevolezza dell’esito, ma anche il ricorso a strumenti specifici oggi non ancora identificabili con certezza, forse mutuati da altre tecniche come l’oreficeria e la miniatura. Le analisi scientifiche hanno confermato l’originalità di tale trattamento che accomuna la resa dei volti della Vergine, del Bambino e di san Lorenzo (fig. 8). Gli incarnati di santa Caterina (volto e mani) e del donatore (mani) sono invece ottenuti con
con una pittura a base di cinabro con ombreggiature a lacca rossa. Il confronto con il drappo rosso della Madonna di Carmagnola, anch’essa in corso di restauro, è immediato: ritornano anche la doppia bordura resa con un tratto scuro e le medesime decorazioni ottenute con oro a missione. Su una preparazione bianca, a base di gesso, i tratti del volto della Vergine, osservabili in riflettografia infrarossa (fig. 7), sono resi con un disegno preparatorio leggero, verosimilmente di natura carboniosa, seppure con segni decisi e privi di particolari ripensamenti. Attraverso le indagini puntuali è stato possibile individuare l’uso di biacca e cinabro per la resa di incarnati e di azzurrite, ocre, terre e giallorino per le campiture e i dettagli delle vesti, il ricorso alla terra d’ombra e al nero per la resa delle campiture del fondo della veste blu e dei dettagli più scuri, ed è stato possibile confermare l’uso dell’oro. L’analisi con osservazione ravvicinata e documentata mediante videomicroscopia ha messo in evidenza l’utilizzo di una particolarità tecnica
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Particolare del volto della Vergine del trittico di Avigliana in luce visibile e riflettografia infrarossa 950 nm dopo il restauro; a destra: rilievo in fluorescenza ultravioletta prima del restauro
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una tecnica più tradizionale per sovrapposizione di velature (fig. 9). La compresenza all’interno dello stesso dipinto di parti realizzate con tecnica tradizionale e di altre trattate con il ‘puntinato’ fa riflettere sulla possibilità che l’artista si sia avvalso dell’espediente della nebulizzazione proprio per ottenere particolari effetti di sfumato e di passaggi graduali. Non si può d’altra parte escludere che la differente scelta sia dovuta alla collaborazione di un altro artista. Questa modalità tecnica così peculiare si ritrova in diverse opere giovanili di Defendente che, con risultati di grande raffinatezza, continuerà ad avvalersene anche nelle opere più mature. Giovenone invece, staccatosi dall’orbita spanzottiano-defendentesca, a partire dalla metà del secondo decennio del Cinquecento aggiornerà il proprio linguaggio artistico sotto il segno delle novità imposte a Vercelli da Gaudenzio Ferrari, abbandonando le precedenti ‘pratiche di bottega’. Confidiamo che lo studio e il restauro di altre opere giovanili dei due artisti possano contribuire a chiarire questo e altri aspetti ancora problematici della loro attività pittorica.
Particolare del volto della Vergine. Fotografia in luce visibile e dettaglio in videomicroscopia (60 X) del puntinato usato per la resa dell’incarnato
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Particolare delle mani del Bambino e di santa Caterina. A sinistra: fotografia in luce visibile, al centro dettaglio in videomicroscopia (60 X) del puntinato usato per la resa della mano del Bambino; a destra dettaglio della mano della santa resa con sovrapposizione di velature
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po di lavoro del Centro relativo all’opera in esame è formato da: direzione tecnica: Michela Cardinali; restauratori: Bernadette Ventura (coordinamento), Paola Buscaglia, Alessandro Gatti, Paolo Luciani, Andrea Minì, Valentina Parlato, Davide Puglisi; documentazione fotografica e analisi diagnostiche: Marco Nervo (responsabile), Tiziana Cavaleri, Paola Croveri, Daniele Demonte, Anna Piccirillo, Chiara Ricci, Paolo Triolo; ricerca storica: Paola Manchinu; documentazione grafica: Lorenza Ghionna 9 La fluorescenza dei dipinti è stata indotta da lampade UV Labino® Floodlight MPXL (picco di massima emissione intorno a 365 nm) e acquisita con una fotocamera Nikon D810 equipaggiata di filtro PECA 916 al fine di tagliare il contributo della radiazione ultravioletta riflessa dall’oggetto e riprendere soltanto la fluorescenza nel visibile. L’analisi consente di evidenziare la presenza di strati filmogeni superficiali, come velature, finiture originali o interventi di ritocco: il differente colore e l’intensità dell’emissione della fluorescenza possono dipendere sia dalla composizione chimica della sostanza, sia dal loro stadio di degrado. La riflettografia infrarossa è stata acquisita, nelle due bande fotografiche, 950 nm e 1050 nm, con una fotocamera Xnite Nikon D810 con filtro IR Hoya R72. L’analisi permette in alcuni casi di rilevare al di sotto della pellicola pittorica la presenza di disegni, tracciati preparatori o pentimenti, sfruttando il contrasto tra la diversa riflettività dei materiali, del disegno e dello sfondo. La postproduzione delle immagini è stata eseguita tramite software Adobe Photoshop utilizzando per il bilanciamento cromatico un ColorChecker® Classic da 24 colori inserito nel campo di ripresa. 10 Le fotografie di dettaglio sono state realizzate con un videomicroscopio portatile digitale a contatto Mic-Fi Italeco, con sensore CMOS 1/4” (immagini da 1.3 Mpixel, risoluzione 1280 x 1024) e illuminazione a led con luce visibile e UV. Le immagini sono state catturate con ingrandimento 60 X. La videomicroscopia permette di osservare la micromorfologia della superficie dell’opera documentando aspetti essenziali della tecnica esecutiva e dello stato di fatto, quali cretto, piccole lacune, dettagli delle pennellate, miscele di pigmenti. 11 I campioni allestiti in sezione lucida stratigrafica sono stati osservati al microscopio mineropetrografico OLYMPUS BX51 e fotografati in luce visibile e in fluorescenza ultravioletta, grazie all’interfaccia con un PC mediante fotocamera digitale OLYMPUS DP71. L’acquisizione e l’elaborazione delle immagini è fatta mediante software proprietario analySIS Five. I campioni sono poi stati analizzati con un microscopio elettronico Zeiss EVO60 equipaggiato di microsonda EDX Bruker Quantax 200 per l’analisi semi-quantitativa degli elementi chimici presenti nei singoli strati del campione. 12 Per una datazione della pala Johnson ancora entro il primo decennio del Cinquecento si rimanda a Romano, Casalesi del Cinquecento cit., p. 20 in nota; S. Baiocco, Gerolamo Giovenone e il contesto della pittura rinascimentale a Vercelli, in E. Villata, S. Baiocco, Gaudenzio Ferrari Gerolamo Giovenone. Un avvio e un percorso, Torino 2004, pp. 145-226: p. 175.
Difesa del teologo Vignolo Giovanni Maria vicario foraneo di Cavour dalla relazione del professore commendatore Gamba direttore della Pinacoteca di Torino, Torino 1879, p. 9. 2 Per la chiesa di San Giovanni e lo straordinario patrimonio artistico in essa conservato si rimanda a P. Nesta (a cura di), La chiesa di San Giovanni di Avigliana, Borgone Susa (To) 2011 e in particolare per i dipinti in esame agli interventi di F. Fantino, “Altare ipsum est munitum icona satis pulcra”: i dipinti cinquecenteschi di Gerolamo Giovenone e di Defendente Ferrari, pp. 149-177 e di P. Triolo, Indagini tecniche sui dipinti conservati presso la chiesa di San Giovanni in Avigliana, pp. 179-195. Per le vicende aviglianesi legate alla soppressione napoleonica: A. Nuvolari Duodo, Soppressioni napoleoniche degli enti ecclesiastici ad Avigliana: il caso del Santuario della Madonna dei Laghi, in “Segusium”, XLV, 47 (novembre 2008), pp. 189-216; Idem, Soppressioni napoleoniche degli enti ecclesiastici ad Avigliana: il caso del Convento di S. Agostino (Chiesa di S. Maria della Misericordia), in “Analecta Augustiniana”, LXXII, 57, 2009. 3 Defendente Ferrari e Gerolamo Giovenone ad Avigliana: dialogo tra capolavori restaurati, Torino, Museo Diocesano, 12 aprile - 18 giugno 2017. L’esposizione dei polittici restaurati è stata resa possibile grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e alla proficua collaborazione con l’architetto Adriano Sozza, responsabile dei beni culturali della Diocesi di Torino, con don Carlo Franco, direttore del Museo Diocesano, e don Ugo Bellucci, parroco ad Avigliana. 4 Si tratta del grande polittico con la Madonna del latte con santa Barbara che presenta un donatore, san Michele Arcangelo e san Valeriano (inv. 215, cat. 36), proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Borgo Vecchio ad Avigliana, e dell’ancona con lo Sposalizio mistico di santa Caterina e san Pietro (inv. 224, cat. 35), di cui non è certa la sede di provenienza aviglianese, entrambe da riferire agli anni venti del Cinquecento, giunte in Galleria Sabauda con l’attribuzione a Gerolamo Giovenone. Per l’importanza riconosciuta a Defendente nella Pinacoteca Sabauda riallestita da Massimo d’Azeglio a metà Ottocento si veda: P. Astrua, La tavola di Leini, una lunga storia di tutela. Dal territorio, al museo, al ritorno nella sede storica, in P. Astrua (a cura di), Defendente Ferrari a Leini, Torino 2011, pp. 59-75. 5 Difesa del teologo Vignolo cit., p. 14. 6 Ivi. 7 G. Romano, Casalesi del Cinquecento. L’avvento del Manierismo in una città padana, Torino 1970; Idem, Gerolamo Giovenone, Gaudenzio Ferrari e gli inizi di Bernardino Lanino. Testimonianze d’archivio e documenti figurativi, in G. Romano (a cura di), Bernardino Lanino e il Cinquecento a Vercelli, Torino 1986, pp. 13-62: pp. 14-30. 8 Il progetto ha potuto contare sulla supervisione scientifica di Giovanni Romano, professore emerito dell’Università degli Studi di Torino e sul contributo della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Torino, nelle persone delle funzionarie storiche dell’arte Maria Severino e Valeria Moratti. Il grup1
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Biografia di Gerolamo Giovenone
o in altri di questi anni. Tale circostanza avvalora l’ipotesi che Gerolamo abbia lasciato Vercelli per frequentare la bottega e i cantieri dello Spanzotti. Va ascritto al 1508, grazie alla testimonianza di un’antica fonte documentaria, il trittico eseguito da Gerolamo per la cappella Meschiatis dedicata a San Defendente nella chiesa di San Domenico a Biella (i due laterali con le Sante Apollonia e Dorotea e Santa Lucia e Defendente sono oggi nella Pinacoteca dei Musei del Castello Sforzesco di Milano).
A CURA DI FILIPPO TIMO
1485-1490 Va collocata in questi anni la nascita di Gerolamo Giovenone, figlio del maestro carpentiere Amedeo e di Guencina de Rotario. La coppia ebbe altri due figli maschi: Giovanni Pietro, primogenito, e Giuseppe (con ogni probabilità, il minore dei tre). Amedeo è originario di Barengo, borgo del contado di Novara situato a meno di 20 km a nord-ovest della città, che allora era sotto il controllo di Milano.
1513 Gerolamo dipinge la Disputa di Cristo al tempio (opera firmata e datata, oggi al Cummer Museum di Jacksonville, Florida), replica di un modello conservato ai Musei Civici di Torino realizzato da Defendente nel solco evidentissimo dell’insegnamento di Spanzotti e forse con la sua partecipazione diretta.
1506-1507 Benché non vi siano documenti d’archivio a dimostrarlo con piena certezza, si ritiene che in questi anni Gerolamo si stia formando come pittore al seguito del maestro casalese Giovanni Martino Spanzotti, alla bottega del quale lavora anche Defendente Ferrari. Diverse opere giovanili attribuite alla mano di Gerolamo rivelano l’impronta della formazione spanzottiana e la vicinanza, se non la collaborazione diretta, con Defendente.
1514 Gerolamo realizza Madonna in trono col Bambino fra i santi Abbondio e Domenico, la committente Ludovica Buronzo e i suoi figli, dipinta per la cappella di Sant’Abbondio nella chiesa dei domenicani di Vercelli, dedicata a San Paolo, e ora conservata presso la Galleria Sabauda di Torino.
1515 Gerolamo sposa Apollonia, figlia di Zanino Bagnaterra. La data del matrimonio è incerta, mentre è conservato il contratto di dote, stipulato il giorno 16 giugno. Probabilmente a seguito delle nozze, Gerolamo si trasferisce e apre una bottega di pittura nel quartiere San Lorenzo a Vercelli. Sono questi gli anni in cui Gerolamo rielabora in modo più maturo la lezione di Spanzotti e Defendente, trovando una cifra stilistica autonoma e di intensa qualità.
1508 Amedeo e il figlio Giovanni Pietro realizzano la carpenteria di un polittico per la confraternita di Sant’Anna di Vercelli, oggi diviso fra la Galleria Sabauda di Torino e la National Gallery di Londra. La realizzazione del dipinto è affidata al pittore valsesiano Gaudenzio Ferrari. In questo periodo la famiglia di Amedeo risiede a Vercelli, dove ha già impiantato una propria bottega di carpenteria, ma il figlio Gerolamo non compare nel documento appena ricordato
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1519 Il vicario generale della curia vercellese Giovanni Battista Avogadro di Valdengo commissiona alla bottega dei Giovenone due pale: una per San Marco e una per la cattedrale di Sant’Eusebio (opere oggi non identificate). Nel documento d’archivio i tre figli di Amedeo sono definiti indistintamente “pinctores”. Pressoché in tutti i documenti successivi, al contrario, Giovanni Pietro è identificato come “carpentarius” o “lignamarius”: è lui, quindi, a portare avanti la professione paterna.
Auckland, Nuova Zelanda. Dei due laterali si conserva anche il cartone preparatorio fra quelli della Pinacoteca Albertina qui pubblicati.
1531 Risalgono a questo periodo il polittico della chiesa di Sant’Agata a Santhià raffigurante la Madonna col Bambino e santi (datato forse da mano apocrifa sul retro) e il trittico nella chiesa della Madonna del Rosario di Gattinara, che inaugurano una nuova fase della produzione di Gerolamo. Di qui in avanti, infatti, l’artista mostra un profondo dialogo artistico non più solo con Gaudenzio, ma anche con il giovane Bernardino Lanino, che lavorerà a stretto contatto coi Giovenone e sposerà la figlia di Gerolamo, Dorotea.
1521 Giuseppe, il minore dei tre figli di Amedeo, il 9 gennaio entra a bottega da Gaudenzio Ferrari. Compirà con lui la propria formazione e ne diventerà stretto collaboratore per molti anni. Agevolato dal tramite fraterno, anche Gerolamo guarda all’arte di Gaudenzio rimanendone, a partire da questi anni, affascinato e influenzato.
1538 Anno al quale risale la Madonna col Bambino, santi e un committente oggi conservata presso il duomo di Biella, commissionata a Gerolamo dalla famiglia Frichignono per la chiesa di San Domenico sempre a Biella. È questo uno dei dipinti che mostra nel modo più chiaro e profondo il legame del Gerolamo maturo con l’arte di Lanino. A partire dagli anni quaranta la bottega di Gerolamo si arricchisce delle energie e del talento dei figli Giuseppe (spesso indicato in bibliografia come “il Giovane”, per distinguerlo dallo zio), Amedeo e Giovanni Paolo.
1524 Muore Amedeo. Nel proprio testamento, redatto il 30 luglio, dispone il lascito degli strumenti da carpentiere ai figli Giovanni Pietro e Giuseppe, insieme a quattro ancone da lui fabbricate. Una di queste, però, fu data a Gerolamo, a quest’altezza cronologica già titolare di una propria bottega ove esercitava il lavoro di pittore.
1527 Il 29 dicembre Gerolamo riceve la commissione di un trittico per la cappella della Congregazione di Sant’Ambrogio nella chiesa di San Francesco in Vercelli. L’opera viene consegnata probabilmente nel 1530; in essa si riscontrano evidenti influenze gaudenziane. Oggi la tavola centrale, raffigurante Sant’Ambrogio, è ancora conservata nella collocazione originale mentre i laterali, con San Gervasio e San Protasio, fanno parte delle collezioni dell’Art Museum di
1555 Gerolamo redige il proprio testamento il 27 agosto e pochi giorni dopo, certamente prima del 9 settembre, si spegne nella sua casa di Vercelli.
1583 Un documento notarile del 27 gennaio sancisce la divisione dei beni del defunto Gerolamo fra i figli Giuseppe, Amedeo e Giovanni Paolo. A
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momento. Infine dispone che, alla propria morte, il corpus dei cartoni sia ripartito equamente fra Amedeo e Giovanni Paolo (o fra gli eredi di questi ultimi).
Giuseppe viene riservata la parte più cospicua in quanto “fratello magiore et più esperto nel arte et col industria sua ha guadagnato la magior parte delle facoltà delle quali esso messer Paolo chiede la divisione […]”. Fra i beni assegnati a Giuseppe ci sono i disegni e i cartoni di Gerolamo, vero patrimonio della bottega e della famiglia. Profondamente cosciente di tale valore sia dal punto di vista professionale che umano, Giuseppe provvede affinché sia fatto un inventario dei cartoni e riconosce ai propri fratelli il diritto di consultarli e utilizzarli in qualunque
Nota bibliografica: per la bibliografia specifica e le fonti diplomatiche antiche si rimanda a Simone Baiocco, ad vocem Giovenone Gerolamo e Giovenone, famiglia, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. XLVI, Roma 2001, oltre che ai contributi pubblicati nel presente catalogo.
Oltre alle numerose opere collocate nelle chiese del vercellese, opere di Gerolamo Giovenone sono conservate nei seguenti musei: Amsterdam, Olanda, Rijksmuseum Auckland, Nuova Zelanda, Auckland Art Gallery Baltimora, Maryland, The Walters Art Museum Bergamo, Accademia Carrara Biella, Museo del Territorio Biellese Boston, Massachusetts, Museum of Fine Arts Budapest, Ungheria, Szépművészeti Múzeum Digione, Francia, Musée des Beaux-Arts Filadelfia, Pennsylvania, Philadelphia Museum of Art, Johnson Collection Ginevra, Svizzera, Musée d’Art et d’Histoire Jacksonville, Florida, Cummer Museum of art Londra, Regno Unito, The National Gallery Milano, Castello Sforzesco Milano, Pinacoteca di Brera Mosca, Russia, Museo statale delle Belle Arti A.S. Puškin Nashville, Tennessee, Vanderbilt University Roma, Museo Pietro Canonica Sassari, MUS’A Torino, Galleria Sabauda Torino, Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica Vercelli, Museo Borgogna Vercelli, Museo Leone
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I cartoni dei Giovenone nella collezione della Pinacoteca Albertina di Torino Campagna fotograďŹ ca realizzata con il contributo di Banca Patrimoni Sella & C.
Nella sala dei cartoni cinquecenteschi
dell’Accademia Albertina curata da Giovanni Romano nel 1982, questo testo vuole fornire al pubblico alcune chiavi di lettura per presentarsi al cospetto di una così ricca e particolare collezione di disegni. Come descritto da Enrica Pagella negli apparati didattici da lei curati per il sopracitato catalogo, il cartone è un disegno su carta con una connotazione ben precisa. Innanzitutto è definito in questo modo per la sua grande dimensione, data dall’accostamento di più fogli di carta incollati insieme. Il disegno che prende forma sopra una superficie così estesa non è quindi un primo bozzetto, disegnato velocemente sul quaderno dell’artista. Sul cartone è tracciato uno studio preparatorio molto vicino alla realizzazione dell’opera. Come scrisse Giovan Battista Armenini nei De’ veri precetti della pittura del 1587, “si può dire che quello sia l’istessa opera, fuorché le tinte”, perché in genere il cartone ha le stesse misure che avrà il dipinto sul suo definitivo supporto, che sarà costituito da una tavola in legno, da una tela o da una parete nel caso di un affresco. Il disegno era tracciato sulla carta con differenti strumenti e materiali: alla matita e al carboncino spesso si aggiungevano gesso, acquerello o biacca, distribuita col pennello per evidenziare, con il suo colore bianco, le parti del disegno alle quali dare luminosità. Ma come avveniva il trasferimento del disegno dal cartone al suo supporto definitivo? Nel Cinquecento uno dei metodi più comuni era lo spolvero, che, per quanto riguarda gli affreschi, segnò il graduale abbandono della sinopia, ovvero del primo disegno che il pittore tracciava sulla parete prima della stesura dei colori. Per arrivare allo spolvero, dopo aver disegnato sul cartone, l’artista ne traforava i contorni con un ago. Da quei fori passava della polvere di carbone, in grado di segnare i contorni delle figure sulla parete o sulla tavola da dipingere. Il già citato Giovan Battista Armenini consigliava di forare il cartone insieme a un altro foglio non disegnato, che sarebbe poi servito per lo spolvero con la polvere di carbone. Questo accorgimento consentiva di mantenere pulito il primo cartone,
E N R I C O Z A N E L L AT I
La prima presentazione torinese dell’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, dipinta su tavola da Gerolamo Giovenone, avviene significativamente nella sala dei cartoni cinquecenteschi della Pinacoteca Albertina che, grazie al sostegno di Banca Patrimoni Sella & C., è stata il set di una nuova campagna fotografica. Il professor Fabio Amerio, docente di Fotografia dell’Accademia Albertina di Belle Arti, ha avuto la possibilità di mettersi al lavoro di fronte a ciascun disegno con i suoi allievi, usando nuove strumentazioni donate alla Scuola di Fotografia. Sono così presentate in questo volume inedite immagini ad alta risoluzione che vengono offerte al tavolo della ricerca e della valorizzazione di questo straordinario patrimonio. Particolarmente efficace è stato il coinvolgimento degli studenti dell’Albertina in questo progetto, esplicitando anche in questo caso la vocazione didattica della Pinacoteca. L’Accademia torinese, già fondata da Maria Giovanna Battista di Savoia nel 1678, ottenne in dono l’attuale edificio da Carlo Alberto di Savoia nel 1833. Da allora denominata “Albertina”, l’istituzione si arricchì di una Regia Galleria che fu inizialmente costituita grazie all’incontro di due collezioni: la quadreria dell’arcivescovo Vincenzo Maria Mossi di Morano, già consegnata per lascito testamentario nel 1828 e ricca di più di duecento dipinti, e la collezione dei cinquantanove cartoni cinquecenteschi, precedentemente conservati nei Regi Archivi e donati dallo stesso re Carlo Alberto nel 1832. Riassumendo i contenuti di precedenti volumi, innanzitutto del catalogo della mostra Gaudenzio Ferrari e la sua scuola. I cartoni cinquecenteschi
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che va dal primo Cinquecento all’inizio del Seicento, rivelano nella maggioranza dei casi una ben definita provenienza geografica e artistica, quella delle botteghe attive a Vercelli e in Valsesia nel corso del XVI secolo. Opera prevalentemente di Gaudenzio Ferrari, Bernardino Lanino, Gerolamo Giovenone e Giuseppe Giovenone il Giovane, sono la testimonianza che le loro botteghe lavoravano l’una accanto all’altra, con scambi continui che l’analisi dei cartoni contribuisce a chiarire. Un primo dato è la fedeltà alla maniera proposta da Gaudenzio Ferrari nel primo quarto del Cinquecento, riproposta con sorprendente continuità fino alla fine del secolo. Sul ceppo gaudenziano si innestano anche influenze leonardesche che giungono dalla Lombardia e, alla fine del Cinquecento, gli apporti di maestri cremonesi. Lasciando a voci più autorevoli della mia il compito di studiare e descrivere questi confronti, vorrei terminare questo breve testo divulgativo con una curiosità che collega la storia dei cartoni alla nostra contemporaneità: fu la rivista inglese “Punch” a usare per la prima volta, nel 1843, il termine cartoon in riferimento ai suoi disegni satirici. Lo fece pubblicando la caricatura di cartoni proposti per un ciclo affreschi da eseguire nel Parlamento a Londra. Quel cartoon n° 1 diede inizio a un uso del termine che, partendo dai cartoni preparatori degli artisti, approda ai moderni cartoni animati, anch’essi testimonianza del fascino che, tutt’oggi, il disegno continua a esercitare su ciascuno di noi.
salvaguardandone il disegno. Un altro procedimento che permetteva di tutelarlo era il ricalco a coltello. Nel caso dell’affresco, il pittore addossava il cartone sulla parete e lo calcava con un ferro appuntito, lasciando così sull’intonaco sottostante l’impronta delle figure che avrebbe affrescato. Diversa era l’operazione per i dipinti su tavola o tela: qui il rovescio del cartone era ricoperto di uno strato di polvere di carbone. In questo modo la pressione del coltello che calcava i contorni ne lasciava il segno sul supporto. Questi accorgimenti testimoniano la volontà di conservare i cartoni preparatori, spesso custodendoli nella bottega insieme a quelli tratti da opere finite, vale a dire con disegni realizzati in un secondo momento per mantenere la memoria di un lavoro fatto. Trasmessi dal maestro ai suoi allievi, questi cartoni venivano considerati un repertorio al quale attingere anche a distanza di anni. Uno strumento interno di lavoro, utile agli artisti ma per lo più trascurato dai collezionisti del tempo. La rarità dei cartoni giunti fino ai nostri tempi dipende, quindi, oltre che da un naturale deperimento della carta, da questo sostanziale disinteresse del primo collezionismo. I cinquantanove esemplari cinquecenteschi della Pinacoteca Albertina sono per questa ragione di straordinario interesse, perché ci permettono di entrare in punta di piedi nelle botteghe del Cinquecento, scoprendo come avveniva la formazione artistica poco prima della nascita delle Accademie di Belle Arti. I cartoni dell’Albertina, datati in un arco di tempo
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1. Bottega dei Giovenone (Gerolamo Giovenone e Bernardino Lanino?) Adorazione del Bambino 126 Ă— 122 cm, inv. 330
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2. Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino e santi 110 × 120 cm, inv. 357 3. Gerolamo Giovenone Madonna col Bambino 103,6 × 52,4 cm, inv. 336 4. Gerolamo Giovenone San Gervasio 127,9 × 55,5 cm, inv. 339 5. Gerolamo Giovenone San Protasio 123,4 × 57,2 cm, inv. 321
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6. Gerolamo Giovenone (?) San Giovanni evangelista 125,3 × 60 cm, inv. 349 7. Giovanni Battista Giovenone (?) Santa Dorotea presenta una devota 123,2 × 62,4 cm, inv. 351 8. Bottega di Gerolamo Giovenone e Bernardino Lanino San Giovanni Battista 126,8 × 58,4 cm, inv. 332 9. Bottega di Giuseppe Giovenone il Giovane Sant’Agostino 184 × 117 cm, inv. 356
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10. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino e santi 150 Ă— 134 cm, inv. 354 11. Giuseppe Giovenone il Giovane Compianto su Cristo morto 174 Ă— 142 cm, inv. 324
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12. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino in trono e due angeli 168 × 48 cm, inv. 353 13. Giuseppe Giovenone il Giovane Sant’Eusebio presenta un donatore assistito da san Giuseppe e da un angelo 168 × 58,5 cm, inv. 325
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14. Giuseppe Giovenone il Giovane La Maddalena portata in cielo dagli angeli 189 × 129,5 cm, inv. 315 15. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino tra i santi, arcangeli e due donatori 190 × 136 cm, inv. 316 16. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino e i santi Pietro e Stefano che presentano due prelati 190 × 135 cm, inv. 310
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17. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino tra i santi Antonio Abate e Caterina 185 × 115 cm, inv. 355 18. Giuseppe Giovenone il Giovane Assunzione 228 × 160 cm, inv. 320 19. Giuseppe Giovenone il Giovane Andata al Calvario 231 × 163 cm, inv. 319
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20. Giuseppe Giovenone il Giovane Annunciazione 108 × 102 cm, inv. 322 21. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino tra i santi Battista e Caterina (?) 146 × 120 cm, inv. 358 22. Giuseppe Giovenone il Giovane Madonna col Bambino in trono 126 × 64 cm, inv. 352 23. Giuseppe Giovenone il Giovane San Michele Arcangelo 127 × 54 cm, inv. 334
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24. Giuseppe Giovenone il Giovane Angeli recanti in gloria gli strumenti della Passione 80,5 Ă— 125 cm, inv. 342 25. Giuseppe Giovenone il Giovane Resurrezione di Cristo e due santi vescovi 176 Ă— 143,5 cm, inv. 326
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26. Giuseppe Giovenone il Giovane Sant’Eusebio 118 × 54 cm, inv. 350 27. Giuseppe Giovenone il Giovane San Nicola da Bari 119 × 54 cm, inv. 350 bis
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28. Bottega di Giuseppe Giovenone il Giovane Adorazione dei pastori 125 × 123 cm, inv. 303 29. Giuseppe Giovenone il Giovane Santa Margherita d’Antiochia davanti a Olibrio 65 × 68 cm, inv. 341
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In copertina Gerolamo Giovenone (e Bernardino Lanino) Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova particolare tempera su tavola Collezione Banca Patrimoni Sella & C.
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Protagonista di questo volume è un dipinto ‘ritrovato’ di Gerolamo Giovenone, maestro del Rinascimento vercellese, oggi nella collezione di Banca Patrimoni Sella & C. L’Adorazione del Bambino con i santi Francesco d’Assisi e Antonio da Padova, dopo più di 450 anni, tra molteplici vicissitudini legate al mondo delle committenze e del collezionismo privato, ritrova, grazie a un mecenatismo virtuoso, una sua destinazione pubblica: le meravigliose sale del Cinquecento del Museo Borgogna. Prima di giungere nella nuova sede, una tappa obbligatoria alla Pinacoteca Albertina che, pur non possedendo opere pittoriche di Giovenone, vanta dell’artista e della sua bottega un numero straordinario di cartoni preparatori. Documenti unici e preziosi per comprendere il linguaggio stilistico e l’evoluzione artistica del pittore che, grazie all’impegno profuso da Banca Patrimoni Sella & C., trovano spazio in questa pubblicazione, insieme a un ricco apparato critico e scientifico.
Dettaglio dell’opera in riflettografia infrarossa
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